CORSO DI LINGUA E LETTERATURA FRANCESE - PROF. ANNA SONCINI Francesco Lora Un'analisi drammaturgica e musicale di Cachaprès Un mâle di Lemonnier dal romanzo al dramma lirico Francesco Lora Università degli Studi di Bologna Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea quadriennale in D.A.M.S. Indirizzo Musica E-mail: [email protected] Il naturalismo. Corrente letteraria e contesto storico. Uno sguardo sul Belgio. Si definisce naturalismo una corrente letteraria della seconda metà del XIX secolo, intimamente legata agli sconvolgimenti sociali ed economici (rivoluzione industriale), come pure al crescente affermarsi della filosofia positivista. Con una riflessione più approfondita rispetto al realismo – non limitandosi, rispetto ad esso, a riportare con cruda e oggettiva verosimiglianza i fatti narrati, ma rendendosene aboutissement, ricercando scientificamente le leggi naturali, il contesto culturale e i principi filosofici che ne sono alla base – il naturalismo, come tendenza letteraria di respiro europeo e mondiale, ha in Francia, nel primo ventennio della Terza Repubblica (sorta nel 1871), la sua origine e le principali espressioni (Émile Zola, Guy de Maupassant, Alphonse Daudet...). Mentre in Russia scrittori come Gogol', Pisemskij, Saltykov spiegano, e in certa misura preparano, il successo di Zola, in Germania il naturalismo si afferma, verso il 1885, come letteratura della giovane generazione che reagisce al torpore di alcuni e all'idealismo convenzionale di altri. Nei paesi scandinavi, il critico George Brandes applica la formula naturalista soprattutto al teatro, mentre in Gran Bretagna vengono accentuate in senso pessimistico, o colorate di apparenze scientifiche, le tendenze realistiche di una grande tradizione narrativa. In Italia il naturalismo assume una forma particolare nel verismo, i cui principali esponenti sono Luigi Capuana, Giovanni Verga, Matilde Serao, Grazia Deledda. Negli Stati Uniti, il naturalismo ha la sua massima fioritura nei primi anni del secolo XX, influenzando scrittori partecipi, nelle loro opere, dei grandi mutamenti sociali provocati dall'intenso sviluppo del capitalismo. Una lunga serie di circostanze storiche, economiche e sociali, solo in parte dissimili da quelle d'altri paesi, coinvolge nell'indirizzo naturalistico alcuni scrittori belgi, tra i quali primeggia la figura di Camille Lemonnier. Contrariamente a quanto è accaduto per altri movimenti artistici, quali il surrealismo o il simbolismo (rappresentato da Magritte, Maeterlinck, Hergé), in madrepatria l'espressione naturalistica belga, fino a tempi recenti, è stata generalmente trascurata dal grande pubblico. Tra gli "addetti ai lavori" non vi fu mai, a suo riguardo, uniformità di valutazione. Alcuni considerarono da subito il naturalismo una deformazione letteraria, vergognosa e pericolosa, mentre altri – in particolare i simpatizzanti per il movimento socialista, che si manifestò in Belgio negli anni '80 – vi lessero l'espressione di una vitalità letteraria nuova e originale. Oggi c'è, in 2 questo paese, il desiderio di riparare all'indifferenza verso il naturalismo d'origine locale, studiandone gli autori e la loro specificità. Economia agricola e industriale nell'Europa del XIX secolo All'inizio del XIX secolo la rivoluzione industriale non aveva cancellato il predominio dell'agricoltura; la situazione era profondamente diversa non solo da stato a stato, ma da regione a regione. I cambiamenti non furono dovunque uguali e non avvennero contemporaneamente. In Francia la Rivoluzione aveva liberato la campagna dal regime feudale e l'aveva frazionata in numerose piccole proprietà. I contadini erano tuttavia rimasti molto poveri, e miserabili erano le loro abitazioni e il loro cibo. In molti stati prevaleva invece la grande proprietà, spesso abbandonata a se stessa e incolta. Negli stati asburgici esisteva ancora la servitù della gleba; in Russia la terra era quasi interamente possesso dei nobili. Le prime e più profonde trasformazioni si ebbero in Inghilterra già a partire dalla metà del Settecento. La produzione fu incrementata anche con l'introduzione di nuove colture, con l'uso della concimazione e con l'impiego di nuovi attrezzi prodotti dalle industrie. Verso la fine del secolo XVIII e soprattutto durante il XIX, l'industria, spesso associata all'agricoltura, fece progressi eccezionali; li favorirono l'invenzione di sempre nuove macchine e le scoperte fatte nel campo della chimica e della fisica. Il cambiamento fu rapido: iniziata in Inghilterra, l'industrializzazione si diffuse specialmente in Francia, in Germania, in Russia. Il vantaggio dell'Inghilterra rispetto agli altri paesi dipese dal fatto che essa disponeva in abbondanza di capitali e di manodopera, di ricche miniere di carbone e di ferro e di una potente organizzazione commerciale. Le trasformazioni che si verificarono nell'agricoltura e nella produzione di tessuti (dove si era passati da un artigianato casalingo all'industria tessile) favorirono la seconda fase della rivoluzione industriale, quella dell'industria pesante, dominata dall'industria delle ferrovie. Verso la metà del secolo, alcune decisive invenzioni (convertitore Bessemer e forno Martin-Siemens) inaugurarono l'età dell'acciaio. 3 Nascita delle fabbriche e della classe operaia L'introduzione delle macchine fece progressivamente scomparire l'attività artigianale, prima nel settore tessile, poi negli altri. Le nuove macchine erano infatti molto costose e troppo grandi per essere tenute un casa, per cui vennero riunite in laboratori sempre più vasti. Nacque così la fabbrica, la cui proprietà apparteneva ad un capitalista, ad una persona, cioè, che aveva il denaro per costruirla, per acquistare le macchine, per sfruttare la forza motrice dell'acqua o del vapore e per pagare salari agli operai. L'organizzazione del lavoro ne risultò sconvolta: il libero artigiano divenne un operaio moderno, e le relazioni tra datore di lavoro e dipendente si trasformarono profondamente. L'inventiva e la creatività del lavoratore non avevano più luogo per esprimersi: egli dipendeva ormai dai suoi strumenti di lavoro, diventando un'appendice della macchina. Poiché la diffusione delle fabbriche richiedeva una crescente manodopera, migliaia di piccoli proprietari e di artigiani impoveriti furono costretti, per sopravvivere, ad abbandonare i loro villaggi e a riversarsi nelle città, in cerca di lavoro nell'industria. Scomparvero progressivamente molti antichi mestieri e si formò la nuova classe del proletariato industriale. Nuove e durissime furono le condizioni in cui furono obbligate a lavorare e a vivere le prime generazioni di operai. Abituati ad organizzare individualmente il lavoro dei campi, che variava a seconda delle stagioni, si trovarono a dipendere dagli ordini di un capo e ad affrontare ritmi e orari di lavoro insopportabili e continuativi. L'orario normale variava dalle quattordici alle sedici ore al giorno; la disciplina era severissima, disumana. Queste condizioni di lavoro riguardavano anche donne e bambini, largamente impiegati nelle miniere e nelle fabbriche, in condizioni degradanti e con salari infimi. La rivoluzione industriale in Belgio: ambiente socio-economico del naturalismo Il progresso industriale britannico fece sì che il Belgio intraprendesse la propria rivoluzione. Per farlo, il paese adottò le nuove macchine d'oltremanica e ricorse alla manodopera di numerosi operai inglesi, premurandosi frattanto di formare i propri lavoratori qualificati. Nel 1835 il Belgio inaugurò il primo tratto (Malines-Bruxelles) di un'estesa rete ferroviaria, resa necessaria anche dal fatto che l'Olanda aveva tagliato alcune comunicazioni fluviali, tesa a sfruttare al massimo quella che era stata 4 l'innovazione più clamorosa della rivoluzione industriale, l'impiego del vapore, che sconvolse il tradizionale sistema di trasporti sino ad allora impostato sull'uso della diligenza. Allo scopo di offrire mezzi di comunicazione sempre più economici, rapidi ed efficaci, fra il 1835 e la prima decade del XX secolo la rete ferroviaria belga arrivò a coprire 4.600 chilometri e contribuì ampiamente alla crescita dell'industria locale, che produceva beni soprattutto per l'esportazione. In vista della cospicua domanda estera, con l'applicazione delle innovazioni tecniche si incrementò l'industria siderurgica, l'estrazione del carbone e la lavorazione della lana e del lino. A partire dagli anni '70 l'economia belga si sviluppò in modo impressionante. Assimilati alla perfezione i meccanismi capitalistici, la classe dirigente belga intendeva sfruttare al massimo la forza-lavoro fornita dagli operai. Soltanto un impegno lavorativo estenuante e una remunerazione del tutto inadeguata potevano assicurare guadagni sostanziosi, reinvestibili in buona parte nell'impresa per accelerarne la meccanizzazione. Quanto alla legislazione sociale, la cui assenza autorizzava ogni abuso, il Belgio accusò un triste ritardo rispetto alle nazioni vicine, in particolare l'Inghilterra e la Germania. Le condizioni di vita della classe operaia erano disastrose e il degrado generale. L'incremento demografico, dovuto alla diminuzione della mortalità e delle grandi epidemie che nei secoli passati avevano provocato la morte di milioni di persone, comportava l'aumento dei prezzi delle derrate più richieste, specialmente dei cereali. Ma il maggior profitto favoriva unicamente i proprietari delle terre, mentre la miserabile moltitudine dei contadini si doveva confrontare anche con il problema della disoccupazione. Al tempo dell'indipendenza (1839) le condizioni di vita in Belgio erano dunque largamente diversificate: da un lato i ricchi sfaccendati si adoperavano unicamente ad operare nuovi redditizi investimenti, sfruttando la manodopera dei proletari che, dall'altro lato, vittime di un'insormontabile necessità, dovevano accettare qualsiasi lavoro a qualunque condizione. La moltitudine degli operai non trasse alcun profitto dalla prosperità economica dell'epoca. Essa peraltro non doveva durare, in quanto, essendo il Belgio un paese esportatore, risentì gravemente della crisi internazionale iniziata nel 1874 e durata fino al 1895. In grado di produrre carbone essi stessi, gli Stati Uniti e la Germania iniziarono ad esportarlo, provocandone il calo del prezzo. Utilizzando nuove tecniche, ci si accorse che l'acciaio era più resistente ed economico del ferro: il Belgio, per rimanere competitivo, doveva quindi rinnovare la sua siderurgia, importando i minerali appropriati per la fabbricazione di un acciaio di qualità. La situazione agricola, già precaria, andava peggiorando a causa dell'importazione di cereali dagli Stati Uniti, che faceva diminuire i prezzi e 5 quindi gli introiti. Chi cercava lavoro nell'industria si doveva confrontare con datori di lavoro che, per mantenere i profitti, diminuivano i salari e sostituivano quanti più operai possibile con macchinari più numerosi ed efficaci. La disoccupazione sempre più estesa e la conseguente diminuzione del potere d'acquisto provocarono un tale disastro economico e sociale, che gli operai, esasperati, si ribellarono; il 1886 fu un anno terribile: scioperi, rivolte violente, distruzioni, rancori colpirono la maggior parte dei centri industriali. L'anno oscuro ebbe se non