CORSO DI LINGUA E LETTERATURA FRANCESE - PROF. ANNA SONCINI
Francesco Lora
Un'analisi drammaturgica e musicale di Cachaprès
Un mâle di Lemonnier dal romanzo al dramma lirico
Francesco Lora
Università degli Studi di Bologna
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea quadriennale in D.A.M.S.
Indirizzo Musica
E-mail: [email protected]
Il naturalismo. Corrente letteraria e contesto storico. Uno sguardo sul
Belgio.
Si definisce naturalismo una corrente letteraria della seconda metà del XIX
secolo, intimamente legata agli sconvolgimenti sociali ed economici
(rivoluzione industriale), come pure al crescente affermarsi della filosofia
positivista.
Con una riflessione più approfondita rispetto al realismo – non limitandosi,
rispetto ad esso, a riportare con cruda e oggettiva verosimiglianza i fatti
narrati, ma rendendosene aboutissement, ricercando scientificamente le leggi
naturali, il contesto culturale e i principi filosofici che ne sono alla base – il
naturalismo, come tendenza letteraria di respiro europeo e mondiale, ha in
Francia, nel primo ventennio della Terza Repubblica (sorta nel 1871), la sua
origine e le principali espressioni (Émile Zola, Guy de Maupassant, Alphonse
Daudet...).
Mentre in Russia scrittori come Gogol', Pisemskij, Saltykov spiegano, e in
certa misura preparano, il successo di Zola, in Germania il naturalismo si
afferma, verso il 1885, come letteratura della giovane generazione che
reagisce al torpore di alcuni e all'idealismo convenzionale di altri.
Nei paesi scandinavi, il critico George Brandes applica la formula naturalista
soprattutto al teatro, mentre in Gran Bretagna vengono accentuate in senso
pessimistico, o colorate di apparenze scientifiche, le tendenze realistiche di
una grande tradizione narrativa.
In Italia il naturalismo assume una forma particolare nel verismo, i cui
principali esponenti sono Luigi Capuana, Giovanni Verga, Matilde Serao,
Grazia Deledda.
Negli Stati Uniti, il naturalismo ha la sua massima fioritura nei primi anni del
secolo XX, influenzando scrittori partecipi, nelle loro opere, dei grandi
mutamenti sociali provocati dall'intenso sviluppo del capitalismo.
Una lunga serie di circostanze storiche, economiche e sociali, solo in parte
dissimili da quelle d'altri paesi, coinvolge nell'indirizzo naturalistico alcuni
scrittori belgi, tra i quali primeggia la figura di Camille Lemonnier.
Contrariamente a quanto è accaduto per altri movimenti artistici, quali il
surrealismo o il simbolismo (rappresentato da Magritte, Maeterlinck, Hergé),
in madrepatria l'espressione naturalistica belga, fino a tempi recenti, è stata
generalmente trascurata dal grande pubblico.
Tra gli "addetti ai lavori" non vi fu mai, a suo riguardo, uniformità di
valutazione. Alcuni considerarono da subito il naturalismo una deformazione
letteraria, vergognosa e pericolosa, mentre altri – in particolare i simpatizzanti
per il movimento socialista, che si manifestò in Belgio negli anni '80 – vi
lessero l'espressione di una vitalità letteraria nuova e originale. Oggi c'è, in
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questo paese, il desiderio di riparare all'indifferenza verso il naturalismo
d'origine locale, studiandone gli autori e la loro specificità.
Economia agricola e industriale nell'Europa del XIX secolo
All'inizio del XIX secolo la rivoluzione industriale non aveva cancellato il
predominio dell'agricoltura; la situazione era profondamente diversa non solo
da stato a stato, ma da regione a regione. I cambiamenti non furono dovunque
uguali e non avvennero contemporaneamente.
In Francia la Rivoluzione aveva liberato la campagna dal regime feudale e
l'aveva frazionata in numerose piccole proprietà. I contadini erano tuttavia
rimasti molto poveri, e miserabili erano le loro abitazioni e il loro cibo. In
molti stati prevaleva invece la grande proprietà, spesso abbandonata a se
stessa e incolta. Negli stati asburgici esisteva ancora la servitù della gleba; in
Russia la terra era quasi interamente possesso dei nobili.
Le prime e più profonde trasformazioni si ebbero in Inghilterra già a partire
dalla metà del Settecento. La produzione fu incrementata anche con
l'introduzione di nuove colture, con l'uso della concimazione e con l'impiego
di nuovi attrezzi prodotti dalle industrie.
Verso la fine del secolo XVIII e soprattutto durante il XIX, l'industria, spesso
associata all'agricoltura, fece progressi eccezionali; li favorirono l'invenzione
di sempre nuove macchine e le scoperte fatte nel campo della chimica e della
fisica. Il cambiamento fu rapido: iniziata in Inghilterra, l'industrializzazione si
diffuse specialmente in Francia, in Germania, in Russia.
Il vantaggio dell'Inghilterra rispetto agli altri paesi dipese dal fatto che essa
disponeva in abbondanza di capitali e di manodopera, di ricche miniere di
carbone e di ferro e di una potente organizzazione commerciale.
Le trasformazioni che si verificarono nell'agricoltura e nella produzione di
tessuti (dove si era passati da un artigianato casalingo all'industria tessile)
favorirono la seconda fase della rivoluzione industriale, quella dell'industria
pesante, dominata dall'industria delle ferrovie.
Verso la metà del secolo, alcune decisive invenzioni (convertitore Bessemer e
forno Martin-Siemens) inaugurarono l'età dell'acciaio.
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Nascita delle fabbriche e della classe operaia
L'introduzione delle macchine fece progressivamente scomparire l'attività
artigianale, prima nel settore tessile, poi negli altri. Le nuove macchine erano
infatti molto costose e troppo grandi per essere tenute un casa, per cui vennero
riunite in laboratori sempre più vasti. Nacque così la fabbrica, la cui proprietà
apparteneva ad un capitalista, ad una persona, cioè, che aveva il denaro per
costruirla, per acquistare le macchine, per sfruttare la forza motrice dell'acqua
o del vapore e per pagare salari agli operai.
L'organizzazione del lavoro ne risultò sconvolta: il libero artigiano divenne un
operaio moderno, e le relazioni tra datore di lavoro e dipendente si
trasformarono profondamente. L'inventiva e la creatività del lavoratore non
avevano più luogo per esprimersi: egli dipendeva ormai dai suoi strumenti di
lavoro, diventando un'appendice della macchina.
Poiché la diffusione delle fabbriche richiedeva una crescente manodopera,
migliaia di piccoli proprietari e di artigiani impoveriti furono costretti, per
sopravvivere, ad abbandonare i loro villaggi e a riversarsi nelle città, in cerca
di lavoro nell'industria.
Scomparvero progressivamente molti antichi mestieri e si formò la nuova
classe del proletariato industriale.
Nuove e durissime furono le condizioni in cui furono obbligate a lavorare e a
vivere le prime generazioni di operai. Abituati ad organizzare individualmente
il lavoro dei campi, che variava a seconda delle stagioni, si trovarono a
dipendere dagli ordini di un capo e ad affrontare ritmi e orari di lavoro
insopportabili e continuativi.
L'orario normale variava dalle quattordici alle sedici ore al giorno; la
disciplina era severissima, disumana. Queste condizioni di lavoro
riguardavano anche donne e bambini, largamente impiegati nelle miniere e
nelle fabbriche, in condizioni degradanti e con salari infimi.
La rivoluzione industriale in Belgio: ambiente socio-economico del
naturalismo
Il progresso industriale britannico fece sì che il Belgio intraprendesse la
propria rivoluzione. Per farlo, il paese adottò le nuove macchine d'oltremanica
e ricorse alla manodopera di numerosi operai inglesi, premurandosi frattanto
di formare i propri lavoratori qualificati.
Nel 1835 il Belgio inaugurò il primo tratto (Malines-Bruxelles) di un'estesa
rete ferroviaria, resa necessaria anche dal fatto che l'Olanda aveva tagliato
alcune comunicazioni fluviali, tesa a sfruttare al massimo quella che era stata
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l'innovazione più clamorosa della rivoluzione industriale, l'impiego del
vapore, che sconvolse il tradizionale sistema di trasporti sino ad allora
impostato sull'uso della diligenza.
Allo scopo di offrire mezzi di comunicazione sempre più economici, rapidi ed
efficaci, fra il 1835 e la prima decade del XX secolo la rete ferroviaria belga
arrivò a coprire 4.600 chilometri e contribuì ampiamente alla crescita
dell'industria locale, che produceva beni soprattutto per l'esportazione. In vista
della cospicua domanda estera, con l'applicazione delle innovazioni tecniche
si incrementò l'industria siderurgica, l'estrazione del carbone e la lavorazione
della lana e del lino.
A partire dagli anni '70 l'economia belga si sviluppò in modo impressionante.
Assimilati alla perfezione i meccanismi capitalistici, la classe dirigente belga
intendeva sfruttare al massimo la forza-lavoro fornita dagli operai. Soltanto un
impegno lavorativo estenuante e una remunerazione del tutto inadeguata
potevano assicurare guadagni sostanziosi, reinvestibili in buona parte
nell'impresa per accelerarne la meccanizzazione.
Quanto alla legislazione sociale, la cui assenza autorizzava ogni abuso, il
Belgio accusò un triste ritardo rispetto alle nazioni vicine, in particolare
l'Inghilterra e la Germania. Le condizioni di vita della classe operaia erano
disastrose e il degrado generale.
L'incremento demografico, dovuto alla diminuzione della mortalità e delle
grandi epidemie che nei secoli passati avevano provocato la morte di milioni
di persone, comportava l'aumento dei prezzi delle derrate più richieste,
specialmente dei cereali. Ma il maggior profitto favoriva unicamente i
proprietari delle terre, mentre la miserabile moltitudine dei contadini si
doveva confrontare anche con il problema della disoccupazione.
Al tempo dell'indipendenza (1839) le condizioni di vita in Belgio erano
dunque largamente diversificate: da un lato i ricchi sfaccendati si adoperavano
unicamente ad operare nuovi redditizi investimenti, sfruttando la manodopera
dei proletari che, dall'altro lato, vittime di un'insormontabile necessità,
dovevano accettare qualsiasi lavoro a qualunque condizione.
La moltitudine degli operai non trasse alcun profitto dalla prosperità
economica dell'epoca. Essa peraltro non doveva durare, in quanto, essendo il
Belgio un paese esportatore, risentì gravemente della crisi internazionale
iniziata nel 1874 e durata fino al 1895. In grado di produrre carbone essi
stessi, gli Stati Uniti e la Germania iniziarono ad esportarlo, provocandone il
calo del prezzo.
Utilizzando nuove tecniche, ci si accorse che l'acciaio era più resistente ed
economico del ferro: il Belgio, per rimanere competitivo, doveva quindi
rinnovare la sua siderurgia, importando i minerali appropriati per la
fabbricazione di un acciaio di qualità.
La situazione agricola, già precaria, andava peggiorando a causa
dell'importazione di cereali dagli Stati Uniti, che faceva diminuire i prezzi e
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quindi gli introiti. Chi cercava lavoro nell'industria si doveva confrontare con
datori di lavoro che, per mantenere i profitti, diminuivano i salari e
sostituivano quanti più operai possibile con macchinari più numerosi ed
efficaci.
La disoccupazione sempre più estesa e la conseguente diminuzione del potere
d'acquisto provocarono un tale disastro economico e sociale, che gli operai,
esasperati, si ribellarono; il 1886 fu un anno terribile: scioperi, rivolte
violente, distruzioni, rancori colpirono la maggior parte dei centri industriali.
