Anno XXXIV n. 6 Giugno 2004 Ordine Direzione e redazione Via Appiani, 2 - 20121 Milano Telefono: 02 63 61 171 Telefax: 02 65 54 307 dei giornalisti della Lombardia http://www.odg.mi.it e-mail:[email protected] Spedizione in a.p. (45%) Comma 20 (lettera b) dell’art. 2 della legge n. 662/96 Filiale di Milano Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo Elette le cariche dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia per il triennio 2004-2007 Il Consiglio all’unanimità ha espresso stima e gratitudine a Brunello Tanzi, vicepresidente dell’OgL dal 1965 ad oggi Milano, 10 giugno 2004. Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia si è riunito oggi per il rinnovo delle cariche alla luce delle ultime votazioni svoltesi il 23/24 e il 30/31 maggio. È stato confermato presidente Franco Abruzzo. Vicepresidente pubblicista è Cosma Damiano Nigro. Consigliere segreta- rio è Sergio D’Asnasch. Consigliere tesoriere è Alberto Comuzzi. Abruzzo e D’Asnasch hanno ottenuto 8 voti su 9; 7 voti Comuzzi e 6 Nigro. Il Collegio dei revisori ha nominato presidente Giacinto Sarubbi. Il Consiglio all’unanimità ha espresso stima e gratitudine a Brunello Tanzi, vicepresidente dell’OgL dal 1965 ad oggi. Abruzzo presidente, Nigro vicepresidente D’Asnasch segretario e Comuzzi tesoriere Sarubbi presidente del Collegio dei revisori Dichiarazione di Franco Abruzzo: “Giornalisti nella Costituzione” Nel 2005 l’Ordine di Milano celebrerà i 40 anni di vita dell’ente e, con l'Associazione lombarda dei Giornalisti, ricorderà degnamente il 25° anniversario del sacrificio di Walter Tobagi. Franco Abruzzo ha dichiarato: “Vogliamo, come nel recente passato, valorizzare il ruolo dell’Ordine come giudice disciplinare e come giudice delle iscrizioni; affermare la centralità della deontologia, la dignità e la libertà dei giornalisti; garantire trasparenza ed equità nell’accesso agli Albi e al Registro dei praticanti; difendere i soggetti deboli e in particolare i free lance; sconfiggere il “lavoro nero” e il mobbing nelle redazioni; battere la commistione pubblicità/informazione; promuovere la formazione continua dei giornalisti; vincolare l’Inpgi a una gestione improntata alla solidarietà (verso i giornalisti pensionati) e al rispetto I risultati del ballottaggio Milano, 1 giugno 2004. Franco Abruzzo è il primo degli eletti nel ballottaggio conclusosi ieri e che riguardava il nuovo Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Abruzzo, che ha espresso la sua soddisfazione, ha ottenuto 598 voti, pari al 52,8% (percentuale che sale al 55,4% una volta escluse schede nulle e bianche). Fra i pubblicisti il più votato è risultato Cosma Damiano Nigro (Movimento Giornalisti Liberi) con 356 voti seguito da Brunello Tanzi (Lista indipendente), vicepresidente uscente, con 348. Nel Collegio dei revisori dei conti sono stati eletti i giornalisti professionisti Ezio Chiodini (500 voti) e Marco Ventimiglia (455) della lista indipendente e il giornalista pubblicista Giacinto Sarubbi (323) del Movimento Giornalisti Liberi. Nel ballottaggio hanno votato 1.126 giornalisti professionisti lombardi, pari al 17,35% degli aventi diritto, e 787 pubblicisti, pari al 7,3%. Le schede nulle nel “regionale” sono risultate 29; 17 quelle bianche. Nel “nazionale” professionisti, le schede bianche sono risultate 17 e le nulle 29; nel “nazionale” pubblicisti rispettivamente 15 e 39. Questi i risultati del ballottaggio:S Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia Professionisti eletti Francesco Abruzzo, voti 598; Alberto Comuzzi, 495; Laura Mulassano, 479; Sergio D'Asnasch, 468; Letizia Gonzales, 467, e Paola Pastacaldi, 467. Hanno ottenuto voti: Maurizio Michelini, 453; Marco Cremonesi, 422; Laura Barsottini, 395; Maxia Zandonai, 394; Giovanna Calvenzi, 368; Francesco Facchini, 355. Collegio dei revisori dei conti, professionisti eletti Ezio Chiodini, 500 voti; Marco Ventimiglia, 455. Hanno ottenuto voti: Rita Musa, 378; Aldo Soleri, 371. Pubblicisti eletti Cosma Damiano Nigro, 356 voti; Brunello Tanzi, 348; Michele D’Elia, 342. Hanno ottenuto voti: Giuseppe Spatola, 340; Milena Pini, 326; Pietro Scardillo, 307. Collegio dei revisori dei conti, pubblicisti eletti Giacinto Sarubbi, 323 voti; ha ottenuto voti: Raffaele Pellino, 302. Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti Professionisti eletti Marco Volpati, 490 voti; Sergio Borsi, 460; Bruno Ambrosi, 440; Costantino Muscau, 437; David Messina, 434; Daniela Stigliano, 420; Gianni De Felice, 420; Elena Golino, 414; Nicola D’Amico, 410; Ruben Razzante, 401; Romano Bracalini, 397; Davide Colombo, 393; Stefano Jesurum, 392; Pier Paolo Bollani, 391 (eletto per maggiore anzianità di Albo rispetto a Roberto Casalini). Hanno preso voti: Roberto Casalini, 391; Antonio Massa, 383; Enrico Fedocci, 382; Paolo Lepri, 381; Fabio Felicetti, 380; Mariella Bussolati, 378; Giuseppe (Beppe) Ceccato, 376; Michele Urbano, 372; Anna Gennari, 372; Giulio Signori, 371; Mario Lombardo, 363; Giuseppe Vigani, 362; Saverio Paffumi, 359; Emilio Pozzi, 355. Pubblicisti eletti Stefano Gallizzi, 372 voti; Domenico Tedeschi, 341; Sabrina Zotti, 323; Luigi E.Vigevano, 323; Giuseppe Alberti, 322; Rino Felappi, 317; Emilio Pastormerlo, 315; Giacomo Metta, 314; Jole Zangari, 311; Patrizia Zanardini, 310; Pasquale Salerno, 310. Hanno preso voti: Dario Collio, 306; Camillo Albanese, 297 voti; Cecilia Sangiorgi, 288; Assunta Currà, 282; Alberto Arrigoni, 280; Felicia Pioggia, 276; Umberto Accomanno, 275; Salvatore Catalano, 274; Franco Marelli Coppola, 273; Franco Angelotti, 273; Paolo Apice, 272. segue a pagina 2 DIFFAMAZIONE - Analisi delle sentenze civili (2001 e 2002) della Corte d’Appello di Milano Il diritto di critica è nel mirino dei giudici d’appello Quanto alle forme di critica sottoposte al vaglio della Corte, queste hanno riguardato la critica musicale, quella politica e quella giudiziaria. Contro richieste medie singole di 18 miliardi liquidati appena 30 milioni di vecchie lire Su incarico del Consiglio regionale dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, continua il lavoro di ricerca degli avvocati Sabrina Peron ed Emilio Galbiati sulle sentenze rese dal Foro ambrosiano in materia di diffamazione a mezzo mass-media. In questo numero pubblichiamo i risultati della disamina delle sentenze emesse in materia dalla Corte d'Appello Civile di ORDINE 6 2004 Allegato a questo numero un inserto a cura degli avvocati Sabrina Peron ed Emilio Galbiati DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA Milano nel biennio 2001-2002: prossimamente verranno pubblicati quelli inerenti la Corte d'Appello Penale di Milano (sempre con riferimento al biennio 2001-2002). Dall’esame delle sentenze (46 in tutto), è emerso che le pronunzie di primo grado - rese in larga maggioranza dal Tribunale di Milano (86%) e riguardanti soprattutto i quotidiani nazionali (45%), ed i settimanali (26%) - vengono confermate nel 67,4% dei casi. Tra le categorie professionali maggiormente coinvolte in fattispecie di diffamazione a mezzo mass-media spiccano i magistrati (nel 44% dei casi dei giudizi di appello contro il 18% risultante dalla precedente analisi del giudizio di primo grado, Segue a pagina 2 SOMMARIO Ordine I consiglieri e i revisori della Lombardia non percepiscono indennità pag. 2 Inpgi 2 Nulla è dovuto dai giornalisti per il 1966 pag. 4 Rapporto Le nuove professioni della comunicazione digitale pag. 6 Praticantato: rubinetto aperto, ma troppe differenze pag. 7 Sondaggio Etica dell'informazione economico-finanziaria pag. 8 Professioni La riforma guadagna il primo sì pag. 9 Mobbing Il "mal di redazione" attende il risarcimento Inpgi pag. 10 Memoria Mario Missiroli, don Abbondio in redazione pag. 14 La libreria di Tabloid pag. 18 All'interno: "IFG Tabloid", inserto a cura degli allievi dell'Istituto "Carlo De Martino" per la formazione al giornalismo 1 Comunicato del presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia Il presidente, i consiglieri e i revisori dell’Ordine di Milano non percepiscono indennità Milano, 6 maggio 2004. Il presidente, i consiglieri e i revisori dell’Ordine di Milano non percepiscono indennità a differenza dei consiglieri nazionali. Gli incarichi, come si diceva nell’800, vengono svolti a titolo onorifico e gratuito. Il presidente dell’Ogl non gode dei vantaggi (ad esempio: auto, autista e carta di credito) accordati legittimamente al presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine. Il 30 giugno 1997 Franco Abruzzo ha chiesto ai ministri della Giustizia e del Tesoro dell’epoca: a) la determinazione dell’indennità di carica per presidente, vicepresidente, consigliere segretario, consigliere tesoriere e presidente del collegio dei revisori dei Conti dell’OgL; b) la determinazione del gettone di presenza per i consiglieri e i revisori dei conti dell’OgL. Il direttore dell’Ufficio VII del ministero della Giustizia ha risposto, facendo presente che i problemi sollevati andavano risolti “nell’ambito dei poteri di autodisciplina dell’Ordine professionale. A tal fine il Consiglio nazionale potrà attivarsi al fine di omogeneizzare la materia a livello nazionale, evitando disparità di trattamento, comunicando a questo Ufficio le eventuali determinazioni assunte”. In sostanza il mini- stero della Giustizia faceva sue le conclusioni del ministero del Tesoro. La materia è stata regolata conseguentemente con deliberazione del Comitato esecutivo del Cnog datata 27/28 marzo 2001 (Nuovo trattamento di indennità e rimborsi spese ai consiglieri nazionali, ai componenti della Commissione d’esame e agli altri collaboratori). La deliberazione disciplina il rimborso delle spese di viaggio e delle spese per la permanenza. Il gettone giornaliero è stato fissato in £ 150mila lire. Le spese di vitto e pernottamento sono contenute giornalmente entro le 320mila lire. Le spese non documentate in £ 30mila al giorno. Il rimborso chilometro (per chi usa l’auto) è pari a un quinto del prezzo della benzina verde. Il Consiglio nazionale, in data 16 giugno 1995, ha stabilito che ai consiglieri residenti in Roma spettano £ 100mila per ogni giornata di presenza nella sede dello stesso Cnog. Quella cifra oggigiorno è stata notevolmente aumentata. Il regolamento contabile del Cnog, al quale gli Ordini regionali sono tenuti ad ispirare la loro condotta, introduce delle novità anche per la nostra amministrazione, valorizza il ruolo del direttore, autorizza spese fino a £ 5 milioni riguardanti le segue dalla prima/ Dichiarazione di Franco Abruzzo “GIORNALISTI NELLA COSTITUZIONE” dei diritti costituzionali degli iscritti (giovani e meno giovani). “Ormai è maturo il tempo perché i giornalisti, come i magistrati, siano inseriti nella Costituzione. Nella carta fondamentale c’è scritto che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge. Nella stessa carta fondamentale va scritto che i giornalisti sono soggetti soltanto alla deontologia professionale. Si afferma da più parti che soltanto gli avvocati e i medici sono nella Costituzione (articoli 24 e 32 della Costituzione, che parlano del diritto di difesa e del diritto alla salute). Va detto che il comma 2 dell’articolo 21 della Costituzione afferma che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. La stampa è scritta, fatta, alimentata, progettata e creata dai giornalisti. L’esperienza dimostra – come ha scritto la Corte costituzionale nella sentenza n. 11/1968 - che il giornalismo, se si alimenta anche del contributo di chi ad esso non si dedica professionalmente, vive soprattutto attraverso l’opera quotidiana del professionisti. Alla loro libertà si connette, in un unico destino, la libertà della stampa periodica, che a sua volta è condizione essenziale di quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le sue radici vitali. La Costituzione e la Corte costituzionale disegnano, quindi, una professione giornalistica come professione della libertà. Quella libertà che, come ha scritto Mario Borsa, prima di essere un diritto è un dovere”. “Le parole di Mario Borsa, - giornalista liberale, corrispondente per lunghi anni del “Secolo” da Londra, combattente della libertà negli anni della dittatura fascista e poi direttore del “Corriere della Sera” nel 1945/1946 - che per Walter Tobagi sono le più significative e che ripropose, con un saggio pubblicato nel 1976 (su “Problemi dell’informazione”), alla categoria giornalistica sono: “Dite sempre quello che è bene e che vi par tale anche se questo bene non va precisamente a genio ai vostri amici: dite sempre quello che è giusto, anche se ne va della vostra posizione, della vostra quiete, della vostra vita. Siate dunque indipendenti e inchinatevi solo davanti alla libertà, ricordandovi che prima di essere un diritto la libertà è un dovere”. esigenze di funzionamento dell’ente, le spese non possono essere impegnate ed ordinate oltre i limiti delle dotazioni di bilancio. Le spese superiori a £ 50 milioni dovranno essere assunte in forma di asta pubblica o di licitazione privata. Il Consiglio dell’OgL, nella seduta del 12 settembre 2001, ha recepito all’unanimità il Regolamento contabile del Cnog. Il Consiglio, però, all’unanimità ha respinto quella parte del Regolamento, che prevede indennità e gettoni di presenza. In conclusione i consiglieri e i revisori costano ai colleghi le spese relative ai pranzi, alle cene di lavoro e ai taxi. Attaccarsi a queste voci per muovere censure ai consiglieri significa ripetere l’errore di 30 anni fa contro i consiglieri del Csm, accusati di peculato per i caffè sorseggiati durante i lavori dello stesso Csm, inchiesta finita miseramente nel nulla. I consiglieri, ed è evidente, non rispondono degli errori dei collaboratori; di questi errori eventualmente sono vittime e non complici. Gli attacchi velenosi affiorati nelle prime battute della campagna elettorale sono stati raccontati in una denuncia presentata oggi alla Procura di Milano per calunnia e diffamazione. Franco Abruzzo ha dichiarato: “Invito i colleghi a non raccogliere infamie e farneticazioni”. Segue dalla prima/ Questi i risultati della votazione del 23-24 maggio 2004 CONSIGLIO REGIONALE CONSIGLIO NAZIONALE Consiglieri professionisti Franco Abruzzo, voti 478; Letizia Gonzales, 425; Laura Mulassano, 404; Alberto Comuzzi, 400; Marco Cremonesi, 398; Paola Pastacaldi, 382; Sergio D’Asnasch, 380; Maurizio Michelini, 358; Maxia Zandonai, 324; Laura Barsottini, 308; Giovanna Calvenzi, 303; Francesco Facchini, 294. Consiglieri professionisti Marco Volpati, 397; Sergio Borsi, 385; Davide Colombo, 370; Gianni De Felice, 365; Davide Messina, 365; Stefano Jesurum, 362; Daniela Stigliano, 360; Michele Urbano, 357; Elena Golino, 356; Costantino Muscau, 354; Giuseppe Ceccato, 352; Anna Gennari, 351; Nicola D’Amico, 349; Saverio Paffumi, 344; Mariella Bussolati, 341; Romano Bracalini, 339; Mario Lombardo, 338; Giuseppe Vigani, 333; Bruno Ambrosi, 332; Roberto Casalini, 332; Ruben Razzante, 324; Antonio Massa, 322; Enrico Fedocci, 317; Paolo Lepri, 297; Pier Paolo Bollani, 292; Fabio Felicetti, 285; Giulio Signori, 279; Emilio Pozzi, 273. Revisori dei conti professionisti Ezio Chiodini, 403; Marco Ventimiglia, 360; Rita Musa, 324; Aldo Soleri, 316. Consiglieri pubblicisti Cosma Damiano Nigro, 321; Giuseppe Spatola, 308; Michele D’Elia, 302; Brunello Tanzi, 263; Milena Pini, 252; Pietro Scardillo, 236. Revisori dei conti pubblicisti Giacinto Sarubbi, Raffaele Pellino, 229. 291; Nel 2005 l’Ordine di Milano celebrerà i 40 anni di vita dell’ente e, con l'Associazione lombarda dei Giornalisti, ricorderà degnamente il 25° anniversario del sacrificio di Walter Tobagi. Consiglieri pubblicisti Stefano Gallizzi, 331; Domenico Tedeschi, 299; Pasquale Salerno, 295; Dario Collio, 291; Luigi E. Vigevano, 291; Rino Felappi, 290; Giacomo Metta, 290; Sabrina Zotti, 290; Giuseppe Alberti, 289, 289; Patrizia Zanardini, 288; Emilio Pastormerlo, 287; Jole Zangari, 238; Camillo Albanese, 230; Cecilia Sangiorgi, 217; Assunta Currà, 212; Alberto Arrigoni, 209; Umberto Accomanno, 208; Franco Angelotti, 207; Paolo Apice, 207; Franco Marelli Coppola, 207; Felicia Pioggia, 206; Salvatore Catalano, 205. L’ECO DELLA STAMPA ECO STAMPA MEDIA MONITOR S.R.L. Via Compagnoni 28, 20129 Milano Tel. 02 74 81 131 Fax. 02 76 11 03 46 2 Gli attacchi velenosi affiorati nelle prime battute della campagna elettorale raccontati in una denuncia presentata alla Procura di Milano per calunnia e diffamazione. Abruzzo: “Invito i colleghi a non raccogliere infamie e farneticazioni” DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA cfr. Ordine Tabloid 12/2003), seguiti dai privati (11%) e dalle persone giuridiche (11%). Vi è una percentuale interessante (5%) di giornalisti coinvolti nelle vesti di diffamato. La media dei danni liquidati a favore del diffamato dalla Corte d'Appello Civile è di euro17.606,49 procapite. Trova conferma anche in grado di appello l'orientamento, già manifestato in primo grado, di ridurre ampiamente le pretese risarcitorie avanzate dal diffamato: contro una media di richieste di risarcimento danni da parte del diffamato appellante (attore in primo grado) pari a euro 9.563.089,50, sono stati in media liquidati danni procapite per euro 15.862,60. Si noti però che in caso di riforma di una sentenza di condanna in primo grado, con una media risarcitoria di circa euro 10.501,29, la Corte d’Appello Civile ha considerevolmente elevato la media risarcitoria, praticamente raddoppiandola a euro 20.658,28. I criteri di liquidazione del danno utilizzati sono stati la gravità dell'illecito, la personalità dell'offeso, l'ambito di diffusione, le modalità di pubblicazione della notizia (articolo di apertura in prima pagina, richiamato da titolo e immagini). Si noti che la campagna stampa ha un'efficacia aggravante e la pubblicazione di una smentita comunque non esclude il danno. A differenza del giudizio di primo grado, dove la tipologia degli articoli diffamatori concerneva prevalentemente la cronaca (53%, cfr. Ordine Tabloid 12/2003), nel giudizio di appello investe, invece, il diritto di critica (52%), definita come un'attività di commento ed interpretazione del fatto storico in cui l'articolista finisce per fondere la propria personalità, prestando la propria identità culturale ed intellettuale al pubblico, chiamato a valutare le sue osservazioni. Quanto alle forme di critica sottoposte al vaglio della Corte, queste hanno riguardato: la critica musicale (dove si è ritenuto pressocché inutilizzabile il criterio della verità, risultando prevalente l'aspetto valutativo), quella politica (che giustifica l'utilizzo di espressioni anche aspre e dure), quella giudiziaria (la quale deve rigorosamente rispettare la verità del fatto narrato) ed, infine, la satira alla quale viene riconosciuto un più ampio margine di libertà e di guarentigie, a condizione che sia immediatamente riconoscibile come tale (ossia il pubblico deve percepire senza difficoltà che lo scopo dell'articolista è quello di mettere alla berlina un noto personaggio). Quanto alla cronaca, invece, che si sostanzia nel potere/dovere attribuito al giornalista di portare a conoscenza dell'opinione pubblica fatti, notizie e vicende della vita sociale, la Corte ha precisato che ogni giornale sceglie tra le diverse notizie quelle meritevoli di attenzione interpretando a suo modo i fatti accaduti, giacché non esiste una verità assoluta per tutti i quotidiani, ma solo quella verità che si ritiene meritevole di attenzione. In ogni caso, la verità deve consistere in una sostanziale corrispondenza dei fatti riferiti a quelli storici e potrà avere a carattere putativo purché sia stato preventivamente svolto dal giornalista un serio ed accurato lavoro di verifica e di ricerca. Tale attività di verifica è valutata in modo più rigoroso nel caso in cui le esigenze di tempestività dell'informazione sono inferiori, come può ad esempio accadere nel caso in cui la pubblicazione avvenga in un periodico. Alcune sentenze hanno altresì riguardato la pubblicazione di immagini. In questi casi, poiché la diffusione di immagini può avvenire solo con il consenso dell'interessato la pubblicazione non autorizzata è lecita solo se giustificata da esigenze di pubblica informazione. ORDINE 6 2004 Elezioni: l’anzianità decorre dall’iscrizione all’Albo L’articolo 3 della legge 69/1963 stabilisce che i sei professionisti e i tre pubblicisti che, a seguito dell’elezione, compongono gli organi locali dell’Ordine, sono “scelti tra gli iscritti nei rispettivi elenchi…, che abbiano almeno cinque anni di iscrizione…”. Ma l’anzianità così stabilita, da quando decorre? Dalla prima data d’iscrizione all’Albo (indifferentemente dagli elenchi: pubblicisti e professionisti) o dalla data d’iscrizione allo specifico elenco nell’ambito del quale ci si vuole candidare? L’anzianità decorre dalla prima data d’iscrizione all’Albo: in questo senso si è espressa la Direzione generale del ministero della Giustizia, trovando, poi, conferma nell’articolo 8 del nuovo Regolamento per la trattazione dei ricorsi e degli affari di competenza del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Evidentemente, sono, quindi, cumulabili le anzianità maturate nei singoli elenchi. Art. 8 del nuovo Regolamento “In caso di passaggio dall’elenco professionisti all’elenco pubblicisti, o viceversa, l’anzianità si calcola a partire dalla data della prima iscrizione ad uno dei due elenchi dell’Albo”. Parere del ministero della Giustizia “L’art. 3 della legge 69\1963 stabilisce che i sei professionisti ed i tre pubblicisti che, a seguito dell’elezione, compongono gli organi locali dell’Ordine professionale, sono “... scelti tra gli iscritti nei rispettivi elenchi..., che abbiano almeno 5 anni di anzianità di iscrizione....”. La norma, così come formulata, in assenza di altri disposizioni (anche regolamentari) che consentano di interpretarla in modo chiaro, si presta a due interpretazioni. Si potrebbe ritenere che sia richiesta un’anzianità di cinque anni relativa all’iscrizione nello specifico elenco che interessa (elenco pubblicisti o elenco professionisti), ovvero si potrebbe ritenere che l’anzianità debba essere calcolata a decorrere dall’iscrizione all’Albo, a prescindere dall’appartenenza dell’interessato ad uno specifico elenco. Anche quest’ultima ipotesi sembra sostenibile, poiché non pare fondato l’assunto contenuto nella nota in data 25\5\98 a firma Colmelet Manuela (allegata al quesito), secondo il quale “... in considerazione della normativa vigente... è illegittimo il cumulo dei due tempi di iscrizione...”. La soluzione va, quindi, fondata su principi di ragionevolezza, coerenza e logicità. A parere di questo Ufficio, applicando i principi indicati, l’anzianità va computata a decorrere dal momento iniziale di iscrizione all’Albo, a prescindere dal fatto che l’interessato, nel corso della sua vita professionale sia stato iscritto in diversi elenchi. Questa soluzione va scelta, anzitutto, perché, nel dubbio ed in assenza di particolari elementi ostativi, favorisce l’esercizio di un diritto (di elettorato) degli appartenenti all’Ordine professionale. Inoltre, questa interpretazione consente di evitare soluzioni illogiche, quale quella di consentire l’elezione di un soggetto iscritto all’albo da cinque anni, che nello stesso periodo sia appartenuto allo stesso elenco, ed impedire, invece, l’elezione di un altro soggetto iscritto all’Albo da nove anni che sia stato iscritto per quattro anni e mezzo ad un elenco e per il restante periodo ad un altro elenco. Sicché ad un soggetto iscritto all’Albo dei giornalisti da nove anni darebbe inibito essere eletto, mentre potrebbe risultare eletto un soggetto iscritto all’Albo da soli cinque anni. Va, infine, osservato che l’art. 3 in esame sembra finalizzato ad ottenere una particolare composizione del Consiglio, garantendo ai giornalisti professionisti una presenza numericamente più rilevante (doppia) rispetto a quella dei giornalisti pubblicisti. Sotto questo profilo la norma raggiunge il suo effetto a prescindere dall’elenco nel quale risultava iscritto l’interessato negli anni precedenti l’elezione. Ciò che rileva, è soltanto che, nel momento dell’elezione, l’interessato sia iscritto ad un elenco piuttosto che ad un altro, perché occorre rispettare le proporzioni indicate. A ciò, presumibilmente per avere un minimo di garanzie in merito alla professionalità ed alla rappresentatività dell’eletto, l’art. 3 aggiunge la richiesta di un periodo minimo di iscrizione. Ma, per i motivi espressi, pare possibile ritenere che, ai fini che qui interessano, il periodo di iscrizione debba considerarsi unico e decorrente dal momento di iscrizione all’Albo e non ad uno specifico elenco”. (g.c.) 11 maggio 2004 Il premio Frajese a Calabrese e Sposini. Riconoscimento speciale per Sergio Zavoli Siena, 22 maggio 2004. Il direttore della “Gazzetta dello Sport” Pietro Calabrese e il condirettore del Tg5 Lamberto Sposini sono i vincitori dell’edizione 2004 del premio giornalistico “Paolo Frajese”, promosso dal “Corriere di Siena”. La giuria, presieduta da Vittorio Stelo, già prefetto di Siena, e formata da rappresentanti delle istituzioni della provincia, ha deciso di assegnare un premio speciale a Sergio Zavoli per “la sua straordinaria carriera giornalistica in Rai”. Menzioni per Giulio Pepi, giornalista senese, noto per le sue cronache del Palio, e alla coppia Silvano Carletti-Franco Baldi che cercano di tramandare la tradizione dei canti popolari senesi. La cerimonia di consegna dei premi si terrà il 26 novembre nella chiesa della Santissima Annunziata nel complesso del Santa Maria della Scala. (ANSA) Scandalo a “Usa Today”, si dimette il direttore news New York, 21 aprile 2004. Brusco annuncio dai vertici del quotidiano americano a più vasta tiratura (2,3 milioni di copie): Karen Jurgensen, dal ‘99 direttore di “Usa Today”, ha rassegnato le dimissioni dopo uno scandalo che ha coinvolto la sua testata a causa di Jack Kelley, una delle sue grandi firme, accusato di essersi inventato i dettagli di alcuni suoi articoli. Kelley si è dimesso in gennaio dopo aver ammesso di aver tentato di ingannare i colleghi che controllavano l’accuratezza e l’ attendibilità dei suoi servizi. “La lezione appresa da questo terribile scandalo ci aiuterà a fare un giornale migliore” ha dichiarato Jurgensen abbandonando il timone. Il terremoto al vertice di “Usa Today” è il secondo del genere nei ranghi del giornalismo americano: un anno fa la scoperta che un cronista da prima pagina del “New York Times”, Jayson Blair, aveva inventato di sana pianta particolari di suoi articoli era costato la poltrona all’allora direttore Howell Raines. La Jurgenson era stata nominata 5 anni fa a “Usa Today” facendo storia: per la prima volta una donna era stata chiamata a dirigere un quotidiano nazionale. (ANSA) ORDINE 6 2004 3 Inpgi-2 e contributi per l’anno 1996 sui redditi da attività giornalistica “Nulla è dovuto dai giornalisti” di Luisella Nicosia, avvocato in Milano L’Inpgi ha inviato nel mese scorso ai giornalisti iscritti all’Albo professionale un avviso di messa in mora, sotto forma di lettera raccomandata, con il quale si impone il pagamento di contributi previdenziali sui proventi, derivanti da attività giornalistica, fiscalmente dichiarati nel 1997 e relativi al periodo d’imposta 1996. Nelle comunicazioni recapitate ai giornalisti, al solo scopo di giustificare il preteso obbligo contributivo, si fa un generico ed impreciso riferimento al D.Lgs n. 103/1996 ed al Regolamento della Gestione, e si asserisce che gli emolumenti percepiti relativamente all’anno d’imposta 1996 che derivano dall’attività giornalistica sono da assoggettare a contribuzione, presso la Gestione separata dell’Inpgi. Si precisa che l’obbligo contributivo non può considerarsi prescritto, pur trattandosi di versamenti a titolo previdenziale riferibili all’anno 1996. A rafforzare tale tesi si afferma addirittura che il termine di prescrizione dei contributi ancora dovuti deve intendersi decorrente dal momento in cui l’Amministrazione finanziaria comunica all’Istituto di previdenza l’ammontare dei compensi corrisposti al giornalista con riferimento all’annualità 1996, che nel caso di specie sembrerebbe essere il luglio 2001, in quanto solo allora l’Agenzia delle Entrate avrebbe posto l’Inpgi nella condizione di conoscere la dichiarazione dei redditi del giornalista. Nella sostanza la verità è che si impone a carico degli iscritti all’Albo un obbligo contributivo relativo ad un’annualità ormai da reputarsi prescritta, subordinando i proventi derivanti da opere dell’ingegno ad una contribuzione non dovuta. 1 L’esatto computo del termine di prescrizione del contributo previdenziale Secondo la tesi sostenuta dall’Inpgi, la prescrizione decorrerebbe dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, ossia dal momento in cui l’Agenzia delle Entrate comunica i compensi percepiti dal giornalista con riferimento all’anno 1996 (luglio 2001). Una tale lettura del dettato normativo, in realtà, non appare corretta giacché si finisce, in tal modo, con il rendere il termine di decorrenza della prescrizione suscettibile di essere subordinato al libero arbitrio delle parti. In proposito, si deve rilevare come l’art. 2935 c.c. (decorrenza della prescrizione) non è suscettibile di applicazioni “libere” e va interpretato, senza ombra di dubbio, nel senso di ritenere che il termine di prescrizione inizia a decorrere proprio dall’anno 1996, nel quale appunto si è verificata l’omissione contributiva. La norma, infatti, nel precisare che “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, sta semplicemente a significare che, se a partire dal giorno in cui il titolare poteva validamente esercitare il suo diritto, egli si è astenuto per il tempo previsto dalla legge dal suo esercizio, il diritto medesimo si estingue. La possibilità di far valere il diritto, cui la norma fa riferimento, è la sola possibilità legale all’esercizio dello stesso: eventuali ostacoli materiali che rendono di fatto impossibile l’esercizio del diritto medesimo sono da reputarsi del tutto irrilevanti. Come, infatti, è stato precisato in più di una I dati dei contribuenti sono pubblici dal 1973: l’inerzia dell’ente non giustifica un aggravio vessatorio ai danni dei giornalisti di Alberto Arrigoni dottore commercialista in Milano e giornalista pubblicista Mai come in questo periodo il trattamento della contribuzione previdenziale – e appare per altro discutibile questa connotazione in quanto i versamenti minori, dato il perverso meccanismo di funzionamento di Inpgi/2, sono normalmente a fondo perduto – per le attività tipicamente pubblicistiche appare quanto mai occasione dalla Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. I, 7 maggio 1996, n. 4235; Cass. civ., sez. III, 23 luglio 2003, n. 11451), la citata disposizione normativa acquista particolare significato esclusivamente in relazione alle ipotesi in cui esiste un ostacolo all’esercizio utile e consapevole del diritto: il che equivale a dire che deve necessariamente trattarsi di un impedimento giuridico e non di mero fatto all’esercizio dello stesso. Pertanto, non sembra si possa limitare il decorrere del termine quinquennale di prescrizione in materia contributiva e addurre a giustificazione la sussistenza di impedimenti di mero fatto, come, nel caso di specie, la difficoltà da parte dell’Inpgi di contabilizzare integralmente l’esatto importo del contributo previdenziale, al deliberato scopo di posticipare illegittimamente l’inizio del termine prescrizionale alla data in cui l’Inpgi riceve le “necessarie informazioni” da parte dell’Amministrazione finanziaria. È sempre la Suprema Corte ad aver inequivocabilmente precisato che in tema di decorrenza del termine di prescrizione “l’impossibilità di far valere il diritto al quale l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, come quelli che trovino la loro causa nell’ignoranza, da parte del titolare, dell’evento generatore del suo diritto e nel ritardo con cui egli proceda ad accertarlo per la mancata comunicazione… di tale evento da parte del debitore…. ”(Cass. civ., sez. lav., 11 dicembre 2001, n. 15622). 