altro qualche conseguenza positiva. Finalmente nasce la preoccupazione per la sorte degli operai ed essi stessi si rendono conto della necessità di un partito capace di farsi ascoltare e di difendere i loro interessi. Fondato nel 1885, il Partito Operaio Belga (P.O.B.) entra nella storia. Nel 1887 una legge, approntata da liberali sensibili alle ingiustizie contro la classe più sfavorita, regolamenta i salari, proteggendo gli operai dagli abusi di cui erano stati oggetto per decenni. È regolamentato anche il lavoro delle donne e dei bambini. Con una serie di scioperi dimostrativi, il P.O.B. vuole arrivare a ottenere il suffragio universale, condizione essenziale per permettere ai rappresentanti socialisti di andare in parlamento e promuovere leggi favorevoli ai lavoratori. Il suffragio universale (per i soli uomini, a partire da 25 anni) è concesso nel 1893 e riporta le prime pallide vittorie, sufficienti – malgrado la loro limitatezza – a rivitalizzare il commercio con un accresciuto potere d'acquisto. L'ambizione coloniale di Leopoldo II e la ricerca di nuovi mercati favorirono la ripresa economica; lo stato arrivò finalmente ad intervenire in maniera più efficace nell'economia e nei problemi sociali del paese. Contesto filosofico e culturale Facilitato dalla comunanza della lingua, nell'ambito del pensiero filosofico e della produzione letteraria, il Belgio, assai povero di opere locali di rilievo, si rifaceva per vari aspetti alla Francia. Alcuni scrittori francesi, spesso per ragioni politiche, avevano lasciato il loro paese, importando in Belgio stili e correnti di pensiero. Dal 1830 al 1850, proprio da alcuni autori francesi furono iniziati al romanticismo quegli scrittori belgi che si attardarono a descrivere pomposamente i fatti della storia nazionale. La "tappa romantica" può essere vista come un passaggio intermedio tra l'uomo del classicismo e quello del realismo e del naturalismo: se l'uomo dei classici era un essere morale posto di fronte a Dio, l'uomo della letteratura della seconda metà dell'Ottocento è un essere sociale, ossia situato in una società determinata e da essa condizionato. 6 Il realismo ha più di una faccia: quello dei borghesi francesi come Flaubert e i fratelli Goncourt è una descrizione fedele della realtà e al tempo stesso una requisitoria contro di essa, un'accusa alla condizione umana. Altro è il realismo democratico, che si può riscontrare in scrittori come Champfleury, il quale è giunto a capovolgere le posizioni del romanticismo prendendo le mosse da esso e giungendo, attraverso una rappresentazione comicocaricaturale della realtà quotidiana, ancora attenta all'eccezionale e all'eccentrico, a concepire la letteratura come rappresentazione minuziosa della realtà contemporanea. Il naturalismo apparirà più pessimista; ma in esso il sentimento della sofferenza umana sarà progressivamente fiancheggiato da quello della solidarietà sociale. In un'atmosfera intellettuale dominata dal positivismo, e in cui da una parte si fanno sempre più fortemente sentire le esigenze di giustizia e di organizzazione sociale, e dall'altra si fa strada l'idea di un'unità organica delle specie viventi, si andrà imponendo il determinismo più rigoroso. Il naturalismo diventa il portavoce dell'umanità media del mondo moderno e predilige una rappresentazione cruda e compiacente di realtà basse e triviali. Così è il naturalismo nella rappresentazione che ne dà Émile Zola, lo scrittore che più di altri incarna il naturalismo francese, il quale si propone di osservare l'uomo scientificamente, cioè con la competenza e l'indifferente straniamento che ha il naturalista nei confronti di un animale o di una pianta. I metodi delle scienze sperimentali sono così applicati alla letteratura d'invenzione. Questo principio operativo trova le sue radici nelle nuove tendenze di pensiero, che ne permettono la fioritura. Il fondatore del positivismo, Auguste Comte (1798-1857), aveva affermato la sovranità della scienza come solo strumento atto a garantire il progresso umano e sociale e capace, in un avvenire più o meno vicino, di risolvere ogni problema. Tratti fondamentali del suo movimento filosofico-culturale, sono appunto l'esaltazione del valore delle scienze empirico-sperimentali (soprattutto fisica e biologia) contro le costruzioni metafisiche della filosofia idealistica e romantica. Nell'analisi dei caratteri costitutivi del sapere scientifico, il positivismo attinge alla tradizione dell'empirismo classico: qualsiasi conoscenza, per risultare vera, deve essere basata sull'esperienza. L'ossequio ai fatti concreti deve essere incondizionato, al punto da rifuggire da ogni ipotesi. I giudizi universali non hanno alcuna validità; ogni cosa si muove nel campo del relativo e condizionato e non riuscirà mai a oltrepassarlo. Nel quadro di una visione sostanzialmente deterministica della realtà, l'uomo appare come un prodotto dell'ambiente, che quand'anche inteso come milieu sociale, pur sempre è retto da leggi analoghe a quelle che governano i fenomeni naturali. Le opere dell'arte e dell'intelligenza si possono spiegare – ne fa fede l'opera di Hippolite Taine – come il risultato di leggi psicologiche, 7 nelle quali è operante il principio di causalità non meno che negli altri eventi del mondo naturale. Sulla base di questo contesto ideologico, in cui la scienza e la natura appaiono talvolta come le supreme garanti di un indefinito progresso umano e, altre volte, si colorano delle oscure tinte della fatalità, del destino o delle leggi dell'ereditarietà biologica, sorgono movimenti letterari come il naturalismo e il verismo e, in genere, quella concezione dell'uomo come prodotto dell'ambiente che è un po' la sigla e il modo di pensare caratteristici del positivismo. Il naturalismo di Un mâle. Camille Lemonnier. La vita e le opere. Romanziere, novellista, fondatore di riviste e critico d'arte, Camille Lemonnier nasce a Ixelles il 24 marzo 1844 da famiglia borghese agiata. Il padre, Louis-François, è avvocato presso la Corte d'appello di Bruxelles. La madre, Marie Panneels, di origine fiamminga, muore quando egli ha l'età di due anni, e insieme con la sorella viene allevato dalla nonna materna. Tra il 1855 ed il 1861 Camille compie mediocri studi umanistici presso l'Ateneo Reale di Bruxelles; nel 1858 compone un Almanach instructif et amusant à lire. Nel 1861 intraprende una candidatura in Lettere e filosofia, propedeutica agli studi di Diritto presso l'Université libre di Bruxelles (università Camille Lemonnier promossa dalla massoneria antiecclesiastica), interessandosi nel contempo più alla letteratura che ai propri studi, cosicché non sosterrà alcun esame universitario. Nel 1862, dopo una breve permanenza al Governo provinciale come impiegato sovrannumerario, pubblica su L'Uylenspiegel, giornale artistico e 8 letterario, un racconto intitolato Brosses et tampons. L'anno successivo, in occasione dell'Esposizione generale di belle arti di Bruxelles, pubblica la sua prima opera di critico d'arte, Salon de Bruxelles. Nel 1866 frequenta assiduamente pittori e si consacra alla letteratura; in aprile riceve una lettera di congratulazioni da parte di Victor Hugo, al quale egli aveva inviato il manoscritto di Sabbat, inedito; lo stesso anno compare un secondo Salon de Bruxelles. Alla morte del padre, nel 1869, con la sua parte d'eredità prende in affitto un castello a Burnot, tra Dinant e Namur; scrive Nos flamands, introducendo uno degli argomenti fondamentali della sua opera letteraria, l'importanza e i caratteri peculiari della razza fiamminga, alla quale egli rivendica l'appartenenza. Oltre a parecchi racconti e novelle apparsi su diversi giornali, nel 1870 Lemonnier pubblica un Salon de Paris che viene accolto con entusiasmo dai pittori di Parigi; in settembre, in compagnia di alcuni amici tra i quali Félicien Rops, visita il campo di battaglia di Sedan, esperienza dalla quale nascerà, l'anno seguente, Sedan, descrizione dell'omonima battaglia non in termini storici, ma nell'analisi dell'uomo e delle sue ferite, testo che nel 1881 diverrà Les Charniers ed influenzerà la redazione di La débâcle di Émile Zola. Nel 1871, inoltre, Lemonnier sposa Julie-Flore Brichot, dalla quale avrà due figlie. Tra il 1872 ed il 1879 Lemonnier si divide tra letteratura e critica d'arte; dirige la rivista L'Art universel, collabora a L'Artiste e scrive numerosi racconti che vengono pubblicati con i titoli di Contes flamands et wallons (1873), Histoires de gras et de maigres (1874), Derrière le rideau (1875); pubblica infine a Parigi Un coin de village e riceve una lettera di elogi da parte di Flaubert. Nel 1881 si separa dalla moglie; dopo essere stato pubblicato en feuilleton su L'Europe, esce in volume Un mâle, seguito l'anno seguente da Le mort. Un mâle, capolavoro di Lemonnier, «racconto di una sovrabbondanza di vita che si spande nelle altre opere con una violenza spesso visionaria, assicurandogli [a Lemonnier] un posto a parte tra i seguaci del naturalismo», prima della «più distaccata e serena visione lirica delle cose quando [il realismo nativo di Lemonnier] non si adagia sull'idillio», è caratteristicamente intriso dell'«ossessione della fecondità, della lotta, dello sforzo» (N.N., Dizionario degli autori, Ed. Bompiani). Thérèse-Monique, alla cui stesura Lemonnier aveva atteso probabilmente dieci anni prima, viene dato alle stampe nel 1882. Nel 1883 Lemonnier sposa in seconde nozze Valentine Collart, nipote di Constantin Meunier. Stimato come un maestro dai suoi pari, Lemonnier riunisce attorno a sé ogni venerdì gli scrittori della Jeune Belgique; quando gli viene rifiutato il Prix quinquennal de littérature, essi organizzano un banchetto nel corso del quale Rodenbach lo proclama "Maréchal des lettres belges". 