Zara, nel mare delle polemiche
Una medaglia con troppe facce
DEL POPOLO
IL PROLOGO
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Giovanni Contus a pagina 8
Dalmazia, voglia di regionalismo
di Dario Saftich
Il regionalismo è un tema che
già da due decenni tiene banco
in Istria. Molto meno invece in
Dalmazia. Anzi possiamo dire
che dopo un inizio apparentemente abbastanza promettente
nei primi anni Novanta, quando
il partito regionalista Azione dalmata perlomeno riusciva a farsi sentire sulla scena mediatica,
abbiamo assistito al declino inesorabile di qualsivoglia iniziativa di respiro regionale. I motivi
sono vari: da un lato il conflitto
nell’entroterra dalmata ha posto
in primo piano gli aspetti etnici
e nazionali, dall’altro deve aver
pesato anche la storia, ossia il
fatto che per troppo tempo, a
partire già dalla metà dell’Ottocento il concetto di autonomia
in Dalmazia sia stato sottoposto
a un fuoco di fila e considerato
da chi deteneva realmente le redini del potere uno spauracchio
da cui stare alla larga. Anche se
l’epoca del braccio di ferro tra
gli autonomisti dalmati aperti
pure verso la cultura italiana e i
sostenitori della causa nazionale
a oltranza appartiene ormai a un
passato remoto e la realtà etnica
e culturale odierna è ben diversa,
sembra proprio che il peso delle passioni politiche dell’epoca
rappresenti ancora un fardello
psicologico per la Dalmazia. Ciò
non toglie che l’idea dalmata sia
ben lungi dall’essere scomparsa:
essa fa capolino nello sport, nella
musica, nel turismo e nella cultura e si rafforza politicamente nei
momenti di crisi. La recessione
economica, ma anche le troppe
sconfitte brucianti registrate negli ultimi anni dai club sportivi
dalmati che una volta primeggiavano a livello nazionale, hanno
fatto balenare per la prima volta dopo tanto tempo un’iniziativa di respiro regionale che forse
potrebbe germogliare in futuro.
A lanciarla è stato su Facebook il
cantante Dragan Lukić Segedin,
deluso per l’aria di crisi che si respira in Dalmazia. Sono soprattutto le cocenti delusioni sportive, il fatto che l’Hajduk non sia
più lo squadrone di una volta e
che la compagine della “metropoli croata” imperi nel mondo
del pallone, a ravvivare l’orgoglio regionale ferito. Ma nel caso
dell’iniziativa di Luky più che di
politica possiamo parlare di folclore.
Più interessante risulta l’idea
lanciata dall’esponente del Partito popolare (HNS) e sindaco di Ragusa (Dubrovnik), Andro Vlahušić. In un’intervista
al settimanale dalmata “Vri-
me”, Vlahušić, richiamandosi
alla suddivisione europea della
Croazia in tre regioni statistiche
(adriatica, slavone e centrale),
ha proposto una nuova ripartizione del Paese in sei regioni,
nelle quali coagulare diverse
delle Contee attuali in base a
criteri geografici e storici. Le
sei nuove regioni scaturite dall’immaginazione del sindaco raguseo avrebbero per capoluoghi
Zagabria, Varaždin, Osijek, Slavonski Brod, Fiume e Spalato.
In altri termini ci ritroveremmo
con due regioni slavoni, con una
zagabrese, con una regione dello
Zagorje, una relativa al Litorale
(quella fiumana) e infine con la
Dalmazia. Nell’ambito di questo modello l’Istria perderebbe
l’attuale assetto conteale-regionale e conserverebbe soltanto
qualche elemento di regione, in
linea con qualche esempio della
prassi europea. Inutile dire che
questa proposta ha mandato su
tutte le furie gli esponenti regionalisti istriani. Il vicepresidente della DDI, Damir Kajin, ha
manifestato sorpresa per il fatto
che una simile proposta sia giunta dal sindaco di una città quale
Ragusa, che è cresciuta proprio
“grazie all’autonomia che ha difeso nei secoli”. Comprensibi-
dalmazia
An
no
VI •
n. 53 •
2010
Sabato, 10 aprile
Andro Vlahušić
le lo sfogo di Kajin: resta però
il fatto che con l’iniziativa dell’esponente HNS la Dalmazia
tornerebbe a essere una regione
storica con tutti i crismi della legalità, non più divisa in quattro
Contee, incentrate sulle quattro
principali città (Zara, Sebenico, Spalato e Ragusa), ciascuna
delle quali difende gelosamente
i propri interessi e l’insieme si
perde di vista.
2 dalmazia
Sabato, 10 aprile 2010
LIBRI Pubblicato dalla Società Dalmata di Storia Patria, a cura di Rita Tolomeo, un sag
Italiani e croati in Dalmazia, un
di Ilaria Rocchi
G
iuseppe Sabalich, Antonio Cippico,
Arturo Colautti, Edgardo Maddalena,
Vitaliano Brunelli, Riccardo Forster,
Girolamo Enrico Nani, Girolamo Italo Boxich (Jerko Božić), Giorgio Wondrich, Antonio Battara, Gaetano Feoli, Luigi Bauch e
poi ancora tanti altri autori, storici e professori: costituiscono il panorama letterario italiano zaratino agli albori e nel primo decennio
del Novecento. A tracciare il profilo dei protagonisti di questo particolare ambiente letterario, delineandone al contempo i contorni
socio-politici e culturali, è stata una studiosa dell’Università di Zara, Nedjeljka BalićNižić, nel saggio “Scrittori italiani a Zara, negli anni precedenti la prima guerra mondiale
(1900-1915)”, tradotto e pubblicato in Italia
da Il Calamo (Roma 2009, pp. 144) a cura di
Rita Tolomeo, per conto della Società dalmata di Storia Patria (Serie II, Studi e Testi, Fascicolo XI). Va detto però che questo lavoro
monografico era stato dato alle stampe dalla
fiumana EDIT, nel 1998, in croato, con il titolo originale “Talijanski pisci u Zadru pred
prvi svjestki rat (1900-1915)”.
Una città tra diversi mondi
La scelta di Zara, come luogo prediletto di esplorazione della letteratura italiana in
Dalmazia non è ovviamente casuale. La città
è stata per secoli capitale della regione. Fondata come avamposto, nel IX secolo a.C., dai
Liburni, una tribù illirica, dal 59 a.C., come
altre importanti città della X Regio – Venetia
et Histria, diventa un municipio romano, con
il nome Iadera e nel 48 d.C. una colonia i cui
abitanti ottengono il grado di cittadini romani. Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente e la distruzione di Salona, agli inizi del
VII secolo Zara diventa sede della provincia
bizantina della Dalmazia. Tra il IX e il XII secolo si susseguono la dominazione dei Franchi, di Bisanzio e dei re ungaro-croati. Con
l’ascesa di Venezia, inizia la lotta per l’egemonia nel mare Adriatico. Zara è sottomessa alla
Repubblica di Venezia tra il 1111 e il 1154 e
tra il 1160 e il 1183, fino alla sua assegnazione
definitiva a Venezia alla fine della quarta crociata nel 1202. La città cade poi ripetutamente
nelle mani dei re ungheresi a seguito di violente lotte e insurrezioni (1242-1243, anni 1320,
1345-1346, Pace di Zara del 1358). Nel 1409,
Ladislao di Napoli vende per 100mila ducati
d’oro tutti i suoi diritti sulla Dalmazia a Venezia. La città sarà la capitale della Dalmazia
veneta e il principale baluardo di resistenza
nell’occasione delle incursioni ottomane che
si estendono nell’entroterra illirico. Successivamente alla caduta della Serenissima nel
1797, in seguito al Trattato di Campoformio
va in mano agli austriaci. Dopo un breve periodo francese (1805 – 1813), entra a far parte dell’Impero austriaco e ci rimarrà fino al
1866, mentre Zara e tutta la Dalmazia rimarrà
in mano austriaca fino al 1918.
La questione nazionale
Verso la fine del XIX secolo in tutto l’Impero austro-ungarico si aprono le questio-
ni nazionali. Con la costituzione degli stati
nazionali in Europa, gli abitanti di una realtà immensa come quella austriaca sentono il
richiamo di un’identità basata sulla lingua e
sulla cultura. In Dalmazia a causa delle politiche filocroate del governo austriaco, gli italiani scendono in pochi decenni dal 30% al
2,8% registrato nel censimento del 1911 (i cui
risultati sono però contestati). Con l’avvento
della stampa e delle prime pubblicazioni giornalistiche, si diffondono i primi giornali e libri
irredentisti. Contemporaneamente si sviluppa
anche l’identità nazionale croata. Inizia il graduale declino della popolazione italiana (segnato dalla perdita della maggioranza negli
organismi rappresentativi delle città), anche se
il centro urbano di Zara riesce tuttavia a mantenere sempre il suo originario carattere italiano, conservando lo spirito e la cultura italiana,
soprattutto di matrice veneziana.