2 confuso e vessatorio. Sappiamo tutti che il lavoro del giornalista pubblicista può spaziare in una ampia gamma di prestazioni: la tipica cucina redazionale con la preparazione di pagine con una scarsa attività di scrittura di testi, la segnalazione di dati e notizie locali alla redazione situata nel grande centro, la predisposizione e La corretta delimitazione di ciò che forma oggetto dell’imponibile contributivo Non minore importanza assume poi la delimitazione dell’ambito oggettivo del preteso obbligo contributivo Inpgi. Su tale specifico punto l’art. 1, comma 26, della legge 08.08.1995, n. 335, nell’imporre a carico dei soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo e dei titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nonché degli incaricati alla vendita a domicilio, l’obbligo di iscrizione ad apposita Gestione separata presso l’Inps, esclude che la cessione del diritto d’autore comporti alcun obbligo contributivo a carico di coloro che, in qualità di giornalisti iscritti all’Albo, percepiscono compensi per la cessione di opere dell’ingegno. Infatti, il testo normativo se, da un lato include nell’imponibile contributivo solo i redditi di lavoro autonomo e da collaborazioni (più i compensi per vendite “porta a porta”), dall’altro esonera da obblighi contributivi i proventi che derivano dalla cessione del diritto d’autore. E dato che, per espressa disposizione di legge (art. 76, comma 4, legge n.388/2000), “le forme di previdenza gestite dall’Inpgi devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive”, all’Inpgi non può far capo la titolarità di diversa potestà contributiva, mediante la predisposizione di propri regolamenti che si Consuntivo Inpgi 2003: avanzo di Il Consiglio di amministrazione dell’Inpgi ha approvato il consuntivo 2003, il quale chiude con un avanzo di 63,775 milioni di euro. Ulteriore elemento positivo, si legge in una nota dell’istituto, è il rapporto percentuale fra entrate contributive correnti e spesa previdenziale, che resta fissato al 90,2% (100 euro di contributi incassati, 90,2 spesi per pensioni, 9,8 destinati ad incrementare la riserva). Si registra tuttavia, rileva la nota, un rallentamento nella crescita percentuale dei contributi correnti (dal 6,06 al 5,14%) mentre si rafforza un aumento percentuale della spesa previdenziale (dal 4,32% del 2002 al 5,12% del 2003). Il risultato del bilancio, che dovrà ora passare alla ratifica del Consiglio generale, è caratterizzato principalmente dai seguenti capitoli: gli iscritti e i rapporti di lavoro. Anche nel 2003 è continuata la crescita degli iscritti attivi. Al 31 dicembre il loro numero era pari a 14.837 giornalisti (+ 4,52% rispetto al 2002) così ripartiti: 12.551 professionisti, 1.241 pubblicisti, 1.045 praticanti. Ne deriva quindi un ottimo rapporto, rileva la nota dell’Istituto, tra iscritti attivi e pensionati: 2,80 giornalisti in attività per ogni iscritto in quiescenza (2,72 nel 2002). Il numero medio dei rapporti di lavoro è salito a 15.014 unità (+3,32%). Permane però negativo il dettaglio riguardante i praticanti: in tutto 1.123 rapporti di lavoro che hanno fatto segnare un regresso (meno 174 rapporti di lavoro rispetto al 2002). Più 4 positivo l’esame dei rapporti di lavoro stabili e a tempo pieno (articoli 1): un totale che nel 2003 ha riguardato 12.874 colleghi (crescita di 288 unità, pari al 2,29%) così ripartiti: 11.402 professionisti (+ 430 unità), 585 pubblicisti (+ 79), 887 praticanti (- 221). Un aumento di particolare rilievo ha riguardato i contratti articolo 1 derivanti dal contratto differenziato stipulato dalla Fnsi per il settore dell’emittenza locale. È stata infatti registrata una crescita del 41,43% rispetto al 2002, con un totale di 447 rapporti di lavoro a tempo pieno. I contributi correnti Sono aumentati, ma in misura inferiore rispetto al 2002: complessivamente 297,860 milioni, con una crescita di 14,559 milioni rispetto al 2002, pari al 5,14% (6,06% nell’anno precedente). La riserva tecnica Ivs prevista dalla legge 449/97 sale comunque a 1.103,696 milioni, che garantiscono 7,396 annualità (6,987 nel 2002). Le prestazioni previdenziali e i prepensionamenti Anche il settore pensionistico continua a far rilevare la tendenza all’aumento: un impegno totale di spesa che nel 2003 è stato di 245,980 milioni (+ 11,980 milioni, con un incremento percentuale del 5,12% rispetto al 4,32 del precedente esercizio). Il numero dei trattamenti pensionistici è stato nell’anno pari a 5.304 (+ 78 unità rispetto al 2002). Sempre preoccupante l’onere dei prepensionamenti, il cui costo è a completo carico dell’Inpgi. Tredici i nuovi prepensionamenti riferiti al 2003 che si sono aggiunti a quelli maturati negli anni precedenti, determinando nell’anno un’uscita complessiva aggiuntiva di 18,390 milioni. Senza questo onere il rapporto percentuale fra entrate contributive correnti e spesa pensionistica scenderebbe di oltre 6 punti, dal 90,02% all’83,49%. L’attività ispettiva e legale Le ispezioni concluse in 76 aziende editoriali hanno comportato 67 verbali di addebito per un totale di 13,091 milioni, di cui 8,578 riferiti a contributi evasi od omessi e 4,513 riguardanti sanzioni civili. Ben 450 sono state le contestazioni relative a posizioni accertate nell’ambito del lavoro subordinato giornalistico e che le aziende consideravano in maniera difforme. Nel 2003 il Servizio legale ha ottenuto in Tribunale 51 giudizi favorevoli all’Istituto. Il credito complessivo riconosciuto dai giudici (anche in questi casi sentenze provvisoriamente esecutive) è stato di 7,651 milioni. ORDINE 6 2004 stesura di articoli, saggi corrispondenze su temi di attualità o di cultura. Una pluralità di modalità di esplicare l’attività di pubblicista, tutti di buon contenuto giornalistico ma solo le ultime accompagnate da quella caratteristica di creatività ed originalità tale da poter essere collocata nel novero delle opere suscettibili di protezione come opera dell’ingegno, e quindi in grado di produrre un contenuto economico caratterizzato dalla qualifica di compenso per lo sfruttamento del diritto d’autore. Sappiamo tutti come questo tema sia controverso e sembra sia stato spesso sfruttato per coprire situazioni che con la protezione dell’opera dell’ingegno avevano poco a che fare, ma miravano solamente a coprire vantaggi fiscali; pur tuttavia non si può certamente arguire da un eventuale comportamento discutibile l’inesistenza di un diritto. Inoltre non si comprende come l’Inpgl/2 possa ritenersi dotata di maggiore autonomia anche rispetto al principale istituto previdenziale italiano, l’Inps, tanto da ritenere che quelle leggi che si applicano per tutti i cittadini non valgono per i giornalisti: le prestazioni occasionali, se capaci di generare un reddito minore non sono soggette a contribuzione di sorta, e questo sia che riguardino un’attività artistica, sia di consulenza che giornalistica. L’occasionalità trova in se stessa la propria situazione di imposizione sia fiscale che previdenziale e non si comprende come l’Inpgi 2, considerandosi legibus solutus possa chiamarsi fuori dalla interpretazione generale. Infine deve essere affrontato con attenzione il problema della prescrizione della eventuale pretesa contributiva. Il mondo attuale è costellato di termini precisi, che condizionano con scadenze tassative la vita del cittadino: la dichiarazione dei redditi, la patente, l’assicurazione auto, l’abbonamento TV e tanti altri sono appuntamenti legati ad una data precisa e superarla comporta pesanti sanzioni. vorrebbero applicare nei confronti di un’intera categoria professionale, tali da ergersi al di sopra dello stesso dettato normativo in materia previdenziale. Alla luce delle suesposte considerazioni non sembra pertanto possa riconoscersi alcuna valenza al Regolamento della gestione, che imporrebbe, come sopra accennato, un ingiustificato differimento del termine di prescrizione dei contributi alla data di ricevimento delle “informazioni “ relative ai singoli contribuenti, né tantomeno sembra possa assumere un qualche rilievo il D.Lgs. n. 103/1996 richiamato negli “avvisi bonari” indirizzati ai professionisti e pubblicisti, in quanto tale decreto, sebbene provveda ad estendere la tutela previdenziale obbligatoria anche ai soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione iscritti in albi o elenchi, non per questo ci sembra idoneo ad imporre alcuna legittima pretesa con riferimento a contributi che sono ormai da ritenersi prescritti per le ragioni di cui sopra. 3 Il codice civile espressamente prevede la tassitività del termine di prescrizione entro cui deve essere fatto valere un diritto e fulmina con la sanzione della decadenza l’eventuale pretesa azionata dopo lo spirare del termine di prescrizione. Termini precisi, quindi, per i quali il presupposto formale necessario è il c.d. die a quo, il momento di partenza attraverso il quali si inizia a contare il decorso del tempo e questo, come presupposto necessario alla certezza del diritto non può essere lasciato alla leggerezza della sorte. Il termine quinquennale per la pretesa dei contributi sui redditi giornalisti per l’anno 1996 decorre dalla data di consegna della dichiarazione di parte all’autorità che deve lavorarla; decorre quindi, generalmente dal maggio/giugno 1997 ed è irrimediabilmente prescritto. Il fatto di avere eventualmente ricevuto in ritardo gli elaborati non esime certamente Inpgi dal rispetto dei termini e dai propri dirit- ti/doveri, posto che in materia fiscale esiste da circa trent’anni una norma specifica (art. 69 Dpr 600/73) che dispone la pubblicità degli elenchi dei contribuenti e la segnalazione, comune per comune, di tutti i dati utili dei dichiaranti entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello della dichiarazione. Una colpevole inerzia non può generare un aggravio vessatorio sulle spalle dei giornalisti che avendo a suo tempo correttamente dichiarato i redditi percepiti ritennero a ragione di avere esaurito gli adempimenti richiesti. Purtroppo l’esiguità degli importi e la convinzione che il contributo Inpgi/ 2 sia una sorta di tributo tanto sgradito quanto immanente farà versare a qualche collega un importo che nulla aggiunge alla sua condizione contributiva e non è dovuto stante il trascorrere del tempo. Mai come in questo caso una pluralità di dissensi diviene un terremoto purificatore! Irripetibilità dei contributi relativi all’annualità 1996 Infine, si ritiene utile dare atto del fatto che, trattandosi di contributi ormai non più dovuti, non può in alcun modo essere riconosciuta l’esistenza di un eventuale obbligo del giornalista al versamento di importi caduti in prescrizione. Infatti, “nella materia previdenziale… il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti, ai sensi del comma 9 dell’art. 3 della legge n. 335 del 1995, che vale per ogni forma di assicurazione obbligatoria… Pertanto deve escludersi la sussistenza di un diritto dell’assicurato a versare contributi previdenziali prescritti… Né tale disciplina si pone in alcun modo in contrasto con gli art. 3 e 38 cost., avuto riguardo alla sua ragionevolezza, corrispondendo la stessa ad una esigenza di equilibrio finanziario degli enti previdenziali che impedisce agli assicurati di costituirsi benefici attraverso una contribuzione concentrata nel tempo e ritardata…” (Cass., civ., sez. lav., 27 giugno 2002, n. 9408). In senso conforme anche le seguenti pronunce: Cass. civ., sez. lav., 4 giugno 2003, n. 8888; Cass. civ., sez. lav., 1 luglio 2002, n. 9525; Cass. civ., sez. lav., 12 gennaio 2002, n. 330; Cass. civ., sez. lav., 16 agosto 2001, n. 11140; Corte Appello Milano, 30 maggio 2000. Sembra si possa, dunque, ragionevolmente concludere nel senso del riconoscimento che nulla è ad oggi dovuto con riferimento all’anno d’imposta 1996 all’Inpgi e che gli importi indicati nella dichiarazione dei redditi dei giornalisti (Mod. 760/97) sono da reputarsi esclusi da contribuzione presso la Gestione separata Inpgi. 63,775 milioni di euro La disoccupazione e la Cigs in leggera crescita, ma attenuata rispetto al 2002, l’uscita per disoccupazione: 8,183 milioni (+ 8,92% rispetto al 2002, allorchè l’aumento era stato del 36,90%). I numeri dei giornalisti beneficiari dell’indennità è stato di 1354 unità, con una complessiva contribuzione figurativa accreditata di 5.060 mensilità. Migliore la situazione del ricorso alla cassa integrazione. Nell’anno i giornalisti in Cigs sono stati 92 (136 nell’anno precedente). La spesa totale per l’indennità è ammontata a 589.600 euro. I fondi svalutazione crediti Sono stati ancora incrementati i fondi di svalutazione, il cui totale assomma a 106,445 milioni di euro. Fra questi spicca il fondo svalutazione crediti contributivi (99,012 milioni) il quale consentirà a breve di poter decidere il varo di un condono previdenziale senza alcuna ripercussione negativa sui bilanci dell’Ente. Il settore immobiliare Nel 2003 è ulteriormente aumentato l’ avanzo netto di gestione: 13,665 milioni di euro, pari a + 8,66% rispetto al 2002. ORDINE 6 2004 Questa rilevante crescita è tanto più significativa se si considera che l’ Inpgi ha comunque deciso di percorrere la strada dei canoni agevolati (previsti dalla legge 431 del ‘98) applicando tale condizione ai contratti in scadenza. Il rendimento netto del patrimonio immobiliare, rapportato al valore contabile (646.710.851 euro) è stato del 2,11 per cento: 1,33% per l’abitativo (canoni per un totale di 14,778 milioni) e 4,13% per l’ uso diverso (canoni per 9,671 milioni). Queste in dettaglio le cifre relative al consuntivo 2003. Proventi per canoni pari a 24,450 milioni di euro (+ 6,126 rispetto al 2002). Oneri complessivi netti per 10,785 milioni (+ 3,08% rispetto all’ anno precedente). Ne risulta un avanzo di gestione di 13,665 milioni con un aumento percentuale del 8,66%. Gli investimenti mobiliari Nel 2003 l’andamento dei mercati finanziari è stato finalmente positivo. Tale situazione si è riflessa sulla attività degli investimenti, che si è conclusa con un rendimento netto del 6,01%, contro il 2,44% del 2002. Al 31 dicembre 2003 il valore di mercato complessivo del portafoglio era di 324,522 milioni (316,267 milioni il valore di bilancio e plusvalenze implicite di 8,255 milioni). (ANSA) Dopo due sentenze dei Tribunali di Roma e di Milano La collaborazione è lavoro autonomo: legittimo il cumulo con la pensione Abruzzo: “Una sconfitta per l’Inpgi” Milano, 13 maggio 2004. La collaborazione è da considerare come lavoro autonomo non dipendente, quindi è legittimo il cumulo con la pensione. Lo hanno stabilito, prendendo in esame due aspetti collegati della vicenda, i tribunali di Roma e Milano, ai quali si era rivolta una giornalista alla quale l’Inpgi aveva chiesto la restituzione di quasi 32 milioni di lire relativi al periodo di collaborazione. “Una bruciante sconfitta per l’Inpgi”, l’ha definita il presidente dell’Ordine lombardo dei giornalisti Franco Abruzzo che sottolinea di aver sempre sostenuto la linea “del rispetto dei diritti costituzionali nel rapporto tra iscritti e istituto di previdenza”. La giornalista protagonista della vicenda nel 1997 aveva rassegnato le dimissioni dal mensile “Rackam” di Rusconi avendo raggiunto l’età pensionabile e gli oltre 240 contributi mensili, come prevede il regolamento Inpgi. Quindi aveva stipulato un contratto di collaborazione per un anno con lo stesso periodico, per fornire un centinaio di articoli. Qualche mese dopo, terminata la collaborazione, l’Inpgi aveva fatto un’ispezione presso la casa editrice, la Rusconi Editore Spa, comunicando alla giornalista di aver rilevato un rapporto di lavoro subordinato, incompatibile con il trattamento pensionistico per lo stesso periodo, e chiedendo quindi il rimborso. La giornalista si era rivolta ai giudici e il Tribunale di Roma ha stabilito che il rapporto di collaborazione era stato un rapporto autonomo. Sulla stessa posizione anche il tribunale di Milano, che ha ricordato che il divieto di cumulo è previsto solo in misura del 50% con la retribuzione percepita alle dipendenze di terzi e non per i redditi di lavoro autonomo. (ANSA) E Cescutti replica: “Una sconfitta per la giustizia” Roma, 13 maggio 2004. Non una sconfitta per l’ Inpgi ma per la giustizia: così il presidente dell’ ente, Gabriele Cescutti, replica al presidente dell’ Ordine dei giornalisti di Milano Franco Abruzzo. “Il presidente dell’ Ordine dei giornalisti di Lombardia ha oggi diffuso la notizia di due sentenze, dei Tribunali di Roma e di Milano, che a suo avviso rappresenterebbero “una sconfitta bruciante e clamorosa per l’Inpgi” sul fronte del divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro, e sull’accertamento del lavoro subordinato - dice Cescutti -. Invero il caso rappresenta piùche una sconfitta per l’ Ente previdenziale dei giornalisti, una sconfitta per la giustizia alla quale l’Inpgi si opporrà in sede di appello, per tutelare i diritti di dodici giornalisti del gruppo Rusconi, e di tutti coloro che si trovino in analoga condizione”. La prima sentenza, sottolinea Cescutti, del Tribunale del Lavoro di Roma, “ha rigettato la richiesta dell’ Inpgi in merito al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato nei confronti di dodici giornalisti, considerati collaboratori autonomi dalla Rusconi Editore, e per i quali invece un’ispezione dell’Inpgi individuò, nel 1998, il diritto ad un rapporto di lavoro subordinato (tempo pieno o collaborazione fissa). Le prove documentali raccolte dagli ispettori dell’Inpgi, nonché le numerose testimonianze, non sono state ammesse dal Giudice del lavoro di Roma - rileva Cescutti - il quale ha sbrigativamente affermato che la presenza quotidiana in azienda e l’ inserimento nella struttura organizzativa e produttiva aziendale, non bastano a provare la subordinazione del rapporto di lavoro. Né basta che i colleghi disponessero di scrivania e computer, che percepissero una retribuzione fissa mensile, che fossero sottoposti ad un vincolo di esclusiva, né che alcuni di loro avessero persino ottenuto proprio dall’Ordine lombardo, in tempi successivi, la retrodatazione dell’ inizio del praticantato”. La seconda sentenza, del Tribunale di Milano, continua Cescutti, “si riferisce al caso di una collega del gruppo dei dodici, la quale al tempo dell’ ispezione era già pensionata Inpgi, e cui di conseguenza l’ Istituto aveva comunicato l’applicazione delle norme in vigore sul cumulo tra pensione e redditi da lavoro subordinato. Caduta, per il momento, al Tribunale di Roma la richiesta di riconoscere ai dodici giornalisti la caratteristica della subordinazione, il Tribunale di Milano, cui la collega si era rivolta, non ha potuto che affermare la possibilità di cumulare pensione e redditi ‘autonomi’, come la legge prevede”. “Ma quest’ ultimo caso - sottolinea Cescutti - non è certo rilevante. Ciò che è significativo, e grave, è invece che i diritti dei lavoratori vengano travolti in Tribunale senza che i Giudici ammettano le prove che l’ Inpgi, a nome degli iscritti, chiede di potere produrre. Sorprende non poco quindi - conclude Cescutti - che Franco Abruzzo (il quale, tra le ragioni per la sua riconferma alla presidenza dell’ Ordine lombardo, ha di recente pubblicizzato la sua opera gratuita per il riconoscimento dei diritti e del lavoro subordinato dei giornalisti) questa volta si compiaccia della sconfitta subita dall’ Inpgi e da un gruppo di colleghi”. (ANSA) 5 RAPPORTO Un’analisi dell’Istituto di studi intermediali di Francesca Romanelli Nuova, infinita, indefinibile. Virtuale eppure reale. Tanto da costituire l’ultima frontiera nello scambio di informazioni fra gli uomini e allo stesso tempo il più recente sbocco professionale della modernità. È la madre di tutte le reti, Internet, quel fiume informatico di dati, nomi, cifre, immagini capace di affluire e attingere ai computer di tutto il mondo creando un inesauribile giacimento di saperi. Ma soprattutto ribattezzando la comunicazione con una nuova identità: quella digitale. La stessa entrata di forza anche nell’ultimo contratto nazionale dei giornalisti italiani 20012005, che ha aggiunto alle sei categorie di operatori dell’informazione già esistenti (carta stampata, radio, tv, grafica, fotocineoperatori e uffici stampa delle pubbliche amministrazioni) anche la nuova figura del giornalismo on line. Una realtà che sta cambiando il presente e che il testo “Comunicazione digitale e professioni”, primo rapporto dell’Istituto di studi intermediali “sull’offerta formativa italiana per l’area della comunicazione” edito da Apogeo, ha scandagliato in modo minuzioso per restituire una carta d’identità aggiornata del fenomeno. Analizzando i presupposti socio-tecnologici della nascita della rete, le normative nazionali ed europee in materia, le strade accademiche per diventare protagonisti del nuovo settore. E allora vediamo, in dettaglio, i risultati di questa indagine condotta in sinergia con l’università Statale di Milano. Comunicazione digitale: come cambiano le professioni L’universo digitale La comunicazione digitale e l’Unione Europea La formazione digitale nelle relazioni pubbliche Il silicio non ha cuore “Negli anni Ottanta tutto era più semplice: il telefono serviva per parlare, il televisore per guardare, la radio per ascoltare, il computer per lavorare. [...] Poi arrivarono due uragani: la telefonia mobile e Internet”, esordisce Fabrizio Vagliasindi, direttore dell’Isi. Un’evoluzione molto simile a quella avvenuta a suo tempo per il cinema, che fra il 1907 e il 1917 passò dallo stile “primitivo” a quello “classico”, nota Vagliasindi. E l’analogia fra questi due mondi sta tutta nel fatto che le tecnologie precedettero lo sviluppo di codici comunicativi comuni. Tutti da elaborare ex post, su base pratica più che teorica. Proprio come avviene per la grande rete, per i telefonini che consentono anche di guardare la tv e di inviare immagini. Ma in questo universo avanguardistico, alcune definizioni abusate dalla gran parte degli utenti sono già vecchie. Meglio parlare di “intermedialità” piuttosto che di “multimedialità”, avverte Vagliasindi, perché l’antica pluralità dei media sta per essere sostituita dall’interfungibilità di ogni medium. La legge, si sa, arriva sempre dopo che un fenomeno ha già dispiegato i suoi effetti (o manifestato la sua presenza) sulla collettività. È stato così anche per la nascente Unione Europea che nel 1992, “adottando il trattato di Maastricht”, si prefiggeva di “liberalizzare il settore delle telecomunicazione” dal 1998. Per la prima normativa sul digitale, bisognerà attendere altri quattro anni. È il 24 aprile 1996 quando la Commissione europea approva un documento sulla necessità di regolamentare la nuova struttura della comunicazione. Tre le direttrici di intervento verso cui si è sviluppato l’intervento legislativo comunitario: individuare in una direttiva quadro “gli obiettivi politici” cui potevano soddisfare le nuove tecnologie; “l’approvazione di quattro direttive specifiche relative a licenze, accesso e interconnessione, servizio universale e tutela dei dati personali e della vita privata”; “un richiamo più incisivo alle regole di concorrenza generali del Trattato”. A tutto ciò segue, oggi, il piano d’azione 2005 per accelerare “l’istituzione dei servizi a banda larga” e inaugurare l’epoca dell”amministrazione elettronica”, nonché il potenziamento dell’e-learning e della “salute in rete”. Quest’ultima fase prevede che i governi Ue, entro la fine del 2005, installino “reti di informazione sanitaria che colleghino ospedali, laboratori e cittadini”. Qualcuno, all’avvento di Internet, pronosticò che il giornalismo classico sarebbe stato spazzato via dalle nuove tecnologie. Con lui, anche la figura del giornalista “segugio” delle notizie, selezionatore dei contenuti e di uno stile con cui proporre il proprio messaggio al pubblico. Tutto questo non solo non si è avverato. Ma, affermano gli autori di questo spicchio di ricerca, il giornalista rimane l’unico baluardo di seria sintesi informativa nell’inevitabile “polverizzazione” contenutistica del web. In rete, infatti, le informazioni assumono quattro forme: la presenza su un sito, il “formato audiovisivo”, la newsletter, il motore di ricerca. Declinazioni virtuali cui si aggiungono “newsgroup, forum, web log e chat” che portano con sé una comunicazione “vivente”. Il ruolo del comunicatore, in questo ambiente, si caratterizza per due atteggiamenti: “l’ascolto” dei segnali che pervengono dal web; “il contributo” al web stesso. In un oceano di dati, poi, il ritratto del giornalista deve includere un segno particolare: la “curiosità”. La stessa che da due secoli (nel 1833 nasce negli Usa il quotidiano moderno fondato sulla cronaca) sostanzia la professione. E che rimane requisito ineliminabile anche per il futuro. È frutto di un paradosso l’attuale funzionamento della rete. Che contraddice le più assestate teorie economiche. Dopo la “bolla speculativa” che a cavallo del 2000 fece espandere e assumere valore all’universo Internet, la diffusione del nuovo mezzo determinò un simultaneo crollo del suo prezzo. Fin qui tutto normale. Se non fosse che l’estrema proliferazione dei punti d’accesso alla rete avrebbe dovuto provocare una rivalutazione del contatto con il cliente. Nonostante “la crescente importanza concettuale che il mercato dà alla conoscenza del singolo cliente/fruitore”, invece, “non ha fatto riscontro alcuna rivalutazione del prezzo di questo contatto”. Di più. Raggiungere un individuo è una risorsa preziosa”. “Per raggiungerlo, però, nessuno vuol pagare”. La ricetta per il comunicatore che voglia inserirsi in questo mondo contraddittorio, allora, è una sola: la “specializzazione” del lavoro. L’equilibrio è la morte La rete che avvolge: l’impatto sul mondo del turismo Videogame: formazione per la digital generation Giornalista o enciclopedista? Una volta, a rivoluzionare l’arte e la musica, erano le “avanguardie”. Le uniche che si sobbarcavano il costo dell’incomprensione per sovvertire i linguaggi tradizionali della loro forma preferita di espressione. Oggi, invece, la compresenza di tutti i linguaggi su un unico mezzo di espressione (come la rete), rende l’avanguardia quotidiana. Una rivoluzione giornaliera. Socialmente legittimata. E soprattutto a disposizione di tutti. Con un’avvertenza però. Che la rivoluzionarietà del mezzo nelle mani di tutti deve spronare il vero comunicatore (o comunque l’operatore del web) a innovare continuamente. In una parola: il fatto di trovarsi in un fiume in piena, non deve esimere dal remare. Verso ancora nuove soluzioni. Internet non ha cambiato solo il modo di pensare e, per estensione, di comunicare. Ha modificato anche il modo di agire. Lo testimonia, nel concreto di un’esperienza comune, il nuovo rapporto fra aziende che operano nel turismo e utenti. Fra Internet e turismo, segnala l’autore del saggio di questo capitolo, è “un matrimonio ideale”. Sei i motivi. In primis, il web soddisfa quel gran numero di informazioni che sono necessarie per scegliere una meta piuttosto che un’altra. Poi, l’istinto costante al risparmio sul prezzo del viaggio fa della rete il mezzo più completo e veloce per trovare l’offerta migliore. È inoltre, già di per sé, un primo passo verso la delocalizzazione. E siccome il viaggio è un bene deperibile che richiede aggiornamento costante, il web consente di avere le ultime informazioni e di evadere il last minute. Semplifica poi la vendita del pacchetto. E infine, sostituendo i biglietti con videate elettroniche, elimina anche i problemi logistici. Risultato: la rivoluzione del settore. Con il 20% del turismo americano che ormai viaggia on line. Il crollo dei costi, a vantaggio del cliente. E il forte rischio delle tradizionali agenzie di viaggio di sparire. Sono forse stati i primi a nascere digitali. E oggi informano di sé, dei loro colori e delle loro tecnologie, tutto il mercato del web. I videogiochi sono passati da prodotto di nicchia a icona della modernità. Ma molte differenze rispetto al passato si abbattono anche su questo settore. Se alle origini quello che contava era il designer dell’animazione, oggi prende rilievo la figura del producer: l’uomo, la società o il gruppo che stabilisce come il prodotto deve essere e che investe nella sua commercializzazione. Semplicemente divulgatore Web. “C’era una volta il web editor, rapido elaboratore di testi per la rete globale, esperto scout, abile a scovare fonti e informazioni su qualsiasi argomento. Poi venne il content manager, progettista di siti e pagine Internet, capace di mettere d’accordo ingegneri e redattori...”