9 Il 1885 vede la pubblicazione de L'Hystérique, romanzo nel quale dominano quelle pretese scientifiche assenti in Un mâle e qui veicolate dall'esperienza degli studi psicanalitici di Charcot. Ispirato ad un fatto reale (il caso di Louise Lateau, in cura presso il dottor Warlomont, padre di Max Waller), L'Histérique narra di una giovane entrata in un beghinaggio col nome di suor Humilité, del cui eccessivo fervore religioso degenerato in isteria, espresso con innocenza e vulnerabilità, approfitta lo spregiudicato curato Orléa che, dopo averla ingravidata, la allontana sgravandosi di ogni responsabilità e sospetto. La visione critica del narratore, positivista e anticlericale, femminista in forma latente secondo Anne-Françoise Luc, elimina ogni trascendenza e riconduce i comportamenti della donna (vero centro del romanzo) alla Chiesa che la domina, e domina attraverso di lei la società. La donna e la sua intimità sono argomenti centrali nella cultura del tempo, e la devozione religiosa femminile viene ricondotta da Lemonnier a insoddisfazione sessuale. L'utero, primo vero elemento di diversità fra maschio e femmina, è inteso come bestia affamata i cui squilibri sono la causa primaria dello squilibrio psicofisico nella donna. Nel 1886, mentre il Belgio è socialmente sconvolto, esce a Parigi HappeChair, romanzo ispirato alla necessità di una riforma della condizione dell'operaio, sul quale Lemonnier ritornerà a più riprese sino alla versione definitiva del 1908. Ad un anno dall'uscita di Germinal, romanzo di Zola ambientato nelle miniere, il nuovo lavoro di Lemonnier rischia l'accusa di plagio, stornata dall'autore nella stessa dedica a Zola: «Nous étions deux à étudier en même temps la souffrance du peuple, vous chez les hommes de la houillère, moi chez les hommes du laminoir. Pendant que vous écriviez Germinal, j'achevais Happe-Chair». In Happe-Chair è presentato un mondo infernale – anche nei riferimenti alla mitologia ctonia tradizionale – avvolto caratteristicamente dalle fiamme dell'iconografia cristiana (alla cultura belga appartiene, del resto, lo spiritismo, che allarga gli orizzonti di Lemonnier oltre le reminiscenze del demoniaco medioevale): l'usine-enfer ovvero usine-en fer è luogo d'annientamento dell'uomo (dove l'uomo diventa macchina e la macchina si umanizza), ma è anche tempio: la macchina porta infatti in sé qualcosa di sacro, dominando ciò che appartiene alla natura (il vapore) e sottomettendo l'uomo, in un confronto che fa dipendere dalla "salute" e dalla "vita" della macchina la salute e la vita dell'uomo stesso. Lo scompenso sociale, in Happe-Chair, è rappresentato dalla moglie dell'integerrimo protagonista, Clarinette, donna annoiata e sregolata nel desiderio, ninfomane ed isterica, che conduce il marito alla rovina prima, poi all'isolamento nella tranquillità della campagna (ritiro che è un rifiuto del futuro e dell'ambizione sociale). Nel 1888 Lemonnier pubblica studi su Courbet, Stevens, Rops e altri, con il titolo di Les peintres de la vie; ottiene finalmente il Prix quinquennal de littérature per La Belgique; mentre a Bruxelles sta per andare in scena Un 10 mâle, pièce tratta dal romanzo omonimo, in Francia esce Madame Lupar. Da allora, egli soggiorna ogni inverno a Parigi e collabora, come Maupassant, al giornale Gil Blas, sulle cui pagine compare L'enfant au crapaud, racconto ispirato ai grandi scioperi belgi del 1887, che gli costa un processo per oltraggio ai buoni costumi; Lemonnier si affida alle qualità di avvocato di Edmond Picard, che nel 1885 aveva già vinto per lui la causa nel processo che lo opponeva al suo editore per i diritti di proprietà di Un mâle, ed è condannato ad un'ammenda che non gli sarà tuttavia mai reclamata. Vengono quindi dati alle stampe i racconti intitolati Ceux de la glèbe (1889) e Les joujoux parlants (1892), e la raccolta di novelle Dames de volupté (1892). Nel 1891 la pièce in quattro atti Un mâle è allestita a Parigi. Nel 1892 è altresì pubblicato il romanzo sociale più caro (con Happe-Chair) allo stesso Lemonnier, La fin des bourgeois, che alcuni ritengono il suo ultimo di ispirazione naturalistica. Esso muove dai ricordi reali dell'autore visti attraverso lo specchio della memoria immaginativa. Nelle sue pagine, Lemonnier, riabilitando il personaggio dell'adultera Ghislaine in un fitto sistema di confronti, presenta le differenti tipologie femminili sulle quali ritornerà poi nel seguito della sua produzione, affiancando alla riflessione sulla donna quella sulla borghesia. Nel 1893 Edmond Picard deve nuovamente difendere Camille Lemonnier, perseguito per L'homme qui tue les femmes, novella in sintonia col movimento antiborghese ispirata ai misfatti di Jack lo Squartatore, già pubblicata in Dames e volupté e sul Gil Blas, nella quale è rappresentato un mondo che si sgretola e trova nella rovina la sua norma. Nella lettera al giudice, Lemonnier parla di due coscienze: quella personale di ciascuno e quella cui nella quotidianità l'individuo si adegua; nel corso del processo, seguito con fervore, il pubblico applaude Lemonnier. È l'occasione per ribadire il conflitto generato dal benessere della borghesia, rappresentata scatologicamente per dimostrare positivisticamente l'uguaglianza dal basso di tutti gli uomini. Se in ambito operaio la fisicità è vitalità e fecondità, in ambito borghese essa è vista come decadenza e sterilità. Il corpo del borghese è in sé sottoposto a violenza poiché trae le sue malattie (per esempio artrosi, cardiopatia, gotta) dal suo trasudar benessere (ad esempio per troppa alimentazione, per assenza di moto), e per scongiurarle viene bloccato eliminando l'emozione e il buon vivere quotidiano. La morale che Lemonnier mette in scena non è di etichetta, ma di ricerca dell'uomo in se stesso: i suoi personaggi sono insieme studi e denunce di una situazione di degenerazione, e il topos della donna isterica è simbolo di un intero mondo isterico: la situazione ha però ancora possibilità di riparazione, laddove per Zola è già inesorabilmente iniziata la decomposizione sociale. Nello stesso anno di Happe-Chair escono Claudine Lamour, Paroles pour Georges Eekhoud, Le bestiaire. Tra il 1894 ed il 1901 Lemonnier pubblica a ritmo sostenuto racconti, novelle e romanzi. Tra essi, La faute de Madame 11 Charvet (1895), L'homme en amour (1897, romanzo che gli costa un terzo processo da cui esce assolto), La petite femme de la mer e Une femme (1898). Se in L'homme en amour rientra la questione della razza associata alla crisi d'identità del cittadino belga, venendo molto più ricercato e valorizzato il carattere della razza fiamminga piuttosto che di quella vallone, nelle restanti opere si nota il proseguire dell'indagine dell'autore sulla donna. Ne La faute de Madame Charvet l'autore, giustificando l'adulterio della protagonista in quanto sposata ad un uomo noioso e non liberamente scelto, accusa il matrimonio borghese, alienante per l'essere umano (che in esso trova l'infelicità) e in particolare per la donna, poiché le preclude ogni orizzonte al di là dell'essere moglie e madre. Con opere come Adam et Ève (1899) Au coeur frais de la forêt (1900) e Le vent dans les moulins (1901), Lemonnier si scosta dal naturalismo per abbracciare il naturismo: quasi riprendendo l'argomentazione di Rousseau, l'uomo, che è uscito dalla natura, deve essere ricondotto ad essa; anche nella realizzazione, però, di contesti naturali incorrotti e idilliaci, permane in Lemonnier la visione pessimistica sull'uomo (il dubbio sull'identità umana, il dubbio intorno alla donna, che provoca nell'uomo istinti primordiali ma segue le convenienze sociali), alla quale si aggiunge una visione panteistica in cui l'uomo ha un primario senso di solitudine, e volontà di vivere nella foresta per ritrovare, capire se stesso (il che riconduce a Un mâle). Nel 1902 vede la luce, dopo annosa meditazione, Les deux consciences, romanzo autobiografico ispirato dalle persecuzioni legali trascorse, che avrà una sorta di replica nell'autobiografia Une vie d'écrivain (1911). Ne Les deux consciences Lemonnier, sotto lo pseudonimo di Joris Wildman, affronta la questione del processo, spiegando la sua opera e le sue ragioni, ricollegandosi nello stile letterario alla ricchezza di dettagli e alla forza espressiva della pittura di Rubens, affidando la narrazione ad una voce onnisciente. Singolarmente – rispetto al canone delle ultime opere di Lemonnier, nel quale i protagonisti, cercando di essere se stessi, vengono traditi dalla società e sono dunque necessariamente immolati – il protagonista, uomo di quel mondo di eccesso borghese di cui sopra, è sostenuto da tutti i personaggi collaterali che ad esso convergono per completarlo, e non per contrastarlo (ad eccezione della moglie, figura demoniaca che non trova in lui corrispondenza morale, e del giudice, anch'egli moralmente conformato), cosicché il punto di vista non cambia mai (anche quando viene riportata una critica giornalistica fittizia che altro non fa se non confermare il valore di Wildman-Lemonnier). L'assoluzione dall'accusa di immoralità porta Wildman al suicidio, poiché egli non può accettare la pseudoapprovazione tributatagli, priva di effettiva incidenza sul vivere di chi ad essa si conforma; testimoni del suo messaggio resteranno i suoi libri. Nel 1903, anno de Le petit homme de Dieu, di Comme va le ruisseau e di Poupées d'amour, la pubblicazione del cinquantesimo volume di Lemonnier è 12 celebrata con manifestazioni ufficiali, numeri speciali di riviste e conferenze di Edmond Picard. Di chiara ispirazione regionalista (Janine DelcourtAngélique), Le petit homme de Dieu è una ricreazione, nella figura di un buon uomo di campagna che in una processione interpreta la parte di Gesù, del Cristo stesso che si immola in terra, in una visione che, ponendo in primo piano il concetto di immolazione, è sia laica sia religiosa. Il discorso religioso è affrontato in modo più drastico e ricco in Épiphanie: l'uomo ha in sé qualcosa che è primordiale e divino, e si deve liberare dall'idea della religione comunemente intesa, che è al di fuori di lui ed è meno importante di quella innata. Questa argomentazione propone dunque una nuova religione vivificante, basata sul rifiuto del dolore e sull'essere se stessi, che va a scontrarsi con la religione normativa della Chiesa. Dissacrante, Épiphanie indica come divinità da rispettare Pan, un dio fallico, chiassoso, selvaggio, allegro, terreno: se il divino è nell'uomo, il terreno non potrebbe non essere nella divinità. Nel 1904-1905, benché continui a scrivere opere narrative e teatrali, Lemonnier torna alla critica d'arte con, tra l'altro, un saggio intitolato Constantin Meunier, sculpteur et peintre (1904). Tra il 1906 ed il 1908, oltre a saggi su Alfred Stevens e sulla scuola pittorica belga, scrive Le droit au bonheur, pièce in due atti che viene allestita a Parigi nel 1907; pubblica inoltre Félicien Rops, l'homme et l'artiste, ed espone undici delle proprie tele al Salon des Écrivains-Peintres a Bruxelles (1908). Dal 1909 al 1913 pubblica ancora alcuni testi, tra i quali la tragedia lirica Édénie (1912) e, soprattutto, l'autobiografia sopra citata, Une vie d'écrivain. In essa, Lemonnier si presenta forte di una grandissima spontaneità, la quale gli permette di vivere la propria vita, proprietà ereditata dalla madre (prematuramente scomparsa, praticamente non conosciuta), di razza fiamminga. L'importanza della razza, che porta in sé caratteri innati, è ancora una volta fondamentale per la comprensione dell'opera: la famiglia di Lemonnier è francofona, ma ha atmosfera, usi e situazioni tipicamente fiamminghi, cosicché i libri scritti in francese da Camille sono sempre stati pensati alla maniera fiamminga (da cui anche i caratteristici neologismi, i costrutti fiammingheggianti). Se il vallone è rigido e calcolatore, il fiammingo ha vita umile e vicina al focolare, e sa variare dal violento al sensuale. Se i borghesi valloni sono soli e isolati, quelli fiamminghi rimagono sempre nel popolo. L'entusiasmo di Lemonnier, esplosione innata di scrivere, sang littéraire, è di nuovo avvicinato alla sensualità ed al misticismo ispirati da Rubens. La religione e le sue feste non sono importanti per il loro dogmatismo, ma per il loro senso familiare, con cui si prelude ad un "paradiso fiammingo" che laicizza la religione stessa. I riferimenti mitologici presenti in Une vie d'écrivain (autoconfronto con Giasone, eroe del vello d'oro) hanno intenzione autocelebrativa, e il creatore del bracconiere Cachaprès si autodefinisce in qualche modo «più maschio del suo mâle». Forse per evitare 13 l'accusa di immodestia, Lemonnier parla nell'autobiografia in terza persona, delegando ad una voce esterna l'espressione di autogiudizi. Altro procedimento stilistico è la manifesta e costante distinzione tra