Presentazione Essere un mezzosangue – figlio di un’umana e di un vampiro – non ha certo reso la vita facile a Vladimir Tod: a causa delle sue strane abitudini, del colorito pallido e degli immancabili occhiali da sole, Vlad è sempre stato il bersaglio preferito dei bulli e poco più di un fantasma per le ragazze. Ora però a proteggerlo c’è Jess, il suo nuovo compagno di banco, e pure in amore la fortuna è girata: Meredith Brookstone, la ragazza più carina della scuola, ha accettato di andare al ballo con lui. Insomma è proprio il momento peggiore per scoprire che un misterioso cacciatore di vampiri è giunto a Bathory per ucciderlo. Purtroppo Vlad non ha scelta: deve rifugiarsi in Siberia, da Vikas, un maestro vampiro che gli insegnerà a sviluppare le abilità di creatura della notte. E, in effetti, l’addestramento aiuta Vlad a diventare subito molto potente... forse addirittura troppo. Al punto che Vikas comincia a nutrire un atroce sospetto. Perché lui conosce bene la leggenda del Pravus: un giorno, arriverà un vampiro forte oltre ogni immaginazione, che non potrà essere ucciso con nessuna arma conosciuta e che sarà destinato a soggiogare la razza umana... E se la profezia si riferisse a Vlad? Heather Brewer è nata a Lapeer, nel Michigan, ma è cresciuta nella cittadina di Columbiaville. Le creature della notte l’hanno affascinata sin da quando era una ragazzina: al liceo si vestiva sempre di nero ed era una gran divoratrice di libri sui vampiri. Ed è stata questa passione, insieme all’amore per la narrativa, a spingerla a scrivere i romanzi dedicati a Vladimir Tod, che, dopo aver venduto milioni di copie negli Stati Uniti, hanno dato origine a un vero e proprio fenomeno di culto, come dimostra anche il grande successo del merchandising legato alla serie. Per saperne di più, visita il sito www.vladtod.com Agartha 271 Questo è per Jacob, perché la scuola superiore fa schifo. 1 UN CACCIATORE MERCENARIO Jasik strinse la foto in mano e studiò la faccia del ragazzo. A parte la carnagione chiara e gli occhi svegli, nessuno avrebbe sospettato che quell’adolescente non fosse umano. Ma l’uomo sapeva qual era la verità. «Quindi è lui?» Alzò lo sguardo verso l’individuo seduto dietro la scrivania, che annuì una sola volta. «Vladimir Tod», confermò questi con voce roca e aspra. Jasik mise la foto nella tasca della camicia e si schiarì la gola. «Naturalmente avrò bisogno di un po’ di rifornimenti.» «Ti darò tutto ciò di cui hai bisogno.» Il suo interlocutore aveva un’espressione dura sul viso emaciato. Jasik attraversò la stanza e guardò fuori dalla finestra verso le strade della città. Nonostante le luci dei lampioni era buio. Le persone si spostavano come formiche sui marciapiedi, evitando le piccole pozzanghere di luce. Era quasi impossibile stabilire quali fossero gli umani e quali i vampiri. Per un attimo si chiese quali di loro sarebbero schizzati via alla ricerca dell’oscurità se il sole fosse sorto all’improvviso, inondandoli di luce. «Posso chiederti come sei venuto a conoscenza dei miei servigi?» L’uomo dietro la scrivania tossì in un fazzoletto prima di rispondere. Quando lo allontanò dalle labbra, era macchiato di rosso brillante. «Non prendiamoci in giro. So da molto tempo che i tuoi... talenti... possono essere comprati. Scoverai questo ragazzo o no?» «I miei talenti costano molto», rispose Jasik con un sorrisetto stampato in faccia. «Ti assicuro che non c’è una cifra che non sia disposto a pagare», replicò l’altro piegandosi in avanti e sfogliando il libretto degli assegni. «Non devi far altro che dirmi il numero di zeri.» Jasik raggiunse la scrivania e diede un’occhiata alla cifra che l’uomo aveva scribacchiato. L’inchiostro non si era ancora asciugato quando lui disse: «Altri tre e l’affare è fatto». 2 LA FAME Vlad serrò gli occhi più forte che poté. Era sveglio, e la cosa non lo rendeva particolarmente felice. I fine settimana, soprattutto le mattine d’estate, erano fatti per dormire... specialmente quando avevi passato le notti gironzolando fino a tardi alla luce della luna piena perché i tuoi geni vampireschi non ti permettevano di andare a dormire prima di aver avuto la loro dose di atmosfera notturna. Tra l’altro restavano solo pochi giorni prima che la gioia dell’estate finisse, lasciando il posto al terrore della scuola. Qualcosa che ronzava gli passò davanti alla faccia, si fermò, poi si spostò di nuovo verso il suo orecchio destro. Vlad aprì un occhio e lanciò uno sguardo furioso alla mosca che si librava sopra di lui. Allora era colpa sua se si era svegliato. L’insetto continuò a svolazzare per poi posarsi sulla punta del suo naso. Vlad lo scacciò e, quando quello trovò rifugio sul suo cuscino, cercò di schiacciarlo, ma lo mancò. Una sommessa imprecazione risuonò per la camera. Cosa avevano le mosche contro il sonno? Sbattendo le alucce, la fastidiosa creaturina schizzò attraverso la stanza, atterrando proprio al centro della fronte di Henry. Dopo un attimo di esitazione, Vlad strisciò fino al sacco a pelo dell’amico. Alzò lentamente la mano, dando alla mosca un’ultima possibilità di muoversi e sussurrò: «Non credere che non lo farò». Quella rispose cominciando a pulirsi il disgustoso musino. Vlad era quasi sicuro che, se avesse potuto parlare, gli avrebbe fatto una bella risata in faccia. Abbassò la mano velocemente e con forza. Il rumore che il suo palmo fece quando colpì la fronte di Henry fu subito coperto dal grido del ragazzo che si mise seduto, tenendosi la fronte. «Che cavolo, amico!» Vlad esibì un ghigno vittorioso e disse: «C’era una mosca». Henry si massaggiò la fronte, ringhiando disgustato: «Be’, almeno l’hai ammazzata?» «Sì, penso di sì.» L’insetto ronzò nell’orecchio di Vlad e infilò la porta. Il giovane imprecò di nuovo ma fu interrotto dall’amico: «Sento odore di bacon». Le narici di Vlad si tesero all’istante. Non che per lui il bacon rappresentasse un’attrattiva. A fargli venire l’acquolina in bocca era piuttosto l’idea di una tazza fumante di 0 positivo e dei dolcetti alla cannella, specialità di sua zia Nelly. Uno dei più grandi vantaggi di vivere con lei – che non era legata a Vlad da nessun reale vincolo di parentela, ma che, prima della morte dei suoi genitori, era stata la migliore amica della madre – era che sapeva preparare dei pasticcini alla cannella così dolci e deliziosi da fare concorrenza a Cinnabon. Certo bisognava stare alla larga dal suo polpettone. Guidati dal profumo del cibo, i ragazzi corsero fuori dalla stanza e giù per le scale; quando arrivarono in cucina erano ansimanti e affamati. «Cibo», grugnì Henry adocchiando il piatto di bacon croccante che lo aspettava sul tavolo. «Cibo», gli fece eco Vlad tirando fuori una sacca di sangue dal frigorifero e dirigendosi verso il microonde con la sua tazza preferita in mano. Zia Nelly si voltò dalla sua postazione ai fornelli e rise. «Mi sembra di capire che siate affamati.» Il suono che giunse in risposta non poteva essere identificato né con un sì, né con un no. Henry era impegnato a masticare varie fette di bacon contemporaneamente, mentre Vlad, la testa rovesciata all’indietro, trangugiava il suo 0 positivo caldo. Il liquido scivolò facilmente giù per la gola – caldo era sempre meglio – e, quando la sua sete si fu placata, il ragazzo schioccò le labbra soddisfatto e prese un dolcetto alla cannella. Sangue e glassa: la risposta dei vampiri al caffè e alle ciambelle. «Deb mi ha accennato che in ospedale c’è un intero freezer di sangue che sta per scadere. Con l’appetito che hai ultimamente, Vladimir, farò meglio a rubarne il più possibile.» Nelly mise dell’altro bacon sul vassoio e poggiò un piatto di uova davanti a Henry. Poi indirizzò al nipote uno sguardo di pura disapprovazione. «Ti sei sporcato la maglietta.» Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle due macchie tonde, grosse come monete da dieci centesimi, che erano comparse sulla sua T-shirt, e sorrise mortificato. «Scusami, stavo proprio morendo di fame.» L’espressione della donna si addolcì. «Cerca solo di stare più attento la prossima volta. A differenza di quanto si dice in giro, fare il bucato non è tra i miei passatempi preferiti.» Henry deglutì e prese la brocca di succo d’arancia. «Hai già avuto l’orario?» Vlad annuì e sospirò con un’aria sconfortata. «Per il primo quadrimestre ho Mrs Bell come insegnante di inglese.» L’amico lo guardò con un’espressione solidale. «A quanto pare non sei il solo. Ce l’ho anch’io e, da quello che mi ha detto ieri mia madre, anche Joss.» «A proposito, quando dovrebbe arrivare tuo cugino?» Vlad si ficcò in bocca quasi tutto il dolcetto e masticò. A dire il vero era un po’ nervoso all’idea che il ragazzo si trasferisse in città. C’era pur sempre una minima possibilità che Joss si sarebbe intromesso fra loro o, peggio, che lui e il nuovo arrivato non sarebbero riusciti ad andare d’accordo. «Domenica. Anzi, ti avverto subito, sarà difficile vederci quel giorno. Mia madre si è messa in testa di fare una specie di riunione di famiglia», disse Henry alzando gli occhi al cielo. «Che palle.» «Vladimir!» esclamò Nelly indispettita. «Voglio dire, com’è affettuoso da parte della tua figura materna insistere affinché vi godiate un po’ di tempo insieme. Gliene dovresti essere grato», disse il vampiro in tono pomposo. Un secondo dopo, lui e Henry scoppiarono a ridere come pazzi. «Va bene, spiritosone. Vado a prendere la posta. Henry, tienilo d’occhio mentre non ci sono. È un combinaguai», tagliò corto Nelly, scuotendo la testa divertita. «Zia!» esclamò il nipote fingendosi offeso. La donna sorrise dolcemente. «Voglio dire, è un ragazzo fantastico che illumina le mie giornate e rende la mia vita degna di essere vissuta.» Una volta che fu uscita dalla porta di casa, Vlad si accorse del luccichio malizioso nello sguardo dell’amico. «Che c’è?» Il sorriso dell’altro ragazzo si allargò. «Hai già chiamato Meredith?» «A dire il vero, due volte», rispose lui, alzando le spalle impettito. Henry lo fissò per un attimo, e la sorpresa nel suo sguardo cedette il passo al sospetto. «Ci hai parlato?» Parlato? Vlad non aveva ancora trovato un modo per rimuovere il nodo che gli si era piazzato in gola da quando Meredith aveva cercato di baciarlo dopo il ballo per la Festa della Libertà e lui si era tirato indietro, balbettando come un idiota. Parlarle era l’ultimo dei suoi problemi. Innanzitutto doveva capire come fare a respirare quando lei era nei paraggi. Vlad tese lentamente la mano e afferrò la tazza, trangugiando una bella sorsata prima di appoggiarla di nuovo sul tavolo. Quando ebbe finito, guardò Henry negli occhi e sospirò. «No, ho riattaccato tutte e due le volte. Però penso che una volta abbia sentito il mio respiro.» «Questo sì che è un bel passo in avanti», commentò Henry con un sospiro. «Sai che lei ha il dispositivo per identificare chi chiama?» Vlad spalancò gli occhi. Eccolo di nuovo, quel nodo in gola. «Davvero?» «Già, ma, amico, senti questa... Ieri sera Greg mi ha detto una cosa interessante a proposito delle ragazze degli ultimi due anni», buttò lì con espressione maliziosa. Il vampiro si appoggiò al bancone e cercò di ostentare indifferenza. «Interessante? Cioè?» Henry si fece più vicino. «Lui dice che, se uno riesce a farsi invitare a una delle feste dei più grandi, alcune delle ragazze hanno pietà dei più piccoli e...» Nelly tornò in cucina. In una mano aveva un mucchio di buste, nell’altra una scatoletta marrone. Lanciò un’occhiata alle loro espressioni raggelate e alzò un sopracciglio. «Di che cosa stavate parlando?» «Niente!» risposero all’unisono con voce tremante. «C’è qualcosa di Otis?» chiese Vlad occhieggiando la posta speranzoso. «Tuo zio ha scritto almeno una volta al giorno da quando è partito da Bathory. Pensi davvero che possa essersi dimenticato di te adesso?» chiese estraendo una spessa busta di pergamena dal mucchio e allungandogliela con un sorriso. Il ragazzo sospirò sollevato. Aveva conosciuto suo zio solo l’anno prima, dopo un orribile malinteso. All’epoca non aveva idea che Otis fosse il fratello di suo padre, anzi lo credeva un supplente pazzo, pronto a svelare il suo segreto e forse anche a ucciderlo. Si era trattato solo di un banale errore, chiunque avrebbe potuto commetterlo. Invece Otis lo aveva protetto da D’Ablo, il presidente del Consiglio di Elysia, che sembrava deciso a trovare Vlad e punirlo per il solo fatto di esistere. A quanto pareva, i vampiri non facevano i salti di gioia all’idea che i loro simili avessero figli con gli umani. Da quando lo zio aveva lasciato la città per scappare da Elysia e dagli altri vampiri, lui e il nipote si erano scambiati molte lettere, nelle quali Otis gli aveva insegnato a leggere la lingua dei vampiri, meglio nota come «codice di Elysia», e lo aveva esortato ad allenarsi quotidianamente con la telepatia. Il ragazzo gliene era grato. Naturalmente negli ultimi tempi l’uomo lo aveva anche incoraggiato a cimentarsi nel controllo mentale. Vlad era senza dubbio affascinato dall’idea, ma non riusciva a fare a meno di chiedersi cosa sarebbe accaduto se qualcuno lo avesse scoperto. La capacità di controllare i pensieri e le azioni della gente difficilmente poteva essere attribuita alla normale tempesta ormonale cui ogni adolescente è soggetto. D’altronde era impossibile negare che durante i compiti in classe quella facoltà gli sarebbe potuta tornare parecchio utile. Eppure, piuttosto che confessare i suoi timori, Vlad aveva scritto allo zio ribadendo di non essere in grado di esercitare nessun controllo sulle menti altrui, nella segreta speranza che l’uomo avrebbe accettato di trovarsi di fronte a una causa persa e sarebbe passato a insegnargli qualche facoltà più discreta. Come l’animorfismo... o conquistare le donne con uno sguardo. Il vampiro strappò la busta e, dopo aver strizzato le palpebre davanti alla grafia sbilenca dello zio, iniziò a leggere. Carissimo Vlad, spero che tu stia bene. Per rispondere alle tue ultime domande: 1) No, non mi è giunta voce di un ulteriore interessamento di Elysia nei tuoi confronti né in quelli di tuo padre. Comunque devi tenere a mente che io non godo più del privilegio di ricevere informazioni riguardanti le azioni del Consiglio di Stokerton. Le mie conoscenze sono frutto di voci, pertanto non sono da ritenersi del tutto affidabili. 2) Tua zia fa bene a essere «iperprotettiva» e a insistere affinché tu non vada da nessuna parte da solo. Sarai anche una temibile creatura della notte, Vladimir, ma sei comunque un ragazzino e, secondo la legge, sei sotto la sua tutela. Senza contare che è possibile che Elysia decida di vendicarsi per l’uccisione del suo presidente, anche se si è trattato solo di autodifesa. 3) Mi dispiace, Vladimir, ma la voce secondo cui i vampiri sono in grado di soggiogare le donne con uno sguardo non solo è completamente falsa, ma anche ridicola. Hai provato a chiedere semplicemente a Meredith se le piaci? Per esperienza posso dirti che l’approccio diretto è quello che funziona meglio. Chiamare una ragazza e respirarle nel telefono non ha mai procurato un appuntamento a nessuno. Qualunque cosa tu decida, ricordati di comportarti da gentiluomo. Come promesso, ti allego ulteriori istruzioni su come sviluppare al meglio le tue capacità telepatiche. Mi sorprende che tu non abbia avuto successo in questo campo, ma dobbiamo ricordare che sei unico nel tuo genere e, probabilmente, per te le cose saranno diverse. Quando viene creato un vampiro, le sue capacità si sviluppano secondo un ordine naturale prestabilito, ma tu... tu sei nato così, quindi – per via del DNA umano di tua madre – non ci è dato sapere quali caratteristiche vampiresche di tuo padre tu abbia ereditato e quali no. Pertanto dovremo fare i conti con ciascuna delle tue facoltà man mano che si presentano. Segui le istruzioni allegate ed esercitati, esercitati, esercitati! In qualità di tuo ex insegnante, devo però insistere affinché tu non usi la telepatia per migliorare i tuoi voti. E, sì, lo verrò a sapere. Fidati. Per quanto riguarda i problemi che, a quanto pare, stai avendo con il controllo delle menti, dammi il tempo di buttar giù qualche informazione a proposito di questa capacità, potrebbe tornarti utile. Insieme troveremo un modo per renderti le cose più semplici. Tuo padre era un vero maestro in quest’arte e devo ammettere che il fatto che tu potresti non esserlo mi sorprende. Ma, per favore, ricordati che non ne sono deluso. Sei sempre nei miei pensieri. Prenditi cura di te stesso, stai attento a ciò che ti circonda e continua a studiare il codice di Elysia. So che la lingua dei vampiri è difficile da leggere, ma è importante che memorizzi il Compendium Conscientiae. Secondo il detto coniato dallo straordinario filoso umano, George Santayana: «Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo». La settimana prossima sarò a Londra. Ti allego l’indirizzo al quale potrai spedire le tue lettere. Ti scriverò ogni volta che mi sarà possibile. Ti prego di salutarmi affettuosamente Nelly. Tuo per l’eternità, OTIS Vlad passò un dito sulla frase di commiato dello zio: Tuo per l’eternità. Era la stessa frase che suo padre riportava in ogni appunto, su ogni libro, in ogni biglietto di auguri che avesse mai regalato al figlio. Il ragazzo sentì l’ombra oscura del dolore addensarsi di nuovo su di lui. La morte di una persona amata era proprio strana. Non importavano le lacrime versate o il tempo trascorso, anche il minimo ricordo – un profumo, un oggetto, una parola – aveva la capacità di riportarti al momento in cui l’avevi persa e, prima di rendertene conto, ti trovavi sopraffatto dalla tristezza, benché avessi fatto di tutto per scrollartela di dosso. Era piuttosto sconfortante apprendere che il suo combattimento all’ultimo sangue con D’Ablo avesse suscitato lo sdegno della società dei vampiri, sebbene fosse stato il loro presidente a iniziare, e lui si fosse limitato a fargli un buco nello stomaco per evitare di essere ucciso a mani nude. Ma in qualche modo avrebbe affrontato la cosa. Dopotutto, grazie a Otis, Elysia pensava che lui fosse un umano, non un mezzo vampiro. Tra l’altro suo zio gli aveva assicurato che, essendo in possesso di un Lucis – la più pericolosa arma contro i vampiri –, Elysia sarebbe stata ansiosa di negare l’idea che lui fosse in grado di far loro del male, cosa che li avrebbe dissuasi dal dargli la caccia. Per Vlad era frustrante scoprire che Otis non avesse nessun saggio consiglio per gestire la situazione che si era creata con la ragazza che gli piaceva. Pensò di chiederlo a Nelly, ma l’ultima cosa che gli serviva era una conversazione di due ore sull’adolescenza di sua zia. Vlad sospirò. Era una situazione disperata. Come avrebbe potuto far capire a Meredith che non aveva idea del perché non l’avesse baciata dopo il ballo della Festa della Libertà e che l’unico motivo per cui non aveva risposto alle sue telefonate durante l’estate era che lei gli avrebbe chiesto di spiegarle la sua reazione? Come avrebbe potuto farlo se neppure lui aveva la più pallida idea del perché avesse agito in quel modo? «Che ti ha detto?» chiese Henry occhieggiando la pergamena da sopra la sua spalla. Lui piegò la lettera e la rimise nella busta, poi prese le istruzioni. «Dice che saluta Nelly e che ha allegato qualche consiglio sulla telepatia.» Sua zia sorrise tutta allegra e arrossì, poi lanciò un’occhiata all’orologio e sospirò. Scosse la testa e prese la borsa. Mentre usciva, gridò dietro di sé: «Sono in ritardo. Oggi pomeriggio dovrò sostituire Deb in ospedale. Potete pensare voi alla cena?» La porta si chiuse prima che potessero rispondere. Henry fece un breve cenno del capo in direzione del foglio che conteneva le istruzioni di Otis. «Vuoi fare una prova? Muoio dalla voglia di sapere se piaccio a Melissa Hart.» Vlad piegò gli appunti e li infilò nella tasca posteriore dei jeans. «Prima voglio studiarli per qualche giorno. Magari possiamo provare questo fine settimana.» L’amico sbuffò. «Ma dai! Lo sai che sono impegnato. Joss, ricordi?» «Prima voglio leggerli.» «E allora leggili. Poi potremmo andare al centro commerciale a Stokerton. Melissa parteciperà a quella ’sfilata di fine estate/inizio autunno’ che fanno tutti gli anni, e tu...» «Henry, ho detto no», ribatté Vlad in tono serio. L’altro annuì lentamente e afferrò il bicchiere di succo d’arancia. Servo o no, il vampiro odiava dare a Henry degli ordini diretti e lo faceva solo quando l’amico diventava troppo insistente a proposito di qualcosa che lui non era pronto a fare o di cui non voleva parlare... o se desiderava tantissimo una Pepsi e non aveva proprio voglia di andare in cucina a prendersene una. A parte quello, il loro rapporto vampiro/servo umano funzionava alla perfezione. Era sorprendente quanto Henry avesse preso bene la notizia che, con quell’unico morso, era diventato il suo servo. Ma in fondo, forse, l’aveva presa così bene solo perché lui gli aveva detto di farlo. Quel pensiero lo fece rabbrividire. Non gli piaceva l’idea di controllare le azioni dell’amico. Anzi, a dire il vero, lo faceva sentire molto a disagio. Ma a volte Henry era così insistente! Vlad girò la scatola e, vedendoci il suo nome sopra, l’aprì. Sulle labbra gli fiorì un sorriso e istintivamente si voltò verso l’altro ragazzo. «Vuoi giocare a Race to Armageddon 2?» «Non ci credo!» «Sulla confezione c’è scritto che c’è il doppio dell’azione e il triplo del sangue.» Scambiandosi dei sorrisi soddisfatti, i due schizzarono in soggiorno. Un paio d’ore, un sacchetto di Doritos, sette Pepsi e quattro sacche di sangue dopo, posarono i controller e si stiracchiarono. Gli occhi di Henry erano spalancati, pieni di ammirato disgusto. «Questo sì che è terrificante. Mi piace tantissimo!» «Infatti. È proprio figo che adesso gli androidi possano volare.» Vlad si scolò la Pepsi e appoggiò la lattina vuota sul tavolino. Il suo stomaco emise un sonoro borbottio. «E il re alieno con sei teste? Che novità. Sarà difficile batterlo stavolta.» «Hanno aggiunto veramente un sacco di sangue. A questo proposito...» Il giovane vampiro andò a prendere un’altra sacca di sangue dal frigorifero. Mentre tornava in soggiorno, lasciò che i denti gli si allungassero: la fame li stava spingendo in fuori. Diede un morso alla sacca e la scolò, poi fece un rutto e si asciugò l’eccesso di sangue dagli angoli della bocca. «Sei un maiale», disse l’altro ridacchiando. «Scusami», rispose lui con un sorriso. Henry si morse il labbro e per un attimo sembrò assorto nei suoi pensieri. Quando parlò il suo tono era pacato e serio. «Pensi che inizierai mai a mordere le persone?» Vlad scosse la testa. «Assolutamente no. Neanche tra un milione di anni», asserì osservando l’amico con la coda dell’occhio. Poi si girò a guardarlo dritto in faccia. «Pensi davvero che potrei farlo?» «Be’, hai morso me.» «Amico, avevamo otto anni. Senza contare che eri stato tu a chiedermelo.» L’altro fece finta di non averlo sentito. «Ma poco fa, prima di mordere quella sacca, i tuoi occhi hanno cambiato colore: sono diventati di quello strano viola iridescente, proprio come quando ti capita di toccare un simbolo», disse indicando il disegno sulla copertina dell’Enciclopedia Vampirica e scrollando le spalle. «Sto solo dicendo che non dovresti escluderlo. Voglio dire, che succederebbe se le sacche di sangue e le merende che ti prepara Nelly non ti bastassero più?» Vlad scosse il capo e strinse le labbra, seguendo il profilo del tatuaggio che aveva nella parte interna del polso sinistro. Ci fu un attimo di silenzio prima che parlasse. «Se bastavano a mio padre, basteranno anche a me. Inizierò a mordere le persone quando sarò più bravo di te con i videogiochi.» Henry rise e prese il controller. «Quindi non accadrà mai.» 3 BATHORY HIGH Vlad ficcò due penne nella tasca anteriore dello zaino e lo chiuse. Henry aveva cercato di convincerlo per tutta l’estate a comprarne uno nuovo, nella fattispecie uno a forma di bara che avevano visto al centro commerciale di Stokerton, ma lui preferiva il suo vecchio. Non che quella sorta di scherzo tra loro gli desse fastidio – anzi, a dire il vero, trovava davvero divertente che lui e Henry facessero cenno in maniera così evidente alla sua natura vampiresca, senza che nessuno a Bathory ci facesse caso – ma lui e il suo zaino avevano affrontato insieme gli ultimi due anni. E quell’oggetto era finito sul palo della bandiera quasi tante volte quante il suo proprietario era stato sbattuto contro un armadietto. In un certo senso, erano amici. Come con Henry. Con l’unica eccezione che non poteva legarsi l’altro ragazzo alla schiena e costringerlo a portargli i libri. Vlad attaccò una nuova spilletta allo zaino e se lo mise in spalla. Quando l’aveva vista al negozio era scoppiato in una risata isterica e sapeva che avrebbe fatto impazzire anche il suo compagno. C’era scritto: ATTENTI, MORDO. La voce di zia Nelly arrivò fino al piano di sopra. «Farai meglio a sbrigarti o arriverai in ritardo il primo giorno!» Il vampiro fece per infilarsi il piccolo cilindro nero nella tasca posteriore dei jeans, ma poi si fermò e posò il Lucis sul cassettone. Sapeva che Otis e la zia avrebbero dato di matto se avessero scoperto che stava uscendo senza portare con sé l’arma contro i vampiri anche solo per un giorno, ma Vlad ignorava quale effetto potesse avere sugli umani e l’idea di portarla in classe lo innervosiva un po’. Un oggetto come quello sarebbe stato fuori posto in una scuola. Scese le scale a due a due e, una volta arrivato giù, rivolse un sorriso alla zia. La donna ricambiò allungandogli una sacca di sangue che lui ingurgitò con grande piacere. Il liquido, caldo e denso, discese con facilità giù per la gola. La vera colazione dei campioni. Una volta finito, il ragazzo restituì alla zia il contenitore di plastica; aveva appena sfiorato il pomello della porta con la punta delle dita quando lei chiese: «Hai ricordato di mettere la protezione solare?» «Perché me lo chiedi? Credi che io sia troppo abbronzato?» ridacchiò lui sforzandosi di non alzare gli occhi al cielo. Nelly scosse la testa mentre il nipote usciva dalla porta. Henry lo stava aspettando sul marciapiede dall’altro lato della strada. Accanto a lui c’era un bel ragazzo con la pelle dorata e, osservando la somiglianza dei tratti del viso, Vlad non stentò a capire che i due dovevano essere parenti. «Ehi», li salutò facendo un cenno a Henry. L’amico gli sorrise e indicò il nuovo arrivato con un cenno del capo. «Ehi. Questo è mio cugino Joss.» Il nuovo arrivato sorrise a sua volta, ma rimase in silenzio. Oddio, a quanto pareva era il classico tipo bello e poco loquace. S’incamminarono insieme verso la scuola, percorrendo i vialetti tra le case e condividendo i loro timori per il primo giorno da liceali. Vlad sentiva il cuore battere contro le costole, facendo eco alle sue paure. Era appena riuscito a prendere abbastanza fiato da controllare il battito impazzito nel suo petto, quando, girando l’angolo, si ritrovò ai piedi delle scale del Bathory High. Il vecchio edificio, che un tempo era stato una chiesa cattolica, costituiva una discreta fonte di pettegolezzo in una cittadina piccola come Bathory. A quanto sembrava, il luogo di culto era stato abbandonato a metà dell’Ottocento in seguito a qualche orribile vicenda di cui nessuno in città – compreso il bibliotecario, che sapeva tutto sulla storia locale ed era sempre più che felice di condividere le sue conoscenze con chiunque – amava parlare. Quasi un secolo dopo quei fatti, un ricco uomo d’affari aveva comprato la proprietà e l’aveva trasformata nella Bathory Preparatory Academy. Vent’anni più tardi, la scuola era diventata un’istituzione pubblica e alla fine si era trasformata in ciò che il giovane vampiro stava occhieggiando mentre si avvicinava con lo zaino in spalla. «Henry!» strillò Carrie Anderson agitando la mano piena di entusiasmo. Lui rispose con un sorriso timido. «Torno subito, ragazzi», disse. Un istante dopo fu inghiottito dalla folla, travolto da quel tipo di popolarità che Vlad poteva solo osservare da lontano. Con un sospiro, il vampiro si girò verso Joss. «Henry mi ha detto che ti sei trasferito dalla California», esordì cercando di fare conversazione. «A me ha detto che sei una schiappa ai videogiochi», replicò l’altro. Dopo un attimo proruppero entrambi in una fragorosa risata. «Tuo cugino è davvero un tipo divertente», commentò Vlad senza smettere di sorridere. «Anche popolare, a quanto sembra», aggiunse Joss in tono vagamente sprezzante. «Pensavo che tutti i McMillan fossero popolari...» «Non io, amico. Non è roba per me.» Il ragazzo scosse la testa, lanciando un’occhiata incerta alla folla. «Io preferisco avere un gruppo selezionato di amici, preferibilmente persone che non ti stanno intorno solo per la famiglia da cui vieni o per il tuo conto in banca.» Il volto di Vlad s’illuminò: lui e Joss sarebbero andati molto d’accordo. Henry fece un cenno con la mano e, prima di sparire a sua volta tra la folla, il nuovo arrivato si sistemò la cartella in spalla e sorrise al vampiro. «Be’... ci vediamo.» «Sì, ci vediamo», rispose Vlad seguendolo con lo sguardo, per poi girarsi nuovamente a osservare la minacciosa facciata della scuola. Ma non rimase in contemplazione per molto. Mentre delle mani lo afferravano per la maglietta e lo trascinavano verso un lato isolato dell’edificio, i suoi occhi si spalancarono per la paura. Bill Jensen e Tom Gaiber. Che fortuna. Lo odiavano fin dalla prima elementare senza alcun motivo particolare, almeno a quanto ne sapeva lui. I due bulli lo scaraventarono insieme contro il muro della scuola, le labbra increspate in un ghigno malvagio. «Buon primo giorno di liceo, darkettone», ringhiò Tom. Vlad ebbe un sussulto involontario quando la sua testa andò a sbattere contro la pietra. Si sforzò di ostentare indifferenza, ma i suoi occhi lo tradirono vagando intorno in cerca di aiuto. Presto avrebbero ridotto la sua faccia come un hamburger. Dov’era Henry quando aveva bisogno di lui? Bill gli si fece ancora più vicino. L’alito gli puzzava di tonno e maionese andati a male. «Che c’è, darkettone? Il gatto ti ha mangiato la lingua?» Varie risposte argute si affollarono nella mente del vampiro ma alla fine decise di tenere la bocca chiusa e non emettere il minimo suono. A volte la miglior difesa contro gente come quella era il silenzio. D’altro canto, se accettavi passivamente di farti comandare a bacchetta, facevi la figura del codardo. Raddrizzando le spalle, Vlad cercò di opporsi a Bill, ma Tom lo afferrò per il colletto e una fitta di dolore gli attraversò la schiena mentre veniva di nuovo spinto con violenza contro il muro. «Lascialo andare.» Il ragazzo girò la testa verso il marciapiede. A quanto pareva Joss si era allontanato dal gruppo di Henry e adesso stava fissando Tom e Bill con freddezza. Aveva la testa leggermente piegata e un sopracciglio alzato, come se il fatto che qualcuno potesse ignorare un suo ordine fosse del tutto inconcepibile. A quanto pareva, il cugino del suo migliore amico era simpatico, ma non troppo sveglio. Vlad stava per dirgli di darsela a gambe, quando Tom, ignorando il nuovo arrivato, alzò gli occhi al cielo e lo spinse più forte contro il muro. La spina dorsale entrò in contatto con una pietra appuntita. Lui non riuscì a trattenere una smorfia di dolore e lottò per divincolarsi, ma Tom lo teneva bloccato. «Quest’anno ti tocca questo, darkettone. Abbiamo dei bei progetti per te.» «Ti ho detto di lasciarlo andare.» Joss aveva appoggiato la cartella sul marciapiede e stava guardando Tom senza un briciolo di paura negli occhi. I due bulli lasciarono andare Vlad e si girarono verso di lui. Corri, pensò il vampiro, corri e salvati la pelle. Ascoltami. Tom e Bill si scambiarono uno sguardo perplesso, incapaci di decidere se Joss fosse o no una preda facile. Alla fine, dopo un ultimo, risoluto spintone ai suoi danni da parte di Tom, si avviarono verso l’ingresso della scuola senza aggiungere una parola. Vlad non poté fare a meno di domandarsi che cosa nel nuovo ragazzo li avesse spinti ad abbandonare il campo in tutta fretta. Di qualsiasi cosa si trattasse, lui doveva esserne sprovvisto. Prese lo zaino e si strofinò il livido sulla nuca con aria pensosa. Non sapeva con esattezza che emozione gli provocasse l’essere stato soccorso, ma era comunque meglio che essere picchiato, o almeno così pensava. «Grazie.» «Figurati», disse. «Quei tizi sono dei primitivi senza cervello.» «Li conoscevi già?» «Non serve. L’ho capito dalle fronti basse e dal monosopracciglio. Vuoi che gli spezzi le braccia per te?» chiese con un ghigno complice. «Non sarebbe male. A quel punto gli diventerebbe più difficile darmi il tormento. Cosa potrebbero fare, venirmi a sbattere contro finché non diventa troppo noioso?» scherzò Vlad in risposta. In quel momento, alle spalle del suo nuovo amico, il vampiro scorse Meredith Brookstone che attraversava il vialetto. Il suo vestito rosa frusciava all’altezza delle ginocchia a ogni passo. La vide rivolgergli un sorriso e arrossire leggermente. Joss seguì lo sguardo di Vlad e, quando si accorse di chi fosse l’oggetto delle sue attenzioni, sorrise anche lui. Oh oh. «Fa un po’ paura, vero?» intervenne Henry, affiancandosi a loro. Vlad annuì, guardando l’edificio che si stagliava minaccioso di fronte a loro. C’era stato centinaia di volte prima di allora, ma quello che alla luce della luna sembrava accogliente appariva davvero inquietante sotto quella del sole. Il vampiro seguì l’amico e suo cugino su per le scale. Entrare a scuola dalla porta anteriore gli provocava una strana sensazione. Tenne la testa bassa e cercò di non alzare lo sguardo verso il campanile. Un cartello sulla porta indirizzava le matricole verso la palestra. Dopo aver sistemato lo zaino sulla spalla in una posizione più comoda, Vlad prese un respiro profondo ed entrò. Ai lati dell’atrio si ergevano tredici grandi pilastri di pietra sormontati da archi. Sopra, al secondo piano, s’intravedeva un gruppo di archi più piccoli che culminavano in una struttura in ferro battuto. Il ragazzo alzò lo sguardo verso il soffitto. Una volta doveva essere stato decorato da affreschi – probabilmente raffiguranti uomini avvolti in tuniche svolazzanti con aureole d’oro intorno alla testa – ma tutto quello che rimaneva adesso erano macchie di colore sbiadite, nient’altro che figure indistinte. Diverse pietre scure disegnavano poi delle enormi croci proprio sopra la sua testa. «C’è un fondo di verità nella storia dell’odio di voi vampiri nei confronti delle croci?» chiese Henry in un sussurro appena udibile. Vlad si lasciò sfuggire un sorriso. Non aveva mai preso seriamente in considerazione l’eventualità di finire in fiamme al primo contatto con quel simbolo religioso. A dire il vero non era mai stato interessato alla religione in generale. «Immagino di no», rispose. Proprio in quell’istante un uomo grande e grosso che ricordava un leprecauno gigante alzò le braccia e parlò a voce alta, in tono brusco e a tratti incomprensibile. «Matricole, dovete passare sotto il terzo arco alla mia destra e poi percorrere tutto il corridoio fino alla palestra. Muovetevi. Tutti gli altri vadano in classe. Sì, Stevenson, anche tu!» Vlad sentì qualcuno dargli una vigorosa pacca sulla schiena e quando si girò vide Greg, il fratello maggiore di Henry, che lo fissava allegro. «Non fare caso a Mr Hunjo, fa sempre così. Sai dove devi andare?» chiese il ragazzo. Lui annuì e si guardò intorno cercando Henry e Joss che, a quanto pareva, erano scomparsi. «Ehi, che fine hanno fatto tuo fratello e tuo cugino?» «Probabilmente sono andati in palestra. Venite a cercarmi durante l’intervallo, okay? Vi farò vedere un po’ di cose e mi accerterò che i più grandi sappiano che vi devono lasciare in pace», rispose l’altro dandogli di nuovo un colpetto sulla schiena, prima di sparire tra la folla. Il vampiro lo osservò finché la lana nera e la pelle rossa della sua giacca sportiva non furono sparite. Negli ultimi due anni Greg era stato il primo lanciatore dei Bathory Bats e sicuramente, quando sarebbe ricominciata la stagione del baseball in primavera, avrebbe ottenuto di nuovo quel ruolo. Era il ragazzo più figo del mondo e l’unica persona, a parte Henry, che avesse mai fatto desiderare a Vlad di avere un fratello. Così come accadeva con il suo migliore amico, anche Greg si trovava spesso attorniato da gente che voleva stare in sua compagnia. In teoria, ciò avrebbe dovuto renderlo odioso, ma non era così. Al Bathory High era lui a stabilire cosa fosse figo e cosa no. Vlad passò sotto l’arco e seguì il flusso di matricole verso la palestra che, fatta eccezione per le travi di legno che solcavano il soffitto, era identica a quella delle scuole medie. Lungo il muro erano stati allineati tre tavoli. Il giovane vampiro passò dall’uno all’altro insieme con gli altri studenti e, quando ebbe terminato il giro, si trovò in mano una mappa, una guida della scuola e un numero di armadietto: il 131. Lo trovò, insieme con Henry che sembrava ricomparso dal nulla, in fondo al corridoio. «Ciao, vicino. Quant’è figo che i nostri armadietti siano l’uno accanto all’altro?» «Proprio figo.» Vlad tirò fuori dallo zaino un lucchetto rosso e lo appese alla maniglia del suo armadietto aperto. Prese un quaderno e una penna dallo zaino e poi lo ficcò dentro; stava per richiudere lo sportellino quando un lampo rosa catturò la sua attenzione, provocandogli un giramento di testa. Meredith era davanti a un armadietto aperto e, prima di appendere con cura il suo zaino rosa all’interno, si sistemò dietro l’orecchio una ciocca di capelli color cioccolata. Vlad sentì il suo cuore gonfiarsi fino a diventare grosso come un pallone. A dire il vero gli sembrava fosse diventato così grande che aveva paura che il petto potesse esplodergli in quel preciso istante. «Hai intenzione di salutarla o pensi di rimanertene lì a sbavarti sulle scarpe?» domandò Henry. Lui si limitò a lanciargli un’occhiataccia senza dire una parola. Il problema era che non sapeva se un semplice saluto sarebbe bastato. Pensò che delle scuse potessero essere più appropriate, ma per cosa doveva scusarsi di preciso? Per non aver baciato la ragazza più carina della scuola quando lei gentilmente era andata con lui all’ultimo ballo dell’anno? Certo che sì. Ma in qualche modo dubitava che un «mi spiace se non abbiamo pomiciato» avrebbe fatto venire voglia a Meredith di andare di nuovo a una festa con lui nell’immediato futuro. Raccolte le forze, il vampiro le lanciò alcuni sguardi furtivi da dietro la porta del suo armadietto, poi prese qualche respiro profondo e la chiuse. «Ciao, Meredith», la salutò. La ragazza si strinse una cartellina al petto e si girò verso di lui. «Ciao.» «Hai lezione adesso, no?» Oh. Mio. Dio. Che diavolo aveva detto? Avrebbe fatto meglio a tacere. «Cioè, hai matematica, vero?» riprovò. Lei gli rivolse uno sguardo interrogativo. «Ho inglese. Perché?» La saliva svanì dalla bocca di Vlad quando si rese conto che stavano andando alla stessa lezione. «Solo... per sapere», balbettò cominciando a desiderare di poter strisciare nell’armadietto per nascondersi. Sfortunatamente entrarci sarebbe stato impossibile. Meredith schiuse le sue meravigliose labbra rosa ma, prima che potesse dare seguito alla loro imbarazzante conversazione, l’armadietto accanto al suo si chiuse, svelando una Melissa Hart biondissima e dall’aspetto molto più adulto rispetto all’anno precedente. Le due ragazze cominciarono a chiacchierare tra loro e ben presto superarono Vlad e Henry senza degnarli di una sola occhiata... anche quando quest’ultimo sussurrò un timido: «Ciao, Melissa». Non appena la ragazza se ne fu andata, Henry diede di gomito a Vlad e con fare ammiccante commentò: «Qualcuno ha bevuto un bel po’ di latte quest’estate». Joss, che nel frattempo li aveva raggiunti, alzò gli occhi al cielo. Il giovane vampiro continuò a guardare Meredith, chiedendosi cosa avesse appena cercato di dirle e come facessero le ragazze carine a trasformare un adolescente in un idiota balbettante. Dopo essersi perso per qualche minuto nei suoi pensieri, mordicchiandosi il labbro inferiore, disse: «Ehi, Joss, oggi pomeriggio Henry ha deciso di piantarmi per partecipare a una riunione del Consiglio studentesco. Vuoi venire a casa mia più tardi?» «Qualunque cosa per sfuggire al club di ricamo di zia Matilda», rispose l’altro con entusiasmo. Mentre i tre entravano in classe, la campanella suonò e Mrs Bell alzò lo sguardo dal libro. Vlad si era aspettato denti storti, capelli blu e sopracciglia disegnate con la matita. Invece fu accolto da denti dritti, capelli castano ramato e sopracciglia disegnate con la matita. Alcune cose non cambiavano mai. «Prendete posto», li esortò l’insegnante. Il vampiro si avviò in fondo alla classe e si sedette; Henry scelse il banco accanto al suo, mentre Joss prese posto davanti al cugino. Mrs Bell si alzò e chiuse il libro. «La campanella che segna l’inizio della lezione e della giornata scolastica suona alle otto in punto, mi aspetto che per quell’ora voi siate al vostro posto. Non uno o tre minuti dopo. Alle otto. Per oggi vi darò solo un avvertimento, ma, la prossima volta che troverò qualcuno a bighellonare, scatteranno le punizioni», concluse lanciando uno sguardo tagliente a Vlad, Henry e Joss. Il vampiro guardò l’amico e a stento riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere: era seduto dritto come un fuso, le braccia conserte sul banco, e sbatteva gli occhioni in direzione di Mrs Bell. Joss si girò verso il cugino e si lasciò sfuggire un ghigno divertito. Mrs Bell non sembrò notarlo, invece si voltò verso la lavagna e iniziò a scrivere cose cui Vlad non prestò la minima attenzione. Era troppo impegnato a guardare Meredith che sgattaiolava in classe senza farsi notare dall’insegnante. La ragazza osservò l’aula, fece un educato cenno di saluto e si sedette nelle file davanti. Benché fosse davvero felice di vederla, Vlad scivolò sulla sua sedia. Non aveva idea del perché stesse cercando di evitarla. Non si erano certo dichiarati amore eterno o qualche stupidaggine del genere. Era stato solo un appuntamento al termine del quale si erano quasi scambiati un bacio. Eppure, da quel momento in poi, lui aveva sentito un peso enorme sulle spalle. Senso di colpa. Ne era quasi sicuro. Henry stava annotando qualcosa sul quaderno aperto. All’inizio Vlad pensò che fosse un biglietto – magari un commento spiritoso su Mrs Bell, o forse qualche informazione cruciale su Meredith –, ma poi si rese conto che tutti stavano scrivendo... tutti tranne lui. L’insegnante ringhiò. O forse no. Considerata l’espressione sul suo viso, avrebbe anche potuto trattarsi di un sorriso, ma Vlad ne dubitava. Le persone come Mrs Bell non sorridevano, piuttosto digrignavano i denti davanti a ignari passanti. «Vladimir Tod, ti suggerisco di prestare attenzione e di copiare i compiti per questa settimana», lo ammonì la donna. Per fortuna, il resto della lezione d’inglese passò in fretta, ma quando la campanella suonò il vampiro era ormai convinto che quello sarebbe stato un anno terribile. Lui, Henry e Joss si separarono per la seconda e la terza ora, incontrandosi solo per delle brevi pause vicino agli armadietti riempite da fugaci conversazioni su quanto facesse schifo biologia, su come arte fosse accettabile, o sul fatto che Mr Kareb fosse abbastanza forte per essere un insegnante di storia e che Mrs Bell avrebbe reso quell’anno scolastico il più lungo di tutti i tempi. Quando arrivò l’ora della pausa pranzo, corsero in mensa e si guardarono intorno alla ricerca di Greg. Lo trovarono seduto in fondo alla sala in compagnia di altri ragazzi popolari. Dopo che Henry e Joss ebbero preso i loro vassoi con il pasto caldo, Vlad, con il pranzo al sacco in mano, li seguì al tavolo di Greg, dove quest’ultimo li presentò ai suoi amici. «Ehi, ragazzi, questi sono mio fratello, Henry, e mio cugino, Joss. Lui è Vlad. Considerateli off limits. L’unico che può chiuderli nell’armadietto sono io», li avvisò dando uno scherzoso pugno sul braccio al fratello e sorridendo a Vlad. «Come sta andando il primo giorno?» Il vampiro fece spallucce. «Bene, credo.» Aveva sempre invidiato a Henry la sua fantastica famiglia. Anche se a volte rompevano un po’, i suoi genitori erano attenti e generosi. Matilda, la madre, preparava dei biscotti o qualche altro dolce tutte le volte in cui sapeva che Vlad sarebbe stato loro ospite; e il padre, Peter, aveva l’abitudine di regalare anche a lui un po’ di contanti quando dava la paghetta ai figli. Passare del tempo con Greg, poi, era un vero spasso. Non riusciva proprio a capire perché il suo amico si rifugiasse sempre a casa sua e di Nelly con tutta quella gente figa intorno. D’altro canto, lui stesso non riusciva a passare troppo tempo a casa di Henry: stare con i suoi genitori gli ricordava quanto gli mancassero i propri. Mentre era immerso nei suoi pensieri, un ragazzo seduto al lato opposto del tavolo prese una delle sue tortine e, prima che lui avesse modo di fermarlo, l’addentò facendo scoppiare le capsule all’interno. Vlad lo vide assumere un colore verdastro e cercò con lo sguardo il suo migliore amico, che lo fissò a bocca aperta. Nessuno, a parte lui e Nelly, era a conoscenza del suo segreto e ora un liceale aveva scoperto il metodo con cui introduceva a scuola il sangue necessario ad alimentarsi. Il vampiro guardò di nuovo il ragazzo: aveva gli occhi spalancati e sembrava stesse per gridare. Invece vomitò. Vlad e Henry si guardarono di nuovo negli occhi, incapaci di proferire parola. «Nuova regola per tutti, signori. State alla larga dal pranzo di Vlad. Sua zia non sa cucinare», disse a un tratto Greg, rompendo il silenzio. In men che non si dica, tutti i commensali scoppiarono a ridere. Il vampiro tirò un sospiro di sollievo e, dopo che il gruppo si fu spostato a un altro tavolo, finì in tutta calma il suo panino con marmellata di fragole mista a sangue. Dopo il pranzo e altre tre ore passate a prendere appunti, conoscere gente nuova, perdersi per i corridoi e scoprire che aveva solo una lezione insieme con Meredith ma tre con Henry e cinque con Joss, Vlad raggiunse il suo armadietto trionfante ma esausto. Era sopravvissuto quasi indenne al suo primo giorno da matricola. Recuperò lo zaino e lanciò un’occhiata al corridoio in cerca di Henry. Sfortunatamente delle spalle fasciate da una giacca di pelle gli ostruirono la visuale. Bill si girò e, sebbene Vlad avesse fatto del proprio meglio per rimpicciolire fin quasi a scomparire all’interno dell’armadietto, lo avvistò. Dopo aver richiamato l’attenzione di Tom con un colpetto sulla spalla, i due inchiodarono il compagno con i loro sguardi minacciosi. Portavano entrambi la stessa giacca di pelle, probabilmente nel tentativo di sembrare tosti agli occhi dei bulli più grandi, che di certo non avrebbero esitato a dare una lezione a quelle due teste calde del primo anno. Con panico crescente, il vampiro li vide avvicinarsi. Il suo armadietto fu richiuso con violenza da Bill e lui non poté che osservare la cinghia del proprio zaino incastrata nella porta, come un serpente che, dopo essere sgusciato in uno spazio angusto, vi è rimasto bloccato. Poi il suo sguardo si spostò su Tom, il quale stava facendo scrocchiare rumorosamente le dita della mano. «Ehi, darkettone. Prima non siamo riusciti a finire la nostra chiacchierata», lo apostrofò il bullo. Era morto. Benché avesse avuto la fortuna di sfuggire all’agguato di quella mattina e fosse sopravvissuto a buona parte del suo primo giorno da matricola, adesso stava per morire. Riusciva già a vedere l’incisione sulla sua lapide: QUI GIACE VLADIMIR TOD, PICCHIATO A MORTE DA DUE ENERGUMENI. «Ehi, Vlad. Che succede?» Joss era appoggiato all’armadietto accanto al suo, la fronte aggrottata. Lui gli lanciò un’occhiata. Chi era quel ragazzo? Una guardia del corpo? Una specie di pedinatore con la vocazione dell’eroe? L’idea che qualcuno fosse sempre pronto a coprirti non era affatto malvagia, ma... aver sempre bisogno d’aiuto lo imbarazzava un po’ e lo faceva sentire un perdente in ambasce. Vlad avrebbe voluto dire a Joss di correre, di scappare via di lì finché era in tempo, perché stavano per picchiarlo a sangue e temeva che chiunque fosse in qualche modo associato a lui potesse subire la stessa sorte. Invece, il ragazzo fece spostare Bill e aprì di nuovo il suo armadietto. «Togliti di mezzo, scimmione», disse in tono gelido e, con orrore del vampiro, dopo aver dato una leggera spinta al bullo aggiunse: «Non starai ancora dando fastidio a Vlad, vero? Non dopo la nostra chiacchierata di stamattina». «Matricola, il tuo amico sta per entrare nel programma di donazione reni: se non vuoi fargli compagnia, ti suggerisco di girare alla larga.» Vlad aggrottò la fronte, domandandosi come avrebbero agito. Se avevano intenzione di prenderlo a pugni nei reni, era abbastanza sicuro che dopo gli organi non sarebbero più stati funzionanti. E poi perché Bill aveva chiamato Joss «matricola»? In fondo frequentavano tutti e quattro il primo anno. Bill si girò fino a trovarsi di nuovo di fronte alla sua vittima designata, e alzò il pugno. Il vampiro si tenne pronto a schivare il colpo, ma bastò un attimo perché Joss bloccasse il pugno del suo aggressore e, torcendogli la mano dietro la schiena, lo costringesse a girarsi su se stesso. Poi, senza mollare la presa, lo spinse contro l’armadietto in modo che la sua guancia aderisse perfettamente al metallo. «Adesso voglio che ascolti con attenzione quello che ho da dirti. Lascia in pace Vlad. O la prossima volta ti spezzo il braccio. Capito?» sibilò liberando l’altro ragazzo proprio mentre Mrs Bell girava l’angolo. La professoressa lanciò a tutti uno sguardo di disapprovazione, ma Vlad era abbastanza sicuro che non avesse assistito allo sfoggio di prontezza di riflessi appena messo in atto dal nuovo arrivato. Approfittando della presenza dell’insegnante, Tom afferrò Bill per una manica e lo trascinò in tutta fretta lungo il corridoio, per poi uscire dalla porta principale senza proferire una sola parola. Era successo di nuovo. Proprio come quella mattina. Ancora una volta si era comportato come un perdente in ambasce. Non importava che i bulli avessero dovuto battere in ritirata. Per l’ennesima volta qualcuno era accorso in suo aiuto perché lui non era stato capace di difendersi da solo. I suoi pensieri corsero per un attimo alla lettera di Otis e alla storia del controllo della mente. «Grazie, sono in debito con te», mormorò prendendo lo zaino e richiudendo l’armadietto. Joss fece spallucce, come se non avesse fatto poi chissà che. «Prima hai detto che sarei potuto venire a casa tua. Ho appena ricevuto Race to Armageddon per PS2 e...» Vlad gli rivolse un ghigno sornione, e l’irritazione per essere stato salvato si dissolse di colpo. «Amico, io ho Race to Armageddon 2.» «E che differenza c’è?» «Ma in quale caverna vive la tua famiglia?» disse scuotendo la testa e incamminandosi verso l’uscita, facendo cenno a Joss di seguirlo. Tre ore dopo erano stravaccati sul divano del soggiorno di Vlad, circondati da buste di patatine e lattine di Pepsi vuote. Il suo ospite aveva gli occhi spalancati per la sorpresa. «Questo è il gioco più truculento che abbia mai visto.» Il vampiro sorrise. Anche se Henry sarebbe sempre rimasto il suo migliore amico, ogni tanto era bello passare del tempo con qualcun altro. Joss, ad esempio, era proprio forte. Cosa più importante, era un ragazzo normale che, proprio come lui, aveva delle debolezze. Henry era fantastico, ma Vlad era un po’ stanco di essere messo sempre in ombra. E, a dirla tutta, non era male riuscire a vincere a un videogioco una volta tanto. «Vladimir, il tuo nuovo amico si ferma a cena?» chiese Nelly facendo capolino dalla cucina. Il ragazzo guardò Joss, che arrossì e annuì. «Devo chiamare zia Matilda, ma, sì... mi piacerebbe.» Nelly gli passò il telefono e lui andò nell’altra stanza. Quando Vlad lo sentì bofonchiare qualcosa, si girò verso la zia. «Fammi indovinare... di nuovo spaghetti?» Lei sorrise. Gli spaghetti erano il piatto in cui era più facile nascondere il sangue quando avevano ospiti. A meno che l’ospite in questione non fosse Henry. Il giovane vampiro detestava quei cosi appiccicaticci, ma il sangue mischiato al pomodoro – con appena un pizzico di origano – era abbastanza saporito, perciò non gli dava poi così fastidio. «Ha detto che posso rimanere, ma poi devo tornare subito a casa», annunciò Joss rientrando in soggiorno con un’espressione felice e sollevata. Sapendo che ci sarebbe voluto un po’ prima che la cena fosse pronta, Vlad condusse il ragazzo al piano di sopra, fermandosi sulle scale per una breve grattatina dietro le orecchie ad Amonet. Quando passarono accanto alla biblioteca, il suo ospite rimase a bocca aperta. «Wow, hai una raccolta di libri enorme.» Il vampiro gli rivolse uno sguardo sorpreso, non conosceva molti ragazzi della sua età appassionati di lettura. «Lì ci sono i miei preferiti», disse indicando gli scaffali più vicini alla sua camera. Joss sfiorò il dorso dei volumi. Teoria e pratica della telepatia, Vlad Tepes: storia, miti e leggende del nostro mondo, Vampiri: realtà o fantasia? «Che ne pensi? Secondo te i vampiri esistono davvero o sono solo figure fantastiche che incarnano le paure della gente?» chiese a un tratto, esitando con il dito sul tomo dedicato alle creature della notte. All’inizio Vlad restò in silenzio ma, quando notò che il giovane era rimasto immobile a fissarlo, comprese che avrebbe dovuto rispondere alla sua domanda. Grazie ai molti anni trascorsi fingendo di essere umano, le parole vennero fuori con estrema naturalezza. «Nessuno crede ai vampiri, ma quel libro presenta delle argomentazioni molto valide e, a mio parere, tutto è possibile», disse in tono serio incontrando lo sguardo dell’altro, che annuì. Ritenendo la discussione chiusa, il vampiro aprì la porta della sua camera e, prima di invitare l’amico a entrare, diede una veloce occhiata in giro. La stanza era cosparsa di panni sporchi, ma Vlad si limitò a gettarli dietro la porta e a sedersi sul letto. «Da dove ti sei trasferito?» chiese a Joss, che passava in rassegna l’ambiente con un curioso sguardo d’approvazione stampato in volto. «Santa Carla. Prima ho vissuto in Romania e, prima ancora, a New Orleans, Parigi e San Francisco.» «Hai girato un bel po’ di posti.» Gli occhi del ragazzo per un attimo si velarono di tristezza. «È per via del lavoro di mio padre. Io lo odio. Sarebbe bello poter restare in un posto una volta tanto», mormorò, poi scosse la testa e un istante dopo il sorriso tornò a illuminargli il volto. «Ehi, hai mai visto che succede quando butti una Mentos nella Coca-Cola light?» Vlad ricambiò il sorriso. Le cose sarebbero state più interessanti con Joss intorno. 