L'anno oscuro ebbe se non altro qualche conseguenza positiva. Finalmente
nasce la preoccupazione per la sorte degli operai ed essi stessi si rendono
conto della necessità di un partito capace di farsi ascoltare e di difendere i loro
interessi. Fondato nel 1885, il Partito Operaio Belga (P.O.B.) entra nella
storia. Nel 1887 una legge, approntata da liberali sensibili alle ingiustizie
contro la classe più sfavorita, regolamenta i salari, proteggendo gli operai
dagli abusi di cui erano stati oggetto per decenni. È regolamentato anche il
lavoro delle donne e dei bambini.
Con una serie di scioperi dimostrativi, il P.O.B. vuole arrivare a ottenere il
suffragio universale, condizione essenziale per permettere ai rappresentanti
socialisti di andare in parlamento e promuovere leggi favorevoli ai lavoratori.
Il suffragio universale (per i soli uomini, a partire da 25 anni) è concesso nel
1893 e riporta le prime pallide vittorie, sufficienti – malgrado la loro
limitatezza – a rivitalizzare il commercio con un accresciuto potere d'acquisto.
L'ambizione coloniale di Leopoldo II e la ricerca di nuovi mercati favorirono
la ripresa economica; lo stato arrivò finalmente ad intervenire in maniera più
efficace nell'economia e nei problemi sociali del paese.
Contesto filosofico e culturale
Facilitato dalla comunanza della lingua, nell'ambito del pensiero filosofico e
della produzione letteraria, il Belgio, assai povero di opere locali di rilievo, si
rifaceva per vari aspetti alla Francia. Alcuni scrittori francesi, spesso per
ragioni politiche, avevano lasciato il loro paese, importando in Belgio stili e
correnti di pensiero. Dal 1830 al 1850, proprio da alcuni autori francesi furono
iniziati al romanticismo quegli scrittori belgi che si attardarono a descrivere
pomposamente i fatti della storia nazionale.
La "tappa romantica" può essere vista come un passaggio intermedio tra
l'uomo del classicismo e quello del realismo e del naturalismo: se l'uomo dei
classici era un essere morale posto di fronte a Dio, l'uomo della letteratura
della seconda metà dell'Ottocento è un essere sociale, ossia situato in una
società determinata e da essa condizionato.
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Il realismo ha più di una faccia: quello dei borghesi francesi come Flaubert e i
fratelli Goncourt è una descrizione fedele della realtà e al tempo stesso una
requisitoria contro di essa, un'accusa alla condizione umana. Altro è il
realismo democratico, che si può riscontrare in scrittori come Champfleury, il
quale è giunto a capovolgere le posizioni del romanticismo prendendo le
mosse da esso e giungendo, attraverso una rappresentazione comicocaricaturale della realtà quotidiana, ancora attenta all'eccezionale e
all'eccentrico, a concepire la letteratura come rappresentazione minuziosa
della realtà contemporanea.
Il naturalismo apparirà più pessimista; ma in esso il sentimento della
sofferenza umana sarà progressivamente fiancheggiato da quello della
solidarietà sociale.
In un'atmosfera intellettuale dominata dal positivismo, e in cui da una parte si
fanno sempre più fortemente sentire le esigenze di giustizia e di
organizzazione sociale, e dall'altra si fa strada l'idea di un'unità organica delle
specie viventi, si andrà imponendo il determinismo più rigoroso.
Il naturalismo diventa il portavoce dell'umanità media del mondo moderno e
predilige una rappresentazione cruda e compiacente di realtà basse e triviali.
Così è il naturalismo nella rappresentazione che ne dà Émile Zola, lo scrittore
che più di altri incarna il naturalismo francese, il quale si propone di osservare
l'uomo scientificamente, cioè con la competenza e l'indifferente straniamento
che ha il naturalista nei confronti di un animale o di una pianta.
I metodi delle scienze sperimentali sono così applicati alla letteratura
d'invenzione. Questo principio operativo trova le sue radici nelle nuove
tendenze di pensiero, che ne permettono la fioritura.
Il fondatore del positivismo, Auguste Comte (1798-1857), aveva affermato la
sovranità della scienza come solo strumento atto a garantire il progresso
umano e sociale e capace, in un avvenire più o meno vicino, di risolvere ogni
problema. Tratti fondamentali del suo movimento filosofico-culturale, sono
appunto l'esaltazione del valore delle scienze empirico-sperimentali
(soprattutto fisica e biologia) contro le costruzioni metafisiche della filosofia
idealistica e romantica.
Nell'analisi dei caratteri costitutivi del sapere scientifico, il positivismo attinge
alla tradizione dell'empirismo classico: qualsiasi conoscenza, per risultare
vera, deve essere basata sull'esperienza. L'ossequio ai fatti concreti deve
essere incondizionato, al punto da rifuggire da ogni ipotesi. I giudizi
universali non hanno alcuna validità; ogni cosa si muove nel campo del
relativo e condizionato e non riuscirà mai a oltrepassarlo.
Nel quadro di una visione sostanzialmente deterministica della realtà, l'uomo
appare come un prodotto dell'ambiente, che quand'anche inteso come milieu
sociale, pur sempre è retto da leggi analoghe a quelle che governano i
fenomeni naturali. Le opere dell'arte e dell'intelligenza si possono spiegare –
ne fa fede l'opera di Hippolite Taine – come il risultato di leggi psicologiche,
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nelle quali è operante il principio di causalità non meno che negli altri eventi
del mondo naturale.
Sulla base di questo contesto ideologico, in cui la scienza e la natura appaiono
talvolta come le supreme garanti di un indefinito progresso umano e, altre
volte, si colorano delle oscure tinte della fatalità, del destino o delle leggi
dell'ereditarietà biologica, sorgono movimenti letterari come il naturalismo e
il verismo e, in genere, quella concezione dell'uomo come prodotto
dell'ambiente che è un po' la sigla e il modo di pensare caratteristici del
positivismo.
Il naturalismo di Un mâle.
Camille Lemonnier. La vita e le opere.
Romanziere, novellista, fondatore di riviste e critico d'arte, Camille
Lemonnier nasce a Ixelles il 24 marzo 1844 da famiglia borghese agiata. Il
padre, Louis-François, è avvocato
presso la Corte d'appello di
Bruxelles.
La
madre,
Marie
Panneels, di origine fiamminga,
muore quando egli ha l'età di due
anni, e insieme con la sorella viene
allevato dalla nonna materna.
Tra il 1855 ed il 1861 Camille
compie mediocri studi umanistici
presso l'Ateneo Reale di Bruxelles;
nel 1858 compone un Almanach
instructif et amusant à lire. Nel 1861
intraprende una candidatura in
Lettere e filosofia, propedeutica agli
studi di Diritto presso l'Université
libre di Bruxelles (università
Camille Lemonnier
promossa
dalla
massoneria
antiecclesiastica), interessandosi nel
contempo più alla letteratura che ai propri studi, cosicché non sosterrà alcun
esame universitario.
Nel 1862, dopo una breve permanenza al Governo provinciale come
impiegato sovrannumerario, pubblica su L'Uylenspiegel, giornale artistico e
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letterario, un racconto intitolato Brosses et tampons. L'anno successivo, in
occasione dell'Esposizione generale di belle arti di Bruxelles, pubblica la sua
prima opera di critico d'arte, Salon de Bruxelles.
Nel 1866 frequenta assiduamente pittori e si consacra alla letteratura; in aprile
riceve una lettera di congratulazioni da parte di Victor Hugo, al quale egli
aveva inviato il manoscritto di Sabbat, inedito; lo stesso anno compare un
secondo Salon de Bruxelles.
Alla morte del padre, nel 1869, con la sua parte d'eredità prende in affitto un
castello a Burnot, tra Dinant e Namur; scrive Nos flamands, introducendo uno
degli argomenti fondamentali della sua opera letteraria, l'importanza e i
caratteri peculiari della razza fiamminga, alla quale egli rivendica
l'appartenenza.
Oltre a parecchi racconti e novelle apparsi su diversi giornali, nel 1870
Lemonnier pubblica un Salon de Paris che viene accolto con entusiasmo dai
pittori di Parigi; in settembre, in compagnia di alcuni amici tra i quali Félicien
Rops, visita il campo di battaglia di Sedan, esperienza dalla quale nascerà,
l'anno seguente, Sedan, descrizione dell'omonima battaglia non in termini
storici, ma nell'analisi dell'uomo e delle sue ferite, testo che nel 1881 diverrà
Les Charniers ed influenzerà la redazione di La débâcle di Émile Zola.
Nel 1871, inoltre, Lemonnier sposa Julie-Flore Brichot, dalla quale avrà due
figlie.
Tra il 1872 ed il 1879 Lemonnier si divide tra letteratura e critica d'arte; dirige
la rivista L'Art universel, collabora a L'Artiste e scrive numerosi racconti che
vengono pubblicati con i titoli di Contes flamands et wallons (1873), Histoires
de gras et de maigres (1874), Derrière le rideau (1875); pubblica infine a
Parigi Un coin de village e riceve una lettera di elogi da parte di Flaubert.
Nel 1881 si separa dalla moglie; dopo essere stato pubblicato en feuilleton su
L'Europe, esce in volume Un mâle, seguito l'anno seguente da Le mort.
Un mâle, capolavoro di Lemonnier, «racconto di una sovrabbondanza di vita
che si spande nelle altre opere con una violenza spesso visionaria,
assicurandogli [a Lemonnier] un posto a parte tra i seguaci del naturalismo»,
prima della «più distaccata e serena visione lirica delle cose quando [il
realismo nativo di Lemonnier] non si adagia sull'idillio», è caratteristicamente
intriso dell'«ossessione della fecondità, della lotta, dello sforzo» (N.N.,
Dizionario degli autori, Ed. Bompiani).
Thérèse-Monique, alla cui stesura Lemonnier aveva atteso probabilmente
dieci anni prima, viene dato alle stampe nel 1882.
Nel 1883 Lemonnier sposa in seconde nozze Valentine Collart, nipote di
Constantin Meunier. Stimato come un maestro dai suoi pari, Lemonnier
riunisce attorno a sé ogni venerdì gli scrittori della Jeune Belgique; quando gli
viene rifiutato il Prix quinquennal de littérature, essi organizzano un
banchetto nel corso del quale Rodenbach lo proclama "Maréchal des lettres
belges".
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Il 1885 vede la pubblicazione de L'Hystérique, romanzo nel quale dominano
quelle pretese scientifiche assenti in Un mâle e qui veicolate dall'esperienza
degli studi psicanalitici di Charcot. Ispirato ad un fatto reale (il caso di Louise
Lateau, in cura presso il dottor Warlomont, padre di Max Waller),
L'Histérique narra di una giovane entrata in un beghinaggio col nome di suor
Humilité, del cui eccessivo fervore religioso degenerato in isteria, espresso
con innocenza e vulnerabilità, approfitta lo spregiudicato curato Orléa che,
dopo averla ingravidata, la allontana sgravandosi di ogni responsabilità e
sospetto. La visione critica del narratore, positivista e anticlericale, femminista
in forma latente secondo Anne-Françoise Luc, elimina ogni trascendenza e
riconduce i comportamenti della donna (vero centro del romanzo) alla Chiesa
che la domina, e domina attraverso di lei la società. La donna e la sua intimità
sono argomenti centrali nella cultura del tempo, e la devozione religiosa
femminile viene ricondotta da Lemonnier a insoddisfazione sessuale. L'utero,
primo vero elemento di diversità fra maschio e femmina, è inteso come bestia
affamata i cui squilibri sono la causa primaria dello squilibrio psicofisico nella
donna.
