sviluppocopertina 27-10-2008 11:52 Pagina 1 C M Y CM MY CY CMY K Partner del progetto “Oltre la parità: pari opportunità e conciliazione” A.S.L. della Provincia di Varese Comune di Samarate Comune di Cardano al Campo Comune di Gallarate Comune di Gorla Maggiore Comune di Lonate Pozzolo Comune di Marnate Colori compositi L ’Albero di Antonia circolo arci Presidenza Pari Opportunità Norme e leggi di parità e conciliazione ll rapporto tra pari opportunità, conciliazione dei tempi e politiche del lavoro è molto stretto. In un ormai famoso incontro, che si è tenuto a Lisbona nel 2000, il Consiglio Europeo ha infatti avviato una strategia che mira a fare dell’Unione Europea “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo” e che ha individuato tra gli obiettivi concreti, da realizzare entro il 2010, il raggiungimento di un tasso di occupazione femminile pari al 60%. Un risultato così importante non può però essere ottenuto facendo leva solo sulle politiche del lavoro. Non possiamo pensare infatti all’occupazione femminile senza prendere in considerazione il tema della “conciliazione”, concetto complesso con cui vengono sintetizzate tutte le “facilitazioni” che consentono la “combinazione” fra il lavoro e le responsabilità di cura, intese sia come strumenti legislativi, che come servizi alla persona (dagli asili nido ai servizi per gli anziani) e azioni di supporto attivate nei diversi ambienti di lavoro. Questa pubblicazione raccoglie i principali strumenti legislativi che perseguono l’uguaglianza dei diritti tra donne e uomini in ambito famigliare, lavorativo, della cittadinanza, della salute e della sicurezza personale e sociale e che favoriscono il tema della conciliazione. E’ stata realizzata nell’ambito del progetto “Oltre la parità: pari opportunità e conciliazione” che ci ha visto collaborare con una ricca rete di partner: l’Ufficio della Consigliera di Parità, la Consulta Femminile Provinciale, l’ASL della provincia di Varese, i Comuni di Cardano al Campo, Gallarate, Gorla Maggiore, Lonate Pozzolo, Marnate, Samarate, Saronno e Varese e l’associazione l’Albero di Antonia. Con questo progetto abbiamo voluto sensibilizzare i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne sulle tematiche relative alle pari opportunità, alla conciliazione e alla condivisione, mettendo in luce gli stereotipi di genere più comuni e accrescendo così la consapevolezza del principio di parità in ambito lavorativo e non solo. Conoscere il quadro legislativo è il primo passo affinché ogni cittadino, uomo o donna che sia, prenda coscienza dei propri diritti e degli strumenti per tutelarli e possa partecipare attivamente e consapevolmente alla vita sociale. Mi auguro che questa guida rappresenti un ulteriore contributo in questa direzione. L’Assessore al Lavoro e Politiche Giovanili Alessandro Fagioli Varese, settembre 2008 Sommario Presentazione 1 PARITA’ e PARI OPPORTUNITA’ Norme sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (L. 903/1977) Azioni Positive (L. 125/1991) Disciplina dell’attività delle Consigliere e dei Consiglieri di Parità in materia di Azioni Positive (D.L. 196/2000) Azioni Positive per l’imprenditoria femminile (L. 215/1992) Codice delle pari opportunità tra uomo e donna 5 6 8 9 11 LAVORO Per chi cerca lavoro: le modalità d’accesso al lavoro Il contratto di lavoro subordinato Il lavoro “parasubordinato” Il lavoro autonomo I tirocini formativi e di orientamento Le molestie sessuali sui luoghi di lavoro (Racc. Europea 92/131 del 29/11/91) Indirizzi regionali per l’elaborazione di codici di condotta contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro della Regione Lombardia 13 13 21 22 23 23 24 DIRITTO DI FAMIGLIA La riforma del diritto di famiglia (L. 151/1975) Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio (L. 898/1970 e L. 74/1987) Separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli 27 30 32 VIOLENZA SESSUALE Norme contro la violenza sessuale (L. 66/1996) Misure contro la violenza nelle relazioni familiari (L. 154/2001) 33 35 MATERNITÀ, PATERNITÀ E POLITICHE DI CONCILIAZIONE Tutela delle lavoratrici madri e diritti alla maternità e alla paternità (L. 1204/1971 e 53/2000) - Lavoro dipendente Maternità: valore sociale - Lavoro autonomo (L. 546/1987) - Libera professione (L. 379/1990) - Lavoro parasubordinato (D.M. 27/1998, Circ. INPS 47/1999, 138/2002, D.M. 4/4/2002) - Lavoro domestico (L. 1204/1971) 37 37 41 41 42 42 43 - Lavoro discontinuo (L. 448/1998, D.M. 452/2000 e Circ 143/2001) - Inoccupate, casalinghe, studentesse (L. 448/1998 e L. 388/2000) Politiche di conciliazione (L. 104/1992 e L. 53/2000) 43 44 44 LA TUTELA E IL SOSTEGNO SOCIALE Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza (L. 194/1978) Consultorio pubblico (L.R. 44/1976) La tutela della partoriente e la tutela del bambino in ospedale (L.R. 16/1987) Norme per la tutela della salute nelle abitazioni e istituzione dell’assicurazione contro gli infortuni domestici (L. 493/1999) SOSTEGNI ALLA FAMIGLIA Asili nido - Piano quinquennale per l’istituzione di asili nido comunali con il concorso dello stato (L. 1044/1971) - Leggi Finanziarie (L. 488/2001 e L. 289/2002) Politiche regionali per la famiglia (L.R. 23/1999) 49 50 52 54 55 55 55 56 DONNE IMMIGRATE I diritti e le tutele delle donne immigrate (L. 91/1992, D.lgs. 286/1998, L. 189/2002) SINTESI LEGISLATIVA Dall’unità d’Italia alla fine del 1800 Dal 1900 al 1920 Periodo fascista Alla fine della seconda guerra mondiale Dagli anni 50 ad oggi 59 65 65 66 67 69 PARITÀ E PARI OPPORTUNITÀ NORME SULLA PARITÀ DI TRATTAMENTO TRA UOMINI E DONNE IN MATERIA DI LAVORO Legge n. 903 del 9 dicembre 1977 Con l’approvazione di questa legge si compie un salto di qualità culturale, si passa dal concetto di tutela per la donna lavoratrice al principio del diritto di parità nel campo del lavoro. Vengono introdotte norme più avanzate in materia di maternità e i primi elementi di condivisione nella cura dei figli fra i genitori, rendendo meno rigidi i ruoli familiari tradizionali. Nel marzo 2000 è entrata in vigore la legge 53 sui “congedi parentali” che ha recepito i nuovi diritti di paternità in materia di assenza facoltativa dal lavoro. I punti fondamentali della legge sono: • eliminazione delle discriminazioni di sesso nell’accesso al lavoro, attraverso l’unificazione delle liste di collocamento; • divieto di accertamento dello stato matrimoniale, di gravidanza, vita affettiva e personale nei meccanismi di preselezione e divieto di inserzioni di offerte di lavoro a mezzo stampa che indichino come requisito l’appartenenza all’uno o all’altro sesso; • parità di retribuzione per donne e uomini a parità di mansioni svolte, superamento delle ghettizzazioni nei settori produttivi, nelle categorie, nelle qualifiche in cui le donne sono confinate e diritto di progressione delle carriere; • divieto al lavoro notturno (dalle ore 24 alle ore 6) dal momento in cui viene accertato lo stato di gravidanza fino ad un anno di età del bambino; • assegni familiari, aggiunte di famiglia e maggiorazioni delle pensioni per i familiari a carico possono essere corrisposti in alternativa alla donna lavoratrice o pensionata, con gli stessi criteri validi per il lavoratore o il pensionato. Nel caso di richiesta di questi emolumenti da entrambi i genitori, gli stessi vengono corrisposti al genitore con cui il figlio convive; • estensione al padre lavoratore del diritto all’astensione obbligatoria di 3 mesi dopo il parto in caso di morte, Norme e leggi di parità e conciliazione 5 di grave infermità della madre o in caso di affidamento esclusivo del padre; • estensione al padre lavoratore del diritto di riposo giornaliero retribuito per l’accudimento del bambino fino a un anno di vita: a) nel caso in cui i figlio è affidato solo al padre; b) in alternativa alla madre dipendente che non se ne avvale; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; • estensione dei diritti in caso di adozione o affidamento preadottivo, durante il primo anno di entrata del bambino nella famiglia adottiva, semprechè il bambino abbia un’età inferiore a 6 anni. In particolare: a) 3 mesi di assenza obbligatoria retribuita all’80% o al 100%; b) 1 ora o 2 di riposo al giorno retribuito – in base all’orario giornaliero di lavoro – per accudire il bambino; c) 6 mesi di astensione facoltativa retribuita al 30%. Nel caso di violazione delle disposizioni previste dalla legge, la lavoratrice o il lavoratore interessati, o per loro delega i sindacati, possono ricorrere al pretore del luogo. Le discriminazioni dovute al fatto di essere donna erano già vietate dalla Costituzione e dalla legge di parità del 1956. La legge 125/1991 “Azioni per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro” assume la differenza di genere come un valore, una risorsa e fa un decisivo passo in avanti per rendere visibile e valorizzare la presenza e il lavoro delle donne nella società, nel lavoro e nella famiglia. La legge prevede misure concrete chiamate “AZIONI POSITIVE” per realizzare effettivamente pari opportunità nella scelta e nel percorso di lavoro tra donne e uomini e per rimuovere le discriminazioni, soprattutto quelle nascoste. Le AZIONI POSITIVE sono progetti mirati, rivolti alle donne con l’obiettivo di promuovere: • l’occupazione femminile; • la libertà di scelta nel campo della formazione professionale e dei percorsi scolastici, per permettere più 6 Parità e pari opportunità AZIONI POSITIVE Legge n. 125 del 26 aprile 1991 Legge n 53 dell’8 marzo 2000 libertà ed opportunità nelle scelte del lavoro; • la formazione e riqualificazione delle donne che già lavorano, per aumentarne la presenza nei lavori, nelle professioni e nei ruoli di direzione, in cui è ancora prevalente la figura maschile; • l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali, una migliore ripartizione del lavoro familiare tra donne e uomini, modificando anche l’organizzazione sociale e degli orari. I progetti di “Azione Positiva” possono essere proposti dai datori di lavoro pubblici e privati, le cooperative e i loro consorzi, i centri di formazione professionale accreditati, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali, le associazioni. Non possono essere presentati progetti da parte di enti pubblici, sia come soggetto proponente che come soggetto partner di una rete qualora essi non abbiano approvato il piano triennale di azioni positive. Le “Azioni Positive” sono approvate dal Comitato Nazionale di Parità e vengono finanziate da un apposito fondo nazionale e dal fondo sociale Europeo e vengono presentati entro ottobre di ogni anno. Un altro punto fondamentale di questa legge riguarda la denuncia di discriminazione con l’onere della prova. Tutte le lavoratrici, donne che ritengono di essere state discriminate, in quanto donne, nell’accesso al lavoro, nella carriera, nel salario, etc. possono, tramite il Sindacato, la/il Consigliera/e di Parità o il Giudice, denunciare la discriminazione subita. È compito del datore di lavoro dimostrare la non esistenza della discriminazione. Se la discriminazione è provata, il datore di lavoro è tenuto a eliminarla riconoscendo i diritti della lavoratrice. Sempre la 125/91 stabilisce che gli uffici di collocamento, gli assessorati alla formazione, le imprese pubbliche e private sono obbligate periodicamente a raccogliere dati sulla qualità della formazione professionale, sull’accesso al lavoro, sull’occupazione, sulla composizione delle qualifiche, etc. divisi per sesso e a inviarli ai/alle Consiglieri/e di Parità Regionali per il controllo di eventuali discriminazioni di genere nei singoli campi. Tutte le discriminazioni di genere accertate, dovranno essere rimosse. Per la rimozione degli ostacoli che costituiscono discrimi- Norme e leggi di parità e conciliazione 7 nazione nei confronti delle donne, vengono istituiti degli organismi di controllo, vigilanza e promozione quali: • Il Comitato Nazionale di Parità; • La consigliera Nazionale di Parità; • La consigliera Regionale di Parità; • La consigliera Provinciale di Parità; Il Comitato di Parità. In tutti i luoghi di lavoro pubblici e privati si possono costituire Comitati di Parità con il compito di accertare eventuali discriminazioni, rimuoverle e fare progetti per promuovere la carriera professionale delle donne. Le imprese e i soggetti che non rispettano questa Legge subiscono sanzioni pecuniarie e perdono tutti gli incentivi di carattere fiscale e di sostegno all’occupazione. Questa Legge - frutto della mobilitazione delle donne è un importante strumento, un’opportunità per un futuro con meno discriminazioni. A livello nazionale, regionale e provinciale sono nominati una Consigliera o un Consigliere di Parità effettiva/o e una/un supplente. Le Consigliere e i Consiglieri di Parità sono pubblici funzionari e svolgono funzione di promozione e controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e non discriminazioni per donne e uomini nel lavoro. Devono possedere competenze specifiche in materia di lavoro femminile, di parità e pari opportunità e sono nominati dal Ministro del Lavoro di concerto con il Ministro delle Pari Opportunità. Compiti e funzioni delle Consigliere e dei Consiglieri di Parità effettiva/o e supplente sono: promuovere le cosiddette “Azioni Positive”, vale a dire tutti i progetti finalizzati a rimuovere le discriminazioni tra uomini e donne; assistere, attraverso consulenze specializzate, chi è in cerca di occupazione, ma anche chi già lavora, per garantire il rispetto delle pari opportunità e per rimuovere eventuali discriminazioni subite sul lavoro; sostenere e promuovere le politiche del lavoro, comprese quelle che riguardano la formazione; 8 Parità e pari opportunità DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ DELLE CONSIGLIERE E DEI CONSIGLIERI DI PARITÀ IN MATERIA DI AZIONI POSITIVE Decreto legislativo n. 196 del 23 maggio 2000 promuovere politiche di pari opportunità presso realtà lavorative pubbliche e private; vigilare che sia rispettato il principio di non discriminazione tra uomini e donne sul luogo di lavoro; promuovere e sostenere eventuali azioni in giudizio (sia individuali che collettive) nel caso in cui venga accertata la discriminazione basata sul sesso; realizzare attività di informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di discriminazione. È istituito un fondo nazionale per supportare iniziative e progetti definiti dalle Consigliere e dai Consiglieri di Parità finalizzati allo sviluppo degli obiettivi sopra descritti. Il fondo è ripartito tra le Consigliere e i Consiglieri di Parità nazionali, regionali e provinciali. Entro marzo di ogni anno le Consigliere e i Consiglieri di Parità devono presentare il piano di attività per l’anno in corso e consuntivo dell’attività svolta nell’anno precedente. In provincia di Varese le Consigliere di Parità effettiva e supplente operano presso la sede dell’Assessorato al Lavoro, Formazione Professionale e Istruzione. Per consulenze, informazioni, interventi antidiscriminatori, etc. ricevono il venerdì dalle 9.30 alle 12.30 e negli altri giorni su appuntamento. Il servizio è gratuito. Tutte le donne e i soggetti che ritengono di subire discriminazioni di genere nell’accesso al lavoro, nei luoghi di lavoro, possono chiedere l’intervento delle Consigliere di Parità effettiva e supplente. AZIONI POSITIVE PER L’IMPRENDITORIA FEMMINILE Legge n. 215 del 25 febbraio 1992 Le donne, protagoniste delle trasformazioni economiche, sociali e culturali, spesso, anche se in possesso di capacità e competenze, restavano e restano escluse dalla guida delle imprese e dalle attività economiche. Con questa legge si è voluto superare questa discriminazione per promuovere l’uguaglianza sostanziale, le pari opportunità, economiche e imprenditoriali, e per definire “Azioni Dirette” rivolte alle donne per: • favorire la creazione e lo sviluppo dell’imprenditoria Norme e leggi di parità e conciliazione 9 femminile, anche in forma cooperativa e associata nei tre macrosettori: agricoltura, manifatturiero e assimilati, commercio turismo e servizi; • promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalità delle donne imprenditrici; • agevolare l’accesso al credito per le imprese a prevalente conduzione femminile e sviluppare la capacità gestionale delle imprese familiari da parte delle donne. Il contributo concesso dalla legge 215 dipende, oltre che dall’investimento, anche dalla Regione in cui si realizza il programma, dalla suddivisione delle spese tra le diverse tipologie e dal momento di effettuazione. Le agevolazioni consistono in contributi in conto capitale. Condizione per accedere ai contributi o incentivi: • le società cooperative e le società di persona costituite in misura non inferiore al 60% da donne; • le società di capitale le cui quote di partecipazione e gli organi di amministrazione siano costituite per almeno 2/3 da donne; • le imprese individuali gestite da donne operanti in tutti i settori economici e produttivi; • le imprese, i consorzi, le associazioni, gli enti, le società di promozione imprenditoriale, i centri di formazione, gli ordini professionali che promuovono corsi di formazione imprenditoriale o servizi di consulenza tecnica, manageriale, riservati per una quota non inferiore al 70% a donne. Le agevolazioni si possono cumulare, si perdono se non si rispetta il progetto, il quale è sottoposto a verifica dal Comitato Nazionale per l’imprenditoria femminile. Con la riforma del titolo quinto della Costituzione, che ha avviato il processo di federalismo istituzionale, questa