Ma se gli italiani vengono spiazzati dai
centri del potere – significativo il caso del
passaggio del comune di Spalato nelle mani
PERSONAGGI Un valente militare austriaco divenuto noto grazie a un musical
Tra Dalmazia, Fiume, l’Istria, i siluri e la musica
la singolare epopea di Georg Ludwig von Trapp
Georg Ludwig von Trapp nasceva nell’aprile di 130 anni fa nella
città del Maraschino. Le sue origini
non affondano nelle nostre terre, ma
una buona parte della sua esistenza
sì; anzi, per certi versi egli stesso
ne ha segnato i destini. E sebbene il suo nome sia diventato famoso soprattutto in seguito al musical
“The Sound of Music”, poi trasposto anche sul grande schermo, è ben
altro lo scenario in cui va collocata
Nel 1935 scriverà in tedesco
il libro “Bis zum letzten Flaggenschuss”, tradotto in inglese
dalla nipote Elisabeth M. Campbell (“To the Last Salute, Memoires of an Austrian U-boat
Commander”).
la sua opera tra l’Istria e la Dalmazia, con qualche sorprendente
“aggancio” fiumano. Perché se è
vero che il nostro, al secolo Georg
Ludwig Ritter von Trapp (Zara, 4
aprile 1880 – Stowe, Vermont, 30
maggio 1947), è stato il capo della
famiglia di cantanti austriaca illustrata nel noto musical, è altrettanto indubbio che è stato un valente
militare austriaco, capitano di corvetta, i cui successi nel corso della Prima guerra mondiale, nella
Marina dell’Impero austro-ungarico, gli sono valsi numerose decorazioni, compresa la prestigiosa
insegna di Cavaliere dell’Ordine
militare di Maria Teresa.
Georg Ludwig nacque dunque a Zara, quando la Dalmazia
faceva ancora parte dell’Impero
austro-ungarico, da August Ritter
von Trapp ed Hedwig Wepler. Il
padre, capitano di fregata, era un
ufficiale della marina austriaca,
elevato al rango della nobiltà austriaca nel 1876; morirà di tifo nel
1884 (è stato sepolto nel K.u.K.
Marinefriedh of Pola, accanto alla
moglie), quando Georg Ludwig
aveva quattro anni. Il ragazzo trascorrerà una parte dell’infanzia a
Pola, dove per l’appunto il padre
August era stato trasferito, considerato anche che all’epoca Pola
era la base principale della Marina
austro-ungarica nell’Adriatico settentrionale. Nel 1894 Georg Ludwig, seguendo le orme del genitore, entra nell’Accademia navale di
Fiume (la medesima del padre),
laureandosi quattro anni dopo, con
il titolo di cadetto. Inizia a fare dei
viaggi di addestramento, compreso uno in Australia.
Nella seconda metà dell’Ottocento il capoluogo quarnerino era all’apice della sua potenza commerciale, marittima e industriale: nel 1858, ad esempio,
erano aperti e operanti ben dodici cantieri, un’imponente Cartiera e la più grande fabbrica tabacchi di tutta la Monarchia, mentre
il porto fiumano si collocava tra
i dieci più grossi scali europei.
Ma per gli sviluppi della storia
dei von Trapp è importante l’arrivo, proveniente da Trieste, dell’ingegnere Robert Whitehead,
il fondatore e propriatario della
Torpedofabrik Whitehead und
Co. Il Silurifico fiumano. Il figlio
dell’industriale, John, sposerà la
contessa austriaca Agathe Breunner; la figlia più vecchia si unirà
con il delfino del cancelliere Bismarck, mentre la più giovane,
Agatha Whitehead, alla cerimonia del varo del sottomarino U6, di cui era madrina, si innamorerà perdutamente di Georg von
Trapp, il quale stava risalendo e
consolidando la propria carriera nella Marina austro-ungarica.
Nel 1900 verrà assegnato alla
nave Kaiserin und Königin “Maria Theresia” e verrà decorato per
le sue gesta durante la rivolta dei
Boxer. Von Trapp era affascinato
dai sottomarini, e nel 1908 avrà
la possibilità di essere trasferito
alla neo-costituita U-boot-Waffe.
Nel 1910 gli venne affidato il co-
mando del nuovo U-6 (che materrà fino al 1913).
Intanto, il 10 gennaio 1911,
Georg e Agatha convolano a
nozze e il medesimo anno vede
la luce a Pola il loro primogenito, Rupert von Trapp. La famiglia vive nella città dell’Arena;
Georg si dedica completamente allo sviluppo e al perfezionamento della flotta sottomarina austriaca. Nel 1912 si trasferisce in
a Casa Trapp a Veruda, una villa
costruita appositamente per loro,
progettata – assieme a un altra decina di altre case della zona, riservate agli ufficiali – dall’architetto austriaco Ferdinand Geyer.
In questa residenza i von Trapp
accolgono la notizia dello scoppio della Prima guerra mondiale. Più tardi, Agatha farà sapere
a Georg della notizia della nascita
della piccola Maria Franziska, avvenuta il 28 settembre 1914, con
un telegramma in cui era riportato
un codice concordato dalla coppia
“SMS Maria arrivata” (l’acronimo S.M.S., ossia “Seiner Majestät Schiff”, indicava “Nave di
Sua Maestà”). La ricchezza ereditata da Agatha sostenne la coppia
e permise a Georg di avviare una
famiglia piuttosto numerosa. Oltre a Rupert, dal matrimonio nasceranno altri sei figli: Agathe von
Trapp (1913), nata a Pola; Maria
Franziska von Trapp (1914), Werner von Trapp (1915-2007), Hedwig von Trapp (1917-1972), e
Johanna von Trapp (1919-1994),
tutti nati a Zell am See, e Marti-
na von Trapp (1921-1951), nata a
Klosterneuburg.
Intanto, il 22 aprile 1915, von
Trapp prenderà il comando dell’U-5 e condurrà nove missioni di
combattimento, molte delle quali
nelle Bocche di Cattaro e nel canale di Otranto. Mentre era al comando dell’U-5 affonderà: la nave
da guerra francese “Léon Gambetta”, il 21 aprile 1915, 15 miglia a
sud di Capo Santa Maria di Leuca;
il sommergibile italiano “Nereide”,
il 5 agosto 1915, a 230 metri dall’isola di Pelagosa; catturerà inoltre
la nave greca “Cefalonia” al largo
di Durazzo, il 29 agosto 1915; e
gli verrà, qualche volta, accreditato
l’affondamento della nave italiana
adibita al trasporto truppe, “Principe Umberto”, ma in realtà questa venne affondata dal comandante che succedette a von Trapp al comando del l’U-5, Friedrich Schlosser (1885-1959), l’8 giugno 1916
dopo che von Trapp venne trasferito al comando dell’U-14 (il 14 ottobre 1915), il sommergibile francese
Curie, che era stato catturato dagli
austriaci. Condusse tantissime azioni prima che nel maggio 1918 venisse promosso capitano di corvetta ed assegnato al comando di una
base di sommergibili nelle Bocche
dalmazia 3
Sabato, 10 aprile 2010
ggio di Nedjeljka Balić-Nižić
na secolare simbiosi culturale
del primo podestà croato, l’avvocato Dujam
Rendić-Miočević, eletto nel 1882 – il loro impegno non viene meno in nessun campo, come
lo testimoniano le innumerevoli associazioni
politiche, economiche, sociali, di beneficenza e, non ultime, culturali, fondate tra le fine
dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale. Il
tutto al fine di salvaguardare la lingua e la cultura italiana.
