Zara, nel mare delle polemiche Una medaglia con troppe facce DEL POPOLO IL PROLOGO ce vo /la .hr dit w.e ww Giovanni Contus a pagina 8 Dalmazia, voglia di regionalismo di Dario Saftich Il regionalismo è un tema che già da due decenni tiene banco in Istria. Molto meno invece in Dalmazia. Anzi possiamo dire che dopo un inizio apparentemente abbastanza promettente nei primi anni Novanta, quando il partito regionalista Azione dalmata perlomeno riusciva a farsi sentire sulla scena mediatica, abbiamo assistito al declino inesorabile di qualsivoglia iniziativa di respiro regionale. I motivi sono vari: da un lato il conflitto nell’entroterra dalmata ha posto in primo piano gli aspetti etnici e nazionali, dall’altro deve aver pesato anche la storia, ossia il fatto che per troppo tempo, a partire già dalla metà dell’Ottocento il concetto di autonomia in Dalmazia sia stato sottoposto a un fuoco di fila e considerato da chi deteneva realmente le redini del potere uno spauracchio da cui stare alla larga. Anche se l’epoca del braccio di ferro tra gli autonomisti dalmati aperti pure verso la cultura italiana e i sostenitori della causa nazionale a oltranza appartiene ormai a un passato remoto e la realtà etnica e culturale odierna è ben diversa, sembra proprio che il peso delle passioni politiche dell’epoca rappresenti ancora un fardello psicologico per la Dalmazia. Ciò non toglie che l’idea dalmata sia ben lungi dall’essere scomparsa: essa fa capolino nello sport, nella musica, nel turismo e nella cultura e si rafforza politicamente nei momenti di crisi. La recessione economica, ma anche le troppe sconfitte brucianti registrate negli ultimi anni dai club sportivi dalmati che una volta primeggiavano a livello nazionale, hanno fatto balenare per la prima volta dopo tanto tempo un’iniziativa di respiro regionale che forse potrebbe germogliare in futuro. A lanciarla è stato su Facebook il cantante Dragan Lukić Segedin, deluso per l’aria di crisi che si respira in Dalmazia. Sono soprattutto le cocenti delusioni sportive, il fatto che l’Hajduk non sia più lo squadrone di una volta e che la compagine della “metropoli croata” imperi nel mondo del pallone, a ravvivare l’orgoglio regionale ferito. Ma nel caso dell’iniziativa di Luky più che di politica possiamo parlare di folclore. Più interessante risulta l’idea lanciata dall’esponente del Partito popolare (HNS) e sindaco di Ragusa (Dubrovnik), Andro Vlahušić. In un’intervista al settimanale dalmata “Vri- me”, Vlahušić, richiamandosi alla suddivisione europea della Croazia in tre regioni statistiche (adriatica, slavone e centrale), ha proposto una nuova ripartizione del Paese in sei regioni, nelle quali coagulare diverse delle Contee attuali in base a criteri geografici e storici. Le sei nuove regioni scaturite dall’immaginazione del sindaco raguseo avrebbero per capoluoghi Zagabria, Varaždin, Osijek, Slavonski Brod, Fiume e Spalato. In altri termini ci ritroveremmo con due regioni slavoni, con una zagabrese, con una regione dello Zagorje, una relativa al Litorale (quella fiumana) e infine con la Dalmazia. Nell’ambito di questo modello l’Istria perderebbe l’attuale assetto conteale-regionale e conserverebbe soltanto qualche elemento di regione, in linea con qualche esempio della prassi europea. Inutile dire che questa proposta ha mandato su tutte le furie gli esponenti regionalisti istriani. Il vicepresidente della DDI, Damir Kajin, ha manifestato sorpresa per il fatto che una simile proposta sia giunta dal sindaco di una città quale Ragusa, che è cresciuta proprio “grazie all’autonomia che ha difeso nei secoli”. Comprensibi- dalmazia An no VI • n. 53 • 2010 Sabato, 10 aprile Andro Vlahušić le lo sfogo di Kajin: resta però il fatto che con l’iniziativa dell’esponente HNS la Dalmazia tornerebbe a essere una regione storica con tutti i crismi della legalità, non più divisa in quattro Contee, incentrate sulle quattro principali città (Zara, Sebenico, Spalato e Ragusa), ciascuna delle quali difende gelosamente i propri interessi e l’insieme si perde di vista. 2 dalmazia Sabato, 10 aprile 2010 LIBRI Pubblicato dalla Società Dalmata di Storia Patria, a cura di Rita Tolomeo, un sag Italiani e croati in Dalmazia, un di Ilaria Rocchi G iuseppe Sabalich, Antonio Cippico, Arturo Colautti, Edgardo Maddalena, Vitaliano Brunelli, Riccardo Forster, Girolamo Enrico Nani, Girolamo Italo Boxich (Jerko Božić), Giorgio Wondrich, Antonio Battara, Gaetano Feoli, Luigi Bauch e poi ancora tanti altri autori, storici e professori: costituiscono il panorama letterario italiano zaratino agli albori e nel primo decennio del Novecento. A tracciare il profilo dei protagonisti di questo particolare ambiente letterario, delineandone al contempo i contorni socio-politici e culturali, è stata una studiosa dell’Università di Zara, Nedjeljka BalićNižić, nel saggio “Scrittori italiani a Zara, negli anni precedenti la prima guerra mondiale (1900-1915)”, tradotto e pubblicato in Italia da Il Calamo (Roma 2009, pp. 144) a cura di Rita Tolomeo, per conto della Società dalmata di Storia Patria (Serie II, Studi e Testi, Fascicolo XI). Va detto però che questo lavoro monografico era stato dato alle stampe dalla fiumana EDIT, nel 1998, in croato, con il titolo originale “Talijanski pisci u Zadru pred prvi svjestki rat (1900-1915)”. Una città tra diversi mondi La scelta di Zara, come luogo prediletto di esplorazione della letteratura italiana in Dalmazia non è ovviamente casuale. La città è stata per secoli capitale della regione. Fondata come avamposto, nel IX secolo a.C., dai Liburni, una tribù illirica, dal 59 a.C., come altre importanti città della X Regio – Venetia et Histria, diventa un municipio romano, con il nome Iadera e nel 48 d.C. una colonia i cui abitanti ottengono il grado di cittadini romani. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente e la distruzione di Salona, agli inizi del VII secolo Zara diventa sede della provincia bizantina della Dalmazia. Tra il IX e il XII secolo si susseguono la dominazione dei Franchi, di Bisanzio e dei re ungaro-croati. Con l’ascesa di Venezia, inizia la lotta per l’egemonia nel mare Adriatico. Zara è sottomessa alla Repubblica di Venezia tra il 1111 e il 1154 e tra il 1160 e il 1183, fino alla sua assegnazione definitiva a Venezia alla fine della quarta crociata nel 1202. La città cade poi ripetutamente nelle mani dei re ungheresi a seguito di violente lotte e insurrezioni (1242-1243, anni 1320, 1345-1346, Pace di Zara del 1358). Nel 1409, Ladislao di Napoli vende per 100mila ducati d’oro tutti i suoi diritti sulla Dalmazia a Venezia. La città sarà la capitale della Dalmazia veneta e il principale baluardo di resistenza nell’occasione delle incursioni ottomane che si estendono nell’entroterra illirico. Successivamente alla caduta della Serenissima nel 1797, in seguito al Trattato di Campoformio va in mano agli austriaci. Dopo un breve periodo francese (1805 – 1813), entra a far parte dell’Impero austriaco e ci rimarrà fino al 1866, mentre Zara e tutta la Dalmazia rimarrà in mano austriaca fino al 1918. La questione nazionale Verso la fine del XIX secolo in tutto l’Impero austro-ungarico si aprono le questio- ni nazionali. Con la costituzione degli stati nazionali in Europa, gli abitanti di una realtà immensa come quella austriaca sentono il richiamo di un’identità basata sulla lingua e sulla cultura. In Dalmazia a causa delle politiche filocroate del governo austriaco, gli italiani scendono in pochi decenni dal 30% al 2,8% registrato nel censimento del 1911 (i cui risultati sono però contestati). Con l’avvento della stampa e delle prime