Camille e Lemonnier intesi come personaggi separati, ma infine, non dichiaratamente, coincidenti. In conclusione, nell'autonomia tra autore, narratore e personaggio, Lemonnier dimostra la sua identità di scrittore come creatore di mondi paralleli liberi. Il 13 giugno 1913, in seguito ad una grave operazione, Camille Lemonnier muore a Bruxelles. L'anno seguente, il Théâtre de la Monnaie di Bruxelles allestisce Cachaprès, drame lyrique con musica di Casadesus tratto da Un mâle. Il naturalismo di Un mâle. Con Un mâle, Lemonnier si impose nella scuola naturalista, e Parigi schiuse le porte allo "Zola belge". Forte dell'ispirazione con ogni probabilità maturata in gioventù, nei tre anni (1869-1872) trascorsi nella campagna di Burnot in solitaria e libera comunione con la natura, Lemonnier vi palesa la propria adesione ad un'interpretazione meno materialista del naturalismo, espressa con un lirismo tardoromantico e aperta a componenti protosimboliste, con profondo interesse all'analisi psicologica dei personaggi. Ispirazione e, secondo l'argomentazione di Proust, non intenzione di "autobiografizzare", poiché un libro è un altro io rispetto a quello manifestato nella realtà dall'autore. Un mâle nasce come studio, ed il termine è di Lemonnier, che di studio parla nella dedica apposta alla prima edizione del romanzo: «Je dédie cette étude au Maître dont je place ici le nom et de qui je révère l'art hautain mélange d'Idéal et de Réel». Si tornerà fra breve sul dedicatario. Prima si vuole invece ricordare come Huysmans, in uno dei suoi articoli, faccia un tutt'uno dell'opera naturalista con uno studio, ovvero con una fredda analisi scientifica, e si vuole chiarire come Lemonnier superi tale posizione facendo suo il reclamo di critici come Vlinsi e Wihl, e quindi intersecando con l'orizzontalità dello studio la necessità di un'idea che trascenda il romanzo. Un misto, dunque, di realismo e di ideale, una via intermedia in parte spiegata dalle due diverse correnti a cui attinge Lemonnier, quella degli scrittori naturalisti, come appunto Huysmans, e quella degli scrittori regionalisti, come Léon Cladel (dedicatario, piuttosto diffidente riguardo a Zola, del primo romanzo di Lemonnier, Un coin de village). Ne consegue che lo studio di Lemonnier sia principalmente stilistico, e che il grande, caratteristico pezzo di bravura sia la descrizione lirica della natura, 14 piuttosto che una descrizione di un contesto o di una situazione sociale in maniera scientifica così come poteva essere praticata da Zola e alla quale Lemonnier si avvicinerà assai di più in un romanzo come L'Hystérique. Sulla base di queste precisazioni, si può tornare con rinnovata e superiore consapevolezza alla lettura ed all'analisi della dedica suddetta, che è tutto fuorché una cieca e impersonale adesione al naturalismo, comprendendo quanto significativo fosse stato riservarla a Barbey d'Aurevilly, ossequiando il cui nome si marcava una volontà di distinzione rispetto a Zola. Del resto, parole di Lemonnier, «Émile Zola n'est pas tout le naturalisme». Affinché, per comodità di analisi, si possa ritenere appresa la trama del romanzo ogni volta che ad essa si faccia anche indiretto riferimento, eccola riassunta di seguito (libera rielaborazione da Anne-Françoise Luc). Il bracconiere Cachaprès si innamora perdutamente e selvaggiamente della bella Germaine, figliastra del fattore Hulotte. La giovane, che in un primo tempo non aveva dimostrato attrazione, si lascia via via sedurre dalla forza e dalla rude spontaneità di questo "maschio" che la desidera, trascurando nel contempo partiti migliori. Grazie alla complicità della vecchia Cougnole, gli amanti sono liberi di incontrarsi e vivere la loro storia d'amore al riparo dalle indiscrezioni. Ma mentre Cachaprès si sente vieppiù dominato dalla sua passione, Germaine, stanca di questo amore clandestino e senza futuro, pensa di separarsi da lui prima che la sua relazione susciti uno scandalo, preferendo ad essa un'unione legittima, conforme alla morale. Nel momento in cui Hubert Hayot, figlio di un vicino fattore benestante, le mostra il suo interesse, Germaine decide di interrompere la relazione con il bracconiere. Cachaprès, istintivamente trascinato dalla gelosia, picchia il presunto rivale. Le responsabilità di Germaine balzano così d'un tratto agli occhi di tutto il paese, e sono causa della separazione improvvisa e definitiva tra gli Hayot e gli Hulotte. Quanto a Cachaprès, che esaspera gli abitanti delle campagne con i suoi fruttuosi bracconaggi vantandosene poi indecentemente in pubblico, attira contro di sé una cospirazione segreta. Mentre egli si arrischia appressandosi alla fattoria Hulotte per rivedere un'altra volta Germaine, viene atteso e sorpreso dalle guardie, che dopo un estenuante inseguimento lo feriscono con un colpo d'arma da fuoco. Muore nella foresta, vegliato dalla piccola Gadelette, la petite sauvageonne che lo aveva, mai ricambiata, amato ardentemente. Germaine, isolata dai compaesani e rifiutata da Hubert, si trova a vivere angosciosamente, tra rimorso e rimpianto, la gestazione del figlio suo e di Cachaprès. Un mâle fece la sua comparsa come roman en feuilleton sulle pagine del giornale L'Europe di Bruxelles dal 2 ottobre al 3 dicembre 1880, in vista di una successiva pubblicazione in volume. Questa, dopo lunghe e infruttuose trattative presso editori parigini (Lemerre in testa), si rivelò infine impossibile 15 in Francia, e Lemonnier dovette ripiegare sul connazionale Henry Kistemaeckers. Il motivo del rifiuto francese è da individuarsi in due evidenti cause. La prima è legata allo scetticismo ed al disinteresse con cui l'ambiente letterario francese considerava quello belga: problema antico e sempre attuale che si sarebbe attenuato solo a partire dalle relazioni intercorse con il pensiero simbolista. La seconda causa, di carattere stavolta non generale ma assolutamente particolare, consiste nello scandalo che il romanzo suscitò presso l'opinione pubblica già dalla sua apparizione en feuilleton, scandalo che non lasciava auspicare un apprezzabile successo editoriale. Scandalo dovuto alla complessiva liberalità di vedute e di intenzioni, espresse nel ritorno all'istinto, nel détérminisme du milieu e nel condizionamento per eredità (aspetti che, per la verità, non giocano in Un mâle un ruolo di primo piano), in un certo numero di scene brutali, negli amori animaleschi: tutti elementi considerati un attentato al comune, buon senso del pudore e del decoro sociale. Lo scandalo di Un mâle non compromise tuttavia giuridicamente Lemonnier (il quale fu invece perseguito dalla giustizia in tre successive occasioni, ciascuna delle quali dovuta ai contenuti di una sua opera: nel 1888, per L'enfant du crapaud; nel 1893, a Bruxelles, per L'homme qui tue les femmes; nel 1900, insieme a Georges Eekhoud, per L'homme en amour; alla base di questi processi la critica letteraria individua due ragioni: la prima è che molti autori sono costretti a scrivere all'ombra di uno Zola più che mai schiacciante nello spietato gioco di confronti dell'ambito letterario, e per imporre la loro personalità rafforzano dunque l'aspetto scandaloso del naturalismo, sino alla provocazione: sarà il caso di Lemonnier?; la seconda è che, non osando attaccare direttamente Zola, si infierisce sui suoi epigoni più deboli). Avvenne invece che, nel 1883, le autorità ufficiali ed accademiche preferirono non assegnare il prestigioso Prix quinquennal de littérature, piuttosto che attribuirlo al favoritissimo Lemonnier per il suo scandaloso romanzo, benché la di lui produzione letteraria fosse già rimarchevole sia per quantità sia per qualità (come curiosità, si ricorda che l'ambìto premio fu infine assegnato a Lemonnier nel 1888, ma non per un'opera narrativa d'invenzione, bensì per La Belgique, libro che è un'animata e pittoresca descrizione del suo paese, ovvero «une guide touristique» secondo Janine Delcourt-Angélique). In segno di protesta, molti giovani scrittori si radunarono – festosamente uniti nel segno della letteratura – a sostegno di Lemonnier, esprimendo il loro dissenso verso l'incomprensione di pubblico e critica nell'ambito del famoso banquet Lemonnier (27 maggio 1883), come lo definì da subito la dettagliatissima cronaca apparsa su La Jeune Belgique. Tra le decine di intervenuti (in mezzo ai quali erano Edmond Picard, Max Waller, Émile Verhaeren, Georges Eekhoud, Victor Arnould... Affettuosamente vicini 16 epistolarmente, figurano anche i nomi di Émile Zola e di Léon Cladel – che dice di bere «à Camille Lemonnier, l'honneur des lettres françaises en Belgique»), Georges Rodenbach assegnò a Lemonnier il titolo di "Maréchal des lettres belges": Lemonnier diventava in questo modo capofila dei giovani scrittori belgi. In ambito francese, mentre Alphonse Daudet esprimeva privatamente a Lemonnier il suo entusiasmo («Tous, nous vous attendons, Flaubert, Zola, Goncourt et moi: vous êtes des nôtres»), su Le Gaulois apparve l'articolo Autour d'un livre di Maupassant, nel quale viene analizzato Un mâle. Secondo Maupassant il valore del libro non è nella storia d'amore, comune, ma nell'ambiente selvaggio in cui essa si situa (e che rappresenta l'adesione materiale e totale alla natura, conduttrice e vincitrice delle sorti); tuttavia, sempre secondo Maupassant (che rileva la cosa come difetto), Un mâle non è un romanzo, ma un poema, poiché si avvicina all'epopea: in esso tutto è svolto sotto l'occhio non del romanziere moderno, ma del poeta. Maupassant si mostra infine pessimista (cogliendo nel segno) riguardo all'accoglienza che Un mâle deve attendersi presso il pubblico, poiché quest'ultimo vuole una letteratura socialmente ipocrita. Un mâle e Cachaprès: dal roman al drame lyrique. Francis Casadesus. Cenni biografici. Francis (François-Louis) Casadesus nasce a Parigi il 2 dicembre 1870, figlio del violinista Luis Casadesus e di Matilde Sénéchal, e muore il 27 giugno 1954 a Suresnes, presso la città natale. Enfant prodige, a dodici anni è già violinista nell'orchestra del Théâtre des Nations. Per insegnanti ha musicisti prestigiosi come Alfred Lavignac (che gli affida la stesura degli esempi musicali del suo Traité d'harmonie) e César Franck. Comincia la sua brillante carriera come direttore d'orchestra nel 1890 all'Opéra di Parigi e all'Opéra Comique. Nel 1898 dà alla luce una delle sue più celebrate composizioni, Le ballet des fleurs, eseguita centocinquanta volte consecutive al teatro "L'Olympia". Dal 1907 al 1914 collabora con la rivista L'Aurore, in qualità di critico musicale, intraprendendo nel contempo numerose tournées, anche in Russia. Nel 1914, a Bruxelles, dà alle scene il suo primo drame lyrique, Cachaprès, su testo di Lemonnier (nel frattempo scomparso). 