Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Direttore: Francesco Gui (dir. resp.). Comitato scientifico: Antonello Biagini, Luigi Cajani, Francesco Dante, Anna Maria Giraldi, Francesco Gui, Giovanna Motta, Pèter Sarkozy. Comitato di redazione: Andrea Carteny, Stefano Lariccia, Francesca Romana Lenzi, Immacolata Leone, Chiara Lizzi, Daniel Pommier Vincelli, Pamela Priori, Vittoria Saulle, Luca Topi, Giulia Vassallo. Proprietà: “Sapienza” - Università di Roma. Sede e luogo di trasmissione: Dipartimento di Storia moderna e contemporanea, P. le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma tel. 0649913407 – e - mail: [email protected] Decreto di approvazione e numero di iscrizione: Tribunale di Roma 388/2006 del 17 ottobre 2006 Codice rivista: E195977 Codice ISSN 1973-9443 Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Indice della rivista gennaio - marzo 2011, n. 18 MONOGRAFIE E DOCUMENTI Grande fra i piccoli: l’Olanda e la nascita delle Comunità europee. La partecipazione olandese alla costruzione comunitaria tra apporti, tensioni e contraddizioni (1945-1966) (Seconda parte) di Giulia Vassallo p. 4 UN MANIFESTO PER VENTISETTE PAESI. LA TRADUZIONE DEL MESSAGGIO DI VENTOTENE NELLE LINGUE UFFICIALI DELL'UNIONE EUROPEA p. 151 Presentazione ES3w p. 152 Introduzioni dei docenti e traduzioni Italia Presentazione a cura di: Francesco Gui Testo p. 155 p. 159 Francia / France Presentazione e supervisione a cura di / Présentation et supervision par: Gianfranco Rubino p. 182 Traduzione di / Traduction par: Tatiana Cescutti p. 184 Germania / Deutschland Presentazione e supervisione a cura di / Praësentation und Aufsicht: Mauro Ponzi Übersetzung von: Susanne Lippert p. 208 p. 211 Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Paesi Bassi / Nederland Presentazione e supervisione a cura di / Presentatie en toezicht op: Fiorella Mori Traduzione di / Vertaling door: Ludo Dierickx p. 239 p. 242 Belgio / Belgique / Belgien / België Présentation par Francesco Gui Praësentation von Francesco Gui Presentatie door: Francesco Gui Traduzione di / Traduction par / Übersetzung von / Vertaling door: Tatiana Cescutti (Français) Susanne Lippert (Deutsch) Ludo Dierickx (Nederlandse) p. 267 p. 270 p. 273 p. 184 p. 211 p. 242 Lussemburgo / Luxembourg / Luxemburg Présentation par Praësentation von: Giulia Vassallo Praësentation von: Giulia Vassallo Traduzione di / Traduction par / Übersetzung von Tatiana Cescutti (Français) Susanne Lippert (Deutsch) p. 276 p. 279 p. 184 p. 211 INTERVENTI E RECENSIONI Books and Articles Reviews di Lorenzo Kamel p. 282 G. Motta, Baroni in camicia rossa. Passigli, Firenze 2011 di Antonello Battaglia p. 288 Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Grande fra i piccoli: l’Olanda e la nascita delle Comunità europee. La partecipazione olandese alla costruzione comunitaria tra apporti, tensioni e contraddizioni (1945-1966). (Seconda parte) di Giulia Vassallo III. Jan Willem Beyen architetto del Mercato comune (1952-1957) L’arrivo di Beyen all’Aja Pur nella complessità della situazione, fu la prolungata instabilità governativa, che si protrasse pressoché senza interruzioni dal 24 gennaio 1951 al 1 settembre 1952 (eccezion fatta per la breve parentesi del secondo gabinetto Drees1) e che fu apparentemente innescata da fattori esogeni, benché di fatto espressione di una diffusa esigenza di ricambio ai vertici dello stato, ad avviare nei Paesi Bassi quella che, anche allo sguardo retrospettivo, risulta essere stata la stagione di più intensa progettualità politica in materia di integrazione europea2. Una svolta creativa che, tuttavia, non rappresentò né il riflesso di una concreta vocazione integrazionista dell’Aja, unanimemente condivisa a livello di élites culturali e di governo, né, tanto meno, una risposta alle sollecitazioni della frangia federalista – peraltro non così nutrita - dell’opinione pubblica nazionale. La nuova coalizione ricalcò di fatto, nella maggioranza dei componenti e degli schieramenti politici, il precedente governo. A conferma di ciò basti considerare che lo stesso VVD, che pure aveva provocato la crisi, era riuscito a mantenere il proprio leader, Stikker, al vertice del ministero degli Esteri. Di là da questi aspetti, pure fondamentali, che non fosse avvenuto un cambiamento effettivo risultò soprattutto dall’incapacità del nuovo governo di trovare una soluzione alle problematiche che avevano condotto alle dimissioni del suo predecessore, tra cui, in primis, il problema indonesiano. Cfr. P.P.T Bovend’Eert, H.M.B.M. Kummeling, Het Nederlandse parlement, Berts Arts bNO, Nijmegen/Utrecht, 2004, p. 396. 2 Cfr. Anjo G. Harryvan, In Pursuit of Influence. The Netherlands’European Policy during the Formative Years of the European Union, 1952-1973, P.I.E. Peter Lang, Brussels, 2009, pp. 35-39. 1 4 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Al contrario, chiave di volta del cambiamento fu la comparsa sulla scena di un nuovo ministro degli Esteri, Johan Willem Beyen3, il quale, di ritorno da Washington, fece spirare sulle guglie gotiche del Binnenhof, nonché sull’intero Vecchio continente, i venti dell’Atlantico, carichi di tensioni europeistiche, di tradizioni federaliste mescolate al pragmatismo di scuola calvinista, nonché di dirompente attivismo e innovazione. Le vicende legate alla nomina e all’attività ministeriale di Beyen sono tutt’altro che spiegabili con le tradizionali logiche spartitorie interne ai partiti e restano a tutt’oggi poco conosciute, almeno tra gli storici nostrani, così come scarsamente approfondita risulta l’analisi del suo progetto per l’Europa e dei principi che lo ispirarono. È indubbio, tuttavia, che, come ricorda lo studioso olandese Jan-Willem Brouwer, non soltanto Beyen “réussit presque tout seul à persuader son gouvernement de changer sa politique européenne”, ma soprattutto che il suo passaggio, per quanto repentino e circoscritto, lasciò effettivamente un segno indelebile nelle pagine della storia dell’integrazione europea. Senza contare, d’altro canto, che il suo piano per il rilancio della Comunità gettò di fatto le fondamenta teoriche e programmatiche su cui l’edificio brussellese si resse almeno per i successivi trent’anni. Ragioni, queste, che da sole appaiono sufficienti a giustificare il tentativo di restituire all’uomo, all’economista e al politico la dignità storiografica che merita, non solo come figura centrale dell’europeismo dei Paesi Bassi4, ma soprattutto come ospite illustre del Pantheon dei padri dell’Europa. Jan-Willem Brouwer sintetizza efficacemente l’impressione che i coevi ebbero dell’uomo, appena egli fu designato al vertice del Buitenlandse Zaken: “Les témoins néerlandais le décrivent comme «peu hollandais». Aux yeux de ses compatriotes, il paraissait comme un cosmopolite et un bon vivant: avec son intellect, son charme et sa légèreté. En effet, Beyen cultive une certaine désinvolture. Le titre de ses mémoires, Het spel en de knikkers («Le jeu et le billes»), est une référence à l’expression néerlandaise selon laquelle il est plus important de participer à un jeu que d’y gagner. Beyen aime citer le mot de Cyrano de Bergerac: «…c’est bien plus beau lorsque c’est inutile». Il est cependant intéressant de noter que ses homologues européens, tout en montrant leur bienveillance, le décrivent justement comme ‘hollandais’, en insistant sur sa persévérance. Spaak parle d’un homme «de volonté et d’intransigeance» et Christian Pineau, ministre français des affaires étrangères en 1956-1957, évoque un homme «courtois, d’une grande franchise d’expression». Cfr. J.-W. Brouwer, “Jan-Willem Beyen, Européen sur le tard”, in Sylvain Schirmann (dir.), Robert Schuman et les Pères de l’Europe. Cultures politiques et années de formation, P.I.E. Peter Lang, Bruxelles, 2008, pp. 257-267, qui pp. 257-258. 4 Anche in Olanda, ad ogni modo, si evidenzia una scarsa attenzione storiografica per la vicenda biografica, personale e pubblica, del personaggio. L’unica biografia esistente, infatti, risulta ad oggi il lavoro a cura di Willem Herman Weenink, Johan Willem Beyen, 1897-1976: bankier van de wereld, bouwer van Europa, uscito ad Amsterdam, per i tipi di Prometheus e a Rotterdam con NRC Handelsblad nel 2005. 3 5 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Perché Beyen Il 25 giugno 1952, con le dimissioni del secondo governo Drees, si concludeva senza successo anche l’esperienza di (in)formatore, iniziata il 27 febbraio 1951, del leader storico del KVP, Carl Romme5, che pure, sulle prime, sembrava essere riuscito nell’impresa - già fallita da altri illustri omologhi, nella fattispecie Stikker6, Drees-Van Schaik7 e Steenberghe8 - di condurre il paese fuori dalla crisi Romme adottò una strategia differente: chiese direttamente ai partiti la loro disponibilità ad entrare nel nuovo governo. Tutti aderirono all’invito ad eccezione del partito antirivoluzionario (ARP). Cfr. ibidem. Questa soluzione, tuttavia, a detta di Drees, piuttosto che il risultato di un’abile manovra politica messa in atto da Romme, sarebbe stata imposta dalla gravità della situazione internazionale. Cfr. ASMAE, DGAP, I, Olanda 1950, b. 257, Supplement to A.N.P. – Aneta Bulletin: The new government’s programme, statement in Parliament bt Prime Minister Dr. W. Drees on March 17th 1951. L’interpretazione di Drees, peraltro, sembra ampiamente condivisa da Stikker: “In the beginning of March, Romme, as informateur, seemed to be succeeding. His program was approved by five parties. […] The crisis had now lasted seven weeks, and it seemed to me that all possibilities were exhausted. I felt that now I had to take a firm stand and that the time had come for strong measures. I therefore asked to be present at the meeting of the party’s Parliamentary groups from the two Chambers, in which the decision on the reply to Romme was to be taken”. Cfr. D.U. Stikker, Men of Responsibility…, cit., pp. 246-247. 6 Nelle sue memorie, il ministro degli Esteri uscente, incaricato (in)formatore il 28 gennaio e rimasto in carica appena cinque giorni, illustra, non senza accenni di rammarico, le circostanze in cui maturò la sua nomina: “The next in order to form a Cabinet, as I resigned first, was myself. After the Queen discussed this possibility with me, telephoned to me, and followed up with ‘strictly private’ letters to me, I finally accepted, not to be the formateur, but the informateur. […] By this device I sought to indicate that I did not want, and knew that I should not desire, ever to become Prime Minister or Vice-Prime Minister. […] But I believed that perhaps I could help Her Majesty by trying to obtain information on how a Cabinet could be formed at that time. This would be my contribution to paying for the broken china”. Cfr. D.U. Stikker, Men of Responsibility…, cit., p. 242. Fu questa la prima volta che la Corona, nella fattispecie la regina Juliana, affidava l’incarico di (in)formatore a un ministro dimissionario. (L’ambasciatore italiano all’Aja, Carissimo, avrebbe infatti definito “ufficioso” l’incarico dato a Stikker). Il carattere del tutto inedito di tale episodio ha indotto alcuni studiosi a ritenere che l’evento abbia costituito, di fatto, l’atto di nascita della figura stessa dell’(in)formatore. Cfr. Pieter P.T. Bovend’Eert, Henk R.B.M. Kummeling, Het Nederlandse parlement, cit., p. 373. A detta di Stikker, tuttavia, come si è visto, al fondo di quell’insolita decisione stavano ragioni ben precise. Juliana infatti, che pure riteneva l’ex ministro personalmente responsabile della crisi di governo , piuttosto che consentirgli di allontanarsi silenziosamente dalla scena, lasciando ad altri l’onere di ricomporre una dirigenza apparentemente frantumata, aveva risolto di obbligarlo, seppur indirettamente, a rispondere delle proprie azioni. Cfr. D.U. Stikker, Men of Responsibility…, cit., p. 242. Quanto alle ragioni che determinarono il fallimento di Stikker, stando a Carissimo, si sarebbe trattato dell’ “opposizione dei laburisti al programma economico di emergenza per la difesa che egli intendeva realizzare”. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Carissimo al Ministero degli Affari Esteri, Telespresso N. 567/185, Crisi governativa olandese, 23.2.1951. 7 Nel Telespresso N. 567/185 Carissimo spiegava alla Farnesina le motivazioni alla base dell’insuccesso del duo Drees/Van Schaik nei termini che seguono: “Durante la seconda fase che 5 6 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 e di comporre una coalizione solida e legittimata dalla fiducia della Tweede Kamer. I Paesi Bassi riuscirono a ritrovare un’autentica stabilità interna, cioè un governo capace di superare il primo anno di vita, soltanto a partire dal 2 settembre 1952, allorché, in virtù delle “fatiche congiunte dei Ministri Staf, Drees e Beel”9, entrò in carica la nuova coalizione, meglio nota come terzo è durata più di due settimane il Presidente e il Vice Presidente del Consiglio uscenti Drees (laburista) e Schaik (cattolico) investiti dell’incarico sovrano hanno cercato invano di ricostituire il vecchio Gabinetto, mantenendo nei Dicasteri più importanti i Ministri dei loro rispettivi partiti (6 Ministri cattolici e 6 laburisti) e offrendo i rimanenti tre posti uno a ciascuno dei tre partiti minori: il liberale, il cristiano-storico (conservatore) e l’anti-rivoluzionario (conservatore). Drees e Schaik hanno però commesso un grave errore: hanno prima elaborato in seno al Gabinetto, come se questo non fosse dimissionario, un programma economico di emergenza che non hanno nemmeno discusso con gli esponenti dei tre partiti minori e poi hanno sollecitato l’appoggio di questi ultimi. Volevano costituire il Ministero su larga base parlamentare, mantenendo però intatto il binomio cattolico-laburista e offrendo all’una o all’altra figura secondaria dei partiti minori i Ministeri meno importanti. Unica eccezione facevano per il portafoglio degli Esteri, di nuovo offerto a Stikker, il quale a tali condizioni naturalmente non ha accettato”. Cfr. Ibidem. 8 Stando a quanto riportato al Ministero degli Affari Esteri di Roma dall’ambasciatore italiano all’Aja, Carissimo, “con l’incarico dato dalla Regina al signor Steenberghe di formare il Gabinetto…, il lento e laborioso svolgimento della crisi apertasi il 24 gennaio u.s. è entrato nella terza fase”. Quanto alla personalità designata dalla Corona per formare il nuovo governo, precisava Carissimo: “Steenberghe non è un uomo nuovo: fu Ministro degli Affari Economici prima della guerra per circa tre anni: svolse poi per conto del suo governo un’importante missione economica negli Stati Uniti durante e dopo la guerra; ritornò in Olanda nel 1946 e da allora non si è occupato più di politica e si è dedicato agli affari. Egli riappare ora sulla scena a 52 anni con il vantaggio di essersi tenuto fuori dalla politica negli anni scorsi fino a farsi dimenticare e con la fama di eminente esperto economico”. Ibidem. Per quanto il compito affidato a Stikker dalla Corona si presentasse fin dall’inizio di non semplice realizzazione, giacché, stando a Carissimo, “non si tratta soltanto di una crisi ministeriale ma di una crisi più profonda, connessa con la difficile situazione economica del Paese, egli poteva comunque contare sull’appoggio pressoché trasversale da parte della stampa nazionale e della stessa opinione pubblica, presso la quale si era affermato come “eminente esperto economico” più che di politico di antico pelo. 9 Con queste parole Murari allude alla complessità del compito affidato congiuntamente ai tre ministri. Anche in questo caso, fa notare l’ambasciatore italiano all’Aja, si trattò di una soluzione inedita, giacché, fino ad allora, l’incarico di formatore era stato affidato sempre e soltanto ad un leader di partito, colui che, come si ricorderà, avrebbe poi assunto, almeno nella prassi, la carica di Presidente del consiglio. Murari spiega efficacemente le ragioni al fondo dell’incarico congiunto: “Il nuovo Gabinetto, frutto delle fatiche congiunte dei Ministri Staf, Drees e Beel, investito collettivamente dell’incarico di trovare finalmente una soluzione dopo l’insuccesso del dott. Donker, rappresenta un compromesso delle varie formule successivamente tentate e abbandonate dai primi tre ‘formatori’ singolarmente designati Drees, Beel e Donker”. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Murari a Ministero degli Affari Esteri, Telespresso Urgente, Il nuovo Governo olandese, 2.9.1952, p. 2. 7 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 gabinetto Drees, guidata, come di consueto nei Paesi Bassi, da una robusta maggioranza cattolico-socialista e sostenuta da CHU e ARP, con quest’ultimo che aveva sostituito il VVD - sul quale, come si è visto, gravava la responsabilità di aver aperto la crisi10 - come partito di governo11. Tale modifica comportò un La crisi governativa, infatti, era stata determinata dalla mozione di sfiducia presentata dal liberale Pieter J. Oud, il quale, nel lungo periodo di assenza di Stikker dall’Aja, aveva assunto la guida del partito. Commenta Stikker: “We were a program Government, composed of ministers from four parties. If any one of the parties, including my own, unanimously withdrew its confidence, the basis of the Government had disappeared. […] Oud I felt, had made no contribution to this mutual understanding, neither in December, 1949, when, without prior consultation, he had proposed an amendment to the law transferring sovereignty, nor in May, 1950, when, again without prior consultation, he published his article of January 2, 1951. […] During the debate, under pressure from several sides, Oud at last made it abundantly clear that his motion was one of censure. He disqualified the Cabinet by declaring: ‘This is a weak Cabinet. It is tired. It cannot cope any longer with the problems’. […] Romme fully supported the Cabinet against Oud’s no-confidence motion. The Government had a good majority. My party, however, voted for the motion. I therefore resigned”. Cfr. D.U. Stikker, Men of Responsibility…, cit., pp. 239-242. Tali considerazioni potrebbero anche spiegare per quale motivo Drees, all’atto di formare il suo terzo gabinetto, abbia deciso di ripartire il portafoglio degli Esteri. Se, infatti, gli impegni istituzionali non avessero costretto Stikke ad allontanarsi dall’Aja per periodi così prolungati, probabilmente Oud non avrebbe avuto spazio di manovra sufficiente per portare avanti la sua mozione di sfiducia. Conferma, implicitamente, Murari: “Come si è già riferito, lo sdoppiamento del Ministero degli Esteri, era stato ideato dal formatore Donker sia per ragioni di dosaggio politico, per dare i due posti ai Cattolici in compenso della loro rinuncia al Ministero degli Affari Economici, sia per ragioni pratiche, al fine di meglio articolare quella Amministrazione in relazione ai sempre crescenti impegni internazionali che distoglievano troppo frequentemente l’unico Ministro dalla sede”. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Il nuovo Governo olandese, cit., p. 3. Una ricostruzione sintetica ma efficace delle condizioni in cui maturò la crisi di governo del 1951 si ritrova in R.J.J. Stevens, De lichte kabinetscrisis van mei 1950. Oud en het zelfbeschikkingsrecht voor de Indonesische minderheden, in «Politieke Opstellen», n. 14, Nijmegen, 1994, http://www.ru.nl/cpg/overige_publicaties/politieke_opstellen/#14 11 È interessante riprodurre, a tale proposito, parte del “Telespresso urgente” inviato, il 5 settembre 1952, da Murari alla Farnesina: “Il nuovo Governo olandese, formato dal laburista dott. Drees nella decima settimana della crisi governativa e nominato con Regio Decreto del 1° c.m., risulta così composto: Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Generali Dott. Drees (laburista); Vicepresidente e Ministro dell’Interno Prof. dott. L.J.M. Beel (cattolico); Ministri degli Affari Esteri Dott. J.W. Beyen (senza Partito) Dott. J.M.A.H. Luns (cattolico); Ministro della Giustizia Dott. L.A. Donker (laburista); Ministro delle Finanze Sig. J. Van de Kieft (lab.); Ministro della Guerra Ing. C. Staf (crist. storico); Ministro degli Affari Economici Prof. dott. J. Zijlstra (antirivoluzion.); Ministro dell’Educazione, Arti e Scienze Dott. J.M.L.T. Cals (cattolico); Ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni Dott. J. Algera (antirivoluzion.); Ministro dell’Organizzazione Industriale Sig. A.C. de Bruijn (cattolico); Ministro dell’Agricoltura, Pesca e Alimentazione Sig. S.L. Mansholt (laburista); Ministro degli Affari Sociali e della Pubblica Sanità Sig. J.G. Suurhoff (laburista); Ministro della Ricostruzione e degli Alloggi Ing. H.B.J. Witte (cattolico); Ministro degli Affari del Regno Prof. dott. W.J.A. Kernkamp (cristiano storico). 10 8 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 ricambio per così dire strutturale ai vertici del Buitenlandse Zaken, che ebbe ricadute importanti soprattutto sulla politica olandese in Europa. Con l’allontanamento di Stikker, infatti, non soltanto tramontava la strategia europea di cui il leader liberale era stato ispiratore – fondata, come si è visto, sui due principi irrinunciabili del mantenimento della special relationship con Londra e sulla difesa dell’autonomia decisionale dei piccoli stati - e che, di fatto, aveva dettato i tempi e le modalità dell’adesione dei Paesi Bassi alla Comunità dei Sei12. Ma anche e soprattutto venne maturando nel premier Drees l’idea di procedere a un’inedita ripartizione del portafoglio degli Esteri13, giustificando tale decisione con la necessità di agevolare il funzionamento del dicastero, sopperendo cioè allo straordinario sovraccarico lavorativo che quest’ultimo si era trovato a dover gestire, con la costruzione europea e la questione indonesiana che, da sole, assorbivano quasi completamente le sue risorse materiali e umane14. Ma questa non era l’unica ragione al fondo dell’inedita soluzione concepita dal Primo ministro. Lo si comprese al momento in cui furono resi noti i nomi dei due designati all’incarico, nella fattispecie il Il nuovo Gabinetto che conta sedici ministri (1 in più del Gabinetto precedente) è dunque composto di sei cattolici, cinque laburisti, due antirivoluzionari, due cristiani storici e uno senza partito. Appartenevano al Gabinetto precedente soltanto quattro Ministri, tre dei quali riconfermati nella carica già ricoperta… Il nuovo Gabinetto, frutto delle fatiche congiunte dei Ministri Staf, Drees e Beel, investito collettivamente dell’incarico di trovare finalmente una soluzione dopo l’insuccesso del dott. Donker, rappresenta un compromesso delle varie formule successivamente tentate e abbandonate dai primi tre “formatori” singolarmente designati Drees, Beel e Donker. Portafogli nuovo Governo saranno distribuiti come segue: ‘sei cattolici, cinque laburisti, due antirivoluzionari, due cristiani storici ed uno senza partito”. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Murari a Ministero degli Esteri, Nuovo Governo Olandese, 31.8. 1952, pp. 1-2. 12 Del tutto opposta l’opinione di Murari: “Come da telegramma 98, in data di ieri, nuovo Governo olandese presterà giuramento martedì 2 settembre. Trasmetto a parte sua composizione, secondo la quale, a mio avviso, dovrebbero restare immutate le direttive generali di politica estera”. Cfr. Ivi, Murari a Ministero degli Affari Esteri, Segreto, 1.9.1952, p. 1 13 Stikker, fortemente contrario all’iniziativa di Drees, commentò la scelta della ripartizione ponendo l’accento sui rischi ad essa correlati. Più precisamente : “My decision to leave the Cabinet gave the States-General an opportunity to try out another idea which I had always rejected while in office. I was thus succeeded by not one, but two Ministers of Foreign Affairs. I could readily agree that the Minister of Foreign Affairs was overburdened, but I think my two simultaneous successors came in time to agree with me that the function has a universal character and is not divisible”. Cfr. D.U. Stikker, Men of Responsibility…, cit., pp. 250-251. 14 In proposito, aggiunge Willem H. Weenink, biografo di Beyen: “Een duo werd toen door velen als een werkzame formule gezien om zowel aan het sterk toegenomen internationale overleg deel te nemen als een ministeriele presentie op het departement te houden” (Un duo fu allora visto da molti come una formula efficace sia per rafforzare la partecipazione alle discussioni internazionali, sia per garantire la presenza del ministro al dipartimento). Cfr. W.H. Weenink, Johan Willem Beyen..., cit., pp. 175-176. 9 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 finanziere senza affiliazione partitica, per lo più ignoto alle stanze della politica, Johan Willem Beyen15, e Joseph Luns16, cattolico fortemente apprezzato dalla dirigenza del KVP, frequentatore abituale dei corridoi del Buitenlandse Zaken, nonché diplomatico accreditato nei grandi consessi internazionali, soprattutto nel contesto delle Nazioni Unite. Al primo venne affidata la responsabilità della cooperazione multilaterale e della politica europea, mentre il secondo, nominato ministro senza portafoglio, venne incaricato della gestione dei rapporti bilaterali e delle relazioni con l’Onu. Guardando alla fisionomia dei prescelti, risultava evidente che, intorno alla loro nomina, i partiti maggiori della nuova coalizione, cattolici e laburisti, avevano combattuto un’aspra battaglia politica, con implicazioni profonde sui molteplici terreni nei quali miravano ad imporre il proprio indirizzo e la propria supremazia17. Più precisamente, con le questioni di politica estera che andavano progressivamente monopolizzando il dibattito in seno alla Tweede Kamer, anche e soprattutto per effetto della partecipazione olandese all’integrazione europea, e con il prestigio crescente che, di conseguenza, andava assumendo la figura del ministro degli Esteri, l’ambizione a riservare ad Beyen, in realtà, non fu la prima scelta di Drees. Stando alle informazioni inviate da Murari alla Farnesina, infatti: “Constatata l’impossibilità di trovare candidati cattolici per ambedue i portafogli, si ricorse a una nuova soluzione, affidando ai cattolici uno dei due posti e compensandoli con l’istituzione dei due nuovi Ministeri indicati: quello della Previdenza Sociale (composto con taluni servizi gi appartenenti ai Ministeri degli Affari Sociali e dell’Interno), e quello cosiddetto dell’Organizzazione Industriale, che assorbe i compiti già devoluti nel precedente Gabinetto al Ministro senza Portafoglio per l’Aumento della Produttività”. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Nuovo Governo Olandese, cit., p. 3. A parte il già citato lavoro di Weenink, non esistono ad oggi biografie recenti su Beyen, né sono mai state pubblicate monografie in lingua italiana e inglese interamente dedicate al personaggio, ragione per cui risulta difficile raccogliere pareri diversi sulla questione del suo insediamento. Una pur interessante fotografia dell’uomo e della sua attività è offerta dal saggio di Brouwer, già citato alla nota 3 del presente lavoro. In italiano, viceversa, è in corso di pubblicazione la voce “Johan Willem Beyen”, curata da Giulia Vassallo per il Dizionario dell’integrazione europea, a cura di Piero Craveri, Umberto Morelli, Gaetano Quagliariello, in corso di stampa presso l’editore Rubbettino. 16 Anche su Joseph Luns non esistono a tutt’oggi biografie in lingua italiana. L’unica ricostruzione, più o meno completa, della vicenda personale e pubblica del personaggio è la voce a cura di G. Vassallo, “Joseph Luns”, ivi. 17 Occorre precisare, a tale proposito, che la vittoria, seppur risicata, riportata dai laburisti sui cattolici alle elezioni del luglio precedente ebbe un forte impatto sul paese, sia a livello di dirigenza politica, sia di opinione pubblica. A riprova di ciò, basti attenersi a quanto riferito da Caruso al Ministero degli Esteri italiano: “Dati i sistemi elettorali vigenti in Olanda, i piccoli spostamenti che si sono verificati a favore dei laburisti hanno qui un particolare significato ed una importanza maggiore di quanto potrebbero averne in altri Paesi, visti al lume di altri sistemi elettorali”. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 207, Caruso a Ministero degli Affari Esteri, Telespresso urgente, Elezioni in Olanda, 3 luglio 1952. 15 10 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 un proprio esponente quel ruolo era divenuta un obiettivo cruciale sia per il KVP, sia per il PvdA. Non solo. I contrasti si inasprivano ulteriormente tenendo conto delle divergenze tra i due partiti sul terreno della strategia comunitaria, laddove alle pressioni di Romme affinché, col contributo decisivo dei Paesi Bassi, si completasse il quadro di un Consiglio dei ministri della Ceca interamente composto da rappresentanti cattolici, si contrapponeva l’idiosincrasia di Drees per la prospettiva di “un’Europa vaticana”, come egli stesso era solito definirla, la quale, sempre nell’ottica del Primo ministro, avrebbe condizionato il percorso dei Sei indirizzandolo sulla via più confacente alle direttive francesi, cioè, più esplicitamente, rendendolo un terreno di sperimentazioni sovranazionali in campo politico e militare che avrebbe minacciato la solidità della Nato e la coesione occidentale 18. Da qui, la formula di compromesso, esplicitatasi nella bipartizione del portafoglio degli Esteri, con Beyen a costituire la diretta emanazione dei desiderata socialdemocratici e Luns a tenere a freno le rimostranze cattoliche. Per quanto insolito potesse sembrare il fatto che il Primo ministro non avesse designato un uomo del PvdA alla direzione degli affari comunitari, la nomina di Beyen non stava certo a significare che Drees volesse abbandonare al caso, o nelle mani di una guida impreparata, le sorti dei Paesi Bassi nell’ambito della Comunità. Viceversa, una riflessione meticolosa e sistematica, benché, in ultima analisi, rivelatasi del tutto infondata, aveva indotto il leader socialista a ritenere che quel banchiere di professione, trattenuto a Washington per diversi anni dagli incarichi presso il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e presso la Banca Mondiale19, fosse di fatto l’uomo giusto, perché scevro da condizionamenti ideologici e da entusiasmi federalisti20, per orientare la politica Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 39. É lo stesso Beyen, nelle sue memorie, a smentire Drees nelle sue valutazioni. Scrive infatti l’ex ministro: “Reeds toen ik vanuit Washington als buitenstaand belangstellende de pogingen tot unificatie van Europa volgde had ik tegen deze ‘approach’ ernstige bezwaren gekoesterd... Terwijl ik dus in het algemeen de door de Nederlandse Regering tot dusver gevolgde lijn kon blijven volgen, zij het met een versterking van de ‘druk’ ten gunste van den supranationale integratie, moest ik op dit ene punt het roer omgooien. In het kabinet bleek men daar geen bezwaar tegen hebben”. (Già quando da Washington, come interessato esterno, seguivo i tentativi dell’unificazione europea ho mostrato serie obiezioni contro questo ‘approccio’ (monnetiano, ndr.)… Mentre in generale da lontano seguivo la linea politica intrapresa dal governo olandese e pensavo potesse funzionare purché fosse aumentata la pressione per l’integrazione sovranazionale, per cui era su questo punto che avrei dovuto modificato gli orientamenti. All’interno del governo sembrava che non ci fossero obiezioni in merito alla mia posizione). Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers, een kroniek van vijftig jaren, Ad. Donker, Rotterdam, 1958, pp. 206-207. 20 Così anche Harryvan: “Nothing on Jan Willem Beyen’s official track record predicted his transformation into ardent supporter of continental regional integration on a supranational 18 19 11 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 europea dei Paesi Bassi su una linea di maggiore cautela e pragmatismo, cioè, in altre parole, lungo il percorso che i laburisti avevano mostrato più volte di voler perseguire21. Tuttavia, come ebbe poi egli stesso ad ammettere, Drees riconobbe soltanto a posteriori di aver commesso “un grosso sbaglio”22. Anticipando footing. Rather the contrary, as a mundane witty and rather cynical international banker without party affiliations, he appeared completely free of federalist inclinations… His views on Europe were unknown to the public at large and to Prime Minister Drees when he selected Beyen as Foreign Minister in the third Drees government (1952-1956). To his displeasure Drees’ supposedly safe bet turned out a cuckoo’s fledgling in his cow-bird’s nest”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., pp. 39 e 42. 21 Cfr. R.T. Griffiths, “The Beyen Plan”, in Id. (ed.), The Netherlands and the Integration…, cit., p. 168. Stando a Harryvan, peraltro, sulla designazione del banchiere avrebbero influito anche “some gentle prodding by the royal family, with which Beyen entertained a long-standing friendship”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 39. (Nei Paesi Bassi, vale la pena di ricordare, circolò per lungo tempo la voce che il futuro ministro sarebbe stato l’amante della Regina nel periodo dell’esilio londinese, ma la notizia, appresa da chi scrive nel corso di alcuni colloqui con il personale degli archivi olandesi, non trova riscontro né nelle fonti, né nella letteratura). Nelle sue memorie, Beyen racconta dettagliatamente con quale stato d’animo visse l’esperienza della nomina. Dalla sua descrizione, si intuisce chiaramente quanto inatteso, per lo stesso neo-ministro, giungesse l’incarico governativo. “In mei 1952 ondernam ik mijn jaarlijkse reis van Washington naar Nederland, waar ik steeds enige weken doorbracht om overleg te plegen met mijn opdrachtgever, de Minister van Financiën. Dit jaar zou mijn verblijf langer duren en het einde beteken van mijn werkzaamheden als Executive Director bij de Internationale Bank en het Internationale Fonds” (Nel maggio 1952 intrapresi il mio viaggio annuale da Washington verso l’Olanda, dove già ero solito trascorrere alcune settimane per consultarmi con il mio superiore, il ministro delle Finanze. Quell’anno la mia permanenza sarebbe durata più a lungo e questo significò la fine del mio incarico di Direttore esecutivo presso il Fondo Monetario Internazionale). Cfr. J.W. Beyen, Het spel…, cit.., p. 198. Che i laburisti intendessero imprimere alla politica europea dei Paesi Bassi una caratterizzazione più moderata è confermato da Caruso, nel Telespresso Urgente del 3 luglio 1952. Stando al funzionario della Farnesina infatti:”tutto lascia prevedere una politica forse più cauta e più riflessiva in materia di federalismo europeo, un maggiore distacco dalla Francia ok un conseguente maggiore, ma non del tutto proporzionale, avvicinamento all’Inghilterra. Tale fenomeno potrebbe portare ad una certa politica delle piccole Potenze fatta dal Benelux. Nel realizzarla si guarderebbe a noi sempre con maggiore interesse”. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Caruso a Ministero degli Affari Esteri, Elezioni in Olanda, cit. 22 L’affermazione di Drees è citata da R.T. Griffiths, “The Beyen Plan”, in R.T. Griffiths (ed.), The Netherlands and the Integration…, cit., p. 168. A tale proposito, va rilevato che il premier olandese non dovette aspettare molto a lungo prima di comprendere quale fosse l’effettivo orientamento di Beyen in tema di integrazione europea. Già il 2 settembre 1952, infatti, cioè il giorno stesso del loro insediamento ufficiale, i due nuovi ministri degli Esteri furono chiamati a partecipare alla Ambassadeursconferentie, la conferenza annuale degli Ambasciatori olandesi che prestavano servizio a Washington, Londra, Parigi, Bonn, Bruxelles e Lussemburgo, nonché dei rappresentanti permanenti alla Nato. In quella circostanza, racconta Beyen nelle sue memorie, egli fu chiamato per la prima volta - in vista della riunione del Consiglio dei ministri della Ceca, 12 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 quanto verrà analizzato con maggiore dovizia di particolari nelle pagine che seguono, infatti, vale qui la pena di sottolineare che, affidando la direzione del Buitenlandse Zaken a Beyen, il premier olandese - che pure era riuscito a scongiurare, in virtù di quella nomina, il pericolo della “Europa vaticana”, cui si è già accennato - non riuscì di fatto a contrastare le aspirazioni federaliste del KVP, che al contrario Beyen finì col recepire in larghissima parte nel suo disegno per la creazione del Mercato comune europeo. Stando alle affermazioni di Harryvan, infatti: To Drees’ dismay he traded in Stikker’s reticent stance on European integration for a pro-active offensive campaign in which European integration among the Six, in lieu of a potential threat to the national interests or a necessary evil at best, henceforth represented welcome political-legal leverage for the creation of a liberal trade regime in Western Europe. 23 Viceversa, l’azione del nuovo ministro, e la prospettiva politico-ideale che ne costituiva il fondamento teorico, riuscì comunque a soddisfare, come si vedrà e seppur indirettamente, un altro degli obiettivi della politica europea laburista e di Drees in particolare, vale a dire il rafforzamento del legame tra le che si sarebbe tenuta il successivo 9 settembre - ad illustrare il proprio punto di vista, nonché quello del governo, circa l’integrazione politica dell’Europa. “Nu was, gelukkig, het probleem van de Europese integratie voor mij niet nieuwe. Ik had er mij reeds jaren men bezig gehouden, wat niet verwonderlijk is omdat het vraagstuk van de toekomst van Europa mij ik had mij reeds jaren mee bezig gehouden, wat niet verwonderlijk is omdat het vraagstuk van de toekomst van Europa mij sedert de oorlogsdagen in Londen voor ogen had gestaan, terwijl de internationale samenwerking een probleem was dat op monetair terrein reeds vele jaren mijn dagtaak was geweest en waarover ik in mijn Washingtonse jaren een boek had geschreven (Fortunatamente il problema dell’integrazione europea per me non era nuovo. Me ne occupavo già da diversi anni, cosa che non era insolita, visto che la questione del futuro dell’Europa mi si era presentata già a Londra, durante la guerra, mentre la cooperazione internazionale era un problema sui cui mi ero impegnato già da tempo e su cui negli anni trascorsi a Washington avevo scritto un libro). Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers, cit., pp. 205-206. Quanto al presente, Beyen non lasciò dubbi in merito alla sua coltivata propensione europeistica, né rispetto all’accento, fortemente sovranazionale, che avrebbe impresso alla politica europea olandese, segnando in tal modo, peraltro, la differenza con il suo predecessore. Più precisamente: “Mijn voorganger, Mr. Stikker, was een voorstander van de Europese eenwording, maar hij was zeker vele graden minder warm dan ik voor wat betreft de ‘supranationale’ weg om deze eenwording te bereiken: ‘Ik begrep’, zo schrijft hij in zijn Memoires… ‘dat Beyen dichter bij de opvattingen van de Kamermeerderheid stond dan ik had gedaan’”. (Il mio predecessore, Stikker, era un sostenitore dell’unificazione europea, ma era certo meno convinto di me della validità della via “sovranazionale” per raggiungere questa unificazione: “Io capisco”, così scrive nelle sue Memorie… “che Beyen aveva idee molto più vicine alla maggioranza della Camera di quanto non ne avessi io”). Ivi, p. 206. 23 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 39. 13 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 “piccole Potenze” del Benelux”24. In altre parole, nei quattro anni appena in cui fu alla guida del dicastero degli Esteri olandese, Beyen condusse il cosiddetto “fronte dei piccoli” al timone dell’integrazione europea, rendendolo, di fatto, motore del rilancio comunitario e dell’Europa sovranazionale. Tutto ciò, naturalmente, non senza compromettere le già difficili relazioni francoolandesi, giacché i transalpini non accettarono certo di buon grado di vedersi sottrarre la leadership comunitaria da un rumoroso terzetto di pigmei. Di contro, queste tensioni diplomatiche non sembravano suscitare irresistibili apprensioni alle autorità dei Paesi Bassi, le quali, dal canto loro, riconoscevano nel raffreddamento dei rapporti con Parigi il viatico più efficace per il rafforzamento del legame con Londra. Pertanto, almeno sotto quest’ultimo Tale considerazione è il risultato di una riflessione scaturita dalla lettura di quanto riportato da Caruso al suo governo, il 3 luglio 1952. Commentando la vittoria dei laburisti alle elezioni recentemente svoltesi nei Paesi Bassi, infatti, l’ambasciatore italiano all’Aja preconizzò quanto segue: “… tutto lascia prevedere una politica forse più cauta e più riflessiva in materia di federalismo europeo, un maggiore distacco dalla Francia ed un conseguente maggiore, ma non del tutto proporzionale, avvicinamento all’Inghilterra. Tale fenomeno potrebbe portare ad una certa politica delle piccole Potenze fatta dal Benelux. Nel realizzarla si guarderebbe a noi sempre con maggiore interesse. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Carissimo al Ministero degli Affari Esteri, Elezioni in Olanda, cit. Di fatto le previsioni di Carissimo erano viziate in origine da un errore di valutazione piuttosto grossolano. Giacché fino ad allora, come conferma anche Brouwer, la politica europea dei Paesi Bassi era stata tutt’altro che ispirata all’idea sovranazionale. Al contrario, “la politique de La Haye est atlantiste et plutôt favorable à des projets intergouvernementaux dans le cadre de l’Organisation européenne de coopération économique (OECE) au lieu de celui de l’Europe des Six”. Cfr. J.-W. Brouwer, “Jan-Willem Beyen, Européen sur le tard“, cit., p. 258. Più vicina alla disamina di Brouwer, la visione di Beyen, il quale sostiene: “De Nederlandse politieke partijen hadden van 1948 af positief tegenover het streven naar Europese eenwording gestaan, met uizondering van de Communistische Partij. Het Nieuwe Parlement stond eerder nog enige graden warmer tegenover die ennwording dan het vorige. Het was in zijn overgrote meerheid vóór de zgn. supranationale integratie en juichte, in algemene zin, de in Luxemburg ter tafel komende plannen toe, naar af te leiden uit de houding van de Nederlandse leden van het Parlement van de Raad van Europa, de zgn. Straatsburgers, die in het Nederlandse Parlement en in de Commissies voor Buitenlandse Zaken der beide Kamers mijn ‘interlocuterurs’ zouden zijn”. (I partiti politici olandesi, fin dal 1948, avevano avuto un atteggiamento positivo nei confronti dell’obiettivo dell’unificazione europea, ad eccezione del partito comunista. Il nuovo Parlamento si mostrò ancora più incline nei confronti di questa unificazione di quanto non lo fosse il precedente. La grande maggioranza era favorevole alla cosiddetta integrazione sovranazionale e accolse senza resistenze, in generale, i piani che vennero presentati al tavolo di Lussemburgo, come si deduce dall’atteggiamento dei membri olandesi del Parlamento del Consiglio d’Europa, i cosiddetti strasburghesi, che sarebbero stati i miei “interlocutori” nella Commissione per gli affari esteri in entrambe le Camere). Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikker, cit., p. 206. Che il Piano che Beyen avrebbe elaborato nei mesi successivi fosse un “Smaller Powers’exercise in international relations” è confermato, con la sopracitata espressione, anche da A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence..., cit., p. 39. 24 14 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 profilo, l’indirizzo politico intrapreso da Beyen si pose in linea di continuità con quello del suo predecessore, Stikker. Con l’unica, sostanziale, differenza che, se Stikker, da un lato, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a sacrificare le proprie ambizioni alla sovranazionalità, ammesso che ne coltivasse, alla causa ben più importante della partecipazione britannica al comune destino europeo, il banchiere senza partito, suo successore, promuovendo l’idea del Mercato comune e dell’integrazione orizzontale, decise di puntare sulla virtuosità della cooperazione sovranazionale per esportare oltremanica il suggestivo afflato europeista, rivestendolo di carica pragmatica e contenuti allettanti affinché fosse ben accetto persino agli algidi gentlemen londinesi25. A carte scoperte: Beyen e l’Europa sovranazionale Per la verità, nonostante gli accorgimenti di Drees volti ad imprimere un cambiamento ben riconoscibile nel Ministerraad, sia a livello di attori, sia quanto a orientamenti politici - anche e soprattutto nell’intento di segnare lo scarto con il gabinetto che lo aveva preceduto, dominato dai cattolici – in tema di politica europea il nuovo governo presentava le stesse spaccature e divergenze di prospettiva della precedente coalizione. Restava, cioè, ben netta la frattura tra chi, da un lato, privilegiava le soluzioni minimaliste – come Stikker a suo tempo e come lo stesso Drees in quel preciso frangente - vale a dire una cooperazione quanto più possibile estesa dell’Occidente europeo, comprensivo della Gran Bretagna, ovverossia, più nel concreto, un rafforzamento dei legami tra le democrazie liberiste destinato soprattutto alla ripartenza virtuosa dei traffici commerciali e alla difesa dell’Europa dalla minaccia sovietica 26; e chi, dall’altro lato – il ministro dell’Agricoltura Sicco Mansholt e Jelle Zijlstra, che era a capo degli Affari Economici, tra tutti - sosteneva l’Europa schumaniana, a vocazione sovranazionale e aperta esclusivamente alla partecipazione dei governi che avessero abbracciato gli ideali contenuti nella Dichiarazione del 9 maggio 195027. Pur nell’apparente inconciliabilità delle posizioni, emergeva un aspetto intorno al quale le prospettive del Ministerraad sembravano convergere, ossia la vexata quaestio della partecipazione britannica al cammino comunitario, effettiva spina nel fianco della politica europea dei Paesi Bassi28. Ibidem. Cfr. Jan van der Harst, “The Pleven Plan”, in R.T. Griffiths (ed.), The Netherlands and the Integration…, cit., pp. 137-164, qui pp. 146-151. 27 Ibidem. 28 Cfr. D.U. Stikker, Men of Responsibility..., cit., p. 250. Così anche Harryvan: “Dutch policy toward political union had been governed by the criterion of British participation, rather than 25 26 15 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Non che gli olandesi fossero gli unici a porsi il problema di acquisire Londra ai destini del Continente. Al contrario, la questione era stata dibattuta a lungo anche in altri paesi, come pure in contesti più ampi di quelli nazionali. Un esempio fra tanti, il discorso pronunciato da Paul-Henri Spaak, alla fine del 1951, davanti all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, all’atto di presentare le proprie dimissioni dalla presidenza di quel consesso. Dichiarò nell’occasione il celebre europeista belga: There is a simple choice facing Europeans. […] Either we must line up with Great Britain and renounce the attempt to create a united Europe, or we must endeavour to create a Europe without Great Britain. For my part, I choose the second alternative, despite the risks and all the dangers involved, because, reckoning all the possibilities, I think the risks are less great and the dangers less serious than those which inaction and renunciation would inevitably imply 29. L’interrogativo rivolto da Spaak ai presenti aveva, in realtà, forma retorica, ma lasciava comunque emergere le tracce di un’apprensione diffusa, da parte dei governi impegnati nel processo di costruzione comunitaria, riguardo al fatto che un elemento essenziale, e senz’altro prestigioso, dell’Occidente europeo avesse scelto di rimanere al margine del nuovo percorso comune. Il che insinuava in molti il dubbio sull’effettiva opportunità di continuare a comporre un mosaico di cooperazione nella già acquisita consapevolezza di non possedere un tassello decisivo. Tuttavia, se il presidente dimissionario non aveva faticato a sciogliere le riserve e a scommettere sulla’efficacia in sé del cammino intrapreso, l’Aja continuava a lasciar macerare in questa inconciliabile antinomia la contraddizione forse più drammatica, e senz’altro durevole, della sua politica europea. Più nel concreto, per un verso gli olandesi guardavano con entusiasmo ai risvolti positivi dell’integrazione, vale a dire alla garanzia di un dialogo permanente e privilegiato con Washington e alla possibilità di cementare i legami e incrementare la cooperazione nell’ambito del Benelux, senza contare i benefici economici derivanti dal processo di “economic disarmament” che l’integrazione aveva avviato in Europa e che rappresentava, di fatto, “the major driving force behind Dutch support for economic cooperation and liberalization in Europe”30. Per altro verso, e di contro, sussistevano i timori – apertamente dichiarati a suo tempo da Stikker31 e che certo il Piano Pleven aveva contribuito that of ‘supranational institution or Britain”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 149. 