. Inizia così il capitolo dedicato alle nuove figure incentrate sul concetto, sempre vitale, di notizia. L’esempio del sito Sapere.it della De Agostini, conduce per mano il lettore alla comprensione di quello che oggi serve alle aziende editoriali che operino con iniziative digitali. Non tanto un giornalista (se non per i notiziari web) quanto un divulgatore dei saperi. Che concili cultura e interesse nella nuova era. 6 I vari tipi di offerta: classificazione e descrizione Ma ora, definito il web con la sua natura e le sue esigenze, come si fa a diventare operatori dei nuovi media? Ci pensa questo nono capitolo dell’opera, che raccoglie e classifica l’offerta formativa italiana in materia. In tutto 98 schede su lauree, corsi, master e specializzazioni che si trovano negli atenei e nelle accademie della penisola. Dal master in Storia, didattica e comunicazione attivo alla facoltà di Scienze politiche della Statale di Milano (gratuito e finanziato dal Fondo sociale europeo) al master in e-design del Politecnico ambrosiano. Passando per il master in giornalismo on line del campus di Firenze e in Informatica per umanisti della milanesissima Bicocca. ORDINE 6 2004 R I C E R C A Il Censis in collaborazione con l’Ordine e l’Ucsi Roma, 17 maggio 2004. “Diventare giornalista”. Sì, ma come? Negli ultimi anni il dibattito è stato caratterizzato da una considerevole accelerazione. L’Ordine dei giornalisti ha messo a punto più di una proposta. Ma, per ora, la riforma dell’accesso alla professione, da più parti invocata, si è arenata in Parlamento. Ma c’è un punto fermo: la strada universitaria, la formazione affidata alle scuole e ai corsi di laurea riconosciuti dall’Ordine. Su chi debba fare cosa e come, invece, il dibattito è ancora aperto, nonostante un avvicinamento sensibile tra mondo universitario e giornalistico. Come obiettivo, comunque, il giornalista ideale: libero, corretto e soprattutto qualificato. Questo è il futuro e il presente? Il presente è davvero poco confortante: l’accesso alla professione è vicino al punto di rottura; la disoccupazione è preoccupante; i rapporti di lavoro sono sempre meno stabili e la minore stabilità mette a rischio la libertà dei giornalisti; e, poi, ci sono le questioni più generali, ma non meno importanti. Queste ultime, si muovono, essenzialmente tra la necessità di una maggiore preparazione culturale e l’urgenza di una maggiore pratica deontologica. Ma come “Diventare giornalista”? Questo era il tema di una ricerca condotta dal Censis, in collaborazione con l’Ordine nazionale dei giornalisti e l’Ucsi, terzo passo di un percorso iniziato nel 2001, nell’ambito del Rapporto sulla Comunicazione. Allora, furono fotografate le problematiche più generali del mestiere. Nel 2002, l’istantanea del Censis ha fermato, invece, pregi e difetti delle Scuole di giornalismo, quelle riconosciute dall’Ordine. Nel 2003, l’attenzione si è spostata ancora: sotto la lente d’ingrandimento le esperienze professionali e le aspirazioni dei candidati, impegnati in due diverse sessioni di esami (aprile e ottobre 2003). Praticantato: rubinetto aperto, ma le differenze sono troppe Un processo al praticantato? Dai dati del Censis sull’avvicinamento agli esami No, solo il tentativo di mettere in numeri un problema, per poi provare a risolverlo. I risultati, preziosi, vanno letti, però, considerando che, nelle due sessioni prese in esame non partecipavano o quasi i praticanti delle Scuole, e che hanno risposto al questionario 380 candidati su 1223. Una rappresentatività statisticamente attendibile, ma soggetta ad un dubbio lecito: che ci sia stata una risposta elitaria al questionario del Censis? La sottolineatura, è stata fatta più volte, nel corso della presentazione della ricerca, svoltasi nelle sede dell’Ordine nazionale dei giornalisti, a Roma. Nel salone dell’Ordine nazionale i lavori si sono aperti proprio con “Il chi fa che cosa” del segretario dell’Ordine nazionale, Vittorio Roidi: “La responsabilità è solo dei giornalisti o di chi altro? Del mondo universitario, del Parlamento”. Intanto, “il rubinetto dell’accesso alla professione è aperto e il flusso è grosso. È un fatto positivo che 1000-1200 persone vadano all’esame ogni anno, ma quale praticantato hanno fatto? Che professionisti saranno?”. Nessuna velatura restrittiva, ma solo il tentativo di capire la direzione di questo flusso, la sua capacità di dare nuova linfa al giornalismo, contribuendo a quel salto di qualità, ormai vitale. Illustrato dal dottor Raffaele Pastore “sembrano emergere alcuni elementi di criticità circa la tenuta dell’attuale processo di reclutamento professionale, irto di complicazioni, difficoltà, esiti spesso imprevedibili che, nel complesso, finiscono per depotenziare, in parte, l’efficacia formativa di tale processo di transizione verso l’attività professionale”. Sulla base dei dati raccolti, lo studio suddivide il campione in quattro gruppi (per quanto riguarda il percorso di avvicinamento agli esami): praticantato standard (39,1%), svolto in una testata a stampa (quotidiano), contratto Fnsi, iscrizione al relativo registro con la dichiarazione del direttore; praticantato difficile (17,11%), testata a stampa, senza alcun contratto o come collaboratori, riconoscimento d’ufficio, sei su dieci hanno più di 34 anni; praticantato sul web (22,37), testata web, contratti diversi da quello Fnsi, riconoscimento d’ufficio (50%), giovani; praticantato radiotelevisivo (41,3%), televisione locale/regionale, cinque su dieci sono donne, giovani. Sostanzialmente, i praticanti di ciascun gruppo non hanno avuto esperienze in altri mezzi di comunicazione.Poi, ancora altri numeri. Il Tipo di praticantato 36,1% 21,8% 13,4% Quotidiani Tv locale 10,8% 9,2% 8,7% Periodico Settimanale Web Altro Qualifica dei praticanti Laureati Diplomati Media inferiore Professionale 52.6% 41.2% 1.9% 0.8% 38% ha più di 35 anni e svolge da oltre otto anni l’attività giornalistica, che rappresenta nel 93,7% dei casi la fonte di reddito prevalente. Il 64,7% sono uomini, il 35,3% donne. Poco più della metà, il 52,6%, sono laureati e di questi il 7,2% può contare su una specializzazione, un master o un dottorato. L’altra metà ha conseguito, invece, nel 41,2% dei casi, un diploma di scuola superiore, solo l’1,9% possiede un diploma di scuola media inferiore e lo 0,8% una qualifica professiona- le. A metà fra i due gruppi c’è un 3,5% che ha conseguito una laurea breve. Relativamente al tipo di praticantato, il 36,1% lo ha svolto in un quotidiano, il 13,4% in una tv locale, il 10,8% in un periodico e il 9,2% in un settimanale: il 70% dei futuri giornalisti, quindi, ha fatto un’esperienza di tipo tradizionale. L’8,7% si è formato, invece, in una testata web, ma solo il 2,7% aspira a lavorarci: in cima ai desideri, resta l’impiego in un quotidiano nazionale (44,6%). Gli interventi alla presentazione della ricerca nel salone dell’Ordine nazionale Raffaele Pastore, che è responsabile del settore comunicazione del Censis, ha sottolineato quattro diversi punti di criticità: la scarsa apertura al web, la vischiosità del sistema e l’imponderabilità dell’efficacia del praticantato. Il quarto punto riguarda la deontologia o meglio la scarsa conoscenza delle norme che la regolano. Il 19,9% dei candidati ritiene carente la formazione in questo campo e i risultati della ricerca vanno in questo senso: infatti, oscilla tra il 23,6 e il 34,7% la percentuale di quanti non hanno letto (“ne hanno sentito parlare”) i 4 testi base relativi alla deontologia (La Carta sui minori di Treviso, La Carta dei Doveri, Il codice sulla Privacy e la legge 69/1963, sull’ordinamento della professione giornalistica). “Il nuovo giornalismo è sempre più fuori dalle regole, esposto a qualunque ricatto e pressione e per questo è necessario aprire una grande vertenza sindacale, ordinistica e legislativa”, così l’allarme lanciato dal segretario della Fnsi, Paolo Serventi Longhi. Un richiamo al lavoro comune, all’individuazione di percorsi formativi condivisi: “Il praticantato standard sta scomparendo, lo dimostrano i bilanci dell’Inpgi 2003, in base ai quali i praticanti sono diminuiti del 50%. Dobbiamo fare, tutti, i conti con un nuovo giornalismo e le scuole rappresentano l’unica strada percorribile, ma bisogna rendere omogeneo il sistema di accesso al praticantato”. Un richiamo al lavoro comune, a regole certe: ORDINE 6 2004 “È curioso, ma non siamo riusciti a portare a un tavolo di lavoro gli editori”, il commento di Vittorio Roidi. A ruota l’intervento di Mario Morcellini, presidente del Coordinamento nazionale dei corsi di Scienze della comunicazione: “La prima criticità riguarda il cambiamento della domanda di formazione, in seguito alla modifica dei centri di interesse: è un problema serio; la seconda, soprattutto italiana, è relativa all’aumento delle testate, della produzione di comunicazione che, però, non si traduce in un aumento del numero degli addetti, dei giornalisti occupati; la terza è legata all’analisi dei paradigmi di formazione e, in questo contesto, le scuole devono essere un punto di riferimento”. Le scuole, le università come faro formativo per i “nuovi” giornalisti, ma, anche, per i “vecchi”: “L’università deve ridurre i fossati professionali, non allargarli, coinvolgendo tutti”, secondo Morcellini. Sulla necessità di unità di intenti, ma non solo (e il riferimento è sia alla concessione del praticantato d’ufficio, sia alla questione formazione), ha insistito il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, Bruno Tucci: “Nel prossimo triennio bisognerà lavorare per migliorare una realtà difficile: c’è bisogno di un indirizzo comune, altrimenti ci saranno praticanti di serie A, B e C e quelli di C saranno in zona retrocessione”. Per Silvano Rizza, fondatore ed ex direttore dell’Ifg di Urbino, le scuole, in una situazione del genere, rappresentano una sorta di oasi: “Sui 178 ex allievi di Urbino, 173 lavorano”. Rizza ha, anche, espresso i suoi dubbi sul campione preso in considerazione dal Censis: “Lavoro prezioso, ma nelle due sessioni di aprile e ottobre, la presenza degli allievi delle scuole è inferiore all’1%”. Come dire, i risultati potevano essere diversi. Invece, Gigi Speroni, direttore dei corsi dell’Ifg di Milano, sulla base della sua esperienza personale e professionale, ha evidenziato la “vera passione” che anima i tanti aspiranti giornalisti (delle scuole, ndr): “Il contratto è una conquista difficile, ma la preparazione a tutto campo può essere un’arma vincente”. E per quelli un po’ più in là con gli anni: “Gli over 40 rischiano di trovarsi fuori mercato”. E gli editori? “In retroguardia”, risponde Speroni. Giuseppe Morello, consigliere dell’Ordine nazionale, ripercorrendo la storia dell’ente, si è soffermato sugli aspetti più dibattuti: “I precari, il riconoscimento d’ufficio del praticantato, sono problemi vecchi, datati Anni 70”. E allora? E allora, solo le scuole possono offrire quella formazione qualitativa di cui tanto si parla, perché, spesso, i praticanti d’ufficio “non hanno le attrezzature tecnico-culturali per affrontare il mestiere”, ha affermato Morello, concludendo: “È ora di voltare pagina”. “Lavorare in nero in una redazione, non assicura più il posto di lavoro, come una volta”, Roberto Seghetti, componente di Giunta della Fnsi, parte dal passato, dalla redazione-chioccia per analizzare il presente: “La scuola è il percorso migliore, ma vanno ripensati l’accesso al praticantato e gli stessi contratti e, poi, c’è da risolvere il problema dei freelance”. Ha concluso i lavori il presidente dell’Ordine, Lorenzo Del Boca: “La ricerca del Censis conferma la drammaticità della situazione”. Insomma, non c’è meraviglia, anzi: “Io sono per il praticantato tradizionale (nelle redazioni, ndr), ma oggi non ci sono più maestri, i giornalisti che ti insegnano il mestiere e perciò bisogna trasferire quel modello nelle scuole, le uniche in grado di garantire il mix di esperienza tradizionale e imprinting culturale”. Il presidente dell’Ordine, ha poi affrontato la questione flessibilità: “Noi non possiamo assecondare il mercato sulla flessibilità: la stabilità del lavoro è una garanzia di libertà, il posto fisso può mettere a riparo da pressioni e ricatti. Il nostro lavoro riguarda l’intera comunità sociale e gli editori devono capirlo”. Del Boca si è soffermato, infine, sul rapporto tra giornalismo e università: “Bene facciamo a mantenere il diritto di ispezione su docenti e insegnamenti nelle scuole”. E sì, perché docenti e contenuti sono il punto d’incontroscontro sul percorso di avvicinamento tra le due anime (giornalistica e universitaria) della “nuova professione”. (g.c.)-da www.odg.it 7 L’ esecutivo dell’Ordine nazionale dei giornalisti ha deciso di trasmettere ai Comitati di redazione ed alle associazioni professionali interessate la bozza di modifiche delle regole deontologiche della categoria volte a promuovere la qualità della stampa economica Occorre tener conto delle prescrizioni previste dalla direttiva europea sui reati finanziari (market abuse). Quest’ ultima, che sarà recepita entro il prossimo ottobre nell’ambito delle nuove misure sulla protezione del risparmio, ha incluso per la prima volta i giornalisti tra i soggetti vigilati - al pari degli analisti finanziari - quando i loro articoli contengano raccomandazioni d’investimento Roma, 19 maggio 2004. Parte la consultazione sulle regole di autoregolamentazione dei giornalisti finanziari. L’ esecutivo dell’Ordine nazionale dei giornalisti ha deciso di trasmettere ai comitati di redazione ed alle associazioni professionali interessate la bozza di modifiche delle regole deontologiche della categoria volte ad promuovere la qualità della stampa economica. La materia è stata affrontata da alcuni colleghi (Riccardo Sabbatini, Claudio Alò, Roberto Seghetti). È stata anche sottoposta ad un primo esame della Commissione cultura del Consiglio nazionale. Occorre tener conto delle prescrizioni previ- ste dalla direttiva europea sui reati finanziari (market abuse). Quest’ ultima, che sarà recepita entro il prossimo ottobre nell’ambito delle nuove misure sulla protezione del risparmio, ha incluso per la prima volta i giornalisti tra i soggetti vigilati - al pari degli analisti finanziari - quando i loro articoli contengano raccomandazioni d’investimento. Norme specifiche sono previste per l’identificazione dell’autore dell’articolo, la sua corretta presentazione e la trasparenza su eventuali conflitti di interesse. La direttiva europea prevede una deroga a favore dei giornalisti purché, si precisa, siano in vigore adeguati codici di autoregolamentazione. È 1 Osservazioni sulla Carta dei doveri La Carta dei doveri in vigore dal 1993 già prevede per il giornalista tre precisi obblighi deontologici: 1) non subordinare in alcun caso al profitto personale o di terzi le informazioni economiche o finanziarie di cui sia venuto comunque a conoscenza; 2) non turbare l’andamento del mercato diffondendo fatti e circostanze riferibili al proprio tornaconto; 3) non scrivere articoli relativi ad azioni sul cui andamento borsistico abbia direttamente o indirettamente un interesse finanziario, né vendere o acquistare azioni delle quali già si stia o si sta per occuparsi. Il primo principio andrebbe meglio circostanziato perché, nell’attuale formulazione, potrebbe precludere al giornalista ogni attività d’investimento consapevole. Si potrebbe precisare che il giornalista non deve “subordinare in alcun caso al profitto personale o di terzi le informazioni economiche o finanziarie di cui sia venuto a conoscenza nell’ambito delle propria attività professionale”. Il secondo principio è sostanzialmente assorbito dalla nuova formulazione del reato di aggiotaggio (contenuto nella direttiva sul market abuse) laddove (art.1 della legge comunitaria) si precisa che esempio di aggiotaggio è “l’avvantaggiarsi di un accesso occasionale o regolare ai mezzi di informazione tradizionali o elettronici diffondendo una valutazione su uno strumento finanziario (o indirettamente sul suo emittente) dopo aver precedentemente preso posizione su quello strumento finanziario, beneficiando di conseguenza dell’impatto della valutazione diffusa sul prezzo di detto strumento, senza aver allo stesso tempo comunicato al pubblico, in modo corretto ed efficace, l’esistenza di tale conflitto di interessi”. Il terzo principio fa unicamente riferimento alle azioni. Ne andrebbe estesa la portata all’insieme degli strumenti finanziari. L’espressione “sta per occuparsi a breve termine” è generica. Forse potrebbe essere sostituita con “...delle quali si sta occupando professionalmente o delle quali gli è stato chiesto di occuparsi”. 2 Analisi comparativa degli obblighi previsti dalla nuova direttiva sulla presentazione delle ricerche e delle norme deontologiche già presenti nell’ordinamento della professione giornalistica La recente direttiva comunitaria applicativa di quella sul market abuse, cioè sui reati di turbativa del mercato finanziario (2003/125/CE del 22 dicembre 2003) disciplina la corretta presentazione e la trasparenza su eventuali conflitti di interesse delle “raccomandazioni” all’acquisto riguardanti strumenti finanziari, intendendosi per tali “ricerche o altre informazioni, destinate ai canali di distribuzione o al pubblico, intese a raccomandare o a proporre, in maniera esplicita o implicita, una strategia 8 Etica dell’informazione economico-finanziaria: sondaggio fra i colleghi la strada che l’Ordine dei giornalisti ha deciso di percorrere. La bozza allegata - quella che viene sottoposta alla consultazione - per tenere conto delle nuove esigenze aggiorna la “Carta dei doveri del giornalista” (1993) introducendo una specifica sezione dedicata alla stampa economica-finanziaria. Tali principi verrebbero poi attuati dalle singole testate in propri codici di autoregolamentazione. Le regole deontologiche dei giornalisti sono già sostanzialmente adeguate alle norme europee per quanto riguarda l’identificazione dell’autore dell’articolo ed i possibili conflitti d’interesse dei singoli giornalisti (quando ad d’investimento in merito ad uno o pù strumenti finanziari o emittenti strumenti finanziari”. Come si vede la definizione è assai vasta ed include, oltre agli studi degli analisti, anche gli articoli dei giornali che presentano simili caratteristiche. Obblighi in arrivo con la nuova legge A) Identità dei soggetti che elaborano le raccomandazioni d’investimento. Gli Stati della Ue, nel recepire la direttiva, assicurano che sia in vigore una regolamentazione appropriata per riportare “in modo chiaro e visibile l’identità del soggetto responsabile della sua elaborazione, in particolare il nome e la funzione del soggetto che ha preparato la raccomandazione” di acquistare o vendere questo o quel prodotto finanziario. La norma non si applica ai giornalisti “soggetti a regolamentazione appropriata equivalente, ivi comprese appropriate norme di autoregolamentazione”. Qualora vengono riferite raccomandazioni prodotte da altri soggetti si invita la stampa a dar conto della motivazione di simili giudizi. Conformità delle attuali norme deontologiche in Italia: la Carta dei doveri dei giornalisti non disciplina questa materia Proposta. Occorre prevedere, nel caso di articoli di giornale che contengano “raccomandazioni d’investimento” l’obbligo di indicare il nome del giornalista o del collaboratore che l’abbiano redatta. B) Corretta presentazione delle raccomandazioni. Gli Stati della Ue assicurano che sia in vigore una regolamentazione appropriata perché nelle raccomandazioni: 1) “i fatti vengano tenuti chiaramente distinti dalle interpretazioni”; 2) le “fonti siano attendibili, ovvero che quando vi siano dubbi sulla loro attendibilità, ciò venga chiaramente indicato”; 3) “tutte le proiezioni, le previsioni e gli obiettivi di prezzo siano chiaramente indicati come tali e che siano indicate le principali ipotesi elaborate nel formularli e nell’utilizzarli”. La norma non si applica ai giornalisti “soggetti a regolamentazione appropriata equivalente, come i regolamenti della Ue o le norme di autoregolamentazione dei giornalisti. Conformità delle attuali norme deontologiche in Italia: i punti a e b sono sostanzialmente già recepiti nelle norme deontologiche della professione giornalistica (paragrafo “sulle fonti” della Carta dei doveri del giornalista). Il punto c), invece, no Proposta. Occorre prevedere che “in caso di raccomandazioni o proposte di strategia di investimento siano chiaramente esplicitate le motivazioni (macroeconomiche, di mercato, etc) che giustificano quelle indicazioni”. C) Gestione dei conflitti d’interesse. Gli Stati della Ue assicurano che sia in vigore una regolamentazione appropriata perché “i soggetti pertinenti comunichino al pubblico tutti i rapporti e tutte le circostanze che possano essere ragionevolmente ritenuti tali compromettere l’obiettività della raccomandazione, in particolare nel caso in cui i soggetti pertinenti abbiano un rilevante interesse finanziario oggetto della raccomandazione o un rilevante conflitto d’interesse in rapporto all’emittente cui la raccomandazione si riferisce”. Per “soggetto pertinente” la direttiva intende “la persona fisica o giuridica che elabora o diffonde raccomandazioni”. Nel caso dei giornali, pertanto, anche l’editore può essere considerato tale. Qualora il soggetto pertinente sia una persona giuridica, i conflitti di interesse da prendere in considerazione sono quelli “accessibili o che si possano ragionevolmente considerare accessibili dai soggetti che partecipano alla preparazione della raccomandazione”. La norma, come già detto, non si applica ai giornalisti “soggetti a regolamentazione appropriata equivalente, ivi comprese appropriate norme di autoregolamentazione”. esempio un redattore ha un interesse specifico, e personale, sull’oggetto del proprio articolo). Manca, invece, qualsiasi norma per gestire, quantomeno per rendere trasparenti ai lettori, i potenziali conflitti d’interesse connaturati alla proprietà del giornale. È, quest’ultimo, un fatto particolarmente rilevante in Italia dove tutti i grandi giornali fanno capo a gruppi economici. L’Ordine, finora, è stato frenato dal fatto che le proprie regole valgono per i giornalisti ma non per i giornali. La strada dei codici di autoregolamentazione - da attuare a livello di testata per tener conto delle differenti esigenze e caratteristiche di ogni giornale risolve in positivo questa difficoltà. Conformità delle attuali norme deontologiche in Italia Per quanto riguarda eventuali conflitti di interesse del singolo giornalista le norme deontologiche già in vigore (con i limiti sopra ricordati), appaiono sostanzialmente adeguate. Mancano invece indicazioni specifiche laddove i conflitti d’interesse sono generati da un “soggetto pertinente” che è una persona giuridica. Cioè quando sono insiti nell’editore del giornale o nei soggetti terzi (collaboratori) che vi scrivono. Mancano ad esempio norme che impongano di rendere trasparente la proprietà del giornale, quando è chiamata in causa da un “articolo-raccomandazione finanziaria” o l’identità dei maggiori inserzionisti pubblicitari. Un ostacolo a simili standard di trasparenza potrebbe derivare dal fatto che le norme deontologiche disciplinate dall’Ordine hanno efficacia per i giornalisti ma, ovviamente, non per gli editori. Il rinvio a norme di autoregolamentazione a livello delle singole testate potrebbe risolvere in positivo tale difetto di giurisdizione. Proposta. Fatte salve, con gli adeguamenti opportuni, le norme già contenute nella Carta dei Doveri l’ordine dovrebbe invitare le redazioni a disciplinare la materia dei conflitti di interesse nella stampa finanziaria (con un intervento più ampio rispetto a quello che ci viene ora proposto, circoscritto al solo ambito degli articoli- raccomandazioni finanziarie) in codici di autoregolamentazione. In particolare andrebbero stabiliti alcuni principi, da inserire nella Carta dei doveri come specifico paragrafo dedicato alla stampa finanziaria. Simili principi andrebbero interpretati dalle singole redazioni in codici di autoregolamentazione. L’Ordine nazionale annualmente dovrebbe procedere ad un censimento e ad un’analisi dei codici dei giornali così da valutare il grado di adesione ai principi e suggerire le i migliori standard. Conclusioni. I principi da introdurre nella Carta dei doveri del giornalista dovrebbero essere i seguenti: 1) - “Va assicurato un adeguato standard di trasparenza sulla proprietà editoriale del giornale, i suoi inserzionisti pubblicitari nonché sugli eventuali interessi di cui siano portatori i suoi collaboratori. In particolare va ricordato al lettore chi è l’editore del giornale quando un articolo tratti problemi finanziari che direttamente o indirettamente lo riguardino. Occorre poi informare il lettore sull’identità dei commentatori non giornalisti ed agli interessi di cui sono portatori in relazione allo specifico argomento dell’articolo. Inoltre si auspica che annualmente sia pubblicata la lista dei maggiori inserzionisti pubblicitari del giornale”. 2) - “Nel caso di articoli-raccomandazioni d’investimento elaborati dallo stesso giornale occorre indicare espressamente l’identità del giornalista (o del collaboratore) autore della raccomandazione e, nel rispetto delle norme deontologiche già in vigore sulla affidabilità e sulla pubblicità delle fonti, far sì che ‘tutte le proiezioni, le previsioni e gli obiettivi di prezzo siano chiaramente indicati come tali e che siano indicate le principali ipotesi elaborate nel formularli e nell’utilizzarli’”. 3) - “La presentazione degli studi degli analisti deve avvenire assicurando una piena informazione sull’identità di chi li ha elaborati. La comunicazione deve rispettare ‘nella sostanza’ il contenuto delle ricerche. In caso di una significativa difformità occorre farne oggetto di specifica segnalazione ai lettori”. Le osservazioni possono essere inviate alla casella di posta elettronica [email protected] oppure al Consiglio nazionale dell’Ordine, Lungotevere Cenci, 8 (00186 Roma) Informazioni: Ordine nazionale / Rita Schiappa tel 06/6862337 (da www.odg.it) ORDINE 6 2004 Fissati i principi fondamentali Stato/Regioni dopo la sentenza n. 353/2003 della Corte costituzionale Le Regioni devono rispettare le competenze legislative esclusive statali che vengono individuate nelle seguenti riserve: regole sugli esami di Stato, titoli e requisiti compreso la formazione professionale universitaria e il tirocinio per l’accesso alle professioni; la disciplina per l’individuazione delle figure professionali intellettuali; le norme sul riconoscimento e l’equipollenza dei titoli per l’accesso alle professioni conseguiti negli Stati membri dell’UE o negli altri Stati; la disciplina della concorrenza compreso quella relativa alle deroghe derivanti dal diritto comunitario per tutelare interessi pubblici costituzionalmente garantiti; la disciplina delle attività professionali attinenti l’ordine pubblico e la sicurezza e l’amministrazione della giustizia; le norme sui dati personali trattati nell’esercizio dell’attività professionale Professioni, la riforma guadagna il primo sì: ecco i principi fondamentali Roma, 12 maggio 2004. Primo sì al decreto legislativo che disciplina l’attività legislativa concorrente e fissa i principi fondamentali per le Regioni in materia di professioni alla luce anche della sentenza n. 353/2003 della Corte costituzionale. Il Consiglio dei ministri di venerdì 8 maggio 2004 ha approvato un decreto legislativo in attuazione della legge “La Loggia” n. 131/2003 volto a definire i confini delle competenze sulle professioni. Viene così fatta una ricognizione dei principi fondamentali alla luce della legislazione vigente e della giurisprudenza: libertà professionale, divieto di discriminazione, tutela della concorrenza, rispetto degli standard di preparazione professionale, rispetto dei requisiti di accesso alle professioni, equiparazione dell’attività professionale all’attività d’impresa ai fini dell’applicazione delle norme sulla concorrenza, rispetto dell’affidamento della clientela, degli interessi pubblici e dell’ampliamento dell’offerta dei servizi. Inoltre le Regioni devono rispettare le competenze legislative esclusive statali che vengono individuate nelle seguenti riserve: regole sugli esami di Stato, titoli e requisiti compreso la formazione professionale universitaria e il tirocinio per l’accesso alle professioni; la disciplina per l’individuazione delle figure professionali intellettuali; le norme sul riconoscimento e l’equipollenza dei titoli per l’accesso alle professioni conseguiti negli Stati membri dell’UE o negli altri Stati; la disciplina della concorrenza compreso quella relativa alle deroghe derivanti dal diritto comunitario per tutelare interessi pubblici costituzionalmente garantiti; la disciplina delle attività professionali attinenti l’ordine pubblico e la sicurezza e l’amministrazione della giustizia; le norme sui dati personali trattati nell’esercizio dell’attività professionale. Il provvedimento è assoggettato ad una particolare procedura che prevede una doppia sottoposizione al parere della Conferenza Stato-Regioni e delle Commissioni parlamentari. SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DELLA LEGGE 5 GIUGNO 2003, N.131 IN MATERIA DI PROFESSIONI Il Presidente della Repubblica, visti gli articoli 76, 87, 117 della Costituzione; vista la legge 5 gennaio 2003, n. 131, recante disposizioni per l’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione dell’8 maggio 2004; acquisito il parere preliminare della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; acquisito il parere preliminare delle competenti Commissioni parlamentari, ed, in particolare, anche quello della Commissione parlamentare per le questioni regionali; acquisito il parere definitivo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; acquisito il parere definitivo della Commissione parlamentare per le questioni regionali; vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione dell’8 maggio 2004; sulla proposta del presidente del Consiglio dei ministri e del ministro per gli Affari regionali di concerto con i ministri della Giustizia, delle Politiche comunitarie, dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, delle Attività produttive, della Salute, per i Beni e le attività culturali, Art. 5. Accesso alle professioni Le attività che richiedono una specifica preparazione a garanzia di finalità la cui tutela compete allo Stato devono rispettare i requisiti