4 ASSASSINO PSICOPATICO CON MOTOSEGA VENUTO DALL’INFERNO «Che mi dici di lei?» Vlad sospirò. Se Henry non smetteva di chiedergli cosa pensava ogni adolescente di sesso femminile che incrociavano, non sarebbero mai riusciti ad arrivare al cinema in tempo. Normalmente non gli avrebbe dato fastidio – anche lui era curioso e, nel corso delle precedenti due ore, era stato disposto a entrare nelle menti delle ragazze carine – ma il timore di perdersi l’epico spargimento di sangue di Assassino psicopatico con motosega venuto dall’inferno gli aveva fatto venire un tic nervoso all’occhio. Era dal primo giorno di scuola, sei settimane prima, che aspettava di vedere quel film. Un solo minuto in più d’attesa, e il suo cervello sarebbe esploso. Con l’occhio che ancora tremava, osservò la bionda statuaria che aspettava fuori dal cinema: i piccoli piedi delicati erano costretti in un paio di scarpe con il tacco alto e le lunghe gambe muscolose svettavano fino a una minuscola striscia di cotone che, in teoria, avrebbe dovuto fungere da gonna. Vlad prese un respiro profondo e si concentrò su di lei, facendosi delicatamente strada nella sua mente. La bionda assunse un’espressione corrucciata. Quei tacchi le stavano distruggendo i piedi, ma non importava. L’essenziale era che fosse carina per Brad. E quella snob di Brenda Carlton poteva scommetterci: se avesse osato sedersi un’altra volta vicino a lui, le avrebbe strappato i capelli. Ma che fine aveva fatto Brad? Oooh, c’era quel ragazzo carino. Henry qualcosa. Come si chiamava? Andava al Bathory e aveva un fratello più grande. McMillan! Cavolo, era proprio un figo. E chi diavolo era il tipo pallido e ossuto vicino a lui? Santo cielo, perché non prendeva un po’ di sole e... faceva un bell’abbonamento in palestra? Vlad uscì dalla sua mente sbuffando, poi lanciò un’occhiata a Henry, che aveva un’espressione impaziente stampata sulla faccia. «E allora? Che sta pensando?» «Pensa che io sia figo», rispose il vampiro con un breve cenno del capo in direzione della ragazza. Anche Henry la guardò. «Wow.» «Il film inizia tra dieci minuti. Faremmo meglio a metterci in coda», tagliò corto Vlad dando un’occhiata nervosa all’orologio sul muro. Henry intanto aveva puntato una brunetta tutta curve che stava uscendo da un negozio di biancheria intima. «Ancora una», supplicò. «Okay, ma poi basta. Ho bisogno di un po’ di spargimenti di sangue dopo tutto questo», grugnì il vampiro. L’amico ridacchiò. «Ti farà venire fame. Ti succede sempre con i film truculenti, e mia madre non verrà a prenderci prima di due ore. Ci hai pensato?» «Non m’importa. Sono settimane che muoio dalla voglia di vederlo, quindi andiamo.» «Solo un’altra e poi andiamo. Lo giuro», insistette l’altro occhieggiando la brunetta che si era fermata per cercare qualcosa nella borsa. «Senza contare che Otis ti ha detto di esercitarti con la telepatia. Lo faccio per aiutarti.» Con un sospiro impaziente, Vlad guardò la ragazza e cercò di penetrare nella sua mente. L’ondata di sangue che gli giunse al cervello lo colse alla sprovvista. Dove diavolo erano le chiavi? Se non si sbrigava, avrebbe fatto tardi per la ceretta dall’estetista che stava dall’altra parte della città. Vediamo: aveva comprato una maglia, delle scarpe e un reggiseno. Adesso doveva solo prendere gli assorb... Il vampiro uscì dalla sua testa il più rapidamente possibile, abbassò lo sguardo e trascinò l’amico verso l’entrata del cinema del centro commerciale di Stokerton. Henry fissò in rapida successione prima lui e poi la ragazza, infine chiese: «Che c’è? A cosa stava pensando?» Vlad rabbrividì, cercando di rimuovere l’ultima informazione che aveva captato. «Fidati, è meglio se non te lo dico.» «Henry!» Un gridolino familiare risuonò lungo il corridoio, in prossimità dei ristoranti. Stephanie Brawn, sua sorella (qualunque fosse il suo nome... Vlad cominciava a pensare che potesse essere semplicemente «sorella di Stephanie»), Carrie Anderson e alcuni dei più popolari tra i suoi compagni di scuola se ne stavano lì, in gruppo. Le ragazze salutarono Henry con un tono stucchevole che fece venire la nausea a Vlad, mentre i ragazzi si limitarono a rivolgergli un breve cenno del capo. Lui spostò il peso da un piede all’altro. Che diavolo si aspettavano? Di certo il suo migliore amico non lo avrebbe mollato così. Non dopo aver progettato insieme di andare a vedere il film più truculento mai realizzato, non dopo avergli fatto leggere la mente delle ragazze per tutta la giornata, non dopo... «Torno subito, Vlad», disse Henry dandogli una pacca sulla spalla e, prima che lui avesse il tempo di replicare, l’amico fu risucchiato nel crescente vortice della sua popolarità, mente lui se ne stava lì a bocca aperta. La chiuse quasi immediatamente e infilò i pollici nei passanti dei pantaloni, guardandosi intorno nel tentativo di apparire figo e indifferente. Non sapeva se stesse funzionando, ma era sicuro di una cosa: il suo amico avrebbe dovuto offrirgli un bel po’ di schifezze da mangiare... sempre che fossero riusciti a entrare al cinema. Dall’altra parte del corridoio, un tipo pallido e magro porse un volantino a un dark che passava di lì e che Vlad riconobbe come uno dei ragazzi che aveva visto intrattenersi sui gradini del Bathory High. Fu quasi sul punto di salutarlo, ma poi si rese conto di quanto sarebbe apparso stupido quel gesto: non lo conosceva davvero, lo aveva solo visto dal suo nascondiglio segreto nella torre del campanile. I due chiacchierarono per qualche minuto di un nuovo locale, poi il dark che lui conosceva ma non conosceva entrò nella sala numero 5. Almeno qualcuno avrebbe visto Assassino psicopatico con motosega venuto dall’inferno. Il vampiro lanciò un’altra occhiata al suo migliore amico, che sembrava intento a condividere un segreto con la sorella di Stephanie. Gli sguardi che gli altri ragazzi popolari stavano rivolgendo a Henry erano brillanti e pieni di approvazione... era così irritante. Ma dopotutto si trattava di Henry: bello, simpatico, ottimi voti, anima della festa, abbronzato e perfetto sotto ogni punto di vista. Vlad si morse il labbro inferiore tutto assorto nei suoi pensieri e, dopo aver controllato l’ora per l’ennesima volta, si lasciò sfuggire un gemito. Stavano per perdersi il miglior film di tutti i tempi. E solo perché Henry doveva perdere tempo con delle persone che non gli sarebbero mai state davvero amiche. Il vampiro l’osservò mentre continuava a parlare con la ragazza e si concentrò. Non molto. Solo un po’. Poi, improvvisamente, si ritrovò a galleggiare tra i pensieri di Henry. L’amico finì di sussurrarle che gli era piaciuto un sacco assaggiare il suo lucidalabbra alla fragola il giorno prima e si allontanò, assicurandosi di fare l’occhiolino a Stephanie che era avvampata per la gelosia mentre lui flirtava con la sorella minore. Non aveva idea di come si chiamasse la ragazza... sapeva solo che non si faceva troppi problemi quando si trattava di baciare qualcuno e che non parlava molto, il che, a pensarci bene, doveva essere piuttosto difficile da fare quando uno non faceva altro che pomiciare. Vlad alzò gli occhi al cielo. Henry pensava ad altro a parte le ragazze? Prese un respiro profondo e si concentrò, proprio come aveva letto nelle istruzioni di Otis. L’amico si mise un dito nel naso e ne estrasse una caccola che lanciò sul pavimento del corridoio. Le ragazze fecero un salto all’indietro disgustate. I ragazzi risero, prima di mormorare un saluto collettivo e andar via, lasciandolo a domandarsi con espressione perplessa perché si fosse messo le dita nel naso di fronte a tutti i suoi amici. Poi scorse Vlad e il suo stupore fu sostituito da un’espressione di atterrita consapevolezza. Il ghigno svanì dal volto del vampiro. «Henry...» cercò di dire. «Sta’ zitto», si limitò a rispondere l’amico passandogli davanti e incamminandosi lungo il corridoio. Abbattuto dal senso di colpa, Vlad lo seguì mestamente, ma dopo qualche istante ricominciò a ridacchiare tra sé. La volta successiva in cui Henry lo avesse scaricato, avrebbe sempre potuto fargli ballare la macarena. Dopo aver speso gli ultimi soldi che avevano per due biglietti, un sacchetto extralarge di popcorn, Milk Duds, Sour Skittles, uvetta ricoperta di cioccolato, vermi gommosi e due sode giganti, i ragazzi raccolsero le loro provviste e si diressero verso la sala numero 9, dove stava per iniziare il film più truculento di tutti i tempi. Una volta entrati, il buio era tale che, mentre saliva le scale, il vampiro per poco non perse di vista l’amico, ma poi sentì il rumore dei popcorn che scricchiolavano sotto le sue scarpe e pensò che avrebbe dovuto fare come Hänsel e Gretel. Dopo un attimo, i suoi occhi si abituarono all’oscurità, e il suo sguardo si posò su un paio di gambe lunghe e tornite che si inerpicavano sulle scale davanti a lui. Sulla parte posteriore di una delle ginocchia, Vlad riuscì appena a distinguere una vena blu che pulsava leggermente ogni qual volta la donna saliva un gradino. Senza alcun preavviso, i suoi canini schizzarono fuori dalle gengive. Il vampiro chiuse la bocca e si sforzò di distogliere l’attenzione dalle belle vene della signora. Fissò il pavimento, gli altri spettatori, qualunque cosa non gli scatenasse orribili ondate di fame e, quando raggiunse il sedile accanto a quello di Henry, la sete di sangue sembrò essersi leggermente placata. Stavano iniziando i trailer. Vlad prese i Milk Duds e rise alla vista dell’amico che era quasi un tutt’uno con il sacchetto di popcorn. I suoi occhi erano fissi sullo schermo e aveva ingurgitato così tanto cibo che le sue guance sembravano quelle di uno scoiattolo che faceva provviste per l’inverno. Sullo schermo, un ragazzo con i capelli lunghi correva tra gli alberi gridando spaventato. Ci furono un momento di silenzio e poi uno strillo fortissimo, seguito da un’enorme quantità di sangue che andava a finire contro la telecamera. Henry rimase a bocca aperta. Lo stomaco di Vlad, invece, cominciò a gorgogliare. Due ore dopo, i ragazzi uscirono dal cinema con delle espressioni esterrefatte stampate in volto. «È stato bellissimo! Per una volta la pubblicità aveva ragione: era davvero il film più truculento mai prodotto», commentò Henry gettando il sacchetto di popcorn. Il vampiro bevve l’ultimo sorso di soda e mise il bicchiere vuoto in cima al bidone straripante. «Se Nelly dovesse chiedertelo, ricordati solo di dirle che abbiamo visto Bambino spia 009: la morte ritorna domani e per sempre.» Ad attenderli, fuori dalla porta del cinema, trovarono Greg. «Era ora! Pensavo che Bambino spia 009 finisse più di mezz’ora fa.» «Infatti. Ma noi abbiamo visto Assassino psicopatico con motosega venuto dall’inferno», rispose Vlad con un sorriso complice. Greg gli rivolse un cenno di approvazione. «L’ho visto venerdì scorso. Avete presente la scena con le cesoie? Pazzesca.» «Pensavo ci venisse a prendere mamma», intervenne Henry. «Pensavi male.» I tre fecero un giro largo allontanandosi dalla siepe che costeggiava il muro e s’incamminarono verso la macchina di Greg. Vlad lanciò un’occhiata alla vegetazione alle sue spalle, pensando ancora alla sanguinolenta scena delle cesoie, e rabbrividì. Non riusciva a immaginare cosa si potesse provare a essere braccato e sventrato. Braccato, quello sì. Ma sventrato? Il pensiero lo fece raggelare. 5 UN KILLER IN LIBERTÀ L’assassino di vampiri aprì la chiusura della vecchia valigetta di legno e passò le dita sulla morbida imbottitura interna di velluto. Prese i suoi strumenti a uno a uno e li poggiò delicatamente sul panno di cotone che aveva steso a terra per la sua ispezione. Era quasi ora di dare inizio alla caccia. Doveva accertarsi di essere pronto. Sollevò il pesante crocifisso d’argento prima di sistemarlo sul panno. Proseguì con tre bottiglie di plasma, il rosario, la piccola accetta che gli era stata regalata dal nonno e il paletto di legno, uno strumento bellissimo, ricavato dalla cenere e dotato di una punta di argento purissimo. Si chiese, per l’ennesima volta, quanti non morti il suo pro-prozio avesse abbattuto con quell’arma. Il killer pensava sempre al suo avo quando apriva la valigetta, dopotutto il kit era stato inventato proprio da lui, il professor Ernst Blomberg, e poi tramandato ai membri della famiglia dalla metà del XIX secolo. Era un’usanza di vecchia data, così come lo era tenere la propria attività di assassino segreta al resto della famiglia, fatta eccezione per coloro che l’avevano svolta in precedenza o l’avrebbero svolta in futuro. Naturalmente c’erano centinaia di famiglie di assassini, ma solo uno per generazione poteva unirsi alla Società degli Ammazzavampiri e riconoscere i tratti del suo successore tra i propri familiari. Ripensando al giorno in cui aveva scoperto di essere il successivo in linea dinastica, l’assassino si rese conto che avrebbe dovuto essere felicissimo di aver preso parte a un’antica e venerata tradizione. Ma né l’onore, né la notorietà all’interno della ristretta cerchia della Società lo avevano convinto ad arrendersi al suo destino: a farlo era stata Cecile. La cara, bella Cecile, con i riccioli biondi che le incorniciavano il delicato viso lentigginoso e i grandi occhi verdi che brillavano come smeraldi. Era accaduto durante una notte stranamente buia e silenziosa, ed era stato proprio a causa della mancanza dei consueti rumori domestici che si era svegliato. Dal fondo del corridoio aveva sentito un flebile lamento. Era Cecile, la sua adorata sorellina, che probabilmente stava avendo un incubo. Come avrebbe fatto ogni bravo fratello, aveva attraversato il corridoio per controllare quale fosse il problema. Ciò che aveva visto non aveva mai smesso di tormentarlo. Era stato quello il motivo per il quale aveva accettato l’incarico che ogni attimo di ogni giorno lo spingeva a dare la caccia a quei mostri e a togliere loro la vita. Ricordava di aver girato lentamente il pomello della porta, che si era aperta. Un vampiro con i denti ancora sporchi del suo sangue incombeva su una Cecile pallida ed esanime. I ricordi di ciò che era avvenuto in seguito erano ancora annebbiati, ma non aveva dimenticato che era stato proprio nel giorno del funerale di sua sorella che aveva prestato giuramento come ammazzavampiri, e ancora adesso, appena prima di sferrare il colpo mortale in ogni scontro, mormorava le parole: «Per te, Cecile». Guardò i suoi strumenti. Erano tutti in perfetto ordine. Mancava solo un po’ d’acqua santa, ma per il resto era pronto. Si rigirò il paletto tra le mani e sorrise al ricordo fugace di un vecchio film in cui l’ammazzavampiri non era altro che uno sciocco imbambolato con un sacco pieno di pezzetti di legno. Che cosa ridicola. A un vero assassino serviva solo un paletto per annientare la sua vittima. Un paletto e una buona mira. Il cuore era un organo piccolo e per di più nascosto dalle costole. Se non colpivi nel punto esatto, finivi con il ritrovarti davanti un vampiro molto arrabbiato. Eventualità tutt’altro che auspicabile. Con un sospiro ripensò a una delle sue prime uccisioni. Era andata bene, aveva pugnalato la vittima senza tante complicazioni. Ma quando si era girato per raccogliere i suoi strumenti aveva sentito un rumore, un sibilo. Si era voltato di nuovo verso il mostro e il sibilo era diventato più forte. Qualcosa era andato storto. La creatura si era messa seduta. A quanto pareva, aveva mancato il cuore e colpito un polmone. Era stato un errore da pivello, la prima e l’unica volta in cui non aveva centrato il bersaglio. La lezione gli era servita: perforare gli organi respiratori poteva rallentare un vampiro molto antico, ma non era sufficiente a ucciderlo. Più la sua prima vittima si sforzava per rimettersi in piedi, più lo strano fischio cresceva di volume. Era come lottare con un piccolo motore. Aveva pugnalato di nuovo la belva e, per sicurezza, ne aveva bruciato il cadavere. Una volta ridestatosi da quei ricordi, depose il paletto nella valigetta di radica e passò in rassegna gli altri strumenti, lucidandoli a uno a uno prima di riporli nuovamente. Quegli attrezzi erano i suoi compagni, i suoi commilitoni. Aveva portato quella valigetta con sé fin dall’età di dieci anni e un giorno l’avrebbe passata a un altro membro della sua famiglia, forse a un nipote, a una nipote, o magari a uno dei suoi figli. Non si poteva dire. Solo un assassino poteva identificarne un altro, e lui non aveva ancora individuato chi, tra i suoi più giovani consanguinei, sarebbe stato in grado di succedergli. Premette le dita sulla radice del naso e chiuse gli occhi, reprimendo uno sbadiglio. Fuori il sole stava appena facendo capolino all’orizzonte. Doveva riposare e poi, dopo un’altra veloce ricognizione a Bathory, avrebbe iniziato la caccia al vampiro che era stato incaricato di uccidere. 6 HALLOWEEN Vlad si mise il cappuccio nero in testa e rimirò il suo riflesso nello specchio. L’unico costume che avrebbe potuto superare quello dell’anno precedente era quello che rappresentava ciò di cui tutti – sia umani sia vampiri – avevano paura. La Morte. Dopo aver lanciato un’occhiata all’orologio, si prese un attimo per rileggere l’ultima lettera di Otis. Carissimo Vladimir, ti chiedo scusa. Dal momento che ti scrivo mentre sono in attesa di imbarcarmi su un volo per Parigi, questa lettera sarà breve. Te ne invierò presto un’altra, ma adesso ho i minuti contati. Mi è dispiaciuto sapere che i tuoi tentativi di influire sui processi mentali delle persone non hanno avuto grande successo, ma non posso fare a meno di chiedermi se stai davvero facendo del tuo meglio. Comprendo che controllare qualcuno a te vicino possa risultarti difficile, ma il processo dovrebbe essere più semplice con degli estranei. Per favore, continua a esercitarti e, più avanti, vedremo se potrò offrirti altro aiuto. Ti prego di riferire a Nelly che sono stato molto contento di ricevere la sua ultima lettera e che mi spiace non avere il tempo di risponderle adesso, ma lo farò presto. Lo prometto. Stammi bene. Tuo per l’eternità, OTIS Vlad prese la falce di plastica e scese al piano di sotto, dove Nelly stava riempiendo una grossa ciotola di occhi gommosi e affilati denti di zucchero. Il giovane vampiro guardò il contenuto e gemette. «Devi proprio dare via tutti i denti? Non puoi tenerne qualcuno da parte per me?» «Tu di denti ne hai abbastanza», rispose la zia ridacchiando e aggiungendo un’altra manciata di dolciumi nella ciotola. Il campanello suonò e Vlad aprì a un Henry vestito da zombie – completo di braccio mancante e pelle putrefatta – e a Joss, che indossava dei pantaloni, una camicia e una giacca sbottonata. Il vampiro alzò un sopracciglio. «Amico, pensavo che ti saresti mascherato.» «Te l’avevo detto! Forza, digli che cosa dovresti essere», esclamò Henry dopo aver assestato un colpo sulla nuca al cugino. «Sono un antropologo», replicò il ragazzo con l’aria di chi ha appena detto la cosa più ovvia del mondo, rivolgendo a Henry uno sguardo colmo di disprezzo. Vlad si girò verso il suo migliore amico, che alzò gli occhi al cielo. «Non potresti dire che sei un serial killer o qualcosa del genere? Come faccio a convincere Melissa a ballare con me se mio cugino è vestito da antropologo?» «Magari anche lei pensa che gli antropologi siano fighi», rispose l’altro con una scrollata di spalle. «Presumo che quest’anno a mezzanotte non avremo sorprese», intervenne in quel momento Nelly con il classico tono da genitore che usava tutte le volte in cui doveva dargli qualche raccomandazione. «No, perché?» chiese Vlad aggrottando la fronte. La zia sorrise. «Bene. A casa per le undici, Vladimir.» Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, ma non osò contraddirla. Si limitò a condurre Henry e Joss fuori della porta e lungo il vialetto. Erano a metà strada verso casa di Matthew, quando il giovane vampiro notò tre ragazzi in giro a fare dolcetto o scherzetto che correvano nervosamente sull’altro marciapiede. Dopo un attimo d’incertezza, riconobbe quello in centro e fu sopraffatto dal senso di colpa per averlo terrorizzato l’anno precedente nel tentativo di impressionare il suo migliore amico e di racimolare qualche caramella gommosa. «Tutto okay?» chiese Henry dandogli di gomito. «Sì, sto bene», rispose lui sistemandosi il cappuccio sulla testa. Alla fine della strada le macchine si stavano fermando davanti a una casa ornata di vistose decorazioni. A quanto sembrava, la madre di Matthew aveva deciso di superare se stessa. In veranda c’era un gruppo di ragazze, al centro del quale spiccava un diavoletto rosso tutto luccicante, completo di corna coperte di brillantini. Meredith si spostò i capelli dal viso con uno dei denti del suo forcone di plastica e Vlad sentì il cuore accelerare i battiti, come se volesse uscirgli dal petto da un momento all’altro. «Meredith è proprio carina stasera», commentò Henry con un sorrisetto. Lo era, era molto carina. Irresistibile, a dire il vero. Ma ciò non significava che lui avesse idea di cosa dirle. Sfortunatamente, anche Joss sembrava essersi accorto di quanto la ragazza stesse bene nel suo costume da diavolo. «Wow...» sospirò. Sia Vlad sia Henry si voltarono per lanciargli uno sguardo ammonitore, ma lui non se ne accorse o decise di ignorarli, perché avanzò e salì i gradini che portavano in veranda. Stava sorridendo a Meredith, che a sua volta sorrise a Henry, quando quest’ultimo afferrò il cugino per la manica e lo trascinò in casa. Il giovane vampiro si affrettò dietro di loro. Forse l’anno successivo poteva risparmiare a tutti un bel po’ di problemi e andare vestito da uomo invisibile. I genitori di Matthew avevano organizzato quasi tutta la festa nel loro seminterrato appena ristrutturato: era una grande stanza con due divani, un tavolo da biliardo e un tiro al bersaglio. Suo padre aveva installato un’attrezzatura da deejay e, per fortuna, quando i ragazzi scesero le scale stava mettendo su quella che doveva essere la raccolta di CD di Matthew. Dei festoni neri e arancioni lunghi e intrecciati pendevano dal soffitto. Palloncini dello stesso colore fluttuavano ovunque, rimbalzando contro il soffitto a ogni colpo di basso. Qualcuno dei presenti stava ballando, ma la maggior parte gironzolava ridacchiando intorno al tavolo del punch. Ogni due secondi qualcuno agitava freneticamente la mano e gridava il nome di Henry. Vlad si chiese quanto ci sarebbe voluto prima che l’amico lo abbandonasse ma, a onor del vero, il ragazzo rimase con lui e Joss per tutta l’ora successiva. Purtroppo la popolarità somigliava molto alla forza di gravità. Era inutile combatterla. Così si disse il vampiro quando il suo migliore amico mormorò che sarebbe tornato subito – una frase in codice per dire «ci vediamo dopo la festa» – e sparì tra la folla che cresceva di minuto in minuto. Non ci volle molto perché anche Joss sparisse, lasciando Vlad da solo in una stanza in cui erano stipate all’incirca trenta persone. A volte era difficile capire se Henry aveva continuato a stargli vicino in tutti quegli anni, nonostante le loro differenze, perché lo apprezzava davvero o perché provava nei suoi confronti una sorta di legame di sangue, una connessione che derivava dalla sua condizione di servo nei confronti del vampiro. Vlad non amava riflettere su quel particolare, perché, se Henry non era davvero suo amico, se tutto quello che avevano passato insieme era dovuto solo alla forma di controllo che la sua natura vampiresca gli consentiva di esercitare, allora non voleva saperlo. Eppure... non poteva evitare di pensarci di tanto in tanto. Finì il suo punch, desiderando che quel liquido rosso fosse qualcosa di più che acqua zuccherata e sciroppo, e si fece largo tra la folla finché non raggiunse le scale e uscì nella fresca quiete della sera. Le risate, le chiacchiere, i rumori gli avrebbero fatto venire mal di testa se non si fosse concesso una piccola tregua. Sollevato, scese dalla veranda e s’incamminò lungo il fianco della casa. Un ragazzino goffo e scheletrico con una vecchia macchina fotografica 35 mm appesa al collo era seduto su un tavolo da picnic nel cortile posteriore. Vlad pensò di sgusciare di nuovo verso la parte anteriore dell’abitazione, ma quel tipo sembrava davvero triste e lui sapeva cosa volesse dire tentare a ogni costo di essere accettato, così gli si avvicinò e gli fece un sorriso. «Ehi, Eddie.» «Ciao, Vlad», rispose il ragazzo con voce flebile e gentile, alzando appena la testa per guardarlo. Se a Bathory c’era qualcuno meno popolare di Vladimir Tod, quello era Eddie Poe. I suoi non erano messi male economicamente, eppure insistevano nel comprare i vestiti del figlio al mercatino dell’usato e, a quanto sembrava, non riuscivano a prestare abbastanza attenzione a lui da accorgersi che avrebbe dovuto portare abiti di due taglie più grandi rispetto a quelli che aveva addosso in quel momento. Gli occhiali di Eddie erano rotti da quando Vlad lo conosceva, e lui se ne stava sempre a coccolare quello che doveva essere l’oggetto che gli stava più a cuore, la sua macchina fotografica. Il vampiro la indicò con un cenno del capo. «Hai fatto qualche bella foto stasera?» «Non sono ancora entrato. È stata mia madre a farmi venire. Io volevo restare a casa», rispose quello alzando le spalle. Vlad annuì, pieno di comprensione. Non era difficile capire il suo punto di vista. Era dura tentare di essere socievole con persone che preferivano fingere che tu non esistessi, soprattutto se era Halloween e i tuoi genitori non ti avevano neppure comprato un costume. Il vampiro si sfilò la cappa e appoggiò la falce di plastica sul tavolo. «Mio Dio, fa un caldo terribile con questo affare addosso!» esclamò rivolto a Eddie. «Ehi, ti andrebbe di mettertelo per un po’? E magari potresti tenermi d’occhio la falce.» Una scintilla si accese nello sguardo del ragazzo, ma fu subito rimpiazzata dal sospetto. «Credo di sì. Ma... perché sei così gentile con me?» Vlad sorrise. Si aspettava quella reazione guardinga. Quasi tutti a scuola non facevano che tormentarlo, quindi era legittimo da parte sua sospettare che ogni atto di generosità nei suoi confronti celasse in realtà qualche scherzetto crudele. «Gentile con te? Ti stavo solo chiedendo un favore. Stavo per squagliare sotto quel costume.» Al vampiro sembrò di scorgere delle lacrime luccicare negli occhi del compagno mentre indossava la cappa. Quando ebbe finito prese la falce e s’incamminò tutto fiero verso la casa. Prima di entrare, però, si voltò verso il suo benefattore. «Grazie», mormorò. «Nessun problema», rispose Vlad sedendosi sulla panchina. Aspettò che Eddie andasse via, ma sembrava che fosse rimasto impietrito. Non gli staccava gli occhi di dosso. Lui alzò un sopracciglio, perplesso. «Eddie? C’è qualcosa che non va?» A giudicare dall’espressione terrorizzata sul suo volto, avrebbe anche potuto fare a meno di chiedere. C’era qualcosa che non andava. Che non andava affatto, a giudicare dal modo in cui il petto del ragazzo si alzava e si abbassava al ritmo forsennato del suo respiro. Vlad stava per domandare quale fosse il problema, quando Eddie sussurrò le tre parole che avevano popolato i suoi incubi per molti anni: «C-cosa sei tu?» Lui si limitò a scrollare le spalle, cercando a tutti i costi di mantenere un tono neutro, benché fosse in preda al panico più totale. Si passò la punta della lingua sui denti. Niente. I canini non lo avevano tradito. Ciò era piuttosto confortante, ma non abbastanza da calmare il battito del suo cuore. «Che vuoi dire?» chiese titubante. L’altro ragazzo lanciò un’occhiata alla casa, come se stesse cercando di valutare quanto breve fosse la distanza tra lui e la salvezza. «T-tu n-non sei umano, vero?» ripeté infine. Il vampiro si sforzò di ridere, ma il suono che emise risultò falso persino alle sue stesse orecchie. «Non umano? Santo cielo, Eddie, cosa diavolo hanno messo in quel punch?» Le mani del suo compagno di scuola si strinsero convulsamente intorno alla macchina fotografica, ma lui rimase fermo. «Sei una specie di mostro, non è vero? La mia mamma dice che i mostri non esistono, ma io ne ho visto uno l’anno scorso e adesso... ne sto vedendo un altro, giusto?» Dentro il petto di Vlad, il cuore non faceva che sbattere contro le costole. Tra le due opzioni, battere in ritirata o restare e affrontare la situazione, la prima era quasi sul punto di prevalere. Quasi. «Non so di cosa tu stia parlando», disse ostentando una calma che non provava. «I tuoi occhi. Sono diventati viola per un istante. Questo non è normale, gli umani non possono farlo.» Eddie rabbrividì, cercando il fiato per pronunciare le parole successive. «E quindi che cosa sei?» Oh, no. Come mai i suoi occhi avevano lampeggiato senza alcun motivo apparente? Abbassò lo sguardo verso il polso e si ricordò di esserselo grattato con l’altra mano. Ottimo. Adesso doveva anche stare attento a non toccare il tatuaggio? Sfiorare il marchio – il suo nome nel codice di Elysia – non gli aveva mai prodotto quel cambiamento negli occhi prima di allora, a dire il vero nulla di strano era accaduto dal giorno in cui Otis aveva bevuto il suo sangue e infuso in lui la sua essenza, imprimendo quel simbolo nella tenera carne del nipote. Che stava succedendo adesso? «Posso dirti ciò che non sono, Eddie. Non sono per nulla divertito. Dovresti fare attenzione alle accuse che rivolgi alla gente», disse Vlad guardandolo negli occhi e sperando che il suo tono sincero bastasse a convincerlo che non era un mostro. Invece il ragazzino spalancò di nuovo gli occhi per la paura. «Perché? Cosa vuoi farmi?» «Niente, Eddie.» Il vampiro scosse la testa. Il suo cuore si era stancato di battere furiosamente all’interno del costato e, sconfitto, gli era precipitato nello stomaco. «Senti, penso che dovresti discutere con tua madre l’eventualità di oscurare il canale di fantascienza. Sono solo un ragazzino, come te. E adesso lasciami in pace, okay?» Una luna piena d’argento splendeva su di loro e, quando Vlad si appoggiò allo schienale della panchina, si accorse che era circondata da un centinaio di stelle splendenti. Udì i passi di Eddie che entrava in casa ed emise un sospiro di sollievo. Poteva sentire la musica che proveniva dall’interno, ma il suono era abbastanza attenuato dalla distanza da poter essere ignorato. Cercò di allontanare i pensieri concentrandosi solo sulla luna e sulle stelle. Una fresca brezza gli accarezzò le guance e lui chiuse gli occhi. Che cosa avrebbe dovuto fare con Eddie? Non voleva raccontarlo a Nelly od Otis, si preoccupavano già abbastanza. Poteva sperare solo che l’indomani, al risveglio, il suo compagno di scuola si convincesse che la vista doveva avergli giocato un brutto scherzo nella notte più spettrale dell’anno. Dopotutto non era insolito lasciarsi trascinare dall’immaginazione in quel periodo, con tutte le storie che si sentivano su lupi mannari, fantasmi e vampiri. Vlad deglutì nervosamente. «Bene, bene, bene. Guarda un po’ cosa abbiamo qui, Tom.» Alla prima parola di Bill, il ragazzo aprì gli occhi e si rimise dritto, ma il bullo lo spinse all’indietro sulla panchina con la sua manona aperta. Bastò una frazione di secondo perché il testone del bullo oscurasse la luce della luna: aveva un ghigno stampato in volto e nel suo sguardo c’era una luce maligna. Un attimo dopo anche un Tom dall’aspetto sinistro si unì a loro. «Adesso le prendi, darkettone.» Prima che il vampiro potesse battere ciglio, Bill lo fece alzare dalla panchina, tenendolo sospeso. Lui lottò calciando l’aria e, insieme con una miriade di imprecazioni, dalla sua bocca uscì anche un soffocato: «Lasciami andare, idiota». Per tutta risposta Bill lo scosse e lo sguardo del vampiro vagò verso la casa. Quante possibilità c’erano che i genitori di Matthew uscissero e si accorgessero di cosa stava accadendo? Purtroppo all’interno la festa era al suo culmine e sembrava che nessuno si fosse accorto che lui era nei guai. In guai molto seri. Prima che potesse rendersi conto di cosa stava per accadere, sentì il poderoso pugno di Bill abbattersi contro la sua mascella. Non gli fece male – non molto –, ma il suo viso si fece caldo e la mascella cominciò a formicolare per qualcosa che, se non fosse stato per la crescente rabbia che provava, lui avrebbe riconosciuto come dolore. Divincolandosi dalla presa del bullo, Vlad cadde a terra e cercò di rimettersi in piedi, ma Tom gli si avvicinò sferrandogli un calcio allo stomaco. Quello sì che fece male. Per un attimo non riuscì a respirare. Quando finalmente l’aria cominciò di nuovo a fluire attraverso i suoi polmoni tossì forte e, ancora una volta, provò ad alzarsi. Ce l’aveva quasi fatta quando Bill gli assestò un pugno nell’occhio. Dietro di lui – o da qualche altra parte, Vlad non riusciva a capire da dove venisse la voce – Tom sibilò: «Questo è quello che ti meriti, darkettone!» Il giovane vampiro si premette la mano sull’occhio, mentre nella sua bocca i denti fuoriuscivano dalle gengive ferendogli la lingua già sanguinante. Sentì lo stomaco brontolare. Aveva la gola secca, riarsa da una sete quasi incontrollabile. Tenne le labbra serrate e, con l’occhio buono, lanciò un’occhiata feroce ai suoi aggressori. Era quasi certo che sarebbe riuscito a sfuggire a Tom e ad arrivare sul vialetto, ma poi? Quegli idioti si prendevano a pugni tra loro per gioco e riuscivano a correre più veloce di quanto non ci si sarebbe aspettato da due tipi di quella stazza. Gli serviva un piano. E gli serviva in fretta. L’occhio pulsava contro la mano e il battito del suo cuore era così veloce da sembrare un’unica, lunghissima pulsazione. Tentò di muovere un passo verso sinistra e i suoi aggressori fecero altrettanto. Spazientito, si morse le labbra lottando per tenere nascosti i canini. «Qual è il vostro problema?» urlò. Intanto diversi ragazzi erano usciti dalla casa e adesso stavano assistendo alla scena con grande interesse. Qualcuno li incitava, spingendoli a picchiarsi, ma la maggior parte osservava in un silenzio attonito. Nessuno chiamò un adulto o si fece avanti per aiutarlo. Dov’erano finiti Henry e Joss? Tom gli si avvicinò e lui riuscì a resistere alla tentazione di farsi indietro. «Sei tu», rispose quello sprezzante alla sua domanda. Delle mani lo afferrarono per le spalle e gli assestarono uno spintone, poi i due bulli presero a lanciarselo avanti e indietro come se fosse una pallina da pingpong umana. Be’, mezza umana. Alla fine il ragazzo riuscì a sgusciare via e si mise a correre in direzione del capannello di gente, ma Bill lo acciuffò per il colletto e lo gettò a terra. Tom gli fu subito addosso e un calcio lo colpì in pieno petto, facendo riaffiorare il ricordo di ciò che aveva provato quando D’Ablo gli aveva rotto una costola. Invano, Vlad scalciò e cercò di liberarsi: il piede di Bill lo teneva bloccato. Con un feroce ghigno stampato in faccia, Tom alzò un piede sul suo viso. In un attimo il vampiro si rimise in piedi, spintonò il suo aggressore con tutta la forza di cui disponeva e si lanciò verso la folla. Tom toccò terra con un tonfo a parecchi metri di distanza e imprecò ad alta voce. Vlad girò la testa verso il punto in cui il ragazzo giaceva e alzò un sopracciglio, sorpreso da quanto fosse riuscito a farlo arrivare lontano con un solo spintone. Henry si fece largo tra la gente e lanciò un’occhiata sorpresa a Tom prima di rivolgere la propria attenzione sull’amico. Non disse nulla, si limitò a domandargli con lo sguardo se stava bene. Vlad annuì, togliendosi l’erba dai jeans. La mamma di Matthew schizzò fuori dalla porta posteriore e, anche se ormai serviva a poco ed era troppo tardi, chiese: «Che diavolo sta succedendo laggiù?» Senza dire una parola, Bill aiutò il compagno ad alzarsi e insieme corsero via, con Tom che si teneva il braccio destro con il sinistro. Vlad li guardò allontanarsi e un tenue sorriso gli affiorò sulle labbra. Henry lo tirò per una manica e cercò di trascinarlo verso casa, ma era troppo tardi: la mamma di Matthew aveva già adocchiato la sua faccia tumefatta e ferita. Lo portò dentro e, dopo aver avvolto un po’ di ghiaccio in uno strofinaccio, glielo allungò. Poi, con suo grande sgomento, prese il telefono. «Ciao, Nelly. Sono Karen, la mamma di Matthew.» «Che è successo?» chiese Henry scivolando sul divano accanto all’amico. «Si stavano comportando da gentiluomini come al solito. Ma sono riuscito a cavarmela», sussurrò il vampiro in risposta. L’amico sgranò gli occhi e non fu necessario leggergli nel pensiero per sapere che stava per chiedere come avesse fatto ad atterrare Tom in quel modo. Prima che potesse farlo, però, Mike Brennan si sedette accanto a lui dall’altro lato del divano. «Non ho mai visto nessuno capace di atterrare quel tizio: è un muro umano», commentò ammirato. Il vampiro lanciò un’occhiata interrogativa al suo migliore amico e vide che era perplesso almeno quanto lui. Mike ridacchiò. Da quel momento in poi varie persone sorrisero a Vlad, come se si fossero improvvisamente rese conto del suo valore. Il ragazzo si scostò il ghiaccio dall’occhio, sfiorando le ferite con la punta delle dita. A parte il fastidio per essere stato picchiato da due dei più grandi idioti nella storia dell’umanità, era davvero un bel momento. Si guardò intorno. Meredith non c’era. E neppure Joss. Si era appena voltato verso Henry per chiedergli se avesse visto il cugino, quando la porta si aprì e una Nelly furente, ancora in pantofole, entrò in casa. Istintivamente l’amico si fece piccolo piccolo sul divano. Il vampiro avrebbe voluto fare altrettanto, ma era inutile rimandare l’inevitabile. Si alzò e restituì lo strofinaccio alla mamma di Matthew. «In macchina. Adesso!» urlò la zia. Vlad sospirò e, con le spalle chine, si alzò per seguirla. Gli sportelli si erano appena chiusi quando lei ricominciò a sbraitare, facendolo rabbrividire a ogni sillaba: «Vladimir, sono così delusa da te. Una rissa? Cosa farai dopo? Morderai la gente?» Il giovane cercò di non spalancare ulteriormente gli occhi, ma dovette fallire miseramente, perché la voce della zia si alzò di un’altra ottava. «Non hai morso nessuno, vero?» «No», rispose lui lanciando uno sguardo speranzoso alla maniglia della portiera e trattenendo a stento un sospiro. Era tutto inutile, non aveva più nessuna via di scampo. «Non lo farei mai, Nelly. Ti comporti come se non avessi passato gli ultimi quattordici anni a nascondere la mia natura. Non sono uno stupido, ho il buon senso di non mordere le persone, anche quando se lo meriterebbero.» La zia sembrò valutare quelle parole per un attimo, poi, con voce notevolmente più calma, riprese: «Non voglio che tu faccia a botte». Dopo un attimo di silenzio lanciò un’occhiata al nipote, come se si aspettasse una risposta. Ma non la ottenne. La donna mise in moto e la tensione nella sua voce si allentò un po’, ma non abbastanza da permettere a Vlad di rilassarsi. «Devi stare più attento. Ti saresti potuto fare male. Loro si sarebbero potuti fare male! E se avessi perso il controllo? Lì, davanti a tutte quelle persone!» «Io sto attento», replicò il vampiro evitando di fare cenno a Tom. Ancora non capiva come fosse riuscito a farlo volare a quel modo. Si appoggiò al sedile e guardò fuori dal finestrino, desiderando di essere a casa e che quella serata si concludesse in fretta. «Immagino già quanto in fretta gli abitanti di Bathory prenderebbero torce e forconi per cercare di allontanarti dalla città», continuò Nelly fermando la macchina nel loro vialetto, poi si girò verso di lui asciugandosi una lacrima dalla guancia. La fitta al petto che Vlad avvertì in quel momento si rivelò ben peggiore del dolore all’occhio. Non era stato solo picchiato, ma una persona cui non sarebbe dovuto importare nulla della sua natura gli aveva appena ricordato quanto fosse strano, diverso. «E se avessero provato...» La voce della zia si ruppe. «Non potrei sopportarlo. Ho perso i tuoi genitori, Vladimir. Non posso perdere anche te.» «Non succederà. È stata solo una rissa. Il mio segreto è salvo», rispose il vampiro abbassando la testa. I suoi pensieri corsero a Eddie e un’ondata di nausea lo assalì. Nelly rimase in silenzio per un attimo, poi sospirò sollevata. Aprì la porta e mormorò sovrappensiero: «Ho intenzione di metterti in punizione». Il ragazzo aggrottò la fronte. Era quasi certo che la zia non l’avrebbe fatto ma, per sicurezza, si affrettò a prometterle che si sarebbe comportato bene per le settimane successive. Tra l’altro gli dispiaceva davvero darle tante preoccupazioni. Anche se era stato piuttosto divertente guardare Bill e Tom che se la davano a gambe come due mocciosi spaventati. Se lo erano meritati, dopotutto erano stati loro a fare i prepotenti con uno più piccolo. Vlad aprì la portiera e, girando la testa in modo che Nelly non potesse vederlo, fece un sorriso trionfante. 