pubblicazioni giornalistiche, si diffondono i primi giornali e libri irredentisti. Contemporaneamente si sviluppa anche l’identità nazionale croata. Inizia il graduale declino della popolazione italiana (segnato dalla perdita della maggioranza negli organismi rappresentativi delle città), anche se il centro urbano di Zara riesce tuttavia a mantenere sempre il suo originario carattere italiano, conservando lo spirito e la cultura italiana, soprattutto di matrice veneziana. Ma se gli italiani vengono spiazzati dai centri del potere – significativo il caso del passaggio del comune di Spalato nelle mani PERSONAGGI Un valente militare austriaco divenuto noto grazie a un musical Tra Dalmazia, Fiume, l’Istria, i siluri e la musica la singolare epopea di Georg Ludwig von Trapp Georg Ludwig von Trapp nasceva nell’aprile di 130 anni fa nella città del Maraschino. Le sue origini non affondano nelle nostre terre, ma una buona parte della sua esistenza sì; anzi, per certi versi egli stesso ne ha segnato i destini. E sebbene il suo nome sia diventato famoso soprattutto in seguito al musical “The Sound of Music”, poi trasposto anche sul grande schermo, è ben altro lo scenario in cui va collocata Nel 1935 scriverà in tedesco il libro “Bis zum letzten Flaggenschuss”, tradotto in inglese dalla nipote Elisabeth M. Campbell (“To the Last Salute, Memoires of an Austrian U-boat Commander”). la sua opera tra l’Istria e la Dalmazia, con qualche sorprendente “aggancio” fiumano. Perché se è vero che il nostro, al secolo Georg Ludwig Ritter von Trapp (Zara, 4 aprile 1880 – Stowe, Vermont, 30 maggio 1947), è stato il capo della famiglia di cantanti austriaca illustrata nel noto musical, è altrettanto indubbio che è stato un valente militare austriaco, capitano di corvetta, i cui successi nel corso della Prima guerra mondiale, nella Marina dell’Impero austro-ungarico, gli sono valsi numerose decorazioni, compresa la prestigiosa insegna di Cavaliere dell’Ordine militare di Maria Teresa. Georg Ludwig nacque dunque a Zara, quando la Dalmazia faceva ancora parte dell’Impero austro-ungarico, da August Ritter von Trapp ed Hedwig Wepler. Il padre, capitano di fregata, era un ufficiale della marina austriaca, elevato al rango della nobiltà austriaca nel 1876; morirà di tifo nel 1884 (è stato sepolto nel K.u.K. Marinefriedh of Pola, accanto alla moglie), quando Georg Ludwig aveva quattro anni. Il ragazzo trascorrerà una parte dell’infanzia a Pola, dove per l’appunto il padre August era stato trasferito, considerato anche che all’epoca Pola era la base principale della Marina austro-ungarica nell’Adriatico settentrionale. Nel 1894 Georg Ludwig, seguendo le orme del genitore, entra nell’Accademia navale di Fiume (la medesima del padre), laureandosi quattro anni dopo, con il titolo di cadetto. Inizia a fare dei viaggi di addestramento, compreso uno in Australia. Nella seconda metà dell’Ottocento il capoluogo quarnerino era all’apice della sua potenza commerciale, marittima e industriale: nel 1858, ad esempio, erano aperti e operanti ben dodici cantieri, un’imponente Cartiera e la più grande fabbrica tabacchi di tutta la Monarchia, mentre il porto fiumano si collocava tra i dieci più grossi scali europei. Ma per gli sviluppi della storia dei von Trapp è importante l’arrivo, proveniente da Trieste, dell’ingegnere Robert Whitehead, il fondatore e propriatario della Torpedofabrik Whitehead und Co. Il Silurifico fiumano. Il figlio dell’industriale, John, sposerà la contessa austriaca Agathe Breunner; la figlia più vecchia si unirà con il delfino del cancelliere Bismarck, mentre la più giovane, Agatha Whitehead, alla cerimonia del varo del sottomarino U6, di cui era madrina, si innamorerà perdutamente di Georg von Trapp, il quale stava risalendo e consolidando la propria carriera nella Marina austro-ungarica. Nel 1900 verrà assegnato alla nave Kaiserin und Königin “Maria Theresia” e verrà decorato per le sue gesta durante la rivolta dei Boxer. Von Trapp era affascinato dai sottomarini, e nel 1908 avrà la possibilità di essere trasferito alla neo-costituita U-boot-Waffe. Nel 1910 gli venne affidato il co- mando del nuovo U-6 (che materrà fino al 1913). Intanto, il 10 gennaio 1911, Georg e Agatha convolano a nozze e il medesimo anno vede la luce a Pola il loro primogenito, Rupert von Trapp. La famiglia vive nella città dell’Arena; Georg si dedica completamente allo sviluppo e al perfezionamento della flotta sottomarina austriaca. Nel 1912 si trasferisce in a Casa Trapp a Veruda, una villa costruita appositamente per loro, progettata – assieme a un altra decina di altre case della zona, riservate agli ufficiali – dall’architetto austriaco Ferdinand Geyer. In questa residenza i von Trapp accolgono la notizia dello scoppio della Prima guerra mondiale. Più tardi, Agatha farà sapere a Georg della notizia della nascita della piccola Maria Franziska, avvenuta il 28 settembre 1914, con un telegramma in cui era riportato un codice concordato dalla coppia “SMS Maria arrivata” (l’acronimo S.M.S., ossia “Seiner Majestät Schiff”, indicava “Nave di Sua Maestà”). La ricchezza ereditata da Agatha sostenne la coppia e permise a Georg di avviare una famiglia piuttosto numerosa. Oltre a Rupert, dal matrimonio nasceranno altri sei figli: Agathe von Trapp (1913), nata a Pola; Maria Franziska von Trapp (1914), Werner von Trapp (1915-2007), Hedwig von Trapp (1917-1972), e Johanna von Trapp (1919-1994), tutti nati a Zell am See, e Marti- na von Trapp (1921-1951), nata a Klosterneuburg. Intanto, il 22 aprile 1915, von Trapp prenderà il comando dell’U-5 e condurrà nove missioni di combattimento, molte delle quali nelle Bocche di Cattaro e nel canale di Otranto. Mentre era al comando dell’U-5 affonderà: la nave da guerra francese “Léon Gambetta”, il 21 aprile 1915, 15 miglia a sud di Capo Santa Maria di Leuca; il sommergibile italiano “Nereide”, il 5 agosto 1915, a 230 metri dall’isola di Pelagosa; catturerà inoltre la nave greca “Cefalonia” al largo di Durazzo, il 29 agosto 1915; e gli verrà, qualche volta, accreditato l’affondamento della nave italiana adibita al trasporto truppe, “Principe Umberto”, ma in realtà questa venne affondata dal comandante che succedette a von Trapp al comando del l’U-5, Friedrich Schlosser (1885-1959), l’8 giugno 1916 dopo che von Trapp venne trasferito al comando dell’U-14 (il 14 ottobre 1915), il sommergibile francese Curie, che era stato catturato dagli austriaci. Condusse tantissime azioni prima che nel maggio 1918 venisse promosso capitano di corvetta ed assegnato al comando di una base di sommergibili nelle Bocche dalmazia 3 Sabato, 10 aprile 2010 ggio di Nedjeljka Balić-Nižić na secolare simbiosi culturale del primo podestà croato, l’avvocato Dujam Rendić-Miočević, eletto nel 1882 – il loro impegno non viene meno in nessun campo, come lo testimoniano le innumerevoli associazioni politiche, economiche, sociali, di beneficenza e, non ultime, culturali, fondate tra le fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale. Il tutto al fine di salvaguardare la lingua e la cultura italiana. Invidiabile attivismo Nedjeljka Balić-Nižić ripercorre dunque la produzione in lingua italiana in un contesto affatto interessante nella storia dei plurisecolari rapporti e intrecci tra le due sponde dell’Adriatico; contesto caratterizzato da lotte politiche e dagli scontri nazionali, ma pure da una vivacissima attività letteraria e culturale, in entrambe le lingue, con numerose tipografie (ben quindici), riviste e giornali – tra il 1870 e il 1914 uscirono 26 periodici in italiano, tra cui le riviste letterarie “La Palestra”(1878 – 