Indice
pag.
Premessa
di Giancarlo Capecchi
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
I terzi coinvolti nel procedimento di prevenzione patrimoniale
I terzi interessati
I terzi comproprietari
I terzi soci di maggioranza o minoranza in caso di ablazione di quote di
società
I terzi legati da rapporti contrattuali in corso con il proposto
I terzi creditori del proposto o della sua impresa
Gli eredi e i successori a titolo particolare
Le vicende estintive e modificative degli enti
1
3
5
9
10
18
23
26
1
Le misure di prevenzione patrimoniale: panoramica
sulla materia e sulle frange di interferenza con i terzi
di Giancarlo Capecchi e Ferdinando Brizzi
1.
2.
3.
4.
L’evoluzione legislativa in materia di prevenzione patrimoniale
La confisca di prevenzione e gli altri modelli di confisca: il modello classico previsto dall’art. 240 c.p., quello speciale previsto dall’art. 416-bis,
comma 7, c.p., la confisca estesa di cui all’art. 12-sexies, legge n. 356/1992;
rapporti tra sequestro penale e sequestro in prevenzione
I destinatari delle misure di prevenzione patrimoniale ed il requisito della
pericolosità sociale
La disponibilità del bene oggetto di ablazione in capo al proposto e la figura dei terzi interessati
30
42
58
68
VI
Indice
pag.
5.
I presupposti oggettivi della confisca di prevenzione alla luce dell’esperienza giurisprudenziale: la sproporzione e la nozione di frutto o reimpiego di attività illecite
6. Gli organi dell’amministrazione giudiziaria: il Tribunale, il giudice delegato e l’amministratore giudiziario
7. Sequestro e gestione dei beni in caso di patrimonio statico
a) il sequestro di immobili: la gestione della casa di abitazione del proposto o del terzo interessato, dei beni nella disponibilità di terzi senza un
titolo opponibile alla procedura, dei rapporti contrattuali pendenti alla data di emissione del sequestro, dei beni in comproprietà
b) il sequestro di giacenze di liquidità, di beni mobili, di valori mobiliari
e di partecipazioni minoritarie di società di persone e di capitali: la distinzione tra amministrazione dell’ente e amministrazione delle quote
nell’ottica dei rapporti con i soci terzi estranei alla misura e dei poteri
di controllo del Tribunale
8. Sequestro e gestione dei beni in caso di patrimonio dinamico: enti, aziende ed assets aziendali; imprese individuali; partecipazioni societarie totalitarie; partecipazioni societarie maggioritarie; coincidenza e divergenza della proprietà delle quote e dei beni aziendali nelle medesime persone; società occulte e soci tirannici occulti
9. Strumenti di controllo giudiziario: l’amministrazione dei beni personali e
di quelli connessi alle attività economiche – analogie e differenze rispetto
ai sequestri finalizzati alla confisca
10. Strumenti di intervento dei terzi nella procedura di prevenzione
77
88
95
98
105
123
138
147
2
La tutela dei terzi creditori del proposto
di Giancarlo Capecchi
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Tutela dei terzi creditori nel periodo precedente l’introduzione del Codice antimafia: il dato normativo e l’esperienza giurisprudenziale
Le innovazioni apportate dal Codice antimafia nel conflitto tra esigenze
di tutela dei terzi creditori e interessi collettivi alla destinazione sociale del
patrimonio confiscato
La prosecuzione dell’attività d’impresa
La sospensione delle azioni esecutive sui patrimoni statici e sui patrimoni
dinamici
La sorte dei crediti erariali sui patrimoni statici e sui patrimoni dinamici
I crediti in prededuzione
I rapporti giuridici pendenti. Panoramica esemplificativa
La c.d. purgazione e la soglia massima di responsabilità dello Stato consequenziali alla confisca
167
183
197
223
229
236
242
261
Indice
VII
pag.
3
Il procedimento di accertamento dei crediti e
di liquidazione delle utilità
di Giuseppe Fichera
1.
Profili costitutivi specifici dei crediti opponibili alla procedura: il beneficio excussionis, l’inversione della regola dell’astrattezza causale, la valutazione della buona fede
2. L’esclusione della verifica per le società il cui capitale non risulta integralmente sequestrato
3. Gli organi competenti alla verifica: il ruolo del giudice delegato e quello
dell’amministratore
4. Il momento della verifica. La disamina delle scritture funzionale alla comunicazione ai creditori
5. La domanda di ammissione: patrocinio facoltativo, contenuto del ricorso,
termine ultimo per la tempestiva e ammissibilità delle tardive, effetti meramente endoprocessuali della domanda
6. Il procedimento di verifica: l’istruzione probatoria tra impulso di parte e
poteri istruttori d’ufficio
7. La decisione
8. L’opposizione e l’impugnazione
9. La revocazione
10. Le domande tardive
11. La liquidazione in caso di entrate incapienti: profili di compatibilità con
la destinazione vincolata a scopi sociali dei beni confiscati
12. Il piano di riparto
265
270
271
275
278
285
288
294
298
300
304
308
4
L’ablazione e la gestione dell’impresa in stato di insolvenza e
dell’impresa dichiarata insolvente:
rapporti tra procedure concorsuali e misure di prevenzione
di Giancarlo Capecchi e Giuseppe Fichera
1.
2.
3.
4.
Breve panoramica sugli aspetti delle procedure concorsuali e del diritto
fallimentare rilevanti per la materia della prevenzione patrimoniale
Lo stato dell’arte alla data di introduzione del Codice delle leggi antimafia: prassi giurisprudenziali e orientamenti della Corte di Cassazione
Riflessioni problematiche sulle strategie di ablazione di imprese insolventi
destinate al fallimento e di imprese fallite: sequestro e Amministrazione
giudiziaria
Fallimento di impresa già sequestrata: la sorte dei beni già assoggettati a
sequestro
313
328
335
340
VIII
Indice
pag.
5.
L’integrazione dei casi di chiusura del fallimento; le conseguenze della
revoca del sequestro o della confisca, riespansione degli effetti espropriativi del fallimento ancora aperto e riapertura di quello chiuso in precedenza
6. L’accertamento del passivo filtrato dai nuovi parametri di opponibilità
dei crediti alla procedura di prevenzione
7. La legittimazione a proporre le azioni di ricostruzione del patrimonio ed
in particolare le caratteristiche dell’azione revocatoria
8. Sequestro di impresa già fallita: la separazione dei beni sequestrati dal resto della massa attiva fallimentare
9. Il rinnovarsi della verifica dei crediti secondo i filtri di opponibilità imposti dal Codice delle leggi antimafia
10. Il riparto
11. Rapporti tra procedure concorsuali e altre misure di prevenzione patrimoniali
12. Casi di coincidenza totale o parziale tra i beni in sequestro e quelli riconducibili nella massa fallimentare: rapporti tra giudice di prevenzione e
giudice fallimentare e sinergie necessarie tra amministratori giudiziari e
curatori fallimentari
349
Bibliografia
363
Indice della Giurisprudenza
369
Indice analitico
377
343
346
347
350
353
354
355
Premessa
di Giancarlo Capecchi
SOMMARIO: 1. I terzi coinvolti nel procedimento di prevenzione patrimoniale. – 2. I terzi interessati. – 3. I terzi comproprietari. – 4. I terzi soci di maggioranza o minoranza in caso
di ablazione di quote di società. – 5. I terzi legati da rapporti contrattuali in corso con il
proposto. – 6. I terzi creditori del proposto o della sua impresa. – 7. Gli eredi e i successori a titolo particolare. – 8. Le vicende estintive e modificative degli enti.
1. I terzi coinvolti nel procedimento di prevenzione patrimoniale
Il movimento giuridico e culturale che negli ultimi decenni ha portato ad una
sempre maggior attenzione – complice anche la crisi economica e la necessità
dello Stato di recuperare preziose risorse economiche – alle misure reali di contrasto alla criminalità economica, ma ha imposto, al tempo stesso ed ancor prima dell’emanazione del c.d. Codice antimafia, di frenare la conseguente euforia
per operare con estrema prudenza, in ragione degli ultimi sviluppi giurisprudenziali. Ed invero – anche in ossequio degli impegni internazionali intrapresi
dallo Stato italiano per perseguire il minor sacrificio possibile dei soggetti indirettamente coinvolti dai procedimenti ablatori – si è sempre più proceduto a valorizzare le virtualità implicite nell’art. 24 Cost. e a sviluppare i rimedi già di fatto offerti ai terzi, qualora interessati al recupero dei propri beni, ma di fatto
estromessi dalla partecipazione al procedimento. Ne era conseguita l’applicazione estensiva della procedura esecutiva ed in particolare dell’incidente di esecuzione penale, rivolto ad ottenere decisioni di dissequestro in via anticipata
oppure di revisione sostanziale delle decisioni di confisca sulla base di nuovi
elementi di prova.
Il legislatore del Codice antimafia ha preso atto di ciò ed ha adottato un sistema di tutela volto a consentire la partecipazione dei terzi titolari di diritti di
proprietà e comproprietà, di diritti reali parziari, di diritti obbligatori di godimento protetti erga omnes gravanti sui beni in sequestro (ivi compresi i promo-
2
Giancarlo Capecchi
tori di azioni giudiziarie afferenti a tali diritti), in modo da garantire l’efficacia
litisconsortile verso tutte le parti così poste in condizione di partecipare al contraddittorio. Ciò anche allo scopo di rendere più rapido e lineare il successivo
procedimento amministrativo di destinazione dei beni confiscati in via definitiva, anticipando ogni questione di potenziale “disturbo” al procedimento giudiziale ed al futuro riutilizzo sociale e, quindi, limitando il più possibile gli eventuali incidenti di esecuzione successivi alla definitività.
Parallelamente, nei confronti dei titolari di tutti gli altri diritti obbligatori di
natura diversa, a seconda del livello di garanzia goduta sui beni in sequestro,
tutti supportati dai requisiti dell’anteriorità documentata rispetto all’avvio del
procedimento di prevenzione, della buona fede e della concretezza e trasparenza della causale sottostante, si è prevista una subprocedura di verifica e tutela
mutuata dal diritto fallimentare.
L’ampliamento degli strumenti di tutela, pur appesantendo non poco il lavoro degli operatori giudiziari, è divenuto un obiettivo indispensabile nella lotta
contro la criminalità senza il quale potrebbe vacillare un sufficiente grado di accettazione collettiva di tali interventi statali di indubbia e pesante incidenza sui
diritti ex artt. 41, 42 e 43 Cost. e, quindi, potrebbe indebolirsi la strategia volta a
sottrarre al network criminale uno dei suoi più preziosi alleati: il consenso sociale, fondato sul potere arbitrario dei criminali di grosso calibro di concedere lavoro, favori, finanziamenti, servigi di recupero crediti, protezione da altrui illeci1
ti, copertura ai propri reati, ecc. .
L’autore avverte i lettori che la giurisprudenza riportata a seguire è per lo più
scaturita da procedimenti precodicistici, essendo appena entrata – la materia
della prevenzione – in una fase di transizione le cui dinamiche cronologiche hanno consentito solo in pochissimi casi di addivenire già a pronunce di legittimità.
Sarà dunque, di volta in volta, stimolata la riflessione sulle prospettive di adeguamento o di discostamento delle nuove pronunce rispetto a quelle storiche.
La nozione di terzo, che in un ordinamento giuridico individua la porzione
di collettività estranea ad una regolamentazione di interesse o ad una controversia tra due o più parti, nel microsistema della prevenzione patrimoniale può intendersi sotto plurime sfaccettature, talora impropriamente insorgenti in base a
formulazioni legislative improntate ad un forte pragmatismo e meno attente alla
precisione tassonomica.
Pertanto, giova effettuare una breve ricapitolazione su cosa si intenda per
“terzo” in tale peculiare materia; ma, in primo luogo, va evidenziato che su tale
nozione oggi sempre più si gioca la credibilità dell’intervento prevenzionale patrimoniale, ovvero del tentativo di strappare ai poteri criminali quel subdolo
consenso, talora cinico e talora necessitato dai contesti di riferimento, che una
porzione della collettività presta in favore di chi, avendo accumulato patrimoni
1
Cfr. G. CAPECCHI, Misure di prevenzione patrimoniali, problematiche afferenti alla gestione dei
beni sequestrati ed alla tutela dei terzi - previsioni di applicazione concreta del codice antimafia, Incontro di studio CSM, Roma, 2012.
Premessa
3
di origine illecita, oggi si mostra in grado di promuovere l’occupazione e lanciare una certa attività e poco dopo non si fa scrupoli a distruggere la dignità ed autonomia del beneficiato, mentre inietta un veleno altamente inquinante nel contesto socio-economico dove ostenta il suo potere e contribuisce al regresso dello
Stato sociale, il quale, in tal modo, cade in una spirale di inefficiente e distorta allocazione di risorse pubbliche e private.
Orbene, proprio la prevenzione patrimoniale è uno di quegli strumenti con cui
lo Stato risponde a queste inefficienze allocative, tentando di ribaltare a proprio
favore gli effetti economici del crimine e di neutralizzarne la dannosità, confiscando i patrimoni abusati dai destinatari di tali peculiari procedimenti ablatori.
Gli ultimi anni, caratterizzati da intense innovazioni giurisprudenziali, riforme legislative e interventi internazionali in materia, hanno rilanciato proprio il
tema della credibilità degli interventi ablatori contro la criminalità, non solo per
perseguire una reintegrazione economica delle risorse pubbliche ormai dilapidate
da dissennate politiche, ma anche e soprattutto per coinvolgere la società civile
nelle scelte sulla valorizzazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati,
per difendere il consenso sociale di quella parte di collettività che finora ha vissuto nella liceità e per attrarre progressivamente verso la legalità anche quella restante porzione di collettività che, per convenienza o necessità, si è piegata o
adeguata al sistema economico illecito posto in piedi da individui ed associazioni criminali, o che con essi si è addirittura schierata traendone benefici.
Orbene, la rinnovata attenzione pubblica alla nozione di “terzo” è proprio
finalizzata a fornire agli operatori giuridici gli strumenti per discernere la porzione di collettività meritevole di tutela da quella connivente con la criminalità e
per tentare di stimolare riflessioni e scelte conformi alla legalità anche in questa
seconda, in modo da sopirne eventuali rancori contro gli interventi repressivi
statali e da indurne una rimeditazione circa la maggiore convenienza di schierarsi nettamente in favore della legalità.
Ed invero, non può nascondersi che, in decenni di applicazione viva degli strumenti di prevenzione, la giurisdizione, delegata dal legislatore a svolgere un delicato potere amministrativo ad elevata discrezionalità tecnica, ha costantemente
– salve eccezioni – penalizzato le posizioni soggettive dei terzi coinvolti nei procedimenti di prevenzione, degradandoli quasi a rango di interessi legittimi, con
decisioni ineccepibili dal punto di vista tecnico, ma inevitabilmente foriere di
sacrifici talora eccessivi dei diritti delle controparti dei soggetti colpiti da sequestri o confische di prevenzione.