7 UN INVITO INASPETTATO Meredith si stiracchiò portando le braccia sopra la testa e le sue belle labbra rosa si schiusero in uno sbadiglio. Dall’altro lato del bar Vlad sospirò distogliendo lo sguardo dalla ragazza. Seduti al tavolo di fronte a lui, Henry e Joss stavano discutendo di quello che era ormai diventato il loro argomento preferito. «Ti sto dicendo che non è possibile che la sorella di Stephanie baci meglio di lei», disse Joss scuotendo la testa con un sorriso sornione. Il vampiro rubò un sorso del latte al cioccolato del suo migliore amico e rimase in silenzio, cercando di non pensare al fatto che lui era l’unico ragazzo al Bathory High che Stephanie e sua sorella non avessero baciato. Non che lui ci tenesse. Il suo sguardo si posò di nuovo su Meredith. Henry rise. «Dai retta a me, Joss! Stephanie bacia alla grande, ma sua sorella...» Vlad scosse la testa. Erano ormai due settimane che i cugini comparavano i dati, per la precisione dal giorno in cui Joss, invece di restare in punizione, aveva pomiciato con Stephanie dietro la scuola. Era disgustoso. «Va bene, allora spiegami perché sarebbe meglio.» «Per via della lingua», rispose Henry ridacchiando, subito seguito dai ragazzi più grandi seduti al tavolo, che si affrettarono a dargli il cinque. Vlad rivolse un’altra occhiata di soppiatto a Meredith. Lei se ne accorse, gli sorrise e alzò le dita in un piccolo cenno di saluto. Lui sentì le guance andargli a fuoco e distolse lo sguardo, impegnandosi in un’attenta osservazione del tavolo. Nessun’altra aveva il potere di lasciarlo così, senza parole. Azzardò un’ulteriore fugace sbirciata e di nuovo i loro occhi s’incontrarono. Poi, dopo aver raccolto il coraggio, alzò la mano dal tavolo e ricambiò il saluto. Purtroppo non poteva essere certo che lei lo avesse visto, perché intanto Melissa Hart le si era seduta accanto, catturando la sua attenzione. La discussione su chi baciasse meglio andò avanti per tutta l’ultima parte della giornata, fornendogli la perfetta scusa per restare in silenzio. Ciò che desiderava davvero in quel momento era trovare un modo per scusarsi con Meredith – se mai ne avesse avuto il coraggio – e concentrarsi su Eddie per scoprire se la sua opinione su di lui fosse cambiata dopo la festa di Halloween. A quel pensiero il vampiro non poté trattenere un brivido. Quando anche l’ultima campanella fu suonata e Vlad uscì dalla scuola fiancheggiato da Henry e Joss, il sole accecante lo costrinse a chiudere gli occhi mentre si sistemava lo zaino in spalla. «Oggi è il giorno giusto. Chiamo Meredith», esordì. «Senza offesa, amico, ma hai farfugliato la stessa cosa ogni venerdì da quando è cominciata la scuola... e poi non hai mai fatto nulla», gli ricordò Henry. Il vampiro si morse il labbro inferiore con aria pensosa. «Be’, oggi è diverso.» Entrambi i cugini gli lanciarono un’occhiata colma di scetticismo. Lui sospirò. Probabilmente avevano ragione: quel giorno non era diverso da tutti gli altri, a parte il fatto che era venerdì, probabilmente il miglior giorno della settimana insieme con il sabato. Senza contare che non aveva ancora la più vaga idea di cosa avrebbe detto alla ragazza. Ma, in fondo, era l’intenzione che contava. Dopo una veloce camminata verso casa, Vlad salì i gradini d’ingresso, entrò e lasciò cadere lo zaino accanto alle scale con un tonfo. «Zia Nelly? Sei in casa?» «Sono qui, caro», rispose lei dalla cucina. Era accanto al bancone, intenta a tritare delle erbe per poi gettarle nella pentola sul fornello. Quando il nipote entrò nella stanza, si asciugò le mani con uno strofinaccio e gli porse una spessa busta di pergamena. «Questa è arrivata poco fa.» Vlad rimase a fissarla per un po’, prima che le sue labbra si schiudessero in un sorriso. Proprio quello di cui aveva bisogno per tirarsi su di morale. Senza esitazioni aprì la lettera e si sedette al tavolo per leggerla. Carissimo Vladimir, è con gioia ed entusiasmo che mi accingo a scriverti. Forse ho una soluzione per i tuoi problemi con il controllo mentale, ma prima consentimi di esprimere la mia gioia per il tuo recente successo con la telepatia! A quanto pare la tua capacità di leggere il pensiero si sta sviluppando magnificamente. Non potrei esserne più orgoglioso. Sappi, però, che entrare nelle menti delle giovani signore non è il modo giusto per comprendere la loro natura. E adesso passiamo al motivo per cui ti ho scritto. Ho già parlato con Nelly e lei ha acconsentito che a dicembre, quando partirò per la Russia – per la Siberia, a essere precisi – tu ti unisca a me. Andremo a far visita a un vecchio amico mio e di tuo padre, il suo nome è Vikas. Ti ricordi quando ti ho parlato del vampiro più vecchio che conosco? Si tratta di lui. Gli ho chiesto di farti da tutore privato durante la nostra settimana di permanenza lì. Se non riesce lui a insegnarti come influenzare i pensieri e le azioni di coloro che ti stanno intorno, allora non può farlo nessuno. So che mi renderai orgoglioso, Vladimir. E, sebbene non ci sia più, sono certo che anche tuo padre sarebbe fiero di te. Quando saremo in Siberia, avrò anche altro di cui occuparmi; questioni che riguardano te e quanto è accaduto la primavera scorsa a Elysia. Ti darò ulteriori dettagli quando ci vedremo. Allegata a questa missiva, troverai una lista di ciò che dovrai mettere in valigia per il viaggio. Non vedo l’ora di vederti! Tuo per l’eternità, OTIS Vlad rilesse la frase di chiusura e poi alzò lo sguardo verso Nelly. «Quando hai parlato con Otis?» La donna gettò un’occhiata al calendario. «Oh, direi che è stato più o meno una settimana fa.» Il ragazzo la guardò incredulo. «Perché non mi hai detto che aveva chiamato?» «Non eri a casa, tesoro. E non ti ho detto che aveva chiamato perché sapevo che ti sarebbe dispiaciuto esserti perso la sua telefonata.» Vlad era perplesso: per la seconda volta in tre mesi Otis aveva chiamato quando lui era a scuola. «Quindi posso andare con lui durante le vacanze?» «Credo che prima sarà necessario fare un po’ di compere, ma, sì, puoi andare», rispose Nelly. Il vampiro s’infilò la lettera in tasca e, mentre prendeva una sacca di A negativo dal frigo, si concesse un sorriso. Vlad socchiuse gli occhi, proteggendoli con una mano dalla luce dei lampioni. Otis era in bilico sul cornicione di un edificio molto alto e guardava in basso, verso di lui, con gli occhi sgranati e colmi di panico. Del sangue fuoriusciva da una ferita sulla sua fronte e lui lo asciugò con una manica, macchiandosi di rosso il volto pallido. «Vladimir, corri! Corri e non guardarti indietro!» urlò. Ma il giovane vampiro non avrebbe voltato le spalle a un membro della propria famiglia. Si concentrò intensamente sul proprio corpo e gli ordinò di sollevarsi, riuscendo a schizzare più in alto e più veloce di quanto avesse mai fatto. Atterrò agilmente sul tetto dell’edificio e tentò di allontanare Otis dal baratro, ma lui scosse la testa e, tra le lacrime, implorò: «Ti prego, vai, Vlad. Non hai idea di cosa è capace». Il ragazzo gettò uno sguardo dall’altra parte del tetto e nella penombra intravide una figura. Istintivamente strinse la spalla dello zio. «Questa non è la tua battaglia, Otis. È la mia.» Un attimo dopo fu colpito al fianco e cadde a terra. Le ginocchia picchiarono contro il tetto con uno schiocco sonoro. Vlad imprecò ad alta voce e, quando alzò lo sguardo verso lo zio, si accorse che i suoi occhi erano spalancati per il terrore. Guardò di nuovo l’ombra, ma la vista gli si appannò, tingendosi del colore del sangue. Ansimò e la scena davanti a lui si dissolse. Seduto sul letto, la fronte bagnata da rivoli di sudore freddo, Vlad diede un calcio alle lenzuola attorcigliate ai suoi piedi. Scacciò l’incubo dai suoi pensieri e diede un’occhiata all’orologio. Erano le due di mattina e fuori era ancora buio pesto. Attento a non fare rumore, indossò i vestiti e prese le scarpe e la lozione solare – nel caso in cui fosse rimasto fuori più a lungo del previsto –, poi si mise il Lucis nella tasca posteriore dei pantaloni e sgusciò fuori dalla sua camera. Quando arrivò al piano di sotto, si fermò in cucina per prendere uno spuntino e poi uscì senza svegliare né Nelly né Amonet, la sua gatta nera cicciotta e pelosa. A volte era necessario restare da solo a riflettere, e la propria casa non era il posto giusto per farlo. Non sapeva cosa lo zio avesse in serbo per lui in Siberia né se sarebbe andato d’accordo o no con un vampiro che non aveva mai incontrato prima. Fatta eccezione per Otis e suo padre, non aveva avuto molta fortuna in tal senso. E se non fosse piaciuto a Vikas? O, peggio, se Vikas non fosse piaciuto a lui? Sarebbe stato davvero difficile imparare ad affinare i suoi poteri da un tizio con cui non riusciva neppure a condividere una stanza. Vlad emise un sospiro nervoso e attraversò la strada. La luna piena brillava in cielo: era dorata, come se qualcuno l’avesse immersa nel miele. La strada verso il Bathory High era sgombra e ben illuminata. Bisognava godere delle piccole cose, come diceva sempre zia Nelly. Dopo aver raggiunto il retro dell’edificio ed essersi accertato che nessuno le stesse seguendo, si fermò ad ascoltare i discorsi dei dark riuniti sulle scale dell’entrata. La voce di una ragazza spiccava su tutte le altre. «Te lo dico io, Sprat, è infestato. È per questo che hanno chiuso la vecchia chiesa. Quel prete andò fuori di testa a metà del XIX secolo e iniziò a uccidere le persone che andavano a confessarsi. Fece fuori tre intere famiglie, compresi i bambini, prima che lo catturassero. Alcuni dicono addirittura che bevesse il loro sangue nel calice della comunione.» Il vampiro soffocò una risatina. Aveva già sentito quella storia dal fratello maggiore di Henry, Greg. Era solo un altro espediente che i ragazzi più grandi utilizzavano per terrorizzare le matricole. Di solito, il racconto era accompagnato dall’entrata in scena di un ragazzo vestito come un prete vampiro che sbucava fuori dalle tenebre. Greg gli aveva assicurato che si trattava solo di quello: un po’ di paura, qualche risata e poi la vita sarebbe andata avanti. Tutti i ragazzi del primo anno dovevano pagare uno scotto, e quello era solo uno dei molti metodi a disposizione. Vlad continuò a osservare il gruppetto di dark da dietro l’angolo. Se solo avessero saputo che tra di loro c’era chi davvero si nutriva di sangue... «Se non mi credi, aspetta e guarda», sbuffò la ragazza irritata. Il vampiro si guardò intorno per essere sicuro che nessuno potesse vederlo e si concentrò finché il suo corpo non si staccò da terra. Levitare: forse non era figo come avere la patente e una macchina tutta per sé, ma quasi. Per un attimo ebbe la tentazione di atterrare in mezzo al piccolo manipolo di studenti, i canini bene in mostra, e chiedere loro con voce roca e spettrale da quanto tempo non si confessavano. A dispetto del divertimento che avrebbe potuto trarre dalle loro reazioni, scelse di rinunciare al suo intento e fluttuò verso l’alto per quattro piani, fino ad arrivare al campanile abbandonato del Bathory High, nel quale entrò attraverso uno degli archi aperti. La luce della luna filtrava dalle grandi aperture, illuminandogli il cammino e consentendogli di localizzare con facilità il suo accendino e le candele. Ne infilò tre nel candelabro ricoperto di cera e le accese prima di lasciarsi cadere sulla vecchia sedia da ufficio di suo padre. Non era stato facile portarla lì. Trasportarla dalla vecchia casa fino alla scuola era stato piuttosto semplice, ma levitare per quattro piani trascinandosela dietro si era rivelato a dir poco impegnativo. Alla fine, dopo aver imprecato un sacco, si era munito di un cacciavite e aveva diviso la sedia in cinque parti, portandole di sopra una alla volta per poi riassemblarle. Era stata dura, ma ne era valsa la pena. Dopotutto, ogni autentico demone succhiasangue aveva bisogno del suo nascondiglio. E, se Dracula poteva avere una bara, lui avrebbe avuto almeno una sedia comoda. Addossate alla parete alla sua sinistra c’erano diverse mensole colme di libri che aveva portato lì per occupare il tempo. Si trattava perlopiù di vecchi classici, come Alice nel Paese delle Meraviglie, che lo aveva terrorizzato da piccolo e lo inquietava tuttora. Del resto chi non sarebbe stato spaventato a morte dalla storia di una ragazzina che finiva in uno strano mondo infestato da animali parlanti e da una regina assetata di sangue? Be’, se non altro lui e la tiranna avevano qualcosa in comune. Molti dei libri, invece, erano di più recente pubblicazione e qualcuno di essi era stato vietato sia a scuola sia nella biblioteca della città. Vlad non riusciva a comprendere quale logica ci fosse dietro la scelta di mettere al bando certi testi. C’era davvero da sorprendersi se i ragazzi finivano con il fare esattamente quello che gli era stato proibito? A volte gli adulti potevano essere davvero stupidi. Se avessero cominciato a vietare di fare i compiti, le A sospirate da tanti genitori avrebbero cominciato a piovere dal cielo. Il vampiro scosse la testa. A cosa andava a pensare? In cima allo scaffale più vicino c’era un diario di pelle su cui era incisa la scritta CRONACHE DI TOMAS TOD: era il diario di suo padre. Da quando lo aveva ritrovato, l’anno prima, lo aveva letto più di cento volte e adesso poteva citarne interi passi a memoria. Sotto quel prezioso volume c’era il diario nel quale il ragazzo – emulando nel suo piccolo il genitore – aveva raccolto speranze e pensieri. Il quaderno che Vlad aveva utilizzato a quello scopo era ormai quasi del tutto pieno di annotazioni e consumato agli angoli, ma lui non aveva ancora risparmiato abbastanza per comprarne uno nuovo, magari rivestito in pelle. Accanto ai due diari c’era una fotografia incorniciata. «Ciao, papà», sussurrò il vampiro salutando l’immagine al suo interno. Poi estrasse la merenda da uno stropicciato sacchetto marrone che aveva portato con sé e frugò all’interno in cerca del cucchiaio che aveva preso in cucina. Infine lasciò che i suoi canini si allungassero all’odore del sangue, senza far nulla per ricacciarli all’interno delle gengive. A volte era necessario lasciare che le cose seguissero il loro naturale corso. Tolse la pellicola dal contenitore di plastica e si ficcò una bella cucchiaiata di sangue viscoso in bocca. Il profumo delle rose tardive del pluripremiato giardino di Mrs Kipling dall’altra parte della strada filtrò attraverso le grandi aperture ad arco. Vlad si rilassò sulla sedia e finì la merenda senza che i suoi pensieri riuscissero ad allontanarsi da ciò che Otis gli aveva detto l’ultima volta che avevano parlato delle sue scappatelle notturne: D’Ablo aveva molti amici ed era opportuno che lui non abbassasse la guardia. E lui non lo aveva fatto. Aveva passato tutta l’estate a guardarsi le spalle e ad assicurarsi che nessun’altra creatura dai canini affilati lo seguisse. Era stata una faticaccia ma, fino a quel momento, non aveva incontrato nessun vampiro in cerca di vendetta in giro per Bathory. Forse lo zio stava diventando un tantino paranoico, pensò passando distrattamente un dito dentro il contenitore di plastica e leccandolo per pulirlo. Sul pavimento, accanto alla vecchia sedia di suo padre, c’era il libro che Otis gli aveva chiesto con una certa insistenza di leggere, il Compendium Conscientiae, che il ragazzo chiamava affettuosamente Enciclopedia Vampirica. Si trattava di un volume molto spesso, sulla cui copertina spiccavano uno strano simbolo e due lucchetti che sarebbe stato impossibile aprire con una semplice chiave. Vlad prese il tomo e vi poggiò sopra la mano. Il simbolo sul libro, così come il tatuaggio sulla parte interna del suo polso – due linee dritte con tre linee oblique in mezzo, tutte racchiuse in quelle che sembravano parentesi –, si illuminò e le sicure cedettero all’istante. Il giovane lo aprì nel punto in cui, a circa un terzo del libro, era stato appiccicato un foglietto e, con un po’ d’incertezza, prese a leggere il paragrafo da esso contrassegnato. Una moltitudine di Consigli vampireschi protegge e salvaguarda Elysia, vincolando la nostra confraternita al rispetto di ciascuna delle trecentotredici leggi. Ogni Consiglio è composto da un presidente, un vicepresidente, un segretario, un responsabile degli affari accademici, un deputato al controllo delle emergenze, un coordinatore degli eventi e un tesoriere. Il primo Consiglio risale al Paleolitico, ed è grazie a esso che le prime leggi furono emanate, stabilendo l’ordine sociale all’interno di Elysia. Il ragazzo sospirò. Persino la storia dei vampiri era noiosa. Scorse varie pagine fino a un altro foglietto e passò il dito su una parola che ricorreva di frequente nel libro. Otis gli aveva detto più volte di non curarsene ma, sfortunatamente, era troppo tardi. Vlad era già turbato da quella parola. Pravus. L’anno passato, mentre era appollaiato a origliare una conversazione tra lo zio e D’Ablo, aveva sentito quest’ultimo riferirsi a lui proprio con quell’appellativo. All’epoca non vi aveva prestato molta attenzione, ma gli svariati riferimenti al Pravus all’interno del volume avevano fatto sì che la sua fantasia iniziasse a vagare. Si era buttato anima e corpo nello studio e riusciva a leggere il codice di Elysia senza troppa difficoltà ormai, eppure il significato di quella parola e dei passi in cui compariva continuava a eluderlo. Quasi come se lui non dovesse leggerli. A un tratto la voce della ragazza dark che aveva visto davanti alla scuola giunse fino al campanile. «Kristoff! Andrew non voleva.» «Oh, voleva eccome. E può andarsene a quel paese!» A tali parole, Vlad drizzò le orecchie. A quanto pareva, Andrew era stato designato per interpretare il prete vampiro quell’anno. Lentamente si avvicinò al cornicione per dare un’occhiata a cosa stava succedendo di sotto. I dark avevano abbandonato il loro solito posto sui gradini. Adesso un tipo alto con i capelli argentati incombeva sul più piccolo del gruppo, un ragazzo con dei guanti a rete e i capelli sparati sulla testa, che si afflosciavano leggermente sulle punte. Vlad si piegò in avanti per vedere meglio. La ragazza era in piedi accanto agli altri due, le mani giunte in una posa supplichevole, mentre un quarto dark stava appoggiato al palo della luce e assisteva alla scena con aria disinteressata. «Mi dispiace, Kristoff. Non pensavo che l’avresti presa così sul personale», disse uno di loro alzandosi da terra. «Non sono disposto a sopportare le tue stronzate, Andrew! Conserva i tuoi stupidi scherzi per Sprat», replicò il giovane con i capelli argentati indietreggiando di un passo e infilando le mani nelle tasche del suo trench. Vlad ridacchiò e tornò dentro. Kristoff, eh? Quella sì che era bella. Quando lui e «Kristoff» erano in seconda media, il suo nome era David e i suoi capelli erano biondi. Il vampiro chiuse gli occhi e poi li riaprì, soffocando uno sbadiglio. Quindi aprì di nuovo il libro e continuò la sua lettura. Tutti a Elysia sono vincolati al rispetto delle stesse leggi. I crimini vengono denunciati al Consiglio più vicino e i sospettati restano in prigione fino al processo, durante il quale vengono esaminate le prove e agli imputati viene offerta la possibilità di difendersi. Se un membro è riconosciuto colpevole, può essere sottoposto a qualunque tipo di condanna il Consiglio in carica giudichi opportuna. Le forme di punizione più comuni sono le frustate – eseguite con una cinghia di pelle –, l’esilio o qualche forma di servizio a beneficio della comunità. Le condanne a morte possono essere molto brutali: smembramento, esposizione prolungata alla luce del sole, privazione del sangue da parte di un altro vampiro. Il tipo di esecuzione è scelto dal Consiglio stesso. Dopo il processo si tiene un banchetto durante il quale viene eseguita la condanna del prigioniero, mentre consiglieri e testimoni celebrano la gloria di Elysia consumando una gran quantità del miglior sangue umano a disposizione, seguita da fette di pan di Spagna. Questa tradizione risale all’invenzione del pan di Spagna, il dolce preferito dell’allora presidente del Consiglio, Peter Plogojowitz. Annoiato dai suoi studi, Vlad tirò fuori la lettera di Otis dalla tasca e la lesse per l’ennesima volta insieme con la lista allegata, che si concludeva con una piccola nota scribacchiata in tutta fretta. Ti prego, Vladimir, fai attenzione. Ho saputo dai miei contatti che un killer di vampiri potrebbe essere diretto a Bathory. Sii cauto e non dire niente a Nelly, non sopporterei di allarmarla (e metterla a parte di altre informazioni su Elysia sarebbe un crimine). Non girare mai da solo, porta sempre con te il tuo servo. O. Il ragazzo lesse la nota varie volte. Alla terza rilettura, il peso delle parole dello zio lo colpì in petto come un pugno, togliendogli il fiato. Qualcuno gli dava la caccia. Il suo sguardo passò in rassegna l’intero campanile, poi il vampiro soffiò sulla candela e rimase seduto nell’oscurità finché i suoi occhi non si abituarono alla fioca luce della luna. Suo zio avrebbe potuto fare cenno all’esistenza dei cacciatori di vampiri prima di andar via. O magari avrebbe potuto parlargliene all’inizio della lettera. Non gli sembrava certo che un post scriptum fosse il posto più adatto per menzionare un idiota armato di paletto che odiava le creature della notte. Quell’informazione era di cruciale importanza per lui, l’unico vampiro di Bathory. Fino all’avvertimento di Otis, Vlad aveva creduto che gli ammazzavampiri esistessero solo nei film o alla televisione. Dopotutto chi avrebbe creduto all’esistenza di un tizio che va in giro di notte con un paletto e un crocifisso? A quel punto tanto valeva dire che anche mannari e uomini neri erano reali. L’idea che potesse esistere una persona che dava la caccia ai suoi simili e li uccideva, qualunque fosse il motivo, gli mandò lo stomaco in subbuglio. La cosa migliore che potesse fare era stare per conto suo o insieme con gente conosciuta. Anche se il cacciatore era diretto a Bathory, non voleva dire che lo avrebbe trovato. E se lo avesse fatto... Il ragazzo rabbrividì. Piegò il foglio di pergamena, lo mise di nuovo nella busta e sperò che Otis tornasse in città prima che l’assassino potesse causargli qualche problema. Poi depose un lieve bacio sulla punta delle proprie dita e sfiorò la fotografia di suo padre. Infine, dopo aver lanciato una fugace occhiata alla stanza buia, uscì sul cornicione e fluttuò verso terra. Fu tentato dall’idea di tornare a casa passando dalla cima di un albero all’altra – onde evitare di imbattersi in qualcuno desideroso di ficcargli un paletto di frassino nel cuore – ma era troppo stanco. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era cadere di sotto. Sebbene le sue ferite si rimarginassero a una velocità incredibile, graffi e contusioni facevano comunque male. Anche la costola che D’Ablo gli aveva rotto l’anno precedente gli aveva causato non pochi fastidi: sei giorni di dolore quasi ininterrotto. Gli erano sembrati un’eternità. Vlad atterrò, si strofinò gli occhi con il palmo delle mani e sbadigliò. Gli sembrò di cogliere uno scintillio con la coda dell’occhio, ma quando guardò meglio non vide altro che il cielo limpido. La sensazione di essere spiato gli fece provare un brivido lungo la spina dorsale, come se le dita di una mano fredda e scheletrica lo stessero sfiorando. Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e si guardò intorno, ma non dovette sforzarsi molto per scorgere, dall’altra parte della strada, una figura avvolta nell’ombra. Lo stava fissando. Il cacciatore di vampiri. Il giovane dovette imporsi di rimanere immobile e di non schizzare via urlando in preda al panico. Era molto probabile che il tizio fosse semplicemente uscito a fare una passeggiata notturna e si stesse chiedendo cosa ci faceva un ragazzino della sua età fuori dalla scuola alle due di mattina. Una cosa del tutto normale. Niente di cui preoccuparsi. Ma solo per sicurezza... Si concentrò e penetrò nella sua mente. All’improvviso era dall’altra parte della strada, e stava guardando un adolescente che quasi certamente non era ciò che sembrava. Sì... è proprio lui. E quando avrò il suo sangue... Vlad sentì uno strano scricchiolio risuonare nella sua testa e uscì dai pensieri dell’uomo. Guardò di nuovo verso il marciapiede di fronte, ma l’assassino era sparito. Senza indugiare oltre, svoltò l’angolo di corsa e si diresse verso casa maledicendosi per non aver controllato se nel suo libro ci fosse un capitolo dedicato agli ammazzavampiri e a come difendersi da loro. Il suo passo aveva un ritmo talmente sostenuto che per un attimo ebbe la sensazione di volare; dopo una breve sbirciata ai suoi piedi – giusto per accertarsi che non fosse così – si concentrò sulle familiari abitazioni del suo quartiere. C’era quasi. Superò l’albero all’angolo... ... e finì addosso a una persona, facendola cadere a terra. Joss alzò lo sguardo verso di lui. «Vai di fretta?» Il vampiro lo aiutò ad alzarsi e scosse la testa. «Più o meno. Se Nelly mi becca fuori così tardi, finirò in punizione per il resto della mia vita. Ma tu che ci fai qui? Mi hai fatto morire di paura.» «Stavo catturando degli insetti», rispose il ragazzo indicando lo zaino che era finito a terra. Vlad lo guardò incuriosito. «Per metterli nello zaino?» L’altro rise. «Più o meno. Da grande vorrei fare l’entomologo. Mi piace catturare gli insetti e osservarli per qualche giorno, imparando qualcosa dal loro comportamento. Ho un bel po’ di contenitori là dentro. Quando ho finito, però, li libero.» «Quindi non sei un assassino, eh?» chiese Vlad sforzandosi di sorridere, sollevato di essersi imbattuto in Joss e non nell’inquietante tizio al di là della strada che stava pensando al suo sangue. L’amico lo fissò senza dire niente. «Sei un ragazzo strano, Joss.» Aveva sperato di metterlo a suo agio con quella battuta, ma sembrava aver sortito esattamente l’effetto contrario. «Ma non strano come me. Almeno tu hai degli hobby interessanti, io non faccio altro che leggere», aggiunse infine dandogli una pacca sulla spalla. Questa volta il tentativo andò a buon fine e sulla faccia di Joss comparve un sorriso. «Be’, anch’io leggo. Quindi chi è il più strano?» Vlad ci pensò per un attimo, poi fissò l’altro con aria complice. «Henry», dissero all’unisono. «E invece tu cosa ci fai in giro nel bel mezzo della notte?» chiese Joss mettendosi lo zaino in spalla. «Forse sono un tipo notturno», rispose il vampiro con fare disinvolto. Dopo un attimo l’amico sorrise. «Anch’io.» 8 SEGRETI SVELATI Vlad bussò piano alla porta della zia. «Nelly, io sto andando.» «Okay, scendo subito.» Le sue parole, lente e pesanti, indicavano che non era ancora del tutto sveglia. Il vampiro uscì dalla stanza, ma rimase in ascolto fuori dalla porta finché non la sentì alzarsi dal letto. Di solito, quando Nelly tornava dal turno di notte, gli dispiaceva svegliarla prima di uscire di casa. Ma, dopo quanto era successo ai suoi genitori, la parte superstiziosa di lui lo costringeva ad accertarsi che in casa nessuno stesse dormendo quando lui andava a scuola. Una volta giunto al piano di sotto, posò lo zaino sul tavolo della cucina, accanto alla protezione solare; poi prese una sacca di sangue dal frigorifero e, stiracchiandosi, lanciò un’occhiata al telefono. Stava lì a prendersi gioco di lui, a sottolineare quanto fosse ridicolo, per qualcuno che l’anno prima aveva avuto abbastanza fegato da affrontare un vampiro assassino, farsi venire la tremarella all’idea di chiamare Meredith per dirle che gli dispiaceva non averla baciata quando lei aveva mostrato di volerlo. Be’... magari si sbagliava, ma Vlad non riusciva davvero a immaginare nessun altro motivo per cui avrebbe dovuto protendersi verso di lui con gli occhi chiusi e le labbra strette in quel modo. Si fermò a pensare per un istante e, prima di concedersi il tempo di riflettere su ciò che stava facendo, alzò la cornetta e compose il numero. Riiiiing... Sentì il cuore perdere un battito prima di andare a schiantarsi contro gli altri organi interni, quasi stesse cercando di ridestarlo da quello stato di momentanea follia. Riiiiing... Il cuore sembrò quietarsi. Forse lei non era in casa. Avrebbe potuto riprovare più tardi. Magari... «Pronto?» Il cuore andò a sbattere con forza contro il petto, ricordandogli chi, tra loro, avesse avuto ragione. «Ciao, sono...» «Vlad?» Il tono di Meredith suonava più curioso che arrabbiato, e lui non avrebbe potuto esserne più lieto. «Sì. Ti ho chiamato solo per...» Aggrottò la fronte. Perché aveva chiamato? Che altro motivo c’era, a parte sentire la sua voce? Doveva avere una motivazione. «... Per chiederti...» «Chiedermi cosa?» Il vampiro buttò giù il nodo che gli si era formato in gola prima che la vocina nella sua testa potesse dirgli di non andare avanti. «Volevo chiederti se avevi già un appuntamento per il Ballo della Neve.» La ragazza rimase in silenzio per un attimo. «Vlad, mi stai chiedendo di uscire?» Lui si schiarì la voce. Due volte. Poi bofonchiò qualcosa di incomprensibile e tossì. «È solo che... be’, ho già un appuntamento per il Ballo della Neve», rispose lei abbassando la voce finché non fu solo un sussurro. «Sai, quando non mi hai richiamato dopo il ballo della Festa della Libertà, non ero sicura che tu fossi ancora interessato a uscire con me. Perciò l’ho chiesto a qualcun altro.» Vlad entrò nel panico. «Te lo stavo chiedendo per conto di... un amico.» «Oh, scusami. Pensavo che...» Lui si sforzò di ridere. «Io? Andare a un ballo? Che sciocchezza, ho fin troppe cose da fare. Comunque, immagino che ci vedremo in giro.» «Sì... ci vediamo.» Meredith aveva appena finito di pronunciare quelle parole, che Vlad aveva già rimesso a posto la cornetta. Qualcosa in lui si sgonfiò, insieme con la speranza di avere un’altra possibilità con la ragazza dei suoi sogni. Avvertì un dolore nel bel mezzo del costato e, per un attimo, si chiese se il suo cuore non fosse andato in pezzi. Quando poggiò la mano sul torace, però, sentì che batteva ancora, lentamente – come se quello che aveva dovuto sopportare in quei minuti fosse stato troppo –, ma batteva ancora. Avvilito, morse la sacca succhiandone il contenuto fino a svuotarla, poi la gettò nel contenitore dei rifiuti speciali sotto il lavello e, una volta recuperato lo zaino, si diresse verso la porta d’ingresso. Era strano che Henry fosse andato a scuola senza di lui per via di una riunione mattutina del Consiglio studentesco, ma era ben più strano sapere che qualcun altro avrebbe preso il posto del suo miglior amico quella mattina. Attraverso la finestra, Vlad scorse una figura aggirarsi per la veranda. Sorrise e aprì la porta, uscendo alla luce del sole. Se non fosse stato per Joss, le sue giornate nelle ultime due settimane sarebbero state piuttosto solitarie. «Ehi!» lo salutò. «Ehi, Vlad. Sei pronto?» «Come sempre», rispose lui con poca convinzione. Percorsero la solita strada fra le case fino al Bathory High e, una volta giunti a destinazione, Vlad alzò lo sguardo verso la scuola e gemette. «Perché non può essere venerdì?» «Perché è martedì», rispose l’altro in tono scherzoso. Stephanie Brawn li superò e sorrise. Naturalmente il sorriso non era rivolto al vampiro, ma era pur sempre un sorriso. «Ehi, Joss. Vuoi una copia del giornalino scolastico?» chiese la ragazza con un tono così stucchevole che Vlad fu sul punto di vomitare. Non aveva mai capito quanto odiasse Stephanie... finché non l’aveva sentita parlare. «Certo», rispose il suo amico. «Ci becchiamo più tardi, Joss», si limitò a bofonchiare lui, incamminandosi su per le scale prima che la loro compagna di scuola avesse il tempo di riaprire nuovamente bocca. Secondo il servizio meteo quel giorno avrebbe nevicato, ragion per cui Vlad non riusciva a capire cosa ci facessero tutti quei ragazzi lì fuori e davvero non aveva idea del perché fossero così interessati al giornale scolastico. Di solito nessuno leggeva quella robaccia. Be’, a parte gli atleti e le cheerleader, la cui unica ragione d’interesse era la presenza di articoli a loro dedicati. Dopo aver percorso l’intera scalinata, il vampiro si girò per dare un’altra occhiata allo spiazzo antistante l’edificio. Gli studenti, radunati in piccoli gruppi, confabulavano tra loro, anche se era impossibile capire l’oggetto delle loro discussioni. Rabbrividendo, Vlad si affrettò a entrare a scuola e si diresse al proprio armadietto. Anche all’interno l’attenzione dei compagni era rivolta al giornale. Quando finalmente intravide Henry, il giovane si accorse di avere un nodo allo stomaco. «Qual è la grande notizia?» chiese all’amico dandosi un’occhiata intorno. L’altro ragazzo era pallido e i suoi occhi sembravano enormi. Scuotendo la testa gli allungò una copia del giornale, affinché anche lui potesse vederla, e disse: «A quanto pare, sei tu». Sulla prima pagina c’era una sfocata foto in bianco e nero di qualcuno che fluttuava a mezz’aria, proprio di fronte al campanile della scuola. Il cuore del vampiro si fermò. Poi iniziò a battere a una velocità tre volte superiore al normale. «Chi l’ha fatta?» domandò. Henry indicò l’articolo che accompagnava la foto. «A quanto pare c’è qualcuno che ti segue come un’ombra.» Vlad rilassò il braccio facendo scivolare lo zaino a terra, si appoggiò con la schiena contro l’armadietto e lesse il titolo ad alta voce: «’Un mostro a Bathory? Dal nostro corrispondente del primo anno, Eddie Poe’». Imprecò e, mentre dava una rapida occhiata al pezzo, si rese conto che Eddie era un problema più grosso di quanto avesse immaginato. Il ragazzino blaterava di mostri, «bestie inumane con gli occhi viola», che stavano invadendo la città. A quanto pareva non aveva dimenticato ciò che era accaduto la notte di Halloween. Secondo la teoria di Henry, il novello giornalista d’assalto doveva averlo pedinato, avvicinandosi abbastanza da scattargli una foto mentre scendeva dal campanile della scuola senza che lui si accorgesse di nulla. Alla faccia dei poteri extrasensoriali! A che serviva essere per metà un vampiro se non riusciva a rendersi conto che un tizio goffo e imbranato lo stava seguendo? Vlad terminò l’articolo e non riuscì a trattenere l’ennesima imprecazione. I denti premevano a più non posso per uscire dalle gengive e lui chiuse la bocca per nasconderli. Ci mancava solo quello. Esaminò di nuovo la foto. Era sgranata, grigia e scura. A dire il vero, se non avesse saputo di essere in grado di fluttuare, avrebbe anche potuto non capire chi fosse il soggetto dello scatto. Poteva trattarsi di un ramo. Un ramo pallido e di bell’aspetto. «Penso che io e Eddie dovremmo farci una chiacchierata», grugnì piegando il giornale. Henry annuì. «Sono d’accordo. È in biblioteca.» Vlad alzò un sopracciglio prima di aprire l’armadietto. «Si sta nascondendo? Credevo sarebbe andato a festeggiare per essere riuscito a rovinarmi la vita, o che stesse scambiando aneddoti con Bill e Tom, visto che adesso sembra siano tutti dalla stessa parte.» «La tua vita non è rovinata. Nessuno gli crede, pensano sia uno scherzo. Voglio dire, se a dare la notizia fosse stato qualcun altro dello staff del giornale, forse lo avrebbero preso in considerazione. Ma Eddie?» L’amico si sforzò di ridere. «Quel ragazzino ha paura della sua ombra. Probabilmente dorme ancora con la luce accesa.» «E se invece qualcuno gli credesse? Basterebbe poco per far saltare la mia copertura. Nelly andrebbe fuori di testa e Otis si infurierebbe. Per non parlare di quello che potrebbero fare gli abitanti di Bathory se scoprissero che mi cibo del sangue di persone innocenti», mormorò il vampiro. «Ehi, per quanto ne sai, quel sangue potrebbe appartenere a un serial killer. Tua zia non ha modo di risalire all’identità dei donatori che provvedono alla tua cena.» Vlad scosse il capo: da quando aveva letto l’articolo la tensione non era ancora calata. «Il punto non è questo. E se...» «Amico, andrà tutto bene. Fidati di me, okay?» lo interruppe Henry guardandolo dritto negli occhi. All’improvviso Vlad si sentì rincuorato. Qualunque cosa fosse successa, non era solo. Rivolse un cenno del capo al compagno di scuola e i suoi muscoli si rilassarono. Quando tolse la mano dall’armadietto, notò che il metallo era ammaccato. Entrambi i ragazzi rimasero a fissarlo per un attimo, poi Henry si schiarì la voce e chiese: «Vuoi ancora parlare con Eddie?» «Certo che sì.» Il giovane chiuse l’armadietto chiedendosi come avesse fatto a procurare quel danno allo sportello, e si girò per dirigersi in biblioteca. In quel momento, però, una voce profonda risuonò a tutto volume dall’altoparlante: «Edgar Poe è pregato di presentarsi immediatamente nell’ufficio del preside! Muoviti, giovanotto». Lui e Henry ebbero giusto il tempo di scambiarsi un’occhiata, prima di schizzare tra la folla verso l’ufficio del preside. Già dal corridoio era possibile udire Hardwick sgridare severamente il ragazzo. Si trattava perlopiù di grida confuse, ma ogni tanto si distingueva qualche parola di senso compiuto strillata a pieni polmoni: «... irresponsabile... mai in tutta la mia vita... sei fortunato che io non... comportamento infantile... chiamare i tuoi genitori... idee ridicole... farmi perdere tempo... due settimane di punizione... dovrai scusarti, giovanotto!» Dopo un attimo di silenzio, la porta si aprì e Eddie si fece lentamente largo nel corridoio, gli occhi risolutamente puntati sul pavimento. La rabbia che era montata nel petto del vampiro si attenuò – non del tutto, ma in parte –, cedendo il passo alla pietà. Le guance del piccolo fotografo erano rosso fuoco. Aveva l’aria umiliata e sconfitta. Strinse la macchina fotografica che portava intorno al collo con entrambe le mani e lasciò che la porta dell’ufficio si richiudesse da sola alle sue spalle. I canini di Vlad si ritirarono. Non c’era niente che potesse fare o dire che a Eddie non fosse già stato fatto o detto. Certo, era ancora furioso all’idea di essere stato esposto in quel modo, ma ce l’aveva più con se stesso che con il compagno: aveva commesso una grossa imprudenza. L’altro aveva solo cercato un modo per sentirsi speciale, per essere notato e apprezzato dagli altri. Accorgendosi che c’era qualcuno che lo guardava, Eddie alzò gli occhi. Nell’attimo in cui notò il vampiro, l’imbarazzo sul suo volto svanì, rimpiazzato dalla determinazione. Solo allora Vlad si rese conto che sarebbe stato inutile sbattergli in faccia che aveva fatto la figura del matto o che la gente di Bathory avrebbe giudicato il suo articolo credibile come quelli del Weekly World News. Non sarebbe servito nemmeno ricordargli che lui lo aveva trattato con gentilezza fin dai tempi dell’asilo. Quel ragazzo era deciso ad andare a scavare nel suo segreto per poi rivelare a tutti che creatura mostruosa fosse. Non fu nemmeno necessario leggergli nel pensiero per capirlo. La verità era tutta lì, nello sguardo determinato di Eddie, che si limitò a rivolgergli un breve cenno del capo, prima di proseguire lungo il corridoio. Il vampiro lo osservò allontanarsi, poi si girò verso Henry. «Ho un problema», disse. L’amico sospirò, guardando anche lui nella stessa direzione. «Sì, e il suo nome è Eddie Poe.» 9 FIOCCHI DI NEVE E RICORDI Vlad aprì il libro per la ventitreesima volta e lo richiuse. La musica pompava a ritmo continuo, facendo tremare la fiamma della sua candela. Come avrebbe potuto concentrarsi sullo studio quando vari piani più giù, nella palestra del Bathory High, Meredith stava volteggiando all’annuale Ballo della Neve con il suo bellissimo, affascinante e simpaticissimo accompagnatore? E lui, che era stato così stupido da farsi anche solo sfiorare dal pensiero di chiederle di uscire, era rimasto solo, senza uno straccio di appuntamento, mentre i suoi due migliori amici si stavano dando da fare con le loro ragazze. La situazione era talmente patetica che il vampiro aveva colto la sola opportunità che gli rimaneva – a parte andare al ballo da solo – e si era rifugiato sul campanile per deprimersi in santa pace. Aveva tutto il diritto di farlo. Henry aveva ottenuto un appuntamento con una graziosa biondina del terzo anno, la cui sorella gemella aveva una cotta mostruosa per suo fratello Greg. Joss era stato ancora più fortunato del cugino, assicurandosi un appuntamento con la più bella ragazza della città. Non che se lo meritasse. Non che esistesse qualcuno al mondo abbastanza meritevole da uscire con Meredith Brookstone. Dopo aver scoperto che Joss l’avrebbe portata al ballo, per qualche secondo Vlad li aveva odiati profondamente entrambi. Poi era stato colto dal senso di colpa e dal disprezzo nei confronti di se stesso: era stato uno stupido. Avrebbe dovuto invitare Meredith settimane prima ma, dopo il loro ultimo appuntamento, non credeva che lei gli avrebbe mai risposto di sì. Aveva cercato di non lasciar trapelare i suoi sentimenti, ma, tutte le volte che Joss gli chiedeva se riusciva a credere che la ragazza lo avesse invitato a uscire, gridava No! nella propria testa. L’amico sembrava così inconsapevole dei suoi sentimenti che un giorno, a pranzo, Vlad era sbottato che, no, non riusciva a credere che lei gli avesse chiesto davvero di uscire, perché quale persona sana di mente poteva pensare che gli antropologi fossero fighi? Joss gli aveva tenuto il muso per tutto il giorno, ma lui non aveva affatto di intenzione di scusarsi. In fondo era stato lui a infrangere il comandamento più grande dell’amicizia: non uscirai con la persona per cui il tuo migliore amico ha una cotta. Una cosa era certa: se il nome di Meredith fosse saltato fuori nella successiva discussione su chi baciasse meglio, avrebbe perso il suo nuovo migliore amico una volta per tutte. Si appoggiò allo schienale della sedia e ascoltò la musica che filtrava attraverso le finestre ad arco. Il fiato formava delle nuvolette di nebbia davanti alle labbra; nel campanile si gelava, ma lui non era dell’umore adatto per starsene seduto a casa a guardare Nelly che preparava i dolci per le feste. Senza contare che l’idea di essere probabilmente l’unico, oltre a Eddie Poe, a perdersi il ballo lo aveva precipitato nel più nero sconforto. Perciò – ammazzavampiri in circolazione o no – armato del suo Lucis, era arrivato fin lì, guardandosi alle spalle in prossimità di ogni siepe e cespuglio. Quel pomeriggio aveva preparato le valigie per il suo grande viaggio ma, non avendo più ricevuto nessuna notizia da Otis, Vlad non sapeva se tutte le sue fatiche si sarebbero rivelate inutili. Quindi, piuttosto che stare a casa e passeggiare nervosamente, aveva preferito andare a origliare all’addiaccio. Fino a quel momento non era servito a calmarlo molto. Il vampiro avvicinò le mani al candelabro per riscaldarsi e le fibbie sul dorso dei suoi guanti senza dita brillarono nella luce fioca. Dietro di lui, il ritratto del padre osservava la scena con un sorriso. A un tratto la fiammella guizzò, spegnendosi dopo una breve esplosione di luce. Era come se il suo rifugio gli stesse suggerendo di smetterla di tenere il muso e andarsene a casa. «Okay, ho afferrato il messaggio», sussurrò il giovane all’indirizzo di qualsiasi fantasma potesse celarsi nell’ombra, prima di saltare giù da uno degli archi e librarsi piano fino a un albero vicino al parcheggio. Poi si diresse verso il sentiero asfaltato. Non sarebbe stato prudente lasciare delle impronte nella neve che sembravano spuntare dal nulla o, peggio ancora, che provenivano dal campanile. Erano le piccole disattenzioni come quella che ti mettevano nei guai. La neve crepitò sotto le sue scarpe, mentre faceva il giro dell’edificio per raggiungere lo spiazzo davanti alla scuola. Aveva freddo, ma ciò non bastava a mettere freno alla sua curiosità. Dietro le porte dell’edificio s’intravedevano due coppie e Vlad non stentò a riconoscere Henry, anche se la sua faccia era orribilmente appiccicata a quella della bionda del terzo anno. Le loro bocche sembravano ventose: per quanto tentassero di liberarsi, erano in trappola. Eppure sembravano contenti di trovarsi in quella situazione. Era anche possibile che stessero cercando di staccarsi le labbra a morsi. Il vampiro si chiese per un attimo se un pizzico della sua natura non fosse passato all’amico quando l’aveva morso. L’altra coppia non era impegnata in un bacio, ma i due erano vicinissimi. La ragazza guardò dietro di sé, verso Vlad, e disse qualcosa al suo accompagnatore, che s’incamminò in direzione della palestra. Poi Meredith aprì il portone e uscì. I piedi del giovane vampiro erano attaccati al marciapiede, ma la colpa non era della neve né del ghiaccio. La ragazza si sistemò lo scialle di seta sulle spalle bianchissime e, rabbrividendo appena, accennò un sorriso. «Ciao, Vlad.» Lui si schiarì la voce guardando prima a terra e poi verso il portone, ovunque tranne che nei suoi magnifici occhi. «Ehi», mormorò. Meredith incrociò le braccia. Aveva davvero sfidato il freddo solo per dirgli ciao? Il vampiro intuiva che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Si era quasi deciso a fare qualche accenno al tempo o alla scuola, quando lei schiuse le sue perfette labbra rosa e disse: «Posso farti una domanda?» Vlad sorrise. «Lo hai appena fatto.» «Sì, ma volevo dire...» La giovane si morse il labbro e lanciò uno sguardo alla porta. Henry e la bionda erano ancora incollati. «Non importa.» La vista di Meredith che si girava per andarsene diede a Vlad l’iniezione di coraggio di cui aveva un disperato bisogno. «No, cosa c’è?» Le guance di lei si tinsero di rosso, ma era impossibile capire se dipendesse dall’imbarazzo o dal freddo intenso. «Non ti piaccio? Voglio dire, è dalla Festa della Libertà dell’anno scorso che m’ignori. E non mi hai nemmeno chiesto di venire con te al Ballo della Neve. Ho fatto qualcosa di male? Voglio dire... a parte chiedere a Joss di venire al ballo con me per farti ingelosire?» domandò con sguardo supplichevole mentre un brivido le scuoteva nuovamente il corpo. Il vampiro sgranò gli occhi. Aveva cercato di farlo ingelosire. Quindi era stato per quello che aveva chiesto al suo amico di farle da cavaliere. Be’, aveva funzionato eccome. Seguendo l’istinto, Vlad si sfilò la giacca e la porse alla ragazza, che la indossò. Il freddo improvviso lo fece rabbrividire, ma non riusciva a smettere di sorridere; la vista della pelle liscia di lei che spariva all’interno di un suo indumento sarebbe stata sufficiente a scaldarlo per qualche minuto. «Non hai fatto niente di male», rispose infine. Meredith aveva i capelli tirati indietro. Dei ricciolini spuntavano qua e là, fermati da fiocchi di neve realizzati in strass. Veri fiocchi di neve si unirono a essi, depositandosi sulla parte posteriore dei suoi folti capelli color cioccolato. Vlad sentì il cuore sgusciare su per il petto, fino a fermarsi in gola. «E allora qual è il problema?» insistette lei abbassando lo sguardo. Il vampiro cercò di deglutire, ma il suo cuore rifiutò di spostarsi anche solo di un millimetro. «Non lo so.» La giovane lo guardò negli occhi, i suoi sembravano velati di lacrime. «Sei sicuro di non saperlo? O, come dice Chelsea Whitaker, non credi che io sia abbastanza carina per uscire con te? Perché tu mi piaci. Mi piaci veramente un sacco.» Vlad aggrottò la fronte, confuso. Perché mai Chelsea Whitaker pensava di sapere qualcosa di lui quando i loro rapporti si limitavano agli sgradevoli commenti della ragazza sul suo conto e a stupidi scherzi che finivano con il costargli sempre una punizione? La verità era che non sarebbe mai riuscito a comprendere cosa passava per la testa delle sue coetanee. Meredith doveva aver frainteso la sua espressione vuota e sorpresa, perché all’improvviso si girò e cominciò a correre su per le scale, verso il portone. Ancora cinque gradini e avrebbe superato la soglia, gettandosi di nuovo tra le braccia di Joss. «Mi piaci anche tu», gridò Vlad tutto d’un fiato. Lei si fermò e si voltò. «Non so, è tutto così nuovo per me. Sei la prima ragazza cui abbia mai chiesto di uscire. Probabilmente non conoscevo le regole bene come avrei dovuto», disse il vampiro passandosi la lingua sugli incisivi. Com’era possibile che lui le piacesse? Era un mostro, per di più pericoloso. Nelly diceva sempre che le donne erano attratte dai tipi pericolosi. Era quella la ragione? Era possibile che, a livello inconscio, Meredith avvertisse che lui rappresentava un pericolo e fosse intrigata proprio da quello? O magari non si trattava di nulla del genere. «Forse è stata una mossa intelligente chiedere a Joss e non a me di portarti al ballo. Ma una cosa è sicura... Chelsea si sbaglia. Tu sei la ragazza più carina che io abbia mai visto.» Dopo un attimo di silenzio, lei piegò il dito facendogli cenno di avvicinarsi e Vlad salì su per le scale così in fretta che per poco non cadde. Due volte. La ragazza rise e gli tolse un fiocco di neve dalla guancia in fiamme. Le dita di lei sulla sua pelle sarebbero bastate a fargli definire quella serata ben spesa, ma poi Meredith si avvicinò e disse: «Sei dolce». Vlad stava per rispondere che anche lei era dolce e che pensava davvero che fosse carina, che avrebbe voluto tanto accompagnarla al Ballo della Neve, ma la paura di un suo rifiuto era stata troppa. Invece non ci fu tempo per dire nulla prima che lei premesse le labbra sulle sue. Quel momento, la cui durata non doveva aver superato i due secondi, si estese all’infinito nella mente dell’adolescente. Il suo cuore doveva aver continuato il proprio percorso verso nord per poi fuoriuscire da un orecchio: Vlad era sicuro che adesso stesse fluttuando vari metri sopra le loro teste. Come d’incanto, il freddo sembrava svanito. Meredith Brookstone lo aveva baciato e il mondo aveva ripreso a girare nel verso giusto. La ragazza salì gli ultimi gradini e aprì la porta. Prima che quella si richiudesse cigolando, Vlad si accorse che lei gli stava sorridendo. Si portò la mano alla bocca, sfiorandosi le labbra con la punta delle dita. La parola che sussurrò prese la forma di una nuvoletta grigia nell’aria fredda: «Grazie». Dopo aver trascorso svariati minuti di fronte al liceo a fissare il portone pieno di gioia, il giovane decise d’incamminarsi verso casa. Era a metà strada quando si rese conto che Meredith non gli aveva restituito la giacca. Rabbrividendo, affrettò il passo e socchiuse gli occhi per proteggerli dalla neve che continuava a cadere. Giunto a destinazione, aveva le dita intorpidite e le braccia mezze congelate. Le labbra, invece, erano ancora calde per il bacio ricevuto. Stava attraversando la strada, quando notò che un uomo all’angolo stava fissando la sua casa. Il cuore ebbe un nuovo guizzo e questa volta si ancorò alle costole in cerca di un sostegno. Il cacciatore di vampiri. Vlad prese a correre verso casa. In un istante estrasse il Lucis dalla tasca dei jeans e mise il pollice sull’estremità: non sapeva se sarebbe servito contro un umano, ma era tutto quello che aveva. Doveva tornare dentro, sia per proteggere Nelly da un potenziale pazzo, sia per riscaldarsi ed escogitare un piano. Magari avrebbero potuto nascondersi a Stokerton per un po’. O magari no, considerato che l’aver trapassato da parte a parte il suo presidente l’anno precedente lo aveva reso piuttosto impopolare agli occhi di Elysia. Aprì il cancelletto e corse verso l’abitazione, subito fermato da una figura scura che gli si parò davanti sul vialetto d’ingresso. Il ragazzo imprecò sottovoce e puntò il Lucis contro l’assassino, ma una mano decisa gli bloccò il polso costringendolo ad allontanare l’arma. Alzò lo sguardo per vedere in faccia il suo aggressore e spalancò gli occhi per la sorpresa. «Sono felice che tu abbia deciso di prendere delle precauzioni, Vladimir. È bello rivederti.» L’intero volto di Otis era animato da un sorriso. Gli occhi, le labbra, le guance, persino il mento sembravano attraversati da una luce. L’uomo si fece avanti e strinse l’ancora incredulo nipote in un forte abbraccio. Quando si separarono, al giovane parve di cogliere un pizzico di sollievo nei suoi occhi... poi lo zio guardò le sue labbra e ridacchiò. Vlad si sfregò la bocca con il dorso della mano. Se Meredith gli aveva lasciato qualche traccia di lucidalabbra con i brillantini, era contento che a notarlo fosse stato Otis e non Nelly. L’ultima cosa che gli serviva era essere punito per aver pomiciato con una ragazza – non che lui e Meredith avessero pomiciato – quando teoricamente sarebbe dovuto essere da Eat, l’unico ristorante di Bathory. A dire il vero, il locale si chiamava Aunt Polly’s Dining Emporium, ma sull’edificio non c’era nessuna insegna che ne indicasse il nome, solo un neon rosso e blu che formava la parola EAT. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo. Alla fine non c’era nessun assassino. Almeno per ora. «Zio Otis, avresti potuto lasciarmi un biglietto o chiamarmi. Non pensavo che saresti venuto.» L’uomo alzò un sopracciglio con un’espressione perplessa. «Non hai ricevuto la lettera in cui ti invitavo a venire in Siberia con me?» Vlad fece spallucce. «Be’, sì... un mese fa. Dove sei stato dopo? Avevo delle domande da farti sulle mie capacità.» «Non hai letto il libro sulla storia dei vampiri che ti ha lasciato tuo padre?» «Certo che sì, ma nessun libro ha tutte le risposte. Senza contare che mi sei mancato. Che fine avevi fatto?» Otis sorrise di nuovo. Gli mise una mano sulla spalla e la strinse. «Anche tu mi sei mancato. Riguardo a dove sono stato... be’, credo sarebbe meglio parlarne al coperto.» Mentre si giravano per entrare, Vlad ebbe la sensazione che qualcosa stesse premendo per entrare nella sua testa. Lanciò un’occhiata all’uomo e fece scudo ai propri pensieri. Otis aggrottò le sopracciglia prima di seguirlo su per le scale. Il ragazzo stava per domandargli perché avesse cercato di insinuarsi nella sua mente, quando Nelly – un sorriso sorpreso stampato sul volto lievemente arrossato – aprì la porta con in mano un vassoio di biscotti fumanti. «Otis?» Vlad lanciò un’occhiata allo zio, i cui occhi scintillarono alla vista della donna. «Come stai, Nelly? Sembri...» «Intirizzita? Perché ho freddo.» Il giovane vampiro superò la zia urtandola lievemente e andò a sedersi sulle scale, dove si tolse le scarpe in attesa che i due adulti finissero di bisbigliare tra loro. «Dov’è la tua giacca?» chiese Nelly dopo avergli lanciato un’occhiata. Prima che lui potesse rispondere, Otis entrò in casa togliendole il vassoio di mano. «Biscotti con gocce di cioccolato, i miei preferiti. Non avresti qualcosa di caldo da bere con cui accompagnarli?» Qualche minuto più tardi, i tre erano seduti intorno al tavolo della sala da pranzo a sorseggiare il contenuto di alcune tazze di porcellana. Quelle di Vlad e Otis erano piene di sangue riscaldato al microonde, ma lo zio toccò appena il suo, troppo concentrato su Nelly, cosa che diede vagamente la nausea al nipote. «Quindi cos’hai fatto mentre giravi il mondo in lungo e in largo?» chiese il giovane quando la donna si alzò per sparecchiare la tavola. Il luccichio felice nello sguardo di Otis svanì e fu subito chiaro che i suoi pensieri, in quel momento, erano tutt’altro che gradevoli. «Scappavo, Vladimir. Scappavo e cercavo di capire alcune cose.» Il ragazzo cercò di mandar giù il nodo alla gola causato dall’improvviso senso di colpa. «Da chi stavi scappando? Elysia? È perché hai aiutato me l’anno scorso?» «In parte sì. D’Ablo aveva molti seguaci e io, aiutandoti, ho infranto parecchie regole. La punizione, se dovessero prendermi, sarebbe una morte dolorosissima. Ma ci sono anche altri motivi. Cose ben più oscure di cui non parlerò. Posso solo dirti che dovremmo goderci il nostro tempo insieme, Vladimir. Le cose belle di rado durano.» Lo zio gettò un’occhiata preoccupata alla finestra, quasi avesse paura che qualcuno potesse udirli. Istintivamente anche il ragazzo guardò fuori, ma non vide niente. Forse ciò che Otis stava cercando erano solo i fantasmi che tormentavano i suoi pensieri. «Zio, ho bisogno di sapere qualcosa di più sull’assassino», disse Vlad in un sussurro. Gli occhi dell’uomo, però, rimasero fissi sulla finestra. A un tratto si alzò e con passo deciso attraversò in tutta fretta la stanza. Dopo aver scrutato con attenzione la strada, sospirò stancamente e appoggiò la fronte contro il vetro. «Neve. Solo neve.» Il ragazzo si avvicinò con passi cauti e gli mise una mano sulla spalla. «Forse dovresti riposarti un po’.» Senza guardarlo, Otis scosse la testa con riluttanza. «No, va’ tu a riposare. Ne avrai bisogno, partiamo alle quattro di mattina.» Vlad aprì la bocca per protestare – lo zio sembrava davvero esausto – ma qualcosa nello sguardo dell’uomo gli suggerì di tacere. Fece un cenno di assenso e si avviò lentamente su per le scale. Quell’incontro non era andato come aveva sperato. Una volta in camera, si stese sul letto e sprofondò in uno stato di dormiveglia fin quando una palla di pelo non saltò sulla sua fronte. Con un grugnito, spostò Amonet dalla faccia e si mise seduto sul letto. Le cifre in azzurro della sua sveglia segnavano le 01.31. Si sfregò gli occhi e il suo stomaco cominciò a borbottare: era l’ora dello spuntino notturno. Scivolò fuori dalla porta e si diresse al piano inferiore per recuperare del cibo. La luce in soggiorno era accesa. Fece capolino dall’angolo, sperando di trovare lo zio che dormiva sul divano, o sveglio e pronto a rispondere alle sue domande sull’assassino. Quello che vide lo lasciò interdetto. Otis era seduto in poltrona e aveva un’aria triste ed esausta. Nelly, che era in piedi dietro di lui, gli poggiò una mano sulla spalla. Lui la coprì con la sua e la strinse, poi, stancamente, si sorrisero guardandosi negli occhi e Vlad, alzando lo sguardo, non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Non aveva mai visto un’intesa così immediata tra due persone. Eccetto che... Il sorriso del ragazzo svanì e gli occhi gli si velarono di lacrime. Eccetto che tra i suoi genitori. La scena davanti a lui cambiò. Aveva otto anni ed era rimasto in piedi ben oltre l’orario in cui sarebbe dovuto andare a letto. Era sgattaiolato in corridoio verso lo studio del padre e aveva spiato i suoi genitori che si scambiavano sguardi innamorati e si tenevano per mano. La mamma si trovava alle spalle del papà, che era seduto sulla sua poltrona preferita. Era stata l’ultima volta che li aveva visti vivi. La mattina seguente si era alzato presto, aveva spento la loro sveglia in modo che potessero continuare a dormire, ed era andato a scuola. Quel pomeriggio li aveva trovati morti. Vlad si asciugò le lacrime. Nelly aveva messo una coperta sulle ginocchia di Otis che, nonostante la sua determinazione a rimanere sveglio, aveva cominciato a cedere alla stanchezza. All’improvviso il giovane vampiro non aveva più fame. Tornò al piano di sopra e, prima di raggomitolarsi sotto le coperte, guardò la foto dei suoi genitori nella cornice sul cassettone. La mamma e il papà gli stavano sorridendo, ma quella sera i loro sorrisi sembravano forzati, quasi stessero cercando di nascondere il dolore per averlo perso. Cercò di scacciare l’immagine dei loro resti carbonizzati, ma quel ricordo da incubo gli invase la mente come una folata di cenere e fumo. Il ragazzo abbracciò il cuscino, fissò la foto e pianse finché non sopraggiunse il sonno. 10 SIBERIA Dopo ventisei ore di volo, che li condussero da Stokerton a New York, poi a Parigi e infine a Mosca, Vlad era distrutto. Sembrava che il mondo intero fosse in viaggio con lui e Otis: tutti gli aeroporti erano fastidiosamente affollati. Il giovane vampiro aveva cercato di riposare su ogni aereo ma, a quanto pareva, gli assistenti di volo erano come cani da caccia in grado di fiutare una persona che dormiva a un chilometro di distanza. Ben presto si era convinto che esistesse un regolamento secondo il quale, se un passeggero nelle vicinanze cominciava ad avere un po’ di sete, loro dovessero per contratto offrirgli una bevanda... o dei salatini... o uno di quegli stupidi cuscinetti che bastavano appena a tapparsi un orecchio, ma che erano inutili se uno desiderava appoggiare la testa al finestrino. Otis, al contrario, non ebbe nessun problema a dormire per tutto il viaggio da Mosca a Novosibirsk, durante il quale ronfò nell’orecchio del nipote per quasi un’ora, prima che quello lo scuotesse leggermente. A quel punto sbuffò e si girò dal lato opposto, russando in direzione della signora seduta sull’altro lato del corridoio, che inalberò un’espressione furiosa. Vlad guardò fuori dal finestrino ma non riuscì a vedere altro che nuvole. Il suo corpo fremeva di energia. Presto uno dei vampiri più anziani e talentuosi in circolazione – almeno così diceva lo zio – gli avrebbe insegnato tutti i segreti della telepatia e l’eccitazione gli rendeva ogni minuto più difficile stare fermo. Sospirò e assestò un nuovo colpetto al suo compagno di viaggio. Questa volta Otis si sfregò gli occhi e si rimise dritto. «Devo essermi assopito. Tu sei riuscito a dormire?» Come un cane richiamato da un fischio, una hostess filiforme dai capelli castani sfiorò la sua spalla e Vlad si trovò ad alzare gli occhi al cielo prima che lei potesse dire: «Gradisce qualcosa da bere?» Otis le fece educatamente cenno di no e si girò verso il nipote, che chiese: «Perché andiamo in Siberia? Non fa freddo laggiù?» «In questo periodo dell’anno sì, abbastanza. Ma d’estate è un posto piuttosto caldo e davvero bello», rispose l’uomo con un sorriso. I suoi occhi s’illuminarono e Vlad si sorprese a desiderare che il giorno in cui sarebbero potuti stare davvero insieme arrivasse presto. Lui, lo zio e Nelly sarebbero potuti diventare una vera famiglia. Si chiese se quel momento sarebbe mai arrivato. Come se gli avesse letto nella mente – il che era piuttosto probabile – Otis riprese: «Mi spiace se non ci siamo visti per tanto tempo. Purtroppo, avevo dei buoni motivi per mantenere le distanze». «Non fa niente, so che hai da fare. E le lettere hanno aiutato.» «Davvero?» chiese lo zio speranzoso. Vlad annuì. «Voglio dire, sarebbe forte usare la telepatia per prendere una B in inglese, ma...» «Oh, le storie che potrei raccontarti su tuo padre e sui problemi che leggere i pensieri altrui ci ha causato...» «Raccontamele!» Con sua grande sorpresa, Otis arrossì. «Quando sarai più grande. Molto più grande. Diciamo solo che ci siamo beccati un sacco di ceffoni.» Il ragazzo scosse la testa divertito. «E Vikas che tipo è?» «È gentile, affettuoso, amichevole, ma cocciuto», spiegò lo zio scuotendo la testa con aria divertita. «Incredibilmente cocciuto. E molto in gamba. Il più bravo insegnante che io abbia mai incontrato.» «Pensi che gli piacerò?» chiese Vlad mordicchiandosi il labbro, nervoso. Otis incontrò i suoi occhi e sorrise ancora. «Vladimir, è praticamente impossibile che tu non gli piaccia. Adorava Tomas e tu gli somigli moltissimo.» Il giovane sospirò e, sollevato, si lasciò scivolare sul sedile. Avrebbe voluto chiedergli com’era vivere insieme con altri vampiri e farsi spiegare la ragione per cui non riusciva a leggere i passaggi dedicati al Pravus nella sua Enciclopedia Vampirica, o perché non gli aveva parlato prima dell’esistenza degli ammazzavampiri, ma discutere davanti agli altri passeggeri della sua vera natura lo metteva un po’ a disagio. Si mise comodo e riprese a fissare le nuvole grigie che correvano sotto di loro, poi – con sua grande sorpresa – Otis lo svegliò: si era addormentato senza neppure rendersene conto. Una volta scesi dall’aereo, dopo una lunga fila alla dogana, si fecero largo tra la folla fino ad arrivare all’uscita, dove un taxi li stava aspettando. Lo zio disse qualcosa in russo e allungò al conducente un biglietto tutto colorato su cui spiccava il numero 500. L’uomo glielo restituì borbottando qualcosa in tono sorpreso, ma Otis gli fece cenno di andare e mise le loro valigie nel bagagliaio. Non ci volle molto perché l’auto si fermasse davanti a un piccolo edificio appena fuori Novosibirsk. Lo zio diede al tassista un altro biglietto con la scritta 500 e quello mormorò qualcosa che doveva significare «grazie» in russo. Smontarono dal taxi e Vlad tirò su il colletto del suo nuovo giubbotto e si calò il berretto sulle orecchie; sapeva che in Siberia faceva freddo, ma nessuna ricerca al computer poteva prepararlo a quel tipo di gelo. La porta della palazzina si aprì e ne uscì un individuo con indosso dei pantaloni di lana. Aveva la testa coperta da un cappuccio e, sebbene la parte inferiore del volto fosse nascosta da una pesante sciarpa, il giovane vampiro fu certo che non stesse sorridendo. Lo sconosciuto disse qualcosa in russo a Otis, il quale rispose in un tono amichevole, che però non tardò a farsi minaccioso. L’uomo si zittì e indirizzò un’occhiata a Vlad, poi annuì e li condusse sul retro, dove trovarono una slitta trainata da nove cani. Il ragazzo ascoltò per alcuni minuti la discussione tra suo zio e lo sconosciuto, poi si avvicinò al grosso cane in prima fila e tese la mano guantata. Gli occhi azzurro ghiaccio dell’animale scintillarono mentre si piegava docilmente al tocco del giovane vampiro. «Sono degli animali bellissimi, vero? La famiglia di Dmitri alleva husky da anni», spiegò Otis avvicinandosi a sua volta ad accarezzare il cane. Vlad guardò di nuovo lo sconosciuto, che li stava osservando di sottecchi mentre s’infilava dei biglietti colorati nella tasca del cappotto. «Gli hai dato dei soldi?» «Ventimila rubli per noleggiare i cani e la slitta.» Il ragazzo smise di accarezzare l’husky e spalancò gli occhi. «Sembra un sacco.» «Sono più o meno settecento dollari. Un buon prezzo, considerando cosa sto per chiedere a questi poveri animali», rispose Otis assicurandosi che le bestie fossero ben legate. «Perché, cosa vuoi che facciano?» Il vento si era alzato, penetrando, come un coltello caldo nel burro, attraverso gli strati di vestiti che Vlad aveva indossato. Il vampiro rabbrividì e batté i denti. «Dovranno condurci al villaggio nascosto di Elysia», spiegò lo zio che, dopo aver passato in rassegna le imbracature dei cani, era intento a legare i loro bagagli a un’asse della slitta. Quando ebbe finito, fece cenno al nipote di accomodarsi sul sedile di legno davanti a lui. Il ragazzo si sistemò sulla slitta tirandosi sulle gambe una coperta di lana, mentre Otis – che intanto lo aveva raggiunto a bordo – si sistemava i guanti. Sembrava che il freddo non lo infastidisse affatto. «Ma io pensavo che Elysia fosse a Stokerton», obiettò Vlad tirandosi la coperta fino al naso. «Ti ricordi cosa ti ho detto in passato? Elysia è ovunque la nostra razza si riunisca per formare una comunità. Noi siamo diretti al villaggio nascosto di Elysia, sede del Consiglio siberiano.» Lo zio gridò qualcosa ai cani, ma lui non riuscì a sentire nulla. Il vento aveva ripreso a soffiare forte, e gli fischiava nelle orecchie mentre la slitta procedeva a tutta velocità su quell’incredibile distesa di neve. Un silenzio confortevole piombò tra lui e Otis mentre attraversavano foreste e montagne. A un tratto il cielo si fece nero sopra di loro e cominciarono a spuntare le prime stelle. Vlad non riusciva quasi più a sentire le dita dei piedi. Dopo quella che sembrò un’eternità, si fermarono e avanzarono a piedi verso la cima di una collina. Lì furono accolti da due tipi avvolti in strati e strati di pelliccia. Dopo aver scambiato qualche parola con loro, Otis si avvicinò al nipote. «Vieni, questi uomini si occuperanno dei cani. Il villaggio si trova ai piedi della collina, nella vallata sottostante.» «Quando potrò incontrare il tuo amico?» chiese il ragazzo sforzandosi di ricordare il nome riportato nella lettera. «Vikas?» Le labbra di Otis si piegarono in un sorrisetto e i suoi occhi si posarono su qualcosa alle spalle del nipote. «Stai per farlo.» Con il respiro accelerato per l’emozione, il giovane si voltò a guardare. Un uomo alto, con le spalle larghe, avanzò dal limitare della foresta. Indossava un lungo soprabito di pelliccia grigio e bianco e un paio di stivali neri alti. I capelli, castani e ondulati, sfioravano il colletto. Quando sorrise a Vlad, i suoi occhi azzurro ghiaccio brillarono. Lo zio si fece avanti e lo abbracciò. «Vikas. È bello rivederti, amico mio.» «Il piacere è reciproco», disse l’altro dandogli un’affettuosa pacca sulla spalla. Poi si voltò verso Vlad. «Quindi lui è il figlio di Tomas?» Per un attimo il ragazzo pensò di cogliere una scintilla d’interesse. Dopo essersi tolto i guanti di pelle, Vikas gli strinse la mano: la sua presa era ruvida, la pelle fredda. «Sarà un grande onore essere il tuo insegnante. Tomas è il mio più caro amico... insieme con Otis, naturalmente.» Vlad sorrise sollevato. Si era quasi aspettato che l’uomo lo avrebbe snobbato perché era solo per metà vampiro, ma i suoi occhi suggerivano che aveva un animo gentile e sembrava essere stato molto legato a suo padre. «È un piacere conoscerti, lo zio dice che sei il vampiro più vecchio che lui abbia mai conosciuto.» L’altro gli rivolse un sorriso affettuoso. «È la verità, giovanotto, ma dimentica che sono anche il più bello, il più affascinante e...» «Modesto. Dimentichi modesto», intervenne Otis ironico. L’uomo scoppiò a ridere, poi, rivolgendosi al giovane vampiro, chiese: «Come ti chiami, ragazzo?» «Vlad.» Vikas annuì, lo sguardo improvvisamente preoccupato. «Un bel nome russo.» «Be’, a dire il vero, è Vladimir», specificò l’adolescente con una scrollata di spalle. «Resta comunque un nome russo bello e forte. Vuol dire ’dominare con la pace’», spiegò il suo futuro insegnante con un sorriso che questa volta risultò forzato. «Sarai affamato dopo il viaggio. Seguimi, mentre mangiamo mi racconterai che ha combinato Tomas negli ultimi quindici anni», aggiunse infine dando al ragazzo una bella pacca sulla spalla e incamminandosi verso una grande casa di legno situata nella vallata sottostante. Zio e nipote si scambiarono un’occhiata e lo seguirono. 11 VIKAS Sembrava che nella casa di legno si stesse svolgendo una festa. Vikas si avvicinò a un’ampia porta. Con grande sorpresa, Vlad si accorse che, al posto di un tradizionale pomello, sul legno era stato intagliato un intricato simbolo. L’uomo lo toccò, facendo sì che s’illuminasse del consueto bagliore azzurrato. Il ragazzo avrebbe voluto poter vedere se anche gli occhi dell’altro vampiro cambiavano colore quando toccava un simbolo, ma era impossibile dirlo dalla posizione in cui si trovava. La porta si aprì e Vikas entrò, seguito da Otis. Delle voci si levarono per salutarli, ma, quando Vlad fece il suo ingresso alle spalle dello zio, tutti gli sguardi si spostarono su di lui e nella sala scese un silenzio inquietante. Il loro ospite fece cenno agli altri di continuare il loro banchetto e, quasi all’istante, il vociare riprese. Nonostante ciò, la sensazione strana e sgradevole di sentirsi osservato continuò a tormentare il ragazzo. A un capo della lunga tavola al centro della stanza, c’era una sedia con un alto schienale. Lungo i lati erano invece disposte panche di legno e piccole sedie semicircolari. Vikas si accomodò a capotavola, facendo segno ai nuovi arrivati di prendere posto al suo fianco. Quando tutti furono seduti, l’uomo si rivolse di nuovo a Vlad. «Ti piace la carne?» chiese. Lui si guardò intorno in evidente imbarazzo, le gambe che fremevano per la tensione. Se i commensali erano suoi simili, di certo non si comportavano come tali. Un uomo corpulento aveva appena afferrato una coscia di pollo mentre, di fronte a lui, una donna masticava distrattamente una fetta di prosciutto. La sola idea di mangiare della carne, soprattutto cotta, diede la nausea al giovane vampiro, che scosse la testa. «Non molto.» «Ti nutri solo di sangue? Sei stato cresciuto bene», commentò Vikas con un leggero sorriso, poggiandogli una mano ruvida sulla spalla. In quel momento, un ragazzo poco più grande di Vlad si avvicinò al tavolo e gli mise tra le mani un calice di peltro. Era pieno fino all’orlo di quello che, dall’aspetto e dall’odore, sembrava sangue. Poi riempì anche i bicchieri di Otis e del padrone di casa, che lo ringraziò. «Spasibo, Tristian.» Prima di portarsi il bicchiere alle labbra, il giovane lanciò un’occhiata a suo zio, aspettando un suo cenno d’assenso. Il liquido era caldo e speziato. Era chiaramente sangue – 0 positivo, non c’era nessun dubbio – ma il suo odore intenso aveva una nota diversa, quasi piccante, che gli fece pensare alla presenza di qualche spezia: zenzero, o forse curry. Otis non aveva ancora bevuto un sorso, si limitava a fissare il calice come se pensasse che avrebbe trovato al suo interno le parole giuste per informare l’amico che il fratello era morto. Quando alzò lo sguardo, sembrava che tutto il suo coraggio fosse svanito. «Ti sono grato per aver accettato di istruire Vlad. Significa moltissimo per noi. So che Tomas ti sarebbe molto grato se fosse qui e potesse vederlo.» «Per me sarà un onore fargli da tutore e insegnargli le usanze di Elysia, proprio come ho fatto con suo padre e con te.» Il ragazzo, a quelle parole, sorrise e vuotò il suo bicchiere per poi porgerlo a Tristian, che lo riempì senza esitazione. «Dimmi, Vladimir, che cosa te ne pare della Russia finora?» domandò il suo istitutore. Lui cercò di pensare a qualcosa di gentile da dire. Non fu difficile, dopotutto la campagna che aveva visto durante il suo viaggio in slitta era mozzafiato, ma definire quel Paese bellissimo gli sembrava comunque forzato e poco sincero. Si schiarì la voce e il secondo pensiero che attraversò la sua mente gli sfuggì di bocca: «Fa davvero freddo qui». Sentì ancora una volta gli occhi dei presenti su di sé e, un attimo dopo, tutti – Vikas compreso – proruppero in una fragorosa risata. Vlad si sorprese a sospirare di sollievo. La strana sensazione di essere osservato diminuì... ma solo in parte. «È vero, la nostra madre Russia sa essere una donna gelida, ma la sua bellezza non ha eguali e la sua lealtà è fuori discussione. La Siberia è uno dei luoghi più incontaminati di tutta la Terra.» Mangiarono e bevvero per più di un’ora, e Otis riuscì anche a convincere il nipote ad assaggiare il filetto alla Stroganov. Non gli piacque per niente e sputò subito carne e salsa nel tovagliolo, ma se non altro poteva dire di averlo provato. Alla vista della sua faccia disgustata, Vikas domandò che gli fosse versato un altro calice di sangue. Poi chiese: «E dimmi, Mahlyenki Dyavol, come sta il mio caro amico Tomas? La sua compagnia mi è mancata moltissimo». Il giovane vampiro rimase in silenzio nell’udire quello strano nome e istintivamente il suo sguardo corse a cercare quello di Otis. Gli occhi dell’uomo erano lucidi, ma era giunto il momento di dire la verità, così, facendosi coraggio, rispose: «Mi spiace dover essere io a comunicartelo, Vikas, ma... i miei genitori sono morti quattro anni fa in un incendio». Tra i commensali piombò un silenzio attonito. Facce incredule si voltarono verso il ragazzo e un vampiro posò la sua coscia di pollo nel piatto, mentre tutti i calici di sangue tornavano pian piano al loro posto sulla tavola. Vikas si lasciò andare sulla sedia e, con un’espressione devastata e incredula negli occhi, guardò Otis. «Ma è vero? Tomas è morto?» Quando quegli annuì, l’uomo abbassò gli occhi. Per un attimo sembrò che la festa fosse finita, ma poi il padrone di casa levò di nuovo il calice e gridò: «Al nostro compagno caduto!» Tutti i presenti lo imitarono e Vlad non riuscì a nascondere la propria commozione. Non aveva idea che suo padre fosse stato tanto amato. che fosse mai stato in Siberia. All’altro capo del tavolo, un gruppo di vampiri iniziò a cantare con un forte accento russo. Oscillavano avanti e indietro mentre le loro voci si alzavano e si abbassavano. Il giovane sorrise loro e ascoltò, domandandosi il significato di quella canzone. Fu allora che Otis gli si avvicinò e disse: «È un canto in onore di tuo padre, parla di valore e fratellanza. Tomas era solito intonarlo tutte le volte che tornava vittorioso da una battuta di caccia durante il Medioevo. Allora il sangue umano era spesso contaminato dalla Peste Nera. Molti vampiri sopravvissero a quei tempi bui grazie alla sua abilità». Vlad guardò di nuovo Vikas, i cui occhi erano fissi su di lui. «Tu lo hai visto? Hai visto quell’incendio?» chiese. Il ragazzo annuì e posò il bicchiere. All’improvviso, non aveva più fame. «Domani faremo una cerimonia funebre in onore di tuo padre, una cosa fortunatamente piuttosto insolita per noi vampiri.» L’uomo prese la brocca dalle mani di Tristian e gli riempì il bicchiere prima di restituirglielo. «Ma, adesso, in questo preciso momento, brinderemo alla sua memoria, e tu, Mahlyenki Dyavol, mi racconterai i dettagli di quel terribile evento. Nessun vampiro dovrebbe affrontare da solo una così tragica perdita. Siamo una famiglia e piangeremo per Tomas tutti insieme.» Calde lacrime scesero dagli occhi di Vlad e, quando alzò lo sguardo verso il suo istitutore, vide che anche lui stava piangendo. «È stata colpa mia», mormorò infine. L’uomo scambiò un’occhiata con suo zio, che scosse la testa. «Raccontami cosa è successo», lo pregò allora Vikas. Vlad sentì il fiato venir meno ma, quando cominciò a parlare, le parole vennero fuori con facilità mentre, con gli occhi della mente, riviveva gli avvenimenti di quel fatidico giorno. «Mi ero alzato presto ed ero entrato in camera loro per spegnere la sveglia. Non riuscivano mai a dormire fino a tardi, sai? Perciò avevo pensato di fare il bravo e prepararmi da solo per la scuola, in modo che potessero riposare più a lungo. Se non lo avessi fatto... se non avessi spento la sveglia, non sarebbero stati sorpresi nel sonno dalle fiamme.» Otis era impietrito: le sue labbra avevano completamente perso colore. Vikas indicò il bicchiere e il ragazzo bevve. «Eri lì quando è cominciato l’incendio?» «No, ero a scuola. Il preside mandò una ragazza a chiamarmi. Le chiesi se avessi combinato qualcosa ma mi rispose solo che la mia casa stava bruciando. Così, senza troppi giri di parole. Senza un po’ di pietà. Solo ’Casa tua sta bruciando’, come se fosse una cosa che succede tutti i giorni.» Le lacrime diminuirono a causa della rabbia improvvisa e lui aggrottò la fronte e scosse la testa. Dopo un po’, riprese a parlare, ma la voce era più bassa, quasi temesse che, alzandola, avrebbe risvegliato qualcosa di oscuro dentro di sé. «Corsi subito a casa e, quando arrivai, dalle finestre della loro stanza stava uscendo del fumo. C’erano un camion dei pompieri, macchine della polizia e un’ambulanza, credo. I miei ricordi sono confusi. Superai tutti e corsi al piano di sopra. Dovevo trovare mamma e papà, assicurarmi che stessero bene. Ma quando arrivai in camera da letto...» Il ragazzo scoppiò a piangere. Non cercò di trattenersi, non ci sarebbe riuscito in ogni caso. I suoi genitori erano morti. Non sarebbero più tornati. E la cosa peggiore era che lui non sapeva con certezza se a portarglieli via fosse stato un incidente o il distorto senso di giustizia di qualcuno. Si asciugò gli occhi con la manica della maglia e continuò, anche se la voce gli si ruppe varie volte: «Erano già morti. Quando vidi i loro corpi mi sentii solo come non mi ero mai sentito prima». Vlad guardò suo zio, il viso affondato tra le mani. Era la prima volta che raccontava quella storia a qualcuno che non fosse Henry. «Non ricordo esattamente come, ma mi ritrovai a casa di Nelly e da allora sono sempre rimasto con lei.» Vikas rimase in silenzio per un po’ prima di guardarlo negli occhi e dire: «Non sei solo, Vladimir. Non sei mai solo in questo mondo. Sei un membro di Elysia e, se Tomas avesse avuto scelta, ti avrebbe cresciuto in mezzo ai tuoi simili. Le leggi che hanno contribuito ad allontanare tuo padre... devono essere cambiate». Otis si asciugò gli occhi con un fazzoletto di stoffa. Sembrava avesse un disperato bisogno di cambiare argomento. «Hai saputo qualcosa dal Consiglio di Stokerton?» chiese a un tratto, poggiando i gomiti sul tavolo. Il loro ospite scosse la testa lentamente. «Nient’altro che menzogne, amico mio. Ripetono che sei un criminale. Come si è espresso il Consiglio di Londra in merito alla tua situazione?» «Hanno solo detto che, qualora Stokerton avesse confermato le accuse, sarei stato considerato un fuggiasco e loro avrebbero dovuto arrestarmi per aver assistito all’attacco ai danni del presidente del Consiglio di Stokerton, aiutato e coperto un fuggiasco e rivelato la mia identità a tre umani», spiegò Otis. «Il fuggiasco sarebbe Tomas?» domandò Vikas alzando un sopracciglio. Non sembrava per nulla contento. «Si rifiutano di credere che sia morto», sospirò lo zio. Vlad si morse il labbro inferiore tutto pensoso. «E se dicessi loro quello che ho visto? Sarebbero costretti a crederci.» Otis strinse le labbra e scosse la testa rivolgendo al nipote uno sguardo severo. «Non voglio che ti avvicini a nessuno dei Consigli finché la questione non sarà chiarita.» «Sto solo cercando di rendermi utile», replicò il ragazzo scivolando sulla sedia, il calice stretto al petto. A quelle parole, lo sguardo dell’uomo si addolcì. «Non preoccuparti, Vlad. Sono in buone mani qui con Vikas, e ho amici in tutto il mondo disposti ad aiutarmi.» «Amici vampiri?» «Certo.» Il giovane assunse un’espressione perplessa, poi obiettò: «Aspetta un momento, hai rivelato solo a due umani che sei un vampiro: Nelly e Henry». «L’ho rivelato anche a te. Ricordati, Vladimir, che, finché porti con te il Lucis, tutti a Elysia continueranno a dire che sei umano, anche se sanno che non è così. Preferiscono sostenere questa tesi che ammettere di essere incapaci di assicurare un ragazzino alla giustizia. Temono ciò che sei, ma sono troppo superbi per fare i conti con la realtà», spiegò Otis riprendendo il suo bicchiere. «Naturalmente, se mai dovessero trovare un modo per toglierti il Lucis... saresti in pericolo proprio come me.» «Se non di più. Ha ucciso D’Ablo. A dire il vero la sua stessa esistenza è un abominio secondo le loro ridicole leggi», intervenne Vikas. Vlad alzò un sopracciglio, confuso. «Qui in Siberia le leggi sono diverse?» «Qui viviamo come uomini liberi. Andiamo e veniamo come ci pare e il Consiglio interviene solo quando si verificano crimini davvero efferati.» La voce di Otis si fece più aspra. «Magari c’è chi pensa che le loro leggi non siano ridicole. Avrei potuto impedire a Vlad di togliere la vita a D’Ablo, ma non l’ho fatto. Sapevo della relazione di Tomas e Mellina, ma ho mantenuto il loro segreto e li ho aiutati a fuggire. Ho anche svelato la mia natura agli umani, non lo nego. Il punto non è se ho fatto o no queste cose, ma se le ho fatte per una giusta ragione.» «Gran parte della gente di Elysia è convinta che tu abbia sbagliato», disse Vikas guardandolo dritto negli occhi. «E forse hanno ragione. Se è così, affronterò la giustizia», asserì l’altro con serenità, come se sopportare le terribili punizioni di cui Vlad aveva letto nell’Enciclopedia Vampirica non fosse nulla di eccezionale. Il nipote lo osservò ammirato. Il padrone di casa, invece, scosse la testa con un’espressione disgustata. «La tua visione del mondo è distorta, amico. Tomas non avrebbe mai voluto che...» «Tomas è morto credendo in quelle leggi! Era il vicepresidente del Consiglio di Stokerton. O te ne sei dimenticato?» tuonò Otis. Nella sala piombò un silenzio inquietante e Vlad si agitò sulla sedia, nervoso. Lo zio chiuse gli occhi per un attimo, riaprendoli solo dopo essersi calmato, e rivolse all’altro vampiro un cenno di scuse. Non occorreva la telepatia per comprendere che il racconto sulla morte dei suoi genitori doveva aver scosso Otis. Altrimenti perché sarebbe esploso in quel modo? Dopo un attimo, Vikas riprese la parola, la sua voce era appena udibile. «Non l’ho dimenticato. E non ho dimenticato neppure quanto ti opponesti alla sua scelta quando la fece, ma tutti commettiamo degli errori. Tomas decise di rafforzare delle leggi ingiuste, io ho scelto di giudicarti per le tue azioni passate davanti a tuo nipote. E tu hai sempre sostenuto tuo fratello, pur sapendo che era in errore. Non v’è nulla di criminale in questo. D’altro canto hai appena rovesciato parte del tuo sangue e vino e questo, mio caro amico, è un gesto orribile», fece notare con un sorriso, cui Otis non tardò a rispondere. Sollevato per l’allentarsi di quella strana e improvvisa tensione, Vlad si schiarì la voce. «Quindi esistono tre Consigli in tutto?» Otis tamponò con uno straccio il sangue e vino che aveva fatto cadere e, mentre il suo calice veniva riempito, ringraziò con un cenno del capo Tristian. «Nove, a dire il vero. Stokerton, Londra, Siberia, Pechino, Parigi, Atene, Edimburgo, Città del Messico e Il Cairo. E fino a adesso sono ricercato da tutti, tranne che da quello di Londra e da quello siberiano.» «Che succederebbe se ti catturassero?» domandò il ragazzo, non del tutto sicuro di voler conoscere la risposta. L’Enciclopedia Vampirica elencava una serie di pene davvero terribili per coloro che infrangevano le leggi di Elysia, e l’idea che suo zio potesse essere soggetto a una qualsiasi di esse lo terrorizzava a morte. Come se avesse intuito a cosa stava pensando, l’uomo scosse piano la testa. Vikas fece altrettanto e domandò a Tristian di riempirgli il bicchiere. «Se non vi spiace, per stasera abbiamo parlato già abbastanza di morte.» Otis mise una mano sulla spalla dell’amico e gliela strinse. Si guardarono negli occhi in silenzio e Vlad ebbe il sospetto che i due stessero avendo una conversazione che lui non poteva udire. Dopo un attimo, Vikas rise e rivolse di nuovo il suo sguardo su di lui. «Tuo padre ti ha mai parlato di me, Vladimir?» chiese. Il giovane scosse la testa. Suo padre non gli aveva detto neppure che aveva un fratello e tantomeno che esistevano altri come loro. La cosa gli dava un po’ fastidio; dopotutto, cosa avrebbe potuto guadagnare Tomas dal tenere nascosta l’esistenza di Elysia? Eppure, si disse, il padre era fuggito dalla sua gente e probabilmente lo aveva fatto per delle ottime ragioni. «A dire il vero non parlava mai della sua vita prima d’incontrare mamma. Eravate molto intimi?» «Ma hai mai parlato di me a questo ragazzo?» domandò Vikas a Otis con un’occhiata incredula. Lo zio cominciò a balbettare e l’uomo guardò di nuovo Vlad divertito. «Sì, eravamo intimi. Io sono diventato un vampiro molti anni prima di tuo padre e tuo zio, eppure, fin dal giorno in cui ci siamo conosciuti, tra noi si è instaurata una gran sintonia. È stata immediata, come se fossimo amici da molto tempo. Colui che aveva trasformato in vampiro Otis trasformò anche Tomas, erano fratelli. E io fui ben contento di diventare la loro guida. Per un periodo abitarono da me. Ne abbiamo combinate di tutti i colori insieme, non mi sono mai divertito tanto con nessun altro.» «Mi dispiace, Vikas. Avrei dovuto parlargli di più di te», sussurrò Otis mandando giù un sorso di liquido dolciastro. «Non c’è bisogno di scusarsi, se c’è un argomento di cui sono ben lieto di parlare, sono le nostre gesta», replicò l’uomo avvicinandosi a Vlad. Sembrava che quei ricordi gli avessero dato nuova energia. «Prima che il ragazzo torni nelle Americhe, dovremo fare una bella chiacchierata su che razza di combinaguai fossero suo padre e suo zio», disse facendo l’occhiolino all’amico, che ricambiò con un sorriso. Rimasero lì a mangiare, bere e parlare di tempi più felici ancora per molte ore. Vlad assistette rapito alla scena che stava avendo luogo davanti ai suoi occhi. Non riusciva a proferire parola. Poteva solo annuire di tanto in tanto e meravigliarsi per la cordialità dei suoi ospiti. Quei vampiri non somigliavano per niente a quelli di Stokerton, lo avevano accolto come uno di famiglia. Appena ne ebbe l’occasione, il giovane si avvicinò a suo zio e domandò: «Qual è il nome con cui Vikas continua a chiamarmi?» «Mahlyenki Dyavol», rispose l’uomo con un sorriso. «Sì, ma cosa significa?» I due adulti si scambiarono un’occhiata e proruppero in una fragorosa risata, poi Otis alzò il suo bicchiere verso il nipote e rispose: «Significa ’Piccolo Diavolo’». Dopo un altro scoppio di risa, Vikas e Otis si misero a discutere in privato. Passarono facilmente dall’inglese al russo e, a un certo punto, al francese. Vlad rimase ad ascoltare, ma non si prese il disturbo di tentare di capire cosa stessero dicendo. Non poteva fare a meno di chiedersi perché l’uomo gli avesse dato quello strano soprannome, ma in quel momento non gli andava di tornare sull’argomento. I due amici erano chiaramente felici di essersi ritrovati e non se la sentiva di distrarli con le sue domande. Prese il calice e, mentre lo faceva, la manica della sua camicia si alzò, rivelando il simbolo tatuato sull’interno del polso. Un vampiro magro con i capelli grigi seduto di fronte a lui, vedendolo, gli rivolse un cenno d’approvazione. Il ragazzo ricambiò lo sguardo, bevve e si appoggiò allo schienale della sedia, felice di trovarsi fra i suoi simili. Quindi quella era Elysia. Mentre calava la notte, la sala pian piano si svuotò, finché Vlad non rimase solo con suo zio e il loro ospite. Otis appoggiò il proprio calice sulla tavola accanto a quello del nipote. Da quando lo conosceva, il giovane non lo aveva mai visto così allegro. «Ti sono molto grato per la tua ospitalità, Vikas. Era da tanto che non mi godevo le gioie di Elysia.» «Il piacere è tutto mio. Spero che prenderai in considerazione l’idea di rimanere per sempre. Sono certo che, se ci provassimo, riusciremmo a chiarire il fraintendimento con il Consiglio di Stokerton.» «No, non posso correre un rischio simile, ma grazie per l’offerta», rispose Otis facendosi serio. Vlad si stiracchiò e, prima che potesse dire che si sentiva stanco, Vikas suggerì: «Adesso riposati, Mahlyenki Dyavol. Domani onoreremo la memoria di tuo padre e dopodomani inizieremo le lezioni sul controllo della mente e affronteremo le difficoltà che hai con la telepatia». Con uno sbadiglio, il ragazzo seguì Tristian in una delle camere per gli ospiti e si lasciò cadere sul letto. La sua testa aveva appena toccato il cuscino che gli occhi gli si chiusero e lui si addormentò placidamente. 