29 D.U. Stikker, Men of Responsibility..., cit., p. 250. 30 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 35. 31 Così Dirk Stikker “I felt that the creation of a separate group of Six, before we really knew what directions its foreign or defence policy might take, was too risky an enterprise. I feared that the establishment of a restricted bloc of Six, which might even become autarkic, would, 16 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 non poco a rafforzare - che l’Europa dei Sei divenisse ostaggio nelle mani dei grandi stati, di Parigi soprattutto, finendo così col costituirsi come “blocco” autonomo, per di più potenzialmente autarchico e chiuso in se stesso32, incapace non soltanto di guidare il processo di unificazione continentale, ma addirittura destinato a contrapporsi a quel “blocco virtuale” composto dai restanti paesi dell’Europa occidentale. La persistente ambiguità di orientamenti non impedì comunque al governo Drees III di operare delle scelte, peraltro decisive. Il momento, del resto, era di quelli che non consentono temporeggiamenti o dilazioni, considerata la delicatezza delle questioni sul tappeto, prima fra tutte la futura riunione del Consiglio dei ministri dei Sei che si sarebbe tenuta di lì a pochi giorni, più precisamente l’8 settembre, per discutere “sull’elaborazione di uno Statuto per la comunità politica sovranazionale”33. Il problema, semmai, restava quello di chiarire quali strategie avesse voluto formulare Beyen, e se tali strategie fossero o meno in sintonia con gli obiettivi di politica estera individuati collettivamente dal Ministerraad34. Il nuovo ministro degli Esteri, in ogni caso, intervenne direttamente, e tempestivamente, a sciogliere le riserve. Il 5 settembre 1952, infatti, nel corso di un dibattito governativo sulla Cpe, puntò subito l’accento sulla propria estraneità alla condotta fino ad allora tenuta dai Paesi Bassi in Europa e invitò i presenti - non mancando appositamente di sottolineare la propria provenienza dal mondo della finanza internazionale, nonché la perizia che aveva acquisito delle dinamiche peculiari di quel particolare ambiente, che imponevano di evitare i facili entusiasmi e di tenere presente che la costruzione di una cornice politica in cui inquadrare i processi economici è spesso operazione più dannosa che efficace - a non rifiutare “à priori” la proposta italiana, ma a tenere viceversa lo sguardo vigile, affinché “l’integrazione politica non venisse considerata come uno strumento per instead of leading to wider Western European unity, spilt Western Europe into blocs”. D.U. Stikker, Men of Responsibility..., cit., p. 250. 32 Ibidem. 33 Così veniva descritta dal Segretario generale agli Affari Esteri, Hendrik Boon, la proposta italiana per la Comunità politica europea (Cpe). Cfr. NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 482, De Minister van Buitenlandse Zaken, voor deze De Secretaris-Generaal, Hendrik Boon aan de Heer Minister-President, Ministerraad-nota inz. Ministerconferentie 9 en 10 September te Luxemburg. 29 Augustus 1952, p. 1. 34 Rileva, a tale proposito, la precisazione di Harryvan circa le responsabilità del Presidente del Consiglio olandese in politica estera. Spiega lo storico: “... in the Netherlands’coalition governments the prime-minister, although responsible for the upkeep of the coalition and the quality of cabinet decision-making, is not a leader of government in the British or German way. The Minister of Foreign Affairs and the Cabinet as a whole determine foreign policy”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 42. 17 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 accantonare, forse definitivamente, il metodo funzionalista”35. Il tenore delle dichiarazioni di Beyen era a dir poco esplosivo e, non a caso, agì da detonatore per scatenare all’interno del Ministerraad un dibattito accesissimo, e a tratti acrimonioso, nonché quasi interamente incentrato sulle implicazioni sovranazionali del trattato Ced e, in particolare, dell’articolo 3836. Drees, “De Minister heeft weliswaar in de financiële wereld gezien hoe een te groot enthousiasme en een te vroege oprichting van instituten vaak meer kwaad dan goed kan doen, doch hij acht het niet juist, dat de Nederlandse Regering à priori een afqijzend standpunt tegenover de gedachte van Italië inneemt. Wel zal men er voor moeten waken, dat de politieke integratie niet wordt gebruikt om de landen af te leiden van de op gang zijnde functionele integratie”. Cfr. NLHaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 397, Ministerraad Nr. 1133, Notulen van de vergadering gehouden in de Treveszaal op Vrijdag 5 September 1952, des middags te 2 uur, 5.9.1952, p. 4. Va precisato che i timori di Beyen circa la possibilità che la costruzione della Cpe, e soprattutto del suo apparato istituzionale, distogliesse l’attenzione dei governi dei Sei dalle questioni economiche, con particolare riferimento all’obiettivo di completare quanto prima il disarmo tariffario, facevano direttamente capo al rapporto che il già citato Segretario generale del Buitenlandse Zaken, Hendrik Boom, aveva inviato a Drees il 29 agosto e che prendeva in esame, dettagliatamente, i punti all’ordine del giorno per la riunione di Lussemburgo: 1) la Risoluzione n. 14 del Consiglio d’Europa circa l’elaborazione dello Statuto della Cpe; 2) l’autorità politica; 3) il memorandum britannico del 16 luglio, cosiddetto Piano Eden. Quanto alla questione suddetta, sulla quale si era soffermato Beyen, il rapporto di Boon parlava chiaro: “Nu wordt het wel voorgesteld, alsof de instelling van een ‘Politieke Autoriteit’, als bedoeld in het voorstel-de Gasperi, een panacée voor al deze kwalen kan zijn. Het moet echter ernstig worden betwijfeld, of dit juist is. Het is veeleer te verwachten dat de stappen die zouden worden ondernemen om de voorbereiding van een dergelijke politieke autoriteit op te dragen aan een Assemblée, een gerede aanleiding zoude geven om de pogingen om langs functionele weg tot integratie van Europa te geraken verder te verslappen. Men bedenke hierbij dat zij, die deze ‘politieke autoriteit’ propageren veelal juist de grootste bezwaren ontwikkeken tegen het verwezenlijken van een economische integratie op die terreinen, waarop voor Nederland de grootste belangen liggen in een dergelijke integratie”. (Ora ci si chiede se l’istituzione di un’ “Autorità Politica”, come viene presentata nella proposta di De Gasperi, possa essere una panacea per tutti questi mali. Ci si deve invece chiedere se questa sia giusta. Ci si deve molto più aspettare che i passi che verranno compiuti per affidare la preparazione di una tale autorità politica a un’Assemblea daranno una risposta definitiva ai tentativi di conseguire l’integrazione dell’Europa attraverso un lungo percorso funzionalista o se non finiranno per indebolirla ulteriormente. Si pensa infatti che essa la quale promuove questa “autorità politica” non fa, viceversa che sviluppare le più forti obiezioni contro la realizzazione di un’integrazione economica su quei terreni sui quali si concentrano gli interessi per un tale tipo di integrazione”. Cfr. NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 482, De Minister van Buitenlandse Zaken, voor deze De Secretaris-Generaal, Hendrik Boon aan de Heer Minister-President..., cit. 36 Come si ricorderà, l’articolo 38 affidava all’Assemblea provvisoria della Ced il compito di elaborare un progetto di Statuto della Cpe, definendo al contempo i principi ai quali tale Assemblea si sarebbe dovuta ispirare nella fase di progettazione. Nella fattispecie, la struttura da costruire, avrebbe dovuto costituire uno degli elementi di una ulteriore struttura a carattere federale o confederale, fondata sul principio della separazione dei poteri e sul sistema rappresentativo bicamerale. Cfr. Daniela Preda, L’action européenne de De Gasperi et la 35 18 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 soprattutto, puntava il dito contro la mancanza di chiarezza dell’articolo, la quale, a suo avviso, doveva indurre a subodorare che le sue ricadute sarebbero state molto più profonde e importanti di quanto, apparentemente, non si volesse far credere. Non che il premier olandese avesse avuto un’intuizione assimilabile a una preveggenza. Piuttosto aveva letto con attenzione – e preoccupazione - le informazioni inviategli dal Segretario generale agli Affari Esteri, Hendrik Boon, il quale, senza mezzi termini, lo aveva messo in guardia circa la lucidità diplomatica di De Gasperi – e implicitamente di Altiero Spinelli, noto a molti come l’eminenza grigia - che del “famigerato” articolo era stato l’ispiratore. Il Primo ministro italiano, spiegava infatti Boon, “non soltanto, all’atto di promuovere l’introduzione dell’art. 38, non aveva precisato che il suo reale intento fosse quello di dar vita ad una struttura federale europea, ma addirittura aveva chiesto e ottenuto che la creazione della Cpe fosse una tappa successiva all’istituzione della Ced”. Da quest’ultima proposta, sempre stando a Boon, De Gasperi si attendeva un duplice risultato: in primo luogo, riteneva che dall’inquadramento della Germania nel sistema difensivo dell’Europa occidentale si creasse una convergenza di interessi tra i Sei tale da rendere indispensabile, e quasi consequenziale, la progettazione di una struttura politica di coordinamento; in secondo luogo, sperava di convincere i governi – come difatti avvenne – dell’opportunità di infoltire quella stessa struttura politica di contenuti prettamente federali37. Al termine del dibattito, che aveva coinvolto anche i ministri Beel, Luns, Mansholt, Staf e Van der Kieft38, la posizione che i Paesi Bassi avrebbero assunto all’incontro di Lussemburgo risultò chiaramente definita e ampiamente condivisa. L’Aja, consapevole che, come aveva riferito Boon39, la maggioranza dei Sei aveva cominciato a riconoscere nella Cpe una sorta di “panacea” per i mali del Continente, avrebbe abbandonato l’atteggiamento di ostinata resistenza nei confronti dell’art. 38, puntando viceversa ad ottenere che la nuova Assemblea, incaricata, come si è detto, di preparare lo Statuto della Comunità politica, non soltanto svolgesse i suoi lavori sotto il controllo vigile dei governi – che sarebbe stato esercitato attraverso il Consiglio dei ministri della Ceca – ma soprattutto tenesse nella massima considerazione le questioni contribution du réseau catholique européenne autour de lui”, in S. Schirmann (dir.), Robert Schuman…, cit., pp. 307-323, qui pp. 314-315. 37 Cfr. NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 482, De Minister van Buitenlandse Zaken, voor deze De Secretaris-Generaal, Hendrik Boon aan de Heer Minister-President..., cit., p. 3. 38 Cfr. NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 482, De Minister van Buitenlandse Zaken, voor deze De Secretaris-Generaal, Hendrik Boon aan de Heer Minister-President..., cit. 39 Ibidem. 19 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 economiche, con particolare riferimento alla creazione di un mercato comune 40. Avrebbe commentato Beyen nelle sue memorie: “lo slogan del governo fu presto coniato: nessuna integrazione politica senza integrazione economica”41. Il 9 settembre 195242, come annunciato, il Consiglio dei ministri della Ceca si riunì per la prima volta a Lussemburgo, nella duplice formazione degli Affari Esteri e degli Affari Economici. Per i Paesi Bassi parteciparono rispettivamente Jan Beyen e Jelle Zijlstra. Il “partijloze Minister43” (ministro senza partito) del Buitenlandse Zaken si preparò con rigore alla sua prima uscita ufficiale in un’assise di tale prestigio: studiò attentamente l’atteggiamento da adottare (“mijn tactische overweging”44) e, infine, risolse di riproporre agli omologhi europei le stesse questioni sulle quali aveva discusso il Ministerraad pochi giorni prima. Al termine dell’incontro, il 10 settembre, si raggiunse l’accordo su una proposta italiana, sostenuta con forza dai francesi, volta ad accelerare i tempi dell’integrazione politica. In particolare, si proponeva che la bozza di trattato della Cpe fosse predisposta da un’Assemblea ad hoc, formata dai membri del parlamento della Ceca e da altri rappresentanti degli stati membri, tra cui deputati dei parlamenti nazionali. Beyen, con grande sorpresa dei presenti e degli stessi suoi collaboratori, anziché delegare un proprio collaboratore, si autocandidò a far parte della nuova Assemblea come rappresentante dei Paesi Bassi45. Commenta in proposito Harryvan: Then Adenauer, who was chairing, said: “Well, let us now appoint a small committee to draft this mandate. Whom do you appoint?” And everybody appointed an official, but Beyen said: “I will go there myself”. He went into the working party to draft a mandate. Why? Because he wanted to have reference to a customs union in the programme of work… So that was the thing that he wanted… one thing, that is to create a structure in which the economic misery between the wars could not occur again. It was always the same motive. And this was an opening. And there he started for the first time to launch this one… The new Dutch minister’s move, although “highly unorthodox” was not to be attributed to inexperience but to his desire to broaden the scope of the Assembly’s mandate. As the sole government minister on the drafting committee Beyen secured the chair and had no problems in achieving his policy aim. 46 NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 397, Ministerraad Nr. 1133, Notulen van de vergadering gehouden in de Treveszaal op Vrijdag 5 September 1952, des middags te 2 uur, 5.9.1952, pp. 6-7. Si veda anche J.W. Beyen, Het spel en de knikkers..., cit., p. 207 41 De leuze: “geen politieke integratie zonder economische integratie”, drukte haar standpunt uit. Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers..., cit., p. 207. 42 Beyen, nelle sue memorie, precisa che il Consiglio dei ministri iniziava i suoi lavori il giorno successivo alla cerimonia d’apertura della Ceca. Cfr. Ibidem. 43 L’espressione è di Beyen. Cfr. Ivi, p. 208. 44 Ivi, p. 207. 45 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 40. 46 Cfr. ASUE, COL, European Oral History, Interviews (INT), serie 04, INT532 Wellenstein, Edmund, 16.5.1989, pp. 29-30. 40 20 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 E lo scopo del ministro olandese era concreto e preciso, come ebbe a dire il suo assistente a Lussemburgo, Edmund Wellenstein, anni dopo: … Beyen immediately raised his finger, and said: “one of the tasks that they should have is running a custom union”. 47 Le dichiarazioni del ministro olandese irruppero nella sala senza che nessuno dei presenti fosse preparato ad accoglierle e, eventualmente, ad opporsi. Ha ricordato ancora Wellenstein: Nobody expected that really! It wasn’t properly the moment even to launch it, but he wanted to bring it in, and nobody said “No”. 48 Sulla base delle osservazioni di Beyen, pertanto, si raccomandò all’Assemblea ad hoc, incaricata di redigere lo statuto della Cpe, di tenere opportunamente presenti anche gli aspetti economici dell’integrazione, ivi compresa l’ipotesi di un mercato comune europeo49. In sintesi, con il suo atteggiamento “poco ortodosso”, che sapeva certo più di abilità tattica che di esuberanza data dall’inesperienza, il ministro olandese era riuscito a conseguire simultaneamente due risultati. In primo luogo, mostrandosi pronto al dialogo, anziché assumere un atteggiamento ostruzionistico, cioè, nella pratica, presentando emendamenti allo schema italiano, piuttosto che contrastandolo con una controproposta, aveva fatto sì che i partner della Ceca accogliessero senza particolari resistenze quelli che, di fatto, erano i desiderata dell’Aja. In secondo luogo, aveva registrato un successo personale di straordinaria portata, giacché, con inaspettata perizia diplomatica, era riuscito ad introdurre un concetto del tutto nuovo, anticipatore e moderatore al contempo, come quello del Mercato comune europeo, nell’orizzonte ideale e progettuale sia del Consiglio dei Sei, sia del proprio governo. Alla sua prima apparizione sul palcoscenico comunitario, ad appena una settimana dalla nomina, Beyen aveva già guadagnato il proscenio, gettando contestualmente le fondamenta su cui, anni dopo, si sarebbe costruito il successo della sua iniziativa50. Ibidem. Ibidem. 49 Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers..., cit., p. 207 e anche NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr 482, Kort verslag van de Eerste Zitting van de Bijzondere Raad van Ministers van de Europese Gemeenschap voor Kolen en Staal en van de daarop aansluitende Conferentie der Ministers van Buitenlandse Zaken van de staten-leden dezer Gemeenschap, gehouden op 8, 9 en 10 September 1952, 13.9.1952. 50 Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT532…, cit., p. 31. 47 48 21 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Tra ideali e pragmatismo: genesi e sviluppo del primo Piano Beyen (11 dicembre 1952) Ad un mese di distanza dal vertice di Lussemburgo, i Paesi Bassi furono nuovamente chiamati ad elaborare un ben precisato corpus di proposte per accelerare la chiusura dei lavori dell’Assemblea ad hoc51. A novembre, Beyen, che aveva convinto il governo dell’Aja a istituire per l’occasione un apposito comitato interdipartimentale, meglio conosciuto come “Comitato Beyen”, aveva già formulato il suo schema, che presentò al Ministerraad nella forma di “Grondslagen voor het Nederlandse standpunt met betrekking tot het vraagstuk der Europese integratie” (Basi per la posizione olandese circa la questione dell’integrazione europea)52 e i cui contenuti sarebbero poi stati trasposti, nelle loro linee essenziali, in quello che passò alla storia come “primo Piano Beyen”. Passando da accenti allarmati ad argomentazioni che rimandavano, forse involontariamente, alla Crisi della civiltà di Johan Huizinga, il rapporto si apriva con una sollecitazione diretta e decisa al governo dell’Aja affinché recuperasse il suo ruolo di “co-costruttore” di quella civiltà europea occidentale di cui era parte integrante e componente essenziale e affinché impegnasse le sue risorse, in termini di apporti culturali e di intraprendenza politica, nella battaglia per la tutela dell’Europa, cioè, in altre parole, nel porsi alla guida del processo di unificazione europea su basi sovranazionali. Alla lettera: Het voortbestaan van West-Europa staat bloot aan ernstige bedreigingen. Deze bedreigingen hebben niet uitsluitend het karakter van een mogelijke verovering door militair geweld. Het gaat in het algemeen om de bedreiging van Europa's eeuwenoude beschaving, die zich, “Onbetwistbaar blijft echter, dat behoud en geleidelijke verbetering van het Europese levenspeil niet mogelijk is, zonder voortdurende verhoging en verbetering van de Europese productie, een verhoging en verbetering, die niet bereikt kan worden in een door handelsbelemmeringen in te kleine markten verdeeld, en door monetaire onrust verstoord Europa. Economische, dat wil dus tevens zeggen, monetaire en sociale integratie van Europa is voor het behoud der Europese beschaving essentieel” (É indubbio che il mantenimento e il graduale miglioramento del livello di vita europeo è possibile senza un continuo aumento e miglioramento della produzione europea, un aumento e miglioramento che non può essere realizzato in un contesto di piccoli mercati divisi da barriere commerciali, e nel disordine monetario che sconvolge l’Europa. L’integrazione economica, che è anche integrazione monetaria e sociale è quindi essenziale per la conservazione della civiltà europea). Cfr. NLHaNA, AZ/KMP 2.03.01, inv.nr. 2679, Minister Beyen aan Zijner Excellentie Dr. W. Drees, MinisterPresident, ‘s–Gravenhage. Cc. Z.E. S.L. Mansholt, Z.E. Prof. Dr. J. Zijlstra, ’s-Gravenhage, 10 November 1952. pp. 2-3. Cfr. Anche NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 397, Ministerraad n. 1158, Notulen van de buitegewone vergadering op Donderdag 16 October 1952 in de Zaal van Justitie aangevangen des morgens te 10 uur. 52 Cfr. NL-HaNA, AK/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2679, M. Beyen aan Zijner Excellentie Dr. W. Drees, Minister President, ’s-Gravenhage, c.c. Z.E. S.L. Mansholt, Z.E. Prof. Dr. J. Zijlstra, 10 November 1952. Cfr. Anche NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, inv.nr. 22913, Drs. E.H. van der Beugel aan Z.E. Minister Beyen, Memorandum, 12.11.1952. 51 22 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 ondanks grote verschillen van land tot land, en ondanks morele en economische terugslagen als gevolg van onderlinge oorlogen, gehandhaafd en ontwikkeld heeft, en die, niettegenstaande sterke economische en technologische invloeden uit het Westen, een uitgesproken eigen karakter heeft bewaard. Nederland heeft in de opbouw der Westeuropese beschaving een eigen en belangrijke rol gespeeld. Het is, ook na de tijdelijke ernstige verzwakking van zijn economische kracht als gevolg van de laatste wereldoorlog, in staat gebleven die rol te spelen. Als medearchitect en als bewoner van het huis der Westeuropese beschaving heeft Nederland een levensbelang bij de bescherming en verdere uitbouw daarvan. Noch het een noch het ander is mogelijk tenzij de Westeuropese landen zich verenigen. Aan het tot stand brengen dier vereniging moet Nederlanddus met zijn volle vermogen medewerken. Een Verenigd WestEuropa kan echter niet bestaan en niet bloeien zonder nauw verkeer op ieder terrein met de democratische landen der verdere wereld. Nederlands grootheid is ontstaan door zijn banden met overzeese landen en het kan slechts hopen op een toekomstige bloei indien die banden worden behouden en verstrekt. Dit geldt voor alle landen van West-Europa, doch Nederland behoort door zijn historie tot de landen, waar het besef dezer noodzakelijkheid het levendigst is. Nederland heeft geen door een eeuwenlange geschiedenis ingevreten vijandschap tegenover andere democratische landen der wereld. Nederland is dus bij uitstek aangewezen, zowel om een actieve rol te spelen in de bevordering van de vereniging van West-Europa, als om te waken tegen het ontstaan van economische en politieke tegenstellingen tussen een Verenigd West Europa en de rest van de wereld.53 La sopravvivenza dell’Europa occidentale è esposta a gravi minacce. Queste minacce non hanno propriamente il carattere di una conquista militare. Piuttosto, in generale, sono in pericolo le antiche civiltà europee, le quali, nonostante le grandi differenze tra paese e paese, e nonostante le battute d’arresto morali ed economiche conseguite alle guerre reciproche, si sono conservate e si sono sviluppate, e che, nonostante la forte influenza economica e tecnologica da Ovest, hanno mantenuto una forte caratterizzazione individuale. I Paesi Bassi hanno ricoperto un proprio e importante ruolo nella costruzione della civiltà occidentale. Anche a seguito del temporaneo, grave indebolimento della loro potenza economica, come conseguenza dell’ultima guerra mondiale, restano in grado di esercitare quel ruolo. Come co-costruttori e come abitanti della casa della civiltà europea occidentale, i Paesi Bassi devono considerare quale loro interesse primario, vitale, la difesa e l’ulteriore sviluppo di quella stessa civiltà. Ma né l’una né l’altro sono possibili senza l’unificazione dei paesi europei. A porre in essere questa unificazione l’Olanda deve quindi collaborare con tutte le sue forze. Un’Europa occidentale unita non può però esistere e prosperare senza un’intensificazione dei traffici con i paesi democratici del resto del mondo. La grandezza olandese è nata proprio grazie ai suoi legami con i territori d’oltremare e può sperare in un futuro di prosperità soltanto se tali legami verranno mantenuti e rafforzati. Questo discorso vale per tutti i paesi dell’Europa occidentale, ma tanto più per i Paesi Bassi, la cui storia Questo vale per tutti i paesi dell'Europa occidentale, ma, per la loro tradizione, i Paesi Bassi devono sentire più impellente questa necessità. L’Olanda non ha una storia secolare di radicata ostilità verso gli altri paesi democratici. Pertanto, è quanto mai opportuno sia che essa svolga un ruolo attivo nel promuovere l’unificazione dell’Europa occidentale, sia che contrasti l’emergere di spaccature economiche e politiche tra l’Unione dell’Europa occidentale e il resto del mondo. Cfr. NL-HaNA, AK/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2679, M. Beyen aan Zijner Excellentie Dr. W. Drees, Minister President, ’s-Gravenhage, c.c. Z.E. S.L. Mansholt, Z.E. Prof. Dr. J. Zijlstra, 10 November 1952. 53 23 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 La minaccia alla civiltà europea, proseguiva il ministro, avrebbe premuto su due fronti, uno interno e uno esterno, e sarebbe stata condotta da soggetti distinti, uno politico-ideologico e l’altro strategico-militare. Quanto al primo aspetto, l’azione sovvertitrice, sistematicamente perpetrata da fascisti e comunisti, esponeva la democrazia europea al pericolo di “contaminazione da totalitarismo”; sul versante esterno, viceversa, l’Unione Sovietica e i suoi satelliti si addensavano al confine orientale pronti all’invasione militare.54 Ma, lungi dal voler generare eccessivi allarmismi, Beyen rassicurava immediatamente il Ministerraad proponendo una soluzione, rapida e facilmente praticabile, per entrambi i problemi. “La miglior difesa contro il virus del totalitarismo”, spiegava il ministro,”è il benessere economico e sociale” 55, il quale avrebbe dovuto essere conservato, ove presente, apportato e incrementato, se necessario. L’innalzamento degli standard di vita europei, pertanto, doveva essere conseguito nel minor tempo possibile e attraverso strategie di intervento mirate e puntuali. Lo schema proposto da Beyen, ispirato agli insegnamenti della logica e del pragmatismo, presentava entrambi i requisiti. “Il mantenimento e il miglioramento progressivo dei livelli di benessere in Europa”, precisava il rapporto, “non sono realizzabili se non sono accompagnati da un costante aumento e sviluppo della produttività continentale”. Ma quest’ultimo obiettivo, a sua volta, non poteva essere conseguito in un contesto di piccoli mercati, peraltro divisi da un’infinità di barriere tariffarie, nonché in uno scenario di forti perturbazioni monetarie. Ne conseguiva che la salvaguardia della civiltà europea dipendeva non soltanto dal benessere economico e sociale, ma anche da un’integrazione economica che tenesse pure conto degli aspetti sociali e monetari, cioè, in altre parole, da un “marché unique”56 costruito secondo i precetti dell’integrazione economica “De West-Europese beschaving is bedreigd van binnen uit, waar fascistische of communistische machten trachten te vernietigen het democratisch karakter van de politieke structuur der Westeuropese landen; van buiten uit, indien de Sovjet Unie en haar satellieten trachten te veroveren de gebieden dier landen” (La civiltà europea occidentale è minacciata dall’interno, dove le forze fasciste e comuniste tentano di cancellare il carattere democratico della struttura politica dei paesi dell’Ovest europeo; dall’esterno, dove l’Unione Sovietica e i suoi satelliti tentano di invadere i territori di quei paesi). Ibidem. 55 Wat het eerste betreft staat wel vast, dat de beste verdediging tegen het virus van een totalitaire besmetting in economische en sociale gezondheid ligt”. (Quanto al primo aspetto, è evidente che la miglior difesa contro la contaminazione del virus del totalitarismo risiede nel benessere economico e sociale). Ibidem. 56 “Onbetwistbaar blijft echter, dat behoud en geleidelijke verbetering van het Europese levenspeil niet mogelijk is, zonder voortdurende verhoging en verbetering van de Europese productie, een verhoging en verbetering, die niet bereikt kan worden in een door handelsbelemmeringen in te kleine markten verdeeld, en door monetaire onrust verstoord Europa. Economische, dat wil dus tevens zeggen, monetaire en sociale integratie van Europa is 54 24 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 orizzontale. Per la prima volta, la prospettiva di costruire un “mercato unico europeo”, da tempo nell’orizzonte concettuale dell’ex direttore del Fmi e della Banca mondiale, il quale, peraltro, aveva ben in mente il modello americano 57, veniva precisata in un documento ufficiale, ad uso dapprima del solo governo olandese e poi delle cancellerie degli stati membri della Ceca. Quanto alla minaccia dall’esterno, lo schema di Beyen individuava nell’integrazione militare dell’Europa e nella cooperazione del mondo democratico sul terreno della difesa58 le risposte più efficaci da dare al problema. Tale integrazione, tuttavia – aveva cura di puntualizzare il ministro olandese – non doveva spingere i governi dei Sei ad identificare la cooperazione continentale con una sorta di “lega difensiva contro un nemico comune”. Al contrario, lasciando trapelare apertamente le sue propensioni europeiste, peraltro fortemente sbilanciate verso il federalismo, Beyen riconosceva nella consapevolezza dell’esistenza di un nemico comune, cioè di un pericolo concreto unanimemente percepito dagli europei dell’Ovest, un suggestivo catalizzatore per accelerare la formazione di una solida “coscienza unitaria”, voor het behoud der Europese beschaving essentieel”. (È indubbio che la conservazione e il miglioramento progressivo del livello di vita europeo resta impossibile senza un continuo aumento e miglioramento della produzione europea, un incremento e miglioramento che non può essere realizzato in mercati troppo piccoli divisi da barriere commerciali e in un’Europa perturbata da disordini monetari. L’integrazione economica dell’Europa, con cui s’intende anche l’integrazione monetaria e sociale, è quindi indispensabile per la sopravvivenza della civiltà europea). Ibidem. 57 “De gedachte, dat het Europese probleem zou moeten - en alleen zou kunnen worden opgelost door een Verenigd Europa op te bouwen, dat economisch en sociaal werkt als de Verenigde Staten, berust in meer dan één opzicht op een misvatting. Bij de bespreking van het vraagstuk van de "marché unique" hoede Europa zich zorgvuldig voor deze misvatting. De oplossing van dat vraagstuk is zowel ingewikkelder als gemakkelijker dan het zou zijn, ware deze Amerikaanse conceptie juist”. (L’idea che il problema europeo dovrebbe – e potrebbe soltanto - essere risolto con la costruzione di un’Europa Unita, che economicamente e socialmente funzioni secondo il modello statunitense, è fondata in più di un aspetto su un malinteso. Discutendo sulla questione del “mercato unico” l’Europa eviterebbe questo malinteso. La soluzione della questione è tanto più complicata quanto sarebbe più semplice se si ritenesse giusta l’impostazione americana). Ibidem. 58 “Wat het eerste betreft staat wel vast, dat de beste verdediging tegen het virus van een totalitaire besmetting in economische en sociale gezondheid ligt... De bedreiging van buiten eist militaire integratie van Europa, en, tegelijk, omdat de bedreiging zich niet uitsluitend tegen Europa maar tegen de gehele democratische wereld richt, innige samenwerking van het militair geintegreerd Europa met de verdere Westerse democratische wereld” (Quanto al primo aspetto, è evidente che la miglior difesa contro la contaminazione del virus del totalitarismo risiede nel benessere economico e sociale... La minaccia dall’esterno richiede l’integrazione militare dell’Europa e, più specificamente, poiché la minaccia non si limita all’Europa, ma si rivolge contro l’intero mondo democratico, una più stretta cooperazione dell’Europa militarmente integrata con il resto del mondo occidentale democratico). Ibidem. 25 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 così come era già accaduto alle origini del percorso comunitario, allorché l’esigenza di risolvere definitivamente l’antagonismo franco-tedesco, collettivamente riconosciuto come minaccia alla stabilità politica e allo sviluppo economico, aveva alimentato la crescita di una solidarietà reciproca tra gli stati del Vecchio continente59. E quella stessa solidarietà, concludeva Beyen, avrebbe spinto gli stati ad accettare “quei sacrifici senza i quali nessuna integrazione, in nessun ambito, potrebbe essere realizzata”60. Indicate le soluzioni alle problematiche contingenti, restava in sospeso la spinosa questione della struttura politica di cui dotare la Comunità, peraltro intrinsecamente connessa con il discorso sull’integrazione militare. Una questione che, del resto, era già all’esame dei Sei, a seguito dell’iniziativa dell’italiano De Gasperi. Anche nell’affrontare tale tematica, che Beyen sapeva bene rappresentare il nodo principale della politica europea olandese, il rapporto si ispirava ai capisaldi della logica e del pragmatismo, tentando così di sollecitare l’Aja a valutare le ragioni pratiche e i risvolti concreti della proposta, risolvendo, in ultima analisi, di offrire ad essa il proprio sostegno. Stando al testo: Militaire samenwerking zonder politieke integratie is zeer goed bestaanbaar, doch de tegenwordige dreiging is gezien het karakter der moderne oorlogsvoering zodanig, dat althans in Europa slechts bijen zekere politieke integratie de offers kunnen worden verwacht, nodig tot het opbouwen van een geintegreerde militaire macht, sterk genoeg om de dreiging af te wenden. Het is dan ook begrijpelijk dat de noodzakelijkheid tot militaire integratie het probleem der politieke integratie op de voorgrond heeft gebracht 61 “De Europese integratie is geenszins in de eerste plaats een militaire integratie, een noodzakelijk defensief verbond tegen een gezamenlijke vijand. Doch het is het bestaan van een gezamenlijke vijand, het bewustzijn van een gezamenlijke bedreiging door een tastbaar gevaar, dat het bewustzijn der Europese saamhorigheid heeft aangewakkerd.”. (L’integrazione europea non è in alcun modo un’integrazione principalmente militare, un necessario legame difensivo contro un nemico comune. Ma è l’esistenza di un nemico comune, la consapevolezza di una minaccia comune da parte di un nemico concreto, che ha alimentato la coscienza della solidarietà europea). Ibidem. 60 “Slechts een levendig saamhorigheids bewustzijn doet de offers aanvaarden zonder welke geen integratie, op welk gebied dan ook, tot stand zou kunnen komen”. (Soltanto la consapevolezza di una solidarietà viva consente di accettare quei sacrifici senza i quali nessuna integrazione, in nessun ambito, potrebbe essere realizzata). Ibidem. 61 Ibidem. La cooperazione militare senza integrazione politica è senz’altro possibile, ma la minaccia attuale, considerata la natura della guerra attuale, è tale che, almeno in Europa, soltanto se si accettano determinate offerte di integrazione politica, necessarie per la costruzione di una forza militare integrata, si può diventare abbastanza forte da scongiurare il pericolo. È quindi comprensibile che la necessità dell’integrazione militare abbia portato in primo piano il problema dell’integrazione politica. 59 26 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Alla luce di tali premesse, l’economista olandese illustrava apertamente il suo teorema dell’integrazione, il quale, in pratica, sintetizzava a mo’ di sillogismo, in un’unica soluzione, coerente e propositiva, le due proposte precedentemente avanzate. Più concretamente, Beyen invitava a considerare l’integrazione economica, militare e politica “come tre aspetti di uno stesso problema, che è l’unificazione europea”, giacché: ... politieke integratie zonder economische integratie zinvol is, ja dat politieke integratie iets wezenlijk anders is dan economische integratie. Daarbij wordt over het hoofd gezien, niet allen dat militaire integratie zonder een zekere economische integratie onbestaanbaar is, maar ook, dat economische integratie in brede zin, nl. de integratie nodig voor het behoud en verhoging van het Europees levenspeil, zonder een zekere politieke integratie onuitvoerbaar ware. Een politieke integratie, die geen andere inhoud heeft, dan het mogelijk maken van gecoördineerde militaire krachtsinspanning met daarnaast slechts de regeling van de productie en afzet van enige belangrijke grondstoffen, zou slechts een zeer beperkte saamhorigheid in Europa tot stand brengen. Wil men een wezenkijk levend saamhorigheidsbewustzijn doen groeien zonder welke . welke geen enkele integratie levensvatbaar is, dan moet men economische, militaire en politieke integratie zien als drie aspecten van een en hetzelfde probleem, dat der Europese integratie. 62 Il raggiungimento di un obiettivo tanto ambizioso quanto in prospettiva fecondo– proseguiva il rapporto - avrebbe inevitabilmente imposto agli stati, e soprattutto ai paesi di piccole dimensioni, di compiere dei sacrifici in termini di souvereiniteitsoverdracht (cessione di sovranità) nelle materie affidate alla gestione di organi comuni europei. Ma tali rinunce sarebbero state comunque sopportate a fronte della garanzia di benefici importanti e di lungo periodo offerta dall’integrazione sovranazionale. Per questo – e qui Beyen mandava a segno il suo affondo decisivo – il governo olandese – insieme alla Tweede Kamer, giacché la solidarietà europea si sarebbe conseguita soltanto se al processo di unificazione avessero partecipato anche i parlamenti nazionali63 - si sarebbe Ibidem. (... l’integrazione politica senza integrazione economica non ha senso, sicché l’integrazione politica è altrimenti desiderabile rispetto all’integrazione economica. Inoltre non solo viene trascurato che l’integrazione militare senza una certa integrazione economica non è sostenibile, ma anche che l’integrazione economica generale, cioè l’integrazione necessaria per la conservazione e l’innalzamento degli standard di vita europei, non è praticabile senza una certa integrazione politica. Un’integrazione politica che non abbia altre ambizioni che rendere possibile lo sforzo militare coordinato, insieme alla semplice regolamentazione della produzione e della commercializzazione di alcuni prodotti chiave, porterebbe soltanto ad ottenere una solidaritetà molto limitata in Europa. L’idea di voler far crescere una desiderabile e viva coscienza unitaria europea è impraticabile senza una qualche integrazione, per cui si deve vedere l’integrazione economica, militare e politica come tre aspetti dello stesso problema, che è quello dell’integrazione europea). 63 “Het verschil met reeds bestaande vormen van samenwerking op andere gebieden ligt op twee vlakken: a, de samenwerking zal niet uitsluitend een samenwerking tussen Regeringen 62 27 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 dovuto assumere la responsabilità di promuovere la cessione di sovranità, lanciando peraltro un chiaro messaggio, sia sul Continente sia al di là dell’Atlantico, di raggiunta maturità politica. Più nel concreto, i Paesi Bassi avrebbero dovuto premere sugli altri stati impegnati nella costruzione della Ceca e della Ced affinché programmassero di estendere la cooperazione sovranazionale ai terreni economico, sociale e monetario, gli unici cioè, come si era già dimostrato, in grado di assicurare un miglioramento dei livelli di vita dei cittadini europei, ovverossia di conseguire l’obiettivo principale dell’integrazione. E il primo passo in tale direzione sarebbe stata la riduzione o l’eliminazione degli ostacoli al libero commercio, cioè, in altre parole, l’unione doganale europea. Il tono del rapporto lasciava trasparire senza mezzi termini il carattere di urgenza che Beyen attribuiva a tale misura. Alla lettera: Het heeft genn zijn energie en tijd te verspillen aan het opheffing van handelsbelemmeringen, waar deze voor productieverhoging niet noodzakelijk is. 64 Il superamento della divisione tra le economie nazionali, nonché di conseguenza, l’abbattimento di qualsiasi forma di protezionismo avrebbe dovuto rappresentare il primissimo impegno sull’agenda delle istituzioni della Cpe, le quali, in un secondo momento, avrebbero iniziato a programmare l’armonizzazione delle politiche monetarie e sociali65. Ora, analizzati i contenuti della prima proposta organica sull’integrazione europea presentata da Beyen al proprio governo, occorre precisare che i principi che vi si enunciavano, per quanto in parte mutuati dal modello “Benelux”66, traducevano in progetti concreti le convinzioni maturate dal ministro olandese già a partire dagli anni Trenta, vale a dire la consapevolezza che la sopravvivenza dell’Europa presupponesse necessariamente un certo grado di zijn, doch ook tussen de parlementen der aangesloten Staten”. (La differenza con le forme già esistenti di cooperazione su altri terreni si rileva su due livelli: a, la cooperazione non sarà esclusivamente una cooperazione tra governi, ma anche tra i parlamenti degli stati interessati). Ibidem. 64 Ibidem. (Non ci sono energie né tempo da perdere. L’eliminazione delle barriere commerciali è necessaria perché ostacola l’aumento della produttività). 65 Cfr. NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 397, Het vraagstuk der Europese Integratie, 24.11.1952, p. 8. 66 Per la precisione, il modello di riferimento di Beyen era la cosiddetta “Convenzione di Ouchy”, la quale , già nel 1932, aveva previsto una riduzione progressiva dei diritti di dogana e l’applicazione del regime della nazione più favorita tra l’Unione economica belgolussemburghese (Uebl) e i Paesi Bassi. Spiccatamente vocata alle esportazioni, l’Olanda aderì all’iniziativa nell’intento sia di sviluppare il proprio commercio, sia di trovare nuovi sbocchi europei per le sue merci”. Cfr. www.ena.lu 28 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 unificazione, purché quest’ultima si realizzasse sulla base di esigenze di ordine pratico, piuttosto che attraverso pur affascinanti sollecitazioni ideali 67. “La lotta per l’integrazione europea”, affermava ostentando un peculiare pragmatismo da banchiere ed economista, “è stata tale, fin dall’inizio, perché ha assunto le sembianze di un conflitto tra differenti linee di pensiero”68. Viceversa, l’evoluzione della politica nazionale e dei rapporti interstatali, e soprattutto l’acquisizione del welfare nella sfera delle competenze dei governi, aveva di fatto obbligato gli stati ad abbandonare le pur seducenti speculazioni intellettuali e ad impegnarsi in una cooperazione positiva e plausibilmente crescente. Tale scelta, in effetti, era diventata ineludibile, vista l’impossibilità di risolvere a livello nazionale le problematiche che si ponevano di fronte ai governi all’avvio dell’era postbellica: barriere commerciali proibitive, disoccupazione, ostacoli monetari e guerre, per citarne soltanto alcune. Soltanto un coacervo così intricato di circostanze e di necessità urgenti, concludeva il ministro, avrebbe convinto, anzi imposto agli stati la rinuncia alla sovranità. Convinzioni, queste, che ad ogni modo non facevano di Beyen un discepolo di Mitrany, né, tanto meno, un seguace di Jean Monnet. Al contrario, come si è visto, il finanziere olandese riteneva che l’integrazione settoriale fosse troppo limitata per avere successo nel lungo periodo. La sua pluriennale esperienza di economista, infatti, lo aveva persuaso che tale modello avrebbe prodotto, come risultato finale, soltanto una frammentazione delle economie nazionali, anziché un terreno fertile su cui impiantare quella federazione europea cui aspiravano i funzionalisti di scuola monnetiana. Tali considerazioni, è bene precisare, non hanno la pretesa di alludere ad un possibile coinvolgimento federalista del banchiere appassionato di violino e di letteratura, tanto più che egli stesso espresse in più occasioni la sua persuasione che l’Europa federale fosse, di fatto, un’utopia. Volendo sintetizzare, si potrebbe invece affermare che l’europeismo di Beyen si configurava come una sorta di “terza via” tra i due approcci, quello federalista e quello monnetiano, giacché del federalismo accoglieva il principio dell’azione Cfr. W.H. Weenink, Johan Willem Beyen…, cit., pp. 318-319. A tale proposito, Jan-Willem Brouwer precisa che fu il periodo trascorso da Beyen a Bali, dove fu chiamato a ricoprire il ruolo di vice-presidente della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), la stagione senz’altro più feconda per la maturazione del suo pensiero europeista. Stando allo storico olandese infatti: “Il vit de près le fonctionnement d’une organisation intergouvernementale lors de la crise internazionale. La BRI est impuissante devant les obstacles des paiements de dommages de guerre, devant le fait que le système de l’étalon d’or ne fonctionne plus et surtout devant l’échec de la coopération internationale”. Cfr. J.-W. Brouwer, “Jan-Willem Beyen, Européen…, cit., p. 261. 68 “De strijd om de Europese integratie is van het begin af een strijd over denkbeelden geweest”. Cfr. J.W. Beyen, Het spel…, cit., p. 219. 67 29 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 ad ampio respiro e la tendenza a cogliere il momento per accelerare le trasformazioni, pur rifiutandone l’impianto radicale e il carattere militante; mentre del funzionalismo apprezzava l’aderenza alla realtà e l’impronta pragmatica delle soluzioni proposte, pur senza condividerne il gradualismo esasperato e la ristrettezza di orizzonti propria del settorialismo. Di là dai tentativi, anche avventurosi, di ricostruire organicamente il peculiare europeismo di Jan Beyen (che peraltro egli stesso non si premurò mai di precisare nei presupposti teorici, puntando piuttosto a trasporlo nelle iniziative concrete che portò avanti come ministro degli Esteri), vale comunque la pena di sottolineare che le riflessioni sopraesposte costituirono di fatto il sostrato ideale alla base delle proposte del banchiere olandese per l’Europa comunitaria. E occorre altresì tener presente che proprio in virtù di quelle idee, maturate in quasi vent’anni di partecipazione, benché indiretta, al dibattito sull’integrazione, il ministro “partijloze” riuscì in brevissimo tempo a costruirsi una visione coerente e puntuale della coeva realtà comunitaria. Riteneva infatti che, per quanto evocativi, i progetti troppo ambiziosi, con particolare riferimento al tentativo di unificazione politica, fossero irreversibilmente destinati a fallire, considerata l’insufficienza delle condizioni sine qua non pressioni esterne e volontà politica - su cui poggiare per garantirne l’attuazione69. Pertanto, nella certezza che “una strategia politica di successo è pensiero applicabile alla realtà”70, Beyen elaborava il suo Memorandum valutando contestualmente sia, in prospettiva, la wenselijkheid, “auspicabilità” nella traduzione letterale del termine, delle proposte avanzate, sia, nell’immediato, la loro praticabilità. La sintesi era un Piano per l’integrazione economica generale, capace al contempo di sollecitare gli appetiti dei governi, interessati in primo luogo a raggiungere massimi livelli di sviluppo e produttività, e di introdurre il maggior numero possibile di presupposti su cui edificare, in un futuro non precisato, una solida unità continentale su basi sovranazionali71. Sintetizza efficacemente Anjo G. Harryvan: “Maar goed beschouwd bestaat in politicis de zgn. Werkelijkheid, die het doorvoeren van bepaalde ideeën, het verwezenlijken van bepaalde dromen onmogelijk maakt, zelf niet louter uit feitelijkheden”. Ibidem. 70 “Een successvolle politiek is niet denkbaar, die niet met de werkelijkheid rekening houdt”. Ibidem. 