17 Durante la prima Guerra Mondiale (1916), fonda la rivista intitolata La musique, mediante la quale fa opera di sensibilizzazione alla diffusione della pratica corale tra le classi popolari e sottopone all'attenzione del pubblico cinquantadue opere di musicisti esiliati, prigionieri o assassinati durante il conflitto. Nel 1921 fonda il Conservatorio americano di Fontainebleau e ne assume la direzione. Conduce trasmissioni alla radio. Nel 1935 è direttore artistico delle "Fêtes du peuple", rassegna fondata da Doyen. Nel 1942 è vicepresidente della SACEM (Société des Auteurs, Compositeurs et Éditeurs de Musique). È autore di molte composizioni musicali, delle quali la migliore è ritenuta La chanson de Paris, pièce lyrique su testo di Raoul Charbonnel (Parigi, 1924). Pochi anni prima della morte, il suo ottantaquattresimo compleanno è onorato con un concerto al quale prendono parte venticinque membri della sua famiglia, e del quale la stampa tratta ampiamente (Parigi, 1951). Codificatore della storia della famiglia Casadesus, nell'omonimo libro inedito, è il figlio Jules-Raphaîl, giornalista e scrittore, nato dal matrimonio di Francis Casadesus con Eugénie Vaux. Un mâle e Cachaprès: dal roman al drame lyrique. Una premessa necessaria. La morte di Lemonnier, avvenuta il 13 giugno 1913, precede di soli otto mesi, e scarsi, la prima rappresentazione di Cachaprès, il drame lyrique tratto – con alcune varianti – da Un mâle, e andato in scena per la prima volta al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles il 2 febbraio 1914. Data la scarsità di informazioni in merito, non appare chiaro in quale misura Lemonnier abbia potuto prendere effettivamente parte alla realizzazione di questo suo estremo lavoro. Certuni potrebbero addirittura credere che il dramma lirico sia solo ispirato al romanzo dello scrittore belga, come omaggio postumo al "Maréchal des lettres belges", il quale figurerebbe altresì, sempre in omaggio, come coautore del libretto (in realtà redatto dal solo Henri Cain). Nella coscienza, tuttavia, dell'improbabilità che in soli otto mesi, con intento commemorativo e celebrativo della scomparsa di Lemonnier, si sia potuto provvedere a prendere le prime iniziative, redigere il libretto e comporre la partitura, dare alle stampe il tutto, scritturare gli interpreti, inserire il titolo nel cartellone della Monnaie (la cui stagione doveva essere già stata pubblicata), eseguire le prove necessarie ed infine andare in scena, si è preferito qui – verosimilmente – procedere ritenendo a priori che il lavoro sia nato da un'effettiva coordinazione a tre fra Lemonnier, il compositore Casadesus e il librettista Cain, e che il decesso dell'autore di Un 18 mâle non abbia inciso in maniera determinante sulla gestazione già avanzata dell'opera. La trasposizione dal romanzo al dramma lirico della quale fu soggetto Un mâle trentatré anni dopo la sua pubblicazione è caso singolare per svariati motivi. Non si deve tralasciare innanzitutto la stessa, particolarissima evenienza della trasposizione di una vicenda dal romanzo alla pièce teatrale, e anzi addirittura all'opera lirica, e tutto per le cure del medesimo autore del testo verbale – Lemonnier, appunto – laddove si ricordi che veicolo assolutamente privilegiato del pensiero naturalista era il romanzo, e che, tra le insidie maggiori che il naturalismo aveva dovuto affrontare, c'era il dilagante wagnerismo, che anteponeva ad ogni espressione artistica la rappresentazione teatrale (a partire dal 1885 circa, tuttavia, anche la produzione naturalistica si era fatta ormai prevalentemente teatrale). Ma la parabola del naturalismo, nel secondo decennio del '900, era già da tempo volta al termine, e nel naturale evolvere dei suoi principali esponenti verso tendenze simbolistiche o verso approfondimenti affatto personali e non più codificabili nell'ambito di una coordinata scuola di pensiero, si poteva lasciare una delle sue più emblematiche espressioni letterarie, Un mâle, alla fruizione non più specialistica dello studioso o appassionata del lettore, ma a quella del pubblico d'opera, che in quel periodo si cibava di soggetti attinti da ogni filone culturale per le più varie cure musicali, e per la verità faceva assai facilmente di tutta l'erba un fascio, senza avervi grande capacità (prima ancora, volontà) di discernimento. Non c'era più ragione di avere, inoltre, timore di scandali. La pièce teatrale tratta da Un mâle aveva già incontrato un ottimo successo, e le scene liriche, almeno a partire dalla Thaïs Massenet (del 1894, opera che era passata assolutamente indenne all'Opéra di Parigi nonostante l'audacissimo soggetto), non temevano più alcun genere di provocazione. Certo la trasposizione al dramma lirico deve essere costata un radicale riconcepimento di Un mâle. Alla base di tutto, c'è la sostanziale differenza di conduzione di un'opera letteraria tra i due opposti poli rappresentati da una parte dalle descrizioni-narrazioni del romanzo, dall'altra dai dialoghi del libretto d'opera. Nel romanzo, Lemonnier preferisce esplicitare molte informazioni, senza lasciare al lettore il compito di intuirle da sé: per esempio, è detto molto chiaramente che il padre di Germaine non avrebbe mai tollerato la relazione della figlia adottiva con Cachaprès. Diversamente, nel dramma lirico la voce narrante è di per sé assente, ed ogni informazione si può desumere solo da quanto detto o fatto in scena dai personaggi; la didascalia non realizzata scenicamente non ha ragione d'esistere. Nel dramma l'autore deve costantemente affidarsi all'intuizione sensibile dello spettatore (e non più del 19 lettore), e deve sempre tener conto delle sue condizioni di possibilità di comprensione. La collaborazione di Henri Cain Per la redazione del libretto d'opera si rese dunque opportuna la collaborazione di una seconda persona, Henri Cain, librettista esperto d'ogni convenzione che si dovesse rispettare nell'ambito del mondo teatrale e musicale francese, vale a dire il più accademico e conservatore di sempre. Dopo il 1910, il curriculum di Henri Cain era già ricco di numerosi lavori, prodotti anche a quattro mani con altri (era tradizione squisitamente francese che i testi d'opera fossero redatti nell'ambito della collaborazione fra due librettisti, di modo che il lavoro procedesse di giorno in giorno perfezionato in una serrata autocritica di coppia, e soprattutto con maggior velocità, onde appagare l'insaziabile consumismo musicale vigente, prevalentemente parigino), soprattutto nel corso dell'intensa collaborazione intrattenuta con l'anziano (nonché sempre esigente e selettivo) Jules Massenet, al quale egli fornì i libretti degli estremi capolavori musicali (Sapho, 1897; La Navarraise, 1894, lavoro di evidentissima matrice naturalistica; Cendrillon, 1899; il balletto La Cigale, 1904; Chérubin, 1905; Don Quichotte, 1910; Roma, 1912). Non casualmente assortito deve essere inteso il binomio Cain-Casadesus, dal momento che la dedica apposta sullo spartito dal compositore è indirizzata a Julia Guiraudon, celebre soprano favorito da Massenet e... impalmato da Cain (per inciso, la Guiraudon non interpretò mai, come alcuni potrebbero presumere, la parte di Germaine in Cachaprès), fatto che palesa una familiarità consolidata. Sullo spartito e sul libretto dell'opera non compare invece, differentemente dal romanzo, alcuna dedica (o introduzione, o appunto) dovuta alla penna di Lemonnier. La commissione di Cachaprès Si deve prendere infine in considerazione la genesi dell'opera a partire dalla prospettiva dell'ente commissionante, il Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles, vale a dire quello che era allora e tuttora resta il primo teatro lirico del Belgio fiammingo (allora e tuttora in aperta concorrenza con l'Opéra Royale de Wallonie di Liegi). Le circostanze nelle quali avvenne la 20 commissione e secondo le quali si mossero Lemonnier, il collaboratore Cain e il compositore Casadesus non ci sono note, né ci risultano essere stati prodotti studi – anche minimi – che possano intervenire in nostro aiuto. Attribuire l'origine della trasposizione dal romanzo al dramma lirico al fatto che la pièce teatrale rappresentata nel 1888 al Théâtre du Parc avesse incontrato un lusinghiero successo di pubblico (ripetutosi nel 1891 a Parigi), e che ci si fosse proposti di replicare detto successo con un nuovo lavoro sullo stesso soggetto, il quale lavoro sfruttasse la forza dell'onda prima che giungesse la risacca, è semplicistico e non tiene debitamente conto del fatto che tra la pièce teatrale e il dramma lirico intercorrono ben ventisei anni, nel corso dei quali si assiste almeno all'apice ed al successivo declino del naturalismo, al diffondersi del naturismo e all'affermarsi del simbolismo; ventisei anni attraverso i quali pare assai improbabile che la pièce avesse potuto mantenere continuativamente inalterato non solo il suo successo, ma anche il ricordo vivo del suo successo. Non si può invece negare che Lemonnier, nella sua spontanea evoluzione sotto influenze naturistiche verso un panteismo utopico, confermasse paradossalmente quanto remotamente fossero radicate le sue tendenze profonde, quanto logicamente fossero radunate in un solo abbraccio della mente le sue opere tanto tra loro diversificate o addirittura disomogenee (per caratteristiche dottrinali, strutturali, formali), quanto la sua ricerca e autonomia stilistica lo preservasse in parte dalla crisi del naturalismo, di modo che Un mâle si trovava a svelare, di pensiero in pensiero, di corrente in corrente, forme e contenuti di eclatante attualità. Nondimeno, né l'ambito letterario né quello musicologico attuali hanno per ora, si ribadisce, prodotto o recuperato documenti che possano ricostruire un dettagliato diario intorno alla genesi di Cachaprès, il che non deve stupire, una volta preso atto dell'esiguità di materiale disponibile riguardo a Lemonnier e a Casadesus in generale. Molte informazioni si possono però trarre con una certa sicurezza direttamente dallo spartito scrupolosamente pubblicato dall'editore Max Eschig di Parigi, probabilmente in concomitanza con la prima rappresentazione assoluta (2 febbraio 1914). Lo spartito infatti tace la data di pubblicazione (dato che si usava omettere, del resto, in quasi tutte le edizioni musicali coeve: le edizioni erano datate in sé, in base alla prima rappresentazione del titolo, e immatricolate in base al numero di lastra tipografica), ma specifica che i diritti d'autore erano stati acquistati dall'editore parigino già nel 1913, almeno un mese (e due giorni) prima, dunque, della creazione scenica del lavoro. Un acquisto a scatola chiusa, avvenuto probabilmente in ossequio alla fama di Lemonnier, più che a quella emergente di Casadesus, e basato sulla presunta opportunità di un simile investimento, creduto vantaggioso in vista di 21 quell'auspicata popolarità, di cui poi il titolo non godette mai. In tal senso, lo spartito riporta addirittura indicazioni in alfabeto cirillico, non escludendo che il prodotto fosse potenzialmente destinato anche al mercato dell'Est europeo. Per inciso, alla luce del fatto che l'arte, letteraria o musicale che sia, si affrancò dallo schema relazionale e sociale padrone-servo solo per consegnarsi di lì a poco alle regole del mondo dell'editoria (leggi: il valore dell'artista, non più legato ad un mecenate, consiste nelle capacità e nell'influenza del suo editore, che ne è a tutti gli effetti l'agente), si dovrebbe anche essere indotti a ritenere che alla lusinghiera scrittura presso il massimo teatro fiammingo non parte irrilevante debba avervi esercitato l'influenza della Max Eschig (il che, una volta dimostrato, farebbe riflettere, una volta in più, sulle condizioni di asservimento culturale alla Francia nelle quali il Belgio versava; il Théâtre Royal de la Monnaie non