2. I terzi interessati
Orbene, tornando alla necessità di ricapitolare le plurime sfaccettature della
nozione di “terzi”, devono in primo luogo individuarsi i c.d. terzi interessati,
ovvero gli individui che subiscono o corrono attuale e concreto rischio di subire
4
Giancarlo Capecchi
un danno patrimoniale dallo svolgimento o dall’esito del procedimento di prevenzione. A tali soggetti, sia pur in modo graduato a seconda della tipologia di
posizione soggettiva rivendicata, il sistema delle norme di prevenzione riconosce
forme di tutela finalizzate a garantirne la partecipazione all’intero procedimento
ablatorio, o quantomeno finalizzate a garantirne la partecipazione ad alcune sue
fasi eventuali, o in via incidentale (es. mediante il subprocedimento di insinuazione creditizia o mediante incidenti di esecuzione atipici in itinere) o in via successiva (es. mediante la revocazione della confisca o mediante altri incidenti di
esecuzione atipici residuali).
In merito, una riflessione va effettuata in ordine al concetto di interesse che,
legittimando il terzo a partecipare al procedimento nei modi accennati, a seconda dei casi può rivestire la natura di un timore di perdita patrimoniale proprio,
personale o familiare (trattasi del c.d. terzo interessato puro), oppure può sostanzialmente celare un timore di depauperamento formalmente a proprio carico ma
sostanzialmente a danno altrui. In questo secondo caso, quindi, l’interveniente si
oppone all’ablazione prospettando la propria qualifica di intestatario formale
dei beni aggrediti ma, nella realtà, cela accordi occulti intrapresi con proposto,
sostanziale dominus di essi (trattasi del c.d. terzo interessato interposto fittizio,
volgarmente detto anche prestanome).
Una specificazione giurisprudenziale efficace di quest’ultimo caso afferma che:
«Ai fini dell’applicabilità della misura di prevenzione della confisca, la dizione “terzo” usata dalla legge ha
un’accezione non tecnico-civilistica, ma puramente processuale finalizzata alla legittimazione alla
“chiamata” nel procedimento, salvo che, proprio in esito alle risultanze del processo stesso, la posizione di estraneità risulti meramente fittizia e il “terzo” perda sotto il profilo sostanziale la posizione
autonoma di intestatario del bene che risulta essere nella effettiva disponibilità del prevenuto; il concetto di “disponibilità” da parte di quest’ultimo ha contenuto eminentemente sostanzialistico e di fatto, molto
vicino al concetto del possesso, e non legato a categorie e modi di intestazione giuridico-formali (nella
specie, se ne è dedotto che non ha valore determinante stabilire se l’effetto traslativo della proprietà si
sia compiutamente realizzato o meno dal punto di vista giuridico-formale nei confronti del “terzo” per
dedurre la disponibilità del bene da parte del prevenuto, bensì accertare se tra quest’ultimo e il cosiddetto terzo sussista una tale situazione fiduciaria da consentirgli la disponibilità di fatto, indiretta, del
bene)» (App. pen. Reggio Calabria, decreto 6 marzo 1986, Libri, in Foro it., II, 1987, p. 361).
Come è intuitivo, le due categorie di terzi meriteranno trattamenti giuridici
sostanziali diametralmente opposti, dovendosi tendenzialmente tutelare la prima
(terzo interessato puro) e penalizzare la seconda (interposto fittizio-prestanome), fermo il diritto, ormai garantito in capo ad entrambe, di vedere riconosciuto pari diritto partecipativo. Del resto, finché il procedimento di merito non accerterà la natura fittizia o reale dell’intestazione formale di un bene al terzo, non
può escludersi che in seno all’istruttoria giudiziale difettino sufficienti elementi
per desumere la natura fittizia dell’intestazione, o che l’interessato riesca a ribaltare eventuali presunzioni sfavorevoli (es. quelle che inducono a ritenere prestanome i parenti e gli affini fino al grado ex lege indicato dall’art. 26 del Codice) o
neutralizzi gli indizi d’interposizione a proprio carico, fornendo prove decisive a
favore, che lo riconducano anche nella sostanza nella posizione di un terzo interessato puro.
Premessa
5
«In tema di provvedimenti di natura patrimoniale correlati all’applicazione di misure di prevenzione,
incombe all’accusa l’onere di dimostrare rigorosamente, ai fini del sequestro e della confisca di beni intestati a terzi, l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione, funzionale alla esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto; disponibilità la cui sussistenza,
caratterizzata da un comportamento “uti dominus” del medesimo proposto, in contrasto con l’apparente titolarità del terzo, dev’essere accertata con indagine rigorosa, intensa ed approfondita, avendo il
giudice l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità,
precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell’assunto che si tende a
dimostrare (nella specie, i beni risultavano intestati al proposto assieme ai suoi prossimi congiunti e la
Corte ha annullato il decreto di confisca, in quanto gli elementi dimostrativi dell’assunto accusatorio
circa l’intestazione fittizia dei beni erano rappresentati unicamente dalla mancanza di contestazioni
sulla riferibilità dei beni oggetto di provvedimento ablativo al prevenuto, senza che la effettiva disponibilità risultasse da elementi fattuali, specifici e convergenti)» (Cass. pen., Sez. I, 15 ottobre 2003, n.
2
43046 Cc. [dep. 11 novembre 2003], in Italgiure, Rv. 226610) .
Si tenga presente che identico discorso vale anche per i terzi che abbiano natura di persone giuridiche dotate di autonomia patrimoniale, a seconda che si
prestino o meno a fungere da schermo nei confronti del soggetto passivo del
procedimento di prevenzione (c.d. soggetto proponibile o proposto).
Tale discorso verrà ripreso e sviluppato nel primo capitolo, in cui si espone una
sintetica panoramica sul sistema della prevenzione, e cui si rinvia specificamente
anche in ordine ai meccanismi di giudizio finalizzato a distinguere le due categorie di terzi.
3. I terzi comproprietari
Una volta sgomberato il campo da eventuali presunzioni o da indizi di intestazione fittizia dei beni oggetto del procedimento di prevenzione e, quindi,
evidenziata la natura di terzi interessati puri dei relativi titolari, si rileva che questi ultimi possono essere legati a tali cespiti ed al proposto da rapporti di comproprietà o, comunque, di contitolarità di diritti reali (es. proprietà, usufrutto,
superficie) o di diritti obbligatori che fondino posizioni detentive particolarmente tutelate (es. locazione, leasing, affitto).
Trattasi di una delle sottocategorie di terzi interessati puri più frequenti nella
pratica e, non a caso, presi in seria considerazione dal legislatore anche al fine di
contemperare il principio di proporzione della percussione ablatoria, che non
può eccedere i limiti delle possidenze effettive del proposto, con l’opportunità
di limitare il più possibile la scomoda ipotesi di eseguire confische pro-quota o
parziali, da cui vengono a crearsi situazioni di imbarazzante e difficilmente gestibile compresenza, nella titolarità e gestione del medesimo bene, dello Stato, e
poi degli affidatari in destinazione, con il proposto stesso.
2
V. anche Cass. pen. n. 2531/1996, in Italgiure, Rv. 204903; n. 6279/1997, ivi, Rv. 208941; n.
23041/2002, ivi, Rv. 221682.
6
Giancarlo Capecchi
Tradizionalmente, prima della recente codificazione, i comproprietari sono
stati trattati come terzi comuni, che preferibilmente dovevano essere citati a
comparire in seno al procedimento, pur in assenza di comminatorie di nullità;
queste ultime sanzioni sono state introdotte, invece, dal Codice antimafia proprio
per accentuare la forma litisconsortile del procedimento e della decisione che, in
tal modo, fa immediatamente stato contro tutti i partecipanti ed esclude – in linea
di massima – la proponibilità di incidenti di esecuzione, limitando anche le possibilità di istanze di revocazione. La seguente massima di legittimità fornisce un
significativo esempio del passaggio epocale rispetto alla pregressa impostazione.
«Nel procedimento di prevenzione il terzo comproprietario del bene oggetto della confisca ex art. 2ter, comma 3, legge 31 maggio 1965, n. 575 non è privo di tutela e può far valere le sue ragioni in sede di esecuzione, allo stesso modo del terzo esclusivo proprietario del bene» (Cass. pen., Sez. VI, 11
gennaio 1994, n. 25 Cc. [dep. 22 marzo 1994], in Italgiure, Rv. 197936).
In particolare, il sopravvento del codice ha imposto, anche a favore di tali ca3
tegorie di terzi, l’obbligo di citazione in giudizio a pena di nullità ; sullo specifico tema si ritornerà alla fine del primo capitolo.
Inoltre, l’art. 52 del Codice ha previsto che, in caso di confisca di beni in
comunione, se il bene è indivisibile, ai partecipanti in buona fede è concesso diritto di prelazione per l’acquisto della quota confiscata al valore di mercato, salvo che sussista la possibilità che il bene, in ragione del livello di infiltrazione
criminale, possa tornare anche per interposta persona nella disponibilità del sottoposto, di taluna delle associazioni delittuose indicate nel codice o dei suoi appartenenti (il Codice antimafia, quindi, eleva il contrasto economico alla crimi4
nalità ad un livello di lotta contro l’intero network criminale , ovvero, come evi5
denziato dai divulgatori di cronaca, a livello di “sistema” ).
In caso di inerzia dei prelazionari e di impossibilità di vendita, il bene può
essere acquisito per intero al patrimonio dello Stato quando ciò soddisfi un concreto interesse pubblico, residuando in capo ai partecipanti il diritto alla corresponsione di una somma equivalente al valore attuale della propria quota di
proprietà intra vires (ovvero nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione
vigente).
Trattasi di logiche che dovrebbero ritenersi esportabili anche nei confronti
dei terzi contitolari degli altri diritti sopra accennati, ovvero di diritti reali parziari, sempre che il sequestro riguardi tale diritto e non l’intera proprietà, e dei
diritti obbligatori a detenzione qualificata, nonché dei titolari di diritti reali par3
Vizio che si ritiene dover rivestire natura di nullità relativa; cfr. A. BALSAMO-C. MALTESE, Il
Codice antimafia, Giuffrè, Milano, 2011, p. 35.
4
G. CAPECCHI, Le misure di prevenzione patrimoniale. Laboratorio di esperienze pratiche. Riflessioni comparative e spunti operativi, Experta, Forlì, 2011, p. 52 ss.
5
R. SAVIANO, Gomorra. Viaggio nell'impero economico e nel sogno della camorra, Mondadori, Segrate (MI), 2006, p. 32 ss.
Premessa
7
ziari su beni di cui il proposto o i suoi interposti abbiano la sola nuda proprietà,
sia essa apparente o effettiva.
L’analogia tra i comproprietari e queste ultime due categorie di titolari di diritti, ovviamente, vale solo in relazione agli obblighi di citazione in giudizio e
non alla prelazione, poiché la confisca comporterà lo scioglimento del rapporto
di godimento e l’estinzione dell’onere gravante sul bene, salvo indennizzo. Ed
invero, il Codice antimafia ha garantito la partecipazione al procedimento anche
dei titolari di tali posizioni giuridiche ma, rispetto a quella dei comproprietari,
ha stabilito all’art. 52, commi 4 e 5 non un diritto di prelazione sul bene confiscato, bensì l’estinzione del diritto reale parziario o obbligatorio di godimento
(ed in merito si ritiene che il termine godimento meriti estensione anche al godimento misto a sfruttamento economico, come nel caso dell’usufrutto). L’ottica
è chiaramente orientata a liberare il bene da ogni peso. Quanto al conseguente
“equo indennizzo”, una parte della dottrina ritiene che sorga un vero e proprio
diritto di credito che, tuttavia, andrà insinuato per essere sottoposto a giudizio
di verifica della buona fede del titolare richiedente (in modo da disincentivare –
per esempio – usufrutti e locazioni di comodo ed ostative).
Si rammenta che in precedenza i c.d. gravami (tra cui anche i diritti in re
aliena) erano tra i più frequenti motivi di ritardo delle destinazioni; a seguire si
fornisce un esempio dell’atteggiamento della Cassazione in materia.
«Spetta al giudice dell’esecuzione l’accertamento degli esatti confini del provvedimento di confisca dei
beni immobili effettuato ai sensi dell’art. 2-ter L. n. 575 del 31 maggio 1965, ed in particolare la determinazione dell’eventuale esistenza di “iura in re aliena”, non pregiudicati dalla devoluzione dei beni
allo Stato, mentre spetta al terzo l’onere della prova sia in relazione alla titolarità di tali diritti sia in relazione alla mancanza di qualsiasi collegamento del proprio diritto con l’attività illecita del proposto. In
particolare, il terzo dovrà dimostrare il proprio affidamento incolpevole, ingenerato da una situazione di
apparenza che renda scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza, non essendo sufficiente la mera
anteriorità della trascrizione nei registri immobiliari; una volta provata la posizione di terzietà e
l’opponibilità del diritto di garanzia o di credito, il terzo, pur deprivato della facoltà di procedere ad esecuzione forzata per soddisfarsi sul ricavato, può farlo valere soltanto davanti al giudice civile con i residui mezzi di tutela offerti dalla legge» (Cass., Sez. I, 18 aprile 2007, n. 19761 Cc. [dep. 22 maggio
6
2007], in Italgiure, Rv. 236825) .
Resta affidata al buon senso selettivo degli operatori giudiziari l’opportunità
di disporre il sequestro e la confisca di una mera quota matematica o di una parte ben distinta di un bene unitario, la cui contitolarità (della sola quota parte) sia
riconducibile al proposto e al tempo stesso ad uno o più terzi in buona fede (i
quali, quindi, saranno comunisti indistinti di questa sola quota, o parte, del bene),
dovendosene rapportare il valore e l’utilità ottenibile alla opportunità di confiscarla pro-quota (opzione che il codice tende comunque a scoraggiare, se non proprio
a vietare) oppure di offrirla in prelazione sia ai contitolari della quota che ai comproprietari del bene per poi eventualmente acquisirla in toto secondo il procedimento ex art. 52 cit. sopra illustrato.
6
Vedi anche Cass. pen. n. 12317/2005, in Italgiure, Rv. 232245.
