COMUNE DI ANZOLA
Lunedì, 29 settembre 2014
COMUNE DI ANZOLA
Lunedì, 29 settembre 2014
Politica locale
29/09/2014 Il Resto del Carlino (ed. Imola) Pagina 3
DEL PRETE FEDERICO
«Choccante: il vincitore esce molto indebolito»
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Pubblica amministrazione
29/09/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 2
VALERIA UVA
Debiti Pa, i sindaci pagano a singhiozzo
29/09/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 14
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«CON CBILL LA BOLLETTA DIVENTA DIGITALE»
29/09/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 14
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Non solo contanti per le bollette
29/09/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 32
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Anche le tariffe per il «bollino» sono diverse da città...
29/09/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 32
MARIA CHIARA VOCI
Sulle caldaie controlli senza standard
29/09/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 34
GIANNI TROVATI
Bilancio consolidato al 30 settembre per tutti
29/09/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 34
ARTURO BIANCO
Fondi decentrati, tagli «flessibili» per il turn over
29/09/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 34
29/09/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 34
MARINO LONGONI [email protected]
Tasi, assurde complicazioni
PAGINE A CURA DI MARIA CHIARA FURLÒ
Processo amministrativo, condannare alle spese non serve
29/09/2014 Italia Oggi Sette Pagina 206
P.a. lenta, indennizzo solo se c' è stato un danno
16
19
Più tempo per gli sconti sul Patto
29/09/2014 Italia Oggi Sette Pagina 202
14
18
Incarichi gratuiti e rimborsi tassati
29/09/2014 Italia Oggi Sette Pagina 1
10
12
Appalti, caos sanzioni sugli errori delle imprese
29/09/2014 Il Sole 24 Ore Pagina 34
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MARIA DOMANICO
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Il Resto del Carlino (ed.
Imola)
Politica locale
«Choccante: il vincitore esce molto indebolito»
UNâ??AFFLUENZA «choccante». Un candidato,
Stefano Bonaccini, «che esce molto indebolito». Un
partito, il Pd emiliano­romagnolo, «che farebbe bene a
riflettere profondamente». Eâ?? lâ??analisi di queste
primarie regionali di Paolo Pombeni, politologo e
docente di Scienze politiche allâ??Alma Mater.
Professore, come giudica il dato dellâ??affluenza?
«Choccante, al di sotto di qualsiasi previsione». Lâ??
Emilia­Romagna si era sempre distinta per la voglia di
partecipazione popolare.
«Eâ?? vero e questo sorprende ancora di più. Ma il
Pd dovrebbe riflettere sul perché non è più in grado
di mobilitare vasti strati di opinione pubblica». Dunque
è il partito ad aver sbagliato?
«Eâ?? troppo concentrato sul militante tradizionale,
che ormai è una minoranza assoluta. Basterebbe
imparare da Renzi, che ha fatto la sua piccola
rivoluzione portando a votare gente fuori dalle liturgie di
partito». In teoria i candidati erano due renziani.
«Ma essere fedeli a uno schieramento, come fosse una
corrente interna, non significa capire la novità che Renzi ha introdotto nella politica. Eâ?? una lezione a
disposizione di tutti: però servono personalità forti e carismatiche, le giuste parole dâ??ordine e
magari qualche artificio per costruirsi dei nemici». E lâ??inchiesta sulle spese pazze?
«Sarebbe un errore spiegarla così. Si parlava di fatti marginali che non credo abbiano avuto un
effetto su questo blocco di partecipazione». Con ieri anche il mito delle primarie torna sulla terra?
«Il Pd deve decidersi: o sono una semplice mobilitazione dei militanti e allora assomigliano alle
votazioni degli organismi dei vecchi partiti, diventando come quelle di ieri, oppure un modo per
coinvolgere un elettorato più ampio». Torniamo alla lezione di Renzi, insomma.
«Il premier ha usato tecniche di mobilitazione diverse, invece il Pd non ha riflettuto a sufficienza, anche
perché una competizione più aperta fa ovviamente paura». Come esce Stefano Bonaccini da
questo voto?
«Molto più debole di prima. Aveva lâ??appoggio di una marea di sindaci e amministratori e questi
risultati dovrebbero far riflettere sia Bonaccini, sia chi ha fatto la corsa agli endorsement. E poi ci si
aspettava una forza pesante di questo Pd e invece rischiamo di avere un presidente debole proprio in
un periodo in cui il peso delle Regioni a Roma sarà fondamentale. Dovrà innanzitutto recuperare
questo gap inatteso». Federico Del Prete.
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Pubblica amministrazione
La lunga crisi.
Debiti Pa, i sindaci pagano a singhiozzo
Ancora da versare alle imprese 1,7 miliardi sugli otto assegnati agli enti locali per
saldare le vecchie fatture.
Valeria Uva C' è un «tesoretto» da un miliardo
e 700 milioni di euro destinato a saldare le
imprese in arretrato, ma fermo nei cassetti. In
parte perché alcuni enti locali si sono decisi a
chiedere anticipazioni di liquidità per pagare i
debiti solo negli ultimi mesi, in parte (ma la
cifra non è quantificabile) perché si tratta di
fondi che i Comuni hanno in realtà già pagato,
ma che scontano problemi nella
rendicontazione.
Il risultato è che a oggi, secondo i dati diffusi
dal ministero dell' Economia il 23 settembre,
almeno il 21% delle risorse erogate ai Comuni
non risulta ancora pagato ai privati (in linea,
con la media nazionale del 19%). Dei 57
miliardi stanziati per l' operazione "sblocca
debiti" ai Comuni sono già andati 8,2 miliardi,
attraverso il canale dell' allentamento del patto
d i stabilità e quello delle anticipazioni di
liquidità erogate in quattro tranche (si veda la
cartina a fianco). Ne risultano, però, pagati
solo 6,5 miliardi, con un buco di 1,7 miliardi.
Una liquidità preziosa per i fornitori in attesa
da anni. E che invece arriva con il contagocce.
I flussi di cassa Sul fronte dell' allentamento
del patto di stabilità 2013 mancano all' appello
524 milioni; il resto è rappresentato dalle anticipazioni di liquidità, veri e propri prestiti ricevuti da Cdp
su cui i Comuni, peraltro, stanno già versando interessi. Che gli enti locali abbiano rallentato i flussi di
cassa lo scrive anche il Mef nel comunicato stampa che fa il punto sull' operazione: «Negli ultimi mesi ­
si legge ­ le somme messe a disposizione degli enti vengono richieste e assorbite più lentamente,
presumibilmente perché la quota maggiore di debito patologico è stata rimossa grazie ai primi
finanziamenti». L' Economia cita il caso della terza tranche di finanziamento ai Comuni che «è stata da
questi assorbita solo parzialmente: 1,3 su 1,8 miliardi disponibili». L' arretrato maggiore (circa 900
milioni) si riscontra nella ultima tranche erogata soltanto a partire da questa estate. Non stupisce,
quindi, che in questo caso solo il 31% dei Comuni sia già riuscito a esaurire anche queste risorse. Ma
colpisce, invece, un altro dato: esistono 89 Comuni con debiti 2013 ­ che hanno «chiesto aiuto» allo
Stato solo con questa tranche e solo nell' estate scorsa. Enti anche grandi (Catania da sola ha chiesto
quasi 200 milioni, Catanzaro 18 oltre agli otto del Patto di stabilità). Particolarmente critica la situazione
nella città etnea che dichiara un tempo medio di pagamenti delle imprese nel 2013 di ben 469 giorni.
Tra i Comuni capoluogo più indebitati risulta in affanno anche Reggio Calabria: è pari al 53% lo stato di
avanzamento rendicontato. Il Comune attraversa una gravissima crisi di liquidità.
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Il Sole 24 Ore
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Pubblica amministrazione
La rendicontazione Alcune lentezze non sono riconducibili agli enti locali. Per Valle d' Aosta e Trentino
Alto Adige, ad esempio, due aree formalmente a zero nei pagamenti, il nodo è tecnico: la
rendicontazione fatta su base regionale non specifica le spese sostenute da ogni ente.