12 ONORARE TOMAS TOD Vlad sistemò a fatica il tronco sulla pila e si tolse alcuni trucioli di legno dai guanti. Con poco sforzo, Otis ne accatastò altri due, ciascuno dei quali era grande il doppio di quello con cui il ragazzo aveva lottato fino a pochi secondi prima. Mentre si avviava verso la legna tagliata da Vikas per prendere altri due ceppi, il giovane vampiro lanciò un’occhiata perplessa al villaggio. «Non c’è molta gente stamattina. Dove sono tutti gli altri?» Lo zio aggiunse altri due tronchi alla pila e sorrise. «Gran parte dei membri del Consiglio siberiano preferisce non alzarsi durante le ore del giorno perché ritiene sia contrario alla nostra natura.» Il ragazzo spostò lo sguardo sull’uomo che li aveva accolti sotto il suo tetto. Si era tolto la camicia per preparare altra legna per il fuoco. «Ma Vikas non è il loro presidente?» «Oh, sì, e lo amano moltissimo», rispose Otis incrociando le braccia e appoggiandosi alla catasta di tronchi che avevano preparato. Gli arrivava quasi alla vita. «E quindi non dovrebbero seguire il suo esempio?» domandò Vlad alzando un sopracciglio, interdetto. «Se nel corso della storia i cittadini avessero seguito l’esempio dei loro capi, la razza umana si sarebbe estinta secoli fa», replicò lo zio con una buona dose d’ironia. L’adolescente si fermò un istante a valutare quelle parole, poi i suoi occhi tornarono a posarsi sul vampiro più anziano, ora intento a tamponarsi la fronte imperlata di sudore. «Cosa pensa la gente del fatto che lui si esponga alla luce del sole?» «Da quanto ho sentito, ritengono che la sua determinazione a svolgere delle attività nelle ore diurne sia quasi sacrilega. Eppure ogni mese, quando vanno a Novosibirsk per fare rifornimenti, fanno sempre in modo di portargli della lozione solare», spiegò Otis, dandogli una pacca sulla spalla. «Solo perché non concordano con lui su alcune cose non significa che lo amino di meno, Vladimir.» Vikas posò l’ascia e aggiunse gli ultimi ceppi al resto del mucchio. Dopo averli sistemati con cura in cima, vi poggiò sopra una mano. «Un buon combustibile per la nostra pira funebre», commentò. «Ma una pira funebre di solito non contiene un... un...» balbettò Vlad. «Un cadavere? Sì», ammise l’uomo. «Di solito il fuoco viene appiccato al tramonto e continua a bruciare per tutta la notte. Il corpo viene sistemato sulla legna poco prima dell’alba. Si pronuncia qualche parola per dargli l’addio, gli sono tributati tutti gli onori e i vampiri si ritirano in casa appena il sole comincia a sorgere. Il cadavere inizia a bruciare all’alba, quando i raggi del sole lo sfiorano, e il processo va avanti fino a sera, quando del defunto non resta altro che cenere... e ricordi.» Il ragazzo si morse piano il labbro inferiore. «Ma mio padre è sepolto a Bathory.» «Uno scempio cui un giorno porremo rimedio, Mahlyenki Dyavol. Seppellire i morti è una barbarie. Non c’è onore. L’idea di mettere un corpo in una cassa per avere qualcosa cui attaccarsi quando tutto ciò che quella persona era è ormai svanito mi dà il voltastomaco. I cimiteri sono per i vivi, non per i morti», sbottò Vikas distogliendo lo sguardo dalla pira e chinando il capo. «Perdonami, Vladimir. Non intendevo insultare le tue usanze.» Il giovane non disse niente. Non poteva. Per un attimo si era illuso di far parte di qualcosa, di essere un vampiro come tanti. Ma l’osservazione del suo istitutore aveva infranto l’incantesimo: lui era strano per i vampiri proprio come lo era per gli umani. A parte ciò, era sorprendente scoprire l’evidente differenza fra le tradizioni delle due specie. A legarli – a ben pensarci – non c’era nulla, salvo per il rapporto cacciatore-preda. Lo stomaco di Vlad brontolò. Vikas sorrise. «Anch’io ho fame. Ma trattieniti, Mahlyenki Dyavol. Saremo liberi di mangiare solo al tramonto, dopo il funerale di tuo padre. È una tradizione. Tomas non può più assimilare l’essenza della vita e quindi neanche noi l’assimileremo finché non avremo onorato il suo ricordo.» Il ragazzo annuì, comprendendo il senso di quell’usanza. Il sole aveva già iniziato a calare e il cielo stava assumendo varie sfumature di rosa e oro. Mentre si faceva buio, alle finestre della casa di legno cominciarono a comparire delle luci. A quanto pareva gli altri vampiri erano svegli. Il funerale di suo padre stava per avere inizio. Vlad lanciò un’occhiata a Otis, seduto sulla panca accanto a lui con espressione solenne. Lo zio appariva stanco ma fiero, triste ma grato del fatto che altri stessero condividendo quel momento con loro. Il nipote capiva i suoi sentimenti, perché erano gli stessi che anche lui stava provando. La veglia era durata tutta la notte: ore e ore passate ad alimentare le fiamme in un silenzio assoluto e totale, sia verbale sia mentale. L’attenzione di tutti i presenti era consacrata esclusivamente alla memoria di Tomas Tod. Alla fine Vikas si era alzato e aveva preso posto al centro della folla riunita, accanto alla crepitante pira funebre. Tutti avevano alzato lo sguardo verso di lui, come spinti da un unico pensiero. Solo allora Vlad aveva percepito la voce dell’uomo nella sua testa. Era profonda e aveva un forte accento. Suonava affettuosa e confortante, proprio come la sua vera voce. «Iniziamo.» Improvvisamente le membra e la mente del ragazzo si rilassarono e lui si appoggiò alla panca, osservando stupefatto e meravigliato la pira che incombeva su di loro. Una volta che Vikas ebbe ottenuto la loro attenzione, parlò ad alta voce. «Tomas Tod era molte cose. Un amico, un fratello e... un padre», disse con un cenno in direzione di Vlad. «Ma, prima di tutto, era un vampiro. Il migliore che abbia mai conosciuto nei miei novecentonovantotto anni, a dire il vero.» L’adolescente dovette trattenersi dallo spalancare la bocca. Non avrebbe dato a Vikas più di trentacinque anni, non aveva neppure una ciocca di capelli grigi eppure era lì, ad affermare di essere ormai prossimo al millennio di vita. Doveva assolutamente chiedere a suo zio quanto fosse vissuto il più longevo dei vampiri. Il capo del Consiglio siberiano gettò un’occhiata al fuoco e rabbrividì, ricacciando indietro le lacrime che avevano lottato per scorrere fin dal momento in cui aveva appreso della morte dell’amico. «Oggi lo onoriamo nella morte, come lui ci ha onorati in vita. E come Tomas ha accolto suo figlio, Vladimir, così noi stessi lo accoglieremo come un fratello, un vampiro, un figlio. Quanto alla sposa di Tomas...» Gli altri vampiri si agitarono, palesemente a disagio. Uno fece per alzarsi ma, dopo aver scambiato uno sguardo con Vikas, si rimise seduto. «Mellina è stata al fianco di Tomas quando nessuno di noi poteva farlo, durante il lungo periodo da lui trascorso senza il conforto di Elysia, e nel momento estremo della sua terribile e inaspettata dipartita. Alla madre del giovane Vladimir dobbiamo grande rispetto, per questo stasera la onoriamo come onoriamo suo marito, il nostro fratello», sentenziò il capo della divisione siberiana. «Tomas si era appena affacciato alla sua vita da vampiro il giorno in cui fu portato da me affinché gli facessi da insegnante. Era dotato di una saggezza insolita per la sua età, aveva una gran voglia d’imparare e un senso dell’umorismo incredibile, che più di una volta ha finito con il distoglierci dalle nostre attività. Fu in quel periodo che lui e Otis si conobbero e, grazie a loro, io stesso ho imparato a riconoscere il valore dell’amicizia.» Il sorriso di Vikas si allargò e i suoi occhi brillarono. «Tomas era un allievo molto dotato, soprattutto quando si trattava di controllare le menti. Ricordo con piacere il nostro primo viaggio a Mosca. Ero il suo insegnante solo da due settimane e, con mia sorpresa, lui riuscì a far danzare diverse decine di turisti intorno a una fontana. Quando i poliziotti giunsero a interrompere quella celebrazione improvvisa, lui li fece unire al grande girotondo. Fu davvero uno spettacolo.» Nonostante la solennità dell’occasione, molti vampiri scoppiarono a ridere. Il loro leader si asciugò gli occhi e attese che l’improvvisa ilarità si placasse prima di riprendere la parola. «Molti di noi sono rimasti turbati quando hanno scoperto che Tomas aveva abbandonato Elysia per amore di un’umana, ma dobbiamo ricordare che il nostro amico non era il genere di persona che segue le orme degli altri: lui cercava strade nuove e faceva a modo suo. Era un criminale, sì, ma anche un pioniere, un grande uomo, una persona che molti di noi dovrebbero cercare di emulare.» Vikas guardò i presenti a uno a uno, finché tutti non ebbero compreso l’importanza di ciò che stava per dire. Anche Vlad ricacciò indietro le lacrime e si preparò all’ascolto. «Una parte di me – una parte di noi – è morta con lui. Dobbiamo fare in modo di non dimenticarlo mai.» L’uomo fissò le fiamme per un attimo in quella che sembrò una preghiera silenziosa, poi alzò gli occhi al cielo che cominciava a rischiararsi e diede sfogo alle lacrime. Uno alla volta, tutti i vampiri si alzarono in silenzio e, prima di girarsi per fare ritorno alle loro case, si avvicinarono al fuoco. Otis guardò Vlad e indicò la pira con un segno del capo. Lui si alzò e lo seguì ma, quando furono in prossimità delle fiamme, si rese conto di non sapere cosa fare. «L’usanza è quella di dire addio, ma nessuno può chiedere a te di fare una cosa simile, così come non è possibile chiederlo a me o a Vikas», spiegò lo zio stringendogli una spalla. «Di’ solo ciò che diresti se fosse qui ad ascoltarti. Lui c’è, sai? Ovunque andiamo dopo la morte, lui è lì e ti ascolta», aggiunse sforzandosi di trattenere le lacrime. Poi lui e Vikas si voltarono e con passo lento si diressero verso la grande casa di legno, lasciando Vlad da solo. Il giovane rimase lì per vari minuti. Il sole stava sorgendo all’orizzonte. Se voleva almeno cercare di non infrangere la tradizione dei vampiri, avrebbe fatto meglio a pensare in fretta cosa dire. Ma c’era davvero altro da dire? In fondo parlava alla foto di suo padre ogni notte da quattro anni. Facendosi coraggio si schiarì la voce e fissò le fiamme. «Mi manchi, papà. Otis mi sta insegnando molte cose e tra poco anche Vikas mi darà una mano. Spero... spero di renderti orgoglioso. Ci sto provando.» Una volta pronunciate quelle parole, si girò e fece un passo prima di fermarsi e sussurrare nell’aria gelata: «E non preoccuparti, papà. Non ti dirò mai addio. Otis ha ragione, nessuno potrà chiedermi di farlo. Mai». Poi accelerò il passo e si affrettò a entrare nel grande edificio di legno. La porta si era appena chiusa dietro di lui quando la luce del sole colpì la pira. 13 CONTROLLO MENTALE Vlad aprì la porta e trovò Vikas ad attenderlo. «Vieni avanti, Vladimir. È arrivato il momento d’imparare qualcosa.» «Quindi il funerale è finito?» domandò il ragazzo ricacciando indietro le lacrime. L’uomo annuì. «Quasi. Continueremo il nostro digiuno fino al tramonto e poi faremo un banchetto. Solo allora il funerale sarà ufficialmente concluso. Devo avvertirti che le tue capacità di leggere e controllare la mente potrebbero essere compromesse dal digiuno, ma dobbiamo comunque fare qualche tentativo. Non abbiamo molto tempo prima del tuo ritorno nelle Americhe.» «A dire il vero trovo più facile leggere i pensieri altrui quando sono affamato», ribatté timidamente il giovane vampiro. Vikas lo fissò per un attimo con aria incredula, poi sospirò. «Forse questa settimana non sarò il tuo unico insegnante. Sei pronto per iniziare?» «Cosa devo fare?» chiese Vlad spostando il peso da un piede all’altro. «Vieni con me. Non abbiamo bisogno di distrazioni.» Attraversarono la sala fino ad arrivare a un’altra stanza e uscirono dall’edificio. Mentre scendevano i gradini e iniziavano a solcare la neve diretti a un’altra struttura in legno, Vikas spiegò: «Stiamo andando in una stanza dove non ci sono finestre, la luce non può penetrarvi e nemmeno i rumori esterni. All’inizio potresti trovare la cosa sgradevole, ma cerca di resistere. L’idea è quella di isolarti dal resto del mondo, in modo che tu possa entrare in contatto ancor più profondo con i tuoi poteri». «Tu verrai con me?» chiese il ragazzo ansioso. «Sì. Sì, certo», lo rassicurò Vikas. Davanti a loro comparve una piccola casa di legno. Proprio come aveva anticipato il suo istitutore, fatta eccezione per la porta, era priva di aperture. Prendendo un bel respiro per darsi coraggio, Vlad seguì l’uomo su per le scale ed entrò nella strana struttura. La luce che filtrava dalla porta tracciava una linea sul pavimento e il giovane intravide due sgabelli in mezzo alla stanza. Per il resto, quel luogo era completamente deserto. Quando Vikas chiuse la porta, Vlad ebbe la sensazione che da quel momento in poi le tenebre sarebbero state la sua sola compagnia. Emise una serie di respiri nel tentativo di ritrovare il controllo di sé e cercò di guardarsi intorno. Era inutile, la stanza era immersa in un buio pesto. Gli unici suoni udibili erano quello del suo respiro e il battito lento e regolare del cuore del suo accompagnatore. «Ora, Mahlyenki Dyavol, voglio che ti concentri sul tuo cuore, sul sangue che ti pompa nelle vene, sull’aria che entra ed esce dai tuoi polmoni. Prova a sentire in te la vita e l’energia sprigionata dal tuo corpo.» Lui fece ciò che gli era stato chiesto. All’inizio chiuse gli occhi, ma, quando si rese conto di che azione ridicola e inutile fosse quella, li spalancò. Il suo battito cardiaco rallentò un po’: non era ancora controllato come quello di Vikas, ma la tensione si stava sciogliendo. Il sangue fluiva nelle sue vene e il suo respiro era più profondo e stabile. La voce del maestro era dolce e suadente. «Bene. Molto bene. Adesso insinuati piano nella mia mente. A cosa sto pensando in questo momento?» «Stai pensando...» Vlad ricacciò indietro le lacrime. «Stai pensando a quanto somiglio a mio padre.» «Benissimo. Adesso voglio che ti concentri su Otis. Dov’è? Cosa sta facendo, a cosa sta pensando? Come si sente? Insinuati con forza, se è necessario, e non innervosirti se non riesci a raggiungerlo. La distanza rappresenta un problema per molti vampiri.» Il ragazzo prese un respiro profondo e si concentrò sul volto dello zio. Pensò al sangue e a quanto fosse vuoto il suo stomaco, poi iniziò a spingersi nella mente dell’uomo. Otis si tolse i guanti con dita tremanti. Non si era reso conto di quanto sarebbe stato difficile vedere Vlad affrontare i riti funebri. Per tutta la durata della cerimonia aveva sentito il dolore che promanava da suo nipote, ma non aveva potuto fare niente per fermarlo. Adesso Vikas lo stava addestrando e lui non riusciva a smettere di chiedersi cosa stesse accadendo nella stanza delle esercitazioni. Comunque fossero andate le cose, non avrebbero avuto che un piccolo assaggio di quanto potente il ragazzo sarebbe potuto diventare in futuro. All’interno di quella camera un vampiro non era soggetto a nessuna distrazione e aveva modo di sperimentare le meraviglie che la pratica poteva fare per accrescere i suoi poteri. Molti ne uscivano delusi, con la convinzione di essere deboli. Lui ricordava di aver lasciato l’aula pieno di speranza. Aveva dimostrato un’abilità che andava oltre il suo livello di comprensione e si augurava che anche per Vlad sarebbe stato così. Non c’era modo di sapere con certezza come sarebbero andate le cose dal momento che nelle sue vene scorreva il sangue umano della madre. Forse ne sarebbe uscito con la consapevolezza di non essere in grado di sviluppare i propri poteri oltre un livello base. Una delusione per entrambi. L’uomo si prese la testa tra le mani. E se la profezia avesse detto il vero? Se il ragazzo fosse stato davvero il Pravus? Improvvisamente Otis sentì la necessità di sedersi e avvertì un curioso pizzicore nella testa, come se qualcuno ci stesse frugando dentro... Vlad uscì dai suoi pensieri boccheggiando. «Hai visto qualcosa che ti ha sorpreso? Spiegami come fai a leggere una mente. Vedi delle parole scritte? Le senti?» chiese Vikas sollecito. Il suo allievo si schiarì la voce. «No, è come se diventassi quella persona. La vedo, la sento, provo le sue stesse sensazioni, penso all’unisono con lei.» L’istitutore rimase in silenzio per un istante che parve eterno. Il giovane vampiro stava per chiedergli se qualcosa non andava, quando finalmente lui disse: «Ieri sera mi hai parlato del tuo servo, dove si trova?» «Henry? È a Bathory.» Il ragazzo si sforzò, ma non riuscì a ricordare di aver menzionato Henry per tutta la serata. «Perché?» «Raggiungilo mentalmente.» Il tono di Vikas era calmo, ma Vlad ebbe l’impressione che si stesse sforzando per apparire tranquillo. «Ma è praticamente dall’altra parte del mondo. Non penso di poter...» «Provaci. Questa stanza è studiata per ridurre le difficoltà che normalmente incontreresti cercando di raggiungere una persona molto lontana. Qui dentro sarai in grado di fare cose che non potresti mai fare altrove.» L’allievo rilasciò un lungo sospiro e tentò di rilassarsi, poi si concentrò sul suo migliore amico, insinuandosi nella sua mente. Henry guardò Joss. Non aveva idea di che cosa stesse facendo suo cugino, ma certamente non stava vincendo. Schiacciò il bottone del turbo, fece a pezzi l’androide del suo avversario e alzò le braccia in segno di trionfo. Non c’era nessun dubbio: ai videogiochi Joss era persino peggio di Vlad. Almeno con Vlad qualche volta doveva sforzarsi. Il vampiro uscì dalla mente di Henry con un sorriso e ricordò a se stesso di giocare più spesso contro Joss. Se non altro, avrebbe fatto bene alla sua autostima. «Eccellente. Sei davvero dotato, Mahlyenki Dyavol», si congratulò Vikas. «Adesso passiamo al controllo mentale. Voglio che t’insinui di nuovo nella mente di Otis, ma questa volta dovrai suggerirgli un’azione e spingerlo a eseguirla. Prendi il controllo delicatamente, in modo che lui non se ne renda conto, e fagli grattare la fronte.» Vlad mosse nervosamente le gambe, esitando. L’idea di controllare suo zio gli sembrava strana. Henry era una cosa, ma quello era Otis. «C’è qualcosa che non va?» «No, è solo che io...» rispose schiarendosi la voce e cercando senza successo lo sguardo del suo istitutore nella stanza buia. «Se non ti dispiace, preferirei concentrarmi su...» «Vladimir, questa è una parte fondamentale delle tue lezioni. Devi imparare a controllare la mente delle altre persone. In questo modo ti sarà più facile controllare il tuo servo e coloro di cui t’importa poco o nulla. Le persone a te più vicine, quelle cui tieni di più, saranno le più difficili. Si tratta di un tipo di blocco mentale che la maggior parte di noi non riesce a spezzare, ma tu hai il potenziale per diventare il più grande vampiro che io abbia mai visto. Più potente persino di tuo padre. A dire il vero, forse addirittura più potente di me. Ma devi...» «A me tutto questo non interessa», lo interruppe Vlad con voce tremante. Non voleva deludere Vikas, ma quella era una questione su cui non era disposto a cedere. Se controllare Henry lo faceva sentire solo leggermente in colpa, controllare suo zio lo avrebbe fatto stare malissimo. L’insegnante abbassò la voce tanto che il ragazzo dovette protendersi per sentirlo. «Invece dovrebbe. Ben pochi vampiri hanno le tue doti. Pensavo che il sangue di tua madre avrebbe diminuito le tue capacità, ma mi sbagliavo. Potresti diventare una creatura estremamente dotata, ma devi fidarti di me.» Il giovane chiuse gli occhi e poi li riaprì. Si erano abituati all’oscurità, ma lui si era stufato di quel buio. «Mi dispiace, non posso fare ciò che mi chiedi.» «Va bene. Se devo essere severo con te, lo sarò. Vedo Otis nella tua mente. È seduto al tavolo da solo e ha la fronte appoggiata alla mano sinistra.» «Fermati. Non lo farò.» «Solo un colpetto. Un piccolo movimento. Una grattatina.» «No!» Senza pensare il ragazzo s’introdusse nella mente del suo maestro. Vikas incespicò all’indietro, facendo cadere lo sgabello a terra. Il ragazzo era forte, su quello non c’era dubbio... ma era stanco, lontano da casa e chiaramente non voleva imparare come controllare le azioni altrui, soprattutto quando si trattava di suo zio. Era ora di smetterla per quel giorno. Vlad uscì dai pensieri di Vikas. «Per oggi è ora di smetterla.» Il giovane vampiro non avrebbe voluto spingersi così oltre, ma non aveva avuto scelta. L’uomo aprì la porta e nella stanza filtrò la luce, dando loro il bentornato nel mondo esterno. Avevano appena percorso i gradini, quando Vikas si fermò. «Non era necessario, Mahlyenki Dyavol. Non avresti dovuto esercitare su di me il tuo controllo.» Il ragazzo scosse la testa. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa, ma non era così. «Ma tu non avresti sentito ragioni.» Dopo un attimo, il suo istruttore gli rivolse un sorriso affettuoso. «Quindi, forse, adesso puoi comprendere perché è così importante che tu sviluppi questa capacità.» Vlad rimase fermo a riflettere per un attimo. Vikas non aveva tutti i torti. Giunti in prossimità dell’edificio principale, la porta si aprì, lasciando uscire Otis. Nel suo sguardo c’era una scintilla d’impazienza. «Com’è andata?» «Avevi ragione su di lui. Tuo nipote è enormemente dotato. È persino riuscito a far sì che io terminassi prima la nostra lezione», rispose il russo a bassa voce, senza però riuscire a nascondere del tutto il suo entusiasmo. Otis rimase a bocca aperta. Vlad stava per scusarsi ancora, quando i due uomini scoppiarono a ridere. «Vieni. Ci riscalderemo accanto al camino fin quando non inizierà il banchetto», gli disse Vikas salendo i gradini dell’ingresso e sfiorando il simbolo che avrebbe fatto aprire la porta. Il giovane fece per seguirlo, ma suo zio lo fermò, premendogli una mano sul petto. «Se ti ritrovo ancora nascosto nei miei pensieri, Vlad, sarò davvero contrariato. Tu stai fuori dalla mia mente e io sto fuori dalla tua. D’accordo?» sussurrò chinandosi verso di lui. Il nipote arrossì pensando a tutte le cose che avrebbe preferito tenere per sé – come le sue gite notturne al campanile – e annuì. «D’accordo.» Una volta dentro casa, Vlad trascorse il resto della giornata seduto su una grande poltrona imbottita davanti al camino, ascoltando Otis e Vikas che rievocavano le loro avventure. Parlavano spesso di Tomas e, di tanto in tanto, uno degli altri vampiri si univa a loro per condividere un racconto sulle imprese del padre o su qualcosa di buffo che era successo mentre erano in sua compagnia. Alla fine dell’ennesima storia, lo zio ridacchiò. «Avevo detto a Tomas di non terrorizzare Vikas in quel modo, ma alla fine speravo davvero che lo facesse.» Il loro ospite proruppe in una fragorosa risata. «Quell’estate vi comportaste davvero come vandali, sei fortunato che io non sia tipo da serbare rancore.» A un certo punto, il ragazzo si accorse che la sala brulicava di gente: era come se tutti i vampiri della Siberia si fossero svegliati e fossero in attività. Stava per chiedere a Otis perché quel giorno tutti fossero rimasti svegli, quando si rese conto che la risposta era ovvia: stavano onorando suo padre Tomas. Dal momento che lui non avrebbe più potuto dormire, anche loro sarebbero rimasti svegli finché il banchetto non si fosse concluso. Quando il sole scomparve all’orizzonte, Vlad aveva quasi dimenticato la sua fame immensa e pressante. Quasi. La porta si aprì e tutti in sala, eccetto Otis, Vikas, Tristian e lui stesso, si avviarono in tutta fretta verso l’uscita. Di fronte all’espressione perplessa del giovane vampiro, il padrone di casa sorrise. «Il banchetto ha inizio.» «Ma qui dentro c’è un sacco di sangue e di vino. Dove stanno andando?» domandò l’adolescente perplesso. Vikas e Otis si scambiarono un’occhiata prima che quest’ultimo si rivolgesse a lui in tono solenne. «Vanno a nutrirsi direttamente alla fonte, Vladimir. Noi banchetteremo qui per riguardo nei tuoi confronti.» Lo stomaco del ragazzo si attorcigliò. Persone. Si sarebbero nutriti di persone. L’idea non avrebbe dovuto nausearlo, eppure era così. Lanciò un’occhiata a Tristian, che stava radunando dei calici e una brocca di sangue e vino dall’altra parte della stanza. «E Tristian? Anche lui stanotte si nutrirà di esseri umani?» «Scusami se non te l’ho detto prima, Mahlyenki Dyavol, ma Tristian non è un vampiro», spiegò il suo maestro. «È un mio servo fedele da ormai dieci anni, aveva appena la tua età quando è arrivato.» Vlad osservò l’altro giovane mentre serviva loro le prime portate del banchetto e scosse lentamente la testa. Non aveva proprio pensato che lui potesse non essere un vampiro, i suoi modi di fare sembravano così simili ai loro. «E per quanto tempo sarà il tuo servo?» «Per tutta la sua vita mortale», rispose Vikas evitando di guardare Tristian. Vlad bevve una sorsata di sangue e vino, gustando il miscuglio dolciastro sulla lingua e godendo del sapore deciso e della consistenza setosa. Guardò ancora Tristian e il suo padrone, poi disse: «Henry è un buon servo. Vorrei solo che fosse un po’ più presente. Non c’è mai quando quei vermi a scuola mi tormentano». Vikas sorrise. «Non è compito di un servo proteggere un vampiro, semmai è il contrario. Devono solo controllarti quando dormi – se lo fai durante il giorno –, consigliarti possibili fonti di nutrimento, e fare qualche commissione per te. Niente di più. Noi vampiri dobbiamo difenderci da soli.» Il ragazzo sospirò. Fantastico. Non solo era meno al sicuro di quanto pensasse, ma doveva anche cavarsela da solo quando dei bulli lo infastidivano. Cercò di immaginare se stesso e Henry al posto di Vikas e Tristian, ma non ci riuscì. Lui non aveva dubbi sul fatto che, se mai l’amico avesse deciso di non essere più il suo servo, gli avrebbe reso la sua libertà all’istante e senza fare domande... se avesse potuto. «Otis, se tutto ciò che un vampiro deve fare per creare un servo è morderlo, perché il mondo non è invaso dai servi?» chiese a un tratto il giovane incuriosito. I due adulti si scambiarono un’occhiata prima che suo zio rispondesse: «La maggior parte degli umani non sopravvive ai nostri morsi, Vladimir. Spesso li uccidiamo per pietà, in modo da porre fine immediatamente a quella che per loro sarebbe una vita di schiavitù». Vikas serrò la mascella. «Non glissare sulla verità, amico mio. La maggior parte dei vampiri uccide per piacere, non per pietà», disse in tono cupo. «E quindi perché i servi non vengono trasformati in vampiri?» domandò ancora Vlad, dopo un attimo di riflessione. Otis riportò lo sguardo sul nipote, come interrompendo una conversazione silenziosa con Vikas. Quando parlò, la sua voce era dolce, gentile. «Quando un vampiro ne crea volontariamente un altro infonde in esso la sua essenza. A volte ciò avviene tramite uno scambio di sangue, ma esistono anche altri modi. In ogni caso, come per la questione dei simboli – un argomento che approfondirai più avanti –, la volontà del vampiro è la chiave di tutto.» Il ragazzo annuì. Quello della volontà era un concetto molto sensato. Vlad fu risvegliato dal rumore di un pugno che sbatteva su un tavolo. Si mise seduto nel letto e rimase in ascolto. Dalla porta filtrò la voce tremante di rabbia di Otis: «Lui non è quello che dicono i pettegolezzi!» «E se lo fosse? Se Vladimir Tod fosse davvero il Pravus?» intervenne Vikas con tono calmo ma fermo. Seguì un lungo silenzio. Alla fine lo zio parlò di nuovo, ma questa volta la sua voce era rotta dal pianto. «Non so cosa dire.» «E allora lascia che sia io a parlare. Come ha fatto Vladimir a ottenere il Lucis? Per un ragazzino della sua età, si tratta di un potere enorme da gestire.» Otis esalò un lungo sospiro. «Tomas lo rubò al Consiglio di Stokerton. Immagino che volesse proteggere suo figlio dalla loro vendetta e, in effetti, si è rivelato molto utile.» «Vladimir è salvo, per cui – tutto considerato – il furto di Tomas si è rivelato una scelta saggia.» Vikas riempì il proprio bicchiere e, dopo qualche sorsata, continuò: «Ti spaventa il fatto che porti il Lucis con sé?» «Certo che sì, ma mi spaventa di più ciò che accadrebbe se dovesse perderlo.» Poi il tono dell’uomo cambiò, come se quelle parole avessero sorpreso persino lui. «Come hai detto tu, è una quantità di potere enorme per qualcuno così giovane.» Le parole del loro ospite si fecero più caute: «Chi avrebbe potuto immaginare che Dom Augustine Calmet, l’anima più pura che sia mai entrata a Elysia, amante dell’umanità, costruttore di un ponte tra i nostri mondi, sarebbe stato il creatore di uno strumento così mostruoso?» Vlad sentì lo zio muoversi nervosamente avanti e indietro per la stanza, come se quella conversazione stesse mettendo a dura prova la sua pazienza. «Quell’uomo pensava che per i vampiri fosse giunto il momento di farsi da parte. Secondo lui gli umani erano destinati a diventare la specie dominante sulla Terra.» «Che sciocco», commentò Vikas. «Almeno lui sapeva di chi poteva fidarsi.» «Metti in dubbio la mia lealtà?» «Metto solo in dubbio le ragioni che stai adducendo per non aiutarmi.» Otis fece una pausa. «Vieni a Bathory, proteggi Vladimir mentre sono via. Puoi fare in modo che sia al sicuro. Il Consiglio di Stokerton non oserebbe...» «Perché non fai rimanere il ragazzo qui?» «Non posso. La sua tutrice non si darebbe pace.» «Lo stesso sarebbe per me, nel caso dovessi abbandonare il mio posto per fare da balia a un ragazzino che non ne ha affatto bisogno.» Sembrava che il padrone di casa si stesse versando dell’altro vino e sangue, infine sospirò e disse: «Sei preoccupato, Otis. E a ragion veduta, scappare da Elysia è stato molto arduo per te. Ha messo a dura prova la tua razionalità». «E allora non farlo per me. Fallo per Tomas, per nostro fratello, il nostro amico. Fallo perché la sua memoria non perisca con suo figlio. Proteggilo, Vikas. Proteggi Vlad.» L’altro vampiro rispose lentamente, come se volesse assicurarsi che Otis comprendesse ogni sua parola. «Mi chiedi troppo, amico mio.» Ci fu un altro lungo silenzio seguito da passi concitati e dallo sbattere di una porta. Il rumore fu così forte che Vlad si ritrovò il cuore in gola. Rabbrividendo, sgusciò fuori dalla propria stanza e chiuse la porta dietro di sé. Quando raggiunse il salone, il fuoco stava ancora scoppiettando nell’enorme camino, inondando la stanza di una luce dorata. Il giovane si avvicinò alla fonte di calore, strofinandosi le braccia: aveva la pelle d’oca. Senza esitare andò a sedersi di fronte al camino, nella poltrona vicina a quella del suo maestro. Erano soli nella sala, cosa che allo stesso tempo aveva il potere di agitarlo e confortarlo. Le finestre erano coperte da tende pesanti, ma Vlad riusciva a vedere il lieve bagliore della luna filtrare attraverso di esse. Vikas gli porse una caraffa di sangue e vino. Lui la accettò e prese un calice da un tavolo vicino, affinché l’uomo lo riempisse. Il presidente del Consiglio siberiano continuava a fissare il fuoco in silenzio. Il giovane pensò a come dare inizio alla discussione, ma gli sembrava solo di girare intorno al problema. Dopo qualche minuto, si fece coraggio e disse: «Vi ho sentito litigare». Vikas annuì, ma non disse niente. Non sembrò nemmeno sorpreso dal suo approccio così diretto. Il giovane vampiro si schiarì la voce e continuò: «Mi hai chiamato in uno strano modo». «Ti dà fastidio essere chiamato Piccolo Diavolo? Mi dispiace.» «No, non mi riferivo a quello», rispose Vlad, la testa china. «Mi hai chiamato Pravus. Cosa significa?» L’uomo assunse un’espressione cauta; lanciò un’occhiata in direzione della porta che Otis aveva sbattuto uscendo e poi incontrò lo sguardo del ragazzo. «Quella del Pravus è una storia antica. Tuo zio non te l’ha raccontata?» Vlad scosse il capo e bevve un altro sorso. Il sangue speziato gli diede una piacevole sensazione di calore. Il suo istitutore scolò il proprio bicchiere e lo riempì di nuovo. Infine riprese a parlare in tono risoluto. «Tanto tempo fa, quando mio nonno era giovane – e bada, Mahlyenki Dyavol, che mio nonno, l’uomo che ha trasformato in vampiro il mio creatore, ovvero mio padre, adesso ha più di duemila anni –, fu scoperta un’antica profezia. Si trattava probabilmente della più importante mai portata alla luce nel mondo dei vampiri. Parlava di un esemplare dall’origine unica: nato e non creato.» Qualcosa di bagnato colò sui jeans di Vlad e il ragazzo imprecò quando, abbassando lo sguardo, si rese conto di aver versato parte del contenuto del suo calice. Vikas gli porse un fazzoletto e, mentre lui tamponava la macchia e si appoggiava nuovamente allo schienale della poltrona, riprese a parlare. «La profezia diceva che un giorno sarebbe arrivato tra noi un vampiro grande e potente. Per crearlo sarebbero state infrante alcune leggi. Sua madre sarebbe stata una creatura umana e la luce del sole non gli avrebbe arrecato nessun danno. Sarebbe stato in grado di manipolare la mente della maggior parte delle creature viventi e nessun mezzo noto ai vampiri e agli umani avrebbe potuto ucciderlo. Ferirlo sì, ma non ucciderlo. Questa creatura è nota come Pravus», terminò Vikas vuotando il bicchiere. «A Elysia molti ritengono che il Pravus sia arrivato. E io conosco un solo vampiro che è nato, Vladimir.» «Io», mormorò il ragazzo. «Non tutti credono tu lo sia. A dire il vero, un gruppo ben nutrito di persone ritiene che la profezia non sia altro che una favola, ma c’è di più.» L’uomo si alzò e si avvicinò al fuoco, appoggiando il gomito sulla mensola del camino. «Ciò che sto per rivelarti turba il sonno di molti dei nostri confratelli, Mahlyenki Dyavol, qualunque sia la loro opinione su di te.» Vikas si girò, mettendosi di fronte a Vlad. La sua ombra tremolava sul muro e la sua voce era roca, come se quell’argomento avesse il potere di sconvolgere anche un essere potente come lui. «È stato profetizzato che il Pravus verrà per dominare su tutti i vampiri e che schiavizzerà l’intera razza umana.» Il giovane rimase a bocca aperta per lo sgomento e il maestro annuì in risposta alla sua silenziosa domanda. Era tutto vero. Il tatuaggio nella parte interna del polso di Vlad brillò intensamente e lui scosse la testa, incapace di comprendere quello che aveva sentito. «Non sono il Pravus. Anche se la profezia è vera e un giorno arriverà davvero un tizio nato così... non sono io. Non sono il Pravus.» «Ne sei davvero sicuro?» Il vampiro abbassò lo sguardo. A dire il vero non era sicuro di niente, ma sapeva che non avrebbe mai schiavizzato la razza umana. Dopotutto, Henry ne faceva parte e lui doveva ancora batterlo a Race to Armageddon. «Pensi che io sia un mostro pronto a sottomettere l’umanità e a tiranneggiare sui vampiri?» «Non un mostro, un mito vivente... e ciò che penso io non è rilevante.» Vlad prese quella risposta come un sì e sospirò. «E Otis? Lui cosa pensa, esattamente?» «Forse faresti meglio a porre questa domanda direttamente a tuo zio», si limitò a rispondere l’uomo. Il ragazzo gli restituì il fazzoletto e si alzò. Si aspettava quasi che Vikas ritraesse la mano quando le loro dita si toccarono, ma non lo fece. «Dimmi cosa pensi», insistette. «Penso che tu sia unico e, nel mondo dei vampiri, questa è una cosa pericolosa. Ma, soprattutto, credo che tu abbia ben più potenziale di quanto immagina Otis. Mi piacerebbe che imparassi a difenderti da solo dai tuoi nemici. Sempre che tu sia in grado di farlo.» «Io non ho nemici. Voglio dire, ci sono quei ragazzi a scuola, ma sto affrontando la cosa», replicò il giovane pensando all’ammazzavampiri, a Eddie e a Bill e Tom. Ultimamente non era proprio Mr Popolarità, ma non avrebbe definito nessuno di loro un nemico. Be’... tranne Bill e Tom. Vikas scosse la testa, il suo sguardo sembrava di nuovo profondamente triste. «Alcuni credono che il Pravus sia un dio che vive tra i vampiri e ritengono che l’unico modo per provarne l’esistenza sia attentare alla sua vita per vedere se riesce a venirne fuori incolume. La sua morte rivelerebbe che erano in errore e che il vero Pravus deve ancora venire. Ma se sopravvivesse...» Ci mancava solo quella. «Vuoi dire che qualche pazzoide potrebbe cercare di uccidermi solo per vedere se sono questo diavolo di Pravus?» «Stai attento, Vladimir. E ascolta tuo zio. Agisce per il tuo bene», si limitò a dire l’uomo avvicinandosi alla porta, intenzionato a chiudere la discussione e a ritirarsi nei suoi appartamenti. Quando ebbe lasciato la stanza, il ragazzo si risedette sulla sua poltrona e si girò di nuovo verso il fuoco. Il Pravus. Dunque era di quello che i paragrafi dell’Enciclopedia Vampirica che non era stato in grado di tradurre parlavano. La storia di un vampiro nato e non creato destinato a regnare sui suoi simili, che loro lo volessero o no. Il suo stomaco sembrò contorcersi in preda alla tensione. E se qualcuno avesse davvero tentato di ucciderlo per vedere se riusciva a sopravvivere? Non era sufficiente che un assassino gli stesse dando la caccia e che Eddie Poe fosse deciso a smascherarlo, ci voleva anche quella. Prese un respiro profondo e poi espirò lentamente, cercando di rimanere calmo. Molto tempo e molti respiri dopo, i suoi occhi cominciarono a chiuderglisi. Fu Otis a svegliarlo scuotendolo lievemente. Vlad si stropicciò gli occhi, certo che avrebbe potuto continuare a dormire per molte altre ore. «Perché non vai a letto? Quella poltrona ha l’aria di essere scomoda», disse lo zio con un sorriso. Il suo volto sembrava roseo e sano. Il ragazzo annuì. Fu sul punto di chiedergli se pensava che lui fosse il vampiro di cui parlavano le profezie, ma poi chiuse la bocca e si trascinò in camera. Se Otis pensava che lui fosse il Pravus, non voleva saperlo. 14 ADDESTRAMENTO INTERROTTO «Concentrati, Mahlyenki Dyavol.» La voce di Vikas traboccava di entusiasmo, producendo solo una leggera eco nel buio dell’aula per l’addestramento. Erano lì da più di un’ora e nessuno dei due sembrava ansioso di andarsene dopo un così grande successo. Vlad inspirò profondamente e immaginò fiumi di squisito sangue scorrere fino alla cima di una cascata per poi riversarsi in uno stagno cremisi. Il suo stomaco si tese e improvvisamente, proprio come il suo istitutore gli aveva ripetuto per tutta la settimana, avvertì il potere dentro di sé. Era lì, al centro di lui, un nucleo caldo e formicolante di elettricità. Delizioso. Il ragazzo si arrese a esso, lo lasciò fluire nelle sue vene. Poi si concentrò sul suo migliore amico e spinse. Henry sorrise. Non capitava tutti i giorni di gironzolare in montagna con suo cugino e un gruppo di belle ragazze. Per non parlare delle due gemelle tutte occhioni innocenti e atteggiamento malizioso. Il ragazzo mantenne la calma e lanciò un’occhiata a Joss, alzando la voce in modo che tutti potessero sentirlo. «Perché non facciamo la pista nera?» Come previsto, il cugino rimase a bocca aperta. Non si rendeva conto di quanto fosse importante far colpo sulle ragazze facendo sfoggio delle proprie qualità... anche se eri stato su quel tipo di pista solo due volte in tutta la tua vita. Le gemelle sorrisero a Henry che, dopo aver rivolto loro uno sguardo intenso, si avviò con andatura disinvoltura verso la montagna. Se giocava bene le sue carte, ci sarebbero stati un camino e una coppia di conigliette sexy nel suo immediato futuro. Così, Henry. Continua così. Vlad prese controllo della sua mente e sferrò il colpo. L’amico perse l’equilibrio e cadde a terra nella neve. Il giovane vampiro si sarebbe trattenuto volentieri nella sua testa per godersi la risata di Joss e del resto del gruppo, ma era difficile concentrarsi dal momento che anche lui stava sghignazzando come un matto. Uscì rapidamente dai pensieri di Henry e si accorse che la sua ilarità aveva trascinato anche Vikas. «Te l’avevo detto, leggere e controllare i pensieri altrui è utile e divertente, vero?» «Oh, sì. E adesso cosa facciamo?» chiese Vlad entusiasta. L’istitutore esitò per un attimo. «Forse potremmo passare a qualcosa di un po’ più produttivo. Come... la vendetta?» Il ragazzo dapprima restò paralizzato per la sorpresa, poi mormorò un timido: «Cosa vuoi dire esattamente?» «Solo che sono certo che nella tua vita tu ti sia imbattuto in alcune canaglie che meriterebbero una lezione. Sbaglio?» «No. Ma... che intendi per vendetta?» Il tono di Vikas si ammorbidì, ma non abbastanza da nascondere la sua impazienza. «Pensavo solo a uno scherzo innocente. Naturalmente se non vuoi rendergli pan per focaccia per tutto quello che ti hanno fatto...» Vlad pensò a Bill e Tom e a ogni armadietto contro il quale era stato sbattuto. Si leccò piano le labbra e disse: «Cos’hai in mente?» In quel momento un debole colpo alla porta risuonò nella stanza e il giovane non riuscì a trattenere una nota di disappunto: la sessione di addestramento era terminata prima che lui avesse modo di far assaggiare ai suoi persecutori un po’ della loro stessa medicina. La porta si aprì e Otis fece il suo ingresso insieme con la luce del sole. «Sono venuto a rubarti mio nipote per un secondo, se non hai nulla in contrario», annunciò. «Fai pure», rispose Vikas. Dopo aver salutato il maestro, Vlad seguì lo zio all’esterno, nell’aria gelida. Il candore della neve era accecante e il ragazzo dovette socchiudere gli occhi mentre, insieme con Otis, s’inerpicava su una collina. «C’è qualcosa che non va?» chiese. L’uomo lo guardò con la coda dell’occhio e continuò ad avanzare finché non raggiunsero la cima. Davanti a loro c’era una piccola radura in cui la neve era intatta, priva d’impronte. «Che cosa ti fa pensare che qualcosa non vada?» replicò in tono stanco. Il nipote si schiarì la voce. Aveva il vago sospetto di essere nei guai, ma non sapeva esattamente perché. «Be’, non hai mai interrotto il mio addestramento prima.» Otis si girò per guardarlo negli occhi, le labbra strette. «È solo che non approvo il contenuto delle lezioni di oggi. O meglio, la piega che stavano per prendere. Concetti come la vendetta o l’utilizzo degli esseri umani a scopo ludico potranno anche essere accettabili per alcuni vampiri, Vlad, ma non dovrebbero esserlo per te.» Il giovane rimase in silenzio, poi in tono cauto e sospettoso disse: «Quelle pareti sono abbastanza spesse da non lasciar passare nessun suono, zio. Come facevi a sapere di cosa stavamo parlando?» Otis rallentò il passo e Vlad pensò di cogliere un pizzico di vergogna nel suo atteggiamento. «Leggi i miei pensieri? Pensavo che avessimo fatto un patto!» esclamò il ragazzo, con il respiro e i battiti del cuore accelerati per la rabbia. «Tu stai fuori dalla mia mente, io sto fuori dalla tua, ricordi?» L’uomo guardò di nuovo il nipote e i suoi lineamenti s’indurirono, così come la sua voce. «Me lo ricordo benissimo. Credo invece che tu dovresti pensare a quanto possa essere sgradevole avere qualcuno che gioca con la tua mente la prossima volta che farai cadere Henry. O peggio. Cosa avevi in serbo di preciso per Bill e Tom?» Vlad abbassò lo sguardo, ma solo per un attimo. «Non avrei fatto loro del male.» «Se cedi a questo bisogno, a questo desiderio di vendetta, troverai fin troppo facile passare dagli scherzi innocenti a...» Lo zio s’interruppe, come se all’improvviso pensasse di aver detto troppo. «A voler schiavizzare la razza umana?» domandò il ragazzo, gelido. Otis dapprima spalancò gli occhi per la sorpresa, poi s’incupì, sconfitto. «Ci sono molti passaggi intermedi, ma devi capire che sono tutti legati tra loro. Credimi, è molto più complesso di quel che pensi», disse in un sussurro. Vlad rimase in silenzio per un po’. Praticamente l’uomo aveva ammesso di credere che lui fosse il Pravus. Come poteva pensare una cosa del genere? Come poteva credere che suo nipote fosse un mostro? Sentì un dolore al centro del petto, ma riuscì a non farlo trapelare dalle sue parole. «Otis, stai facendo sembrare questa cosa più grave di quello che è. Senza contare che non puoi entrare nei miei pensieri e pretendere che io stia fuori dai tuoi. Soprattutto dopo il nostro accordo.» «Stavo cercando di proteggerti.» «Da cosa? Pensavo ti fidassi di Vikas come insegnante.» «È così, solo che...» Lo zio scosse la testa e la sua rabbia sembrò lentamente sbollire. «Vikas è un insegnante tradizionale. Il suo curriculum è eccezionale, ma alcuni dei suoi ideali... non sono esattamente quelli che vorrei instillarti.» «Non spetterebbe a me scegliere?» replicò il nipote dopo aver riflettuto un attimo sulle sue parole. «Sei molto coraggioso per la tua età», rispose Otis con sincera ammirazione, poi sospirò emettendo una nuvola di vapore caldo. «Hai ragione, non interferirò più.» Vlad tirò su il colletto del giaccone e rabbrividì, muovendo i piedi nella neve fresca. Una cosa era certa: suo zio avrebbe potuto scegliere un posto più caldo per fargli la predica. «Era per questo che mi hai chiesto di venire qui?» «In parte. In realtà, volevo anche farti un regalo», disse l’altro, cauto. «Ti piacerebbe rivedere tuo padre?» Improvvisamente il giovane vampiro non aveva più freddo. Guardò Otis e lo vide annuire, confermandogli che ciò che aveva detto era possibile. Ma non poteva essere vero, a meno che i vampiri non avessero anche la facoltà di viaggiare nel tempo. Se fosse stato così, lui sarebbe tornato al giorno in cui aveva perso i genitori, li avrebbe fatti uscire di casa prima che scoppiasse l’incendio e li avrebbe salvati, così che non dovessero separarsi mai più. Ma... non era possibile, altrimenti lo zio glielo avrebbe detto prima. «Che cosa hai intenzione...» «È semplice. Io e Tomas eravamo soliti farlo tutte le volte che eravamo lontani, per raccontarci gli eventi più importanti. Sarà necessario che tu mi apra la tua mente. Prometto che non farò altro che condividere con te i miei ricordi. I tuoi pensieri sono al sicuro, non ho intenzione di violare più il nostro patto.» «Intendi dire che potrò vedere mio padre nei tuoi ricordi?» Quando lo zio annuì, il labbro inferiore di Vlad tremò e lui dovette prenderlo tra i denti per farlo stare fermo. «Mi piacerebbe moltissimo», mormorò. «Respira profondamente e apri la mente», lo esortò Otis. Il ragazzo fece ciò che gli era stato chiesto, svuotando la mente come gli aveva suggerito Vikas. All’inizio non ci fu niente. Solo calma piatta. E poi... Un flash. Un volto. Familiare, affettuoso, sorridente. Poi, in fretta come era venuta, l’immagine sparì di nuovo, come il fotogramma di una vecchia pellicola 8 mm. «Apriti, Vlad. Cerca di lasciarti andare.» Il giovane cercò di regolarizzare il respiro e attese. Un frammento di pellicola guizzò di nuovo nella sua mente: questa volta il viso del padre sembrò muoversi. L’immagine sussultò prima di tornare a fuoco e Vlad fu colto di sorpresa quando a essa si accompagnò il suono di un mercato affollato. Tomas lo guardò – o meglio, guardò Otis: stava vedendo quella scena attraverso gli occhi di suo zio – e scoppiò a ridere. «Forza, la Peste Nera non è mica la fine del mondo. Stai su!» Poi, velocemente com’era iniziato, il film finì. Seguì una serie d’immagini casuali, al termine delle quali vide di nuovo il volto allegro di suo padre. «Non ci capita mica tutti i giorni di mangiare vegetariano, Otis», disse. Dall’altra parte della strada c’era un gruppo di hippie con i capelli lunghi. Uno strimpellava la chitarra mentre gli altri cantavano una canzone che parlava di pace e amore. Lo zio ridacchiò e Tomas si passò la lingua sulle labbra, scoprendo leggermente i canini. «Sembrano un po’ stopposi, ma sono sicuro che riusciremo a cavargli una goccia di sangue o due. Che ne pensi?» domandò, gli occhi scintillanti e gli angoli della bocca sollevati in un sorriso che al giovane parve familiare. Era il suo stesso sorriso. Vlad cercò di parlare, ma non ci riuscì. Quello era solo un ricordo, solo un’immagine fissata nella mente di Otis. Tenne la mente aperta e guardò il film saltare di fotogramma sfocato in fotogramma sfocato, finché non si fermò su un altro ricordo. Suo padre era in una biblioteca, intento a leggere. Di fronte a lui, si ergeva una parete di volumi. Vlad lo osservò, notando il modo in cui si lasciava catturare dalle parole stampate sulla carta, esattamente come accadeva a lui quando s’immergeva in un libro davvero interessante. Era sorprendente quanto i loro modi di fare fossero simili. Aveva sempre saputo di somigliare a suo padre, ma aveva dimenticato fino a che punto. «Stai ancora leggendo? Di cosa si tratta stavolta?» La voce di Otis irruppe nei suoi pensieri, distogliendolo dalle sue considerazioni. Tomas alzò lo sguardo, anche la sua concentrazione era stata turbata. «Solo qualche vecchia storia. Per passare il tempo, sai. E tu? Pensavo fossi su un aereo diretto in Siberia.» La risposta dello zio non arrivò mai e la pellicola di quell’insolito film ricominciò a scorrere, conducendolo altrove nel tempo. La pioggia scendeva a catinelle, inzuppandogli i capelli. «Siamo fratelli, Otis. Lo saremo per sempre», disse con sincerità rivolto all’uomo alle sue spalle. L’immagine cominciò a dissolversi e Vlad sentì lo zio tentare di uscire dalla sua mente, ma lui non era ancora pronto. Non poteva lasciar andare quei pochi, preziosi istanti di cui era stato testimone. Aveva bisogno di altre immagini, solo qualcuna in più... La pellicola fece un salto all’indietro. Suo padre era di nuovo nel bel mezzo di un acquazzone. Questa volta, però, sul suo volto si leggeva solo rabbia. «Non ti sto chiedendo di mentire, né di mettere da parte i tuoi pregiudizi, Otis. Volevo semplicemente dirti addio prima di andarmene.» «Un’umana, Tomas. Capisco il bisogno di essere amato, ma abbandonare Elysia per un’umana? È una follia.» Lo zio scosse la testa, allibito. «Dove andrai?» «È meglio che non te lo dica.» «Non ti fidi di me?» Suo padre rimase in silenzio e guardò il fratello negli occhi un’ultima volta, prima di girarsi. «È meglio così, credimi.» «Bene, vai se devi. Ma non chiedermi di aiutarti quando le conseguenze delle tue azioni ti ricadranno addosso.» La voce di Otis tremò. «Mi sembra di non conoscerti più.» L’altro vampiro si voltò per incontrare ancora il suo sguardo. «Siamo fratelli. Lo saremo per sempre.» Vlad aggrottò la fronte. Il film nella sua mente finì e, quando aprì gli occhi, si accorse che anche lo zio era turbato. «Io...» provò a dire. «Va tutto bene, non potevi saperlo... e io non credevo che fossi in grado di estorcermi quel ricordo. È stata l’ultima volta che ho visto tuo padre. Litigammo. Non approvavo la sua relazione con tua madre e, mi vergogno ad ammetterlo, diventai ancor più intransigente quando seppi della gravidanza di Mellina.» Il rimpianto era evidente sul suo viso e, quando incontrò lo sguardo del nipote, quest’ultimo dovette lottare per tenere a freno le lacrime. «Perdona un vecchio sciocco, Vlad. A quell’epoca non avevo idea di quanto avrei rimpianto di essermi comportato in quel modo durante il nostro ultimo incontro. Non avevo idea che sarei arrivato ad amare tanto suo figlio.» Il ragazzo chinò il capo, pensieroso. Nell’ultimo anno, l’uomo era diventato per lui qualcosa che solo Tomas era stato: una figura paterna. Una lacrima lo tradì, scivolandogli giù per la guancia, per poi andarsi a posare sulla neve. «Grazie, Otis. Di tutto.» Sembrò che anche lo zio stesse cercando di non piangere, lo sguardo perso sul villaggio che si stendeva alle pendici della collina. «Dovresti tornare alle tue lezioni», disse in un sussurro. «Se non è un problema... preferirei che fossi tu a insegnarmi, secondo gli ideali che vuoi trasmettermi», rispose timidamente il giovane vampiro. Otis gli rivolse un’espressione sorpresa e incerta. «Vuoi che sia io a istruirti? Non so se sarei un bravo insegnante.» Vlad ripensò ai travestimenti e ai compiti che gli aveva assegnato durante il periodo trascorso come supplente nella sua scuola. «Non sei stato tanto male l’anno scorso», replicò con un sorriso. «Cosa vorresti imparare?» Il ragazzo fece spallucce. A dire il vero era disposto ad apprendere qualunque cosa Otis fosse disposto a insegnargli. Quel che più desiderava era far durare quel momento insieme. Imparare da Vikas era stato fantastico, ma gli mancava suo zio... in più aveva il velato sospetto che, una volta che quel viaggio fosse finito, l’uomo se ne sarebbe andato di nuovo in giro per il mondo, in cerca di qualcuno che li aiutasse a far fronte alla loro difficile situazione. «Come sei riuscito a fare quella cosa dei ricordi?» chiese all’improvviso. «Si tratta solo di un’estensione della condivisione dei pensieri», affermò l’altro in un tono che suggeriva si trattasse di una cosa relativamente semplice, ma, quando si accorse dell’espressione perplessa del nipote, chiese: «Tu e Vikas non avete ancora conversato telepaticamente?» Vlad scosse la testa. A quanto pareva, non stava imparando tanto quanto credeva dal suo istitutore. «Io e tuo padre lo facevamo spesso. Così spesso, a dire il vero, che, quando lui abbandonò Elysia, io iniziai a soffrire di emicrania per colpa del silenzio costante nella mia testa», spiegò lo zio in un tono allegro che i suoi occhi, pieni di malinconia, non tardarono a tradire. «Comunicare telepaticamente è un’azione che richiede fiducia reciproca da parte dei vampiri che la utilizzano. Presuppone che tu sia disposto a concedere a un’altra persona libero accesso ai tuoi pensieri. È un delicato equilibrio tra dare e ricevere: io apro la mia mente a te e tu t’impegni a fare lo stesso. A quel punto, se ci concentriamo sul significato delle parole piuttosto che sulle parole in sé, esse si tradurranno in una conversazione mentale cui nessun altro potrà avere accesso. Con il tempo, se lo vorrai, dovremmo riuscire a comunicare a grande distanza. Te la senti di provare?» «Certo.» «Aprimi la tua mente.» Vlad si rilassò, chiuse gli occhi – doveva essere più facile così, pensò – e si liberò di tutti i pensieri, di tutti i suoi interrogativi senza risposta, ansioso di sentire la voce dell’uomo nella propria testa, proprio come l’aveva sentita il padre. Percepì Otis nella sua mente come un sussurro. «Bene, adesso concentrati sul significato di ciò che vuoi comunicare e spingi le parole verso di me, con dolcezza.» «Così?» Il suono delle sue stesse parole gli fece aprire gli occhi. Sembravano diverse, non confuse, ma sommesse, come se fossero confinate in un piccolo spazio. La risatina di Otis risuonò nel cranio del ragazzo in modo gradevole. «Proprio così. È un espediente molto utile quando ci sono degli umani nelle vicinanze e si vogliono discutere argomenti di natura vampiresca. Bello, eh?» «Questo è molto più figo che levitare. Non vedo l’ora di mostrarlo a Henry. Dovrebbe rendere le lezioni di algebra molto più interessanti», rispose Vlad soddisfatto. «Henry è un umano. Non ha il potere mentale necessario per ricevere una comunicazione così chiara. Puoi leggere i suoi pensieri con facilità e instillargliene alcuni che lo portino a riflettere su certe cose, ma non potrai mai avere una vera comunicazione telepatica con un umano. Neppure se si tratta del tuo servo.» «Uffa», borbottò il ragazzo deluso. «Sei proprio uguale a Tomas. Le abilità che ti sono state date non ti bastano mai, vuoi sempre di più», commentò con affetto Otis prima di cominciare la sua discesa lungo il fianco della collina. «Non è detto che sia un brutto modo di essere», aggiunse infine. Vlad si affrettò a raggiungerlo. «C’è qualcos’altro che mi sto perdendo? Oltre alla telepatia e alla condivisione dei pensieri, intendo dire.» Lo zio esitò prima di rispondere: «La verità è che non so cosa ti aspetta. Come ti ho già detto, sei unico. Nessuno a parte te è nato vampiro. Noi tutti siamo stati generati attraverso il morso dei nostri creatori, che in questo modo ci hanno trasmesso l’essenza di Elysia. Il nostro futuro è abbastanza chiaro, il tuo – invece – non è ancora stato scritto. Ci sarebbe una lista infinita di abilità che potresti sviluppare, ma si tratterebbe solo di inutili speculazioni». Il ragazzo avrebbe voluto dire che non sarebbero affatto state inutili, che non aveva idea di cosa lo attendeva ed era abbastanza sicuro che la pubertà di un vampiro fosse ben più difficile e spaventosa di quella di un umano, ma lo zio era già molti passi davanti a lui e aveva la sensazione che, in ogni caso, le sue argomentazioni sarebbero apparse come una patetica lamentela. Quando raggiunse Otis davanti all’aula per l’addestramento, infilò le mani in tasca, imitando la posa dell’uomo. «Quando torneremo a Bathory, starai con me e Nelly?» domandò. Il sospiro che seguì fu una risposta esaustiva alla sua domanda. Sentì il cuore stringersi nel petto e lo sconforto invaderlo. «Non posso», si affrettò a spiegare l’uomo. «Non ancora. Prima devo convincere Elysia che non sono un criminale e che le mie azioni sono state dettate dalla necessità, e questo richiederà tempo. Se riuscissi a portare tre Consigli dalla mia parte, potrei esporre le mie argomentazioni. Ma, finché non li avrò convinti della bontà delle mie intenzioni, temo che trasferirsi a Bathory sia fuori discussione. Non posso mettere in pericolo la vita tua e di Nelly.» «Ma io ho il Lucis. Potrei proteggerti», obiettò il giovane vampiro infilando la mano nella tasca dei jeans, pronto a estrarre l’arma. Prima che potesse farlo, Otis gli afferrò il polso e scosse la testa, invitandolo alla cautela. «Non qui, Vlad. Tienilo nascosto.» Lui annuì lentamente e lo zio lasciò andare la presa. «Il Lucis può proteggere te dalla cosiddetta ’giustizia’ di Elysia, Vlad, ma io sono molto conosciuto... così come i particolari dei miei presunti crimini. Il fatto che tu abbia quell’arma non impedirebbe comunque loro di distruggere la città per trovarmi. Bathory è davvero troppo vicina a Stokerton per rischiare di trasferirmi lì, anche con l’aiuto di un amuleto Tego. Non sono coraggioso come tuo padre.» «Un amuleto Tego?» domandò il ragazzo incuriosito. «Serve a bloccare i tentativi di intrusione di altri vampiri nella tua mente. Imparerai più avanti di cosa si tratta esattamente e scoprirai anche come utilizzare il simbolo che ho inciso sul tuo corpo.» L’espressione seria di Otis si rilassò in un sorriso. «Ti attendono cose straordinarie. Una vita intera di scoperte, esperienze uniche e mondi che non hai neppure osato sognare. Aspetta di vedere cosa accadrà quando inizierai a nutrirti dalla fonte...» «Non lo farò mai», asserì il nipote guardandolo dritto negli occhi. «Mai.» L’uomo alzò le spalle, come a dire «forse lo farai o forse no» e aprì la porta dell’aula. Quell’atteggiamento passivo irritò il giovane, anche se nemmeno lui sapeva esattamente per quale motivo. Una volta all’interno, Vlad ebbe appena il tempo di scorgere Vikas prima che la porta si chiudesse dietro di sé, sigillandoli di nuovo nell’oscurità. 