materia è stata trasferita alle Regioni, le quali annualmente stabiliscono le modalità per accedere ai finanziamenti attraverso l’emanazione di un bando con relativi criteri attuativi. Le domande devono essere sottoscritte dal legale rappresentante dell’azienda e vanno spedite alla Regione di competenza con raccomandata a/r. Per finanziamento a tasso agevolato, una copia va spedita anche all’Istituto di credito abilitato. Per dare informazioni ed accompagnare le donne che in- 10 Parità e pari opportunità tendono presentare progetti di imprenditoria femminile ed accedere ai finanziamenti, la Camera di Commercio di Varese ha attivato il servizio Punto Nuova Impresa. Il servizio è gratuito. CODICE DELLE PARI OPPORTUNITA’ TRA UOMO E DONNA Legge n. 198 del 11 aprile 2006 La legislazione di parità nel nostro paese è estremamente ricca e articolata e coinvolge tutti gli aspetti della vita: temi del lavoro a quelli della famiglia, sociali e politici. Questo decreto legislativo raggruppa le molteplici leggi in materia di parità. I punti principali della legge sono: • Disposizioni per la promozione delle pari opportunità tra uomo e donna; • Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti eticosociali; • Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici; • Pari opportunità nell’esercizio dell’attività d’impresa; • Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti civili e politici. Norme e leggi di parità e conciliazione 11 12 Oltre la parità: pari opportunità e conciliazione LAVORO PER CHI CERCA LAVORO: LE MODALITA’ D’ACCESSO AL LAVORO Al momento dell’assunzione va chiarito quale tipo di contratto ci viene offerto. Il rapporto di lavoro subordinato inizia con la sottoscrizione della lettera di assunzione nella quale viene indicata l’identità delle parti, il luogo di lavoro, la data di inizio del rapporto di lavoro, l’indicazione della durata del contratto, cioè se si tratta di contratto a tempo determinato o indeterminato, la durata del periodo di prova, se previsto, l’inquadramento, il livello e la qualifica, oppure la descrizione sommaria del lavoro, l’importo iniziale della retribuzione, il periodo di pagamento, la durata delle ferie retribuite, l’orario di lavoro e i termini di preavviso in caso di recesso. La lettera di assunzione sottoscritta deve essere consegnata al lavoratore/alla lavoratrice. IL CONTRATTO DI LAVORO SUBORDINATO Il contratto di lavoro subordinato è un contratto con il quale un lavoratore /una lavoratrice si impegna a svolgere una determinata attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro, ed il datore di lavoro si impegna principalmente a retribuire il lavoratore /la lavoratrice per il lavoro svolto e a versare i contributi previdenziali e assistenziali. Il contratto di lavoro subordinato può essere: • a tempo indeterminato quando non è previsto alcun termine alla durata del contratto • a tempo determinato quando è introdotto nel contratto un termine alla sua durata • a tempo pieno quando l’orario di lavoro fissato nel contratto è quello “normale”, intendendosi per tale l’orario di 40 ore settimanali o altro minor orario fissato dalla contrattazione collettiva • a tempo parziale quando l’orario di lavoro è inferiore all’orario normale come sopra definito. Sono contratti di lavoro subordinato anche: • il contratto di apprendistato, Norme e leggi di parità e conciliazione 13 • il contratto di inserimento, • il contratto di formazione e lavoro, • il contratto di lavoro ripartito, • il contratto di lavoro intermittente. Il contratto a tempo indeterminato Sono tutte le forme di contratto dove non è indicata la data di scadenza del rapporto di lavoro. Il contratto a tempo determinato In questa tipologia rientrano quei contratti in cui viene specificato l’inizio e la fine del rapporto di lavoro. Si ha diritto a ferie, tredicesima, trattamento di fine rapporto e ogni altro beneficio che spetta a chi lavora a tempo indeterminato. La durata del contratto a termine, di norma, non può essere superiore ai 3 anni. Se la durata iniziale è inferiore ai 3 anni, con il consenso del lavoratore /della lavoratrice, il contratto può essere prorogato una sola volta e per svolgere la stessa attività lavorativa. Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine prestabilito per un periodo di 10 giorni, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere una maggiorazione del 20% della retribuzione per ogni giorno di lavoro in più fino al decimo giorno e del 40% per ciascun giorno ulteriore. Il contratto a tempo determinato si considera trasformato a tempo indeterminato se: • dopo un contratto a termine inferiore a 6 mesi si viene riassunte entro 10 giorni; • dopo un contratto a termine superiore a 6 mesi si viene riassunte entro 20 giorni; • dopo la scadenza il contratto continua oltre il ventesimo giorno per contratti sotto i 6 mesi; • dopo la scadenza il contratto continua oltre il trentesimo giorno per contratti sopra i 6 mesi; 14 Lavoro Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368 Legge 24 dicembre 2007, n. 247 Decreto Legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 di attuazione della direttiva 97/81/CE Decreto Legislativo 26 febbraio 2001, n. 100 Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 46 e 85, comma 2 Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 9/2004 Legge 24 dicembre 2007, n. 247 Il part-time Il contratto di lavoro a tempo parziale è un accordo fra le parti che prevede lo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata con orario ridotto rispetto a quello ordinario stabilito dai contratti collettivi di lavoro. Il part-time può essere orizzontale (orario giornaliero ridotto), verticale (tempo pieno ma solo alcuni giorni della settimana o del mese o alcuni periodi dell’anno), misto (alcune giornate lavorative a orario ridotto e alcuni periodi a orario normale). Tutti gli istituti contrattuali sono proporzionalmente rapportati all’orario effettuato, unica eccezione è la corresponsione degli assegni per il nucleo familiare (a carico dell’INPS) che è prevista per intero purché il rapporto sia di almeno 24 ore settimanali. Il decreto legislativo 276/2003 ha introdotto una maggiore flessibilità all’utilizzo del part time attraverso il lavoro “supplementare” che è stato recepito dalla contrattazione collettiva. Il lavoro supplementare è quello corrispondente alle prestazioni lavorative oltre l’orario di lavoro concordato fra le parti entro il limite del normale orario di lavoro a tempo pieno. Il lavoro supplementare può essere imposto dal datore di lavoro e il rifiuto può comportare l’applicazione di sanzioni disciplinari. Se invece il lavoro “supplementare” non è regolamentato dalla contrattazione collettiva occorre il consenso del lavoratore / della lavoratrice e l’eventuale rifiuto non costituisce rilevanza disciplinare. Infine: • Una lavoratrice part-time ha diritto a rimanere iscritta al Centro per l’Impiego anche se assunta a tempo indeterminato se ha un reddito annuale non superiore a € 8.000. • Si può essere assunte part-time anche in più aziende contemporaneamente. • Il datore di lavoro può cambiare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione con preavviso di quarantotto ore. • Il datore di lavoro può richiedere prestazioni di lavoro supplementare solo in caso di part time orizzontale. I contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stabiliscono il numero massimo di ore supplementari effet- Norme e leggi di parità e conciliazione 15 tuabili e le motivazioni. • Gli straordinari sono consentiti solo nel part time verticale o misto e sono regolati allo stesso modo dei rapporti di lavoro a tempo pieno. La maggiorazione prevista è comunque quasi sempre inferiore rispetto a quella del tempo pieno. L’apprendistato Il contratto di apprendistato, prevede momenti di formazione esterni/interni all’azienda. Il contratto deve essere stipulato per iscritto e deve contenere l’indicazione della prestazione oggetto del contratto e della qualifica da acquisire. L’apprendista deve essere accompagnato nella sua attività formativa da un tutor aziendale con formazione e competenze adeguate. La formazione dell’apprendista dovrà essere registrata in un apposito libretto formativo. Il numero complessivo di apprendisti assunti da un datore di lavoro non può superare il 100% delle maestranze specializzate e qualificate presenti in azienda; ove non ne abbia alle proprie dipendenze, ovvero ne abbia meno di tre, può tuttavia assumerne tre. L’apprendistato può essere distinto in: • Apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione – giovani adolescenti che abbiano compiuto il sedicesimo anno d’età –; può avere una durata non superiore ai tre anni. Gli apprendisti in questa fascia d’età sono tenuti a frequentare corsi di almeno 240 ore annue. In attesa della regolamentazione prevista dall’art. 48 del D. Lgs n. 276/2003 si applica la disciplina prevista dalla L. n.25/1955, come modificata ed integrata dalla L. n. 56/1987 e dalla L. n. 196/1997. • Apprendistato professionalizzante rivolto ai soggetti di età compresa tra i 18/29 anni, la durata del contratto non può essere inferiore ai 2 anni e superiore ai sei. La durata del contratto di apprendistato professionalizzante è stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale o regionale. Il contratto di apprendistato professionalizzante deve contenere l’indicazione della prestazione lavorativa da svolgere, del 16 Lavoro Codice civile art. 2130 - 2134 Legge n. 25 del 19 gennaio 1955 Legge n. 56 del 28 febbraio 1987 Legge n. 196, art. 16, del 24 giugno 1997 Decreto legislativo n. 276, art. 47 – 53 del 10 settembre 2003 Circolare n. 40, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del 14 ottobre 2004 Circolare n. 30, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del 15 luglio 2005 piano formativo individuale e della qualifica che potrà acquisire l’apprendista in base agli esiti della formazione formale aziendale o extra aziendale (che deve essere almeno di 120 ore annue). • Apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione rivolto ai soggetti di età compresa tra i 18/29 anni, per questa tipologia la durata del contratto è rimessa alle Regioni in accordo con le associazioni territoriali del datore di lavoro, le Università e le istituzioni formative. Il datore di lavoro non può recedere dal contratto senza giusta causa o giustificato motivo. L’inquadramento dell’apprendista non può essere inferiore a due livelli rispetto a quello spettante e le/gli apprendiste/i non vengono computati ai fini dell’applicazione di particolari istituti normativi e contrattuali. I contratti di lavoro di appartenenza stabiliscono durata, modalità e retribuzioni spettanti. Alla fine dell’apprendistato l’assunzione non è automatica essendo un contratto a tempo determinato. Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. da 20 a 28 Decreto 23 dicembre 2003 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Decreto 10 marzo 2004 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Il contratto di somministrazione – ex interinale Il contratto di somministrazione consiste in un accordo commerciale concluso fra due soggetti, uno denominato “utilizzatore” e l’altro “somministratore” (Agenzie per il lavoro). Grazie a questo accordo, il somministratore (che deve possedere la prescritta autorizzazione per la fornitura professionale di manodopera) assume i lavoratori e li mette a disposizione dell’utilizzatore per esigenze professionali di carattere continuativo o limitato nel tempo. L’impresa utilizzatrice stipula un contratto direttamente con la società somministratrice dove devono essere chiariti: il numero di lavoratori richiesti, le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo per cui sono richiesti, l’indicazione di eventuali rischi per la salute e relative contromisure di prevenzione adottate, la data di inizio e la durata del rapporto con l’utilizzatore. La mancanza in forma scritta di questi elementi rende nullo il contratto e definisce i lavoratori come dipendenti a tutti gli effetti dell’azienda utilizzatrice. Nel contratto vanno altresì indicate Norme e leggi di parità e conciliazione 17 le mansioni da svolgere, il luogo, l’orario, l’inquadramento e il trattamento economico e normativo delle prestazioni. La durata del rapporto con l’utilizzatore è definita dal contratto; la dipendenza del lavoratore dal somministratore può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato. Nel caso di contratto di somministrazione a tempo indeterminato, il lavoratore avrà diritto a percepire un’indennità mensile di disponibilità per i periodi in cui non viene inviato presso imprese utilizzatrici, ma rimane in attesa di assegnazione. La misura dell’indennità mensile non può essere inferiore a € 350. I lavoratori dipendenti del somministratore hanno diritto allo stesso trattamento economico e normativo applicato ai dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte. Circolare Ministeriale 24 giugno 2004, n. 25 Il contratto d’inserimento Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 54 - 59 Il contratto di inserimento è un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato finalizzato ad inserire o reinserire determinate categorie di lavoratori nel mercato del lavoro. Per raggiungere tale obiettivo viene elaborato un progetto individuale mirato ad adeguare le competenze professionali del lavoratore / della lavoratrice al contesto lavorativo in cui viene inserito. Il progetto di inserimento prevede almeno 16 ore di formazione teorica su prevenzione antinfortunistica, disciplina del rapporto di lavoro e organizzazione aziendale. Questo contratto può essere stipulato con le seguenti categorie di persone: • soggetti di età tra i 18 e i 29 anni (senza incentivi); • disoccupati di lunga durata da 29 fino ai 32 anni; • disoccupati con più di 50 anni; • lavoratori che desiderino riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno 2 anni • donne disoccupate in aree in cui il tasso di occupazione femminile è inferiore del 20% di quello maschile o il tasso di disoccupazione femminile è superiore del 10% di quello maschile • persone riconosciute affette, rispetto la normativa vigente, con grave handicap fisico, mentale o psichico. I datori di lavoro che possono assumere con contratto di lavoro di inserimento sono: 18 Lavoro Circolare Ministeriale 22 febbraio 2005, n. 7 Circolare Ministeriale 21 luglio 2004, n. 31 Decreto Legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 Legge 14 maggio 2005, n. 80, art. 1 bis • gli enti pubblici economici, imprese e loro consorzi • i gruppi di imprese • le associazioni professionali, socio-culturali, sportive • le fondazioni • gli enti di ricerca, pubblici e privati • le organizzazioni e associazioni di categoria. Il datore di lavoro non è obbligato ad assumere al termine del contratto, ma qualora intendesse stipulare nuovi contratti di inserimento deve aver mantenuto in servizio, nei precedenti 18 mesi, il 60% dei contratti d’inserimento in scadenza. Il contratto di lavoro deve essere stipulato in forma scritta (altrimenti è nullo) e deve indicare il progetto individuale di inserimento. Non può durare meno di 9 mesi e più di 18 (con proroga fino a 36 per portatori di handicap). Nel calcolare i tempi di durata del contratto non si devono conteggiare i periodi di astensione per maternità, servizio civile. L’inquadramento non può essere inferiore di più di due livelli rispetto alla categoria spettante. Le percentuali di lavoratrici/tori in contratto d’inserimento possono essere stabilite dai contratti collettivi. Le lavoratrici con questo tipo di contratto non sono incluse nell’applicazione di particolari istituti normativi e contrattuali. Legge 24 dicembre 2007, n. 247 Decreto 10 marzo 2004 del Min. del Lav. e delle Pol.Soc. Decreto Legisl. 6 ottobre 2004, n. 251, art. 10 Decreto 23 ottobre 2004 del Min. del Lav. e delle Pol.Soc. Il lavoro intermittente ( Lavoro a chiamata o Job on call) Questo contratto di lavoro è soprattutto applicato nel settore del turismo e dello spettacolo, deve essere stipulato in forma scritta, prevede che una lavoratrice / un lavoratore si ponga a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa su chiamata per esigenze individuate dai contratti collettivi. Il lavoratore riceve quindi una retribuzione per le ore di lavoro effettivamente svolte e un importo definito indennità “di disponibilità”, ove prevista, per le ore non lavorate. Il lavoratore è così tenuto a prestare la propria opera ogni volta che il datore di lavoro lo richiede e a rimanere a disposizione per il periodo stabilito, fino alla successiva chiamata. In attesa dei contratti collettivi, il contratto di lavoro intermittente può essere comunque Norme e leggi di parità e conciliazione 19 stipulato con disoccupati con meno di 25 anni o più di 45 anni. E’ vietato nei casi di: • sostituzione di lavoratrici/ori in sciopero; • nelle aziende in Cig; • nelle aziende con licenziamenti collettivi nei 6 mesi precedenti che abbiano riguardato lavoratori con le stesse mansioni; • nelle aziende inadempienti verso la normativa sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Decreto 30 dicembre 2004 del Min. del Lav. e delle Pol. Soc. di concerto con il Min. Econ. e Fin. Il lavoro ripartito (Job sharing) Circolare del Ministero del Lavoro 7 aprile 1998, n. 43 Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. da 41 a 45 Due lavoratrici/tori assumono in solido, un obbligo lavorativo subordinato con il datore di lavoro. Le/i lavoratori/trici hanno la facoltà di modificare la distribuzione dell’orario di lavoro (comunicandolo al datore di lavoro settimanalmente). Eventuali sostituzioni da terzi vanno concordate con il datore di lavoro. Le dimissioni o il licenziamento di una/o delle/i lavoratrici/ori coobbligate/i comporta, salvo intese diverse, l’estinzione dell’intero contratto. La regolamentazione del lavoro ripartito è demandata ai contratti collettivi nazionali (in assenza vale la normativa sul lavoro subordinato part-time). Alle lavoratrici/lavoratori spetta il diritto di assemblea. Il lavoro di pubblica utilità Sono opportunità di lavoro attivate presso Enti Pubblici (ministeri, enti locali, etc.) che propongono alle persone titolari di trattamento di CIGS, indennità di mobilità e altro trattamento speciale di disoccupazione, un lavoro di pubblica utilità, percependo un sussidio corrisposto dall’Inps di € 413,17 con la possibilità di un eventuale importo integrativo da parte dell’ente promotore. Gli enti che promuovono i lavori di pubblica utilità emettono un bando, che viene esposto presso i Centri per l’Impiego, nel quale sono indicati i requisiti (titoli di studio o attestati di qualifica) necessari per essere inserite in questa attività. 