Conferma l' assessore al bilancio di Aosta, Carlo Marzi: «I tre milioni che avevamo chiesto sono stati
tutti utilizzati». Non sempre, però, la registrazione sulla piattaforma della Ragioneria per il monitoraggio
del Patto va a buon fine. Ma il problema è più ampio. Parte di quel 20% di enti in affanno potrebbe in
realtà aver già saldato ed essere "vittima" di un ritardo nel caricamento dei dati (soprattutto per l' ultima
tranche). È il caso, ad esempio, di Torino, che secondo il Mef sarebbe al 90% mentre al «Sole 24 Ore»
dichiara un adempimento totale, concluso negli ultimi giorni. O di Salerno, che vanta un 100% di
pagamenti (contro il 65% "ufficiale"): «Abbiamo saldato tutto e rendicontato il 21 agosto ­ spiega l'
assessore al Bilancio, Alfonso Buonaiuto ­ e con l' ultima tranche non abbiamo più debiti arretrati al
2013». Poi c' è Nuoro, che per il Mef risulterebbe ancora a zero. «E invece abbiamo già speso tutti gli
spazi finanziari ricevuti e abbiamo rendicontato ad aprile scorso» dichiara l' assessore al bilancio,
Salvatore Daga. Come Nuoro sono oltre 600 i Comuni, grandi e piccoli, che nell' ultimo aggiornamento
risultano a zero.
In controtendenza, infine, ci sono anche i super­adempienti: una manciata di enti che risultano aver
pagato più del 100% di quanto ricevuto. Ma il mistero è più facile da svelare: qualche Comune è riuscito
a dedicare all' operazione "sblocca­debiti" anche risorse proprie oltre a quelle assegnate dello Stato.
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Pubblica amministrazione
intervista della settimana.
«CON CBILL LA BOLLETTA DIVENTA DIGITALE»
Archiviare, gestire e pagare bollette e bollettini
dall' home banking, in multicanalità. Addio
quindi alle code agli sportelli e più spazio alla
moneta elettronica. Sì, perché tutto si farà su
internet. In completa mobilità. È l' obiettivo di
Cbill, il servizio realizzato dagli istituti
finanziari che fanno parte del consorzio Cbi. In
Italia vengono emessi ogni anno 630 milioni di
bollettini postali, ma di questi solo il 3% è
intermediato dai canali bancari. Una
percentuale che, per effetto di Cbill, potrebbe
aumentare in misura esponenziale. Ma cosa
cambia rispetto al servizio di pagamento dei
bollettini già offerto da alcuni istituti di credito?
«L' innovazione consiste nell' operatività
multibanca ­ spiega Liliana Fratini Passi,
direttore generale del Consorzio Cbi ­. Gli
attuali servizi di home banking consentono ai
clienti di pagare online solo le bollette delle
aziende e delle pubbliche amministrazioni che
hanno sottoscritto specifici accordi con il
singolo istituto di credito. Con Cbill, invece,
sarà sufficiente che l' azienda o l'
amministrazione fatturatrice abbia adottato il
servizio per consentire a chiunque disponga di
un conto online di consultare e pagare le
bollette attraverso tutti i canali messi a disposizione dalla banca; quindi pc, tablet, smartphone e Atm».
Quante sono le banche che hanno aderito al servizio?
Più di 400 banche, che rappresentano il 62% degli istituti consorziati. Tra i grandi fatturatori pubblici e
privati che hanno già aderito, invece, ci sono Enel Energia, Enel Servizio Elettrico, l' Azienda Usl 8
Arezzo e il Consorzio della Bonifica Renana; ma nelle prossime settimane è prevista l' adesione di altre
aziende e pubbliche amministrazioni centrali e locali che emettono bollettini di pagamento a fronte di
prestazioni e servizi.
È possibile stilare un primo bilancio?
Finora abbiamo registrato 47mila operazioni, per un controvalore di 4 milioni . È un numero esiguo
rispetto alle sue potenzialità, ma bisogna considerare che ancora non è partita alcuna campagna
informativa e che le banche stanno completando la fase di adesione. I numeri, quindi, sono destinati a
crescere, soprattutto considerando l' imminente ingresso di altri fatturatori, tra aziende private e
pubblica amministrazione.
Ma perché un' impresa dovrebbe aderire a Cbill?
Perché i fatturatori potranno godere di diversi vantaggi. Il primo è che attraverso una sola
contrattualizzazione potranno ricevere pagamenti da tutti i clienti delle banche italiane. Inoltre, con gli
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aggiornamenti online degli avvenuti pagamenti che forniamo su base giornaliera, le imprese potranno
migliorare anche la qualità del credito, soprattutto in termini di procedure amministrative.
Avete già fatto delle stime di crescita?
Per ora no. Molto dipenderà anche da quello che la pubblica amministrazione metterà in campo. E
bisogna dire che il governo sta dando una grande spinta in tal senso. Comunque auspico una crescita
media annua in termini di Cagr (tasso di crescita annuale composto, ovvero la media geometrica dei
tassi di crescita annuali, ndr) almeno del 6%.
Quali i vantaggi per le famiglie?
La multicanalità e interoperabilità tra banche, imprese e pubblica amministrazione, può significare per
milioni di famiglie un risparmio di tempo e denaro. Per esempio, non sarà più necessario recarsi
fisicamente allo sportello per pagare un bollettino. E se vogliamo guardare anche alla politiche di
sostenibilità, Cbill sta puntando alla completa digitalizzazione delle bollette, con l' eliminazione della
spedizione del documento cartaceo. Questo vuol dire risparmiare 12.600 tonnellate di carta per 630
milioni di bollettini stampati e inviati ogni anno in Italia. Inoltre, le banche potranno offrire una serie di
funzionalità aggiuntive.
Qualche esempio?
Nella sezione home banking, per esempio, gli istituti di credito potranno rendere disponibile una sorta di
cassetto delle scadenze. L' utente potrà così archiviare in un' unica stanza virtuale i bollettini già pagati
e quelli che ancora dovrà pagare, per i quali potrà attivare anche un servizio di alert.
Quali saranno i costi per il pagamento delle bollette?
Dipenderà dal singolo istituto di credito, che fisserà i costi anche in funzione dei servizi aggiuntivi che
potrà offrire. E su questo fronte ci sarà molta competizione.
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tendenze.
Non solo contanti per le bollette
Nelle ricevitorie e in Posta oggi si può pagare con le carte di credito dei circuiti Visa e
MasterCard.
Gaia Giorgio Fedi a Pagare le bollette con le
carte di credito. Se in passato gli unici
strumenti di pagamento ammessi negli uffici
postali erano contante e bancomat, oggi si può
pagare anche con le carte dei circuiti Visa e
Mastercard (nonché con la prepagata
Postepay). Non solo: le carte potranno anche
essere usate presso altri esercenti
convenzionati, come le tabaccherie
convenzionate con Banca ITB, le ricevitorie
Sisal e Lottomatica e gli operatori della grande
distribuzione aderenti.
Al di là del canale fisico, ci sono dei sistemi
per pagare i bollettini con la carta di credito
sullo smartphone (come la app Bollettino di
Poste) o i canali dell' home banking. Ma si
tratta di strumenti usati da utenti evoluti, quindi
non troppo affezionati al contante; mentre l'
ingresso delle carte di credito nell' ambiente
analogico per eccellenza, cioè l' ufficio postale,
è un salto culturale sul quale gli addetti ai
lavori stanno scommettendo per dare una
spallata all' utilizzo delle banconote.«Oltre a
utilizzare le carte per pagare i bollettini in
home banking, oggi si potrà usare questo
strumento anche per il pagamento nei luoghi
fisici, dove l' uso del contante è molto elevato», spiega Davide Steffanini, direttore generale Visa Europe
in Italia. «In questo momento in Italia si pagano oltre 600 milioni di bollettini all' anno, di cui un buon 90%
viene evaso in contanti. La possibilità di catturare anche solo una parte di quei bollettini rappresenta già
un volume interessante, considerato che il bollettino medio supera i 100 euro». A questi numeri poi
vanno aggiunti anche i pagamenti degli F23 e gli F24 e dei bollettini Mav (tasse scolastiche e
universitarie, spese condominiali, eccetera). Finora, sostiene Steffanini, il fatto che non fosse possibile
utilizzare le carte di credito per pagare questi bollettini ha creato un ostacolo per la progressiva
diminuzione dell' uso del contante auspicata da molti. «L' utente ha diversi vantaggi dall' inclusione delle
carte tra gli strumenti di pagamento per le bollette», commenta il manager di Visa. «Innanzitutto la
comodità di non essere costretto ad avere del denaro con sé, ­ prosegue Steffanini ­ o a dover fare una
sosta obbligata alla postazione Atm per prelevare prima di andare in Posta. Inoltre, rispetto al
pagamento con il bancomat, l' utilizzo della carta di credito offre anche uno strumento per dilazionare il
pagamento al mese successivo. O addirittura, per le carte rateali, di rateizzarlo»: una prospettiva
particolarmente interessante quando ci si ritrovi a pagare bollettini di importi ingenti. E senza un
particolare aggravio di costo: «Abbiamo concordato un livello di commissioni per cui per l' utente
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pagare con carta di credito costa quanto pagare con il contante», aggiunge Steffanini.