ha mai fatto la fortuna – né ne è mai stato l'oggetto, in un impossibile rapporto di vantaggiosa reciprocità – delle ininfluenti case editrici musicali belghe; contesto in cui le case editrici musicali francesi hanno con estrema facilità potuto esercitare uno schiacciante monopolio). Per quanto riguarda gli interpreti di Cachaprès (cioè i creatori, dal momento che l'opera pare non essere mai stata ripresa dopo la "prima"), duole dover riferire che nessuno dei nomi indicati sullo spartito ha meritato memoria nell'attualità. Un'analisi drammaturgica e musicale di Cachaprès - Drame lyrique en trois actes et cinq tableaux. Il prélude del primo tableau del primo atto, Le lever du jour sur le verger, è in sé un piccolo poema sinfonico. Egualmente piccoli poemi sinfonici sono i successivi brani del prélude del secondo atto, La forêt, e de La poursuite, l'interlude che conclude il primo tableau del terzo, sui quali ci si soffermerà in seguito. Le lever du jour sur le verger è duplice pezzo di bravura nell'intesa tra Lemonnier e Casadesus; il grande disegno della nascita del dì, che già apriva il romanzo e sintetizzava mirabilmente, dimostrandola, l'abilità e la vocazione descrittiva di Lemonnier, è arricchito di descrizione da Casadesus, il quale ricorre ad ogni esperienza musicale conosciuta onde esibire la maggior varietà possibile di colori, effetti, accenti. Della scuola compositiva francese dell'Ottocento e del primo Novecento vi partecipano infatti almeno, con una certa evidenza, Claude Debussy (il genio del simbolismo musicale) nelle contorte sequenze cromatiche iniziali, e Berlioz (il principe degli orchestratori romantici) nell'esaltato (ed esaltante) risolversi della prima, sommessa 22 introduzione nel tripudio di un quadro musicale che prevede il coro fuori scena ad imitare (o meglio, evocare), con grandioso dispiegamento sonoro (le parti vocali raggiungono anche il numero di cinque contemporaneamente), il canto degli uccelli, secondo un'intenzione di sineddoche che significa il canto dell'intero creato (nello spartito, in nota, si legge: «Tous les choeurs... ne doivent pas dépasser la puissance orchestrale; ils font partie de l'orchestre à l'égal d'un groupe instrumental. Ils ajoutent mystère de leurs voix à celui de la poésie ambiante du site; ils sont l'atmosphère du décor, puis l'âme chantante des êtres et des choses»); in maniera simile Berlioz, nel terzo atto dei suoi Troyens, aveva descritto la chasse royale di Didon ed Énée, esaltante annullamento dello spirito nelle suggestioni della natura. Se Berlioz e Debussy sono rievocati, in talune ricerche timbriche e accordali viene addirittura anticipato Poulenc. Caratteristico ed esigente di nota il fatto che il ricchissimo apparato didascalico apposto da Lemonnier all'inizio del primo atto segua battuta per battuta la musica; o meglio, che la musica realizzi battuta per battuta le fitte richieste di descrizione della natura apposte da Lemonnier. Esemplificazione della realizzazione musicale delle voci della natura, nel preludio del primo atto. «Tous les choeurs... ne doivent pas dépasser la puissance orchestrale; ils font partie de l'orchestre à l'égal d'un groupe instrumental. Ils ajoutent mystère de leurs voix à celui de la poésie ambiante du site; ils sont l'atmosphère du décor, puis l'âme chantante des êtres et des choses» (Camille Lemonnier) La naturale evoluzione del brano musicale in funzione della trama del dramma porta il tutto a concludersi indistintamente alle porte della fattoria degli Hulotte, dove un fenomeno sonoro particolare fa emergere dal golfo mistico (anzi, fa uscire dalle quinte, come in didascalia) un'informazione in più rispetto a quanto aveva previsto Lemonnier nel momento parallelo del 23 romanzo: si tratta di quattro rintocchi di campana, strumento che ha in sé una semantica che va al di là del puro fatto estetico sonoro, comunicando un dato ulteriore ben preciso: l'ora dell'evento del sorgere del sole, le quattro del mattino. È, in un certo senso, un'evidente "punta d'iceberg" nell'osmosi che, nella comune cornice dell'alba, intercorre tra il mondo di Cachaprès e quello di Germaine, con i relativi modi di percepire e quantificare il tempo, che per Cachaprès è il naturale avvicendarsi – perenne arsi e tesi – del dì e della notte, mentre per Germaine è il riferirsi frequente alle più civili lancette dell'orologio. Il trapasso graduale nel cuore della vicenda vuole che la natura canti ancora nelle prime battute di Germaine, che si ode intonare tra sé e sé, dalla finestra della camera, un canto imitativo di quello di un uccellino («L'oiseau de branche en branche / Vole, chante et rit»), giusto compromesso tra la novità di inserzioni autenticamente naturali, dalle anomali configurazioni ritmiche, e l'omaggio all'effettistica vocalità sopranile liberty allora in voga. Germaine si esprime infatti qui attraverso un'adamantina voce di soprano leggero, con occasionali discese ad estreme note basse (facoltative) onde poter esprimere gli aspetti sensuali del personaggio, aspetti sensuali che suonerebbero poco naturali in tessiture canore elevate; si tornerà regolarmente a parlare dell'attribuzione di determinate caratteristiche vocali di colore, registro, tessitura e figurazione melodica ai singoli personaggi, poiché tali caratteristiche, nella tradizione musicale lirica, non sono mai affidate al caso, ma seguono un implicito sistema normativo antico quanto lo stesso canto monodico, che nella necessaria evoluzione di gusto e sensibilità lascia sempre trapelare la logica delle sue regole (regole le cui significanti si cercherà, ovviamente, di sciogliere in questa sede). «Mon coeur est un oiseau / Qui jamais ne connaîtra la cage» conclude infine (significativamente...), nel canto, Germaine, e a farle eco è finalmente (altrettanto significativamente) Cachaprès: «Gare à l'oiseleur, la belle!». Il bracconiere sulla scena era presente già al levare del sipario, e il pubblico aveva già potuto contemplare il risveglio del maschio in questione: «Une bête s'évellait en lui, feroce et douce», indica la didascalia apposta sopra il motivo pesant et retenu che descrive il brano, con vistoso contrasto col canto borghese di Germaine. Al protagonista maschile dell'opera è assegnata una voce di baritono, intesa nel senso francese e non belcantistico del termine, che la vuole scura e meno sfogata in acuto rispetto alla tradizione italiana; la più tradizionale scelta del tenore nella parte dell'amoroso è stata scartata evidentemente per venire incontro alla rappresentazione di selvaggia brutalità che la parte deve esprimere, senza che vada persa la morbida cantabilità dei momenti più distesi. Il dialogo del primo incontro tra i due amanti prosegue su una versificazione incerta, talvolta dispersiva e ingenua (infelici e non proprio verosimili, in bocca al sanguigno Cachaprès, le esclamazione «Viens!... c'est le printemps, et 24 c'est l'amour!...» e «Je te passerai l'anneau au doigt, un bel anneau d'ombre et de soleil», per esempio), a dimostrare come l'atmosfera di una situazione similare proceda magnificamente nella descrizione del romanzo e nella franca sua dialogicità originale (quanta forza e quanto diretta, nel primo schietto dialogo di Un mâle!), e avvilisca, invece, in un odore di irresoluzione e di inverosimiglianza quando la si voglia tradurre in un dialogo artificioso e convenzionale. La sinteticità che il dramma lirico esige, impone tra l'altro che la passione divampi già da questa prima scena, e che i due protagonisti si trovino dunque sin da subito a duettare amorosamente, calati in un contesto idilliaco, con soluzioni non sempre logiche perché, appunto precipitose e premature. A soccorrere la debolezza del quadro – e regolarmente ciò avverrà sino alla fine del dramma in scene analoghe – è il mestiere di Casadesus, che apre, ovunque possibile, passi strumentali brevi ed efficaci: alla maniera romantica, la musica giunge opportuna per esprimere ciò che le parole non riescono a dire. Il primo tableau, visione onirica e solare, sorta di fulmineo prologo, riceve un'ideale sigla musicale e drammatica nella finale reimmersione complessiva nei rumori del contesto circostante, della scena oltre i due amanti: ricomincia la vita fra gli abitanti della campagna, il coro invade finalmente il palcoscenico tra canti e risa. Il tripudio orchestrale, arricchito dalla presenza delle trombe (strumenti eroici per eccellenza e non privi di significati extramusicali: nell'opera barocca i loro squilli annunciavano l'ingresso di una divinità olimpica in scena, e alla corte di Versailles erano la "colonna sonora" della regalità di Luigi XIV, il Re Sole), indica «l'ascension triomphale du jour», mentre in solitaria, distaccata e sognante intimità Germaine mormora il nome del bracconiere. La tradizione operistica prevede la presenza, all'incirca a metà dello spettacolo, di una grande scena di massa, di tono festoso e/o solenne. Tale tradizione era particolarmente sentita in ambito francese, dove questa grande scena accoglieva il grande divertissement danzante, momento irrinunciabile e culminante; si verifichi questa affermazione con l'ascolto della messe di lavori che si colloca su un arco teso dal XVII al XX secolo, attraverso compositori come Lully, Rameau, Gluck, Rossini, Meyerbeer, Donizetti, Verdi, Gounod (la kermesse del Faust), Massenet: per non citarne che gli essenziali. Il secondo tableau del primo atto è tardo esempio di questa tradizione. Il quadro reca il titolo La Ducasse. Un titolo che definisce una circostanza, un'atmosfera e un luogo ben precisi, e che è espresso mediante un termine immediatamente riconducibile alla ricerca stilistica di Lemonnier. Se infatti in Un mâle, parlando della festa del patrono, si impiega più volte il termine kermesse, in Cachaprès Lemonnier, quasi a voler riaffermare con nuovo e più marcato vigore i caratteri della propria identità nazionale, ricorre alla forma ducasse, con la quale si designa la festa patronale di contesto più spiccatamente 25 campagnolo e fiammingo. Singolare, questa scelta terminologica, soprattutto perché le vicende di Cachaprès si ambientano, esplicitamente nel romanzo e intuibilmente del dramma lirico, in Vallonia, e non nelle Fiandre. L'accademismo coreografico del balletto, ancorato più all'uso di Parigi che a quello di Bruxelles, viene eliminato, o meglio riassorbito fin nelle prime battute del tableau: importante non è assistere al balletto, ma cogliere il senso di grosse gaité populaire (come da didascalia) espresso attraverso la danza. Non ci sono dunque danzatori in scena (intesi come corpo di ballo), ma è sempre musica da danza a far da tappeto sonoro al procedere dell'azione. Il Tempo di Polka che fa da ossessivo leitmotiv al tableau della ducasse. Il sipario si apre su un tempo di Polka che sarà ossessivo leitmotiv sino alla fine del quadro. A suonarlo è la banda di palcoscenico: come per la canzoncina di Germaine nel primo atto, si tratta di un caso di musica nella musica. Là, però, si era di fronte ad una canzone che imitava il canto di un uccellino, anelando quindi ad annullarsi nella natura in quanto voce della natura stessa; qui si è di fronte ad un movimento di danza che segue ritmie convenzionali umane, e che dunque afferma il trapasso al contesto civile. Un