71 A tal proposito, e a dimostrazione della validità della tesi di Beyen, si consideri Wolters: “Basically then, Dutch policy-makers built upon the assumption that political integration in Western Europe would led to, and be subordinate to, economic integration only”. Cfr. M. Wolters, “Scrutinizing Dutch EC Membership”, in Menno Wolters and Peter Coffey (eds.), The Netherlands and EC Membership Evaluated, Pinter Publishing, London, 1990, pp. 10-21. 69 30 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 This Beyen Plan would remain the official Dutch policy line for a great many years unitl its political realisation in 1957. 72 Il Piano Beyen al vaglio dei Sei Ottenuto l’avallo del Ministerraad, l’11 dicembre 1952, lo schema che passò alla storia come “primo Piano Beyen”, elaborato da un Comitato ad hoc (Advies Commissie voor de Europese Integratie) istituito in seno al Buitenlandse Zaken e presieduto dallo stesso Beyen, partiva in forma di Memorandum dalle cancellerie dei Paesi Bassi per raggiungere i tavoli dei ministeri degli Affari Esteri dei Cinque. Il testo, come già anticipato, riprendeva i principi fondamentali dell’impianto concettuale del suo ideatore, con particolare riferimento alla marcia parallela dell’integrazione economica e dell’integrazione politica, all’abbandono del metodo settoriale in virtù dell’opzione generale, nonché all’idea cardine della Dichiarazione Schuman, vale a dire la costruzione dell’unità continentale attraverso “réalisations concrète créant d’abord une solidarité de fait”73. Il destino del Memorandum dipendeva, ora, dall’abilità dei negoziatori olandesi nel convincere i partner comunitari a stilare il trattato Cpe secondo il disegno dell’Aja. Anche in questa circostanza, come nelle precedenti trattative, lo scoglio principale era rappresentato dalla posizione che avrebbe assunto la Francia. Ad ogni modo, nelle ottimistiche previsioni del Ministerraad, essendo il Quai d’Orsay il “regno” dell’europeista Schuman, non sarebbe stato difficile aprire un dialogo con Parigi e giungere ad un accordo sulle proposte elaborate al Binnenhof. Nel gennaio 1953, tuttavia, un radicale avvicendamento ai vertici del ministero degli Esteri francese schierò davanti ai Paesi Bassi un antagonista imprevisto. Con l’entrata in funzione del nuovo governo di Parigi, infatti, largamente rappresentato da gollisti, a sostituire Schuman venne chiamato Georges Bidault, sensibilmente più tiepido del predecessore quanto a vocazione europeistica. E tuttavia era stata proprio la maggiore attenzione di Bidault – figura carismatica della Resistenza francese, nonché fondatore del Movimento repubblicano popolare (MRP) - per la tutela degli interessi nazionali (tematica riportata in auge dalla crisi economica che andava imperversando sul territorio transalpino) rispetto alla cooperazione internazionale, nonché la pronunciata sensibilità all’idea della grandeur parigina, a convogliare intorno al suo nome la maggior parte delle preferenze. 72 73 A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence..., cit., pp. 45-46. Ivi, p. 46. 31 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Alla luce di questi cambiamenti, le probabilità di successo del Piano Beyen si assottigliavano vistosamente, giacché si profilava l’ipotesi che Bidault non soltanto avrebbe ostacolato qualsiasi proposta di avanzamento dell’integrazione che non avesse ricevuto il preventivo placet parigino, ma tanto più che si sarebbe scagliato contro un progetto di unione doganale, visto che Parigi, per contrastare gli effetti della crisi economica di cui sopra, sembrava ormai del tutto decisa a cedere alla tentazione del protezionismo. Seconda e terza revisione Nel tentativo di eludere lo scontro frontale con i transalpini e, contestualmente, di mettere al sicuro i contenuti del suo Piano da semplicistiche opposizioni di principio – le quali, stando ai resoconti dei delegati olandesi a Bonn, sarebbero giunte anche dai tedeschi, intenzionati più che mai a tener saldo l’ancoraggio alla Francia per non compromettere il buon esito del negoziato sulla Ced74 - il 28 gennaio, Beyen consegnava a Drees una versione ritoccata, ovverossia più cauta, del Memorandum dell’11 dicembre, la quale, comunemente nota come “secondo Piano Beyen”75, il 14 febbraio sarebbe stata inoltrata ai ministri dei Sei, Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, 91 Staatkunde, 913 Multilaterale betrekkingen, wereldproblemen, 913.1 Europa, 913.10 Algemeen, 16821-16846 Assemblee ad hoc, ingesteld in september 1952 door de landen van de Europese Gemeenschap voor Kolen en Staal (EGKS) tot instelling van een Europese Politieke Gemeenschap, 1952 – 1954, inv.nr. 16827 1953 jan., omslag, De Duitse regering en het Nederlandse plan voor Europese economische integratie, Medio Januari 1953. 75 Il secondo Piano Beyen giungeva alla sua versione definitiva il 14 febbraio 1953. Cfr. J.-W. Brouwer, “Jan-Willem Beyen..., cit., p. 263. Ricorda in proposito lo stesso Beyen: “Dit memorandum werd op 14 februari 1953 gevolgd door een brief van de Nederlandse Minister van Buitenlandse Zaken aan de bovengenoemde Ministers van Buitenlandse Zaken, waarin met het oog op de voorgenomen Conferentie der Zes Ministers te Rome op 24 en 25 februari d.a.v. een nadere uiteenzetting werd gegeven van het standpunt van de Nederlandse Regering. In deze brief, die het algemene standpunt van onze Regering tegenover het vraagstuk der Europese integratie uitvoerig uiteenzet, wordt voorgesteld: 1. in het formuleren van de doelstellingen van de Politieke Gemeenschap de schepping van een „gezamenlijke markt” uitdrukkelijk aan te kondigen; 2. als concrete bijdrage aan de verwezenlijking daarvan een Douanegemeenschap te vormen; 3. het in het Verdrag opnemen van „Clauses de Sauvegarde” welke iedere deelnemende Staat kan inroepen, wanneer de opheffing van de handelsbelemmeringen zou leiden tot „troubles fondamentaux”, voor de toepassing waarvan wat betreft hun duur en hun karakter de toestemming nodig zou zijn van de Politieke Gemeenschap; 4. dat als de Gemeenschap deze toestemming weigert, zij moet vaststellen, welke maatregelen toelaatbaar zouden zijn op grond van de „Clauses de Sauvegarde”, alsook welke overgangsmaatregelen genomen zouden kunnen worden door de Gemeenschap zelf. Voor de onder 3 en 4 bedoelde beslissingen is eenstemmigheid niet vereist; 5. dat, wat betreft sectoren van het economisch leven waar de toepassing van de „Clauses de Sauvegarde” de verwezenlijking van de Gemeenschappelijke Markt zou beletten, de Gemeenschap voorstellen moet doen teneinde de noodzakelijkheid van de toepassing der „Clauses de Sauvegarde” 74 32 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 insieme ad una lettera autografa del ministro olandese76, e poi discussa (24-25 febbraio) a Roma, in occasione della riunione del Consiglio dei ministri della Ceca77. Nella lettera, in particolare, Beyen ribadiva la necessità di armonizzare il processo di integrazione politica con quello di integrazione economica, la quale, a sua volta, avrebbe dovuto essere realizzata a livello generale, anche e soprattutto nell’intento di giungere ad un’effettiva uniformità dei livelli di sviluppo delle economie nazionali e di generare, di conseguenza, un sentimento overbodig te maken, d.w.z. voorstellen om de „troubles fondamentaux” zelve uit de wereld te helpen. Het karakter dezer voorstellen zou verschillend zijn, naar gelang van de aard der „troubles fondamentaux” en zij zouden dus niet beperkt behoeven te zijn tot de economische sectoren waar de „troubles” zich voordeden — ze zouden voorts zowel economisch als financieel kunnen zijn; 6. teneinde de hier bedoelde voorstellen te financieren of te helpen financieren zou een Gemeenschappelijk Fonds moeten worden geschapen, ter vorming waarvan zekere ontvangsten moesten worden gereserveerd, die óf ontvangsten van de Gemeenschap óf bijdragen (of garanties) van de Leden-Staten konden zijn” (Questo memorandum fu inviato, il 14 febbraio 1953, attraverso una lettera del ministro degli Esteri olandese, ai sopracitati ministri degli Esteri, in cui rifacendosi alle proposte della Conferenza dei Sei ministri, tenutasi nella capiale italiana il 24 e 25 febbraio, offriva un’ulteriore illustrazione del punto di vista del governo olandese. In questa leggera 76 Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, inv.nr. 16828, Brief van Beyen aan Min. des Affaires Etrangères, Luxembourg; Min. des Affaires Etrangères, Paris; Min. des Affaires Etrangères, Bruxelles; Le Président du Conseil des Ministres, Rome; Le Chancelier-Fédéral de la République Fédérale d’Allemagne, Bonn, La Haye, le 14 février 1953. Cfr. anche “Brief van de Minister van Buitenlandse Zaken, Mr. J.W. Beyen, op 14 Februari 1953 toegezonden aan de Ministers van Buitenlandse Zaken van de andere landen, die deel uitmaken van de Europese Gemeenschap voor Kolen en Staal, betreffende de taak en de bevoegheden van de Europese Gemeenschap op economisch gebied”, in Ministerie van Buitenlandse Zaken, Jaarboek van het Ministerie van Buitenlandse Zaken, 1952/1953, s.l., 1953, pp. 237-241. 77 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 486, Ontwerp van een memorandum bestemd voor de regeringen, 28.1.1953. In particolare, Beyen, preso atto delle resistenze dei governi ad accettare un ampliamento delle competenze degli organi sovranazionali, proponeva di limitare gli obiettivi della nascente Cpe ad alcuni passi concreti in direzione della “fusion des intérêts essentiels des Etats membres”. In tale contesto, la prima tappa sarebbe stata la creazione graduale di un mercato comune, a partire cioè dalla soppressione delle barriere doganali interne e dall’introduzione di una tariffa esterna comune. Tali disposizioni sarebbero state precisate nei contenuti e nel calendario da una commissione di studio sovranazionale per l’Unione doganale europea. A garanzia degli stati che, a seguito dell’applicazione di questa tariffa, si fossero trovati a confrontarsi con “Troubles Fondamentaux”, Beyen prevedeva di introdurre sia una clausola di salvaguardia, sia di misure transitorie, sia di un fondo di garanzia. La possibilità di uno stato di avvalersi di tali misure straordinarie, ad ogni modo, sarebbe stata decisa collettivamente dagli altri partner senza ricorrere a votazioni all’unanimità. Cfr. anche J.W. Beyen, Het spel en de knikkers..., cit., pp. 227-229. 33 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 “de solidairté réelle qu’éprouvent les peuples de l’Europe occidentale”78. Peraltro, precisava Beyen, anche in caso di pieno successo del metodo settoriale, il risultato non sarebbe andato oltre “alcune forme di cartellizzazione” che avrebbero inficiato la crescita degli altri settori. In conclusione, l’economista olandese esortava i Sei a mettere a punto un trattato Cpe che prospettasse “expressément la création d’un marché commun”79 dell’Europa occidentale, con particolare riferimento al primo obiettivo da conseguire in tale direzione, vale a dire la “constitution d’une Communauté Tarifaire”80. Il trattato avrebbe inoltre dovuto prevedere l’introduzione di alcune “clauses de sauvegarde” di cui si potessero avvalere quei paesi che si fossero trovati di fronte a “troubles fondamentaux” a seguito dell’introduzione delle nuove disposizioni. Quanto alle competenze delle istituzioni sovranazionali, Beyen non ignorava certo le resistenze, prima di tutto psicologiche, degli stati, dello stesso governo dell’Aja, alla prospettiva di devolvere interamente agli organi comuni la responsabilità di dare attuazione all’unificazione economica e tariffaria. Pertanto, si era premurato di rassicurare preventivamente gli animi conferendo all’esecutivo di Bruxelles soltanto alcune funzioni essenziali: la competenza di verificare l’esistenza concreta dei requisiti per l’applicazione della clausola di salvaguardia, nonché la sua forma e la sua durata; la facoltà di presentare proposte per la soluzione dei problemi strutturali (schemi di riorganizzazione dei singoli settori economici e di modernizzazione dei metodi di produzione). Per l’insieme di queste decisioni, prescriveva Beyen, “l’unanimité ne sera pas requise”, mentre gli stati che avessero voluto presentare ricorso contro una decisione della Comunità si sarebbero dovuti rivolgere a “un collège indépendant, tel que la Cour”81. Le misure proposte dagli organi sovranazionali - le quali, in alcuni casi, avrebbero presumibilmente comportato degli impegni finanziari sarebbero state parzialmente finanziate con risorse comuni, cioè attraverso un Fondo ad hoc, “c’est-à-dire que certaines recettes devraient être réservées à cette effet”82. Infine, in netto anticipo sui tempi - cosa che confermava la lucidità dell’analisi politico-economica del banchiere olandese, il quale tentava altresì una parziale riconciliazione con il “nemico” transalpino – Beyen suggeriva di Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, inv.nr. 16828, Brief van Beyen aan Min. des Affaires Etrangères, Luxembourg..., cit., p. 2. 79 Ivi, p. 5. 80 Ibidem. Sulla Comunità Tariffaria precisava la lettera: “La décision de créer une Communauté Tarifaire devrait se traduire par l’élaboration de dispositions à inclure dans le Traité. Ces dispositions devraient stipuler la période au cours de laquelle la Communauté Tarifaire devrait être réalisée et l’automatisme devant assurer sa constitution pendant la période ainsi déterminée”. 81 Ivi, p. 6. 82 Ivi, p. 7. 78 34 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 prevedere la creazione di una “communauté spécialisée” nei settori economici di particolare rilevanza, o nei quali più evidenti emergevano le disparità di sviluppo tra gli stati membri, primo fra tutti l’agricoltura83. L’introduzione di tali misure, precisava la lettera, avrebbe necessariamente comportato il rafforzamento del carattere sovranazionale della nascente Cpe. L’invito ai governi era del tutto esplicito in questo senso: Le Gouvernement de la Reine ne partage l’opinion qu’il serait possible de réaliser une prèmiere Communauté Politique dont les attributions seraient limite aux domaines déjà intégrés, et cela dans l’espoir que les organes d’une telle communauté parviendraient à acquérir par eux-même l’autorité nécessaire à l’exptension graduelle du domaine dans lequel elle exercerait sa compétence. Cet espoir ne semble guère justifiée, car l’extension de l’autorité politique des organes précités serait influencée très défavorablement par le fait que les responsabilités auraient été intentionnellement refusées à la Communauté Politique, précisément dans les domaines où elle devrait acquérir son autorité. Mais en outre, selon l’opinion du Gouvernement de la Reine, cette manière de voir ne tient pas suffisamment compte des incertitudes et des conflits qui pourraient surgir et qui surgiront nécessairement entre les organes nationaux et les organes européens lorsque ces derniers prétendraient exercer leur autorité dans les domaines qu’ils ne peuvent, il est vrai, éviter, mais à l’égard desquels les organes nationaux sont exclusivement responsables. Loin de favoriser le renforcement et l’élargissement de la Communauté Politique, la réalisation de cette conception reviendrait à l’introduire le germe de la désagrégation au sein de la nouvelle communauté et consisterait pour le moins à retarder son élargissement désiré et nécessaire, contrairement à l’intérét bien compris des peuples européens..84 Chiamato ad esporre il Memorandum al successivo incontro dei sei ministri, a Strasburgo, Beyen, benché avesse già ricevuto aperte manifestazioni di interesse sia da Roma che dai partner del Benelux85, realizzò che le sue pur NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, inv.nr. 16828, Brief van Beyen aan Min. des Affaires Etrangères, Luxembourg..., cit., p. 8. Su quest’ultimo aspetta osserva Anjo G. Harryvan: “For agricolture and other sectors, where the impact and repercussions of integration would be considerable, the system of safety clauses threatened to halt alla progress. Therefore, special measures had to be taken for these sectors, such as the establishment of a specialized authority and the creation of a common fund”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 49. 84 Ivi, pp. 2-3. 85 “1. - La Belgique peut se rallier au principe que les Etats portent une responsabilité commune à l'égard des perturbations temporaires dans l'économie nationale qui se produiront à mesure que l’intégration évolue. 2. - L'union douanière réclamée par les Néerlandais semble devoir être plus une conséquence de l'intégration économique souhaitée qu'un moyen d'y arriver. 3. - La Belgique a intérêt à ce que l'intégration économique s'étende au nombre le plus grand possible de pays, 4. - la Belgique a intérêt à ce que l'intégration économique se développe dans d'autres secteurs que ceux du charbon et de l'acier tout en utilisant les institutions non techniques existantes et en réservant sa position quant aux pouvoirs à donner à l’organe exécutif qui serait appelé à diriger la ou les autres communautés qui seraient instituées dans l'avenir.”. Cfr. Considérations d'ordre économique sur le Mémorandum Néerlandais relatif a la création d'une 83 35 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 ponderate precauzioni non erano riuscite a produrre gli effetti sperati. Bidault, infatti, esordì dichiarando expressis verbis che non avrebbe mai accettato di far coesistere gli aspetti politici ed economici dell’integrazione nel trattato per la Cpe, stroncando così alla radice qualsiasi possibilità di dialogo a Sei sui dettagli del Memorandum dell’Aja86. In effetti, il ministro francese era ben consapevole delle reazioni che una sua così decisa opposizione avrebbe suscitato negli altri quattro capi dicastero. Adenauer per primo, pur avendo espresso informalmente giudizi più che positivi sulle proposte di Beyen, prese a mostrare un improvviso scetticismo. Non che la cosa venisse accolta con stupore dagli olandesi. Al contrario, come accennato, era ormai risaputo che, al momento, il Cancelliere ambiva soprattutto al buon esito della ratifica del trattato Ced, al quale riteneva fosse interamente vincolata la riconferma del proprio mandato nazionale87. Un obiettivo che, tutto sommato, anche nell’ottica del grande “padre” dell’Europa, valeva pur bene il sacrificio delle virtualità del Piano Beyen all’ingiustificata tracotanza parigina. A giungere inaspettato, di contro, fu il dissenso più e meno velato degli altri partner88, soprattutto di Belgio e Lussemburgo. Sottesa a tali opposizioni, Communauté Politique Européenne, Bruxelles, le 12 février 1953, http://www.inghist.nl/pdf/europa/G01532.pdf 86 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, 351.88(4) 32.2 Europese Politieke Gemeenschap (EPG), 2680-2681: Stukken betreffende de voorbereiding op, de deelname aan en de verslaggeving over de ministersconferenties inzake de vorming van de EPG. 2680 1952-1953; inv.nr 2680, Verslag van de werkzaamheden der Commission Constitutionelle en de Subcommissie, I, II en IV in de periode 5 t/m 12 Februari 1955. In particolare, nel rapporto sulla “integrazione politica europea” inviato da Beyen e Luns a Drees i due ministri avrebbero precisato: “Van Franse zijde is tegen uitbreiding van het competentieveld der E.P.G. op economisch terrein scherp stelling genomen”. (Da parte francese è stata contrapposta una resistenza tagliente all’ampliamento delle competenze della Cpe al terreno economico). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 486, Europese Politieke Gemeenschap, 5 Februari 1953, p. 4. Avrebbe commentato Beyen in proposito: “Spreker vestigt vervolgens nog de aandacht op de wijziging in de houding van de Franse Regering ten aanzien van de gedachte van de Europese Gemeenschap. Terwijl het vóór de conferentie in Rome leek, dat Frankrijk veel prijs stelde op een vorm van politieke integratie, krijgt men thans de indruk, dat Bidault hier niet veel meer voor voelt”. (Il relatore segnala il cambiamento di atteggiamento del governo francese rispetto all’idea di Comunità europea. Mentre prima della conferenza di Roma sembrava che la Francia tenesse in grande considerazione l’integrazione politica, si ha invece adesso l’impressione che Bidault non ha intenzione di andare avanti). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 398, Notulen van de vergadering gehouden op Maandag 16 Maart 1953, in de zaal van Justitie, aangevangen des morgens te 11 uur en des middags voortgezet, dd. 16.3.1953. 87 A spaventare Adenauer, in particolare, era l’ipotesi che, in caso di fallimento della Ced, il fronte antieuropeista tedesco, capeggiato dai socialisti, guadagnasse consensi nell’elettorato. Cfr. R.T. Griffiths, “The Beyen Plan”, cit., p. 171. 88 Soltanto De Gasperi si dichiarò sostanzialmente d’accordo con il Memorandum olandese. Stando al verbale della riunione, infatti: “M. DE GASPERI est convaincu que l’aboutissement de la Communauté Politique est lié à la ratification de la Communauté de Défense cela ne doit pas 36 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 riferiva il funzionario degli Esteri Jan Kymmell al suo omologo Enrst H. van der Beugel, era la reticenza dei due governi ad assumersi degli obblighi precisi, in primo luogo la costruzione di una unione doganale, da realizzare peraltro in tempi brevi89. A conferma di ciò, si prenda in considerazione quanto dichiarato da Paul van Zeeland, il ministro degli Esteri belga, alla seduta del Consiglio dei ministri del 9 marzo: “en allant trop vite, on risque de mettre en danger la construction de l’Europe”. E il lussemburghese Joseph Bech, nella stessa occasione, non aveva esitato ad esprimere la propria solidarietà all’omologo belga90. Un’apparente, totale, disfatta per i Paesi Bassi. Eppure, il Piano Beyen non sembrava destinato ad abbandonare definitivamente il tavolo delle discussioni comunitarie. Tutt’altro. Due eventi subentrarono, inattesi, a cambiare il corso della storia dell’integrazione e ad indirizzarla, involontariamente e in breve tempo, nella direzione auspicata dall’Aja: l’esito della consultazione elettorale in Italia e nella Repubblica federale tedesca e la nuova crisi di governo in Francia. Le mutate condizioni politiche all’interno dei“Big Three”, infatti, avrebbero incoraggiato il ministro olandese a ridiscutere le proprie idee al Binnenhof e a rilanciarle, in una forma ancor più concreta e precisata, al successivo incontro dei Sei. empêcher les six Ministres de mener parallèlement les travaux pour arrêter leurs positions respectives dans le domaine de la Communauté Politique. Il appartient aux gouvernement de prendre, dans le cadre de leurs responsabilités, des décisions politiques précises au sujet du travail de l'Assemblée ad Hoc qu'ils avaient chargée d'élaborer in projet de Traité. Les questions plus techniques, pour l'étude desquelles il faudra plus de temps, pourront être examinées ultérieurement. Il faut que M. le Président soit en mesure de dire dès maintenant au Président de l'Assemblée ad Hoc que les gouvernements convoqueront une Conférence intergouvernementale pour examiner le projet déposé par les parlementaires. Cette déclaration montrera que l'action pour réaliser la Communauté Politique n'est pas interrompue et que les gouvernements prennent l'affaire en main. Il faudra fixer la date pour la prochaine réunion des six Ministres cette réunion ne serait pas la réunion définitive mais elle permettrait aux Ministres d'échanger leurs réflexions à la suite des études qui auront été menées dans l'intervalle. Quant à la proposition de M. Beijen, M. de Gasperi est d'accord sur le but qu'elle veut atteindre. Il pense que le Secrétariat devrait être chargé de ce travail. M. de Gasperi résume ses propositions en demandant de fixer une date pour la prochaine réunion des Ministres, de confier au Secrétariat du Conseil de Ministres le travail demandé par M. Beijen. De plus en ce qui concerne les rapports avec l'Assemblée ad Hoc, il est d'avis qu'il ne faudrait pas parler d'association mais de consultation ou d'échanges de vues”. Cfr. http://www.inghist.nl/pdf/europa/G01203.pdf 89 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, 351.88(4), 31.1 Adviescommissie voor de Europese Integratie, inv.nr. 2676 Stukken betreffende de werkzaamheden van de Ad Hoc Commissie tot voorbereiding en instelling van de Staatscommissie tot bestudering van vraagstukken betreffende de Europese integratie 1952 – 1954; Memorandum van Dr. J. Kymmell aan Drs E.H. van der Beugel, 10 Maart 1953. 90 Cfr. Cfr. http://www.inghist.nl/pdf/europa/G01203.pdf 37 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Nel frattempo, all’Aja il dibattito politico intorno alla questione della Cpe era andato progressivamente infuocandosi. Il Primo ministro infatti, il quale, come si è visto, non aveva mai fatto mistero della propria ostilità all’idea di unificazione politica europea, cominciò a calcare l’accento sulle scarsissime probabilità di tenuta di un edificio tanto artificiosamente costruito. Più precisamente, Drees sosteneva che, seppure i Sei avessero trovato un accordo di fondo intorno al quale redigere il trattato per la Cpe, la profonda instabilità politica di alcuni paesi, soprattutto della Francia e dell’Italia, in cui era forte e influente la presenza comunista, avrebbe reso intrinsecamente fragile qualsiasi struttura si fosse deciso di plasmare. Senza contare, peraltro, la prospettiva più inquietante per i piccoli stati, cioè il progressivo rafforzamento della solidarietà franco-tedesca a seguito della nascita della nuova Comunità – accordo che sarebbe stato cementato dalla condivisione extra omnes, tra Parigi e Bonn, dell’aspirazione all’unità continentale - a danno degli altri partner91. I quali, oltretutto, anziché rinserrare le linee e rivendicare compatti le proprie istanze, prima fra tutte la priorità dell’integrazione economica su quella politica, continuavano a perdere tempo in sterili, reciproci alterchi, dettati più dall’incertezza sulle posizioni da prendere che da reali divergenze di prospettiva92. Beyen, appoggiato da Mansholt, replicò stizzito che il Primo ministro mostrava un’assoluta mancanza di coerenza. Se infatti il governo olandese riteneva che l’integrazione sovranazionale, intesa nella sua peculiare caratterizzazione progressiva, non avesse avuto, in ultima analisi, alcuna possibilità di successo, non soltanto non avrebbe dovuto proporre piani per l’approfondimento della cooperazione economica, ma, a fortiori, fin dall’inizio, si sarebbe dovuto indirizzare verso un cammino alternativo, per esempio puntando al rafforzamento della propria posizione all’interno dell’Oece. “Nel momento in cui si opera una scelta” - concludeva il ministro europeista – “se ne devono accettare tutte le conseguenze”93. Le affermazioni di Beyen fecero Cfr. “Deze gemeenschap zal niet evenwichtig zijn en worden gevormd voor een belangrijk deel uit politiek onstabiele staten (Frankrijk, Italië) met sterke communistische bewegingen. Het aantal staten is te klein, waardoor het waarschijnlijk wordt, dat het een samenspel tussen Frankrijk en Duitsland wordt, zoals de KSG reeds te zien heeft gegeven, terwijl de wezenlijke wil tot eenheid in de meeste landen ontbreekt.” (Questa Comunità non sarà in equilibrio e sarà formata in massima parte da stati instabili politicamente (Francia, Italia) con forti movimenti comunisti. Il numero di stati è troppo piccolo, per cui accadrà verosimilmente che si creerà un maggiore affiatamento tra Francia e Germania, come si è già potuto vedere nell’ambito della Ceca, mentre la maggior parte degli altri paesi non condividono la stessa aspirazione all’unità). NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 398, Notulen van de vergadering gehouden op Woensdag 29 April 1953, in 'de zaal van Justitie, aangevangen des morgens te 10 uur, pp. 2-3. 92 Ibidem. 93 “Minister Beyen is van oordeel, dat als de Regering zich op het standpunt stelt, dat er nooit iets van deze samenwerking zal komen, men zich dan van het begin af anders er tegen over had 91 38 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 breccia nell’assemblea. Drees, infatti, acconsentì a procedere sulla linea indicata dal Memorandum, non mancando però di ribadire il proprio personale scetticismo circa le sue possibilità di successo presso gli altri governi 94. Infine, tuonava il Primo ministro, qualora i Paesi Bassi fossero stati obbligati a firmare il trattato Cpe, cioè a ritrovarsi costretti in una struttura istituzionale articolata e vincolante, senza ottenere benefici di sorta nella sfera economica, anche l’accordo in seno al Ministerraad sulle scelte di politica europea apparentemente acquisito e incontestabile - sarebbe senz’altro venuto meno, creando non pochi problemi di stabilità interna95. Ad ogni modo, di là dalle tensioni al Binnenhof, di là dagli accessi polemici stemperati puntualmente dalle manifestazioni di stima all’indirizzo di Beyen, il 5 maggio 1953, il ministro “bankier van de wereld”96 (banchiere del mondo), dopo aver chiesto e ottenuto l’approvazione del Consiglio dei ministri a prendere autonomamente l’iniziativa97, inviava all’attenzione degli omologhi della Ceca moeten stellen. De Regering heeft echter enkele memoranda over deze zaak aan de andere vijf regeringen gezonden. Spreker heeft de onmogelijkheid gezien om verder dan een zekere grens te komen, als er alleen maar samenwerking tussen regeringen is. Men zal zich niet moten laten verblinden door het succes van de liberalisatie in de OEEC. Als men een grotere samenwerking in Europa mogelijk acht, zal men moeten nagaan welke gevolgen dit zal kunnen hebben” (Il ministro Beyen ritiene che se il governo avesse pensato che questo tipo di cooperazione non avrebbe avuto alcuna possibilità di successo, si sarebbe dovuto porre fin dall’inizio in posizione alternativa e contrastante. Il governo, invece, ha inviato alcuni memoranda su questo tema agli altri cinque governi. Il relatore ha visto l’impossibilità di andare oltre un certo limite, se c’è soltanto una cooperazione tra governi. Non ci si deve lasciar accecare dal successo della liberalizzazione nell’ambito dell’Oece. Se si ritiene possibile una maggiore cooperazione in Europa si dovrà anche tener conto delle conseguenze che questa potrà avere). Ivi, p. 4. A tale proposito, occorre precisare, anche sulla base della testimonianza di Charles Rutten, che la posizione di Beyen all’interno del Ministerraad era spesso scomoda e impopolare. Gli stessi ministri Mansholt e Zijlstra, solitamente solidali con il banchiere europeista, nei momenti di maggiore tensione finivano per rifluire su orientamenti più cauti, lasciando Beyen nel più totale isolamento. Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT656…, cit., pp. 6-8. 94 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 398, Notulen van de vergadering..., cit., p. 6. 95 Ibidem. 96 L’espressione è mutuata dal titolo del volume a cura di W.H. Weenink, Johan Willem Beyen…, cit. 97 Del fatto che Beyen avesse agito in piena indipendenza è testimonianza la relazione “geheim” (segreta) che il Segretario della Commissione consultiva per l’integrazione europea inviò agli altri membri della medesima Commissione il 4 maggio 1953: “Hiernevens wordt U aangeboden het concept voor het aan de andere regeringen te zenden memorandum inzake de economische taak en bevoegdheden ener Europese Gemeenschap. Gaarne zal zo spoedig mogelijk worden vernomen of uw Minister met de inhoud van dit concept, hetwelk niet in de Ministerraad zal worden behandeld, accoord gaat” (Viene di seguito presentata l’idea di inviare un memorandum agli altri governi sulle questioni economiche e le competenze della Comunità europea. Si prega di far conoscere il più presto possibile se il ministro è d’accordo con questa 39 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 un nuovo Memorandum, accompagnato anche questa volta da una lettera scritta di proprio pugno, “in cui veniva presentato un resoconto più dettagliato delle proposte olandesi in campo economico”98. In questo nuovo documento, noto come “terzo Piano Beyen”, il pervicace ministro dell’Aja tornava ad insistere sulla necessità di offrire garanzie sufficienti, in termini di attribuzione delle competenze, affinché la nuova Comunità potesse realizzare “d’une façon efficace et avec l’élan nécessaire” l’importantissima missione affidatale, vale a dire la costruzione del mercato comune europeo99. L’invito che il governo olandese rivolgeva ai suoi partner comunitari era pertanto quello di “envisager des mesures concrete pour atteindre les buts envisagés”, cioè, in altre parole, di costruire la comunità doganale, la quale avrebbe consentito “d’emblée” sia di abolire le retrizioni tariffarie, sia di formulare un metodo attraverso cui superare le difficoltà emergenti in itinere 100. L’impianto del nuovo Memorandum ricalcava essenzialmente quello delle due precedenti versioni, già presentate e discusse dai ministri dei Sei. Gli approfondimenti riguardavano per lo più il sistema di clausole di salvaguardia e il fondo europeo. Quanto al primo aspetto, recitava il documento: Comme le Gouvernement néerlandais l’a expliqué dans ses mémorandums, un système de clauses de sauvegarde sera nécessaire. Si à l’appréciation de la Communauté un pays peut prouver de façon satisfaisante dans un rapport circonstancié qu’une partie de sa vie industrielle ou sociale est menacée de trouble fondamentaux et persistants, il peut demander l’ajournement des mesures libèratrices, à condition qu’il présente un plan de modernisation ou de transition. La Communauté décide. Dans le cas où elle refuse la demande, ou bien si un accord n’est pas réalisable sur un plan modifié, le pays intéressé a recours à la Cour. 101 Sul fondo europeo, viceversa: Les mémorandums ainsi que le Projet de Traité prévoient un Fonds européen. Ce Fonds sera à la disposition de la Communauté qui peut en faire usage pour financer les plans de modernisation ou de transition qu’un ou plusieurs pays peuvent proposer dans les cas prévus à l’alinéa précédent. Il conviendrait de stipuler que le Fonds ne fournirait jamais plus de 50% du financement. Le Fonds servira donc uniquement à faciliter l’adaptation aux conditions du marché commun. Il devrait être administré séparément des fond généraux, quoi qu’il devrait idea, che non verrà discussa nel Consiglio dei ministri). Cfr. NL-HaNA, Concept-memorandum inz. Economiche taak en bevoegdheden Europese Gemeenschap, http://www.inghist.nl/pdf/europa/G01237.pdf 98 “waarin een nadere uiteenzetting is gegeven van de Nederlandse voorstellen op economisch gebied”. Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1 1945-1954, inv.nr. 16834 1953 mei, Nederlandse voorstellen betreffende de economische bevoegdheden van een Europese Gemeenschap, 7 maggio 1953. 99 Ivi, Lettera di Beyen ai ministri degli Esteri della Ceca, p. 1 100 Ivi, p. 2. 101 Ivi, p. 6. 40 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 évidemment figurer au budget de la Communauté. Le Gouvernement néerlandais estime que le Fonds devrait opérer dés le début, tout d’abord parce que la nécessité d’un tel fonds pourrait bien se manifester d’emblée et ensuite parce que l’opération en commun de ce moyen technique pourra contribuer à renfonrcer la solidarité économique entre les pays participants. 102 Tali precisazioni, presumibilmente, erano finalizzate a infondere nei governi la consapevolezza della responsabilità comune per il bene comune, il quale, almeno sul momento, era rappresentato dalla costruzione di un nuovo assetto economico europeo, improntato alla modernizzazione e finalizzato a creare le condizioni per l’implementazione di una “coopération internazionale sur le terrain de l’économie mondiale”103. Per raggiungere tale obiettivo, tuttavia, che sottolineava accortamente Beyen - aveva il carattere più della necessità che della pur condivisibile tensione ideale al rapido approfondimento dell’integrazione, la conditio sine qua non sarebbe stata l’abbandono definitivo dell’approccio settoriale. Argomentava il Memorandum: Le Projet de Traité ne s’occupe pas des divers secteurs de la production. La question si l’intégration économique doit se réaliser par secteurs ou non a été beaucoup discutée ces dernières années. La Communauté du Charbon et de l’Acier est une intégration par secteur. La constitution de cette communauté est, en soi, un résultat important vers l’intégration économique de l’Europe. Toutefois, on est amené à se rendre compte que chaque secteur particulier est très intimement lié à tous les autres secteurs. Les différentes études et les discussions au sujet de l’intégration d’autres secteurs de la production ont d’ailleurs démontré que l’intégration par secteurs, c'est-à-dire l’intégration fonctionnelle, risque de mener à des arrangements purement commerciaux sur la base d’un status quo souvent périmé, parfois au détriment d’autre interêts économiques. De tels arrangements iront à l’encontre de l’effort de moderniser la structure économique de l’Europe. Il en pourra résulter qu’on immobilise ce qui devrait être mis en marche. D’autre part il peut être utile, en entamant le problème des droits d’entrée et des autres restrictions, de distinguer entre quelques groupes importants, comme par example les matières premières, les demi-produits et les produits finis. De même, la solution des ˝troubles fondamentaux et persistants˝ pourrait dans certains cas nécessiter un traitement spécial dans l’un ou l’autre secteur. Il va sans dire, qu’une coopération intime dans le cadre de secteurs spéciaux, sera souhaitable. Ce qu’il faut éviter cependant, c’est de tâcher d’affaiblir les répercussions qui s’établiront dans un secteur spécial uniquement par des mesures limitées à ce secteur. C’est pour cette raison que, quoiqu’il y aura lieu sans doute, d’ériger des institutions de coopération dans des secteur spéciaux, il faudra éviter de créer d’autres ˝Hautes Autorités˝ investies de pouvoirs publics, dans des secteurs de la production en dehors du secteur du Charbon et de l’Acier. Pour cette même raison le Fonds mentionné sous l’alinéa il devra être un Fond général de la Communauté. 104 L’esperienza dell’Alta Autorità, come pure dell’invenzione monnetiana, doveva pertanto ritenersi conclusa, avendo esaurito la sua funzione principale, Ibidem. Ivi, p. 7. 104 Ivi, p. 8. 102 103 41 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 e certo importantissima, che era quella di veicolare l’Europa verso un’integrazione economica generale. Il nuovo esecutivo, viceversa, dovendo assolvere un compito senz’altro più delicato e cruciale, quale quello della tutela e della promozione dell’interesse comune in campo economico, nonché, sotto il profilo politico, dell’irrobustimento definitivo della solidarietà e dell’unità europea, avrebbe dovuto possedere uno spessore più elevato e riconoscibile rispetto al suo pur apprezzabile prototipo. Il che, in altre parole, stava a significare che l’esecutivo della Cpe avrebbe dovuto compiere il tanto atteso salto qualitativo in direzione della sovranazionalità, divenendo cioè responsabile non più soltanto davanti ai governi degli stati, ma anche e soprattutto dinnanzi ad un parlamento sovranazionale105. Passando alle innovazioni introdotte dal Memorandum del 5 maggio, occorre in primo luogo ricordare l’invito aperto a costruire un’unione doganale generale. Sottolinea in proposito Anjo G. Harryvan: Although the tariff community was still mainteined as a first aim, it was now completely linked to the abolition of quantitative restrictions on trade between the member countries, coordination of their foreign, trade policies with regard to third countries and the creation of a common external tariff. The timetable to be written into the Treaty would have to deal with the abolition within a certain period of time for both tariff and quota. 106 In piena sintonia con gli interessi primari del governo olandese, la proposta di Beyen mirava quindi a impedire che i Sei, la Francia soprattutto, risolvessero di innalzare barriere commerciali di altra natura (ad esempio restrizioni quantitative) per proteggere le proprie economie dagli effetti negativi della comunità tariffaria, questi ultimi essendo ad essa inevitabilmente connessi, almeno nella fase iniziale. Tale comunità, viceversa, sarebbe stata realizzata mediante un accordo ad interim tra i governi finalizzato alla formazione di un’unione doganale, la quale, a sua volta, avrebbe rappresentato una tappa fondamentale per il raggiungimento del fine ultimo dell’integrazione, vale a dire “un marché commun fondé sur la libre circultarion des marchandises, des capitaux et des personnes”107. Dato il carattere progressivo e stringente degli obiettivi da conseguire, peraltro, Beyen sottolineava che il trattato avrebbe dovuto indicare con precisione il calendario per la realizzazione del mercato comune, il quale sarebbe stato predisposto dal “Conseil Exécutif” della Comunità “sur avis conforme du Conseil des Ministres” e “soumis à l’approbation du parlement européen”108. Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 228. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 53. 107 Lettera di Beyen ai ministri degli Esteri della Ceca, cit., p. 4. 108 Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1 (1945-1954), inv.nr 16834, Projet de dispositions économique du Traité portant Statut de la Communauté Européenne, p.2. 105 106 42 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Ulteriore novità, infine, era l’accento che il Memorandum poneva sulla necessità di coordinamento delle politiche dei Sei, con particolare riferimento alla “politique commerciale coordonnée des Etats membres dans leur relations avec les pays tiers”109. Tale armonizzazione, tuttavia, come ha rilevato anche Anjo G. Harryvan, non era intesa nel senso di un’uniformità, ma piuttosto di un livellamento dei costi di produzione110. In sintesi, nella sua formulazione definitiva, il Piano Beyen combinava gli obiettivi essenziali della politica europea, economica e commerciale dell’Aja con la prospettiva pragmatica dell’integrazione propria del ministro degli Esteri olandese. Ragion per cui, nella pratica, nel Memorandum si trovavano a coesistere, peraltro organizzati in una sorta di bozza di trattato, cioè ripartiti per articoli, sia i riferimenti all’abbandono del metodo settoriale e all’approfondimento del carattere sovranazionale della nuova Comunità – che erano elementi distintivi della riflessione beyeniana sull’integrazione europea – sia la prospettiva di armonizzazione dei costi di produzione, nonché il coordinamento delle politiche commerciali nei rapporti con i paesi terzi e la spinta alla liberalizzazione che rappresentavano i cardini della vocazione olandese a guadagnare e mantenere una posizione competitiva sul mercato mondiale. Era naturale, pertanto, che il Ministerraad si ritrovasse a dover accogliere pressoché nella sua totalità, e nonostante i malumori del solito Drees111, la strategia di politica europea sapientemente messa a punto da Beyen. La questione che si sarebbe posta nel prossimo futuro, diversamente, come lo stesso ministro avrebbe rilevato, quella di far convergere le istanze dell’Aja con gli orientamenti dei partner comunitari. Ibidem. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 54. 111 Riferisce, in proposito, Anjo G. Harryvan: “… as the Prime Minister Drees pointed out, it [the proposed system, ndr.] still did not contain a watertight guarantee that such a custom union would in fact materialize. Therefore, it was to be feared, he commented, that it would be impossible to realise the tariff and quotas elimination programme. The point was that because of the opposition to economic integration scheme in the various countries, a majority for any integration scheme in the European Parliament seemed implausible. Essential, therefore, was a clause, which would automatically lead to the extinction of all internal Western European tariffs and quantitative restrictions, had the customs union come into being after a period of for instance 5 or 10 years subsequent to the signing of the Treaty. Also, in view of this opposition to economic integration, the Dutch would need to have certainty on their economic issues in general before acquiescing to the resolution of the institutional problems”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., pp. 55-56. 109 110 43 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Un naufragio annunciato: la Ced/Cpe, il Piano Beyen e il “non” di Parigi Il fatto che il governo dei Paesi Bassi avesse sostenuto l’iniziativa di Beyen stava ad indicare che, nei tre anni intercorsi dall’iniziale adesione al progetto comunitario, le posizioni del Binnenhof in politica europea erano rimaste sostanzialmente immutate. Ma se, in tal modo, l’Olanda offriva di sé, agli altri membri della Ceca, un’immagine solida e coerente, l’Aja si trovava comunque a confrontarsi con un panorama articolato e disomogeneo, giacché, a Bruxelles, le discussioni sulla Ced e sulla Cpe si svolgevano all’insegna dell’incertezza di prospettive e della minaccia crescente del riflusso nazionalistico e protezionistico. Tra il settembre e l’ottobre del 1953, in particolare, le sedute delle Commissioni incaricate di discutere del trattato Ced/Cpe, che impegnarono i delegati dei Sei per ben due settimane consecutive, a Roma e a Parigi, si risolsero in un fiasco assoluto. Germania, Italia e belgo-lussemburghesi, che pure condividevano i principi enunciati nel Piano Beyen, non vollero compromettere ulteriormente il già traballante esito della Cpe e sostennero Parigi nel predicare l’esclusione dal trattato di qualsiasi riferimento all’integrazione economica. Sul versante opposto, gli olandesi, Beyen capogruppo, continuarono ad irrigidirsi sulle loro posizioni, ben sapendo che queste ultime rappresentavano la sola via praticabile per evitare la fuoriuscita dei Paesi Bassi dalla Comunità112. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 495, Lettera di Beyen e Luns a Drees, Resultaten van de conferentie van Rome, betreffende de Europese Gemeenschap, 23 October 1953. Stando peraltro a quanto dichiarato da Beyen al Ministerraad del 26 ottobre 1953: “... is het wel duidelijk, dat onze tactiek in Rome juist is geweest, aangezien tegenover eventuele concessies onzerzijds dan niets had gestaan. Minister Bidault zou in de besloten kring van de Commissie van Buitenlandse Zaken uit het Franse Parlement gezegd hebben, dat hij alleen bereid is een Europese Gemeenschap te aanvaarden, die uitsluitend een overkoepeling is van de KSG en de EDG. Aangezien dit in strijd is met het Nederlandse standpunt (een standpunt, dat bij de resolutie van Luxemburg is aanvaard en ook door Bidault op 12 Mei in Parijs tegenover Adenauer ingenomen) wil spreker Bidault van te voren waarschuwen, dat Nederland niet bereid is op de conferentie in Den Haag op een andere basis te onderhandelen dan die van Luxemburg. Anders zou Nederland moeten terugkeren tot artikel 38 van het EDG-verdrag” (É chiaro che la tattica che abbiamo usato a Roma è stata giusta, nonostante non sia stata fatta alcuna concessione da parte nostra. Il ministro Bidault avrebbe ricevuto disposizioni dal Parlamento francese, mentre era nella cerchia ristretta della Commissione esteri, che si sarebbe dovuto mostrare pronto ad accettare soltanto una Comunità europea che non fosse niente più che una cornice della Ceca e della Ced. Visto che questo è in contrasto con la posizione olandese (una posizione che è stata accettata con la risoluzione di Lussemburgo e che anche Bidault ha sostenuto il 12 maggio a Parigi contro Adenauer) Bidault avviserà in anticipo che l’Olanda non è pronta a negoziare su altre basi alla Conferenza dell’Aja che quelle di Lussemburgo. Altrimenti dovrebbe ritrattare l’articolo 38 del trattato Ced). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 398, Ministerraad, dd. 2610-1953. 