1882), “Scintille” (1886 – 1890), “La Cronaca dalmatica” (1888 – 1889), “La Rivista dalmatica” (1899 – 1911, 1922 – ), “Zara letteraria” (1899 – 1900), “Dalmazia letteraria” (1902 – 1903) – iniziative e interventi di intellettuali di entrambe le nazionalità, oltre a un’intensa attività teatrale, prevalentemente in lingua italiana, con spettacoli proposti sia da compagnie provenieni dalla penisola italiana sia di gruppi scenici (dilettanti) zaratini. Tra le associazioni, la studiosa cita la società Dante Alighieri, Pro Patria, Lega nazionale, Pro cultura, Filarmonica, degli Studenti italiani della Dalmazia, la Biblioteca comunale Paravia, oltre a quella ginnasiale, il ricco archivio luogotenenziale e qualli delle chiese e dei conventi. Colta e briosa “Zara era in particolare una città colta e briosa – scrive Rita Tolomeo nella presentazione del libro di Balić-Nižić –. I suoi abitanti, poco più di quattordicimila, amavano condur- di Cattaro. Alla fine della prima guerra mondiale, il record di von Trapp sarà di 19 battaglie navali, 11 navi affondate per un tonnellaggio di 45.669 tonnellate e la cattura della nave francese “Léon Gambetta” (12,600 tons) e del sottomarino italiano “Nereide” (225 tons). Fra le altre onorificenze, ricevette la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Maria Teresa. La fine della prima guerra mondiale vide la sconfitta ed il collasso dell’Impero austro-ungarico. L’Austria venne ridotta ai soli territori di lingua tedesca perdendo l’accesso al mare, e non ebbe quindi più una Marina, lasciando von Trapp senza comando. Intanto, però, il 3 settembre 1922, Agatha Whitehead morì di scarlattina contratta da sua figlia Agathe von Trapp. La famiglia acquistò una villa ad Aigen, un sobborgo di Salisburgo, e vi si trasferì nel 1924. Intorno al 1926 Maria Franziska von Trapp venne ricoverata per una malattia e non poté frequentare la scuola, e Von Trapp prese Maria Augusta Kutschera, dalla vicina abbazia di Nonnberg, come istitutrice della figlia. Maria Augusta e Georg si sposarono nel novembre 1927. La loro prima bambina Rosemarie von Trapp, re una vita brillante, assistere a opere liriche, balletti, operette, commedie, drammi...”. E nonostante la complessità della situazione, in cui al confronto tra italiani/italofoni da una parte e slavi dall’altra, si aggiungevano le tensioni tra Vienna e il Regno sabaudo per la questione degli italiani dell’Austria, gli intellettuali zaratini dimostrarono uno slancio particolare che, attraverso lo studio di Balić-Nižić è possibile ricostruire e far riemergere, recuperando pure rari testi poetici, opere in prosa, commedie, drammi, personalità originali e di successo, tra cui quell’Arturo Colautti – giornalista, scrittore e librettista italiano nato a Zara ue a Zara, nella zona della Calle dei Tintori, il 9 ottobre 1851 e morto a Roma nel 1914 – che è l’autore del libretto dell’”Adriana Lecouvreur”, opera lirica di Francesco Cilea. Giuseppe Sabalich, l’autore più prolifico Questo lavoro di Balić-Nižić sintetizza un fecondo periodo letterario-teatrale, il lascito di autori che molto spesso dimostrarono un talento poliedrico e una straordinaria versatilità – che ricorda un po’ la grande tradizione rinascimentale –, concentrandosi soprattutto su Giuseppe Sabalich (1856 – 1928), l’autore più prolifico. Partecipando alla fondazione di varie riviste letterarie e scientifiche, il Sabalich, eminente storico, narratore, poeta e scrittore di teratro zaratino, diede un contributo enorme alla vita culturale di Zara verso la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. L’autore manifesta fin dalle prime opere la sua inclinazione per gli studi del passato, principalmente di Zara. Da quasi tutti i suoi lavori spiccano la sua erudizione e la conoscenza della storia, ma anche una grande attenzione a Venezia. Gli altri protagonisti Non meno importanti furono gli altri autori, come Antonio Cippico (Zara, 20 marzo 1877 – Roma, 18 gennaio 1935), letterato fra i più colti e apprezzati un “uomo di frontiera”, un “intellettuale che con le sue origini, la sua erudizione e la sua attività collega tre diverse culture: quella tedesca, quella italiana e quella croata” e che rappresenta, grazie alla sua “attività politica, letteraria e culturale, la figura più complessa e affascinante tra gli scrittori italiani a Zara della fine del XIX e l’inizio del XX secolo”, come conclude la ricercatrice zaratina. Oltre ai citati Sabalich e Cippico, Balić-Nižić ricostruisce l’attività (e in parte la biografia) di intellettuali quali Arturo Colautti, Edgardo Maddalena, Vitaliano Brunelli, Riccardo Forster, Girolamo Enrico Nani, Girolamo Italo Boxich (Jerko Božić), Giorgio Wondrich, Antonio Battara, Gaetano Feoli, Luigi Bauch, Vincenzo Battara, Ugo Inchiostri, Lorenzo Benevenia, Angelo e Umberto Nani, i De Bersa, Germanno Tocilj (Valerio), Luigi Franco, Francesco de Beden, Albino Nagy, Guido Negri, Giuseppe Fab- brovich, Spiro Valles, Giuseppe Marussich (Marussig) e altri. Un mosaico complesso La ricerca di Balić-Nižić ricostruisce e contribuisce a conoscere e comprendere il mosaico intellettuale dalmata-zaratino dei primi Novecento, di un mondo italiano che comincerà a dissolversi dopo la fine della Grande Guerra e che riceverà il “colpo di grazia” dopo il secondo conflitto (di quel conflitto che trasformerà Zara in una “piccola Dresda del Mediterraneo”). E pur riconoscendo la presenza di una spiccata matrice nazionale-nazionalistica in alcuni scrittori – e la loro chiusura in un circolo che guardava principalmente verso l’altra sponda, l’Italia, ignorando le vicende della lingua scritta croata nella stessa città –, Balić-Nižić rileva soprattutto la volontà, espressa da molti, di salvaguardare “in questa regione la cooperazione culturale e la centenaria simbiosi culturale tra italiani e croati” nell’Adriatico, in Dalmazia. SMU-5 con Georg Ritter von Trapp nacque l’8 febbraio 1929. Georg e Maria ebbero due altri figli: Eleonore von Trapp, nata il 14 maggio 1931 a Salisburgo e Johannes von Trapp, nato il 17 gennaio 1939 a Filadelfia, portando così il numero dei figli di Georg a dieci. Nel 1935, Georg investì il patrimonio, ereditato dalla sua prima moglie, in una banca in Inghilterra. In quel tempo, l’Austria era sotto la pressione economica dell’ostile Germania, e le banche austriache erano in condizioni precarie. Per aiutare un’amica, Auguste Caroline Lammer (1885-1937), in un affare bancario, Georg ritirò gran parte del suo denaro dalla banca inglese e lo depositò in una banca austriaca. Dopo poco tempo la banca fallì facendo scomparire gran parte del patrimonio della famiglia. Come Maria scrisse poi nella sua biografia, Georg rimase demoralizzato e depresso da questo fatto, ma non fu capace di intraprendere altre attività lucrative, e credette che cantare in pubblico era contro la dignità della famiglia. Prima della perdita della fortuna di fami- glia, l’intera famiglia aveva preso a cantare per hobby. Messa con le spalle al muro dalla difficile situazione economica e con un marito incapace di provvedere alle esigenze della famiglia, Maria prese le redini della situazione ed iniziò a procurare concerti in modo da dare un sostentamento alla sua famiglia. In quel tempo, il prete cattolico Franz Wasner, andò a vivere con loro divenendo presto il direttore musicale del gruppo. Contrari all’annessione dell’Au- stria alla Germania, realizzata da Hitler, lasciarono l’Austria per l’Italia, trasferendosi quindi negli Stati Uniti. Dopo aver vissuto per un breve periodo di tempo a Merion, dove nacque il loro ultimo figlio Johannes, la famiglia si stabilì a Stowe nel 