I benefici non si fermano all' utente: anche il sistema, sul lungo periodo, può trarre vantaggio dalla
reciproca apertura tra il mondo delle bollette e il mondo delle carte di credito. «Questa iniziativa
rappresenta un' opportunità di business immediata, legata alla possibilità di spostare i pagamenti dal
cash alla carta ­ interviene Gianluca Iannelli, direttore marketing di MasterCard ­ ma anche una sfida di
lungo termine per la lotta al contante».
Il pagamento delle bollette relative alle utenze, delle spese condominiali e delle tasse scolastiche è un'
attività così frequente nella vita dei cittadini, e tuttora monopolizzato dall' uso delle banconote, che l'
auspicio è che l' apertura sulle carte di credito consenta di abituare gli italiani a usare il denaro di
plastica. «Per noi è particolarmente importante che si educhino le persone all' uso delle carte», afferma
Iannelli. E sui bollettini il vantaggio del denaro di plastica emerge in maniera evidente «perché alla
maggiore comodità non corrisponde un aggravio di costi rispetto all' uso delle banconote, perché non ci
sono commissioni ad hoc legati all' uso di carte. Inoltre, l' utente inizia a utilizzare la carta in un ambiente
che gli è più familiare rispetto ad altri».
L' iniziativa sui bollettini non è «che un primo passo nella direzione della lotta al contante, sulla quale ci
stiamo allineando al percorso che sta portando avanti l' Italia», asserisce Iannelli. E i prossimi passi?
«La nostra strategia consiste nell' allargare l' utilizzo delle carte di credito su tutti i canali ancora
fortemente orientati al contante. Quindi stiamo lavorando per arrivare a consentire l' uso di questo
strumento non solo per le bollette, ma estenderne l' operatività alla pubblica amministrazione, alla
sanità, all' Aci, a tutto il mondo dei tributi. È una grande opportunità di mutamento culturale», aggiunge.
«Stiamo inoltre lavorando per rendere tutti i Pos contactless, perché abbiamo visto che è una strategia
che funziona», conclude.
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I costi. Il prezzo può variare per la seconda casa o in base alla periodicità.
Anche le tariffe per il «bollino» sono diverse da città
a città
Il quadro frammentato di norme si traduce in
un puzzle di tariffe diverse a carico dei
cittadini, che, in materia di ispezione del
rendimento energetico degli impianti, devono
far fronte a due tipologie di "oneri" differenti. Il
primo chiamato anche «bollino», scatta nel
momento in cui l' utente, rispettando la legge,
chiama un tecnico per far verificare i propri
impianti e trasmette all' ente p r e p o s t o l '
autodichiarazione al termine della procedura. Il
secondo corrisponde all' equivalente di una
tariffa per il servizio, che è dovuta se, a fronte
di un accertamento, solitamente effettuato a
campione dall' ente preposto ai controlli,
emerge che l' impianto è sprovvisto di
autocertificazione o addirittura non è
autocertificabile.
Il compito di stabilire importi e modalità di
erogazione di bollini e tariffe per le ispezioni
sugli impianti è stato lasciato, dallo Stato, agli
enti locali. Il risultato è uno spaccato di prezzi ­
rilevato attraverso un puntuale censimento
diretto da e­training per il Sole 24 Ore ­
estremamente eterogeneo. Non solo fra una
Regione e l' altra, ma anche all' interno di uno
stesso territorio regionale o provinciale.
Gli importi In Piemonte, ad esempio, o nelle Province autonome per depositare l' autodichiarazione nulla
è dovuto (oltre la spesa da sostenere per pagare il lavoro della ditta o del tecnico che effettua il
controllo). In Puglia, per una caldaia sotto i 35 kW, si arriva a spendere anche 25 euro a biennio: solo
per comunicare che l' ispezione è stata effettuata.
Ben più alte, ma ugualmente discordanti, le cifre per le ispezioni onerose: si va dai 40 euro della Puglia
per gli impianti sotto i 35 kW ai 200 del Lazio o dell' Abruzzo. In genere il costo sale insieme alla taglia
dell' impianto.
Cifre difformi anche in una stessa Regione. Prendiamo l' Emilia Romagna. A Ferrara è previsto un
bollino unico per tutte le potenze a cadenza biennale di importo pari a 5 euro. Viceversa a Parma e
Ravenna si arriva a tariffe biennali pari a 140 euro, per impianti sopra i 600 kW. Così anche per le
ispezioni: a Modena la massima tariffa è pari a 145 euro mentre a Ravenna e Forlì si arriva a 600 euro.
Ma il paradosso si raggiunge in Provincia di Roma: qui su uno stesso territorio vigono dieci tariffe
diverse per il bollino e l' ispezione a seconda di dieci fasce di potenza degli impianti predeterminate.
Sanremo e Castellammare di Stabia hanno fissato importi diversi per le caldaie installate in una prima o
in una seconda casa o per quelle di un' attività commerciale.
Il Comune o la Provincia di Lecce così come quella di Pesaro­Urbino hanno imposto una somma anche
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per comunicare la messa a norma dell' impianto in seguito a un' ispezione per irregolarità. Una cifra che
normalmente, in altri territori, è inclusa nella lauta "ammenda" che già scatta in sede di verifica. La
Provincia di Brindisi, al contrario, applica una sanzione se l' autodichiarazione non è trasmessa in modo
corretto mentre la Provincia di Lecce ha previsto un bollino ad hoc in caso di dismissione di impianto.
Ma forse il caso più eclatante è quello della Provincia di Savona che chiede, peraltro con cadenza
annuale, un bollino persino per gli split domestici.
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Impianti. Gli enti locali scelgono le apparecchiature da ispezionare, le società a cui affidare il
servizio e persino i modelli da compilare.
Sulle caldaie controlli senza standard
Alle regole europee, statali e regionali si aggiungono le indicazioni di Comuni e
Province.
PAGINA A CURA DI Maria Chiara Voci Non
bastano le norme europee, quelle statali e
quelle regionali: sui controlli per gli impianti
termici, di fatto, sono Province e Comuni a
"dettare" legge, sia sotto il profilo della
frequenza che sotto quello delle tariffe.
Con il risultato di un fai­da­te senza limiti. C' è
chi, come Civitanova Marche, ha affidato i
controlli, anziché a un' agenzia per l' energia,
al centro di ecologia e climatologia dell'
Osservatorio geofisico sperimentale. Chi ha
stabilito, come Sanremo e Castellammare di
Stabia, importi diversi per il bollino, a seconda
che si tratti di una prima o una seconda casa.
Chi preleva la tariffa delle verifiche, come
Scandicci o Sesto Fiorentino, dalla bolletta del
gas e senza attendere l' effettivo controllo e l'
invio dell' autodichiarazione.
Lo spaccato emerge da un monitoraggio
realizzato per il Sole 24 Ore del lunedì, dalla
società di consulenza e formazione tecnico­
normativa «E­training». Ciò che emerge è
allarmante: nonostante il controllo delle caldaie
a gas naturale (cioè il 95% degli impianti
installati nelle case e negli uffici d' Italia) sia
regolato da una norma comunitaria (Direttiva
2010/31/UE) e da una legge nazionale (Dlgs 192/2005 attuato dal recente Dpr 74/2013), nei fatti le
regole sono differenti, città per città.
Le Regioni Tolta l' Unione europea e lo Stato, le Regioni sarebbero le uniche ­ secondo la clausola di
cedevolezza del titolo V della Costituzione ­ ad avere facoltà di varare norme, per recepire senza
stravolgimenti le leggi nazionali e comunitarie adattandole al contesto locale. Tuttavia solo quattro di
loro (Lombardia, Umbria, Emilia Romagna e Veneto) hanno recepito la direttiva 2010/31/Ue. Nove
governi regionali e province autonome sono ancora ferme alla Direttiva precedente 2002/91/CE, mentre
in otto territori nulla è mai stato approvato.