112 44 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 In effetti, all’Aja il clima politico intorno alle tematiche europee andava progressivamente arroventandosi. Beel soprattutto, il ministro degli Interni che insieme a Drees rappresentava la frangia euroscettica del Kabinet olandese, giungeva a promettere un vero e proprio ostracismo nei confronti di Bidault: Ook als de Fransen alleen een coiffure van KSG en EDG willen, zal Nederland neen moeten zeggen, aangezien wij niet bereid moeten zijn tot verdracht van een deel van de souvereiniteit over te gaan voor het bereiken van een lege huis... deze voor de Minister onaanvaardbaar maken, nl de onvoldoendeuitwerking van de economische punten in het verdrag zelf en de toelating van een nationaal veto, waardoor van den werkzaamheden van de EG op economisch terrein weinig of niets terecht zal komen. 113 Di fronte a una chiusura tanto netta, a nulla valsero i tentativi di conciliazione perpetrati da Beyen, Mansholt e Zijlstra, dai più europeisti, cioè, tra i membri del Ministerraad. Tant’è che il verbale della riunione del 23 novembre 1953 si chiuse lapidario, con la dichiarazione che l’atteggiamento olandese nei confronti della Francia, da allora in avanti, si sarebbe ispirato alle indicazioni di Beel: nessuna concessione in termini di sovranazionalità senza garanzie precise in materia di integrazione economica. Lo scontro diretto tra Parigi e l’Aja, pertanto, era ufficialmente annunciato, restando in attesa di consumarsi, in un crescendo costante, nelle settimane a venire. E difatti, tra il 26 e il 28 novembre, proprio nella capitale istituzionale dei Paesi Bassi, la conferenza dei ministri dei Sei - che avrebbe dovuto chiudere il ciclo di discussioni sulla Ced e sulla Cpe anche sulla base dei risultati prodotti dall’Assemblea ad hoc - fu teatro di un primo confronto su questioni di principio tra Beyen e l’ambasciatore Parodi, segretario generale del ministero degli Esteri francese incaricato di rappresentare Bidault all’incontro, quest’ultimo essendo stato trattenuto in patria da “complicazioni” politiche 114. Laddove Beyen, infatti, “Anche se i francesi vogliono soltanto un copricapo della Ceca e della Ced, i Paesi Bassi dovranno dire no, visto che noi non dobbiamo essere pronti a passare alla cessione di una parte della sovranità per ritrovarci con un guscio vuoto… queste cose per il ministro sono inaccettabili, cioè, nella fattispecie che nel trattato i punti economici vengano sviluppati in maniera insufficiente e che venga introdotto il veto nazionale, ragione per cui delle attività della Comunità europea sul terreno economico alla fine verrà fatto poco e niente”. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 398, Notulen van de vergaderingen gehouden op Zaterdag 21 November 1953 in de Treveszaal, aangevangen ‘s morgens om half tien en 's middags voortgezet en op Maandag 23 November 1953, aangevangen 's morgens om elf uur en 's middags voortgezet, p. 21. 114 Riporta, in proposito, il rapporto dei delegati olandesi alla Conferenza: “De Franse Minister Bidault kon, in verband met de debatten in het Franse parlement, eerst op Zaterdag 28 November aan deze besprekingen deelnemen en werd tijdens de eerste twee dagen der Conferentie vertegenwoordigd door de Secretaris-Generaal van het Franse Ministerie van Buitenlandse Zaken, de Ambassadeur Parodi, die de verzekering kon geven, dat hem de nodige instructies waren verstrekt om het Franse standpunt te kunnen uiteenzetten en aan de 113 45 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 oltre a riproporre con forza la necessità di includere nel nuovo trattato disposizioni specifiche circa l’integrazione economica generale, esortava i governi della Ceca - rilevando l’emergere di sentimenti diffusi di “paura” e di “insofferenza” da parte, rispettivamente, degli stati e dell’opinione pubblica europeista – a discutere sulle competenze e sul controllo democratico della nuova Comunità (cioè sulle due questioni intorno alle quali più nette si percepivano le divergenze di opinione) nell’ambito di una Commissione di studio appositamente predisposta, il rappresentante francese, che pure non ricorreva alla virulenza di toni di Bidault, replicava ribadendo l’ostilità del proprio governo non soltanto rispetto alle posizioni olandesi in tema di integrazione economica, ma anche verso qualsiasi forma di controllo democratico, come pure sull’ampliamento delle competenze dell’esecutivo comunitario già a partire dalla sua entrata in funzione115. Tale inconciliabilità di vedute, peraltro, si presentò inalterata anche al momento di decidere la composizione della suddetta Commissione di studio, con il ministro olandese che premeva perché fosse formata da esperti indipendenti e con Parodi che insisteva affinché riunisse i rappresentanti degli stati116. Nondimeno, se all’Aja si erano manifestate le prime avvisaglie della lunga e spinosa controversia franco-olandese, alla fine stemperate dalla decisione di rimandare ad altro contesto e ad altri protagonisti la risoluzione definitiva dei nodi più problematici, fu la Commissione di studio, di fatto e inevitabilmente, la cornice in cui si produsse l’insanabile frattura tra i campioni del protezionismo e dell’Europa “europea”, da affidare senza indugi alla guida prestigiosa dei “grands” parigini, e i paladini della liberalizzazione e discussies deel te nemen, zodat de afwezigheid van Minister Bidault niet tot vertraging bij het verloop der werkzaamheden aanleiding zou behoeven te geven. Gezien de politieke situatie in Frankrijk kan inderdaad worden aangenomen, dat de afwezigheid van Minister Bidault op het ver loop der Conferentie practisch geen invloed heeft gehad. De Heer Parodi heeft aan het overleg deelgenomen op een wijze, welke onder de gegeven moeilijke omstandigheden alle waardering verdient” (Il ministro francese Bidault, coincidendo la conferenza con i dibattiti nel parlamento francese, avrebbe potuto prendere parte a queste discussioni al massimo a partire da sabato 28 novembre e nei primi due giorni, pertanto, fu sostituito dal Segretario generale del ministero francese degli Affari Esteri, l’ambasciatore Parodi, che poteva offrire l’assicurazione che gli erano state date le informazioni necessarie affinché sostenesse la posizione francese e partecipasse alla discussione in modo tale che l’assenza del ministro Bidault non fosse motivo di rallentamenti nello svolgimento delle attività. Vista la situazione politica in francia si può ottenere infatti che l’assenza del ministro Bidault non abbia ricadute pratiche sullo svolgimento della Conferenza). Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, inv.nr. 16839, 1953 nov. – dec., Conferentie van Ministers van Buitenlandse zaken gehouden te Den Haag, van 26 t/m 28 November 1953, p. 1. 115 Ivi, pp. 4-6. 116 Ibidem. 46 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 dell’atlantismo, tenaci sostenitori dell’equal partnership comunitaria tra grandi e piccoli paesi e di un’Europa allargata in primo luogo oltremanica. Senza addentrarsi nel dettaglio dei singoli argomenti oggetto di dibattito in Commissione, per cui comunque si rimanda al rapporto inviato da Beyen e Luns al Primo ministro olandese il 2 aprile 1954117, occorre qui precisare che a collidere furono sostanzialmente due impianti concettuali antitetici, quello di Parigi, che, come ha sottolineato con efficacia il recentemente scomparso Bino Olivi, era intessuto di riferimenti alla “primazia francese nel Contiente” e alla “riduzione ‘strutturale’ delle capacità di armamento della Germania” 118, e quello dell’Aja, arricchito degli apporti di Jan Beyen, costruito intorno all’idea di una solidarietà europea formatasi in virtù di realizzazioni concrete in campo economico e sul ripristino dello spalto tedesco, nonché del mercato della Rft, come garanzia per i piccoli paesi, sia nei confronti dell’egemonia parigina, sia rispetto alla minaccia sovietica. Ad ogni modo, benché, col senno di poi, possa apparire del tutto acquisito il dato che, tra le due, sarebbe stata la visione olandese ad imporsi nel lungo periodo, informando di sé il cammino comunitario delle decadi successive, all’apertura dei lavori della Commissione di studio, il 12 dicembre 1953, nella capitale francese, l’esito delle discussioni era tutt’altro che scontato. Al punto che i delegati olandesi che vi presero parte stilarono un rapporto in cui veniva più volte sottolineata, con sorpresa e non certo senza soddisfazione, la difficoltà diplomatica dei transalpini, ritrovatisi spesso isolati a portare avanti i propri tentativi di limitare il più possibile le competenze e il ruolo degli organi sovranazionali119. I rappresentanti dell’Aja, in particolare, ritennero di aver Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 500 1954 apr., Overzicht besprekingen studiecommissie E.P.G. Parijs, 12 December – 8 Maart 1954, 2.4.1954. 118 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., pp. 21 e 32. 119 “De Franse delegatie, die de taak en bevoegdheden der nieuwe Executieve uitsluitend tot het terrein van studies, adviezen en voorstellen wenst te beperken, maakte daarop ook ten aanzien van dit punt geen uitzondering en meende, dat de Executieve - in samenwerking met de Hoge Autoriteit en het Commissariaat - slechts de accoórden zou moeten voorbereiden, die geleidelijk en met de goedkeuring der betreffende Staten de unificatie der twee bestaande Gemeenschappen binnen de nieuwe Gemeenschap zouden moetan realiseren… Alle delegaties, behalve de Franse, waren van oordeel, dat het karakter en de inhoud van de nieuwe bevoegdheden, welke aan de supra-nationale Executieve zullen worden toegekend, van invloed zullen zijn op de omvang en de aard van de coördinerende bevoegdheden ten opzichte van de executieve organen der doelgemeenschappen.” (La delegazione francese, che alla fine mira a limitare i compiti e le competenze del nuovo esecutivo al solo campo degli studi, dei pareri e delle proposte, anche su questo aspetto non ha fatto eccezione e ha proposto che l’esecutivo – in collaborazione con l’Alta Autorità e con il Commissariato – dovrebbe soltanto preparare gli accordi, che gradualmente e con l’approvazione degli stati interessati dovrebbero realizzare l’unificazione delle due Comunità esistenti in una nuova Comunità… Tutte le delegazioni, 117 47 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 conseguito successi significativi nel dibattito sul mercato comune europeo, laddove, rispetto alle trattative precedenti, erano riusciti non soltanto a conquistarsi il sostegno degli altri due paesi del Benelux “su molte questioni fondamentali”120 a veicolare gli altri partner ad affiancarsi alle loro posizioni e ad opporsi, di conseguenza, alle istanze francesi per la formulazione “seulement… de clauses économiques très générales”121. Argomenta in proposito il rapporto: De economische commissie had tot opdracht een diepergaande studie te maken, dan te Rome mogelijk was geweest, van de rol, welke de gemeenschap zou hebben te vervullen bij het bevorderen van de totstandkoming van een gemeenschappelijke markt voor de Zes. Tijdens de te 's-Gravenhage gehouden Ministersconferentie was de hoop uitgesproken, dat het studiekarakter dezer commissie gelegenheid zou bieden over dit onderwerp tot een meer vrije gedachtenwisseling te komen, welke zo mogelijk zou dienen te leiden tot het concretiseren van eventueel verkregen overeenstemming in bepaalde ontwerp-teksten voor een verdrag. De beoogde vrije gedachtenwisseling is evenwel minder tot haar recht gekomen, omdat het door de Ministerste 's-Gravenhage officieel goedgekeurde rapport van Rome - dat hoofdzakelijk een onderlinge confrontatie van de instructies der zes delegaties bevatte - in belangrijke mate de discussies te Parijs bleek te beinvloeden. Zo was het in verscheidene gevallen duidelijk, dat een delegatie vreesde van zwakte te worden verdacht, wanneer zijde andere delegaties méér tegemoetkwam dan op grond van het Romerapport mocht worden verwacht. Intussen zij hier echter onmiddelijk opgemerkt, dat - met name in de laatste fase dezer studiebesprekingen - een toenemende neiging tot onderlinge aan een sluiting van de standpunten der vijf andere delegaties tegenover Frankrijk merkbaar werd. 122 eccetto quella francese, ritenevano che la natura e il contenuto delle nuove competenze, che saranno devolute all’esecutivo sovranazionale, influenzeranno le dimensioni e la natura delle competenze di coordinamento rispetto agli organi esecutivi delle comunità che si intendono creare). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 500 1954 apr., Overzicht besprekingen studiecommissie E.P.G. Parijs, 12 December – 8 Maart 1954, 2.4.1954, p. 10. 120 Ivi, p. 14. “Het feit bovendien, dat onze Beneluxpartners tijdens het overleg in vele essentiële vraagstukken in belangrijke mate een solidariteit met Nederland aan de dag hebben gelegd is in dit opzicht veelbelovend”. (Il fatto inoltre che i nostri partner del Benelux abbiano mostrato su questioni fondamentali una notevole solidarietà con i Paesi Bassi lascia maturare prospettive promettenti in questo senso). 121 Ivi, p. 13. 122 La commissione economica aveva avuto l’incarico di effettuare uno studio più approfondito di quanto non fosse stato possibile fare a Roma del ruolo che la comunità avrebbe potuto esercitare per promuovere la realizzazione di un mercato comune per i Sei. Durante la conferenza dei Ministri che si è tenuta all’Aja fu espresso l’auspicio che il carattere speculativo di questa commissione avrebbe consentito su questo argomento una discussione più libera, che avrebbe potuto portare a concretizzare gli accordi cui si sarebbe giunti in progetti di articoli per il trattato. L’auspicato libero dibattito, tuttavia, non si è realizzato, perché la conferenza dei ministri dell’Aja ha alla fine approvato il rapporto di Roma – che essenzialmente rifletteva lo scontro tra le differenti posizioni dei sei governi – che alla fine risulta aver influenzato anche le discussioni di Parigi. Così, in diversi casi, è stato chiaro che una delegazione temesse di essere sospettata di debolezza, quando le altre delegazioni tendevano a fare qualche passo in più del 48 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 In sintesi, pertanto, l’esperienza della Commissione di studio - la quale chiudeva i battenti l’8 marzo 1954 - decretava non soltanto un primo, importante successo dei Paesi Bassi sui pur influenti avversari, ma affermava altresì la ripresa del cammino congiunto dei partner del Benelux, peraltro nella direzione indicata da Beyen, sul terreno comunitario. Che si trattasse di una vittoria più formale che reale, o, per meglio dire, da raccogliere nel lungo periodo, anziché nell’immediato, sarebbero stati gli sviluppi successivi a mostrarlo. Tuttavia, già dal 29 aprile il Ministerraad esprimeva più di qualche inquietudine rispetto alla sorte che Parigi, isolata e fortemente ridimensionata nelle sue aspirazioni di deus ex machina del dibattito comunitario, si proponeva di riservare alla Ced e alla Cpe. Il ministro della giustizia, Leendert A. Donker, più degli altri, chiedeva a Beyen rassicurazioni precise circa possibilità di stimolare i francesi a rivedere le proprie posizioni e ad assumere un atteggiamento meno ostile nei confronti delle proposte elaborate dalla Commissione di studio123. Non che le sensazioni di Donker scaturissero da considerazioni politiche sostanzialmente avulse dalla realtà dei fatti. Anzi, caso mail contrario. Lo stesso Beyen, del resto, si mostrava preoccupato circa i cambiamenti convulsi in atto a Parigi, i quali non soltanto avevano rallentato il lavoro della Commissione di studio, ma soprattutto stavano condizionando il buon esito del processo di ratifica parlamentare del trattato Ced (quest’ultimo essendosi concluso con esito positivo in cinque dei sei paesi membri della Ceca già nella prima metà del rapporto di Roma. Nel frattempo, tuttavia, è sembrato anche innegabile che – soprattutto nell’ultima fase di queste discussioni – si sia manifestata una crescente tendenza ad far convergere le posizioni delle altre cinque delegazioni contro la Francia. Cfr. Ivi, p. 11. 123 “Minister Donker wijst er op, dat Frankrijk door de kwestie van de ratificatie van het EDG— verdrag reeds in tweeën dreigt te worden gescheurd. Nu bij de besprekingen in Parijs op verschillende punten overeenstemming is bereikt tussen de vertegenwoordigers van vijf landen zonder Frankrijk, heeft spreker het gevoel, dat het voor Frankrijk gemakkelijker wordt te weigeren om aan de EG mede te doen dan bij de EDG. In dit verband stelt spreker de vraag of Minister Beyen een mogelijkheid ziet om het negativisme aan Franse zijde te doorbreken”. (Il ministro Donker punta l’accento sul fatto che la Francia già minaccia di strappare in due il trattato Ced al momento della ratifica. Ora, a Parigi, durante i colloqui, su diversi punti si è raggiunto un accordo tra i rappresentanti di cinque paesi , senza la Francia. Il relatore ha quindi la sensazione che questo induca la Francia a ritenere più facile la propria partecipazione alla Ced che alla Cpe. A tale proposito il ministro chiede a Beyen se esiste una possibilità di interrompere questo atteggiamento “negativo” dei francesi). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 399 1954 jan.- juni, Notulen van de buitengevone vergadering gehouden op Dinsdag 13 April 1954 in de Trèveszaal aangevangen ’s morgens om tien uur, p. 2. 49 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 1954)124. Agli occhi dell’abile negoziatore olandese a Bretton Woods, in effetti, non sfuggiva certo il nesso tra l’elezione di Mendès-France – che, peraltro, l’economista di Rotterdam aveva personalmente conosciuto alla sopracitata conferenza finanziaria del 1944 -, il tornante storico della guerra in Indocina e l’alimentarsi della tensione nell’opinione pubblica francese intorno al costruendo esercito europeo. Cioè, in altre parole, Beyen aveva perfettamente compreso che il trattato Ced sarebbe stata la vittima sacrificale che il governo antieuropeista del nuovo Primo ministro francese avrebbe offerto ai propri cittadini per riparare, anche se soltanto parzialmente, alle proprie, disastrose scelte di politica coloniale. Non solo. La mancata ratifica del trattato sarebbe stata anche la necessaria contropartita da offrire alla rumorosa frangia gollista dell’Assemblée nationale, al fine di placarne le intemperanze nazionalistiche con la garanzia che nessuna progettualità europeista avrebbe minato la tutela dell’integrità difensiva nazionale, tanto meno uno schema elaborato allo scopo, sottaciuto ma non per questo imperscrutabile, di allentare le ansie di Washington attraverso la rimilitarizzazione del “nemico” tedesco125. Di fatto, il 31 agosto 1954, si concretizzarono contestualmente sia gli allarmi lanciati dal ministro guardasigilli dell’Aja, sia le lucide previsioni di Beyen. Il destino comune dei progetti Ced, Cpe e del mercato comune, che dei primi due era diretta propaggine, si compì infatti con la decisione del Parlamento francese di rinviare sine die la ratifica del trattato Ced. Un “non”, peraltro, che spezzò bruscamente il robusto filo di speranze con il quale gli europeisti più convinti avevano legato insieme la nascita dell’esercito europeo e della cornice politica entro cui quest’ultimo si sarebbe insciritto e l’approdo decisivo verso la grande Federazione continentale, l’effettiva terza via al mondo bipolare, nonché la tomba dei particolarismi e degli egoismi nazionali e dei conflitti da essi derivanti126. Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., pp. 229-230. Ivi, p. 230. 126 Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 234. L’analisi di questo delicatissimo frangente della storia comunitaria è stata condotta a vari livelli e da diverse prospettive, in epoche più e meno recenti, come testimonia l’ampia e variegata mole di pubblicazioni disponibili in argomento, sia in Italia che in Europa. Di contro, balza agli occhi la carenza di approfondimenti – soprattutto recenti - sulla ricezione del cosiddetto “affaire de la Ced” nell’ambiente politico-intellettuale olandese, così come sulle ripercussioni che tale episodio produsse nella riflessione europeista dei Paesi Bassi degli anni a venire. Meritano comunque di essere citati: Pierre Gerbet, “La ‘Relance’ Européenne jusqu’a la conference de Messine”, in E. Serra, Il Rilancio dell’Europa…, cit., pp. 66-70; R. Massigli, Une comédie des erreurs…, cit.; Jean Ch. Snoy et d’Oppuers, Un témoin raconte: Du plan Schuman aux traités de Rome, in «30 jours d’Europe», n. 285, 1982, pp. 23-24; Richard Mayne, The Recovery of Europe, from Devastation to Unity, Harper and Row, New York, 1970; Arnold J. Zurcher, The struggle to Unite Europe 19401958, New York University Press, New York, 1958. 124 125 50 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Lo stesso Beyen, neanche a dirlo, si ritrovava schierato tra le file dei disillusi. E certo con un senso d’amarezza molto più accentuato rispetto ad altri coevi appassionati europeisti, giacché non soltanto vedeva tramontare le proprie aspirazioni a cambiare strutturalmente il corso dell’integrazione, riorientandolo lungo la via dell’approccio “orizzontale” di cui si pregiava di essere l’ispiratore, ma anche e soprattutto perché assisteva alla vanificazione di tre anni di impegno costante e sistematico per la promozione del suo Piano, sia all’Aja, ove, come si è visto, aveva faticato non poco – anche e soprattutto in quanto neofita della politica e “partijloze” - a convincere dei vantaggi dell’integrazione sovranazionale l’ostinata frangia euroscettica del Ministerraad127, sia in Europa, in Francia soprattutto, ove, come ricorda il capostipite del federalismo europeo olandese, Hendrik Brugmans: Beyen était allé… sacrifiant ses vacances, afin de faire un dernier effort pour persuader tel Radical ou tel Gaulliste. 128 Eppure, rileva ancora Brugmans, all’indomani del voto francese, Beyen fu “probablement le seul à envisager une alternative”129. Già il 24 settembre 1954, infatti, in un discorso pronunciato in occasione del “Rotterdamse Internationale Havendag”, il finanziere europeista avrebbe esortato i governi dei Sei a non riprendere le discussioni sull’integrazione politica, che si sarebbero comunque rivelate sterili nell’evidente assenza di cambiamenti significativi nella politica europea francese. Ma ciò non stava certo a significare che i partner comunitari si dovessero rassegnare ad un momentaneo, e quanto mai pericoloso, immobilismo. Al contrario, la soluzione all’impasse esisteva ed era a portata di mano, purché fosse ricercata sul terreno che fino ad allora si era rivelato il più Ricorda in proposito lo stesso Beyen, nelle sue memorie: “De figuur van een partijloze Minister van Buitenlandse Zaken was geenszins nieuw in onze politieke geschiedenis, maar in de vroegere gevallen ging het vaak om carrière-diplomaten in een tijd waarin het Parlement zich nauwelijks enige bemoeienis met de buitenlandse politiek aanmatigde... Het partij-loos-zijn had zeker zijn bezwaren kunnen hebben. Tegenover het niet te versmaden voordeel dat alle eenzaamheid medebrengt stond het nadeel dat er tussen de leden van de Kamer en mij geen persoonlijk contact bestond”. (La figura di un ministro degli Esteri senza partito non era del tutto nuova nella nostra storia politica, ma nei casi precedenti essa veniva spesso ricoperta da una personalità che avesse fatto carriera diplomatica in un momento in cui il Parlamento non si era riservato praticamente nessuna influenza in politica estera… Il fatto di essere un “senza partito” aveva certo i suoi svantaggi. Benché non vada sottovalutato il vantaggio che comporta la solitudine c’è comunque la difficoltà di non avere nessun contatto personale con gli altri membri della Camera). Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 208. 128 Cfr. H. Brugmans, L’idée européenne 1920-1970, De Tempel, Bruges, 1970, p. 289. 129 Ibidem. 127 51 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 idoneo a garantire successi immediati e promettente quanto a prospettive di lungo periodo, cioè quello della cooperazione economica130. In altre parole, nell’ottica del ministro degli Esteri olandese, la ripartenza della macchina comunitaria sarebbe stata possibile soltanto se i Sei avessero acconsentito a seguire i precetti indicati nel Memorandum dell’Aja, riesumando in tal modo, dalle macerie della Ced, il progetto di unione doganale, unico, fecondo superstite131. La politica europea dell’Aja all’indomani del “non” francese all’esercito comune (1954 – 1955). Di là dalle prospettive incoraggianti avanzate da Beyen, era innegabile che il fallimento della Ced avesse avuto ricadute drammatiche e profonde negli animi degli europei, tanto a livello di élites politiche, quanto nelle rispettive opinioni pubbliche nazionali. Oltre generare un dilagante sentimento di sfiducia sulla capacità di tenuta del sistema comunitario, di cui era emersa con fin troppa evidenza l’intrinseca vulnerabilità, la scabrosa vicenda dell’esercito comune aveva fatto sì che la soluzione delle problematiche più cogenti sull’agenda internazionale, prima fra tutte la questione del riarmo tedesco, continuasse a soggiacere agli umori dei governi e all’andamento altalenante dell’opzione attendista. Sicché, all’indomani del verdetto francese, i Sei non soltanto si ritrovarono a dover riformulare in tempi strettissimi un piano per il ripristino dell’apparato difensivo della Rft, cercando al contempo di contenere alla bene e meglio l’insopportabile pressione di Washington, ma dovettero anche fare i conti con un’assenza trasversale di spunti creativi, che era l’inevitabile conseguenza dell’insuccesso appena raccolto. Non fu un caso, pertanto, alla luce di tali considerazioni, che la risposta al problema della sicurezza – di cui il riarmo della Germania costituiva un elemento dirimente – fu trovata al di fuori del suolo comunitario, cioè, nella fattispecie, a Londra. Più precisamente, fu Anthony Eden , il segretario del Foreign Office britannico, a formulare un corpo coerente di proposte che, nel corso di una serie di conferenze tenutesi rispettivamente nella capitale del Regno Unito e a Parigi, tra il settembre e l’ottobre del 1954, fu presentato ai governi perché divenisse la base di un protocollo di intesa per la difesa dell’Europa occidentale. Meglio noto come Piano Eden, lo schema prevedeva sia di accordare a Germania e Italia la membership Nato, con l’obiettivo implicito di allentare le preoccupazioni americane sul vuoto difensivo nel 130 131 Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 234. Cfr. A.G. Harryvan, E. Kersten, The Netherlands, Benelux…, cit., p. 133. 52 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 territorio della Rft, sia di sottoporre il riarmo tedesco a ben precise restrizioni, nell’evidente intenzione di rassicurare i francesi132. All’Aja, il Piano Eden, uno schema tecnico, efficace e immediatamente applicabile, nonché del tutto privo di riferimenti alla sovranazionalità, fu percepito come una sorta di panacea per la sicurezza dell’occidente europeo. Senza considerare, peraltro, che tale progetto, oltre ad indicare la strada meglio praticabile, almeno nel breve periodo, per superare l’impasse del coordinamento difensivo europeo, lasciava intravedere una concreta possibilità di effettivo coinvolgimento britannico negli affari continentali, cosa che, come si ricorderà, rappresentava un’antica e intensamente coltivata aspirazione degli olandesi133. Beyen commentò soddisfatto: In de West-Europese Unie moet de enge band met het V.K. als voornaamste belang worden beschouwd. Vandaar dat in het kader dier Unie niet moet worden gestreefd naar doelstellingen, die niet voor het V.K. gelden en dat methoden, die het V.K. niet kan aanvaarden of bindingen, die het V.K. niet mede wil aangaan, moeten worden vermeden. De Unie leent zich daarom niet voor supranationale oplossingen. De WEU is in hoofdzaak een militair-politieke alliantie. Samenwerking in het kader dier Unie op ander dan militair-politiek gebied behoeft niet te worden uitgesloten, mits niet worde vergeten, dat, met name op monetair en economisch gebied, Europese samenwerking eerder in breder verband (OEEC) moet worden gezocht, vooral ook omdat de West-Europese Unie bij voorkeur niet moet worden uit gebreid door het lidmaatschap van andere landen dan de huidige zeven, omdat dit de samenwerking in NATOverband zou bemoeilijken... Terwijl Nederland de vormen van inter-gouvernementele samenwerking, zoals NATO, Raad van Europa, OEEC en WEU van harte moet steunen, moet het supranationale structuur nastreven door volleen actieve steun aan de KSG bij het bereiken van de doelstellingen, die in het KSG—verdrag zijn neergelegd... Bij alle bovenstaande punten moet zoveel als mogelijk worden gestreefd naar een gemeenschappelijk Beneluxstandpunt. 134 A.G. Harryvan, The Netherlands, Benelux…, cit., p. 5. Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, “Het Nederlandse aandeel in de totstandkoming van de Gemenschappelijke Markt inzonderheid in de periode maart-juni 1955”, p. 28. 134 Nell’Unione dell’Europa occidentale deve essere considerato di massima importanza lo stretto legame stabilito con la Gran Bretagna. Pertanto, nel quadro di questa Unione non devono essere perseguiti obiettivi che non possono essere accettati dalla Gran Bretagna, né metodi che non possono essere accettati dal Regno Unito, o vincoli in cui Londra non si vuole sentire stretta. ’Ueo è essenzialmente un’alleanza politico-militare. La cooperazione in altri campi oltre quello militare non è necessariamente esclusa nel quadro di questa Unione, a condizione che non venga dimenticato che, soprattutto sul terreno monetario e economico, la cooperazione europea deve essere principalmente ricercata in un più ampio contesto (Oece), anche e soprattutto perché l’Unione dell’Europa occidentale, preferibilmente, non deve essere estesa alla partecipazione di altri paesi che non siano gli attuali sette, perché questo renderebbe più difficile la cooperazione nell’ambito della Nato… Mentre i Paesi Bassi devono pienamente supportare alcune forme di integrazione intergovernativa, come la Nato, il Consiglio d’Europa, l’Oece e l’Ueo, devono comunque perseguire la realizzazione di una struttura sovranazionale offrendo il proprio attivo sostegno alla Ceca affinché consegua gli obiettivi contenuti nel 132 133 53 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 In altre parole, nell’ottica di Beyen, la Ueo costituiva un collante politico importantissimo per i Paesi Bassi, giacché contestualmente rafforzava sia il legame bilaterale con il Regno Unito, che sembrava essersi allentato a causa dell’autoesclusione di Londra dal processo di integrazione, sia la posizione dell’Aja nel più ampio contesto della Nato. In tale quadro, tuttavia, al governo olandese, che allora più che mai avrebbe dovuto puntare sulla collaborazione con i partner del Benelux, spettava il difficile compito di farsi garante del mantenimento degli equilibri, certo delicatissimi, sui quali si reggeva la coeva cooperazione internazionale. Ovverossia, sul versante dei rapporti multilaterali, doveva ostacolare le inutili forzature sull’establishment britannico affinché accettasse di introdurre contenuti sovranazionali nell’impianto statutario dell’Ueo – cosa che, oltre a provocare quasi inevitabilmente un irrigidimento di Londra nei confronti della cooperazione con gli alleati continentali, avrebbe creato tensioni nell’ambito della Nato – sul versante più prettamente europeo, viceversa, avrebbe dovuto continuare a promuovere le iniziative di approfondimento dell’integrazione economica, anche e soprattutto allo scopo di impedire che la Francia trovasse il campo libero per riprendere saldamente in mano le redini della Comunità, magari offrendo una non così improbabile coleadership ai “grandi” della Rtf135. Di fronte a tale prospettiva, ribadiva il ministro olandese, diventava ancor più importante che il Ministerraad avesse ben chiara in mente la distinzione tra il concetto di “integrazione” e quello di “cooperazione”, cioè tra il percorso di collaborazione intereuropea ispirato al principio della sovranazionalità e un’organizzazione internazionale di natura confederale. Se infatti i Sei non avessero tenuto costantemente separate le due sfere, a livello concettuale oltre che pratico, la Francia di Mendès-France avrebbe avuto gioco facile nel condizionare il cammino della Comunità verso il più sicuro approdo della sua politica del “nationaal reveil”136. Ammoniva il ministro: trattato…. Per affrontare tutti i problemi sopra elencati deve essere il più possibile ricercato un punto di vista comune del Benelux. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 506 1954 okt. – nov., Nota betreffende het beleid der Nederlandse Regering t.o.v. de Europese samenwerking, 19.11.1954, p. 5. 135 Ibidem. 136 “...en men moet Mendes-France niet de kans te geven een zodanige stampot van alle mogelijke met elkaar in strijd zijnde concepties te maken, dat daaruit slechts een voor de Franse eetbaar hapje te voorschijn komt” (e non si deve offrire l’opportunità a Mendes-France di fare un minestrone di tutti i tipi di concezioni fra loro contrastanti, cosa che risulterebbe uno spuntino commestibile soltanto per i francesi). Cfr. NL-HaNA, 2.21.183.08, Collectie Van der Beugel, inv.nr 6, 1957/1958>1957-1958, Gesprek met de Heren Spierenburg en Kohnstamm in Brussel op 2 November 1954. 54 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 The well intended efforts to prevent “Little Europe” from stagnation bear the risk that France – by a dialectic of its own, already skilfully applied by Mendès France – will see its chance to render void the notion of “supranationality” and transform it into a political slogan serving the various needs of French foreign policy. 137 Tali considerazioni, in effetti, componevano la struttura portante del discussion paper, dal titolo “La politica del governo olandese in materia di integrazione europea”, che Beyen aveva presentato al Binnenhof il 19 novembre 1954138. Il documento, cioè, che di fatto rappresentò la premessa teorica del Memorandum del Benelux, nonché l’invito ufficiale, inoltrato dall’Aja all’indirizzo dei più solidi partner europei, a riprendere il dialogo privilegiato che le tensioni del dibattito sulla Ced/Cpe avevano apparentemente congelato e a costituire insieme un fronte compatto, a tutela non soltanto dell’integrazione sovranazionale, ma anche e soprattutto dei rispettivi interessi economicocommerciali139. Più precisamente, Beyen sollecitava gli omologhi del Benelux a guardare con preoccupazione alla tendenza francese a riprendere il dialogo con la Rtf su base bilaterale. Sebbene non fossero ancora percepibili segnali inequivocabili di questo orientamento, e benché da parte tedesca non fosse giunto alcun accenno di entusiasmo relativamente a una tale prospettiva, il fatto stesso che si profilasse una simile ipotesi avrebbe dovuto spingere i piccoli paesi a rafforzare la reciproca collaborazione, “anche sul piano della politica estera, qualora si fosse ritenuto necessario”140. 137 Ibidem. La citazione in inglese è ripresa da A.G. Harryvan, The Netherlands, Benelux…, cit., p. 8. “Het beleid van de Nederlandse regering ten opzichte van de Europee samenwerking“, è il titolo originale della nota. Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 28. 139 É opportune precisare che - stando a quanto si apprende dal telegramma inviato da Beyen e Luns ai ministri degli Esteri dei Sei, nonché, per conoscenza, anche a Washington e a Londra – i colloqui separati tra i tre ministri del Benelux erano iniziati già qualche mese prima, per la precisione nel giugno del 1954, sotto forma di scambio reciproco di vedute circa l’esito delle ratifiche del trattato Ced. Fu in quella circostanza, presumibilmente, che emerse con maggiore chiarezza la sintonia di orientamenti dei tre governi in materia di integrazione, nonché la condivisa insofferenza nei confronti della politica di Méndes-France. Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 6487 Stukken betreffende het plan-Pleven en de totstandkoming van de EDG. 1952-1954, Codetelegram, 23.6.1954. 140 NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 506 1954 okt. – nov., Nota betreffende het beleid der Nederlandse Regering t.o.v. de Europese samenwerking, 19.11.1954, p. 3. Precisa a tale proposito la Note de Travail sur quelques "Plans" d'Integration Economique Europeenne redatta dal ministero degli Esteri e del Commercio estero belga: " Après avoir marqué ce temps d'arrêt, l'idée de l' intégration européenne devait être Reprise à la fin de 1954, notamment à la suite des inquiétudes que provoquèrent dans les pays de Bénélux et en Italie, les projets de rapprochement franco-allemand (accord sur la Sarre et communiqué franco-allemand d'octobre 138 55 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Detto altrimenti, fu proprio in un’atmosfera di profondo disagio quale quella appena descritta, con i piccoli stati impegnati a trovare soluzioni comuni per contenere le velleità egemoniche dei “grandi” vicini continentali, Parigi in primis, che prese forma il Memorandum del 1955, destinato a diventare in breve tempo, non soltanto lo strumento più efficace per rilanciare il processo di unificazione europea sovranazionale, ma una vera e propria pietra angolare della storia dell’integrazione. La strada verso Messina Confortato dalla garanzia del sostegno belgo-lussemburghese, Beyen, in linea con le sue ben radicate convinzioni e prendendo a modello il percorso che aveva condotto alla nascita del Benelux, iniziò innanzitutto a riformulare la politica europea dei Paesi Bassi secondo una linea più moderata, cioè ponendosi obiettivi di minore portata, quali la realizzazione di un’unione doganale a livello dell’Oece, ben consapevole, peraltro, che non avrebbe certo faticato a guadagnarsi l'avallo dell'Aja141. Non soltanto, infatti, la liberalizzazione commerciale, come si è detto più volte, rappresentava il principale obiettivo di politica economica ed europea del governo olandese, ma ancor più, in quel preciso frangente storico, sarebbe stata apprezzata una proposta “pessimistica e difensiva”142, senza allusioni di sorta alla sovranazionalità. Assicuratosi, come previsto, il sonoro "ja" dal Binnenhof, il ministro degli Esteri “passionnément européen”, come lo avrebbe definito Hendrik Brugmans qualche anno più tardi143, il 23 novembre partì per Bruxelles, ove era atteso da Spaak e Bech per tracciare insieme una linea di condotta comune da adottare nei due contesti dell'Ueo e della Ceca. Nell’occasione, quello tra Beyen e Spaak, fu di fatto un confronto ad ampio raggio tra due prospettive affatto dissimili, 1954)". Cfr. NL-HaNA, A.E./B.Z. ((Ministerie van Buitenlandse Zaken, België) inv.nr. 17,741/4, Note de Travail sur quelques "Plans" d'Integration Economique Europeenne, s.d., p. 9. 141 Ibidem. Cfr. anche A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 74. 142 Precisa Harryvan in proposito: “As a possible course of action Beyen mentioned the idea recently launched by Baron Snoy et d’Oppuers, the Secretary General of the Belgian Ministry of Economic Affairs, that the Benelux countries might take the initiative to start discussions in the OEEC on the formation of a Free Trade Area”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 74 e Id., The Netherlands, Benelux…, cit., p. 11. Sull’atteggiamento del governo olandese negli anni questione cfr. Albert E. Kersten, Maken drie kleinen een grote? De politieke invloed van de Benelux, 1945–1955, Van Holkema & Warendorf, Bussum, 1982, pp. 10–15. “[…] de Nederlandse Regering had op 22.XI ingestemd met zijn opvatting het was een van de conclusies uit zijn nota van 19.XI.1954 dat m.b.t de Europese samenwerking zoveel mogelijk moest worden gestreefd naar gemeenschappelijk Benelux-standpunt”. Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 30. 143 Cfr. H. Brugmans, L’idée européenne…, cit., p. 289. 56 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 per quanto entrambe facenti capo al grande filone europeista, mentre Bech si limitava a sostenere ora l’uno, ora l’altro punto di vista. In particolare, l'impostazione di Beyen, come si è variamente precisato, si fondava sulla critica del metodo monnetiano e sulla convinzione che soltanto un'integrazione economica generale avrebbe costituito la giusta premessa per lo sviluppo di un'autentica e condivisa solidarietà continentale. Spaak, di contro, continuava ad apparire come un devoto discepolo di Monnet, al quale si era peraltro rivolto più volte, all’indomani del fallimento della Ced, nell’intento di individuare assieme al proprio mentore una via d’uscita dall’impasse e una possibile ripresa della riflessione sull’integrazione sovranazionale. Prodotto di tali colloqui era stata l’elaborazione di un quadro abbastanza particolareggiato della coeva situazione europea e di un’idea precisa della strada da percorrere: Nous étons d’accord pour penser qu’il fallait proposer quelque chose. Le meilleure méthode consistait, creyons-nous, à étendre les compétences de la CECA. Nous ambitions étaient modestes. Nos aspoirs l’étaint aussi. Il nous semblait important de nous aurions de réelles chances de réussir, laissant pour plus tard la réalisation de plus vastes projets. Il fallait avant tout èviter un novel échec”. 144 Ad ogni modo, come avrebbe peraltro riferito il ministro olandese al suo governo, di là dalle divergenze interpretative su quella o quell’altra questione, le premesse per la formulazione di una strategia comune erano concrete e riconoscibili fin dalle primissime battute del colloquio. C’era, innanzitutto, la comune avversione al “réveil nationaliste” di Mendès-France e alla sua tendenza a privilegiare le relazioni bilaterali. Tale atteggiamento, affermavano i tre: … s’oppose, non seulement à l’idée supranationale mais, bien pis, au “multilateralisme” qui est à la base des efforts de l’O.E.C.E, et de l’U.P.E. Faute d’un organe supranational, responsable pour l’intérêt commun, le but bien défini de ces organisations n’en est pas moins de servir l’inérêt commun dans leur politique nationale. C’est pourquoi l’Europe s’est pu libérer du bilatéralisme, qui avait commencé à corrompre la vie économique après 1930 sous l’égide de M. Schacht, et qui menaçait d’étrangler la réconstruction de l’Europe après la guerre. C’est presque un miracle de sagesse, que l’Europe est parvenu à se distancier de cette tendance dangereuse, qui conduit à une protection industrielle due pire genre et à la dscrimination dans les relations économiques et monétaires… Nous ne voulons pas être alarmistes. Nous ne nous préoccuperons pas encore d’un développement très proche dans cette direction… Mais il ne faut pas oublier que… le bilatéralisme, comme d’ailleurs le nationalisme, est infectueux. S’il prend de l’envergure en France, il se développera aussi en Allemagne. 145 Sotto questo profilo, la posizione comune fu facilmente individuata: Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 30. Cfr. NL-HaNA, Bewindslieden van het Ministerie van Buitenlandse Zaken 1952-1998, 2.05.81, inv.nr. 2, Brief en instructie, Beyen a Drees, 27.12.1954, p. 3. 144 145 57 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 protester le moment venu et à l’endroit le plus approprié, contre le tendance bilatéraliste comme telle. 146 Tale protesta, precisava Beyen, avrebbe dovuto essere condotta non soltanto sotto forma di attacco polemico, anche pungente, portato avanti attraverso gli organi d’informazione e i discorsi ufficiali, ma soprattutto a livello istituzionale, sia nella Ceca che nelle altre organizzazioni internazionali. La prima ad essere chiamata in causa, neanche a dirlo, fu l’Ueo, che per molti “antisupranationalistes" rappresentava l’alternativa alla Ced per costruire una cooperazione europea sul terreno della difesa. In tale contesto, i tre “petits” del Benelux avrebbero dovuto sì offrire la massima collaborazione e anche contributi importanti per accrescere le potenzialità dell’organizzazione, ma soprattutto si sarebbero dovuti impegnare a sollecitare i partner sulla necessità di riprendere il percorso dell’unificazione sovranazionale nell’unica realtà deputata ad accoglierlo, la Ceca. 147 In altre parole: Il va sans dire qu’il n’est pas question de s’opposer en principe contr toute extension du terrain de la W.E.U. en dehors du domain de la défense, si, par des développements naturels, une telle extension se présenterait comme utile et pratiquable. Il est certainement point nécessaire d’interrompre le travail actuel de l’organisation de Bruxelles sur les terrains social et culturel. Mais il serati déavantageux pour la coopération européenne de tâcher de faire la W.E.U. le noyau de cette coopération dans d’autres domaines que celle de la défense, au détriment des formes existantes de coopération européenne… La C.E.C.A. est la seule “tête de pont” de l’idée supranationale, la seule “Communauté” qui possède un organe exécutif avec une responsabilité propre pour le bien commun, et responsable devant un parlement pourvu de pouvoirs réels. 148 Ora, indicati gli aspetti “negativi” della posizione comune, vale a dire le restitenze che i tre stati avrebbero dovuto opporre ai tentativi di distorsione dell’unificazione europea perpetrati dai governi “antisupranationalistes”, occorreva individuare gli elementi “positivi” che il Benelux avrebbe dovuto introdurre nel dibattito comunitario “pour défendre le principe du multilatéralisme et pou développer la réalisation de l’idée supranationale”149. Nessun dubbio, in tal senso, da parte di Beyen, il quale, come si è detto, aveva già da tempo maturato il proposito di rilanciare l’idea del mercato comune partendo dalla realizzazione dell’unione doganale150. Alla lettera: Ivi, p. 4. Ivi, pp. 4-6. 148 Ivi, pp. 6-7. 149 Ibidem. 150 Cfr. P.-H.Spaak, Combats Inachevés, de l’espoir aux déceptions, s.l., 1969, pp. 61–62; R. Mayne, The Recovery of Europe, from Devastation to Unity, New York, 1970, p. 220; J.W. Beyen, Het spel en de knikkers.., cit., pp. 223-230. 146 147 58 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 La question se pose en prmier lieu, s’il ne sera pas nécessaire d’engager de nouveau la bataille pour l’établissement d’un marché commun en Europe. Il faut distinguer entre, d’une part, les efforts pour obtenir un abaissement des tarifs douaniers et des restrictions quantitatives, et, d’autre part, les plans pour créer un marché européen commun (soit de caractère général, soit pour des secteurs de l’économie)… Je me permete de rappeler que le gouvernement néerlandais avait soumis une proposition – connue comme le plan Beyen – qui servait comme base de discussion. Cette discussion a mené à des propositions assez élaborées sur laquelle, parmi les experts des six gouvernements, s’était établie une entent assez large. Toutefois, ces propositions supposaient la création d’un organisme supranational suquel incombera la coordination de la politique économique et monétaire et l’application de certaines mesures pour atténuer les répercussions de l’intégration des marchée. 151 Considerati, tuttavia, i profondi cambiamenti che aveva subito lo scenario comunitario nei pur pochi anni intercorsi dalla presentazione del primo Memorandum dell’Aja, era evidente che l’idea originaria dovesse essere sensibilmente ritoccata e ampiamente ridimensionata nei suoi obiettivi a breve termine. Si decise, pertanto, anche tenendo conto delle riflessioni del duo Spaak-Monnet più sopra menzionate, di prevedere un’estensione delle competenze della Ceca, la quale, in virtù della sua “tendance naturelle de s’étendre sur d’autre domaines économiques” sarebbe diventata una “base de nos efforts de réaliser l’idée supranationale”152. I tre ministri del Benelux ribadirono inoltre la reciproca volontà di presentare il nuovo piano come iniziativa collettiva, anche e soprattutto al fine di guadagnare maggiore peso nel contrastare le possibili opposizioni153. Per quanto, viceversa, riguardava i tempi di presentazione del progetto, si stabilì di attendere l’allontanamento di Mendès-France dal vertice del governo francese, cosa che Beyen aveva già anticipato e pronosticato nell’ambito di una dichiarazione alla Tweede Kamer154. Frattanto, riprendendo le parole del ministro olandese, in Europa, e soprattutto nel contesto del Benelux, i piani per il rilancio europeo “spuntavano come funghi”155. Tra i più accreditati, oltre al noto progetto del barone belga Charles Snoy et d’Oppuers per la creazione di una zona di libero scambio nell'ambito dell'Oece, le iniziative per la cooperazione intereuropea promosse NL-HaNA, Bewindslieden van het Ministerie van Buitenlandse Zaken 1952-1998, 2.05.81, inv.nr. 2, Brief en instructie, Beyen a Drees, 27.12.1954, p. 9. 