Nel 1886, mentre il Belgio è socialmente sconvolto, esce a Parigi HappeChair, romanzo ispirato alla necessità di una riforma della condizione
dell'operaio, sul quale Lemonnier ritornerà a più riprese sino alla versione
definitiva del 1908. Ad un anno dall'uscita di Germinal, romanzo di Zola
ambientato nelle miniere, il nuovo lavoro di Lemonnier rischia l'accusa di
plagio, stornata dall'autore nella stessa dedica a Zola: «Nous étions deux à
étudier en même temps la souffrance du peuple, vous chez les hommes de la
houillère, moi chez les hommes du laminoir. Pendant que vous écriviez
Germinal, j'achevais Happe-Chair». In Happe-Chair è presentato un mondo
infernale – anche nei riferimenti alla mitologia ctonia tradizionale – avvolto
caratteristicamente dalle fiamme dell'iconografia cristiana (alla cultura belga
appartiene, del resto, lo spiritismo, che allarga gli orizzonti di Lemonnier oltre
le reminiscenze del demoniaco medioevale): l'usine-enfer ovvero usine-en fer
è luogo d'annientamento dell'uomo (dove l'uomo diventa macchina e la
macchina si umanizza), ma è anche tempio: la macchina porta infatti in sé
qualcosa di sacro, dominando ciò che appartiene alla natura (il vapore) e
sottomettendo l'uomo, in un confronto che fa dipendere dalla "salute" e dalla
"vita" della macchina la salute e la vita dell'uomo stesso. Lo scompenso
sociale, in Happe-Chair, è rappresentato dalla moglie dell'integerrimo
protagonista, Clarinette, donna annoiata e sregolata nel desiderio, ninfomane
ed isterica, che conduce il marito alla rovina prima, poi all'isolamento nella
tranquillità della campagna (ritiro che è un rifiuto del futuro e dell'ambizione
sociale).
Nel 1888 Lemonnier pubblica studi su Courbet, Stevens, Rops e altri, con il
titolo di Les peintres de la vie; ottiene finalmente il Prix quinquennal de
littérature per La Belgique; mentre a Bruxelles sta per andare in scena Un
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mâle, pièce tratta dal romanzo omonimo, in Francia esce Madame Lupar. Da
allora, egli soggiorna ogni inverno a Parigi e collabora, come Maupassant, al
giornale Gil Blas, sulle cui pagine compare L'enfant au crapaud, racconto
ispirato ai grandi scioperi belgi del 1887, che gli costa un processo per
oltraggio ai buoni costumi; Lemonnier si affida alle qualità di avvocato di
Edmond Picard, che nel 1885 aveva già vinto per lui la causa nel processo che
lo opponeva al suo editore per i diritti di proprietà di Un mâle, ed è
condannato ad un'ammenda che non gli sarà tuttavia mai reclamata.
Vengono quindi dati alle stampe i racconti intitolati Ceux de la glèbe (1889) e
Les joujoux parlants (1892), e la raccolta di novelle Dames de volupté (1892).
Nel 1891 la pièce in quattro atti Un mâle è allestita a Parigi.
Nel 1892 è altresì pubblicato il romanzo sociale più caro (con Happe-Chair)
allo stesso Lemonnier, La fin des bourgeois, che alcuni ritengono il suo ultimo
di ispirazione naturalistica. Esso muove dai ricordi reali dell'autore visti
attraverso lo specchio della memoria immaginativa. Nelle sue pagine,
Lemonnier, riabilitando il personaggio dell'adultera Ghislaine in un fitto
sistema di confronti, presenta le differenti tipologie femminili sulle quali
ritornerà poi nel seguito della sua produzione, affiancando alla riflessione
sulla donna quella sulla borghesia.
Nel 1893 Edmond Picard deve nuovamente difendere Camille Lemonnier,
perseguito per L'homme qui tue les femmes, novella in sintonia col movimento
antiborghese ispirata ai misfatti di Jack lo Squartatore, già pubblicata in
Dames e volupté e sul Gil Blas, nella quale è rappresentato un mondo che si
sgretola e trova nella rovina la sua norma. Nella lettera al giudice, Lemonnier
parla di due coscienze: quella personale di ciascuno e quella cui nella
quotidianità l'individuo si adegua; nel corso del processo, seguito con fervore,
il pubblico applaude Lemonnier. È l'occasione per ribadire il conflitto
generato dal benessere della borghesia, rappresentata scatologicamente per
dimostrare positivisticamente l'uguaglianza dal basso di tutti gli uomini. Se in
ambito operaio la fisicità è vitalità e fecondità, in ambito borghese essa è vista
come decadenza e sterilità. Il corpo del borghese è in sé sottoposto a violenza
poiché trae le sue malattie (per esempio artrosi, cardiopatia, gotta) dal suo
trasudar benessere (ad esempio per troppa alimentazione, per assenza di
moto), e per scongiurarle viene bloccato eliminando l'emozione e il buon
vivere quotidiano. La morale che Lemonnier mette in scena non è di etichetta,
ma di ricerca dell'uomo in se stesso: i suoi personaggi sono insieme studi e
denunce di una situazione di degenerazione, e il topos della donna isterica è
simbolo di un intero mondo isterico: la situazione ha però ancora possibilità di
riparazione, laddove per Zola è già inesorabilmente iniziata la decomposizione
sociale.
Nello stesso anno di Happe-Chair escono Claudine Lamour, Paroles pour
Georges Eekhoud, Le bestiaire. Tra il 1894 ed il 1901 Lemonnier pubblica a
ritmo sostenuto racconti, novelle e romanzi. Tra essi, La faute de Madame
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Charvet (1895), L'homme en amour (1897, romanzo che gli costa un terzo
processo da cui esce assolto), La petite femme de la mer e Une femme (1898).
Se in L'homme en amour rientra la questione della razza associata alla crisi
d'identità del cittadino belga, venendo molto più ricercato e valorizzato il
carattere della razza fiamminga piuttosto che di quella vallone, nelle restanti
opere si nota il proseguire dell'indagine dell'autore sulla donna. Ne La faute de
Madame Charvet l'autore, giustificando l'adulterio della protagonista in
quanto sposata ad un uomo noioso e non liberamente scelto, accusa il
matrimonio borghese, alienante per l'essere umano (che in esso trova
l'infelicità) e in particolare per la donna, poiché le preclude ogni orizzonte al
di là dell'essere moglie e madre.
Con opere come Adam et Ève (1899) Au coeur frais de la forêt (1900) e Le
vent dans les moulins (1901), Lemonnier si scosta dal naturalismo per
abbracciare il naturismo: quasi riprendendo l'argomentazione di Rousseau,
l'uomo, che è uscito dalla natura, deve essere ricondotto ad essa; anche nella
realizzazione, però, di contesti naturali incorrotti e idilliaci, permane in
Lemonnier la visione pessimistica sull'uomo (il dubbio sull'identità umana, il
dubbio intorno alla donna, che provoca nell'uomo istinti primordiali ma segue
le convenienze sociali), alla quale si aggiunge una visione panteistica in cui
l'uomo ha un primario senso di solitudine, e volontà di vivere nella foresta per
ritrovare, capire se stesso (il che riconduce a Un mâle).
Nel 1902 vede la luce, dopo annosa meditazione, Les deux consciences,
romanzo autobiografico ispirato dalle persecuzioni legali trascorse, che avrà
una sorta di replica nell'autobiografia Une vie d'écrivain (1911). Ne Les deux
consciences Lemonnier, sotto lo pseudonimo di Joris Wildman, affronta la
questione del processo, spiegando la sua opera e le sue ragioni, ricollegandosi
nello stile letterario alla ricchezza di dettagli e alla forza espressiva della
pittura di Rubens, affidando la narrazione ad una voce onnisciente.
Singolarmente – rispetto al canone delle ultime opere di Lemonnier, nel quale
i protagonisti, cercando di essere se stessi, vengono traditi dalla società e sono
dunque necessariamente immolati – il protagonista, uomo di quel mondo di
eccesso borghese di cui sopra, è sostenuto da tutti i personaggi collaterali che
ad esso convergono per completarlo, e non per contrastarlo (ad eccezione
della moglie, figura demoniaca che non trova in lui corrispondenza morale, e
del giudice, anch'egli moralmente conformato), cosicché il punto di vista non
cambia mai (anche quando viene riportata una critica giornalistica fittizia che
altro non fa se non confermare il valore di Wildman-Lemonnier).
L'assoluzione dall'accusa di immoralità porta Wildman al suicidio, poiché egli
non può accettare la pseudoapprovazione tributatagli, priva di effettiva
incidenza sul vivere di chi ad essa si conforma; testimoni del suo messaggio
resteranno i suoi libri.
Nel 1903, anno de Le petit homme de Dieu, di Comme va le ruisseau e di
Poupées d'amour, la pubblicazione del cinquantesimo volume di Lemonnier è
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celebrata con manifestazioni ufficiali, numeri speciali di riviste e conferenze
di Edmond Picard. Di chiara ispirazione regionalista (Janine DelcourtAngélique), Le petit homme de Dieu è una ricreazione, nella figura di un buon
uomo di campagna che in una processione interpreta la parte di Gesù, del
Cristo stesso che si immola in terra, in una visione che, ponendo in primo
piano il concetto di immolazione, è sia laica sia religiosa.
Il discorso religioso è affrontato in modo più drastico e ricco in Épiphanie:
l'uomo ha in sé qualcosa che è primordiale e divino, e si deve liberare dall'idea
della religione comunemente intesa, che è al di fuori di lui ed è meno
importante di quella innata. Questa argomentazione propone dunque una
nuova religione vivificante, basata sul rifiuto del dolore e sull'essere se stessi,
che va a scontrarsi con la religione normativa della Chiesa. Dissacrante,
Épiphanie indica come divinità da rispettare Pan, un dio fallico, chiassoso,
selvaggio, allegro, terreno: se il divino è nell'uomo, il terreno non potrebbe
non essere nella divinità.
Nel 1904-1905, benché continui a scrivere opere narrative e teatrali,
Lemonnier torna alla critica d'arte con, tra l'altro, un saggio intitolato
Constantin Meunier, sculpteur et peintre (1904). Tra il 1906 ed il 1908, oltre a
saggi su Alfred Stevens e sulla scuola pittorica belga, scrive Le droit au
bonheur, pièce in due atti che viene allestita a Parigi nel 1907; pubblica inoltre
Félicien Rops, l'homme et l'artiste, ed espone undici delle proprie tele al Salon
des Écrivains-Peintres a Bruxelles (1908). Dal 1909 al 1913 pubblica ancora
alcuni testi, tra i quali la tragedia lirica Édénie (1912) e, soprattutto,
l'autobiografia sopra citata, Une vie d'écrivain.
In essa, Lemonnier si presenta forte di una grandissima spontaneità, la quale
gli permette di vivere la propria vita, proprietà ereditata dalla madre
(prematuramente scomparsa, praticamente non conosciuta), di razza
fiamminga. L'importanza della razza, che porta in sé caratteri innati, è ancora
una volta fondamentale per la comprensione dell'opera: la famiglia di
Lemonnier è francofona, ma ha atmosfera, usi e situazioni tipicamente
fiamminghi, cosicché i libri scritti in francese da Camille sono sempre stati
pensati alla maniera fiamminga (da cui anche i caratteristici neologismi, i
costrutti fiammingheggianti). Se il vallone è rigido e calcolatore, il fiammingo
ha vita umile e vicina al focolare, e sa variare dal violento al sensuale. Se i
borghesi valloni sono soli e isolati, quelli fiamminghi rimagono sempre nel
popolo. L'entusiasmo di Lemonnier, esplosione innata di scrivere, sang
littéraire, è di nuovo avvicinato alla sensualità ed al misticismo ispirati da
Rubens. La religione e le sue feste non sono importanti per il loro
dogmatismo, ma per il loro senso familiare, con cui si prelude ad un "paradiso
fiammingo" che laicizza la religione stessa. I riferimenti mitologici presenti in
Une vie d'écrivain (autoconfronto con Giasone, eroe del vello d'oro) hanno
intenzione autocelebrativa, e il creatore del bracconiere Cachaprès si
autodefinisce in qualche modo «più maschio del suo mâle». Forse per evitare
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l'accusa di immodestia, Lemonnier parla nell'autobiografia in terza persona,
delegando ad una voce esterna l'espressione di autogiudizi. Altro
procedimento stilistico è la manifesta e costante distinzione tra Camille e
Lemonnier intesi come personaggi separati, ma infine, non dichiaratamente,
coincidenti. In conclusione, nell'autonomia tra autore, narratore e personaggio,
Lemonnier dimostra la sua identità di scrittore come creatore di mondi
paralleli liberi.