20 Lavoro Circ. Ministeriale 3 febbraio 2005, n. 4 Legge 14 maggio 2005, n. 80, art. 1 bis La partecipazione ai lavori di pubblica utilità non determina l’instaurarsi di un rapporto di lavoro subordinato, né la cancellazione dalle liste di collocamento. Tutte le lavoratrici e i lavoratori iscritte/i alle liste di mobilità, non possono rifiutare l’eventuale chiamata ad un lavoro di pubblica utilità, pena la cancellazione dalle liste di mobilità IL LAVORO “PARASUBORDINATO” Rientrano in questa categoria quelle tipologie di contratti che non prevedono un rapporto di lavoro dipendente nonostante si instauri tra la lavoratrice e il datore di lavoro una forma di collaborazione svolta sotto l’indirizzo e nell’interesse di quest’ultimo. Sono comunque prestazioni lavorative regolate da un contratto stipulato tra le parti senza richiedere l’iscrizione ad albi professionali né l’apertura di una partita IVA. Gli elementi essenziali sono: • raggiungimento di un risultato da parte del/della lavoratrore/lavoratrice; • realizzazione con propria organizzazione; • esistenza del rischio professionale. Elementi non presenti sono: • potere direttivo del datore di lavoro; • osservanza di un orario di lavoro; • applicazione del potere disciplinare. Le forme più usate di attività di lavoro “parasubordinato” sono il lavoro a progetto (collaborazione coordinata e continuativa) e la collaborazione saltuaria e occasionale. Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. da 61 a 69 Lavoro a progetto Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 1/2004 Gli elementi che contraddistinguono questo tipo di rapporto (art. 409 c.p.c.) sono la prevalenza del lavoro personale, la struttura utilizzata, la continuità di impegno per il committente e la coordinazione funzionale con l’organizzazione aziendale nei limiti dell’autonomia professionale del/della lavoratore/lavoratrice. Il rapporto di lavoro a progetto deve essere riconducibile a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso. Al lavorato- Norme e leggi di parità e conciliazione 21 re /alla lavoratrice è applicata una ritenuta d’acconto per fasce di reddito, pari a quella della lavoro dipendente, e inoltre si versa un contributo INPS. Si possono instaurare rapporti di lavoro con più committenti. Decreto Legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 Prestazione occasionale Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. da 70 a 74 Ha carattere della saltuarietà e non deve essere di durata superiore ai 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente. Il compenso per lo svolgimento della prestazione non deve essere superiore a 5.000 euro. Il lavoratore/la lavoratrice autonomo/a occasionale con compensi fino a € 5.000 nell’anno solare non è obbligato ad iscriversi alla gestione separata. Il lavoratore/la lavoratrice autonomo/a occasionale con compensi superiori a €5.000 nell’anno solare è obbligato ad iscriversi alla gestione separata. Decreto Legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 Legge 14 maggio 2005, n. 80, art. 1 bis Associazione in partecipazione All’interno del lavoro autonomo rientra l’associazione in partecipazione. Si tratta di un contratto (art. 2549 c.c.) con cui l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili (dell’impresa o di uno o più affari) in cambio di un determinato apporto di capitale oppure di una parasubordinata prestazione lavorativa. L’associato partecipa indirettamente alla gestione e direttamente al rischio d’impresa e quindi anche alle perdite. Negli ultimi tempi questa forma contrattuale si è impropriamente diffusa nel settore del commercio. In molti negozi, anziché assumere le commesse con un contratto di lavoro dipendente, preferiscono farlo in questo modo. All’interno di questa tipologia rientrano le attività svolte in modo individuale o sotto forma di società. E’ necessario aprire la partita IVA, tenere le scritture contabili e per 22 Lavoro IL LAVORO “AUTONOMO” alcune figure professionali l’iscrizione agli albi. Esempi di lavoro autonomo sono i liberi professionisti, i piccoli commercianti, gli artigiani e gli imprenditori. I TIROCINI FORMATIVI E DI ORIENTAMENTO Il tirocinio non è un contratto di lavoro, ma uno strumento per facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro. Per realizzare un momento di alternanza tra studio e lavoro e agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza del lavoro, o dopo periodi di lunga disoccupazione è possibile utilizzare questo strumento. Gli imprenditori pubblici e privati possono stipulare convenzioni con i Centri per l’Impiego, le scuole, i centri di formazione professionale e le università. La durata dei tirocini non supera i 12 mesi, mentre per i portatori di handicap il limite è 24 mesi. Le persone disoccupate possono rivolgersi ai Centri per l’Impiego, dichiarare il proprio interesse per questo percorso ed essere orientati presso un’azienda disponibile ad accogliere il tirocinante. Con l’individuazione dell’azienda viene definito con essa un progetto di tirocinio, che formalizza l’impegno formativo dei soggetti coinvolti, gli obiettivi prefissati e le modalità di raggiungimento degli stessi, e stipulata la convenzione. L’azienda si impegna ad individuare un tutor che affianchi il tirocinante, ad assicurarlo presso l’INAIL e la responsabilità civile, a comunicare e a far rispettare le norme in materia di igiene e di sicurezza sul lavoro. LE MOLESTIE SESSUALI SUI LUOGHI DI LAVORO Ancora oggi sul lavoro si può essere vittime di molestie sessuali. L’Unione Europea definisce “molestia sessuale ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale, o qualsiasi altro tipo di comportamento basato sul sesso indesiderato e che sia percepibile, secondo ragionevolezza, come offensivo alla dignità ed alla libertà della persona che ne è oggetto, ovvero che sia suscettibile di creare un clima di intimidazione e di umiliazione nei confronti della persona”. La raccomandazione invitava gli Stati membri dell’Unione a legiferare in materia e a definire codici di comportamen- Raccomandazione Europea n. 92/131 del 27 novembre 1991 Norme e leggi di parità e conciliazione 23 to per prevenire le molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Molte categorie del settore pubblico e privato hanno recepito la direttiva definendo nei contratti codici di comportamento, mentre lo Stato, malgrado la presentazione di numerosi disegni di legge, non ha ancora legiferato in materia. Oggi per difendersi legalmente da questo abuso si può ricorrere alla Consigliera di Parità in base alla legge n. 125 del 1991 facendo rientrare le molestie sessuali tra le discriminazioni sul lavoro in ragione del sesso. La Consigliera di Parità provinciale, in quanto pubblico funzionario, può svolgere un primo accertamento dei fatti e fare rapporto all’autorità giudiziaria se si riscontrano gli estremi del reato. L’art. 2087 del Codice civile attribuisce al datore di lavoro la responsabilità di adottare ogni misura necessaria per tutelare l’integrità fisica, la personalità e la morale dei dipendenti. Se si subiscono molestie sessuali non bisogna vergognarsi, tacere o isolarsi e tanto meno licenziarsi, ma utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, denunciando il fatto e pretendere di poter lavorare in un ambiente sereno e rispettoso della propria persona. La Regione Lombardia in conformità a quanto disposto dalla UE riafferma che ogni atto, a connotazione sessuale, che oggettivamente pregiudichi la libertà e la dignità delle persone che lavorano, costituisce discriminazione ai sensi della legge del 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4 – 1° e 2° comma. Sono comprese, nei comportamenti discriminatori, le molestie sessuali intese quali comportamenti indesiderati a connotazione sessuale o qualunque altro tipo di comportamento basato sul sesso che offende la dignità delle donne e degli uomini. Rientrano fra questi, con aspetti di particolare gravità, i comportamenti che, esplicitamente o implicitamente, siano accompagnati da minacce o ricatti da parte del datore di lavoro o dei superiori gerarchici, in relazione all’occupazione, alle qualifiche, alle promozioni, ai trasferimen- 24 Lavoro INDIRIZZI REGIONALI PER L’ELABORAZIONE DI CODICI DI CONDOTTA CONTRO LE MOLESTIE SESSUALI NEI LUOGHI DI LAVORO DELLA REGIONE LOMBARDIA ti, ai licenziamenti, alle condizioni di lavoro comunque configurate. Sono equiparate ai comportamenti sopra indicati, tutte le situazioni in cui il rifiuto e l’accettazione da parte di una persona di tali comportamenti, vengano utilizzati, esplicitamente o implicitamente, per determinare una decisione inerente l’accesso al lavoro, alla formazione professionale, all’assunzione, al mantenimento del posto di lavoro, alla promozione, alla retribuzione o a qualsiasi altro elemento riguardante il rapporto di lavoro. La Regione Lombardia sollecita i datori di lavoro pubblici e privati, sentite le organizzazioni sindacali e i comitati pari opportunità, a elaborare dei codici di condotta contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro. I destinatari sono invitati a nominare figure di riferimento con idonee competenze e capacità professionali, da individuarsi, sentiti i comitati pari opportunità, anche tra organismi di tutela già istituiti o tra figure esterne ai luoghi di lavoro ed alla gerarchia aziendale. Tali figure potranno intervenire liberamente per cogliere segnalazioni, per dare consigli e pareri su comportamenti da tenere per realizzare, in via generale, tutto quanto necessario a favorire l’eliminazione del fenomeno, nel rispetto del principio di riservatezza ed imparzialità. Qualora sia ritenuto opportuno, in relazione alle caratteristiche aziendali e all’ampiezza del fenomeno delle molestie, si sollecita l’introduzione di procedure aziendali, formali e/o informali, volte a prevenire una eventuale fase contenziosa della questione. Tali procedure dovranno avere carattere di riservatezza e di sollecitudine; dovranno inoltre garantire un’adeguata assistenza alle parti, fermo restando i principi della libera iniziativa giudiziaria e della irrilevanza degli elementi di prova raccolti agli effetti dell’eventuale successivo processo disciplinare (che dovrà comunque svolgersi a norma di legge e/o regolamento). Dovranno anche essere previste norme protettive per chi ha denunciato le molestie e per chi ha testimoniato a favore del/della denunciante, nonché norme sanzionatorie di eventuali comportamenti ritorsivi nei loro confronti. I destinatari sono invitati, una volta stesi i rispettivi regolamenti, a portarli a conoscenza dei dipendenti con idonee forme di diffusione. Sono invitati altresì a promuovere momenti di sensibiliz- Norme e leggi di parità e conciliazione 25 zazione ed informazione rivolti a dipendenti e dirigenti, al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali e di favorire un ambiente dignitoso nei luoghi di lavoro. 26 Lavoro DIRITTO DI FAMIGLIA LA RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA Legge n. 151 del 19 maggio 1975 Questa legge, tra le più avanzate d’Europa, è stato il risultato di una lunga e tenace azione delle donne, che sono riuscite così ad ottenere la modifica del codice di famiglia fermo alle norme dell’ottocento. La legge modifica radicalmente la concezione del ruolo subalterno delle donne nella famiglia, riconoscendo a tutti e due i coniugi pari diritti, pari responsabilità, pari libertà e pari dignità. Sintesi dei punti più importanti: 1. Parità tra i coniugi Per contrarre matrimonio è necessario essere maggiorenni (18 anni) salvo alcuni casi gravi in cui la legge ammette il matrimonio a 16 anni con decreto del Tribunale per i Minorenni. Con il matrimonio marito e moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri. Ambedue i coniugi contribuiscono con le loro capacità ai bisogni della famiglia. Di comune accordo uomo e donna concordano l’indirizzo della vita familiare e concordano la residenza. Il domicilio di ciascuno dei coniugi può anche essere luogo diverso dalla residenza familiare in base alla sede principale dei propri affari e interessi. La moglie conserva il suo cognome ed aggiunge quello del marito, così pure conserva la sua nazionalità se sposa uno straniero. In caso di disaccordo su queste norme può intervenire il Pretore. 2. Rapporti tra genitori e figli Entrambi i genitori esercitano la potestà sui figli in misura uguale e devono tenere conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli stessi. Norme e leggi di parità e conciliazione 27 Il giudice può togliere la potestà ai genitori solo se vi è violazione o trascuratezza dei doveri, ma anche per eccesso o abuso di potestà. I figli maggiorenni che convivono con la famiglia sono tenuti, per legge, a contribuire al mantenimento della famiglia in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito. Viene stabilita la piena parità tra i figli nati nel matrimonio e fuori dal matrimonio. I genitori effettivi del bambino possono riconoscerlo come proprio anche se non sono sposati o se sono sposati con altri, assumendo così tutti i doveri e i diritti che hanno nei confronti dei figli legittimi. 3. Regime patrimoniale Per capire meglio i nuovi concetti introdotti è necessario ricordare che fino al 1975 esisteva l’istituto della “dote”, qualcosa che la donna o chi per essa, doveva portare per compensare il peso che il marito si assumeva sposandola. Viene introdotta la comunione dei beni, per cui tutti i beni che vengono acquisiti dalla famiglia sono considerati di ambedue i coniugi in pari diritto, tenendo conto anche del lavoro domestico quale contributo reale al benessere di tutti. Sono esclusi dalla comunione i beni personali di cui i coniugi erano proprietari prima del matrimonio e quelli acquisiti dopo il matrimonio per donazione o eredità, i beni strettamente personali e quelli che servono per l’esercizio della professione di uno dei coniugi. La comunione dei beni si scioglie per interdizione, per cattiva amministrazione, per mancanza di collaborazione nel contribuire al bene comune da parte di uno dei coniugi, oppure per separazione, divorzio o annullamento del matrimonio. 4. Eredità Le modifiche più rilevanti, in materia di eredità, riguardano la piena equiparazione fra figli nati nel matrimonio e nati fuori dal matrimonio. 