Invidiabile attivismo
Nedjeljka Balić-Nižić ripercorre dunque
la produzione in lingua italiana in un contesto affatto interessante nella storia dei plurisecolari rapporti e intrecci tra le due sponde
dell’Adriatico; contesto caratterizzato da lotte
politiche e dagli scontri nazionali, ma pure da
una vivacissima attività letteraria e culturale,
in entrambe le lingue, con numerose tipografie
(ben quindici), riviste e giornali – tra il 1870
e il 1914 uscirono 26 periodici in italiano, tra
cui le riviste letterarie “La Palestra”(1878 –
1882), “Scintille” (1886 – 1890), “La Cronaca
dalmatica” (1888 – 1889), “La Rivista dalmatica” (1899 – 1911, 1922 – ), “Zara letteraria”
(1899 – 1900), “Dalmazia letteraria” (1902
– 1903) – iniziative e interventi di intellettuali di entrambe le nazionalità, oltre a un’intensa
attività teatrale, prevalentemente in lingua italiana, con spettacoli proposti sia da compagnie
provenieni dalla penisola italiana sia di gruppi
scenici (dilettanti) zaratini. Tra le associazioni, la studiosa cita la società Dante Alighieri,
Pro Patria, Lega nazionale, Pro cultura, Filarmonica, degli Studenti italiani della Dalmazia,
la Biblioteca comunale Paravia, oltre a quella
ginnasiale, il ricco archivio luogotenenziale e
qualli delle chiese e dei conventi.
Colta e briosa
“Zara era in particolare una città colta e
briosa – scrive Rita Tolomeo nella presentazione del libro di Balić-Nižić –. I suoi abitanti,
poco più di quattordicimila, amavano condur-
di Cattaro. Alla fine della prima
guerra mondiale, il record di von
Trapp sarà di 19 battaglie navali,
11 navi affondate per un tonnellaggio di 45.669 tonnellate e la cattura
della nave francese “Léon Gambetta” (12,600 tons) e del sottomarino
italiano “Nereide” (225 tons). Fra le
altre onorificenze, ricevette la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare
di Maria Teresa. La fine della prima
guerra mondiale vide la sconfitta ed
il collasso dell’Impero austro-ungarico. L’Austria venne ridotta ai soli
territori di lingua tedesca perdendo
l’accesso al mare, e non ebbe quindi più una Marina, lasciando von
Trapp senza comando.
Intanto, però, il 3 settembre
1922, Agatha Whitehead morì di
scarlattina contratta da sua figlia
Agathe von Trapp. La famiglia acquistò una villa ad Aigen, un sobborgo di Salisburgo, e vi si trasferì nel 1924. Intorno al 1926 Maria
Franziska von Trapp venne ricoverata per una malattia e non poté
frequentare la scuola, e Von Trapp
prese Maria Augusta Kutschera,
dalla vicina abbazia di Nonnberg,
come istitutrice della figlia. Maria Augusta e Georg si sposarono
nel novembre 1927. La loro prima
bambina Rosemarie von Trapp,
re una vita brillante, assistere a opere liriche,
balletti, operette, commedie, drammi...”. E nonostante la complessità della situazione, in cui
al confronto tra italiani/italofoni da una parte
e slavi dall’altra, si aggiungevano le tensioni
tra Vienna e il Regno sabaudo per la questione
degli italiani dell’Austria, gli intellettuali zaratini dimostrarono uno slancio particolare che,
attraverso lo studio di Balić-Nižić è possibile
ricostruire e far riemergere, recuperando pure
rari testi poetici, opere in prosa, commedie,
drammi, personalità originali e di successo, tra
cui quell’Arturo Colautti – giornalista, scrittore e librettista italiano nato a Zara ue a Zara,
nella zona della Calle dei Tintori, il 9 ottobre
1851 e morto a Roma nel 1914 – che è l’autore
del libretto dell’”Adriana Lecouvreur”, opera
lirica di Francesco Cilea.
Giuseppe Sabalich,
l’autore più prolifico
Questo lavoro di Balić-Nižić sintetizza un
fecondo periodo letterario-teatrale, il lascito di
autori che molto spesso dimostrarono un talento poliedrico e una straordinaria versatilità – che ricorda un po’ la grande tradizione rinascimentale –, concentrandosi soprattutto su
Giuseppe Sabalich (1856 – 1928), l’autore più
prolifico. Partecipando alla fondazione di varie
riviste letterarie e scientifiche, il Sabalich, eminente storico, narratore, poeta e scrittore di teratro zaratino, diede un contributo enorme alla
vita culturale di Zara verso la fine dell’800 e
l’inizio del ‘900. L’autore manifesta fin dalle
prime opere la sua inclinazione per gli studi
del passato, principalmente di Zara. Da quasi
tutti i suoi lavori spiccano la sua erudizione e
la conoscenza della storia, ma anche una grande attenzione a Venezia.
Gli altri protagonisti
Non meno importanti furono gli altri autori, come Antonio Cippico (Zara, 20 marzo
1877 – Roma, 18 gennaio 1935), letterato
fra i più colti e apprezzati un “uomo di frontiera”, un “intellettuale che con le sue origini, la sua erudizione e la sua attività collega tre diverse culture: quella tedesca, quella
italiana e quella croata” e che rappresenta,
grazie alla sua “attività politica, letteraria
e culturale, la figura più complessa e affascinante tra gli scrittori italiani a Zara della fine del XIX e l’inizio del XX secolo”,
come conclude la ricercatrice zaratina. Oltre ai citati Sabalich e Cippico, Balić-Nižić
ricostruisce l’attività (e in parte la biografia)
di intellettuali quali Arturo Colautti, Edgardo Maddalena, Vitaliano Brunelli, Riccardo
Forster, Girolamo Enrico Nani, Girolamo
Italo Boxich (Jerko Božić), Giorgio Wondrich, Antonio Battara, Gaetano Feoli, Luigi Bauch, Vincenzo Battara, Ugo Inchiostri, Lorenzo Benevenia, Angelo e Umberto Nani, i De Bersa, Germanno Tocilj (Valerio), Luigi Franco, Francesco de Beden,
Albino Nagy, Guido Negri, Giuseppe Fab-
brovich, Spiro Valles, Giuseppe Marussich
(Marussig) e altri.
Un mosaico complesso
La ricerca di Balić-Nižić ricostruisce e
contribuisce a conoscere e comprendere il
mosaico intellettuale dalmata-zaratino dei primi Novecento, di un mondo italiano che comincerà a dissolversi dopo la fine della Grande Guerra e che riceverà il “colpo di grazia”
dopo il secondo conflitto (di quel conflitto che
trasformerà Zara in una “piccola Dresda del
Mediterraneo”). E pur riconoscendo la presenza di una spiccata matrice nazionale-nazionalistica in alcuni scrittori – e la loro chiusura in un circolo che guardava principalmente verso l’altra sponda, l’Italia, ignorando le
vicende della lingua scritta croata nella stessa
città –, Balić-Nižić rileva soprattutto la volontà, espressa da molti, di salvaguardare “in questa regione la cooperazione culturale e la centenaria simbiosi culturale tra italiani e croati”
nell’Adriatico, in Dalmazia.
SMU-5 con Georg Ritter von Trapp
nacque l’8 febbraio 1929. Georg e
Maria ebbero due altri figli: Eleonore von Trapp, nata il 14 maggio
1931 a Salisburgo e Johannes von
Trapp, nato il 17 gennaio 1939 a
Filadelfia, portando così il numero dei figli di Georg a dieci. Nel
1935, Georg investì il patrimonio,
ereditato dalla sua prima moglie,
in una banca in Inghilterra. In quel
tempo, l’Austria era sotto la pressione economica dell’ostile Germania, e le banche austriache erano in condizioni precarie. Per aiutare un’amica, Auguste Caroline
Lammer (1885-1937), in un affare
bancario, Georg ritirò gran parte
del suo denaro dalla banca inglese e lo depositò in una banca austriaca. Dopo poco tempo la banca
fallì facendo scomparire gran parte del patrimonio della famiglia.
Come Maria scrisse poi nella sua
biografia, Georg rimase demoralizzato e depresso da questo fatto,
ma non fu capace di intraprendere altre attività lucrative, e credette che cantare in pubblico era contro la dignità della famiglia. Prima
della perdita della fortuna di fami-
glia, l’intera famiglia aveva preso
a cantare per hobby.
Messa con le spalle al muro
dalla difficile situazione economica e con un marito incapace
di provvedere alle esigenze della famiglia, Maria prese le redini
della situazione ed iniziò a procurare concerti in modo da dare
un sostentamento alla sua famiglia. In quel tempo, il prete cattolico Franz Wasner, andò a vivere con loro divenendo presto
il direttore musicale del gruppo.
Contrari all’annessione dell’Au-
stria alla Germania, realizzata da
Hitler, lasciarono l’Austria per
l’Italia, trasferendosi quindi negli Stati Uniti. Dopo aver vissuto
per un breve periodo di tempo a
Merion, dove nacque il loro ultimo figlio Johannes, la famiglia si
stabilì a Stowe nel 1941. Acquistarono una fattoria con 660 acri
di terreno, nel 1942, e la trasformarono nel Trapp Family Lodge.