Il 13 giugno 1913, in seguito ad una grave operazione, Camille Lemonnier
muore a Bruxelles.
L'anno seguente, il Théâtre de la Monnaie di Bruxelles allestisce Cachaprès,
drame lyrique con musica di Casadesus tratto da Un mâle.
Il naturalismo di Un mâle.
Con Un mâle, Lemonnier si impose nella scuola naturalista, e Parigi schiuse le
porte allo "Zola belge". Forte dell'ispirazione con ogni probabilità maturata in
gioventù, nei tre anni (1869-1872) trascorsi nella campagna di Burnot in
solitaria e libera comunione con la natura, Lemonnier vi palesa la propria
adesione ad un'interpretazione meno materialista del naturalismo, espressa con
un lirismo tardoromantico e aperta a componenti protosimboliste, con
profondo interesse all'analisi psicologica dei personaggi.
Ispirazione e, secondo l'argomentazione di Proust, non intenzione di
"autobiografizzare", poiché un libro è un altro io rispetto a quello manifestato
nella realtà dall'autore. Un mâle nasce come studio, ed il termine è di
Lemonnier, che di studio parla nella dedica apposta alla prima edizione del
romanzo: «Je dédie cette étude au Maître dont je place ici le nom et de qui je
révère l'art hautain mélange d'Idéal et de Réel». Si tornerà fra breve sul
dedicatario.
Prima si vuole invece ricordare come Huysmans, in uno dei suoi articoli,
faccia un tutt'uno dell'opera naturalista con uno studio, ovvero con una fredda
analisi scientifica, e si vuole chiarire come Lemonnier superi tale posizione
facendo suo il reclamo di critici come Vlinsi e Wihl, e quindi intersecando con
l'orizzontalità dello studio la necessità di un'idea che trascenda il romanzo.
Un misto, dunque, di realismo e di ideale, una via intermedia in parte spiegata
dalle due diverse correnti a cui attinge Lemonnier, quella degli scrittori
naturalisti, come appunto Huysmans, e quella degli scrittori regionalisti, come
Léon Cladel (dedicatario, piuttosto diffidente riguardo a Zola, del primo
romanzo di Lemonnier, Un coin de village).
Ne consegue che lo studio di Lemonnier sia principalmente stilistico, e che il
grande, caratteristico pezzo di bravura sia la descrizione lirica della natura,
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piuttosto che una descrizione di un contesto o di una situazione sociale in
maniera scientifica così come poteva essere praticata da Zola e alla quale
Lemonnier si avvicinerà assai di più in un romanzo come L'Hystérique.
Sulla base di queste precisazioni, si può tornare con rinnovata e superiore
consapevolezza alla lettura ed all'analisi della dedica suddetta, che è tutto
fuorché una cieca e impersonale adesione al naturalismo, comprendendo
quanto significativo fosse stato riservarla a Barbey d'Aurevilly, ossequiando il
cui nome si marcava una volontà di distinzione rispetto a Zola. Del resto,
parole di Lemonnier, «Émile Zola n'est pas tout le naturalisme».
Affinché, per comodità di analisi, si possa ritenere appresa la trama del
romanzo ogni volta che ad essa si faccia anche indiretto riferimento, eccola
riassunta di seguito (libera rielaborazione da Anne-Françoise Luc).
Il bracconiere Cachaprès si innamora perdutamente e selvaggiamente della
bella Germaine, figliastra del fattore Hulotte. La giovane, che in un primo
tempo non aveva dimostrato attrazione, si lascia via via sedurre dalla forza e
dalla rude spontaneità di questo "maschio" che la desidera, trascurando nel
contempo partiti migliori. Grazie alla complicità della vecchia Cougnole, gli
amanti sono liberi di incontrarsi e vivere la loro storia d'amore al riparo dalle
indiscrezioni. Ma mentre Cachaprès si sente vieppiù dominato dalla sua
passione, Germaine, stanca di questo amore clandestino e senza futuro, pensa
di separarsi da lui prima che la sua relazione susciti uno scandalo, preferendo
ad essa un'unione legittima, conforme alla morale. Nel momento in cui Hubert
Hayot, figlio di un vicino fattore benestante, le mostra il suo interesse,
Germaine decide di interrompere la relazione con il bracconiere. Cachaprès,
istintivamente trascinato dalla gelosia, picchia il presunto rivale. Le
responsabilità di Germaine balzano così d'un tratto agli occhi di tutto il paese,
e sono causa della separazione improvvisa e definitiva tra gli Hayot e gli
Hulotte. Quanto a Cachaprès, che esaspera gli abitanti delle campagne con i
suoi fruttuosi bracconaggi vantandosene poi indecentemente in pubblico,
attira contro di sé una cospirazione segreta. Mentre egli si arrischia
appressandosi alla fattoria Hulotte per rivedere un'altra volta Germaine, viene
atteso e sorpreso dalle guardie, che dopo un estenuante inseguimento lo
feriscono con un colpo d'arma da fuoco. Muore nella foresta, vegliato dalla
piccola Gadelette, la petite sauvageonne che lo aveva, mai ricambiata, amato
ardentemente. Germaine, isolata dai compaesani e rifiutata da Hubert, si trova
a vivere angosciosamente, tra rimorso e rimpianto, la gestazione del figlio suo
e di Cachaprès.
Un mâle fece la sua comparsa come roman en feuilleton sulle pagine del
giornale L'Europe di Bruxelles dal 2 ottobre al 3 dicembre 1880, in vista di
una successiva pubblicazione in volume. Questa, dopo lunghe e infruttuose
trattative presso editori parigini (Lemerre in testa), si rivelò infine impossibile
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in Francia, e Lemonnier dovette ripiegare sul connazionale Henry
Kistemaeckers.
Il motivo del rifiuto francese è da individuarsi in due evidenti cause. La prima
è legata allo scetticismo ed al disinteresse con cui l'ambiente letterario
francese considerava quello belga: problema antico e sempre attuale che si
sarebbe attenuato solo a partire dalle relazioni intercorse con il pensiero
simbolista. La seconda causa, di carattere stavolta non generale ma
assolutamente particolare, consiste nello scandalo che il romanzo suscitò
presso l'opinione pubblica già dalla sua apparizione en feuilleton, scandalo che
non lasciava auspicare un apprezzabile successo editoriale. Scandalo dovuto
alla complessiva liberalità di vedute e di intenzioni, espresse nel ritorno
all'istinto, nel détérminisme du milieu e nel condizionamento per eredità
(aspetti che, per la verità, non giocano in Un mâle un ruolo di primo piano), in
un certo numero di scene brutali, negli amori animaleschi: tutti elementi
considerati un attentato al comune, buon senso del pudore e del decoro
sociale.
Lo scandalo di Un mâle non compromise tuttavia giuridicamente Lemonnier
(il quale fu invece perseguito dalla giustizia in tre successive occasioni,
ciascuna delle quali dovuta ai contenuti di una sua opera: nel 1888, per
L'enfant du crapaud; nel 1893, a Bruxelles, per L'homme qui tue les femmes;
nel 1900, insieme a Georges Eekhoud, per L'homme en amour; alla base di
questi processi la critica letteraria individua due ragioni: la prima è che molti
autori sono costretti a scrivere all'ombra di uno Zola più che mai schiacciante
nello spietato gioco di confronti dell'ambito letterario, e per imporre la loro
personalità rafforzano dunque l'aspetto scandaloso del naturalismo, sino alla
provocazione: sarà il caso di Lemonnier?; la seconda è che, non osando
attaccare direttamente Zola, si infierisce sui suoi epigoni più deboli).
Avvenne invece che, nel 1883, le autorità ufficiali ed accademiche preferirono
non assegnare il prestigioso Prix quinquennal de littérature, piuttosto che
attribuirlo al favoritissimo Lemonnier per il suo scandaloso romanzo, benché
la di lui produzione letteraria fosse già rimarchevole sia per quantità sia per
qualità (come curiosità, si ricorda che l'ambìto premio fu infine assegnato a
Lemonnier nel 1888, ma non per un'opera narrativa d'invenzione, bensì per La
Belgique, libro che è un'animata e pittoresca descrizione del suo paese, ovvero
«une guide touristique» secondo Janine Delcourt-Angélique).
In segno di protesta, molti giovani scrittori si radunarono – festosamente uniti
nel segno della letteratura – a sostegno di Lemonnier, esprimendo il loro
dissenso verso l'incomprensione di pubblico e critica nell'ambito del famoso
banquet Lemonnier (27 maggio 1883), come lo definì da subito la
dettagliatissima cronaca apparsa su La Jeune Belgique. Tra le decine di
intervenuti (in mezzo ai quali erano Edmond Picard, Max Waller, Émile
Verhaeren, Georges Eekhoud, Victor Arnould... Affettuosamente vicini
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epistolarmente, figurano anche i nomi di Émile Zola e di Léon Cladel – che
dice di bere «à Camille Lemonnier, l'honneur des lettres françaises en
Belgique»), Georges Rodenbach assegnò a Lemonnier il titolo di "Maréchal
des lettres belges": Lemonnier diventava in questo modo capofila dei giovani
scrittori belgi.
In ambito francese, mentre Alphonse Daudet esprimeva privatamente a
Lemonnier il suo entusiasmo («Tous, nous vous attendons, Flaubert, Zola,
Goncourt et moi: vous êtes des nôtres»), su Le Gaulois apparve l'articolo
Autour d'un livre di Maupassant, nel quale viene analizzato Un mâle. Secondo
Maupassant il valore del libro non è nella storia d'amore, comune, ma
nell'ambiente selvaggio in cui essa si situa (e che rappresenta l'adesione
materiale e totale alla natura, conduttrice e vincitrice delle sorti); tuttavia,
sempre secondo Maupassant (che rileva la cosa come difetto), Un mâle non è
un romanzo, ma un poema, poiché si avvicina all'epopea: in esso tutto è svolto
sotto l'occhio non del romanziere moderno, ma del poeta. Maupassant si
mostra infine pessimista (cogliendo nel segno) riguardo all'accoglienza che
Un mâle deve attendersi presso il pubblico, poiché quest'ultimo vuole una
letteratura socialmente ipocrita.
Un mâle e Cachaprès: dal roman al drame lyrique.
Francis Casadesus. Cenni biografici.
Francis (François-Louis) Casadesus nasce a Parigi il 2 dicembre 1870, figlio
del violinista Luis Casadesus e di Matilde Sénéchal, e muore il 27 giugno
1954 a Suresnes, presso la città natale.
Enfant prodige, a dodici anni è già violinista nell'orchestra del Théâtre des
Nations. Per insegnanti ha musicisti prestigiosi come Alfred Lavignac (che gli
affida la stesura degli esempi musicali del suo Traité d'harmonie) e César
Franck.
Comincia la sua brillante carriera come direttore d'orchestra nel 1890
all'Opéra di Parigi e all'Opéra Comique. Nel 1898 dà alla luce una delle sue
più celebrate composizioni, Le ballet des fleurs, eseguita centocinquanta volte
consecutive al teatro "L'Olympia".
Dal 1907 al 1914 collabora con la rivista L'Aurore, in qualità di critico
musicale, intraprendendo nel contempo numerose tournées, anche in Russia.
Nel 1914, a Bruxelles, dà alle scene il suo primo drame lyrique, Cachaprès,
su testo di Lemonnier (nel frattempo scomparso).
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Durante la prima Guerra Mondiale (1916), fonda la rivista intitolata La
musique, mediante la quale fa opera di sensibilizzazione alla diffusione della
pratica corale tra le classi popolari e sottopone all'attenzione del pubblico
cinquantadue opere di musicisti esiliati, prigionieri o assassinati durante il
conflitto.