In compenso, a scendere in campo ci hanno pensato le Province o addirittura i Comuni: questi enti,
sopra i 40mila abitanti, dovrebbero avere l' unico compito di organizzare i controlli, non di scrivere leggi.
Tanto più che spesso le regole varate risultano in contrasto con quanto deciso da Roma e da Bruxelles.
Ma procediamo per esempi.
La direttiva europea prescrive controlli obbligatori per le caldaie sopra i 20 kW in caso di riscaldamento
e i 12kW in caso di condizionamento. Già di suo, il Dpr 74/2013 ha allargato in Italia la platea degli
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impianti soggetti a verifiche, fissando per il riscaldamento l' obbligo sopra i 10 kW.
Ma ancora più in là si è spinta la Lombardia, dove le ispezioni scattano sopra i 5 kW. Che, di fatto,
significa far partire ispezioni su 3,5 milioni di impianti, altrove esonerati.
Altro caso. Secondo la recente norma di attuazione ­ Dm 10 febbraio 2014 ­(la cui entrata in vigore è
stata prorogata al 15 ottobre) caldaie e impianti di climatizzazione dovranno essere dotati di un libretto
e, se soggetti a controlli, di un rapporto di verifica, stilati secondo un preciso modello, uguale per tutti.
Nella pratica non è così. In Lombardia e in Veneto, infatti, la modulistica da utilizzare è differente.
L' Europa e lo Stato prevedono, poi, controlli sia per gli impianti invernali che estivi. Tuttavia, in
Provincia di Matera, ad esempio, il regolamento, modificato dopo l' entrata in vigore del Dpr 74/2013,
contiene un' interpretazione "fantasiosa": sono infatti esclusi dall' accertamento gli impianti di
condizionamento. Al contrario, vanno a rapporto le caldaie per uso sanitario superiori ai 10 kW (cioè la
quasi totalità), nonostante queste siano esplicitamente escluse a livello nazionale.
Chi esegue i controlli In genere, il compito spetta ad agenzie per l' energia o società in house. Ma non
mancano eccezioni. La Provincia e il Comune di Isernia hanno affidato l' attività, senza alcuna gara, a
una società misto pubblico­privata che vede all' interno della compagine anche tecnici manutentori (cioè
coloro il cui operato dovrebbe essere oggetto di verifica). Il Comune di Fasano ­ che non arriva a 40mila
abitanti ­ ha affidato i controlli ad una società privata, dimenticandosi che il compito spetterebbe alla
Provincia di Brindisi. Quest' ultima, a sua volta, ha provveduto a dare l' incarico a un proprio ente.
Risultato: in due sono sullo stesso bacino.
Estremo e finale paradosso: quando si parla di controlli d' impianto in Italia ci si riferisce a verifiche
attuate per il solo rendimento energetico. Giocoforza i tecnici dell' ente locale che entrano nelle case,
finiscono con il riscontrare e correggere eventuali problemi anche sul fronte della sicurezza. Compito
che però non sarebbe loro richiesto, visto che su questo fronte si è ancora in attesa della pubblicazione
di un decreto, previsto già da dicembre 2007.
Non è mai arrivato.
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Gare. Dichiarazioni.
Appalti, caos sanzioni sugli errori delle imprese
Alberto Barbiero Le stazioni appaltanti non
possono più escludere le imprese da una gara
per una dichiarazione sostitutiva mancante o
irregolare, ma devono sanzionarle e chiedere
la regolarizzazione, con un procedimento che
presenta vari problemi.
Le nuove norme introdotte nel Codice appalti
dalla legge 114/2014 mirano a garantire la
massima partecipazione, evitando che la
dimenticanza di una dichiarazione, magari per
semplice distrazione di chi ha preparato l'
istanza, comporti l' esclusione dalla gara. Nel
Dlgs 163/2006 è stato quindi introdotto all'
articolo 38 il comma 2­bis, il quale prevede
che la mancanza, l' incompletezza e ogni altra
irregolarità essenziale degli elementi e delle
dichiarazioni sostitutive relative al possesso
dei requisiti generali obbliga il concorrente al
pagamento, in favore della stazione
appaltante, di una sanzione pecuniaria, che
deve essere stabilita dall' amministrazione
aggiudicatrice nel bando. Il range della
sanzione è individuato tra l' uno per mille e l'
uno per cento del valore della gara (quindi con
riferimento alla base d' asta), ma con un
massimale di 50mila euro.
La prima criticità rilevante deriva proprio dall' applicazione della sanzione, in quanto la disposizione
individua fattispecie differenti di violazioni delle regole di gara: la mancanza, l' incompletezza e ogni
altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive, per cui necessiterebbe, in
base al principio della gradualità, un' articolazione in base alla diversa gravità delle infrazioni. Nei primi
bandi di gara emanati con la nuova norma, tuttavia, la scelta effettuata da molte stazioni appaltanti si è
concretizzata nella definizione di una sanzione unica.
La norma richiede inoltre che il versamento della sanzione sia garantito dalla cauzione provvisoria,
quindi con possibilità di escussione parziale solo quando il concorrente non paghi. Tuttavia molte Pa
hanno scelto di prevedere nel bando anche un' integrazione supplementare del valore della garanzia
provvisoria, corrispondente alla sanzione, determinando un maggior onere per le imprese.
Il nuovo comma 2­bis prevede che la stazione appaltante richieda al concorrente di rendere la
dichiarazione mancante, di completarla o di regolarizzarla, dando un termine massimo di 10 giorni. Solo
se l' operatore non provvede, l' amministrazione potrà escluderlo.
La regolarizzazione, peraltro, non è correlata al pagamento della sanzione, quindi le imprese che
abbiano reso o completato le dichiarazioni insufficienti sono ammessi alla gara, indipendentemente dall'
assolvimento della sanzione.
Problemi altrettanto rilevanti sono determinate dal nuovo articolo 46, comma 1­ter del Codice appalti,
introdotto anch' esso dalla legge 114, il quale prevede che le disposizioni del comma 2­bis si applicano
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a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di
soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare
di gara.
Proprio il riferimento agli elementi che devono essere prodotti in gara induce a ritenere che questi non
siano riferiti tanto al contenuto delle dichiarazioni sostitutive, quanto ai documenti che devono essere
presentati in gara. Questa lettura ha portato molte Pa a disciplinare nel bando la sottoposizione alla
sanzione e alla regolarizzazione anche di situazioni come la mancata presentazione della cauzione
provvisoria o dell' attestazione di pagamento del contributo gare, che sono invece obblighi per la
partecipazione alla gara.
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Contabilità. In arrivo un correttivo all' armonizzazione per uniformare le scadenze.
Bilancio consolidato al 30 settembre per tutti
Gianni Trovati Le scadenze per il bilancio
consolidato, che la riforma della contabilità
chiede agli enti locali, sarà riallineati al 31
settembre, cancellando il termine del 31 luglio
fissata dall' ultimo decreto legislativo
"correttivo" approvato dal Governo a inizio
agosto (Dlgs 126/2014, nella parte in cui ha
modificato l' articolo 151 del testo unico degli
enti locali). La modifica, che potrebbe arrivare
c o n l a l e g g e d i stabilità, serve appunto a
riordinare un groviglio di date che si era
parecchio intricato dopo l' ultimo intervento.
Con la riforma della contabilità, al preventivo e
al rendiconto si affianca anche il bilancio
consolidato, chiamato a dare evidenza dei
risultati del "gruppo" ente locale rappresentato
dal Comune e dalle sue principali realtà
partecipate. Per questo nuovo strumento era
stata indicata la data del 30 settembre. A
stabilirla era l' articolo 18, comma 1 lettera c)
del Dlgs 118/2011, vale a dire il primo
provvedimento attuativo dell'«armonizzazione»
contabile negli enti territoriali, e la stessa data
ritorna nell' allegato 4/4, quello che riporta il
principio contabile sul consolidato. Tutto
chiaro, quindi, fino all' intervento del decreto
"correttivo" di agosto, che ha ritoccato una serie di regole della nuova contabilità ma è inciampato sul
calendario, fissando la nuova scadenza per il consolidato al 31 luglio senza cancellare le altre norme
che prevedono il 30 settembre.