Georg si spegnerà qui, di cancro,
il 30 maggio 1947, sepolto nella
sua tenuta nel Vermont.
Barbara Rosi
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dalmazia
Sabato, 10 aprile 2010
Sabato, 10 aprile 2010
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SPORT Per praticare questo sport bastava la passione, non servivano vasti spazi e nemmeno troppi mezzi (1 e continua)
Il calcetto si è imposto alla grande in Dalmazia, al traino della pallamano
ri coinvolti, delle squadre e dei campionati ai vari livelli. Parallelamente
si costituì e in seguito irrobustì l’organizzazione degli arbitri, mentre le
regole andarono migliorando.
di Igor Kramarsich ([email protected])
È
difficile parlare delle origini
del calcetto in Croazia. Gli
storici sono concordi nell’affermare che le radici risalgono
a molto indietro nel tempo e di sicuro a un periodo precedente alla
diffusione del calcio così come
lo conosciamo oggi. La ragione è
estremamente semplice. Per giocare a calcetto, o in una variante
simile al gioco oggi riconosciuto,
le necessità in fatto di attrezzature
e spazi sono ben poche e le possibilità notevoli. Infatti nel tempo le
regole non sono variate in maniera
particolare; semmai sono state definite con precisione. Inoltre per
giocare a calcetto è sempre stata
sufficiente una piazza oppure un
determinato spiazzo con due porte. Ieri come oggi si sono dilettati
con questo sport grandi e piccini, e
il numero dei giocatori è stato sempre variabile.
A gettare le basi normative, ovvero a fissare le prima vere regole di
questo gioco in Croazia, è stata l’associazione nazionale degli sport, la
FISAH, che a Spalato, dove è sempre stata vivissima la passione per
questa attività ludica, ha organizzato il primo campionato ufficiale e riconosciuto. Si è trattato della coppa
di Dalmazia con partita doppia. La
data storica è l’8 agosto 1946.
La prima partita
sulla penisola
di Sabbioncello
chio tempo per dare una vera e propria cornice organizzativa a questo
sport a livello nazionale, croato o
jugoslavo che fosse.
Il manuale
con le regole
La Federcalcio croata comprese,
con il passare degli anni, la necessità di sviluppare questo sport, viste le
sue potenzialità. Inoltre, ed è questo
il fatto principale, ebbe ben chiara l’esigenza di dotare questo gioco di regole fisse e ovviare così alle
improvvisazioni che nel corso degli
anni erano state pressoché all’ordine
del giorno. Nel 1957 Viktor Medved
e Ante Pavlović della Federcalcio
croata, assieme all’associazione degli allenatori e a quella degli arbitri, “sfornarono” il primo manuale
di calcetto con tanto di regole. Nel
1958 finalmente il librò uscì dalle
stampe e contribuì a gettare le basi
delle regole, che alla fine vennero
approvate, sia pure con piccole modifiche, anche dalla Federcalcio nazionale della Jugoslavia.
I campi all’aperto
fecero il miracolo
Infatti in quegli anni la Federcalcio croata intravide la possibilità
di sviluppare in grande stile il gioco del calcio a livello giovanile. Di
pari passo all’ascesa della pallamano nei nuovi campi all’aperto, realizzati in tutto il Paese, prese piede
pure il calcetto. L’idea di fondo era
di una semplicità disarmante. Nei
campi per la pallamano, all’epoca
tutti a cielo scoperto, si potevano disputare tranquillamente pure
gli incontri di calcetto. Per quanto
concerne le porte erano state definite le dimensioni di 5x2 metri. Il
suggerimento fu pure quello di fare
sì che nella costruzione dei campi
si prevedesse che esse fossero di
dimensioni leggermente maggiori
rispetto a quelle utilizzate per la
pallamano.
Nel campo della squadra di calcio dei Faraon di Trpinje, sulla penisola di Sabbioncello (Pelješac),
ridotto alle dimensioni del calcetto dell’epoca, 47x35 metri con reti
di cinque metri, venne disputata la
prima partita. I locali affrontarono
lo Zmaj do Blato. A imporsi furono gli ospiti per 3-1. Da notare che
ci fu molta improvvisazione e, tra
l’altro, si sviluppò un’accesa discussione su quanti giocatori mandare in campo. Gli ospiti volevano
squadre composte dai classici undici giocatori, ma alla fine prevalse
All’inizio era ritenuto
la variante dei sette giocatori, sei in
campo più il portiere.
soltanto un passatempo
Nonostante fossero stati dispuPertanto si cominciò subito a
tati i primi campionati regionali e
svariati tornei, fu necessario parec- organizzare svariati campionati a
Calcio e calcetto,
due sporte e due mondi diversi. Oggi questi
due sport vantano giocatori propri, con proprie Federazioni. Però
non tanti anni fa andavano a “braccetto”,
tanto che arrivavano a
condividere quasi tutto, a partire dai giocatori. Ma vediamo come
è cresciuto in Dalmazia
questo sport, che ancor
oggi molti considerano
soltanto come una sorta di passatempo. Spalato è uno dei principali centri del calcetto in
Croazia.
livello giovanile, dai pulcini in poi;
il gioco si impose dapprima nelle
scuole elementari e medie, a livello
croato e poi jugoslavo. Se lo sviluppo organizzato di questo sport a livello giovanile fu veloce e coronato
da grande successo, a livello seniores le cose andarono molto a rilento.
Il calcetto fu ritenuto in primis come
un passatempo e non come un vero
e proprio sport. Appena nel 1987 la
Federcalcio croata istituì una commissione per il calcetto e cominciò
a pensare all’organizzazione di veri
campionati. Nel 1988 fu organizzato il primo campionato nazionale
vinto dalla squadra di Kutina, che
in seguito si impose pure nel primo
campionato della Jugoslavia. Dal
1993 iniziarono a essere disputati
i campionati della Croazia. L’ultimo campionato è stato vinto dalla
squadra istriana di Sottopedena, il
Potpićan ’98.
I primi incontri
a Spalato
Visto il grande amore per il gioco del pallone da parte dei dalmati e
degli spalatini in primis, lo sviluppo
del calcetto procedette in questa regione di pari passo con l’ascesa irresistibile del calcio. Le regole variarono spesso e vennero a dipendere
soprattutto dallo spiazzo a disposizione per disputare le partite. Vi furono così partite nelle quali le squadre scesero in campo con cinque,
I numeri
1985 Terza lega
Nella prima vittoriosa stagione, sotto la guida di Vibor Velčić
hanno giocato: Luka Kokeza, Ivica
Majić, Ivica Franić, Denis Kosor,
Goran Kovačević, Željko Babić,
Joško Lešina, Boris Tomić, Davor Perić, Zoran Perković, Hari
Rončević, Vili Rončević e Vedran
Dragičević
L’ottimismo
dell’Optimist
Nell’inverno del 1984 a Spalato
vi fu la svolta. In quanto a organizzazione il calcetto era molto forte e
venivano “sfornati” in continuazione ottimi giocatori, in grado di farsi
1986 Seconda lega A
Primo posto con 24 vittorie, sei
pareggi e tre sconfitte, differenza
reti 176-86. A giocare la maggioranza delle partite sono stati: Luka
Kokeza, Goran Kovačević, Davor
Perić, Željko Babić, Ivica Majić,
Ivica Franić e Boris Tomić. Migliori marcatori Goran Kovačević
con 47 e Željko Babić con 40 reti.
sei, o setti giocatori. I primi incontri vennero disputati già negli anni
Trenta.
Parlare della prima vera partita
di calcetto a Spalato è praticamente impossibile. Oggi viene riconosciuta quella disputata il 23 maggio 1954 tra i giocatori della Riva e
quelli della Piazza. Vennero giocate
all’epoca due partite, la prima nella cava di Marasović e la seconda
nel campo dei ferrovieri alle Botticelle (Bačvice). Tra gli altri scesero
sul terreno di giocoi calciatori dell’Hajduk Vladimir Šenauer Geza e
Davor Grčić Gaga.
Un’altra partita passata alla storia fu quella del 1962, quando su un
campo del Poljud giocarono le squadre del Palmolive di Bačvice e gli
Old boys.