Nel 1921 fonda il Conservatorio americano di Fontainebleau e ne assume la
direzione. Conduce trasmissioni alla radio. Nel 1935 è direttore artistico delle
"Fêtes du peuple", rassegna fondata da Doyen. Nel 1942 è vicepresidente
della SACEM (Société des Auteurs, Compositeurs et Éditeurs de Musique).
È autore di molte composizioni musicali, delle quali la migliore è ritenuta La
chanson de Paris, pièce lyrique su testo di Raoul Charbonnel (Parigi, 1924).
Pochi anni prima della morte, il suo ottantaquattresimo compleanno è onorato
con un concerto al quale prendono parte venticinque membri della sua
famiglia, e del quale la stampa tratta ampiamente (Parigi, 1951).
Codificatore della storia della famiglia Casadesus, nell'omonimo libro inedito,
è il figlio Jules-Raphaîl, giornalista e scrittore, nato dal matrimonio di Francis
Casadesus con Eugénie Vaux.
Un mâle e Cachaprès: dal roman al drame lyrique.
Una premessa necessaria. La morte di Lemonnier, avvenuta il 13 giugno
1913, precede di soli otto mesi, e scarsi, la prima rappresentazione di
Cachaprès, il drame lyrique tratto – con alcune varianti – da Un mâle, e
andato in scena per la prima volta al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles il 2
febbraio 1914. Data la scarsità di informazioni in merito, non appare chiaro in
quale misura Lemonnier abbia potuto prendere effettivamente parte alla
realizzazione di questo suo estremo lavoro. Certuni potrebbero addirittura
credere che il dramma lirico sia solo ispirato al romanzo dello scrittore belga,
come omaggio postumo al "Maréchal des lettres belges", il quale figurerebbe
altresì, sempre in omaggio, come coautore del libretto (in realtà redatto dal
solo Henri Cain). Nella coscienza, tuttavia, dell'improbabilità che in soli otto
mesi, con intento commemorativo e celebrativo della scomparsa di
Lemonnier, si sia potuto provvedere a prendere le prime iniziative, redigere il
libretto e comporre la partitura, dare alle stampe il tutto, scritturare gli
interpreti, inserire il titolo nel cartellone della Monnaie (la cui stagione doveva
essere già stata pubblicata), eseguire le prove necessarie ed infine andare in
scena, si è preferito qui – verosimilmente – procedere ritenendo a priori che il
lavoro sia nato da un'effettiva coordinazione a tre fra Lemonnier, il
compositore Casadesus e il librettista Cain, e che il decesso dell'autore di Un
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mâle non abbia inciso in maniera determinante sulla gestazione già avanzata
dell'opera.
La trasposizione dal romanzo al dramma lirico della quale fu soggetto Un
mâle trentatré anni dopo la sua pubblicazione è caso singolare per svariati
motivi. Non si deve tralasciare innanzitutto la stessa, particolarissima
evenienza della trasposizione di una vicenda dal romanzo alla pièce teatrale, e
anzi addirittura all'opera lirica, e tutto per le cure del medesimo autore del
testo verbale – Lemonnier, appunto – laddove si ricordi che veicolo
assolutamente privilegiato del pensiero naturalista era il romanzo, e che, tra le
insidie maggiori che il naturalismo aveva dovuto affrontare, c'era il dilagante
wagnerismo, che anteponeva ad ogni espressione artistica la rappresentazione
teatrale (a partire dal 1885 circa, tuttavia, anche la produzione naturalistica si
era fatta ormai prevalentemente teatrale).
Ma la parabola del naturalismo, nel secondo decennio del '900, era già da
tempo volta al termine, e nel naturale evolvere dei suoi principali esponenti
verso tendenze simbolistiche o verso approfondimenti affatto personali e non
più codificabili nell'ambito di una coordinata scuola di pensiero, si poteva
lasciare una delle sue più emblematiche espressioni letterarie, Un mâle, alla
fruizione non più specialistica dello studioso o appassionata del lettore, ma a
quella del pubblico d'opera, che in quel periodo si cibava di soggetti attinti da
ogni filone culturale per le più varie cure musicali, e per la verità faceva assai
facilmente di tutta l'erba un fascio, senza avervi grande capacità (prima
ancora, volontà) di discernimento.
Non c'era più ragione di avere, inoltre, timore di scandali. La pièce teatrale
tratta da Un mâle aveva già incontrato un ottimo successo, e le scene liriche,
almeno a partire dalla Thaïs Massenet (del 1894, opera che era passata
assolutamente indenne all'Opéra di Parigi nonostante l'audacissimo soggetto),
non temevano più alcun genere di provocazione.
Certo la trasposizione al dramma lirico deve essere costata un radicale
riconcepimento di Un mâle. Alla base di tutto, c'è la sostanziale differenza di
conduzione di un'opera letteraria tra i due opposti poli rappresentati da una
parte dalle descrizioni-narrazioni del romanzo, dall'altra dai dialoghi del
libretto d'opera.
Nel romanzo, Lemonnier preferisce esplicitare molte informazioni, senza
lasciare al lettore il compito di intuirle da sé: per esempio, è detto molto
chiaramente che il padre di Germaine non avrebbe mai tollerato la relazione
della figlia adottiva con Cachaprès. Diversamente, nel dramma lirico la voce
narrante è di per sé assente, ed ogni informazione si può desumere solo da
quanto detto o fatto in scena dai personaggi; la didascalia non realizzata
scenicamente non ha ragione d'esistere. Nel dramma l'autore deve
costantemente affidarsi all'intuizione sensibile dello spettatore (e non più del
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lettore), e deve sempre tener conto delle sue condizioni di possibilità di
comprensione.
La collaborazione di Henri Cain
Per la redazione del libretto d'opera si rese dunque opportuna la
collaborazione di una seconda persona, Henri Cain, librettista esperto d'ogni
convenzione che si dovesse rispettare nell'ambito del mondo teatrale e
musicale francese, vale a dire il più accademico e conservatore di sempre.
Dopo il 1910, il curriculum di Henri Cain era già ricco di numerosi lavori,
prodotti anche a quattro mani con altri (era tradizione squisitamente francese
che i testi d'opera fossero redatti nell'ambito della collaborazione fra due
librettisti, di modo che il lavoro procedesse di giorno in giorno perfezionato in
una serrata autocritica di coppia, e soprattutto con maggior velocità, onde
appagare l'insaziabile consumismo musicale vigente, prevalentemente
parigino), soprattutto nel corso dell'intensa collaborazione intrattenuta con
l'anziano (nonché sempre esigente e selettivo) Jules Massenet, al quale egli
fornì i libretti degli estremi capolavori musicali (Sapho, 1897; La Navarraise,
1894, lavoro di evidentissima matrice naturalistica; Cendrillon, 1899; il
balletto La Cigale, 1904; Chérubin, 1905; Don Quichotte, 1910; Roma, 1912).
Non casualmente assortito deve essere inteso il binomio Cain-Casadesus, dal
momento che la dedica apposta sullo spartito dal compositore è indirizzata a
Julia Guiraudon, celebre soprano favorito da Massenet e... impalmato da Cain
(per inciso, la Guiraudon non interpretò mai, come alcuni potrebbero
presumere, la parte di Germaine in Cachaprès), fatto che palesa una
familiarità consolidata. Sullo spartito e sul libretto dell'opera non compare
invece, differentemente dal romanzo, alcuna dedica (o introduzione, o
appunto) dovuta alla penna di Lemonnier.
La commissione di Cachaprès
Si deve prendere infine in considerazione la genesi dell'opera a partire dalla
prospettiva dell'ente commissionante, il Théâtre Royal de la Monnaie di
Bruxelles, vale a dire quello che era allora e tuttora resta il primo teatro lirico
del Belgio fiammingo (allora e tuttora in aperta concorrenza con l'Opéra
Royale de Wallonie di Liegi). Le circostanze nelle quali avvenne la
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commissione e secondo le quali si mossero Lemonnier, il collaboratore Cain e
il compositore Casadesus non ci sono note, né ci risultano essere stati prodotti
studi – anche minimi – che possano intervenire in nostro aiuto. Attribuire
l'origine della trasposizione dal romanzo al dramma lirico al fatto che la pièce
teatrale rappresentata nel 1888 al Théâtre du Parc avesse incontrato un
lusinghiero successo di pubblico (ripetutosi nel 1891 a Parigi), e che ci si
fosse proposti di replicare detto successo con un nuovo lavoro sullo stesso
soggetto, il quale lavoro sfruttasse la forza dell'onda prima che giungesse la
risacca, è semplicistico e non tiene debitamente conto del fatto che tra la pièce
teatrale e il dramma lirico intercorrono ben ventisei anni, nel corso dei quali si
assiste almeno all'apice ed al successivo declino del naturalismo, al
diffondersi del naturismo e all'affermarsi del simbolismo; ventisei anni
attraverso i quali pare assai improbabile che la pièce avesse potuto mantenere
continuativamente inalterato non solo il suo successo, ma anche il ricordo
vivo del suo successo.
Non si può invece negare che Lemonnier, nella sua spontanea evoluzione
sotto influenze naturistiche verso un panteismo utopico, confermasse
paradossalmente quanto remotamente fossero radicate le sue tendenze
profonde, quanto logicamente fossero radunate in un solo abbraccio della
mente le sue opere tanto tra loro diversificate o addirittura disomogenee (per
caratteristiche dottrinali, strutturali, formali), quanto la sua ricerca e
autonomia stilistica lo preservasse in parte dalla crisi del naturalismo, di modo
che Un mâle si trovava a svelare, di pensiero in pensiero, di corrente in
corrente, forme e contenuti di eclatante attualità.
Nondimeno, né l'ambito letterario né quello musicologico attuali hanno per
ora, si ribadisce, prodotto o recuperato documenti che possano ricostruire un
dettagliato diario intorno alla genesi di Cachaprès, il che non deve stupire,
una volta preso atto dell'esiguità di materiale disponibile riguardo a
Lemonnier e a Casadesus in generale.
Molte informazioni si possono però trarre con una certa sicurezza direttamente
dallo spartito scrupolosamente pubblicato dall'editore Max Eschig di Parigi,
probabilmente in concomitanza con la prima rappresentazione assoluta (2
febbraio 1914).
Lo spartito infatti tace la data di pubblicazione (dato che si usava omettere, del
resto, in quasi tutte le edizioni musicali coeve: le edizioni erano datate in sé, in
base alla prima rappresentazione del titolo, e immatricolate in base al numero
di lastra tipografica), ma specifica che i diritti d'autore erano stati acquistati
dall'editore parigino già nel 1913, almeno un mese (e due giorni) prima,
dunque, della creazione scenica del lavoro.
Un acquisto a scatola chiusa, avvenuto probabilmente in ossequio alla fama di
Lemonnier, più che a quella emergente di Casadesus, e basato sulla presunta
opportunità di un simile investimento, creduto vantaggioso in vista di
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quell'auspicata popolarità, di cui poi il titolo non godette mai. In tal senso, lo
spartito riporta addirittura indicazioni in alfabeto cirillico, non escludendo che
il prodotto fosse potenzialmente destinato anche al mercato dell'Est europeo.
Per inciso, alla luce del fatto che l'arte, letteraria o musicale che sia, si
affrancò dallo schema relazionale e sociale padrone-servo solo per
consegnarsi di lì a poco alle regole del mondo dell'editoria (leggi: il valore
dell'artista, non più legato ad un mecenate, consiste nelle capacità e
nell'influenza del suo editore, che ne è a tutti gli effetti l'agente), si dovrebbe
anche essere indotti a ritenere che alla lusinghiera scrittura presso il massimo
teatro fiammingo non parte irrilevante debba avervi esercitato l'influenza della
Max Eschig (il che, una volta dimostrato, farebbe riflettere, una volta in più,
sulle condizioni di asservimento culturale alla Francia nelle quali il Belgio
versava; il Théâtre Royal de la Monnaie non ha mai fatto la fortuna – né ne è
mai stato l'oggetto, in un impossibile rapporto di vantaggiosa reciprocità –
delle ininfluenti case editrici musicali belghe; contesto in cui le case editrici
musicali francesi hanno con estrema facilità potuto esercitare uno schiacciante
monopolio).