tecnico-professionali ed i titoli professionali definiti dalla legge statale. Art. 6. Regolazione delle attività professionali La regolazione delle attività professionali s’ispira ai principi della tutela della buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, degli interessi pubblici e dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, nel rispetto dei principi deontologici. Capo III Individuazione delle disposizioni di competenza legislativa esclusiva statale emana il seguente decreto legislativo: Capo I Disposizioni generali Art. 1 Ambito d’applicazione Il presente decreto legislativo individua i principi fondamentali che si desumono dalle leggi vigenti in materia di professioni regolamentate, di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, secondo i principi ed i criteri direttivi di cui all’art. 1, commi 4 e 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131. Nell’esercizio della competenza legislativa in materia di professioni, le Regioni sono tenute al rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, nonché dei principi fondamentali di cui al capo secondo. Il presente decreto legislativo riguarda le professioni già individuate dalle leggi statali vigenti. Capo II Principi fondamentali Art. 2. Libertà professionale L’esercizio della professione è tutelato in tutte le sue forme e applicazioni, purché non contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. Le Regioni non possono adottare provvedimenti che ostacolino l’esercizio della professione. È vietata qualsiasi discriminazione di professioni o di esercenti le stesse, che sia motivata da ragioni sessuali, razziali, religiose, politiche o da ogni altra condizione personale o sociale. Non costituiscono comunque discriminazione quelle differenze di trattamento che siano giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari. Art. 3. Tutela della concorrenza e del mercato L’attività professionale è equiparata all’attività d’impresa ai fini della concorrenza di cui agli articoli 81, 82 e 86 (ex artt. 85, 86 e 90) del Trattato CE, salvo quanto previsto dalla normativa in materia di professioni intellettuali. Art. 4. Formazione professionale Il rilascio di titoli relativi all’esercizio di attività professionali anche fuori dei limiti territoriali regionali deve avvenire nel rispetto dei livelli standard di preparazione professionale stabiliti dalle leggi statali. ORDINE 6 2004 Art. 7. Discipline di competenza legislativa esclusiva statale Ai sensi dell’art.1, comma 5, della legge 5 giugno 2003, n.131, restano di competenza legislativa esclusiva dello Stato: a. la disciplina dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio delle professioni intellettuali ai sensi dell’articolo 33 della Costituzione, nonché dei titoli e dei requisiti, compresi la formazione professionale universitaria ed il tirocinio, richiesti per accedervi; b. la disciplina concernente l’individuazione delle figure professionali intellettuali e relativi ordinamenti didattici; c. la disciplina del riconoscimento e dell’equipollenza dei titoli necessari ai fini dell’accesso alle professioni conseguiti negli Stati membri dell’Unione europea o negli altri Stati; d. la disciplina della tutela della concorrenza ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti e comunque per ragioni imperative di interesse generale; della riserva di attività professionale non intellettuale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, della pubblicità professionale, nonché del concorso per notai; e. la disciplina dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa degli ordini e dei collegi nazionali; f. la disciplina delle attività professionali attinenti l’ordine pubblico e la sicurezza e l’amministrazione della giustizia, ad esclusione della polizia locale; g. la disciplina di protezione dei dati personali trattati nell’esercizio dell’attività professionale; h. la disciplina dei rapporti regolati dal codice civile e dalle altre leggi speciali integranti l’ordinamento civile della Repubblica; sono riservate allo Stato, in particolare, la disciplina del contratto, dell’impresa e del rapporto di lavoro, delle società e delle associazioni professionali, della responsabilità dei professionisti; i. la disciplina sanzionatoria concernente l’esercizio delle professioni intellettuali; la determinazione dei livelli essenziali, minimi ed uniformi, delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale; j. la disciplina dell’iscrizione obbligatoria ad albi, collegi, registri, ruoli o elenchi con validità su tutto il territorio dello Stato a tutela dell’affidamento del pubblico e degli utenti; l. la disciplina sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali; m. la disciplina dell’organizzazione amministrativa e delle competenze degli ordini e collegi delle professioni intellettuali che sono regolati, ai sensi dell’articolo 2229 del Codice civile, dalla normativa vigente. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare. 9 M O B B I N G L’Inail - con la circolare n. 71/2003 ha dato il via libera al risarcimento dei danni da mobbing sul lavoro dopo l’esame di oltre 200 casi (denunciati quasi sempre a seguito di trattamenti terapeutici). Questi accertamenti hanno consentito “di monitorare il fenomeno e di conoscere l’approccio diagnostico” dei vari centri specialistici che fanno capo a cattedre universitarie, ospedali, ambulatori e centri di salute mentale del Servizio sanitario nazionale. L’Inpgi, che contrattualmente copre gli “infortuni” dei giornalisti, per ora non ha adottato una normativa ad hoc. Eppure per la Casagit “il mal di redazione” esiste da tempo: il primo indicatore è l’aumento costante, negli ultimi anni, del ricorso alle psicoterapie. Soltanto lo sportello di Roma (aperto presso l’Asr) ha accertato 26 casi gravi di mobbing. Gli interventi di Laura Delli Colli, di Simonetta Ramogida e di Michele Piccione al Convegno di Roma (sul tema “Se il giornale dà il mal di capo’) del 23 marzo 2004 organizzato dall’Associazione stampa romana e dall’Ucsi offrono elementi ineludibili. Gli atti di questo Convegno, che verranno pubblicati nel numero di maggio di “Tabloid” e che sono già presenti nel sito www.odg.mi.it, dicono ampiamente che la stagione dell’Osservatorio antisopruso (art. 48 Cnlg) è ampiamente superata e che bisogna pensare a una tutela efficace e penetrante dei giornalisti vittime di mobbing. L’Inpgi, che dice di essere autonomo, ha l’obbligo morale e giuridico di far propria la circolare Inail n. 71/2003, mentre Fnsi e Fieg, come parti sociali, dovrebbero far tesoro in fretta della lezione che viene dalla normativa pubblica e passare subito alla fase delle “determinazioni normative” ipotizzate dal Contratto senza aspettare il momento ancora lontano delle trattative contrattuali. Le casistiche del mobbing dovrebbero essere previste dall’articolo 25 del Cnlg, che oggi parla genericamente di “infortunio o malattia”. Il “mal di redazione”, riscontrato da attende il risarcimento dall’Inpgi (in intervento di Franco Abruzzo Consiglio ai giornalisti professionisti, praticanti giornalisti e pubblicisti assunti a tempo pieno di dare un’occhiata al foglio paga: solo così si potranno rendere conto che non sono assicurati con l’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro). La funzione assicurativa citata, prevista dal Cnlg (articoli 38, 39, 40 e 41), è svolta dall’Inpgi. Per quanto riguarda il mobbing, l’articolo 48 del Cnlg prevede l’istituzione di un “Osservatorio anti-sopruso”: “È costituita una Commissione mista di 2 rappresentanti per ciascuna Federazione incaricata di raccogliere e coordinare entro 90 giorni dalla data di stesura del presente contratto la documentazione (progetti di legge, esperienze contrattuali di altri settori) utile a fornire alle parti un quadro di riferimento sullo stato e l’evoluzione del fenomeno e ciò in vista di possibili determinazioni normative”. Diciamo subito che il mal di redazione esiste, che è un’amara e sconvolgente realtà. L’Ordine di Milano, con un saggio di Paola Pastacaldi (Mobbing in redazione. Un’arma contro la professionalità), ha denunciato pubblicamente (Tabloid n. 3/2004 e sito www.odg.mi.it) il mal di redazione. Il vicepresidente della Casagit Laura Delli Colli ha ammesso: “Per la Casagit, che ha comunque sotto gli occhi un osservatorio empirico ma indicativo dello stato di salute dei giornalisti, il primo indicatore che conferma il fenomeno, neanche a dirlo, è l’aumento costante, negli ultimi anni, del ricorso alle psicoterapie. È un aumento generalizzato, su questo un chiarimento a priori va fatto, che riguarda alcune fasce d’età, purtroppo anche la parte più giovane anagraficamente degli assistiti, ma il nocciolo duro degli interventi ‘coperti’ dal rimborso integrativo Casagit denuncia un male di vivere che tocca soprattutto chi La vive, e non da ieri, la vita professionale in redazione. Il lavoro logora chi non ce l’ha, ma, soprattutto chi ce l’ha. E i segnali, che questo sia o no mobbing nel senso più correttamente declinabile del termine, confermano che il malessere esiste nella professione vissuta sul campo, perché la professione ha ormai un campo che ha sempre più ristretto la sua visuale diventando spesso un luogo virtuale”. Gli interventi di Laura Delli Colli, di Simonetta Ramogida e di Michele Piccione al Convegno di Roma (sul tema “Se il giornale dà il mal di capo’) del 23 marzo 2004 organizzato dall’Associazione stampa romana e dall’Ucsi offrono elementi ineludibili. Simonetta Remogida, che si occupa dello sportello aperto a Roma presso l’Asr, ha parlato “di 26 casi gravi di mobbing, ma il fenomeno è molto più diffuso, e presente in tutte le realtà, nel senso che interessa i grandi quotidiani, come le radio, le Tv, sia pubblche che private, i grandi network, le agenzie di stampa, gli uffici stampa. È capitato che i Cdr ci chiedessero aiuto anche per le testate straniere che operano a Roma”. Gli atti di questo Convegno, pubblicati nel numero di maggio di “Tabloid” e già presenti nel sito www.odg.mi.it, dicono ampiamente che la stagione dell’Osservatorio antisopruso (art. 48 Cnlg) è ampiamente superata e che bisogna pensare a una tutela efficace e penetrante dei giornalisti vittime di mobbing. Per la Casagit “il mal di redazione” esiste da tempo: il primo indicatore è, come riferito, l’aumento costante, negli ultimi anni, del ricorso alle psicoterapie. Ha detto Laura Delle Colli: “E cosa legge Casagit nel quadro dei suoi dati quotidia- L’Inail – con la circolare n. 71/2003 – ha dato il via libera al risarcimento dei danni da mobbing sul lavoro dopo l’esame di oltre 200 casi (denunciati quasi sempre a seguito di trattamenti terapeutici). Questi accertamenti hanno consentito il Disturbi psichici da costrittività a In e organizzativa sul lavoro. r a l Rischio tutelato e diagnosi di malattia co r i c professionale. Modalità di trattazione delle pratiche (http://www.gildains.it/nomobbing/doc036.htm) DIREZIONE GENERALE - DIREZIONE CENTRALE PRESTAZIONI SOVRINTENDENZA MEDICA GENERALE Circolare n. 71 del 17 dicembre 2003 Oggetto: Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche. Quadro Normativo · D.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965: “Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, art. 3. · Sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 18 febbraio 1988: introduzione del “sistema misto” di tutela delle malattie professionali. · Circolare n. 35/1992: “Sentenze nn. 179 e 206 del 1988 della Corte Costituzionale: prima fase del decentramento 10 namente ingoiati nella voragine degli archivi telematici? La radiografia di una realtà professionale diversa proprio sotto il profilo della salute. Lo stress ha raggiunto livelli di cronicità aggravate dal malessere redazionale. E nel malessere redazionale è difficile individuare la soglia tra una ‘normale’ abitudine alle complicazioni di una convivenza da ufficio e gli episodi che la nuova consapevolezza della materia consente di individuale come vero e proprio mobbing. A noi comunque spetta soprattutto l’analisi degli effetti. E se siano o no da mobbing. Possiamo confermare, come Casagit, che l’aumento di certe patologie legate a un quadro fortemente potenziato di stress da lavoro è un fatto riscontrabile. Ci sono effetti squisitamente psicologici e la malattia in questo caso si esprime con il ricorso alle prestazioni specifiche. Ma ci sono anche, e in costante aumento, patologie apparentemente molto ‘normali’ e generalmente diffuse che sono indubbiamente segnali di uno stress palese e di un malessere conclamato: al di là dei normali disturbi ‘da stress’ il dismetabolismo o, nel quadro delle disfunzioni ormonali, l’aumento delle patologie tiroidee”. Ha aggiunto Laura Delli Colli: “C’è ancora una forte resistenza nel denunciare, e anche molta impreparazione nel saper individuare come vero e proprio mobbing la vessazione strisciante che si propaga dal capo in giù all’interno di una redazione”. della trattazione di pratiche di tecnopatie non tabellate”. · Decreto Legislativo n. 38 del 23 febbraio 2000, art. 10, comma IV: conferma legislativa del “sistema misto” di tutela delle malattie professionali. · Decreto ministeriale del 12 luglio 2000: “Approvazione di Tabella delle menomazioni, Tabella indennizzo danno biologico, Tabella dei coefficienti, relative al danno biologico ai fini della tutela dell’assicurazione contro gli infortuni e malattie professionali”. · Delibera del Consiglio di amministrazione n. 473 del 26 luglio 2001: definizione di percorsi metodologici per la diagnosi eziologica delle patologie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo. · Lettera del 12 settembre 2001 della Direzione centrale prestazioni e della sovrintendenza medica generale: “Malattie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo, compreso il mobbing. Prime indicazioni operative”. ORDINE 6 2004 Secondo i sindacati sono oltre 2 milioni i dipendenti che subiscono molestie sul lavoro in Italia Milano, 16 aprile 2004. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Nero, sommerso, precario, che non c’è e che quando c’è magari è molesto. Secondo quanto denunciano i sindacati, il mobbing colpisce oltre 2 milioni di lavoratori italiani, il 9-10% del totale. Ma il numero delle persone coinvolte sale a 6 milioni se si considerano i familiari interessati nel dramma del lavoratore sottoposto a soprusi. Tali dati sono però in controtendenza rispetto a quelli ufficiali sul fenomeno che risalgono al 2000. E infatti secondo la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di lavoro con sede a Dublino, l’Italia appare ultima tra gli altri Paesi europei per quanto riguarda la diffusione del mobbing con il 4,2% di casi; guidano la classifica la Gran Bretagna con il 16%, la Svezia e la Francia con il 10%, seguite dall’Irlanda con il 9%. Dal 1996 a oggi si sono rivolti alla Clinica del lavoro di Milano diretta dal professor Renato Gilioli e sono risultati affetti da alcuni disturbi più direttamente riconducibili all’origine lavorativa oltre 4mila soggetti. Sulla base dei dati raccolti, Sda Bocconi ha realizzato una ricerca i cui risultati sono stati in parte anticipati e dalla quale emer- “ Emergenza mobbing di Daniele Passanante ge che, contrariamente a quanto avviene in Europa, la vittima prevalente del mobbing non è una donna, bensì un uomo. Il mobbizzato tipo è provvisto di un titolo di studio abbastanza elevato: ha un diploma superiore nel 50% dei casi. Il 42 % dei lavoratori colpiti da molestie sul lavoro sono inquadrati nella categoria degli impiegati e hanno un’età compresa tra i 30 e i 50 anni e nel 40% dei casi è appartenente al settore del pubblico impiego. Ma che cos’è il mobbing? Secondo una definizione comunemente accettata, consiste in un comportamento ripetuto, immotivato rivolto contro un dipendente o un gruppo di ” dipendenti, tale da creare un rischio per la salute e la sicurezza. Stress, depressione, calo dell’autostima, disturbi del sonno, problemi a carico dell’apparato digerente sono le conseguenze più frequenti. Dal mobbing derivano costi anche a carico dell’azienda in cui il fenomeno si verifica: maggior assenteismo e minore produttività non solo da parte delle vittime ma anche dei colleghi di lavoro, che risentono del clima psicosociale negativo dell’ambiente. Attualmente pochi Paesi europei hanno adottato una legislazione specifica in materia di mobbing sul posto di lavoro, anche se il Parlamento europeo ha emanato una recente direttiva per gli Stati membri affinché le organizzazioni pubbliche e private attuino efficaci politiche sociali di prevenzione, perché vengano individuate procedure per risolvere il problema e perché venga messa a punto una puntuale formazione ed informazione nei confronti dei lavoratori dipendenti, delle parti sociali, dei medici del lavoro. In Italia, dallo scorso anno una bozza di legge sul mobbing definiva il fenomeno come “la violenza morale o psichica in occasione di lavoro: atti, atteggiamenti o comportamenti di violenza morale ripetuti nel tempo in modo sistematico o abituale, che portano ad un degrado delle condizioni di lavoro idoneo a compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore”. La bozza prevedeva che il lavoratore potesse ricorrere al tribunale del lavoro e indicava gli strumenti oggettivi di misurazione del mobbing, come il questionario sullo stress da lavoro, i test proiettivi, il questionario dei disturbi soggettivi e quello del tono dell’umore. Il mobbing non è ancora menzionato nelle nostre leggi, ma esistono norme di tutela dei lavoratori che possono essere richiamate nel caso si verifichi. da www.libero.it tempo dalla Casagit, forte ritardo sull’Inail) “di monitorare il fenomeno e di conoscere l’approccio diagnostico” dei vari centri specialistici che fanno capo a cattedre universitarie, ospedali, ambulatori e centri di salute mentale del Servizio sanitario nazionale. L’Inpgi, che contrattualmente copre gli “infortuni” dei giornalisti, per ora non ha adottato una normativa ad hoc. L’Istituto ha l’obbligo morale e giuridico di far propria la circolare Inail, mentre Fnsi e Fieg, come parti sociali, dovrebbero far tesoro in fretta della lezione che viene dalla normativa pubblica e passare subito alla fase delle “determinazioni normative” ipotizzate dal Cnlg senza aspettare il momento ancora lontano delle trattative contrattuali. Le casistiche del mobbing dovrebbero essere previste dall’articolo 25 del Cnlg, che oggi parla genericamente di “infortunio o malattia”. L’Inpgi è in forte ritardo rispetto all’Inail. Rientrano nel rischio tutelato (il cd. danno biologico) dall’Inail tutte le situazioni di costrittività organizzativa nonché il mobbing strategico. Secondo l’articolo 13 del dlgs n. 38/2000 “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato”. Con lettera del 12 settembre 2001 sono state fornite le prime istruzioni per la trattazione delle denunce di disturbi psichici determinati dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro ed è stato disposto che, data l’esigenza di acquisire un adeguato patrimonio di informazioni e conoscenze sulla materia, tutte le fattispecie con documentazione completa e probante fossero inviate all’esame centrale. L’esame degli oltre 200 casi pervenuti (denunciati all’Inail quasi sempre dopo accertamenti e trattamenti terapeutici) ha consentito di monitorare il fenomeno e di conoscere l’approccio diagnostico dei vari centri specialistici nazionali che fanno capo a cattedre universitarie, ospedali, ambulatori e centri di salute mentale delle AA.SS.LL. operanti sul territorio. L’accertamento del rischio, effettuato sulla base della denuncia di malattia professionale - integrata ove necessario da richieste specifiche ai datori di lavoro e dai risultati di incarichi ispettivi mirati - nonché le ulteriori indagini cliniche specialistiche eseguite, hanno condotto al riconoscimento della natura professionale della patologia diagnosticata nel 15 per cento circa dei casi esaminati. Contemporaneamente, l’apposito Comitato scientifico, dopo aver approfondito gli aspetti più complessi e controversi del problema, è pervenuto alle conclusioni contenute nel documento che si allega per opportuna conoscenza. Completata questa propedeutica fase di studio e monitoraggio, si forniscono nuove e più articolate istruzioni sulle modalità di trattazione di questi casi. Le istruzioni di seguito indicate tengono conto: · dell’esperienza maturata nel periodo di osservazione · della relazione del Comitato scientifico · della letteratura in materia. 6 · Marginalizzazione dalla attività lavorativa · Svuotamento delle mansioni · Mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata · Mancata assegnazione degli strumenti di lavoro · Ripetuti trasferimenti ingiustificati · Prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto · Prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici · Impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie · Inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro · Esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale · Esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo Si legge ancora nella circolare Inail: “Nel rischio tutelato può essere compreso anche il cosiddetto “mobbing strategico” specificamente ricollegabile a finalità lavorative. Si ribadisce tuttavia che le azioni finalizzate ad allontanare o emarginare il lavoratore rivestono rilevanza assicurativa solo se si concretizzano in una delle situazioni di “costrittività organizzativa” di cui all’elenco sopra riportato o in altre ad esse assimilabili. Le incongruenze organizzative, inoltre, devono avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri altrettanto oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa”. I FATTORI DI RISCHIO PREMESSA ORDINE L’elenco delle “costrittività organizzative”, elaborato dall’Inail, è lungo quanto drammatico, abbracciando ben 11 circostanze: 2004 La posizione assunta dall’Istituto sul tema delle patologie psichiche determinate dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro trova il suo fondamento giuridico nella sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 e nel Decreto Legislativo n. 38/2000 (art. 10, comma 4), in base ai quali sono malattie professionali, non solo quelle elencate nelle apposite tabelle di legge, ma anche tutte le altre di cui sia dimostrata la causa lavorativa. Secondo un’interpretazione aderente all’evoluzione delle forme di organizzazione dei processi produttivi ed alla crescente attenzione ai profili di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, la nozione di causa lavorativa consente di ricomprendere non solo la nocività delle lavorazioni in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale (siano esse tabellate o non) ma anche quella riconducibile all’organizzazione aziendale delle attività lavorative. I disturbi psichici quindi possono essere considerati di origine professionale solo se sono causati, o concausati in modo prevalente, da specifiche e particolari condizioni dell’attività e della organizzazione del lavoro. Si ritiene che tali condizioni ricorrano esclusivamente in presenza di situazioni di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo, situazioni definibili con l’espressione “costrittività organizzativa”. Le situazioni di “costrittività organizzativa” più ricorrenti sono riportate di seguito, in un elenco che riveste un imprescindibile valore orientativo per eventuali situazioni assimilabili. Concludiamo, ricordando un monito che non ha bisogno di commenti: “…Indubbiamente cattivo è colui che, abusando del proprio ruolo di potere e prestigio, commette ingiustizie e violenza a danno dei suoi simili; infinitamente più cattivo è colui che, pur sapendo dell’ingiustizia subita da un suo simile, tacendo, acconsente a che l’ingiustizia venga commessa” (Einstein, in A. Einstein/S. Freud – Perché la guerra – Ed Boringhieri, 1981 in http://dirittolavoro.altervista.org/link3.html) ELENCO DELLE “COSTRITTIVITÀ ORGANIZZATIVE” · Marginalizzazione dalla attività lavorativa · Svuotamento delle mansioni · Mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata · Mancata assegnazione degli strumenti di lavoro · Ripetuti trasferimenti ingiustificati · Prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto · Prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psicofisici · Impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie · Inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro · Esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale · Esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo. Nel rischio tutelato può essere compreso anche il cosiddetto “mobbing strategico” specificamente ricollegabile a finalità lavorative. Si ribadisce tuttavia che le azioni finalizzate ad allontanare o emarginare il lavoratore rivestono rilevanza assicurativa solo se si concretizzano in una delle situazioni di “costrittività organizzativa” di cui all’elenco sopra riportato o in altre ad esse assimilabili. Le incongruenze organizzative, inoltre, devono avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri altrettanto oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa. segue 11 M O B B I N G il a In re a l co r i c L’ITER DIAGNOSTICO DELLA MALATTIA a L PROFESSIONALE DA COSTRITTIVITÀ ORGANIZZATIVA Sono invece esclusi dal rischio tutelato: · i fattori organizzativo/gestionali legati al normale svolgimento del rapporto di lavoro (nuova assegnazione, trasferimento, licenziamento) · le situazioni indotte dalle dinamiche psicologico-relazionali comuni sia agli ambienti di lavoro che a quelli di vita (conflittualità interpersonali, difficoltà relazionali o condotte comunque riconducibili a comportamenti puramente soggettivi che, in quanto tali, si prestano inevitabilmente a discrezionalità interpretative). MODALITÀ DI TRATTAZIONE DELLE PRATICHE ACCERTAMENTO DELLE CONDIZIONI DI RISCHIO Come per tutte le altre malattie non tabellate, l’assicurato ha l’obbligo di produrre la documentazione idonea a supportare la propria richiesta per quanto concerne sia il rischio sia la malattia. L’Istituto, da parte sua, ha il potere-dovere di verificare l’esistenza dei presupposti dell’asserito diritto, anche mediante l’impegno partecipativo nella ricostruzione degli elementi probatori del nesso eziologico. L’esperienza fin qui maturata ha dimostrato che non sempre sono producibili dall’assicurato, o acquisibili dall’Istituto, prove documentali sufficienti. È perciò necessario procedere ad indagini ispettive per raccogliere le prove testimoniali dei colleghi di lavoro, del datore di lavoro, del responsabile dei servizi di prevenzione e protezione delle aziende e di ogni persona informata sui fatti allo scopo di: · acquisire riscontri oggettivi di quanto dichiarato dall’assicurato · integrare gli elementi probatori prodotti dall’assicurato. Ulteriori elementi potranno essere attinti dall’eventuale accertamento dei fatti esperito in sede giudiziale o in sede di vigilanza ispettiva da parte della Direzione provinciale del lavoro o dei competenti uffici delle AA.SS.LL.. Come per tutte le altre malattie professionali, l’indagine ispettiva mirata ad acquisire i riscontri oggettivi nonché gli eventuali elementi integrativi di quanto asserito e prodotto dall’assicurato dovrà essere attivata su richiesta della funzione sanitaria, che provvederà anche ad indicare gli specifici aspetti da indagare. Diversamente invece dalle altre malattie professionali (per le quali l’intervento ispettivo è previsto solo se necessario) per le patologie in oggetto l’indagine ispettiva deve essere sempre effettuata. Fanno ovviamente eccezione le ipotesi in cui la funzione sanitaria, già al termine della prima fase istruttoria, è giunta alla determinazione di definire negativamente il caso per l’assenza della malattia o per la certezza della esclusione della sua origine professionale. 