La prima cornice organizzativa relativa al calcetto a Spalato la
troviamo nel 1963, con un torneo a
quattro, e secondo altre fonti a otto
squadre. Poi nel 1964 ci fu il primo tentativo di mettere in piedi un
campionato, mentre, finalmente, nel
1965 venne disputato il primo campionato ufficiale della città di Spalato. Questo primo campionato fu
organizzato dalla Federazione per
il calcetto fondata nel 1965: il suo
primo presidente fu Lenko Čulić.
A conquistare il titolo fu la squadra
con il nome Palmolive. Il campionato ebbe grande successo e si ripeté
nel corso degli anni. Gradualmente
aumentarono il numero dei giocato-
1987 Prima lega B
Quarto posto con 19 vittorie,
due pareggi e nove sconfitte, differenza reti 151-94. A giocare la
maggioranza delle partite sono
stati: Ivica Majić, Ivica Franić,
Boris Kanazir, Denis Kosor e Boris Tomić. Migliori marcatori Boris Kanazir con 43 e Denis Kosor
con 25 reti.
Il fondatore dell’Optimist,
Vibor Velić
valere non soltanto a livello nazionale. Il professor Vibor Velčić unì
due generazioni di calciatori. Da
una parte c’erano i liceali di buone
speranze Goran Kovačević, Davor
Perić, Luka Kokeza, Željko Babić
e Denis Kosor. Dall’altra giocatori esperti come Boris Tomić, Ivica
Franić, Joško Lešinj, Ivica Majić
e Boris Perković. Essi andarono a
formare la squadra dell’Optimist
che già nella prima stagione 1984/
85 conquistò un ottimo secondo
posto nel terzo livello cittadino e
la conseguente qualificazione al
rango superiore. Nell’inverno dello stesso anno i liceali della squadra, tra 300 compagini, arrivarono
a disputare i quarti di finale della Coppa di Dalmazia. Nell’estate
del 1985 arrivarono pure in finale al torneo di Castel San Giorgio
(Kaštel Sućurac). In questo primo
anno si impose all’attenzione dei
tecnici e degli spettatori il sedicenne Goran Kovačević, autore addi-
1988 Prima lega B
Terzo posto con 21 vittorie,
quattro pareggi e cinque sconfitte,
differenza reti 153-55. A giocare
la maggioranza delle partite sono
stati: Boris Vučica, Denis Kosor,
Luka Kokeza, Boris Kanazir e Ivica Franić. Migliori marcatori Boris
Kanazir con 45 e Denis Kosor con
25 reti.
Il primo campo di gioco dell’Optimist
rittura di 100 reti nel corso di una
sola stagione.
Con la qualificazione in seconda lega i giocatori abbandonano il
campo in via Vukovar (all’epoca
Balkanska) e cominciano a giocare
nella palestra di Gripe. Alla squadra
vennero aggregati altri giovanissimi, Vedran Boljat, Nikša Zokić e
Boris Kanazir. Le ambizioni furono
notevoli fin dall’inizio e tutt’altro
che campate in aria. La compagine
vinse il campionato di seconda divisione, senza registrare alcuna sconfitta nelle ultime 15 giornate. Fu
battuta pure la fortissima e favorita
squadra del Brodoremont. Due giocatori, Zokić e Perić, ebbero l’onore
di giocare nella selezione spalatina
al torneo di Velenje.
Nel 1987 arrivò il campionato
della lega I B. L’Optimist. ora con il
1989 Prima lega B
Primo posto e qualificazione in
prima lega sotto la guida del tecnico iniziale Vibor Velćić e Boris
Tomić. Alla fine Mesarnica Truman registra 23 vittorie, cinque pareggi e due sconfitte, differenza reti
124-49. A giocare la maggioranza
delle partite sono stati: Luka Kokeza, Siniša Burazer, Denis Kosor
e Goran Kovačević. Migliori marcatori Goran Kovačević 28, Boris
Kanazir con 22 e Željko Babić con
20 reti.
La squadra piazzatasi terza nel 1988 nel campionato di Prima Lega B. In piedi da sinistra Boris Tomić,
Luka Kokeza, Željko Babić, Boris Kanazir, Siniša burazer, Goran Kovačević e Vibor Večić. Accosciati:
Marinko Raboteg (per lo sponsor), Boris Vučica, Denis Kosor, Dražen Brkljačić e Ivica Franić.
nome di Foto Olga, disputò un ottimo campionato e alla fine conquistò
il quarto posto in classifica. Un successo, visto che la giovane squadra
fu “menomata” per il fatto che diversi giocatori dovettero prestare in
quel periodo il servizio militare.
Vittorie travolgenti
La squadra che ha vinto nel 1989 il campionato di Prima Lega B. In piedi da sinistra Boris Tomić,
Željko Babić, Zlatko Grgić, Boris Kanazir, Luka Kokeza, Davor Pejić e Vibor Večić. Accosciati: Boris
Vučica, Goran Kovačević, Ivo Vidošević, Siniša Burazer e Denis Kosor.
La squadra di calcetto dello Špinut, nel 1939
Nel 1988 la squadra cominciò
a ingranare davvero. Con il nome
dello sponsor, Mesarnica Truman,
la compagine partì a rilento. Dopo
la prima parte della stagione si ritrovò al quarto posto. Prima dell’inizio della seconda parte della stagione torneranno a militare
nelle sue file Goran Kovačević,
Željko Babić e Davor Perić. Alla
squadra si aggregò pure l’ottimo
juniores dell’Hajduk, Siniša Burazer. Non per niente la seconda metà della stagione fu un vero
successo. Vennero conquistati ben
25 dei 30 punti possibili. Boris
Kanazir fu pure il capocannoniere
del torneo con 45 reti.
Nella stagione successiva, 1988/
89, la Truman si impose finalmente
nel campionato della lega I B. Dopo
la sconfitta nel primo turno la compagine vinse ben 28 partite di seguito e conquistò il titolo alla grande.
Vinse pure la Coppa della Città di
Spalato battendo in finale il Brodoremont per 2-0. Si impose, inoltre,
in numerosi tornei regionali e locali e partecipò per la prima volta alla
Kutija Šibica di Zagabria.
La prima stagione in prima lega
si rivelò difficile. La squadra iniziò il campionato in sordina. Dopo
nove turni la squadra si ritrovò con
soli otto punti in classifica. Non
male, comunque, per una neopromossa. Però dopo la partenza “al
rallentatore”, arrivò il grande miracolo. La squadra si impose in 16
della successive 17 partite e vinse il
campionato! Prima a Spalato, prima
in Dalmazia. La compagine, infatti, conquistò la Coppa delle Coppe
della Dalmazia battendo uno dopo
l’altro tutti gli avversari. In quell’anno il titolo di miglior portiere
andò a Luka Kokeza, estremo difensore del Truman.
Nuovo nome... vecchie abitudini
Nel 1991 la squadra cambiò nome
in JID, anche se il padrone rimase lo
stesso. Nuovo nome, ma vecchie
“abitudini”. La squadra tornò a vincere il campionato, praticamente senza avversari degni di tal nome. Seguirono pure svariati successi nei diversi tornei regionali e repubblicani.
Nella prossima puntata ci soffermeremo sui grandi successi della principale squadra spalatina, sulle
sue imprese nazionali e internazionali, sulle sue stelle, senza dimenticare però le altre compagini.
1990 Prima lega A
Primo posto con 18 vittorie,
quattro pareggi e quattro sconfitte,
differenza reti 72-30. A giocare la
maggioranza delle partite sono stati: Denis Kosor, Luka Kokeza, Goran Kovačević, Željko Babić, Đivo
Tikvica e Siniša Burazer. Migliori
marcatori Denis Kosor con 18 e
Goran Kovačević con 13 reti.
1991 Prima lega A
Primo posto con 16 vittorie,
cinque pareggi e cinque sconfitte,
differenza reti 77-52. A giocare la
maggioranza delle partite sono stati: Siniša Burazer, Denis Kosor,
Frane Peroš, Luka Kokeza, Joško
Tijardovič e Željko Babić. Migliori marcatori Denis Kosor con 17 e
Goran Kovačević con 16 reti.
1991/92 Prima lega A
Secondo posto con 14 vittorie, otto pareggi e quattro sconfitte, differenza reti 74-47. A giocare
la maggioranza delle partite sono
stati: Denis Kosor, Siniša Burazer,
Nikša Zokić, Frane Peroš, Luka
Kokeza e Željko Babić. Migliori
marcatori Đino Tikvica con 15 e
Denis Kosor con 12 reti.