15 DOV’È IL CUORE Vlad si mise seduto sul letto e si stiracchiò. Non aveva nessuna fretta di mettere i piedi sul pavimento gelato, ma quello era il suo ultimo giorno in Siberia, a Elysia, e se fosse rimasto a poltrire non sarebbe mai tornato a casa. Lui e Vikas avevano trascorso lunghe ore all’interno della stanza buia e silenziosa, e il ragazzo si era aperto all’idea che il controllo mentale, se usato per nobili fini, poteva tornargli molto utile. Tra le mura della stanza delle esercitazioni riusciva a padroneggiare quella capacità alla perfezione; una volta era riuscito a fare in modo che Tristian interrompesse le sue faccende e – con gran divertimento del suo maestro – aveva indotto un vampiro a mettersi a cantare di punto in bianco. Purtroppo si trattava di un’attività sfibrante e lui non era ancora in grado di controllare i pensieri di qualcuno al di fuori di quell’aula. Quando aveva raccontato a Vikas di essere riuscito a costringere Henry a mettersi le dita nel naso, l’uomo – dopo aver smesso di ridere – gli aveva spiegato che un servo era la persona più facile da controllare per qualsiasi vampiro. D’altro canto Vlad stava facendo passi da gigante anche nella telepatia. Lui e Otis facevano lunghe chiacchierate notturne accanto al focolare, durante le quali lo zio gli raccontava di suo padre. Il ragazzo stava scoprendo molte cose di un uomo che non aveva conosciuto poi così bene. E, attraverso quelle storie, stava imparando di più anche sullo zio. Cercando di esporsi il meno possibile al gelo della camera, il vampiro si alzò e si vestì in fretta. Teoricamente, dopo aver trascorso una settimana in uno dei luoghi più freddi della terra, avrebbe dovuto essersi abituato a quelle temperature, ma a quanto pareva non era così. Rabbrividendo prese il giubbotto e si preparò a uscire. Quando aprì la porta che conduceva alla sala principale, ad attenderlo trovò Tristian con in mano un calice di vino e sangue. Vlad lo salutò grato e sospirò guardando il contenuto. Era davvero stanco del sangue speziato, non desiderava altro che una bella tazza calda di 0 positivo accompagnata da un bel po’ di biscotti al cioccolato appena sfornati. In quel momento Otis rientrò in casa spazzandosi via la neve dal cappotto. «Dobbiamo partire in fretta. Sta per scatenarsi una bufera e Vikas ha detto che, se arriva qui prima che ci allontaniamo dalla montagna, avremo un lungo inverno siberiano davanti a noi.» «Posso finire la colazione prima?» domandò il nipote non riuscendo a trattenere uno sbadiglio. Lo zio annuì e lui lanciò un’occhiata al camino. Il fuoco era spento e la stanza, fatta eccezione per loro, era deserta. «La maggior parte dei vampiri è andata a dormire e Vikas è fuori a correre con i lupi, ma ha detto che tornerà in tempo per salutarci», lo avvisò Otis rompendo il silenzio. «Sta correndo con i lupi?» L’uomo fece un cenno con la mano, come se quella fosse la cosa più ovvia del mondo. «Una delle complicazioni dell’animorfismo è che uno passa così tanto tempo con un animale da arrivare a comprenderne processi mentali e desideri. In più, lui adora andare a caccia di volpi», spiegò porgendo al ragazzo il giubbotto. Vlad lo indossò insieme con gli stivali. Animorfismo: era una cosa di cui il suo libro non parlava. A dire il vero, il tomo si limitava a ripercorrere la storia e ad analizzare le leggi dei vampiri, tralasciando tutte le cose divertenti, come se ogni creatura della notte dovesse saperle automaticamente. Certo, si disse il ragazzo, lui era un caso a sé. Trovarono Vikas appena fuori dalla porta. Era trafelato e l’occhiata che indirizzò al suo amico era piena di tristezza. «Mi spiace per questa bufera. Non ti vedevo da tanto tempo e mi avrebbe fatto piacere se fossi rimasto qui più a lungo.» «Purtroppo non mi è possibile», disse Otis mordicchiandosi il labbro. «Se non altro, spero vorrai riconsiderare la mia richiesta. Siamo vecchi amici. Se non posso contare su di te, su chi altro potrò farlo?» L’uomo sostenne il suo sguardo, poi annuì e si girò verso Vlad. «Sei uno dei miei migliori allievi. Continua a esercitarti e a studiare. Abbi cura di te, Mahlyenki Dyavol. Un giorno c’incontreremo di nuovo, ne sono sicuro.» Otis salì sulla slitta e il ragazzo rimase a guardare il suo maestro che si allontanava, mentre la neve scendeva. «Ho deciso che mi piace il mio soprannome.» Lo zio si schiarì la voce e indossò i grandi occhiali da neve, ma era troppo tardi: Vlad aveva già visto le sue lacrime. «Ti si addice. Vikas chiamava tuo padre Dyavol, quindi suppongo che sia un modo per dire che sei una versione in piccolo di Tomas.» Il giovane prese posto sulla slitta senza però tirar su la coperta. Il vento soffiava intorno a loro e la temperatura era scesa tanto da rivaleggiare con quella della sera precedente, ma lui si sentiva riscaldato dal ricordo di suo padre e dal fatto che uno sconosciuto avesse visto in lui qualcosa che glielo ricordava. La slitta corse giù per la montagna, superando alberi, animali selvatici e una distesa di neve. Dopo aver restituito i cani a Dmitri, presero un taxi fino all’aeroporto e s’imbarcarono. Vlad era stanco e Otis teso, la serenità che sembrava aver riacquistato durante il soggiorno a Elysia lo stava gradualmente abbandonando. Il nipote gli rivolse un sorriso. «Grazie per avermi fatto conoscere Vikas, è davvero forte.» «Ti vuole già molto bene. Sono felice che tu abbia gradito la sua compagnia.» «Mi ha parlato del Pravus», buttò lì il ragazzo, ansioso di vedere la reazione dello zio. «Davvero?» chiese l’uomo, irrigidendosi di colpo. Nonostante l’intonazione della voce, quella non aveva l’aria di essere una domanda. «Già, è pazzesco. Voglio dire, io? Un conquistatore malvagio? Non penso proprio. Ma mi stavo chiedendo... be’...» Vlad esitò. Voleva sapere il parere di Otis su quella questione ma, allo stesso tempo, lo temeva. «Ti stai chiedendo se penso che tu sia il Pravus», disse lo zio guardandolo negli occhi. Il nipote annuì e sostenne il suo sguardo. Quest’ultimo scosse la testa con un’espressione estremamente seria. «No, non penso che tu sia il Pravus, Vladimir. C’è troppo di tuo padre in te. E Tomas era un uomo buono.» Il ragazzo guardò Otis negli occhi e non vi vide altro che sincerità. «La domanda è... tu credi di esserlo?» La domanda fu posta in tono tranquillo e Vlad si concesse un attimo prima di rispondere: «No, non credo. Ma, se lo fossi, sarebbe tanto importante?» Una hostess molto carina porse una tazza di caffè a Otis, che sorrise e ne bevve educatamente un sorso. «Certo che no. Senza contare che è solo una stupida leggenda.» Il giovane cercò di stabilire nuovamente un contatto visivo con lo zio, ma la sua attenzione era rivolta alla tazza di caffè: la conversazione era finita. Dopo ore di aerei, bagagli, folla e corse, con Otis che non trovava più nemmeno le chiavi del suo rottame, riuscirono finalmente a raggiungere Bathory. «Felice di essere a casa?» domandò l’uomo una volta parcheggiata l’auto nel vialetto di casa. «Abbastanza. Mi sento stanco ma, più di tutto, affamato.» I due scesero dall’auto e il ragazzo stava per domandare allo zio se avesse in mente di fermarsi qualche giorno quando, con la coda dell’occhio, notò un lampo rosa. Meredith stava avanzando lungo il vialetto con la sua giacca appoggiata sul braccio. «Ciao, Vlad. Oh, buongiorno, Mr Otis!» disse con un sorriso raggiante. «Buongiorno, Meredith. Come stai?» rispose questi togliendo le valigie dal bagagliaio. «Non posso lamentarmi. Però lei mi manca come insegnante.» Le guance di Vlad andarono in fiamme al ricordo del bacio che si erano scambiati. Quando pensava a come si era lasciato sfuggire che lei gli piaceva e a quanto fossero calde le sue labbra nel gelo di quella sera, non riusciva a parlare. Ancora una volta il cuore gli si era piazzato in gola, apparentemente deciso a strozzarlo prima che lui potesse emettere anche solo un suono. «Te lo garantisco, al Bathory High ci sono insegnanti migliori di me», replicò Otis prima di toglierle di mano la giacca e aggiungere: «Grazie infinitamente per aver riportato il giubbotto di Vladimir. Immagino che lui l’apprezzi molto». Il ragazzo, grato per essere stato tolto dall’impaccio, riuscì a fare un cenno con il capo. Era come se tutta la faccia gli stesse andando in fiamme. Meredith e lo zio continuarono a scambiarsi convenevoli per qualche minuto, poi lei si girò e andò via. «Credo che risulteresti più affascinante se riuscissi a parlare», lo prese affettuosamente in giro lo zio non appena la giovane fu sparita dietro l’angolo. Proprio in quell’istante Nelly uscì in veranda, intabarrata nel suo cappotto. «Mi stavo chiedendo quando sareste arrivati, ragazzi. Resti a pranzo, Otis?» L’uomo porse a Vlad una delle borse e le sorrise: ogni traccia di tensione sembrava svanita. «Non me la perderei per niente al mondo», s’affrettò a rispondere. Arrossendo leggermente, la donna tornò in casa. Il giovane vampiro scosse il capo e alzò gli occhi al cielo. «Ti piace, non è vero?» chiese in tono allegro. Per un attimo l’uomo parve nervoso e il suo sguardo corse alla porta, come se stesse valutando quanto poteva rivelare al nipote. Era uno spettacolo commovente, considerato quanto fosse facile intuire la sua risposta. Alla fine sospirò e si passò una mano tra i capelli, sconfitto. «Sì», ammise. Vlad, sorridendo, trascinò una valigia verso la veranda, poi gli rivolse un’occhiata speranzosa. «Questo significa che ti farai vedere più spesso.» «No», replicò l’altro, la voce piena di malinconia. L’allegria svanì dal volto del ragazzo, lasciando il posto alla delusione. «Sai che non potrei mai avere una relazione con Nelly, mi è proibito. La cosa mi addolora, ma non c’è nulla che io possa fare. Senza contare che Elysia ha già abbastanza motivi per mettere una taglia sulla mia testa.» «È per questo che ti tieni alla larga?» Vlad appoggiò il suo bagaglio sul pavimento della veranda e si girò verso lo zio con uno sguardo accusatorio. «Mi tengo alla larga per cercare aiuto per la mia – la nostra – situazione. Farei qualunque cosa per proteggerti.» «Non credi che potresti proteggermi meglio se fossi più vicino?» lo incalzò il giovane. La ruga sulla fronte di Otis si fece più profonda. Sembrava arrabbiato, anche se il nipote non ne comprendeva il motivo. «Ho dato il mio sangue perché tu stessi bene, Vladimir. E sarei felice di farlo ancora», disse l’uomo in tono fermo. Il ragazzo annuì: per il momento la sua curiosità era soddisfatta. «Riusciremo mai a stare insieme, come una famiglia?» «Forse, un giorno», sospirò Otis. «Quando il Consiglio eleggerà un nuovo presidente le cose potrebbero cambiare. Purtroppo nessuno era pronto all’evenienza che il vecchio presidente potesse morire, è una cosa alquanto rara. Potrebbe volerci un anno, o magari dieci o cento perché il Consiglio decida. Poi, se tutto va bene, il nuovo presidente potrà occuparsi della nostra situazione.» «E fino ad allora?» «Dovrò fuggire. E tenermi alla larga da te.» L’uomo aggrottò la fronte preoccupato. «Mi dispiace, Vladimir, ma le cose stanno così. Almeno per il momento.» «Perciò sono solo», sussurrò Vlad. «Non del tutto. Abbiamo ancora le nostre lettere e, se sei capace di farlo a distanza, possiamo continuare a comunicare telepaticamente», suggerì suo zio recuperando i bagagli e dirigendosi verso casa. Dopo un attimo il ragazzo lo seguì; quando entrò in cucina Nelly aveva già messo in tavola delle ottime bistecche bollenti che stillavano sangue, così lui si sedette e prese una sorsata di B negativo mentre lo zio raccontava i dettagli del loro viaggio. Be’, non i dettagli. Non esattamente. Omise il fatto che avevano vissuto con i loro simili e che alcuni vampiri ritenevano Vlad una specie di bestia demoniaca venuta per regnare su di loro, cosa di cui il giovane gli fu grato. Otis parlò con entusiasmo della campagna siberiana e di quanto gli fosse piaciuto stare lì e il nipote non poté fare a meno di chiedersi se le sue parole fossero dettate dal bisogno di fargli capire che teneva a lui. Non ce ne sarebbe stato nessun bisogno. Sapeva che teneva a lui. Si poteva andare fino in Siberia e viaggiare su una slitta trainata dai cani nel gelo più assoluto per cercare protezione e tutoraggio per qualcuno cui non tenevi? Dopo aver pranzato e salutato con trasporto Nelly, Otis indossò il suo cappello a cilindro e la accompagnò alla macchina. Qualche minuto più tardi, la donna partì in direzione dell’ospedale per l’ennesimo doppio turno e Vlad raggiunse suo zio all’esterno della casa. «Quando ti rivedrò?» «Onestamente, non lo so. Ma spero presto», rispose l’uomo abbracciandolo. «Se sei nei guai, usa la telepatia per chiamarmi. Se non rispondo, scrivimi. E, caso mai dovessi imbatterti nell’ammazzavampiri, il mio consiglio è quello di schivare il paletto e fuggire il più velocemente possibile.» «Questo è il consiglio migliore che puoi darmi?» domandò il ragazzo con un sospiro. Otis ridacchiò. «Purtroppo sì. Il Lucis non ha effetto sugli umani. Te la caverai, stai solo in guardia. Potrebbe andarsene senza scoprirti. Gli assassini sono perlopiù pagati poco e si lasciano distrarre facilmente. Molti di loro sono solo degli imbranati.» Chiuse lo sportello e, dopo due tentativi di mettere in moto, uscì dal vialetto e si allontanò lungo la strada. Il giovane rimase a fissare le luci di posizione dell’auto che diventavano sempre più piccole. Lo zio gli mancava già. Era tardo pomeriggio e il sole non era ancora tramontato. Dall’altra parte della strada Mr Templeton stava spalando la neve dal marciapiede. Due case più avanti, vari bambini delle scuole elementari stavano costruendo un fortino, riempiendo l’aria di risate gioiose. Mr Jenkins, il postino, passò di lì e fece un cenno a Vlad mentre depositava una piccola pila di lettere nella cassetta della posta. Il vampiro li osservò tutti con una curiosità un po’ distante. Fu allora che scorse un uomo dall’altra parte della strada: lo stava fissando. Il giovane rimase per qualche istante a osservarlo, incuriosito. Non si trattava di un insegnante, ne era quasi certo. E lui conosceva tutti a Bathory, anche solo di vista. Dunque, perché gli sembrava di conoscerlo? Lo strano individuo fece un passo in avanti e, arrivato a metà strada, si mise a correre. A quel punto Vlad ricordò: era il tipo in cui si era imbattuto una sera tornando dal suo rifugio sul campanile. Quello che a suo avviso non poteva che essere il cacciatore di vampiri. Ogni movimento – fatta eccezione per i suoi e quelli dello sconosciuto – sembrò rallentare. Il ragazzo socchiuse gli occhi mentre l’assassino si avvicinava e alzò le braccia, pronto a bloccare il paletto che, ne era sicuro, il suo aggressore nascondeva dietro la schiena. La risata dei bambini in fondo alla strada sembrava una registrazione distorta e Mr Templeton stava spalando a un decimo della velocità di prima. Non c’era tempo per correre. L’aggressore si stava muovendo più velocemente del suono. Vlad indietreggiò. Poi l’uomo spalancò la bocca, mostrando dei canini bianchi e scintillanti. Il giovane abbassò le braccia confuso. Canini? Avvertì un intenso dolore al collo quando il vampiro gli diede un morso proprio in corrispondenza dell’arteria e cominciò a nutrirsi del suo sangue. Lui rimase a bocca aperta, più sorpreso che spaventato, e dimenticò di lottare. Attonito continuò a osservare i suoi vicini che si muovevano a rallentatore. Come mai non si erano accorti che un vampiro lo stava attaccando? La risposta era piuttosto ovvia a quel punto: a quanto pareva alcuni dei suoi simili erano dotati della capacità di muoversi così velocemente da non essere visti dagli umani. Non che il suo libro dicesse nulla in proposito. In ogni caso, quel trucco poteva tornargli comodo la prossima volta in cui Bill e Tom lo avessero infastidito. Sempre che ci fosse una prossima volta. Il vampiro si staccò ed estrasse una provetta di vetro dalla tasca interna della sua giacca; ci sputò dentro un po’ del sangue appena succhiato e la chiuse con un tappo di sughero. Vlad si portò le mani al collo, sentendosi improvvisamente stordito e privo di forze. Si chiese se quella spossatezza dipendesse dall’essere stato privato del sangue e cercò di usare la telepatia per chiamare Otis, ma a stento riuscì a concentrarsi sul proprio nome. Allora riportò la sua attenzione sull’aggressore. «Chi sei?» «Sono Jasik», si presentò l’altro con un sorrisetto. Il ragazzo era in preda alla confusione. Stava per morire, maledizione... e a ucciderlo sarebbe stata una creatura della sua stessa specie. Incespicò, stordito dalla perdita di sangue, ma cercò in tutti i modi di non cadere nella neve fresca. «Vuoi... vuoi uccidermi, Jasik?» La risata metallica dell’uomo gli riempì le orecchie. «No, piccoletto, non sono un killer. Esistono delle leggi, lo sai? Sono solo un ladro», disse mostrandogli la provetta, prima di farla sparire nella tasca della giacca. Vlad sentì il sangue tra le dita, la ferita ci stava mettendo un po’ a rimarginarsi. Qual era l’elemento chimico che le zanzare usavano per mantenere il sangue delle loro vittime liquido? Lo aveva letto da poco durante la lezione di scienze. Anticoagulante. Mr Gaunt sarebbe stato fiero di lui. «Jasik», ripeté barcollando per poi crollare a terra. I ricordi successivi erano confusi, pensava addirittura di aver chiesto al suo aggressore se stava bene. L’unica immagine nitida era quella delle impronte sulla neve del vampiro che si allontanava, mentre la sua risata gli risuonava nelle orecchie. 16 IL POTERE CURATIVO DEL SANGUE A Vlad sembrava che un masso enorme gli fosse piombato sulla testa. Cercò di sollevarla, ma era attaccata al cuscino. Al cuscino? Aprì un occhio e si trovò davanti il viso preoccupato di Henry; provò ad aprire anche l’altro senza successo, così decise di rinunciare e li chiuse entrambi. Il suo migliore amico lo scosse dolcemente. «Ehi, è tutto okay?» Il ragazzo si leccò le labbra e si sforzò di riaprire l’occhio. Questa volta si aprì anche l’altro. «Henry?» Questi annuì, lo sguardo pieno di apprensione. «Ho avuto la strana sensazione che tu fossi in pericolo, perciò sono venuto qui e ti ho trovato a faccia in giù nel tuo vialetto, circondato da un gruppo di vicini. Mr Templeton voleva chiamare il 911, ma gliel’ho impedito.» «Come ci sei riuscito? È il vecchietto più cocciuto del mondo.» «Gli ho detto che avevi l’influenza e che io avrei dovuto badare a te mentre Nelly era al lavoro. Gli ho assicurato che l’avrei chiamata appena fossimo rientrati in casa.» Vlad si morse il labbro inferiore e guardò l’amico con aria pensosa. «L’hai chiamata?» Il giovane scosse la testa. «Nah, volevo parlare con te, prima. Cos’è successo?» Il vampiro cercò ancora una volta di sollevare la testa, ma non ci riuscì. Prese un respiro profondo. Gli sembrava di avere la pelle in fiamme. Cos’era accaduto? All’inizio la sua memoria si rifiutò di collaborare, poi gli tornarono in mente dei canini e un lampo di dolore. Il suo aggressore si chiamava Jasik. Si toccò il collo. Le ferite del morso si erano già rimarginate e la pelle era di nuovo intatta. «Un vampiro mi ha morso», annunciò in tono incredulo. «Molto divertente», ribatté Heny alzando gli occhi al cielo. «Dico sul serio.» L’amico lo guardò per un attimo, prima di annuire. «Hai idea di chi fosse?» «Ha detto di chiamarsi Jasik. Non l’avevo mai visto prima d’oggi», rispose Vlad pensieroso. «Come ti sei sentito quando ti ho morso?» aggiunse infine. Henry esitò per un momento, poi disse: «A essere sincero, come quando ti tagli con la carta. I tuoi denti sono proprio affilati, quindi credo di aver sussultato al momento del morso. Quando hai cominciato a succhiare il sangue credo di essermi sentito leggermente confuso, ma non è stato affatto doloroso. Perché?» L’altro ragazzo si sfregò il collo sovrappensiero. «Quando Otis mi ha dato il marchio, lo scorso anno, non ho sentito quasi nulla. Solo un lieve stordimento. Perché stavolta ha fatto così male e mi sento così spossato?» «Be’, tu hai bevuto solo un po’ del mio sangue, e tuo zio ha fatto lo stesso con te. Magari questo Jasik ne ha succhiato di più.» La voce di Henry tremò. «Magari stava cercando di ucciderti.» «No, ha detto di essere un ladro, non un killer», spiegò Vlad sforzandosi ancora una volta di sollevarsi dal letto. «Non riesci a metterti seduto?» A quanto pareva il suo amico era piuttosto intuitivo. «No, ma ho bisogno di sangue», rispose il vampiro. Con un cenno di assenso, Henry uscì dalla stanza e lui lo sentì attraversare la biblioteca e scendere le scale. Per un attimo, in casa regnò il silenzio, poi il giovane corse di nuovo al piano di sopra e depose sul letto un bel po’ di sacche di sangue. «Ce n’erano quattro in frigo, le ho portate tutte.» Vlad si portò una sacca alla bocca e l’addentò. Fu solo allora che si rese conto che i suoi denti si erano già allungati. Prosciugò la prima sacca e ne prese un’altra, andando avanti finché non furono tutte vuote. Eppure qualcosa non andava, tutto quel sangue avrebbe dovuto farlo sentire meglio, ma non era così. Chiuse gli occhi e li riaprì. «Mi sento strano», mormorò. «Be’, questo è perché sei strano.» «Il cuore mi batte all’impazzata e non riesco a muovermi senza che mi giri la testa», disse in qualche modo sollevato che fosse stato proprio Henry a trovarlo nel vialetto. La sua presenza era rassicurante. «Sono certo di aver bisogno di più sangue. Dannazione, ma quanto me ne ha succhiato?» «Chiamo Nelly», annunciò l’altro preoccupato, il cellulare già in mano. «No!» si affrettò a dire Vlad in tono allarmato, protendendosi per sottrargli il telefono. «Non puoi chiamarla, si preoccuperebbe.» Henry lo accontentò con un sospiro. «Un altro vampiro ha appena tentato di fare di te la sua cena. Dobbiamo dirlo a qualcuno e sono certo che la Croce Rossa non sarebbe in grado di gestire una situazione del genere.» «Starò bene», mentì il ragazzo leccando via qualche goccia di sangue dai fori dell’ultima sacca. Non sapeva cosa pensare, in quel momento provava solo un gran senso di colpa per aver morso l’amico anni prima. Certo, doveva anche ammettere di avere una fame incredibile. Henry rimase in silenzio per un attimo, poi si tirò su una manica e tese un braccio con aria determinata. «Prendine un po’ da me.» «No», disse Vlad scuotendo la testa. Una grossa vena blu tracciava una linea deliziosa lungo il braccio dell’amico e lui fu costretto a distogliere lo sguardo. «Ehi, a che serve che io sia il tuo servo se non posso aiutarti quando ne hai bisogno?» chiese il giovane sollecito. Il vampiro cercò in tutti i modi d’ignorare il profumo del sangue. Pensò a Tristian e alla scarsa considerazione che Vikas gli riservava. «Non penso a te in questi termini, lo sai... Non sei il mio schiavo, sei il mio migliore amico.» «Lo so. Adesso stai zitto e nutriti prima che cambi idea. Caspita, non c’è niente di peggio di un padrone sdolcinato!» «No, Henry», insistette l’altro serrando le labbra. «Vlad, è dalla terza elementare che voglio dirti una cosa... Mordimi!» fece l’altro in tono suadente avvicinando il braccio. Lo sguardo di Vlad tornò di nuovo sulla vena: era calda, invitante e deliziosa. Un brivido gli attraversò la schiena. Facendosi forza prese il cellulare dal letto e compose il numero dell’ospedale. «Ehi, zia Nelly. Puoi tornare in fretta a casa e portarmi un po’ di sangue? Siamo rimasti senza.» «Cosa le dirai dell’altro vampiro?» domandò Henry sistemandosi la camicia. «Niente. E neanche tu.» Sul volto dell’amico comparve un’espressione confusa mentre dalla sua bocca uscivano solo due parole: «Sì, padrone». 17 IN TRAPPOLA Vlad sentì lo stomaco brontolare per l’ennesima volta e dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per tenere i denti a posto. Chiaramente il pranzo non era stato sufficiente e la sete stava di nuovo prendendo il sopravvento. Forse avrebbe dovuto portarsi dietro qualche spuntino extra da ingurgitare durante la giornata... o chiedere alla zia di scrivergli un biglietto in cui diceva che sarebbe dovuto andare a casa per prendere «le sue medicine» di tanto in tanto. In ogni caso, bisognava fare qualcosa per tenere a bada la fame... e bisognava farlo in fretta. Il vampiro aggrottò la fronte irritato mentre Stephanie Brawn, capo cheerleader e baciatrice di chiunque respirasse, superava sculettando il suo armadietto e gli rivolgeva un saluto zuccheroso. Vlad non rispose – conosceva quella ragazza fin troppo bene per fidarsi di lei – e ficcò la testa nell’armadietto fingendosi impegnato a cercare qualcosa. Non sapeva cosa, ma era sicuro che l’avrebbe trovata solo quando l’attenzione della sua compagna sarebbe stata attratta da qualcosa di luccicante, facendo sì che lei si allontanasse. Purtroppo quel giorno doveva esserci una singolare penuria di oggetti luccicanti, perché Stephanie non se ne andò. «Hai visto gli armadietti di quelli dell’ultimo anno? Li stanno dipingendo di rosso e nero, capisci? Ma, in fondo, credo che usare i nostri colori sia un modo per dimostrare il loro senso d’appartenenza alla scuola.» Il giovane sospirò e tirò fuori la testa dall’armadietto quel tanto che bastava per rivolgerle uno sguardo accigliato. «Ma noi due siamo amici? Perché a me non sembra proprio», disse gelido. Lei spalancò gli occhioni con quell’atteggiamento falso che assumeva ogni volta che tentava di fare colpo su un nuovo insegnante. «Sto solo cercando di stabilire un contatto!» esclamò. «Be’, allora non farlo, okay? La mia vita è già abbastanza complicata senza te che cerchi di diventare mia amica solo perché hai aderito a un qualche programma di aiuto per le matricole in difficoltà.» «Forse intendi dire programma d’aiuto per le matricole ritardate», replicò lei con un sorrisetto, guardando oltre le spalle di Vlad, che non ebbe nemmeno il tempo di girarsi per cercare di capire cosa avesse da sogghignare la cheerleader. In un attimo Tom lo scaraventò contro l’armadietto e Bill gli sferrò una serie di pugni dietro la schiena. Il giovane vampiro gridò per la sorpresa e per una frazione di secondo si domandò se Joss sarebbe accorso a salvarlo anche questa volta. Poi, però, Tom lo prese per le spalle e lo trascinò di peso lungo il corridoio, fermandosi solo per spingerlo oltre una porticina e giù per diversi gradini. «Divertitevi, femminucce!» disse il bullo tra le risate generali prima di chiudere la sua vittima nel locale caldaie. Quando smise di rotolare, Vlad gemette, si strinse il fianco e si rimise lentamente in piedi. La schiena gli faceva male nel punto in cui Bill lo aveva preso a pugni, ma il fianco, forse a causa della caduta dalle scale, era persino più dolorante. Fece per salire i gradini e raggiungere la porta, quando una vocetta dal basso gridò: «Lascia perdere, la chiuderanno a chiave dall’esterno, come hanno fatto prima». Vlad girò la maniglia, ma non successe nulla. Passandosi la punta della lingua sui canini, si girò e scese le scale. Eddie Poe era seduto a terra, la schiena contro il muro, e tentava di sistemare la lente della sua macchina fotografica. Il vampiro si domandò se si fosse danneggiata durante il ruzzolone dell’altro ragazzo per le scale. «Da quanto tempo sei qui, Eddie?» «Da stamattina», rispose l’altro atono. Vlad lanciò una fugace occhiata alla porta. Non voleva passare tutta la giornata chiuso in uno scantinato spoglio e rovente come l’inferno, soprattutto se con lui c’era un ragazzo che minacciava di portare alla luce il suo più intimo e oscuro segreto. «Hai provato a battere contro la porta per attirare l’attenzione di qualcuno?» chiese cercando di ignorare il borbottio del suo stomaco che, a quanto sembrava, aveva deciso di ricordargli che era l’ora dello spuntino. Eddie trasalì al suono della voce di Vlad e un frammento dell’obiettivo della macchina fotografica cadde a terra, strappandogli un gemito. «Ci ho provato, è isolata acusticamente. Sai, per non far sentire il rumore della caldaia eccetera», rispose mestamente. Il vampiro si guardò intorno. Là dentro non c’era nulla che potesse rivelarsi utile ad aprire una via di fuga. La loro unica speranza era che Mr Brennan, il custode della scuola, dovesse controllare un indicatore o qualcos’altro e accidentalmente scoprisse i due ostaggi. Con un sospiro, Vlad si sedette sul gradino più basso e, rassegnato, si passò una mano tra i capelli, allontanandoli dagli occhi. Eddie incrociò brevemente il suo sguardo e tornò a fissare il pavimento. Non sembrava felice di condividere quello spazio con un mostro. Il vampiro cercò di non abbattersi; nemmeno lui era particolarmente felice di trovarsi in quella situazione ma, se avesse giocato bene le sue carte, forse – prima che qualcuno li liberasse – sarebbe riuscito a convincere il compagno di non trovarsi davanti a una creatura soprannaturale. «Però, il tuo articolo non era male. Non sapevo che fossi un giornalista», buttò lì in tono casuale. Il compagno di scuola rimase a lungo in silenzio, e Vlad era ormai pronto a domandargli se fosse stato cacciato dal giornalino scolastico, quando questi si alzò e si stiracchiò. Una volta finito, lanciò un’occhiata nervosa alla porta e – prima di cominciare a parlare con voce talmente bassa che Vlad dovette protendersi per distinguere le sue parole – abbassò lo sguardo. «Ho sempre saputo che eri diverso, ma pensavo che fossi un emarginato, come me.» Per un attimo i polmoni del vampiro si bloccarono, impedendo all’aria di entrare e uscire. Non c’era incertezza nella postura di Eddie, né un pizzico di dubbio nelle sue parole. Conosceva il suo segreto. Non aveva idea di cosa dire. Che cosa si poteva dire a qualcuno che non solo stava facendo ipotesi sul tuo conto, ma ti aveva anche letto negli occhi la verità sulla tua natura? Vlad si chiese da quanto tempo fossero lì. Riteneva che la campanella sarebbe suonata da un momento all’altro ma, senza un orologio, era difficile stabilirlo. Lo stomaco emise l’ennesimo, rumoroso brontolio chiedendo di essere soddisfatto, e il ragazzo gemette. Fantastico. Proprio quello che gli serviva. Essere intrappolato in una stanza con un umano quando aveva sete di sangue. Con sua immensa sorpresa, Eddie lo guardò negli occhi per la prima volta da quando si erano ritrovati insieme nel locale caldaia. «Non so ancora cosa sei esattamente. Ma ho letto un sacco di fumetti, perciò so che posso scoprirlo», asserì raddrizzando le spalle, animato da una nuova sicurezza. «Il fatto che i tuoi occhi diventassero viola mi ha indotto a pensare che non fossi umano, poi, quando ti ho seguito a scuola e ti ho visto levitare fino al campanile... be’, all’inizio ho quasi perso la testa. Ma sono stato furbo. Mia madre non crede che io lo sia, ma si sbaglia. Ho aspettato che scendessi e ti ho scattato una foto. Avrei potuto nominarti nell’articolo, ma in realtà voglio solo scoprire cosa sei. Pensavo che magari me l’avresti detto tu stesso dopo aver letto quel che ho scritto.» «Non c’è niente da dire, Eddie. Non so chi o cosa hai visto, ma io sono un essere umano proprio come tutti gli altri abitanti di questa città», replicò scuotendo la testa e, quando guardò di nuovo l’altro ragazzo, fece in modo di sembrare il più convincente possibile. «Dovresti stare più attento, amico. Roba come quella può farti cacciare dal giornale. O peggio», lo avvertì, sperando che il compagno recepisse la minaccia. Ebbe la tentazione di provare a usare il controllo mentale, ma sapeva di non aver bisogno di arrivare a quello con Eddie Poe. Il ragazzo si tirava sempre indietro quando qualcuno lo affrontava apertamente. Sempre. Come previsto, l’aspirante reporter spalancò gli occhi per la paura. Fece un passo all’indietro e, quando andò a sbattere contro il muro, scivolò fino a sedersi, stringendosi le ginocchia al petto con le braccia. Per vari minuti rimase a guardare Vlad, quasi avesse paura che questi gli saltasse addosso per succhiargli il sangue. Come in risposta ai timori del suo compagno di prigionia, i denti del vampiro fuoriuscirono dalle gengive. Occorsero parecchi respiri profondi perché lui riuscisse a riprendere il controllo. Una cosa, però, era certa... se non fosse uscito da lì in fretta, Eddie sarebbe stato il suo pasto successivo. Con un respiro profondo, Vlad si concentrò su Henry. Non sapeva se sarebbe stato in grado di mettersi in contatto con il suo servo da un posto diverso dall’aula per l’addestramento in Siberia, ma doveva provarci. «Henry, sono intrappolato nella stanza della caldaia con Eddie Poe. Muoviti!» Gli occhi di quella che minacciava di diventare la sua successiva preda erano fissi su di lui e lo mettevano a disagio, ma non disse nulla. Com’era quel detto sul fatto che era meglio essere considerato uno stupido che aprire la bocca e dissipare ogni dubbio? Con un cigolio la porta in cima alle scale si aprì, sorprendendoli entrambi. Vlad si concesse un sospiro di sollievo: alla fine era riuscito a mettersi in contatto con Henry. Si disse che avrebbe dovuto scrivere a Otis per raccontarglielo. Vikas aveva ragione, mettersi in contatto con il proprio servo era piuttosto facile. La luce filtrò nel locale dalla porta aperta e dalla sommità delle scale giunse inattesa la voce di Meredith: «Vlad? Sei laggiù?» Il vampiro spalancò gli occhi e la fame svanì, sostituita dalla gioia per la consapevolezza che la ragazza non poteva aver aperto la porta per errore. Era evidente che lo stava cercando. Si schiarì la voce, solo leggermente deluso per non essere riuscito a mettersi in contatto con Henry. «Sì.» Eddie si alzò in piedi e si avvicinò lentamente ai gradini con la schiena premuta contro il muro e lo sguardo che tradiva tutta la sua diffidenza nei confronti del compagno di scuola. Vlad si fece da parte, consentendogli di salire le scale, ma mantenne un’espressione dura, inviandogli un ultimo, silenzioso avvertimento. Il ragazzo, seppur intimidito, si rivolse a lui con voce insolitamente ferma. «Vale la pena rischiare un’altra punizione, Vlad. Vale la pena rischiare altre mille punizioni e anche qualcosa di peggio per scoprire cosa sei», mormorò prima di incamminarsi su per i gradini e lanciargli un’occhiata piena di determinazione da sopra la spalla. «Ciao, Eddie. Stai bene?» domandò Meredith vedendolo. Il giovane la ignorò, allontanandosi in tutta fretta. Sforzandosi di soffocare la rabbia che il giornalista in erba gli aveva provocato, anche Vlad s’incamminò su per le scale. Richiamò alla mente il bacio che Meredith gli aveva dato fuori dalla scuola tra la neve e il vento gelido e si chiese se lei sarebbe stata disposta a concedergliene un altro se fossero rimasti laggiù per un po’. «Grazie per aver aperto la porta. Eravamo bloccati dentro», disse una volta uscito dalla stanza. «Ho sentito Bill e Tom che si vantavano per avervi chiusi quaggiù, perciò sono venuta a controllare. Che cretini!» esclamò con un impeto che colse il ragazzo alla sprovvista. Vlad si sorprese a sorridere. Gli piaceva il modo in cui lei arricciava il naso quando era arrabbiata. «Perché stai sorridendo?» chiese Meredith quando si accorse che la stava fissando. «Niente, sono solo contento di vederti», rispose lui affrettandosi a distogliere lo sguardo. Lei s’illuminò e il vampiro spalancò gli occhi, rendendosi conto di ciò che aveva detto. «Cioè, la porta. Sono contento che tu abbia aperto la porta», mormorò imbarazzato. «Oh, non c’è di che», rispose lei, gli occhi che brillavano. «Già... sei la mia eroina», riuscì a dire il ragazzo, sebbene le guance minacciassero di andargli a fuoco. Improvvisamente i suoi problemi respiratori tornarono alla carica. Meredith era solo a un gradino di distanza da lui e lo guardava come se fosse l’unico ragazzo del mondo. Vlad avrebbe tanto voluto essere abbastanza coraggioso da baciarla. Avrebbe voluto, ma non lo era. Invece le sorrise, sperando che quel momento durasse. «Ehi, Vlad... Meredith», li salutò Henry, un ghigno sornione stampato in faccia. «Fareste meglio a uscire di lì, Mrs Bell è in corridoio e sta dando punizioni a tutto spiano.» La ragazza arrossì e salì le scale. Dopo un secondo, il vampiro fece altrettanto, del tutto incurante della possibile punizione. Tutto sommato, perdere qualche ora dopo la scuola valeva un momento rubato con la ragazza dei suoi sogni. 