12 L’iter diagnostico da seguire ai fini di una uniforme trattazione medico-legale dei casi denunciati all’Istituto è descritto di seguito. · Anamnesi lavorativa pregressa e attuale · Indicare settore lavorativo, anno di assunzione, qualifica e mansioni svolte. · Descrivere la situazione lavorativa ritenuta causa della malattia individuando le specifiche condizioni di costrittività organizzativa. · Disporre, se non già in atti, le necessarie indagini ispettive4 con la conseguente acquisizione di dichiarazioni del datore di lavoro, testimonianze dei colleghi di lavoro, eventuali atti giudiziari, ecc.. · Anamnesi fisiologica: riportare le abitudini di vita (alimentazione, fumo, alcoolici, hobby, titolo di studio, ecc.) · Anamnesi patologica remota · Anamnesi patologica prossima: · Riportare la diagnosi formulata nel 1° certificato medico di malattia professionale. · Descrivere il decorso ed i sintomi del disturbo psichico. · Comprendere, nella documentazione medica di interesse, le certificazioni specialistiche, gli accertamenti sanitari preventivi e periodici svolti in azienda ed eventuali “precedenti Inps”. · Esame obiettivo completo · Indagini neuropsichiatriche: · Visita e relazione neuropsichiatrica corredata di eventuali test psicodiagnostici, se è presente in sede lo specialista neuropsichiatra. · Consulenza specialistica esterna, in convenzione con specialista in neuropsichiatria di comprovata esperienza o con struttura pubblica, se non è presente in sede lo specialista neuropsichiatra. · Test psicodiagnostici: · La particolarità della materia lascia al singolo specialista, in relazione alla sua esperienza professionale, la scelta dei test da somministrare, test che integrano l’esame obiettivo psichico ma non possono sostituirlo. Tali test, nel complesso del videat psichiatrico, assumono indubbia importanza per la loro riproducibilità e confrontabilità nel tempo e dunque per finalità medico-legali. Elenchiamo di seguito quelli usati più frequentemente. a) Questionari di personalità (MMPI e MMPI2, EWI, MPI, MCMI ecc.) b) Scale di valutazione dei sintomi psichiatrici: - per ansia e depressione, di auto e eterovalutazione (BDI, HAD scale, HAM-A, HAM e Zung depression rating scale, MOOD scale) - per aggressività e rabbia (STAXI) - per disturbo post-traumatico da stress (MSS-C) - per amplificazione di sintomi somatici (MSPQ) c) Tests proiettivi (Rorschach, SIS, TAT, Reattivi di disegno ecc.) Diagnosi medico-legale · Per l’inquadramento nosografico, fare esclusivo riferimento ai seguenti due quadri morbosi: - sindrome (disturbo) da disadattamento cronico - sindrome (disturbo) post-traumatica/o da stress cronico. La diagnosi comunemente correlabile ai rischi in argomento è il disturbo dell’adattamento cronico, con le varie manifestazioni cliniche (ansia, depressione, reazione mista, alterazione della condotta, disturbi emozionali e disturbi somatoformi). La valutazione di queste manifestazioni consentirà la classificazione in lieve, moderato, severo. La diagnosi di sindrome (o disturbo) post traumatico da stress può riguardare quei casi per i quali l’evento lavorativo, assumendo connotazioni più estreme, può ritenersi parago- nabile a quelli citati nelle classificazioni internazionali dell’ICD-10 e DSM-IV. Questi casi vengono definiti come “estremi/eccezionalmente minacciosi o catastrofici” (a tale riguardo giova ricordare la possibilità che fattispecie che configurino un “evento acuto” devono trovare naturale collocazione nell’ambito dell’infortunio lavorativo). · Escludere, ai fini della diagnosi differenziale, la presenza di: - sindromi e disturbi psichici riconducibili a patologie d’organo e/o sistemiche, all’abuso di farmaci e all’uso di sostanze stupefacenti - sindromi psicotiche di natura schizofrenica, sindrome affettiva bipolare, maniacale, gravi disturbi della personalità. Valutazione del danno biologico permanente La tabella delle menomazioni, relativa alla valutazione del danno biologico in ambito Inail, prevede la presenza di due voci che attengono entrambe al solo disturbo post-traumatico da stress cronico, di grado moderato (voce 180) e severo (voce 181). L’intervallo valutativo riportato offre un adeguato riferimento per consentire, in analogia, la valutazione del danno biologico anche da disturbo dell’adattamento cronico. I due quadri menomativi, anche se derivano da un evento lesivo diverso, possono presentare infatti pregiudizi della sfera psichica in parte sovrapponibili e coincidenti. La valutazione del danno terrà conto del polimorfismo e della gravità dei sintomi psichiatrici e somatoformi, secondo le indicazioni delle classificazioni internazionali sopra richiamate, così come riscontrati nel singolo caso. Codifica Dovranno essere utilizzati i seguenti codici: Codice amministrativo A: 99.0 99.0 Codice di malattia M: 144(6) Disturbo dell’adattamento cronico 145 (7) Disturbo post traumatico da stress cronico Codice di agente causale: Da individuare nel gruppo “Fattori psicologici” in relazione alla condizione di costrittività organizzativa ritenuta prevalente Disposizioni La fase di sperimentazione può considerarsi completata. Questa circolare, infatti, riporta un esaustivo ed articolato quadro di riferimento che consente, già da ora, di garantire omogeneità e correttezza nella trattazione delle pratiche. Sono inoltre previsti specifici corsi di formazione, programmati per il prossimo mese di gennaio, nonché ulteriori direttive di carattere generale in relazione alle problematiche che dovessero emergere. A partire dalla data della presente circolare, le denunce di disturbi psichici da costrittività organizzativa saranno definite direttamente a cura delle sedi senza il parere preventivo della Direzione generale. Le Direzioni regionali, nell’ambito delle loro funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo, adotteranno ogni iniziativa idonea a garantire uniformità e completezza di lettura della presente circolare e conseguenti correttezza ed omogeneità di comportamento sul territorio. Per quanto non specificato in questo contesto, si fa rinvio ai vigenti indirizzi in materia di trattazione delle malattie professionali non tabellate. ORDINE 6 2004 Il tribunale civile di Milano respinge domanda di condanna del Consiglio in carica nel 1993 Guido Rivolta – che aveva chiesto un risarcimento di danni pari a 200 milioni di lire al Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia e ai consiglieri Franco Abruzzo, Adriano Solazzo, Gianluigi Falabrino, Brunello Tanzi, Giancarlo Mazzuca, Maria Luigia Bagni e Valeria Saccchi – è stato condannato a rifondere le spese del procedimento, liquidate in complessivi euro 6.890,20 Milano, 9 giugno 2004. “È da escludere che possa dare luogo a responsabilità civile l'attività di valutazione del fatto e della prova, inclusa evidentemente quella relativa all'attendibilità dei testimoni, essendo a carico anche del giudice disciplinare l’obbligo di esaminare ogni problematica influente per la decisione e di dare contezza (la più esaustiva e persuasiva possibile) delle ragioni della decisione stessa”. Con questa motivazione la I sezione stralcio del Tribunale civile di Milano (goa l’avv. Lucio Magaldi) ha assolto, a distanza di 10 anni dall’inizio della causa, il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia in carica nel 1993, difeso dagli avvocati Cesare Rimini e Umberto Gragnani, chiamato in giudizio dal giornalista professionista Guido Rivolta, testimone “volontario” (e autore di una memoria scritta) nell’ambito della complessa istruttoria relativa al “caso Lombardfin” (vicenda conclusasi il 22 novembre 1993, nel primo grado amministrativo disciplinare, con la radiazione di due giornalisti, la sospensione di altri cinque e il proscioglimento di due, poi confermata dalla Corte d’Appello di Milano e successivamente dichiarata prescritta dalla Cassazione). A Tamarozzi e Simoni il premio Città di Milano-Maria Grazia Cutuli Sono Patrizia Tamarozzi, di “D/ La Repubblica delle Donne”, e Gabriella Simoni, di Italia 1, le vincitrici ex aequo della seconda edizione del Premio Giornalistico Città di Milano “Alla memoria di Maria Grazia Cutuli”. Altre tre giornaliste - Lisa Iotti di “Ventiquattro” de “Il Sole 24 Ore”, Carmen Morrone di “Vita” e Beatrice Ghezzi del Tg5 - sono state segnalate il valore dei loro servizi. L’Ordine è libero di valutare le prove e anche l’attendibilità dei testimoni Guido Rivolta – che aveva chiesto un risarcimento di danni pari a 200 milioni di lire al Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia e ai consiglieri Franco Abruzzo, Adriano Solazzo, Gianluigi Falabrino, Brunello Tanzi, Giancarlo Mazzuca, Maria Luigia Bagni e Valeria Saccchi – è stato condannato a rifondere le spese del procedimento, liquidate in complessivi euro 6.890,20. La sentenza, la n. 04801/2004, depositata il 7 aprile, è stata resa nota oggi. Le accuse di Rivolta. Con atto di citazione notificato il 21 febbraio 1994, Guido Rivolta aveva chiesto la condanna in solido del Consiglio e dei singoli consiglieri (che avevano approvato la decisione disciplinare) al risarcimento dei danni “per avere i convenuti emesso, a chiusura di un procedimento disciplinare nei confronti di alcuni giornalisti professionisti, la delibera 22 novembre 1993, decidendo fra l'altro di riservarsi di valutare in un secondo tempo i giudizi espressi da Guido Rivolta per iscritto su una collega al fine di minarne la credibilità come testimone, e così ledendo la propria onorabilità, credibilità e dignità professionale". La motivazione della sentenza. Due sono i Milano, 20 maggio 2004. La consegna delle targhe e del premio di 7.500 euro è avvenuta oggi a Milano alla presenza dell’assessore comunale alle Politiche sociali, Tiziana Maiolo, del direttore del “Corriere della Sera”, Stefano Folli, della direttrice di “Io Donna”, Fiorenza Vallino, del caporedattore di “Panorama”, Silvia Grilli, e di Bruno Ambrosi in rappresentanza della Scuola di Giornalismo. “Ho istituito questo premio - ha ricordato l’assessore - per valorizzare tutte le giornaliste che ogni giorno si comportano con coraggio e sensibilità, nel ricordo di Maria Grazia. Tutte e cinque hanno mostrato tematiche interessanti e svolte con un taglio diverso, in modo non banale”. Nel complesso, le tematiche scelte sono state al 25% donne e guerra, al 20% donne e lavoro, al 20% donne e disabilità, al 10% donne e sfruttamento e al 25% altro. Al concorso sono pervenuti 103 servizi (l’80% degli articoli dal nord Italia e il 70% del totale da Milano), hanno partecipato 68 giornaliste, tra professioniste e pubbliciste (il 45% provenienti dai femminili, il 30% dai quotidiani e il 25% da settimanali e mensili vari), di età (il 60%) tra i 35 e i 50 anni. “È fondamentale - ha sottolineato Folli - che promuoviamo l’affermazione delle donne in ruoli di alta responsabilità nei giornali: è uno degli obiettivi di speranza del nostro mestiere”, perché la giornaliste, ha aggiunto, sono in un giornale “elemento di passionalità, professionalità, competenza e originalità. Maria Grazia era tutto questo e ci ha lasciato rimpianto e il ricordo di una straordinaria passione”. Folli ha ringraziato l’assessore Maiolo per aver istituito questo premio che “si distingue - ha detto - perché interpreta meglio degli altri lo spirito professionale che ispirò Maria Grazia e coglie l’aspetto più rilevante: la grande preparazione delle donne che si dedicano alla professione, ottenendo posizioni brillanti con sacrifici grandi”. (ANSA) passaggi che hanno portato il tribunale a respingere la domanda di Rivolta: a) Ma si sa che, nei delitti contro l’onore, sebbene non sia richiesto un dolo specifico, è pur sempre necessaria la volontà dell'evento, che è quella di recare offesa all’altrui patrimonio morale (Cass. pen., sez. V, 10/1/83, n. 1341): ma tale intenzione, che pure non necessita di prova perché normalmente insita nella stessa volontà dell’azione lesiva, va qui invece esclusa, proprio perché il fine perseguito dai convenuti (Consiglio e consiglieri, ndr) è stato senza dubbio alcuno quello esclusivo del mantenere ferma l’attendibilità della teste, non certo quello ben diverso e controindicato (perché non obbiettivo) dell'offesa. Ne consegue che il comportamento dei convenuti deve considerarsi legittimo e non produttivo di danno ingiusto, ancorché causa eventuale di un pregiudizio per l’attore: resta così precluso qualsiasi sindacato sul contenuto della frase in esame, sulla rispondenza a veridicità della medesima, nonché sulla potenziale sua idoneità a determinare un effetto di tipo diffamatorio. b) È da escludere che possa dare luogo a re- Premio Citigroup per giornalisti finanziari a Rossana Linguini Rossana Linguini, redattrice di “Il Nostro Budget”, il mensile della Hachette Rusconi dedicato all’economia e alla finanza, si aggiudica la terza edizione italiana del Journalistic Excellence Award con un articolo sulla limitazione dei rischi finanziari all’interno di un portafoglio obbligazionario. sponsabilità civile l'attività di valutazione del fatto e della prova, inclusa evidentemente quella relativa all'attendibilità dei testimoni, essendo a carico anche del giudice disciplinare (obbligo di esaminare ogni problematica influente per la decisione e di dare contezza (la più esaustiva e persuasiva possibile) delle ragioni della decisione stessa. II momento della funzione giurisdizionale (così come quello disciplinare), riguardante l’individuazione del contenuto di una determinata norma e (accertamento del fatto, con i corollari dell'applicabilità o no dell'una all'altro, non può essere fonte di responsabilità, nemmeno sotto il profilo dell'opinabilità della soluzione adottata, dell'inadeguatezza del sostegno argomentativo, dell'assenza di una esplicita e convincente confutazione di opposte tesi, dovendo passare l’affermazione della responsabilità, anche in tali casi, attraverso una non consentita revisione di un giudizio interpretativo o valutativo; fonte di responsabilità potrebbe essere, invece, l’omissione di giudizio (anche circa la contestata attendibilità del testimone) che investa questioni decisive, anche in relazione alla fase in cui si trova il processo, e sia ascrivibile a negligenza inescusabile (Cass. 02/17259). Milano, 29 aprile 2004. La giuria italiana del premio ideato da Citigroup per promuovere il giornalismo economico finanziario di alto livello è composta dai massimi appresentanti del mondo dell’economia, dell’imprenditoria, della finanza e del giornalismo: Massimo Capuano; Antonio D’Amato; Lorenzo Del Boca; Alan Friedman; Carlo Secchi; Maurizio Sella; Luigi Spaventa; Terri Thompson; Giacomo Vaciago. Rossana Linguini prenderà parte - insieme ai vincitori di tutti gli altri paesi partecipanti - ad un seminario che si terrà dal 31 maggio al 11 giugno 2004 presso la Columbia Graduate School of Journalism di New York, la più prestigiosa facoltà americana di giornalismo, fondata nel 1912 da Joseph Pulitzer. Al secondo posto si è classificato Walter Galbiati, redattore di “la Repubblica”, mentre Luca Piana, redattore de “L’Espresso”, è risultato terzo. «La nostra iniziativa ha raccolto quest’anno un forte interesse presso il pubblico dei giornalisti economico-finanziari, in particolare grazie alla finalità formativa e all’indirizzo internazionale del premio», ha affermato Luca Toniutti, Citigroup Country Officer per l’Italia. «L’informazione finanziaria ha un ruolo cruciale nel garantire il funzionamento del sistema economico nel suo complesso. Con la terza edizione italiana del premio vogliamo ribadire il nostro impegno a sostenere l’importanza della comunicazione finanziaria di alto livello», ha concluso Toniutti. Citigroup è la principale società globale di servizi finanziari con circa 200 milioni di clienti in oltre 100 paesi, e fornisce a consumatori, società, governi ed enti una vasta gamma di prodotti e servizi finanziari, incluse attività bancarie e creditizie rivolte ai consumatori, attività bancarie aziendali e di investimento, assicurazioni, negoziazione titoli e gestione patrimoniale. Citigroup è presente in Italia dal 1962. CONDANNATO A LODI CRONISTA DEL “CORRIERE” CHE SI ERA FINTO CLANDESTINO Dichiarazione del presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Abruzzo: “Un errore. Fabrizio Gatti ha rispettato le regole deontologiche e le norme europee. Andava assolto” Milano, 5 maggio 2004. Il Tribunale di Lodi ha condannato oggi Fabrizio Gatti a 20 giorni di reclusione per falsa attestazione a un pubblico ufficiale sulla proprio identità. Aveva detto di essere rumeno e alla domanda “sei tu Roman Ludu?” aveva risposto di sì. L’episodio è avvenuto nel centro di via Corelli riservato ai cittadini extracomunitari. Gatti aveva scritto due articoli attorno alle condizioni degli extracomunitari nel nostro Paese. Un primo articolo era intitolato: “Io clandestino per un giorno rinchiuso nel centro di via Corelli” (pubblicato il 6 febbraio 2000). ORDINE 6 2004 Franco Abruzzo ha dichiarato: “Dal dibattimento è emerso che non era possibile avere notizie attendibili su quello che avveniva nel Centro di via Corelli e che anche ai parlamentari era negato l’accesso senza preavviso. Il Codice della privacy prevede che il giornalista possa nascondere la propria identità in situazioni di pericolo. Ed è quello che ha fatto Fabrizio Gatti. Il cronista non ha violato alcuna regola deontologica. Gatti, secondo me, andava dichiarato non punibile per avere esercitato un diritto, quello di cronaca, principio consacrato nell’articolo 21 della Costituzione, che va incrociato con l’articolo 2 della legge professionale, con l’articolo 51 del Codice penale e con l’articolo 10 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo. La vicenda merita di essere portata all’esame dei giudici della Corte di Strasburgo. Al cittadino europeo Fabrizio Gatti, il Tribunale di Lodi ha negato il diritto di ricevere notizie, diritto consacrato nelle sentenze Goodwin e Roemen. I giudici di Lodi sono incorsi, credo, in un errore gigantesco, perché sono tenuti ad uniformarsi alle sentenze di Strasburgo. Lo Stato italiano rischia ora di essere condannato a pagare i danni a Fabrizio Gatti, un bravo cronista che onora la professione giornalistica”. 13 (21) Trent’anni fa moriva a Roma il grande giornalista, geniale e incoerente M E M O R I A Direttore del “Corriere della Sera” dal 1952 al 1961, fu un acuto analista politico. Formatosi alla scuola delle riviste letterarie dei primi anni del Novecento (“La Voce”, e “Il Leonardo”), odiava la cronaca. Secondo Montanelli, il suo ideale era quello di pubblicare il giornale del giorno precedente Filosocialista prima del ’22, si convertì al fascismo che lo utilizzò al “Messaggero” come estensore di editoriali ricavati dalle veline emanate dal Minculpop. La Resistenza lo trovò naturalmente tra le sue fila e la Liberazione lo premiò con un encomio Mario Don Abbondio Missiroli in redazione di Enzo Magrì Un giorno di maggio del 1949 Mario Missiroli che dirigeva “Il Messaggero” (ma ambiva a sedere sulla poltrona che era stata di Luigi Albertini, al “Corriere della Sera”), chiese a Leo Longanesi che cosa ne pensasse del giornale milanese che Guglielmo Emanuel dirigeva aiutato dal redattore capo Michele Mottola. Il direttore del “Borghese” gli tracciò una sapida analisi, alla sua maniera, senza giri di parole: “Il ‘Corriere’ a confronto del ‘Messaggero’ sembra un giornale di provincia nonostante i mezzi di cui dispone. Sbagliano i titoli in terza pagina e in terza pagina pubblicano sempre articoli sui raffreddori. Tuttavia la tiratura è sempre eccellente e il direttore, grazie alla sua incapacità, diventa sempre più inamovibile. Fra lui e Mottola è cementato un patto di mutua difesa: essi sanno che ogni mutamento è un grave pericolo e trascorrono i loro giorni a difendersi da ogni scoppio d’intelligenza”. A dimostrazione che la politica ha sempre comandato sull’informazione, l’autore di In piedi e seduti, il quale aveva capito quanto l’amico e collega ci tenesse a trasferirsi a Milano, gli suggeriva: “Tuttavia, se si riuscisse a muovere De Gasperi, a fargli fare qualche pressione sui C. (leggi i Crespi), credo che ne trarresti vantaggio”. Non si è mai saputo se effettivamente il presidente del Consiglio sia intervenuto presso i proprietari del giornale per una malleveria su Missiroli. Di certo c’è che quando nel 1952 i Crespi decisero di affidargli la direzione del loro foglio e lo convocarono per discuterne le condizioni, questi si rese irreperibile. Per rintracciarlo, qualcuno telefonò alla moglie che si trovava in America per assistere la figlia recente puerpera. “Madame, per carità, torni subito. Missiroli è fuggito in Svizzera. Cerchi di convincere suo marito ad accettare la direzione del “Corriere della Sera”. L’intervento della signora Regina si rivelò prezioso perché il giornalista emiliano cominciò a firmare il ‘Corriere della Sera’ a partire dal 15 settembre 1952. In redazione fu accolto come un liberatore Nella redazione, avvilita dal burocratico grigiore della conduzione di Emanuel, Missi (come si firmava in privato) fu accolto come un liberatore. Ma l’entusiasmo si spense quasi subito. Alla prima riunione, il neo direttore enunciò la sua filosofia che riassunse nel motto: “Meglio un buco che uno scoop”. Qualche giorno più tardi, si pronunciò contro la “mania” di protagonismo di certi redattori. “In questo giornale” denunziò “ci sono troppi galli”. Mimando con indice e medio della mano destra levata a mezz’aria il movimento delle forbici, ammonì: “Ma io li ridurrò a capponi”. Come gli attori, i giornalisti vivono di visibilità che alimentano mediante la firma. Nello scoop, che è una sorta di assolo, sintetizzano la magnificazione d’un lavoro di ricerca e d’indagine. Come gli artisti inoltre hanno la vocazione ad occupare il proscenio, indulgendo sovente, chi più chi meno, in atteggiamenti da prime donne e in comportamenti che fanno parte del profes- 14 (22) sionismo protagonista. Figurarsi dunque l’effetto che ebbero quelle parole sul corpo redazionale il quale nella totalità (ancora non esistevano i comitati di redazione) si guardò bene dal replicargli. L’unico ad interloquire fu Indro Montanelli. “Fai bene direttore a dire così: tutti capponi. Tranne me, però”. Missiroli non ebbe la prontezza di rispondergli. Ma da quel giorno, per giustificare la sua tolleranza verso le “stravaganze” di Cilindro dentro il giornale e negli scritti, prese a dire: “In ogni famiglia c’è un matto: in quella del ‘Corriere’ c’è Montanelli”. Magro, statura media, naso grosso, sempre elegantemente vestito, Missiroli aveva lo sguardo curioso, a volte luciferino. Del romagnolo possedeva la facilità all’ira ma anche la rapidità del ritorno alla calma. L’iconografia ci ha tramandato l’immagine d’un uomo intelligentissimo ma pauroso che, aiutato da una profonda cultura e da un’acuta capacità d’intuizione, riusciva a giustificare atteggiamenti umani contraddittori e prese di posizioni politicamente discutibili. La coerenza esteriore e quella interiore Il suo debole fu certamente la coerenza, in questo imitato da una folta schiera di giornalisti i quali pur non avendolo conosciuto ne adottano ancora oggi la filosofia. Un giorno scrisse: “Io non sono uno di quelli che nutrono una specie di idolatria per la coerenza. Spesso la coerenza esteriore è dovuta alla impossibilità d’intendere lo svolgimento della realtà, il fluire della storia, che si muove sotto i nostri occhi”. Puntualizzò: “Ma vi è un’altra coerenza: intima, con il proprio pensiero che, se è veramente tale, non formula fittizia, deve riprendersi ogni giorno, ogni ora, ogni istante, per adeguarsi alla realtà infinita e mutevole a quella viva realtà concreta, incandescente che troppe volte ci sorprende in difetto con noi stessi”. Pronto a capire i rivolgimenti politici di cui era un eminente esegeta, temeva quelli quotidiani, della realtà spicciola, della cronaca. Secondo Montanelli, l’ideale di Missi era quello di pubblicare il giornale del giorno prima. Direttore della più importante testata italiana, egli non amava le notizie. Giungendo nel pomeriggio tardi in redazione, ambiva d’essere rassicurato che nulla di grave fosse accaduto né Italia né nel mondo. Raffaele Mauri, un giornalista entrato al “Corriere della Sera” alla fine degli anni Venti e che come Missiroli aveva lavorato al “Resto del Carlino”, era il capo della redazione romana. “Raffaele che c’è di nuovo” chiedeva Missi al telefono da Milano. ‘”Niente, niente” lo tranquillizzava l’altro da Roma. Confortato, il primo replicava: “Meno male, meno male”. Subito Mauri incalzava: “Sì, c’è qualche sciocchezza, una sciocchezzuola, cosa vuoi, cose che capitano”. Annunziava: “Oggi bocciano il Governo alle Camere. Ma sono cose che succedono. Cose normali”. Quest’uomo schivo, timoroso, tratteggiato dall’aneddotica come il don Abbondio delle redazioni, aveva attraversato da protagonista i primi vent’anni del secolo scorso imponendosi all’attenzione dell’intellighenzia italiana. Non gli erano mancati né coraggio né spavalderia tanto che aveva sfidato a duello colui che per vent’anni sarà il padrone d’Italia: sì, Benito Mussolini. Mario Missiroli era, si può dire, uno che si era fatto da sé: una sorta di versione letteraria del self made man dell’imprenditoria americana. Bolognese d’origine romagnola, rimasto orfano di padre giovanissimo, era stato educato da uno zio materno che gli aveva inculcato l’amore per la cultura. Enfant prodige, a quindici anni, nel 1901, comincia a collaborare con il “Don Chischiotte” e la “Rinascenza”, due settimanali emiliani. Qualche anno più tardi scrive per il “Leonardo” e la “Voce”, le prestigiose riviste letterarie dirette rispettivamente da Giuseppe Prezzolini e da Giovanni Papini, che rappresentano il bivio per il quale transitarono gli intellettuali liberali, socialisti, nazionalisti e fascisti. Appassionato di filosofia e di letteratura, agli svaghi dei giovani preferiva la lettura dei cultori del pensiero e dei narratori. Trascorreva gran parte del suo tempo all’Archiginnasio, la biblioteca pubblica di Bologna. Frequentava il Caffè del Corso, ritrovo di artisti, e di sera visitava la libreria Zanichelli dove Carducci soleva intrattenersi con il titolare, il signor Cesare. All’autore delle Odi Barbare, il giovanotto fece un giorno rilevare una lacuna contenuta nella sua opera omnia; vale a dire l’assenza d’un importante discorso. Non gli manca neppure l’intraprendenza. In quel periodo (siamo attorno al 1910) dà vita ad una rivista letteraria. Essendo stato presentato da poco a Giovanni Pascoli, un giorno, vincendo la ritrosia, si presenta in casa del poeta per chiedergli un inedito. L’autore di Myricae, uomo timido, si siede alla scrivania verga un biglietto e lo porge al giovane che saluta ed esce in fretta convinto d’avere in mano un nuovo brano del poeta. Nel foglio c’è scritto: “Adesso non ho nulla. Ripassi tra qualche giorno”. Scrittore raffinato e scopritore di talenti Redattore del “Corriere dell’Emilia”, organo del partito conservatore emiliano, nel 1903, a 23 anni, Missi passa al “Resto del Carlino” dove, a causa della malattia di Alberto Savagni, diventa l’effettivo direttore. Oltre che scrittore sottile, egli si rivela uno scopritore di talenti. Riconosce le qualità di Alfredo Oriani, che impone all’editoria. Arruola al giornalismo della terza pagina Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini, Giovanni Gentile, Giovanni Amendola, Aldo Valori, Ernesto Bonaiuti e Benedetto Croce, valenti intellettuali, esponenti del pensiero italiano. Amante della scrittura chiara e semplice, quando qualche suo collaboratore deve affrontare un argomento pericoloso sia dal punto di vista politico che da quello economico gli raccomanda “sii prolisso e confuso”. È attraverso il “Carlino” che egli entra in contatto con Georges Sorel, teorico del sindacalismo rivoluzionario, con il quale ha una fitta corrispondenza. Nel 1913, a ventisette anni, pubblica il suo primo saggio La monarchia socialista un’opera fondamentale nella sua biografia. Quattro anni più tardi esce Il Papa in guerra, un riuscito intreccio saggistico in cui egli indica nel socialismo democratico il ORDINE 6 2004 Al suo vademecum dell’incoerenza si sono ispirati e s’ispirano ancora molti giornalisti che vogliono cavalcare il successo Indro Montanelli, Gaetano Afeltra, Mario Missiroli. vero continuatore del liberalismo: le sue teorie politiche ruoteranno su questa tesi e sull’assunto che l’Italia era condannata all’arretratezza a causa della mancata riforma religiosa. Nel 1918, dopo una brevissima esperienza di condirettore al “Tempo” di Roma, rientra a Bologna per assumere la direzione del “Resto del Carlino”. Il fascismo è ormai prossimo alla conquista del potere. Dopo Milano, Bologna è uno dei centri di maggiore aggregazione. Accusato di filosocialismo, Missiroli è costretto a lasciare la sua città e nel settembre del 1921 assume la direzione del “Secolo”, “contraltare sinistreggiante della democrazia illuminata del ‘Corriere della Sera’”. Sul giornale antifascista, egli, che è amico di Pietro Nenni, Filippo Turati e Anna Kuliscioff, non risparmia critiche a Mussolini tanto che definisce i fascisti “schiavisti agrari”. Ormai in guerra con il movimento creato dal direttore del “Popolo d’Italia”, pubblica una serie di articoli in cui esprime duri giudizi sull’uno e sull’altro. La risposta del futuro duce non si fa attendere. Il 10 maggio del 1922, cinque mesi prima della marcia su Roma, egli definisce Missiroli un “perfido gesuita e un solennissimo vigliacco”. In uno dei rarissimi atti di ardimento, l’autore di La monarchia socialista si dichiara offeso. Sfida il capo del fascio. Egli però non sa tirare di scherma. Il corso accelerato di 24 ore tenutogli dal celebre Giuseppe Mangiarotti non basta a svelargli tutti i segreti dell’uso delle armi bianche. Il maestro, pessimista sul futuro dell’impreparato e improvvisato allievo, gli raccomanda: “Miri sempre alla coccia della spada del suo avversario e non si curi d’altro”. Il 13 maggio del ‘22, in un prato di San Siro, Missiroli è assistito dalla fortuna dei principianti. Non solo mette in difficoltà il suo rivale (tanto che un redattore del “Popolo d’Italia” presente confida ad un suo collega: “Se Missiroli continua cosi, ci fa fuori il direttore”), ma con un fortunato fendente lo ferisce leggermente al polso. Il duello è sospeso senza la riconciliazione dei contendenti. Vinto sul campo dell’onore Mussolini, Missiroli è però sconfitto in quello professionale e politico. Costretto a lasciare la direzione del “Secolo”, si rifugia presso la redazione romana della “Stampa” dove Frassati gli dà ospitalità. Indomito, l’emiliano, continua a battibeccare con il capo del governo. Ma il suo destino è segnato: espulso dal sindacato dei giornalisti, è licenziato pure dalla “Stampa” passata al servizio del fascismo sotto la direzione di Andrea Torre. Era terrorizzato dal pensiero della povertà Molti antifascisti militanti, con l’avvento delle leggi speciali lasciano l’Italia e si rifugiano a Parigi. Missiroli resta a Roma ma quel che è peggio passa dalla parte del suo nemico. La tesi di Montanelli è che egli fosse tormentato dal pensiero della povertà. Nel 1925 aveva incontrato al mare Regina Avanzini che aveva sposato e che gli aveva dato una figlia. Traumatizzato di vedere Mussolini al potere, il bolognese temeva di essere messo fuori gioco. Dev’essere stato in quel periodo che egli elabora la sua teoria sulla ORDINE 6 2004 coerenza. Leandro Arpinati, podestà di Bologna, che gli è amico, chiede al presidente del Consiglio di concedere la tessera del Pnf al vecchio avversario. Per impietosire il duce sul caso, gli riferisce che Missiroli è sposato e ha una figlia. Il dittatore domanda, incredulo: “Come, quell’uomo così pallido ha pure una figlia?”