Per quanto riguarda gli interpreti di Cachaprès (cioè i creatori, dal momento
che l'opera pare non essere mai stata ripresa dopo la "prima"), duole dover
riferire che nessuno dei nomi indicati sullo spartito ha meritato memoria
nell'attualità.
Un'analisi drammaturgica e musicale di Cachaprès - Drame lyrique en trois
actes et cinq tableaux.
Il prélude del primo tableau del primo atto, Le lever du jour sur le verger, è in
sé un piccolo poema sinfonico. Egualmente piccoli poemi sinfonici sono i
successivi brani del prélude del secondo atto, La forêt, e de La poursuite,
l'interlude che conclude il primo tableau del terzo, sui quali ci si soffermerà in
seguito.
Le lever du jour sur le verger è duplice pezzo di bravura nell'intesa tra
Lemonnier e Casadesus; il grande disegno della nascita del dì, che già apriva
il romanzo e sintetizzava mirabilmente, dimostrandola, l'abilità e la vocazione
descrittiva di Lemonnier, è arricchito di descrizione da Casadesus, il quale
ricorre ad ogni esperienza musicale conosciuta onde esibire la maggior varietà
possibile di colori, effetti, accenti. Della scuola compositiva francese
dell'Ottocento e del primo Novecento vi partecipano infatti almeno, con una
certa evidenza, Claude Debussy (il genio del simbolismo musicale) nelle
contorte sequenze cromatiche iniziali, e Berlioz (il principe degli orchestratori
romantici) nell'esaltato (ed esaltante) risolversi della prima, sommessa
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introduzione nel tripudio di un quadro musicale che prevede il coro fuori
scena ad imitare (o meglio, evocare), con grandioso dispiegamento sonoro (le
parti vocali raggiungono anche il numero di cinque contemporaneamente), il
canto degli uccelli, secondo un'intenzione di sineddoche che significa il canto
dell'intero creato (nello spartito, in nota, si legge: «Tous les choeurs... ne
doivent pas dépasser la puissance orchestrale; ils font partie de l'orchestre à
l'égal d'un groupe instrumental. Ils ajoutent mystère de leurs voix à celui de la
poésie ambiante du site; ils sont l'atmosphère du décor, puis l'âme chantante
des êtres et des choses»); in maniera simile Berlioz, nel terzo atto dei suoi
Troyens, aveva descritto la chasse royale di Didon ed Énée, esaltante
annullamento dello spirito nelle suggestioni della natura. Se Berlioz e
Debussy sono rievocati, in talune ricerche timbriche e accordali viene
addirittura anticipato Poulenc. Caratteristico ed esigente di nota il fatto che il
ricchissimo apparato didascalico apposto da Lemonnier all'inizio del primo
atto segua battuta per battuta la musica; o meglio, che la musica realizzi
battuta per battuta le fitte richieste di descrizione della natura apposte da
Lemonnier.
Esemplificazione della realizzazione musicale delle voci della natura, nel preludio del primo atto. «Tous les
choeurs... ne doivent pas dépasser la puissance orchestrale; ils font partie de l'orchestre à l'égal d'un groupe
instrumental. Ils ajoutent mystère de leurs voix à celui de la poésie ambiante du site; ils sont l'atmosphère du
décor, puis l'âme chantante des êtres et des choses» (Camille Lemonnier)
La naturale evoluzione del brano musicale in funzione della trama del dramma
porta il tutto a concludersi indistintamente alle porte della fattoria degli
Hulotte, dove un fenomeno sonoro particolare fa emergere dal golfo mistico
(anzi, fa uscire dalle quinte, come in didascalia) un'informazione in più
rispetto a quanto aveva previsto Lemonnier nel momento parallelo del
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romanzo: si tratta di quattro rintocchi di campana, strumento che ha in sé una
semantica che va al di là del puro fatto estetico sonoro, comunicando un dato
ulteriore ben preciso: l'ora dell'evento del sorgere del sole, le quattro del
mattino. È, in un certo senso, un'evidente "punta d'iceberg" nell'osmosi che,
nella comune cornice dell'alba, intercorre tra il mondo di Cachaprès e quello
di Germaine, con i relativi modi di percepire e quantificare il tempo, che per
Cachaprès è il naturale avvicendarsi – perenne arsi e tesi – del dì e della notte,
mentre per Germaine è il riferirsi frequente alle più civili lancette
dell'orologio.
Il trapasso graduale nel cuore della vicenda vuole che la natura canti ancora
nelle prime battute di Germaine, che si ode intonare tra sé e sé, dalla finestra
della camera, un canto imitativo di quello di un uccellino («L'oiseau de
branche en branche / Vole, chante et rit»), giusto compromesso tra la novità
di inserzioni autenticamente naturali, dalle anomali configurazioni ritmiche, e
l'omaggio all'effettistica vocalità sopranile liberty allora in voga. Germaine si
esprime infatti qui attraverso un'adamantina voce di soprano leggero, con
occasionali discese ad estreme note basse (facoltative) onde poter esprimere
gli aspetti sensuali del personaggio, aspetti sensuali che suonerebbero poco
naturali in tessiture canore elevate; si tornerà regolarmente a parlare
dell'attribuzione di determinate caratteristiche vocali di colore, registro,
tessitura e figurazione melodica ai singoli personaggi, poiché tali
caratteristiche, nella tradizione musicale lirica, non sono mai affidate al caso,
ma seguono un implicito sistema normativo antico quanto lo stesso canto
monodico, che nella necessaria evoluzione di gusto e sensibilità lascia sempre
trapelare la logica delle sue regole (regole le cui significanti si cercherà,
ovviamente, di sciogliere in questa sede).
«Mon coeur est un oiseau / Qui jamais ne connaîtra la cage» conclude infine
(significativamente...), nel canto, Germaine, e a farle eco è finalmente
(altrettanto significativamente) Cachaprès: «Gare à l'oiseleur, la belle!». Il
bracconiere sulla scena era presente già al levare del sipario, e il pubblico
aveva già potuto contemplare il risveglio del maschio in questione: «Une bête
s'évellait en lui, feroce et douce», indica la didascalia apposta sopra il motivo
pesant et retenu che descrive il brano, con vistoso contrasto col canto
borghese di Germaine. Al protagonista maschile dell'opera è assegnata una
voce di baritono, intesa nel senso francese e non belcantistico del termine, che
la vuole scura e meno sfogata in acuto rispetto alla tradizione italiana; la più
tradizionale scelta del tenore nella parte dell'amoroso è stata scartata
evidentemente per venire incontro alla rappresentazione di selvaggia brutalità
che la parte deve esprimere, senza che vada persa la morbida cantabilità dei
momenti più distesi.
Il dialogo del primo incontro tra i due amanti prosegue su una versificazione
incerta, talvolta dispersiva e ingenua (infelici e non proprio verosimili, in
bocca al sanguigno Cachaprès, le esclamazione «Viens!... c'est le printemps, et
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c'est l'amour!...» e «Je te passerai l'anneau au doigt, un bel anneau d'ombre
et de soleil», per esempio), a dimostrare come l'atmosfera di una situazione
similare proceda magnificamente nella descrizione del romanzo e nella franca
sua dialogicità originale (quanta forza e quanto diretta, nel primo schietto
dialogo di Un mâle!), e avvilisca, invece, in un odore di irresoluzione e di
inverosimiglianza quando la si voglia tradurre in un dialogo artificioso e
convenzionale. La sinteticità che il dramma lirico esige, impone tra l'altro che
la passione divampi già da questa prima scena, e che i due protagonisti si
trovino dunque sin da subito a duettare amorosamente, calati in un contesto
idilliaco, con soluzioni non sempre logiche perché, appunto precipitose e
premature. A soccorrere la debolezza del quadro – e regolarmente ciò avverrà
sino alla fine del dramma in scene analoghe – è il mestiere di Casadesus, che
apre, ovunque possibile, passi strumentali brevi ed efficaci: alla maniera
romantica, la musica giunge opportuna per esprimere ciò che le parole non
riescono a dire.
Il primo tableau, visione onirica e solare, sorta di fulmineo prologo, riceve
un'ideale sigla musicale e drammatica nella finale reimmersione complessiva
nei rumori del contesto circostante, della scena oltre i due amanti: ricomincia
la vita fra gli abitanti della campagna, il coro invade finalmente il
palcoscenico tra canti e risa. Il tripudio orchestrale, arricchito dalla presenza
delle trombe (strumenti eroici per eccellenza e non privi di significati
extramusicali: nell'opera barocca i loro squilli annunciavano l'ingresso di una
divinità olimpica in scena, e alla corte di Versailles erano la "colonna sonora"
della regalità di Luigi XIV, il Re Sole), indica «l'ascension triomphale du
jour», mentre in solitaria, distaccata e sognante intimità Germaine mormora il
nome del bracconiere.
La tradizione operistica prevede la presenza, all'incirca a metà dello
spettacolo, di una grande scena di massa, di tono festoso e/o solenne. Tale
tradizione era particolarmente sentita in ambito francese, dove questa grande
scena accoglieva il grande divertissement danzante, momento irrinunciabile e
culminante; si verifichi questa affermazione con l'ascolto della messe di lavori
che si colloca su un arco teso dal XVII al XX secolo, attraverso compositori
come Lully, Rameau, Gluck, Rossini, Meyerbeer, Donizetti, Verdi, Gounod
(la kermesse del Faust), Massenet: per non citarne che gli essenziali. Il
secondo tableau del primo atto è tardo esempio di questa tradizione. Il quadro
reca il titolo La Ducasse. Un titolo che definisce una circostanza, un'atmosfera
e un luogo ben precisi, e che è espresso mediante un termine immediatamente
riconducibile alla ricerca stilistica di Lemonnier. Se infatti in Un mâle,
parlando della festa del patrono, si impiega più volte il termine kermesse, in
Cachaprès Lemonnier, quasi a voler riaffermare con nuovo e più marcato
vigore i caratteri della propria identità nazionale, ricorre alla forma ducasse,
con la quale si designa la festa patronale di contesto più spiccatamente
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campagnolo e fiammingo. Singolare, questa scelta terminologica, soprattutto
perché le vicende di Cachaprès si ambientano, esplicitamente nel romanzo e
intuibilmente del dramma lirico, in Vallonia, e non nelle Fiandre.
L'accademismo coreografico del balletto, ancorato più all'uso di Parigi che a
quello di Bruxelles, viene eliminato, o meglio riassorbito fin nelle prime
battute del tableau: importante non è assistere al balletto, ma cogliere il senso
di grosse gaité populaire (come da didascalia) espresso attraverso la danza.
Non ci sono dunque danzatori in scena (intesi come corpo di ballo), ma è
sempre musica da danza a far da tappeto sonoro al procedere dell'azione.
Il Tempo di Polka che fa da ossessivo leitmotiv al tableau della ducasse.
Il sipario si apre su un tempo di Polka che sarà ossessivo leitmotiv sino alla
fine del quadro. A suonarlo è la banda di palcoscenico: come per la
canzoncina di Germaine nel primo atto, si tratta di un caso di musica nella
musica. Là, però, si era di fronte ad una canzone che imitava il canto di un
uccellino, anelando quindi ad annullarsi nella natura in quanto voce della
natura stessa; qui si è di fronte ad un movimento di danza che segue ritmie
convenzionali umane, e che dunque afferma il trapasso al contesto civile. Un
contesto civile che è compiutamente realizzato, oltre che nell'adozione della
danza come base musicale, nel brouhaha, nell'asciuttezza realistica del
parlato corale (cioè della parola non musicalmente intonata), chiassoso
chiacchierio di gente che parla di cibo e ne richiede per sé. Una
rappresentazione dionisiaca, edonistica, carnale, un umano paradosso in cui la
religiosità della festa diventa la festa dei sensi.