152 Ivi, p. 10. 153 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 400, Beneluxoverleg inzake beleid ten aanzien van WEU en KSG, 29.11.1954, p. 8. 154 J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 236. 155 Cfr. “als paddestoelen uit de grond springen”. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 509 1955 mrt., Nota inzake de Europese integratie, 24.3.1955. 151 59 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 dai belgi Larock156 e Van Houtte157 e il “pre-integration programme” dell’olandese Blaisse158, tutti a carattere spiccatamente intergovernativo. Tali soluzioni, che pure avevano suscitato l’attenzione di alcuni noti europeisti - tra i quali Beyen159 e Spaak - e che dovevano in larga parte il proprio successo al fatto di aver saputo interpretare la sfiducia dell’opinione pubblica europea circa le effettive virtualità del metodo comunitario, erano percepite dal ministro olandese come un’autentica minaccia all’idea sovranazionale, nonché al proprio, personale proposito di rilanciarla attraverso l’iniziativa del Benelux. Quest’ultima, viceversa, riuscì a ritrovare vigore grazie alla repentina trasformazione dello scenario internazionale. Il 5 febbraio del 1955, infatti, il governo di MendèsFrance venne rimpiazzato da una nuova maggioranza guidata dal radicale Edgar Faure, cosa che comportò una notevole riduzione della presenza gollista Egli presentava una serie di “propositions d’ordre économique", le quali avrebbero potuto costituire la base per "une action politique à entreprendre par des pays de Benelux”, col fine ultimo di innescare il “rélance de l’intégration Européenne”. La proposta di Larock era originariamente datata novembre 1954; nel marzo del 1955, egli ottenne una sorta di offerta ufficiale di sostegno da parte di Bruxelles, al punto che il piano Larock prese ad essere definito, nel gergo coevo, come “la proposta del Belgio”. Larock suggeriva la creazione di un’area di libero commercio - caratterizzata dall'assenza sia di barriere tariffarie, sia di restrizioni quantitative - per quei prodotti - per lo più manifatturieri - i cui costi di produzione si fossero rivelati pressoché i medesimi in tutti i paesi dell'Europa occidentale. Cfr. A.G. Harryvan, The Netherlands, Benelux…, cit., p. 20. 157 Il piano di Van Houtte, lanciato il 17 marzo 1955, riprendeva a grandi linee la proposta di Snoy. Nel dettaglio, Van Houtte esortava i paesi del Benelux lanciare nell’ambito dell’Oece un un’iniziativa, estesa a un gruppo limitato di paesi, per la graduale riduzione tariffaria in un periodo da dieci a quindici anni e per la simultanea abolizione totale delle restrizioni quantitative. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401 1955 jan. – juni, Notulen van de vergadering, gehouden op Maandag 28 Maart 1955 in de Trèveszaal, aangevangen ‘s morgens om elf uur en ‘s middags voortgezet, pp. 3-4. 158 Pubblicato a ridosso del progetto di Larock, nel febbraio 1955, il progetto del deputato olandese ricevette apprezzamenti significativi, sia in patria, sia a livello internazionale. Fondato sulla constatazione della sostanziale immaturità dei Sei per procedere alla creazione di un’integrazione economica effettiva, il “pre-integration programme” suggeriva una serie di misure preliminari, dirette alla rimozione simultanea delle barriere economiche e psicologiche all’integrazione. Tra le altre cose, questo programma introduceva anche un piano intergovernativo per lo sviluppo dell’Italia meridionale, un progetto comune per la produttività agricola e uno per la costruzione gli impianti di energia atomica e gas naturale, nonché una cooperazione tecnico-finanziaria nel campo dell’edilizia. Stando a Blaisse, peraltro, il Consiglio d’Europa avrebbe costituito la cornice istituzionale più adeguata per la realizzazione di tali obiettivi. Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, Bewindslieden 1952-1998, 2.03.81, inv.nr. 11, Memorandum, 19.2.1955. 159 Quanto all’ideatore del mercato comune, Harryvan sostiene che il nuovo progetto di unione doganale elaborato da Beyen si rifaceva in larghissima parte allo schema elaborato da Snoy et d’Oppuers per un’iniziativa del Benelux nell’ambito dell’Oece volta alla creazione di un’area di libero commercio. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 74. 156 60 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 nell’Assemblée Nationale e lasciò germogliare concrete speranze di una possibile ripresa della progettualità europea da parte di Parigi160. All’Aja, tuttavia, neanche l’uscita di scena di Mendès-France seppe allentare gli scetticismi e convincere il Ministerraad a conferire alla propria politica europea un più elevato profilo. Lo spirito propositivo, viceversa, sembrò riemergere, ancora una volta su impulso di Beyen, a seguito dei colloqui “a tre” del 10 marzo 1955, in occasione dei quali i ministri del Benelux avevano stabilito di promuovere un incontro tra i capi dicastero degli Esteri dei Sei, formalmente organizzato per discutere sulla successione di Monnet – che, com’è noto, aveva presentato le proprie dimissioni dalla presidenza dell’Alta Autorità a seguito del fallimento della Ced per mano dei francesi – alla guida dell’esecutivo della Ceca161, ma di fatto finalizzato a verificare gli orientamenti dei singoli governi, di quello francese in particolare, in materia di integrazione europea. Una dichiarazione che “le trois petits”, Spaak in particolare, ritenevano essenziale in vista della formulazione dell’iniziativa comune per il rilancio della Comunità162. Il discorso inaugurale di Faure al Conseil de la République lasciava intendere che il nuovo governo francese avrebbe assunto un atteggiamento più positivo rispetto al suo predecessore, anche e soprattutto in ambito comunitario. Faure dichiarò infatti che i francesi avrebbero preso iniziative importanti per la cooperazione nel campo dell’elettricità, dei trasporti e dell’energia atomica. In altre parole, Faure avrebbe accolto le indicazioni di Monnet per un rilancio dell’integrazione settoriale. Ciononostante, restava incerta la posizione di Faure rispetto alla sovranazionalità e al rafforzamento delle istituzioni comunitarie. Cfr. A.G. Harryvan, The Netherlands, Benelux…, cit., p. 22 e, sulla reazione olandese alle dichiarazioni di Faure, NLHaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401, Notulen van de vergadering, gehouden op Maandag 21 Maart 1955 in de Trèveszaal, aangevangen ‘s morgens om elf uur en ‘s middags voortgezet, p. 9. 161 Già nei due mesi precedenti l’incontro, in verità, Spaak aveva tentato di promuovere la nomina di Schuman alla presidenza dell’Alta Autorità della Ceca. Tuttavia, il cambio di guardia a Parigi, come pure le discussioni con Monnet, lo avevano indotto a cambiare idea e ad attendere di conoscere meglio le intenzioni di Faure in materia di integrazione europea. Cfr. P.H. Spaak, Combats Inachevés..., cit; e anche J. Monnet, Mémoires, cit., p. 47. 162 Monnet, all’atto di presentare le dimissioni, aveva dichiarato che la sua era un’azione di protesta nei confronti della condotta di Parigi nel contesto comunitario. Al contempo, tuttavia, il padre del funzionalismo aveva comunicato ai suoi più stretti collaboratori (vrienden) che avrebbe riassunto la presidenza dell’Alta Autorità qualora il governo francese avesse cambiato atteggiamento. Subito dopo la caduta di Mendès-France, peraltro, il commis d’État francese si era dichiarato disposto a restare in carica ancora un mese, nella speranza di ottenere l’appoggio sufficiente alla realizzazione delle sue proposte per la “comunitarizzazione” del settore energetico. (Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 30). Spaak era perfettamente al corrente dei propositi del suo mentore. Oltre ad essere in stretti rapporti con Monnet, infatti, il ministro belga era anche entrato in contatto con il neoeletto ministro degli Esteri francese, Pinay, insieme al quale aveva discusso e approvato il nuovo progetto di integrazione settoriale elaborato dall’illustre ideatore della Ceca. Pertanto, le sue dichiarazioni del 10 marzo 1955, riguardo all’atteggiamento che avrebbe assunto la Francia in Europa e circa 160 61 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Di fatto, la proposta dell’incontro a Sei, che pure era stata sostenuta collettivamente dai tre partner, era stata avanzata dal solo ministro belga. E non a caso. In effetti, d’intesa con lo stesso Jean Monnet - come Beyen aveva appreso con largo anticipo dall’ambasciatore olandese a Bruxelles, Ernst H. van der Beugel163 - il preciso intento di Spaak era quello di rilanciare l’integrazione europea secondo il metodo settoriale promuovendo una presa d’atto congiunta dei Sei all’indirizzo del presidente dimissionario dell’Alta Autorità, per convincerlo a riconsiderare la propria. In altre parole, facendo leva sull’indiscusso prestigio accreditato al burocrate in ambiente comunitario, il ministro di Bruxelles voleva tentare di forzare la mano sui suoi omologhi europei per persuaderli a riprendere il cammino verso l’unificazione continentale lungo la linea tracciata a suo tempo dall’ideatore della Comunità164. Di fronte a tale prospettiva, che certo era del tutto antitetica rispetto agli auspici di Beyen per l’integrazione economica generale, il ministro olandese decise di ricorrere alla prudenza diplomatica, che pure non gli era congeniale, ma che aveva appreso, quasi involontariamente, con la prolungata frequentazione dei negoziati internazionali. Anziché opporsi con fermezza all’iniziativa del collega brussellese – e implicitamente creare una frattura in quel processo di riavvicinamento tra i partner del Benelux che egli stesso aveva avviato – offrì il proprio sostegno, limitandosi a precisare il proprio disaccordo con i propositi per l’integrazione (integratieplannen) coltivati da Monnet165. Il che stava implicitamente a significare che, una volta ottenuta la riconferma del presidente dell’Alta Autorità, il ministro olandese avrebbe continuato a promuovere il suo disegno di integrazione europea “orizzontale”. Occorreva però, a questo punto, elaborare una soluzione alternativa, la quale riuscisse peraltro ad eguagliare, in termini di efficacia e di applicabilità immediata, l’attraente proposta monnetiana sull’estensione delle competenze della Ceca. Pertanto, sulla base delle idee maturate in anni di impegno il futuro di Monnet all’Alta Autorità della Ceca, rappresentarono delle vere e proprie anticipazioni di quello che sarebbe stato il prossimo futuro del percorso comunitario. Non a caso, nelle sue memorie, riferendosi ai colloqui avuti con Monnet in quel periodo, Spaak avrebbe scritto: “Nous étions d’accord pour penser qu’il fallait proposer quelque chose la meilleure méthode consistant, creyons-nous, à ètendre les competénces de la Ceca. Nos ambitions ètaient modestes. Nos aspoirs l’ètaient aussi: ‘nous semblait important de nous aurions de réelles chances ce réussir, laissant pour plus tard la réalisation de plus vastes projets. Il fallait avant tout èviter un nouvel échec’. Cfr. P.H. Spaak, Combats Inachevés…, cit., p. 62. 163 Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, Bewindslieden 1952-1998, 2.05.81, inv.nr. 11, Memorandum en notitie, 19.2.1955. 164 Ibidem. 165 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401, Bespreking tussen Beneluxministers van Buitenlandse Zaken, 11.3.1955, p. 12; e anche ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 31. 62 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 europeista, nonché forte del sostegno accordatogli dalla quasi totalità dei suoi collaboratori al Buitenlandse Zaken166, come pure da molti colleghi nell’ambito del Ministerraad167, in meno di due settimane Beyen elaborò la Nota inzake de Europese integratie, un programma dettagliato sulle prospettive dell’integrazione economica europea e sul contributo che alla sua realizzazione avrebbero potuto offrire i Paesi Bassi168, la quale, già il 24 marzo 1955, raggiungeva i tavoli del Binnenhof per la discussione ufficiale169. Il Piano Beyen, araba fenice, rinasceva così dalle sue ceneri, sotto una nuova veste, opportunamente calibrata nei suoi elementi di “opportunismo nazionale” e di “idealismo europeista”, nonché predisposta per essere presentata come iniziativa congiunta dei paesi del Benelux, ed essenzialmente finalizzata a proporre un’Europa a dimensione dei “petits”170. Nella Nota, il ministro olandese poneva l’accento sull’eccezionalità del momento storico che stava attraversando l’Europa. Il “bisogno di riprendere in mano i fili improvvisamente recisi dell’integrazione europea”171 rendeva infatti più permeabili gli stati europei a recepire nuove proposte, ancorché caute o di portata limitata. Tuttavia, la delusione e la confusione provocate dal fallimento della Ced aveva provocato anche nei sostenitori più convinti dell’integrazione In effetti, in vista dell’incontro di marzo tra i ministri del Benelux, la Direzione per la Cooperazione Occidentale e l’Integrazione Europea (DWS/IE) del Buitenlandse Zaken aveva stilato una nota nella quale sosteneva ampiamente – e sulla base di valutazioni pragmatiche – la maggior efficacia del metodo orizzontale rispetto all’approccio monnetiano. Ibidem. 167 Questo risultò già dalla relazione inviata alla Camera il 9 marzo 1955, relativa alla discussione degli Accordi di Parigi (Memoire van Antwoord bij het wetsontwerp tot goedkeuring van de Parijs Verdragen, in ibidem). Nella relazione provvisoria, datata 23 febbraio 1955, e firmata, tra gli altri, da Drees, Beyen, Staf e Zijlstra, si leggeva infatti: “il governo, soprattutto riguardo alla sfera economica, aspira ad una molto più profonda integrazione europea, la quale è difficile da realizzare senza che si creino istituzioni sovranazionali o, altrimenti detto, senza che vengano previsti trasferimenti di competenze e di responsabilità. Per quanto ci riguarda non c’è modo di cambiare questa situazione e noi siamo sempre disposti a riprendere le discussioni che sono state interrotte nella primavera del 1954. Benché il governo sia propenso all’integrazione economica in senso generale… inizialmente non si opporrà ai tentativi di integrazione di aree limitate, soprattutto se queste verranno formulate nel quadro della Ceca e riguarderanno i settori affini al carbone e all’acciaio”. Ibidem. 168 “... maar meen, dat het ogenblik gekomen is, waarop de Nederlandse Regering zich moet afvragen, of zij niet, in samenwerking met de andere Beneluxregeringen, een positiever en meer principieel standpunt tegenover het integratie probleem moet innemen” (... ma ritengo che sia giunto il momento in cui il governo olandese debba chiedersi se non debba assumere, insieme agli altri governi del Benelux, una posizione più positiva e più di principio nei confronti del problema dell’integrazione). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 509, Nota inzake de Europese integratie, 24.3.1955, p. 2. 169 Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 34. 170 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 84. 171 Ibidem 166 63 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 europea un radicamento di concezioni e di prospettive molto più pessimistiche di quanto non fosse prevedibile all’indomani del naufragio dell’esercito comune.172 All’Olanda si presentava pertanto l’opportunità irrinunciabile di indirizzare verso traguardi importanti il percorso comunitario, anziché limitarsi a criticare, più e meno positivamente, iniziative altrui. In una miscela di fervore europeistico e pragmatismo, Beyen passava poi ad illustrare gli obiettivi cui avrebbe dovuto puntare l’azione olandese in Europa, traguardi che, in larghissima parte, coincidevano con quelli già illustrati nel Piano Beyen. Il primo, come era naturale, sarebbe stata l’unificazione economica generale, da conseguire attraverso l’ “ampliamento” e la “stabilizzazione del mercato europeo”, cosa che, peraltro, avrebbe avuto ricadute eccezionalmente positive la crescita economica olandese, la quale, com’è noto, si affidava essenzialmente alle esportazioni. Detto con le parole di Beyen: Wij streven naar een werkelijke verinniging in de samenwerking tussen de Europese landen en naar een uitbreiding en stabilisering van de Europese markt (voor onze export). 173 La Nota proseguiva lanciando l’allarme sulla confusione generata dal proliferare di iniziative più o meno simili (come quelle, già ricordate, di Larock, Van Houtte e Blaisse), accompagnate dalla campagna monnetiana a favore dell’integrazione settoriale e sul rischio della paralisi derivante da un tale stato di incertezza. In tale contesto, una ben congegnata (weldoordacht) iniziativa del Benelux avrebbe assunto il carattere di urgenza, oltre a rappresentare il punto di svolta dell’impasse comunitaria. E il salto di qualità, proseguiva il ministro, si sarebbe riscontrato allorché, in virtù di tale “progetto a tre mani”, fosse stato evidente che l’intenzione dei partner del Benelux era quella di salvare il lavoro svolto dall’Assemblea ad hoc e riproporre la nascita di una Comunità politica europea. Quest’ultima, tuttavia, avrebbe avuto poteri circoscritti al solo settore economico e avrebbe perseguito, quale suo obiettivo essenziale, la creazione di un’unione doganale europea sulla quale edificare una Comunità economica europea propriamente detta174. In tale quadro, concludeva Beyen, sarebbero state comprese anche le proposte di Monnet-Spaak sull’estensione delle competenze della Ceca ai Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 509, Nota inzake…, cit., p. 2. Noi aspiriamo a un reale cambiamento nella cooperazione tra i paesi europei e a un ampliamento e a una stabilizzazione del mercato europeo (per le nostre esportazioni). Ivi, p. 3. 174 “Door het wegvallen van de E.D.G. zou de taak der Politieke Gemeenschap een zuiver economische moeten zijn, n.1 tot stand brengen van de Europese Economische Unie na het scheppen van een Douane Unie” (A causa del fallimento della Ced il compito della Comunità politica sarebbe esclusivamente di carattere economico, n.1 la realizzazione dell’Unione economica europea dopo la formazione di una Unione doganale). Ivi, p. 4. 172 173 64 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 terreni dei trasporti e dell’energia. Per eludere le resistenze francesi, d’altra parte, il piano avrebbe prospettato a Parigi la possibilità di usufruire sia di uno speciale periodo di transizione nell’arco del quale procedere alla modernizzazione dell’apparato produttivo nazionale, sia di clausole particolari per il settore agricolo175. In estrema sintesi, il 27 marzo del 1955, all’apertura della seduta del Ministerrad sulla Nota di Beyen, il ministro degli Esteri, con il consueto atteggiamento pragmatico e con l’acume che gli aveva conferito la lunga esperienza nel mondo degli affari, riportava la questione europea al centro del dibattito politico olandese, inaugurando, in tal modo, la fase più feconda del contributo dei Paesi Bassi al processo di integrazione continentale. Il “sì” dell’Aja alla Nota di Beyen e la stesura del Memorandum del Benelux Prima dello stesso 27 marzo, Beyen ricevette un commento scritto del ministro Mansholt, con il quale il ministro dell’Agricoltura - che non avrebbe potuto partecipare alla riunione del Ministerraad convocata in via eccezionale per discutere la Nota – si schierava apertamente a sostegno dell’europeista del Buitenlandse Zaken e del suo schema per il rilancio dell’Europa sovranazionale176. Acceso federalista qual era, Sicco Mansholt si congratulò apertamente con Beyen per aver ridato impulso alla riflessione europeista e per aver elaborato un corpo concreto e coerente di proposte per rilanciare la Comunità. Inoltre, come ministro dell’Agricoltura, si dichiarò pienamente concorde con i suggerimenti prospettati dalla Nota per il settore primario. Non che Mansholt fosse l’unico entusiasta del tentativo di Beyen di risvegliare lo spirito d’iniziativa olandese per porlo al servizio della causa europea. Al contrario, la Nota ricevette commenti positivi anche dalla più parte del Consiglio dei ministri, fatta eccezione per Drees, Beel e Zijlstra177. Il primo a pronunciarsi fu il ministro dell’Interno, Beel, il quale, pur dichiarandosi sostanzialmente in accordo con gli obiettivi indicati nella nota, non si mostrò favorevole ad accettare la ripresa delle discussioni sulla Cpe, laddove, se soltanto di economia si doveva trattare, sarebbe stata sufficiente una modifica, peraltro neanche troppo importante, delle già esistenti istituzioni della Ceca178. A far eco a Beel intervenne, puntuale come sempre quando si trattava di attaccare la sovranazionalità, il Primo ministro, il quale espresse senza mezzi termini il suo forte scetticismo intorno alle possibilità di successo Ibidem. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 509, Brief Minister Mansholt aan Beyen, 26.3.1955. 177 Cfr. ASUE, COL, JMDS-000125, 1979, Rutten Document, cit., p. 36. Si veda anche NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401, Notulen, 28.3.1955. 178 NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401, Notulen, cit., p. 12. 175 176 65 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 dell’iniziativa, puntando di contro l’accento sulle tendenze protezionistiche che si andavano progressivamente affermando in Europa e soprattutto a livello dei Sei. Peraltro, precisava Drees nel suo lungo intervento, le istituzioni sovranazionali non erano necessarie per ottenere risultati importanti sul terreno economico179. Viceversa, considerato il clima non certo favorevole alla ripartenza dell’integrazione sovranazionale, sarebbe stato più opportuno prospettare sì un’iniziativa congiunta del Benelux a carattere intergovernativo, sul modello dello schema proposto da Van Houtte o da Snoy et d’Oppuers180. Le dichiarazioni di Drees vennero ampiamente suffragate dal ministro dell’Economia, Jelle Zijlstra, il quale, seppur più possibilista del suo Presidente rispetto al rilancio del cammino europeo verso la sovranazionalità, riteneva che i tempi non fossero sufficientemente maturi per riprendere in mano progetti che, al momento, potevano risultare fin troppo ambiziosi. Al contrario, sarebbe stato più opportuno concentrare gli sforzi verso il raggiungimento di obiettivi limitati, ma concreti, come quelli prospettati nel piano elaborato da Larock181.. Beyen, che si ritrovò improvvisamente in una situazione di imbarazzante isolamento, visto che i ministri più influenti sembravano tutti intenzionati a liquidare la Nota senza troppi formalismi, adottò una posizione più conciliante, si dichiarò pronto ad espungere dal testo ogni riferimento alla Comunità politica, ma ribadì la necessità di dotare l’unione economica europea di una cornice istituzionale di coordinamento, la quale avrebbe essere dotata delle due caratteristiche irrinunciabili della sovranazionalità e della responsabilità di fronte a un parlamento. Tuttavia, di fronte all’irrobustirsi delle resistenze, accettò di presentare ai partner del Benelux una bozza per un’iniziativa congiunta destinata al “rafforzamento dell’integrazione economica europea”, senza riferimenti specifici alla natura, sovranazionale o intergovernativa, della struttura che si intendeva creare182. A due giorni di distanza dall’acceso dibattito nell’ambito del Consiglio dei ministri, Beyen tornò a difendere le sue proposte alla Camera, la quale, a sua volta, era impegnata con l’approvazione dei protocolli di Parigi183. Il ministro degli Esteri, in prima istanza, cercò di attirare l’attenzione dei parlamentari europeisti, esprimendo la propria preoccupazione nei confronti del diffuso pessimismo che aveva riscontrato, tra i Sei e particolarmente in seno al governo Ibidem. Cfr. A.G. Harryvan, The Netherlands, Benelux…, cit., p. 30. 181 Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 36. 182 Ibidem. Sulla reazione dell’Aja alla Nota di Beyen si veda anche A.G. Harryvan, The Netherlands, Benelux…, cit., p. 32. 183 I Protocolli di Parigi erano stati approvati dal senato francese il 27 marzo, il che aveva dissipato le incertezze degli altri governi sul possibile fallimento dell’iniziativa. Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 37. 179 180 66 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 dei Paesi Bassi, intorno all’idea di Europa sovranazionale. Di fronte a tale situazione, pertanto, Beyen si chiedeva se non fosse giunto il momento di destarsi dal “torpore contemplativo” in cui era sprofondato e di presentarsi davanti al Consiglio dei ministri dei Sei con una richiesta ben precisa, vale a dire una dichiarazione esplicita da parte dei singoli governi sulla disponibilità ad accogliere positivamente un’iniziativa per l’approfondimento dell’integrazione economica su basi sovranazionali, la quale avrebbe costituito la premessa essenziale per avviare, con i partner del Benelux, la fase progettuale vera e propria184. L’ottimismo del ministro olandese, appassionato dell’Europa come dell’arte, nasceva dalla consapevolezza che il terreno fosse effettivamente fertile per gettare il seme del rilancio europeo, soprattutto se quest’ultimo fosse stato concepito secondo un’ottica pragmatica e immediatamente efficace185. Il suo entusiasmo e le sue convinzioni, tuttavia, si scontravano con la ben più imponente realtà dello scetticismo dei governi, i quali si muovevano a passi incerti e calibrati sul sentiero dell’opportunismo nazionalistico e del bilateralismo, di cui la neo costituita Ueo era espressione e fortilizio. E non fu un caso, pertanto, che Beyen fu costretto ad ingoiare anche il “nee” della Tweede Kamer, sul cui sostegno aveva peraltro fortemente sperato186, e a presentarsi, di conseguenza, a Bech e Spaak con una proposta riadattata ai desiderata del proprio governo. Il 4 aprile 1955, dal Buitenlandse Zaken partiva un “document de travail” per Spaak e Bech, in cui si invitavano i due politici ad un incontro, da tenersi a Bruxelles, per discutere i termini di un’iniziativa congiunta dei paesi del Benelux “relative à la relance de l'idée européenne”, da presentare alla successiva riunione dei ministri degli Esteri della Ceca187. Sintetizzava Couvreur, ambasciatore belga all’Aja: La note de M. Beyen reproduit le plan d'integration économique dont il est l'auteur avec quelques légères modifications a fin de tenir compte de l'opposition française (intégration de “Ik overweeg daarom of ik mij niet uit mijn contemplatie rust moet opwekken en overwegen een voorstel te doen, dat verschillende landen voor de vraag stelt of zij al of niet bereid zijn om de economische integratie in algemene zin in supranationaal verbend te overwegen” (Ritengo pertanto di dovermi destare dal mio riposo contemplativo e presentarmi con una proposta, che i diversi paesi si dichiarino pronti o meno a credere in un’integrazione economica generale a carattere sovranazionale). Ibidem. 185 Come egli stesso avrebbe affermato nelle sue memorie: “L’atmosfera era pronta per un ‘relance européenne’”. Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 237. 186 Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT658…, cit. e ivi, INT519…, cit. 187 Cfr. Monsieur L. Couvreur, Chargé d'Affaires de Belgique à La Haye à Monsieur P.H. Spaak, Ministre des Affaires Etrangères à Bruxelles-, 6.4.1955, http://www.inghist.nl/pdf/europa/G01496.pdf, p. 1. 184 67 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 certains secteurs limitrophes à la CECA) - Critique de l’intégration fonctionnelle c. a. d. par secteurs et de la collaboration entre gouvernements, ces deux procédures ne sont guère à même de réaliser l'intégration économique globale – Exemples. 188 Quanto alla proposta di inserire tale integrazione economica globale in un contesto di istituzioni a carattere sovranazionale, il “document de travail” spiegava che, nell’interpretazione del suo estensore, cioè di Beyen, la presenza di tali istituzioni, responsabili della tutela dell’interesse comune europeo, sarebbe stata la sola garanzia dell’effettiva realizzazione del mercato comune europeo, giacché sarebbe stata un’illusione credere che uno stato nazionale potesse per qualche ragione accettare un sacrifice d'ordre économique et social à moins que celui-ci soit imposé par un organe d'une communauté supranationale, responsable du bien commun de cette communauté. De ce fait, le Ministre national sera délie de sa responsabilité à l’égard des habitants de son propre pays. 189 Cosa che, in ogni caso, non significava certo una sovranazionalità limitata ad alcuni ben precisi settori, dal momento che, come il ministro olandese aveva già precisato al proprio governo, le misure introdotte per risolvere le problematiche di un determinato settore avrebbero necessariamente avuto ripercussioni, anche negative, su “d'autres secteurs”, o sugli “intérêts des consommateurs”, ovvero avrebbero potuto condurre “à l'exclusion de la concurrence étrangère”, il che, nell’ottica di paesi tradizionalmente liberoscambisti come quelli del Benelux, avrebbe senz’altro rappresentato il pericolo più temibile. Senza contare che - concludeva Beyen anticipando in parte quanto avrebbe affermato, anni più tardi, Altiero Spinelli nella voce “Europeismo”, scritta per l’Enciclopedia del Novecento nel 1977 – l’approccio settoriale “manque d'appel psychologique”, non possedeva cioè quella carica di ideali e quella componente suggestiva che pure sarebbero state essenziali, sia nell’immediato, per reagire alle “conséquences politiques du rejet de la CED (regain des tendances nationalistes en France et en Allemagne)”, sia per condurre il processo di integrazione verso il suo ultimo approdo, vale a dire “renforcer le sentiment de solidarité et l'unité de l'Europe”190. Ibidem. Ivi, p. 5. 190 Ivi, “Note”, p. 2. Quanto all’apparente coincidenza di visioni tra Beyen e Spinelli rispetto all’approccio funzionalista, si legga quanto afferma il federalista di Ventotene nella voce “Europeismo”: “Il punto debole del funzionalismo era quello di tutte le concezioni tecnocratiche. Scambiava l'efficienza esecutrice del potere amministrativo con la creatività del potere politico. Un'amministrazione è sempre necessaria per realizzare un piano politico, ma tende per sua natura a irrigidirlo e a concepirlo come qualcosa di concluso in sé, quindi incapace di generare nuovi piani. Nessuna agenzia settoriale europea avrebbe avuto una forza trascinante per il resto delle economie e della società europea, ove fossero mancati impulsi 188 189 68 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Ciò non avrebbe comportato - precisava comunque Beyen nel documento che la realizzazione contestuale di un’integrazione nei terreni dell’energia e dei trasporti dovesse essere “rejetée par principe”191, né che sarebbero stati posti limiti di partecipazione agli stati che avessero avuto interesse a farlo, purché questi ultimi si fossero mostrati disponibili ad accettare la natura sovranazionale dell’organizzazione cui aderivano. Quanto al Regno Unito, viceversa, si sarebbero potute prevedere forme particolari di associazione, simili a quelle già previste dalla Ceca. La conclusione imprimeva di fatto l’abbrivio a un’azione che avrebbe avuto il merito non soltanto di rilanciare un processo integrativo da troppo tempo preda della confusione e dello scoraggiamento, ma di veicolare gli stati europei verso un futuro unità e di sviluppo: En définissant nettement notre point de vue, nous parviendrons à mettre fin à la confusion et au découragement parmi les partisans de l'intégration. Ce que me semble d'un intérêt tout à fait particulier pour l'avenir de l'intégration de l'Europe. 192 Le sollecitazioni di Beyen dovettero evidentemente produrre l’effetto desiderato se Spaak, già il 7 aprile, rispondeva all’omologo olandese definendo “excellentes” le sue idee e dichiarandosi “fondamentalement” d’accordo con la proposta di discuterle e rielaborarle perché fossero formalmente presentate ai Sei. Tuttavia, precisava il federalista belga: … je me demande si la politique que vous préconisez a quelque chance de succés. Je me demande, notamment , si le Gouvernement français peut l’accepter… On peut mener à la fois la lutte pour obtenir un grand marché européen et en même temp tâcher de régler certains problèmes par secteur. 193 E ancora, rilanciando l’idea che aveva a suo tempo concepito insieme a Monnet: Il faudrait que les Ministres des Affaires Étrangères faisant connaitre publiquement leur volonté de relancer l’idée européenne en étendant les compétences de la C.E.C.A. Cette extension de la C.E.C.A. parait s’appliquer à l’ensemble de forces d’énergie et aux moyens de transport. La politici nuovi provenienti dal di fuori dell'agenzia stessa. Ma Monnet era convinto che i governi sarebbero stati obbligati dalla forza delle cose a produrre tali nuovi impulsi”. Cfr. A. Spinelli, “Europeismo”, in Enciclopedia del Novecento, vol. II, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1977. 191 Cfr. “Note”, cit., p. 3. 192 Ibidem. 193 NL-HaNA, Min. BuZa, Blok II 1955-1964, inv.nr. 18704, Memoranda van de Benelux en WestDuitsland, 1955-1962, “Note”, 7.4.1955. 69 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 mise en commun des efforts pour le développement de l’énergie atomique à de fins pacifique parait également être confiée à une organisation qui dépendrait de la C.E.C.A.194 Altrettanto pronta la risposta di Beyen, la quale, pur con toni concilianti, cioè laddove sottolineava la sostanziale uniformità di reciproche vedute, anche “en ce qui concerne la question de principe”, nonché “par rapport à notre stratégie”, tornava a rilevare le insufficienze di un’azione condotta puntando esclusivamente al rafforzamento delle competenze della Ceca, sia sotto il profilo del “renforcement réel de l’économie européenne”, sia con riguardo all’ “effet psychologique”, dacché l’intento era quello di produrre una effettiva “solidarité politique de l’Europe”. Argomentava il ministro olandese: Pour donner un exemple: en ce qui concerne l’intégration des sources d’énergie autres que le charbon, il n’est pas sûr que l’élecrticité a besoin d’une organisation supranationale, tandis que l’intégration du marché de pétrole ne m’apparait pas tout à fait simple à réaliser. Pour rapport à l’intégration du transport quoique d’une urgence indéniable, il n’est pas sûr que cette intégration devrait se faire dans la cadre de la C.E.C.A. Si alors on se limiterait à étudier l’intégration dans des domaines voisins de la C.E.C.A. on risque de se trouver devant des difficultés, qu’on ne pourra résoudre que dans un cadre plus large. 195 In sintesi, benché le premesse fossero positive (anche Bech, infatti, che pure tardava a rispondere, aveva sempre manifestato una propensione ad offrire massimo sostegno a qualsiasi iniziativa congiunta del Benelux), la stesura di un piano ufficiale, ad uso delle cancellerie dei Sei stati, si prospettava diplomaticamente faticosa. In effetti, stando anche al rapporto inviato da Beyen all’Aja, il 29 aprile, le discussioni a tre non furono del tutto esenti da tensioni e confronti anche accesi su alcuni aspetti “sensibili” della proposta, tra le quali, in particolare, il capitolo relativo alle elezioni dirette dell’Assemblea parlamentare. In tale contesto, è doveroso precisare che il documento redatto da Beyen illustra con particolare efficacia due aspetti spesso sottovalutati dalla storiografia in argomento. In primo luogo, il fatto che a venire a confronto furono in sostanza le prospettive degli olandesi, da un lato, e dei belgolussemburghesi, dall’altro196. Con Beyen che, in secondo luogo, si ritrovò a Ibidem. Cfr. ASMAE, AP/1950-1957, Questioni internazionali, b. 255, Risposta di Spaak alla lettera di Beyen del 4 aprile, Bijlage 6, 14.4.1955. 194 195 196 “Zo vind ik de passage over de directe verkiezingen, gezien de Nederlandse bezwaren, en ondanks de dilatoire formulering, in dit stadium niet gelukkig en ook niet nodig. Dit is echter een stokpaardje van de Heer Spaak en de Heer Bech.” (Pertanto, in questa fase, non ritengo né positivo, né necessario il passaggio sulle elezioni dirette, tenendo conto delle obiezioni olandesi e nonostante la formula dilatoria. Ma si tratta di un piccolo progetto di Spaak e Bech). Cfr. NL- 70 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 svolgere il difficile compito di “negoziatore europeista”, a vivere cioè la dicotomia tra il desiderio di procedere quanto prima alla messa a punto di un’iniziativa intorno alla quale si sarebbe di fatto deciso il futuro sovranazionale della Comunità, e la necessità di tener conto delle opposizioni che avrebbe incontrato nell’ambito del proprio governo, il cui euroscetticismo andava contenuto con robuste contropartite sul piano della soddisfazione degli interessi prettamente nazionali. Senza contare che, infine, volendo i Paesi Bassi esercitare un ruolo guida nella contrattazione collettiva a livello del Benelux, qualsiasi decisione fosse stata presa avrebbe dovuto rispecchiare, almeno agli occhi degli esigenti componenti del Ministerraad, il frutto di un compromesso strappato ai belgo-lussemburghesi in virtù della maggiore influenza dei cugini dell’Aja. Tenuto conto della complessità del panorama in cui si trovò ad operare, risulta quindi ancor più prezioso il lavoro svolto da Beyen nella fase di elaborazione del testo programmatico che, a partire dal 18 maggio 1955, sarebbe passato alla storia come Memorandum del Benelux. In estrema sintesi197, in linea con i suggerimenti di Jean Monnet, il quale continuava ad operare nelle retrovie, il testo si apriva esortando i paesi dell’Europa occidentale a ridare impulso all’integrazione sul terreno che fino a quel momento si era rivelato il più consono a sostenerla, quello economico, e sul fondamento teorico – anche se ritoccato nei suoi contenuti più spiccatamente ispirati al settorialismo - che, nel 1950, aveva ispirato la nascita dell’Europa comunitaria, il funzionalismo. Precisate le premesse concettuali e individuato l’ambito in cui promuovere l’azione, il Memorandum passava all’esame più dettagliato delle due piattaforme per il rilancio della Comunità. La prima, ispirata al disegno di Beyen, consisteva nella realizzazione di un’unione economica generale, costruita sui due capisaldi dell’unione doganale e del mercato comune, nonché coordinata da “un’Autorità sovranazionale dotata di propri poteri”198. La seconda, di matrice monnetiana e, pertanto, introdotta essenzialmente da Spaak, promuoveva l’estensione delle competenze della Ceca al terreno dei trasporti e delle fonti energetiche, con particolare riferimento ai programmi per l’utilizzo dell’energia atomica per fini pacifici, che nell’ottica spaak-monnetiana rappresentavano il maggior punto di forza dello schema. HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 510 1955 apr. - mei, Beyen a Drees e a tutti i membri del Consiglio dei ministri, 29.4.1955, p. 1. 197 In questa sede non sembra opportuno illustrare dettagliatamente i contenuti del Memorandum, i quali sono stati peraltro parzialmente anticipati nei paragrafi precedenti. Per una visione completa del documento si rimanda ad ogni modo a www.ena.lu/benelux_memorandum-020102540.html 198 Cfr. E. Bruylant, Pour une Communauté politique européenne, Travaux préparatoires, 1955-1957, vol. II, 1955-1957, Bibliothèque dela Fondation Paul-Henri Spaak, Bruxelles, 1987, pp. 25-29. 71 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Illustrato il contenuto essenziale dell’iniziativa dei “tre piccoli”, il Memorandum proponeva di convocare una Conferenza dei Sei – aperta alla partecipazione dei paesi membri dell’Oece e degli stati associati alla Comunità – incaricata di discutere le proposte e procedere, alla stesura dei trattati, nonché alla compilazione di un calendario dettagliato per il completamento dell’unione doganale, indicata, per espressa volontà di Beyen, quale premessa imprescindibile per la realizzazione di un mercato comune propriamente detto199. La stessa conferenza, peraltro, avrebbe avuto il compito di stilare un profilo delle politiche da adottare in comune sul terreno sociale, dei trasporti e dell’energia nucleare. Arrivato sul tavolo del Consiglio dei ministri della Ceca, il Memorandum del Benelux fu accolto dagli italiani e dai tedeschi con un entusiasmo superiore a qualsiasi previsione. La Repubblica federale soprattutto, che proprio in quel periodo stava attraversando una fase di grande espansione economica, grazie soprattutto all’accresciuto volume delle esportazioni, prese ad esercitare immediate pressioni affinché la proposta dei “piccoli beneluxiani” venisse immediatamente trascritta nella forma di un nuovo trattato comunitario. La Francia, viceversa, si assestò su un riserbo che sapeva di acredine, non soltanto perché consapevole della scarsa attrattiva dell’iniziativa per gli interessi particolari di Parigi - non certo capofila in materia di competitività di produzione industriale, nonché spaventata di subire l’invasione delle merci tedesche - ma anche e soprattutto in quanto vedeva usurpata la propria leadership comunitaria da un gruppetto di neofiti della scena internazionale, di fronte ai quali, tuttavia, non aveva al momento sufficiente prestigio per opporre resistenza. D’altro canto, i transalpini erano fortemente interessati ad un’accelerazione del proprio programma di sviluppo atomico (per scopi pacifici) e, pertanto, si trovavano costretti a piegare il capo di fronte alle agevolazioni che la “comunitarizzazione” dell’atomo offriva a fronte degli alti costi di tale ramo produttivo200. Ad ogni modo, per non rischiare un nuovo isolamento diplomatico, alla fine di maggio, il Quai d’Orsay, pur tra le decise rimostranze dei gollisti, approvò il Memorandum in tutte le sue parti. Di conseguenza, complice la sapienza politica di Gaetano Martino, ministro degli Esteri italiano, i Sei giunsero a Messina, il 1 giugno 1955, per avviare i negoziati che, il 25 marzo 1957, avrebbero portato alla firma dei Trattati di Roma. Fin dall’apertura delle discussioni, fu evidente che Spaak aveva progressivamente occupato il centro della scena. Una presenza imponente, 199 200 Cfr. R.T. Griffiths (ed.), The Netherlands and the Integration of Europe…, cit., p. 178. Ibidem. 72 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 quella del leader belga, non soltanto quanto a struttura fisica, ma anche e soprattutto sul piano dell'esperienza, che inevitabilmente offuscava la ben più modesta statura politica di Beyen, che pure era stato l’ispiratore effettivo del Memorandum del Benelux. Non che l’europeista di Bruxelles volesse acquisire a se stesso i meriti del collega olandese. Anzi, al contrario. Dopo aver invano atteso che l’ex direttore del Fmi accettasse la sua offerta di guidare il comitato per il Mercato unico, appositamente istituito a Messina, insistette perché la presidenza di quel consesso fosse significativamente affidata ad un altro olandese, Verrijn Stuart, capo delegazione dell’Aja alla Conferenza dell'1-3 giugno201. Tale inversione di ruoli e di credito, in effetti, potrebbe essere spiegata attraverso un duplice ordine di motivazioni. In primo luogo, partendo dalla constatazione che, nel corso delle discussioni che si tennero nella cittadina siciliana, si diffuse rapidamente la convinzione che l’autentico fiore all’occhiello dell’iniziativa del Benelux fosse rappresentato dal capitolo "monnetiano", cioè dalla prospettiva di avanzamento dell'integrazione nei settori dei trasporti e dell’energia, soprattutto nucleare. Stando alle puntualizzazione di Harryvan, infatti, lo stesso Spaak, nell’occasione, si dichiarò propenso a condurre parallelamente le trattative sulle due Comunità, purché i negoziati sul Mercato comune non ritardassero l’entrata in vigore delle nuove norme in materia di cooperazione settoriale202. In secondo luogo, in accordo con l’interpretazione di Brouwer, fu apparentemente lo stesso Beyen a lasciare al collega, politico di professione, l’onore – e l’onere – di condurre a termine il negoziato sul Mec e sull’Euratom. Afferma in proposito lo storico olandese: Il parait qu’au lendemain de la conférence de Messine, Konrad Adenauer aurait proposé que Beyen dirige la commission d’études. Dans la commission des Affaires étrangères due parlement néerlandais, le ministre explique pourquoi il a refusé. Il prévoit que le président de la commission dirigerait aussi la conférence intergouvernementale qui est censée élaborer les traités. Cette perspective ne l’attire pas. Sa réponse est franche : « Je serais trop lié ». Ce désistement ne s’explique-t-il pas par cette habitude de perdre l’iintérêt après un certain temps ? Comme l’a remarqué un de ses collaborateurs de l’époque, Beyen n’était pas la personne à vouloir élaboré en détail le projet de marché commun. 203 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 123. Occorre qui precisare che fu lo stesso Beyen a supportare la candidatura di Verrijn Stuart, anche e soprattutto davanti al Ministerraad. Testimonia in proposito il verbale della discussione del 13 giugno 1955: “De Raad verklaart zich vervolgens accoord met het voorstel van Minister Beyen om Verrijn Stuart te polsen” (Il Consiglio si dichiara d’accordo con la proposta del ministro Beyen di tastare il terreno per la candidatura di Verrijn Stuart). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401, Notulen, 13.6.1955, p. 5. 202 Ibidem. 203 Cfr. J.-W. Brouwer, “Jan-Willem Beyen…, cit., p. 265. 201 73 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Sia come sia, sta di fatto che il "Rotterdamse bankier", intravedendo già l’esito positivo dell’iniziativa alla quale aveva dedicato ben quattro anni della sua vita, anche privata, era comunque persuaso di aver esaurito la propria missione in Europa e, più in generale, nell’agone politico nazionale e internazionale. Come si vedrà nel prossimo paragrafo, infatti, l'assoluta fedeltà all’idea sovranazionale e il sostanziale disinteresse per le beghe di politica interna avrebbero fortemente danneggiato l'immagine di Beyen nell’ambito del Ministerraad, dal quale, non a caso, di lì a pochi mesi, sarebbe stato estromesso. Ciò non deve tuttavia indurre a ridimensionare l'importanza del ruolo in Europa e il lascito originale, in termini di idee e di contributi concreti, di questo “partijloze” poco olandese e molto europeo (come lo definisce Brugmans 204). Se, infatti, Drees non avesse commesso “il grosso sbaglio” 205 di richiamarl0o da Washington e incaricarlo agli Esteri, proprio in coincidenza con uno fra i tornanti più delicati della storia comunitaria, l’Unione europea che tutti conosciamo avrebbe, forse, ad oggi, volto diverso. La crisi di governo e l’allontanamento di Beyen Il successo conseguito in Europa, anziché rafforzare il prestigio di Beyen, in patria e all’estero, rappresentò per il ministro olandese l’apice di una parabola che, dal 1956, avrebbe iniziato la sua fase discendente. A pesare sul declino dell’uomo che, più di qualunque altro, aveva e avrebbe garantito ai Paesi Bassi un ruolo decisivo nel contesto comunitario furono essenzialmente ragioni di equilibrio politico interno. A partire dai primi mesi del 1956, infatti, il governo olandese fu attraversato da una crescente tensione, la quale produsse effetti paralizzanti sulla politica nazionale. Ad aggravare la situazione sopraggiunsero le allarmanti dichiarazioni di alcuni ministri, i quali si dissero intenzionati a ritirarsi dalla scena politica a prescindere dall’esito della crisi. Cosa che contribuì ulteriormente ad alimentare l’apprensione dell’opinione pubblica, come pure dei vertici di governo, i quali avevano già iniziato a paventare il ritorno di una lunga e difficile fase di instabilità. Esplicite, in tal senso, le comunicazioni alla Farnesina dell’ambasciatore italiano all’Aja, Carlo Benzoni, il quale peraltro aggiungeva, non senza sorpresa, che il primo a pagare il prezzo della crisi, con l’allontanamento dal proprio incarico, sarebbe stato il ministro degli Esteri, Beyen: 204 205 Cfr. H. Brugmans, L’idée européenne…, cit., p. 289. Cfr. nel testo il capitolo III., p. 11. 