28 Diritto di famiglia L’articolo 185 recita: “al padre e alla madre succedono i figli legittimi e naturali in parti uguali”. Il/la genitore/coniuge viene incluso a pieno diritto fra gli eredi. L’articolo 189 garantisce al coniuge, in caso di concorso con i figli legittimi o naturali, la metà dell’eredità, se vi è un solo figlio, un terzo se i figli sono più di uno. 5. Separazione La separazione tra i coniugi può essere giudiziale (art. 706 cod. proc. civ.) o consensuale (art. 711 cod. proc. civ.). Nel primo caso si apre un vero e proprio procedimento giudiziario in cui ogni parte mirerà a dimostrare il fondamento delle proprie richieste; nel secondo invece le parti stabiliscono di comune accordo le condizioni che regoleranno gli aspetti della loro separazione (assegnazione casa coniugale, affidamento dei figli, assegno di mantenimento, ecc.) e il Tribunale, in una sola udienza, omologherà tale accordo ove non contrario alla legge. Se nella separazione giudiziale l’assistenza legale è obbligatoria, nel caso di separazione consensuale, è consentita la separazione senza difensori. Sono disponibili presso le Cancellerie del Tribunale di competenza dei moduli fac simile che permettono ai coniugi di comparire direttamente davanti al Presidente del Tribunale. Ciò è utile in casi di per sé semplici, per il resto una consulenza legale è sempre consigliabile. Si ricorda, tuttavia, che tutti i provvedimenti riguardanti la famiglia sono validi sino a che la situazione di fatto che li ha determinati resti immutata. Essi infatti sono modificabili in ogni tempo se ricorrono giustificati motivi o mutano le circostanze. Il procedimento si attiva su istanza di parte ed è necessaria l’assistenza del difensore. Anche in materia di separazione, ove ricorrano i presupposti di legge, si può accedere al Gratuito Patrocinio rivolgendosi all’Ordine degli Avvocati della propria città che dispone dell’elenco degli avvocati iscritti alle apposite liste. Il limite di reddito fissato dalla legge è di € 9.723,84 risultante dall’ultima dichiarazione (cfr. art. 76 d.p.r. 115/2002). Norme e leggi di parità e conciliazione 29 Sono 3 i concetti nuovi introdotti da questa legge. • Si può ottenere la separazione quando si verificano cause indipendenti dalla volontà di uno o di ambedue i coniugi tali da rendere intollerabile la convivenza. • Al giudice è richiesto di non imputare colpe, ma di verificare una situazione obiettiva: quella della intollerabilità. • In caso di separazione il giudice stabilisce l’affidamento dei figli “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essi”. Il divorzio può essere giudiziale o congiunto a seconda che le parti trovino o meno un accordo rispetto a quanto già stabilito in sede di separazione. L’assistenza legale è in entrambi i casi obbligatoria. Ai sensi dell’art. 19 della L. 74 del 1987, in sede di separazione e divorzio, ove le parti siano d’accordo, si può procedere nel medesimo atto di separazione o divorzio a cessioni di quote di proprietà immobiliare (es. casa coniugale in comproprietà tra i coniugi) in regime di totale esenzione da imposte e tasse. Lo scioglimento del matrimonio può essere domandato da uno dei due coniugi nei seguenti casi: • quando l’altro coniuge è stato condannato per fatti avvenuti anche prima del matrimonio: a) all’ergastolo o a pena superiore ai 15 anni di reclusione; b) a qualsiasi pena detentiva per reati di incesto o per istigazione o sfruttamento della prostituzione di un discendente anche adottivo; c) a qualsiasi pena detentiva per omicidio o tentato omicidio a danni di uno dei familiari; • quando l’altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti sopraddetti; • quando sono trascorsi tre anni dalla separazione giudiziale o consensuale o di fatto; • quando il matrimonio non è stato consumato. In questo caso il ricorso, corredato da una documentazione della situazione matrimoniale, va inoltrato al presidente 30 Diritto di famiglia DISCIPLINA DEI CASI DI SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO Legge n. 898 del 1 dicembre 1970 Legge n. 74 del 6 Marzo 1987 Legge n.54 del 8 febbraio 2006 del Tribunale della zona di residenza di uno dei due coniugi; • quando l’altro coniuge cittadino straniero ha ottenuto all’estero l’annullamento del matrimonio o ha contratto, sempre all’estero, nuove nozze. Dopo un tentativo di conciliazione (obbligatorio), il presidente nomina il giudice istruttore e fissa la data di udienza entro un termine non superiore a un anno. In tale data il Tribunale, accertata l’esistenza di uno dei casi previsti per lo scioglimento del matrimonio, pronunzia la sentenza e dispone: • l’obbligo di un contributo finanziario a favore del coniuge meno abbiente, tenendo conto della capacità reddituale dell’altro coniuge (il diritto al contributo cessa se il coniuge avente diritto passa a nuove nozze). • l’obbligo di tutti e due i coniugi di educare, mantenere, istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio – l’obbligo rimane anche in caso di nuove nozze di uno o di tutti e due i genitori. L’importo economico con adeguamento automatico agli indici di svalutazione monetaria per il mantenimento dei figli è da versare al coniuge a cui vengono affidati. Nell’interesse dei minori e in relazione all’età degli stessi, il Tribunale decide a quale dei genitori affidare i figli, inoltre può decidere l’affidamento congiunto o alternato. La sentenza di scioglimento del matrimonio diventa definitiva solo dopo che si è trovato l’accordo economico. Se dopo la sentenza di divorzio sopravvengono giustificati motivi, il Tribunale, su istanza di parte, può modificare la disposizione di affidamento dei figli e i contributi economici. È bene sapere che se si hanno redditi molto bassi o si è privi di redditi e si ha bisogno di assistenza legale, si ha diritto al patrocinio gratuito che va richiesto presso il Tribunale in cui si presenta istanza di divorzio. È importante rivolgersi ad una Associazione di donne o ai consultori familiari che danno informazioni e assistenza in merito a questi problemi. Norme e leggi di parità e conciliazione 31 Con questa legge viene modificato l’articolo 155 del codice civile il quale modificato recita che “in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi (…)”. Questa legge perciò stabilisce che: • prioritariamente il giudice valuta la possibilità dell’affidamento congiunto del minore ad entrambi i genitori; • il ruolo paterno deve essere rivalutato attraverso la condivisione delle responsabilità e la “bigenitorialità”; • madre e padre hanno gli stessi diritti/doveri per tutto ciò che concerne il futuro del minore, dalla cura all’educazione, istruzione e formazione tenendo conto dei suoi desideri,delle capacità ed inclinazioni; • l’affidamento deve essere esclusivo ad uno solo dei genitori qualora il giudice ritenga che l’affidamento anche all’altro genitore sia contrario all’interesse del minore; • l’affidamento esclusivo può essere disposto dal giudice, anche su richiesta di ciascun genitore; la richiesta può essere proposta in qualsiasi momento. In merito all’affidamento condiviso va inoltre rilevato che : • l’affidamento ad uno solo dei genitori costituisce l’eccezione alla regola generale ed è consentita solo se l’affidamento condiviso sia contrario all’interesse del minore. La contrarietà deve essere accertata in concreto. • ciascuno dei genitori è tenuto a mantenere i figli in misura proporzionale ai propri redditi e il Legislatore ha fissato i criteri cui attenersi nella determinazione concreta: le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. • qualora il giudice ne ravvisi l’opportunità e vi sia il consenso delle parti, i provvedimenti potranno essere rinviati all’esito di un percorso di mediazione familiare. • la normativa è estesa anche ai figli naturali. 32 Diritto di famiglia SEPARAZIONE DEI GENITORI E AFFIDAMENTO CONDIVISO DEI FIGLI Legge n. 54 del 8 febbraio 2006 VIOLENZA SESSUALE NORME CONTRO LA VIOLENZA SESSUALE Legge n. 66 del 15 febbraio 1996 Lungo e sofferto è stato il cammino delle donne per affermare il diritto alla sessualità libera e condivisa e l’intangibilità del proprio corpo. Finalmente una legge di civiltà e dignità che rende giustizia alle donne, poiché stabilisce che la violenza sessuale, carnale e atti di libidine violenta, non sono più delitti contro la morale ma delitti contro la persona. L’entrata in vigore della legge ha dato coraggio a tante donne di denunciare le violenze subite. Per combattere il fenomeno, in Italia si sono costituite Associazioni di donne che assistono legalmente e psicologicamente le vittime della violenza. Che cosa prevede la legge: • vengono abrogati gli articoli 530, 539, 541, 542 e 543 del Codice Penale perché riferiti a delitti contro la morale; • nel Codice Penale viene inserito il delitto contro la persona (abrogando delitti contro la morale) e le norme contro la violenza sessuale. Dopo l’articolo 609 del Codice Penale si inseriscono 9 articoli che prevedono: 1.tutti gli atti sessuali non condivisi, cioè imposti con violenza, minaccia, inganno o abusi di autorità, abusando di condizioni di inferiorità fisica e psichica, sono considerati violenza sessuale contro la persona, perciò punibili con la reclusione da 5 a 10 anni; 2.la pena è aumentata da 6 a 12 anni se compiuti: nei confronti di minorenni con meno di 14 anni, con uso di armi o sostanze alcoliche, stupefacenti, etc. lesive alla salute della persona offesa, su persona sottoposta a limitazione della libertà personale, nei confronti di minorenni sotto i 16 anni se il colpevole è ascendente, genitore (anche adottivo) o tutore. Se il fatto è commesso nei confronti di un minore sotto i 10 anni la pena viene elevata da 7 a 14 anni di reclusione; 3.tutti gli atti sessuali anche condivisi compiuti con minore di 14 anni sono puniti da 5 a 10 anni di reclusione. Riconoscendo la sessualità ai minori, sono consentiti Norme e leggi di parità e conciliazione 33 rapporti sessuali tra minori entrambi consenzienti solo se c’è una differenza di età tra i due non superiore a 3 anni e se il più giovane ha almeno 13 anni compiuti; 4.chi fa assistere minori con meno di 14 anni ad atti sessuali è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni; 5.il colpevole di violenze o atti sessuali su minorenni non può invocare come scusante l’ignoranza dell’età della persona offesa; 6.i delitti di violenza sessuale sono punibili su querela (denuncia) della persona che ha subito violenza. La querela è irrevocabile. Si procede d’ufficio nei casi in cui il reato è compiuto su persone con meno di 14 anni, dal genitore, anche adottivo, da un tutore o da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, o se il fatto è connesso con altri delitti; 7.le violenze sessuali di gruppo sono punite da 6 a 12 anni; 8.le condanne per violenza sessuale comportano: la perdita della patria potestà, l’interdizione perpetua alla tutela e curatela. Inoltre i rei di violenza sessuale saranno soggetti ad accertamenti per l’individuazione di patologie sessualmente trasmissibili. 9.della violenza sessuale esercitata su un minore di 14 anni, deve essere informato il Tribunale dei minori. Ai minori, oltre che l’assistenza affettiva e psicologica della famiglia, deve essere garantita l’assistenza dei servizi minorili per tutta la fase del procedimento penale, inoltre il Giudice può stabilire, se lo ritiene necessario o opportuno, che l’udienza del minore possa svolgersi anche in luogo diverso dal Tribunale. Tutti i processi per violenza sessuale in cui sono coinvolti minori si devono svolgere a porte chiuse, in tutti gli altri casi solo se esplicitamente richiesto dalla parte offesa. In tutta la fase istruttoria e processuale deve essere garantita la dignità e la personalità della persona che ha subito violenza, non sono perciò ammesse indagini, domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa. È fatto divieto divulgare, anche attraverso mezzi di comunicazione, le generalità o le immagini della persona che ha subito violenza senza il suo consenso, la trasgressione è punita con l’arresto da 3 a 6 mesi. 34 Violenza sessuale Infine si può accedere al Gratuito Patrocinio rivolgendosi all’Ordine degli Avvocati della propria città che dispone dell’elenco degli avvocati iscritti alle apposite liste. Il limite di reddito fissato dalla legge è di € 9.723,84 risultante dall’ultima dichiarazione (cfr. art. 76 d.p.r. 115/2002). MISURE CONTRO LA VIOLENZA NELLE RELAZIONI FAMILIARI Legge n. 154 del 4 aprile 2001 Con questa legge le vittime possono denunciare il maltrattatore anche attraverso il Codice di procedura civile, semprechè gli atti compiuti dal maltrattante non siano perseguibili d’ufficio per via penale. Per via civile le procedure sono più veloci e semplificate. La legge prevede che: • in situazioni di accertato maltrattamento, il giudice prescriva all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare e di non accedervi senza la sua autorizzazione; • se sussistono esigenze di tutelare l’incolumità della persona maltrattata o dei suoi prossimi congiunti, il giudice ordini al maltrattante di non avvicinarsi ai luoghi in cui vive o che frequenta abitualmente la vittima; • il giudice possa ingiungere al maltrattante il versamento di un assegno periodico qualora i conviventi rimangano privi di sussistenza per effetto del suo allontanamento; • l’ammontare dell’assegno venga fissato dal giudice, il quale può ordinare che l’assegno sia versato direttamente alla vittima detraendolo dalla retribuzione spettante all’imputato. L’ordine di allontanamento e di pagamento ha immediata esecutività; • il giudice possa disporre, a sostegno delle vittime, se necessario, l’intervento dei servizi sociali, di associazioni che aiutano e sostengono donne e minori maltrattati, o di un centro di mediazione familiare; • il periodo di allontanamento dalla famiglia del maltrattante non possa essere superiore a 6 mesi, può essere prorogato soltanto se dovessero sussistere gravi motivi; • in situazioni di violenza, abusi o maltrattamenti, la denuncia possa essere fatta direttamente dalla vittima, la quale presenta istanza presso il tribunale del luogo di Norme e leggi di parità e conciliazione 35 domicilio e residenza della stessa; • il Presidente del tribunale che ha ricevuto l’istanza, nomini il giudice, il quale, nel caso di urgenza, assunte sommarie informazioni, può adottare l’ordine di protezione fissando l’udienza delle parti entro un termine di 15 giorni e, se assunto il provvedimento di allontanamento, notifica la decisione entro un termine non superiore a 8 giorni; • il maltrattante possa ricorrere contro la decisione del giudice. Il ricorso non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione, ovvero dell’allontanamento, che resta valido fino ad eventuale diversa ordinanza della Camera di consiglio del tribunale; Le norme di questa legge si applicano anche nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente. In presenza di richiesta di separazione e di scioglimento del matrimonio non può essere richiesta l’applicazione di questa legge. Le donne che subiscono violenze, abusi o maltrattamenti fisici o morali, che vogliono avvalersi di questa legge, possono rivolgersi ai Consultori familiari o alle associazioni femminili del territorio per essere aiutate e assistite. 36 Violenza sessuale MATERNITA’, PATERNITA’ E POLITICHE DI CONCILIAZIONE TUTELA DELLE LAVORATRICI MADRI E DIRITTI ALLA MATERNITÀ E ALLA PATERNITÀ LAVORO DIPENDENTE Legge n. 1204 del 30 dicembre 1971 Legge n. 53 del 8 marzo 2000 Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 (Testo Unico) La prima legge sui diritti e le tutele delle lavoratrici madri è la n. 860, varata nell’agosto del 1950, legge importante che definisce per la prima volta le assenze per maternità, le ore di allattamento, gli asili nido e il divieto di licenziamento entro il primo anno di vita del bambino. La legge 1204/1971 ‘Tutela delle lavoratrici madri’ amplia ed estende questi diritti, introduce il concetto del diritto del bambino a essere accudito e introduce i primi elementi di condivisione genitoriale nell’accudimento dei figli. Fino ad arrivare nel 2000 a una grande conquista sociale: la legge n. 53 dell’ 8 marzo ‘Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città’ che in parte modifica alcuni articoli della legge 1204/71. La 53/2000 è una legge frutto del lavoro di tanti anni sui temi della parità tra uomo e donna e che nasce dall’esperienza delle donne che quotidianamente faticano per conciliare i tempi di vita e di cura e i tempi di lavoro. Una novità importante introdotta è che vengono estesi anche ai padri parte dei diritti fino ad allora riconosciuti solo alle madri. Che cosa vietano le leggi: • le lavoratrici madri non possono essere licenziate dall’inizio della gestazione sino al compimento di un anno di età del bambino; • i lavoratori padri che usufruiscono del congedo di paternità non possono essere licenziati entro il compimento di un anno d’età del bambino; • le mamme lavoratrici durante la gravidanza non possono essere adibite a lavori pesanti, pericolosi e insalubri. Norme e leggi di parità e conciliazione 37 Il congedo di maternità La lavoratrice è obbligata ad astenersi dall’attività lavorativa 2 mesi prima e 3 mesi dopo il parto. Dietro consenso del medico specialista, l’astensione obbligatoria può essere effettuata 1 mese prima e 4 mesi dopo il parto. In presennza di: 1) forme morbose preesistenti che la gravidanza potrebbe aggravare, 2) condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino, 3) impossibilità a spostare la lavoratrice ad altre mansioni, si può chiedere all’Ispettorato del Lavoro la maternità anticipata. Se il parto avviene prima della data presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione post-parto. Il padre può utilizzare il congedo di paternità nei primi tre mesi dalla nascita del figlio per morte o per grave infermità della madre o in caso di affido esclusivo. In caso di adozione, entrambi i genitori possono usufruire, alternandosi, del congedo di maternità per 5 mesi, a partire dall’entrata del/la bambino/a in famiglia e alle stesse condizioni economiche di un/a figlio/a naturale. Per le adozioni internazionali il congedo di maternità può essere fruito prima dell’ingresso del minore in Italia, previa certificazione della durata della permanenza all’estero del/la lavoratore/trice da parte dell’ente autorizzato a curare la procedura di adozione. In caso di affido, entrambe i genitori possono usufruire, alternandosi, di 3 mesi di congedo di maternità dal momento dell’ingresso della/del figlia/o in famiglia (il limite di età è di 18 anni). Retribuzione Durante tutto il periodo dell’assenza obbligatoria la lavoratrice madre (o il lavoratore padre) ha diritto all’80% della retribuzione o al 100% in base al contratto di lavoro della categoria di appartenenza. La domanda compilata deve essere consegnata al proprio datore di lavoro e all’Inps su apposito modulo reperibile presso le Sedi Inps e sul sito www.inps.it, accompagnato dal certificato medico di gravidanza. 