contesto civile che è compiutamente realizzato, oltre che nell'adozione della danza come base musicale, nel brouhaha, nell'asciuttezza realistica del parlato corale (cioè della parola non musicalmente intonata), chiassoso chiacchierio di gente che parla di cibo e ne richiede per sé. Una rappresentazione dionisiaca, edonistica, carnale, un umano paradosso in cui la religiosità della festa diventa la festa dei sensi. In questo contesto agiscono Cachaprès e Germaine, della cui relazione si assiste all'evolvere, e nuovi personaggi di un certo rilievo, tutti, coi dovuti adattamenti, comuni al romanzo: Hubert Hayot, Cougnole e Gadelette. Numerose situazioni disseminate nel romanzo sono state infatti, per obbligo di sinteticità, concentrate in questo secondo quadro assai fitto d'azione (soprattutto rispetto al primo, statico in quanto idilliaco). Convenienza teatrale vuole, insomma, che Cachaprès, nell'incontro del primo tableau, presso la 26 fattoria, avesse dato appuntamento a Germaine onde rivedersi alla ducasse, e che alla festa intervenissero, oltre i due protagonisti, l'antagonista Hubert (il giovane invaghito di Germaine), la vecchia Cougnole (che viene portata in scena a questo punto col pretesto di farle chiedere l'elemosina presso i giocatori), e Gadelette (che con l'esclusione dei relativi genitori dalla distribution del dramma non è più la petite aux Ducs, ma è figlia trovatella della stessa Cougnole). Numerose considerazioni si affollano nel pensiero di chi analizza questo tableau. Il personaggio di Cachaprès riceve nella prima parte del quadro caratterizzazioni che lo distinguono vistosamente dal romanzo, e che possono destare perplessità: il suo stesso apparire in scena, «un rameau de pommier fleuri à la boutonnière, en habit de Dimanche», tra le esclamazioni festose e accoglienti dei bevitori, non è dei più credibili, così come il suo successivo vantarsi «braconnier d'amour» è fine a sé stesso, e il suo intonare una histoire des gens des bois pare gratuita concessione ad un inutile pezzo chiuso solistico. Ridondano dunque, più che altro, particolari ininfluenti e drammaticamente irrelati, fini a sé stessi. Una certa importanza riveste invece lo scontro verbale con Bastogne, la guardia forestale, il quale, provocato e umiliato da Cachaprès (che si vanta spudoratamente dei suoi bracconaggi), esce assicurando vendetta (ponendo sul fosco finale anche una motivazione di carattere privato). Il protagonista torna credibilmente vitale nella seconda parte del quadro, nella lunga scena di dialogo con Germaine. Un dialogo di grande varietà contenutistica ed espressiva, nel quale si delineano le differenze caratteriali dei due amanti, l'uno coinvolto passionalmente con tutto se stesso, l'altra dubbiosa, incuriosita dalla virilità di Cachaprès e forse anche dal senso di trasgressione che lo circonda, ma non ancora appassionata, anzi volubilmente e manifestamente sospesa tra il bracconiere ed un secondo, socialmente più appetibile partito, il giovane Hubert Hayot. Ad Hubert è assegnata, nel dramma lirico, una voce di tenore, certo chiara ed esangue come nell'accezione francese del periodo: la voce dell'amoroso puro, la voce che poco si sarebbe prestata a veicolare le parole, lo spirito del bracconiere; una voce di tenore che eccezionalmente viene posta in bocca all'antagonista. Il personaggio di Hubert si esaurisce qui: giustamente, poiché l'opera pone talmente in primo piano i personaggi di Cachaprès e di Germaine da non ammettere ulteriori compresenze di pari rilievo, ma solo le figure che si rendessero via via necessarie allo svolgimento del dramma o in quanto evocative (è il caso di Hubert, insipido rappresentante della convenzionale medietas borghese, il buon partito che Hulotte auspicherebbe per la figlia) o in quanto caratteriste. Caratterista è il personaggio della vecchia Cougnole, la mezzana complice dei clandestini incontri amorosi dei protagonisti, realizzato con mezzi espressivi e musicali grotteschi, dall'assegnazione di un'esausta voce contraltile (nel primo Novecento la vocalità di contralto era estinta e, laddove di individuino tessiture vocali molto gravi affidate a donne, è da 27 riconoscersi un obiettivo caricaturale che simuli, nel forzato artificio canoro, gli sforzi della vecchiaia) all'ansimante, costante frazionamento della linea vocale. Personaggio minore, ma rivendicante una dignità particolarissima che certo non è quella del caratterista, la giovane Gadelette è chiamata innanzitutto a far da antagonista a Germaine, e quindi a farne da contraltare; la sua apparizione alla fine del primo atto è rapida e sfuggente, ma dimostra già l'ostinata fermezza di carattere su cui sarà meglio soffermarsi più avanti, dopo aver maturato più a fondo il personaggio; per ora, Gadelette è l'unica che osi ribattere a Cachaprès in un rapporto quasi alla pari, zittendolo rudement, per poi darsi ad una fuga assimilabile a quella di una preda inseguita da una belva, la fuga di chi conosce le norme della natura selvaggia, l'assoggettamento alle quali, con il mâle, è cosa comune. Il secondo atto, tableau unico, si apre con un prélude a sipario chiuso cui si accennava precedentemente, indicandolo come secondo piccolo poema sinfonico dell'opera. Intitolato La forêt, esso ricrea con efficacia descrittiva l'atmosfera del bosco. Il bosco e la sua rappresentazione musicale sono un topos dell'opera lirica, e come tale sono espressi tramite convenzioni maturate di generazione in generazione; si pensi alla foresta di querce secolari che posa la sua ombra sulla tragica vicende della Norma di Bellini, o alla selva impenetrabile, sede del mistero del Graal, del Parsifal wagneriano, o infine alla rappresentazione cronologicamente più vicina a Casadesus, quella simbolista di Pelléas et Mélisande, il capolavoro di Maeterlinck reso immortale dalle suggestioni timbriche e armoniche di Debussy. Un tema descrittivo del bosco – e forse il più suggestivo dell'intera partitura – così come appare al n. 300 dello spartito (secondo tableau del terzo atto). Solenne, misterioso, di una gravità assimilabile a quella di un corale luterano. Le convenzioni descrittive si ritrovano tutte nel prélude in questione, a partire dall'indicazione agogica, calme et lent, e introducono ad un bosco silenzioso, grandiosamente statico, che via via va rivelando dinamiche interne all'inizio insospettabili, fino a situazioni di autentica agitazione musicale e drammatica: canto d'uccelli (ritornerà come leitmotiv, alla fine dell'opera), battiti d'ali... Tali dinamiche sono puntigliosamente indicate, e spesso pittoricamente («Une lascivité trainait...», «Un désir de s'étreindre rapprochait les branches»), nelle didascalie che Lemonnier appone lungo le linee melodiche dello spartito 28 (linee melodiche che realizzano le didascalie, dunque), espresse, come si può notare (tale caratteristica è comune, nel libretto d'opera, a molte delle descrizioni di ambienti), in tempo verbale imperfetto, inusuale rispetto al presente e certo più adatto alle oasi descrittive del romanzo (da cui sembrerebbero letteralmente qui traslate) che alle didascalie di un dramma lirico, ma che proprio in virtù di questa scelta anomala si arricchiscono e colorano di un senso di indefinizione, di infinita continuità, di assolutezza capace di moltiplicare il potenziale suggestivo della rappresentazione; come se Lemonnier, approfittando del sipario ancora chiuso, volesse sottrarre la musica all'azione scena e ricondurla direttamente alle immagini testuali fisse del romanzo. Il seguente dialogo tra Cachaprès e Cougnole (nel quale il giovane si mostra turbato per la ritrosia della compagna) offre spunti utili per una constatazione valida già riguardo al romanzo, ma che qui è sollecitata in maniera esplicitissima. «Germaine n'était pas une fille comme les autres... Germaine, vois-tu, c'était comme un gibier de seigneur... J'ai mis mes collets pour la prendre... C'est moi qui ai été pris...» afferma malinconicamente e sans rigueur Cachaprès. L'assimilazione dichiarata di Germaine ad una preda dimostra non solo il carattere di Cachaprès, maschio inserito nella natura in quanto predatore e amante aggressivo della stessa (onde Germaine, la femelle, è rappresentazione della natura così come l'intende Cachaprès), ma come Un mâle possa essere legittimamente letto in quanto «roman de la chasse dont l'amour en réalité n'est q'une variante dans le coeur de Cachaprès» (AnneFrançoise Luc). Il concetto di caccia occupa una parte fondamentale in ogni manifestazione di quell'opera multipla che è Un mâle, dal romanzo al dramma lirico passando per la pièce teatrale, ed è premura di Lemonnier trattare questo concetto con esattezza di lessico e tecniche, appositamente ricercati, studiati e appresi con minuzia naturalisticamente pascoliana o tecnicamente boitiana; nel dramma lirico, paradossalmente, l'unica scena di caccia realizzata musicalmente, l'interlude orchestrale La poursuite di cui si tratterà in seguito, vede il bracconiere nei panni della preda. Nel dramma lirico Cachaprès ha già da questo momento il chiaro presentimento del suo essere preda («C'est moi qui ai été pris...»), fatto del tutto assente e improbabile nel romanzo, e cosa che conferisce al protagonista di Cachaprès un carattere assai più liricamente "fragile" e meditativo di quello di Un mâle. L'arrivo di Gadelette, restia intermediaria tra Cachaprès e Germaine (essendo rivale di quest'ultima nell'amore per il bracconiere), porta ad un improvviso cambio d'atmosfera: tornano le speranze a Cachaprès, Germaine ha accettato di rivederlo. Gadelette si conferma personaggio sfuggente, quasi tutto risolto nelle didascalie e quindi nella gestualità: la si vede «lutter contre elle-même», ma selvaticamente (e più di Cachaprès, che più di lei ha rapporto con la società civile) si esprime poco attraverso la parola, mancandole quasi il 29 linguaggio verbale: nelle battute di questa scena ella parla bas, quindi d'une voix de haine sourde; quando Cachaprès, colmo di gioia per la notizia appresa, la abbraccia, ella godendo di quell'insperato contatto fisico, «d'un bond se dégage, frissonnante, ayant à la peau comme une brûlure délicieuse», con un «cri de douleur» (che è anche, bestialmente, un grido di piacere): «Il m'a mordue!...». Interdetto dalla reazione di Gadelette, Cachaprès apprende solo allora dalla ridacchiante Cougnole ciò che non credeva, l'amore di Gadelette. Non hanno tempo gli autori per soffermarsi sulla reazione di Cachaprès: in quello stesso istante, su un'agogica orchestrale comprensibilmente un peu agité(e), fa il suo ingresso Germaine. Lasciati soli da Cougnole, per i due giovani è il momento di una nuova, lunga scena a due, nella cui magnifica atmosfera di tradizionale (nel senso musicale: vi si odono Berlioz e Massenet) esotismo e sospensione, Germaine si tranquillizza della paura provata percorrendo la foresta e si abbandona alle carezze protettive dell'amante. La reciproca dichiarazione d'amore ivi espressa procede testualmente tormentata: non c'è traccia di ritrosia nelle prime parole di Germaine, che però di lì a poco constata enigmaticamente: «Aimer c'est trouver son maître». Cachaprès la smentisce subito amorevolmente, estrinsecandole la sua precedente riflessione: è lui che si è consegnato a lei. Sui due