1941. Acquistarono una fattoria con 660 acri di terreno, nel 1942, e la trasformarono nel Trapp Family Lodge. Georg si spegnerà qui, di cancro, il 30 maggio 1947, sepolto nella sua tenuta nel Vermont. Barbara Rosi 4 dalmazia Sabato, 10 aprile 2010 Sabato, 10 aprile 2010 5 SPORT Per praticare questo sport bastava la passione, non servivano vasti spazi e nemmeno troppi mezzi (1 e continua) Il calcetto si è imposto alla grande in Dalmazia, al traino della pallamano ri coinvolti, delle squadre e dei campionati ai vari livelli. Parallelamente si costituì e in seguito irrobustì l’organizzazione degli arbitri, mentre le regole andarono migliorando. di Igor Kramarsich ([email protected]) È difficile parlare delle origini del calcetto in Croazia. Gli storici sono concordi nell’affermare che le radici risalgono a molto indietro nel tempo e di sicuro a un periodo precedente alla diffusione del calcio così come lo conosciamo oggi. La ragione è estremamente semplice. Per giocare a calcetto, o in una variante simile al gioco oggi riconosciuto, le necessità in fatto di attrezzature e spazi sono ben poche e le possibilità notevoli. Infatti nel tempo le regole non sono variate in maniera particolare; semmai sono state definite con precisione. Inoltre per giocare a calcetto è sempre stata sufficiente una piazza oppure un determinato spiazzo con due porte. Ieri come oggi si sono dilettati con questo sport grandi e piccini, e il numero dei giocatori è stato sempre variabile. A gettare le basi normative, ovvero a fissare le prima vere regole di questo gioco in Croazia, è stata l’associazione nazionale degli sport, la FISAH, che a Spalato, dove è sempre stata vivissima la passione per questa attività ludica, ha organizzato il primo campionato ufficiale e riconosciuto. Si è trattato della coppa di Dalmazia con partita doppia. La data storica è l’8 agosto 1946. La prima partita sulla penisola di Sabbioncello chio tempo per dare una vera e propria cornice organizzativa a questo sport a livello nazionale, croato o jugoslavo che fosse. Il manuale con le regole La Federcalcio croata comprese, con il passare degli anni, la necessità di sviluppare questo sport, viste le sue potenzialità. Inoltre, ed è questo il fatto principale, ebbe ben chiara l’esigenza di dotare questo gioco di regole fisse e ovviare così alle improvvisazioni che nel corso degli anni erano state pressoché all’ordine del giorno. Nel 1957 Viktor Medved e Ante Pavlović della Federcalcio croata, assieme all’associazione degli allenatori e a quella degli arbitri, “sfornarono” il primo manuale di calcetto con tanto di regole. Nel 1958 finalmente il librò uscì dalle stampe e contribuì a gettare le basi delle regole, che alla fine vennero approvate, sia pure con piccole modifiche, anche dalla Federcalcio nazionale della Jugoslavia. I campi all’aperto fecero il miracolo Infatti in quegli anni la Federcalcio croata intravide la possibilità di sviluppare in grande stile il gioco del calcio a livello giovanile. Di pari passo all’ascesa della pallamano nei nuovi campi all’aperto, realizzati in tutto il Paese, prese piede pure il calcetto. L’idea di fondo era di una semplicità disarmante. Nei campi per la pallamano, all’epoca tutti a cielo scoperto, si potevano disputare tranquillamente pure gli incontri di calcetto. Per quanto concerne le porte erano state definite le dimensioni di 5x2 metri. Il suggerimento fu pure quello di fare sì che nella costruzione dei campi si prevedesse che esse fossero di dimensioni leggermente maggiori rispetto a quelle utilizzate per la pallamano. Nel campo della squadra di calcio dei Faraon di Trpinje, sulla penisola di Sabbioncello (Pelješac), ridotto alle dimensioni del calcetto dell’epoca, 47x35 metri con reti di cinque metri, venne disputata la prima partita. I locali affrontarono lo Zmaj do Blato. A imporsi furono gli ospiti per 3-1. Da notare che ci fu molta improvvisazione e, tra l’altro, si sviluppò un’accesa discussione su quanti giocatori mandare in campo. Gli ospiti volevano squadre composte dai classici undici giocatori, ma alla fine prevalse All’inizio era ritenuto la variante dei sette giocatori, sei in campo più il portiere. soltanto un passatempo Nonostante fossero stati dispuPertanto si cominciò subito a tati i primi campionati regionali e svariati tornei, fu necessario parec- organizzare svariati campionati a Calcio e calcetto, due sporte e due mondi diversi. Oggi questi due sport vantano giocatori propri, con proprie Federazioni. Però non tanti anni fa andavano a “braccetto”, tanto che arrivavano a condividere quasi tutto, a partire dai giocatori. Ma vediamo come è cresciuto in Dalmazia questo sport, che ancor oggi molti considerano soltanto come una sorta di passatempo. Spalato è uno dei principali centri del calcetto in Croazia. livello giovanile, dai pulcini in poi; il gioco si impose dapprima nelle scuole elementari e medie, a livello croato e poi jugoslavo. Se lo sviluppo organizzato di questo sport a livello giovanile fu veloce e coronato da grande successo, a livello seniores le cose andarono molto a rilento. Il calcetto fu ritenuto in primis come un passatempo e non come un vero e proprio sport. Appena nel 1987 la Federcalcio croata istituì una commissione per il calcetto e cominciò a pensare all’organizzazione di veri campionati. Nel 1988 fu organizzato il primo campionato nazionale vinto dalla squadra di Kutina, che in seguito si impose pure nel primo campionato della Jugoslavia. Dal 1993 iniziarono a essere disputati i campionati della Croazia. L’ultimo campionato è stato vinto dalla squadra istriana di Sottopedena, il Potpićan ’98. I primi incontri a Spalato Visto il grande amore per il gioco del pallone da parte dei dalmati e degli spalatini in primis, lo sviluppo del calcetto procedette in questa regione di pari passo con l’ascesa irresistibile del calcio. Le regole variarono spesso e vennero a dipendere soprattutto dallo spiazzo a disposizione per disputare le partite. Vi furono così partite nelle quali le squadre scesero in campo con cinque, I numeri 1985 Terza lega Nella prima vittoriosa stagione, sotto la guida di Vibor Velčić hanno giocato: Luka Kokeza, Ivica Majić, Ivica Franić, Denis Kosor, Goran Kovačević, Željko Babić, Joško Lešina, Boris Tomić, Davor Perić, Zoran Perković, Hari Rončević, Vili Rončević e Vedran Dragičević L’ottimismo dell’Optimist Nell’inverno del 1984 a Spalato vi fu la svolta. In quanto a organizzazione il calcetto era molto forte e venivano “sfornati” in continuazione ottimi giocatori, in grado di farsi 1986 Seconda lega A Primo posto con 24 vittorie, sei pareggi e tre sconfitte, differenza reti 176-86. A giocare la maggioranza delle partite sono stati: Luka Kokeza, Goran Kovačević, Davor Perić, Željko Babić, Ivica Majić, Ivica Franić e Boris Tomić. Migliori marcatori Goran Kovačević con 47 e Željko Babić con 40 reti. sei, o setti giocatori. I primi incontri vennero disputati già negli anni Trenta. Parlare della prima vera partita di calcetto a Spalato è praticamente impossibile. Oggi viene riconosciuta quella disputata il 23 maggio 1954 tra i giocatori della Riva e quelli della Piazza. Vennero giocate all’epoca due partite, la prima nella cava di Marasović e la seconda nel campo dei ferrovieri alle Botticelle (Bačvice). Tra gli altri scesero sul terreno di giocoi calciatori dell’Hajduk Vladimir Šenauer Geza e Davor Grčić Gaga. Un’altra partita passata alla storia fu quella del 1962, quando su un campo del Poljud giocarono le squadre del Palmolive di Bačvice e gli Old boys. La prima cornice organizzativa relativa al calcetto a Spalato la troviamo nel 1963, con un torneo a