Di qui l' esigenza di un' altra correzione, che probabilmente sarà scritta nella legge di stabilità e
riporterà il termine al 30 settembre. È questa, infatti, la data che sembra più logica nel tentativo di
avviare una reale applicazione del nuovo bilancio, che impone agli enti locali di raccogliere dagli
organismi partecipati (esclusi quelli considerati «irrilevanti» dai nuovi parametri) i dati necessari al
consolidamento;una sfida che rimane comunque difficile se si guarda alla ricchissima storia recente
delle proroghe a pioggia per i preventivi. Non solo: gli orientamenti che emergono dalla Ragioneria
generale sembrano garantire una certa dose di flessibilità anche alle scadenze per le centinaia di enti
locali già impegnati nella sperimentazione della riforma. Anche per loro, infatti, l' evoluzione della
normativa che indica il termine a regime a fine settembre permette di applicare la stessa scadenza in
modo generalizzato, superando le regole diverse previste per gli "sperimentatori" di quest' anno.
In prima battuta, la girandola delle date riguarderà proprio queste amministrazioni.
Gli altri, infatti, dopo i correttivi portati dal Dlgs 126/2014 potranno rinviare l' adozione del consolidato al
2016, mentre un anno in più di tempo è concesso ai Comuni che contano meno di 5mila abitanti.
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GIANNI TROVATI
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Personale. Possibili più criteri di calcolo.
Fondi decentrati, tagli «flessibili» per il turn over
Arturo Bianco Nella costituzione del fondo per
le risorse decentrate del 2014 Regioni ed enti
locali devono verificare il puntuale rispetto dei
vincoli dettati dai contratti nazionali,
disponendo l' eventuale recupero. A tal fine
possono utilizzare i nuovi strumenti previsti dal
D 16/2014. Lo ricorda la circolare con cui i
ministri di Economia, Affari regionali e Pa
hanno ufficializzato il documento approvato
dalla Conferenza Unificata lo scorso luglio sull'
applicazione della "sanatoria" dei contratti
decentrati illegittimi.
La costituzione del fondo del 2014 è un
adempimento assai rilevante: la legge di
stabilità ne ha fatto la base (analogamente a
quanto i contratti nazionali hanno disposto per
i fondi del 1999 e poi del 2004) su cui
determinare gli importi degli anni successivi.
La maggioranza degli enti sta procedendo
solo ora alla costituzione del fondo in quanto,
erroneamente, si subordina l' operazione all'
approvazione dei preventivi. Il che non è
previsto da alcuna legge o contratto, ed è
inopportuno poiché determina ritardi nell' avvio
della contrattazione decentrata.
L' attenzione deve essere dedicata al rispetto
dei vincoli dettati dai contratto nazionale per l' incremento dei fondi, sempre nel tetto del 2010. L' ente
deve avere rispettato il patto e i vincoli alla spesa del personale. Inoltre, per incrementare il fondo, entro
il tetto dell' 1,2% del monte salari 1997, deve assumere una specifica deliberazione, da motivare in
relazione a risparmi conseguiti o al miglioramento dei servizi, e acquisire l' attestazione dell' organismo
di valutazione. Per incrementarlo in relazione all' attivazione di nuovi servizi o al loro miglioramento
occorre adottare una deliberazione nella fase iniziale dell' anno, in cui si dimostri la finalizzazione dell'
incremento al miglioramento delle attività.
L' aumento deve essere quantificato con criteri oggettivi, di regola non va ripetuto nel corso degli anni e
va erogato dopo il conseguimento dell' obiettivo.
Altro errore da evitare, che depaupera il fondo, è la mancata inclusione delle risorse utilizzate per l'
adeguamento ai miglioramenti contrattuali degli importi delle progressioni orizzontali dei dipendenti
cessati. Sulla base delle indicazioni contenute nella circolare non c' è un unico criterio da utilizzare per
la quantificazione dei tagli al fondo a seguito della diminuzione del personale. Di conseguenza, non
maturano responsabilità se non si utilizza quello della media aritmetica del personale in servizio scelto
dalla Ragioneria dello Stato, preferendo quello delle diminuzioni effettive suggerito dalla Corte dei conti
della Lombardia e dalla Conferenza dei presidenti delle regioni.
Si deve infine sottolineare la condizione di pesante incertezza che grava sull' applicazione della
"sanatoria", che sta portando i singoli enti a cercare soluzioni in ordine sparso o a restare fermi:
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conseguenza pressoché obbligata della mancanza di indicazioni applicative univoche. Proprio il rischio
che si voleva evitare delegando la soluzione dei dubbi alla Conferenza Unificata.
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Partecipate. Le nomine dopo il Dl Pa.
Incarichi gratuiti e rimborsi tassati
Domenico Luddeni L' articolo 16 del decreto di
riforma della Pa impone ai dipendenti delle
amministrazioni nominati in società partecipate
di riversare i compensi all' ente di
appartenenza, fatto salvo il diritto al rimborso
delle spese documentate.
Il trattamento fiscale dei rimborsi spese nell'
ambito del reddito di lavoro dipendente è
regolato dall' articolo 51, comma 5, del Tuir,
che stabilisce che non concorrono a formare il
reddito da lavoro dipendente i rimborsi spese
relativi a trasferte effettuate fuori dal territorio
del Comune in cui si trova la sede di lavoro del
dipendente nei limiti previsti dall' articolo
stesso. Quando la trasferta si realizza nel
territorio del Comune, si applica l' ultimo
periodo del comma 5, che fa rientrare queste
somme nel reddito. Anche la prassi, con la
risoluzione n.
10/816 del 27 giugno 1975, ha ribadito che
«nessuna esclusione dall' imposizione è
consentita per le eventuali somme corrisposte
dal datore di lavoro ai propri dipendenti a titolo
di rimborso delle spese di viaggio, anche sotto
forma di indennità chilometriche, per l' attività
lavorativa esplicata nell' ambito del Comune in
cui si trova la sede di lavoro» precisando che nel caso di attività svolta nel Comune sede di lavoro, le
somme sono considerate integrazioni della retribuzione e assoggettate ad Irpef cumulandole con la
retribuzione. Di conseguenza la nomina conferita dall' amministrazione per un incarico da svolgersi nel
Comune sede di lavoro del dipendente comporterà degli oneri per quest' ultimo, in quanto oltre a dover
riversare il compenso erogato dalla partecipata, egli riceverà un rimborso spese inferiore a quanto
effettivamente speso, posto che le spese diverse da quelle di trasporto documentate dal vettore, vitto e
alloggio tipicamente, si cumulano con la retribuzione e subiscono le vigenti ritenute previdenziali ed
erariali, tanto più elevate quanto maggiore è l' aliquota marginale del dipendente.
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Investimenti. Franchigia rigida ma esclusione utilizzabile fino a fine anno.
Più tempo per gli sconti sul Patto
Maurizio Delfino La querelle tra Economia e
Comuni sull' utilizzo degli spazi sul Patto d i
stabilità in conto capitale del primo semestre
2014 concessi dalla legge di stabilità ha visto
un primo responso nell' articolo 4, comma 7
del Dl 133/2014, che ha accolto la tesi
ministeriale dando più tempo, fino al 31
dicembre 2014, agli enti locali per adeguarsi.
L' arco temporale entro cui assorbire gli spazi
Patto concessi, fermo restando il pagato del
primo semestre 2014, passa dal primo
semestre all' intero anno, ma comunque con le
regole fissate dall' interpretazione ministeriale,
secondo cui la franchigia relativa al pagato a
titolo II (come da articolo 1, comma 535 della
legge 147/2014, che ha introdotto il comma 9­
bis all' articolo 31 legge 183/2011) si applica
s o l o s e l ' ente locale ha pagato in conto
capitale, competenza e residui, almeno il
doppio della franchigia stessa.
Le istruzioni della Ragioneria generale dello
Stato, portano a indicare, in sede di
certificazione, nella cella S16 i pagamenti in
conto capitale, residui e competenza, effettuati
nel primo semestre 2014 nei limiti degli spazi
ottenuti.
Nella cella PagCap vanno indicati gli ulteriori pagamenti in conto capitale (rispetto a quelli oggetto di
esclusione indicati in S16) effettuati utilizzando i maggiori spazi finanziari derivanti dall' esclusione del
comma 9­bis. Questi pagamenti indicati in PagCap, precisa la Rgs, non costituiscono un' ulteriore
esclusione dal saldo finanziario, ma vanno indicati solo per verificare la corretta applicazione della
norma. Secondo la norma, sostiene la Ragioneria, l' ente deve dimostrare che i maggiori spazi siano
stati utilizzati solo per pagamenti in conto capitale.