8
Giancarlo Capecchi
Sulla materia della prelazione del comunista, in assenza di giurisprudenza di
legittimità sulla recentissima norma, un parametro per studiarne i possibili risvolti può trarsi dalla giurisprudenza che, in tema di dismissioni di case popolari, imponendo l’obbligo di nuntiatio ma escludendo quello di riscatto in capo al
privato, afferma,
«In caso di alienazione del patrimonio di edilizia residenziale di proprietà degli enti pubblici territoriali,
anche se con il sistema dei pubblici incanti, la cessione delle unità immobiliari deve avvenire con priorità assoluta in favore dei legittimi conduttori, che vantano un vero e proprio diritto di prelazione
sull’immobile, anche se non assistito dal diritto di riscatto dell’immobile nei confronti dell’acquirente. In
questi casi, il bando d’asta non è idoneo a perfezionare un’efficace “denuntiatio” e non esonera, perciò, l’alienante dall’onere di notificare al conduttore una vera e propria proposta di alienazione. Se
questa formalità non viene osservata, e si procede all’espletamento della procedura di vendita per
pubblici incanti con aggiudicazione dell’immobile nei confronti di un terzo, il conduttore può esercitare
l’azione per il riconoscimento del suo diritto di prelazione sull’immobile aggiudicato e l’ottenimento della condanna dell’ente pubblico al trasferimento della proprietà dello stesso in suo favore» (Cass. civ.,
Sez. III, n. 411/2006. Diritto di prelazione legale e dismissione del patrimonio di edilizia residenziale
pubblica).
E d’altra parte, a differenza delle normative in materia di vendita degli alloggi
popolari o aventi la natura di beni culturali, il Codice antimafia non prevede una
7
prelazione dello Stato in caso di alienazione della quota da parte del terzo in buona fede, cui succederà (nei rapporti di comunione e nel procedimento di preven8
zione) l’acquirente , riaprendosi l’istruttoria sulla sua eventuale buona o malafede.
Quanto ai rapporti tra coniugi, la tradizione giurisprudenziale – peraltro con
pronunce di rilevanza interdisciplinare – già aveva preso decisioni significative,
esemplificate dalla seguente, idonee a travolgere la comunione legale ed a ricondurre l’intera disponibilità sostanziale del bene in capo al proposto o ad un clan
mafioso, nonché l’inopponibilità conseguente alla prevenzione di ogni tipo di
regime patrimoniale (anche separazione e fondi patrimoniali a favore di minori)
instaurato tra i coniugi.
«La disciplina della comunione legale tra coniugi è animata dall’intento di tutelare la famiglia attraverso una specifica protezione della posizione dei coniugi che si manifesta, a norma dell’art. 177, primo
comma, lettera a), cod. civ., nel regime dell’attribuzione comune degli acquisti compiuti durante il matrimonio. Tale finalità di protezione è del tutto assente nell’ipotesi in cui i beni acquistati – astrattamente
riconducibili al regime della comunione legale – abbiano una provenienza illecita; pertanto, ove il giudice
penale abbia sottoposto a confisca, ai sensi dell’art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575, beni di
persona sottoposta a procedimento di prevenzione per sospetta appartenenza ad associazioni di tipo
mafioso, il coniuge non può invocare la disciplina della comunione legale per sottrarre determinati beni
alla predetta misura, salvo che dimostri di aver contribuito all’acquisto con proprie disponibilità frutto di
attività lecite» (Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2010, n. 5424, in Italgiure, Rv. 611877).
7
Una ben diversa forma di prelazione spetterà, solo in fase di destinazione, agli enti pubblici
interessati oppure agli affittuari privati ex art. 48 del Codice.
8
Salvo che il sequestro non sia comunque esteso all’intero bene come alcuna giurisprudenza
ritiene indispensabile; cfr. Cass. pen. n. 48031/2009 e n. 45910/2010, in tema di sequestro a fini di
confisca penale di autovetture in comunione, oppure Cass. pen., Sez. III, 27 gennaio 2011 (dep. 23
febbraio 2011), n. 6894; ma la prassi vede quotidianamente sequestri di prevenzione pro-quota.
Premessa
9
4. I terzi soci di maggioranza o minoranza in caso di ablazione di quote di società
Una particolare categoria di terzi, in qualche modo affine a coloro che condividono diritti reali ed obbligatori col proposto, sono i soci di quest’ultimo (anch’essi potenziali prestanome del proposto), i quali, complessivamente considerati, a seconda dei casi possono ritrovarsi nel ruolo di soci di minoranza o di maggioranza ed avere, quindi, interesse a mantenere o a recuperare la vitalità della
propria realtà imprenditoriale colpita da una misura di prevenzione, nonché a
salvaguardarne il buon nome commerciale o a promuoverne una nuova immagine socio-economica, così affrancandola dal sospetto di aver favorito gli affari del
proposto.
Anche la natura di società di persone o di società di capitali ha tradizionalmente portato a differenti trattamenti. Giova uno sguardo alla pregressa giurisprudenza per comprendere come sia fondamentale il distinguo del livello concreto di autonomia patrimoniale degli enti per stabilire chi (anche i soci o solo
gli amministratori legali e rappresentanti pro tempore) effettivamente citare in
concreto.
«I soci di una società, proprietaria di immobili, confiscati in attuazione della legge n. 575 del 1965 (applicazione di misure di prevenzione) non sono terzi rispetto alla società stessa e, quindi, non devono essere citati nel procedimento relativo per interloquire e per dimostrare la legittima provenienza delle somme da essi versate ed investite nelle quote sociali. Infatti, può considerarsi terzo solo colui che vanta
un diritto reale sulla cosa da sottoporre a confisca, mentre tale non è il socio di una società per azioni,
dotata di personalità giuridica, intestataria del bene e rappresentata dallo amministratore, fornito del potere di rappresentanza: unico soggetto a dover essere ritualmente citato a comparire avanti al tribunale
nell’ipotesi di simile procedura» (Cass. pen., Sez. I, 7 ottobre 1987, n. 3996 Cc. [dep. 13 novembre
1987], in Italgiure, Rv. 177037).
Non si esclude, ovviamente, il caso in cui si tema fondatamente che il proposto
sia il dominus occulto dell’intera compagine societaria e, ciononostante, non ne
detenga formalmente alcuna partecipazione, conseguendone che l’intestazione
della totalità delle quote a terzi andrà sondata in base alle logiche dell’eventuale
interposizione fittizia, come già sopra accennate. Ed una situazione del genere
comporterà anche profili di incidenza sulla legittimazione ad impugnare le decisioni ablatorie eventuali, nonché sulle conseguenze di percussione fiscale, come
efficacemente riassunto dalle seguenti massime.
«In materia di misure di prevenzione, il concetto di disponibilità del bene sottoposto a confisca introdotto dall’art. 2-ter della legge 575/1965 comprende una gamma di ipotesi diversificate che possono andare dal diritto di proprietà vero e proprio a situazioni di intestazione fittizia ad un terzo soggetto, in
virtù ad esempio di un contratto simulato o fiduciario, fino a situazioni di mero fatto basate su una posizione di mera soggezione in cui si trovi il terzo titolare del bene nei confronti del sottoposto alla misura di sicurezza personale. Di qui la necessità che quest’ultimo, qualora intenda impugnare il provvedimento di confisca di un bene intestato ad un terzo, ai fini di dimostrare la propria legittimazione affermi innanzitutto il proprio diritto sulla cosa ed, inoltre, provveda a qualificarlo poiché, ad esempio,
una situazione di mera disponibilità di fatto non supportata dalla esistenza di un titolo giuridico non po-
10
Giancarlo Capecchi
trebbe comunque costituire fonte di legittimazione alla impugnazione. (Ha precisato la Corte, con riferimento alla posizione del socio di una società di capitali dotata di personalità giuridica, che l’eventuale
controllo che il socio possa esercitare sulla società in virtù della disponibilità del pacchetto azionario o
delle quote comporta una disponibilità indiretta e di fatto, oltre che sulla società in quanto tale, anche
sui beni della stessa senza però che il medesimo possa affermare di avere su questi ultimi una titolarità giuridica qualificata che gli consenta di impugnare il provvedimento di confisca in vece degli organi
societari a ciò legittimati)» (Cass. pen., Sez. V, 17 marzo 2000, n. 1520 Cc. [dep. 6 aprile 2000], in
9
Italgiure, Rv. 215834) .
«Alla sentenza emessa a seguito del procedimento di prevenzione, previsto dalla l. n. 575 del 1965,
avente ad oggetto la confisca di quote sociali in quanto ritenute nella disponibilità di una persona diversa dall’intestatario, indiziata di appartenenza ad associazione mafiosa, non può essere riconosciuto valore di giudicato nel processo tributario promosso dal titolare formale per dimostrare la propria
estraneità rispetto al rapporto societario e, quindi, evitare l’imputazione dei redditi di partecipazione ex
art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, in quanto il presupposto per l’adozione della misura di prevenzione
antimafia è l’esistenza di un rapporto con il bene che include situazioni giuridiche anche formalmente
non riconducibili alla categoria dei diritti reali, risultando, invece, sufficiente la possibilità, da parte del
terzo appartenente alla consorteria mafiosa, dell’utilizzo di fatto di un bene intestato ad altri» (Cass.
civ., Sez. V, 22 gennaio 2010, n. 1166, in Italgiure, Rv. 611557).
Analogamente, potrebbe darsi il caso di un controllo ab externo da parte del
proposto o del suo network criminale di riferimento (es. da parte di un clan camorristico o di un locale “ndranghetistico”), ovvero di una situazione che, sebbene non supportata da partecipazioni formali alla struttura imprenditoriale, si risolva in una forma di condizionamento o di notevole influenza a carico dell’impresa/ente (che anche in tal senso può considerarsi terzo interessato) e che legittima l’applicazione di altri strumenti ad hoc, a funzione mista tra quella di controllo e quella tutoria, quali l’amministrazione giudiziaria (cfr. art. 34 del Codice,
strumento che la legislazione previgente rubricava sospensione temporanea dell’amministrazione) dei beni aziendali (con effetti anche eventualmente ablatori) o dei
beni personali (con effetti meramente inibitori).
Il primo degli strumenti da ultimo nominati, per definizione e per motivi strutturali, può anch’esso trovarsi di fronte la posizione di terzi interessati appartenenti alle compagini societarie/associative ed ai vertici amministrativi dell’ente,
momentaneamente dispensati nei propri incarichi dal pendente procedimento
giudiziario. Sulle sue caratteristiche peculiari si tornerà nel primo capitolo.
5. I terzi legati da rapporti contrattuali in corso con il proposto
Una delle sottocategorie di terzi interessati finora ampiamente penalizzati e
finalmente ripresi in considerazione proprio perché punti nevralgici della lotta
per coltivare il consenso sociale e per garantire la cooperazione internazionale,
nonché snodi delicati del sistema economico, è quella degli operatori economici
9
V. anche Cass. pen. n. 4916/1997, in Italgiure, Rv. 207118.
Premessa
11
che intrattengano rapporti giuridici con il proposto o con la sua attività d’impresa o associativa.
Tali rapporti di scambio di beni e servizi, da un lato rappresentano la concreta dimostrazione del tenore di vita reale del proposto (es. i rapporti con i fornitori di beni familiari, alimentari, industriali ed artigianali, con medici e cliniche,
con albergatori e trasportatori, con clubs e associazioni, ecc.); dall’altro possono
in concreto essere il fulcro della vitalità dell’attività di impresa eventualmente
gestita dal proposto (es. le controparti in fornitura, subfornitura, finanziamento,
lavoro autonomo e subordinato, ecc.).
E le controparti dell’impresa del proposto, a loro volta, possono trovare in
tali rapporti un prezioso punto di riferimento per la quotidianità delle rispettive
attività: ciò rende fondamentale, per l’amministrazione giudiziaria dei patrimoni
sequestrati, barcamenarsi alla ricerca di un equilibrio tale, al tempo stesso, da
non favorire gli alleati economici del proposto che conoscano le sue caratteristiche di pericolosità e se ne avvantaggino, da sostenere la ripulitura e la valorizzazione dell’attività in sequestro in una rinnovata chiave di rispetto della legalità,
nonché, infine, da mantenere fede agli impegni giuridico-economici pendenti
con le controparti in buona fede, o comunque costrette dal contesto di sostanziale monopolio detenuto dall’azienda del proposto a rivolgersi ai suoi servizi.
Orbene, si è già accennato alle controparti del proposto nell’ambito di rapporti di scambio di beni e, quindi, di cessione di diritti reali. La prova – anche
logica – della sostanziale fittizietà della cessione comporterà la possibilità di effettuare un’ablazione diretta del bene in caso di simulazione (es. stipula di contratto di vendita inesistente ovvero cui non sia mai seguita una effettiva traditio), oppure la possibilità di dichiarare la nullità della transazione economica
non simulata ma affidata a logiche fiduciarie (es. patto di retrovendita con effettiva traditio temporanea del bene, oppure costituzione in trust, ecc.), con la
conseguente possibilità di recuperare il bene o, in caso di sua dispersione, il
tantundem.
Quest’ultima opzione (confisca per equivalente) rimane, invece, l’unica attivabile in caso di alienazione a titolo oneroso a terzi in buona fede o di alienazione a terzi a titolo gratuito o fiduciario, effettuati oltre un biennio prima della
proposta di prevenzione (periodo in cui vige una presunzione iuris tantum di
malafede ex art. 26 del Codice) e di cui non si riesca a provare altrimenti la natura fittizia e la malafede dell’avente causa.
Ma tutte le tipologie di rapporti finora indicati hanno in comune la caratteristica dell’esaurimento pressoché immediato delle rispettive obbligazioni tra le
controparti, non appena avvenuto lo scambio o la cessione (contratti ad esecuzione immediata o istantanea).
Ci si deve porre, in proposito, il problema se tale logica valga anche per i
rapporti di scambio di durata o ad esecuzione differita e, quindi, di natura puramente obbligatoria, nel cui corso, tuttavia, avvengano cessioni frazionate o
continuative di beni ed energie (es. somministrazione di carburanti ai distributori, fornitura di costose parti meccaniche ad azienda automobilistica, oppure
12
Giancarlo Capecchi
appalto con fornitura di materiali di pregio) con l’effetto di depauperare le scorte dell’impresa sequestrata.
Appare subito evidente che, pur non impossibile, sarebbe defatigante attivare l’eventuale recupero di ogni singola partita di merce ceduta, ma il legislatore
non ha fornito soluzioni a tali questioni e si deve solo sperare di reperire i corrispettivi ottenuti o di attivare la confisca per equivalente nel caso in cui i ricavi
debbano presumersi occultati.
Ed invero, si ripete, la confisca per equivalente può essere attivata non solo
se il proposto disperde, distrae, occulta o svaluta i beni al fine di eludere l’esecuzione dei provvedimenti di sequestro o di confisca su di essi, ma anche quando i beni non possano essere confiscati in quanto trasferiti legittimamente, prima dell’esecuzione del sequestro, a terzi in buona fede (art. 25 del Codice).
Diversa questione, che sarà più avanti accennata in questo paragrafo ed esaminata in modo più approfondito nel secondo capitolo, riguarda il subentro della gestione giudiziaria nella conduzione dei rapporti giuridico-economici, siano
essi esauriti, di durata o ad esecuzione differita, pendenti in capo alla persona o
all’impresa del proposto all’atto del sequestro e da cui, quindi, siano nate o nascano posizioni creditorie reciproche o posizioni creditorie in favore di terzi a
carico del patrimonio sequestrato.