quattro, e secondo altre fonti a otto squadre. Poi nel 1964 ci fu il primo tentativo di mettere in piedi un campionato, mentre, finalmente, nel 1965 venne disputato il primo campionato ufficiale della città di Spalato. Questo primo campionato fu organizzato dalla Federazione per il calcetto fondata nel 1965: il suo primo presidente fu Lenko Čulić. A conquistare il titolo fu la squadra con il nome Palmolive. Il campionato ebbe grande successo e si ripeté nel corso degli anni. Gradualmente aumentarono il numero dei giocato- 1987 Prima lega B Quarto posto con 19 vittorie, due pareggi e nove sconfitte, differenza reti 151-94. A giocare la maggioranza delle partite sono stati: Ivica Majić, Ivica Franić, Boris Kanazir, Denis Kosor e Boris Tomić. Migliori marcatori Boris Kanazir con 43 e Denis Kosor con 25 reti. Il fondatore dell’Optimist, Vibor Velić valere non soltanto a livello nazionale. Il professor Vibor Velčić unì due generazioni di calciatori. Da una parte c’erano i liceali di buone speranze Goran Kovačević, Davor Perić, Luka Kokeza, Željko Babić e Denis Kosor. Dall’altra giocatori esperti come Boris Tomić, Ivica Franić, Joško Lešinj, Ivica Majić e Boris Perković. Essi andarono a formare la squadra dell’Optimist che già nella prima stagione 1984/ 85 conquistò un ottimo secondo posto nel terzo livello cittadino e la conseguente qualificazione al rango superiore. Nell’inverno dello stesso anno i liceali della squadra, tra 300 compagini, arrivarono a disputare i quarti di finale della Coppa di Dalmazia. Nell’estate del 1985 arrivarono pure in finale al torneo di Castel San Giorgio (Kaštel Sućurac). In questo primo anno si impose all’attenzione dei tecnici e degli spettatori il sedicenne Goran Kovačević, autore addi- 1988 Prima lega B Terzo posto con 21 vittorie, quattro pareggi e cinque sconfitte, differenza reti 153-55. A giocare la maggioranza delle partite sono stati: Boris Vučica, Denis Kosor, Luka Kokeza, Boris Kanazir e Ivica Franić. Migliori marcatori Boris Kanazir con 45 e Denis Kosor con 25 reti. Il primo campo di gioco dell’Optimist rittura di 100 reti nel corso di una sola stagione. Con la qualificazione in seconda lega i giocatori abbandonano il campo in via Vukovar (all’epoca Balkanska) e cominciano a giocare nella palestra di Gripe. Alla squadra vennero aggregati altri giovanissimi, Vedran Boljat, Nikša Zokić e Boris Kanazir. Le ambizioni furono notevoli fin dall’inizio e tutt’altro che campate in aria. La compagine vinse il campionato di seconda divisione, senza registrare alcuna sconfitta nelle ultime 15 giornate. Fu battuta pure la fortissima e favorita squadra del Brodoremont. Due giocatori, Zokić e Perić, ebbero l’onore di giocare nella selezione spalatina al torneo di Velenje. Nel 1987 arrivò il campionato della lega I B. L’Optimist. ora con il 1989 Prima lega B Primo posto e qualificazione in prima lega sotto la guida del tecnico iniziale Vibor Velćić e Boris Tomić. Alla fine Mesarnica Truman registra 23 vittorie, cinque pareggi e due sconfitte, differenza reti 124-49. A giocare la maggioranza delle partite sono stati: Luka Kokeza, Siniša Burazer, Denis Kosor e Goran Kovačević. Migliori marcatori Goran Kovačević 28, Boris Kanazir con 22 e Željko Babić con 20 reti. La squadra piazzatasi terza nel 1988 nel campionato di Prima Lega B. In piedi da sinistra Boris Tomić, Luka Kokeza, Željko Babić, Boris Kanazir, Siniša burazer, Goran Kovačević e Vibor Večić. Accosciati: Marinko Raboteg (per lo sponsor), Boris Vučica, Denis Kosor, Dražen Brkljačić e Ivica Franić. nome di Foto Olga, disputò un ottimo campionato e alla fine conquistò il quarto posto in classifica. Un successo, visto che la giovane squadra fu “menomata” per il fatto che diversi giocatori dovettero prestare in quel periodo il servizio militare. Vittorie travolgenti La squadra che ha vinto nel 1989 il campionato di Prima Lega B. In piedi da sinistra Boris Tomić, Željko Babić, Zlatko Grgić, Boris Kanazir, Luka Kokeza, Davor Pejić e Vibor Večić. Accosciati: Boris Vučica, Goran Kovačević, Ivo Vidošević, Siniša Burazer e Denis Kosor. La squadra di calcetto dello Špinut, nel 1939 Nel 1988 la squadra cominciò a ingranare davvero. Con il nome dello sponsor, Mesarnica Truman, la compagine partì a rilento. Dopo la prima parte della stagione si ritrovò al quarto posto. Prima dell’inizio della seconda parte della stagione torneranno a militare nelle sue file Goran Kovačević, Željko Babić e Davor Perić. Alla squadra si aggregò pure l’ottimo juniores dell’Hajduk, Siniša Burazer. Non per niente la seconda metà della stagione fu un vero successo. Vennero conquistati ben 25 dei 30 punti possibili. Boris Kanazir fu pure il capocannoniere del torneo con 45 reti. Nella stagione successiva, 1988/ 89, la Truman si impose finalmente nel campionato della lega I B. Dopo la sconfitta nel primo turno la compagine vinse ben 28 partite di seguito e conquistò il titolo alla grande. Vinse pure la Coppa della Città di Spalato battendo in finale il Brodoremont per 2-0. Si impose, inoltre, in numerosi tornei regionali e locali e partecipò per la prima volta alla Kutija Šibica di Zagabria. La prima stagione in prima lega si rivelò difficile. La squadra iniziò il campionato in sordina. Dopo nove turni la squadra si ritrovò con soli otto punti in classifica. Non male, comunque, per una neopromossa. Però dopo la partenza “al rallentatore”, arrivò il grande miracolo. La squadra si impose in 16 della successive 17 partite e vinse il campionato! Prima a Spalato, prima in Dalmazia. La compagine, infatti, conquistò la Coppa delle Coppe della Dalmazia battendo uno dopo l’altro tutti gli avversari. In quell’anno il titolo di miglior portiere andò a Luka Kokeza, estremo difensore del Truman. Nuovo nome... vecchie abitudini Nel 1991 la squadra cambiò nome in JID, anche se il padrone rimase lo stesso. Nuovo nome, ma vecchie “abitudini”. La squadra tornò a vincere il campionato, praticamente senza avversari degni di tal nome. Seguirono pure svariati successi nei diversi tornei regionali e repubblicani. Nella prossima puntata ci soffermeremo sui grandi successi della principale squadra spalatina, sulle sue imprese nazionali e internazionali, sulle sue stelle, senza dimenticare però le altre compagini. 1990 Prima lega A Primo posto con 18 vittorie, quattro pareggi e quattro sconfitte, differenza reti 72-30. A giocare la maggioranza delle partite sono stati: Denis Kosor, Luka Kokeza, Goran Kovačević, Željko Babić, Đivo Tikvica e Siniša Burazer. Migliori marcatori Denis Kosor con 18 e Goran Kovačević con 13 reti. 1991 Prima lega A Primo posto con 16 vittorie, cinque pareggi e cinque sconfitte, differenza reti 77-52. A giocare la maggioranza delle partite sono stati: Siniša Burazer, Denis Kosor, Frane Peroš, Luka Kokeza, Joško Tijardovič e Željko Babić. Migliori marcatori Denis Kosor con 17 e Goran Kovačević con 16 reti. 1991/92 Prima lega A Secondo posto con 14 vittorie, otto pareggi e quattro sconfitte, differenza reti 74-47. A giocare la maggioranza delle partite sono stati: Denis Kosor, Siniša Burazer, Nikša Zokić, Frane Peroš, Luka Kokeza e Željko Babić. Migliori marcatori Đino Tikvica con 15 e Denis Kosor con 12 reti. 6 dalmazia Sabato, 10 aprile 2010 POLITICA La recessione, le disfatte sportive e lo scarso peso politico nei confronti di Zaga Complice la crisi in Dalmazia ri di Dino Saffi ià da oltre un decennio il regionalismo si ritrova in una sorta di letargo in Dalmazia. Si può dire che si sia quasi persa la memoria di un movimento che pure aveva fatto un po’ di proseliti all’inizio degli anni Novanta. Eppure da un paio di mesi a questa parte, qualcosa