In altri termini, secondo l' originaria formulazione, se il Comune ha ricevuto spazio Patto per 40, ma ha
complessivamente pagato nel primo semestre in conto capitale 50, può decurtare solo 10 dal Patto. Se
ha complessivamente pagato 30 decurta zero; se ha pagato 60 decurta 20, se ha pagato 90 decurta 40.
Adesso il Dl 133/2014 modifica l' articolo 31, comma 9­bis, della legge 183/2011 in due punti. Al primo
periodo, dopo le parole «i pagamenti in conto capitale sostenuti» è inserito «nel primo semestre»; al
terzo periodo, le parole «derivanti dal periodo» sono sostituite da «derivanti dall' esclusione di cui al
periodo» e le parole «nel primo semestre dell' anno» sono sostituite da «entro l' anno».
Per il 2014 nel saldo finanziario non sono considerati (per un importo non superiore allo spazio) i
pagamenti in conto capitale sostenuti nel primo semestre dagli enti, che utilizzano i maggiori spazi
finanziari solo per pagamenti in conto capitale da sostenere entro il 2014. Quindi è rilevante, per l'
esclusione, il solo pagato in conto capitale nel primo semestre, nei limiti della franchigia ottenuta. La
condizione è che entro fine anno sia pagato complessivamente a titolo II almeno il doppio.
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Ne consegue, riprendendo l' esempio, che se lo spazio assegnato è 40 e l' ente nel primo semestre
2014 ha pagato solo 50 (quindi con beneficio di soli 10), avrà tempo fino al 31 dicembre prossimo per
pagare almeno 80 e ottenere così il beneficio assegnato di 40. Ma se l' ente ne primo semestre ha
pagato 30 ed entro fine anno pagherà 80, potrà comunque decurtare solo 30 non i 40 attesi, in quanto
rileva sempre il pagato del primo semestre; nel secondo semestre è possibile solo recuperare la
condizione necessaria al beneficio.
Non tutti gli enti però potranno permettersi questo per esigenze di copertura finanziaria, di rispetto del
saldo complessivo patto stesso e di tempi. In altri termini non tutti hanno fatture da liquidare su
investimenti già fatti e di conseguenza pur avendo pagato un importo pari alla franchigia non avranno i
benefici attesi.
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Tasi, assurde complicazioni
Delibere comunali di 600 pagine, scritte a penna, con equazioni complesse, con
detrazioni «per disabilità superiori al 100%» o aliquote più alte di quelle di legge.
Si chiama Iuc, imposta unica comunale, ma
non si capisce perché: si tratta infatti di tre
tributi ben distinti. La Tasi, imposta sui servizi
indivisibili, la Tari, tassa sui rifiuti e l' Imu,
imposta sugli immobili.
Tre imposte completamente diverse per
presupposto, modalità di calcolo, soggetti
passivi. Unite solo dalla confusione che ripetuti
interventi normativi sono riusciti a creare.
Adesso è la volta del primo acconto Tasi per la
maggior parte dei comuni italiani, cioè tutti
quelli che non sono riusciti ad approvare le
delibere entro il 31 maggio, ma le hanno
approvate entro il 10 settembre e pubblicate
entro il 18 settembre.
Mai come in questa occasione i cittadini italiani
dovranno subire i perversi effetti di una politica
fiscale orientata da demagogia e
pressapochismo e un' attribuzione di poteri
regolamentari agli enti locali che hanno creato,
a danno dei contribuenti, una vera e propria
galleria degli orrori.
Tanto per cominciare è il contribuente, o un
professionista da lui delegato (e pagato), che
deve preoccuparsi di capire i meccanismi dell'
imposta ed effettuare i calcoli per la sua
quantificazione: i pochi comuni che hanno
cercato di inviare un bollettino precompilato, si
sono trovati sommersi dalle proteste dei contribuenti che hanno riscontrato valanghe di errori. La prima
cosa da fare è trovare la delibera del comune (o dei comuni) nel quale è ubicato l' immobile.
Ci si può collegare al sito http://www.finanze.it/export/finanze/index.htm e digitare il nome del comune.
La delibera potrebbe non essere presente (e allora, probabilmente, significa che l' acconto del 16
ottobre non è dovuto e si pagherà in unica rata entro il 16 dicembre). Ma il contribuente potrebbe anche
avere la brutta sorpresa di trovarsi di fronte a più delibere. In questo caso non basterà leggere l' ultima
in ordine di tempo. Bisogna leggerle tutte, perché dopo la prima delibera (e il primo regolamento), il
comune spesso ha introdotto modifiche che vanno integrate con il primo testo. In alcuni casi si tratta di
500/600 pagine.
In altri casi, come per esempio nelle delibere del comune di Palermo, alcune modifiche sono fatte a
penna, con una grafia incomprensibile. In questi casi non resta che telefonare in municipio per avere l'
interpretazione autentica, sperando che dall' altra parte qualcuno risponda. Altre volte le delibere
comunali sono incomprensibili, o palesemente errate.
Per esempio il comune di Flero ha previsto, per calcolare la detrazione sull' abitazione principale una
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Italia Oggi Sette
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formula che prevede frazioni, parentesi tonde, quadre e graffe.
Anche l' equazione prevista dal comune di Ferrara richiede un certo impegno per essere risolta.
Ripabottoni ha invece previsto una detrazione di 200 euro a favore dei nuclei famigliari in cui sia
presente un soggetto con «disabilità superiore al 100%». Ad Agropoli è prevista l' aliquota dell' 1,5 per
mille per le unità immobiliari «in uso a familiari», lasciando nell' incertezza il grado di parentela. Bologna
fissa ben 24 diverse misure della detrazione da applicarsi all' abitazione principale. Ci sono poi
moltissime delibere formulate in modo ambiguo: per esempio a Milano non si capisce se la detrazione
per figli a carico sia limitata ai redditi più bassi o sia indipendente dal reddito dichiarato. O comuni che
hanno fissato aliquote più alte rispetto a quelle previse dalla legge. E che dire della riduzione del 50%
dell' imposta prevista nel comune di San Marco dei Cavoti a favore di chi adotta un cane randagio?
Anche sulle scadenze si è esercitata la fantasia perversa degli enti locali, costringendo così chi non
vuole sbagliare a una attenta lettura delle delibere anche per verificare questioni che dovrebbero essere
già risolte in via legislativa.
Quanto tempo dovranno perdere i cittadini italiani e i loro consulenti per stare dietro a questo delirio
normativo? Non è accettabile, in un paese civile, un' imposta che ha un costo di adempimento superiore
al gettito realizzato. O forse l' Italia non è più un paese civile.
P.S.
ItaliaOggi ha cercato di offrire un servizio utile ai suoi lettori rendendo disponibile sul proprio sito
(www.italiaoggi.it) il programma di calcolo della Tasi realizzato da Anutel: un software che tiene conto di
tutte le delibere comunali già depositate e che cerca di condurre l' utente al risultato finale, calcolo dell'
imposta e stampa del modello F24, nel modo più semplice e pratico possibile. All' interno di questo
numero di ItaliaOggi7 viene inoltre pubblicato un inserto estraibile con una Guida alla Tasi che
dovrebbe risolver la maggior parte dei dubbi dei lettori. Buona lettura.
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29 settembre 2014
Pagina 202
Italia Oggi Sette
Pubblica amministrazione
Gli avvocati bocciano la modifica introdotta dal governo per accelerare i giudizi.
Processo amministrativo, condannare alle spese non
serve
Il processo amministrativo funziona ed è efficiente così com' è,
sia nei modi che nei tempi. È quanto sostengono gli avvocati
amministrativisti, nonostante il «decreto semplificazioni» (dl
n.90 del 24 giugno 2014 convertito nella legge n.
114 dello scorso 11 agosto) agli articoli 40­42 abbia dato il via
a misure che portano a una ulteriore «velocizzazione dei
giudizi amministrativi». Il tutto da realizzare attraverso l' invio
telematico di comunicazioni e notifiche, insieme al disincentivo
delle liti temerarie, punite con un aumento delle spese di
giudizio pari al 10% del valore della controversia.
Secondo le intenzioni del governo, il provvedimento servirà a
risolvere il problema dei tempi lunghi dei procedimenti
amministrativi che avrebbero scoraggiato gli investimenti,
soprattutto quelli esteri verso l' Italia.