Nell’ambito dei rapporti a formazione progressiva o ad esecuzione differita, ed
in particolare di quelli preordinati alla costituzione o alla traslazione di diritti reali
da parte del proposto a favore di terzi, un fenomeno peculiare riguarda la pendenza di contratti preliminari nell’attesa che si addivenga al contratto definitivo,
con cui il proposto cederebbe il cespite patrimoniale promesso in favore di un
altro soggetto promissario, a sua volta tenuto ad una controprestazione (o alla
corresponsione di un saldo rispetto a quanto già anticipato).
È noto che lo schema del preliminare può prestarsi ad un numero indefinito
di manovre elusive, come nel caso in cui il preliminare dia conto della corresponsione di un acconto che, in realtà, sia fittizio e messo a disposizione dallo stesso
proposto e che, in seguito all’inadempimento concordato tra le due controparti
dia titolo per lo ius retinendi o per la restituzione del doppio, a seconda di quale
sia la parte inadempiente, così consentendo di ripulire liquidità ingiustificate. Oppure, si pensi ai preliminari di vendita in cui il proposto figuri come promittente
alienante rispetto a compratori di comodo che egli abbia interesse a prospettare
come terzi in buona fede, in modo da blindarne l’acquisto.
Sul tema, foriero di annosi problemi, il Codice è intervenuto drasticamente
ma in un ambito troppo limitato, stabilendo che i contratti preliminari aventi ad
oggetto la promessa di cessione ovvero di costituzione di diritti reali di godimento su beni sottoposti a sequestro di prevenzione diventeranno inefficaci dalla data del sequestro e che saranno risolti di diritto in caso di confisca (con can10
cellazione della relativa eventuale trascrizione ); tale soluzione è stata per lo più
10
G. NICASTRO, La confisca nella legislazione patrimoniale antimafia, Incontro di studio CSM,
Roma, 2007.
Premessa
13
adottata per porre un freno all’escamotage piuttosto diffusa di stipulare preliminari sui beni passibili di sequestro, finalizzati ad inibirne in parte l’efficacia, oppure a favorire controparti di comodo, e comunque ad instillare dubbi nel giudicante circa l’opportunità di confiscare il bene oggetto della promessa.
Si consiglia, ciononostante, di conservare l’approccio utilitaristico tradizionale e, nel caso in cui il proposto figuri come promittente venditore rispetto a terzi
effettivamente in buona fede, di sfruttare a vantaggio di chi spetta il preliminare,
magari rinegoziando alcune clausole, in modo da addivenirsi alla stipula di un
definitivo conveniente per la procedura (es. in relazione a beni che non possano
essere utilmente destinati, oppure in ordine a necessità di liquidità per finanziare la valorizzazione di altri beni socialmente più utili).
Nulla si è detto, invece, per il caso in cui il proposto figuri come soggetto
promittente acquirente di un bene che determini un suo sostanziale arricchimento
o investimento, come nel caso di promessa di acquistare un immobile in costruzione in una zona interessata da prossime ristrutturazioni urbanistiche, tali da
far prevedere una notevole rivalutazione del bene.
In tale caso, una interpretazione letterale della norma che impone lo scioglimento dei preliminari, se da un lato manterrebbe l’integrità della parte liquida di
patrimonio corrispondente al prezzo dovuto dal proposto alla controparte promittente venditrice, dall’altro determinerebbe una perdita di chance di valorizzazione del compendio sequestrato (ciò soprattutto in epoche in cui i tassi di
remunerazione dei depositi di liquidità non siano particolarmente allettanti).
Il Codice ha invece affrontato altri problemi stabilendo che se il preliminare di
vendita è stato trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., l’acquirente terzo, incorso
nella declaratoria di inefficacia del preliminare stipulato, avrà diritto a ripetere la
somma eventualmente corrisposta, senza che gli sia dovuto alcun risarcimento o
11
indennizzo e godrà del privilegio di cui all’art. 2775-bis c.c.; ciò, tuttavia, a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati
anteriormente alla data del sequestro. Ne deriva un forte disincentivo alla manovra elusiva, non rara nella pratica come sopra accennato, basata su tale istituto civilistico e viene data possibilità concreta di controllare che la caparra già data non
provenga in realtà dal proposto stesso che, altrimenti, potrebbe così incamerare
12
denaro sottraendolo all’ambito di confiscabilità (art. 56 del Codice) .
13
D’altra parte il Codice ha preso atto della diffusa tesi dell’inapplicabilità
11
M.E. MALAGNINO-L. VENDITTO E ALTRI, Il codice antimafia, commento al dlgs. 6 settembre
2011, n. 159, Giappichelli, Torino, 2011, p. 160. Malagnino evidenzia che le controparti nei preliminari sciolti potranno insinuare l’eventuale credito restitutorio nel nuovo procedimento di verifica, che quindi ne valuterà anche lo stato di buona fede.
12
G. CAPECCHI, Misure di prevenzione patrimoniali, cit.
13
A. AIELLO, L’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale e le questioni civilistiche:
quadro di riferimento generale, Incontro di studio CSM, Roma, 2010. A. CAIRO, Le misure di prevenzione patrimoniale. Amministrazione giudiziaria, fallimento, tutela dei terzi, Satura, Napoli, 2007,
p. 131.
14
Giancarlo Capecchi
dello strumento dell’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c. e ciò sembrerebbe valere anche per l’amministrazione giudiziaria, cui parrebbe inibita la facoltà di rimediare al rifiuto ingiustificato della
controparte di addivenire ad un contratto definitivo che rivesta notevole interesse per la procedura (si pensi a quello inerente un nuovo macchinario indispensabile per la più efficiente conduzione di una certa attività produttiva).
I diritti di godimento dei terzi (si badi, quelli già costituiti e non quelli mero oggetto di promessa) gravanti sui beni sequestrati, tendenzialmente sopravvivono in corso di procedimento se supportati da prove di una genesi avvenuta in data certa anteriore al sequestro; certamente ciò vale per la locazione (e
analogamente dovrebbe opinarsi per l’affitto di beni produttivi ed aziende), mentre per il comodato sono espressi dubbi. Con il subentro del Codice è verosimile che anche tali rapporti giuridici debbano essere sorretti da una sostanziale buona fede, da parte dell’avente diritto di godimento, per evidenti ragioni
di equità sociale connessi, ad esempio, al bene casa o all’accesso ai mezzi di
produzione. D’altra parte, come ammonisce la Suprema Corte nella seguente
massima, bisogna essere vigili sull’effettivo assetto di interessi retrostante ad
un contratto costitutivo di un rapporto di detenzione qualificata sul bene altrui.
«La legge 13 settembre 1982, n. 646, nell’apportare notevoli modificazioni ed integrazioni alla legge
31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), ha posto particolare attenzione alle misure di prevenzione patrimoniali, in quanto il legislatore ha ritenuto che l’accumulo della ricchezza costituisca lo
scopo dell’attività illecita dell’indiziato di appartenere ad una associazione di tipo mafioso ed al tempo
stesso lo strumento per svolgere ed incrementare efficacemente detta attività. Pertanto sul piano sostanziale deve essere provato, normalmente mediante indizi, che l’indiziato mafioso abbia effettivamente la disponibilità, diretta o indiretta, del bene, intesa tale disponibilità come manifestazione dell’appartenenza “uti dominus” del bene, con esclusione della detenzione temporanea in base ad un
rapporto obbligatorio, quale ad esempio la locazione, sempre che tale rapporto non dissimuli la reale
appartenenza del bene allo indiziato» (Cass. pen., Sez. I, 30 gennaio 1989, n. 204 Cc. [dep. 15 febbraio 1989], in Italgiure, Rv. 180543).
Peraltro, anche per tali rapporti è netta la presa di posizione dell’art. 52 del
Codice, che stabilisce che la confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto un diritto personale di godimento, nonché
l’estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi, ai cui titolari spetta in
prededuzione un equo indennizzo (calcolato con modalità stabilite di concerto
dai Ministeri dell’Economia e della Giustizia), commisurato alla durata residua
del contratto o alla durata del diritto reale (se il diritto reale si estingue con la
morte del titolare, la durata residua del diritto è, peraltro, calcolata alla stregua
della durata media della vita determinata sulla base di parametri statistici). In tal
modo, si ribadisce l’interesse a liberare quanto prima e senza ulteriori sforzi (es.
lunghi procedimenti civili finalizzati al rilascio di un immobile o di un’azienda)
il bene, in modo da assicurarne una pronta destinazione.
D’altra parte, tuttavia, non si tiene conto del fatto che un inquilino o un affittuario di azienda (che sono gli unici a godere, per lo meno, di un diritto di pre-
Premessa
15
14
lazione ex art. 48 del Codice nell’acquisto in fase di destinazione, qualora essa
venga attuata nella forma subordinata della vendita), non risultati connessi a profili di pericolosità del proposto e dimostratisi comunque ampiamente affidabili
dal punto di vista del rispetto degli impegni e della legalità, difficilmente accetterebbero il rischio di mantenere o effettuare investimenti di valorizzazione del bene, loro concesso dal proposto o dall’amministrazione giudiziaria stessa mediante
novazione o nuovo contratto, qualora non vedano chances sufficienti di mantenerne la gestione anche dopo la confisca definitiva.
In merito, la seguente giurisprudenza amministrativa sul c.d. diritto di insistenza dei concessionari di beni pubblici può dare un’idea di quali potrebbero
essere i profili da affrontare e rivedere nell’ambito di una efficiente allocazione
delle risorse inerenti ai beni da confiscare e destinare a utilità sociale.
«In tema di concessioni contratto il cosiddetto diritto di insistenza, cioè l’interesse del concessionario,
qualificato e tutelato dall’ordinamento, ad essere preferito ad altri aspiranti alla concessione si configura non come pretesa incondizionatamente tutelata, bensì come un limite alla discrezionalità della
Amministrazione che, nello scegliere il concessionario, deve appunto tenere conto della posizione di
colui che già si trovava in detta posizione e che quindi potrebbe risentire un danno dalla cessazione
dell’attività» (Cons. Stato, Sez. IV, 1° ottobre 1993, n. 00817).
«I proprietari di un’area, che sono estranei al rapporto concessorio inerente all’utilizzazione della stessa per un servizio pubblico ed al quale è legato il cosiddetto “diritto di insistenza”, non sono legittimati
ad impugnare il diniego di rinnovo dell’atto concessorio intestato ad altro soggetto» (Cons. Stato, Sez.
15
IV, 10 maggio 1984, n. 00335) .
Ebbene, i tempi sembrano maturi affinché i giudici di prevenzione e l’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati (d’ora in poi ANBSC) durante
il procedimento di secondo grado, predispongano situazioni gestorie tali da consentire l’accesso al diritto di insistenza in capo a privati affidabili (magari tratti
14
Art. 48. (Destinazione dei beni e delle somme)
«(omissis)
8. I beni aziendali sono mantenuti al patrimonio dello Stato e destinati, con provvedimento
dell’Agenzia che ne disciplina le modalità operative:
a) all’affitto, quando vi siano fondate prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività produttiva, a titolo oneroso, a società e ad imprese pubbliche o private, ovvero a titolo gratuito, senza
oneri a carico dello Stato, a cooperative di lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata. Nella scelta
dell’affittuario sono privilegiate le soluzioni che garantiscono il mantenimento dei livelli occupazionali. I beni non possono essere destinati all’affitto alle cooperative di lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata se taluno dei relativi soci è parente, coniuge, affine o convivente con il destinatario
della confisca, ovvero nel caso in cui nei suoi confronti sia stato adottato taluno dei provvedimenti
indicati nell’articolo 15, commi 1 e 2, della legge 19 marzo 1990, n. 55;
b) alla vendita, per un corrispettivo non inferiore a quello determinato dalla stima eseguita dall’Agenzia, a soggetti che ne abbiano fatto richiesta, qualora vi sia una maggiore utilità per l’interesse
pubblico o qualora la vendita medesima sia finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo
mafioso. Nel caso di vendita disposta alla scadenza del contratto di affitto dei beni, l’affittuario può
esercitare il diritto di prelazione entro trenta giorni dalla comunicazione della vendita del bene da
parte dell’Agenzia».
15
V. anche Cass. pen. n. 6321/2000 e n. 6277/2004.
16
Giancarlo Capecchi
dalle c.d. white lists allestite dalle Prefetture) affinché i Comuni destinatari dei beni, a loro volta, li tengano in debita considerazione nel gestire il procedimento amministrativo di affidamento del bene. Si pensi ai Comuni sull’orlo dello scioglimento per infiltrazioni mafiose: in tali casi appare indispensabile prevenire affidamenti in favore di privati che siano espressione della mafia locale e della politica da
essa condizionata.
16
In tema, sotto un altro aspetto, già S. Saguto commentando la legge delega
del 2010, aveva denunciato alcune aporie normative affermando che «non appare ragionevole la previsione dell’intervento nel procedimento di prevenzione dei
titolari di diritti personali di godimento, posto che si tratta di diritti non incompatibili (come si verifica per la piena proprietà) né comunque incidenti (come nel caso dei diritti reali di godimento ed anche di garanzia) sulla pretesa ablatoria dello
Stato. La chiamata degli stessi d’ufficio risulta incomprensibile avuto riguardo alla
possibilità prevista di una successione dell’amministratore giudiziario (previa autorizzazione del giudice delegato) nei contratti di locazione o di comodato in cui trovano fonte tali diritti (l’intervento andrebbe limitato al caso della risoluzione di
tali contratti)».
Al di là di tali riflessioni problematiche, tornando ad aspetti di più banale
prassi operativa, è chiaro che l’amministrazione giudiziaria deciderà di coltivare
(o interrompere) tali rapporti, così come tutti quelli relativi ad altre tipologie di
obbligazioni che abbiano coinvolto il proposto fino al sequestro, se e finché essi
convengano in termini di utilità economica e sociale. E ciò vale sia per i rapporti
personali del proposto (si pensi ad un contratto di locazione relativo ad un bilocale di puro investimento o ad un leasing relativo ad un’autovettura di lusso che
possa interessare alle ff.oo.) che per quelli imprenditoriali, assoggettati alla peculiare disciplina della prosecuzione, che saranno scandagliati nel secondo capitolo.
Naturalmente in alcuni casi contraddizioni concrete potrebbero comportare
scelte delicate, ad esempio qualora nell’alloggio locato in sequestro risiedano inquilini versanti in difficoltà economica e magari con prole minorenne (quindi
non in grado di corrispondere canoni adeguati o di pagare le spese condominiali), caso in cui il legislatore dovrebbe suggerire rimedi atti a superare in modo
indolore lo stallo che la gestione giudiziaria e la futura destinazione potrebbe
subire.
Analogamente può ragionarsi, in questo periodo di crisi economica, in caso
di immobili ad uso commerciale concessi in affitto, a titolo personale, dal proposto ad imprese le quali, dopo un periodo florido, versino in difficoltà; trattasi,
invero, di un caso ben diverso dal sequestro di azienda facente capo al proposto,
di cui si debba stabilire la proseguibilità o meno, ma che comporta la necessità
di effettuare analoghe previsioni di solvibilità e, al tempo stesso, di risolvere il
16
S. SAGUTO, Amministrazione dei beni confiscati: problematiche di gestione e rapporti con
l’Agenzia, Incontro di studio CSM, Roma, 2010.