sta forse cambiando. A lanciare il classico sasso nello stagno, non provocato apparentemente da nulla e da chicchessia, è stato Dragan Lukić Segedin, il cantante noto all’opinione pubblica con il nome d’arte di Luky. Una sua lettera aperta - programmatica, pubblicata sulla “Slobodna Dalmacija”, ha messo a rumore la Dalmazia e, in tre soli giorni, ha radunato novemila seguaci su Facebook. gli ingegneri sono disoccupati!? A che cosa servono, allora, tutti quegli studenti e tutte quelle Facoltà? Sopprimiamole e facciamo della Dalmazia un grande supermercato, diamo lavoro a cinesi e moldavi, che vendano brodini ed ammorbidenti, e noi tutti quanti a Zagabria! Tanto la Dalmazia non rappresenta che una pompa stagionale di moneta, quando, per sei mesi, l’intero governo della Repubblica di Croazia, diventa tremebondo, al pensiero se i turisti verranno o non verranno, perché nel bilancio statale mancano un paio di miliardi di euro”, ha scritto Dragan Lukić Segedin, che non ha mancato di puntare l’indice pure sul “collasso dell’economia dalmata”, ed anche sul periodo nero che sta attraversando lo sport regionale, una volta fiorente. La regione «emarginata» Una «lettera programmatica» Nel suo “proclama” il cantante ha enumerato tutte le cause per le quali egli ritiene che la Dalmazia sia oggidì emarginata “dall’iniqua distribuzione dell’imposta sul reddito in favore della metropoli croata”, ovvero Zagabria. “Mio fratello ha terminato gli studi di economia a Spalato e mi ha fatto notare che metà della sua generazione si è trasferita su, al settentrione, perché a Spalato non vi sono possibilità di lavoro!?”, ha rilevato Luky. Le tesi che Luky ha sostenuto nel suo proclama hanno trovato terreno fertile, il testo è stato uno dei più commentati, sul portale della “Slobodna Dalmacija”; e presto la “lettera programmatica” ha fatto breccia anche su Facebook. Nei commenti si può leggere davvero di tutto, anche minacce di rivolta: l’assunto più diffuso vuole che la Dalmazia, in rapporto a Zagabria, si trovi nella posizione in cui fu, un tempo, la Croazia rispetto a Belgrado. G «Troppi disoccupati» “A Spalato, città di 26.000 stu- «Niente autonomismo» “Non ho inteso apparire, con denti distribuiti fra una trentina di Facoltà, gli economisti, i giuristi, questa lettera, un autonomista, fiLa Biblioteca universitaria di Spalato: molti laureati sono costretti a emigrare altrove per trovare lavoro Sinj: nell’entroterra dalmata, doive manca la gallina dalle uova d’oro del turismo, la siutuazione economica è ben più sconfortante che non lungo la costa nalità cui non ho mai mirato. De- degli iscritti al citato gruppo di sidero unicamente sottolineare Facebook. la necessità di cambiamenti raScoramento dicali nell’assetto regionale della Croazia, per rafforzarla. L’odiere delusione na Croazia ultracentralizzata può E tuttavia la lettera di Luky solo segare il ramo su cui siede”, ed i suoi echi potrebbero esseha spiegato Luky alla stampa. un segnale di mutamenti nella Partiti regionalisti: re disposizione d’animo dei dalmati. scarso il successo I partiti di ispirazione regionale, in Dalmazia, hanno avuto sinora scarso successo, addirittura meno che in Slavonia o in altre zone della Croazia settentrionale. Tutto è caduto in letargo fin dai tempi in cui il ministro della Giustizia del Governo Racan, Ingrid Antičević Marinović, depennò dal registro dei partiti, per asserita inattività, l’Azione dalmata (Dalmatinska akcija), di cui era leader Mira Ljubić-Lorger. “Nel corso della storia, i dalmati furono a tal punto accusati di autonomismo e di orjunismo, che risulta quasi scioccante il solo pensiero di rimarcare qualche peculiarità regionale. Questa tradizione di rapporti nei confronti della Dalmazia continua fino ai giorni nostri, essendo tutta la regione considerata, sistematicamente, problematica”, ha dichiarato alla “Slobodna Dalmacija” l’ex presidente dello schieramento regionalista degli anni Novanta, Mira Ljubić-Lorger, la quale, ancor Il campanile di San Doimo oggi, giudica un sopruso burocraa Spalato tico la cancellazione del suo partiComplice la crisi economica e i rito dal registro. non in linea con le fulgide Soltanto un pugno sultati tradizioni in campo sportivo, potrebbero creare i presupposti per di voti la nascita di qualche movimento Alle ultime elezioni locali, in di ispirazione regionalista. Il coltutte e quattro le Contee dalma- lasso economico, culturale e sporte, non si è proposto alcun par- tivo della regione è giunto al puntito che nella sua denominazio- to, sembra, in cui potrebbe cercare ne recasse il nome della regione. di darsi una propria articolazione Una formazione dalle caratteri- politica. stiche siffatte è apparsa l’ultima «Manca un Kajin volta alle elezioni politiche del 2007, però con scarsissimo sucdalmata» cesso: il Partito liberale Dalmata Dražen Lalić, professore alla ottenne nel seggio elettorale N.9 un misero 0,16 p.c. di voti e nel Facoltà di Scienze politiche di vicino seggio elettorale n. N.10 Zagabria, rileva che “la Dalmaancor meno, solo lo 0,13 per zia non annovera oggidì nemmeno cento. Complessivamente, nei un politico di statura rilevante che due seggi elettorali, 744 voti, vi operi, come Jakovčić e Kajin in dodici volte meno del numero Istria, o Obersnel a Fiume. Tutti i più importanti personaggi politici, considerati dalmati, operano a Zagabria; lo stesso Kalmeta ricorda più lo zio d’America che un politico zaratino”, sottolinea Dražen Lalić. Secondo il docente la responsabilità maggiore di una simile situazione sarebbe “imputabile alla mentalità dei dalmati, che per decenni non hanno generato alcuna importante iniziativa politica, né hanno creato istituzioni comuni che avrebbero potuto attuare le iniziative, come avvenuto invece nel caso dell’Istria. Ha avuto la meglio la cultura dinarica, secondo la quale noi siamo i più intelligenti, i migliori, i più belli. Io ho sinceramente sperato, per dire, che Željko Kerum avrebbe compreso che per progredire sono necessarie persone assennate. Ed è emerso, invece, che egli stesso rappresenta il miglior esempio della filosofia dell’Io so tutto, la quale rivela perniciose conseguenze, attraverso la trasgressione del diritto e lo strangolamento della società civile. Una mentalità che non recepisce l’autorevolezza e il pensiero razionale e che ha bisogno di una urgente modernizzazione”, ha evidenziato Dražen Lalić. Il peso della storia Di tutt’altra opinione Mira Ljubić-Lorger secondo la quale la mentalità non possa essere ritenuta causa della situazione odierna di un’intera regione: “La mentalità non è cosa che possa essere così facilmente definita, ed inoltre su di essa hanno influito tutte le pressioni alle quali è stata sottoposta nel corso della storia”. I dalmati, dunque, non concordano sui motivi per i quali la regione non riesca a imporsi con forza a livello nazionale che li hanno portati in una posizione marginale. Il testo di Luky è probabilmente il primo che abbia articolato un certo malcontento strisciante, istituendo una lista di presunte frustrazioni dalmate. In questi casi naturalmente gli stereotipi sono d’obbligo, ma essi sono quelli che possono fare colpo sulla gente, molto più dei discorsi accademici. Le frustrazioni a livello popolare si sono manifestate quasi esclusivamente nel campo sportivo, più esattamente nei campi di calcio. Molti si chiedono in dalmazia 7 Sabato, 10 aprile 2010 abria mettono in moto una singolare iniziativa su Facebook spunta la voglia di regionalismo Spalato Nemmeno nella pallavolo si ripetono più i risultati d’un tempo: non resta che fare autocritica Dalmazia come sia possibile che un