. Oltre alla tessera, il giornalista ottiene anche un posto al “Messaggero”. Per sdebitarsi, adula il regime facendo autocritica. Nel 1925 scrive: “Il fascismo è in gran parte quel socialismo al quale alcuni dottrinari, me compreso, s’illusero d’assegnare compiti e funzioni liberali”. Mente senza imbarazzi: “Il fascismo al potere contrassegna la fase storica più intensamente democratica che abbia attraversato l’Italia dal 1870 ad oggi”. Poiché il suo nome imbarazza il regime, Mussolini gli consente di scrivere per il “Messaggero” ma senza firmare i servizi. Rintanato in una stanza del giornale, stila editoriali seguendo la traccia delle veline che prima l’Ufficio stampa della presidenza del Consiglio, poi il sottosegretariato (e quindi ministero) per la Stampa e propaganda, infine il ministero per la Cultura popolare, trasmettono ai giornali per “orientare” i giornalisti e il paese. Nella solitudine materiale ed intellettuale in cui è costretto vivere, egli si vendica del regime con il disprezzo mordace e impudente. Si meraviglia: “Orribile, molti fascisti parlano come scrivo io”. Riferendosi al loro atteggiamento culturale ironizza: “Hanno la forza dell’analfabetismo e la forza dell’alfabetismo: è una forza invincibile”. Lo esalta però il pensiero che i suoi articoli giungano con il caffellate sia a Mussolini sia al Papa. Datano da allora alcune folgoranti battute. Incontrando Arrigo Benedetti e Mario Pannunzio, dopo che Mussolini ha chiuso il settimanale “Oggi” (che i due dirigevano), li conforta: “Vi hanno punito per quello che non avete pubblicato”. E nel 1939 finisce il “ feeling” con il fascismo Il suo feeling con il regime finisce nel 1939 quando Mussolini si allea con Hitler, un personaggio che Missiroli odia. Quando capisce che il fascismo non potrà superare la prova della guerra, si avvicina operosamente all’antifascismo militante: riesce a salvare le rotative del “Messaggero” che rischiavano d’essere trasferite in Germania e tenta di sottrarre al maresciallo Herbert Kappler Alberto Bergamini (il prestigioso ex direttore del “Giornale d’Italia”) detenuto a Regina Coeli, ignorando che egli è evaso. Nel 1943 è costretto a rifugiarsi e a vivere per settimane nell’appartamento di Vittorio Emanuele Orlando, suo vicino di casa, per non farsi prendere dai tedeschi che lo cercano perché ha aiutato alcuni detenuti a fuggire dal Celio. La democrazia (che lo premia con un encomio solenne dopo la Liberazione) lo trova ovviamente tra i vincitori. Egli si prodiga per aiutare parecchi colleghi giornalisti compromessi con il passato regime che sono minacciati d’epurazione. La milizia nei due fronti (quello fascista e l’altro antifascista) senza passione né per l’uno né per l’altro, gli consente di esternare un cinismo bipartisan. Un tizio che era andato a trovarlo alla fine degli anni Quaranta, presente Montanelli, si qualificò come “vero fascista che non ha mai rinnegato la sua fede e il suo giuramento”. Uscito il personaggio, Missi sbottò davanti al suo amico Indro: “Si crede un vero fascista, quell’idiota. Ma i veri fascisti siamo noi che dapprima non ci credemmo, poi fingemmo di crederci; poi, forse, credemmo fingendo di non crederci. E ora non sappiamo più nemmeno noi se ci abbiamo creduto o no”. Quasi a volere stabilire una sorta di par condicio, la sua irrisione non colpisce solo il fascismo ma anche l’antifascismo. Nel consegnargli un articolo, un neo collaboratore si era lamentato:”Il fascismo non mi ha fatto scrivere per vent’anni”. Missiroli, dopo aver dato una scorsa al pezzo, gli risponde: “Ma almeno poteva leggere”. L’impegno con la Resistenza romana, riscatta gli anni della sua meschina collaborazione con il regime. Assistito da un geniale acume di politologo (anche se sostiene che i professionisti della politica non ne azzeccano mai una come i meteorologi), diventa uno dei referenti dell’establishment. Divenuto direttore del “Messaggero”, il più importante giornale del Centro-Sud, è l’ascoltato consigliere di parecchi uomini di governo che (con l’eccezione di Alcide De Gasperi) lo vanno a trovare in redazione dove divide la stanza con Pippo, un gatto randagio al quale ha offerto una cuccia in un cassetto della sua scrivania. In quel periodo pare abbia redento persino una prostituta che frequentava via del Tritone, proprio davanti al giornale, trasformandola in una centralinista. I vent’anni di semiclandestinità, cui lo ha costretto il fascismo, hanno certamente indebolito il suo senso della sicurezza che però egli ritrova rifugiandosi dietro manie e rituali. Come un pipistrello, vive di notte e dorme di giorno. Entra al giornale alle otto di sera e va a letto alle sei del mattino. Madame (come chiama da sempre la moglie) veglia perché in quelle ore di riposo del marito tutto si svolga in casa in punta di piedi e perché nulla ne possa disturbare il sonno. Un giorno la signora si vede costretta a svegliarlo alle tre del pomeriggio. L’onorevole Antonio Segni, dalla redazione del “Messaggero” in cui si trova, si lamenta per telefono che Missi non si è presentato all’appuntamento. Dolcemente dissonnato, il giornalista prende la cornetta e chiede all’uomo politico. “A che ora le ho fissato l’appuntamento?”. E l’altro: “Alle tre”. “E allora?” interviene il giornalista. “Sono le tre e mezzo e lei è ancora a casa” replica l’uomo politico. “Sono le quindici” precisa Missiroli. “L’ho attesa questa notte alle ore tre”. Scriveva gli articoli con la penna a cannuccia Maniaco della perfezione, impiegava ogni giorno almeno dieci minuti (aiutato dalla moglie che sovente s’innervosiva), per indossare la giacca avendo cura che il colletto combaciasse millimetricamente con quello della camicia. Scriveva i suoi articoli usando la penna a cannuccia e il calamaio. Solo negli ultimi 15 (23) Celebri sono rimaste alcune sue frasi: M E M O R I A “Togliatti è un eccellente uomo politico, peccato che sia un conservatore”. “L’Italia deve poggiare su un piede sempre più largo del suo per illudersi di essere forte e felice. Vivere al gabinetto e scambiarlo per un castello. Questo Mussolini lo aveva capito”. “Non c’è niente di progressivo nel nostro paese, tranne la paralisi”. Accomiatandosi un giorno da un importante uomo politico che era andato a trovarlo in redazione, lo aveva esortato: “Mi raccomando, mi raccomando, siamo nelle sue mani”. Uscito di scena il personaggio, fu sentito dire: “In quali mani siamo...” Colli, Emanuel, Missiroli, Mario Crespi e Gaetano Afeltra. anni si era convertito alla biro. La sua libreria conteneva migliaia di volumi che non potevano essere toccati se non da lui. Se qualcuno in casa voleva leggere uno dei libri allineati negli scaffali se lo doveva comprare. A volte la moglie perdeva la pazienza e lo apostrofava: “Sei un nevrastenico”. Egli subito precisava: “No, no, sono un ordinato”. Uomo estremamente solitario e profondamente scettico, entrando al “Corriere” vi aveva introdotto le sue manie e le sue fobie. Montanelli sosteneva che, nonostante tutto, Missiroli fosse una droga, un virus contro il quale non c’erano difese. Con la voce bassa, che si perdeva in un bisbiglio, devoto come un monaco alla professione, riusciva ad acquistare la fiducia di chiunque entrasse in contatto con lui. Aveva sempre paura di ciò che non conosceva Paradossalmente, a Milano era stato accolto male solo dalla Confindustria che sul “Sole 24 Ore” gli aveva rimproverato d’avere promosso, quand’era direttore del “Messaggero”, una campagna contro l’industria elettrica privata. Forse per questa ragione, o piuttosto perché aveva sempre paura di ciò che non conosceva, appena messo piede in redazione, ad un collega di cui si fidava chiese: “Chi comanda realmente a Milano?”. L’altro rispose: “Guarda che qui non ci sono padroni, almeno non mi risulta che ce ne sia uno”.”Ma ci dev’essere uno che comanda”, gli replicò Missi. “Chi è la Confindustria?”. E l’altro: “No, non è la Confindustria.” “Allora è la Curia”, congetturò il neodirettore. “Quella non c’entra niente” fece presente l’amico. “Allora sono i Crespi?” concluse risoluto l’emiliano. “Ma qui non comandano nemmeno loro” intervenne l’altro che precisò: “Comandano sì, ma nell’ambito amministrativo. Una volta però che ti hanno nominato direttore, sta a te andare avanti”. Quell’affermazione che avrebbe rassicurato chiunque apprezzasse la possibilità di potere operare in piena autonomia, dovette gettare nella costernazione l’emiliano il quale scoprì cosi che, diversamente da quanto accadeva al “Messaggero” con i Perrone, non aveva personaggi di riferimento e che non avrebbe avuto nessuno cui rapportarsi. A quel punto, per difendersi adottava, secondo una diagnosi di Montanelli, la tecnica dell’ignoranza. Trascurava le notizie. Queste per lui erano una specie di turbamento. Secondo la teoria di Indro, “gli avvenimenti modificavano le cose e quindi era meglio che non accadessero”. Avrebbe voluto censurare le informazioni perché ognuna di esse avrebbe potuto costituire un pericolo. Epigono del mondo politico letterario del primo Novecento, quello che ruotava attorno alle riviste letterarie (“La Voce”, “Il Regno”, “Lacerba”, “Il Leonardo”, “L’Idea Nazionale” etc) prediligeva il giornalismo formativo, di stile ottocentesco, anziché quello di taglio informativo. Come storico e come politico, riusciva a leggere gli avvenimenti che orientavano la cosa pubblica ma non era capace d’interpretare gli eventi dell’attualità che preferiva rimuovere. Infallibile nella scelta dei suoi collaboratori Incerto nell’approccio con le novità, egli è però infallibile nella scelta dei collaboratori. Al suo arrivo al “Corsera”, se ne va Guido Piovene che passa alla “Stampa”. A rimpiazzarne la bravura giungono Luigi Barzini jr, Virgilio Lilli, Domenico Bartoli, 16 (24) Giuseppe Antonio Borgese. Torna Enrico Massa, che era uscito dal “Corriere” nel 1925 insieme con Luigi Albertini. All’interno del giornale trova subito una fattiva, creativa, collaborazione in Gaetano Afeltra che conferma come redattore capo ed eleva anzi a suo braccio destro. “Tu m’indovini” gli dirà spesso per sottolinearne la solidale intesa. Sarà Afeltra che in pratica dirigerà il giornale. Sono sue le “scoperte” di Goffredo Parise, Alfonso Gatto, Domenico Rea, Alberto Arbasino. Missiroli pensa solo all’editoriale della domenica e alla gestione delle sue ire che, uomo estremamente civile, non rivela mai. In compenso è lapidario nelle sue battute che hanno la capacità di esaltare o deprimere. Pare che una volta, incrociando un bravissimo giornalista, che però a lui non garbava, gli si sia rivolto con queste parole: “Bravo, bravo, bravo”. Non comprendendo la ragione di quel complimento, l’altro chiese: “Scusi, direttore, ma bravo perché?”. “Già perché” rispose il bolognese allontanandosi. Conoscendone le idiosincrasie e le riserve mentali, coloro che gli stavano vicini s’industriavano per conformarsi e per interpretare i reali intenti di certe sue proposte e iniziative. Un giorno Montanelli telefonò ad Afeltra annunciandogli: “Missiroli mi ha chiesto di fare la recensione al nuovo libro di Longanesi, Un morto fra noi. Io ho scritto quello che sentivo di scrivere. Ma, poiché sono certo che Missiroli l’ha fatta fare a me soltanto per paura di Longanesi, può darsi benissimo che ora non la pubblica per paura di dispiacere ai nemici di Longanesi. In questo caso vedi tu di fargli fare una buona scelta fra l’una e l’altra paura”. “Il mio destino è quello di non essere mai in tempo” Quando Missiroli domanda ad Afeltra com’è il nuovo libro del direttore del “Borghese”, il suo braccio destro gli sottolinea che vi sono pagine contro il poeta Vincenzo Cardarelli. Il direttore sbotta:”Ma come. Per vent’anni fra Longanesi e me c’è stato un sordo rancore proprio perché io non stimavo Cardarelli. Com’è possibile che ora che mi sono messo a stimarlo e che per aiutarlo gli ho pubblicato persino due pezzi in un giorno, com’è possibile che proprio ora Longanesi dica che non valga più niente”. Sconsolato sospira: ”Il mio destino è quello di non essere mai in tempo”. Una volta insediatosi in via Solferino, Missiroli amministra l’esistente. Coglie sicuramente i mutamenti che si registrano nel mondo: la fine dello stalinismo, l’avvento di Giovanni XXIII, la nascita a Milano del “Giorno”, opera di Gaetano Baldacci (un ex inviato del “Corriere” che lo angosciava con i suoi servizi dissacranti e che egli aveva sollecitato a farsi un giornale tutto suo), il proposito di Angelo Rizzoli di pubblicare un quotidiano. Tuttavia, essendo stato vittima d’un esiziale mutamento epocale che aveva investito il nostro paese, teme le conseguenze dei rivolgimenti e li esorcizza con le facezie. Esercizio che non ne minimizza la bravura professionale ma che semmai ne arricchisce l’immagine restituendola umana e gradevole anche se i suoi nemici utilizzano questa pratica per ridurlo a cinica macchietta. Un giorno, al “Corriere”, leggendo una notizia d’agenzia che annunciava il crollo d’un palazzo, aveva sussurrato: “Bene, bene, questa è una buona notizia. Credevo che in Italia tutto fosse già crollato da un pezzo. Invece…” Alla maniera delle persone riservate, egli si sottrae a certe imbarazzanti situazioni con le battute che sono le scintille con le quali l’uomo colto schizza una situazione, uno stato d’animo, un’analisi. Se qualcuno propone un articolo che a lui non piace, un po’ per rimarcare i limiti del suo mandato di direttore ma anche per liquidarlo senza approfondite spiegazioni, è solito rispondere: “Bello, ma per poter scrivere queste cose bisognerebbe avere un giornale”. L’ammirazione che avviluppa, soprattutto in chi lo conosce, la figura del grande giornalista, non intenerisce i Crespi i quali, dopo nove anni di direzione missiroliana, sono divisi tra loro da diverse questioni, ma si trovano uniti nel proposito di dargli il benservito. Dall’esterno, il “Corsera” è considerato inadeguato ad esprimere le realtà nuove che premono nella società italiana. Dei giornali della Penisola, è ritenuto il foglio meglio scritto in italiano, “ma è un italiano” si osserva “senza più linfa vitale, quello di una società ferma e cristallizzata”. Come capita ai direttori di forte personalità, egli assomiglia in maniera impressionante al giornale che pubblica e viceversa. Concordi dunque nel proposito di non rinnovargli il contratto, i padroni della testata sono in consonanza anche sulla scelta del suo successore intendendo affidarla non ad un antimissiroliano bensì ad un Missiroli giovane. Hanno pure individuato il delfino. Alcuni anni prima, l’autore de La monarchia socialista aveva annunciato a Madame d’avere trovato un giovane “fenomenale e preparatissimo”, che, come lui, coltivava interessi storici e filosofici: si chiamava Giovanni Spadolini. Egli non soltanto gli aveva aperto le porte del giornalismo invitandolo a collaborare ai suoi giornali, ma lo aveva proposto alla direzione del “Resto del Carlino”. Quindi aveva parlato di lui come del suo successore ai Crespi che s’erano trovati d’accordo. Tuttavia, quando Missi è licenziato, a prendere il suo posto non è Spadolini bensì Alfio Russo. E Montanelli lo esortò a fare il saggista L’uscita dal “Corriere” fu un vero dramma per il prestigioso giornalista che si sentì messo da parte, fuori del mestiere, un sopravvissuto. Andando a trovare il vecchio amico, Indro lo confortava scuotendolo: ”Tu sei stato tradito e ti sei tradito con il giornalismo”. Lo esortava a fare ciò che sapeva fare meglio: lo scrittore saggista. “Perché, almeno ora, non cominci a scrivere le cose che hai dentro? Basterebbe che registrassi ciò che dici e ne verrebbero fuori delle cose straordinarie”. Il giornalista di Fucecchio ricordò più tardì amareggiato: “Non mi ha dato retta”. Egli riteneva che Missiroli avesse paura del giudizio dei posteri. Abbandonata via Solferino, Missi continuò a collaborare con quotidiani e settimanali che pubblicavano puntualmente le sue analisi politiche. Il suo sogno era quello di firmare ancora un quotidiano come direttore. Un giornale con articoli di cronaca, politica e cultura. “Vorrei fare un giornale popolare dignitoso” confidò ad un collega che lo intervistava. Era il 1968. Non si era accorto che quel giornale c’era già: era “il Giorno”, la pubblicazione che dodici anni prima aveva fondato il suo amico-nemico Gaetano Baldacci. Non aveva compreso, neppure quel globale movimento che prendeva il nome Sessantotto. Riferendosi alla contestazione osservava: “Questo problema non esiste. La giovinezza è un fatto, non un problema. Parlare del problema della giovinezza sarebbe come parlare della fioritura. La fioritura accade naturalmente e non dà luogo ad alcun problema”. Pur di non vedere la realtà, vi stendeva sopra il velo della poesia e della retorica. Mario Missiroli morì trent’anni fa, a Roma, il 29 ottobre del 1974. Enzo Magrì ORDINE 6 2004 ACCORDO TRA IL CONSIGLIO NAZIONALE (DOMINATO DA UN’ALLEANZA MILAZZIANA DS -AN) E LE UNIVERSITÀ DI CHIETI, ROMA-LUMSA E TORINO Laurea in un anno Pronta una scorciatoia esclusiva per i giornalisti senza titolo (avremo 30mila nuovi “dottorini”, ma privi di saperi) Milano, 15 maggio 2004. I quotidiani “Roma” e “Il Mattino”di pari data pubblicano una notizia stupefacente. Questo è il titolo del “Roma” (pagina 9): “Giornalisti, varato il progetto per la laurea breve. Caldoro: si creeranno nuove occasioni di lavoro” (Stefano Caldoro, è il sottosegretario alla Pubblica istruzione-Università). Ed ecco il titolo del “Mattino” (pagina 34): “Intesa per le lauree brevi tra giornalisti e atenei”. In sostanza un accordo (per ora clandestino) tra il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (dominato da un’alleanza milazziana Ds-An) e le Università di Chieti, Roma-Lumsa e Torino regala ai giornalisti senza titolo (professionisti e pubblicisti) due anni di corso (10/11 esami) sotto forma di crediti professionali: basterà sostenere i 4-5 esami del terzo anno (con una tesi finale di 70-90 pagine) per conseguire la laurea di primo livello o breve (che in questo caso è... brevissima) in Scienze politiche, Scienze sociali e Scienze della comunicazione. Chi consegue la laurea breve triennale ha, comunque, il titolo di “laureato” (non di “dottore”, titolo che spetta soltanto ai laureati quadriennalisti e ai laureati specialisti). La macchina da scrivere, la vecchia “Lettera 22”, resta al suo posto. Per quanto riguarda gli esami di stato, la Direzione generale del ministero della Giustizia, si è espressa in maniera negativa sul passaggio al computer portatile. La proposta del Comitato esecutivo dell’Ordine, per innovare e snellire la prova scritta degli esami d’idoneità professionale, potrà, però, concretizzarsi attraverso una modifica al Regolamento per l’esecuzione della legge 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalista. La proposta è supportata da un meccanismo (messo a punto dal consulente tecnico dell’Ordine) che annulla la memoria dell’hard disk e, quindi, impedisce al candidato di ottenere informazioni dal disco fisso del computer. Ma per la Direzione generale il “sufficiente livello di sicurezza”, così raggiunto, non basta. Infatti, consentirebbe, comunque, accessi “fraudolenti” agli elaborati. Insomma, per ora, resta la macchina da scrivere: difficile da reperire e da usare. Di seguito il testo del parere della Direzione generale del ministero della Giustizia: “L’art. 48 del Regolamento per l’esecuzione della legge 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica, nel dettare le modalità di svolgimento della prova scritta degli esami di abilitazione, prevede espressamente che i candidati debbono usare, per la stesura dell’elaborato, esclusivamente carta munita della firma del presidente. Essi, durante la prova, non possono porta- ORDINE 6 2004 Pubblichiamo integralmente il testo dell’articolo del “Roma” NAPOLI. Coniugare l’esperienza maturata sul campo con il gradino pia alto della carriera scolastica: è quanto si propone il progetto “Laureare l’esperienza”, presentato ieri mattina dal vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti, Domenico Falco, e dal segretario generale aggiunto della Fnsi Mimmo Castellano nel corso di una conferenza stampa svoltasi alla Camera di commercio di Napoli alla quale ha preso parte anche il sottosegretario alla Pubblica istruzione Stefano Caldoro. L’intesa, sottoscritta dall’Ordine nazionale con l’Università di Torino, la Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara e la Lumsa di Roma, consentirà a tutti i giornalisti pubblicisti o professionisti di potersi iscrivere all’ultimo anno del corso di laurea di primo livello presso una delle seguenti facoltà: Scienze politiche a Torino, Scienze sociali a Chieti-Pescara e Scienze delle comunicazioni a Roma. In tal modo sarà possibile valutare i crediti formativi detenuti dai singoli giornalisti che, se in possesso dei requisiti previsti dalla legge, potranno conseguire l’ambito titolo. Si tratta di un’intesa innovativa che ci auguriamo coinvolga al più presto anche le Università del Mezzogiorno, in particolare della Campania - ha commentato Caldoro -. In tal modo, verrà regolamentato l’aspetto che mancava alla professione di giornalista, ovvero quello riguardante gli esami dì stato, ed i crediti formativi accumulati nel corso di anni di lavoro verranno finalmente riconoscìuti. Ciò comporterà anche nuovi sbocchi lavorativi in particolare per quanto concerne i concorsi banditi dalla Pubblica amministrazione. E proprio sul tema del rapporto tra la Pa e gli organi di informazione, !’incontro ha fornito l’occasione per ribadire l’importanza di superare i ritardi accumulati nella corretta attuazione della Legge 150/2000, che, com’è noto, prevede l’istituzione degli Uffici stampa nelle Pubbliche amministrazioni con la conseguente applicazione ai giornalisti impegnati in dette strutture del contratto nazionale di lavoro giornalistico. Al riguardo Mimno Castellano ha preannunciato l’apertura di una “Vertenza informazione” in Campania, che permetterà un confronto del síndacato con tutti gli enti locali (Regione, Provincia e Comune) tenuti all’applicazione della legge. Il sindacato si impegna a chiedere al Consiglio regionale di predisporre un’apposita legge che regoli in modo chiaro e definitivo la questione inerente l’erogazione delle provvidenze a fondo perduto per l’editoria locale analogamente a quanto predisposto dalle passate Giunte regionali. ADELAIDE AUREMMA Esami: il ministero boccia il portatile, resta la “Lettera 22” Franco Abruzzo: “Spero che il ministro Moratti blocchi questa immonda intesa, che peraltro viola la pari dignità sociale tra i cittadini” “I giornalisti professionisti e pubblicisti sono 63mila circa e di questi, si ritiene, almeno 30mila non abbiano conseguito una laurea. Rivolgo un appello soprattutto ai giovani, perché respingano con sdegno lo sconto di due anni di studi. Parlo come ex studentelavoratore, che ha sostenuto non più giovane i 25 esami del corso di laurea quadriennale in Scienze politiche, laureandosi con la lode. Quell’esperienza mi è stata utilissima. Un titolo senza saperi non serve. Bisogna studiare, aggiornarsi e continuare ad aggiornarsi per stare sul mercato con possibilità di successo e di lavoro. Spero che il ministro Moratti blocchi questa immonda intesa, che è contraria alla Costituzione in quanto viola la pari dignità sociale tra i cittadini. Perché le lauree non vengono regalate anche ai cittadini non giornalisti? La Facoltà di giurisprudenza di Milano, invece, ha respinto un’eguale pretesa dei ragionieri. “L’accordo tra il Consiglio nazionale dell’Ordine e le tre Università, con la benedizione della Fnsi, è semplicemente scandaloso. Non è educativo, perché offre ai giovani scorciatoie e non indica agli stessi la dura via del sacrificio (qual è quella di saper conciliare lavoro e studi universitari). “È incredibile che l’esecutivo del Consiglio nazionale dell’Ordine, dominato da giornalisti ds del Gruppo di Fiesole e da esponenti di An o di destra (una maggioranza milazziana), abbia potuto avallare un simile vergognoso pateracchio. Ed è altrettanto incredibile la benedizione della Fnsi. Eppure l’Ordine nazionale ha un presidente eccellente con due lauree”. Conclude Abruzzo: “Mi batto da 15 anni per legare professione giornalistica e Università, cioè professione e saperi. E rimango della mia idea: i giornalisti devono studiare in Università per essere padroni degli argomenti che trattano via via e per riacquistare credibilità e autorevolezza. Oggi bisogna pensare alla formazione continua, prefigurata dal contratto. ma mai attuata. Questa trovata della laurea brevissima è semplicemente umiliante per chi esercita la professione più delicata tra le professioni intellettuali. Non abbiamo bisogno di patenti”. re nella sede dell’esame mezzi di comunicazione portatili o macchine per scrivere elettroniche con memoria. A seguito degli accertamenti tecnici compiuti dalla competente Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati di questo ministero, è emerso che il personal computer impiegato per la prova scritta degli esami di idoneità professionale dei giornalisti costituisce, in senso stretto, una macchina per scrivere comprensiva di memoria. Pertanto, essendo il dettato normativo sopra indicato così esaustivo, non appare, allo stato, legittimo, a parere di questa Direzione generale, consentire l’utilizzo di un computer portatile ai candidati, pur con le cautele prospettate da codesto Consiglio nazionale. Infatti, seppure il sistema realizzato, in sé considerato, risulterebbe avere un sufficiente livello di sicurezza, la Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati ha evidenziato che comunque, la conoscenza della chiave di cifratura dà la possibilità di accedere al computer ed all’elaborato di esame, in maniera fraudolenta, consentendo di neutralizzare i requisiti di sicurezza impostati. Di conseguenza, un’eventuale innovazione nel senso prospettato dovrebbe essere oggetto di una modifica del Dpr n. 115/1965 che introduca espressamente questa possibilità, modifica di cui codesto Consiglio potrebbe eventualmente farsi promotore”. (g.c.) (12 maggio 2004) 17 (25) L A L I B R E R I A D I TA B L O I D Mauro Forno Fascismo e informazione di Vito Soavi Margherita Sarfatti, dopo aver completato la stesura del libro Dux, volle sottoporre il manoscritto al giudizio del suo illustre amico. Mussolini glielo restituì, accompagnandone l’approvazione con una personale prefazione. Con queste referenze si rivolse allora all’editore Arnoldo Mondadori per proporgli la pubblicazione della sua opera. Prima di accettare l’incarico Mondadori volle, per prudenza, chiedere conferma a Mussolini del suo beneplacito, ottenendone una risposta sconcertante: “Questo libro non dovrà mai vedere la luce”; ed alla sua osservazione: “Chi lo dice alla Sarfatti?” concluse: “Si arrangi lei!” Trascorsero molti mesi durante i quali il malcapitato editore, con varie scuse, rimandava il momento della composizione delle bozze, ma quando non fu più in grado di procrastinare, le fece preparare e, dopo le correzioni dell’autrice programmò una tiratura di poche centinaia di copie con lo scopo di eseguire un test di gradimento... sul mercato dell’Argentina. Fu l’inizio di un successo travolgente. Dux ebbe moltissime riedizioni, fu tradotto in tantissime lingue, e divenne il trampolino che trasformò un piccolo editore di provincia nella grandissima “Arnoldo Mondadori Editore”. Questo episodio trova un curioso collegamento con quanto leggo nella parte conclusiva di Fascismo e Informazione di Mauro Forno, relativamente all’ultimo li- bro, scritto da Benito Mussolini Storia di un anno pubblicato anche lui dopo tormentate vicissitudini nel 1945 in 20.000 copie, guarda caso ancora da Mondadori. Fatalità dei corsi e ricorsi! Mauro Forno per esaminare il comportamento della stampa quotidiana nel ventennio fascista sceglie, come filo conduttore, l’opera di Ermanno Amicucci protagonista, come dimostra, di una rivoluzione giornalistica incompiuta. Lo descrive come un personaggio pieno di contraddizioni, che godeva, fra i camerati che contavano, di uno scarso peso politico, anche forse per il suo aspetto fisico, basso e tondeggiante, facile bersaglio delle vignette dei giornali satirici dell’epoca. Anche Mussolini lo sopportava appena, pur riconoscendogli una assoluta dedizione e fedeltà che l’accompagnarono fino alla fine di questa folle avventura. Con questa velata protezione Amicucci poté spaziare con molta libertà di iniziativa nel campo sociale, come segretario del sindacato e “gestore” dell’Albo dei giornalisti, e come promotore dei Littoriali della cultura, della Biennale d’arte e della Mostra del cinema di Venezia, del Centro sperimentale di Cinecittà. Ben minori però furono, a mio avviso, i meriti che acquisì come giornalista-scrittore. Non fu mai una grande penna e questa immagine si trascinò fino alla fine della sua carriera, nel 1946, quando dall’Argentina iniziò a collaborare con il settimanale Tempo, edito, guarda un pò, Pierluigi Battista Parolaio italiano dal suo “camerata di merende al Corriere” Aldo Palazzi. Come direttore della Gazzetta del Popolo, che portò a divenire il secondo quotidiano d’Italia (come tiratura ma con quale diffusione?), egli poté scatenare la sua fantasia perché aveva alle spalle un editore, la Sip che, almeno inizialmente non si occupò dei conti economici. Diede grande respiro agli eventi culturali, introdusse la pagina degli spettacoli, quella dell’economia, abbondò nelle illustrazioni fotografiche, creò addirittura degli inserti settimanali stampati in roto-ofset, col risultato di vendere il suo prodotto a 15 centesimi quando gli costava più del doppio. La Sip, a causa di questa allegra gestione rischiò il tracollo. La concorrenza nel frattempo non stava a guardare. Il Corriere della Sera, sempre attento a far quadrare i bilanci e a realizzare utili, con una tiratura che oscillava dalle 800.000 copie al 1.200.000 (durante la campagna d’Abissinia) e una resa che non superò mai il 7%, durante e nonostante le sanzioni riuscì ad acquistare in Inghilterra una rotativa (la famosa Hoe) gemella di quella che stampava il Times, che poteva sfornare 400.000 copie all’ora. Questa straordinaria produzione gli consentiva di procrastinare la chiusura del quotidiano per dedicare maggior cura alla confezione del prodotto e per raccogliere le ultimissime della notte. Mauro Forno ha presentato la rivoluzione giornalistica incompiuta (1922-1945 ) di Amicucci non per raccontare una storia ma per lanciare molti sassi provocatori nel mondo dell’informazione. Ne ho raccolto uno per esprimere il mio punto di vista personale. La sua sconfitta più bruciante fu la chiusura della Scuola di giornalismo di Roma nata nel 1930 e condannata a morte nel 1933 da Starace. Arrivò all’epilogo anche la laurea in Scienze politiche a indirizzo giornalistico avviata a Perugia (gli allievi dovevano frequentare per 6 mesi la scuola di Roma e una volta laureati potevano iscriversi all’Albo). A queste iniziative di Perugia e Roma, Amicucci aveva dedicato molte energie sostenuto da Bottai, ma non dal giornalista Mussolini. La scuola e il corso di laurea erano ritenuti, con miopia, fabbriche di disoccupati. Non era così. Quei “dottori giornalisti” erano guardati con sospetto (erano critici in molti verso il regime). Amicucci era guardato come un anticipatore dei tempi: eppure la prima scuola di giornalismo americana (nel Missouri) è del 1866. Va reso omaggio al valore della paziente e meticolosa ricerca delle testimonianze, che trovano uno spazio generoso di accompagnamento del testo, senza nulla far perdere alla scorrevolezza del racconto. Mauro