38 Materinità, paternità e politiche di conciliazione I riposi giornalieri La lavoratrice madre ha diritto, durante il primo anno di vita del bambino, a due periodi di riposo, anche cumulabili, della durata di un’ora ciascuno, se l’orario di lavoro è pari o superiore a sei ore giornaliere. Spetta un unico riposo di un’ora se l’orario di lavoro è inferiore alle sei ore. I periodi di riposo sono ridotti a mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice usufruisca degli asili nido, o di altre strutture idonee, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanza di essa. I periodi di riposo devono essere concordati con il datore di lavoro e sono interamente retribuiti come normale orario di lavoro. Anche il papà ne può usufruire quando: • la madre lavoratrice non ne usufruisce attraverso una specifica rinuncia; • la madre è una lavoratrice autonoma o libera professionista; • il figlio è affidato a lui, per morte o grave malattia della madre Per i genitori adottivi valgono i riposi giornalieri entro 1 anno dall’effettivo ingresso in famiglia. In caso di parto plurimo (o di più figlie/i adottate/i o affidate/i) le ore di riposo giornaliero vengono raddoppiate e le ore aggiuntive possono essere utilizzate anche dal padre. I congedi parentali È usufruibile dai lavoratori con contratto a tempo indeterminato dopo i mesi di astensione obbligatoria ed entro i primi 8 anni di vita del bambino. Se il congedo parentale o assenza facoltativa viene effettuato da uno solo dei genitori la madre ha diritto a 6 mesi di aspettativa continui o frazionati, il padre a 7 mesi di aspettativa continui o frazionati. Se entrambe i genitori usufruiscono dell’assenza facoltativa, il periodo massimo è di 10 mesi, che diventano 11 mesi se il padre utilizza, anche in modo frazionato, almeno 3 mesi. Il diritto di astensione facoltativa spetta a uno dei genitori anche se l’altro non ne ha diritto (ad esempio non lavora). Norme e leggi di parità e conciliazione 39 In presenza di un solo genitore l’aspettativa è di 10 mesi. In caso di parto plurimo ogni genitore, per ciascun figlio, ha diritto al periodo di congedo previsto. Il congedo parentale viene riconosciuto anche ai genitori adottivi o affidatari entro i primi 8 anni dall’ingresso del minore in famiglia, indipendentemente dall’età del minore o all’atto dell’adozione. Ai/lle lavoratori/trici parasubordinati e alle sole lavoratrici autonome è riconosciuta la possibilità di usufruire del congedo parentale per un totale di 3 mesi entro il primo anno di età del bambino. Retribuzione Il trattamento economico durante il congedo parentale è pari al 30% della retribuzione per un massimo complessivo per entrambi i genitori di 6 mesi e fino ai 3 anni di vita del/la figlio/a. I periodi di congedo presi oltre i 6 mesi complessivi (e fino agli 8 anni di vita del/la figlio/a), vengono retribuiti solo nel caso in cui il reddito individuale del genitore interessato non superi l’importo di 2,5 volte il trattamento minimo della pensione (nell’anno 2008, ad esempio, il tetto di reddito è di € 14.401,4). L’anzianità di servizio viene calcolata regolarmente, i periodi di congedo sono coperti da contribuzione figurativa. Non c’è maturazione di ferie o di tredicesima e quattordicesima. Gli ulteriori periodi di astensione oltre i 6 mesi o usufruiti tra i 3 e gli 8 anni di età del/la bambino/a da un genitore con reddito alto, non vengono retribuiti ma sono coperti da contribuzione figurativa ridotta. Può essere inoltre richiesta l’anticipazione del T.F.R. Per i genitori adottivi e affidatari i 6 mesi di indennità al 30% vengono retribuiti per un periodo massimo complessivo di 6 mesi tra i due genitori entro i 3 anni dall’ingresso del minore in famiglia. I genitori che intendono chiedere il congedo parentale devono presentare all’Inps e al datore di lavoro la domanda di congedo con preavviso non inferiore a 15 giorni (il modulo è disponibile presso le Sedi Inps e sul sito ww.inps.it, nella sezione moduli). 40 Materinità, paternità e politiche di conciliazione La malattia del/la bambino/a I genitori hanno diritto ad assentarsi dal lavoro ogni volta che il/la figlio/a si ammala entro i 3 anni di età, dietro presentazione di certificato medico. Dai 3 agli 8 anni, invece, ciascun genitore ha 5 giorni all’anno da usufruire per la malattia di ogni figlio. I congedi per malattia non vengono retribuiti: c’è contribuzione figurativa (utile per raggiungere il diritto alla pensione e per aumentarne l’importo) fino al terzo anno di vita, dai 3 fino agli 8 anni si ha diritto ad una contribuzione ridotta. Il ricovero ospedaliero del bambino interrompe le ferie. MATERNITÀ VALORE SOCIALE Tenendo conto delle specifiche peculiarità, parte dei diritti e delle tutele di maternità previsti per le lavoratrici madri dipendenti, si sono estesi a tutte le donne che svolgono: lavori autonomi, libere professioni, lavori parasubordinati ed interinale. Da ultimo anche alle casalinghe, alle studentesse ed alle disoccupate, affermando così il riconoscimento sociale della maternità che va garantita, protetta e sostenuta come previsto dall’art. 37 della Costituzione Italiana. LAVORO AUTONOMO Le lavoratrici autonome, le artigiane, le esercenti attività commerciali, le coltivatrici dirette, le mezzadre e le colone, hanno diritto: • all’astensione facoltativa 2 mesi prima del parto e 3 mesi dopo la nascita della/l figlia/o; a un’indennità di maternità pari all’80% della retribuzione minima giornaliera per i 5 mesi di astensione facoltativa (anche se non vi è un’effettiva assenza dal lavoro). La retribuzione minima giornaliera è definita su valori medi in base alla categoria di appartenenza; • alla copertura sul piano previdenziale/pensionistico, per mezzo della contribuzione obbligatoria, durante l’eventuale astensione facoltativa; • a 3 mesi di congedo parentale entro il primo anno di età Legge n. 546 del 29 dicembre 1987 (abrogata) Legge n. 53 dell’ 8 marzo 2000 Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 Norme e leggi di parità e conciliazione 41 della/l bambina/o, con un’indennità pari al 30% della retribuzione minima giornaliera. Il trattamento economico è subordinato all’effettiva astensione dall’attività lavorativa; • in caso di adozione, a un’indennità giornaliera dell’80% per i 5 mesi successivi all’ingresso in famiglia del bambino minorenne; • in caso di affidamento, a un’indennità giornaliera dell’80% per i 3 mesi successivi all’ingresso in famiglia del bambino minorenne. Per accedere a questi diritti si deve versare un contributo annuo al Fondo Inps pari a € 7,49 e presentare domanda documentata all’Inps entro un anno dall’evento. Notai, avvocati, farmacisti, veterinari, medici, geometri, commercialisti, ragionieri, psicologi, architetti, consulenti del lavoro (iscritti all’albo o alla cassa) hanno diritto: • all’astensione facoltativa 2 mesi prima e 3 mesi dopo il parto; • a un’indennità pari all’80% di 5/12 del reddito percepito nel secondo anno precedente quello del parto; • a un’indennità di una mensilità in caso di aborto spontaneo o terapeutico dopo il terzo mese di gravidanza; • in caso di adozione o affidamento, a percepire 3 mesi d’indennità (all’80%) dalla data d’ingresso della/l bambina/o di età non superiore a 6 anni. Per adozioni straniere fino ai 18 anni di età. Si accede a questi diritti presentando domanda documentata alla propria Cassa di appartenenza dal sesto mese di gravidanza e non oltre 180 giorni dalla nascita del figlio. LIBERA PROFESSIONE Rientrano in questa categoria coloro che sono iscritte/i alla gestione separata INPS: rapporti di lavoro “a progetto”, contratti di collaborazione coordinata e continuativa (che continua ad esistere per gli enti pubblici) o rapporti di lavoro a prestazione professionale. • Viene riconosciuto il diritto all’astensione obbligatoria dal lavoro per 2 mesi pre e 3 mesi post parto. • In questi 5 mesi di astensione obbligatoria le lavoratrici iscritte al fondo INPS gestione separata hanno diritto ad LAVORO PARASUBORDINATO 42 Materinità, paternità e politiche di conciliazione Legge n. 379 del 11 dicembre 1990 Legge n. 53 del 8 marzo 2000 Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 Decreto Ministeriale 27 maggio 1998 (abrogato) Circolare INPS n. 47 del 1 marzo 1999 Legge n. 53 del 8 marzo 2000 Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 Decreto Ministeriale 4 aprile 2002 Circolare INPS n. 138 del 29 luglio 2002 LAVORO DOMESTICO Legge n. 1204 del 30 dicembre 1971 Legge n. 53 del 8 marzo 2000 Decreto Legisl. n. 151 del 26 marzo 2001 (Testo Unico) LAVORO DISCONTINUO Legge n. 488 del 23 dicembre 1999, art. 49 Dec. Min. n. 452 del 21 dicembre 2000 una retribuzione pari all’80% del loro compenso, anche in caso di aborto spontaneo o terapeutico dopo il terzo mese di gravidanza a condizione che abbiano versato tre mesi di contributi entro le 52 settimane precedenti la maternità. • Viene riconosciuta la possibilità di usufruire di un congedo parentale di 3 mesi (retribuito al 30%) entro il primo anno di vita del bambino. • L’individuazione del compenso spettante si ottiene calcolando la retribuzione complessiva percepita nei 12 mesi precedenti l’inizio dell’interruzione obbligatoria al lavoro. • Il diritto a una indennità pari all’80% della retribuzione spetta anche in caso di adozione o affidamento per i 3 mesi successivi all’effettivo ingresso della/l bambina/o in famiglia. • Sussiste il diritto all’indennità di paternità in caso di impossibilità della madre ad avvalersi del congedo. Le lavoratrici domestiche hanno diritto al congedo di maternità anticipato e al congedo di maternità ma non al congedo parentale, ai riposi giornalieri e ai congedi per la malattia della/l figlia/o. L’astensione obbligatoria è di 5 mesi: 2 prima e 3 dopo il parto. Durante questo periodo di assenza la lavoratrice ha diritto ha un’indennità di maternità pari a 1/6 della media delle retribuzioni settimanali relative alle settimane comprese nei 24 mesi precedenti l’inizio dell’astensione obbligatoria. Per ogni figlio/a o per ogni minore adottato/a o in affidamento, le donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o extracomunitarie in possesso della carta di soggiorno, che possono far valere almeno 3 mesi di contribuzione nel periodo che va dai 18 ai 9 mesi precedenti l’ingresso in famiglia della/l bambina/o, possono richiedere un assegno di maternità, a carico dello stato, di circa 1.700 euro, rivalutabili Norme e leggi di parità e conciliazione 43 ogni anno. In alcune situazioni l’assegno è riconoscibile anche al padre o adottante o affidatario. Dec. Legisl. n. 151 del 26 marzo 2001 (Testo Unico) Circolare n. 143 del 16 luglio 2001 Le donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o extracomunitarie in possesso della carta di soggiorno e con un reddito familiare annuale non superiore al valore ISE di circa 31.223,51 euro (anno 2008) per una famiglia composta da 3 persone, possono richiedere un assegno di maternità di circa € 300 mensili per 5 mesi dalla nascita o dall’ingresso in famiglia della/l bambina/o. Il requisito del reddito economico viene riparametrato secondo le diverse composizioni familiari e rivalutato annualmente. Le lavoratrici che, per ragioni contingenti, godono di indennità di maternità di importo inferiore hanno diritto ad un assegno mensile che copra la differenza tra indennità percepita e € 300 mensili dell’assegno di maternità. La prestazione è concessa a domanda dell’interessata, previa documentazione attestante la situazione economica del Comune di residenza, il quale anticiperà gli importi che verranno successivamente rimborsati dallo Stato. Una delle principali leggi che intervengono a sostegno delle donne sul problema della conciliazione è la 53/2000. La finalità di questa legge, infatti, è quella di promuovere un equilibrio tra i tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazioni. Oltre a disciplinare tutte le tematiche legate alla maternità, definisce: • i congedi per assistenza familiare; • i permessi per figli con handicap grave; • i congedi per la formazione continua; • interventi a sostegno della flessibilità di orario; • il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell’uso del tempo per fini di solidarietà sociale. 44 Materinità, paternità e politiche di conciliazione INOCCUPATE, CASALINGHE, STUDENTESSE Legge n. 488 del 23 dicembre 1999, artt. 49 e 66 Legge n. 388 del 23 dicembre 2000, art. 80 Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 (Testo Unico) POLITICHE DI CONCILIAZIONE Legge 104 del 5 febbraio 1992 Legge regione Lombardia n. 23 del 6 dicembre 1999 Legge n. 53 del 8 marzo 2000 Legge regione Lombardia n. 28 del 28 ottobre 2004 Congedi per assistenza familiare I/le lavoratori/trici hanno diritto a: • 3 giorni lavorativi all’anno di congedo retribuito per decessi o grave infermità del coniuge convivente e di parenti; • richiedere per gravi e documentati motivi familiari (malattia del coniuge o dei genitori) un congedo non retribuito, continuativo o frazionato, per un massimo di 2 anni, senza copertura previdenziale, ma con possibilità di riscatto o versamento volontario. Permessi per figli con handicap grave Nel 1992, con il varo della legge 104/92, l’Italia fu uno dei primi paesi in Europa a intervenire legislativamente nel settore delle norme che, recependo le indicazioni dell’OMS, favoriscono l’integrazione sociale e definiscono i diritti delle persone con handicap. In seguito, la legge 53/2000 ha esteso la sfera delle misure di tutela previste all’art. 33 e il Testo Unico ha provveduto a sistematizzare e armonizzare l’intera normativa sui riposi e i permessi per i genitori di figli con handicap grave. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre anche adottivi o affidatari di minori con handicap in situazione di gravità, hanno diritto: • al prolungamento del periodo di congedo parentale fino a 3 anni di età del bambino; • in alternativa, a un permesso giornaliero retribuito di 2 ore (con orario di lavoro superiore alle 6 ore) fino al compimento del terzo anno di età del bambino. Congedi per la formazione Si amplia la possibilità di congedo per periodi di formazione professionale e continua. La durata massima dei congedi non retribuiti è di 11 mesi nell’arco della vita lavorativa. Per richiederli è necessario avere 5 anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda. È prevista la conservazione del posto ed il congedo non è cumulabile con ferie, malattia o altri congedi. Norme e leggi di parità e conciliazione 45 I contratti collettivi di riferimento definiscono criteri e modalità per garantire l’uso del diritto. Interventi a sostegno della flessibilità d’orario La legge 53/00 prevede incentivi a favore delle imprese che intendono intraprendere azioni positive attraverso una diversa organizzazione degli orari di lavoro per favorire la conciliazione degli impegni lavorativi e familiari. Le azioni che vengono finanziate sono: • introduzione di forme di flessibilità degli orari di lavoro quali part-time reversibile, orario flessibile in entrata ed uscita, Banca delle ore, telelavoro e lavoro a domicilio, turni agevolati e orario concentrato. Viene data priorità ad usufruirne ai genitori con figli sino a 12 anni (fino a 15 se in adozione/affidamento); • programmi di formazione per il reinserimento al lavoro dopo i congedi; • progetti per la sostituzione temporanea di titolari d’impresa o lavoratori autonomi che utilizzano i congedi; • programmi per la sostituzione, il reinserimento, l’articolazione della prestazione lavorativa e la formazione dei lavoratori con figli minori e disabili a carico, ovvero, con anziani non autosufficienti a carico. Il 50% dei finanziamenti è erogato a progetti di imprese con meno di 50 dipendenti. I progetti devono essere definiti e sottoscritti tra le parti sociali e vanno presentati al Comitato Nazionale di Parità a febbraio – giugno – ottobre di ogni anno. Tempi delle città e uso del tempo per fini di solidarietà sociale Le regioni, qualora non abbiano già provveduto, dovranno legiferare le norme quadro per il coordinamento da parte dei comuni di orari commerciali, orari dei servizi e degli uffici pubblici. I comuni dovranno definire un piano territoriale degli orari e dovranno dotarsi di responsabili di tempi e orari. Per i comuni sotto i 30.000 abitanti sono previste forme consortili. Il piano territoriale degli orari deve tener conto degli ef- 46 Materinità, paternità e politiche di conciliazione fetti sul traffico, sull’inquinamento, la qualità della vita cittadina, gli orari di lavoro pubblico e privato, gli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati. Per la definizione del piano è istituito un tavolo di concertazione. Viene istituito un Fondo per l’armonizzazione dei tempi delle città. Banche del tempo La legge n. 53 del 2000 e la legge regionale n. 23 del 1999, prevedono che i comuni favoriscano e sostengano la costituzione di “Associazioni banche del tempo” per incentivare i cittadini, singoli o associati, a scambiarsi parte del proprio tempo per servizi di vicinato, pratiche amministrative, uso dei servizi, con reciproca solidarietà ed interesse Norme e leggi di parità e conciliazione 47 48 Oltre la parità: pari opportunità e conciliazione LA TUTELA E IL SOSTEGNO SOCIALE NORME PER LA TUTELA SOCIALE DELLA MATERNITÀ E SULL’ INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA Legge n. 194 del 22 maggio 1978 Questa legge è in vigore a pieno diritto dal maggio 1978 e dal 16 maggio 1981, il referendum popolare ne ha proclamato la validità. Essa è direttamente collegata alla legge istitutiva dei consultori familiari pubblici ed all’abolizione dell’art. 553 del Codice Penale che vietava la propaganda e la diffusione degli anticoncezionali. La legge 194 prevede l’informazione e la conoscenza in materia di controllo delle nascite affinché la procreazione sia libera e responsabile, e riconosce alle donne il diritto a decidere per l’interruzione volontaria della gravidanza. I servizi socio sanitari devono