Premessa
17
dilemma circa l’opportunità o meno di interrompere il rapporto con imprese
oneste in crisi (che si auspica temporanea), rischiando di deluderne le aspettative (in merito si approfondirà la tematica nel quarto capitolo).
Analoghe logiche e problematiche possono evidenziarsi per ogni altra tipologia di rapporti giuridici ad effetti obbligatori.
In particolare, qualora non si ritenga utile o conveniente proseguire tali rapporti da parte dell’amministrazione giudiziaria (si pensi alle forniture o agli appalti di manutenzione per conservare al meglio immobili di pregio dotati di impianti di domotica, di piscine e giardini, oppure si pensi ad immobili commercialmente validi ancora in costruzione su commissione del proposto), magari adottando per analogia le forme di adempimento prudenziale espressamente previste
per i crediti aziendali, essi potranno essere presi in considerazione solo in previsione della tutela c.d. statica dei crediti residui scaturiti nel corso del rapporto interrotto, qualora il terzo creditore ne chieda l’insinuazione nel sub-procedimento di verifica che sarà illustrato nel paragrafo successivo.
In relazione al tema dei rapporti giuridici pendenti, in capo al proposto con
terzi, un aspetto peculiare riguarda la pendenza (all’atto del sequestro o dell’imposizione dell’amministrazione giudiziaria di enti) di processi civili, da cui derivi il
rischio che si formino giudicati civili contrastanti con le prospettive della confisca
prevenzionale. Talora le controparti stesse del processo civile potrebbero concordare di addivenire ad un certo giudicato proprio per perseguire scopi fraudolenti,
magari proprio per eludere la confisca, cui potranno opporre la formazione di un
titolo di legittimazione, comunque ottenuto in sede giudiziaria. Tale sistema, peraltro, segue l’antico copione operativo ampiamente sperimentato a scopi traslativi indiretti fin dai tempi dell’ingegnosa in iure cessio romanistica.
Si pensi al caso di liti pendenti che coinvolgano il destino di beni confiscabili; orbene, proprio in prospettiva di tale rischio, opportuna e coraggiosa norma
(art. 55 del Codice) da un lato ha stabilito la sospensione dell’efficacia di ogni
procedimento esecutivo (ad eccezione di quelli promossi da creditori pubblici a
carico di beni privati non aziendali), invitando tutti i pretendenti ad insinuare le
proprie pretese in seno al procedimento di verifica dei crediti (e quindi a sottostare anche al giudizio di buona fede); dall’altro, ha imposto che nel caso di sequestro di beni oggetto di domande giudiziali precedentemente trascritte, aventi
ad oggetto il diritto di proprietà ovvero diritti reali o personali di godimento sul
bene, il terzo che sia parte di quel giudizio debba essere chiamato ad intervenire
nel procedimento di prevenzione.
Ne consegue la deduzione che (per esclusione) tutti gli altri attori in processi
civili finalizzati ad attuare diritti di diversa natura (tutelabili, quindi, solo in seno al sub-procedimento di verifica dei crediti) non andranno citati, pur potendo
comparire e depositare istanze per tentare di promuovere l’adempimento anti17
cipato, anche parziale, onde evitare gravi danni imminenti .
17
G. CAPECCHI, Misure di prevenzione patrimoniali, cit.
18
Giancarlo Capecchi
Appare interessante un confronto con il passato, privo di riferimenti di diritto
positivo e scandito da sentenze come la seguente, quando è stato affermato che:
«Il provvedimento di confisca pronunciato ai sensi dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 nei confronti di un indiziato di appartenenza a consorteria mafiosa, camorristica o similare, non può pregiudicare
i diritti reali di garanzia costituiti sui beni oggetto del provvedimento ablativo, in epoca anteriore
all’instaurazione del procedimento di prevenzione, in favore di terzi estranei ai fatti che abbiano dato
luogo al procedimento medesimo, senza che possa farsi distinzione in punto di competenza del giudice adito, tra giudice penale e giudice civile; e ciò perche tale diritto reale limitato si estingue per le sole
cause indicate dall’art. 2878 cod. civ. La medesima tutela davanti al giudice civile, a maggiore ragione,
va riconosciuta all’aggiudicatario-acquirente di un bene in sede di procedura esecutiva forzata immobiliare, la cui posizione, altrimenti sarebbe, senza fondato motivo, irrimediabilmente compromessa»
18
(Cass. civ., Sez. III, 16 gennaio 2007, n. 845, in Italgiure, Rv. 594197) .
Si ribadisce che, secondo la logica del Codice, anche in simili casi il terzo, se
vorrà vedersi riconosciuta la prevalenza del giudicato anteriore civile, dovrà comunque provare (o comunque far risultare) di aver agito in buona fede, altrimenti ne deriverebbe una facile scappatoia per manovre elusive basate sull’esperimento di azioni civili fittizie e veloci, concordate al fine di bloccare gli effetti
della confisca (si pensi al frequente caso di esponenti di gruppi criminali che occupino terreni di terzi conniventi o di prestanome per edificarvi abusivamente o,
comunque, in apparente assenza di un consenso del titolare, il quale a sua volta
19
ben potrebbe prevalere in sede civile contro gli occupanti abusivi) .
Quanto ai comportamenti imposti dalla legge ed a quelli raccomandabili in
concreto a chi gestisca la procedura prevenzionale, in ordine alle diverse tipologie di rapporti giuridici pendenti, si rinvia al secondo capitolo.
6. I terzi creditori del proposto o della sua impresa
I medesimi interlocutori socio-economici del proposto che sopra sono stati
analizzati dal punto di vista dinamico, ovvero in ordine all’opportunità di non
interrompere la vitalità di un contesto di scambio economico, possono essere altresì considerati dal punto di vista statico, ovvero in ordine alla opportunità – sempre in termini di coltivazione del consenso sociale e di rispetto degli impegni internazionali – di fornire tutela ai singoli crediti, risalenti a rapporti esauriti o ancora attuali, scaturiti verso il proposto.
L’analisi delle interazioni socio-economiche concrete che hanno dato vita a tali
rapporti, a parere di chi scrive, dovrebbe essere condotta in ragione del rispettivo
grado di meritevolezza civilistica (per es. ben diverso è un credito per l’organizzazione di un evento sportivo, rispetto a quello per l’organizzazione di una festa di
18
19
V. anche Cass. civ. n. 16227/2003, in Italgiure, Rv. 567758.
G. CAPECCHI, Le misure di prevenzione patrimoniale, cit., p. 30 ss. e 69 ss.
Premessa
19
addio al celibato, oppure quello per un intervento di trapianto di midollo rispetto a
quello per un lifting), nonché del livello di connessa utilità e convenienza per la
procedura di gestione giudiziaria (per es. ben differente è un credito per l’installazione di pannelli solari presso uno stabile, rispetto a quello per la fornitura di arredi costosi e pacchiani).
In tal senso, parametri di riferimento preziosi provengono dalla giurisprudenza civilistica sui contratti atipici, rappresentata dalle seguenti massime esemplificative.
«Il giudice, nel procedere all’identificazione del rapporto contrattuale, alla sua denominazione ed
all’individuazione della disciplina che lo regola, deve procedere alla valutazione “in concreto” della
causa, quale elemento essenziale del negozio, tenendo presente che essa si prospetta come strumento
di accertamento, per l’interprete, della generale conformità a legge dell’attività negoziale posta effettivamente in essere, della quale va accertata la conformità ai parametri normativi dell’art. 1343 cod. civ.
(causa illecita) e 1322, secondo comma, cod. civ. (meritevolezza di tutela degli interessi dei soggetti
contraenti secondo l’ordinamento giuridico). (Nella specie, una società aveva, contemporaneamente e
presso la stessa banca, depositato delle somme di danaro su un libretto al portatore ed aperto un conto corrente. Sopravvenuto il concordato preventivo della società, la banca aveva proceduto alla compensazione tra l’attivo del deposito e lo scoperto del conto corrente. Il giudice di merito aveva dichiarato
legittima la compensazione, qualificando il rapporto come un negozio fiduciario, comprendente la pattuizione della compensazione stessa. La S.C., nell’enunciare il massimato principio di diritto, ha cassato la sentenza impugnata per avere omesso di accertare la conformità di un siffatto contratto ai parametri di liceità e meritevolezza previsti dalle citate disposizioni normative)» (Cass. civ., Sez. I, 19
febbraio 2000, n. 1898, in Italgiure, Rv. 534659).
«L’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di
garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento –, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736 e dà luogo
ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio
della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall’art. 1343
cod. civ. Pertanto, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 cod. civ. il
giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di
pagamento di cui all’art. 1988 cod. civ.» (Cass. civ., Sez. II, 19 aprile 1995, n. 4368, in Italgiure, Rv.
491878).
Venendo al diritto positivo, qui ci si limita ad accennare ciò che sarà ampiamente approfondito nel terzo capitolo, ovvero la sopravvenienza – raccomandata
da più movimenti culturali culminati in importanti progetti di riforma capeggiati
20
anche dall’attivissimo prof. G. Fiandaca – di un procedimento incidentale specificamente finalizzato alla ricerca, insinuazione e verifica dei crediti dei terzi nei
confronti del proposto.
Tuttavia, anche in ossequio all’esigenza di non scoraggiare la concessione di
credito a finanziatori giustamente interessati ad ampie garanzie di solvibilità, il
legislatore si è mostrato ancora succube di logiche di tutela poziore in favore di
categorie di creditori contrattualmente e commercialmente più forti (es. banche
e finanziarie, ma anche usurai, che immancabilmente trovano il modo di ottene20
G. FIANDACA, Prime proposte correttive al Codice antimafia, Palermo, 2012.
20
Giancarlo Capecchi
re ipoteche volontarie o pegni), pur non dimenticando ogni altra categoria cui il
diritto civile riconosce legittimi privilegi (quindi anche gli enti pubblici e i lavoratori).
Orbene, tale impostazione di diritto positivo suggerisce, quindi, tuttora di
differenziare la posizione delle seguenti categorie di creditori.
A) Creditori muniti di garanzia reale/speciale
Già nell’aspro dibattito precedente alla recente codificazione si era man mano affermata la tesi secondo cui la sopravvivenza dei diritti di garanzia sui beni
sequestrati era possibile solo qualora ne fosse dimostrata la iscrizione, la trascrizione, o comunque la prova della genesi del credito garantito, in data certa anteriore alla proposta o quantomeno al sequestro e, in aggiunta a tale dato formale,
la giurisprudenza maggioritaria pretendeva altresì la dimostrazione della buona
fede del terzo garantito, con onere della prova a suo carico da far valere nel procedimento (netta deroga rispetto al diritto civile che presume la buona fede), a
seguito di citazione con decreto motivato (facoltativa ed affidata alla sensibilità
ed alle strategie di organizzazione processuale dei singoli Tribunali), o al limite
mediante incidente di esecuzione promosso dal terzo stesso (strumento tuttora
prezioso, inteso a rimediare possibili ingiustizie concrete a danno di soggetti
estranei ai procedimenti).
Su tale base, la più recente giurisprudenza ante-codificazione, con degna por21
tavoce in P. Piraccini (a partire dalla sentenza Cass. pen., Sez. I, 29 aprile
2010, n. 29378), evidenziava che i diritti di garanzia sui beni del proposto avevano la natura sostanziale di diritti scaturiti da atti dispositivi, potenzialmente
idonei a disperdere l’oggetto della prevenzione patrimoniale (in caso di inadempimento del debitore), e stabiliva che, sebbene nessuna confisca potesse determinare l’automatica estinzione dei diritti reali di garanzia (in quanto il provvedimento traslativo della proprietà non avrebbe potuto aver ad oggetto un diritto
diverso e più ampio di quello che faceva capo al precedente titolare), tuttavia
l’estinzione comunque avrebbe potuto aver luogo qualora il terzo non avesse
provato la buona fede e l’affidamento incolpevole: rivoluzionaria breccia si apriva, quindi, in ordine alla tradizionale renitenza a scandagliare l’atteggiamento
dei finanziatori professionali e, in primo luogo, delle banche titolari di ipoteche
e di altre garanzie, soprattutto in ordine a crediti concessi con modalità istruttorie illecite, incaute o comunque border line. Peraltro, con immensa carica innovativa, la nozione di colpevolezza/malafede era interpretata in modo da comprendere sia il dolo che la colpa (imprudenza, negligenza, imperizia, violazione
di regole operative o professionali, ecc.).
21
P. PIRACCINI, Gli standard probatori per l’applicazione del sequestro e della confisca tra modelli
di prevenzione e di repressione coordinamento tra procedimento di prevenzione e processo penale, Incontro di studio CSM, Roma, 2011.
Premessa
21
B) Creditori chirografari
Le precitate riflessioni hanno costituito il fondamento delle norme introdotte
dal Codice antimafia sul punto ed hanno offerto l’occasione per estendere il vaglio
sulla cronologia della vicenda creditoria e sulla buona fede del pretendente nei
confronti di tutti i crediti del proposto (e dei suoi presunti prestanome), con apprezzabile superamento, pur non totale, delle pregresse disparità di trattamento;
ed invero, il codice ha attribuito precedenza satisfattoria a favore dei crediti supportati da privilegi e prelazioni, sostanzialmente – come sopra evidenziato – al fine di non inibire la propensione a concedere preziosi finanziamenti.
Già illuminata dottrina si era giustamente interrogata circa l’opportunità o
meno di sacrificare a priori i creditori chirografari ed era giunta alla conclusione
secondo cui, pur mancando una tutela particolarmente qualificata come nel caso
di garanzie reali, tuttavia la certezza dell’anteriorità del credito e l’accertamento
della buona fede non consentivano di relegare tali creditori in una posizione di
secondo piano; ciò anche perché il procedimento di prevenzione non mira a garantire la par condicio creditorum – a differenza della procedura fallimentare – ma
al contrario deve preoccuparsi di non operare ingiustificate disparità di trattamento, come imposto anche, del resto, dalle convenzioni internazionali in materia di
confisca, che raccomandano una tutela per i terzi anche qualora il sequestro e la
confisca si interpretino come factum principis (cfr. Convenzione di Strasburgo 8
novembre 1990 ratificata con legge n. 328/1993 e Convenzione di Vienna 20 dicembre 1988 ratificata con legge n. 328/1990, che in effetti non distinguono il
tipo di crediti da tutelare; cfr. anche i recentissimi disegni di direttiva comunita22
ria in materia) .
Già allora si ragionava su quanto fosse prezioso non congelare a priori i rapporti obbligatori chirografari, rischiandosi altrimenti di fallire negli obiettivi di
conservazione e valorizzazione del patrimonio sequestrato o di impedire all’Amministratore giudiziario di farsi un’idea concreta circa la natura reale o fittizia di
alcuni rapporti e, quindi, circa la buona o malafede dei terzi creditori.