Forno, Fascismo e informazione. Ermanno Amicucci e la rivoluzione giornalistica incompiuta (1922 – 1945), Edizioni dell’Orso, Alessandria, gennaio 2004, pagine 272, euro 20,00 E poi ci si lamenta del calo di vendite dei quotidiani. Se la parola, strumento par excellence della professione giornalistica, della politica e della comunicazione, viene meno alla funzione informativa per indulgere al pettegolezzo, al chiacchiericcio e all’attacco gratuito, allora finisce in un magma informe, una proliferazione verbale che certo non invoglia i lettori. Insomma, in un parolaio. Un Parolaio che da dieci anni Pierluigi Battista tiene sotto osservazione nelle sue omonime rubriche pubblicate sulla Stampa, e che ora escono raccolte in volume. A leggerle tutte insieme fanno una certa impressione, eppure sono lo specchio di dieci anni di dibattiti svoltisi nel nostro Paese in tema di politica, cultura e società. Certo, per fortuna non c’è solo questo, ma dall’antologia del Parolaio emergono caratteristiche che sarebbe difficile disconoscere, data l’abbondanza di esempi di cui possiamo disporre ogni giorno. Tanto per dirne una, pare che fra le passioni nazionali ci sia la caccia al complotto, il sospetto perenne di trame occulte ordite non si sa mai bene da chi (una cosa su cui Battista è feroce è l’attacco indifferenziato di chi spara nel mucchio senza chiamare per nome i destinatari delle proprie invettive). Una tendenza che si manifesta anche nel campo della critica letteraria, dove ciclicamente si scatenano bagarre in cui tutti - critici scrittori editori sono contro tutti, e pazienza se il lettore non capisce o non è interessato a regolamenti di conti personali. Insomma, sia- tima della propria esistenza prendendo idealmente la mano a Lucia per narrare cose a lei già dette, che ora non può più comunicare se non con una lettera lasciata ai flutti della speranza oltre la vita. Fin da piccolo l’autore è educato al senso del dovere. “Prima si fanno i compiti e poi si gioca”. È una lezione per tutti. Soprattutto le giovani generazioni. La guerra e la miseria fanno crescere in fretta quei giovani ed Enzo come molti suoi coetanei, inizia a lavorare adolescente. Giovanissimo entra nel mondo del giornalismo e da ragazzo prodigio brucia tutte le tappe. La sua carriera è nota. Direttore di Epoca, del Telegiornale, corrispondente ed opinionista de maggiori quotidiani italiani (La Stampa Il Corriere della Sera e La Repubblica), conduttore di tanti programmi televisivi e da ultimo Il Fatto con record di ascolto straordinari. È stato testimone degli eventi storici drammatici del secondo dopoguerra (la caduta del fascismo, l’assassinio di John Kennedy, la guerra del Vietnam, del Libano, della Somalia e quella della Bosnia). Nei momenti più difficili Lucia gli sta a fianco e lo sprona a tenere alto il profilo della dignità della persona. Enzo accetta i consigli e attua con linearità i principi etici dell’azionismo dell’anima. Onesti con se stessi e con il lettore. Una carriera prestigiosa di giornalista che lo annovera tra i più grandi oltre il contesto italiano. I suoi libri sono stati tradotti in Russia, in Giappone, in America e in Europa. L’autore in questo volume Enzo Biagi Lettera d’amore a una ragazza di una volta di Filippo Senatore Una strada di campagna. È primavera. Un ragazzo e una ragazza che si prendono per mano e vedono l’orizzonte come una promessa luminosa di un mondo migliore. La guerra è appena finita ed essi sperano un futuro felice. Il ruscello s’infrange sui sassi muscosi della casa paterna e segna inesorabile il tempo trascorso. Enzo Biagi ha dedicato la sua ultima fatica alla moglie Lucia. La morte ha spezzato un’unione durata sessantadue anni. Un amore grande e discreto, capace di vincere gli ostacoli dell’esistenza e dell’usura del tempo. Biagi nella Lettera d’amore a 18 (26) una ragazza di una volta ripercorre la sua vita. I ricordi sono un medicamento consolatorio che lenisce il dolore e la scrittura è una speranza che questi non vadano perduti. Il grande giornalista e scrittore ha perso da pochi mesi anche la figlia Anna e il dolore è ancora più tremendo. Il viatico della scrittura è l’unico mezzo per non essere sommerso dalla disperazione. È ammirevole la pacatezza e la dolcezza dell’esercizio della memoria. Biagi non perde soprattutto i particolari degli attimi. Ci fa vedere gli odori della carta fresca ed umida di stampa, ma anche i profumi perduti che solo nelle case antiche ed umili si potevano sentire. Una festicciola di fa- miglia pronuba di un incontro tra torte fatte in casa, un bicchiere di Vermut e la musica di Rabagliati. Una piccola storia d’amore sboccia “di due ragazzi di quel tempo che cercavano l’uno nell’altra quella sicurezza che il mondo in quel momento non poteva offrire”. Era il 1943. “Vivendo noi tutti nel mondo delle cose, dei fatti, dei gesti, che è il mondo del tempo, il nostro sforzo inconsapevole e incessante è un tendere, fuori del tempo, all’attimo estatico, che ci farà realizzare la nostra libertà” (Cesare Pavese). Lucia è un punto di riferimento per tutta una vita. Un’educazione sentimentale che cresce e si consolida tra le intemperie dei giorni. Biagi ripercorre la parte più in- di Olimpia Gargano mo sì una repubblica delle lettere, ma d’accusa, e per di più a mezzo stampa. Nella sua introduzione, l’autore delinea gli umori, anzi i malumori, che hanno caratterizzato il clima politico dei dieci anni successivi a quello che, riprendendo la definizione di Paolo Mieli, Battista chiama il “Terrore del ‘93”. Sottolinea il vizio d’origine del bipolarismo politico italiano, nato non “per naturale e graduale aggregazione e ricomposizione di blocchi contrapposti ma solidamente radicati nella storia e nel costume, bensì sotto l’effetto di una tempesta storica che sradicò e azzerò senza misericordia appartenenze tradizionali, identità sedimentate ma anche etichette convenzionali, sigle, nomi, insegne e simboli strappati via con inaudita violenza”. Questo Parolaio è una collezione ragionata di “cose dette”. Però in genere i collezionisti traggono diletto dalla propria attività. Pierluigi Battista no.Tirando le somme, Battista parla di “sgomento e solitudine”: se è vero, dice, che le sue “punzecchiature” sono più frequentemente indirizzate a sinistra che a destra, è vero anche “che si soffre e si diventa ipercritici per le malefatte di chi, per storia e vicende biografiche, per radici generazionali e mentalità, dovrebbe esserti più vicino”. Pierluigi Battista, Parolaio italiano, Rizzoli, pagine 353, euro 17 dedica alla moglie il non detto, il silenzio. L’essere e non l’apparire. Lei ha pensato agli altri, poco a se stessa. Ha pensato alla famiglia ed ai nipoti ed è stato in un certo senso la leader eroica e silenziosa di una storia; dispensatrice di consolazione nei momenti del bisogno, amica e compagna. Con questo romanzo Biagi ci fa innamorare dell’ora fuggita, dove non si ha il tempo per commettere errori. È un insegnamento di una strada maestra il cui esito è inevitabile. È valsa la pena percorrerla tutta con la dignità cui ciascuna persona aspira. L’autore ci ha fatto scoprire in questo libro qualche verso di verità e di bellezza: in questo consiste l’onore (parafrasando Edgard Lee Master). “Io ti vedo fra gli angeli Almen ne’ sogni allora, E invocherei l’aurora Dell’immortal mio dì” (T. Solera) Enzo Biagi, Lettera d’amore a una ragazza di una volta, Rizzoli, pagine 188, euro 15,00 ORDINE 6 2004 Diretti da Pier Franco Quaglieni Gli “annali” da qualsiasi istituzione culturale o da qualunque università vengano pubblicati, fitti come sono di saggi, contributi, comunicazioni, relazioni, sono un tema difficile per una recensione… che cosa scegliere nel mare di tante sollecitazioni? Tema assai arduo dunque, anche in questo caso, elencare tutte le pagine significative. Dopo l’articolo introduttivo del direttore Quaglieni, intitolato “Riforma della scuola: gli effetti negativi di novità devastanti”, si possono almeno fissare due filoni principali: a) l’omaggio a Mario Pannunzio e al suo settimanale Il Mondo tessuto in particolare da Stefano De Luca, Leo Valiani, Elena Croce; Maurizio Ferrara, Igor Man, e sostenuto dalla riedizione di pagine note di Arrigo Benedetti, Vittorio Gorresio, Domenico Bartoli e Indro Montanelli; b) la strenua seppur critica rivalutazione di Giolitti e dell’età giolittiana con le acute osservazioni di Ettore Peyron, che traccia un singolare parallelo fra Giolitti e Cavour, rintracciando le loro radici delle rispettive famiglie,e i confronti con Giolitti e i cattolici (Cosimo Ceccuti) Giolitti e i socialisti (Francesco Gozzano); Giolitti e i nazionalisti (Francesco Cappellotti), Giolitti e la questione meridionale (Francesco Compagna), finendo con le considerazioni su Giolitti scrittore e sulla letteratura dell’età giolittiana di Giovanni Ramella, con un Giolitti visto “tra storia e caricatura” di M.Grazia Jamarisio e Diego Surace e con i ricordi di Alfredo Frassati, riproposti dal nipote Jas Gawronski e di Filippo Burzio, a cura di Giorgio Calcagno. Anche se gli Annali ripropongono il “Ricordo di un amico” di Eugenio Scalfari, pubblicato sull’Espresso del febbraio 1968 occorre riconoscere che in alcuni saggi si sostiene forse con eccessiva vis polemica, che Scalfari e il suo Espresso non sono, come pretendono appunto Scalfari & Company, i veri continuatori del mitico Mondo. E la presenza, a tutta pagina di una vignetta di Forattini, velenosamente intitolata “Il Gegè aveva detto agli amici” (in ricordo di una “rubrica” non so più se del “Marc’Aurelio” o del “Bertoldo”…), vignetta che vede Pannunzio dare l’elemosina a uno Scalfari il cui corpo è ridotto a una falce e martello, aggiunge una bella fascina al falò “anti-Repubblica” acceso dai duri e puri sodali di Pannunzio. A questa presa di posizione si aggiunge, si può ben dire, il caustico intervento di Pierluigi Battista. Il brillante opinionista della Stampa ironizza, da par suo, su tutti i colleghi che, pur non avendo fatto parte della redazione, pur non avendo mai collabora- Annali del Centro Pannunzio Mario Pannunzio direttore de “Il mondo” di Alfredo Barberis to al settimanale, pur non essendosi mai seduti neppure vicino al tavolino del caffè di via Veneto, dove Pannunzio teneva serie “lezioni di giornalismo”, vantano fasulle familiarità o nostalgici rapporti fra allievo e Maestro con il grande direttore. Una vera e propria chicca è la presenza di quattro lettere inedite di Alberto Moravia a Pannunzio (la scoperta la si deve a Loris Maria Marchetti). Siamo nel 1936, l’autore degli “Indifferenti” viaggia nelle Americhe e scrivendo all’allora direttore del settimanale Omnibus si rivela, come sempre, felice e insieme drastico nei giudizi: “New York è un formicaio”, gli piacciono alcuni grattacieli, “ma il resto è Iacopo Iandorio La leggenda del Real Madrid di Gianni De Felice Fa piacere constatare con quanto coraggio e passione un bravo editore – Limina di Arezzo – nella crescente orgia audiovisiva di videocassette e Dvd, affidi meritoriamente alla pagina scritta il compito di diffondere la cultura dello sport fra i giovani più riflessivi e attenti. E rallegra accorgersi anche come sappia sempre scovare autori – in questo caso relativamente giovane anche lui – capaci di far rivivere con un racconto morbido, scorrevole, solubile starei per dire, fatti e date, circostanze e personaggi, storie e cronache. Come questa leggenda del Real Madrid, che Iacopo Iandorio narra attraverso i più popolari fra i campioni che l’hanno materializzata sui campi di calcio di mezzo mondo. Non conosco Iandorio. Leggo in controcopertina che ha 37 anni. La parte più leggendaria della leggenda che narra si è svolta quando era un ragazzino. Dunque narra da storico. Lo fa bene, senza annoiare e senza deformare il ritratto dei suoi eroi. Ho ritrovato, per esempio, il don Santiago Bernabeu, monumentone massiccio e cordiale, che conobbi una quarantina d’anni fa, agosto ‘62, a Casablanca. Helenio Herrera aveva portato l’Inter al trofeo Mohammed V voluto da Hassan II, papà dell’attuale re del Marocco. Che nacque, a Roma, proprio la sera che l’Inter doveva incontrare il Real, nelle cui file debuttava Amancio. Per la regale circostanza la partita fu rinviata di tre ore e don Santiago s’intrattenne coi giornalisti, sempre più impazienti. Raccomandava di non arrabbiarsi, altrimenti si prendeva l’ulcera: dicendolo, si sbracò la camicia e mostrò, come fosse la cosa più naturale del mondo, una cicatrice che gli solcava da gola a ventre il corpaccione sudato e debordante. Tempi meno formali. Anche coi presidentissimi come Bernabeu si parlava al bar, non in conferenza stampa. Don Santiago non “era” il Real Madrid – come ora, cedendo un po’ alla leggenda si santifica – ma un marpione che del calcio sapeva tutto e che rappresentava un sistema, un potere, una struttura retrostante, troppo potente per esporsi. Cioè: Raimundo Saporta, uomo d’affari e di finanza destinato a diventare numero uno del Banco de Espana; Juan Antonio Samaranch, presidente del Comitato olimpico nazionale e lo sarà poi di quello mondiale; il principe don Alfonso di Borbone, gran tifoso e grande sportivo (morì sciando) con casa nel quartiere Salamanca proprio sopra lo stadio Chamartin; don Juan Carlos – pretendente al trono, affabile, ottimo italiano, scendeva negli spogliatoi di San Siro quando giocava il Real – che è il re di adesso. Perché tanti pezzi da novanta alle spalle del Real? Perché con la popolarità e la gloria del Real si puntellavano tante cose. Per esempio, l’istituzio- Come se il pallone si trasformasse in un aerostato. Battute, aneddoti anche dell’infanzia, tracciano un quadro di una passione mai sopita. L’autore definisce il tifo calcistico “una forma benefica di regressione infantile” e non intende rinunciarci. Condivide con i lettori-tifosi ( dei quali ospita lettere ed idee) impressioni e sensazioni con un dialogo che si adagia sul lettino del psicanalista. Lo sfogo porta al superamento di tensioni e svaniscono i fantasmi delle figurine Panini. Un cimento che farebbe impallidire la scuola sociologica di Chicago. Dice il lettore Fiorenzo Baini di Bollate. Noi interisti “ci siamo fatti scudo con l’ironia che è sempre la luce dell’intelligenza”. Altri lettori propongono una filosofia dell’interista rassegnato l’”interosofia” paragonabile alla sindrome di solidarietà collettiva per le disgrazie del club. Considerazioni semiserie dilatano l’immaginazione permeando la realtà di una nebbiolina che si trasforma in un Beppe Severgnini Altri interismi di Filippo Senatore Un bracchetto col fazzoletto al collo. Un labirinto con al centro l’emblema della squadra del cuore. Un uomo che rinuncia disilluso a guardare nel cannocchiale.Un bambino di spalle che guarda il labirinto ed indossa la maglia del calciatore del cuore. Al centro c’e l’obiettivo, la gioia e il premio. Come arrivarci? Dopo la precedente fatica di Interismi del 2002, Beppe Severgnini continua il terORDINE 6 2004 mentone con il libro Altri interismi, giunto ormai alla terza edizione. Per chi non l’avesse capito nelle puntate precedenti, le calamità della squadra del cuore continuano in un crescendo, dove la realtà supera l’immaginazione. Lo sfogo inizia con una garbata lettera d’incitamento ai colori e ai comuni sentimenti di tifo calcistico, rivolta al presidente dell’Inter, Massimo Moratti. Poi si sviluppa per magia l’elogio alla Milano poetica di Dino Buzzati e di Giampiero Neri, fratello di Peppo Pontiggia. spesso di una bruttezza notevole”, le donne “hanno la testa grossa, niente petto, niente fianchi, parlano con il naso e portano gli occhiali. Però sono graziose”; il Messico “è bello ma forse non valeva la pena di farsi quattro giorni di ferrovia per vederlo”. Tra una stoccata e l’altra il giovane Moravia trova il tempo di dare consigli grafici a Pannunzio (“il formato non mi piace troppo”, “dovreste cambiare i caratteri”, le fotografie devono essere attuali e “non estetiche o ironiche”), pensare che proprio queste sono sempre state un “pallino” di Pannunzio e di Longanesi (ne ricordo una di Hailè Selassié colto dall’obiettivo accanto a una mitragliatrice, e la fulminante didascalia che ironizzava “Il Negus ritratto in un patetico atteggiamento antiaereo…) e di raccomandare la sua futura sposa (“invita per favore a collaborare la signorina Morante. Se lo fai, mi fai un favore personale”). Qualche anno dopo, nel 1941, il padre gesuita Pietro Tacchi Venturi celebrava il matrimonio fra Alberto Moravia ed Elsa Morante. Tra i testimoni, ovviamente, Mario Pannunzio. Scorrendo l’indice del più che sostanzioso volume è curioso trovare il nome del pur grande cantautore Paolo Conte. Si scopre poi che all’avvocato astigiano (ricordate una delle sue più belle canzoni, e purtroppo poco conosciuta dedicata, appunto, al teatro della sua città?) è stato assegnato il premio Pannunzio 2002. Non ci resta, dunque, che leggere l’intervista fattagli da Paolo Fossati intitolata “L’ elegante semplicità di Paolo Conte” e annotare alcune sue risposte dalle quali si apprende che i suoi modelli musicali, “fra i tanti possibili” sono César Frank, Giuseppe Verdi, Louis Armstrong, Art Tatum e, fra gli scrittori, “anche qui a caso”: Kipling, Seferis, Pascoli, Sbarbaro. Pascoli e Sbarbaro: due nomi che dovranno tenere a mente tutti quelli che, in avvenire, si proporranno di preparare una tesi di laurea su Paolo Conte poeta. Davvero in quello che scrive c’è tanto jazz, ma anche tanti echi degli autori dei “Canti di Castelvecchio (come non rammentare la pascoliana “Bicicletta”?) e di “Trucioli” (che potrebbe essere benissimo il titolo di una sua canzone…). Ecco, partendo da un omaggio a Pannunzio e da una “rivisitazione” di Giolitti, siamo arrivati a Paolo Conte. Già, questo è il bello degli Annali, ragazzi. Annali del Centro Pannunzio, direttore Pier Franco Quaglieni, anno XXXIV, 2003/2004, pagine 418, s.i.p. ne monarchica temporaneamente sospesa dal regime franchista. La “promozione” internazionale di una Spagna che certo non usciva da una guerra mondiale, ma da un periodo di oblio e di arretratezza economica sì. Con la conquista delle prime cinque coppe dei campioni e l’ingaggio dei migliori calciatori del mondo, il Real fu il fiore all’occhiello del Caudillo, la fiamma accesa della monarchia, il miglior testimonial di una hispanidad che si rimodernava e che si allineava al passo dell’Europa. Perciò il Real Madrid fu incoraggiato e aiutato in tutti i modi – ma proprio in tutti – a diventare leggenda: i catalani tifosi del Barcellona non glielo hanno mai perdonato, ma da buoni commercianti alla lunga – in nome delle esportazioni e della peseta – hanno capito. Ho rivisto nelle pagine di Iandorio – assai ben ritratto, dall’infanzia nel “caminito” della Boca a Buenos Aires ai trionfi del Chamartin - l’Alfredo Di Stefano, la saeta rubia, che mi accolse nella villa da torero che s’era costruito fumetto alla Dick Tracy. A volte torna la mitologia omerica. Un dio controlla i destini della squadra. Una sorta di maledizione con l’urlo finale “Patroclo” di una vecchia trasmissione radiofonica.Severgnini tiene il tutto sotto una regia linguistica impeccabile senza alcuna smagliatura, inviando sia a club e che ai tifosi messaggi di incitamento.Non mollare. Ogni sconfitta bisogna tesaurizzarla alla ricerca di nuove vittorie. Temprare un’identità senza arrendersi. È uno ottima ricetta non solo per il calcio. Colori, nuvole e soprattutto festa per esaltare la parte sana di uno sport popolare che accende passioni imprevedibili in una città come Milano. Lotta senza quartiere ai cugini come nel racconto di sulla Sierra e posò per una foto accanto al monumento che aveva voluto nel giardino: il monumento al pallone. Ho rivisto il Butraguenho di Querètaro, Messico, mondiale ‘86: quello dei quattro gol ai danesi: el buitre idolatrato dai tifosi, piccolo, travolgente, fulmineo. Nei tiri come nelle risposte, taglienti come rasoiate. Avrei voluto rivedere anche altri ma il libro, nonostante il titolo, privilegia più la cronaca che la leggenda. C’è un po’ di squilibrio: cinque personaggi per sessant’anni (Zamora, Bernabeu, Di Stefano, Gento, Butraguenho) e cinque per meno di vent’anni (Raul, Roberto Carlos, Zidane, Ronaldo). Via, Zidane e Ronaldo i giovani li conoscono anche fuori dalla leggenda del Real: non era meglio fargli scoprire Ferenc Puskas, il “colonnello” che scelse la libertà? Iacopo Iandorio, La leggenda del Real Madrid, Edizioni Limina, pagine 147, euro 13,50 Molnar, ma alla fine può prevalere una sorta di nazionalismo preterintenzionale. Gallerie di memorie vecchie e nuove, icone indelebili o da dimenticare. Severgnini scava attraverso il pretesto del calcio, i ricordi collettivi di una generazione suscitando curiosità ed emozioni a coloro che stanno lontano anni luce dal mondo del calcio. Come ad esempio quelli che... la scuola di Chicago. Beppe Severgnini, Altri interismi, un nuovo viaggio nel favoloso labirinto nerazzurro, Rizzoli editore, pagine 157, euro 9,50 19 (27) L A L I B R E R I A D I TA B L O I D G. Montefoschi La sposa di Olimpia Gargano Sergio Nava Veronica Guerin. Una giornalista in lotta contro il crimine di Giacomo de Antonellis Una donna straordinaria. Una madre cattolica. Una giornalista vittima del suo coraggio. Ecco in sintesi i tratti salienti di Veronica Guerin, protagonista del primo libro di un giovane scrittore da poco entrato nei ruoli della stampa italiana: Sergio Nava, 28 anni, inserito nell’emittente Radio 24, con laurea di lettere all’Università cattolica e un’esperienza di free lance per testate di lingua inglese in Irlanda. E proprio da questo rapporto è nata la ricerca sul personaggio e l’idea di costruire un’inchiesta sull’assassinio della collega. In contemporanea, anche altri si erano mossi puntando su saggi (in Irlanda ne sono già usciti quattro) e sulla ricostruzione cinematografica della vicenda: così sono nati i film Quando cade il cielo di John MacKenzie e Il prezzo del coraggio di Joel Schumacher. In entrambi i casi a sorprendere lettore e spettatore è il volto diverso di un paese che solitamente viene considerato un meraviglioso angolo di verde e di pace, e che qui ritroviamo crocevia di attività criminali dalla mafia al traffico di droga. Veronica Guerin era entrata in giornalismo quasi per caso ma aveva rapidamente compreso la necessità di rompere gli schemi di un mestiere potenzialmente forte ma praticamente addormentato, anche per colpa di una legge sulla “diffamazione” (parliamo dell’Irlanda ma sarebbe bene guardare anche in casa nostra) che garantisce i prevaricatori meglio delle loro vittime. La scheda biografica della protagonista si racchiude in un arco di 37 anni. Nata il 5 luglio 1959 in un sobborgo a nord di Dublino, è stata uccisa il 26 giugno 1996 da un killer in moto mentre attendeva il verde di un semaforo su una strada centrale della sua città. Nel frattempo era stata educata in un collegio religioso, aveva svolto attività sportiva, si era diplomata come contabile, aveva svolto vita politica con la Fianna Fail ed esercitato pubbliche relazioni, nel settembre 1985 si era sposata con un imprenditore edile conosciuto nel partito e dal matrimonio nasceva Cathal. Soltanto nell’autunno 1990 la dinamica Veronica aveva compreso che per fare qualcosa di concreto a sostengo della società irlandese doveva stabilire un contatto a largo raggio con la gente: ed era scesa sul campo della comunicazione prima nel Sunday Business Post, poi con il Sunday Tribune e infine sulle pagine del Sunday Indipendent autorevole foglio dell’isola. Forse non era casuale la predilezione per le testate settimanali: ciò le consentiva di lavorare anche a casa, di sviluppare inchieste ben documentate e di seguire la crescita fisica e formativa del figlio. Una vita ordinata, da donna normale. Perché allora è stata uccisa Veronica Guerin? Il suo giornalismo era troppo incisivo, scopriva intrecci mafiosi tra criminalità e strutture civili, che puntualmente denunciava ricorrendo a nomi fittizi (The Monk, The General, Psycho, Factory John, ma gli addetti ai lavori comprendevano bene i riferimenti) per aggirare la legge sulla “diffamazione”. E non temeva di sfidare le varie ganghe andando a scovare e a intervistare gli stessi criminali. Niente la distoglieva dall’intento: minacce via telefono e aggressioni psicologiche, persino un traumatico pestaggio con dolorose conseguenze. Finché la criminalità organizzata - incapace di zittirla - ne decideva l’eliminazione fisica. Un delitto che ha costituito un errore gravissimo, in quanto capace finalmente di scuotere la coscienza dell’opinione pubblica e della stessa politica. Tutti hanno gridato “basta” inducendo il governo di Dublino a stringere i tempi per provvedimenti anticrimine, con l’aumento degli organici della polizia, con la creazione di una task force costituita dall’unione di organismi abituati a lavorare in sedi separate (polizia, fisco, dogane, dipartimento affari sociali) e con l’inasprimento delle condizioni carcerarie. I risultati sono stati immediati. Il maggiore indiziato quale mandante del delitto, Factory John ovvero John Gilligan che si dichiara allevatore di cavalli, viene bloccato a Londra per traffico di valuta e condannato a quattro anni. Uscito dalle prigioni britanniche, rientra tranquillo a Dublino. Qui la polizia lo ferma portandolo in tribunale con accuse di complicità nell’omicidio Guerin e di narcotraffico. Il criminale si mostra sicuro e sprezzante. Dopo un lungo iter processuale, il giudice legge la sentenza: non è stato raggiunta, oltre ogni ragionevole dubbio, la prova del suo ruolo nel delitto e pertanto viene prosciolto dall’accusa di omicidio. Gilligan appare raggiante. L’ha quasi fatta franca. Ma la situazione si capovolge dopo la pausa pranzo. Si torna in aula per il procedimento sul narcotraffico. Il giudice si rivolge all’imputato: “Lei è responsabile per la valanga di droga che ha invaso in questi anni il nostro paese”. E lo condanna a 28 anni di carcere, la pena più pesante mai inflitta in Irlanda per reati di stupefacenti. Gilligan riacquisterà la libertà attorno agli 80 anni: in genere, da quelle parti le pene si pagano senza sconti fino all’ultimo giorno. Il libro del giovane Nava si legge con trasporto perché ben documentato e scritto con passione. Sergio Nava, Veronica Guerin. Una giornalista in lotta contro il crimine, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, pagine 210, euro 14,00 Di spose, intese nel senso di mogli, questo romanzo offre quattro possibili interpretazioni: Silvia, che, come si sarebbe detto una volta, muore di crepacuore dopo che il marito se n’è andato di casa; Carla, figlia di Silvia e sorella di Gino Giusti, il protagonista; e infine Gianna e Francesca, che di Gino sono rispettivamente amante e consorte. Ognuna di esse è moglie, ma nessuna delle quattro sembra essere la sposa evocata nel titolo. O meglio, ognuna ne conserva una traccia, un’essenza inafferrabile: e forse non potrebbe essere diversamente, se, come sembra essere nelle intenzioni dell’autore, al termine “sposa” si attribuisce un senso più remoto, quello di una figura femminile “antica” a cui la metà maschile aspira a ricongiungersi, complemento indispensabile del Sé primigenio in una tradizione mistico-filosofica che va dalle Upanishad (citate in apertura dell’ultima parte del romanzo) a Platone. Intesa in senso simbolico, la parola evoca suggestioni bibliche. Anche questo nuovo romanzo di Montefoschi è costellato di una moltitudine di dialoghi minimi - non però minimalisti -, frammenti nei quali si scompongono emozioni di un tempo lento, assorto, nella cui rappresentazione verbale ogni “segno”, dai gesti agli arredi domestici, è descritto con una minuziosità che verrebbe da definire liturgica: è la liturgia della quotidianità, quell’attenzione insistita, se non addirittura estenuata, tanto agli oggetti quanto appunto ai dialoghi, già cara alla narrativa di Montefoschi, e qui riconfermata e come addolcita. La storia, anzi le storie comprese nel libro, ruotano con forza centripeta intorno alla famiglia Giusti, il cui perno è costituito da Carla, che dopo la morte della madre assume su Angelo Agostini Giornalismi Pietro Suber Inviato di guerra Maria Pia Pozzato Leader, Oracoli, Assassini di Paola Pastacaldi Tra un ismo e l’altro, giornalisti e ricercatori cercano di cogliere il cuore del cambia- mento epocale di una professione che è sempre stata la più osannata e la più criticata (mai come oggi) e cercano di fissare il chi e che cosa del fare informazione ® L’informazione su misura. © © © © © © Rassegne Stampa Rassegne Radio-TV Media Analysis Web Press Release Media Directory Banche Dati e Software Per informazioni… o fare una prova, contattateci! Ecostampa Media Monitor SpA Tel 02.748113.1 - Fax 02.748113.444 E-mail [email protected] www.ecostampa.it 20 (28) oggi. Angelo Agostini, direttore di “Problemi dell’informazione”, il principale periodico italiano sull’argomento (che per anni è stato diretto da Paolo Murialdi) e professore all’università di Bologna e allo Iulm di Milano, descrive la nascita del giornalismo d’impresa che negli ultimi trent’anni anni si è ampiamente consolidato (tanto da soffocare il giornalismo, quello vero, ndr) fino ad approdare alle imprese legate alle nuove tecnologie speranzose di fare affari. I primi nomi dei personaggi al centro della trasformazione del giornalismo, tavolta anche “padroni”, sono naturalmente Eugenio Scalfari con la sua creazione di “Repubblica” e Silvio Berlusconi e l’informazione pubblicitaria e televisiva che ha invaso l’Italia con il suo annoso conflitto d’interessi. Interessante sul tema maketing e redazione (“che marciano uniti, o quasi”, spiega l’autore) è il capitolo “Il quotidiano totale: è il marketing, bellezza!” a pagina 119. Di buona lettura è il libro di Pietro Suber, inviato del Tg5, che racconta la sua esperienza sul fronte iracheno e su quello afgano. Una scrittura densa di storie e tesa, dove Suber non scorda di raccontare quando l’informazione di guerra viaggi ormai sulla propaganda costruita per l’opinione pubblica, su immagini di repertorio offerte dagli apparati militari. Direbbe Umberto Eco “i fatti eventi” e più eventi delle guerre che abbiamo avuto negli ultimi anni credo non ci sia stato nulla. Dispiace solo che Suber facendo una citazione più che meritoria, cioè Evelyn Arthur Waugh (Londra,1903-1966), che scrisse in Inviato speciale (Guanda) cosa