In questo contesto agiscono Cachaprès e Germaine, della cui relazione si
assiste all'evolvere, e nuovi personaggi di un certo rilievo, tutti, coi dovuti
adattamenti, comuni al romanzo: Hubert Hayot, Cougnole e Gadelette.
Numerose situazioni disseminate nel romanzo sono state infatti, per obbligo di
sinteticità, concentrate in questo secondo quadro assai fitto d'azione
(soprattutto rispetto al primo, statico in quanto idilliaco). Convenienza teatrale
vuole, insomma, che Cachaprès, nell'incontro del primo tableau, presso la
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fattoria, avesse dato appuntamento a Germaine onde rivedersi alla ducasse, e
che alla festa intervenissero, oltre i due protagonisti, l'antagonista Hubert (il
giovane invaghito di Germaine), la vecchia Cougnole (che viene portata in
scena a questo punto col pretesto di farle chiedere l'elemosina presso i
giocatori), e Gadelette (che con l'esclusione dei relativi genitori dalla
distribution del dramma non è più la petite aux Ducs, ma è figlia trovatella
della stessa Cougnole). Numerose considerazioni si affollano nel pensiero di
chi analizza questo tableau. Il personaggio di Cachaprès riceve nella prima
parte del quadro caratterizzazioni che lo distinguono vistosamente dal
romanzo, e che possono destare perplessità: il suo stesso apparire in scena,
«un rameau de pommier fleuri à la boutonnière, en habit de Dimanche», tra le
esclamazioni festose e accoglienti dei bevitori, non è dei più credibili, così
come il suo successivo vantarsi «braconnier d'amour» è fine a sé stesso, e il
suo intonare una histoire des gens des bois pare gratuita concessione ad un
inutile pezzo chiuso solistico. Ridondano dunque, più che altro, particolari
ininfluenti e drammaticamente irrelati, fini a sé stessi. Una certa importanza
riveste invece lo scontro verbale con Bastogne, la guardia forestale, il quale,
provocato e umiliato da Cachaprès (che si vanta spudoratamente dei suoi
bracconaggi), esce assicurando vendetta (ponendo sul fosco finale anche una
motivazione di carattere privato).
Il protagonista torna credibilmente vitale nella seconda parte del quadro, nella
lunga scena di dialogo con Germaine. Un dialogo di grande varietà
contenutistica ed espressiva, nel quale si delineano le differenze caratteriali
dei due amanti, l'uno coinvolto passionalmente con tutto se stesso, l'altra
dubbiosa, incuriosita dalla virilità di Cachaprès e forse anche dal senso di
trasgressione che lo circonda, ma non ancora appassionata, anzi volubilmente
e manifestamente sospesa tra il bracconiere ed un secondo, socialmente più
appetibile partito, il giovane Hubert Hayot. Ad Hubert è assegnata, nel
dramma lirico, una voce di tenore, certo chiara ed esangue come
nell'accezione francese del periodo: la voce dell'amoroso puro, la voce che
poco si sarebbe prestata a veicolare le parole, lo spirito del bracconiere; una
voce di tenore che eccezionalmente viene posta in bocca all'antagonista.
Il personaggio di Hubert si esaurisce qui: giustamente, poiché l'opera pone
talmente in primo piano i personaggi di Cachaprès e di Germaine da non
ammettere ulteriori compresenze di pari rilievo, ma solo le figure che si
rendessero via via necessarie allo svolgimento del dramma o in quanto
evocative (è il caso di Hubert, insipido rappresentante della convenzionale
medietas borghese, il buon partito che Hulotte auspicherebbe per la figlia) o in
quanto caratteriste. Caratterista è il personaggio della vecchia Cougnole, la
mezzana complice dei clandestini incontri amorosi dei protagonisti, realizzato
con mezzi espressivi e musicali grotteschi, dall'assegnazione di un'esausta
voce contraltile (nel primo Novecento la vocalità di contralto era estinta e,
laddove di individuino tessiture vocali molto gravi affidate a donne, è da
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riconoscersi un obiettivo caricaturale che simuli, nel forzato artificio canoro,
gli sforzi della vecchiaia) all'ansimante, costante frazionamento della linea
vocale. Personaggio minore, ma rivendicante una dignità particolarissima che
certo non è quella del caratterista, la giovane Gadelette è chiamata
innanzitutto a far da antagonista a Germaine, e quindi a farne da contraltare; la
sua apparizione alla fine del primo atto è rapida e sfuggente, ma dimostra già
l'ostinata fermezza di carattere su cui sarà meglio soffermarsi più avanti, dopo
aver maturato più a fondo il personaggio; per ora, Gadelette è l'unica che osi
ribattere a Cachaprès in un rapporto quasi alla pari, zittendolo rudement, per
poi darsi ad una fuga assimilabile a quella di una preda inseguita da una belva,
la fuga di chi conosce le norme della natura selvaggia, l'assoggettamento alle
quali, con il mâle, è cosa comune.
Il secondo atto, tableau unico, si apre con un prélude a sipario chiuso cui si
accennava precedentemente, indicandolo come secondo piccolo poema
sinfonico dell'opera. Intitolato La forêt, esso ricrea con efficacia descrittiva
l'atmosfera del bosco. Il bosco e la sua rappresentazione musicale sono un
topos dell'opera lirica, e come tale sono espressi tramite convenzioni maturate
di generazione in generazione; si pensi alla foresta di querce secolari che posa
la sua ombra sulla tragica vicende della Norma di Bellini, o alla selva
impenetrabile, sede del mistero del Graal, del Parsifal wagneriano, o infine
alla rappresentazione cronologicamente più vicina a Casadesus, quella
simbolista di Pelléas et Mélisande, il capolavoro di Maeterlinck reso
immortale dalle suggestioni timbriche e armoniche di Debussy.
Un tema descrittivo del bosco – e forse il più suggestivo dell'intera partitura – così come appare al n. 300 dello
spartito (secondo tableau del terzo atto). Solenne, misterioso, di una gravità assimilabile a quella di un corale
luterano.
Le convenzioni descrittive si ritrovano tutte nel prélude in questione, a partire
dall'indicazione agogica, calme et lent, e introducono ad un bosco silenzioso,
grandiosamente statico, che via via va rivelando dinamiche interne all'inizio
insospettabili, fino a situazioni di autentica agitazione musicale e drammatica:
canto d'uccelli (ritornerà come leitmotiv, alla fine dell'opera), battiti d'ali...
Tali dinamiche sono puntigliosamente indicate, e spesso pittoricamente («Une
lascivité trainait...», «Un désir de s'étreindre rapprochait les branches»),
nelle didascalie che Lemonnier appone lungo le linee melodiche dello spartito
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(linee melodiche che realizzano le didascalie, dunque), espresse, come si può
notare (tale caratteristica è comune, nel libretto d'opera, a molte delle
descrizioni di ambienti), in tempo verbale imperfetto, inusuale rispetto al
presente e certo più adatto alle oasi descrittive del romanzo (da cui
sembrerebbero letteralmente qui traslate) che alle didascalie di un dramma
lirico, ma che proprio in virtù di questa scelta anomala si arricchiscono e
colorano di un senso di indefinizione, di infinita continuità, di assolutezza
capace di moltiplicare il potenziale suggestivo della rappresentazione; come
se Lemonnier, approfittando del sipario ancora chiuso, volesse sottrarre la
musica all'azione scena e ricondurla direttamente alle immagini testuali fisse
del romanzo.
Il seguente dialogo tra Cachaprès e Cougnole (nel quale il giovane si mostra
turbato per la ritrosia della compagna) offre spunti utili per una constatazione
valida già riguardo al romanzo, ma che qui è sollecitata in maniera
esplicitissima. «Germaine n'était pas une fille comme les autres... Germaine,
vois-tu, c'était comme un gibier de seigneur... J'ai mis mes collets pour la
prendre... C'est moi qui ai été pris...» afferma malinconicamente e sans
rigueur Cachaprès. L'assimilazione dichiarata di Germaine ad una preda
dimostra non solo il carattere di Cachaprès, maschio inserito nella natura in
quanto predatore e amante aggressivo della stessa (onde Germaine, la femelle,
è rappresentazione della natura così come l'intende Cachaprès), ma come Un
mâle possa essere legittimamente letto in quanto «roman de la chasse dont
l'amour en réalité n'est q'une variante dans le coeur de Cachaprès» (AnneFrançoise Luc).
Il concetto di caccia occupa una parte fondamentale in ogni manifestazione di
quell'opera multipla che è Un mâle, dal romanzo al dramma lirico passando
per la pièce teatrale, ed è premura di Lemonnier trattare questo concetto con
esattezza di lessico e tecniche, appositamente ricercati, studiati e appresi con
minuzia naturalisticamente pascoliana o tecnicamente boitiana; nel dramma
lirico, paradossalmente, l'unica scena di caccia realizzata musicalmente,
l'interlude orchestrale La poursuite di cui si tratterà in seguito, vede il
bracconiere nei panni della preda. Nel dramma lirico Cachaprès ha già da
questo momento il chiaro presentimento del suo essere preda («C'est moi qui
ai été pris...»), fatto del tutto assente e improbabile nel romanzo, e cosa che
conferisce al protagonista di Cachaprès un carattere assai più liricamente
"fragile" e meditativo di quello di Un mâle.
L'arrivo di Gadelette, restia intermediaria tra Cachaprès e Germaine (essendo
rivale di quest'ultima nell'amore per il bracconiere), porta ad un improvviso
cambio d'atmosfera: tornano le speranze a Cachaprès, Germaine ha accettato
di rivederlo. Gadelette si conferma personaggio sfuggente, quasi tutto risolto
nelle didascalie e quindi nella gestualità: la si vede «lutter contre elle-même»,
ma selvaticamente (e più di Cachaprès, che più di lei ha rapporto con la
società civile) si esprime poco attraverso la parola, mancandole quasi il
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linguaggio verbale: nelle battute di questa scena ella parla bas, quindi d'une
voix de haine sourde; quando Cachaprès, colmo di gioia per la notizia appresa,
la abbraccia, ella godendo di quell'insperato contatto fisico, «d'un bond se
dégage, frissonnante, ayant à la peau comme une brûlure délicieuse», con un
«cri de douleur» (che è anche, bestialmente, un grido di piacere): «Il m'a
mordue!...». Interdetto dalla reazione di Gadelette, Cachaprès apprende solo
allora dalla ridacchiante Cougnole ciò che non credeva, l'amore di Gadelette.