6 dalmazia
Sabato, 10 aprile 2010
POLITICA La recessione, le disfatte sportive e lo scarso peso politico nei confronti di Zaga
Complice la crisi in Dalmazia ri
di Dino Saffi
ià da oltre un decennio il
regionalismo si ritrova in
una sorta di letargo in Dalmazia. Si può dire che si sia quasi
persa la memoria di un movimento che pure aveva fatto un po’ di
proseliti all’inizio degli anni Novanta. Eppure da un paio di mesi
a questa parte, qualcosa sta forse
cambiando. A lanciare il classico
sasso nello stagno, non provocato apparentemente da nulla e da
chicchessia, è stato Dragan Lukić
Segedin, il cantante noto all’opinione pubblica con il nome d’arte di Luky. Una sua lettera aperta
- programmatica, pubblicata sulla
“Slobodna Dalmacija”, ha messo a rumore la Dalmazia e, in tre
soli giorni, ha radunato novemila
seguaci su Facebook.
gli ingegneri sono disoccupati!?
A che cosa servono, allora, tutti
quegli studenti e tutte quelle Facoltà? Sopprimiamole e facciamo
della Dalmazia un grande supermercato, diamo lavoro a cinesi e
moldavi, che vendano brodini ed
ammorbidenti, e noi tutti quanti a
Zagabria! Tanto la Dalmazia non
rappresenta che una pompa stagionale di moneta, quando, per sei
mesi, l’intero governo della Repubblica di Croazia, diventa tremebondo, al pensiero se i turisti
verranno o non verranno, perché
nel bilancio statale mancano un
paio di miliardi di euro”, ha scritto
Dragan Lukić Segedin, che non ha
mancato di puntare l’indice pure
sul “collasso dell’economia dalmata”, ed anche sul periodo nero
che sta attraversando lo sport regionale, una volta fiorente.
La regione
«emarginata»
Una «lettera
programmatica»
Nel suo “proclama” il cantante
ha enumerato tutte le cause per le
quali egli ritiene che la Dalmazia
sia oggidì emarginata “dall’iniqua
distribuzione dell’imposta sul reddito in favore della metropoli croata”, ovvero Zagabria. “Mio fratello ha terminato gli studi di economia a Spalato e mi ha fatto notare
che metà della sua generazione si
è trasferita su, al settentrione, perché a Spalato non vi sono possibilità di lavoro!?”, ha rilevato Luky.
Le tesi che Luky ha sostenuto nel suo proclama hanno trovato terreno fertile, il testo è stato
uno dei più commentati, sul portale della “Slobodna Dalmacija”; e
presto la “lettera programmatica”
ha fatto breccia anche su Facebook. Nei commenti si può leggere davvero di tutto, anche minacce di rivolta: l’assunto più diffuso
vuole che la Dalmazia, in rapporto
a Zagabria, si trovi nella posizione
in cui fu, un tempo, la Croazia rispetto a Belgrado.
G
«Troppi disoccupati»
“A Spalato, città di 26.000 stu- «Niente autonomismo»
“Non ho inteso apparire, con
denti distribuiti fra una trentina di
Facoltà, gli economisti, i giuristi, questa lettera, un autonomista, fiLa Biblioteca universitaria di Spalato: molti laureati sono costretti a
emigrare altrove
per trovare lavoro
Sinj: nell’entroterra dalmata, doive manca la gallina dalle uova d’oro del turismo, la siutuazione
economica è ben più sconfortante che non lungo la costa
nalità cui non ho mai mirato. De- degli iscritti al citato gruppo di
sidero unicamente sottolineare Facebook.
la necessità di cambiamenti raScoramento
dicali nell’assetto regionale della
Croazia, per rafforzarla. L’odiere delusione
na Croazia ultracentralizzata può
E tuttavia la lettera di Luky
solo segare il ramo su cui siede”,
ed i suoi echi potrebbero esseha spiegato Luky alla stampa.
un segnale di mutamenti nella
Partiti regionalisti: re
disposizione d’animo dei dalmati.
scarso il successo
I partiti di ispirazione regionale, in Dalmazia, hanno avuto
sinora scarso successo, addirittura meno che in Slavonia o in altre zone della Croazia settentrionale. Tutto è caduto in letargo fin
dai tempi in cui il ministro della
Giustizia del Governo Racan, Ingrid Antičević Marinović, depennò dal registro dei partiti, per asserita inattività, l’Azione dalmata
(Dalmatinska akcija), di cui era
leader Mira Ljubić-Lorger. “Nel
corso della storia, i dalmati furono a tal punto accusati di autonomismo e di orjunismo, che risulta
quasi scioccante il solo pensiero di rimarcare qualche peculiarità regionale. Questa tradizione di rapporti nei confronti della
Dalmazia continua fino ai giorni
nostri, essendo tutta la regione
considerata, sistematicamente,
problematica”, ha dichiarato alla
“Slobodna Dalmacija” l’ex presidente dello schieramento regionalista degli anni Novanta, Mira
Ljubić-Lorger, la quale, ancor
Il campanile di San Doimo
oggi, giudica un sopruso burocraa Spalato
tico la cancellazione del suo partiComplice la crisi economica e i rito dal registro.
non in linea con le fulgide
Soltanto un pugno sultati
tradizioni in campo sportivo, potrebbero creare i presupposti per
di voti
la nascita di qualche movimento
Alle ultime elezioni locali, in di ispirazione regionalista. Il coltutte e quattro le Contee dalma- lasso economico, culturale e sporte, non si è proposto alcun par- tivo della regione è giunto al puntito che nella sua denominazio- to, sembra, in cui potrebbe cercare
ne recasse il nome della regione. di darsi una propria articolazione
Una formazione dalle caratteri- politica.
stiche siffatte è apparsa l’ultima
«Manca un Kajin
volta alle elezioni politiche del
2007, però con scarsissimo sucdalmata»
cesso: il Partito liberale Dalmata
Dražen Lalić, professore alla
ottenne nel seggio elettorale N.9
un misero 0,16 p.c. di voti e nel Facoltà di Scienze politiche di
vicino seggio elettorale n. N.10 Zagabria, rileva che “la Dalmaancor meno, solo lo 0,13 per zia non annovera oggidì nemmeno
cento. Complessivamente, nei un politico di statura rilevante che
due seggi elettorali, 744 voti, vi operi, come Jakovčić e Kajin in
dodici volte meno del numero Istria, o Obersnel a Fiume. Tutti i
più importanti personaggi politici,
considerati dalmati, operano a Zagabria; lo stesso Kalmeta ricorda
più lo zio d’America che un politico zaratino”, sottolinea Dražen
Lalić. Secondo il docente la responsabilità maggiore di una simile situazione sarebbe “imputabile
alla mentalità dei dalmati, che per
decenni non hanno generato alcuna importante iniziativa politica,
né hanno creato istituzioni comuni che avrebbero potuto attuare le
iniziative, come avvenuto invece
nel caso dell’Istria. Ha avuto la
meglio la cultura dinarica, secondo la quale noi siamo i più intelligenti, i migliori, i più belli. Io ho
sinceramente sperato, per dire, che
Željko Kerum avrebbe compreso
che per progredire sono necessarie
persone assennate. Ed è emerso,
invece, che egli stesso rappresenta il miglior esempio della filosofia dell’Io so tutto, la quale rivela
perniciose conseguenze, attraverso la trasgressione del diritto e lo
strangolamento della società civile. Una mentalità che non recepisce l’autorevolezza e il pensiero
razionale e che ha bisogno di una
urgente modernizzazione”, ha evidenziato Dražen Lalić.
Il peso della storia
Di tutt’altra opinione Mira
Ljubić-Lorger secondo la quale la
mentalità non possa essere ritenuta causa della situazione odierna
di un’intera regione: “La mentalità non è cosa che possa essere così
facilmente definita, ed inoltre su di
essa hanno influito tutte le pressioni alle quali è stata sottoposta nel
corso della storia”.
I dalmati, dunque, non concordano sui motivi per i quali la regione non riesca a imporsi con forza a livello nazionale che li hanno
portati in una posizione marginale.
Il testo di Luky è probabilmente il
primo che abbia articolato un certo
malcontento strisciante, istituendo
una lista di presunte frustrazioni
dalmate. In questi casi naturalmente gli stereotipi sono d’obbligo, ma essi sono quelli che possono fare colpo sulla gente, molto
più dei discorsi accademici.