74 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 acquista sempre maggior credito la voce che egli non farà più parte della futura combinazione ministeriale; gli verrebbe invece offerto il posto di Delegato permanente alla NATO, carica che, nella gerarchia olandese, è considerata subito dopo l’Ambasciata a Washington 206 Un’ipotesi tanto più accreditata allorché, il 26 giugno, al termine della tornata elettorale che aveva visto i laburisti imporsi sui cattolici207, la regina affidò l’incarico di formatore al noto euroscettico Willem Drees. I contrasti tra quest’ultimo e Beyen, che avevano animato le riunioni del Ministerraad nei precedenti quattro anni, lasciavano infatti presupporre che il leader socialista non avrebbe certo perso l’occasione di liberarsi del pur prestigioso antagonista, tanto più che il banchiere “senza partito” non aveva mai espresso il desiderio di concludere al Binnenhof la propria, multiforme carriera professionale, né aveva tentato di assicurare continuità al proprio mandato costruendo attorno a sé una solida rete di amicizie politiche, più e meno influenti. La crisi si protrasse, di fatto, fino all’11 ottobre, fin quando cioè la regina Giuliana – il cui prestigio era stato peraltro profondamente scosso dal cosiddetto “Greet Hoffmans Affaire”, vale a dire la presunta relazione tra la regina e il suo confidente e segretario, Greet Hoffmans, che la portò alla soglia dell’abdicazione208 - forzò la mano del formatore affinché sciogliesse le riserve e componesse un esecutivo che, quanto meno, rispecchiasse la volontà dell’elettorato. La novità più rilevante interessò il ministero degli Esteri, che venne affidato alla guida di un unico vertice, Joseph Luns. Come previsto da Benzoni qualche mese prima209, pertanto, a pagare il prezzo della sua “spregiudicatezza e del suo anticonformismo”, caratteristiche che lo facevano apparire un “originale” agli occhi degli olandesi, deformati invece dal “conformismo imperante”210, fu il solo Beyen, il quale rassegnava le dimissioni in quello stesso ottobre 1956. Commentava ancora Benzoni: Cfr. ASMAE, AP/1956, Olanda, b. 467, Elezioni politiche nei Paesi Bassi, 11 maggio 1956. Ancor prima, tuttavia, l’11 maggio 1956, il ministro degli esteri italiano Martino fece un viaggio in Olanda, durante il quale ebbe modo di discutere ampiamente con Beyen. Benzoni, in un altro rapporto inviato a Roma, il 17 maggio, affermò che “in un momento di effusione post-conviale Beyen confidò ad un piccolo gruppo di persone, tra cui il sottoscritto (Benzoni, ndr.), che molto probabilmente i suoi giorni di Ministro degli Esteri erano contati”. Ibidem. 207 Il 13 giugno, al termine delle elezioni, Benzoni affermò che “l’unico e inaspettato vincitore” era il partito socialista, nel quale erano confluiti anche diversi elementi dei cristiano-storici e degli antirivoluzionari. Cfr. ivi, Elezioni olandesi, Rapporto, Benzoni al Ministero degli Affari Esteri di Roma, 16 giugno 1956. 208 Cfr. W. Weenink, Johan Willem Beyen…, cit., p. 10 e ss. 209 L’ufficializzazione delle dimissioni di Beyen fu definita da Benzoni un“open secret”. Cfr. ASMAE, AP/1955, Olanda, b. 394, Rapporto…, cit. 210 Ibidem. 206 75 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Con la scomparsa di Beyen questo Paese perde una personalità di primo piano e la politica europeista un convinto, tenace ed anche, sotto taluni aspetti, dogmatico assertore. 211 Il nuovo governo, di fatto, sarebbe apparso come una ricostruzione fedele della vecchia dirigenza nazionale. Non furono poche le critiche che si sollevarono, in tutti gli ambienti, sulla lungaggine dei tempi intercorsi per la formazione di un esecutivo che, alla luce dei fatti, avrebbe potuto essere composto in pochi giorni. Cominciò addirittura a circolare la voce che fossero stati i cattolici e, più in generale, i partiti confessionali ad aver rallentato lo svolgimento delle operazioni al fine di allontanare i laburisti dalla direzione politico-economica del paese. Pertanto, l'ondata di dissenso interno che aveva travolto il III governo Drees, anziché spegnersi di fronte a una coalizione cattolico-laburista finalmente ricompattata, trovò nuovo vigore nel progressivo deterioramento dei rapporti tra i partiti di maggioranza, sicché la tradizionale convivenza tra Kvp e PvdA, sulla cui stabilità si era fondata la vita politica e istituzionale del primo decennio postbellico olandese, si trasformò repentinamente in “faticoso condominio”212, lasciando addensare, sul panorama politico del Paesi Bassi, fosche prospettive di rinnovata tensione. Alla guida dei “piccoli” sulla strada verso Roma Come accennato, tra le due proposte contenute nel Memorandum del Benelux, fu il piano per l’energia atomica, elaborato dal duo Spaak-Monnet, a registrare, almeno inizialmente, il più ampio successo213. Non che Beyen non l’avesse previsto. Anzi, già nella “Note” ai suoi omologhi belgo-lussemburghesi, il ministro olandese aveva chiarito che – al di là delle personali reticenze nei confronti dell’approccio settoriale, nonché del sotteso tentativo di guadagnare più agevolmente il sostegno di Spaak all’iniziativa congiunta del Benelux l’introduzione di un capitolo sulla cooperazione nel campo dei trasporti e dell’energia sarebbe stata un catalizzatore di grandissima rilevanza per attirare al Memorandum le simpatie di Parigi214. L’energia nucleare soprattutto, sosteneva Beyen pur senza esplicitarlo al collega belga, rappresentando un terreno immune da radicati e vincolanti interessi nazionali e quindi più Ibidem. Ivi, p. 2. 213 Recita il telegramma inviato da Beyen e Luns alle cancellerie di Francia, Repubblica Federale tedesca, Gran Bretagna e Stati Uniti: “Gedurende de besprekingen bleek bijzondere belangstelling te bestaan voor de samenwerking op het gebied van de kernenergie” (Durante le discussioni particolare interesse è stato mostrato per la cooperazione nel campo dell’energia atomica). Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.118, blok II (1955-1964), inv.nr. 18711, Codetelegram, 8.6.1955 214 Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, blok II, 1955-1964, inv.nr. 18704, Note, 4.4.1955. 211 212 76 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 facilmente controllabile a livello sovranazionale, avrebbe potuto fungere da grimaldello in mano ai paesi del Benelux per vincere le resistenze dei governi e ottenere il loro assenso anche rispetto ad altri, ben più importanti, approfondimenti dell’integrazione. Tale concessione pertanto, avrebbe affermato il ministro olandese nel corso di un dibattito alla Tweede Kamer, si sarebbe prospettata come “la carota che farà muovere l’asino215”, alludendo con ciò alla probabile partecipazione francese anche al mercato comune. Quanto detto, in ogni caso, non vuol lasciar intendere che l’Aja fosse contraria per principio, a differenza degli altri stati della Ceca, alla realizzazione di una Comunita europea per l’energia atomica. Viceversa, il paese aveva già manifestato interesse per lo sviluppo di questo settore, come testimoniavano peraltro gli accordi bilaterali per la ricerca nel nucleare da poco stipulati con Stati Uniti e Gran Bretagna216. Quello che semmai si temeva, peraltro diffusamente, era il pericolo che, una volta affidato alla gestione comune, lo sviluppo dell’energia atomica diventasse questione di esclusivo appannaggio franco-tedesco. Preoccupazione trasversalmente nutrita nel Ministerraad uscito dalla crisi del 1956, sia dai sempre presenti elementi euroscettici, Drees capofila, sia dai vecchi e nuovi europeisti - la cui presenza, tra l’altro, si era visibilmente assottigliata - da Mansholt a Marga Klompé, ministro degli Affari sociali, a Ivo Samkalden, ministro della Giustizia. L’atteggiamento assunto da Francia217 e Cfr. E. Serra (a cura di), Il rilancio europeo…, cit., pp. 482–483. I Paesi Bassi, per la precisione, avevano offerto il pieno sostegno alla campagna statunitense “Athom for Peace”, inaugurata a Washington allo scopo di promuovere un più largo utilizzo dell’energia atomica per scopi pacifici. Richard T. Griffiths, in particolare, informa che la maggior parte della dirigenza olandese mostrava grande entusiasmo nei confronti delle prospettive che sembravano aprirsi in questo settore, da Drees a Beyen, da Zijlstra a Mansholt e molti altri. Il ministro dell’Agricoltura, più degli altri, sosteneva a gran voce l’avvio della cooperazione europea sovranazionale nel campo dell’energia nucleare, anche e soprattutto nella consapevolezza degli importanti benefici che avrebbe potuto trarne il settore primario. “Se l’Olanda avesse voluto mantenere un qualche primato nella produzione agricola” ammoniva Mansholt “sarebbe stato pertanto necessario creare un istituto per lo studio delle applicazioni del’energia nucleare nel settore agricolo. I risultati prodotti dall’istituto, peraltro, avrebbero consentito ai Paesi Bassi di di guadagnare un primato internazionale in questo campo, cosa che avrebbe altresì consentito all’Aja di rafforzare la propria posizione nell'Euratom, come nelle altre organizzazioni internazionali”. Cfr. R.T. Griffiths, “The Beyen Plan”, cit., p. 211. 217 “M. Pinay… en ce qui concerne les points d’application, une énumération a été fait des secteurs dans lesquels une action pourrait être rapidement entreprise, à savoir, les transports, l’énergie et plus particulièrement l’énergie nucléaire : sur ces points, le Gouvernement français est entièrement d’accord… M. Pinay déclarer que ce qui importe en tout premier lieu, c’est de réussir ; après l’échec auquel a abouti le Traité de la C.E.D., lui semble-t-il opportun de ne pas s’engager dans la voie de ce qui paraȋtrait idéalement souhaitable, mais de rester sur le terrain de ce qui est pratiquement possible. En effet, un nouvel échec semblable à celui de la C.E.D. constituerait inévitablement le signe d’une régression marqués ou, en tout cas, d’un arrêt dans 215 216 77 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Germania218 già alla conferenza di Messina, che pure, è opportuno precisare, aveva dato risultati “molto soddisfacenti”219, spingeva a credere che i due paesi fossero effettivamente intenzionati ad esercitare un “controllo privilegiato” sulla Comunità dell’atomo. Il governo francese, da un lato, non aveva fatto mistero dell’ostilità che nutriva nei riguardi dell’integrazione economica generale220, mentre aveva espresso pieno consenso per la futura comunità atomica. La Germania, allo stesso modo, si era dichiarata interessata alla cooperazione nel campo nucleare, concepita come unico strumento elemento su cui puntare per costruire concretamente una solidarietà europea e giungere, di conseguenza, all’unificazione continentale221. Fu Luns, di fatto, ad intervenire con decisione, forzando la mano al governo affinché tornasse a sostenere la rapida approvazione di entrambe le proposte. Se non altro per non rischiare di dover rinunciare ai vantaggi del Mercato comune, come pure per non dar di sé un’immagine di massima incoerenza, come era accaduto alla Francia con il Piano Pléven. Alla luce di queste considerazioni, il governo olandese decise di sostenere il Rapporto Spaak – che di fatto fu il preludio dei Trattati di Roma – adattandosi a riconoscervi il risultato di un ragionevole compromesso tra le pressioni franco- la voie de la construction de l’Europe. Par conséquent, M. Pinay estime qu’il y aurait avantage à procéder d’abord immédiat et une action rapide, tandis qu’une intégration générale postulerait l’harmonisation progressive des conditions économiques et sociales dans les six pays… M. Pinay indique que ces suggestions rejoignent, quant au fond, les prepositions qui sont présentées dans le mémorandum allemand, à savoir celles qui prévoient un organe consultatif permanent”. Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.118, blok II, 1955-1964, inv.nr. 18711, Projet de Proces-Verbal de la réunion des Ministres des Affaires Etrangères des Etats membres de la C.E.C.A., Messine, 1er et 2 juin 1955, pp. 25-28. 218 “En ce que concerne l’integration économique générale: la délégation allemande estime, d’accord avec les délégations du Benelux, qu’il faut promouvoir le progrès de cette intégration. Les développements favorables qui ont pu être obtenus dans un cadre plus large, au sein de l’O.E.C.E., permettent à présent de réaliser dans un cadre plus restreint un pas en avant vers l’établissement d’un marché commun général. La délégation allemande a repris les idées fondamentales du mémorandum du Benelux, en leur donnant, sur certains points, une forme plus large ou plus précise”. Ivi, pp. 18-19. 219 Così Beyen e Luns nel sopracitato telegramma: “Als achtergrond van dit document diene, dat dezerzijds de resultaten van genoemde conferentie onder de gegeven omsatndigheden zeer bevredigend worden geacht” (Si tenga conto che, sottesa a questo documento, sta la considerazione che i risultati di questa conferenza, tenendo presenti le circostanze, sono stati molto soddisfacenti). Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.118, inv.nr. 18711, Codetelegram, 8.6.1955. 220 “M. Pinay precise donc que le Gouvernement français est d’accord avec les mémoranda, qui ont présentés, en les considérent comme la définition du but à atteindre. Toutefois, il va de soi que certaines conditions devraient être remplies de manière à ce que le progrès de l’integration suive une cadence qui serait acceptable pour les diverses économies nationales”. Ivi, p. 26. 221 Cfr. “Mémorandum du Gouvernement Fédéral sur la poursuite de l’intégration”, ivi, p. 2. 78 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 tedesche sul primato della cooperazione in campo nucleare e i piani del Benelux per un’economia europea integralmente unificata. Per quanto concerneva gli aspetti militari, infine, - che costituivano un forte deterrente per l’adesione francese al Rapporto – i Paesi Bassi lasciarono senza troppe difficoltà il campo libero ai cinque partner per decidere secondo i rispettivi orientamenti, l’armamento atomico essendo del tutto estraneo all’orizzonte dell’Aja, sia sotto il profilo concettuale che economico,. La scelta definitiva sembrò effettuata nel momento in cui anche la regina, nel discorso pronunciato davanti al Binnenhof il 18 nonvembre 1956, espresse pieno sostegno ad una nuova forma di cooperazione sovranazionale intereuropea222. Il riferimento all’auspicata nascita del mercato comune, anche da parte dell’autorità simbolo del paese, poteva ritenersi una conquista per gli assertori dell’iniziativa, i quali ben sapevano l’impatto che tali dichiarazioni avrebbero avuto sull’opinione pubblica nazionale. Il pur suggestivo appello della regina, tuttavia, non avrebbe tranquillizzato gli animi di governo e parlamento, né evitato le possibili fratture interne ad essi. E, in effetti, di lì a breve, più precisamente il 14 gennaio 1957, Linthorst Homan e da Van der Beugel, rispettivamente presidente della Commissione di coordinamento per l’integrazione e capo-delegazione olandese a Bruxelles avrebbero posto la dirigenza olandese di fronte ad una serie di interrogativi che rischiarono concretamente di pregiudicare la sua partecipazione alla Cee. Di fatto, dopo aver rilevato l’urgenza della ratifica dei due trattati, considerata l’eccezionalità della situazione, che vedeva i governi francese e tedesco apparentemente favorevoli non soltanto all’Euratom, ma anche al Mercato comune223, i due funzionari del Buitenlandse Zaken non mancavano di precisare che, con tutta probabilità, tale firma avrebbe rappresentato per l’Olanda l’anticamera di una forte delusione. Per quanto concerneva il mercato comune, in particolare, Homan e van der Beugel riconoscevano che il Rapporto Spaak aveva indebolito la proposta originale del Benelux, sia sul piano economico che su quello politico224. E i Paesi Bassi, in particolare, avrebbero dovuto fare i conti con il forte ridimensionamento che tale fomula di compromesso – perché di questo si trattava – in favore dei grandi stati avrebbe comportato sia in campo agricolo, ove prevaleva la volontà francese di tenere il settore primario al di fuori del trattato sul Mercato comune225; sia sotto il profilo commerciale, con la decisione di introdurre una tariffa esterna comune molto più alta di quanto inizialmente previsto e, cioè, Cfr. ASMAE, AP/1956, Olanda, b. 467, cit., Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr.2849, Nota betreffende de integratie, 14.1.1957, p. 1. 224 Ivi, p. 3. 225 Ivi, p. 5. 222 223 79 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 maggiormente limitativa della libera concorrenza226; sia sul piano istituzionale, laddove al Consiglio dei ministri venivano attribuite gran parte delle competenze che l’Aja auspicava si riservassero alla Commissione227. Senza contare, infine, che gli svantaggi inizialmente previsti dagli stessi estensori del Memorandum restavano sostanzialmente inalterati, giacché il livello dei prezzi sarebbe comunque cresciuto per effetto dell’introduzione delle misure di armonizzazione sociale e, d’altra parte, sarebbero permase le problematiche dei rapporti commerciali con i territori d’oltremare. Ancora una volta, in conclusione, si poneva il problema della maggior influenza dei grandi stati, cioè degli squilibri di peso diplomatico nel contesto dei Sei, laddove, come sosteneva il Primo ministro Drees, “alla fine, le decisioni spettavano alla Francia e alla Germania”228. Il 1 marzo 1957, Luns dichiarava al governo olandese che, seppur con l’amaro in bocca, l’Olanda avrebbe comunque dovuto accettare il suo status di “piccolo fra i grandi” stati e concentrarsi, diversamente, sui vantaggi che comunque avrebbe tratto dalla firma del trattato, senza contare peraltro che ulteriori modifiche si sarebbero potute introdurre nel corso delle successive consultazioni. Ciò non stava certo a significare, come lo stesso ministro degli Esteri avrebbe affermato nel corso del Ministerraad del 22 marzo 1957, che la battaglia diplomatica con i francesi non fosse stata nel complesso fallimentare, né che le resistenze dei transalpini non avessero finito col provocare l’espunzione dalla bozza di trattato di molti tra i principi più evocativi e più innovatori recepiti dalla Conferenza di Messina. Ma la posta in gioco era troppo alta per lasciarsi trascinare in un inutile braccio di ferro con un avversario già vincente sulla carta. Era opportuno, viceversa, puntare a rivendicare ciò che appariva effettivamente essenziale per il futuro europeo. Commentava sinteticamente Ernst van der Beugel: Het gevecht zal ongetwijfeld zwaar zijn, maar het is ten volle waard om het uit te vechten, want de toekomst... stat op het spel. 229 La scelta, pertanto, era obbligata; l’Olanda non avrebbe potuto rinunciare, in modo repentino, all’opzione comunitaria, che dopo tutto costituiva una parte integrante della fisionomia olandese postbellica, e soprattutto non avrebbe potuto compromettere, per mere questioni di principio, il lavoro assiduamente Ibidem. Ivi, p. 6. 228 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 404 1956 juli – dec., Notulen, 19.11.1956, p. 18. 229 “La battaglia sarà dura, senza dubbio, ma vale comunque la pena di lottare, perché è in gioco il futuro”. Cfr. NL-HaNA, Collectie van der Beugel, 2.21.183.08, inv.nr. 6, Memorandum, 12.3.1957, p. 2. 226 227 80 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 svolto da Beyen. Il paese aveva ottenuto, dopo tutto, l’irreversibilità della liberalizzazione commerciale intereuropea e l’introduzione di un trattato quadro per la realizzazione dell’unione economica. Forti di tali convinzioni, il 25 marzo 1957, i plenipotenziari olandesi firmavano a Roma i trattati istitutivi della Comunità Economica Europea (Cee) e la Comunità Europea per l’Energia Atomica (Euratom). In soli tre mesi tutti e sei governi avrebbero provveduto a ratificarli. 81 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 IV. Davide e Golia: un decennio di confronto tra l’Aja e de Gaulle (1957-1966) L’Europa dei Trattati di Roma nel dibattito politico olandese: successo o sconfitta? In attesa che la Tweede Kamer fosse chiamata a ratificare i due testi sottoscritti a Roma nel marzo del 1957, il governo olandese cominciò progressivamente ad alludere ai Trattati Cee e Euratom come a semplici piattaforme, più o meno stabili, dalle quali ripartire per avviare un’azione sistematica di rivendicazione delle istanze dei piccoli stati230. In altre parole, come sostiene Wendy Asbeek Brusse, alla vista del figlio deforme partorito dalla, pur feconda, Conferenza di Messina, gli olandesi, anziché prendere atto degli ostacoli per così dire “congeniti” che si frapponevano allo sviluppo dei propri progetti – troppo ambiziosi, evidentemente, rispetto alla statura politica dei promotori – si predisposero a rilanciarli, con rinnovata forza, in un contesto apparentemente più idoneo ad accoglierli e di fronte a nuovi, più agguerriti, oppositori231. Non che l’insoddisfazione dell’Aja, ad onor del vero, fosse, alla fine dei conti, così evidentemente motivata. A ben guardare, infatti, i negoziatori olandesi erano riusciti a convincere la Francia ad accettare, seppur parzialmente, il progetto del Mercato comune. Senza contare peraltro che, con la nascita della Cee, i Paesi Bassi compivano passi decisivi verso la realizzazione dei tanto a lungo vagheggiati obiettivi della progressiva riduzione delle barriere tariffarie, della liberalizzazione commerciale intereuropea, nonché della prospettiva di graduale integrazione agricola dei Sei232. Nell’aprile del 1957, tuttavia, Drees chiariva al Ministerraad le ragioni del malcontento: “Con la sottoscrizione di questo trattato l’Olanda si è inserita in una combinazione di interessi protezionistici di dimensioni relativamente piccole”233. Eterogeneo e deciso fu il coro di approvazione che seguì alle dichiarazioni del premier. In generale, la maggioranza dei decision-makers Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 405, Notulen van de vergadering gehouden op maandag 29 april 1957 in de Trèveszaal, aangevangen 's morgens om 11 uur en 's middags voortgezet, 29.4.1957. 231 Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., pp. 122. 232 Cfr. R.T. Griffiths, W. Asbeek Brusse, “The Dutch Cabinet and the Rome Treaties”, in E. Serra (a cura di), Il rilancio europeo..., cit., p. 492. 233 “Met ondertekening van dit verdrag heeft Nederland zich begeven in een protectionistische combinatie van betrekkelijk kleine omvang”. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 405, Notulen van de vergadering gehouden op maandag 29 april 1957 in de Trèveszaal, aangevangen 's morgens om 11 uur en 's middags voortgezet, 29.4.1957, p. 9. 230 82 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 olandesi deplorava sonoramente la struttura istituzionale, ampiamente prosciugata dei più importanti riferimenti alla sovranazionalità, messa a punto dal trattato istitutivo del Mercato comune, lamentando al contempo il fallimento delle discussioni sulla free trade area tra la Comunità e l’Oece234. In apparente contraddizione con i principi sui quali aveva impostato la propria linea diplomatica in materia di integrazione europea (rigidamente osservata durante i negoziati di Parigi, sia sul progetto Ceca che su quello Ced), l’Aja recriminava sull’ampia sfera di competenze che la Cee conferiva al Consiglio dei ministri ai danni della Commissione235 … not for federalist sentiments, but to guarantee the effectiveness of the EEC’s decision-making. Limited to European economic integration, such “functionalism supranationalism” or “instrumental supranationalism” was not at odds with the Hague-coveted primacy of Atlanticism in the realm of high politics. 236 Diverse sono state le interpretazioni che gli storici hanno attribuito ad una così radicale e repentina inversione di tendenza del Ministerraad rispetto ai tempi del dibattito sulla Ced/Cpe. Probabilmente, come sostiene Griffiths, l’establishment olandese si era realmente persuaso - con buona pace dell'europeista Beyen, che tanto si era adoperato per indurre i propri colleghi al cambiamento anticipato di prospettiva - che il Mercato comune rappresentasse l’effettiva, forse unica, opportunità di realizzare gli obiettivi di lungo periodo della politica economico-commerciale dei Paesi Bassi. E non va neanche Stando a Bino Olivi, in entrambi i Trattati firmati a Roma il 25 marzo 1957: “era similare la struttura istituzionale che, seppure meno marcata (anche nominalmente: l’espressione ‘Alta Autorità’ già usata per il Trattato Ceca, diventava ‘Commissione’) dalla sovranazionalità, era tuttavia lo specchio fedele delle idee monnetiane. Mentre scompariva dai testi qualsiasi allusione anche indiretta agli ‘Stati Uniti d’Europa’ o di sapore federalista, veniva affermata compiutamente la ‘teoria funzionalistica’ che soggiaceva al ‘funzionalismo’ monnetiano”. Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 50. Era questa “involuzione intergovernativa” che accendeva gli animi dei policy-makers olandesi, divenuti improvvisamente convinti fautori della sovranazionalità. La cattolica Marga Klompè, in particolare, esprimeva forte scetticismo sulle possibilità di approvazione del Trattato. L’unico a pronunciarsi a favore, nell’ambito del gabinetto olandese, fu l’antirivoluzionario Jelle Zijlstra, il quale sottolineò le importanti prospettive aperte dall’Euratom. Cfr NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 405, Notulen van de vergadering gehouden op maandag 29 april 1957 in de Trèveszaal, aangevangen 's morgens om 11 uur en 's middags voortgezet, 29.4.1957, cit. 235 Griffiths, al riguardo, cita le affermazioni di Luns: “it is difficult to show, in concreto, what the advantages for the Netherlands are compared with the existing possibilities for bilateral and multilateral cooperation. Important principles which played a fundamental role in Spaak report have disappeared… It boils down to a choice between this treaty or no treaty”. Cfr. R.T. Griffiths, “The Common Market”, in R.T. Griffiths (ed.) The Netherlands and the integration of Europe…, cit., p. 202. 236 Così Harryvan in Id., In Pursuit of Influence…, cit., p. 174. 234 83 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 sottovalutata l’ipotesi di Brusse, che ascrive l’improvvisa sensibilità olandese per la causa sovranazionale – in virtù della quale l’Aja si schierò tra gli avvocati più impegnati a perorare l’ampliamento dei poteri della Commissione – al timore che il voto a maggioranza ponderata, il quale veniva indicato dal trattato Cee come procedura ordinaria per il Consiglio, si rivelasse, in ultima istanza, lesivo della tutela degli interessi dei piccoli stati237. E non mancano altresì le puntualizzazioni di coloro che, come Harryvan, rilevano la contraddittorietà dell’atteggiamento olandese, il cui “plea for supranationalism” si porrebbe in stridente antinomia con un altro “basic aim of Dutch European policies, namely, British EC membership”238. Guardando allo scenario coevo con l’occhio dei suoi protagonisti, ad ogni modo, risulta però evidente che il governo olandese si accingesse a ratificare i trattati di Roma con la consapevolezza di aver dovuto giocoforza accettarne le decurtazioni imposte dai “grandi”, le quali, neanche a dirlo, avevano riguardato gli aspetti più creativi dell’originale schema beneluxiano. Certo, restava accesa la speranza che, qualora la neonata Cee avesse effettivamente portato a compimento gli obiettivi indicati nel suo trattato istitutivo - che era comunque un "trattato quadro", è bene ricordarlo - i Paesi Bassi avrebbero potuto beneficiare di un’importante area di libero scambio, comprensiva, peraltro, del mercato tedesco. E c’era comunque da tener presente il risultato eccezionale conseguito dagli olandesi nell’aver proposto un’iniziativa che aveva di fatto aperto una nuova stagione per la Comunità, inaugurando, da un lato, un nuovo approccio all’integrazione, alternativo a quello monnetiano 239 e, dall’altro, preparando con cura il terreno per la candidatura inglese alla Cee. Constatazioni che, alla fine del dibattito apertosi al Binnehof dopo il 25 marzo 1957, si ritennero sufficienti, almeno per il momento, per lasciar da parte i malanimi e salutare l’entrata in vigore dei trattati di Roma come il segnale di Si veda, in proposito, il telegramma di Luns all’Aja del 17 giugno 1957 in NL-HaNA, Min. BuZa., blok II, 1955-1964, inv.nr. 19920. Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone whitin the Six…, cit., p. 122. Come osserva Olivi, tuttavia, “la procedura di voto del Consiglio è uno dei problemi più importanti e cruciali della storia comunitaria: il voto a maggioranza ponderata era previsto dal Trattato Cee come la regola (salvo eccezioni espresse nel Trattao) dopo la fine del periodo transitorio. In verità ci vorranno lunghi decenni (in pratica fino all’adozione dell’Atto Unico Europeo) perché esso diventi la regola generale dell’integrazione europea”. Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 53. 238 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 147. 239 Rileva in proposito Griffiths: “without the constant pressure from the side of the Netherlands, there might never had been a common market at all. That would have left European integration continuing along the path of sector integration envisaged in 1955 by Jean Monnet”. Cfr. R.T. Griffiths, “The Common Market”, cit., p. 204. 237 84 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 una ripartenza dell'unificazione continentale che avrebbe chiuso definitivamente la deludente vicenda della Ced. Senz'altro non si poteva prevedere, sul momento, che quel traguardo si sarebbe rivelato ben presto come l’occhio del ciclone al centro di quella stessa tempesta addensatasi nel cielo comunitario durante la querelle dell'esercito europeo. Una burrasca che si sarebbe abbattuta, con accresciuta intensità e a vari livelli, sull’edificio comunitario dell'era gollista, mettendone a dura prova la stabilità. Gli stati europei che avevano scelto di continuare ad impegnarsi nel processo d’integrazione si stavano infatti preparando a vivere il decennio forse più drammatico e decisivo della loro storia comune240. Diversi fattori, interni ed esterni, contribuirono a comporre lo sfondo su cui sarebbe andata in scena la tormentata rappresentazione della Cee degli anni Sessanta. La pressione dell’Urss, per quanto attenuatasi dopo la morte di Stalin, andava riprendendo vigore ai confini di Yalta. L’annosa questione di Berlino, lungi dal giungere al proprio epilogo, creava, nell’emisfero occidentale, attese allarmanti di un imminente disastro nucleare (che avrebbero peraltro raggiunto l’apice nel 1967, di fronte alle celebrazioni sovietiche per il conquistato primato spaziale sugli Stati Uniti). L’Europa, divisa tra Est e Ovest, si configurava futuribilmente come il campo di battaglia sul quale le superpotenze avrebbero misurato la reciproca capacità distruttiva, il che imponeva ai Sei di riprendere le discussioni per l’organizzazione di una più stretta cooperazione politica, da affiancare alla collaborazione sul terreno militare affidata all'intergovernativa Ueo. Con quest’ultima che, d’altro canto, fungeva da straordinaria cassa di risonanza sulle aspirazioni di Londra ad acquisire la membership comunitaria, sempre più consolidatesi di fronte alle apprezzabilissime performaces del Mec. Perché - occorre precisare - pur muovendosi in una temperie politicodiplomatica internazionale non certo attraversata da segnali di distensione, il cammino comunitario procedeva nel frattempo all'insegna della conquista di approdi decisivi. Tra i quali, nel 1958, l'entrata in vigore della Cee e dell’Euratom, che, con la Comunità carbosiderurgica, avrebbero costituito il centro propulsore della nuova vitalità europea, nonché di un ritrovato ruolo internazionale per il Vecchio continente, ormai assestatosi nella sua dimensione collettiva. Sotto una fulgida apparenza, tuttavia, ribollivano acque insidiose, pronte ad inondare il terreno comunitario e foriere di nuovi contrasti, sia teorici, fra federalisti e confederalisti, sia di carattere metodologico, fra l’approccio “costituente” all’integrazione sostenuto dai primi e l’opzione intergovernativa caldeggiata dai secondi. Fu l’avvento di de Gaulle all’Eliseo, in particolare, ad 240 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., pp. 55-56. 85 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 accendere la miccia che avrebbe fatto esplodere le tensioni, lasciando altresì riaffiorare quel nodo sotteso al processo d’integrazione europea che il funzionalismo monnetiano aveva mostrato di poter sciogliere soltanto parzialmente e per un tempo limitato. In sintesi, dopo un decennio di fervore creativo, l’Europa faceva i conti con la realtà del suo passato di rivalità nazionali, i cui echi, violentemente repressi dall’ondata “comunitaria”, risorgevano, seppur sotto forma di tensioni diplomatiche e divergenze di prospettiva, per l’ultima, dirompente apparizione. Echi, peraltro, dall’accento spiccatamente parigino, evocati dalle lapidarie dichiarazioni del carismatico Generale: l’azione, l’influenza e, per tutto dire, il valore della Francia saranno, come lo vogliono la storia e la geografia ed il buon senso, essenziali all’Europa per orientarsi e riprendere con il mondo. Occorre costruire l’Europa occidentale… Ma di questa regione, il centro fisico e morale è la Francia. 241 Ora, tali dichiarazioni, che certo suscitavano non pochi rigurgiti di insofferenza tra i partner comunitari, si riversavano sull’Aja come una colata lavica su un campo a lungo coltivato, distruggendo anni di fatiche e, al contempo, evidenziando l’urgenza di apportare misure correttive242. Sicché il governo dei Paesi Bassi, fuori dalla metafora, si ritrovò, da un lato, a tentare di tamponare le ricadute della politica gollista sul suolo comunitario, ponendosi come “counterbalance” a difesa di una sovranazionalità di cui pure, intimamente, non era un entusiasta sostenitore243; dall’altro a cercare di anticipare le mosse del Generale facendo leva sulle istituzioni comunitarie Cosa che, d’altro canto, produceva l’effetto “paradosso” di allontanare Londra dalla Cee, cioè dell’unica potenza che, agli occhi degli olandesi, avrebbe potuto allontanare dalla Cee la Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 68. “The aim of General de Gaulle’s proposals is not to strenghten European unity and integration… His proposals exclusively serve decision making on matters that lie outside the European Community’s scope”. (Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 640 1961 mrt., Franse voorstellen inzake Europese politieke samenwerking, 7.3.1961. La traduzione in inglese è riportata in W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six..., cit., p. 121). Così il ministro Joseph Luns, che De Bruin definisce il “dominateur” della politica estera olandese negli anni Sessanta commentava la linea europea intrapresa dalla Quinta Repubblica francese. La Brusse in proposito: “By 1960, however, it seemed as if de Gaulle had opened Pandora’s box with a storm of vicious, rampant issues of defence and power politics that left the Dutch policy-makers disoriented and exasperated”. Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone with the Six…, cit., p. 124. Sull’acrimonia di Luns nei confronti di de Gaulle e della sua strategia europea si veda anche ASUE, COL, JMDS-122, 18/03/1960 - 19/12/1960 Progress on European Integration, 1960, vol. II, p. 373. 243 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence..., cit., p. 148. 241 242 86 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 minaccia di un’eventuale egemonia parigina, o fors’anche di un direttorio franco-tedesco244. In sintesi, gli anni della cosiddetta “Europa gollista” rappresentarono per il governo dell’Aja, ma anche per la Comunità, un autentico crocevia, sotto diversi profili: 1) perché, con la riapertura delle discussioni sull’integrazione politica, che di fatto si esaurirono intorno alla vicenda dei due Piani Fouchet (1961-1962), che sarà analizzata nei paragrafi che seguono, i Paesi Bassi furono chiamati a confrontarsi con il grado di maturazione raggiunto a livello nazionale quanto a convinzione dell’irreversibilità dell’assetto comunitario europeo e della necessità di farvi integralmente parte. 2) Considerando che, come si vedrà, in corso il negoziato per l’adesione britannica, a partire dallo stesso 1961, la strategia adottata in funzione antigollista, vale a dire il più sopra ricordato arroccamento a difesa del principio sovranazionale, andò a porsi in stridente contraddizione con la consueta ambizione olandese ad acquisire Londra al cammino comune del Continente. 3) Perché proprio in tale frangente emerse in forma violenta, e a tratti insolubile, la questione della difficile convivenza tra grandi e piccoli d’Europa nel seno della Comunità, con i Paesi Bassi a rivestire, ancor più di quanto non avessero fatto fino ad allora, il duplice ruolo di “piccoli” oppositori di fronte alle ambizioni parigine per una Comunità dominata dalle grandi potenze e di “grandi” leader del piccolo Benelux, il quale, proprio in quel tormentato decennio, e in virtù dell’azione sistematica condotta dal ministro degli Esteri olandese, Joseph Luns, avrebbe salvato l’Europa dalla deriva intergovernativa verso cui il Generale francese voleva condurla. La politica europea olandese tra il 1958 e il 1960: una mano tesa verso Londra Fu il biennio a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta ad offrire all’Aja l’occasione per mettere a punto, in maniera quasi definitiva, i capisaldi della propria politica europea. Fino ad allora, infatti, il tentativo di perseguire una condotta “pendolare” – per adottare un’espressione che Bino Olivi utilizza per definire l’atteggiamento di Charles de Gaulle in Europa245 - o, per meglio dire, una strategia bifronte, aveva impedito agli olandesi di tratteggiare con più decisione la propria fisionomia comunitaria, la quale restava spaccata tra il tentativo di consolidare la propria posizione di paladini della sovranazionalità Così Max Kohnstamm a Roy Price: “The only really satisfactory solution would be Britain membership of the Community, or an intimate association coming very close to fill membership”. Cfr. ASUE, COL, JMDS-122, cit., Max Kohnstamm a Roy Pryce, 18.3.1960. 245 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit. 244 87 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 nella Cee e la propensione a non allentare i legami con l’Oece per non perdere quanto rimaneva dell’antico legame privilegiato con Londra246. La capitale d’oltremanica rappresentava infatti per i Paesi Bassi, autentici appassionati del liberismo economico, il baluardo del libero commercio, linfa vitale per l’economia olandese, nonché una possibile avanguardia – ipsi dixerunt - per la creazione di un nuovo spazio commerciale, da affiancare al Mec, così come era già stato prospettato durante il negoziato sulla Cee e l’Euratom. In una visione carica di tensioni emotive, pertanto, gli olandesi riprendevano a caldeggiare la realizzazione di un’area paneuropea di libero scambio, che, sotto l’egida britannica, avrebbe saputo bilanciare, qualora fosse stato necessario, le tendenze protezionistiche sobillate dalla Francia nel contesto a Sei247. Un’istanza costruttiva che, nell’aprile 1959, si tradusse in un piano dettagliato, elaborato di concerto dai partner del Benelux e prontamente presentato al Rey Committee, il gruppo di esperti incaricato dal Consiglio dei ministri della Cee di studiare le possibilità di associazione tra i Sei e l’Oece. Lo schema approntato all’Aja proponeva di regolare i rapporti commerciali tra i partner comunitari e i paesi dell’Organizzazione istituita nell’aprile del 1948 all’interno di un’area di libero scambio, creata ad hoc dalla Comunità al termine del periodo transitorio248. Sebbene Londra considerasse favorevolmente questa prospettiva, Parigi oppose un immediato quanto radicale rifiuto. Nonostante gli sforzi degli olandesi per mettere a punto una proposta che apparisse irrinunciabile anche agli ostici transalpini, fu ben presto chiaro che le obiezioni francesi andavano ben oltre la bontà, o meno, delle soluzioni individuate. de Gaulle, infatti, non soltanto non nutriva alcun interesse per l’iniziativa in sé, ma puntava ad archiviare quanto prima il progetto, anche e soprattutto per evitare che Bonn, attirata dalle possibilità di intensificazione dei traffici intereuropei e dalle ricadute che quest’ultima avrebbe prodotto sull’economia tedesca, all’epoca in fase di straordinaria espansione, contribuisse a dar fiato alle vele del Benelux249. Tra l’estate del 1959 e il 1960, due eventi inattesi giunsero a mettere scompiglio tra le carte dell’Aja, aprendo nuove prospettive per il futuro europeo dei Paesi Bassi. Il primo vide protagonisti i partner del Benelux, tra i Diverse ed eterogenee sono le pubblicazioni in argomento. Ad ogni modo, particolarmente efficaci a chiarire la percezione che gli olandesi avevano del rapporto con i britannici risultano le seguenti pubblicazioni: Miriam Camps, Britain and European Community 1955–1963, London, 1964, pp. 80-81; J.A. de Koning, The Dutch attitude towards of the United Kingdom into the European Community (1957-1973), Master Academy Thesis, University of Cambridge, 1991, pp. 13-14. Oltre alla più volte citata W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., pp. 128-134. 247 Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 122. 248 Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 122. 249 Cfr. M. Camps, Britain and European Community…, cit., pp. 198-200. 246 88 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 quali cominciò a manifestarsi una progressiva divergenza di vedute rispetto all’indirizzo politico da adottare in Europa. Ad evocarla, la proposta lanciata dal ministro degli Esteri belga, Paul Wigny, il quale invitava i tre “piccoli” a promuovere una stretta sovranazionale dell’apparato politico-istituzionale della Cee250. Luns si rifiutò di sottoscrivere il progetto. Nella sua ottica, infatti, proiettata principalmente su Londra, rafforzare il carattere sovrananzionale delle istituzioni europee equivaleva a compromettere definitivamente l’adesione britannica alla Comunità, con inevitabili ripercussioni sui piani di associazione tra Cee e Oece251. Mutuando l’espressione da Jan Willem Brouwer, al “je t’aime” di Wigny, corrispondeva secco il “moi non plus” di Luns252. Dopo l’importante funzione che aveva ricoperto negli anni Cinquanta, l’unione del Benelux, all’aprirsi della nuova decade, mostrava una progressiva tendenza allo scollamento. In altre parole, il ruolo di pioniere dell’integrazione che tale unione regionale aveva svolto per l’intero arco degli anni Cinquanta volgeva inesorabilmente al termine. Efficace, in tal senso il commento di Brouwer: “l’«omnibus» Benelux est rattrapé par le «train» de la CEE”253. Il secondo episodio si registrò nell’ambito dell’incontro dei ministri degli Esteri della Cee, tenutosi a Strasburgo, nel dicembre 1959. In quella circostanza, infatti, i rappresentanti dei Sei avevano discusso la proposta, avanzata da de Gaulle, di dare carattere di sistematicità alle consultazioni tra i sei capidicastero responsabili della politica estera, così da procedere ad uno “scambio regolare di informazioni e di vedute”, ma senza finalità di istituzionalizzazione, né di elaborazione di “decisioni comuni”254. L’Aja, in particolare, scettica per principio rispetto alle iniziative francesi, mostrò forti riserve riguardo all’idea, contenuta nello schema francese, di creare, a Parigi, un segretariato permanente incaricato di preparare questi incontri. Era forte e concreto il sospetto che la Francia volesse dotarsi, in realtà, di un ulteriore strumento per promuovere la propria preminenza in Europa, ponendosi peraltro alla guida dei Sei, a loro volta costituitisi in blocco unico sotto l’egida francese, in un terreno sensibile come quello della difesa, con l’intenzione di porsi su un piede di equal partnership con Washington, nell’ambito della Nato, e con Londra, nel contesto dell’Ueo. A tale proposito, Luns replicava secco: Wigny suggeriva diverse soluzioni per realizzare sia un ampliamento delle competenze della Cee in campo politico e monetario, sia un rafforzamento delle istituzioni sovranazionali, sia infine per avviare la creazione di un mercato interno. Cfr. ivi, p. 203. 251 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 17…, cit., 18.3.1960. 252 Cfr. J.W. Brouwer, “La Belgique dans la politique…, cit., p. 223. 253 Ibidem. 254 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2864 1958-1960, De Minister Van Onderwijs, Kunsten en Wetenschappen, W.G. J. Cals (.J,M.L.Th.Cals) aan de Heer Minister van Buitenlandse Zaken, 23.12.1959. 250 89 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Any form of political bloc-formation against our Anglo-Saxon allies in insane. This would endager NATO and therewith our most vital interest. 255 Verosimilmente, sempre agli occhi del ministro olandese, l’Eliseo aveva elaborato un’altra strategia per tenere la Gran Bretagna lontana dalla Comunità. Luns dichiarò quindei che avrebbe acconsentito a sottoscrivere la proposta, a patto che tali consultazioni avessero esclusivamente carattere informale. Wigny, supportando il collega olandese, aggiunse che tale dispositivo diplomatico non avrebbe dovuto minimamente interferire con l’azione della Ueo e della Nato. Le dichiarazioni di Wigny fecero pregustare a Luns il sapore di una prima vittoria diplomatica. Non soltanto, infatti, le sue resistenze avevano ostacolato i piani francesi in direzione del primato europeo, ma soprattutto avevano persuaso i belgi - che pure, sulle prime, sembravano mostrare una certa propensione ad accogliere l’invito parigino - del carattere anti-comunitario dell’atteggiamento gollista e della necessità di ritornare a grandi passi nelle file del Benelux256. L’incontro di Strasburgo, ad ogni modo, aveva rappresentato un turning point nella politica europea olandese. Alle ragioni di carattere essenzialmente economico-commerciale che, fin dagli esordi dell’integrazione, avevano spinto l’Aja ad intraprendere la costruzione di un ponte sulla Manica si affiancarono altri moventi, più propriamente politici, sollecitati dalle nuove articolazioni del dibattito comunitario. Il Buitenlandse Zaken, in particolare, di fronte alle latenti spinte egemoniche che, attraverso l’asse Parigi-Bonn, estendevano il proprio cono d’ombra sull’autonomia decisionale del Ministerraad, cominciò a tendere più energicamente la propria mano verso Londra e a premere sugli altri partner affinché seguissero il suo esempio. L’atteggiamento olandese nei confronti dell’iniziativa di Parigi, pertanto, può essere letto come un sintomo del profondo rivolgimento avvenuto nell’orizzonte politico-concettuale dell’Aja (favorito anche dal ricambio al vertice del Ministerraad, ove, all’euroscettico Drees, era subentrato il cattolico Jan De Quay, senz’altro più sensibile al tema dell’unificazione continentale), sia nella percezione delle dinamiche interne alla Comunità, sia relativamente alle misure da prendere per orientarle, tali dinamiche, in direzione dei propri desiderata. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 5, Notulen va de vergadering gehouden op vrijdag 24 juli 1959 in de Trêveszaal aangevangen ’s morgens, om ten uur en ‘s middags voortgezet, 24.7.1959. La traduzione inglese è ripresa da J.W. Vanke, An Impossible Union. Dutch Opposition to the Fouchet Plan 1959-1962, in «Cold War History», vol. 2, n. 1, 2001, London, pp 95-112. 256 Cfr. J.A. de Koning, The Dutch attitude..., cit., p. 27. 