dare tutte le informazioni e i sostegni affinché l’aborto non venga considerato mezzo per la limitazione delle nascite. La legge si prefigge di sconfiggere l’aborto clandestino, pratica ancora presente, con grave danno alla salute ed alla dignità della donna. Norme alle quali si deve attenere la donna che ha deciso di interrompere la gravidanza: • si può legalmente abortire entro 12 settimane di gestazione, quando la maternità ed il parto comportino un serio pericolo per la salute fisica e psichica della donna in relazione al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento; oppure ci siano previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. • In uno di questi casi la donna può rivolgersi: - al consultorio; - al medico di fiducia; - al Presidio Ospedaliero della sua zona. Il consultorio e la struttura socio sanitaria hanno il compito di dare alla donna tutto l’appoggio per tentare di rimuovere le cause di ordine sociale ed economico che la spingono a tale decisione, se la donna è consenziente può essere sentito anche il partner. Il medico, dopo gli accertamenti che ritiene necessari, è tenuto a dare tutte le informazioni sui consultori e sui luo- Norme e leggi di parità e conciliazione 49 ghi a cui la donna può rivolgersi per l’intervento, rilascia un certificato che attesta lo stato di gravidanza e la richiesta di interruzione e lo fa controfirmare alla donna. Se non esiste urgenza è prevista, per legge, un’attesa di 7 giorni per l’intervento. Trascorso tale termine la donna può presentarsi per ottenere l’interruzione di gravidanza presso una delle sedi autorizzate (ospedali o cliniche private accreditate). Solo in caso di urgenza reale attestata dal medico, l’intervento può essere praticato senza l’attesa dei sette giorni. • Al di là delle 12 settimane l’aborto è previsto solo: - quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; - quando siano accertate anomalie o malformazioni del feto che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. La legge prevede “l’obiezione di coscienza” per i medici e il personale paramedico che ne abbia fatto richiesta al medico provinciale in tempo utile. Garantisce comunque la possibilità di trovare medici non obiettori all’interno dei consultori e degli ospedali autorizzati all’intervento. L’accertamento, la cura e la degenza relativi all’interruzione della gravidanza attuati nelle istituzioni sanitarie sono a carico dell’assistenza sanitaria nazionale. La richiesta di interruzione della gravidanza secondo le procedure previste da questa legge è fatta personalmente dalla donna. Per le minorenni è necessario l’assenso dei genitori, in caso contrario il giudice tutelare può autorizzare l’intervento. Il medico che esegue l’intervento è tenuto a dare alla donna tutte le informazioni e le indicazioni per la prevenzione di altre gravidanze non desiderate. L’aborto clandestino è punito con la reclusione fino a tre anni per chi pratica l’intervento e con multa fino a € 51,65 per la donna. In Lombardia il 6 settembre 1976 viene approvata la legge n. 44 dal titolo “Istituzione del servizio per l’educazione 50 La tutela e il sostegno sociale CONSULTORIO PUBBLICO Legge Regione Lombardia n. 44 del 6 settembre 1976 sessuale, per la procreazione libera e consapevole, per l’assistenza alla maternità, all’infanzia, alla famiglia”. Entra così in funzione un servizio dalla concezione completamente nuova, il Consultorio a supporto delle donne e della famiglia, viene riconosciuta la sfera sessuale come componente essenziale nel rapporto di coppia. Per le donne in particolare, questa legge è una conquista importante. Considerando la maternità “libera e consapevole” si riconosce alle donne il diritto ad una propria sessualità e, quando la maternità viene scelta, si garantisce loro un’assistenza sino al momento del parto. Il Consultorio deve garantire le seguenti prestazioni: • l’educazione sessuale del singolo, della coppia e della comunità; • la diffusione delle conoscenze scientifiche e delle informazioni riguardanti tutti i metodi idonei a promuovere e a prevenire la gravidanza; • l’assistenza alla gravidanza con controlli medici ed eventuale individuazione delle gravidanze a rischio (prevenendo futuri handicap). Se richiesti possono essere organizzati gruppi per la preparazione psicoprofilattica al parto e per trattare argomenti di interesse comune, dallo sviluppo psicofisico del bambino, alla propria sessualità, alla menopausa. Il Consultorio deve, inoltre, farsi carico: • della diffusione delle conoscenze riguardanti le malattie ereditarie, familiari e congenite e, attraverso esami di laboratorio, individuare l’eventuale rischio genetico nel singolo e nella coppia (talassemia, emofilia, etc.); • delle informazioni riguardanti i criteri e i mezzi atti ad assicurare l’armonico sviluppo del neonato e del bambino nella prima infanzia (sino a tre anni); • dell’assistenza nei casi di interruzione spontanea della gravidanza e nei casi di interruzione ammessi dalla legge. Nel Consultorio operano le seguenti figure professionali: • Assistente sociale • Psicologo o specializzato in psicologia • Medico specialista in ostetricia e ginecologia • Medico specialista in pediatria Norme e leggi di parità e conciliazione 51 • Ostetrica • Assistente sanitaria visitatrice. Una “novità” significativa di questa legge è data anche dalla possibilità da parte degli utenti (attraverso loro rappresentanti) di partecipare alla programmazione, all’organizzazione e alla gestione del Consultorio. Per questo è importante che ogni donna che si rivolge al Consultorio conosca i suoi diritti e possa dunque pretendere ciò che è stabilito dalla legge. Tutte le ASL devono garantire il servizio consultoriale e la sua operatività gestionale deve essere collocata nel distretto di base. Questa è una delle poche leggi di iniziativa popolare. E’ infatti stata elaborata e presentata direttamente dalle donne, sostenuta con molte migliaia di firme, recepita e votata integralmente dal Consiglio Regionale Lombardo senza l’intermediazione dei partiti. Obiettivi centrali della legge: 1.far vivere la maternità fin dall’inizio della gravidanza come un evento naturale e non clinico; 2.assicurare il sostegno di aiuto psicologico, socio – assistenziale e sanitario necessario a garantire una gravidanza serena e sicura e di preparazione al parto; 3.‘umanizzare’ il parto e offrire alla donna la possibilità di scegliere le modalità del parto e il luogo in cui deve avvenire: ospedale, casa di maternità, proprio domicilio; 4.assicurare al bambino da 0 a 14 anni, durante gli eventuali periodi di ospedalizzazione, la continuità dei rapporti familiari, affettivi e sociali per impedire blocchi psicologici o cognitivi. Per garantire questi obiettivi, i servizi rivolti alle donne in gravidanza e ai bambini sono organizzati in forma dipartimentale e operano per i seguenti risultati: …per le donne in gravidanza/mamme… • il consultorio, la struttura ospedaliera e il servizio ter- 52 La tutela e il sostegno sociale LA TUTELA DELLA PARTORIENTE E LA TUTELA DEL BAMBINO IN OSPEDALE Legge Regione Lombardia n. 16 del 8 maggio 1987 ritoriale extraospedaliero devono operare in raccordo al fine di mantenere la stessa équipe di operatori per l’assistenza della donna dalla gravidanza al parto; • l’istituzione di una cartella ostetrico pediatrica in cui annotare tutti i dati relativi alla gravidanza, che deve essere messa a disposizione della donna e degli operatori che l’assistono durante il parto; • l’assistenza sanitaria delle gravidanze fisiologiche; • l’organizzazione di corsi di preparazione al parto per la donna e la coppia per fornire e favorire: le conoscenze relative all’evento gravidanza – parto – nascita, i luoghi dove partorire, le tecniche e le modalità per garantire travaglio e parto in condizioni psico – fisiche ottimali, lo sviluppo delle relazioni con altre donne per uno scambio delle esperienze vissute nelle fasi di gravidanza e parto; • il garantire alla donna uno spazio singolo a cui possa accedere la persona con la quale la partoriente desidera condividere l’evento; • il garantire alla donna, dopo il parto e per tutto il periodo della degenza e su sua richiesta, di tenere accanto a sé nelle ore diurne (6 – 24) il neonato e permettere le visite dei familiari senza limitazione di orari; • durante e dopo la degenza promuovere incontri formativi alle puerpere su: allattamento, cura, igiene e contraccezione; • in caso di nascita pretermine o di patologia neonatale grave, garantire la presenza dei genitori nei reparti di terapia intensiva, le visite senza restrizioni e la programmazione di incontri tra genitori e l’équipe che segue il neonato per fornire tutte le informazioni sulla patologia del neonato ed il suo evolversi. …per le/i bambine/i… • indipendentemente dalla patologia, deve essere assicurato nel reparto pediatrico il ricovero ospedaliero del bambino da 0 a 14 anni; • deve essere garantita ai genitori l’informazione continua e costante sul decorso della malattia e le terapie intraprese. I genitori possono assistere alle visite mediche, non possono essere fatte terapie sperimentali senza il consenso dei genitori; Norme e leggi di parità e conciliazione 53 • deve essere ridotta la permanenza del bambino in ospedale, in tutti i casi in cui è possibile, con servizi alternativi in day – hospital; • al bambino, in caso di lunga degenza, devono essere garantiti e favoriti incontri con fratelli e amici, affinché mantenga rapporti di relazione e socializzazione e nel reparto pediatrico devono essere allestiti locali che permettano di svolgere attività ludica e scolastica. Il valore della legge, che non ha riferimenti in altri paesi europei, è importante perché: riconosce e tutela il valore sociale ed economico del lavoro domestico, incentiva la sicurezza dell’ambiente “casa di abitazione”, assume la prevenzione come priorità, istituisce una assicurazione obbligatoria. Nello specifico la legge: • prevede un’azione di informazione ed educazione per prevenire cause di nocività e infortuni e un coordinamento territoriale dei programmi di intervento dei servizi per la sicurezza ambientale, da parte del Servizio Sanitario Locale; • intende per lavoro domestico, l’insieme delle prestazioni di cura alle persone e della casa di abitazione, svolte senza vincolo subordinato e a titolo gratuito riconoscendone il valore sociale ed economico; • istituisce un’assicurazione obbligatoria antinfortunistica per tutte/i coloro che svolgano attività domestiche in via esclusiva e senza altre forme obbligatorie di previdenza. L’assicurazione obbligatoria interessa le persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni e copre infortuni domestici che causano invalidità non inferiori al 27% con esclusione degli infortuni mortali. Il costo dell’assicurazione è fissato in € 12,91 annui esenti da ulteriori oneri e per 5 anni non si applicano penalità in caso di mancato pagamento. Per i soggetti con reddito individuale inferiore a € 4.648,11 lordi annui (€ 9.296,22 per nucleo familiare) il costo è a carico dello Stato. I Comuni, attraverso l’anagrafe, l’Amministrazione finanziaria dello Stato e l’Inail avranno il compito di individuare le persone soggette all’Assicurazione obbligatoria. 54 La tutela e il sostegno sociale NORME PER LA TUTELA DELLA SALUTE NELLE ABITAZIONI E ISTITUZIONE DELL’ ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI DOMESTICI Legge n. 493 del 3 dicembre 1999 SOSTEGNI ALLA FAMIGLIA ASILI NIDO PIANO QUINQUIENNALE PER L’ISTITUZIONE DI ASILI NIDO COMUNALI CON IL CONCORSO DELLO STATO Legge n. 1044 del 6 dicembre 1971 L’ obiettivo della legge è stato quello di realizzare un servizio a supporto delle famiglie e soprattutto delle donne, onde favorirne la permanenza nel mondo del lavoro anche dopo la nascita dei figli e di affermare il diritto del bambino alla socializzazione e allo sviluppo armonico della sua personalità. Nel rispetto della legge, ogni regione con proprie deliberazioni, ha fissato criteri per il finanziamento, la costituzione, la gestione ed il controllo degli asili nido, tenendo conto che: • la scelta del luogo di costruzione ed il funzionamento deve rispondere alle esigenze dell’utenza; • devono essere gestiti con la partecipazione dell’utenza e dei rappresentanti degli organi sociali del territorio; • devono essere dotati di personale qualificato sufficiente e idoneo a garantire l’assistenza alla salute fisica e psicologica del bambino; • essere costruiti e organizzati in modo da garantire l’armonico sviluppo del bambino. I comuni concorrono al finanziamento, alla costruzione, alla gestione ed al controllo degli asili nido e determinano i criteri di accesso e l’ammontare delle rette. LEGGI FINANZIARIE Legge n. 448 del 28 dicembre 2001 (Finanziaria 2002) Legge n. 289 del 27 dicembre 2002 (Finanziaria 2003) Con le leggi Finanziarie del 2002 e del 2003 sono stati istituiti dei fondi per la realizzazione e la gestione di asili nido o micro-nidi nei luoghi di lavoro in cui venisse stabilita una quota di posti riservata alle/ai figlie/i delle/i dipendenti. Dal 2002 al 2004 sono stati emanati dei bandi sia regionali che nazionali per l’assegnazione dei fondi alle aziende/comuni che fossero stati interessati a richiedere lo stanziamento. Per ottenere il finanziamento gli asili realizzati o gestiti nel territorio della Regione Lombardia dovevano rispet- Norme e leggi di parità e conciliazione 55 tare i requisiti minimi stabiliti dagli standard gestionali e strutturali decisi dal Piano Socio-assistenziale della Lombardia 88/90. Gli obiettivi di questa legge sono: • favorire la formazione e lo sviluppo delle famiglie, rimuovendone gli eventuali ostacoli di ordine economico, lavorativo e abitativo; • sostenere il valore sociale della maternità e paternità, consentire la procreazione libera e consapevole, rimuovendo eventuali ostacoli di ordine economico e situazioni di infertilità, promuovere la corresponsabilità dei genitori nella crescita dei figli; • aiutare le donne socialmente ed economicamente in alternativa all’interruzione della gravidanza, tutelare il benessere dei componenti del nucleo familiare e l’equilibrio psicofisico di ciascun soggetto; • garantire la libertà di scelta della famiglia nell’uso dell’offerta di servizi tra il privato e il pubblico e la sussidiarietà tra famiglia e istituzioni pubbliche; • sviluppare l’intervento dei consultori familiari pubblici e privati nel sostenere l’aiuto alle famiglie: nella procreazione, nella crescita dei figli, nella stabilità armonica delle relazioni familiari; • promuovere e sostenere reti primarie di solidarietà: l’associazionismo, la cooperazione, l’auto-organizzazione tra le famiglie per la cura di bambini, adolescenti, anziani e disabili; • riorganizzare i servizi sociali per sostenere famiglie in situazioni di disagio; • promuovere iniziative di tutela, assistenza e consulenza ai minori in situazione di disagio e alle vittime che subiscono violenza, abusi, maltrattamenti, e iniziative di sostegno a madre e bambino, vittime di violenze familiari. Agevolazioni per la casa La legge prevede agevolazioni finanziarie e di accesso alla prima casa con i seguenti interventi: • prestiti d’onore quinquennali al tasso di interesse del 56 Sostegni alla famiglia POLITICHE REGIONALI PER LA FAMIGLIA Legge regionale n. 23 del 6 dicembre 1999 2% fino ad un massimo di € 36.000 per giovani coppie che contraggono matrimonio, il cui reddito annuo non deve superare € 40.000; • contributi per un massimo di € 51.000 per l’acquisto della prima casa al tasso di interesse del 2% restituibili in dieci anni a giovani coppie, alle gestanti sole, al genitore solo con figli minori a carico e nuclei familiari con tre figli il cui reddito complessivo annuale non superi € 41.000; Sia per i prestiti d’onore che per i contributi per l’acquisto della prima casa, sono stati costituiti fondi regionali il cui ammontare viene definito annualmente. Criteri e modalità di accesso sono stabiliti dalla Regione, le domande vanno presentate in regione o nelle sedi decentrate presenti in tutte le province. Servizi alle famiglie Nella legge si prevede inoltre: • il potenziamento dei servizi socio-educativi rivolti ai minori in situazioni di disagio; • le auto-organizzazioni familiari per la creazione di nidi famiglia per la cura del bambino da 0 a 3 anni; • lo sviluppo di una rete di asili nido, anche privati, convenzionati; • il sostegno e la creazione di nidi aziendali, previa convenzione; • il sostegno e la promozione di banche del tempo; • il sostegno a donne che subiscono violenza e maltrattamenti; • la creazione di spazi di aggregazione educativa ricreativa a disposizione dei minori; • lo sviluppo e il sostegno delle associazioni familiari per l’autogestione dei servizi. Annualmente la regione definisce l’ammontare delle risorse economiche a sostegno dello sviluppo dei servizi di cui sopra; definisce le priorità su cui presentare progetti di servizi finanziabili, i criteri e le modalità di presentazione degli stessi e il tetto massimo di finanziamento per progetto. I progetti possono essere presentati da: Associazioni familiari, Associazioni private convenzionate da enti pubblici, Associazioni di donne, Associazioni di volontariato, Coo- Norme e leggi di parità e conciliazione 57 perative di servizi profit e no-profit, Banche del tempo. L’apertura del bando di presentazione dei progetti viene comunicata dalle ASL provinciali su mandato della Regione. I progetti vanno presentati alle ASL provinciali, una commissione valuta la congruenza dei progetti e, se accolti, vengono finanziati. 