Le frustrazioni a livello popolare si sono manifestate quasi
esclusivamente nel campo sportivo, più esattamente nei campi di calcio. Molti si chiedono in
dalmazia 7
Sabato, 10 aprile 2010
abria mettono in moto una singolare iniziativa su Facebook
spunta la voglia di regionalismo
Spalato
Nemmeno nella pallavolo si ripetono più i risultati
d’un tempo: non resta che fare autocritica
Dalmazia come sia possibile che
un club del rango dell’Hajduk, il
quale ha dominato per decenni nel
calcio croato, ad un tratto sia diventato una sorta di sparring-partner secondario dello squadrone
della capitale?
Cassaforte in fondo
al mare
Il cantante spalatino non parla
però soltanto di frustrazioni sportive: “La Dalmazia è nuovamente,
e sa Iddio per quale volta, umiliata fino alla sofferenza, messa in
fondo al mazzo. Io proporrei, di
riflesso, di allestire una grande
cassaforte e di posarla in fondo al
mare; terminata la stagione turistica, vi depositerei, nascondendoli,
quei 5 miliardi di euro introitati
dal turismo e direi: cari miei go-
verni, ministeri, bilanci della città
di Zagabria, ed altri, il malloppo
sta qui, da noi, e ora vi arrangiate! Se vi serve qualcosa, inviate in
Dalmazia una vostra spettabile delegazione e, forse, qualcosa vi allungheremo”.
Luky nel suo libello sostiene,
inoltre, che da Spalato e dintorni
l’industria è praticamente scomparsa, salvo quella del cemento
e la cantieristica. “Jugoplastika,
Jugovinil, Dalmastroj, Mesopromet, ecc., aziende che occupavano decine di migliaia di persone e,
quel che più conta, producevano
valore aggiunto, non esistono più.
Della Dalmacijavino è rimasta
solo l’iscrizione-insegna al porto
e tutto fa pensare che anche i destini della Jadranska Pivovara siano ormai segnati. A me la faccenda non è chiara. Ecco, per esem-
pio, la Jugoplastika fabbricava le
calzature sportive Adidas, e, per
quanto ne so, nel mondo le scarpette Adidas si producono ancora, la gente le indossa. Solo da noi
non si fabbricano più. Non ci servono. Da noi tirano di più i grandi centri commerciali: per quale
motivo dovremmo avere a cuore
la produzione di beni? L’economia spalatina, un tempo, era vigorosa e forte come Veli Jože. Né
la condizione disastrosa è propria
solamente di Spalato. Ricordiamoci dei giganteschi capannoni
industriali dell’azienda sebenzana
TLM 5, oggi letteralmente spariti dinanzi all’invasione dei centri commerciali. Zara, in qualche
modo ed in apparenza, regge ancora, per quanto anche là siano
svanite una S.A.S. od una Bagat.
Tutti i porti adriatici registrano un
Lo stadio dell’Hajduk visto dal Marjan: la compagine spalatina è ben lontana dal ripetere i fasti di una volta
traffico che è la metà di quello di
Capodistria. Il cataclisma si rivela nella sua completezza non appena ci allontaniamo dal mare, a
Sinj, Imotski, Obrovac, Benkovac, Drniš, Metković, Knin, dove
non esiste nemmeno il salvagente
del turismo”.
Lo sport al collasso
Ma l’economia su Internet
passa in secondo piano: i “seguaci” di Luky, nel formulare le
proprie frustrazioni, si attengono
al tema prediletto, quello sportivo. Luky si cimenta nell’enumerazione di grandi club del recente passato, la cui rilevanza oggigiorno è nulla e stende in effetti
un elenco impressionante. Semplicemente è un dato di fatto che
gli unici club, in grado di competere con quelli di Zagabria, sono
la pallacanestro zaratina e la pallanuoto ragusea. “L’Hajduk è a
corto di ossigeno, ma ci interessano di più il KK Split, l’RK Split,
lo ZRK Dalma, il VK Jadran, il
VK Mornar, il POŠK, ecc. Dove
sono finiti questi club? Dove giocano? Chi assiste alle loro partite, chi va a guardare i ragazzi e
le ragazze che faticano e si allenano? Ho l’impressione che soltanto i parenti stretti sappiano che
praticano lo sport. Ditemi, non è
triste? Società sportive, ammirate
dall’Europa intera, hanno toccato il fondo. In compenso, lassù, a
Zagabria, tutto è rose e fiori. Dinamo, Zagreb, RK Zagreb, Mladost, Cedevita, sguazzano nell’abbondanza! Della regina delle
nevi, che viene a costare milioni,
non parlo neppure. Ma, da dove,
amici miei? Da dove avete attinto? Rispondono: sono i cittadini di Zagabria che accantonano
fondi, con imposte e sovrattasse, per lo sviluppo della metropoli! E qui vi voglio! Perché quelli
di Ragusa e Sebenico accantonano ugualmente fondi, e non per sé
medesimi, ma per i vari Bandić e
Mamić, per la regina delle nevi,
ecc.”, strilla Luky.
E non sono del tutto isolati
Luky ed i suoi seguaci di Facebook. Con loro è d’accordo anche Dino Rađa, il leggendario
giocatore di basket della Jugoplastika, la più grande squadra
di pallacanestro, secondo alcuni, che l’Europa abbia mai avuto. Dino Rađa è oggi alla testa del
KK Split, un club che non solo
non è in grado di opporsi ad uno
Cibona o alla squadra di Zara,
ma ha poche chance anche contro la zagabrese Cedevita. Il problema, secondo Dino Rađa, non
risiede nell’incapacità di allevare
i giovani o in una scarsa qualità
del lavoro: “In fin dei conti, nel
club di basket che dirigo si è fatta
le ossa la maggior parte dei giocatori che oggi rappresentano il
meglio della pallacanestro croata. Vero, non giocano a Spalato.
La cassa viene tenuta a Zagabria,
là si distribuisce gran copia di danari. Lo Cibona riceve dalla Città di Zagabria, annualmente, 12
milioni di kune, quanto noi abbiamo incassato negli ultimi 20
anni. Circostanza che vale a svelare noi stessi, quanto siamo in
grado di stimare le nostre istituzioni e tradizioni”.
Dino Rađa racconta un episodio che illustra la mentalità spalatina e dalmata. Alcuni anni fa Toni
Kukoč, il nome più famoso della
pallacanestro fuori dagli States degli ultimi dieci anni, si è steso su
di un asciugamano, nella spiaggia
sotto il monte Marjan. Di tanto in
tanto qualcuno lo scrutava ammirato, ma i commenti vertevano
perlopiù sulla lunghezza delle sue
mani e delle sue gambe, non sulla sua maestria. Oggi tutti giurano
su Branka Vlašić, ma basteranno
due-tre sue défaillances perché si
ricredano. Io sono stato meglio ricevuto a New York, dove non ho
mai giocato, che a Spalato”, sottolinea Dino Rađa. I dalmati, dunque, sono talvolta pronti a ravvisare il nocciolo del problema anche
in sé stessi. E l’autocritica non fa
mai male.
8 dalmazia
Sabato, 10 aprile 2010
ESULI La vicenda infinita dell’onorificenza concessa da Ciampi al gonfalone zaratino
Una medaglia ferma al palo
di Giovanni Contus
I
tempi della diplomazia sono
lunghi, lunghissimi, quando
vi sono di mezzo situazioni
spinose, capaci di risvegliare passioni, emozioni di segno opposto
e difficili da controllare, in quanto a possibili reazioni. Emblematica a questo proposito è la “storia
infinita” della medaglia d’oro al
valor militare al gonfalone dell’ultima amministrazione italiana di Zara, mai consegnata for-
più facce di una medaglia” (edizioni Le Lettere). Una vicenda di
natura squisitamente politica. Della questione non si sarebbe probabilmente parlato negli ultimi anni,
se, scrive Simoncelli, a smuovere
le acque non avesse deciso di intervenire nel febbraio del 1993
l’allora presidente della Repubblica italiana, Oscar Luigi Scalfaro. È
lui che mette in moto la storia che
qui si racconta. Scalfaro era stato
sottosegretario alla presidenza del
Consiglio ai tempi del governo
Scelba (10 febbraio 1954 - 22 giugno 1955) quando la questione del
confine orientale italiano era incandescente e da allora aveva preso a cuore la questione. Nel 1993,
dopo una visita a Trieste e un incontro con il senatore Lucio Toth,
esponente di spicco della diaspora dalmata, scrive una lettera (che
avrebbe dovuto restare riservata)
all’allora presidente del Consiglio
Giuliano Amato sul caso zaratino.
Difficoltà
di carattere
ideologico e politico
malmente. Da quanto si evince
avrebbe dovuto essere un tassello del complesso mosaico della
riconciliazione adriatica ed essere magari accompagnata da quel
vertice di rappacificazione storica
fra i presidenti di Croazia, Slovenia e Italia, che fatica ad andare
in porto. Non è un’impresa facile
realizzarlo se si considerano tutti i sedimenti della storia che ci
sono alle spalle.