Ed invero, in assenza della prova (anche presuntiva) di buona fede, la dimostrazione della natura fiduciaria (e sostanzialmente favoreggiatrice) degli accordi
produttivi di obbligazioni, stipulati dai terzi con il proposto, comporterà che la confisca ne travolgerà completamente i conseguenti crediti, rendendoli inopponibili
alla procedura, ma non estinguendoli; infatti, i creditori comunque potranno
soddisfarsi su tutti gli altri cespiti patrimoniali o redditi del proposto che non
siano stati sequestrati, non estinguendosi nemmeno la garanzia patrimoniale generica su di essi ex art. 2740 c.c.
L’approdo finale del Codice, all’art. 52, ha persino superato i preziosi suggerimenti dottrinali e giurisprudenziali ed ha stabilito che la confisca non pregiudica i
diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al seque22
G. CAPECCHI, Le misure di prevenzione patrimoniale, cit., p. 91 ss.; A. CAIRO, Le misure di
prevenzione patrimoniale, cit., p. 101 ss.
22
Giancarlo Capecchi
stro, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, ove
ricorrano, tuttavia, le seguenti meditate condizioni:
a) che l’escussione del restante patrimonio del proposto sia risultata insufficiente al soddisfacimento del credito, salvo per i crediti assistiti da cause legittime
di prelazione su beni sequestrati. Sarà interessante vedere, nella pratica, in che
forme sarà richiesta la prova di tale adempimento preliminare, ovvero se sia sufficiente o meno produrre documentazione di intimazione stragiudiziale, atti preliminari o avanzati della causa civile, ecc.;
b) che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in
buona fede il nesso di strumentalità (quindi è in tali termini che viene impostata
la codificata nozione della buona fede). In seguito la nozione di buona fede sarà
opportunamente ripresa ed approfondita, essendo una chiave di volta fondamentale della materia sotto plurimi aspetti; giova iniziare a chiarire che nel sistema
prevenzionale la buona fede, che tendenzialmente non si presume, come dimostrato dall’onere allegatorio o probatorio a carico del terzo, pare atteggiarsi in modo
nettamente diverso rispetto alla presunzione civilistica di bona fides, da cui discende anche il corollario secondo cui mala fides (vel dolus) superveniens non nocet.
Emerge chiaramente che in ambito prevenzionale, invece, anche un’adesione maliziosa o colpevole (per favorire il proposto oppure semplicemente il proprio tornaconto) successiva alle macchinazioni di locupletazione del proposto possa determinare la soccombenza del terzo creditore (si pensi, ad esempio, alla sopravvenuta conoscenza dei profili di pericolosità della connection tra proposto, bene
in sequestro e network criminale di riferimento, in occasione del rinnovo di rapporti contrattuali da cui scaturiscano crediti in capo al terzo);
c) che per ogni promessa di pagamento, ricognizione di debito e titolo di
credito sia provato il rapporto fondamentale; per i titoli di credito inoltre va
provata anche la causale che ne legittima il possesso. Trattasi di un’opportuna
imposizione di oneri di trasparenza sui rapporti effettivi retrostanti alle operazioni astratte; ed appare eclatante l’innovazione se si pensa che tale onere prevarrà anche nei casi in cui la legge stessa consenta, a fini di più rapida circolazione, l’omissione di specificazioni causali delle operazioni giuridiche e commerciali.
Tuttavia, come sarà più approfonditamente spiegato nel secondo capitolo,
deve ritenersi che il legislatore non si spinga a richiedere che il terzo, ultimo
prenditore o giratario del titolo, provi addirittura il rapporto fondamentale sottostante all’origine dell’emissione di cambiali ed assegni, sovente facenti capo a
vicende usurarie, dovendosi ritenere sufficiente da parte sua la spiegazione precisa e documentata della causale sottostante a quel solo frammento storico della
circolazione del titolo che abbia radicato il proprio interesse a recuperare o a far
circolare ulteriormente il credito in esso incorporato. Peraltro, proprio tali spiegazioni potranno essere oggetto di vaglio anche sulla buona fede, ovvero, per
esempio, sul tasso di prudenza dimostrato nell’operazione commerciale in segui-
Premessa
23
to alla quale l’interessato è venuto in possesso del titolo in esame (si pensi all’accettazione di un assegno emesso da terzi come surrogato di un pagamento in
denaro, oppure al diverso caso in cui si riceva il medesimo titolo per poi “monetizzarlo” nell’interesse di un usuraio).
Riepilogando, quindi, si richiedono tali attributi per tutti i crediti: anteriorità;
preventiva escussione; non strumentalità (perlomeno putativa); non astrattezza
del titolo genetico o rappresentativo del credito.
7. Gli eredi e i successori a titolo particolare
Infine, un’ulteriore sfaccettatura della nozione di terzo può individuarsi anche in ordine alle vicende successorie, che il diritto positivo ha negli ultimi anni
preso finalmente in considerazione per scopi di giustizia sostanziale e di riequilibrio sociale, consentendo la prosecuzione o la proposizione dell’azione di prevenzione contro gli eredi e i legatari del proposto o proponibile defunto.
Ciò determina che tali soggetti sono da un lato equiparati al proposto stesso
(quindi ad una parte vera e propria del procedimento), ma, dall’altro, non può
ignorarsi il dato che trattasi comunque di soggetti diversi da colui che si è reso
protagonista delle iniziative lucrative illecite o delle intestazioni fittizie intraparentali, e che quindi può avere non poche difficoltà nella ricostruzione fedele e
documentata delle vicende patrimoniali di cui abbia beneficiato mortis causa,
fattore che rende tali soggetti in parte assimilabili a terzi interessati particolari.
Giocoforza, da tale posizione soggettiva peculiare deriva che:
«In tema di misure di prevenzione patrimoniale, l’impugnazione avverso il provvedimento ablativo presentata dall’erede del proposto è legittimamente coltivabile, dopo la morte, anche dai suoi eredi ritualmente costituitisi nel relativo giudizio» (Cass. pen., Sez. V, 28 settembre 2011, n. 3219 Cc. [dep.
25 gennaio 2012], in Italgiure, Rv. 252986).
Anzitutto, ci si deve chiedere cosa si intenda per successori nella logica sostanzialista della prevenzione patrimoniale e, quindi, se vadano compresi in tale
categoria non solo gli eredi designati e quelli legittimi, ma anche quelli c.d. legittimari che, in conseguenza della propria pretermissione dalla successione o
dell’indebita riduzione della propria quota legittima agiscano in c.d. riduzione, o
con altre azioni civili, al fine specifico di ottenere una più attendibile ricomposizione della c.d. riserva ad essi spettante; ed alcune di tali azioni possono esplicarsi,
ad esempio, anche nel denunciare la simulazione di alcuni atti di disposizione (legati o donazioni inter vivos) del de cuius che abbiano favorito indirettamente alcuni eredi oltre la quota c.d. disponibile (ed invero, secondo la giurisprudenza
civile, es. Cass. civ. n. 697/1969, il legittimario è terzo di fronte al quale è inopponibile ogni atto simulato del de cuius che lo pregiudichi).
Giova citare una massima di giurisprudenza civile che ben specifica alcune
24
Giancarlo Capecchi
nozioni pratiche sul tema, distinguendo il legittimario danneggiato da quello affatto pretermesso.
«A norma dell’art. 564 cod. civ., il legittimario che abbia la qualità di erede non può esperire l’azione di
riduzione delle donazioni e dei legati lesivi della sua quota di legittima ove non abbia accettato
l’eredità con beneficio d’inventario, non potendo tale condizione valere, invece, per il legittimario totalmente pretermesso, il quale può acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento. La pretermissione del legittimario può verificarsi anche nella
successione “ab intestato”, qualora il “de cuius” si sia spogliato in vita del suo patrimonio con atti di
donazione» (Cass. civ., Sez. II, 23 dicembre 2011, n. 28632, in Italgiure, Rv. 620793).
Il rilievo mostra un impatto concreto notevole in relazione alle situazioni successorie più varie, potendosi trovare il legittimario anche nella posizione del terzo in buona fede titolare di un credito insinuabile, oppure, qualora in mala fede,
nella posizione del terzo il cui credito sulla riserva sia sequestrabile, così come sequestrabile potrebbe essere – a prescindere dalla malafede – la quota recuperata
dopo le azioni civili, non differendo la sua posizione in tal caso da quella di ogni
altro erede.
Ed analoghi interrogativi possono porsi per i c.d. eredi in rappresentazione
(art. 467 c.c.), che per altro possono essere a loro volta discendenti di legittimari, nonché per i casi di dichiarazione di indegnità a succedere (art. 463 c.c.), di
accettazioni di eredità con beneficio di inventario (art. 501 c.c.), ecc.
Quanto al legatario (beneficiario di atto dispositivo mortis causa a titolo particolare), ci si deve chiedere se in tale caso vada applicata la disciplina della proposta contro gli eredi (come parrebbe logico nel caso in cui, dall’interpretazione
della volontà del de cuius emerga una considerazione prioritaria della mortis causa, ad esempio quando si attribuisca la quota legittima o l’abitazione al convivente more uxorio con legato) o quella relativa ai terzi acquirenti diritti dal proposto (ad esempio, in caso di legato in adempimento di un debito, oppure per gratitudine, oppure donandi causa) e, quindi, se contro tale atto dispositivo del defunto vada attivato lo strumento della declaratoria di nullità ex art. 26 del Codice, oppure quello della confisca per equivalente, nel caso in cui il recupero del
bene legato sia diventato – per la procedura prevenzionale – impossibile o inopportuno. Sarà pertanto indispensabile, in tali casi, un’indagine sulla volontà del de
cuius e sui suoi rapporti con il legatario, in particolare al fine di scorgere una indiretta disposizione in favore di un erede (es. il figlio di un boss mafioso, anch’egli
affiliato alla cosca), rispetto al quale il legatario sia un mero prestanome, oppure
in favore di un altro associato che, versando in mala fede, possa continuare l’attività delittuosa grazie a tale sostanziale finanziamento; così come, per converso,
il legato potrebbe semplicemente rivelarsi l’adempimento di un debito – giuridico, naturale o semplicemente morale – in favore di un terzo in assoluta buona
fede.
Il ragionamento effettuato per le persone fisiche ben può adattarsi anche ai
legatari che abbiano natura di persone giuridiche, salva la peculiarità che l’indagine dei rapporti di eventuale cointeressenza dell’ente beneficiato con il de cuius
Premessa
25
andrà condotta in relazione agli eventuali rapporti tra quest’ultimo ed i soci o gli
amministratori della persona giuridica in esame.
Quindi, una volta prese le dovute scelte di campo in ordine all’ambito di percussione patrimoniale a carico dei successori, va osservato che, nel caso di proposta di prevenzione intesa a confiscare il patrimonio di proposti o proponibili defunti, i meccanismi probatori e cognitivi andranno traslati in un’ottica di ricostruzione storica, condotta con modalità tali da consentire un contraddittorio sia pur
minimale con gli eredi e gli aventi causa.
Ciò significa raffrontare la pericolosità storica del defunto rispetto all’epoca
degli acquisti patrimoniali di cui hanno poi, dopo il suo decesso, beneficiato gli
eredi, che a loro volta dovranno smentire gli eventuali indizi sfavorevoli. Le prevedibili difficoltà probatorie per gli eredi riguarderanno in primo luogo i patrimoni accumulati in epoche remote, in relazioni alle quali potrebbero verificarsi
probabili dispersioni e carenze documentali sulla provenienza dei beni, nonché
difficoltà nel sopperirvi con testimonianze e tecnologie di ricostruzione retrospet23
tiva sulla storia patrimoniale del defunto e sulla formazione della sua eredità .
I dati del Codice sono scarni e si limitano (art. 18) a specificare meglio il
concetto già consolidatosi in giurisprudenza secondo cui, in caso di morte del
proposto, il procedimento semplicemente prosegue avverso i suoi eredi e aventi
24
causa ; il Codice, tuttavia, fa tesoro anche nel recepire l’eredità del c.d. Pacchetto Sicurezza che ha aperto la strada al complementare caso della morte del
soggetto proponibile prima dell’avvio del procedimento, che tuttavia dovrà essere promosso verso i beneficiari del de cuius entro il limite garantistico di 5 an25
ni dal decesso, a pena di nullità assoluta ed insanabile del procedimento .
Il futuro costituirà il banco di prova per riscontrare se prevarranno o meno le
tesi più garantiste, che anche in capo agli eredi richiedono una malafede (quantomeno la consapevolezza dell’attività delittuosa del de cuius o dell’origine illeci26
ta – anche parziale – dell’eredità) per potersi procedere a confisca , oppure le
tesi, a parere di chi scrive più conformi alle logiche di oggettivo riequilibrio so23
G. CAPECCHI, Le misure di prevenzione patrimoniale, cit., p. 137 ss.
Cfr. es. Cass. pen., Sez. II, 31 gennaio 2005, n. 19914, emessa prima del Pacchetto Sicurezza
2008, quindi ancora assoggettata al limite dell’attualità della pericolosità e, ciononostante affermante che: «La confisca prevista nell’ambito del procedimento di prevenzione nei confronti di persona indiziata di appartenere ad associazione i tipo mafioso non ha né il carattere sanzionatorio di natura penale, né quello di un provvedimento di prevenzione, ma va ricondotta nell’ambito di quel
“tertium genus” costituito da una sanzione amministrativa, equiparabile, quanto al contenuto e agli
effetti, alla misura di sicurezza prescritta dall’art. 240, comma secondo, cod. pen. Ne consegue che la
confisca dei beni rientranti nella disponibilità di soggetto proposto per l’applicazione di una misura di
prevenzione personale, una volta che siano rimasti accertati i presupposti di pericolosità qualificata
del soggetto stesso, nel senso di una sua appartenenza ad un’associazione di tipo mafioso, e di indimostrata legittima provenienza dei beni confiscati, non viene meno a seguito della morte del proposto, intervenuta prima della definitività del provvedimento di prevenzione».
25
Come affermato da Cass. pen., Sez. VI, 20 ottobre 2011, n. 484.
26
Cfr. Cass. pen., Sez. V, 28 settembre 2011, n. 3219.
24
2.
26
Giancarlo Capecchi
ciale e redistribuzione delle ricchezze illecite alla collettività, che non badano allo
stato soggettivo dell’erede per procedere a confisca. Del resto, ci si chiede perché non possa confiscarsi un grosso patrimonio accantonato da un boss mafioso,
ucciso all’apice della sua carriera, che lasci tutto al figlio minorenne o appena maggiorenne – quindi verosimilmente in buona fede – che sarà probabilmente attorniato, nella cura personale e nella gestione patrimoniale, da altri soggetti – parenti o fiduciari paterni – invischiati nelle medesime logiche criminali che hanno
portato all’uccisione del dante causa.