18 IL CODICE DELL’AMICIZIA Vlad stava scendendo le scale del Bathory High al termine di quel terribile lunedì, quando Joss gli si avvicinò, sfidando le occhiate gelide che il vampiro gli aveva lanciato dal Ballo della Neve in poi. Sì, Meredith alla fine aveva baciato lui, ma ciò non cambiava il fatto che il ragazzo fosse uscito con lei. Teoricamente loro due erano amici e gli amici dovevano essere in grado di capire quando ti piaceva qualcuno, anche se non glielo dicevi espressamente. Dopotutto anche Henry lo aveva capito senza che lui dicesse nulla. E, se Henry c’era arrivato, perché Joss no? Era una giornata di marzo talmente calda che il vampiro si tolse la giacca e la poggiò sul braccio. Marzo. Non riusciva a credere di non avere notizie di suo zio dal giorno in cui erano tornati dal loro viaggio in Siberia, tre mesi prima. Gli aveva scritto subito dopo l’attacco di Jasik e aveva continuato a farlo una volta alla settimana mostrandosi sempre più preoccupato, ma non aveva ottenuto nessuna risposta. Almeno, in quel lasso di tempo, il suo aggressore non si era più fatto vivo e dell’assassino contro cui suo zio l’aveva messo in guardia non v’era traccia. Certo, esisteva sempre la possibilità che Otis avesse ricevuto un’informazione sbagliata. E se la storia dell’ammazzavampiri non fosse stata che una sciocchezza? Se a Bathory non ci fosse stato nessuno, a parte Jasik il ladro? Eppure Vlad continuava a non allontanarsi troppo da casa e da scuola e a non andare in giro da solo. E non riusciva a fare a meno di essere in pena per suo zio. Lui e Joss fecero la solita strada fra le case dopo aver lasciato Henry a scuola per l’ennesima riunione del Consiglio studentesco. Prima che potessero uscire dallo spazio tra le case di fronte a quella di Nelly, il suo silenzioso compagno si fermò e gracchiò: «Devo parlarti». Lanciò un’occhiata implorante a Vlad, che non sembrava affatto disposto a facilitargli il compito. Insomma, Joss aveva violato il codice dell’amicizia e avrebbe dovuto affrontare le conseguenze. Intuendo i pensieri del vampiro, il ragazzo si fece coraggio, prese un profondo respiro e disse: «Mi sento malissimo per quello che ho fatto. Sapevo che lei ti piaceva, ma quando mi ha chiesto di andare al ballo non potevo crederci. È così carina, divertente e intelligente e...» «Non stai migliorando le cose», grugnì Vlad mentre il suo pensiero correva alla prima volta che aveva visto Meredith. Erano in terza elementare e lei era nuova. Stava di fronte alla classe, timida e spaventata, a rigirarsi un ricciolo tra le dita. Lui non avrebbe voluto far altro che prenderla per mano e proteggerla. «Mi dispiace, va bene? Ho sbagliato di grosso. E ora mi sembra di aver rovinato la nostra amicizia e mi sento malissimo, Vlad», buttò fuori Joss guardandolo negli occhi. «Per favore, deve esserci qualcosa che posso fare per far tornare tutto a posto.» Il vampiro si sistemò lo zaino in spalla e serrò la mascella, ancora furioso. «La prossima volta che pensi mi piaccia qualcuno, fai attenzione, okay? Hai davvero ferito i miei sentimenti. Pensavo fossimo amici.» «Lo siamo!» esclamò il giovane lasciando cadere a terra la cartella, le guance leggermente arrossate. «A essere sinceri, a parte Henry, sei l’unico amico che ho... e lui è un mio parente. Se non sta con me, sua madre lo tiene chiuso in casa per punizione.» Vlad gemette, colpito da un profondo senso di colpa. «Non è questo il motivo per cui Henry sta con te, Joss. Gli piaci veramente. Sia io sia lui pensiamo che tu sia proprio forte... quando non esci con le ragazze che ci piacciono.» Sospirò e fece cadere il suo zaino accanto a quello del compagno. Magari era stato troppo duro con lui, poteva bastare così. Dopotutto, il poveretto era colpevole solo di aver accettato un invito a un ballo. «Senti, non ho confidato neppure a Henry quanto mi piacesse Meredith. E quando sei andato al ballo con lei... mi è sembrato come se tu avessi calpestato la nostra amicizia. Non è facile superare una cosa del genere.» «Non lo farò mai più. Lo giuro, okay? Possiamo essere di nuovo amici?» insistette il ragazzo con l’aria sconfitta di chi sta difendendo una causa persa. Vlad si passò una mano tra i capelli scostandoseli dagli occhi e mentalmente si diede un calcio. Una grossa parte di lui avrebbe voluto conservare per sempre quel risentimento, ma sapeva di non poterlo fare. Quello era Joss. Per lui era importante quasi quanto Henry. «Non abbiamo mai smesso di essere amici. Solo perché sono arrabbiato con te non significa che non lo siamo più», sospirò infine. Un lampo di sollievo attraversò lo sguardo del giovane, ma entrambi rimasero in silenzio finché quest’ultimo non si schiarì la voce. «Perciò lei ti piace veramente, eh?» Il vampiro espirò nervosamente. Era come se avesse trattenuto il fiato fin da quando aveva saputo dei programmi di Meredith per il Ballo della Neve. «Già.» «Devi fidarti proprio per aprirmi il tuo cuore in questo modo», mormorò Joss. «Be’, sì», ammise l’altro sentendosi improvvisamente più leggero. «Anch’io mi fido di te», disse l’amico tutto d’un fiato, la voce incerta. «A dire il vero, ho un segreto. Un segreto molto grosso. Mi piacerebbe condividerlo con te. Va bene?» «Per me va bene. È qualcosa di brutto?» chiese il vampiro preoccupato. «No, non proprio. Anzi ne sono davvero fiero. È solo che non ne parlo molto. In più è legato a un grosso problema che spero tu possa aiutarmi a risolvere.» Vlad rimase in attesa per un po’, ma l’altro non accennò a continuare. «Non posso aiutarti se non me lo dici.» «Te lo dirò. È solo che... è dura, capisci? Non ne parlo mai con nessuno e adesso ho bisogno di farlo. E tu... tu conosci questa città, i suoi abitanti. A giudicare dalla tua raccolta di libri, credo che tu abbia una mente piuttosto aperta. Sento di potermi fidare di te, come se finalmente avessi un amico con cui non sono imparentato», spiegò guardandosi intorno come per accertarsi che fossero soli. «Il mio tempo è quasi scaduto. Se non finisco in fretta... potrei trovarmi in guai seri.» Il vampiro aggrottò la fronte. Qualcosa nel suo stomaco sussultò, dandogli un leggero senso di vertigine: erano i suoi nervi. C’era qualcosa di... sbagliato in quella conversazione. «Amico, che c’è? Va tutto bene?» domandò incerto. Dall’espressione che l’altro gli rivolse comprese che non c’era nulla che andasse bene al momento. Il ragazzo si inumidì le labbra e lanciò di nuovo un’occhiata nervosa dietro di sé. «Ho bisogno di te.» Vlad non aveva idea di cosa l’amico volesse dirgli, dal momento che continuava a divagare, ma i suoi nervi continuavano a contorcergli le viscere. Joss si piegò verso di lui, riducendo la sua voce a un sussurro. «Ascolta, sto seriamente infrangendo il protocollo dicendoti questa cosa. Al diavolo, ho infranto il protocollo già venendo qui. Gli incarichi privati sono proibiti. Che diavolo mi diceva la testa?» Scosse il capo, come se si stesse rimproverando silenziosamente. «Non posso dirlo a Henry e qui tu sei l’unica persona di cui mi fido, Vlad. Adesso che il mio contratto di nove mesi sta per scadere, ho bisogno di aiuto per portare a termine il mio compito. A dire il vero, non ho neppure iniziato. Di norma non mi preoccuperei per questo, ma il tizio che mi ha assunto mi sta minacciando, e sono sicuro che terrà fede alle sue parole se non faccio ciò che devo.» Il vampiro annuì come se avesse capito, ma non era così. Non veramente. L’amico rimase in silenzio per un attimo, come se stesse cercando le parole giuste. «Non mi sono trasferito qui per i miei genitori. Sono venuto qui per conto mio, perché ho una missione da portare a termine.» «Quale compito? Di cosa stai parlando?» lo incalzò Vlad, piegandosi ancora verso di lui. Joss continuò a guardarlo negli occhi. «Mio padre lavora per una società che ci fa spostare continuamente in giro per il mondo, ma il fatto è che i miei genitori non si rendono conto che in realtà sono io a lavorare per loro. Il lavoro di papà è solo una copertura. Una copertura di cui né lui né mia madre sono a conoscenza.» Il vampiro alzò un sopracciglio perplesso, ma cercò di comportarsi in maniera disinvolta. «Una copertura per cosa?» «Per la mia missione. Sono un assassino», asserì il giovane con espressione neutra. «Un ammazzavampiri.» No. Gli occhi di Joss erano limpidi, freddi e onesti. E, per quanto Vlad ci provasse, in quello sguardo non riusciva a cogliere neppure un accenno di ironia. No, no, no. Non Joss. «Sono stato ingaggiato all’inizio dell’anno scolastico per dare la caccia a un vampiro che si nasconde a Bathory e per ucciderlo. È un ingaggio privato, una cosa che la Società degli Ammazzavampiri scoraggia. Agli assassini è proibito accettare questo genere di incarichi e per una ragione più che valida: se un vampiro dovesse minacciare te o la tua famiglia, ti ritroveresti ad affrontarlo da solo. Ma, quando ho scoperto che questo vampiro vive sotto copertura proprio nella città di mio cugino, non ho potuto dire di no. Bisogna proteggere la propria famiglia.» Le spalle del ragazzo si rilassarono, come se si fossero finalmente liberate di un grande peso. «È stata dura convincere i miei che dovevo venire a stare con zia Matilda e zio Pete per un anno. Di norma è la Società a organizzare i miei spostamenti. È sempre dura mentire a mamma e papà. Ma si trattava della vita dei miei cugini e dei loro genitori, non potevo permettermi di non ammazzare questo mostro.» I nodi allo stomaco di Vlad si serrarono ulteriormente, finché non ebbe la sensazione che la parte centrale del suo corpo fosse un’unica massa solida e pesante. «Ma i vampiri non esistono», obiettò. Il ragazzo si avvicinò ancora di più, come se condividessero un terribile segreto. In effetti, pensò Vlad, era proprio così. «Oh, sì che esistono. Lo so. Ne ho uccisi un bel po’.» Il vampiro cercò di buttare giù il nodo che gli si era formato in gola: spostò lo sguardo da Joss verso terra e poi riprese a guardarlo. «C-come? Come li hai uccisi?» La tranquillità del tono dell’amico era inquietante. «Oh, in molti modi. Perlopiù conficcando loro un paletto nel cuore. Qualcuno l’ho trascinato alla luce del sole mentre stava dormendo. Una volta ne ho decapitato uno. È un lavoro davvero violento, ma credo nella causa. Se noi assassini non facessimo qualcosa per fermare... l’invasione...» Vlad trasalì. «... il mondo sarebbe pieno di quei mostri.» Il giovane guardò Joss cercando di trovare nei suoi occhi la prova che stesse mentendo. Sperava disperatamente di trovarla, ma non c’era. Il ragazzo che aveva di fronte era responsabile della morte di molti suoi simili. «Quanti ne hai uccisi?» «Vediamo...» fece Joss contando sulle dita e riflettendo per un attimo. «Ventitré, senza contare i due che ho aiutato ad ammazzare quando ero alle prime armi.» «Ma non sai niente di loro. Non sai se sono malvagi o no. Come fai a dire che meritano la morte?» L’ammazzavampiri si morse le labbra. Quando aprì bocca, aveva la voce roca come se fosse sul punto di scoppiare a piangere e stesse cercando di trattenersi. «Lo so eccome. Uno di loro ha ucciso mia sorella. L’ho visto io. Continuerò a dare la caccia a quei mostri finché il mondo non ne sarà libero.» Mostri. Come faceva Joss a chiamare mostri i vampiri, quando lui li uccideva senza prendersi il disturbo di comprendere la loro natura? «Conosci l’identità di quello cui stai dando la caccia?» domandò Vlad, infilandosi le mani nelle tasche. Il cacciatore abbassò lo sguardo verso terra. Sembrava rilassato. Probabilmente non immaginava di stare parlando con un mostro. «Non ancora. Questo qui è astuto. E... be’, ho avuto un po’ di distrazioni, un po’ per colpa della durata del contratto, poi per il fatto che sono stato tanto con te e Henry, per non parlare di Meredith. Senti, non lo dirai a nessuno, vero?» Il vampiro pensò d’informare subito suo zio, ma immaginava che non avrebbe reagito affatto bene se avesse scoperto che uno dei suoi più intimi amici era un assassino. «Cosa farai se trovi quel tizio?» chiese deglutendo nervosamente. «Non è un tizio, è una cosa. Non una persona», sentenziò l’altro chinandosi a raccogliere la cartella. «Farò quello per cui sono stato ingaggiato, lo ucciderò.» Il vampiro sentì una stretta allo stomaco. «Non è pericoloso?» Joss gli lanciò un’occhiata che, in qualunque altra situazione, avrebbe potuto essere confortante. «Rilassati, l’unico che deve preoccuparsi di cosa accadrà quando lo troverò è quell’essere.» Per qualche motivo, quelle parole non furono di nessun conforto per Vlad. Joss mise la mano nella cartella e tirò fuori una grande cassetta di legno, la aprì con una chiave d’argento ossidata ed estrasse un piccolo oggetto metallico che consegnò all’amico. «Questo è un crocifisso di argento purissimo. I vampiri non possono avvicinarsi alle croci. E odiano l’argento.» Per un attimo, il ragazzo fu sul punto di scoppiare a ridere, ma poi Joss tirò fuori uno spesso paletto di legno lungo circa trenta centimetri e il suo pugno si serrò convulsamente intorno alla croce che aveva in mano. Non aveva mai visto nulla di più spaventoso. L’ammazzavampiri glielo allungò e lui si trovò a stringere ancora più forte il crocifisso, prima di porgerglielo e prendere timidamente l’arma. «Proprio in mezzo alle costole, dritto al cuore. Ma bisogna andare in profondità, altrimenti lottano come pazzi», spiegò Joss. «L’hai fatto... davvero?» domandò Vlad, la gola serrata. «Certo che sì. Quelle cose devono essere uccise. Non sai cosa possono fare quando sono fuori controllo», rispose il ragazzo accarezzando amorevolmente una bottiglia con l’etichetta SUCCO D’AGLIO. «Ucciderli è il mio lavoro.... e il mio lavoro mi piace.» Quelle ultime cinque parole furono davvero troppo per il vampiro, che scosse la testa, il cuore che batteva all’impazzata per la paura. «Joss, ma è una follia! Stiamo parlando di persone. I vampiri non esistono, per cui tu ammazzi persone.» Un’ombra passò sul volto del giovane, più scura di quanto Vlad avesse mai visto. «No, io uccido mostri. Mostri che hanno preso una bambina piccola dal suo letto mentre il fratello maggiore guardava dal corridoio, nascondendosi dietro la porta, troppo spaventato per muoversi o gridare.» Il vampiro fissò il suo amico incredulo, domandandosi quale incubo fosse stato costretto a vivere per arrivare a quel punto. Cercò di calmare la folle corsa del suo cuore, ma non ci riuscì. Si costrinse dunque a rilassare le spalle e a ostentare una calma che non provava. Come se non fosse proprio lui il vampiro cui Joss stava dando la caccia. Frattanto testò il peso del paletto, cercando di scacciare dalla mente l’immagine di quell’oggetto conficcato nel suo cuore. «Bene. Okay, diciamo per un attimo che è tutto vero. Cosa fai? Ti metti a correre e pianti questo affare nel loro petto?» «È così che funziona.» Il vampiro scosse la testa. Per quanto ci provasse, non riusciva a farsi una ragione di tutta quella storia. «Non dici: ’Ciao, mi chiamo Joss e adesso ti ucciderò’, o una cosa del genere? Solo un paletto nel cuore, eh?» Il cacciatore fece spallucce. «È quello che ci vuole. Perché perdere tempo a parlare? Darebbe solo un vantaggio alla creatura.» «E poi che fai? Li lasci lì e speri che siano morti?» domandò Vlad con una punta di disprezzo. Un killer, il suo amico era un killer. E la cosa peggiore era che lui non se n’era accorto. Non sapeva con chi fosse più arrabbiato, se con Joss, perché era un assassino, o con se stesso, per essere stato così stupido da stringere un rapporto con lui. Si disse che avrebbe dovuto ricordarsi di apportare delle modifiche al codice dell’amicizia: non uscirai con la ragazza per la quale il tuo migliore amico ha una cotta... e non cercherai di impalare il tuo migliore amico con un grosso pezzo di legno. «Ma perché fai tante storie, Vlad? Sì, li lascio lì. Quando il lavoro è finito, contatto la Società perché diano una pulita e vado a casa», sbuffò il cacciatore spazientito. «E cosa succede se li manchi?» chiese il vampiro senza staccare gli occhi da terra. In un attimo il giovane gli afferrò un polso e lo girò. Prima che avesse il tempo di comprendere cosa stava succedendo, Joss lo aveva costretto in una morsa. Il paletto era nella sua mano destra. Vlad non si ricordava neppure di averlo lasciato andare, eppure era lì, a pochi centimetri dal suo petto. A quel punto il panico ebbe il sopravvento, il colore gli svanì dalla faccia, enfatizzando il suo naturale pallore. Aveva fatto troppe domande o l’ammazavampiri doveva aver notato il suo tatuaggio. Joss doveva essersi reso conto che lui era l’unico vampiro di Bathory. E adesso stava per ucciderlo. La punta argentata del paletto luccicò alla luce del sole, fluttuando a meno di mezzo centimetro dal punto in cui il cuore di Vlad batteva con forza contro il suo petto. I suoi occhi erano spalancati e il respiro affannoso. Solo il sussurro dell’altro ragazzo nel suo orecchio gli confermò che non era morto. Non ancora. «Io non li manco mai.» Le parole del cacciatore risuonarono di fredda determinazione mentre allontanava il paletto e lasciava andare l’amico. Poi, notando l’espressione terrorizzata di Vlad, si lasciò sfuggire un sorriso. «Senti, posso capire che tu sia a disagio. È un grosso colpo da assorbire tutto in una volta. Ma non preoccuparti, non ti sto chiedendo di uccidere quella cosa immonda, solo di aiutarmi a trovarla.» La sensazione di essere stato tradito e il terrore raggiunsero il culmine e il vampiro spinse l’amico con mani tremanti e ringhiò: «Che diavolo credevi di fare? Avresti potuto ferirmi!» «Stavo solo facendo un po’ il buffone. Pensavo che ti saresti messo a ridere», si schermì l’altro. «Non è stato divertente. E neppure uccidere le persone lo è», replicò Vlad assestandogli una spallata e allontanandosi da solo. Una volta a casa, sbatté la porta dietro di sé e lanciò lo zaino dall’altra parte della stanza, mancando di poco la paffuta Amonet. Sia Nelly sia la gatta lo guardarono, sorprese da quello scatto di nervi. «Vladimir? Stai bene?» domandò sua zia. «Sto bene! Solo lasciatemi stare, sto bene!» strillò lui in risposta, salendo i gradini a due a due. Poi sbatté anche la porta della sua stanza e si buttò sul letto, cercando di togliersi dalla testa l’immagine del paletto. Con gli occhi velati di pianto, lanciò uno sguardo truce al leggero luccichio del suo tatuaggio e una lacrima gli sfuggì, scivolando lungo la guancia. Non si era mai sentito così solo, così spaventato, così incredibilmente perso e disperato. Non si era mai sentito così... da quando aveva trovato i suoi genitori morti quattro anni prima. 19 UN DOVERE FILIALE Vlad sbatté le palpebre guardando l’orologio: avrebbe voluto che i numeri cambiassero, che quella giornata finisse, portandosi via un po’ della tristezza per ciò che era accaduto quattro anni prima. Quando la mezzanotte fu passata, il ragazzo si chinò e s’infilò le scarpe da ginnastica, tentando di allacciarle alla meno peggio. L’idea di uscire da solo nel bel mezzo della notte – specialmente se Joss era nei paraggi con il suo paletto di legno – non lo esaltava, ma non aveva poi molta scelta. Alcune cose erano più forti anche della paura. Non che non fosse adeguatamente terrorizzato. Anche se era quasi certo che Joss ignorasse la sua vera natura, avrebbe fatto in modo di non invitarlo più a cena da quel momento in poi. Doveva tagliare fuori uno dei suoi due migliori amici. Come ci sarebbe riuscito? A dispetto delle sue convinzioni e del paletto che sembrava pronto a conficcargli nel cuore, Vlad teneva a lui. Inoltre cambiare atteggiamento avrebbe potuto insospettire il ragazzo, cosa che, in ultima analisi, l’avrebbe danneggiato. Una volta pronto, il giovane prese il Lucis dal cassettone e sgusciò fuori dalla sua stanza, passando per la biblioteca, e si accorse che dalla porta della camera di Nelly fuoriusciva una lama di luce. Aveva appena sceso i primi due gradini della scala, quando Amonet schizzò fuori dall’oscurità, artigliandogli la caviglia. «Amonet! Finiscila!» sibilò Vlad stizzito. Per tutta risposta, prima di precipitarsi al piano inferiore, la gatta gli rifilò un altro graffio sulla gamba. Il ragazzo si voltò istintivamente a guardare la porta della camera di sua zia. Era impossibile che non avesse sentito i passi di quella cicciona di Amonet rimbombare per le scale in quel modo. Eppure tutto taceva. Il giovane vampiro discese silenziosamente le scale e uscì dalla porta d’ingresso, certo che prima o poi Nelly si sarebbe accorta delle sue fughe notturne e lo avrebbe messo in punizione per l’eternità. All’esterno, la luce della luna aveva colorato l’asfalto di azzurro e gli alberi di un grigio inquietante e smorto. Faceva abbastanza caldo da non indossare la giacca ma, quando arrivò in centro, Vlad rimpianse di non averla portata con sé. C’era qualcosa di stranamente confortante nel contatto del denim contro la pelle, e durante quella camminata in direzione del cimitero il conforto era qualcosa di cui avrebbe avuto bisogno. Aveva percorso quella strada tre volte dalla morte dei genitori, una ogni anno. All’inizio aveva provato ad andare durante il giorno, ma c’era sempre troppa gente per i suoi gusti. Quindi aveva deciso di rendere omaggio ai suoi pochi minuti dopo la mezzanotte, in modo da restare solo con loro e poter piangere indisturbato qualora ne avesse voglia. Lanciando continue occhiate alle proprie spalle per essere sicuro che né Eddie Poe, né Joss lo stessero seguendo, si diresse fino all’estremità della città e si fermò proprio di fronte alle porte del cimitero. Accanto a ogni lato dell’entrata c’era un muretto basso di mattoni, e del ferro battuto ritorto formava un arco sopra il vialetto polveroso che conduceva all’interno. In cima all’arco delle lettere in grassetto indicavano ciò che partiva da lì, il VIALE DEL CIMITERO. Vlad non comprendeva il senso di quel nome: non c’erano altri viali a Bathory e quella specificazione sembrava inutile. D’altro canto, era certamente un nome onesto, anche se in qualche modo macabro, per un posto dove le persone seppellivano i loro morti. Il vampiro prese un respiro profondo, si scostò i capelli dal viso con la mano tremante e avanzò. Niente era peggio di quel dolore. Affrontare D’Ablo l’anno prima, subire l’attacco di Jasik, essere lontano da Otis, dover sfuggire a Joss e nascondersi da Eddie erano nulla in confronto. A metà del viale principale, Vlad si fermò per guardarsi intorno. Il cimitero era invaso dalle erbacce e dai rami degli alberi pendevano edera morta e muschio. Alla sua sinistra c’era una grande lapide a forma di parallelepipedo sulla quale giaceva la statua di una donna. In mano aveva una specie di corona. La luce della luna dava l’impressione che fosse viva e, con un brivido, il ragazzo aspettò con il fiato sospeso che si levasse dal suo scomodo giaciglio. Con suo immenso sollievo, non lo fece. Alla sua destra vide una pietra tombale a forma di libro e, accanto a essa, un’altra sormontata da una statua a forma di agnellino, sul cui musetto si era formata una chiazza di muschio che, nell’oscurità, faceva sembrare l’animale affetto da qualche strana malattia. Vlad si voltò e scorse la grande quercia ritorta che segnava il punto in cui erano sepolti i suoi genitori. Avanzò nel prato, attento a non passare sulle tombe. In parte perché gli sembrava piuttosto maleducato calpestare i resti di qualcuno – soprattutto se si trattava di gente che non avevi mai conosciuto – e in parte, pensò ingoiando il nodo che aveva in gola, perché aveva visto fin troppi film in cui i morti tornavano in vita. Erano solo film, e lui lo sapeva. Pura fantasia. Ma aveva comunque timore che qualcuno... o qualcosa squarciasse la terra e lo afferrasse per la caviglia. Fece qualche passo lento e incerto verso l’albero, guardandosi intorno, e poi la vide: la lapide dei suoi genitori. Era piccola e semplice. Sugli angoli superiori erano incise delle foglie d’edera, che incorniciavano l’iscrizione sottostante: A IMPERITURO RICORDO DI TOMAS E MELLINA TOD. Sotto c’erano le loro date di nascita, quella del matrimonio e quella della morte. In fondo c’era una semplice frase, che Nelly era stata abbastanza coraggiosa da scegliere al suo posto: CI MANCHERETE. Vlad s’inginocchiò davanti alla pietra tombale, spazzando via con la mano le foglie morte e la polvere che si erano accumulate nell’ultimo anno. Abbassò gli occhi e cercò in tutti i modi di non pensare all’ultima volta che li aveva visti o al fatto che i loro corpi fossero vari metri sotto la fredda terra consacrata. «La gente dice che con il tempo diventerà più facile», disse ad alta voce, le lacrime che gli solcavano il volto. «Be’, la gente è stupida. Non diventa mai facile, continuate a mancarmi. A volte mi chiedo se smetterà mai di fare tanto male.» Un animaletto corse fuori dagli alberi vicini e si fermò per rosicchiare qualche trifoglio appena germogliato. Il ragazzo lo guardò per un attimo, completamente immerso nei suoi pensieri. Rimase in quella posizione, rimuginando sul giorno in cui aveva trovato i corpi privi di vita dei suoi e riesaminando ogni dettaglio di quel periodo orribile della sua vita, finché i piedi non gli iniziarono a formicolare e dovette sedersi a terra. Dopo un tempo che sembrò infinito, si alzò e si tolse l’erba e la polvere dai jeans. Accarezzò affettuosamente la lapide e permise alle lacrime di scendere copiose sulle sue guance. «Mi dispiace. Mi dispiace di aver spento la vostra sveglia. Se ci fosse un modo per tornare indietro, lo farei.» Le spalle gli tremarono, scosse dai singhiozzi disperati. Dopo un po’ si asciugò la faccia con la manica e prese qualche respiro, cercando di reprimere la tristezza. Quando si fu calmato, sussurrò: «Ma non posso, e devo imparare a convivere con questa certezza». Quando uscì dal cimitero, si diresse verso casa sforzandosi di non pensare più ai suoi genitori. Si concentrò invece su Joss. Chiaramente doveva fare qualcosa a proposito del suo amico ammazzavampiri. Evitarlo o confidargli il suo segreto erano opzioni da non considerare. Gli restavano solo due alternative, nessuna delle quali molto allettante. Poteva attaccare Joss per primo e approfittare del vantaggio per spaventarlo a morte, oppure poteva ingannarlo, fingendo di aiutarlo nella ricerca del vampiro di Bathory. Qualche dritta sbagliata avrebbe potuto mandarlo fuori strada, ma l’idea di tradire un amico gli lasciava in bocca un gusto terribilmente amaro. Com’era quel detto sul fatto che bisognava tenere vicini i propri amici e ancora più vicini i propri nemici? Be’, era un buon consiglio. E poi c’era Eddie, un altro bel problema. Vlad avanzò tra gli edifici e sbucò di fronte alla sua vecchia casa, quella in cui aveva sempre vissuto da quando era piccolo fino a quando si era trasferito da Nelly. Si guardò indietro, stupito di essere arrivato fin lì senza essersene reso minimamente conto. Al buio, la dimora appariva vuota, desolata e triste. Il ragazzo si chiese se ci avrebbe vissuto mai più. Legalmente era sua, anche se Nelly avrebbe detenuto il diritto di proprietà al posto suo fin quando non avesse compiuto diciotto anni. A volte gli capitava di sognare a occhi aperti che un giorno l’avrebbe sistemata per andarci a vivere con la sua famiglia. In altri momenti desiderava semplicemente che si ripiegasse su se stessa, accartocciandosi fino a scomparire, salvo poi ricordare qualche piccolo particolare sui suoi genitori. Allora le lacrime scorrevano libere, lavando via i pensieri oscuri e rammentandogli che c’era una ragione se quell’edificio stava ancora in piedi: era il simbolo della sua famiglia e neppure la morte avrebbe potuto portarglielo via. Dall’altra parte della strada un uomo stava avanzando verso la casa. Si fermò e si girò, come per verificare che non ci fosse nessuno che lo stava spiando nell’oscurità. Vlad si nascose dietro un albero e attese qualche secondo prima di lanciare un’occhiata. Conosceva quell’uomo, era Jasik, il vampiro che lo aveva morso. Lo osservò salire in veranda, aprire la porta ed entrare. Era appena sparito oltre la soglia, che il giovane si precipitò dall’altra parte della strada. Il cuore gli picchiava forte contro le costole, eppure qualcosa di più profondo, di più oscuro, lo spingeva ad andare avanti. Doveva vedere cosa stesse facendo l’altro vampiro nella sua vecchia casa, doveva vederlo e basta. Aveva sperato che il suo primo incontro con Jasik sarebbe stato anche l’ultimo ma, chiaramente, non era così. Vlad fece il giro dell’edificio, avanzando di soppiatto, e si affacciò alla finestra della sala da pranzo: sembrava vuota. L’intruso doveva essere salito al piano di sopra. Con mano tremante aprì la porta sul retro e la richiuse dietro di sé. Tutti i film dell’orrore che aveva visto gli dicevano che era una pessima idea, ma avanzò comunque in silenzio, cercando di tenere a freno la propria paura. L’ambiente era interamente impregnato dall’odore di cenere e fuliggine, anche se l’incendio che aveva ucciso i suoi si era propagato solo nella loro stanza da letto. Il ragazzo cercò in tutti i modi di non guardare altro che i propri piedi, ma fallì miseramente. Sul tavolo c’era la ventiquattrore di suo padre, coperta da uno strato di ragnatele e polvere. Tutto in quella casa appariva intatto, nonostante il passare degli anni. Ogni volta che entrava lì dentro, per Vlad era come tornare indietro nel tempo. Avanzò con passo felpato sul pavimento di legno e poi salì le scale, le orecchie pronte a cogliere qualunque movimento di Jasik. In fondo al corridoio, nello studio di suo padre, riuscì a sentire il vampiro che si muoveva. Sembrava che stesse aprendo e chiudendo i cassetti della scrivania. Il giovane sgusciò nel corridoio per dare un’occhiata più da vicino, quando l’intruso uscì dallo studio e si diresse verso la camera da letto padronale. Vlad si fermò di colpo e si preparò a scappare, convinto di essere stato visto ma, con sua grande sorpresa, il vampiro non lo notò. Dopo un sospiro liberatorio, mosse con cautela qualche passo lungo il corridoio e si nascose in uno degli angoli più bui, accanto a un grande orologio a pendolo. La porta della camera da letto era aperta, per cui riuscì a vedere Jasik che sfrecciava di qua e di là, lasciando cadere alcune cose che doveva aver portato con sé all’interno di una cartella di pelle. Lo sentì imprecare ad alta voce in una lingua sconosciuta e il ragazzo si chiese se potesse trattarsi del codice di Elysia. Non che avesse importanza. Quello che contava veramente era perché avesse imprecato. Il vampiro continuò ad aggirarsi nervosamente per la stanza, mugugnando ancora sottovoce in quella strana lingua. Passò le dita lungo varie parti del muro e poi riprese a tirar fuori rabbiosamente le sue cose dalla borsa. Quello spettacolo avrebbe anche potuto risultare divertente se, dalla tasca della camicia, Vlad non avesse visto far capolino una provetta, probabilmente la stessa in cui il vampiro aveva sputato il suo sangue tre mesi prima. Il ragazzo pensò di introdursi nella mente di Jasik, ma era quasi certo che in quel modo avrebbe rivelato la sua presenza. Se lui riusciva a percepire quando Otis cercava di leggergli nel pensiero, sicuramente anche quello strano tipo se ne sarebbe accorto. In quel momento l’intruso s’infilò di nuovo la giacca e prese la sua ventiquattrore. Poi si fermò per un attimo, come se fosse in ascolto. Vlad si premette una mano sulla bocca e rimase immobile, ma il vampiro si voltò verso il corridoio. Era stato scoperto e sapeva che probabilmente non sarebbe andato via senza pagare un altro tributo di sangue, eppure non si mosse, non respirò. Jasik aveva percorso il corridoio fermandosi vicino al grande orologio a pendolo, quando dalla sua tasca iniziarono a provenire le note della Quinta Sinfonia di Beethoven. Il vampiro prese un cellulare e se lo portò all’orecchio. «Pronto?» Ci fu una pausa mentre ascoltava. «Ho il sangue del ragazzo, ma non il Lucis. Sto tornando a Elysia adesso», disse allontanandosi dal nascondiglio di Vlad e abbassando la voce. «Non importa. Da quello che ho letto negli appunti di Tomas, non è neppure a Bathory.» Un’altra pausa, poi un sospiro. «Pensavo che suo figlio potesse condurmi fino a esso, ma è chiaro che non ne sa niente, per cui non c’è bisogno di prolungare ulteriormente la sua vita.» Jasik mormorò qualcosa che il ragazzo non riuscì a sentire, poi premette un pulsante e si mise di nuovo il telefono in tasca. Con la valigetta in mano, scese le scale senza dire una parola. Vlad rimase all’erta finché non sentì la porta d’ingresso che sbatteva, poi tirò un profondo sospiro di sollievo. Si trattava però di un sollievo momentaneo, visto che il vampiro aveva intenzione di ucciderlo. Dopo una rapida ricerca nello studio, il ragazzo si fermò sulla soglia della camera dei suoi genitori. Da quando erano morti non vi era più entrato, ma, se Jasik aveva lasciato lì qualche tipo di indizio su chi fosse e cosa volesse fare del suo sangue, quello non era certo il momento per indugiare nei ricordi, per quanto dolorosi. Vlad entrò e si sforzò di guardare i resti bruciacchiati della stanza. Attraverso le imposte dell’unica finestra la luce della luna filtrava all’interno. Il chiarore era sufficiente perché il giovane potesse avere una discreta visuale della camera e dei resti del letto in cui, un tempo, sua madre e suo padre avevano dormito. Non notò nulla che sembrasse insolito o fuori posto, ma era indubbio che stesse succedendo qualcosa, e lui doveva scoprire di cosa si trattasse. Anche se ciò significava recarsi nel cuore di Elysia senza la guida e la protezione di Otis. 20 UN NEMICO RIVELATO Vlad si concentrò sulla parte centrale del proprio corpo e ordinò ai suoi piedi di staccarsi da terra. Dopo qualche secondo stava fluttuando davanti alla finestra della stanza di Henry. Il suo amico era a letto e stava russando a tutto spiano. Il vampiro diede un colpetto al vetro e lo chiamò. Lui grugnì e rotolò su un fianco, la mano che penzolava fuori dal letto. «Henry, svegliati!» lo chiamò Vlad picchiando forte contro il telaio della finestra. Il ragazzo scattò a sedere sul letto e si stropicciò gli occhi. Dopo essersi guardato intorno per un attimo, vide l’amico fuori dalla finestra e avanzò barcollando e soffocando uno sbadiglio. «Ehi... questo film l’ho già visto. Un vampiro fluttua fino alla finestra, un ragazzo lo invita a entrare e, dopo essersi fatto succhiare via tutto il sangue, diventa a sua volta una creatura della notte», disse aprendo la finestra e rivolgendo al coetaneo uno stanco sorriso di sfida. «Non ci penso proprio a invitarti a entrare.» «Amico, spostati», fece l’altro roteando gli occhi. Henry si fece indietro e si stiracchiò le braccia, soffocando un altro sbadiglio. «Lo sai, qualcuno di noi dorme quando il sole tramonta.» «Già, ma qualcuno di noi è alle prese con oscure trame che riguardano Elysia... e il suo sangue», disse il vampiro scavalcando il davanzale della finestra. «Che vuoi dire?» domandò Henry, improvvisamente serio. Vlad frugò nel cassettone dell’amico e gli lanciò una maglietta. «Ti ricordi di quel vampiro che mi ha morso? Ha sputato un po’ del mio sangue in una provetta che aveva con sé. E stanotte l’ho beccato nella mia vecchia casa. Mi serve un passaggio fino a Stokerton, così potrò scoprire perché.» L’altro lo fissò a bocca aperta. Il vampiro lo ignorò e gli lanciò un paio di jeans. «Hai intenzione di aiutarmi o no?» «Ti sei dimenticato che nessuno di noi due sa guidare un veicolo a motore?» Vlad si era inginocchiato per tirare fuori le scarpe di Henry da sotto il letto e, quando finalmente ci riuscì, le lanciò ai piedi dell’amico. «Certo che lo so, ma Greg sa guidare.» «E tu mi hai svegliato perché...» «Ho bisogno che tu lo tenga occupato mentre io vado a Elysia.» «Da solo? Ma sei impazzito? Non dovresti avvicinarti a quel posto senza Otis.» «Non ho molta scelta. Forse mio zio non riceve le mie lettere e, qualunque cosa stia facendo questo tizio, la sta facendo adesso. Ti prego, sveglia Greg e chiediglielo, okay?» supplicò il vampiro. Henry s’infilò la maglietta dalla testa e uscì silenziosamente in corridoio. Entrò nella stanza del fratello e, dopo una conversazione sussurrata, questi venne fuori con l’aria intontita, grattandosi la testa perplesso. «Che succede, Vlad? Henry dice che hai bisogno di un passaggio a Stokerton o una cosa del genere.» Dietro di lui l’amico fece spallucce. Avrebbe dovuto inventarsi qualcosa da solo. «Sì, è così. Mi puoi aiutare?» si limitò a dire. «Be’, non senza un buon motivo. Quindi, vuoi spiegarmi?» ribatté l’altro incrociando le braccia davanti al petto. Ancora una volta lo sguardo di Vlad si posò su Henry e, ancora una volta, questi scosse la testa, incapace di aiutarlo. Allora disse la prima cosa che gli passò per la mente: «Venti bigliettoni». «Un buon motivo. Diciamo trenta e affare fatto», rispose Greg con un ghigno soddisfatto. Il vampiro tirò fuori due banconote dal portafogli e gliele porse. «Incontriamoci fuori tra dieci minuti. Dammi solo un attimo per vestirmi. E fate silenzio: se mamma e papà ci beccano, siamo tutti nei guai», bisbigliò il ragazzo più grande, prima di uscire dalla stanza. Qualche minuto dopo erano in macchina diretti a Stokerton. Greg faceva un sacco di odiose domande sulla ragazza che Vlad stava andando a incontrare di nascosto, perché – aveva dedotto – doveva esserci di mezzo una ragazza. Del resto quella era l’unica cosa che potesse valere trenta bigliettoni e due ore di macchina. Per la maggior parte del tempo il vampiro lo ignorò, aiutato da Henry che cercava di distrarre il fratello con qualche domanda sull’imminente inizio del campionato dei Bathory Bats. Quando finalmente arrivarono a Stokerton, Vlad guidò Greg per la città finché non si fermarono davanti a un palazzo di tredici piani pieno di uffici che il giovane aveva visto molte volte in sogno. «Aspettate qui», disse scendendo dall’auto, ignorando accuratamente lo sguardo preoccupato del suo migliore amico. L’ultima volta che erano stati lì, il ragazzo lo aveva visto lottare all’ultimo sangue con D’Ablo. Girato l’angolo, il vampiro raggiunse il buco nel muro accanto al cassonetto della spazzatura e ci scivolò dentro. Il tunnel era angusto e lurido, proprio come se lo ricordava. Avanzò strisciando finché non raggiunse il condotto metallico che portava all’inceneritore, vi s’intrufolò e aprì la grata che conduceva a una delle celle di detenzione di Elysia. Mentre si issava all’interno dell’opprimente locale, gli venne in mente che, se la porta fosse stata chiusa, la sua impresa sarebbe stata vana, oltre che stupida. Per fortuna non lo era e si aprì agevolmente. Procedette lungo il corridoio e, dopo essere rimasto in ascolto per un attimo, entrò nella sala vuota del Consiglio. La attraversò e, sforzandosi di ricordare come arrivare ai piani superiori, aprì l’ennesima porta. Proprio in quel momento, Jasik attraversò il corridoio ed entrò in ascensore. Vlad vide i numeri salire fino al tredici e fermarsi, poi premette il pulsante e attese che l’ascensore tornasse al piano. Quando le porte si aprirono, lui entrò nell’abitacolo e – come aveva fatto suo zio un anno prima – poggiò la mano su un simbolo inciso nel legno, facendo sì che un pannello si sollevasse rivelando un’altra pulsantiera. Vlad premette il tredici e aspettò. Una volta giunto al piano, uscì e si guardò intorno alla ricerca dell’altro vampiro. In fondo al corridoio due grandi porte nere di legno lucido erano aperte e da esse fuoriusciva una luce dorata. Il giovane si avvicinò, scivolando silenziosamente lungo il muro, e si mise in ascolto. «E quindi?» Una pausa, poi un piccolo sussulto. «Eccellente, Jasik. E il ragazzo?» «Illeso, come mi avevi detto tu.» Vlad trattenne il fiato e fece capolino da dietro l’angolo. L’uomo che lo aveva aggredito era seduto su una poltrona accanto a una grande scrivania nera. Un altro individuo, in piedi davanti a una finestra, stringeva la provetta con il suo sangue in una mano. Nessuno dei due sembrava aver notato la sua presenza. L’uomo alla finestra raddrizzò le spalle, ma non smise di guardare fuori. «Bene, voglio assistere alla sua fine.» «Pensavo che tu credessi che fosse il Pravus», replicò Jasik alzando un sopracciglio. L’altro tacque, prima di rispondere con un tono sommesso, quasi tranquillo: «È così, ma devo anche portare delle prove a sostegno della mia tesi e, per farlo, devo ucciderlo». «E violare la legge più sacra?» «No, ho altri piani. Non credo mi ridarebbero la presidenza se uccidessi uno dei nostri simili.» «Certo che no», rispose Jasik con l’aria di chi si chiedeva se quello che aveva di fronte fosse o no un criminale. «E che succede se hai ragione e lui riesce a sopravvivere alla morte?» L’uomo si girò lentamente facendo gonfiare il suo lungo cappotto e i suoi guanti neri luccicarono sotto la luce. Indossava dei pantaloni scuri di pelle, ma sotto il cappotto era a petto nudo. Vlad rimase a bocca aperta di fronte al grosso buco che faceva bella mostra di sé all’altezza dello stomaco e dovette mettersi una mano sulla bocca per soffocare il grido che minacciava di erompergli dal petto. D’Ablo fece un sorrisetto compiaciuto al suo scagnozzo e sollevò la provetta. «Se sopravvive, sarò qui per prostrarmi ai suoi piedi.» Il giovane vampiro si ritrasse, la mano ancora premuta sulla bocca, per evitare di essere visto. D’Ablo era vivo. Com’era possibile? Ricordava ancora tutto distintamente: il vialetto buio, la terribile incertezza mentre gli puntava il Lucis e passava il pollice sul simbolo. Suo zio aveva detto che dovevano solo attendere che morisse. E Vlad era lì quando la vita lo aveva abbandonato. Eppure l’uomo nella stanza accanto era proprio D’Ablo e, sebbene fosse più piccolo, aveva ancora la terribile ferita allo stomaco che lui stesso gli aveva inferto l’anno passato. Il giovane fece nuovamente capolino dall’angolo. L’ex presidente del Consiglio di Elysia aveva aperto la provetta contenente il suo sangue ed era intento ad annusarlo, come un sommelier avrebbe fatto con un vino pregiato. A un tratto la sollevò, accennando un brindisi e, mentre la inclinava, aprì la bocca, lasciando che alcune gocce del liquido vermiglio gli bagnassero la lingua. D’Ablo assaporò il sangue per qualche istante, poi chiuse gli occhi e piegò leggermente la testa all’indietro. Vlad vide il suo pomo di Adamo alzarsi e abbassarsi mentre inghiottiva. L’ufficio era immerso nella quiete, come se persino l’aria avesse paura di muoversi. Il cuore del ragazzo batteva a un ritmo accelerato, pompandogli il sangue negli arti, ma il suo corpo era comunque intorpidito. Dopo quella che sembrò un’eternità, il silenzio fu rotto. All’inizio il suono fu impercettibile, come se un esercito di ragni stesse arrivando da molto lontano, ma la sua intensità non tardò ad aumentare. Il buco nello stomaco di D’Ablo cominciò a muoversi, piegandosi ai bordi sotto lo sguardo attonito e terrorizzato di Vlad. Una striscia di tessuti attraversò il diametro del buco, seguita da un’altra e poi da un’altra ancora, formando una strana rete di carne. Il buco che trapassava D’Ablo da parte a parte si stava chiudendo, mentre il rumore con cui aveva avuto inizio il processo si affievoliva. Avvenne tutto molto velocemente: le strisce di tessuti lasciarono il posto ai muscoli, che si unirono per formare gli organi. Gli organi furono coperti dalla pelle. Il rumore di ragni si spense: il vampiro era di nuovo tutto intero. Con movimenti cauti e silenziosi Vlad se la svignò lungo il corridoio, facendo quasi cadere un vaso di fiori nella fretta. L’oggetto oscillò, ma il ragazzo riuscì a bloccarlo e continuò a scappare. Le cose non sarebbero potute andare peggio. Lo zio era disperso, uno dei suoi migliori amici voleva ucciderlo e quello non era che l’inizio. D’Ablo era ancora vivo. E, a quanto sembrava, continuava a volere lui morto. Il giovane prese l’ascensore fino al primo piano e barcollò fuori dalla porta d’ingresso. Aprì la portiera della macchina e scivolò accanto a Henry. «Va tutto bene?» chiese il suo migliore amico aggrottando la fronte. Vlad scosse la testa una sola volta e poi si girò verso il finestrino, sperando che l’altro capisse e lasciasse perdere. C’era una sola persona con cui avrebbe voluto parlare del ritorno di D’Ablo ma, sfortunatamente, non rispondeva alle sue lettere da mesi. Al posto di guida Greg ridacchiò. «Ah, le donne. Ti danno sempre i segnali sbagliati, Vlad.» Durante il viaggio di ritorno rimasero tutti in silenzio e, a parte qualche sguardo preoccupato da parte di Henry, il vampiro fu lasciato da solo con i suoi pensieri. Non aveva idea di come D’Ablo fosse sopravvissuto alle lesioni inferte dal Lucis e si chiedeva come mai Otis non fosse al corrente del fatto che l’uomo fosse ancora vivo. E che diritto aveva lui di provare disgusto alla vista di un vampiro che si nutriva del suo sangue, quando lui stesso pasteggiava a sangue umano ogni giorno? A volte si sentiva proprio un ipocrita. Sprofondò nel suo sedile e guardò le luci della città scomparire. Ben presto non ci fu altro da vedere che stelle luccicanti e spazi aperti e bui. Quando gli avevano detto che il suo primo anno alle superiori sarebbe stato difficile, non avrebbe mai potuto immaginare fino a che punto quell’affermazione si sarebbe rivelata veritiera. Naturalmente nessun altro si trovava un mostro ritornato dalla morte alle calcagna o aveva un assassino come migliore amico. Vlad sospirò. Cosa avrebbe fatto con Joss? Non poteva dirgli la verità, non poteva correre il rischio di esporsi, non se il ragazzo minacciava di avvicinarglisi armato di paletto e succo d’aglio. E adesso, con D’Ablo che ordiva piani per porre fine alla sua esistenza... Bathory stava per diventare un posto davvero difficile in cui vivere. Forse sarebbe stato fortunato e Joss si sarebbe imbattuto in D’Ablo prima che quest’ultimo riuscisse a trovare lui. Quel pensiero gli strappò un sorriso. Poi però si trovò ad aggrottare la fronte, pensieroso. Dopotutto non era una cattiva idea. Se il suo amico cacciatore avesse ucciso D’Ablo, le cose si sarebbero risolte. Joss avrebbe avuto il suo vampiro e l’ex presidente del Consiglio di Elysia non gli sarebbe più stato addosso, ammesso che non resuscitasse anche stavolta. In più il ragazzo non sarebbe stato costretto a svelare il suo segreto anche a Joss, e tutti i problemi si sarebbero risolti senza l’intervento di Otis. Greg accese la radio. C’erano i Killers, che cantavano un motivo lento che ripeteva che tutto sarebbe andato bene. Vlad si appoggiò allo sportello e alzò lo sguardo verso le stelle, desiderando contro ogni logica che avessero ragione. 21 TU QUOQUE, JOSS? Vlad ansimò e lanciò a Mr Hunjo uno sguardo implorante colmo di disperazione, ma l’insegnante di educazione fisica doveva aver perso ogni capacità di provare compassione per un ragazzino mezzo morto, sempre che l’avesse mai avuta. «Muoviti, Tod. Alza quelle ginocchia», grugnì. Il ragazzo girò l’angolo senza eseguire il comando: se lo avesse fatto si sarebbe dato una ginocchiata sulla mascella. Joss lo raggiunse correndo, non era sudato quasi per niente. «Tutto okay, Vlad?» chiese. «No... morendo... Hunjo... maledetto...» rispose l’altro affaticato. Se i paletti e l’aglio erano le due armi principali per liberarsi di un vampiro, l’ora di educazione fisica doveva essere la terza. L’amico gli corse lentamente al fianco finché non si trovarono a passare di nuovo davanti al loro insegnante, poi bisbigliò: «Ci penso io». Prima che Vlad potesse anche solo rendersi conto di cosa stava succedendo, il ragazzo inciampò sulla pista. «Che fai? Stai bene?» chiese il vampiro precipitandosi al suo fianco. L’altro si limitò a fargli l’occhiolino mentre spostava il peso sulla gamba sinistra. «Il ginocchio», si lamentò. Mr Hunjo gridò: «Tod! Accompagna McMillan in infermeria». Assecondando l’insegnante, Joss mise un braccio sulla spalla dell’amico, che lo aiutò ad avanzare zoppicando verso il vestibolo. Non appena la porta della palestra si chiuse, l’infortunato lasciò andare il suo accompagnatore e riprese a camminare normalmente. «Ehi, tu sì che guarisci in fretta», commentò Vlad sorridendo. «Be’, ho salvato tutti e due. Te dalla morte e me stesso dalla disperazione.» Il vampiro prese un respiro profondo: era pronto. Aveva studiato il suo piano per due settimane intere senza trovarvi nessuna falla. Avrebbe funzionato. «Senti, Joss, posso parlarti un attimo?» Il giovane gli tenne la porta del bagno aperta. Sembrava molto stanco, probabilmente a causa della caccia notturna al mostro. «Certo, vieni nel mio ufficio», lo esortò. «Tutto a posto tra di noi? Ho pensato che fuggendo, l’altra volta, forse ho incrinato la fiducia che riponevi nei miei confronti.» «Tutto a posto, Vlad. Non è un problema. Solo non volevo che pensassi che sono una specie di pazzo che se ne va in giro ad ammazzare la gente.» «Non lo penso. Be’, sai, quello che mi hai detto qualche settimana fa su vampiri e assassini mi aveva convinto che tu fossi un po’ svitato. Ma dopo ieri sera... più o meno ti credo.» «Perché? Cos’è successo ieri sera?» chiese il cacciatore facendosi serio. Vlad si schiarì la voce e, volutamente, lasciò vagare lo sguardo. «Credo di aver visto un vampiro.» «Credi o lo sai? Ne dobbiamo essere sicuri.» «Ne sono sicuro. Aveva i denti affilati ed era molto pallido», disse il ragazzo con aria decisa, il pranzo che pesava sullo stomaco come una palla di piombo. «Potrebbe essere un succhiasangue», commentò Joss pensieroso. «Mi ha assalito e poi è saltato su una macchina diretto verso Stokerton», continuò il vampiro. Un’espressione terribile attraversò il viso dell’amico: uno strano miscuglio di curiosità, sorpresa e acume. Vlad era pronto a darsela a gambe, convinto di essere stato smascherato, quando il cacciatore chiese: «Lui ti ha assalito e tu sei riuscito a scappare?» Il vampiro annuì, sperando che il luccichio nello sguardo del compagno non fosse provocato dal sospetto. «Sono ammirato. Dopotutto potresti avere quello che ci vuole per fare l’ammazzavampiri», si complimentò il coetaneo. La campanella suonò e Vlad, con un sorriso forzato, fece strada fuori dal bagno e poi lungo il corridoio, fino allo spogliatoio. «E quindi che farai?» «Be’, hai detto che si è diretto verso Stokerton. Dirò a mia zia di portarci lì domani pomeriggio e andremo a caccia.» Il vampiro lo fissò. Non era sicuro di riuscire a sopportare la vista di un suo simile che veniva ucciso, neanche se si trattava di D’Ablo. «Andremo?» chiese allarmato. «Be’, sì. Voglio dire, tu sai com’è fatto. Senza contare che voglio mostrarti come si fa. Non mi capita spesso di poter fare sfoggio delle mie tecniche. Verrò da te stasera dopo cena e potremo concordare i dettagli», annunciò il cacciatore facendogli l’occhiolino. L’altro soffocò l’ondata di nausea che lo invase e annuì senza dire una parola. Infine aprì la porta dello spogliatoio, permettendo all’amico di entrarvi zoppicando. Per il resto della giornata Vlad cercò di togliersi dalla mente il pensiero che avrebbe guardato un altro vampiro morire. Quando arrivò a casa quel pomeriggio, non trovò nessuno. Nelly stava facendo di nuovo gli straordinari in ospedale. Lasciò lo zaino a terra e salì al piano di sopra. Spulciò tra gli scaffali della libreria, ma non trovò quasi niente sugli ammazzavampiri. A quanto pareva solo Bram Stoker aveva parlato di loro. Il ragazzo sbuffò. Dov’era Buffy quando serviva? Entrò in camera sua e si sedette sul letto, le gambe che fremevano per la tensione. Presto si sarebbe trovato di nuovo faccia a faccia con D’Ablo. No, Vlad. Smettila di pensarla in questo modo. Sarebbe stato Joss ad affrontare l’altro vampiro. Lui sarebbe rimasto nascosto dietro un cassonetto sperando di non essere visto. Forse fare un buco nello stomaco di un suo simile avrebbe dovuto dargli un po’ di fiducia in se stesso, ma la verità era che gli avvenimenti dell’anno passato lo avevano terrorizzato. Uccidere e fare del male a qualcuno non erano cose divertenti. Anche se la persona cui stavi facendo del male era assetata del tuo sangue. Andò in cucina, al piano di sotto, e prese una sacca di sangue dal frigo. Dopo averla aperta con i denti, versò il liquido dolce e appiccicoso in una tazza da caffè che infilò nel microonde per qualche minuto. Sua zia non sarebbe tornata a casa prima di qualche ora e, anche se lui non sapeva con precisione a che ora Joss si sarebbe presentato, era pronto a scommettere che lo avrebbe fatto dopo il ritorno di Nelly. Perciò, non avendo altro da fare che i compiti di algebra, si mise davanti alla televisione e brandì il controller della PlayStation. Avrebbe sfogato le sue recenti frustrazioni sul minaccioso re alieno. Qualche ora più tardi, dopo aver perso contro il computer quattro volte, spense il videogioco e si passò nervosamente una mano tra i capelli. In quell’istante sua zia varcò la soglia di casa portando un sacchetto della spesa. «Ciao, tesoro. Com’è andata oggi?» Vlad si fermò per un attimo a riflettere. Da una parte voleva raccontare tutto riguardo a Joss e D’Ablo a qualcuno che fosse in grado di proteggerlo, anche se in minima parte; dall’altra non voleva coinvolgere la donna. D’Ablo era pericoloso, troppo pericoloso per la sua tutrice. «Mah, non è successo quasi niente.» Fuori dalla finestra, il vampiro scorse Joss che entrava in veranda. Un attimo dopo suonò il campanello. «Nelly, vado a fare una passeggiata con Joss. Tornerò più o meno tra un’ora.» Prima che lei potesse rispondere, Vlad si era infilato le scarpe e lui e il compagno stavano già camminando lungo la strada. Il cacciatore sembrava distante, distratto. Quando i due ragazzi scambiarono le prime parole erano già in prossimità del confine di Bathory. «E quindi dove andiamo?» chiese il vampiro occhieggiando con aria sospetta lo zaino del compagno. «A fare una passeggiata. Ho una commissione inaspettata da sbrigare», tagliò