I legali intervistati da Affari Legali non sono d' accordo,
secondo loro di queste norme non si sentiva un reale bisogno.
In molti sottolineano come la maggior parte delle controversie
in tema di appalti sia ad oggi decisa, in primo grado, in un arco
temporale che va dai quattro ai sei mesi dalla notifica del
ricorso.
Secondo Tiziana Fiorella di Roedl & Partner, chi lavora in
questo settore del diritto non sentiva un reale bisogno di nuove
norme: «Del resto l' accelerazione è limitata al contenzioso
sugli appalti e non si estende al processo amministrativo in
generale, che è già piuttosto celere, soprattutto se confrontato
con il processo civile e quello penale».
Dello stesso parere è anche Alessandro Botto partner di
Legance Avvocati Associati e già componente del Consiglio di
Stato, capo di gabinetto del ministro della Funzione pubblica e
di quello del Commercio con l' estero, segretario generale dell'
Agcom e componente dell' Avcp: «Probabilmente non ce n' era
bisogno, tenuto conto che la norma vigente già consentiva un'
adeguata condanna per lite temeraria della parte soccombente.
Si rischia ora di creare confusione e sovrapposizione di
sanzioni. L' esperienza insegna che è meglio infliggere
sanzioni, anche di minore entità, ma certe nei loro presupposti
e nella loro applicazione».
Questi interventi sul processo amministrativo, anche se riferiti
alla sola materia degli appalti, non colgono nel segno, secondo
Filippo Satta, fondatore dell' omonimo studio legale.
«Non si può fare di ogni erba un fascio: ci sono cause semplici e cause difficili, difficilissime, in cui ad
esempio può ravvisarsi un contrasto tra la norma italiana e quella comunitaria. Il caso tipico è quello
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29 settembre 2014
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delle cause di esclusione previste dall' art.
38 del codice degli appalti.
Porre termini fissi per la pubblicazione di una sentenza non mi sembra corretto. In alcuni casi è
certamente possibile, in altri, certamente no». Per l' amministrativista non si deve poi dimenticare «che
il numero di giudizi depositati presso il giudice amministrativo è elevato.
Di fronte al solo Tar Lazio si parla di 10.000 nuovi ricorsi all' anno. Se si applicasse rigorosamente la
norma dell' art.
42 che introduce il nuovo comma 6 bis dell' art. 120 cod. proc.
amm. la gestione di tutti questi ricorsi, specie di quelli con esigenze cautelari serie, diverrebbe
difficilissima. E poi non solo gli appalti hanno carattere di urgenza». Sulla soccombenza, Satta è molto
contrario: «l' idea che il soccombente debba essere punito è da deplorare. Certo si vedono ogni tanto
ricorsi che 'gridano vendetta'. Ma proprio per questi esiste la figura della lite temeraria, che è cosa molto
diversa dalla punizione del soccombente. Comunque, questa norma sembra in chiaro contrasto con la
cosiddetta 'direttiva ricorsi' dell' Ue».
Le novità introdotte con il Dl 90/2014 vanno nella direzione di consentire un più facile accesso alla
giustizia da parte di chi ritenga di poter ottenere una decisione favorevole, mirando ad eliminare, di
fatto, una significativa porzione di contenzioso su casi la cui previsione di esito favorevole risulta ex ante
incerta. Per Antonella Terranova, socio di De Berti Jacchia Franchini Forlani con questa chiave di lettura
vanno valutate la possibile condanna per lite temeraria e l' obbligo di prestazione di cauzione in caso di
provvedimenti di sospensione degli atti di gara impugnati in materia di appalti, a fronte di un'
accelerazione di taluni procedimenti (rito appalti) e dell' implementazione definitiva di un efficiente
sistema di processo telematico. In particolare, sottolinea l' avvocato «il rito appalti ha subito un' ulteriore
spinta verso la velocizzazione dell' adozione delle pronunce, attraverso l' introduzione di una tempistica
davvero accelerata e premiante, lo si ripete, per coloro che otterranno una pronuncia satisfattiva,
peraltro in forma semplificata».
Con riferimento poi alla introduzione di una sanzione ad hoc per il caso «di decisione fondata su ragioni
manifeste», Mauro Pisapia, partner dello Studio Lombardi Molinari Segni rileva come, si tratti di
duplicazione «di dubbia legittimità della condanna per lite temeraria già prevista nel codice del
processo amministrativo (cfr. in particolare l' art. 26 che, al primo comma, richiama espressamente la
previsione di cui all' art. 96 del c.p.c. in tema di risarcimento danni su istanza di parte per
«responsabilità aggravata», e al secondo comma, contempla pure la condanna d' ufficio per condotta in
mala fede della parte soccombente)», e sulla previsione della possibilità di condanna fino all' 1% del
valore della commessa pubblica a carico della parte soccombente osserva che «stante la scarsa
propensione del giudice amministrativo a disporre la condanna alle spese allorché la parte
soccombente sia rappresentata dalla pubblica amministrazione, tale novità normativa rischia di risultare
eccessivamente penalizzante per il privato ricorrente, e ciò sia che si trovi ad essere condannato a
pagare questo nuovo balzello processuale in caso di rigetto del ricorso, sia che, pur vincendo la causa,
non trovi adeguato ristoro a seguito della ritrosa applicazione della norma nei confronti della pa
soccombente».
Per Damiano Lipani name partner dello studio Lipani, le nuove norme lasciano presagire gravi difficoltà
applicative, senza garantire risultati che siano veramente «ulteriori» rispetto a quelli già raggiunti e fa
alcuni esempi: «Innazitutto, la previsione, sempre e comunque, di mere sentenze semplificate non tiene
conto della complessità e della articolazione dei contenziosi in materia di appalti, rischiando di
pregiudicare l' approfondimento istruttorio e la completezza del corredo motivatorio; c' è poi una
contrazione dell' istruttoria in soli trenta giorni, che egualmente non tiene conto dell' accennata ricorrente
complessità delle fattispecie che caratterizzano la materia. Inoltre c' è la subordinazione dell' efficacia
della misura cautelare alla prestazione di una cauzione, che collide con il diritto di difesa e con il
sistema dello stand still di matrice comunitaria».
La vera svolta del contenzioso amministrativo in materia di appalti sarebbe secondo Lipani nella
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modifica delle norme sostanziali, anziché di quelle processuali: «si pensi all' art.
38 del Codice appalti (relativo alle dichiarazioni 'di moralità' che amministratori e procuratori delle
società che partecipano alle gare pubbli
che devono rendere) e alla numerosità delle controversie, molto spesso strumentali, che ha originato».
È sulle disposizioni «sensibili» del Codice appalti che si deve lavorare in modo serio per scongiurare il
contenzioso non certo su un processo già effica
ce e funzionante e, comunque, di sicuro non in modo da comprimere ulteriormente il diritto di difesa». A
queste novità si accompagna anche l' aumento del contributo unificato che solleva dubbi e perplessità
come sottolinea l' avvocato Terranova, «anche in considerazione della pendenza di un rinvio
pregiudiziale della Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino Alto Adige ­ Sezione di
Trento, con ordinanza 29.01.2014 n.23, che ha rimesso alla Corte di Giustizia la question
e della compatibilità dei precedenti aumenti con le direttive europee in materia di appalti pubblici».
Secondo Lipani l' unico neo del processo amministrativo era, ed è tuttora, «l' onere, davvero eccessivo,
ai limiti dell' incostituzionalità, come rilevato anche da una parte della magistratura amministrativa ed
infatti sottoposto al giudizio della Corte di Giustizia Europea, previsto per l' accesso alla giustizia: quel
contributo unificato da migliaia di euro, che lungi dal deflazionare il contenzioso si è tradotto in motivo di
ulteriore sperequazione tra imprese più forti e strutturate ed imprese medio­piccole. Peraltro, sembra
evidente che il vero obiettivo dell' imposizione di un onere così rilevante è sì ridurre il contenzioso, ma al
solo fine di non dover corredare gli uffici giudiziari di dotazioni, in ter
mini di organizzazione e di personale, invece assolutamente necessarie per amministrare la giustizia».