Non hanno tempo gli autori per soffermarsi sulla reazione di Cachaprès: in
quello stesso istante, su un'agogica orchestrale comprensibilmente un peu
agité(e), fa il suo ingresso Germaine. Lasciati soli da Cougnole, per i due
giovani è il momento di una nuova, lunga scena a due, nella cui magnifica
atmosfera di tradizionale (nel senso musicale: vi si odono Berlioz e Massenet)
esotismo e sospensione, Germaine si tranquillizza della paura provata
percorrendo la foresta e si abbandona alle carezze protettive dell'amante. La
reciproca dichiarazione d'amore ivi espressa procede testualmente tormentata:
non c'è traccia di ritrosia nelle prime parole di Germaine, che però di lì a poco
constata enigmaticamente: «Aimer c'est trouver son maître». Cachaprès la
smentisce subito amorevolmente, estrinsecandole la sua precedente
riflessione: è lui che si è consegnato a lei. Sui due amanti pesa in questo
dialogo, pian piano implicitamente espressa, la sensazione di essere entrambi
vittime di un mondo di convenzione sociale che si oppone alla loro relazione:
unica soluzione, la fuga. Parrebbe una soluzione melodrammaticamente
banale, ma la grande drammaticità con cui la espone Cachaprès (scortato da
grande dispiegamento orchestrale) ci impegna a soppesare ogni immagine
della visione da lui dipanata: la destinazione è una terra selvaggia in cui vivere
liberi e felici come re. Sulla
scena si odono, lusinghieri,
canti d'uccelli (virtuosistiche
figurazioni
melodiche
affidate
agli
alchimistici
Un ottavino in scena simula il canto di un uccellino.
incantamenti timbrici di
ottavino e clarinetto piccolo), canti non si sa più se imitati da Cachaprès o
reali: è una visione, in cui entra via via, estasiata, la stessa Germaine; è un
momento di immersione e adesione fisica e psichica, totale, alla natura. Ma se
per Cachaprès questa visione è enunciazione di un progetto di vita, per
Germaine essa resta un bel sogno, e a ridestarla in breve è il pensiero
minaccioso delle guardie: Cachaprès non le teme, e la difenderà da esse, ma
fino a quando durerà questo amore folle? Per la vita e sino alla morte, è la
promessa del bracconiere. A prestar fede alle sue parole tornano a risuonare,
entusiastiche, incantatorie, le voci della natura (il coro dietro le quinte) già
udite all'inizio del primo atto. Dichiaratamente abbandonandosi, per sempre e
interamente, a Cachaprès, Germaine lo segue allora nell'ombra del bosco dove
l'amante la invita («Viens!... Viens!...», e l'atto si conclude: è la voce di
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Cachaprès o della natura?), e dove avverrà (tutto lo lascia intendere) l'atto
amoroso ed erotico mai descritto nel romanzo e non descrivibile sulla scena.
L'immediata, simbolica realizzazione della fuga agognata.
La fattoria degli Hulotte, luogo interdetto a Cachaprès, è la scena su cui si
apre il primo tableau del terzo e ultimo atto. Dopo una breve, tranquilla,
convenzionale (ai fini del dramma leggi: civile) introduzione orchestrale,
lontana dai fruscii e dalle esuberanti impennate orchestrali uditi nel bosco, il
canto di Germaine risuona un'altra volta sulla scena, come all'inizio del primo
atto, secondo un'ideale ciclicità. La vocalità della protagonista si è fatta, lungo
il dramma per giungere sin qui, più grave di tessitura e melodicamente parca
d'intervalli se non addirittura basata su toni ribattuti: è una voce che si è fatta
pensosa, e un pensiero che è martellato sempre dalle stesse, ossessionanti
riflessioni. La cosa stupisce quando si torni a considerare che di canzone si sta
parlando, di musica nella musica, e non di parola in quanto tale. Il canto di
Germaine, dal testo troppo raffinato per credere che siano parole di Cachaprès
nonché troppo autobiografico per non credere che l'abbia composto ella stessa,
è un canto nuziale ai cui contenuti ella non può più credere. Dopo la
primavera è giunta l'estate, ed è giunta la maturazione della sua storia d'amore
che, alla Velleio Patercolo non potendo più progredire, si avvia
inesorabilmente al declino: spiata dal padre e dalle guardie, che vedono in lei
l'esca per individuare ed arrestare Cachaprès il bracconiere, e dunque costretta
in casa, rimpiange di essersi donata a quell'uomo (letteralmente homme, nel
testo, e non il ben altrimenti significativo mâle, termine la cui forza forse era
parsa ai librettisti, pur dopo tanti anni, ancora eccessiva).
L'arrivo di Gadelette sorprende Germaine nel suo turbamento. La piccola
selvaggia è venuta a recarle da parte di Cachaprès, con il tono dell'ordine, la
volontà di rivederla. Germaine, angosciata, apprende poi che l'amante è
braccato per la foresta dall'intero villaggio, avendo egli ucciso due guardie.
Nel dialogo, Gadelette non perde l'occasione per infierire su Germaine, la
rivale, amata da Cachaprès ed ora amante ingrata: Cachaprès vorrà pur vedere
Germaine, ma è Gadelette che adesso sta andando in suo aiuto, né a Germaine
importa l'essere da meno.
A questo punto, il profilo del personaggio di Germaine, così com'è nel
dramma lirico, diverge vistosamente da quello del romanzo: se nel libro
Germaine, esasperata dalla scomoda relazione, partecipava in qualche modo al
tradimento di Cachaprès, nell'opera lirica ella, che tiene fede alla sua
promessa d'amore, benché sconvolta e orrificata cerca la di lui salvezza.
Al suo entrare in scena, Cachaprès vuole furiosamente "regolare i conti" con
colei che, a suo dire, si è giocata di lui portandolo alla rovina, e aggredisce
fisicamente Germaine preparandosi ad ucciderla. Ma il coltello gli fugge di
mano, quando Germaine, supplicante, gli rievoca, immagine dopo immagine, i
momenti idilliaci della loro relazione. La reazione di Germaine è duplice: al
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«cri de triomphe et de joie d'avoir échappé au danger», assimilabile alla
Germaine del romanzo (che domina le mâle), segue infatti che «elle lui fait un
collier de ses bras et s'abat sur sa poitrine», immagine inattesa che conferma
la diversità della Germaine lirica. E la reazione è ulteriormente duplice:
Germaine ama Cachaprès e nel contempo ne prova orrore. La risoluzione
finale è «on ne se quittera pas...».
Giungono le guardie, Germaine è letteralmente presque sans voix (sul
pentagramma è richiesto il parlato), Cachaprès, trascinato da una folle
euforia, salta dalla finestra, dando inizio allo stremante inseguimento per le
campagne. Dalle quinte, il coro lancia grida minacciose. Germaine, sbirciando
prudente dalla finestra, segue con lo sguardo la fuga dell'amato: doveva
salvare la vita a Cachaprès, ora lo guarda impotente, mentre egli sbaraglia gli
inseguitori (e qui la voce le torna, orgogliosa e sonora: «Hardi! mon fieu!...»)
e mentre due o tre colpi d'arma da fuoco fendono l'aria. Terrorizzata,
lanciando un grido lacerante (che musicalmente è un lunghissimo, impreciso
glissato in fortissimo su quasi due ottave, il massimo sforzo vocale richiesto
sino ad ora all'interprete), Germaine «tourne sur elle même, va s'aplatir contre
le mur et, les yeux hagards, les cheveux en désordre, la figure convulsée,
esquisse machinalement le signe de la croix». È l'immagine della propria
rovina personale quella con cui Germaine si congeda dal dramma, in
un'improvvisa, disperata sospensione tra pazzia, bestialità, religiosità
superstiziosa, e anticamera fors'anche dell'isteria.
La scena dell'inseguimento procede – a sipario chiuso ma senza interruzione
della rappresentazione – nell'esecuzione de La poursuite, l'interlude che, come
si diceva in apertura, è il terzo piccolo poema sinfonico della partitura. Il ricco
e minuzioso apparato didascalico di Lemonnier non è questa volta
sovrapposto, passo a passo, alla musica che lo realizza (quindi, sarebbe meglio
dire che la musica non si trova sottoposta all'apparato didascalico, preesistente
ad essa), ma si trova unitamente concentrato all'inizio del brano, dandone una
descrizione complessiva. Viene dunque a mancare il senso di ordinato,
sistematico procedere che caratterizzava i preludi del primo e del secondo
atto. Il materiale musicale, fortemente ma convulsamente descrittivo,
ripropone temi musicali ascoltati nelle scene precedenti: il furore di Cachaprès
che assale Germaine, l'imboscata presso la fattoria degli Hulotte. Sovrasta
l'ascoltatore il presentimento che la volontà descrittiva non sia in funzione di
un punto di vista oggettivo ed assoluto, ma possa essere interpretata come
propria di Germaine, come un viaggio della sua mente sconvolta attraverso
una personale, dilaniante, caotica ricostruzione delle estreme, avventurose
sorti di Cachaprès e di se stessa. Come se i suoi occhi stralunati, quel suo
ultimo straziante grido avessero allora contemplato, in delirante visione,
quanto la musica descrive in questo interlude. Conclude il brano una coda di
carattere contrastante, L'apaisement, nel quale tutta la disperata foga
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dell'inseguimento (in cui Cachaprès è stato mortalmente ferito) si arresta,
cedendo via via alle maestose architetture accordali che indicano la presenza
confortante e straniata del bosco, e che Cachaprès è sfuggito agli inseguitori.
Il secondo tableau del terzo atto si apre su accordi lenti, sordi, profondi, e
musica e didascalie tornano di nuovo, improvvisamente, a procedere le une a
fianco delle altre. Cachaprès, stremato dalla corsa e ferito, è soccorso da
Gadelette. «Qui aurait dit, ma p'tite que tu aurais étée la dernière auprès de
moi!», constata dolorosamente il giovane, rivolto alla petite sauvageonne. Il
personaggio di Gadelette, dominante nell'ultima scena del dramma, vi si
mostra finalmente con l'autorità di una protagonista. La giovane obbedisce
docilmente alle richieste dell'amato agonizzante, lo conforta teneramente e
fermamente («Je suis là!... C'et moi, Gadelette... Je te défendrai!...») nel
delirio che lo divora (immagini dell'inseguimento e del primo, fatale incontro
con Germaine), mentre la voce dell'interprete, di proposito calante
d'intonazione, pare indirizzare una supplica a Cachaprès, perché viva
(«M'n'ami!...»). Accordi lenti e severi accompagnano i gesti di Gadelette:
«elle se laisse tomber à genoux, écoute, l'oreille à la bouche de Cachaprès.
Puis, comprenant tout à coup la grande chose tragique, se dresse et pousse un
long cri». Cachaprès è morto, e la reazione di Gadelette è proprio la stessa di
Germaine: un lungo grido, un'altro glissato in fortissimo, solo estensivamente
più contenuto. Differente è invece lo sfondo a questo grido: gli accordi lenti e
severi di cui sopra, costanti nel loro moto, ben diversi dallo strepito di guardie
che faceva da sfondo al grido di Germaine. «L'autre ne t'aura plus
maintenant», esclama per un momento, «avec un accent de joie farouche», la
petite sauvageonne, all'indirizzo dell'odiata rivale, vedendo finalmente tutto
per sé l'agognato Cachaprès, il suo corpo. Mentre «le jour perce le haut des
arbres», Gadelette «se couche près de lui [= de Cachaprès], et lui prenant sa
tête dans les bras, avec une tendresse de petite vierge sauvage, elle le berce».
Su un accompagnamento orchestrale sommesso, calme, douloureux, il canto
astratto, impalpabile, esterrefatto di Gadelette intona le ultime parole, certo
più pensate che pronunciate: «Dors là, mon fieu... Je te ferai un lit de feuilles
sous la terre... Dors là... mon fieu... Personne, jamais, ne le saura...». Intorno,
l'alba, i temi – identici – che si erano uditi al lever du jour sur le verger, il
sorgere del sole sempre uguale a se stesso. «C'est le réveil, joyeux et éternel,
de la nature indifférente». Lieto ed impassibile, si ode per l'ultima volta, fino
all'ultima misura, il canto dell'uccellino; a ricordare che, in fondo, chi la vince
è la natura.
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Bibliografia
PER LA PARTE LETTERARIA
• A. Desideri (a cura di), Scrittori d'Europa dell'Otto e del Novecento, Ed.
D'Anna, Messina-Firenze, 1988
• J.K. Huysmans, Camille Lemonnier, in L'Artiste, 4 agosto 1878
• G. Lejeune, Lettre à Camille Lemonnier, Ed. En Toutes Lettres, 1994
(video)
• C. Lemonnier, Un mâle, Ed. Labor "Espace Nord", Bruxelles, 2000
• A.-F. Luc, Le naturalisme belge, Ed. Labor, Bruxelles, 1990
• AA.VV., Le banquet Lemonnier. 27 mai 1883, in La Jeune Belgique, n. 2,
1882-1883
PER LA PARTE MUSICALE
• C. Lemonnier / H. Cain / F. Casadesus, Cachaprès, Ed. Max Eschig, 1914
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Un`analisi drammaturgica e musicale di Cachaprès