In ogni caso della medaglia a
Zara “congelata” si è tornato a parlare a cavallo del Giorno del Ricordo 2010. Ed è emerso qualcosa che del resto appariva probabile.
Sarebbe stata, infatti, accantonata
per timore di creare conflitti diplomatici con Zagabria l’onorificenza
già concessa a Zara a ricordo del
suo martirio nella Seconda guerra
mondiale. Questo si evince dalla
ricostruzione dei retroscena della
vicenda, ricordata nella parte iniziale di un avvincente libretto di
Paolo Simoncelli, “Zara. Due e
Il Quirinale
soldati con la svastica e, per quel
che è impossibile attribuire alle
truppe hitleriane si resta nel vago.
Equilibrismi
e prudenza
Esaminate le varie versioni a
confronto, Simoncelli scrive: “Raramente un’analisi di filologia spicciola, di semplice collazione di testi,
manifesta angosce di tale dimensione; specchio di chissà quali paure, di
ricerca di equilibrismi che progressivamente diventano funambolismi
circensi, fino ad assumere forma di
barocchi documenti dell’arte del tacere, del silenzio ‘prudenza’ che
nella cultura politica italiana ha tradizione antica e robusta”. Alla fine
si ottiene una versione condivisa da
tutti, anche dall’ANPI (Associazione nazionale partigiani d’Italia), da
cui si capisce poco o nulla. Comunque si può procedere. Il 3 giugno
del 1998 viene consegnato a Scalfaro un dossier con la proposta per la
concessione di una medaglia d’oro
al valor militare al gonfalone della
città di Zara, dossier che il presidente accoglie con grande soddisfazione. Ma è il momento della guerra del Kosovo e lo stesso Scalfaro,
agli sgoccioli del suo settennato, fa
presente ai suoi interlocutori la necessità che, nonostante l’opportuna
“opera di cosmesi per renderla più
accettabile al lettore non italiano”,
l’iter della pratica, per evidenti motivi di politica internazionale, subisca una “pausa di riflessione”.
Oscar Luigi Scalfaro torna poi
sul tema diverse volte, la più importante delle quali è il discorso
di fine anno del 1997. Ed è a questo punto che la storia subisce una
svolta. Il presidente del gruppo
medaglie d’oro al valor militare,
Furio Lauri, nel febbraio del 1998
invia ai colleghi delle 34 associazioni nazionali combattentistiche
e d’arma, comprese ovviamente
quelle partigiane, la richiesta di
adesione alla proposta di conferire la medaglia d’oro al gonfalone di Zara. E qui si presentano le
prime difficoltà, a cominciare dal
capitolo della laboriosa elaborazione del testo di motivazione del
conferimento della medaglia. Si
tratta di enfatizzare, nella descrizione del martirio di Zara, il ruolo dei nazisti. Il testo finale, scrive
Simoncelli, è “soggetto a ripetuti
interventi” dettati “da motivi di
opportunità ideologica, politica,
diplomatica” che “a poco a poco
Il nodo gordiano
ne snaturano la sostanza”. Il tutto
Il 13 maggio del 1999 Carlo
è scritto e riscritto in modo da far
intendere che l’alto numero di vit- Azeglio Ciampi viene eletto pretime sia da mettere nel conto dei sidente della Repubblica e prende
il posto di Scalfaro, il quale nell’ultimo giorno al Quirinale telefona a Lucio Toth manifestandogli
il proprio rincrescimento per non
aver potuto portare a compimento
formale e materiale la pratica della consegna della medaglia d’oro
a Zara. I fautori dell’iniziativa non
si perdono d’animo e il 17 maggio
del 2000 il loro rappresentante Furio Lauri viene ricevuto da Ciampi,
che prende a cuore la loro causa. Di
più. Il 21 settembre 2001 Ciampi
con un gesto ardimentoso taglia il
nodo e conferisce motu proprio la
medaglia d’oro al valor militare all’ultimo gonfalone italiano della città di Zara. Decisione che quel giorno e quelli immediatamente successivi deve rimanere segreta per non
turbare la visita che il presidente
compirà in Croazia il 9 e 10 ottobre.
Si dovrà pazientare per poco meno
di due mesi. È lo stesso ufficio di
Ciampi ad annunciare che trascorsi
quei due mesi, per la precisione il 13
novembre, la medaglia avrebbe dovuto essere appuntata al gonfalone
zaratino in una pubblica cerimonia
appositamente convocata al Quirinale in presenza di Ottavio Missoni,
Oscar Luigi Scalfaro
sindaco del Libero comune di Zara
in esilio (“sindaco”, precisa Missoni, “unicamente per amministrare i
ricordi ed i valori di quella che fu la
nostra amata città”).
Dura protesta
La notizia però filtra e il 25 ottobre il governo croato presenta
una dura nota di protesta. Per di
più in quel frangente la sinistra
italiana si divide. Perplessità verso
l’iniziativa ci sono anche in campo
cattolico. Simoncelli ricorda l’affermazione dell’ex presidente della Repubblica italiana, Francesco
Cossiga: “Non avrei firmato la delibera sul conferimento dell’onorificenza a Zara; avrei trovato un altro modo per rendere omaggio agli
italiani, ai croati e ai serbi morti
nel bombardamento di Zara”.
Nel 2006 al Quirinale un nuovo cambio di inquilino: Napolitano sostituisce Ciampi. La sua prima
cerimonia in occasione del Giorno
del ricordo dà la stura a una coda
polemica con l’ancora Capo dello
Stato croato, Stjepan Mesić. Il ministro degli Esteri dell’epoca, Massimo D’Alema difende il presidente
e lascia cadere una frase diplomaticamente allusiva alla vicenda della
medaglia (“auspichiamo che si possano svolgere gli atti simbolici di
cui si era parlato”). E però sul gonfalone di Zara continua a non essere appuntata quella medaglia d’oro
conferita il 21 settembre 2001.
Una soluzione
di compromesso
Che fare? A conclusione del
suo libro Simoncelli riferisce che
poco tempo fa, il 10 febbraio del
2010, è stata escogitata una soluzione “all’italiana”. Quel dì alla
Camera dei deputati si è riunita in
sede referente la IV Commissione
(Difesa) con all’ordine del giorno
l’istituzione di una nuova medaglia
intitolata “al merito delle popolazioni di Fiume, Pola e Zara”. La
discussione è durata non più di un
quarto d’ora (per l’esattezza dalle
14 e 50 alle 15 e 05). Nel corso dello stringatissimo dibattito il relatore Marcello De Angelis ha riferito
che il Comitato ristretto aveva optato per questo nuovo tipo di decorazione, al posto di una medaglia
d’oro al valor militare, a causa della presenza di “alcuni ostacoli nella disciplina vigente in materia di
conferimento delle medaglie d’oro
al valor militare che renderebbero
problematico il riconoscimento di
tale onorificenza”. Poi, per allontanarsi ancor più dalle sabbie mobili su cui, come abbiamo visto,
si è mossa l’intera vicenda, ha aggiunto che il riconoscimento a Fiume, Pola e Zara per il “contributo
da esse reso nella storia a beneficio dell’Italia” va inteso non solo
“per le vicende legate alla Seconda
guerra mondiale”, ma per epoche
anteriori, “si pensi ad esempio alla
Grande guerra, e che testimonia
l’esistenza di un profondo legame
di quelle popolazioni con la comunità italiana”. Tutti si sono dichiarati d’accordo con tale impostazione e tale decisione.
Se anche il Senato come è probabile approverà, scrive Simoncelli, “una medaglia, quale che sia,
comunque viene conferita, anzi
inventata apposta e, per ora, senza
sollevare alcun problema politicodiplomatico”. Resta, comunque, da
vedersi se questi escamotage dialettici e politici saranno sufficienti a evitare nuovi polveroni... Per
il momento l’impressione è che la
“storia infinita” dell’onorificenza a
Zara sia destinata a proseguire ancora per parecchio tempo...
Anno VI / n. 53 del 10 aprile 2010
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
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Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
Edizione: DALMAZIA
Redattore esecutivo: Dario Saftich / Impaginazione: Teo Superina
Collaboratori: Igor Kramarsich, Ilaria Rocchi, Giovanni Contus, Dino Saffi
e Barbara Rosi
La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano
con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004
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10.4.2010 - EDIT Edizioni italiane