signficasse fare l’inviato di guerra con grande ironia, lo scambi per una don- na. Waugh era uno scrittore, popolarissimo in Inghilterra negli anni Trenta, ex giornalista. Suber si salva da questo spiacevole inghippo con la vena ironica che usa nel descrivere la truppa degli inviati vestiti come Indiana Jones tra vizi, manie, prodezze e ansie, che alle volte rendono tutti grotteschi di fronte alla Storia (Evelyn Waugh, fu in questo senso un grande maestro). Sulle analisi semiotiche dell’informazione - fatta alcune eccezione specialissime per Umberto Eco o anche Roland Barthes - mantengo forti dubbi. Sembra leggendo il libro Leader, Oracoli, Assassini di leggere una spiegazione postuma e/o estranea di qualcosa che invece si conosce benissimo. È un po’ come criticare un quadro anche famoso e sostenere a posteriori il perché e il come l’artista ha usato di sé il compito di mantenere saldi i legami familiari. Una figura di non facile individuazione quella di Carla che, all’inizio del romanzo, ancora ragazza, troviamo alle prese con certe sospensioni dell’animo, un distacco trasognato da luoghi e persone che in alcuni momenti fanno pensare a un’altra Carla, quella degli Indifferenti di Moravia. Gino Giusti, il protagonista, è un cardiologo: una professione scelta forse per contrappasso, visto che nelle faccende di cuore il dottor Giusti si trova decisamente a disagio. Impacciato e maldestro nel suo lasciarsi amare da una donna inquieta come Gianna, moglie del suo migliore amico, sperimenta la stessa inabilità sentimentale anche nel rapporto con Francesca, la donna che ama e con cui si unisce in matrimonio. Particolare curioso, tutti i personaggi di questo romanzo prima o poi avvertono “un peso sul cuore”, un male fisico o tutto interiore, ma comunque sempre precisamente localizzato: un disagio inesprimibile, la morsa di una sofferenza a volte mortale (come nel caso di Silvia, madre di Gino, o del suo giovanissimo paziente cardiopatico). Per diventare fecondo, l’amore fra Gino e Francesca deve temprarsi alle prove della sofferenza e del distacco, al termine delle quali, durante un diluvio dalla potenza rigeneratrice, i due si ricongiungeranno nella stessa dimensione fisica e sentimentale: solo allora, ritrovandosi l’uno nell’altra, riusciranno a perdersi del tutto. Giorgio Montefoschi, La sposa, Rizzoli, pagine 333, euro 17 un colore e una certa forma. Sarà vero? Non so. Una cosa è certa: quando un giornalista scrive e realizza servizi, impagina e sceglie foto, non pensa affatto a tutto quello che gli viene attribuito da alcuni manuali universitari. D’altro canto le notizie hanno a che vedere con i fatti e i fatti sono più che mobili e difficilmente inchiodabili ad uno schema fisso. In fondo le regole del giornalismo si fanno, si disfano e si ricomincia. Chi riesce a codificarle forse è un genio. Angelo Agostini, Giornalismi. Media e giornalisti in Italia, il Mulino Contemporanea pagine 208, euro 12,00 Pietro Suber, Inviato di guerra. Verità e menzogne, Editori Laterza pagine 202, euro 14,00 Maria Pia Pozzato, Leader, Oracoli, Assassini. Analisi semiotica dell’informazione, Carocci, euro 19,10 ORDINE 6 2004 L A Mario Pancera La morte assurda di Ottone Rosai di Dario Fertilio Ci sono libri che nascono d’impulso e altri che prima di vedere la luce richiedono anni di gestazione. Migliori i primi, di solito, perché più freschi e diretti; pericolosi i secondi per i loro autori, che rischiano di scottarsi per eccesso di vicinanza al loro oggetto. Mario Pancera ha dedicato un libretto a una sua passione di gioventù: il pittore Ottone Rosai. Opera del secondo tipo, evidentemente, cioè lungamente meditata e macerata, come del resto l’autore confessa nella sua fulminea premessa. “Libretto”, invece, se si guarda alla misura e al formato (più o meno quelli che un tempo i teatri riservavano ai libretti d’opera); romanzo di testimonianza intenso e profondo, infine, se ci si riferisce alla sostanza. Perché Mario Pancera, capitano di lungo corso del giornalismo, capace di legare il suo nome a testate storiche come Il Corriere d’Informazione (dove ci siamo conosciuti in anni lontani) e La Domenica del Corriere, ma anche a Il Giornale, La Repubblica o La Stampa, ricostruisce l’ultimo giorno di vita di un pittore vagamente maledetto e sicuramente geniale, quell’Ottone Rosai rimasto per tutti questi anni un suo irraggiungibile oggetto di desiderio. La narrazione, insolitamente oscillante fra la cronaca e il cammeo, inquietante per l’atmosfera di so- spensione e presagio che vi traspare, appare fissata in un giorno, alla metà di maggio del 1957, quando il pittore toscano già malato si dirige in macchina da Firenze ad Ivrea insieme a due collaboratori e amici. Lo scopo apparente è quello di allestire e inaugurare una mostra personale dell’artista nella città piemontese; ma il senso profondo dell’avvenimento è in realtà un viaggio verso la morte, tante volte accarezzata da Rosai nei suoi momenti neri di malinconia, e forse inconsciamente voluta e cercata di fronte all’impossibilità di vivere una vita normale. Dunque, Ottone Rosai si mette in viaggio alla volta di Ivrea passando per Milano, la stagione è già tiepida ma nella narrazione di Pancera affiora come la sensazione di un temporale imminente. Proprio mentre l’auto guidata da un amico di Rosai procede verso Ivrea, altrove in Europa si preparano infatti altri drammi: il marchese Alfonso De Portago investirà e ucciderà nove spettatori mentre corre la sua Mille Miglia; il barone austriaco, attore e regista Eric von Stroheim chiude per l’ultima volta gli occhi nel suo castello francese di Maurepas; si spegne nella clinica romana dove è ricoverato un altro famoso toscano, Kurt Suckert, ovvero Curzio Malaparte. E la morte che aleggia in tanti luoghi diversi coglierà anche Ottone Rosai quella stessa notte, nella camera d’albergo in riva alla Dora dove è arrivato poche ore prima. Autori vari Milano capitale di Mario Pancera È un volumetto assai compatto, ma pure riccamente documentato (ogni capitolo ha lunghe e serie note bibliografiche) che il Rotary Club di Milano, costituito nel 1923, ha dedicato alla città per il suo ottantesimo compleanno. In un primo tempo i rotariani – è spiegato nella prefazione di Luciano Martini – avevano pensato di pubblicare la storia del loro ultimo decennio, poi è sorta un’idea diversa. È interessante conoscerne il perché: “Prevalse un’idea più ambiziosa: quella di aiutare Milano, la nostra città, ad assumere ancora una volta quel ruolo di preminenza morale, di priorità culturale oltre che economica, che, per ragioni che tutti conosciamo, è andata lentamente sgretolandosi”. Il corsivo è mio, per sottolineare come qui non si intenda una “capitale” rozzamente burocratica e degradata a livello di mera antagonista di ORDINE 6 2004 altre città, ma di una vera, grande città nella migliore e più alta delle accezioni. Non tanto capitale di un Stato, insomma, ma di una società. A questo scopo, per strutturare il libro è stato chiamato lo storico Giorgio Rumi, che del Rotary è socio onorario; i curatori delle tre sezioni (Milano romana e preromana, medioevale, napoleonica) sono tutti docenti all’Università degli Studi. È dunque chiaro che queste pagine non trattano soltanto dei nomi e delle figure di maggior spicco, militari o religiose, dell’arte o della scienza, ma contribuiscono a mettere in rilievo movimenti e impulsi civili – naturalmente, anche mercantili, economici e finanziari; in certo modo “capitalistici”, ma non solo – che hanno condotto la città e con essa l’area lombarda a farsi avanti nell’istruzione, nel miglioramento dei rapporti tra i vari ceti, nella diffusione della sanità pubblica, nel concepire il progresso insieme materiale L I B R E R I A D I TA B L O I D Una “morte assurda”, come la definisce Pancera nel titolo del libro, più simile a un incubo d’artista che a una situazione reale, che per questo si imprime nella mente e nell’immaginazione del lettore. Insolito “quasi romanzo”, questo di Mario Pancera, che va probabilmente oltre le intenzioni del suo autore. Sembra davvero un libretto d’opera per una composizione che non fu scritta. A meno che si consideri tale la vita di Ottone Rosai tratteggiata in queste pagine. Un coacervo di contraddizioni vissute da un “bestemmiatore credente, un anticlericale che pregava Dio ed era superstizioso, un povero ricco, un solitario che amava la compagnia”. Ancora: un violento dall’animo gentile e, potremmo aggiungere, un fascista ribelle, un popolano individualista e malinconico. Tutto questo, suggerisce Pancera, potrebbe spiegare la duplicità della sua ispirazione e delle sue opere: quadri che sembrano a volte sereni e pieni di speranza cedono improvvisamente il campo ad altri cupi e neri, quasi cattivi. Probabilmente proprio questa duplicità artistica ha affascinato Pancera fin da giovane, trasformando ai suoi occhi i quadri di Rosai in oggetti impossibili del desiderio (a causa dei prezzi, come confessa lui stesso, sempre più alti e inarrivabili per chi vive di solo giornalismo). Il meno che gli si possa augurare, ora che scrivendo questo libretto ha onorato il suo debito d’amore verso il pittore, è che presto un Rosai se ne stia davvero appeso alla sua parete. Mario Pancera, La morte assurda di Ottone Rosai, Edizioni Acquaviva, C.P. AP 29 pagine 60, s.i.p C. Didier e G. Galzerano I Capozzoli e la rivolta del Cilento del 1828 e intellettuale, nello spirito di libertà. Ciò è avvenuto nei secoli pur con le rivolte e le rivoluzioni, le battaglie patriottiche e quelle sociali, ovvero con i lutti e le divisioni degli animi a tutti ben noti, ma è avvenuto e ha dato un risultato: Milano ha una posizione eminente in Europa e una fama da consolidare nel mondo. Deve mostrarsi non soltanto leader, ma vera capitale, il cui impero non si basa su semplici limiti geografici e politici, perché attiene a una sfera affatto diversa e più complessa del disbrigo degli “affari correnti”. L’esame, che comincia con le invasioni dei Galli (o Celti) descritte da Tito Livio si ferma ai primi dell’Ottocento (periodo napoleonico), cioè ad anni abbastanza vicini e nello stesso tempo lontani per essere osservati con lenti umane il meno appannate possibile. L’ultima pagina riporta una tabella con dati assai curiosi per qualsiasi lettore: nel 1804, ovvero duecento anni fa, Milano contava 140 mila 831 abitanti e la popolazione attiva era di 49 mila 851 individui, ma in essa venivano considerati “attivi” – questo è sicuramente singolare – i 482 accattoni e i 392 sospetti (politici, penso io, forse malandrini), che costituivano l’1,76 % del totale. Ma c’erano anche 3323 “possidenti del reddito”, 6,33%; 2401 impiegati pubblici, 4,57%; 113 medici, 133 chirurghi e 119 farmacisti, con 814 “fabbricatori (padroni)” che avevano 1487 dipendenti. I mercanti con i loro inservienti erano oltre 2600, circa il 5 %; il commercio al minuto di alimentari e servizi era nella mani di 2811 venditori che avevano alle loro dipendenze altre tremila persone. Una categoria molto consistente era quella degli artigiani con i loro inservienti, formata da oltre 13 mila individui cioè più di un quarto di tutti i milanesi attivi “sospetti” compresi. I pittori, incisori e scultori erano 247 cioè lo 0,47%; i maestri di scuola rappresentavano una minoranza: solo 243 cioè lo 0,46. Banchieri e negozianti calcolati insieme erano 130 (0,25%), mentre gli studenti, immagino di ogni livello, erano 2167 ovvero il 4,1% del totale. La categoria più numerosa? Quella del personale di servizio: 10 mila 718 addetti, oltre il 20%, ovvero in media un milanese attivo su cinque faceva il servitore. Autori Vari, Milano Capitale, Editrice Abitare Segesta, pagine 254, s.i.p. di Alfredo Barberis Occorre precisare subito che, per comprendere meglio questo libro, dedicato a tragico epilogo di una dimenticata insurrezione meridionale bisognerebbe avere letto almeno uno dei saggi che l’intrepido Giuseppe Galzerano ha via via pubblicato, in questi anni, con i tipi della casa editrice da lui stesso fondata, vale a dire: Le Memorie di Antonio Galotti. La rivolta del Cilento del 1828”, e Stragi e speranze nel Cilento del 1828. Già, perché nell’ ultima sua fatica di serio studioso del passato della propria amatissima terra, l’autore si occupa soltanto della cattura dei tre fratelli “fuorbanditi” e del loro compagno d’avventura Galotti, del processo-farsa celebrato a Vallo della Lucania, della fucilazione dei condannati e della feroce messa in scena voluta da Francesco Saverio Del Carretto, “il macellaio del Cilento” che ordinò, dopo la fucilazione, di decapitare i cadaveri e di esporre le teste mozzate nei paesi di origine quale orrendo monito alle popolazioni… L’autore ha compiuto una ricostruzione da manuale di storiografia: ha consultato gli archivi di Stato di Napoli e di Salerno, ha riesumato i verbali del processo (spesso firmati con una croce perché gli interrogati erano, o si dichiaravano analfabeti…) ha corredato il volume di riproduzioni fotografiche degli “editti” contro i Capozzoli emanati da Francesco I “per la grazia di Dio re del regno delle Due Sicilie” degli articoli del Giornale del Regno delle due Sicilie sulla cattura e l’uccisione degli insorti, del verbale della Gendarmeria Reale, del quadro del pittore Cenni sulla strage degli insorti cilentani: una scena davvero da Grand Guignol, con in primo piano il palo su cui è infissa una testa ancora sanguinante, e attorno la disperazione e l’orrore di parenti, donne, bambini. Il volume reca anche la firma di Charles Didier, il giovane giornalista francese che, avendo conosciuto il Cilento in quegli stessi anni, ed essendo stato perseguitato dai gendarmi locali come sospetto affiliato alla Carboneria, ha denunciato in molti articoli e nel saggio I Capozzoli e la polizia napoletana, (qui tradotto per la prima volta) il barbaro comportamento degli sgherri borbonici. Certo, ripeto, su tratta di un saggio, meglio di più saggi, che fotografano soltanto un segmento della complessa vicenda, quello finale, e non raccontano i precedenti. Avendo stabilito di pubblicare testi e documenti di una sola “parte”, cioè quella poliziesca, inquisitiva, in ultima analisi esclusivamente repressiva, i Capozzoli sono visti e trattati soltanto come dei feroci “fuorbanditi”. Per rendere il volume di più agevole comprensione forse avrebbe giovato inserire una premessa socio-politica che spiegasse chi erano veramente i fratelli Capozzoli, quali ideali perseguivano, perché lottavano e contestavano il po- tere borbonico. Insomma, al lettore medio non profondo conoscitore della storia del nostro profondo Sud, rimasto forse legato ai versi della Spigolatrice di Sapri, che Mercantini dedicò alla sfortunata spedizione di Carlo Pisacane: ricordate, “Eran trecento, giovani e forti e sono morti”, non basta leggere le fin troppo alate parole con le quali Giuseppe Mazzini ha voluto rendere omaggio al “fratello di lotte e di speranze” Charles Didier nel IV fascicolo de La giovane Italia, e qui riportate integralmente. Il dubbio sicuramente ingenuo che ogni non-meridionalista di professione si pone una volta chiuso questo esauriente libro dedicato però unicamente alla cattura e al martirio dei quattro ribelli, e non al loro progetto politico- insurrezionale, rimane. Che rapporti esistevano fra la Carboneria e i seguaci dei Capozzoli? Charles Didier e Giuseppe Galzerano, I Capozzoli e la rivolta del Cilento del 1828, Galzerano Editore, pagine 246, euro 11,00 Ordine/Tabloid ORDINE - TABLOID periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Mensile / Spedizione in a. p. (45%) Comma 20 (lettera B) art. 2 legge n. 662/96 Filiale di Milano Anno XXXIV Numero 6, giugno 2004 Direttore responsabile FRANCO ABRUZZO Direzione, redazione, amministrazione Via Appiani, 2 - 20121 Milano Tel. 02/ 63.61.171 Telefax 02/ 65.54.307 Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Franco Abruzzo presidente; Cosma Damiano Nigro vicepresidente; Sergio D’Asnasch consigliere segretario; Alberto Comuzzi consigliere tesoriere. Consiglieri: Michele D’Elia, Letizia Gonzales, Laura Mulassano, Paola Pastacaldi, Brunello Tanzi Collegio dei revisori dei conti Giacinto Sarubbi (presidente), Ezio Chiodini e Marco Ventimiglia Direttore dell’OgL Elisabetta Graziani Segretaria di redazione Teresa Risé Realizzazione grafica: Grafica Torri Srl (coordinamento Franco Malaguti, Marco Micci) Stampa Stem Editoriale S.p.A. Via Brescia, 22 - 20063 Cernusco sul Naviglio (Mi) Registrazione n. 213 del 26 maggio 1970 presso il Tribunale di Milano. Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) Comunicazione e Pubblicità Comunicazioni giornalistiche Advercoop Via G.C.Venini, 46 20127 Milano Tel. 02/ 261.49.005 Fax 02/ 289.34.08 La tiratura di questo numero è di 25.442 copie Chiuso in redazione il 10 giugno 2004 21 (29) L A L I B R E R I A D I TA B L O I D Lucia Bellaspiga Carlo Urbani, il primo medico contro la Sars di Giuseppe Prunai Chissà cosa penserebbe Carlo Urbani, il medico italiano morto a 47 anni di Sars dopo avere isolato il virus della terribile malattia, chissà cosa penserebbe se fosse ancora in vita nell’apprendere delle torture inflitte ai prigionieri iracheni dai militari della coalizione, nel vedere ogni giorno in tv le tragiche scene di una guerra sporca di petrolio e di altri affari internazionali, fatta sulle spalle della povera gente che non ha acqua, non ha cibo, non ha prospettive di una vita dignitosa. Forse non ha neppure prospettive di vita. Che degli ospedali ha solo l’edificio perché mancano i medicinali più comuni e più necessari, perché mancano strumenti diagnostici e di intervento ma dove ogni giorno si riversano centinaia di persone sofferenti delle più disperate infezioni che si portano dietro la miseria e il sudiciume, ferite da proiettili, da schegge, da mine antiuomo. In Iraq come in Afghanistan, come in Israele nei territori della striscia di Gaza, come un tempo in Libano, in Bangladesh, in Vietnam, in Cambogia, in Corea. In qualsiasi paese del sud del mondo dove infuriano le guerre dimenticate, del centro Africa dove si muore di diarrea, una malattia curabilissima con una spesa ridicola, e di malaria perché manca un farmaco che costa poco più di un dollaro ma che non viene prodotto perché non remunerativo per le multinazionali che controllano le industrie farmaceutiche. Quel centro Africa dove si stabilì nel 1913 il medico tedesco Albert Schweitzer per dedicarsi ai negri del Gabon. Urbani, dopo aver letto da ragazzo un libro su Schweitzer, ne subì il fascino e decise di diventare un medico. Carlo Urbani, presidente per l’Italia di Medici senza fron- tiere, inviato dall’Organizzazione mondiale della sanità in Vietnam come coordinatore per l’intera regione del Pacifico occidentale per il controllo delle malattie parassitarie, non accettò mai del tutto il ruolo del burocrate, seduto al tavolino a redigere chilometrici rapporti e non rinunciò mai a quello di medico. Nei tre anni che Urbani ha vissuto in Vietnam con la moglie Giuliana e i suoi tre figli (li faceva frequentare le scuole vietnamite perché si integrassero meglio), non si è mai risparmiato come medico. Data la sua grande esperienza di diagnostica clinica, veniva molto spesso consultato dai colleghi. Fu così che per Urbani giunse un appuntamento fatale. Il 28 febbraio 2003, fu chiamato al capezzale di mister Johnny Chen, uomo d’affari americano proveniente da Hong Kong, da due giorni ricoverato all’ospedale di Hanoi con febbre alta, tosse secca e difficoltà respiratorie. Urbani si rende subito conto della gravità della situazione, nell’ospedale sono già una decine le persone infette perché venute a contatto con il malato senza nessuna precauzione e pensa alle contromisure. Allerta l’Oms che diffonde l’allarme sanitario in tutto il mondo e, grazie alla stima che il medico italiano godeva presso la autorità di Hanoi, convince il governo vietnamita a varare severe misure di prevenzione. Undici giorni più tardi, in volo verso Bangkok per una conferenza, accusa il primo malessere. Urbani si rende subito conto di essere contagiato dal virus che lui stesso ha individuato. “Statemi lontani – dice a chi ha intorno. Ho la Sars”. La malattia durerà 18 giorni. Il 29 marzo – un mese dopo il ricovero di Mister Chen – Urbani muore. Ancora un mese e il 28 aprile il Vietnam festeggia lo scampato pericolo. Il virus, che miete vittime in ogni parte del mondo, in Vietnam è scomparso grazie alle rigorose procedure di controllo e di profilassi suggerite da Urbani che il governo vietnamita ha seguito alla lettera con grande scrupolo. Urbani godeva di grande stima ad Hanoi e lui stesso aveva grande stima del governo di un paese in cui la scolarizzazione è arrivata al 95% e anche nell’ultimo dei villaggi c’è un ambulatorio medico. “Saranno anche comunisti, diceva Urbani. Ma ce ne fossero…” Il libro della collega Lucia Bellaspiga, redattrice di Avvenire, vincitrice della prima edizione del premio giornalistico dedicato alla memoria di Maria Grazia Cutuli, comincia con l’atto finale della vicenda di Urbani, cioè con la morte dopo avere isolato il virus letale della Sars, per poi ripercorrerne la vita in un lungo e ragionato flashback. Presentazione del segretario generale dell’Onu, Kofi A. Annan, che sottolinea quanto sia stato determinante per circoscrivere e sconfiggere l’infezione il contributo di Urbani, che definisce un eroe; prefazione di Nicoletta Dentico, di Medici senza frontiere, che adatta a Carlo Urbani una lapidaria sentenza di Montaigne: “Il valore di una vita non sta nella lunghezza dei giorni, ma nell’uso che ne facciamo. Uno può aver vissuto a lungo e tuttavia pochissimo”; premessa dell’autrice che esprime lo stupore del giornalista che, solo il 29 marzo di un anno fa, ha appreso dell’esistenza di un simile uomo e il rimpianto di non averlo conosciuto prima. Il racconto, si è detto, muove dalla fine, dalla tragica conclusione ma questa insolita struttura narrativa non sottrae l’interesse del lettore a conoscere l’intera vicenda. Perché questo non è un libro giallo che si conclude con la scoperta dell’assassino. È una storia che ha una sua continuità, una sua evoluzio- Ettore Mo I dimenticati di Marzio De Marchi Sono diciannove storie, diciannove reportage intensi, forti e anche violenti, racconti al termine dei quali nessuna coscienza può ritenersi uguale a prima. Non sono neppure inediti: gli estimatori di Ettore Mo li hanno già letti sul Corriere della Sera, ma trovarseli lì, uno dopo l’altro, in un volume che già dal titolo nulla nasconde della loro drammaticità, è tutta un’altra cosa. A ciò si aggiungano le 22 (22) foto di Luigi Balzelli, amico di una vita e «occhio» di Mo: se le parole potevano lasciare immaginare al lettore una realtà meno feroce, gli scatti lo riportano alla drammaticità della Vita. Di queste vite. Come quella di Niwan, uno dei malati terminali di Aids che da nove anni trovano rifugio nel monastero buddista di Wat Pharabat Nampu, in Thailandia. «Se proprio deve morire (e non c’è scampo, se ne andrà tra qualche ora), è meglio prepararlo bene per l’ultimo viaggio, soprattutto ri- pulirlo da capo a piedi perché il suo corpo non lasci tracce immonde sul fondo rovente del forno crematorio. […] Si chiama Niwan, è completamente nudo, se si esclude il vestimento dei tatuaggi che gli hanno stampato addosso ne che ci fa conoscere il giovanissimo Carlo Urbani, un cattolico praticante atipico, impegnato nella parrocchia del paese natale (Castelplanio, Ancona) per l’assistenza ai bisognosi (per la festa del protettore fece saltare lo spettacolo pirotecnico devolvendo in beneficenza i soldi risparmiati) e lo studente di medicina che organizza ed anima i soggiorni estivi per i disabili. E poi il medico che trascorre le ferie in Africa al servizio dei sofferenti, il suo interesse per le malattie tropicali e parassitarie. Per questa attività, nel ‘93 divenne consulente dell’Organizzazione mondiale per la sanità: incarico che lo portò numerose volte in Africa e, infine, in Vietnam per la sua ultima missione. Nel ‘96 è coordinatore di un progetto di Medici senza frontiere di cui divenne presidente per l’Italia. Quando, nel ‘99, Medici senza frontiere ricevette il Nobel per la pace, Urbani fece parte della delegazione che si recò a Oslo per ritirarlo. Urbani, che certamente non conduceva una vita mondana, non aveva lo smoking per partecipare alla cerimonia. Lo prese in affitto, ma – poco abituato com’era a certi capi di abbigliamento – lo dimenticò a Roma: dovettero spedirglielo. Lucia Bellaspiga scava nella vita di Urbani, si reca a Castelplanio, conosce la famiglia, consulta appunti, lettere, sfoglia le foto di famiglia. Parla con la moglie, Giuliana, con i figli Tommaso, Luca, Martina. Sono praticamente fuggiti dal Vietnam a causa della malattia (la Sars non la nominano mai). Ma una volta cessato il pericolo, Tommaso non sa resistere. Ha 16 anni e riprende l’aereo per Hanoi, per un “amarcord” che può cicatrizzare tante ferite, ma può aprirne anche di nuove. Invece, Tommaso ritorna in Italia sereno, innamorato del Vietnam così come suo padre. E con la ferma determinazione di seguirne le orme. Forse Carlo Urbani sarà il suo Albert Schweitzer: glielo auguriamo e ce lo auguriamo. Lilli Gruber I miei giorni a Baghdad di Marzio De Marchi Lucia Bellaspiga, Carlo Urbani, il primo medico contro la Sars, Ancora editrice, euro 12,00 La cattura di Saddam Hussein chiude una fase, drammatica e dolorosa, della guerra in Iraq. Certamente si è ancora lontani dalla «normalizzazione» di questo Paese, ma la cronaca ci dice che qualche cosa, adesso, potrebbe cambiare. E conoscere il passato più o meno recente di questo Paese può permetterci di comprendere meglio gli sviluppi della prima guerra del terzo millennio. Una significativa «lezione» di storia, a questo proposito, può darcela il libro di Lilli Gruber, uno dei volti più noti del telegiornalismo italiano e inviata speciale in Iraq per il Tg1. I miei giorni a Baghdad è il diario di quasi tre mesi sul fronte di guerra, fra le strade di una città che trascorreva le notti sotto le bombe degli angloamericani; è il diario di storie di tutti i giorni, fra preghiere e saccheggi, scontri e fine delle illusioni e, forse, anche di qualche speranza. Ma è soprattutto il diario di una professionista che spesso lascia il ruolo della giornalista «impegnata» per rivestire i panni della più «vera» cronista. E raccontare così, della innata passione degli iracheni per la floricoltura. «”La notte scorsa, mentre bombardavano, mi è venuta una voglia improvvisa di piantare nuovi fiori nel mio giardinetto. Adoro le piante, perché sono il simbolo della vita” racconta Umm Muhammad, in chador nero. Ha appena comprato quattro vasi di rose da un fiorista del quartiere di Sayadiya, lungo la circonvallazione che circonda Baghdad. Kazem Muhammad Hussein, il vivaista, spiega che il lavoro non manca, anche se il numero dei suoi clienti è certamente diminuito dall’inizio della guerra». È, come lo definisce la stessa Gruber, un libro che «lascia che a parlare siano i fatti, le persone incontrate e i luoghi visitati». Per questo, la scrittura è sempre scorrevole, le sto- ovunque […] Compiuta la liturgia del lavacro, Niwan viene risospinto nel padiglione dei morituri e adagiato con delicatezza nel suo letto d’agonia, il numero 29, su un materassino verde. Pesa come una piuma e le ossa stanno per bucare da ogni parte la velina arabescata della pelle». Ma chi sono i personaggi che animano queste storie, chi sono i «dimenticati» di Mo, e che cosa li unisce? Sono sciamani della Siberia e ragazzi di strada della nostra vicina Svezia, vittime deformi vietnamite dell’Agente Arancio e figli di prostitute di Dacca, artisti viennesi invasi dalla follia e bibliotecari itineranti che distribuiscono libri fra i villaggi andini. Sono i protagonisti rigettati del mondo globa- lizzato, uomini, donne e bambini che non hanno conquistato il diritto di vivere fra i «normali». «Sull’ingresso c’è scritto semplicemente Maria Gugging, che è il nome di un grande ospedale psichiatrico a una ventina di chilometri da Vienna: ma il “padiglione” che stiamo cercando è lontano dall’edificio centrale […]. Ospita malati di mente speciali ed è scorretto, anzi offensivo definirlo “padiglione”. E infatti tutti lo chiamano “Haus der Künstler”, la Casa degli Artisti. […] Gli otto che sono rimasti trascorrono la giornata al primo piano, le stanze a due o tre letti s’affacciano sul corridoio, che è la “passeggiata” comune e che percorrono infinite volte […] senza mai scambiarsi una parole e rie raccontate con il giusto garbo, le immagini rappresentate con gli occhi di chi conosce profondamente, e ama, il proprio mestiere. E che al lettore non vuole nascondere pensieri e timori. Come quando racconta della sua voglia di «fare qualche cosa di normale: bere un tè caldo […]. Parlare di vacanze al mare. Lavarmi i capelli senza preoccuparmi di come verranno una volta asciutti […]. È rilassante persino fare un po’ di bucato nel lavabo del mio bagno e stendere la biancheria su un filo tirato sul balcone, di fronte al palazzo di Saddam Hussein tartassato ogni giorno dalle bombe americane. Abbiamo tutti bisogno di questi gesti, che fanno dimenticare la guerra». La guerra, dunque, è qui raccontata senza «sterili contrapposizioni ideologiche» e lontana dai «fumosi dibattiti degli esperti di strategia militare». La Gruber è stata testimone di una battaglia cruciale per il destino dell’Occidente, ma non ha tralasciato di «vedere» l’altra faccia di questa Storia: «E gli iracheni in tutto questo? Chi pensa a loro? […] Dopo il terrore, le privazioni, le sofferenze, avrebbero almeno diritto a un po’ di speranza». Oggi, forse, questa speranza di normalità è un po’ più vicina. Lilli Gruber, I miei giorni a Baghdad, Rai Eri - Rizzoli, pagine 322, euro 16,00 neanche uno sguardo. […] Franz Kernbeis è leggermente obeso, ha sessantaquattro anni, lo rinchiusero in manicomio quando ne aveva soltanto diciassette, dall’81 è ospite della “Haus der Künstler”. Questa mattina è un po’ agitato, gira in cerchio su se stesso nel corridoio […] . La sua memoria è inchiodata all’età della pietra: disegna oggetti massicci con forme arcaiche, rocciose […] .» Ecco chi sono i «dimenticati» e come li descrive Ettore Mo: con la solita acutezza di chi si sforza di capire. E poi così, senza retorica, ci regala le sue emozioni. Ettore Mo, I dimenticati Rizzoli, pagine 219, euro 15,50 ORDINE 6 22 (31) 2004