club del rango dell’Hajduk, il quale ha dominato per decenni nel calcio croato, ad un tratto sia diventato una sorta di sparring-partner secondario dello squadrone della capitale? Cassaforte in fondo al mare Il cantante spalatino non parla però soltanto di frustrazioni sportive: “La Dalmazia è nuovamente, e sa Iddio per quale volta, umiliata fino alla sofferenza, messa in fondo al mazzo. Io proporrei, di riflesso, di allestire una grande cassaforte e di posarla in fondo al mare; terminata la stagione turistica, vi depositerei, nascondendoli, quei 5 miliardi di euro introitati dal turismo e direi: cari miei go- verni, ministeri, bilanci della città di Zagabria, ed altri, il malloppo sta qui, da noi, e ora vi arrangiate! Se vi serve qualcosa, inviate in Dalmazia una vostra spettabile delegazione e, forse, qualcosa vi allungheremo”. Luky nel suo libello sostiene, inoltre, che da Spalato e dintorni l’industria è praticamente scomparsa, salvo quella del cemento e la cantieristica. “Jugoplastika, Jugovinil, Dalmastroj, Mesopromet, ecc., aziende che occupavano decine di migliaia di persone e, quel che più conta, producevano valore aggiunto, non esistono più. Della Dalmacijavino è rimasta solo l’iscrizione-insegna al porto e tutto fa pensare che anche i destini della Jadranska Pivovara siano ormai segnati. A me la faccenda non è chiara. Ecco, per esem- pio, la Jugoplastika fabbricava le calzature sportive Adidas, e, per quanto ne so, nel mondo le scarpette Adidas si producono ancora, la gente le indossa. Solo da noi non si fabbricano più. Non ci servono. Da noi tirano di più i grandi centri commerciali: per quale motivo dovremmo avere a cuore la produzione di beni? L’economia spalatina, un tempo, era vigorosa e forte come Veli Jože. Né la condizione disastrosa è propria solamente di Spalato. Ricordiamoci dei giganteschi capannoni industriali dell’azienda sebenzana TLM 5, oggi letteralmente spariti dinanzi all’invasione dei centri commerciali. Zara, in qualche modo ed in apparenza, regge ancora, per quanto anche là siano svanite una S.A.S. od una Bagat. Tutti i porti adriatici registrano un Lo stadio dell’Hajduk visto dal Marjan: la compagine spalatina è ben lontana dal ripetere i fasti di una volta traffico che è la metà di quello di Capodistria. Il cataclisma si rivela nella sua completezza non appena ci allontaniamo dal mare, a Sinj, Imotski, Obrovac, Benkovac, Drniš, Metković, Knin, dove non esiste nemmeno il salvagente del turismo”. Lo sport al collasso Ma l’economia su Internet passa in secondo piano: i “seguaci” di Luky, nel formulare le proprie frustrazioni, si attengono al tema prediletto, quello sportivo. Luky si cimenta nell’enumerazione di grandi club del recente passato, la cui rilevanza oggigiorno è nulla e stende in effetti un elenco impressionante. Semplicemente è un dato di fatto che gli unici club, in grado di competere con quelli di Zagabria, sono la pallacanestro zaratina e la pallanuoto ragusea. “L’Hajduk è a corto di ossigeno, ma ci interessano di più il KK Split, l’RK Split, lo ZRK Dalma, il VK Jadran, il VK Mornar, il POŠK, ecc. Dove sono finiti questi club? Dove giocano? Chi assiste alle loro partite, chi va a guardare i ragazzi e le ragazze che faticano e si allenano? Ho l’impressione che soltanto i parenti stretti sappiano che praticano lo sport. Ditemi, non è triste? Società sportive, ammirate dall’Europa intera, hanno toccato il fondo. In compenso, lassù, a Zagabria, tutto è rose e fiori. Dinamo, Zagreb, RK Zagreb, Mladost, Cedevita, sguazzano nell’abbondanza! Della regina delle nevi, che viene a costare milioni, non parlo neppure. Ma, da dove, amici miei? Da dove avete attinto? Rispondono: sono i cittadini di Zagabria che accantonano fondi, con imposte e sovrattasse, per lo sviluppo della metropoli! E qui vi voglio! Perché quelli di Ragusa e Sebenico accantonano ugualmente fondi, e non per sé medesimi, ma per i vari Bandić e Mamić, per la regina delle nevi, ecc.”, strilla Luky. E non sono del tutto isolati Luky ed i suoi seguaci di Facebook. Con loro è d’accordo anche Dino Rađa, il leggendario giocatore di basket della Jugoplastika, la più grande squadra di pallacanestro, secondo alcuni, che l’Europa abbia mai avuto. Dino Rađa è oggi alla testa del KK Split, un club che non solo non è in grado di opporsi ad uno Cibona o alla squadra di Zara, ma ha poche chance anche contro la zagabrese Cedevita. Il problema, secondo Dino Rađa, non risiede nell’incapacità di allevare i giovani o in una scarsa qualità del lavoro: “In fin dei conti, nel club di basket che dirigo si è fatta le ossa la maggior parte dei giocatori che oggi rappresentano il meglio della pallacanestro croata. Vero, non giocano a Spalato. La cassa viene tenuta a Zagabria, là si distribuisce gran copia di danari. Lo Cibona riceve dalla Città di Zagabria, annualmente, 12 milioni di kune, quanto noi abbiamo incassato negli ultimi 20 anni. Circostanza che vale a svelare noi stessi, quanto siamo in grado di stimare le nostre istituzioni e tradizioni”. Dino Rađa racconta un episodio che illustra la mentalità spalatina e dalmata. Alcuni anni fa Toni Kukoč, il nome più famoso della pallacanestro fuori dagli States degli ultimi dieci anni, si è steso su di un asciugamano, nella spiaggia sotto il monte Marjan. Di tanto in tanto qualcuno lo scrutava ammirato, ma i commenti vertevano perlopiù sulla lunghezza delle sue mani e delle sue gambe, non sulla sua maestria. Oggi tutti giurano su Branka Vlašić, ma basteranno due-tre sue défaillances perché si ricredano. Io sono stato meglio ricevuto a New York, dove non ho mai giocato, che a Spalato”, sottolinea Dino Rađa. I dalmati, dunque, sono talvolta pronti a ravvisare il nocciolo del problema anche in sé stessi. E l’autocritica non fa mai male. 8 dalmazia Sabato, 10 aprile 2010 ESULI La vicenda infinita dell’onorificenza concessa da Ciampi al gonfalone zaratino Una medaglia ferma al palo di Giovanni Contus I tempi della diplomazia sono lunghi, lunghissimi, quando vi sono di mezzo situazioni spinose, capaci di risvegliare passioni, emozioni di segno opposto e difficili da controllare, in quanto a possibili reazioni. Emblematica a questo proposito è la “storia infinita” della medaglia d’oro al valor militare al gonfalone dell’ultima amministrazione italiana di Zara, mai consegnata for- più facce di una medaglia” (edizioni Le Lettere). Una vicenda di natura squisitamente politica. Della questione non si sarebbe probabilmente parlato negli ultimi anni, se, scrive Simoncelli, a smuovere le acque non avesse deciso di intervenire nel febbraio del 1993 l’allora presidente della Repubblica italiana, Oscar Luigi Scalfaro. È lui che mette in moto la storia che qui si racconta. Scalfaro era stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio ai tempi del governo Scelba (10 febbraio 1954 - 22 giugno 1955) quando la questione del confine orientale italiano era incandescente e da allora aveva preso a cuore la questione. Nel 1993, dopo una visita a Trieste e un incontro con il senatore Lucio Toth, esponente di spicco della diaspora dalmata, scrive una lettera (che avrebbe dovuto restare riservata) all’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato sul caso zaratino. Difficoltà di carattere ideologico e politico malmente. Da quanto si evince avrebbe dovuto essere un tassello del complesso mosaico della riconciliazione adriatica ed essere magari accompagnata da quel vertice di rappacificazione storica fra i presidenti di Croazia, Slovenia e Italia, che fatica ad andare in porto. Non è un’impresa facile realizzarlo se si considerano tutti i sedimenti della storia che ci