amanti pesa in questo dialogo, pian piano implicitamente espressa, la sensazione di essere entrambi vittime di un mondo di convenzione sociale che si oppone alla loro relazione: unica soluzione, la fuga. Parrebbe una soluzione melodrammaticamente banale, ma la grande drammaticità con cui la espone Cachaprès (scortato da grande dispiegamento orchestrale) ci impegna a soppesare ogni immagine della visione da lui dipanata: la destinazione è una terra selvaggia in cui vivere liberi e felici come re. Sulla scena si odono, lusinghieri, canti d'uccelli (virtuosistiche figurazioni melodiche affidate agli alchimistici Un ottavino in scena simula il canto di un uccellino. incantamenti timbrici di ottavino e clarinetto piccolo), canti non si sa più se imitati da Cachaprès o reali: è una visione, in cui entra via via, estasiata, la stessa Germaine; è un momento di immersione e adesione fisica e psichica, totale, alla natura. Ma se per Cachaprès questa visione è enunciazione di un progetto di vita, per Germaine essa resta un bel sogno, e a ridestarla in breve è il pensiero minaccioso delle guardie: Cachaprès non le teme, e la difenderà da esse, ma fino a quando durerà questo amore folle? Per la vita e sino alla morte, è la promessa del bracconiere. A prestar fede alle sue parole tornano a risuonare, entusiastiche, incantatorie, le voci della natura (il coro dietro le quinte) già udite all'inizio del primo atto. Dichiaratamente abbandonandosi, per sempre e interamente, a Cachaprès, Germaine lo segue allora nell'ombra del bosco dove l'amante la invita («Viens!... Viens!...», e l'atto si conclude: è la voce di 30 Cachaprès o della natura?), e dove avverrà (tutto lo lascia intendere) l'atto amoroso ed erotico mai descritto nel romanzo e non descrivibile sulla scena. L'immediata, simbolica realizzazione della fuga agognata. La fattoria degli Hulotte, luogo interdetto a Cachaprès, è la scena su cui si apre il primo tableau del terzo e ultimo atto. Dopo una breve, tranquilla, convenzionale (ai fini del dramma leggi: civile) introduzione orchestrale, lontana dai fruscii e dalle esuberanti impennate orchestrali uditi nel bosco, il canto di Germaine risuona un'altra volta sulla scena, come all'inizio del primo atto, secondo un'ideale ciclicità. La vocalità della protagonista si è fatta, lungo il dramma per giungere sin qui, più grave di tessitura e melodicamente parca d'intervalli se non addirittura basata su toni ribattuti: è una voce che si è fatta pensosa, e un pensiero che è martellato sempre dalle stesse, ossessionanti riflessioni. La cosa stupisce quando si torni a considerare che di canzone si sta parlando, di musica nella musica, e non di parola in quanto tale. Il canto di Germaine, dal testo troppo raffinato per credere che siano parole di Cachaprès nonché troppo autobiografico per non credere che l'abbia composto ella stessa, è un canto nuziale ai cui contenuti ella non può più credere. Dopo la primavera è giunta l'estate, ed è giunta la maturazione della sua storia d'amore che, alla Velleio Patercolo non potendo più progredire, si avvia inesorabilmente al declino: spiata dal padre e dalle guardie, che vedono in lei l'esca per individuare ed arrestare Cachaprès il bracconiere, e dunque costretta in casa, rimpiange di essersi donata a quell'uomo (letteralmente homme, nel testo, e non il ben altrimenti significativo mâle, termine la cui forza forse era parsa ai librettisti, pur dopo tanti anni, ancora eccessiva). L'arrivo di Gadelette sorprende Germaine nel suo turbamento. La piccola selvaggia è venuta a recarle da parte di Cachaprès, con il tono dell'ordine, la volontà di rivederla. Germaine, angosciata, apprende poi che l'amante è braccato per la foresta dall'intero villaggio, avendo egli ucciso due guardie. Nel dialogo, Gadelette non perde l'occasione per infierire su Germaine, la rivale, amata da Cachaprès ed ora amante ingrata: Cachaprès vorrà pur vedere Germaine, ma è Gadelette che adesso sta andando in suo aiuto, né a Germaine importa l'essere da meno. A questo punto, il profilo del personaggio di Germaine, così com'è nel dramma lirico, diverge vistosamente da quello del romanzo: se nel libro Germaine, esasperata dalla scomoda relazione, partecipava in qualche modo al tradimento di Cachaprès, nell'opera lirica ella, che tiene fede alla sua promessa d'amore, benché sconvolta e orrificata cerca la di lui salvezza. Al suo entrare in scena, Cachaprès vuole furiosamente "regolare i conti" con colei che, a suo dire, si è giocata di lui portandolo alla rovina, e aggredisce fisicamente Germaine preparandosi ad ucciderla. Ma il coltello gli fugge di mano, quando Germaine, supplicante, gli rievoca, immagine dopo immagine, i momenti idilliaci della loro relazione. La reazione di Germaine è duplice: al 31 «cri de triomphe et de joie d'avoir échappé au danger», assimilabile alla Germaine del romanzo (che domina le mâle), segue infatti che «elle lui fait un collier de ses bras et s'abat sur sa poitrine», immagine inattesa che conferma la diversità della Germaine lirica. E la reazione è ulteriormente duplice: Germaine ama Cachaprès e nel contempo ne prova orrore. La risoluzione finale è «on ne se quittera pas...». Giungono le guardie, Germaine è letteralmente presque sans voix (sul pentagramma è richiesto il parlato), Cachaprès, trascinato da una folle euforia, salta dalla finestra, dando inizio allo stremante inseguimento per le campagne. Dalle quinte, il coro lancia grida minacciose. Germaine, sbirciando prudente dalla finestra, segue con lo sguardo la fuga dell'amato: doveva salvare la vita a Cachaprès, ora lo guarda impotente, mentre egli sbaraglia gli inseguitori (e qui la voce le torna, orgogliosa e sonora: «Hardi! mon fieu!...») e mentre due o tre colpi d'arma da fuoco fendono l'aria. Terrorizzata, lanciando un grido lacerante (che musicalmente è un lunghissimo, impreciso glissato in fortissimo su quasi due ottave, il massimo sforzo vocale richiesto sino ad ora all'interprete), Germaine «tourne sur elle même, va s'aplatir contre le mur et, les yeux hagards, les cheveux en désordre, la figure convulsée, esquisse machinalement le signe de la croix». È l'immagine della propria rovina personale quella con cui Germaine si congeda dal dramma, in un'improvvisa, disperata sospensione tra pazzia, bestialità, religiosità superstiziosa, e anticamera fors'anche dell'isteria. La scena dell'inseguimento procede – a sipario chiuso ma senza interruzione della rappresentazione – nell'esecuzione de La poursuite, l'interlude che, come si diceva in apertura, è il terzo piccolo poema sinfonico della partitura. Il ricco e minuzioso apparato didascalico di Lemonnier non è questa volta sovrapposto, passo a passo, alla musica che lo realizza (quindi, sarebbe meglio dire che la musica non si trova sottoposta all'apparato didascalico, preesistente ad essa), ma si trova unitamente concentrato all'inizio del brano, dandone una descrizione complessiva. Viene dunque a mancare il senso di ordinato, sistematico procedere che caratterizzava i preludi del primo e del secondo atto. Il materiale musicale, fortemente ma convulsamente descrittivo, ripropone temi musicali ascoltati nelle scene precedenti: il furore di Cachaprès che assale Germaine, l'imboscata presso la fattoria degli Hulotte. Sovrasta l'ascoltatore il presentimento che la volontà descrittiva non sia in funzione di un punto di vista oggettivo ed assoluto, ma possa essere interpretata come propria di Germaine, come un viaggio della sua mente sconvolta attraverso una personale, dilaniante, caotica ricostruzione delle estreme, avventurose sorti di Cachaprès e di se stessa. Come se i suoi occhi stralunati, quel suo ultimo straziante grido avessero allora contemplato, in delirante visione, quanto la musica descrive in questo interlude. Conclude il brano una coda di carattere contrastante, L'apaisement, nel quale tutta la disperata foga 32 dell'inseguimento (in cui Cachaprès è stato mortalmente ferito) si arresta, cedendo via via alle maestose architetture accordali che indicano la presenza confortante e straniata del bosco, e che Cachaprès è sfuggito agli inseguitori. Il secondo tableau del terzo atto si apre su accordi lenti, sordi, profondi, e musica e didascalie tornano di nuovo, improvvisamente, a procedere le une a fianco delle altre. Cachaprès, stremato dalla corsa e ferito, è soccorso da Gadelette. «Qui aurait dit, ma p'tite que tu aurais étée la dernière auprès de moi!», constata dolorosamente il giovane, rivolto alla petite sauvageonne. Il personaggio di Gadelette, dominante nell'ultima scena del dramma, vi si mostra finalmente con l'autorità di una protagonista. La giovane obbedisce docilmente alle richieste dell'amato agonizzante, lo conforta teneramente e fermamente («Je suis là!... C'et moi, Gadelette... Je te défendrai!...») nel delirio che lo divora (immagini dell'inseguimento e del primo, fatale incontro con Germaine), mentre la voce dell'interprete, di proposito calante d'intonazione, pare indirizzare una supplica a Cachaprès, perché viva («M'n'ami!...»). Accordi lenti e severi accompagnano i gesti di Gadelette: «elle se laisse tomber à genoux, écoute, l'oreille à la bouche de Cachaprès. Puis, comprenant tout à coup la grande chose tragique, se dresse et pousse un long cri». Cachaprès è morto, e la reazione di Gadelette è proprio la stessa di Germaine: un lungo grido, un'altro glissato in fortissimo, solo estensivamente più contenuto. Differente è invece lo sfondo a questo grido: gli accordi lenti e severi di cui sopra, costanti nel loro moto, ben diversi dallo strepito di guardie che faceva da sfondo al grido di Germaine. «L'autre ne t'aura plus maintenant», esclama per un momento, «avec un accent de joie farouche», la petite sauvageonne, all'indirizzo dell'odiata rivale, vedendo finalmente tutto per sé l'agognato Cachaprès, il suo corpo. Mentre «le jour perce le haut des arbres», Gadelette «se couche près de lui [= de Cachaprès], et lui prenant sa tête dans les bras, avec une tendresse de petite vierge sauvage, elle le berce». Su un accompagnamento orchestrale sommesso, calme, douloureux, il canto astratto, impalpabile, esterrefatto di Gadelette intona le ultime parole, certo più pensate che pronunciate: «Dors là, mon fieu... Je te ferai un lit de feuilles sous la terre... Dors là... mon fieu... Personne, jamais, ne le saura...». Intorno, l'alba, i temi – identici – che si erano uditi al lever du jour sur le verger, il sorgere del sole sempre uguale a se stesso. «C'est le réveil, joyeux et éternel, de la nature indifférente». Lieto ed impassibile, si ode per l'ultima volta, fino all'ultima misura, il canto dell'uccellino; a ricordare che, in fondo, chi la vince è la natura. 33 Bibliografia PER LA PARTE LETTERARIA • A. Desideri (a cura di), Scrittori d'Europa dell'Otto e del Novecento, Ed. D'Anna, Messina-Firenze, 1988 • J.K. Huysmans, Camille Lemonnier, in L'Artiste, 4 agosto 1878 • G. Lejeune, Lettre à Camille Lemonnier, Ed. En Toutes Lettres, 1994 (video) • C. Lemonnier, Un mâle, Ed. Labor "Espace Nord", Bruxelles, 2000 • A.-F. Luc, Le naturalisme belge, Ed. Labor, Bruxelles, 1990 • AA.VV., Le banquet Lemonnier. 27 mai 1883, in La Jeune Belgique, n. 2, 1882-1883 PER LA PARTE MUSICALE • C. Lemonnier / H. Cain / F. Casadesus, Cachaprès, Ed. Max Eschig, 1914 34