58 Sostegni alla famiglia DONNE IMMIGRATE I DIRITTI E LE TUTELE DELLE DONNE IMMIGRATE Legge n. 91 del 5 febbraio 1992 Testo Unico Immigrazione (Decreto legislativo) n. 286 del 25 luglio 1998 coordinato con le modifiche introdotte dalla L. 189/2002 DPR n. 394 del 31 agosto 1999 coordinato con le modifiche introdotte dal DPR n. 334 del 18 ottobre 2004 Le donne immigrate che, per ragioni di lavoro, di studio o ricongiungimento familiare, vivono nel nostro paese sono molte. Questi brevi cenni nascono dall’esigenza di fornire alle stesse informazioni utili su: maternità, lavoro, ricongiungimenti familiari e protezioni sociali. Maternità Alle immigrate madri o in stato di gravidanza, se sono lavoratrici dipendenti con regolare rapporto di lavoro, sono riconosciuti tutti i diritti previsti dalle leggi 1204/1971 “Tutela delle lavoratrici madri” e 53/2000 “Disposizioni per il sostegno della maternità, della paternità, per il diritto alla cura, alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città” (vedi capitolo “Maternità, paternità e politiche di conciliazione” del presente opuscolo). Se lavoratrici autonome, hanno diritto a quanto previsto dalle leggi 546/1987 e 53/2000, e dal decreto legislativo n. 151/2001 (vedi capitolo “Maternità, paternità e politiche di conciliazione” del presente opuscolo). Se collaboratrici domestiche, hanno diritto solo al congedo di maternità (5 mesi di astensione obbligatoria) e hanno diritto all’assegno di maternità solo se hanno versato 6 mesi di contributi settimanali nell’anno precedente o un anno di contributi nel biennio antecedente l’inizio del periodo di astensione obbligatoria. Durante la maternità, purchè intervenuta durante il rapporto di lavoro, la lavoratrice non può essere licenziata. La lavoratrice può essere licenziata non appena rientra dai tre mesi di congedo obbligatorio di maternità. Se non lavorano hanno diritto all’assegno di maternità solo se sono in possesso della carta di soggiorno. L’assegno di maternità va richiesto presso il comune di residenza. Le immigrate irregolari in stato di gravidanza non possono essere espulse e hanno diritto gratuitamente alle cure am- Norme e leggi di parità e conciliazione 59 bulatoriali e ospedaliere durante la gravidanza e il parto presso una struttura del servizio sanitario nazionale e potranno avere un permesso di soggiorno fino al sesto mese di vita del bambino per cure mediche. Lavoro Le immigrate con regolare permesso di soggiorno e con regolare rapporto di lavoro subordinato hanno diritto all’applicazione integrale del contratto collettivo nazionale di lavoro in base al settore e alla categoria di appartenenza e usufruiscono delle leggi di parità e pari opportunità (legge 903/1977 e 125/1991) e degli stessi servizi garantiti alle cittadine italiane. Possono convertire il permesso da lavoro subordinato in lavoro autonomo nonché svolgere attività lavorativa come socie lavoratrici di cooperativa. Qualora le lavoratrici immigrate in possesso di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, perdano il posto di lavoro, anche per dimissioni, potranno iscriversi nell’elenco anagrafico presso i Centri per l’impiego per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno e comunque per un periodo non inferiore a 6 mesi e hanno diritto all’indennità di disoccupazione o l’indennità di mobilità se hanno maturato i requisiti. Possono essere inserite nell’elenco anagrafico presso i Centri per l’impiego anche le immigrate in possesso di permesso di soggiorno per motivi di studio o formazione e svolgere attività lavorative subordinate per un tempo non superiore a 20 ore settimanali o 1040 ore nell’arco dell’anno. Le immigrate con regolare permesso di soggiorno e iscritte nell’elenco anagrafico godono degli stessi diritti delle cittadine italiane in materia di avviamento al lavoro compreso l’avviamento nella Pubblica Amministrazione. Ricongiungimento familiare Le immigrate in possesso della carta di soggiorno, di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o di un permesso di soggiorno della durata non inferiore a un anno per lavoro subordinato o autonomo, per studio, per asilo politico, per motivi religiosi, per motivi umanitari, per protezione sussidiaria e per motivi familiari posso- 60 Donne immigrate no chiedere il ricongiungimento con i propri familiari. Il ricongiungimento può essere richiesto per: • il marito; • i figli minori anche del coniuge o nati fuori dal matrimonio non coniugati a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il proprio consenso; • figli maggiorenni a carico qualora permanentemente non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute; • genitori a carico che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel Paese di origine o di provenienza. Per ottenere il ricongiungimento familiare occorre dimostrare di avere: • un alloggio, in regola con i parametri della legge regionale sull’edilizia pubblica ovvero fornito dei requisiti igienico sanitari accertati dall’ASL competente per territorio; • un reddito annuo il cui minimo viene calcolato in base al numero dei familiari per cui si chiede il ricongiungimento. Per l’anno 2008 non deve essere inferiore a € 5.142,67 per il ricongiungimento di un familiare, € 10.285,34 per il ricongiungimento di 2/3 familiari, € 15.428,01 per il ricongiungimento di 4 o più familiari; I familiari a cui è stato concesso il ricongiungimento, devono essere in possesso del visto di ingresso che viene rilasciato dal consolato italiano del paese di origine. I familiari delle immigrate a cui è stato concesso il ricongiungimento, entro 8 giorni dall’arrivo devono richiedere il permesso di soggiorno per motivi familiari. Il permesso di soggiorno per motivi familiari consente di svolgere lavoro subordinato o autonomo, iscriversi ai Centri per l’impiego, accedere all’assistenza sanitaria e frequentare corsi di formazione professionale o altri indirizzi scolastici. I figli minori devono essere iscritti nel permesso di soggiorno della madre o del padre sino a 14 anni, dopo i 14 anni sarà loro rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari. Al compimento di 18 anni avranno un permesso di soggiorno professionale per lavoro, studio o altro. Norme e leggi di parità e conciliazione 61 Assistenza sanitaria Le immigrate con regolare permesso di soggiorno per lavoro subordinato, autonomo, asilo politico, per motivi umanitari, per motivi familiari, etc. devono essere iscritte obbligatoriamente al servizio sanitario nazionale e godono della stessa assistenza sanitaria, per sé e i familiari a carico, garantita ai cittadini italiani. Le immigrate con permesso di soggiorno per motivi di studio possono versare al servizio sanitario nazionale un contributo annuale che dà il diritto di usufruire delle prestazioni sanitarie per sé e i familiari a carico. Le iscrizioni al servizio sanitario nazionale devono essere effettuate presso l’azienda sanitaria locale. Le immigrate irregolari possono usufruire delle cure ambulatoriali o ospedaliere, per malattie e infortuni, e dei programmi di medicina preventiva rivolti agli stranieri temporaneamente presenti e hanno diritto, nel caso di gravidanza, a un permesso di soggiorno per cure mediche che avrà validità fino a sei mesi dalla data del parto. Protezione sociale Alle immigrate, sottoposte con ricatto o violenza allo sfruttamento sessuale, che intendono sottrarsi da tale condizione, viene concesso un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale e vengono inserite in un programma di assistenza ed integrazione sociale. Il permesso di soggiorno ha durata di 6 mesi, può essere rinnovato per un anno e consente di svolgere lavoro subordinato, accedere ai servizi sanitari e ai corsi di formazione, nonché l’iscrizione alle liste di collocamento. Carta di soggiorno La carta di soggiorno, che ai sensi del decreto legislativo n.3 dell’8 gennaio 2007 è stata sostituita dal permesso di soggiorno CE per soggiorni di lungo periodo, è un permesso di durata illimitata e può essere richiesta dalle immigrate in possesso di permesso di soggiorno da almeno 5 anni in corso di validità. Alle immigrate che hanno un/a figlio/ a o un marito italiano o dell’Unione Europea residente in 62 Donne immigrate Italia e con il quale convivono è invece rilasciata la “carta di soggiorno di familiari di un cittadino dell’Unione” che ha validità di cinque anni dalla data del rilascio. Norme e leggi di parità e conciliazione 63 64 Oltre la parità: pari opportunità e conciliazione SINTESI LEGISLATIVA DALL’UNITA’ D’ITALIA ALLA FINE DEL 1800 Legge n. 4167/1877 permette alle donne di essere testimoni negli atti pubblici e privati. Legge n. 295/ 1893 riconosce alle donne il diritto di essere elette come probiviri nelle controversie di lavoro. Regio decreto n. 164 / 1898 approva il testo unico della legge comunale e provinciale che rifiuta il voto amministrativo agli analfabeti, agli interdetti, agli inabilitati, ai condannati all’ergastolo, ai mendicanti e alle donne. DAL 1900 AL 1920 Legge n. 242 / 1902 affronta il lavoro delle donne e dei fanciulli e prevede il divieto del lavoro sotterraneo, 12 ore come orario massimo lavorativo, divieto di lavoro notturno per le minorenni infine le puerpere non potevano essere adibite al lavoro se non dopo 4 settimane dopo il parto (per le quattro settimane non era prevista la tutela salariale). Regio decreto agosto 1905 permette alle donne di insegnare alle scuole medie. Legge n. 416 / 1907 vieta il lavoro notturno per le donne e i fanciulli, ma permette la possibilità di deroga per il lavoro delle donne adulte. Legge n. 520 1910 istituisce la Cassa di maternità con sede a Roma. Regio decreto 148 / 1915 approva la legge comunale e provinciale che vieta l’iscrizione delle donne nelle liste elettorali amministrative e la loro eleggibilità. Legge n. 1176 / 1919 abolisce l’autorizzazione maritale e ammette le donne a esercitare tutte le professioni, ad eccezione di quelle che implicano poteri giurisdizionali Norme e leggi di parità e conciliazione 65 o l’esercizio di diritti e di potestà politiche o l’esercizio della difesa militare. 1919 La Camera dei deputati approva, alla fine della legislatura, la legge sull’estensione del voto amministrativo e politico alle donne. Il provvedimento resta bloccato al Senato. Regi decreti n. 3158 e n. 3184 del 1923 introducono l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria e l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia dai 65 anni. Regio decreto n. 1054 / 1923 sancisce il divieto per le donne ad essere dirigenti scolastici. Legge n. 2125 / 1924 prevede il voto amministrativo ad alcune categorie di donne (madri o vedove di caduti in guerra). Le elezioni amministrative saranno abolite nel 1925 per l’instaurazione del regime podestarile. Legge n. 2277 / 1925 istituisce l’OMNI (Opera Nazionale Maternità Infanzia). 1927 Il salario femminile è fissato al 50% di quello maschile. Legge n. 847 / 1929 introduce il matrimonio cattolico concordatario. 1930 Viene promulgato il codice penale che configura il delitto per causa d’onore. Regio decreto legge n. 1554 / 1933 autorizza le amministrazioni statali a escludere o a porre dei limiti all’ammissione delle donne nei concorsi pubblici. Regio decreto n. 383 / 1934 approva il testo unico della legge comunale e provinciale che esclude le donne dagli uffici di podestà e da altre cariche ( dai bandi di concorso 66 Sintesi legislativa PERIODO FASCISTA della pubblica amministrazione ). Legge n. 653 / 1934 tutela la lavoratrice madre e vieta l’utilizzo della manodopera femminile in mansioni pesanti o insalubri. Legge 1347 / 34 Tutela la lavoratrice madre e la sua maternità, istituisce il congedo di maternità obbligatorio coperto da sussidio e obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti di disporre di camere per l’allattamento. Decreto legge n. 1514 / 38 stabilisce che l’assunzione delle donne negli uffici pubblici sia limitata al 10% degli organici o meno. 1938 Vengono emanate le leggi sulla difesa della razza che fra l’altro vietano i matrimoni con appartenenti a razze non ariane . Regio decreto n. 989 / 39 stabilisce una tipologia di mansioni per il personale femminile nell’impiego pubblico e privato. ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE A partire dal secondo dopoguerra il principio della parità trova conferma nella maggior parte dei testi fondamentali dei diritti umani. Il DLL (decreto legislativo luogotenenziale) n. 23 / 1945 riconosce alle donne il diritto di voto. 2 giugno 1946 si tiene il referendum istituzionale; l’89% delle donne si reca a votare per il referendum e per l’Assemblea Costituente. Le donne elette sono 21 su 556 rappresentanti. 22 dicembre 1947 la Costituzione della Repubblica Italiana è approvata dall’Assemblea Costituente ed entra in vigore il 1 gennaio 1948. Norme e leggi di parità e conciliazione 67 ART. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali.” È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. ART. 37 “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.” ART. 51 “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. (…)” Il secondo comma dell’art. 51 è stato introdotto nel febbraio del 2003; questa modifica importante va riempita con atti legislativi specifici tendenti al superamento dell’anomala sottorappresentanza delle donne nelle istituzioni e nei luoghi importanti delle decisioni. Parigi , 10 dicembre 1948 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo a cura dell’assemblea Generale dell’ONU ART. 1 “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e 68 Sintesi legislativa diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” ART. 2 “1) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate dalla presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di atra condizione. 2) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico internazionale del paese o del territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.” ART. 23 “Ogni individuo ha diritto, senza discriminazione, ad eguale retribuzione per uguale lavoro”. DAGLI ANNI CINQUANTA AD OGGI Legge 860 / 1950 (legge Noce) sulla tutela fisica e economica della lavoratrice madre. Questa legge viene approvata dopo una lungo dibattito in Parlamento e nel paese, relatrice Maria Federici. Legge 986 / 1950 proibisce il licenziamento delle lavoratrici madri, gestanti e puerpere. Legge 741 / 1956 recepisce la Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro, è un organismo tripartito con la rappresentanza di governi, lavoratori e datori) n. 100 del 1951 sulla parità di remunerazione tra uomini e donne. Legge 1441 / 1956 ammette le donne nelle giurie popolari delle Corti d’Assise e come componenti dei Tribunali per minorenni. 1957 I trattati di Roma pongono le basi dell’Unione Europea, attraverso la realizzazione della integrazione economica da perseguire con le cosiddette quattro libertà (di Norme e leggi di parità e conciliazione 69 circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone) e la definizione delle prime istituzioni comunitarie. Le disposizioni sociali sono residuali, ma comunque funzionali all’integrazione economica. Definiscono alcuni obiettivi generali, quali il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e pongono poche disposizioni vincolanti: la libertà di circolazione dei lavoratori nei paesi della comunità, l’uguaglianza di remunerazione tra donne e uomini, la creazione di un Fondo Sociale Europeo. ART. 119 “Ciascuno Stato Membro assicura durante la prima tappa, e in seguito mantiene, l’applicazione del principio della parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro. Per retribuzione deve essere inteso, ai sensi del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo, e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo. La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica: a) che la retribuzione accordata per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura; b) che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per un posto di lavoro uguale.” Legge 75 / 1958 (legge Merlin) abolisce la regolamentazione della prostituzione Legge 66 / 1963 ammette le donne a tutti i pubblici uffici (compresa la magistratura) e a tutte le professioni (escluse Polizia, Guardia di Finanza e Forze Armate). Legge 7 / 1963 vieta il licenziamento per matrimonio e rende nulle le cause di nubilato presenti nei contratti collettivi, individuali e nei regolamenti. Legge 389 / 1963 istituisce la pensione volontaria per le casalinghe. 