Affari Legali ha chiesto ai professionisti del settore non troppo convinti dell' effettivo bisogno di questa
norma dove e come sarebbe stato più utile intervenire. L' opinione di Tiziana Fiorella è che «sarebbe
forse stato opportuno intervenire a monte, sulle regole del procedimento amministrativo, sulle esigenze
di snellezza e concentrazione, sulla preparazione degli operatori della P.a. che le regole le applicano,
sull' emanazione di norme chiare, efficaci, di applicazione e
d interpretazione univoche, che diano certezza al diritto nel momento della sua applicazione concreta.
Solo così è possibile ridurre il contenzioso, limitando concretamente i motivi per ricorrere alla giustizia amministrativa».
Secondo Filippo Satta uno snodo cruciale per migliorare l' efficienza del processo amministrativo
sarebbe l' accorpamento dei ricorsi, in modo da avere udienze 'tematiche'. «Questo richiederebbe
naturalmente anche un coordinamento delle informazioni ai partecipanti alla gara (ed agli esclusi da
essa) in modo da fissare un
termine unico per i ricorsi contro le fasi preliminari ed un altro per il merito» spiega l' avvocato. Per gli
avvocati amministrativisti non c' è stata nessuna rivoluzione del settore con l' introduzione di queste
norme. Per Doris Mansueto dello studio Macchi di Cellere Gangemi la vera rivoluzione del processo
amministrativo deve ancora essere attuata e non può che passare attraverso l' introduzione di norme
che diano certezza circa i tempi di definizione del processo ordinario, ovvero «che consentano alle parti
del giudizio di sapere quali sono i tempi necessari per ottenere una sentenza su tutti i procedimenti che
non sono soggetti al rito accelerato. Resta il fatto che qualunque intervento volto ad accelerare la
definizione dei processi amministrativi non può risolvere da solo il problema della carenza degli
investimenti in Italia ove si consideri che il vero problema del diritto amministrativo è dato dall' esistenza
di troppe norme, spesso poco chiare e non coordinate, e dalla eccessiva lentezza degli iter burocratici».
Secondo Botto, invece, non c' è bisogno di una vera rivoluzione, ma di limitati e puntuali aggiustamenti.
«Se confrontiamo le statistiche sulla durata dei giudizi», spiega l' avvocato, «ci accorgiamo subito che il
processo amministrativo è l' unico che funziona in tempi ragionevoli e che dà risposte adeguate al
sistema. Probabilmente ciò è frutto anche della «genesi pretoria» del processo amministrativo,
inventato dalla stessa giurisprudenza, e quindi particolarmente duttile rispetto alle esigenze operative e
idoneo ad adattarsi alla realtà che cambia nel tempo. Oggi tutto questo è un po' meno vero, tenuto conto
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che dal 2010 le regole del processo amministrativo sono state codifi
cate, ma il continuo lavorio della giurisprudenza amministrativa si sente comunque in senso benefico».
Per Tommaso Paparo, name partner dello studio legale Pietrosanti Paparo & Associati ­ Regula
Network, «le modifiche introdotte non hanno una reale portata innovativa o propulsiva verso una
maggiore efficacia della giustizia amministrativa, soprattutto in materia di contratti pubblici: sono
semmai espressione dell' esigenza invasiva di redigere una disposizione di legge per ogni possibile e/o
auspicabile precetto. Un eccesso di produzione normativa che va a sostituirsi e sovrapporsi all'
elaborazione giurisprudenziale o ai normali atti di organizzazione ed indirizzo degli organi di governo della magistratura amministrativa. Basti pensare, ad esempio, che il d.lgs. n.
104/2010 (Codice del processo amministrativo) tra i principi generali già prevede quanto ora previsto
dalla novella introdotta: in particolare, all' art. 2 , comma 2, che "Il giudice amministrativo e le parti
cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo." ed all' art. 3, comma 2, che "Il gi
udice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica"». Inoltre, prosegue Paparo, «l' art. 39
(norma di c.d. "Rinvio esterno") prevede espressamente che "Per quanto non disciplinato dal presente
codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di
principi generali.". Basterebbe applicare quindi il cpc, anche per la fase istruttoria, piuttosto che dover
sempre scomodare il legislatore. Stessa considerazione per le comunicazioni elettroniche a mezzo
pec». Insomma, conclude Paparo, «il d.l. 90 non ha una reale portata innovativa; meglio sarebbe dare
corretta e completa attuazione di quanto è già scritto o tracciato. Assume piuttosto un sapore dirigistico
che svilisce la sensibilità e la valutazione equitativa del giudice che di norma entra nelle pieghe dei
casi concreti assumendo il peso della decisione, anche in ordine alle conseguenze della
soccombenza». Le novità sul processo amministrativo di recente introdotte servono o no? La risposta è
si, ma non bastano. Per Francesco Sciaudone fondatore e partner di Grimaldi Studio Legale oltre che
Professore all' Universitas Mercatorum bisognerà infatti intervenire in modo organico sul processo
amministrativo in particolare sul settore dei contratti pubblici, per modernizzarlo in modo da adeguarlo a
quanto dovrà essere fatto con il recepimento delle nuove direttive europee
su appalti e concessioni (facendo ovviamente attenzione a rispettare anche la cd. Direttiva ricorsi). In
particolare, la fase cautelare se è vero che non deve diventare lo strumento per intralciare la
realizzazione degli interventi pubblici deve però riacquistare la dignità di un vero e proprio giudizio, con
udienze vere e non virtuali come spesso accade per il 'ruolo' impressionante che sono chiamati a
gestire i giudici, con la possibilità quindi di un reale confronto tra giudici e avvocati, che consenta di aiutare la risoluzione delle controversie».
PAGINE A CURA DI MARIA CHIARA FURLÒ
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Lo ha affermato il tribunale amministrativo regionale per la campania.
P.a. lenta, indennizzo solo se c' è stato un danno
È necessario dimostrare che la situazione d'
incertezza ingenerata dall' inosservanza del
termine di durata del procedimento da parte
della pubblica amministrazione abbia prodotto
un danno, patrimoniale o non patrimoniale. Lo
hanno sottolineato i giudici della V sezione del
Tar per la Campania, con sentenza n. 4988
dello scorso 19 settembre.
Secondo un recente orientamento
giurisprudenziale «la risarcibilità del
cosiddetto danno da ritardo "puro", vale a dire
del pregiudizio derivante dal solo fatto dell'
inerzia dell' amministrazione e a prescindere
dalla spettanza del "bene della vita", oggetto
del procedimento (ovvero a prescindere dalla
conclusione della procedura concorsuale e
dall' effettivo inquadramento quali vincitori),
implica l' allegazione e prova di tutti gli
elementi costitutivi della responsabilità,
compresa l' esistenza del danno, che non è in
re ipsa (Tar Toscana, Firenze, sez. I, 22
gennaio 2014, n.
138)».
Già il Consiglio di stato con una recente
sentenza ebbe modo di osservare che «se è
vero che l' art. 2­bis della legge n.
241/1990 rafforza la tutela risarcitoria del
privato nei confronti dei ritardi delle pubbliche
amministrazioni, stabilendo che esse e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno
ingiusto cagionato in conseguenza dell' inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento, tuttavia, la richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante
dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole, se, da un lato, deve essere
ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi per l' ontologica natura delle posizioni fatte
valere, dall' altro, in ossequio al principio dell' atipicità dell' illecito civile, costituisce una fattispecie «sui
generis», di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell' alveo dell' art. 2043
c.c. per l' identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità.
Di conseguenza l' ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio,
presumersi «iuris tantum», in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell' adozione del
provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art.
2697 c.c., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare,
sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello
stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) (Cons. di
st.
, sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63)» Ciò significa che, «l' art.
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2­bis, comma 1, legge 7 agosto 1990, n. 241, nel prevedere il danno per l' inosservanza del termine di
conclusione del procedimento, non collega, però, l' ipotesi risarcitoria al mero superamento del termine
procedimentale (senza che sia intervenuta l' emanazione del provvedimento finale), ma pone l'
inosservanza del termine normativamente previsto come presupposto causale del danno ingiusto
eventualmente cagionato «in conseguenza» dell' inosservanza dolosa o colposa di detto termine»
(Cons. di st., sez. IV, 20 maggio 2014, n. 2543).
In pratica, osservano i giudici amministrativi campani, la sola violazione del termine di durata del
procedimento, di per sé, non dimostra l' imputabilità del ritardo, potendo la particolare complessità delle
attività prescritte o il sopraggiungere di evenienza non imputabili all' amministrazione escludere la
sussistenza della colpa.
MARIA DOMANICO
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