corto Joss con aria un po’ tronfia. «Durante il mio appuntamento tu non dovrai farti vedere, poi concorderemo qualche manovra per domani.» Proseguirono superando la fattoria Barker e si addentrarono nel bosco per giungere di fronte a una collina in cui gli alberi cedevano il posto a una radura. Al centro di essa c’era un uomo vestito di nero. D’Ablo. Vlad si sentì raggelare. D’istinto afferrò l’amico per un braccio, tirandolo al riparo dietro un albero e provò a pensare a un modo rapido per scappare senza essere visti. Sarebbero potuti sgusciare via senza dire una parola, ma ciò avrebbe richiesto che Joss rimanesse in silenzio, senza fare neppure una domanda, cosa che Vlad non era sicuro di poter ottenere senza l’ausilio del controllo mentale o di una spiegazione convincente. A meno che, naturalmente, non desse il via prima del previsto al piano per la risoluzione di tutti i suoi problemi. «Ma che stai facendo?» domandò il cacciatore costringendolo ad abbandonare la presa sul suo braccio. Il vampiro fece capolino da dietro l’albero guardando D’Ablo e poi di nuovo Joss. Aveva in gola un nodo enorme, che gli impediva di parlare. «Hai visto quel tizio laggiù? È il vampiro.» Il suo compagno alzò gli occhi al cielo e uscì dal nascondiglio, catturando l’attenzione di D’Ablo. Vlad tentò di bloccarlo ancora una volta, ma senza successo. «Amico, senza offesa, ma io sono un assassino. Penso di saper riconoscere un vampiro. Senza contare che...» tentò di blandirlo Joss facendo un segno verso l’uomo, che per tutta risposta annuì. «È lui il tizio che mi ha ingaggiato.» Vlad guardò di nuovo D’Ablo: sorrideva tranquillo ma, a un certo punto, le sue labbra s’incresparono appena in un ghigno truce, così impercettibile da sfuggire agli occhi di Joss. Il giovane vampiro osservò l’amico che stava lì, ignaro di tutto, e comprese che, se non avesse fatto qualcosa, l’ammazzavampiri sarebbe diventato il successivo pasto dell’ex presidente del Consiglio di Elysia. Prese un respiro profondo e fece un passo in avanti nella radura, tenendo lo sguardo fisso su D’Ablo per tutto il tempo. «Hai ingaggiato un assassino?» chiese ostentando un coraggio che non provava. «Non ho avuto scelta. Credimi, ragazzo, sarebbe stato un piacere prendermi da solo la mia vendetta, ma, vedi, il nostro ultimo incontro mi ha causato dei danni fisici che mi sono costati la presidenza del Consiglio. L’anno scorso avrei avuto il diritto di ucciderti secondo le leggi di Elysia. Quest’anno – visto che il Consiglio insiste nel dire che sei un vampiro, e in quanto tale devi essere interrogato e processato – ucciderti sarebbe illegale e, se voglio recuperare la mia carica, non posso fare nulla che vada contro il volere del Consiglio. Se lo facessi sarei condannato a morte e a me piace vivere», spiegò D’Ablo con un sorriso di sfida. «Il Lucis è la più efficace arma contro i vampiri. Sono stato fortunato. Se tu l’anno scorso avessi saputo davvero ciò che è in grado di fare e l’avessi puntato un po’ più in alto, adesso probabilmente non staremmo qui a parlare. Certo, se non fosse stato per il tuo sangue, sarei rimasto ferito e menomato per tutta la vita. Mutilato», aggiunse, lo sguardo per un attimo turbato. Poi gli angoli della sua bocca si sollevarono nuovamente e gli occhi brillarono alla luce della luna. «A quanto pare devo esserti grato, il sangue del Pravus ha un enorme potere cicatrizzante.» «Non sono il Pravus», ribatté il giovane con voce incerta. Ormai persino per lui era difficile credere a quelle parole. «Oh, io credo che tu lo sia e neppure tu puoi negare che questa possibilità esista.» Vlad si sentì mancare. D’Ablo aveva ragione, per quanto lui volesse negarlo, quell’eventualità c’era. «Se sono il Pravus, questo vuol dire che sono un vampiro. Perciò perché non mi porti davanti al Consiglio per farmi interrogare e processare per i miei crimini? O vuoi catturarmi e conservare il mio sangue?» chiese il ragazzo con aria trionfante dopo aver pesato accuratamente le parole. «No, non voglio catturarti e non posso ucciderti con le mie mani, ma posso farlo fare a un ammazzavampiri ribelle. È molto semplice: devo provare che sei il Pravus e l’unico modo per farlo è ucciderti. Tu hai quello che voglio e farti processare dal Consiglio non me lo darà», rispose l’altro vampiro sibillino. «Cosa vuoi?» chiese allora Vlad, fissandolo negli occhi. D’Ablo fece un passo in avanti e il suo viso fu attraversato da un sorriso diabolico. «In ultima istanza? Prendere il tuo posto come Pravus. Purtroppo, per farlo mi occorrono tre oggetti... e, naturalmente, la tua vita.» Il ragazzo indietreggiò di un passo senza replicare. Il suo cuore era diventato spaventosamente silenzioso come se, non facendo movimenti improvvisi, potesse evitare di essergli strappato dal petto. La risata dell’ex presidente del Consiglio di Elysia risuonò metallica e inquietante. «Se sei il Pravus, come io credo, dovrò ucciderti per completare un particolare rituale. Prima però dovrò entrare in possesso delle istruzioni necessarie a svolgerlo nel modo corretto. Se stasera riuscirai a sopravvivere, tornerò a prenderti. Non posso permettermi di tenerti prigioniero fin quando non troverò il passo che sto cercando. Potrebbero volerci degli anni, anche se spero di riuscirci molto prima. Certo, non è un metodo sperimentato, ma i testi che ho studiato insistono sul fatto che, una volta che la cerimonia sarà completa, sarò io a regnare sui vampiri e a schiavizzare gli esseri umani e tu... tu marcirai», sentenziò con disprezzo. Poi rimase in silenzio, come per consentire a Vlad di rendersi conto della gravità della situazione, e fece un cenno a Joss, che per tutto quel tempo era rimasto immobile, come se fosse vittima di un sortilegio. Quando il ragazzo lo ebbe raggiunto, ricominciò a parlare. «Tra un attimo il nostro caro assassino cercherà di toglierti la vita. Se sopravvivrai, avremo la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, che sei il Pravus. Allora gli scettici, i milioni di vampiri che insistono nel dire che la profezia non è altro che una favola, finalmente crederanno e, una volta che sarò il nuovo Pravus, saranno costretti a seguirmi. Obbediranno alla mia legge, ai miei voleri, senza osare contraddirmi. Niente più Consigli, pratiche, difficoltà. Dominerò su tutti i vampiri con pugno di ferro!» esclamò in preda all’esaltazione. «Se morirai, invece, vorrà dire che mi sbagliavo sul tuo conto. Un peccato, davvero, ma certo non ne soffrirò. In ogni caso, io cadrei in piedi.» Vlad aveva la bocca completamente secca. Anche se quella notte fosse riuscito a sopravvivere, D’Ablo avrebbe continuato a dargli la caccia per ucciderlo. Doveva mettere fine a quella storia. Scappare era fuori discussione, a meno che non fosse riuscito a correre abbastanza lontano da raggiungere Otis. Quello, però, avrebbe richiesto un piano di fuga. E non solo da D’Ablo. Spostò lo sguardo su Jasik, che era fermo alle spalle dell’uomo di cui aveva eseguito gli ordini. Dopo essersi passato la mano sulla tasca, il ragazzo si rilassò: aveva ancora il Lucis con sé. Sarebbero bastati un tocco e una buona mira per mettere fine a quella storia, ma gli occorrevano tempo... e distanza. Sollevò i piedi da terra e fece un passo all’indietro. «Otis ha detto che tu e mio padre eravate amici.» «È così, ma Tomas è morto. Quale regalo più grande potrei fargli che mandare suo figlio da lui?» «Come sapevi che Joss mi avrebbe portato qui?» domandò Vlad indietreggiando ancora. Altri due passi e sarebbe stato abbastanza lontano da fare un bel buco nel petto di D’Ablo, mandando a rotoli il suo sordido piano. Certo non aveva la più pallida idea di come avrebbero reagito Jasik e Joss dopo... «Parli come se instillare un suggerimento nella testa di un umano fosse complicato», lo schernì il suo nemico. «Non lo è. Come non è difficile cancellare dalla sua mente il fatto che io e Jasik apparteniamo alla specie cui lui dà la caccia o tenerlo buono mentre noi scambiamo due chiacchiere.» «Allora perché hai aspettato un anno intero? Bathory non è una metropoli, trovarmi non sarebbe dovuto essere un problema.» Un altro passo, ancora uno e D’Ablo avrebbe smesso di sorridere. «Per quanto tu sia importante, sire», lo apostrofò l’uomo con una buona dose di sarcasmo, «la mia guarigione non basterà a riottenere la presidenza. D’altro canto, se portassi al Consiglio nove mesi di registrazioni che documentino le procedure e la posizione della Società degli Ammazzavampiri, verrei riaccolto in fretta e a braccia aperte, te lo assicuro.» «Quindi ti sei ridotto a fare il leccapiedi?» lo punzecchiò il giovane. «Adesso basta. È tempo che affronti il tuo destino, Vladimir Tod», lo zittì D’Ablo infastidito. Il ragazzo si mise la mano in tasca e prese il Lucis. Lo tese in avanti e lo puntò direttamente verso il petto del suo nemico. «Non così in fretta», sibilò. L’uomo aprì la bocca e rise. La sua risata era bassa, strana e raggelante, come se sapesse qualcosa che Vlad ignorava. Il giovane vampiro passò il pollice sul simbolo all’estremità del Lucis e aspettò che il consueto raggio bianco e luminoso si propagasse dall’altra estremità. Ma non successe nulla. Provò di nuovo, ma il Lucis si rifiutò di rispondere. Era come se fosse rotto. La risata di D’Ablo si fece più forte. «Avresti dovuto ascoltare il consiglio di tuo zio riguardo all’importanza di portare il Lucis sempre con te, Vladimir. Per quello che ne sai tu, qualcuno potrebbe essersi introdotto nella tua stanza mentre eri a lezione di biologia, e potrebbe aver preso il Lucis dal cassettone. Magari ha anche sostituito il tuo Lucis con un falso.» A quel punto Jasik ghignò ed estrasse l’arma, quella vera, dalla sua tasca. Il cuore di Vlad accelerò mentre lui lasciava cadere a terra l’inoffensiva riproduzione e il panico minacciò di sopraffarlo. Raggiunse Joss, gli mise una mano sulla spalla e sussurrò: «Amico, hai ancora quella cassetta nello zaino?» Ma il compagno non lo stava ascoltando. Aveva gli occhi fissi sul suo polso. Il giovane, rendendosi conto che il suo tatuaggio stava brillando, ritrasse la mano. Aprì e chiuse la bocca, non sapendo cosa dire per spiegare a Joss la presenza di quello strano segno luminoso. «Per tutto questo tempo hai finto di essere mio amico ed eri uno di loro?» domandò l’ammazzavampiri pieno di sdegno, allontanandosi di scatto, improvvisamente libero da qualunque incantesimo lo avesse tenuto fermo e zitto fino a quel momento. Con gesti decisi aprì la sua cartella e ne estrasse una cassetta di legno, che dischiuse con grande cura. «Non vorrei farlo. Non hai idea di quanto sarà difficile spiegare la tua morte a Henry.» Vlad guardò Joss incredulo: uno dei suoi più cari amici stava per attentare alla sua vita. Elaborò scuse su scuse tra sé, ma nessuna sembrava neppure lontanamente sensata. Per cosa doveva scusarsi poi? Non era lui quello in torto. Era sul punto di dirlo quando qualcosa richiamò la sua attenzione. Joss sembrava ignorare la presenza degli altri due vampiri... quasi gli fosse stato imposto di concentrarsi solo su di lui. Alle spalle del cacciatore, Jasik passò il Lucis a D’Ablo. Quest’ultimo sorrise e se lo infilò in una tasca interna della giacca. Poi, sottovoce, disse: «E così ho due delle cose che mi servono. La terza l’avremo in men che non si dica». Quando la punta di un paletto scintillò alla luce della luna, Vlad ritrovò la voce. «Henry lo sa.» «Cosa? Che intendi? Gli hai detto che sono un assassino?» domandò Joss confuso. L’altro scosse la testa, continuando a spostare lo sguardo dall’arma ai due vampiri alle loro spalle. «Sa cosa sono. Lo sa fin da quando avevamo otto anni. Tiene il segreto per me, e anche Nelly. Quindi, come vedi, a Bathory nessuno è mai stato in pericolo per colpa mia. Io bevo il sangue che viene donato all’ospedale, non mi nutro mai dalla fonte. So che pensi che i vampiri siano mostri malvagi, ma io non lo sono. Sono diverso.» «Stai mentendo, Henry mi dice tutto», replicò il giovane sospettoso. «Non questo.» Alle spalle di Joss, D’Ablo sussurrò qualcosa a Jasik, che annuì. Vlad iniziò a concentrarsi fino a farsi venire il mal di testa, ma non riuscì a leggere i pensieri di nessuno dei due. Poi, sforzandosi quanto più poteva, disse mentalmente a Otis: «Aiutami, zio! D’Ablo è vivo! Mi senti? È vivo e sta cercando di uccidermi!» Non ci fu nessuna risposta. «Se mi uccidi, Henry scoprirà che sei un assassino. Tutta la tua famiglia lo scoprirà», insistette il giovane vampiro indietreggiando velocemente. Joss si avvicinò, deciso a non lasciarlo scappare. Nei suoi occhi non c’era più neppure un pizzico di bontà. «Sopravvivrò», disse gelido. «Ma tu no.» Senza attendere oltre, il cacciatore scagliò il paletto in avanti. Il vampiro lo schivò, sfrecciando verso la radura, poi si girò verso il suo aggressore e lo implorò: «Non devi farlo, Joss. Pensaci. Chi è il vero mostro qui? È D’Ablo che ha organizzato tutto. Io e te siamo amici». Gli occhi dei due ragazzi s’incontrarono per un istante e Vlad si concentrò, riuscendo a penetrare nella mente dell’altro. Joss strinse il paletto tra le mani. Amici o no, doveva farlo, doveva uccidere quel mostro per salvare Cecile. Lei era morta, certo, ma, ogni volta che toglieva di mezzo un altro vampiro, sentiva che l’anima di sua sorella diventava più leggera. La stava liberando dal dolore come non era riuscito a fare negli ultimi istanti della sua vita. Un attimo, però... lui voleva bene a Vlad. Come poteva togliere la vita a qualcuno che aveva difeso dai bulli e che sapeva cosa voleva dire perdere una persona cara? Non poteva... non poteva farlo. Il giovane vampiro abbandonò la sua mente e attese, sperando che presto sarebbe finito tutto. O almeno che lui e Joss avrebbero lottato fianco a fianco, affrontando insieme D’Ablo. L’amico rimase immobile per un attimo, rimuginando sui pensieri che Vlad gli aveva indotto. Poi, scuotendo la testa, prese una provetta dalla scatola e ne aprì il tappo. Aveva gli occhi chiari, freddi. «Sei un succhiasangue. E io non posso lasciarti vivere.» Il vampiro guardò la boccetta terrorizzato. Succo d’aglio. Perfetto. Si concentrò di nuovo, provando ancora una volta a manipolare i pensieri del ragazzo. Un dolore lancinante attraversò la testa del cacciatore, come se nel suo cervello si stesse svolgendo un tiro alla fune. Nel tentativo di riprendere il controllo, si concentrò sul messaggio più immediato che la sua mente gli stava gridando. UccidiVladUccidiVladUccidiVladUccidiVlad... Strinse la provetta e rimase immobile, gli occhi puntati sulla belva. Il mostro che era uguale alla creatura che gli aveva tolto la sua Cecile. UccidiVladUccidiVladUccidiVladUccidiVlad... Mostro? Ma quello era Vlad. Uno dei suoi due unici amici. Se non altro poteva parlare con lui, magari aiutarlo a respingere l’attacco di quegli altri bastardi. Il vampiro uscì di nuovo dalla mente di Joss e guardò D’Ablo, certo che stesse controllando i pensieri del suo amico. Si schiarì la voce, non sapendo se la sua abilità nel controllo mentale sarebbe stata sufficiente a dissuadere l’ammazzavampiri, e spostò di nuovo lo sguardo sulla fiala di vetro. «E tu mi uccideresti solo perché un tizio ti ha detto di farlo? Uno che, tra parentesi, è un vampiro.» L’altro ragazzo si morse le labbra e gli lanciò un’occhiata furiosa, stringendo la presa sia sulla fiala sia sul paletto. «Lo faccio perché è la cosa giusta da fare. Non me ne importa niente di chi è lui. Questo va oltre il senso del dovere. Si tratta di una questione personale.» «Sei impazzito», mormorò Vlad attonito. Joss spostò il braccio all’indietro e lanciò la fiala in aria: il contenuto scese come una pioggerellina fitta. Il vampiro si abbassò, ma qualche goccia atterrò comunque sulla sua pelle nuda, spingendolo ad agitare freneticamente il braccio. Solo dopo si rese conto che il liquido non stava avendo su di lui nessun effetto. Si annusò la pelle e tirò un sospiro di sollievo: non era succo d’aglio. Per un attimo Joss spalancò gli occhi, inorridito. Vlad raccolse la fiala da terra, l’etichetta consunta diceva ACQUA SANTA. Il ragazzo scosse la testa e si lasciò sfuggire una risatina. Gettò di nuovo la provetta a terra e guardò negli occhi Joss: il suo amico, il suo nemico. «Ti avverto che non funzionerà neppure la croce. Sono solo miti, proprio come l’idea che tutti i vampiri siano malvagi.» «Ma questo funzionerà eccome», disse il cacciatore, sollevando il paletto. Con il cuore che gli batteva all’impazzata, Vlad osò fare un passo in avanti. «Pensi di sapere molto su di me e su quelli come me, ma non è così. Pensi che siamo tutti mostri senza cervello e senza cuore. Be’, non lo siamo. Siamo persone, Joss, con una famiglia, degli amici, delle idee, una vita! Come tra gli umani, alcuni di noi sono cattivi», disse lanciando un’occhiata a D’Ablo. «Ma non siamo tutti così. Io non sono così.» «Pensi di essere l’unico a essere stato tradito qui? Tu stai mentendo a tutti! Nessuno a Bathory sa quanto tu sia pericoloso», sibilò Joss abbassando il paletto, come se avesse deciso di conficcarglielo sotto le costole. Fu allora che la rabbia di Vlad esplose. Prima di avere il tempo di riflettere strappò il paletto dalla mano del suo compagno di scuola e lo scagliò a terra. «Come puoi essere mio amico e, un attimo dopo, mio nemico? Non è giusto! Non va bene! Vampiro o no, sono la stessa persona che ero ieri, lo stesso cui hai chiesto di accompagnarti qui stanotte. Io non sono cambiato. Perché tu sì?» Le lacrime minacciarono di scendergli lungo le guance, ma lui cercò di trattenerle in tutti i modi. «Non sono un assassino.» Gli occhi di Joss erano fissi sui suoi e la sua voce tremò quando disse: «Non avevo mai visto degli occhi viola prima d’oggi. Neppure in un vampiro. Che genere di mostro sei?» Vlad rimase immobile per un attimo, preso alla sprovvista dal tono del coetaneo. Pareva impressionato ma, soprattutto, spaventato. A quanto sembrava i suoi occhi erano diventati un’altra volta iridescenti. Guardò D’Ablo e Jasik, che si erano fatti indietro per godersi lo spettacolo. Avevano un’aria estremamente compiaciuta. La rabbia lo abbandonò in un attimo e, quando guardò il suo amico, lo fece con un’espressione implorante. «Non devi farlo. Non toglieresti di mezzo un mostro, ti libereresti di un amico. Ti prego... non lo fare.» Joss abbassò lo sguardo verso il paletto e una lacrima gli scese lungo la guancia, per poi cadere al suolo. «So che è stata dura trasferirsi in continuazione, cercare di farsi sempre nuovi amici. Be’, uno lo hai trovato: sono io. Noi due siamo amici.» Vlad sapeva che avrebbe potuto insinuarsi nella mente dell’altro ragazzo per vedere cosa stava pensando, ma non voleva. Invece guardò... e aspettò. «Uccidilo.» La voce di D’Ablo risuonò ferma e roca. Il giovane vampiro si fece rapidamente indietro, dimenticandosi di Joss per un attimo. Frattanto Jasik sbucò dal nulla e lo afferrò per le braccia, bloccandolo. Vlad si liberò di lui scattando in avanti e si mise a correre verso gli alberi. Poi si fermò di colpo. Vide scorrere nella sua mente immagini di D’Ablo e Jasik che succhiavano il sangue di Joss fino all’ultima goccia. Ma quelli non erano i suoi pensieri. Era stato qualcuno a metterglieli in testa. Guardò D’Ablo, che annuì. Se fosse scappato, avrebbero ucciso Joss prima di dedicarsi a lui. Non poteva permettere che accadesse. Quel ragazzo era suo amico anche se aveva le idee un po’ confuse in fatto di vampiri. «Non deve andare così, Vladimir. Non c’è bisogno che il tuo amico soffra», disse D’Ablo. Il giovane si passò la lingua sui denti che, senza che lui se ne accorgesse, erano usciti dalla loro sede. «Otis vendicherà la mia morte. Non hai idea di ciò che ti attende se muoio.» «Correrò volentieri questo rischio», replicò l’altro con un sorriso. L’aria abbandonò i polmoni di Vlad e lo stomaco gli si strinse. Dietro di sé gli sembrò di sentire Joss che sussurrava: «Per te, Cecile». Poi un colpo fortissimo lo colpì alla schiena. Il tempo rallentò fin quasi a fermarsi. Mentre crollava in ginocchio, il vampiro voltò la testa. Il cacciatore era dietro di lui, turbato, ma trionfante. Vlad cercò di prendere un respiro profondo, ma l’aria si rifiutò d’entrare e un liquido caldo sembrò ribollirgli nel torace. D’Ablo era inginocchiato davanti a lui e lo stava osservando con interesse. Il ragazzo abbassò lo sguardo con enorme sforzo e vide uno spuntone argentato scintillare nel bel mezzo del suo petto. Avvicinò la mano e lo toccò. Il paletto. Joss lo aveva impalato. Sbatté le palpebre. Gli occhi gli si chiudevano da soli, ma si sforzò di riaprirli. I suoi vestiti erano inzuppati di qualcosa il cui odore gli fece brontolare lo stomaco. L’assurdità della situazione lo fece quasi ridere, ma poi tossì e un dolore lancinante gli squarciò il petto. Il suo sguardo si posò su Joss e si accorse che Jasik gli si stava avvicinando furtivo. Tossì di nuovo ma, nonostante la sofferenza che stava provando, non pianse. Aprì le labbra sporche di sangue e riuscì a sussurrare: «Joss. Dietro...» Ma l’aria non c’era più. Il suo amico non c’era più. La radura, i vampiri, gli alberi, il cielo, tutto scomparve in un turbine nero. Con l’ultimo pensiero semicosciente Vlad desiderò che l’altro ragazzo riuscisse a sfuggire a Jasik e D’Ablo... e che Otis vendicasse la sua morte. Provò di nuovo a respirare, ma invano. 22 L’ALDILÀ Vlad precipitò nell’oblio oscuro della morte. Morire era una strana sensazione. All’inizio ebbe l’impressione di precipitare, ma poi si sentì sollevato da molte mani. Gli sembrò che qualcosa gli scorresse nel petto e, improvvisamente, l’aria tornò a fluire nei suoi polmoni. Nel buio della mente, scorse la faccia di Otis. Era severa, determinata, addolorata. A un tratto la voce di Vikas invase i suoi pensieri: «Stai fermo, Mahlyenki Dyavol». E lui obbedì. Dopo minuti, ore, giorni – non avrebbe saputo dirlo – delle luci squarciarono il buio. Rosse e blu. Comparvero in cerchi e portarono con sé il lamento di una banshee. Allora è così, pensò Vlad. Sono morto e questo è l’aldilà. Pensò che avrebbero dovuto esserci arpe, cancelli d’oro e tizi con grandi ali di piume che svolazzavano qui e là. Invece non c’era nulla di tutto ciò, solo dolore e oscurità e, di tanto in tanto, quello strano suono accompagnato dalle luci colorate. Che fregatura. Ignorando lo strano gorgoglio che proveniva dal suo petto, il giovane prese un respiro profondo e la faccia di Otis tornò a occupare il suo campo visivo. Era sul punto di parlare – doveva avvertirlo di stare in guardia da D’Ablo e Joss – quando un’ondata nera lo trascinò di nuovo nel limbo di oscurità. Galleggiò nella foschia in uno stato di semincoscienza per molto tempo; quando riemerse, sentì la voce di Nelly, le parole che si perdevano tra i singhiozzi. Avrebbe voluto confortarla, dirle che gli sarebbe mancata ma, ancora una volta, dalla sua bocca non uscì nessun suono. Il tempo ricominciò a scorrere e le nebbie lo avvolsero di nuovo; alcune voci rimasero a tenergli compagnia, anche se non riusciva a capire di chi fossero. Dopo quella che gli sembrò un’eternità, si costrinse ad aprire gli occhi. Sebbene le palpebre, ancora pesanti per il sonno, facessero di tutto per richiudersi, riuscì a vedere un letto bianco inamidato e un tubo che dalla sua mano arrivava fino a un lungo palo argentato. A esso era appesa una flebo trasparente sulla quale campeggiava, tra le altre, un’etichetta con la scritta: MORFINA. L’altra mano, invece, era attaccata a un tubo collegato a una sacca di sangue. Non c’era da meravigliarsi se aveva fame. Era vivo! Il cuore gli faceva male, ma batteva. I polmoni gli bruciavano, ma catturavano e rilasciavano aria. Sentiva dolore in tutto il corpo... ma non era morto. In qualche modo, era sopravvissuto. Avrebbe voluto ringraziare la persona che lo aveva portato lì, abbracciare qualcuno – chiunque – e dirgli che gli voleva bene, rivedere Nelly, Otis e Henry. E, se fosse riuscito a uscire in tempo dall’ospedale, avrebbe portato di nuovo Meredith Brookstone al Ballo della Libertà e poi le avrebbe dato un bacio che lei non avrebbe mai dimenticato. Era vivo. Sorprendentemente, ce l’aveva fatta. Ed era in ospedale... dove medici e infermiere avrebbero sicuramente notato la sua sete di sangue e i suoi denti affilati. Girò la testa, sentendola meno pesante, e guardò l’infermiera che stava controllando il grafico stampato dal macchinario sistemato accanto al suo letto. Aveva le labbra secche quando aprì la bocca per parlare. «Dove sono?» «Sei all’ospedale di Stokerton», lo informò la donna con aria sorpresa. «Ti senti male?» «No. Ho solo tanta sete», rispose il ragazzo leccandosi le labbra. Senza dire una parola, l’infermiera uscì dalla stanza. Quando tornò, pochi istanti dopo, aveva un bicchiere d’acqua. Vlad la sorseggiò lentamente con una cannuccia. Si schiarì la voce e chiese: «Mia zia è qui?» La donna sorrise e gli accarezzò il braccio. «È uscita un attimo, ma credo che tuo zio sia in sala d’attesa. Vuoi che lo vada a chiamare?» «Otis è qui?» domandò il giovane sorpreso. Senza rispondere né aspettare che lui aggiungesse altro, l’infermiera scomparve di nuovo, lasciandolo da solo nell’asettica stanza d’ospedale. Su un piccolo pannello alla sua sinistra c’erano vari pulsanti. Vlad ne premette alcuni finché non trovò quello che lo aiutò a mettersi seduto. Poi sollevò il lenzuolo e con orrore notò che indossava un terribile camicione azzurro a quadri. Probabilmente a metterglielo era stato qualcuno del personale medico, ma non poteva esserne certo. Si accarezzò piano il petto e constatò di essere avvolto in un mucchio di bende. Qualcuno nel corridoio stava correndo all’impazzata, beccandosi un’ammonizione da parte dei medici. A un tratto la porta della sua stanza si spalancò, rivelando un Otis sollevato. Quando incontrò lo sguardo del nipote, l’uomo sospirò. «Grazie al cielo. Pensavo che non ce l’avresti fatta.» «Allora eravamo in due», ribatté il giovane vampiro con una smorfia di dolore. «Come ti senti?» chiese Otis chiudendo la porta e avvicinandosi al letto. La prima parola che passò nella mente del ragazzo fu: sollevato. Sollevato perché, dopo essersi preparato mentalmente a dirgli addio, stava guardando di nuovo in faccia suo zio. Ingoiò le lacrime cercando in tutti i modi di mantenere un tono di voce calmo e, invece di manifestare quel pensiero, si limitò a rispondere: «Sono stanco ma, tutto sommato, sto bene. L’infermiera ha detto che Nelly è qui». Otis annuì e il suo sguardo si posò bramoso sulla sacca di sangue di Vlad. Aveva gli occhi incavati, come se non si nutrisse da giorni. «Lei e Henry sono andati a mangiare qualcosa. Torneranno tra poco.» L’effetto calmante della morfina abbandonò per un attimo il ragazzo, che strinse la mano dell’uomo in cerca di conforto. «Zio, D’Ablo è vivo. Non so come mai, ma ha bevuto il mio sangue. E... Joss...» «Sappiamo tutto, Vladimir. Mi spiace solo che non siamo arrivati in tempo», disse Otis ricambiando la stretta. «Joss mi ha impalato. È un ammazzavampiri», aggiunse il ragazzo cercando di non piangere. «Sappiamo anche questo.» «Chi altri lo sa oltre a te?» «Vikas. Quando ho ricevuto la tua lettera sull’attacco di Jasik, sono salito sul primo aereo diretto qui, ma arrivato in Francia il Consiglio di Parigi mi ha arrestato. Vikas è riuscito ad aiutarmi a scappare da Elysia solo qualche giorno fa, dopo aver ottenuto le prove che D’Ablo era ancora vivo. Eravamo in macchina a pochi minuti da Bathory quando ho sentito la tua richiesta d’aiuto telepatica. Abbiamo cercato tutti e due di metterci in contatto con te, ma D’Ablo deve aver bloccato la tua mente subito dopo. Sospetto che abbia usato un amuleto Tego, ma non posso averne la certezza», spiegò Otis lasciandosi sfuggire una lacrima. «Quando ti ho visto lì, con quel pezzo di legno conficcato nella schiena e tutto quel sangue... ho pensato che non sarei mai riuscito a insegnarti e mostrarti tutto ciò che avrei voluto. Ci sono così tante cose che devo dirti, così tanto tempo che voglio passare con te.» Vlad tossì per colpa dello strano prurito che aveva nel petto. «Non sono mai stato in ospedale prima d’oggi. Non si accorgeranno che sono... diverso?» «C’è voluto un po’ per convincere Nelly che dovevano portarti all’ospedale di Stokerton. Qui abbiamo dei dottori e anche delle infermiere. Adesso sei affidato alle loro cure, in modo da non destare sospetti.» «Perciò quell’infermiera...» mormorò il ragazzo incredulo. «È una di noi, sì.» Ci fu un leggero colpo alla porta, che poi si aprì rivelando Vikas. Portava ancora il soprabito di pelliccia e piccole gocce di sudore gli imperlavano la fronte. «Fa caldo nel tuo Paese, Vladimir.» «Già, forse dovresti toglierti quel soprabito», ribatté il giovane divertito e, mentre l’uomo se lo sfilava, lanciò un’occhiata a Otis. «Quando Jasik mi ha morso, mi sono sentito molto strano: caldo, confuso, pesante; ma non è stato così quando tu mi hai dato il mio marchio. È successo perché Jasik stava tentando di uccidermi?» Uno strano silenzio scese sulla stanza per qualche minuto. Poi, schiarendosi la voce, suo zio disse: «No, Vladimir. Lui non stava cercando di ucciderti, questo andrebbe contro la legge di Elysia. Però, proprio come alcuni vampiri credono che il sangue del Pravus abbia straordinarie capacità curative, altri ritengono che bevendolo si possa diventare immuni alla luce del sole. Probabilmente Jasik ti credeva il Pravus». Il ragazzo pensò al buco nello stomaco di D’Ablo che si richiudeva e sospirò rabbrividendo. «Che ne è stato di Joss?» Vikas e Otis si scambiarono un’occhiata prima che il secondo dicesse: «Quando siamo arrivati alla radura di Bathory, dopo averti cercato in città, ti abbiamo trovato a terra, piegato su te stesso. Joss era accanto a te, con le mani sporche del tuo sangue. D’Ablo e Jasik erano spariti e quando Vikas ti ha controllato il polso...» «Eri molto debole, ma eri ancora vivo. Tuo zio ti ha esaminato più attentamente mentre io interrogavo il ragazzo. Non ha detto niente, ma i suoi pensieri mi hanno rivelato ciò che aveva commesso. Mi sono offerto di distruggerlo, ma Otis non ha voluto darmi questo piacere. Nelly lo ha portato a casa sua e ha chiamato un’ambulanza, era molto turbata», intervenne il russo. Lo zio annuì con un’espressione seria. «Io e Vikas abbiamo deciso di prendere tutte le precauzioni che potevamo. Io ti ho tenuto mentre lui estraeva il paletto, poi mi sono tagliato il polso e ti ho dato tutto il sangue che potevo.» Gli occhi di Vlad si riempirono di lacrime di fronte alla generosità dimostrata dallo zio. Poi scosse la testa. «Ma come ho fatto a sopravvivere? Voglio dire, favole a parte, un paletto piantato nel cuore non dovrebbe uccidere praticamente qualunque essere vivente?» Ancora una volta i due uomini si scambiarono un’occhiata. Questa volta, però, nessuno proferì parola. «Che è successo? Ha mancato il cuore?» li incalzò il ragazzo. «È possibile che abbia mancato il cuore e ti abbia bucato il polmone, ma visto che la ferita ti si è richiusa immediatamente appena ho avvicinato il mio pollice alla tua bocca... non saprei dire.» Vlad guardò Vikas: nei suoi occhi non c’era nessun dubbio. Poi guardò di nuovo lo zio e chiese: «Pensi che io sia il Pravus, vero?» Otis impallidì sentendo pronunciare quella parola, ma non disse niente. «Otis.» La voce del giovane vampiro si ruppe. «Guardami.» Dopo un attimo di esitazione, lo zio obbedì. «Credi che io sia il Pravus?» «Penso che un giorno tu sarai un grande uomo, Vladimir. E che le profezie non contano nulla. Sono le nostre azioni a definire chi siamo», affermò stringendogli la mano con un’espressione determinata. «Lascia che siano le tue azioni a parlare al mondo, Vlad.» Lui annuì, incapace di dire qualcosa. Vikas strinse la spalla dell’amico e quest’ultimo alzò lo sguardo e gli fece un cenno di assenso. Poi Otis guardò ancora una volta il nipote e si schiarì la voce, la paura ancora evidente nel suo sguardo. «Vado a chiamare Nelly. Vorrà vederti subito.» «E che ne è stato di D’Ablo?» buttò fuori il giovane prima che lo zio potesse allontanarsi. «È tornato a Elysia e si è ripreso la presidenza.» Le parole disertarono Vlad. Del resto non c’era nulla che lui potesse dire. Dopo che Otis fu uscito dalla stanza, Vikas chiuse la porta e gli si avvicinò. Il suo sguardo era teso e perplesso. «Il ragazzo è qui. Ti vuole parlare.» «Joss?» domandò l’adolescente portandosi istintivamente una mano al petto bendato. Il russo annuì e disse: «Rimarrò qui per evitare incidenti». Vlad scosse la testa. Non gli serviva una babysitter o una guardia del corpo. Nonostante tutto, Joss era suo amico. Eppure lo sguardo dell’uomo suggeriva che quella sua decisione non era sindacabile. «Quando posso vederlo?» Vikas lo fissò per qualche istante, come se fosse sul punto di dirgli qualcosa, ma alla fine si limitò ad aprire la porta. Joss era in corridoio, lo sguardo fisso a terra. Quando entrò nella stanza lo alzò a stento e ogni suo movimento fu seguito con attenzione dal russo, che gli si sedette accanto, pronto a intervenire. «Perché sei qui, Joss?» chiese Vlad con tono secco. «Non per scusarmi, se è quello che ti aspetti», controbatté l’altro. «Hai cercato di uccidermi e non riesci neppure a farti uscire di bocca un miserevole ’mi dispiace’? Non pensi che io meriti almeno questo?» Joss scosse la testa. A quanto pareva il pavimento non era più così interessante, perché adesso lo stava guardando dritto negli occhi. «Le mie scuse non varrebbero nulla, perché non sarebbero sentite.» «Non è necessario che tu le senta», disse Vlad, pacato. «Ma sarebbe comunque bello se tu lo dicessi. Potresti almeno fingere che t’importi di avermi ridotto in questo stato.» L’ammazzavampiri sbatté le palpebre. I suoi occhi erano umidi, ma da essi non uscì nessuna lacrima. «M’importa», rispose, il tono strozzato. «E allora perché? Perché lo hai fatto? Soldi? Divertimento? Perché sono un mostro?» «Perché è il mio lavoro, Vlad», sentenziò Joss mentre una lacrima gli rigava il volto. «Non sai praticamente niente di noi. Sei terrorizzato da ciò che non capisci e reagisci con violenza a ciò che ti spaventa. Hai mai pensato di documentarti sulle persone che stai per uccidere? Non pensi di dovere loro almeno questo?» Il formicolio nel petto tornò. Fu sul punto di tossire, ma riuscì a trattenersi. «E da chi dovrei ottenere queste informazioni? Da uno di voi? Quello in cui credo si tramanda da secoli di generazione in generazione.» «E non ti è venuto in mente di pensare con la tua testa?» sputò fuori Vlad, mentre i suoi denti minacciavano di uscire dalle gengive. «Devo ritenermi fortunato perché mi hai mancato e hai colpito un polmone. Perché sei venuto qui, esattamente? Vuoi completare il tuo lavoro?» «Con la tua guardia del corpo qui sarebbe davvero stupido da parte mia, non trovi?» replicò l’altro indirizzando un’occhiata a Vikas. «Devi ammettere che è davvero stupido da parte di un assassino disarmato entrare in una stanza in cui ci sono due vampiri», commentò Vlad, suscitando l’ilarità della sua guardia del corpo. «Chi dice che sono disarmato?» domandò Joss, torvo. Vikas smise subito di ridere e, prima che il ferito avesse modo di fermarlo, era già accanto all’ammazzavampiri. Nella stanza calò il silenzio. «Ascoltami», disse Vlad, rompendolo. «Stai attento a D’Ablo. È ambiguo e malvagio. Per come la vedo io rovina il buon nome della nostra specie. Sii cauto con lui, prendi tutte le precauzioni che puoi.» «Perché mi stai dicendo questo?» domandò il giovane cacciatore, perplesso. La voce di Vlad si ruppe e, prima ancora di rendersi conto di essere scoppiato a piangere, le sue guance erano già bagnate di lacrime. «Perché siamo amici.» Senza dire una parola il suo compagno s’incamminò verso la porta. Le sue dita erano già sulla maniglia quando si volse verso il vampiro e disse: «Sono venuto per dirti che torno a Santa Carla». «Non devi finire il tuo lavoro qui?» chiese Vlad, incerto. «Non è stata la Società degli Ammazzavampiri a mandarmi qui, era un contratto privato. Per quanto ne sanno e per quello che dirò loro... non ci sono creature della notte a Bathory», gli rammentò Joss prima di uscire dalla stanza. «A proposito, posso anche aver colpito un polmone, ma non ho mancato il cuore. Non manco mai.» Vlad pigiò il bottone sul pannello del letto finché non si ritrovò disteso, gli occhi ancora velati di lacrime. Non c’era più nessun dubbio. Non poteva più opporsi a quell’idea: lui era il Pravus. «Senti dolore, Piccolo Diavolo?» domandò Vikas avvicinandosi al suo capezzale. Lui scosse la testa lentamente. «Quello per il tradimento di un amico è uno dei dolori più ardui da affrontare, va oltre il piano fisico. Anch’io l’ho provato, Vladimir. Forse un giorno condivideremo questi racconti tristi e troveremo la forza di riderne insieme.» Il ragazzo lasciò le lacrime libere di fluire. Avrebbe voluto restare solo a fare i conti con la propria, cocente delusione. Come se avesse intuito i suoi pensieri, il russo disse: «Dovresti dormire. Presto tua zia sarà qui, e non puoi riposare se qualcuno ti riempie di coccole». Poi spense la luce e abbandonò la stanza, lasciando che Vlad desse libero sfogo al suo dolore. Anche se non riusciva a ricordare di essere scivolato nell’incoscienza, doveva aver dormito per un po’, perché, quando li riaprì, i suoi occhi erano impastati dal sonno. Se li stropicciò e si guardò intorno: la stanza era vuota e l’unico suono era quello del dispositivo che monitorava il suo cuore. Stava per premere il pulsante per chiamare l’infermiera, quando la porta della stanza si aprì, rivelando zia Nelly. Il mascara le era colato sul viso e i suoi occhi erano cerchiati di nero. Quando vide il nipote corse ad abbracciarlo tra le lacrime. «Stai bene. Otis aveva detto che sarebbe andato tutto bene, ma io non riuscivo a credergli. Pensavo... pensavo che ti avrei perso», disse la donna tra le lacrime. Vlad cercò di lottare per non scoppiare nuovamente a piangere, ma alla fine si arrese, il capo appoggiato alla spalla di Nelly. Quando finalmente si fu calmato cercò di trovare una posizione più comoda, ma la zia continuava a stringerlo. Vikas tenne la porta aperta per Otis che, dopo qualche minuto, riuscì ad allontanare la donna da Vlad, prendendo il suo posto di fianco al nipote. In corridoio, il giovane vampiro scorse Henry: aveva una benda sulla fronte e un’espressione preoccupata. Gli occhi erano gonfi e rossi e, quando entrò nella stanza, emise un sospiro sommesso che allarmò l’amico. Solo quando i loro sguardi s’incontrarono il giovane sembrò rilassarsi. Vlad sorrise. Avrebbe voluto dire qualcosa per allentare la tensione, ma non riuscì a pensare a niente, per cui si limitò ad alzare le spalle e a chiedere: «Quando posso tornare a casa?» «I dottori dicono che, nonostante la velocità con cui la ferita si sta cicatrizzando, ci vorrà almeno un mese», lo informò Otis, tentando di sovrastare i rumorosi singhiozzi di Nelly. «Quanto ti tratterrai?» chiese il nipote con aria triste. «Fino alla fine dell’estate, poi andrò a cercare il passaggio riferito al rituale che D’Ablo vuole mettere in atto. Se lo troviamo prima di lui, la tua vita è al sicurò», asserì l’uomo con una nuova determinazione nello sguardo. Vlad annuì, sollevato all’idea che Otis si sarebbe trattenuto ancora per un po’. La tristezza però si rifiutava di abbandonarlo. Stanco e sopraffatto si stese di nuovo sul letto. «Non ti sembra di aver dormito abbastanza?» domandò Henry in tono scherzoso. Vlad aprì gli occhi. L’amico stava sorridendo e lui, dopo un attimo, fece altrettanto. «Hai ragione, dormirò quando sarò morto», proclamò. «Vladimir! Non è divertente!» esclamò sua zia, gli occhi spalancati. «Okay, allora dormirò quando sarò non morto», replicò il vampiro. «Troppo tardi», ghignò l’amico cogliendo subito la battuta. Otis zittì le proteste di Nelly trascinandola fuori dalla stanza con la promessa di un caffè caldo, e Vikas, dopo aver sorriso a Vlad e al suo simpatico servo, li seguì. «Be’, se la storia del paletto in mezzo al cuore è una bufala, mi chiedo cos’altro lo sia. Ad esempio, che ne è stato della tua forza sovraumana?» domandò Henry interdetto quando tutti furono usciti. «Non perdere la speranza», rispose il vampiro con una risatina che gli strappò l’ennesimo sussulto di dolore. Poi, indicando la benda dell’amico chiese: «E a te che è successo?» «Oh, questo. È stata una cosa stranissima. A un tratto ho sentito che dovevo trovarti, che se non lo avessi fatto saresti stato in pericolo. E a un tratto questo tizio è sbucato dal nulla e mi ha dato un colpo in testa. Mi sono svegliato qualche ora dopo e ho saputo che eri stato ferito. Tuo zio ha detto che il tipo, Jasik, voleva liberarsi di me abbastanza a lungo da poterti conficcare un paletto nel cuore.» «Porca miseria, Henry.» Vlad scosse la testa sorpreso. A quanto pareva, D’Ablo e Jasik non avevano tralasciato il minimo dettaglio. «Senti, per quanto riguarda Joss...» sospirò il ragazzo facendosi improvvisamente serio. «Non voglio parlare di lui», lo interruppe il vampiro. «A dire il vero, preferirei dimenticarmi di tutta questa storia.» Henry annuì e nella stanza, per un attimo, calò il silenzio. Poi, con un gesto normalissimo, il giovane sorrise e disse: «Ehi, hai visto com’è carina l’infermiera in corridoio?» 23 NON TUTTO IL MALE VIENE PER NUOCERE Vlad sistemò lo zaino in spalla e seguì Henry attraverso il portone del Bathory High. Nell’ultima settimana di scuola la primavera aveva ceduto il posto all’estate, e il personale era stato costretto ad accendere i ventilatori per far fronte al repentino innalzamento della temperatura. Sfortunatamente gli aggeggi, ben lungi dal fornire il tanto agognato sollievo, producevano un ronzio talmente fastidioso da provocare a tutti un gran mal di testa. Risultato: centinaia di adolescenti che studiavano forme algebriche in un bagno di sudore. Vlad non aveva avuto molta voglia di parlare da quando era stato dimesso dall’ospedale. Henry gli aveva chiesto ripetutamente particolari sull’attacco di Joss – scusandosi ogni singola volta per il comportamento del cugino – ma il giovane vampiro non si sentiva ancora pronto ad affrontare quella discussione. L’unica cosa che desiderava era lasciarsi quella storia alle spalle e tornare alla solita vita, passando del tempo con il suo migliore amico come era solito fare prima dell’arrivo dell’altro ragazzo nella loro pittoresca cittadina. Gli ultimi mesi erano stati duri. Le troppe assenze avevano rischiato di fargli perdere l’anno e, solo grazie all’intervento di Nelly e al suo impegno nello studio, la bocciatura era stata evitata. Adesso, però, i suoi pensieri erano rivolti alle imminenti vacanze. Camminando per il corridoio il vampiro si voltò a guardare l’armadietto di Joss, adesso vuoto. Non vedeva l’altro ragazzo da quell’ultima volta in ospedale. Quando lui si era rimesso, l’ammazzavampiri aveva già lasciato Bathory senza rivelare a nessuno il suo segreto. Per quanto ne sapeva, non aveva discusso la cosa neppure con il cugino. Joss poteva anche averlo tradito e quasi ucciso ma, se non altro, manteneva la parola data. Henry gli strinse la spalla: entrambi avevano perso un amico. Poi Vlad la vide. Attaccata al suo armadietto c’era una busta di pergamena con un sigillo di ceralacca rosso che riportava le iniziali S.A.: Società Ammazzavampiri. La aprì e ne estrasse un foglio di carta. Sopra, nella grafia di Joss, era riportata un’unica, breve frase: L’AMICIZIA È FINITA. Il vampiro rabbrividì e con un sospiro mise via il biglietto. Come in trance osservò Henry chiudere il suo armadietto e armeggiare con la serratura. In quell’istante Eddie Poe li superò, lanciandogli un’occhiata di fuoco. A quanto pareva nemmeno rischiare la vita serviva a toglierti la stampa di dosso. Vlad sapeva che prima o poi gli sarebbe toccato fare i conti con l’aspirante reporter ma, al momento, la sola idea che Joss non fosse più lì per fargli del male era abbastanza. Meglio di niente, se non altro. A quel punto voleva solo che il suo primo anno di superiori terminasse. Non che si aspettasse che il secondo sarebbe stato tanto meglio, soprattutto se Eddie non la finiva con la sua ossessione per i mostri... ma, ehi, sognare non costava nulla. «Vlad?» Il ragazzo si girò e, per un attimo, fu incapace di formulare un qualsiasi pensiero di senso compiuto. Strano come il viso di una ragazza bastasse a lasciarti senza parole. Meredith sorrise. «Mi stavo proprio chiedendo se stasera ti avrei visto alla Festa della Libertà.» Aveva i capelli legati in una coda di cavallo ornata da un nastro di seta rosa e Vlad dovette sforzarsi per non allungare la mano e accarezzarglieli. «Certo. Vai... vai al ballo con qualcuno?» chiese accennando un sorriso. «Questo dipende da te», disse lei arrossendo. Henry comprese la situazione e si avviò verso la sua classe. Il vampiro posò lo zaino nell’armadietto e prese i libri per le prime due ore di lezione. Poi fece un lungo respiro e chiese: «Che ne dici se ti accompagno in classe e ne parliamo un altro po’?» «A dire il vero, alla prima ora sono di turno in biblioteca.» «E allora ti accompagno lì», rispose lui con un sorriso. Gli occhi di Meredith s’illuminarono e lui le tolse di mano i libri, incamminandosi lungo il corridoio. Mentre passeggiavano l’uno di fianco all’altra, le loro mani si trovarono. Il cuore di Vlad, che era tornato forte e sano, prese a battergli furiosamente nel petto. Quando arrivarono in biblioteca, strinse leggermente la mano della ragazza. Lei fece lo stesso e, mentre si separavano, la punta delle loro dita indugiò per qualche istante, prolungando il tocco. «Ti vedrò dopo le lezioni?» sussurrò Meredith nel vestibolo semideserto. «Contaci», disse il vampiro raggiante. La porta si chiuse alle spalle della giovane e Vlad si precipitò nell’aula d’inglese. Di lì a qualche ora ci sarebbe stata la Festa della Libertà e, questa volta, avrebbe fatto in modo che Meredith fosse contenta di esserci andata con lui. Ringraziamenti I libri sono opera degli scrittori, è vero, ma vengono perfezionati da una serie di persone che non ricevono tutti i riconoscimenti che spettano loro. Vorrei ringraziare la mia fantastica editor, Maureen Sullivan, perché lavora instancabilmente per spingermi a migliorare ciò che scrivo e perché ha sempre osservazioni puntuali da fare e un atteggiamento positivo. Grazie a tutti quelli che lavorano alla Dutton, che fanno di tutto per trasformare il mio sogno in realtà. Uno speciale ringraziamento al mio illustratore di copertine, il bravissimo Christian Funfhausen, per avermi regalato una faccina che spacca davvero, la migliore che una scrittrice di libri sui vampiri possa desiderare. E un pensiero speciale al mio agente, Michael Bourret. Grazie per offrirmi sempre la tua spalla, i tuoi occhi, le tue orecchie e la tua intelligenza. Senza tutti voi sarei solo una tizia con una tastiera e una passione per il sangue. Molte, molte grazie alla più fantastica critica che una ragazza possa avere, Jackie Kessler, che non finisce mai di sorprendermi con le sue capacità ed è sempre pronta a tirarmi su con la cioccolata. Grazie anche a mia sorella, Dawn Vanniman, perché crede in me e perché continua ad amare Seth. E, naturalmente, grazie a Paul, Jacob, e Alexandria: non so come, ma «voi ragazzi» siete riusciti a starmi lontani abbastanza perché io potessi scrivere un altro libro e per questo vi voglio bene. Grazie anche ai futuri custodi del regno di Brewtopia, alla mia leale orda di tirapiedi, a tutti i librai e bibliotecari che hanno fatto conoscere Vlad ai lettori... e a te, che tieni in mano questo libro, per aver dato una possibilità a Vlad, seguendolo nei suoi anni di scuola. Io e lui non avremmo potuto farcela senza di te.