E, per avvisare circa difficoltà ulteriori dal punto di vista procedurale, fa nota27
re C. Vincenti che la citazione in giudizio dei successori ne presuppone una precisa individuazione, il che riporta ai problemi sopra accennati circa la varietà dei
fenomeni successori. Egli suggerisce, se del caso, la citazione impersonale nell’ultimo domicilio del defunto, entro un anno dalla morte, analogamente a quanto
previsto dall’art. 303, comma 2, c.p.c., nonché la concessione del termine a difesa
e, in caso di necessità, la nomina di un difensore di ufficio, istituti non applicabili
al terzo “prestanome”, a riprova che ci si trova di fronte ad una situazione soggettiva del tutto peculiare.
I successori, del resto, godranno dei medesimi diritti difensivi del proposto/
proponibile defunto e, in più, qualora se ne riconosca la buona fede rispetto alle
dinamiche di arricchimento del dante causa e non risultino connotati dalle sue
stesse caratteristiche di pericolosità, potrebbero essere maggiormente coinvolti
nelle scelte gestorie dell’amministratore giudiziario. Ciò risponderebbe ad una
logica costituzionalmente orientata dell’art. 35, comma 2, del Codice, che preclude le collaborazioni delle persone maggiormente legate ai proposti viventi e
che, pertanto, potrebbero condividerne le logiche illecite o esserne succubi age28
volatori .
Insomma, per esigenze di giustizia sostanziale, quando in capo al successore
possano individuarsi caratteristiche di “terzietà” ci si dovrà curare di non trattarli alla stregua dei successori più compromessi con le dinamiche locupletorie
del defunto, in omaggio all’art. 3 Cost.
8. Le vicende estintive e modificative degli enti
Un discorso a parte va riservato al caso in cui un ente, cui siano state sequestrate solo quote minoritarie o beni strumentali, oppure che presenti i requisiti
per essere sottoposto ad amministrazione giudiziaria aziendale, vada incontro ad
27
C. VINCENTI, Relazione su Aspetti civilistici nel sistema di prevenzione patrimoniale, Incontro
di studio CSM, Palermo 2011; ID., Incontro di studio su Questioni controverse in tema di procedimento di prevenzione tra civile e penale, Incontro di studio CSM, Palermo, 2011.
28
G. CAPECCHI, Misure di prevenzione patrimoniali, cit.
Premessa
27
estinzione e devoluzione ad altri enti terzi, oppure vada incontro ad altre forme
di successione sostanziale (scissione, fusione, liquidazione e rilevazione, cessione
di azienda o di ramo di azienda) in favore di altre persone giuridiche.
Orbene, in ordine al caso delle procedure concorsuali di fallimento, liquidazione coatta amministrativa ed altre equiparabili si avrà modo di effettuare qualche riflessione nel quarto capitolo, anticipandosi sin d’ora che la giurisprudenza
ha storicamente equiparato la curatela fallimentare ad un terzo interessato dalle
caratteristiche peculiari, ora riconoscendole ed ora negandole legittimazione ad
interloquire (o addirittura a collaborare) con gli organi di prevenzione.
Invece, qualora l’ente direttamente riconducibile al dominio del soggetto proposto/proponibile si sia disfatto di beni estinguendosi, svuotandosi o andando
incontro a vicende modificative, il sequestro di tali cespiti potrà essere effettuato
secondo le ordinarie logiche prevenzionali e, quindi, seguire i beni alienati a terzi in malafede con atti dispositivi nulli ex lege, oppure potrà riversarsi sul tantundem, grazie alla confiscabilità per equivalente, nel caso di dispersione definitiva del bene o di alienazione a terzi in buona fede (così ad esempio ci si potrebbe comportare anche in caso di cessione o dissipazione dell’avviamento
commerciale dell’ente estinto o di altri beni immateriali ed opere dell’ingegno).
L’ente che acquista il bene, quindi, a seconda dei casi andrà considerato terzo interposto fittizio, oppure terzo puro, connotato da mala fede (es. in caso di
patto fiduciario) o da buona fede, nell’ambito di un fenomeno sostanzialmente
assimilabile a quello successorio.
Nell’ipotesi di vicende modificativo-estintive che comportino depauperamenti
o svuotamenti del patrimonio di un ente, devono distinguersi i seguenti casi.
Se sono state già assoggettate a sequestro, e quindi a gestione giudiziaria, quote
di partecipazione maggioritarie, sarà la gestione giudiziaria stessa a scegliere se
procedere o meno a siffatti atti dispositivi sulla vita dell’ente, seguendo i meccanismi decisionali interni all’ente. Nel caso, quindi, in cui si decida di dare vita ad
una di tali vicende giuridiche, quindi, non dovrebbero conseguire problemi salvo nel caso eccezionale di amministratori giudiziari collusi col proposto, cui il
Presidente di Tribunale, sensibilizzato dall’attento giudice delegato, dovrà quanto
prima sostituire altro amministratore giudiziario che attivi prontamente i rimedi
recuperatori rispetto alle decisioni intraprese. E questo sarà uno degli ambiti
applicativi dell’art. 41, comma 6, del Codice, oltre a quello del subentro dell’amministratore in società che abbiano già preso deliberazioni modificative dannose
per la procedura.
Nel diverso caso in cui il sequestro sia già stato disposto sulle sole quote minoritarie, le eventuali vicende modificative dell’ente non trovano analoghi correttivi nel Codice antimafia e, quindi, la gestione giudiziaria dovrà impugnare le
delibere secondo le norme civilistiche ordinarie a meno che si riesca a dimostrare che dietro la quota minoritaria si celi, in realtà, il dominio assoluto o preponderante del proposto. Quindi, rebus sic stantibus, il potere di reazione pubblico
in questi casi è piuttosto blando a meno che non si valorizzi il tenore letterale
dell’art. 41, comma 6, cit. che fa riferimento alle “maggioranze necessarie per
28
Giancarlo Capecchi
legge” e, quindi, sulla base di norme de iure condendo o di clausole statutarie ad
hoc, si possano strutturare forme di decisione maggioritaria diverse e di più agevole attivazione (in particolare, ad esempio, giocando sulla nozione di maggioranza dei presenti, o su requisiti soggettivi di onorabilità, o di livello di istruzione, o di compatibilità che restringano i votanti, oppure sull’attribuzione di forme di golden share o di voto ponderato in favore della gestione giudiziaria).
In entrambi i casi, comunque, sia gli enti esterni coinvolti nelle operazioni
(es. l’ente incorporante), sia gli amministratori o i soci non collusi con il proposto, si troveranno ad assumere la posizione di terzi potenzialmente danneggiabili
dalla procedura di prevenzione.
Infine, quanto agli enti sottoponibili allo strumento dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34 del Codice, tenuto conto del fatto che tale peculiare proposta
prevenzionale è direttamente rivolta all’ente, le relative vicende estintive o modificative possono in qualche modo essere equiparate ai fenomeni successori mortis causa e, quindi, coinvolgere enti terzi, destinatari sostanziali dei beni dell’ente
aggredito e che, a loro volta, potrebbero presentare caratteristiche di condizionamento ben diverse e più sottili, o viceversa potrebbero presentarsi come terzi
in buona fede (ad esempio, dal punto di vista degli organi apicali o della quota
maggioritaria in buona fede).
Orbene, in simili casi ben potrebbe considerarsi un travaso nel sistema prevenzionale di alcune nozioni relative alla responsabilità amministrativa degli enti
in occasione delle vicende modificative ed estintive, in modo da disporre di
strumenti di indagine e di categorie di ragionamento tali da consentire di cogliere, dietro le singole operazioni di fusione, scissione, trasformazione, cessione di
ramo di azienda, outsourcing delle risorse umane, frammentazione dei rami di
azienda, ecc., se il dominium sostanziale sul risultato di esse rimanga o meno comunque in capo al proposto ed al suo network criminale di riferimento (si pensi
al caso del medesimo soggetto che da amministratore della società incorporata
diventi consulente esterno con poteri decisori di fatto nella società incorporante); ed infatti, in tali casi l’ente apparentemente esterno a quello oggetto dell’attenzione prevenzionale non potrà considerarsi terzo e potrà essere ugualmente
aggredibile con una delle due forme ablatorie (sequestro o amministrazione giu29
diziaria) a seconda del grado di controllo e condizionamento subito .
29
In dottrina pregevoli articoli sono stati scritti da V. NAPOLEONI, Le vicende Modificative
dell’ente, in AA.VV., Reati e responsabilità degli enti, a cura di G. LATTANZI, Giuffrè, Milano,
2005 e aggiornamenti successivi, passim.
2
La tutela dei terzi creditori del proposto
di Giancarlo Capecchi
SOMMARIO: 1. Tutela dei terzi creditori nel periodo precedente l’introduzione del Codice
antimafia: il dato normativo e l’esperienza giurisprudenziale. – 2. Le innovazioni apportate dal Codice antimafia nel conflitto tra esigenze di tutela dei terzi creditori e interessi
collettivi alla destinazione sociale del patrimonio confiscato. – 3. La prosecuzione dell’attività d’impresa. – 4. La sospensione delle azioni esecutive sui patrimoni statici e sui patrimoni dinamici. – 5. La sorte dei crediti erariali sui patrimoni statici e sui patrimoni dinamici. – 6. I crediti in prededuzione. – 7. I rapporti giuridici pendenti. Panoramica esemplificativa. – 8. La c.d. purgazione e la soglia massima di responsabilità dello Stato consequenziali alla confisca.
1. Tutela dei terzi creditori nel periodo precedente l’introduzione del Codice
antimafia: il dato normativo e l’esperienza giurisprudenziale
1
Come brillantemente ricostruito da A. Cairo , le opinioni circa la necessità ed
opportunità o meno di offrire una tutela ai terzi creditori in sede di prevenzione,
prima dell’emanazione del c.d. Codice antimafia, erano tripartite tra: chi prediligeva
la prevalenza della tutela dell’affidamento dei terzi, in analogia con alcune vicende
relative alle espropriazioni civili, e quindi affermava il diritto del terzo a partecipare
al procedimento di prevenzione nonché, in caso di pretermissione, ad esercitare
l’incidente di esecuzione; chi non vedeva altra alternativa per il terzo oltre a tentare
di ottenere in sede civile un accertamento di un diritto nei confronti dell’erario; chi
affermava la prevalenza assoluta degli interessi pubblici sottesi alla prevenzione, facendo anche notare che il bene confiscato entra nel patrimonio indisponibile dello
Stato, che non ammette deviazioni dalla destinazione pubblica, mostrandosi anche
scettico sulla possibilità di distinguere buona e malafede in capo ai terzi.
1
A. CAIRO, Le misure di prevenzione patrimoniale. Amministrazione giudiziaria, fallimento, tutela
dei terzi, Satura, Napoli, 2007, p. 101 ss.
168
Giancarlo Capecchi
In seno a tali dibattiti, invero, si era anche diffusa la tesi secondo cui i diritti reali o di garanzia altrui potevano essere presi in considerazione al fine di contemperarli con gli effetti della confisca solo qualora fossero iscritti, trascritti, o comunque risultanti, da data certa anteriore rispetto al sequestro, e ne fosse dimostrata la
buona fede da parte del terzo interessato a farli valere, previa sua citazione in giudizio con decreto motivato.
La nozione dell’anteriorità cronologica è stata opportunamente rafforzata con
quella della necessaria dimostrazione della buona fede, perché era evidente agli
attenti osservatori che l’anteriorità degli adempimenti sopra indicati non fosse
sempre sintomo di buona fede; anzi, in alcuni casi poteva capitare che quest’ultima si manifestasse in concreto proprio da una trascrizione successiva, richiesta
nell’ignoranza del vincolo ablatorio, oppure nella convinzione, in capo al terzo,
della estraneità del proposto a logiche illecite e, quindi, nella sua speranza di una
prossima revoca del sequestro.
Inoltre, ben poteva darsi il caso in cui il proposto ed il suo network criminale
di riferimento giungessero alla fondata intuizione circa la futura proposizione di
un procedimento di prevenzione, correndo quindi ai ripari, ricorrendo alla immediata costituzione di rapporti giuridici strumentali da opporre alla procedura
2
di prevenzione. A. Aiello ricorda, in merito, che reiterate pronunce giurisprudenziali, proprio in considerazione di tali rischi, hanno più volte ammonito gli
operatori giuridici circa la necessità di «impedire che il soggetto indiziato possa
procurarsi – mediante prestiti bancari e con il sistema di precostituirsi una schiera
di creditori di comodo muniti di titoli con data certa – denaro di provenienza lecita
sottraendo poi alla confisca i beni vincolati a garanzia di terzi creditori».
Si ribadisce quanto già accennato in premessa, all’inizio del presente scritto, ovvero che un’analisi storica del trattamento del credito in seno alla procedura di
prevenzione, pur difettando banche dati sufficientemente comprensive da fornire statistiche attendibili sulle prassi elaborate sul territorio nazionale dai diversi
tribunali dei capoluoghi italiani, può essere pressoché così sintetizzato a seconda della tipologia di pretesa opposta in concreto.
Per quanto riguarda le obbligazioni scaturite in ordine ad operazioni relative
a diritti reali, la massima attenzione era, ed è ancora, rivolta ad eventuali configurazioni fiduciarie (e non semplicemente simulatorie) degli accordi intrapresi
tra il terzo ed il proposto, caso in cui la confisca ha sempre immancabilmente
travolto completamente i diritti dei terzi, ai quali comunque residuava la possibilità di soddisfarsi su tutti gli altri cespiti patrimoniali o redditi del proposto
non sequestrati, in forza della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c.
Un caso limite, nonché un tipico schema rischioso per l’ipotizzabile componente fiduciaria dell’operazione, è costituito dai casi in cui le pretese del terzo
derivino da originari diritti reali prima alienati e poi giudizialmente recuperati
(es. in conseguenza di risoluzione del contratto o di azioni di rivendica, ecc.) e ci
2
A. AIELLO, L’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale e le questioni civilistiche: quadro di riferimento generale, Incontro di studio CSM, Roma, 2010.
La tutela dei terzi creditori del proposto
169
si chiede se, qualora la vittoria in sede civile sia anteriore al sequestro, si debba garantire la partecipazione al procedimento a tali soggetti (che se pretermessi potranno pur sempre adire la via degli incidenti di esecuzioni atipici residuali). In
proposito, si richiamano le seguenti massime scaturite da fenomeni di intersecazione tra problematiche prevenzionali e civilistiche.
«Rientra nella competenza del giudice davanti al quale pende il procedimento di prevenzione la domanda proposta dal terzo che, a seguito della declaratoria di nullità di un contratto di compravendita,
rivendichi la proprietà del bene sequestrato e chieda l’immissione nel possesso del medesimo, nonché la consegna dei canoni di locazione già percepiti dall’autorità giudiziaria» (Cass. civ., 27 maggio
2010, n. 27558 [dep. 15 luglio 2010]).