sono alle spalle. In ogni caso della medaglia a Zara “congelata” si è tornato a parlare a cavallo del Giorno del Ricordo 2010. Ed è emerso qualcosa che del resto appariva probabile. Sarebbe stata, infatti, accantonata per timore di creare conflitti diplomatici con Zagabria l’onorificenza già concessa a Zara a ricordo del suo martirio nella Seconda guerra mondiale. Questo si evince dalla ricostruzione dei retroscena della vicenda, ricordata nella parte iniziale di un avvincente libretto di Paolo Simoncelli, “Zara. Due e Il Quirinale soldati con la svastica e, per quel che è impossibile attribuire alle truppe hitleriane si resta nel vago. Equilibrismi e prudenza Esaminate le varie versioni a confronto, Simoncelli scrive: “Raramente un’analisi di filologia spicciola, di semplice collazione di testi, manifesta angosce di tale dimensione; specchio di chissà quali paure, di ricerca di equilibrismi che progressivamente diventano funambolismi circensi, fino ad assumere forma di barocchi documenti dell’arte del tacere, del silenzio ‘prudenza’ che nella cultura politica italiana ha tradizione antica e robusta”. Alla fine si ottiene una versione condivisa da tutti, anche dall’ANPI (Associazione nazionale partigiani d’Italia), da cui si capisce poco o nulla. Comunque si può procedere. Il 3 giugno del 1998 viene consegnato a Scalfaro un dossier con la proposta per la concessione di una medaglia d’oro al valor militare al gonfalone della città di Zara, dossier che il presidente accoglie con grande soddisfazione. Ma è il momento della guerra del Kosovo e lo stesso Scalfaro, agli sgoccioli del suo settennato, fa presente ai suoi interlocutori la necessità che, nonostante l’opportuna “opera di cosmesi per renderla più accettabile al lettore non italiano”, l’iter della pratica, per evidenti motivi di politica internazionale, subisca una “pausa di riflessione”. Oscar Luigi Scalfaro torna poi sul tema diverse volte, la più importante delle quali è il discorso di fine anno del 1997. Ed è a questo punto che la storia subisce una svolta. Il presidente del gruppo medaglie d’oro al valor militare, Furio Lauri, nel febbraio del 1998 invia ai colleghi delle 34 associazioni nazionali combattentistiche e d’arma, comprese ovviamente quelle partigiane, la richiesta di adesione alla proposta di conferire la medaglia d’oro al gonfalone di Zara. E qui si presentano le prime difficoltà, a cominciare dal capitolo della laboriosa elaborazione del testo di motivazione del conferimento della medaglia. Si tratta di enfatizzare, nella descrizione del martirio di Zara, il ruolo dei nazisti. Il testo finale, scrive Simoncelli, è “soggetto a ripetuti interventi” dettati “da motivi di opportunità ideologica, politica, diplomatica” che “a poco a poco Il nodo gordiano ne snaturano la sostanza”. Il tutto Il 13 maggio del 1999 Carlo è scritto e riscritto in modo da far intendere che l’alto numero di vit- Azeglio Ciampi viene eletto pretime sia da mettere nel conto dei sidente della Repubblica e prende il posto di Scalfaro, il quale nell’ultimo giorno al Quirinale telefona a Lucio Toth manifestandogli il proprio rincrescimento per non aver potuto portare a compimento formale e materiale la pratica della consegna della medaglia d’oro a Zara. I fautori dell’iniziativa non si perdono d’animo e il 17 maggio del 2000 il loro rappresentante Furio Lauri viene ricevuto da Ciampi, che prende a cuore la loro causa. Di più. Il 21 settembre 2001 Ciampi con un gesto ardimentoso taglia il nodo e conferisce motu proprio la medaglia d’oro al valor militare all’ultimo gonfalone italiano della città di Zara. Decisione che quel giorno e quelli immediatamente successivi deve rimanere segreta per non turbare la visita che il presidente compirà in Croazia il 9 e 10 ottobre. Si dovrà pazientare per poco meno di due mesi. È lo stesso ufficio di Ciampi ad annunciare che trascorsi quei due mesi, per la precisione il 13 novembre, la medaglia avrebbe dovuto essere appuntata al gonfalone zaratino in una pubblica cerimonia appositamente convocata al Quirinale in presenza di Ottavio Missoni, Oscar Luigi Scalfaro sindaco del Libero comune di Zara in esilio (“sindaco”, precisa Missoni, “unicamente per amministrare i ricordi ed i valori di quella che fu la nostra amata città”). Dura protesta La notizia però filtra e il 25 ottobre il governo croato presenta una dura nota di protesta. Per di più in quel frangente la sinistra italiana si divide. Perplessità verso l’iniziativa ci sono anche in campo cattolico. Simoncelli ricorda l’affermazione dell’ex presidente della Repubblica italiana, Francesco Cossiga: “Non avrei firmato la delibera sul conferimento dell’onorificenza a Zara; avrei trovato un altro modo per rendere omaggio agli italiani, ai croati e ai serbi morti nel bombardamento di Zara”. Nel 2006 al Quirinale un nuovo cambio di inquilino: Napolitano sostituisce Ciampi. La sua prima cerimonia in occasione del Giorno del ricordo dà la stura a una coda polemica con l’ancora Capo dello Stato croato, Stjepan Mesić. Il ministro degli Esteri dell’epoca, Massimo D’Alema difende il presidente e lascia cadere una frase diplomaticamente allusiva alla vicenda della medaglia (“auspichiamo che si possano svolgere gli atti simbolici di cui si era parlato”). E però sul gonfalone di Zara continua a non essere appuntata quella medaglia d’oro conferita il 21 settembre 2001. Una soluzione di compromesso Che fare? A conclusione del suo libro Simoncelli riferisce che poco tempo fa, il 10 febbraio del 2010, è stata escogitata una soluzione “all’italiana”. Quel dì alla Camera dei deputati si è riunita in sede referente la IV Commissione (Difesa) con all’ordine del giorno l’istituzione di una nuova medaglia intitolata “al merito delle popolazioni di Fiume, Pola e Zara”. La discussione è durata non più di un quarto d’ora (per l’esattezza dalle 14 e 50 alle 15 e 05). Nel corso dello stringatissimo dibattito il relatore Marcello De Angelis ha riferito che il Comitato ristretto aveva optato per questo nuovo tipo di decorazione, al posto di una medaglia d’oro al valor militare, a causa della presenza di “alcuni ostacoli nella disciplina vigente in materia di conferimento delle medaglie d’oro al valor militare che renderebbero problematico il riconoscimento di tale onorificenza”. Poi, per allontanarsi ancor più dalle sabbie mobili su cui, come abbiamo visto, si è mossa l’intera vicenda, ha aggiunto che il riconoscimento a Fiume, Pola e Zara per il “contributo da esse reso nella storia a beneficio dell’Italia” va inteso non solo “per le vicende legate alla Seconda guerra mondiale”, ma per epoche anteriori, “si pensi ad esempio alla Grande guerra, e che testimonia l’esistenza di un profondo legame di quelle popolazioni con la comunità italiana”. Tutti si sono dichiarati d’accordo con tale impostazione e tale decisione. Se anche il Senato come è probabile approverà, scrive Simoncelli, “una medaglia, quale che sia, comunque viene conferita, anzi inventata apposta e, per ora, senza sollevare alcun problema politicodiplomatico”. Resta, comunque, da vedersi se questi escamotage dialettici e politici saranno sufficienti a evitare nuovi polveroni... Per il momento l’impressione è che la “storia infinita” dell’onorificenza a Zara sia destinata a proseguire ancora per parecchio tempo... Anno VI / n. 53 del 10 aprile 2010 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat Edizione: DALMAZIA Redattore esecutivo: Dario Saftich / Impaginazione: Teo Superina Collaboratori: Igor Kramarsich, Ilaria Rocchi, Giovanni Contus, Dino Saffi e Barbara Rosi La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004