70 Sintesi legislativa Legge 898 / 1970 sullo scioglimento del matrimonio. Legge 300 / 1970, conosciuta come Statuto dei lavoratori, anche se non si rivolge esplicitamente alle donne, vieta esplicitamente negli articoli 15 e 16 ogni atto o patto discriminatorio, sia esso individuale o collettivo. Legge 1044 / 1971 per l’assistenza all’infanzia prevede l’istituzione di asili-nido pubblici. Legge 1204 / 1971 di riforma della legge sulla lavoratrice madre (assicura un’efficace protezione fisica alle gestanti e contiene la salvaguardia del posto di lavoro). Legge 151 / 1975 di riforma del diritto di famiglia pone la parità dei coniugi (viene sostituita la “patria potestà” con la “potestà parentale”). Legge 405 / 1975 istituisce i Consultori familiari. Legge 698 / 1975 scioglimento delle funzioni dell’ONMI. DIRETTIVA 75/117/CEE Introduce il concetto di uguale retribuzione per lavoro di uguale valore, viene così superato il riferimento di “stesso lavoro”. Vengono definiti criteri comuni nei sistemi di classificazione tra lavoratori e lavoratrici. DIRETTIVA 76/207/CEE Affronta il principio di parità di trattamento tra uomini e donne per quanto concerne l’accesso al lavoro, la formazione, la promozione professionale e le condizioni di lavoro. Legge Regione Lombardia n.44 del 6 settembre 1976 Istituzione del servizio per l’educazione sessuale e per la procreazione libera e consapevole, per l’assistenza alla maternità, all’infanzia , alla famiglia che prevede l’istituzione del consultorio a supporto delle donne e della famiglia. Legge 903 / 1977 parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro, è presentata dalla Ministro del lavoro Norme e leggi di parità e conciliazione 71 pro-tempore Tina Anselmi. In questa legge viene sancito il divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro, nella formazione professionale, nelle retribuzioni, nell’attribuzione delle qualifiche e delle carriere professionali. Inoltre viene preclusa qualsiasi discriminazione basata sullo stato matrimoniale, di famiglia, di gravidanza o attuato mediante meccanismi di preselezione. Legge 194 / 1978 tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza. DIRETTIVA 79/7/CEE Riguarda la graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di sicurezza sociale. Stabilisce l’eliminazione delle discriminazioni per quanto riguarda i regimi relativi a malattia, invalidità, vecchiaia, infortuni sul lavoro, malattie professionali e disoccupazione. Legge 121 / 1981 relativa all’ammissione delle donne nella nuova polizia di Stato. Legge 442 / 1981 abroga la rilevanza penale della causa d’onore come attenuante nei delitti. RACCOMANDAZIONE 84/635/CEE Promuove le azioni positive a favore delle donne. La filosofia di questa raccomandazione è stata recepita in Italia dalla legge 125/91 sulle azioni positive. DIRETTIVA 86/378/CEE Introduce il principio di parità di trattamento tra uomini e donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale. DIRETTIVA 86/613/CEE Applica il principio di parità tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma, comprese quelle del settore agricolo, nonché sulla tutela della maternità. Legge 546 / 1987 estende l’indennità giornaliera di gravidanza e puerperio alle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre, colone, artigiane ed esercenti attività commerciali (attuando la direttiva CEE 86/613 dell’11 di- 72 Sintesi legislativa cembre 1986 che recita “parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma e tutela della maternità”). DPR 268 / 1987 contempla la costituzione dei Comitati P. O. all’interno della Pubblica Amministrazione. Legge Regione Lombardia n.16 dell’8 maggio 1987 è una legge di iniziativa popolare presentata ed elaborata dalle donne per la tutela della partoriente e la tutela del bambino in ospedale. Legge 400 / 88 sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio conferma la Commissione pari opportunità come struttura di supporto della Presidenza sulle questioni femminili. Legge 25 / 89 eleva a quaranta anni la data di partecipazione ai concorsi pubblici, come sollecitato dalla Commissione nazionale di parità per consentire anche alle donne che non abbiano potuto dedicarsi ad attività lavorativa in età giovanile, perché impegnate in incombenze familiari, di inserirsi nel mondo del lavoro. Delibera 6 ottobre 89 del Consiglio della magistratura militare che consente alle donne l’accesso alla magistratura militare. Legge 979/90 sull’indennità di maternità per le libere professioniste (sempre in attuazione della direttiva CEE 86/613). Legge 379/90 sulla tutela della maternità per le libere professioniste. Legge 164/90 norma la Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri Legge 125/1991 sulle Azioni positive per la realizzazione delle pari opportunità nel campo del lavoro e introduce la figura della Consigliera di Parità (viene introdotta la pro- Norme e leggi di parità e conciliazione 73 blematica delle discriminazioni indirette). Legge 166/91 sul trattamento economico delle lavoratrici madri dipendenti da amministrazioni pubbliche. Legge 215/92 sulle Azioni positive in favore della imprenditoria femminile. DIRETTIVA 92/85/CEE Persegue il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Legge Regione Lombardia n.16 del 2 maggio 1992 e successive modifiche Istituisce la Commissione Regionale per la realizzazione di Pari Opportunità tra uomo e donna, nominata dal Consiglio Regionale. 1993 TRATTATO DI MAASTRICHT Viene ribadito il principio di parità salariale tra lavoratori e lavoratrici. Prevede la possibilità di azioni positive limitate alla parità di retribuzione. Art 119 1.Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione dei principio di parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici per un medesimo lavoro. 2.Per retribuzione deve essere inteso, ai sensi dei presente articolo, il salario o stipendio normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in relazione al posto che quest’ultimo occupa. La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica: a. che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura; b. che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per lo stesso posto di lavoro. 3. Il presente articolo non osta a che ciascuno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici intesi a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte delle donne, ovvero a prevenire o com- 74 Sintesi legislativa pensare svantaggi nella loro carriera professionale. Legge 81 / 1993 in cui viene sancito l’obbligo per gli enti comunali e provinciali di stabilire norme per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organismi collegiali, nonché negli enti, aziende e istituzioni da essi dipendenti. Legge 277 / 1993 per la Camera basata su collegi uninominali maggioritari per il 75% e una quota proporzionale del 25% che prevede l’alternanza fra uomini e donne nelle liste. Legge 236/93, art. 6 sul vincolo, nei licenziamenti collettivi, di non effettuare espulsioni di lavoratrici in misura percentuale superiore a quella del personale femminile occupato nell’impresa delle medesime dimensioni e con interventi a favore delle lavoratrici madri durante la mobilità. Decreto legislativo n. 29 / 1993, sulla parità e pari opportunità sia per l’accesso al lavoro sia per il trattamento sul lavoro relativamente alla gestione delle risorse umane (art.7) e sulla istituzione delle quote di donne nelle commissioni di concorso, sulla pari dignità di uomini e di donne sul lavoro e sulla partecipazione delle dipendenti delle Pubbliche amministrazioni ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale (art. 61). Legge 332 / 1995, art.5 modifica l’art. 275, 4°c del codice di procedura penale, prevedendo il divieto di custodia cautelare in carcere di donne incinte o madri fino al compimento del terzo anno d’età del figlio. Legge 66 / 1996 sulla violenza sessuale. Essa classifica come reato contro la persona il reato di violenza sessuale (che include sia la violenza carnale vera e propria che gli atti di libidine violenti, di solito perpetrati nei confronti dei minori) così mutando la qualificazione della normativa precedente che lo definiva reato contro la morale. In tal modo viene restituita di- Norme e leggi di parità e conciliazione 75 gnità alla vittima, finalmente considerata “persona”, mentre si è cercato di punire il reato in modo tale (con pena gradabile tra i tre e i cinque anni) che non fosse possibile il patteggiamento, di modo che lo stupratore non restasse sostanzialmente impunito. Legge 52 / 1996 la normativa europea in tema di parità di trattamento tra uomini e donne. DL 645 / 96 recepisce la direttiva 92/85/CEE sul miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in allattamento solo per quanto riguarda la parte relativa alla salute. DIRETTIVA 96/34/CE Affronta il tema dei congedi parentali. E’ frutto del primo accordo sindacale europeo tra la Confederazione Europea dei Sindacati (Ces), gli imprenditori privati (Unice) e gli imprenditori pubblici (Ceep). RACCOMANDAZIONE 96/694/CE Affronta il tema della partecipazione delle donne e degli uomini al processo decisionale. Mozione n. 151 Approvata dal Consiglio della Regione Lombardia nella seduta del 5 marzo 1996 Indirizzi regionali per l’elaborazione di codici di condotta contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro della Lombardia– a partire dalle pubbliche amministrazioni. Direttiva del 7 marzo 1997 del presidente del Consiglio dei ministri On. Romano Prodi, in favore di azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità delle donne, a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini. Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 405 / 1997 di istituzione ed organizzazione del Dipartimento per le Pari Opportunità nell’ambito della Presidenza del Consiglio. Decreto del Ministro dell’Agricoltura istituisce l’Osservatorio nazionale per l’imprenditoria femminile ed il lavoro 76 Sintesi legislativa in agricoltura. Decreto del Ministro delle Pari Opportunità istituisce la Commissione per la promozione e lo sviluppo dell’imprenditoria femminile e l’osservatorio per l’imprenditorialità femminile. Legge 285 / 1997 sulla promozione di diritti ed opportunità per l’infanzia e l’adolescenza. Prevede servizi per l’infanzia e sostegno della relazione genitori/figli. 1997 TRATTATO DI AMSTERDAM L’occupazione viene considerata un interesse comune da perseguire attraverso l’individuazione di obiettivi comuni, monitorati nel tempo attraverso l’introduzione di un Comitato consuntivo di Coordinamento. Il principio di parità si estende alla razza, all’origine etnica, all’handicap, all’età, alla tendenza sessuale. Il trattato introduce il concetto di mainstreaming delle pari opportunità (ogni politica dovrebbe misurare la propria efficacia sulla possibilità di divenire uno strumento effettivo di riforma dello stato sociale). Introduce giuridicamente le azioni positive. DIRETTIVA 97/80/CE introduce l’inversione dell’onere di prova; l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso ricade sulla parte convenuta, nel caso in cui chi si ritiene leso abbia prodotto elementi di fatti dinanzi ad un organo competente. DIRETTIVA 97/81/CE la direttiva recepisce l’accordo siglato dalle parti sociali Ces, Unice e Ceep sul tema del part time. Propone di facilitare il part time su base volontaria, eliminando gli ostacoli al suo sviluppo, migliorandone la qualità ed evitando discriminazioni per chi lavora a tempo parziale. Legge 25 / 1999 l’art. 17 questa legge, al fine di adeguare la legge italiana alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee 4 dicembre 1997, abroga il divieto del lavoro notturno per le lavoratrici tessili (per le Norme e leggi di parità e conciliazione 77 altre lavoratrici il divieto non operava già in precedenza), escludendo però comunque dalla prestazione di lavoro notturno le donne in stato di gravidanza fino ai tre anni di età del minore, ovvero le lavoratrici con disabili a carico. Legge 157 / 1999 in materia di rimborso delle spese elettorali. L’art. 3, comma 1 mira a favorire la partecipazione attiva delle donne nella vita politica, disponendo che “ogni partito o movimento politico destina una quota pari ad almeno il 5% dei rimborsi ricevuti per consultazioni elettorali ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica”. Legge 380 / 1999 riguarda l’istituzione del servizio militare volontario femminile e l’accesso delle donne a tutti i ruoli, compresi quelli operativi e consente il raggiungimento dei più alti livelli di carriera in termini di assoluta parità rispetto agli uomini. Legge Regione Lombardia n.23 del 6 dicembre 1999 sostiene il valore sociale della maternità e paternità, sostiene lo sviluppo dei consultori e promuove le reti di solidarietà per la cura dei bambini, adolescenti, anziani e disabili. Legge 53/00 prevede disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità (congedi parentali), per il diritto di cura e per il coordinamento dei tempi delle città. Dl 196/00 disciplina l’attività delle consigliere e dei consiglieri di parità e fornisce disposizioni in materia di azioni positive. Precedentemente tale materia era disciplinata dalla legge 125/91, art. 10. 6 dicembre 2000 CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA ART. 1 DIGNITA’ UMANA La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata. 78 Sintesi legislativa ART. 21 NON DICRIMINAZIONE E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convenzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. Nell’ambito dell’applicazione del trattato che istituisce la Comunità Europea e del trattato sull’unione Europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi. ART. 23 PARITA’ TRA UOMINI E DONNE La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato. DIRETTIVA 2000/78/CE stabilisce un quadro generale contro le discriminazioni fondate sulla religione/convinzioni personali, handicap, età e tendenze sessuali. La direttiva chiarisce che l’atto di discriminazione non si caratterizza per l’intenzione di nuocere ma per la disparità di un determinato comportamento. DIRETTIVA 2002/73/CE La direttiva stabilisce che le molestie e le molestie sessuali costituiscono una forma di discriminazione basata sul sesso. Invito alla costituzione di organismi di parità e alla definizione di piani annuali per la parità sul luogo di lavoro. La molestia, viene definita come una situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato connesso al sesso di una persona avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità della persona e creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo. 20 febbraio 2003 il Parlamento Italiano approva la modifica dell’art. 51 della Costituzione. Al primo comma del- Norme e leggi di parità e conciliazione 79 l’art. 51 viene aggiunto il seguente periodo: “A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Legge n. 30 del 14 febbraio 2003 introduce nuove tipologie di contratti di lavoro e modifica l’applicazione del part time. D.lgs 9 luglio 2003, n. 215, ”attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”. D.lgs 9 luglio 2003, n. 216, “attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”. D.lgs 31 luglio 2003, n. 226, art. 6, comma 2 e art. 7, comma 1, “Trasformazione della Commissione Nazionale per la Parità in Commissione per le Pari Opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 13 della legge 6 luglio 2002, n. 137”. D.M. 19 maggio 2004, n. 275, “Regolamento recante norme per l’organizzazione e il funzionamento della Commissione per le Pari opportunità tra uomo e donna”. DIRETTIVA 2004/113/CE attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura. Per beni si dovrebbero intendere quelli disciplinati dalle disposizioni del trattato che istituisce la Comunità Europea riguardanti la libera circolazione delle merci, per servizi si dovrebbero intendere quelli disciplinati dall’art. 50 di tale trattato. DIRETTIVA 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. DIRETTIVA 2006/113/CE riguarda l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento 80 Sintesi legislativa fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. Decreto legislativo 198 /2006 “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna” riordina tutta la legislazione sul tema delle pari opportunità. Provv. del Min. Lavoro e delle Politiche Sociali del 30 maggio 2006 (G.U. n. 160 del 12 luglio 2006), “Programma-obiettivo per la promozione della presenza femminile nei livelli e nei ruoli di responsabilità all’interno delle organizzazioni, per il consolidamento di imprese femminili, per la creazione di progetti integrati di rete”. Legge 8 febbraio 2006, n. 54, “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”. Legge 296 del 27 dicembre 2006 comma 788 introduce il congedo parentale per le lavoratrici e i lavoratori assunti con contratto atipico in relazione al parto, nonché nei casi di adozione, affidamento. Decreto legislativo 196 /2007 Attuazione della direttiva 2004/113/CE attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura. 2007 modifica art. 11 (L’UGUAGLIANZA FRA UOMINI E DONNE. PARI OPPORTUNITÀ) STATUTO DELLA REGIONE LOMBARDIA 1. La Regione riconosce, valorizza e garantisce le pari opportunità tra uomini e donne in ogni campo, adottando programmi, leggi, azioni positive e iniziative atte a garantire e promuovere la democrazia paritaria nella vita sociale, culturale, economica e politica. 2. Al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza di donne e uomini negli organi elettivi, la legge regionale stabilisce condizioni di parità per l’accesso alle liste nelle consultazioni elettorali, ai sensi degli articoli 51 e 117, comma settimo, della Costituzione. 3. La Regione promuove il riequilibrio tra entrambi i generi negli organi di governo della Regione e degli enti ed Norme e leggi di parità e conciliazione 81 aziende dipendenti e nelle società a partecipazione regionale per le quali siano previste nomine e designazioni di competenza degli organi regionali. 82 Oltre la parità: pari opportunità e conciliazione sviluppocopertina 27-10-2008 11:52 Pagina 1 C M Y CM MY CY CMY K Partner del progetto “Oltre la parità: pari opportunità e conciliazione” A.S.L. della Provincia di Varese Comune di Samarate Comune di Cardano al Campo Comune di Gallarate Comune di Gorla Maggiore Comune di Lonate Pozzolo Comune di Marnate Colori compositi L ’Albero di Antonia circolo arci Presidenza Pari Opportunità Norme e leggi di parità e conciliazione