«In tema di misure di prevenzione patrimoniali, qualora sia stata ordinata la confisca di una azienda
ceduta al proposto mediante una vendita a rate con patto di riservato dominio, l’effetto ablativo resta
limitato al diritto che spettava all’acquirente. Ne consegue che il venditore può proporre incidente di esecuzione davanti al giudice penale per ottenere l’accertamento della buona fede, che esclude
l’estinzione del diritto, e quindi fare valere davanti al giudice civile le proprie pretese nei confronti dello
Stato, subentrato al proposto, per il mancato pagamento integrale del prezzo» (Cass. pen., Sez. I, 28
3
gennaio 2008, n. 8775 Cc. [dep. 27 febbraio 2008], in Italgiure, Rv. 239245) .
Prima del Codice antimafia situazioni problematiche si presentavano nel caso
di contratti preliminari sottoscritti in epoca antecedente al sequestro, soprattutto
prima che vi fosse la possibilità di trascrivere il preliminare; orbene, le Amministrazioni giudiziarie più audaci valutavano se fosse più conveniente intascare il
prezzo e stipulare il definitivo, oppure restituire la caparra o l’acconto sul prezzo. L’ambiguità dell’istituto aveva portato già la giurisprudenza ad affermare
che:
«La tutela accordata dalla legge ai terzi in buona fede, aventi un diritto reale sulla cosa oggetto di confisca in materia di prevenzione, non si estende a coloro che sono titolari di un diritto all’acquisto del
bene gravato derivante da un preliminare di vendita» (Cass. pen., Sez. VI, 13 febbraio 2006, n. 17558
Cc. [dep. 22 maggio 2006], in Italgiure, Rv. 234500).
Il problema era non solo legato ad eventuali manovre di comodo intessute
dalle controparti promittenti, ma anche all’attivabilità o meno dello strumento
4
della stipula coattiva ex art. 2932 c.c. .
E la S.C. si trincerava dietro alla solita valvola di sicurezza della proponibilità
in extremis dell’incidente di esecuzione, cui conferiva valenza di strumento di
difesa conforme agli standards minimi costituzionali, affermando che:
«È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2-ter, comma quinto, L.
31 maggio 1965, n. 575 in tema di partecipazione al procedimento relativo al sequestro di beni nella
disponibilità del soggetto proposto per l’applicazione di una misura di prevenzione – sollevata con riferi-
3
Conf. Cass. pen. n. 12317/2005, in Italgiure, Rv. 232245 e diff. Cass. pen., Sez. Un., n.
9/1994, in Italgiure, Rv. 199174, n. 9/1999, in Italgiure, Rv. 213511.
4
Sul punto, A. CAIRO, Le misure di prevenzione patrimoniale, cit. propendeva per la soluzione
negativa.
170
Giancarlo Capecchi
mento agli artt. 3 e 24 Cost. – in quanto, pur non estendendosi la tutela accordata da tale disposizione
al terzo in buona fede titolare del diritto di credito quale promissario acquirente del bene oggetto del
procedimento di prevenzione, lo stesso può comunque proporre incidente di esecuzione avverso il
provvedimento definitivo di confisca» (Cass. pen., Sez. I, 3 maggio 2007, n. 24187 Cc. [dep. 20 giu5
gno 2007], in Italgiure, Rv. 236843) .
Per quanto riguarda le obbligazioni scaturite in ordine ad operazioni relative a
diritti di godimento, tradizionalmente già si propendeva per la sopravvivenza di
tali rapporti (soprattutto per la locazione, tenuto conto del principio emptio non
tollit locatum e delle rilevantissime esigenze socio-abitative), qualora supportati da
prove di costituzione in data certa anteriore al sequestro; invece, dubbi erano
espressi per il meno tutelato comodato (formula molto ricorrente a scopi promozionali e pubblicitari, ad esempio, in ambito di ristorazione, somministrazione al
pubblico e vendite di abbigliamento in franchising, oppure di distribuzione di carburanti riconducibili ad una certa ditta petrolifera, ecc.). Ma si tenga presente che
la giurisprudenza civilistica insegna che anche il comodato è una posizione giuridica di tutto rilievo, indicativa di disponibilità della res ed a sua volta suscettibile
di dare origine al più tutelato istituto della locazione, quando afferma che:
«Chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine
pubblico, e quindi anche il comodatario, il quale ne ha la detenzione qualificata, può, salvo che non vi
ostino specifiche previsioni pattizie, concedere il bene in locazione o costituirvi altro rapporto obbligatorio, ed è, in conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione allorché il rapporto giunga a compimento» (Cass. civ., Sez. III, 31 maggio 2010, n. 13204, in Italgiure, Rv. 613292).
Per quanto riguarda le obbligazioni scaturite in ordine ad operazioni relative a
crediti muniti di garanzia speciale, nel dibattito si era già affermata la tesi che per la
sopravvivenza dei diritti di garanzia sui beni sequestrati fosse necessaria la iscrizione, la trascrizione o comunque la prova della genesi in data certa anteriore al sequestro; ma in tale caso la giurisprudenza maggioritaria già iniziava ad esigere anche la
dimostrazione della buona fede del terzo garantito, con onere della prova a suo carico da far valere nel procedimento, a seguito di citazione con decreto motivato,
come da seguente giurisprudenza penale e civile esemplificativa, che comunque non
era ritenuta obbligatoria né sanzionata, o al limite mediante incidente di esecuzione.
«Il terzo, titolare di diritto reale di garanzia sul bene oggetto di sequestro di prevenzione, non rientra
tra i soggetti che, a norma dell’art. 2-ter, comma quinto, della legge 31 maggio 1965 n. 575, devono
essere chiamati a intervenire nel procedimento per l’applicazione della confisca. (Nell’enunciare tale
principio, la Corte ha osservato che a favore della interpretazione proposta militano argomenti di ordine costituzionale, posto che l’art. 41 della Carta fondamentale, nel conflitto tra l’iniziativa economica
privata e l’utilità sociale, privilegia quest’ultima, e la circostanza che il sacrificio imposto al creditore
non riguarda l’esistenza o l’entità del credito, anche in considerazione della solvibilità del debitore, che
è lo Stato, ma solo le modalità per ottenerne il pagamento)» (Cass. pen., Sez. I, 19 febbraio 2003, n.
6
13081 Cc. [dep. 21 marzo 2003], in Italgiure, Rv. 22402) .
5
Conf. Cass. pen. n. 17558/2006, in Italgiure, Rv. 234500.
V. anche Cass. pen., Sez. Un., n. 9/1994, in Italgiure, Rv. 199174, n. 9/1999, in Italgiure, Rv.
213510.
6
La tutela dei terzi creditori del proposto
171
«Il terzo, titolare di un diritto reale di garanzia (ipoteca) sul bene poi fatto oggetto del provvedimento di
confisca di prevenzione ai sensi dell’art. 2-ter Legge n. 575 del 1965, è legittimato a proporre incidente
di esecuzione, qualora non sia stato posto in condizione di partecipare al procedimento di prevenzione
patrimoniale, al limitato fine di fare valere, in vista di ulteriori iniziative, la propria buona fede e il proprio affidamento incolpevole al momento dell’iscrizione dell’ipoteca antecedente al sequestro e quindi
alla confisca. (La Corte ha osservato che nella nozione di “appartenenza”, utilizzata dal legislatore al
citato art. 2-ter Legge n. 575 del 1965 per l’individuazione delle posizioni soggettive legittimate alla
partecipazione al provvedimento di prevenzione e, in mancanza, alla proponibilità dell’incidente di
esecuzione, sono infatti da includere, oltre al diritto dominicale, anche i diritti reali, di godimento e di
garanzia, che incidono sul bene confiscato)» (Cass. pen., Sez. I, 10 maggio 2005, n. 22157 Cc. [dep.
7
10 giugno 2005], in Italgiure, Rv. 232102) .
«In tema di misure di prevenzione, l’applicazione della confisca, che determina la successione a
titolo particolare dello Stato nella titolarità del bene, non comporta l’estinzione dei diritti reali di
garanzia costituiti sul bene confiscato a favore dei terzi, i quali possono far valere in sede esecutiva i propri diritti reali o di garanzia, qualora si tratti di terzi in buona fede che abbiano trascritto il proprio titolo anteriormente al sequestro a fini di prevenzione, eseguito ai sensi dell’art. 2
della legge n. 575 del 1965» (Cass. pen., Sez. V, 19 novembre 2003, n. 47887 Cc. [dep. 16 di8
cembre 2003], in Italgiure, Rv. 227585) .
«La confisca del bene al sospetto mafioso non cancella la garanzia dell’ipoteca iscritta sull’immobile
prima che fosse instaurato il procedimento di prevenzione sfociato nel sequestro e nel successivo atto
ablativo» (Cass. pen., Sez. III, 5 ottobre 2010, n. 20664).
«Il provvedimento di confisca pronunciato ai sensi dell’art. 2-ter l. 575/1965 non può pregiudicare i
diritti reali di garanzia costituiti sui beni oggetto del provvedimento ablativo, in epoca anteriore
all’instaurazione del procedimento di prevenzione, in favore di terzi estranei ai fatti che abbiano dato
luogo al procedimento medesimo, senza che possa farsi distinzione in punto di competenza del giudice adito, tra giudice penale e giudice civile; e ciò perché tale diritto reale limitato si estingue per le sole
cause indicate dall’art. 2878 c.c.» (Trib. Monza, Sez. III, 10 giugno 2010).
«Il provvedimento di confisca pronunciato ai sensi dell’art. 2-ter della legge 575/1965 nei confronti di
un indiziato di appartenenza a consorteria mafiosa, camorristica o similare, non può pregiudicare i diritti reali di garanzia costituiti sui beni oggetto del provvedimento ablativo, in epoca anteriore
all’instaurazione del procedimento di prevenzione, in favore di terzi estranei ai fatti che abbiano dato
luogo al procedimento medesimo, senza che possa farsi distinzione in punto di competenza del giudice adito, tra giudice penale e giudice civile, essendo il diritto reale limitato “de quo” un diritto che si
estingue per le sole cause indicate dall’art. 2878 c.c.» (Cass. civ., Sez. III, 29 ottobre 2003, n. 16227,
in Italgiure, Rv. 567758).
«È manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2-ter e 2-nonies della legge 31 maggio 1965 n. 575 (disposizioni contro la mafia), nella
parte in cui essi non consentono, in caso di confisca di prevenzione, il previo soddisfacimento del creditore titolare di diritto reale di garanzia sul bene sequestrato, sia perché la diversità tra confisca penale ordinaria e quella di prevenzione rende legittima la disparità di trattamento, sia perché proprio il
principio della libertà di iniziativa economica privata, come formulato dall’art. 41 Cost., impone la soccombenza dell’interesse privato, pur costituzionalmente tutelato, all’utilità sociale. V. Corte cost., 11
maggio 1994 n. 190» (Cass. pen., Sez. I, 19 febbraio 2003, n. 13081 Cc. [dep. 21 marzo 2003], in
Italgiure, Rv. 224028).
7
V. anche Cass. pen., Sez. Un., n. 9/1994, in Italgiure, Rv. 199174; n. 9/1999, in Italgiure, Rv.
213511.
8
V. anche Cass. pen., Sez. Un., n. 9/1999, cit.
172
Giancarlo Capecchi
«Il provvedimento di confisca, pronunciato ai sensi dell’art. 2-ter della legge 31 maggio 1965 n. 575 e
succ. mod. nei confronti dell’indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa, non può pregiudicare
i diritti reali di garanzia, costituiti sui beni confiscati in epoca anteriore al procedimento di prevenzione
a favore di terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo a detto provvedimento. Costoro, però, potranno
far valere le loro pretese soltanto davanti al giudice dell’esecuzione penale nelle forme e secondo le
modalità previste dagli artt. 665 e segg. cod. proc. pen., norme che attribuiscono al giudice dell’esecuzione competenza a decidere in ordine alla confisca e, pertanto, sui diritti che i terzi rimasti estranei
al procedimento penale possano vantare sul bene confiscato» (Cass. civ., Sez. I, 12 novembre 1999,
n. 12535, in Italgiure, Rv. 531048).
Per quanto riguarda le obbligazioni scaturite in ordine ad operazioni relative
a crediti chirografari, tradizionalmente meno tutelati perché a chi concede credito si impone di attrezzarsi diligentemente contro l’eventuale rischio di inadempimento, attenta dottrina si iniziava ad interrogare circa l’inopportunità di sacrificare a priori i creditori chirografari, suggerendo già allora di fornire un supporto, quantomeno in termini di acconti, a chi dimostrasse comunque con certezza l’anteriorità del credito e la buona fede. E gli strumenti offerti per fornire
tali dimostrazioni erano piuttosto ristretti nella prassi di alcuni tribunali, come si
evince dalla seguente decisione esemplificativa.
«Le misure di prevenzione a carattere patrimoniale previste dalla legge 13 settembre 1982, n. 646 (cosiddetta legge Rognoni-La Torre) non consentono che siano riconosciute ai terzi creditori del prevenuto forme di tutela diverse da quella stabilita dall’art. 14 della stessa legge, che prevede l’intervento del
terzo che possa vantare un diritto reale sul bene sequestrato. Intervenuta la confisca, resta esclusa
qualsiasi tutela dei “terzi incolpevoli”, giacché nessuna diversa previsione è ravvisabile nel sistema
della legge antimafia» (Trib. Palermo 18 aprile 1989, con nota di E. AGUGLIA, in Il diritto fallimentare e
delle società commerciali, 1990, p. 613).
In particolare, si criticavano i condizionamenti culturali derivanti dalla giurisprudenza fallimentare e dalla falsa convinzione che anche nel procedimento di prevenzione si dovesse in qualche modo garantire la par condicio creditorum e rispettare le cause legittime di prelazione, mentre si spronavano i tribunali a preoccuparsi di non operare ingiustificate disparità di trattamento, adeguandosi così alle convenzioni internazionali in materia di confisca, che da sempre raccomandano una
tutela per i terzi di fronte agli interventi ablatori ed espropriativi (cfr. Convenzione di Strasburgo 8 novembre 1990 ratificata con legge n. 328/1993 e Convenzione
di Vienna 20 dicembre 1988 ratificata con legge n. 328/1990, che effettivamente
non distinguono il tipo di crediti da tutelare).
Alcuni invitavano addirittura i terzi danneggiati dalle ablazioni ad intentare
un’azione civile di indebito arricchimento nei confronti dell’Erario per ottenere
un indennizzo conseguente alla compressione del proprio diritto, quasi come se
si trattasse di una sorta di interesse legittimo di diritto amministrativo; secondo
9
A. Cairo , in alcuni casi, i terzi avrebbero potuto persino agire per ottenere un
risarcimento, affermazione pesante che implicava la possibilità di un giudizio sulla
iustitia o meno di un intervento di prevenzione patrimoniale.
9
A. CAIRO, Le misure di prevenzione patrimoniale, cit., p. 101 ss.
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