255 90 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Nella morsa tra Parigi e Bonn Ancor prima che de Gaulle, durante la conferenza stampa del 5 settembre 1960, annunciasse ufficialmente il proprio schema per l’unione politica europea257, il Ministerraad aveva già discusso ed elaborato una controffensiva, che sarebbe stata adottata al successivo vertice europeo, incentrato sulle due questioni più controverse all’ordine del giorno delle riunioni comunitarie, vale a dire la partecipazione britannica alla Cee e le discussioni sulla cooperazione politica. Del resto, affermava Luns, i tentativi egemonici “sul piano politico, militare, economico e culturale”258 del Generale, seppur a livello ufficioso, erano stati ampiamente chiariti nell’incontro tra de Gaulle e Adenauer, che si era tenuto a Rambouillet, il 29 luglio259. Le prospettive che si aprivano, affermava il ministro degli Esteri non senza manifestare una sincera preoccupazione, imponevano ai Paesi Bassi (ma anche all’Italia260) di procedere senza esitazioni sulla linea dell’ “opposizione pragmatica”261. Nel tempo, infatti, puntualizzava Luns, la realizzazione delle ambizioni di de Gaulle al ridimensionamento del carattere C. de Gaulle, “Avec le renouveau - 1958–1962”, Discours et messages, vol. III, Paris, 1970, pp. 244-246. Vale la pena di riportare un estratto significativo, per l’impressione che suscitò all’Aja, delle dichiarazioni di de Gaulle sul progetto di unificazione politica europea: “Bien sûr, si l’on entre dans cette voie, si l’on peut espérer que l’on va y avancer, les liens se multiplieront et les habitudes se prendront et alors, le temps faisant son oeuvre, peu à peu, il est possible que de nouveaux pas soient faits vers l’unité européenne. Encore une fois, c’est cela que la France propose. C’est tout cela et pas autre chose”.Cfr. ivi, p. 246. 258 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2856 1960-1961, Verslag de bespreking tussen Minister Luns en zijn Italiaanse ambtgenoot, Minister Segni, op 16 augustus 1960, in Venetië, 18.8.1960, p. 2. 259 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 619, Notulen, 5.8.1961. 260 Riportava infatti il ministro nel resoconto della propria discussione con Antonio Segni: “Minister Segni heette zijn Nederlandse ambtgenoot welkom en achtte dit personnlijke contact uitermate nuttig omdat de besprekingen, welke te Rambouillet tussen Generaal de Gaulle en Kanselier Adenauer waren gehouden, voor de Benelux-landen en Italië van grote betekenis konden zijn. Het was derhalve noodzakelijk dat men met elkaar overleg pleegde. Het huidige gesprek was ook daarom voor Italië van belang omdat de Italiaanse Minister-President Fanfani in september a.s. de Generaal de Gaulle in Parijs zal bezoeken en een voorafgaande oriëntatie derhalve gewenst is”. (Il ministro Segni ha dato il benvenuto al suo omologo olandese e lo ha ritenuto il giusto referente per questo contatto personale che è di grandissima utilità considerate le discussioni che si sono tenute a Rambouillet tra il generale de Gaulle e il cancelliere Adenauer, che per i paesi del Benelux e per l’Italia potrebbero essere di grande significato. È pertanto necessario che si svolgano delle consultazioni. L’attuale discussione si rivela fondamentale per l’Italia anche perché il Primo ministro Fanfani si incontrerà a Parigi, a settembre, con il generale de Gaulle ed è pertanto auspicabile che si concordi un ‘preorientamento’ comune). Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2856 1960-1961, Verslag de bespreking tussen Minister Luns en zijn Italiaanse ambtgenoot..., cit. Da sottolineare che, tra le righe, risultava che l’Olanda avesse iniziato a rappresentare, almeno agli occhi die partner comunitari, una sorta di portavoce del Benelux in Europa. 261 Ibidem. 257 91 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 sovranazionale della Cee avrebbe comportato una regressione dell’Olanda, da equal partner della Francia a mero esecutore delle sue volontà. Senza contare che, se Parigi avesse anche guadagnato l’auspicata leadership della difesa europea, Washington avrebbe inevitabilmente e comprensibilmente allentato i nodi del Patto Atlantico (cioè del “più importante organo per il coordinamento militare e politico dell’Europa occidentale262), nonché dell’Ueo e “degli altri vincoli multilaterali”263. Infine, nel lungo periodo, si sarebbe creata una profonda spaccatura, sia sul terreno politico, sia su quello economico, nell’Occidente europeo. Il che, oltre a decretare il fallimento di tutti i progetti di cooperazione continentale, sapientemente elaborati e tenacemente perseguiti dai Sei, avrebbe riportato l’Europa alla disgregazione prebellica, nonché, in una prospettiva tutt’altro che improbabile, ad una nuova, disastrosa, conflittualità intestina264. La panoramica delineata da Luns indusse il governo olandese ad attaccare il piano sull’unione politica, che de Gaulle, come accennato, aveva presentato nel settembre del 1960, sia criticandone gli aspetti più spiccatamente ispirati al metodo intergovernativo – segretariato permanente, direttorio difensivo e regolarità degli incontri dei capi di stato e di governo dei Sei –, sia insistendo sulla necessità della partecipazione britannica alle discussioni265. Il Regno Unito, infatti, non solo avrebbe agito da contrappeso allo strapotere franco-tedesco in Europa, ma soprattutto avrebbe svolto la funzione di collante nei legami euroamericani, Patto Atlantico in primis. E i negoziatori olandesi, non a caso, nell’attesa di un riscontro positivo sull’inclusione britannica al tavolo delle trattative, ricevevano, dal governo, l’istruzione a temporeggiare266. Alla prima Conferenza dei capi di stato e di governo della Cee, tenutasi a Parigi dal 10 all’11 febbraio 1961, le cupe previsioni di Luns vennero ampiamente confermate. Le proposte francesi, sebbene rivestite da una sottile apparenza europeista, non tardarono a palesare le ambizioni euro-egemoniche di stampo gollista che vi erano sottese. Sentenziava Luns, al termine di un monologo di 45 minuti interamente incentrato sulle obiezioni olandesi alla proposta del Quai d’Orsay267: Ibidem. Ibidem. 264 Cfr, ibidem. 265 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr., 639, Conferentie op 10 februari te Parijs van regeringsleiders en ministers van Buitenlandse Zaken nr. 17857, 2.2.1961. 266 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 652, Notulen, 3.2.1961. 267 Albert Kersten, “De Langste, Joseph Antoine Marie Hubert Luns (1952-1971)”, in Hellema, Duco, Zeeman, Bert, Zwan, Bert van der (eds.), De Nederlandse ministers van buitenlandse zaken in de twintigste eeuw, Sdu, Den Haag, 1999, pp. 211-227, qui p. 219. 262 263 92 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Dominant… is the global aspect, and closely linked to this is the Atlantic dimension… The aim of General de Gaulle’s proposals is not to strengthen European unity and integration… His proposals exclusively serve decision making on matters that lie outside the European Community’s scope. 268 A questo punto, l’Aja si trovava di fronte ad una scelta cruciale. Lo schema per l’unione politica elaborato da de Gaulle, infatti, sembrava avere inibito le possibilità di manovra olandesi nell’ambito dei Sei. Le uniche due vie percorribili rimanevano, da un lato, sopportare il fardello del proprio fallimento e manifestare col silenzio il proprio dissenso; dall’altro, sacrificare l’interesse nazionale ad un’attiva partecipazione nella costruzione della politica di potenza franco-tedesca. Non era da escludere, peraltro, che, nel caso in cui la Francia avesse preferito l’ipotesi del direttorio congiunto Parigi-Bonn, la Germania non avesse tentato, nel lungo periodo, di ricalcare le orme della politica gollista e di estendere la propria egemonia in Europa269. Quello che il Binnenhof aveva considerato il successo più concreto della Dichiarazione Schuman, vale a dire la partecipazione della Repubblica Federale al cammino comunitario, si stava al contrario rivelando una seria minaccia per l’indipendenza della piccola Olanda, peraltro confermata dall’accordo de Gaulle-Adenauer suggellato a Rambouillet270. In un primo momento, peraltro, il governo olandese aveva guardato con favore alla presenza della Germania al tavolo delle trattative sull’unione politica. Da Bonn, infatti, a dicembre, Luns aveva ricevuto due notizie piuttosto rassicuranti. La prima, comunicata proveniente dal segretario di stato Müller Armack, che riportava le dichiarazioni di Adenauer, secondo la quale la Repubblica Federale avrebbe adottato una tattica dilatoria durante le discussioni, essendo intenzionata a conoscere preventivamente il parere del nuovo governo americano sull’intera questione della cooperazione politica europea271. La seconda, proveniente dal segretario di stato Müller Armack, riferiva dell’intenzione, espressa dal Cancelliere, di propugnare l’avvicinamento dei Sei alla Gran Bretagna272. Momentanee rassicurazioni che, tuttavia, si sgretolarono, una dopo l’altra, a Parigi. Non solo. Nella circostanza, Luns si trovò costretto ad eludere le critiche congiunte di Adenauer e de Gaulle contro la sua insistenza nel Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 125. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 640, Franse voorstellen inzake Europese politieke samenwerking, 7.3.1961. 270 Secondo Olivi, la riunione di Rambouillet avrebbe segnato ufficialmente la nascita del negoziato sull’unione politica. Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 73. 271 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 652, Notulen, 17.2.1961. Nel corso di questa seduta, Luns riferì di avere ricevuto una lettera da Adenauer, nella quale il Cancelliere dichiarava apertamente le sue intenzioni. 272 Ibidem. 268 269 93 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 promuovere l’inclusione del Regno Unito nella lista dei partecipanti alla successiva discussione sull’unione politica273. Allo stesso modo, il blocco di pressione franco-tedesco, formato dai due capi di stato, biasimava il ministro olandese per aver rifiutato di accettare un communiqué, elaborato a Parigi, sulla struttura istituzionale del nuovo consesso. Con Adenauer che, a latere, dispensava consigli a Luns per indurlo a una maggiore cautela, cosa che fu recepita all’Aja come espressione di un autentico tradimento da parte di Bonn274. Nella fase di preparazione della Commissione Fouchet, quella che avrebbe in ultima istanza esaminato lo schema francese, in previsione del summit di Bonn, i negoziatori olandesi si trovarono ancor più nell’impasse: da vari ambienti e a vari livelli, infatti, si muovevano le pressioni nei loro confronti, per indirizzarli ad assumere un atteggiamento più flessibile. Anche all’interno del Ministerraad, alcuni elementi avevano cominciato a dubitare dell’efficacia dell’ostruzionismo sistematico perpetrato da Luns. Particolarmente diffusa era l’opinione che i Cinque avrebbero potuto ignorare le richieste olandesi per la partecipazione britannica, decidendo, viceversa, di proseguire secondo le indicazioni francesi e senza i Paesi Bassi. Soprattutto il ministro delle Finanze, Jelle Zijlstra, avvertiva concretamente questo rischio. Molto più accese, poi, le polemiche di Marga Klompé, indirizzate principalmente contro il cosiddetto “approccio Luns”275. Agli occhi di una convinta europeista, nonché membro del Comitato d’Azione di Monnet, alla base della strategia adottata dall’Aja sussisteva esclusivamente l’avversione a qualsiasi progetto di integrazione politica. Soprattutto se rivolto esclusivamente ai Sei, cioè non aperto a Londra276. L’intervento del ministro Luns chiarì che la politica europea dei Paesi Bassi non era argomento di discussione. Il vero oggetto della controversia, semmai, erano de Gaulle e i suoi subdoli attentati all’integrazione dell’Europa. Peraltro, la membership britannica alla Comunità costituiva una priorità imprescindibile sull’agenda europea dei Paesi Bassi, tanto più nella situazione contingente277. Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 126. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 652, Notulen, 17.2.1961. Luns, in questa circostanza, precisò altresì che la delegazione tedesca si era scusata con lui per il comportamento assunto da Adenauer nel corso del negoziato, rassicurando che il Cancelliere era immediatamente tornato a più sagge considerazioni. 275 Così venne denominata la strategia politica adottata dai Paesi Bassi nel corso delle negoziazioni per l’unione politica. Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 126. 276 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 652, Notulen, 17.2.1961. 277 Ibidem. 273 274 94 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Le dichiarazioni di Luns non consentivano repliche: la presenza del Regno Unito alle trattative rimaneva conditio sine qua non per la realizzazione dell’unione politica278. Il Piano Fouchet: il” vertice” della tensione I lavori della Commissione Fouchet si aprirono all’insegna della confusione per i negoziatori olandesi, al punto che il capo delegazione, De Vos van Steenwijk, dovette recedere dalla linea del préalable anglais, faticosamente approvata al termine della seduta del Ministerrad del 17 febbraio, causa la ferma opposizione degli altri partner a trattare la questione della partecipazione britannica 279. Viceversa, l’Aja pose due nuove condizioni: che si stralciassero dall'o.d.g. della riunione i riferimenti alla “i problemi strategici e strutturali relativi alla Nato”280 e che, in secondo luogo, si avviassero consultazioni su temi politici nell’ambito della Ueo. De Vos ribadiva anche le iniziali obiezioni olandesi al segretariato permanente, propugnando, viceversa, la necessità di un rafforzamento della Comunità nella sua dimensione sovranazionale, da raggiungere mediante una fusione dei tre esecutivi e attraverso le elezioni dirette del Parlamento europeo. In altre parole, l’Aja, trovandosi nell'impossibilità di contrastare direttamente il potente avversario, tentava di spingere l’Europa al “salto qualitativo” verso la federazione. La finalità sottesa a tale forzatura federalista non era difficile da scorgere. Se al progetto gollista fosse stato infatti affiancato un piano per il rafforzamento degli organi sovranazionali della Cee, difficilmente il Generale sarebbe riuscito a produrre quell'involuzione intergovernativa dell'integrazione per cui stava tanto alacremente adoperandosi281. Era chiaro che la vocazione sovranazionale improvvisamente manifestata dall’Aja destava profondi sospetti nel Presidente francese, il quale cominciò a puntare il dito contro l'atteggiamento contraddittorio dei "piccoli" partner, i quali continuavano ad Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 652, Notulen, 17.3.1961. Ibidem. A tale proposito, Luns preventivava un “crash” (botsing) delle trattative già a partire dal mese di maggio. 280 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2865, Verslag van besprekingen met Minister Heath Plan De Gaulle, 27.6.1961, p. 2. La relazione inviata dal segretario di stato Van Houten al Ministerraad, relativa ai suoi colloqui con Heath sulla Nato e sulla partecipazione britannica alla Cee, precisava, a tale proposito, che l'espunzione dalle trattative a Sei sull'unificazione politica della Cee delle questioni concernenti la Nato era tanto più necessaria quanto più appariva evidente che "de Amerikanen deze gevaren niet zien of althans achterstellen bij de voordelen van nauwere politieke samenwerking van de Zes. Dit lijkt kortzichtig gezien de conceptie van Generaal de Gaulle ten aanzien van de NAVO-problematiek". (gli americani non vedono questi pericoli o, quantomeno, li ritengono meno importanti rispetto alla prospettiva di una più stretta cooperazione politica tra i Sei). 281 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 646 1961 sep. 1-4, Franse plannen voor een Europees topoverleg, 29.6.1961. 278 279 95 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 oscillare tra la tentazione di porsi come paladini dell'integrazione sovranazionale e la più naturale propensione a rappresentare il "cavallo di Troia della Gran Bretagna nella Cee" (con ciò riconoscendo ai Paesi Bassi il medesimo ruolo svolto dai britannici in Europa per conto degli Stati Uniti), il che presupponeva la rinuncia a qualsiasi aspirazione federalista282. Le parole di de Gaulle non produssero su Luns l'effetto sperato. Il ministro olandese, infatti, anziché spaventarsi dell’isolamento diplomatico in cui si era improvvisamente ritrovato, ritenne di doversi tener ben saldo alla linea intrapresa, cioè sia all'opposizione senza riserve, sia all’approccio pragmatico, se avesse voluto ottenere qualche risultato, anche minimo283. Ciò non significa, ad ogni modo, che il “dominateur” volesse continuare una trattativa che si preannunciava eccezionalmente aspra affrontando, da solo, l’ostilità di cinque avversari. Viceversa, Luns seguì l’esempio del suo predecessore e si rivolse agli omologhi del Benelux per ricompattare il fronte dei piccoli – che sembrava essersi sfaldato a Parigi284 - e mettere a punto una strategia comune da adottare al successivo incontro di Bonn. Organizzò pertanto, tra giugno e luglio 1961, una serie di incontri separati (ai quali, in diverse occasioni, scelse di farsi rappresentare dall’ambasciatore olandese a Bruxelles, Van Houten285), innanzitutto col ministro Spaak, il quale sembrava, tra i due partner, il meno propenso a seguire la via dell’ostracismo promossa dall’Aja286. Le maggiori difficoltà, in effetti, per superare le quali si accese un dibattito di circa due ore Albert Kersten, “De Langste..., cit., p. 220. Ricorda Luns nelle sue memorie: “Tijdens een tête à tête na afloop zei hij [de Gaulle, ndr.] mij: 'Monsieur le Ministre, j'estime, j'admire en quelque sorte votre ténacité et la forte personnalité politique que les Pays Bas, d'ailleurs à juste titre, ont su maintenir à travers les siècles. Mais expliquez-moi: pourquoi avez-vous consenti à devenir l’agent du Royaume-Uni?' En Couve de Murville kwam even langs met zijn cynische glimlachje. Maar ja, hij volgde, en dat was tenslotte bekend, 'la voix de son maître', hij was 'le tres grand commis', en wat hij zelf dacht was niet altijd even duidelijk (ik meen weleens te hebben beluisterd dat hij ook zelf ervan overtuigd was dat Engeland geen lid moest worden van de gemeenschap; maar helemaal duidelijk is het nooit geweest, zelfs niet na jaren vriendschap). Cfr. Joseph Luns, Ik herinner mij. Vrijmoedige herinneringen van Mr. J.M.A.H. Luns zoals verteld aan Michel van der Plas, A.W. Sijthoff, Leiden, 1971, p. 150. 283 Cfr. A. G. Harryvan, J. van der Haarst, S. Voorst (eds.), Voor Nederland…, cit., “Vraagstukken met Mr. Van der Beugel”, pp. 20–36. Van der Beugel, in questa intervista, definisce la politica europea di Luns “sovranazionalismo strumentale”. Della stessa opinione, Jeffrey W. Vanke, An Impossible Union. Dutch Opposition to the Fouchet Plan 1959-1962, in «Cold War History», vol. 2, n. 1, 2001, London, pp. 95-112, qui p. 102. 284 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 17, Notulen, 17.2.1961. Inizialmente – occorre precisare - Spaak si mostrò del tutto ostile nei confronti di Luns, nel quale riconosceva l’artefice del boicottaggio olandese all’unione politica. 285 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2872, Memorandum, 5.6.1961. 286 Cfr. ivi, 2.6.1961. In realtà, Luns aveva preso questa decisione sotto pressione dell’Aja piuttosto che per personale convinzione. 282 96 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 tra Van Houten e Spaak287, sembravano sussistere proprio nella diversa interpretazione che il dominateur olandese e il seguace belga di Monnet avevano dato della proposta francese. Laddove il primo, infatti, come si è visto, riteneva il piano sull’unione politica il principale dispositivo per il ripristino della grandeur parigina in Europa e nei rapporti euro-atlantici, ragion per cui l’unico atteggiamento efficace da adottare sarebbe stato quello dell’obiezione senza remore; il secondo, apparentemente “sedotto” dalla retorica franco-tedesca288, mostrava interesse per la prospettiva dell’unificazione politica europea, ma rimaneva in bilico tra la tentazione di accodarsi alla locomotiva dei “grandi” e la prudenza, che gli suggeriva di riagganciarsi saldamente al più modesto vagone del Benelux. Nel corso di tali discussioni, Luns propose a Spaak di elaborare un memorandum, nel quale precisare la linea comune del Benelux289. Il testo messo a punto da Bruxelles il 15 giugno deluse ampiamente le aspettative dell’Aja, rivelandosi, in sostanza, un corpus di concessioni a de Gaulle. Di fatto, il documento ammetteva che i Sei discutessero preventivamente la posizione che la Cee avrebbe assunto nell’ambito della Nato, seppure “aucune décision définitive ne devrait être prise avant confrontation finale des points de vue avec les partenaires atlantiques”290, definiva la partecipazione britannica alle discussioni sul “relance européenne” in ambito politico “souhaitable” piuttosto che préalable ed accettava l’istituzione di un piccolo segretariato permanente incaricato di assicurare “la coordination politique entre les pays membres”291. In realtà, Spaak non aveva alcuna intenzione di inimicarsi il Quai d’Orsay per supportare, peraltro senza condividerla, la préalable anglais degli olandesi292. Ad ogni modo, non Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 653, Franse plannen..., cit.. Questa è l’immagine che di Spaak dà Albert Kersten quando afferma che il ministro belga cercò di ammorbidire i toni dello scontro cercando di persuadere il collega olandese dell’opportunità di concentrarsi su obiezioni di carattere “procedurale”, piuttosto che su una contrapposizione diretta rispetto ai principi stessi alla base dell’iniziativa. “Albert Kersten, “De Langste…, cit., p. 220. 289 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 646, Franse plannen voor Europees topoverleg, 29.6.1961. 290 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2872, Memorandum, cit. 291 Cfr. Ivi, p. 1. Sul tema dell’atteggiamento olandese nei confronti dell’Alleanza Atlantica, si prendano in considerazione le affermazioni di Riemersma: “The Netherlands often found in an isolated position in this respect, since other countries tended to be more receptive to a military dimension to Europe, either by free will or by force of circumstance. The reservations and reluctance that nevertheless existed in other countries to do the talking, stalling the negotiations by insisting on more study and such like, and by giving in when further opposition had become useless, but veering up again when a new situation had opposition had arisen, the Dutch actors on this stage managed to secure their main goal: security policy should be a matter for NATO alone”. Cfr. R.A. Riemersma, “No European military integration: the Fouchet Plan”, in Ph. P.Everts and G. Walraven (eds.), The Politics of Persuasion. Implementation of Foreign Policy by the Netherlands, Hants, Aldershot; Brookfield, Vt, Avebury; Gower Pub. Co, USA, 1989, pp. 175-88. 292 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 653, Notulen, 14.7.1961. 287 288 97 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 escludeva di poter modificare lo schema nel corso della conferenza al vertice di Bonn293. Luns, accordando a malincuore il suo appoggio al collega belga, e abbandonando contestualmente il proposito di avanzare in linea col Benelux, maturava l’intenzione di riprendere la linea seguita da De Vos ad aprile294. Il summit di Bonn sembrò orientarsi in una direzione piuttosto favorevole all’Aja. Il Primo ministro, Jan De Quay, e Luns cominciarono a nutrire alcune concrete speranze di veder realizzate le proprie aspirazioni: non c’era stata alcuna “erosione” delle competenze della Cee o dei legami nel contesto della Nato, nessuna allusione alla possibilità di istituire un segretariato e, soprattutto, i Paesi Bassi non si erano ritrovati in una condizione di isolamento, cosa che costituiva la cifra dell’azione svolta dalla diplomazia olandese a partire dal febbraio precedente295. In effetti, le obiezioni allo schema francese sembravano ora provenire da diversi fronti, in particolare dai partner del Benelux, la cui acquisita “collaborazione poteva essere considerata il risultato più importante dell’incontro”296. E lo stesso Adenauer aveva offerto il proprio sostegno alle proposte olandesi relative all’elezione diretta del Parlamento europeo, peraltro riaffermato anche di fronte alle richieste di stralcio avanzate da de Gaulle297, oltre a promuovere la necessità dell’unione politica come strumento per rafforzare l’Alleanza Atlantica e riaffermare l’autorità delle esistenti strutture comunitarie298. Luns, tuttavia, tornava a polemizzare contro l’ostinazione del Presidente francese, il quale continuava a mostrarsi non soltanto sordo nei confronti di tutte le proposte alternative al proprio schema originale, ma addirittura sleale nei confronti dei partner comunitari che si erano mostrati disposti a scendere a compromessi con lui, con particolare riferimento all’italiano Fanfani299. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 653, Notulen, 5.7.1961. Cfr., nel testo, p. 93 e NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 646, Franse plannen over en Europees topoverleg, 29.6.1961. 295 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 653, Topbespreking te Bonn, 21.7.1961, p. 2. 296 Ibidem. 297 Ibidem. 298 Cfr. Susanne Jonas Bodenheimer, Political Union: A microcosm of European politics 1960-1966, Sijthoff, Leyden, 1967, p. 62. 299 Più precisamente, rilevava Luns in sede di dibattito al Ministerraad del 21 luglio: “Voor de Europese gedachte is bepaald ook een slag de wijze waarop Italië met betrekking tot een Europese Universiteit een zware deceptie te incasseren heeft gekregen. De Gaulle liet hier Fanfani in de steek. Men wilde Italië slechts de oprichting van een nationale universiteit toestaan, die dan als internationale universiteit Europees zou mogen worden genoemd en waaraan de diverse landen financieel zouden kunnen bijdragen!” (Per l’idea europea è chiaro anche un duro colpo il modo in cui l’Italia ha dovuto incassare una pesante sconfitta relativamente all’istituzione di un’università europea. De Gaulle, in questo caso, ha piantato Fanfani in asso. L’Italia voleva soltanto la fondazione di un’università nazionale che fosse 293 294 98 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Ad ogni modo, al di là delle sussistenti reticenze di Luns, la piccola Aja aveva assestato al gigante parigino il primo colpo di fionda. Ed era pronta a colpire di nuovo, con rinnovata forza, non appena fosse giunta ufficialmente la candidatura britannica alla Cee300. L’atteso responso di Londra: “EEC membership” Come in tutti gli altri paesi membri della Cee, anche all’Aja, anzi, soprattutto all’Aja, il dibattito sull’unione politica si infiammò alla notizia della richiesta britannica di adesione alla Comunità. Nell’ottica del Ministerraad, a fortiori, la presenza del Regno Unito in questa nuova Europa, politicamente integrata, rappresentava lo snodo essenziale intorno al quale si sarebbero decise le sorti del paese nell’ambito dell’Occidente europeo. La membership londinese, infatti, era percepita dagli olandesi come il giusto grimaldello su cui poggiare per risolvere un molteplice e multiforme ordine di problemi di politica nazionale sia di natura economico-commerciale, sia di carattere più prettamente diplomatico – senza con ciò compromettere la propria posizione in Europa. Fin dall’apertura del negoziato per l’adesione britannica, tuttavia, i Paesi Bassi ebbero netta la sensazione che lo scoglio da superare fosse tutt’altro che di lieve entità, tenendo soprattutto conto della difficile posizione diplomatica che l’Olanda si era ritrovata ad occupare nell’ambito dei Sei, ove si era andata via via alimentando la persuasione che l’Aja rappresentasse effettivamente “il cavallo di Troia” della Gran Bretagna in Europa. Il che aveva fortemente ristretto la capacità negoziale dei negoziatori del Buitenlandse Zaken, cioè, più concretamente, aveva condizionato i Cinque ad accogliere con riserva qualsiasi proposta avanzata dai Paesi Bassi in favore dell’ingresso del Regno Unito nel Mec. Stando così le cose, il Ministerraad scelse di adottare, come provvedimento di emergenza, una condotta di basso profilo - cioè di attendere che gli accenti polemici si smorzassero e che proseguissero le trattative sull’unione politica pur non rinunciando, si intende, a promuovere, a latere, un’accelerazione delle trattative. denominata università internazionale europea e alla quale i diversi statai avrebbero potuto devolvere finanziamenti!). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 653, Topbespreking te Bonn, cit., p. 3. 300 L’annuncio di Macmillan, il 31 luglio, dell’intenzione britannica di adesione alla Cee produsse un ulteriore alleggerimento in Olanda, anche se non fu una sorpresa. Edward Heath, infatti, aveva già profilato al governo olandese, al termine di una seduta del Consiglio dell’Ueo, l’ipotesi di una candidatura ufficiale del Regno Unito alla Cee, alla quale l’Aja si era affrettata ad offrire il pieno sostegno per un rapido svolgimento e successo della procedura di adesione. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 641 1961 apr., Bijlage II: betreft: Nedelandse houding op de aanstaande topconferentie van de EEG te Bonn, 19.5.1961. 99 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 La campagna di de Gaulle per plasmare l’Europa secondo il proprio disegno, del resto, non sembrava ancora destinata a concludersi, né, tanto meno, accennava a un graduale ammorbidimento dei toni. Al contrario, il Generale aveva maturato la convinzione che l’allargamento alla prestigiosa isola d’oltremanica potesse essere usato come arma di ricatto nei confronti dei più ostili oppositori – gli olandesi, neanche a dirlo – del Piano Fouchet. Sicché, più precisamente, se Parigi avesse ritardato l’ingresso britannico, condizionandolo al buon esito delle trattative sull’unificazione politica, avrebbe ottenuto il doppio vantaggio sia di veder realizzato il proprio progetto, sia di accogliere il Regno Unito in un’Europa ormai plasmata secondo gli auspici francesi301. Peraltro, in corso le trattative per l’adesione di Londra alla Cee, a partire dal 10 ottobre 1961, con Macmillan che avanzava richieste per un “trattamento d’eccezione” nei confronti del proprio paese, l’Aja e i transalpini si erano ritrovati a condividere più interessi di quanto avessero mai potuto immaginare, dall’aspirazione all’approfondimento del Mercato comune, alla volontà di mantenere inalterato il funzionamento della Politica agricola comune (Pac), istituita nel 1962, alla reciproca reticenza circa il mantenimento dei legami privilegiati tra Regno Unito e Commonwealth302. Ad ogni modo, per quanto potessero sussistere le premesse, una riconciliazione ufficiale tra de Gaulle e l’Aja si rivelava allora del tutto inconcepibile, anche e soprattutto per le divergenze che continuavano ad emergere nell'ambito del negoziato sull’unione politica, il quale proseguiva all’insegna dei contrasti e dei rispettivi colpi di mano. Nel novembre del 1961, in particolare, la delegazione francese, ignorando le conclusioni di Bonn, era ritornata a promuovere uno schema che di fatto riproponeva nella sua interezza il piano gollista del settembre 1960. Una mossa che - in perfetto accordo con quanto anticipato poco sopra - il Generale aveva concepito con l’intento di presentare l'unione politica al premier d'oltremanica come fait accompli, obbligandolo di fatto ad accettarne le condizioni, ivi compresa la leadership francese. L'Aja reagì all'iniziativa dell'Esliseo, dalla quale fu comunque colta di sorpresa, predisponendo un immediato, quanto brusco, cambio di tattica diplomatica. Non che l'alternativa fosse a portata di mano. Al contrario, se, da un lato, la tecnica attendista, più sopra ricordata, aveva dimostrato chiaramente la sua inefficacia, dall’altro, la via dell’ostruzionismo alla Francia avrebbe riportato l’Olanda sull’orlo del tanto paventato isolamento diplomatico, già scongiurato a fatica a Bonn. Il Ministerraad stabilì pertanto di Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 647 1961 sep. 8-29, Nota inzake de komende onderhandelingen tussen de EEG en Groot-Britannie, 19.9.1961. 302 Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., pp. 128-129. 301 100 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 tentare il compromesso con de Gaulle: se avesse sciolto le proprie riserve su Londra, l'Aja avrebbe assicurato il placet all'unione politica. Spiegava Luns: It is too hazardous for the Netherlands to join the conclusion of a European union treaty as long as British accession to the existing Community is still uncertain. We must beware of being left with a union without England, a situation that should be avoided at all costs, in view of both the Netherlands’ interest and the interest of European integration. 303 È vero che una simile inversione di rotta sarebbe potuta apparire agli occhi dei francesi come un dignitoso abbandono del campo di battaglia da parte del riottoso, ma pur sempre impari, avversario. Tuttavia, il pericolo dell’isolamento costituiva al momento una minaccia di fronte alla quale valeva pur sempre la pena di servire un atout alla tracotanza di Parigi. Certo l’Aja non poteva immaginare che, a dispetto di tanta apprensione, nel corso dei successivi colloqui informali con gli altri partenr della Cee, nonché con i britannici, avrebbe guadagnato un pieno e trasversale sostegno. Spaak, per primo, - che di fatto parlava anche a nome del Lussemburgo - si predispose a fiancheggiare gli olandesi nelle loro obiezioni al disegno gollista, inaugurando, in tal modo, la politica belga di “rallie à l’obstruction néerlandaise contre le Plan Fouchet”304. A seguire, la dichiarazione di Heath, il quale manifestava il proprio interesse a partecipare alle discussioni della Commissione Fouchet, purché gli altri membri non rifiutassero per principio le sue più importanti rivendicazioni305. Le uniche critiche all’atteggiamento dei Paesi Bassi provenivano pertanto dal lato francotedesco, ma si trattava di ostacolo già ampiamente preventivato. In tale contesto, Luns, forte del supporto accordatogli, si sentì incoraggiato a promuovere un ulteriore irrigidimento della propria posizione., giungendo ad Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 649 Franse ontwerp verdrag Europese “Union”, 1.11.1961. La citazione tradotta in inglese è ripresa da W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 129. 304 Cfr. J.W. Brouwer, “La Belgique dans la politique…, cit., p. 223. Particolarmente interessanti, al riguardo, i commenti dell’ambasciatore francese all’Aja, Étienne de Crouy-Chanel, in una lettera indirizzata al ministro degli Esteri Couve de Murville: “Let me briefly remind you of this position. Whereas Mr. Spaak is now giving stronger and more forthright support than before to the Dutch position that favours British accession to the Six on the basis of a political organisation with the state as its basic building-block, the Dutch favour, more clearly and openly than before, a supranational approach to the new political organisation of Europe in the event of Britain’s not acceding. The choice set out as one between having the United Kingdom without integration or the Six with integration is now seen as a proposal supported by the two founder countries that represent a sort of Brussels–The Hague axis within the Six”. Cfr. Letter from Etienne de Crouy-Chanel to Maurice Couve de Murville (The Hague, 3 March 1962), in http://www.ena.lu/mce.cfm. Ancora, sulla difficile cooperazione nell’ambito del Benelux, cfr. Sophie Vanhoonacker, La Belgique: Responsible ou bouc émissaire de l’èchec des négociations Fouchet? in «Res Publica», vol. 31, n. 4, 1989, pp. 513-526. 305 Cfr. S.J. Bodenheimer, Political Union…, cit., p. 60. 303 101 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 affermare, il 19 gennaio 1962, a Parigi, che non avrebbe più partecipato alle riunioni della Commissione Fouchet se non fosse stato certo della presenza del collega Spaak306, il quale, a sua volta, aveva adottato la linea della fermezza, dichiarando che nessun accordo sull’unione politica sarebbe stato possibile senza il coinvolgimento dei delegati britannici alla discussione307. Il trionfo era segnato. Non solo l’Aja, riconquistando alla sua causa il reticente cugino belga, aveva bloccato l’avanzamento del Piano Fouchet, determinandone l’irreversibile échec. Ma, soprattutto, aveva imposto la sua voce al tavolo dei grandi negoziatori, partendo, peraltro, da una posizione di netta inferiorità, geografica e diplomatica. Ancora, la sconfitta francese, avvenuta per mano del Binnenhof, lasciava un segno profondo sulle pagine della storia comunitaria, uno stridente punto nero, per la Parigi gollista, accanto al roseo successo della campagna olandese per la Cee. Dal gennaio 1962, inoltre e a fortiori, il Piano Fouchet si avviò a cedere definitivamente il proscenio ad altre e più urgenti questioni308. A sottoscriverne l’atto di morte, peraltro, fu lo stesso de Gaulle, il quale, reiterando il rifiuto di aprire la via dell’unione politica alla Gran Bretagna, nonché disattendendo i compromessi precedentemente raggiunti in tema di rapporti con la Nato, confermò anche agli altri cinque partner la veridicità dei sospetti olandesi sulle velleità egemoniche di Parigi. Cosa che contribuì, da un lato, ad irrobustire il fronte di opposizione guidato sapientemente dall’Aja e, dall’altro, a lasciare il Generale nel più completo isolamento diplomatico, tiepidamente supportato, cioè, soltanto da un delusissimo Schröder309. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 660, Luns aan Minister-president, Onderhandelingen over het statuut Europese Unie, 9.2.1962. 307 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 675, Plan inzake Europese politieke top, 26.1.1962. 308 Commenta W. Asbeek Brusse: “By this time, howeverr, the Dutch Cabinet had made its mind on the issue – and so, ironically, had de Gaulle”. Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 130. Sulla reazione di de Gaulle allo smacco subito,viceversa, si esprime Olivi, con un certa tendenza francofila, peraltro: “Certo dovette assai irritare de Gaulle l’atteggiamento, in apparenza incondizionatamente favorevole, degli altri partner del Mercato comune rispetto ai progetti di forza nucleare multilaterale, che la Francia avversò sin dall’inizio (in verità con molte facili ragioni), anche perchè costituivano un tentativo di ridare uno statuto di piena partià militare alla Germania e di ridurre a zerro le virtualità politiche della forza nucleare francese”. Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 76. 309 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 675, Notulen, 23.3.1962. Commentava, in proposito, il Corriere della Sera del 19 aprile 1962: “Anche noi ci siamo trovati nell’imbarazzo di desiderare la presenza inglese come contrappeso ai progetti francesi e al pericolo di futuri sbandamenti, e di dover constatare nello stesso tempo che questa presenza rende impossibile, nell’avvenire che si può ragionevolmente prevedere, la stipulazione di legami federali. Non abbiamo scelto tra le due cose. Ma i fatti ormai stanno scegliendo per noi. L’ideale europeo si allontana”. Cfr. Bartoli, Domenico, “La parte di De Gaulle nella rottura fra i sei”, in Corriere della Sera, 19.04.1962, n. 93; anno 87, p. 1. 306 102 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Lo smacco Paradossalmente, la riunione dei ministri degli Esteri dei Sei, tenutasi a Parigi il 17 aprile 1962, segnando il definitivo e preventivato fallimento dell’iniziativa francese, non indusse l’Aja a riconoscere nell’evento il segnale di un’epoca di rinnovati e, forse, più violenti contrasti. Al contrario, il Ministerraad identificò nel momentaneo stallo dell’Europa comunitaria lo sfondo ideale su cui far discedere l’atteso deus ex machina che avrebbe accompagnato Londra a Bruxelles. Il momentaneo black out della diplomazia francese, infatti, induceva gli olandesi a credere che l’allargamento fosse questione, ormai, di poche settimane. Anche Luns, tendenzialmente proclive alla cautela, sembrò piuttosto convinto che “once the door to the EEC was hacked open”, la Gran Bretagna non avrebbe avuto difficoltà ad attraversarle e raggiungere rapidamente il tavolo della Comunità310. Non che l’Aja ignorasse le difficoltà del negoziato, che comunque sussistevano, a prescindere dalle bizze del recalcitrante generale francese, specie in materia di partecipazione britannica alla Pac311. Anzi, fu proprio la questione agricola che, nella tornata negoziale del luglio-agosto 1962, mise drammaticamente in risalto il calibro di problematiche che gravava intorno all’adesione del Regno Unito alla Cee. In quell’occasione, infatti, con un’operazione evidentemente “maldestra”312, i britannici tentarono di rimettere in discussione le linee guida della politica agricola comune, il che significava, e non soltanto per i francesi, attentare ad uno dei maggiori successi conseguiti dalla Comunità, nonché di uno dei capisaldi del suo funzionamento. Il governo olandese, tuttavia, manifestò un’iniziale indifferenza nei confronti dell’inflessibilità londinese, che pure sembrava fin troppo simile alla resistenza incondizionata di Parigi313. Le concessioni che la Gran Bretagna richiedeva quale condizione sine qua non per il buon esito delle trattative314, in effetti, non soltanto lasciavano trapelare la volontà londinese di chiarire fin da subito ai Sei quali sarebbero state le reali proporzioni, in termini di peso contrattuale, in un’Europa a Sette ormai di prossima realizzazione, ma soprattutto avrebbero comportato dei ritardi pesanti nel completamento Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 6, Notulen, 23.2.1962. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 641, Bijlage II. Betreft: Nederlandse houding op de aanstaande topconferentie van de EEG te Bonn, 19.5.1961. 312 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 83. 313 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 676, Notulen, 6.7.1962. 314 Per la precisione, Londra chiedeva per se stessa un’estensione del periodo transitorio oltre il termine ultimo indicato dal Trattato, 1 gennaio 1970, contravvenendo in tal modo al principio dell’uguaglianza e della solidarietà tra i membri della Cee, nonché inducendo gli altri partner, soprattutto Germania e Belgio, a pretendere un equal treatment. Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 83. 310 311 103 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 dell’unificazione economica, che rimaneva pur sempre un obiettivo essenziale per la politica euroepa del Ministerraad. L’Aja, pertanto, fu costretta a ricorrere, con grande amarezza, alla consueta rigidità, affermando che nessuna variazione poteva essere apportata alla data di scadenza per il completamento del Mec315. Nel corso delle successive tornate negoziali si accrebbero ulteriormente i timori, condivisi anche da Spaak e Fayat, che il tentativo di adesione britannica non sopravvivesse all’interruzione natalizia. Dalla fine di dicembre, Luns prospettava concretamente ai suoi colleghi l’ipotesi che il punto di rottura definitiva si sarebbe raggiunto a gennaio, deducendo tale previsione dalle affermazioni del ministro degli Esteri francese, Couve de Murville, il quale aveva ripetutamente invitato i Sei a prendere in seria considerazione la possibilità di un futuro comunitario senza la Gran Bretagna316. La maturata predisposizione all’evento non evitò tuttavia al governo olandese di assistere al veto del Generale alla membership britannica come a un autentico cataclisma. L’Aja, infatti, interpretò la decisione francese come un affronto diretto nei suoi confronti, ovverossia come una sorta di rivalsa, volta a punire il presunto responsabile del fallimento della politica gollista in Europa. A più di un mese dalla fine delle trattative, quindi, i ministri olandesi tornarono a discutere tutte le possibili modalità per riaprire i negoziati con la Gran Bretagna, giungendo perfino a prospettare la forzata esclusione della Francia dalle discussioni, insieme al boicottaggio sistematico di tutte le questioni ancora pendenti sull’agenda comunitaria, su cui erano concentrati gli interessi di Parigi317. Luns, in particolare, si preparava ad un confronto aperto, dichiarandosi addirittura disposto a sacrificare gli interessi nazionali olandesi in materia di cooperazione agricola, pur di restituire all’avversario il colpo basso che aveva appena incassato318. I nuovi contrasti franco-olandesi nel negoziato sull’Europa dei Sette319 La battaglia olandese, pertanto, era lungi dal concludersi. Le nuove minacce, del resto, si erano già palesate nel corso delle più recenti trattative, dalle quali, Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 670, Toetredingsonderhandelingen Vereingd Koninkrijk, 17.10.1962. 316 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 675, Verslag van de Ministeriele bijeenkomst van de Lidstaten van de EEG over de toetreding van het V.K. op 3, 4, en 5 december 1962. 317 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 712, Conclusies van de vergadering van de Coördinatiecommissie voor Europese Integratie- en Associatie-problemen op 7 februari 1963 met betrekking tot de door Nederland te voeren politiek in verband met de opschorting der onderhandelingen met Engeland, 8.2.1963. 318 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 753, Notulen, 21.1.1963. 319 Così definisce le trattative comunitarie R. de Bruin, in ASUE, COL, JMDS-000296, Les Pays Bas, cit. , tome I, p. 7. 315 104 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 soprattutto, era emersa la progressiva convergenza di intenti tra de Gaulle e Adenauer320. Pur essendo riuscito fino ad allora nell’impresa di sottrarre al piano Fouchet il sostegno del Cancelliere, anche e soprattutto con l’intenzione di evitare la formazione di un “asse” Parigi-Bonn in seno alla Comunità321, Luns non aveva potuto impedire che tra i due carismatici capi di stato si instaurasse un dialogo privilegiato, costruito sulla comune volontà di riportare le rispettive nazioni agli antichi fasti. La questione del veto all’adesione britannica, ancor di più, a Commenta in proposito Stikker: “Adenauer, who I had known personally very well and who stayed sometimes in this house when I was not here, and I gave him this house to live in after he had resigned as Chancellor. At the end of his life Adenauer had to come so much under the influence of de Gaulle, that although in the very beginning they acknowledged completely that Germany never could come back to any position without the help of the United States, at the end he forgot all about it. On top of that, there was in Adenauer's mind, in a way, a little admiration for the British style of life. On the other hand, he resisted the idea that the British had been more important than Germany ever had been”. Cfr. Truman Library Archives, Oral History Interview with Dirk U. Stikker, Loveno, Italy, July 14, 1970, by Theodore A. Wilson, p. 62. 321 Affermava in proposito Luns: “Inmiddels moeten wij ons de vraag stellen hoe wij de politieke positie van Frankrijk - voorgaande het overleg te Brussel - nog verder kunnen isoleren. Wat dat betreft zou het van bijzonder groot belang zijn, als Adenauer ertoe zou kunnen worden gebracht af te zien van zijn voorgenomen bezoek aan Parijs op - ik meen - 18 januari a.s. Lukt dat niet, en dat zal ook wel niet het geval zijn, dan zou er toch al veel bereikt zijn, indien Adenauer ertoe zou kunnen worden gebracht nu voor de eerste maal ook van zijn kant eens stelling te nemen tegen het Franse optreden en alle medewerking te onthouden aan het tot stand brengen van de gereed gemaakte As Bonn-Parijs. Het lijkt niet uitgesloten, dat op dit laatste punt wèl iets zal kunnen worden bereikt. De vrijwel gelijktijdige aanvaarding van Adenauer van de door De Gaulle verworpen nucleaire voorstellen van J Kennedy, heeft toch reeds een zeer duidelijke tegenstelling tussen het Franse en het Duitse beleid in het daglicht gesteld. Ik geloof dus, dat gezamenlijke beinvloeding door de Benelux en Italie te Bonn van bijzonder veel belang zou kunnen zijn”. (Nel frattempo noi dobbiamo domandarci come possiamo ancor più isolare la posizione della Francia – prima dei colloqui di Bruxelles. A tale proposito, sarebbe interessante se Adenauer fosse spinto ad astenersi dal suo proposito di recearsi in visita a Parigi – credo – il prossimo 18 gennaio. Non sarebbe un successo, ma non sarà questo il caso, se Adenauer fosse portato ora per la prima volta anche da parte sua a prendere posizione contro le proposte francesi e a ritirare tutto il sostegno all’istituzione alla realizzazione della già pronta asse Bonn-Parigi. Non è da escludere che su quest’ultimo punto potrà essere raggiunto qualche risultato. La quasi simultanea accettazione di Adenauer delle proposte di J. Kennedy sul riarmo nucleare respinte da de Gaulle ha già messo ampiamente in luce un più evidente contrasto tra la politica francese e quella tedesca. Credo quindi che un’influenza congiunta esercitata su Bonn dal Benelux e dall’Italia potrebbe essere di straordinaria importanza). Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2863, Aantekening voor de Minister-President. Bretreft: Brussel na de persconferentie van De Gaulle van 14 januari 1963, 16 januari 1963, p. 3. 320 105 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 cui il Generale era stato incoraggiato dal tacito assenso del devoto Cancelliere322, aveva prospettato concretamente la possibilità che si avviasse una concertazione franco-tedesca volta ad asservire la politica comunitaria agli interessi di Parigi e di Bonn. Il tutto a danno dei piccoli stati323. E se, nell’immediato, un sodalizio così esclusivo era già di per sé motivo di preoccupazione, nel lungo periodo i suoi riflessi proiettavano sull’Aja una nube alquanto minacciosa. Riacquisendo potere e supremazia sul territorio europeo, infatti, non era improbabile che le potenze renane, tra cui pure sussistevano divergenze profonde sia di interessi, sia di obiettivi di lungo periodo, si ritrovassero coinvolte in quell’atavico contrasto i cui effetti devastanti sul Continente stavano appena cominciando a dissolversi. Ipotesi tanto più realistica, peraltro, tenendo conto che l’ “Europe des patries” che de Gaulle intendeva soppiantare all’assetto comunitario allora esistente avrebbe costituito la cornice ideale entro cui riaccendere il confronto. Lo scontro tra grandi e piccoli d’Europa, pertanto, anche e soprattutto per il protrarsi dell’assenza britannica dalla Comunità, riprendeva con rinnovata acrimonia, consumandosi peraltro su una Cee paralizzata dal veto francese 324. All’Aja, in particolare, il Ministerraad cominciò, già dal 18 gennaio 1963, a discutere sulle mosse più opportune da compiere in opposizione alla politica da In realtà, precisa Bino Olivi, Adenauer aveva accettato di opporre il rifiuto all’ingresso britannico, in quanto profondamente infastidito dal comportamento di Macmillan, il quale, a sua volta, aveva più volte tentato di riaprire il dialogo con Mosca. Nonostante il primo ministro britannico avesse sempre fallito nei suoi tentativi di conquistare a Londra la piazza sovietica, il Cancelliere tedesco si era profondamente risentito di non essere stato preventivamente consultato e aveva interpretato tale atteggiamento come una prova di inaffidabilità della diplomazia britannica. Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 83. Nell’ottica di Luns, invece, “Het paste in Adenauers filosofie dat de Bondsrepubliek hecht moest worden ondergebracht in een alliantie met Frankrijk en dat daardoor de Duitse zelfvernietigingsdrang of het altijd weer opduikende nationalisme definitief onmogelijk zou worden gemaakt”. (La filosofia di Adenauer imponeva che la Repubblica federale dovesse essere spinta a chiudere con il suo passato attraverso un’alleanza con la Francia e che tale alleanza avrebbe reso definitivamente impossibile il risorgere di un nazionalismo autodistruttivo). Cfr. J. Luns, Ik herinner mij…, cit., p. 147. 323 Cfr. Johan H. Molegraaf, Boeren in Brussel. Nederland en het Gemeenschappelijk Europees Landbouwbeleid 1958-1971, PhD thesis University of Utrecht, Utrecht, 1999, pp.291-292. 324 Cfr. J.W. Beyen, Het spel..., cit.., p. 285. Commentava in proposito il ministro olandese dell’Agricoltura e della Pesca, Victor G.M. Marijnen: “De betrokken regeringen raken in een ernstige impasse, zowel wat de toetreding van Engeland tot de EEG als wat de EEG zelf betreft. Deze crisis zou kunnen betekenen een afbraak van de Europese Gemeenschappen zelve”. (I governi coinvolti si trovano in una grave impasse, sia per quanto riguarda l’ingresso dell’Inghilterra alla Cee, sia relativamente alla Cee. Questa crisi potrebbe comportare la demolizione della stessa Comunità europea). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 753, Notulen, 18.1.1963, p. 11. 322 106 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 “Zonnekoning” (Re Sole) adottata da de Gaulle. Più precisamente, pur sussistendo una certa uniformità di vedute circa l’opportunità di organizzare un fronte dei Cinque in funzione antifrancese, tra i ministri olandesi emergevano, di contro, orientamenti affatto dissimili quanto alla pratica della contrapposizione, vista l’importanza che si attribuiva alla salvaguardia sia dell’avanzamento delle discussioni sulla cooperazione agricola (il cui fallimento avrebbe rappresentato una battuta d’arresto forse irreversibile sulla via verso l’unione economica), sia del rilancio del negoziato per l’adesione britannica325. Pertanto, laddove il premier De Quay e il ministro De Pous (Chu - Affari economici) promuovevano l’esercizio di una pressione costante sulla delegazione francese, volta a contrastare l’atteggiamento di superiorità di de Gaulle nei confronti dei partner della Cee e della Comunità stessa e finalizzata a evitare che il percorso comune si insabbiasse definitivamente nella stagnazione in cui era precipitato, Marga P.M. Klompé (Kvp – Affari sociali) e Jelle Zijlstra (Arp – Finanze) riflettevano sulla delicata posizione dell’Olanda, paese piccolo sulla scacchiera dei grandi, e sollecitavano a “mosse sofisticate”, studiate con “raziocinio e freddezza calcolatrice”, indirizzate a colpire indirettamente la Francia nei suoi interessi principali326. Ad agitare ulteriormente gli animi del kabinet olandese, peraltro, contribuivano le pungenti dichiarazioni del governo statunitense sul fallimento delle trattative Cee-Londra. Gli americani, soprattutto, guardavano con preoccupazione al “resurgent nationalism in Europe”, il quale non soltanto aveva determinato l’insuccesso dei colloqui di Bruxelles, ma continuava a minacciare la stabilità della difesa comune dei “members of the Western world together”327. In altre parole, non era poi così remota la possibilità che Washington cominciasse ad allentare i legami nell’ambito della Nato e – coronando l’antica aspirazione gollista al “direttorio mondiale” anglo-franco-americano328 - lasciasse la “piccola Europa” in balia della leadership strategico-militare francese329. Ibidem. Marijnen, in particolare, avvertiva i colleghi sui rischi di un’opposizione senza compromessi: “maar men zal ook erop moeten letten niet in eigen vlees te snijden”. (espressione idiomatica nederlandese traducibile con “tagliarsi le gambe da soli”). 326 Ivi, pp. 12-13. 327 Cfr. ASUE, JMDS.A-09.06 Max Kohnstamm Papers, 1950-1963, JMDS-123, 18/01/1961 – 17/05/1963, Britain and the Six, 1961-1963, February, 4, 1963. Cfr. anche U. Stille “La nuova strategia occidentale nell'accordo Kennedy-Macmillan”, in Corriere della Sera, 22.12.1962, n. 288; anno 87, p. 1. 328. Cfr. ibidem. A tale proposito, sembra opportuno riportare alcune dichiarazioni del filogovernativo Het Parool, il quale, per primo, aveva riconosciuto nel veto opposto dal Generale all’ingresso britannico nella Cee un chiaro segnale che la Francia avrebbe lanciato agli Usa per informare la Casa Bianca sia della propria volontà di emancipare la difesa europea dall’ombrello americano, sia dell’avvenuto ripristino della grandeur francese sul Continente. Alla lettera : “de Gaulle heeft zich met zijn rede niet tot Engeland of Europa gericht, maar tot de 325 107 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Un’ipotesi ulteriormente accreditata, del resto, dal cosiddetto “Accordo dell’Eliseo”, stipulato, il 22 gennaio 1963, tra de Gaulle e Adenauer, con l’obiettivo di realizzare a livello bilaterale il progetto di unione politica elaborato dalla Commissione Fouchet330. Un documento i cui contenuti dettagliati erano per di più stati sottaciuti agli stessi collaboratori dei due statisti, i quali, stando al New York Times del 9 febbraio 1963: In Paris two weeks ago… twice dismesse their advisers and interpreters and conferred alone for 30-minute periods. 331 Sicché l’Aja cominciò a subodorare – senza essere peraltro la sola – che alla base dell’accordo ci fosse qualcosa di più di una semplice volontà di cementare ulteriormente la riconciliazione franco-tedesca alla base del processo d’integrazione, ovverossia che vi si nascondesse la prova della conseguita supremazia gollista sul più grande tra i partner europei della Francia 332, il quale, Verenigde Staten. In dezelfde rede waarin hij de toelating van Engeland tot de EEG leek af te wijzen, heeft hij opnieuw de noodzaak van een Frans-nationale kernwapenpolitiek uiteengezet. Het kan dus zijn bedoeling zijn geweest om de Amerikanen te verstaan te geven dat hij mogelijk bereid is zijn verzet tegen Engelands toetreding op te geven, indien de Amerikanen eindelijk volle steun verlenen aan het tot stand komen van het onafhankelijke Franse atoomwapen en vervolgens Frankrijk die plaats geven in de strategie-bepaling van het Westen waarop het al jaren recht meent te hebben”. (De Gaulle non non si oppone alla Gran Bretagna, ma agli Stati Uniti. Per lo stesso motivo per cui si oppone all’ingresso del Regno Unito nella Cee, peraltro, avverte di nuovo la necessità di adottare una politica atomica nazionale della Francia. Il suo obiettivo può quindi essere di dare a intendere agli americani che è possibilmente pronto a mettere da parte le obiezioni all’ingresso dell’Inghilterra nella Cee, se gli americani alla fine offriranno il loro pieno sostegno alla realizzazione di un’arma atonomica francese indipendente e di conseguenza ad ammettere che la Francia abbia un posto nella definizione della strategia occidentale dei prossimi anni). Cfr. “Europa”, in Het Parool, 21.01.1963. Peraltro, a sostegno delle preoccupazioni olandesi, giungevano da Londra le allarmate dichiarazioni del The Guardian: “It is because he conceives that Britain’s presence within the European Community would turn that Community into an instrument of American leadership rather than one of equal partnership, that the President has thought the risk of temporary damage to the Community less dangerous than what he seems to suppose would be its perversion from the start”. Cfr. D. Gillie, “Why Gen. De Gaulle slammed the door”, in The Guardian, 18.01.1963, n. 36, 247, p. 9. 329 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 753, Notulen, 30.1.1963, pp. 1-2. 330 Cfr. Mathieu Segers, De Gaulle’s Race to the Bottom: The Netherlands, France and the Interwoven Problems of British EEC Membership and European Political Union, 1958-1963, in «Contemporary European History», n. 19, a. II, 2010. 331 Arthur J. Olsen, “German Politicians Uneasy Over Aims Of de Gaulle in Treaty with Adenauer”, in The New York Times, February 9, 1963. 332 Ibidem. “Ignorance has fostered rumors about secret protocols to the treaty or private pledges made by Dr. Adenauer to the man who seems here to be the dominant fugure in the 108 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 di conseguenza, avrebbe dapprima seguito il nuovo alleato nelle sue ambizioni secessioniste rispetto alla Nato e, successivamente, trovandosi isolato, non avrebbe opposto resistenze al sopracitato “direttorio mondiale” che era l’obiettivo finale del Generale transalpino. In tale panorama, tuttavia, pur di fronte a un de Gaulle che riguadagnava terreno in Europa e nel contesto occidentale333, gli olandesi, piccoli fra i grandi, non trovando immediato sostegno dai parte dei tradizionali alleati del Benelux – che preferivano restare in attesa di conoscere quali sarebbero stati gli sviluppi successivi -, delusi dagli italiani – intenzionati ad assestarsi sulle posizioni tedesche - e violentemente scossi dall’atteggiamento “remissivo” di Washington, si ritrovarono costretti ad assistere impotenti al trionfo momentaneo del potente avversario. Con l’atlantista Luns che, irritato, definiva “inaccettabile” (onaanvaardbaar) l’atteggiamento di prostrazione che i Cinque avevano assunto rispetto al “dictaat” parigino334 e proponeva di sottoscrivere, insieme ai partner del Benelux, un accordo separato con Londra, il quale, significativamente, avrebbe rappresentato un’alternativa de facto al trattato dell’Eliseo. Il Primo ministro, di contro, invitava alla calma, reintroducendo la proposta di Zijlstra e Klompé relativa alla tattica del boicottaggio indiretto di tutte le iniziative intorno alle quali ruotavano gli interessi particolari francesi335. Al termine dell’incontro, il Ministerraad decise di seguire le indicazioni di Mansholt, che aveva esortato a proseguire, per quanto possibile, le trattative sulla cooperazione in campo agricolo (che dal 1962 si era affermata come il vero motore dell’integrazione europea336) e commerciale, lasciando da parte, almeno per il momento, il confronto diretto con Parigi337. Tale condotta, in particolare, avrebbe contestualmente guadagnato ai Paesi Bassi sia la realizzazione di alcuni obiettivi importanti della loro politica europea, come ad esempio l’approfondimento della Pac, sia il favore della Casa Bianca, ai cui occhi gli olandesi sarebbero apparsi come i paladini dell’integrazione, oltre che partnership… The long run they fear that the French President might drag the Bonn republic down a road to isolation from the United States and its Atlantic allies”. 333 Nella strategia europea elaborata da de Gaulle, infatti, l’orientamento assunto dalla Comunità all’indomani del veto rappresentava un pieno successo. Per la precisione, sembravano essersi realizzati i punti cardine del suo disegno: privare di contenuto politico le istituzioni comunitarie, al punto da inibirne completamente il funzionamento; avvicinare la Germania alla Francia, nonché costruire un’Europa completamente indipendente dalla presenza statunitense. Per ulteriori dettagli sulla politica europea del Generale, cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., pp. 68-73. 334 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 753, De EEG en Frankrijk, 30.1.1963, p. 2. 335 Ivi, p. 3. 336 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 175. 337 Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT656…, cit., p. 32. 109 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 dell’allargamento della Cee. Certo, promuovere l’introduzione di nuove regole per il settore primario significava pur sempre andare incontro alle aspirazioni transalpine, ma c’era pure da considerare che la Pac costituiva una conquista del metodo comunitario, il quale, contrariamente ai desiderata dell’Eliseo, avrebbe comunque tratto vantaggio dal rafforzamento della cooperazione in tale settore. Senza considerare poi le ricadute positive sulle istituzioni sovranazionali, che avrebbero inevitabilmente acquisito ulteriori competenze in virtù dell’approfondimento dell’integrazione. In sintesi, nel porsi alla guida del fronte d’opposizione a de Gaulle, l’Olanda, per quanto “petit état”, avrebbe riportato Washington nel cuore dell’Europa, contribuendo simultaneamente all’attuazione delle finalità dei Cinque e degli Stati Uniti338. Prendendo le mosse da tali considerazioni, il Ministerraad approntò quindi la propria controffensiva, sperando in un risultato rapido e soddisfacente. “L’euforia olandese”, come la definì Beyen, trascinò in breve la Cee verso una momentanea ripresa339, pur senza riuscire a riscattarla dalla morsa della politica gollista, ormai fermamente assestata sulla strategia dell’alternanza tra dissuasione, nei confronti della membership comunitaria degli inglesi, e “adesione“, cioè raccolta di consensi intorno all’intergovernativa unione politica340. Cfr. ibidem. Già nel gennaio 1962, del resto, Mansholt aveva ipotizzato questo percorso verso la rinascita comunitaria. Scriveva infatti: “The Europe of the Six can never be an aim in itself, it must be a catalyst inducing other countries to take the political path to the unity of Europe. One might say: the greater our unity, the happier we shall be; for the greater our unity, the greater will be the power of the free West, and the greater its ability to preserve freedom and world peace”. Cfr. S. Mansholt, On the threshold of a common agricultural policy, in «Bulletin of the European Economic Community», 1962, n. 3, pp. 5-6. 339 “Het gevole, dat de voortschrijdende douane-gemeenschap en vooral de gezamenlijke landbouwpolitiek een geleidelijk nauwere samenwerking, te beginnen met een gezamenlijke economische politiek, onafwendbaar zouden maken, leefde weer op. De ‘euphorie’, die zich geleidelijk ontwikkelde leidde de Commissie en vele politici in de vijf andere landen ertoe te denken dat men een ‘coup’ kon wagen die de uitbreiding de Gemeenschap tot breder terreinen, de verdieping van de saamhorigheid, de betekenis van het Europese Parlement en de zelfstandigheid van de Commissie als met éen slag zou kunnen bevestigen”. (Le conseguenze che avrebbe inevitabilmente comportato la progressiva comunità doganale e soprattutto la politica agricola comune iniziarono a far ripartire progressivamente una più stretta collaborazione e le speranze di una politica economica comune. L’ “euforia”, che si sviluppà gradualmente portò la Commissione e molti politici nei cinque paesi a pensare che si potesse tentare un “golpe” che avrebbe potuto assicurare l’allargamento della Comunità ad altri settori, l’approfondimento della solidarietà, il maggior significato del Parlamento europeo e l’indipendenza della Commissione). Cfr. J.W. Beyen, Het spel…,cit., p. 286. 340 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit. pp. 68-73. 338 110 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Il Ministerraad e la “crisi della sedia vuota”: la tentazione della Comunità a Cinque Il palcoscenico europeo, al contempo, continuava a preparasi per accogliere la rappresentazione di uno degli scontri più gravi che la storia comunitaria avesse mai conosciuto, quanto meno sul piano dell’impatto emotivo sull’opinione pubblica continentale, non meno che sui leader politici, i quali, per un non breve periodo, cominciarono seriamente a temere che l’edificio comunitario stesse definitivamente crollando sotto i colpi del risorto nazionalismo francese. E tanto più tale convinzione si andò affermando all’Aja, ove, come accennato, i sentimenti federalisti, al pari di una “secular religion”341, si erano ampiamente radicati tanto nella società civile, quanto all’interno della Tweede Kamer, al punto che … European unification, economically and politically, was an aim in its own right, going well beyond serving the Netherlands’ economic interests, engaged in a permanent campaign for the construction, extension and empowerment of supranational European governmental institutions… Thus, when the crisis hit, the Cals government [1965-1966, ndr.] saw two of its vital interests at stake. Firstly, the unhampered completion of the Common Market, under threat from French unilateralism. Secondly, its own survival and the threat of being voted out of office at the hands of the multi-party federalist majority in the Hague parliament. 342 La tensione, non a caso, esplose proprio sul terreno della cooperazione agricola. Come è noto, infatti, la Commissione Hallstein aveva elaborato un piano per promuovere il graduale autofinanziamento della Pac, nella prospettiva di estendere tale sistema, detto delle “risorse proprie”, anche a future politiche e attività della Cee. In previsione delle ingenti spese legate all’attuazione della cooperazione agricola, infatti, l’esecutivo di Bruxelles aveva tentato, in primo luogo, di dotarsi di un più ampio margine di manovra, emancipandosi dal contributo diretto degli stati membri, e, in secondo luogo, di rafforzare il Parlamento europeo, riconoscendogli innanzitutto un ruolo preciso di controllo del budget comunitario preparato dalla Commissione, al fine di promuovere, in un secondo momento, una responsabilità precisa di quest’ultima nei confronti dell’Assemblea strasburghese. Dopo un iniziale entusiasmo, sfociato nella convinzione che il successo dell’iniziativa fosse un dato già di per sé acquisito, nel giugno 1965 la “furia” gollista si abbatté sulla Commissione, obbligando Hallstein e i suoi, tra cui il vicepresidente Sicco Mansholt, a un violento risveglio dal sogno Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 175. La similitudine, come precisa lo stesso Harryvan, è un’intuizione di Robert De Bruin, il quale afferma: “Les Pays-Bas son entrés dans l’Europe communautaire comme d’autres entrent en religion”. Cfr. R. De Bruin, Les PaysBas et l’integration européenne, 1957-1967, Institut d’Études Politiques de Paris, Paris, 1978, p. 906. 342 A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 176. 341 111 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 sovranazionale343. Stando a Rutten, portavoce di un’opinione largamente diffusa in Olanda, la Commissione, con tutta probabilità, aveva volutamente sollecitato le ire francesi, sperando di porre de Gaulle in una complessa posizione negoziale, da cui il capo dell’Eliseo avrebbe potuto uscire indenne soltanto a seguito di qualche importante concessione a vantaggio degli organi comunitari. E lo stesso Rutten non esclude che, dietro la macchinosa insidia, ci fosse il contributo di Mansholt, acerrimo nemico della Francia gollista344. Tuttavia, neanche l’ex ministro dell’Agricoltura olandese, profondo conoscitore dei meccanismi della Cee, avrebbe potuto prevedere una reazione così drastica da parte del Generale, quale fu, nella notte tra il 30 giugno e il 1 luglio 1965, l’ordine avanzato a Couve de Mourville di abbandonare il tavolo negoziale dei Sei. Decisione che, per ben sette mesi, lasciò il Consiglio dei ministri della Cee – e la Comunità stessa – nello stallo più assoluto. Pur avendo inizialmente ritenuto che si trattasse di un momentaneo incidente destinato a provocare “il cedimento” della Commissione rispetto alle istanze parigine, gli olandesi realizzarono ben presto che di crisi si trattava, peraltro dalle conseguenze del tutto imponderabili345. Non che i timori dell’Aja concernessero l’eventualità di una definitiva secessione francese dal contesto del Mec, cosa che, ad onor del vero, cominciava ad apparire addirittura vantaggiosa, se non altro per evitare una een “merkwaardige capitulatie” (straordinaria capitolazione) delle istituzioni comunitarie di fronte alle minacce francesi346. Piuttosto, era diffusa la consapevolezza, nonché l'apprensione, che, in questa circostanza, al pur abile negoziatore Luns sarebbe stato indispensabile il supporto sistematico e convinto di tutti e quattro gli altri governi 347, visto che È questa l’espressione utilizzata da Rutten per descrivere la reazione della Francia all’iniziativa della Commissione. Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT656…, cit., p. 34. 344 Ibidem. 345 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2867, Juridische aspecten van de houding van Frankrijk in de Europese Gemeenschap, 21.7.1965. 346 Così Luns nel Consiglio dei ministri del 23 luglio 1965. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 879, Notulen van de 14de vergadering gehouden op vrijdag 23 juli 1965 in de Trêveszaal, aangevangen ’s morgens om half tien, 23.7.1965, pp. 1-2. 347 Così D.M. Ringnalda, funzionario degli Affari economici, al Primo ministro: “Ook in de REZ zal waarschijnlijk weinig animo bestaan, met betrekking tot deze epineuze vraag elkaar reeds nu recht in de ogen te kijken. In de komende maanden kan nog veel gebeuren en veel - zo niet alles - hangt uiteraard af van de kant die de regeringen in Bonn, Rome en Brussel zullen blijken op te gaan”. (Anche nel REZ [Consiglio Affari Economici, ndr.] ci sarà poco entusiasmo nell’affrontare direttamente questa spinosa questione. Nei prossimi mesi si può ancora fare molto e molto – non tutto – dipende dall’atteggiamento che i governi di Bonn, Roma e Bruxelles decideranno di assumere). Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2858, Aantekening voor de minister-president, 23.7.1965. 343 112 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 de Gaulle aveva deciso di portare alle estreme conseguenze la propria battaglia per estirpare definitivamente “l’uzzolo” sovranazionale dal progetto comunitario. E soprattutto diventava essenziale la volontà politica dei tedeschi di costituire un fronte antifrancese348, dacché Spaak sembrava orientato a venire a trattative separate con la Francia349. Ma non fu difficile ottenere tale sostegno, soprattuto da parte della Germania federale350. Precisa Harryvan: During the second half of 1965 the "atmosphère de guerre sainte"... that had characterize the parliamentary debates in June gradually gave way to increasing political support for Luns and his tactics, centring on the German-Dutch common position. 351 A salvare, in extremis, la Cee dalla dissoluzione fu pertanto il sopraggiunto rassodamento della coesione tra i Cinque, nonché il conseguito sodalizio tra l’Aja e Bonn, entrambi diretto prodotto della conferenza stampa tenuta da de Gaulle il 9 settembre 1965, che non aveva aperto alcuno spiraglio di distensione tra il Generale e la Comunità, anzi, al contrario, era riuscita ad esacerbare ulteriormente gli animi, visti i continui riferimenti alla tutela della sovranità nazionale (nei confronti del voto a maggioranza in Consiglio e del rafforzamento delle competenze dell’Europarlamento), nonché al ritorno al “common sense and reality” (di fronte al tentativo della Commissione di emanciparsi definitivamente dal giogo dei governi)352. Soprattutto il ministro Spaak, appena rientrato dalle vacanze estive, si dichiarò profondamente deluso dall’atteggiamento francese e, di conseguenza, pronto ad accogliere l’invito olandese a costituire un “fronte unito dei Cinque”, da contrapporre a Couve de Mourville già a partire dalla riunione dei ministri Cee prevista per il 25 ottobre353. Tale inversione di rotta da parte del ministro belga, nonché la stretta nei rapporti con la Germania occidentale rappresentarono per gli olandesi l’atteso segnale per intraprendere a viso aperto la battaglia antigollista354. Nella ritrovata unità, i cinque fondatori, Paesi Bassi in testa, che pure mal tolleravano l’idea di assumersi la responsabilità di amputare alla Comunità un elemento vitale della sua struttura originaria, si sentirono sufficientemente solidi per minacciare i francesi, dichiarandosi disposti a proseguire nel processo 348 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 879, Notulen van de 14de vergadering..., cit., 23.7.1965, p. 4. Ivi, p. 2. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence..., cit., p. 182. 351 Ivi, p. 183. 352 Cfr. Press conference given by Charles de Gaulle (9 September 1965), in www.ena.lu. 353 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 879, Notulen van de 15de vergadering gehouden op vrijdag 17 september 1965 in de Trêveszaal, aangevangen ’s morgens om tien uur, 17.9.1965, p. 3. 354 Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT656…, cit., p. 32. 349 350 113 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 di integrazione anche da soli. Certo, esistevano pure prospettive allettanti dietro tale presa di posizione. E, in proposito, non era un caso che i tedeschi fossero tra i maggiori sostenitori della proposta del "going ahead in the EEC without France"355 caldamente avanzata dall'Aja, giacché nel nuovo contesto a Cinque la Rft avrebbe presumibilmente rilevato la posizione di primo piano lasciata vacante da Parigi. Cosa che, d’altro canto, non creava alcuna apprensione negli altri quattro partner della Cee, convinti, per parte loro, che il Cancelliere i suoi, una volta giunti alla guida della Comunità, non avrebbero mai perseguito le aspirazioni egemoniche francesi. E non soltanto perché a fungere da agente riequilibratore sarebbe intervenuta la Gran Bretagna, il cui ingresso, in assenza di De Gaulle, sarebbe stato vincolato esclusivamente all'adempimento di procedure formali. Ma anche tenendo conto che i tedeschi avevano sempre attribuito alla membership comunitaria il doppio significato di garanzia della propria credibilità internazionale, nonché di ponte privilegiato nei rapporti con gli Usa, dai quali dipendeva in larga misura l'essenziale ancoraggio di Bonn all'occidente democratico. Di contro, tale prospettiva generava un fortissimo impatto psicologico sull'Eliseo, giacché un'Europa "germanizzata", peraltro con l'assenso di Londra, rappresentava, di fatto, il fallimento complessivo della politica postbellica dei transalpini, europeisti o antieuropeisti che fossero, oltre che una sorta di smentita storica della vittoria francese sul rivale renano, conseguita durante la seconda guerra mondiale. E de Gaulle per di più, pur nella sua vigorosa intransigenza, era ben consapevole che, in un panorama siffatto, la Francia si sarebbe ritrovata ancor più isolata di quanto non fosse in quel momento, poiché alla già avvenuta rottura diplomatica con Washington si sarebbe aggiunta la marginalizzazione da parte degli alleati comunitari. Parigi, pertanto, ritenne strategicamente più opportuno - visto anche l'esito dell'ultima tornata elettorale, che aveva fatto registrare un forte indebolimento della posizione di de Gaulle nel paese, nonché tenendo conto delle pressioni provenienti dal mondo imprenditoriale, che certo non voleva privarsi dei vantaggi offerti dal Mec - tornare a sedersi al tavolo negoziale del Consiglio "ordinario" del gennaio 1966, intraprendendo con ciò un doloroso cammino “dall’Île de France a Canossa” e rientrando silenziosamente, e a testa bassa, nella propria nicchia brussellese. Aspettando il vertice dell’Aja, il trionfo olandese a Lussemburgo Un ritorno al Trattato, essenzialmente. Questa, del resto, era la volontà, finalmente “comune”, dei Cinque. E Couve de Murville, non potè far altro che 355 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence..., cit., p. 187. 114 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 piegarsi alle decisioni della maggioranza, cosa che si concretizzò sia nel forte ridimensionamento delle richieste francesi per la limitazione delle competenze degli organi sovranazionali, soprattutto in materia di agricoltura, sia nella forzata approvazione da parte di Parigi della proposta di Schröeder, secondo cui sarebbero stati “gli interessi vitali” di uno o più stati l’unica condizione per giustificare tanto il ricorso al diritto di veto, quanto la ricerca, “in tempi ragionevoli”, di una soluzione che fosse “accettabile per tutti”356. “Né vincitori, né vinti”, per dirla con Luns - che nell’occasione presiedeva il consesso, oltre che il fronte antifrancese dei Cinque - visto che la Comunità che emergeva dal testo del compromesso di Lussemburgo, firmato il 29 gennaio 1966, non subiva alcuna modifica sostanziale. Eppure, ricorda Kerstens, il vero successo consisteva nel fatto che nessuno dei partner aveva affrontato Parigi “con le ginocchia deboli”, ragion per cui, in ultima analisi, non era stata la Francia a raccogliere la vittoria, cosa che, in se stessa, rappresentava un traguardo importante per l'integrazione sovranazionale357. E in effetti, all’Aja, la ricezione dei risultati del compromesso fu ampiamente positiva. Innanzitutto perché i “vacillanti” tedeschi (questa l’espressione con cui Luns sintetizzava l’atteggiamento della Rft di fronte a de Gaulle358) avevano osato contrapporsi in maniera decisa ai transalpini, nella convinzione che, per la tutela dell’integrazione, si potesse pure accettare un allentamento, certo momentaneo, del patto con Parigi. In secondo luogo, come osservò il ministro degli Esteri olandese a chiusura dei lavori, perché la crisi, pur avendo notevolmente indebolito sia la posizione della Commissione di Bruxelles, sia la coesione nell’ambito dei Sei, aveva fortemente ridotto la capacità dei francesi di minacciare ulteriormente la Comunità, data la sfiducia che si era creata intorno alla politica del Quai d’Orsay359. Si chiudeva un ciclo, di fatto, e si cercava contestualmente di far ripartire l’integrazione nella certezza ormai acquisita che “tutti i posti erano di nuovo occupati”360. Ma, come ha precisato Olivi affermando che “ancora oggi… il compromesso di Lussemburgo è invocato come principio interpretativo dell’intero sistema comunitario” 361, di fatto, si inaugurava un’epoca di grandi promesse, forti contrasti e scarsi risultati. Giacché, tornando a Lussemburgo, Cfr. Andrew Moravcsik, De Gaulle and European Integration: Historical Revision and Social Science Theory, Center for European Studies Working Paper Series, Program for the Study of Germany and Europe, Working Paper Series 8.5, May 1998, p. 2. Si veda anche A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 190. 357 Cfr. A. Kersten, “De Langste…, cit., p. 223. 358 Ibidem. 359 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 190. 360 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2929 361 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 103. 356 115 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 pur nell’importanza delle questioni sul tappeto e nonostante le prospettive che si aprivano in campi ritenuti strategici soprattutto dagli olandesi (dall’unione doganale, realizzata nel 1968, all’unificazione dei prezzi dei prodotti agricoli; dalla politica commerciale comune, alle concrete possibilità di rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, fino all’accordo raggiunto sul sistema autonomo di finanziamento della Comunità), di fatto, il 29 gennaio 1966, i Sei avevano deciso di rinviare il problema, piuttosto che predisporre un cambiamento radicale362. Un momento-verità, pertanto, per il nucleo dei fondatori, che all’indomani della firma si sarebbero indirizzati verso il vertice dell’Aja nella consapevolezza che i nodi centrali andavano ancora affrontati. Il Ministerraad, per parte sua, caricò l’evento di forti tensioni emotive, riconoscendovi l’epocale sigillo della conflittualità permanente tra Paesi Bassi e Francia, con l’Aja che, già all’apertura della crisi della sedia vuota, si era assestata sull’antitetica “pole position” rispetto ai francesi, impegnandosi nella strenua difesa della sovranazionalità “against determined attempts by Paris to undo the communitarian elements of the Rome Treaty”363. E, proprio in virtù di tale scelta integrazionista, gli olandesi avevano ribaltato i tradizionali equilibri diplomatici interni alla Cee, relegando cioè Parigi nella posizione di isolamento in cui, fino ad allora, erano stati soliti ritrovarsi. Guadagnato il sostegno, più o meno sistematico - riferendosi con ciò ai momentanei cedimenti di Belgio e Italia, i quali, durante le trattative di Lussemburgo, avevano rispettivamente tentato di abbandonare il fronte dei Cinque e di mostrare flessibilità nei confronti delle richieste di Couve de Mourville364 – degli altri partner comunitari, l’Olanda era pertanto riuscita, al termine del confronto, a lasciare il “campo di battaglia” con la vittoria in mano. L’Aja, pertanto, avrebbe potuto approssimarsi al grande appuntamento con il secondo negoziato per l’adesione britannica, nonché alla terza decade della storia dell’integrazione, con una fisionomia europea rafforzata e ampiamente accreditata presso i Cinque, come pure a Washington. All’indomani del compromesso di Lussemburgo, forse, nasceva il gigante del “club dei piccoli”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., pp. 192-193. Ivi, p. 191. 364 Più precisamente, Spaak aveva “surprised his colleagues” proponendo una seconda e terza lettura delle iniziative che avrebbero potuto danneggiare uno stato nei suoi interessi vitali prima di passarle al voto, mentre Colombo, per parte sua aveva suggerito di prevedere un “periodo transitorio” per l’applicazione del voto a maggioranza riguardo alle questioni più delicate. Cfr. Ivi, pp. 188-189. 362 363 116 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Epilogo Il vertice dell’Aja: Davide prevale su Golia Attraversata la crisi dei primi anni Sessanta e salutato il compromesso di Lussemburgo come atto conclusivo di uno scontro aperto in seno alla Comunità già dai suoi primissimi anni di vita, riprendevano con più vigore, all’indomani del 29 gennaio 1966, i toni aggressivi del generale de Gaulle, nutriti di forti accenti nazionalistici, nonché di velleità di ritorno alla politica di potenza. Sicché gli attriti franco-olandesi, dopo un breve momento di attenuazione, tornavano ad esplodere sul palcoscenico comunitario con nuova acrimonia e progressiva inconciliabilità. Tuttavia, laddove le istanze dell’Aja riuscivano a raccogliere i consensi degli altri partner europei, la Francia viveva una stagione di desolante isolamento. Del resto, la presidenza gollista, che, dal marzo 1966, aveva deciso di abbandonare, forse definitivamente, la propria postazione nell’ambito della Nato, sembrava avesse scelto e che stesse ormai perseguendo con rigore la via dell’affrancamento, seppur indiretto, dal vincolo comunitario. Ragion per cui i membri della Cee avevano più di qualche giustificazione nel ritenere che “il Quai d’Orsay non vuole più fare l’Europa”365. Le prove a sostegno di tale convinzione certamente non mancavano, dal veto all’ingresso britannico (il secondo sarebbe sopraggiunto il 27 novembre 1967), alla strenua opposizione a tutti i tentativi di approfondimento dell’integrazione sovranazionale. E soprattutto la “crisi della sedia vuota”, che rappresentò l'espediente estremo utilizzato dai francesi per bloccare l'emancipazione degli organi comuitari dal controllo dei governi. In ognuna delle circostanze sopra descritte, a tentare di contenere le intemperanze transalpine si erano esposti i “petits néerlandais”, preoccupati sia di difendere la propria autonomia decisionale e l’equilibrio interno alla Cee, sia di salvaguardare i contenuti sovranazionali dell’integrazione. Ma de Gaulle, forte delle sue convinzioni, non avrebbe mai preso in considerazione le rimostranze di un “petit état”. Come ebbe a dire Camille Gutt in una lettera a Spaak: Cfr. Olivier Maunoury, “La conférence de La Haye et les relations entre la France et les PaysBas”, in M. Dumoulin, G. Duchenne (dir.), Les petits États…, cit., p. 314. 365 117 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 [les Français] aiment beaucoup la Belgique, à condition qu’elle suive la leur politique. Et ils se froissent comme une maȋtresse offensée chaque fois qu’elle prétend de ne pas la suivre. 366 Eppure, l’artificiosa ricostruzione della grandezza francese abilmente e strenuamente perseguita dal Generale si sarebbe inesorabilmente sgretolata al vertice dell’Aja, da molti considerato un Consiglio europeo ante litteram, il quale, rappresentando l’ultimo terreno di confronto tra il Quai d’Orsay e il Binnenhof, consegnò definitivamente al Davide “nederalndse” la fionda con cui colpire a morte il Golia transalpino. Fotografia di un evento Il 1 e 2 dicembre 1969, nella capitale istituzionale olandese, siedono, l’uno accanto all’altro, i capi di stato e di governo e i ministri degli Esteri dei Sei. Ad essi è affidato un compito decisivo: scrivere il futuro dell’integrazione europea. E devono riuscire nel loro intento, secondo l’appello che, già il 29 novembre, aveva lanciato il quotidiano La Croix367 - “il summit dell’Aja deve riuscire” – che si era fatto interprete delle tensioni che scuotevano nel profondo, da un estremo all’altro dell’emisfero occidentale, il mondo politico-intellettuale, gli opinionisti, i commentatori, i sostenitori più e meno accesi dell’Europa comunitaria. È la città sede del governo dei Paesi Bassi ad ospitare il vertice, e forse non a caso. Quelle vie, in effetti, sembrano ancora attraversate dagli echi della retorica churchilliana del Congresso d’Europa del 1948, mentre nella stessa Ridderzaal, ove sono riuniti i Sei, si odono ancora sonori gli appelli alla costruzione degli “Stati Uniti d’Europa” lanciati dai federalisti nel maggio di un ventennio prima. È una cornice suggestiva, pertanto, quella che ospita il summit, ritenuta di fatto la più efficace per richiamare alla memoria dei governi, anche dei più riluttanti, il significato profondo dell’unità continentale. E gli europeisti sperano che, di fronte alla sopravvivenza della Comunità, cioè della pace in Europa, anche “burocrati” e “mercanti”368 possano concedersi qualche romantica e idealistica digressione. La Francia, nell'occasione, parla con la voce di Georges Pompidou. La sua figura, nonostante qualche riserva, soprattutto da parte olandese369, ha un Cfr. “Lettre de Camille Gutt à Paul-Henri Spaak 23 juin 1944”, in M. Dumoulin, Spaak, Bruxelles, 1999, p. 294. 367 “Le sommet de La Haye se doit de réussir”. Cfr. F. Roussel, “Les quatre chapitres du dossier de La Haye”, in La Croix, 29 novembre 1969. 368 Questa espressione, entrata da diverso tempo nel lessico comune ad indicare il carattere fortemente burocratico ed economico della struttura comunitaria, è comunque, in questa sede, utilizzato nell’accezione che ne dà V. Castronovo, L’avventura dell’unità europea…, cit., p. 18. 369 Lo stesso Luns, peraltro, al momento dell’elezione di Pompidou all’Eliseo, nel giugno del 1969, aveva dichiarato che tale nomina apriva incoraggianti prospettive per una rapida risoluzione del problemi europei. Cfr. O. Maunoury, “La conférence de La Haye…, cit., p. 316. 366 118 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 impatto rassicurante sugli omologhi della Cee. Oltre che essere di buon auspicio per una positiva risoluzione del vertice, infatti, la presenza del nuovo presidente francese segna definitivamente il tramonto di un’epoca di incontri europei all’insegna dell’esigente maîtresse, per dirla con Camille Gutte, e del suo fedele portavoce, de Gaulle. La parabola gollista, invece, può ritenersi finalmente conclusa e i Sei, per parte loro, sono autorizzati a rispolverare i progetti di consolidamento e approfondimento della costruzione europea. Non a caso, pertanto, all'uscita dalla Ridderzaal, la Cee assume una fisionomia diversa, più robusta. Da una parte, infatti, l'incontro scioglie il nodo dell’allargamento verso il nord del continente, dall’altra, ancor più, emerge la volontà condivisa di ampliare le competenze delle istituzioni comunitarie (Parlamento e Commissione), con particolare riferimento agli ambiti della politica estera e della cooperazione monetaria. Per questo, e non a torto, il vertice dell’Aja si è inscritto nella memoria collettiva come la seconda Messina370. E per il medesimo motivo, per tutta la durata dei lavori, intorno al Binnenhof si raccoglie una fitta schiera di europeisti, convenuta a festeggiare la rinascita dell’idea stessa di unione continentale, formalmente sancita per mano dei governi. L’evento, tuttavia, non consacra soltanto la vittoria del metodo comunitario sulle ragioni della grandeur parigina. C’è un altro vincitore, forse meno celebrato, che nelle risoluzioni del summit, di fronte ai più illustri tra i leader politici dell’epoca371, riconosce silenziosamente il suo trionfo. L’esito delle discussioni lascia infatti risaltare il successo dei tenaci olandesi nel guidare il "fronte dei piccoli" nell'impari contesa con i "grandi" d'Europa, raccolti sotto l'egida parigina. Tale vittoria, più precisamente, non si realizza soltanto nella battaglia conclusiva, quando, cioè, al tetragono Generale subentra il docile Pompidou, ma, al contrario, si impone a chiudere un confronto ventennale, interamente combattuto sul suolo comunitario, tra Francia e Paesi Bassi. Soltanto da una prospettiva di lungo periodo, infatti, si può effettivamente scorgere Polifemo che cade, accecato da Ulisse. Fuori dalla retorica, infatti, la metafora mitologica è quanto mai efficace sia a dar concretezza alla discrasia delle forze in campo, sia a caratterizzare sinteticamente i due contendenti, laddove l'Olanda/Ulisse rappresenta l'anima pragmatica e proiettata verso il futuro, quello della cooperazione sovranazionale, la Francia/Polifemo incarna Cfr. J. van der Harst, The 1969 Hague Summit: A New Start for Europe, in «Journal of European Integration History», 2003, Vol. 9, Number 2, pp. 5-10. 371 Accanto a Pompidou, infatti, e al suo primo ministro Jacques Chaband-Delmas, erano presenti cinque capi di stato: Willy Brandt per la Germania, l’olandese Pieter de Jong, Gaston Eyskens per il Belgio, Pierre Werner per il Granducato di Lussemburgo e Mariano Rumor per l’Italia. Ivi, p. 322. 370 119 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 un passato possente e pronto a imporsi con la forza, cioè il vagheggiamento nostalgico del ritorno a un'Europa delle patrie in cui Parigi possa ritrovare il proprio primato europeo, politico e morale. Intorno a tale immagine, peraltro, si scioglie il nodo problematico della presente ricerca. Come si ricorderà dall'introduzione, infatti, il lavoro in oggetto individuava due aspetti ancora poco conosciuti del processo di integrazione europea, proponendosi di constatarne scientificamente sia la reale sussistenza, sia la rilevanza storica. Più precisamente, in primo luogo, si intendeva appurare se il percorso comunitario potesse caratterizzarsi anche come successione di momenti di attrito tra “big three” e “small three”. In secondo luogo, e in chiave prospettica oltre che storica, si mirava a valutare l’entità dell’influenza esercitata dai piccoli stati nel determinare le scelte e gli orientamenti generali dell’Europa dei Sei. Orbene, quanto finora esposto consente, almeno agli occhi di chi scrive, di ritenere soddisfatti entrambi gli obiettivi iniziali, nonché di rispondere positivamente ai quesiti ad essi sottesi. Quanto al primo aspetto, infatti, è emerso con sufficiente chiarezza che, nel ventennio preso in esame in questo lavoro, il contrasto franco-olandese, che a buon diritto può essere considerato come l’archetipo di una contesa permanente tra grands e petits d’Europa, di fatto permeò di sé la storia comunitaria, contribuendo in molti casi, seppur involontariamente, al consolidamento dell’integrazione stessa. Un rafforzamento progressivo della Comunità che derivò anche, per certi versi, dal prevalere dello stato – o degli stati - tutelatore del principio sovranazionale sull’antagonista arroccato a difesa della sovranità statuale, ruoli in cui Francia e Paesi Bassi sembrarono alternarsi con una certa regolarità. Basti ricordare, a tale proposito, alcune tappe decisive del processo di integrazione, provando a leggerle, anche a costo di qualche lieve forzatura, alla luce di quanto affermato poco sopra. L’architettura istituzionale della Ceca, innanzitutto, rappresenta una formula di compromesso tra le aspirazioni dei grandi, Francia e Germania, cioè gli europeisti Schuman e Adenauer, che premono per comporre una struttura sovranazionale indipendente dai governi e capace di risolvere definitivamente il problema della reciproca ostilità, e le rimostranze dei piccoli, gli olandesi rappresentati da Stikker, che reclamano l’istituzione di un organo tutore dei propri interessi e della propria autonomia, presumibilmente troppo esposti alla preponderanza contrattuale dei partner. La querelle della Ced, in secondo luogo, mette in scena sette anni di confronto articolato tra la grande visione di Francia e Italia, decise ad affrontare, per diverse ragioni e con differenti atteggiamenti psicologici, il nodo politico dell’integrazione, puntando, di fatto, alla costruzione dell’Europa federale, e gli orizzonti forse più modesti, ma nutriti di pragmatismo e di lucidità politica, di 120 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 uomini come Beyen, Spaak e Bech, i quali, sulla base della condivisa esperienza del Benelux, avevano già maturato la consapevolezza del nesso inscindibile tra benessere economico e sviluppo della solidarietà europea. Convinzione che li aveva indotti a vincolare idealmente il successo dell’integrazione al raggiungimento di obiettivi concreti, seppure, almeno con riguardo a Jan Beyen, non necessariamente costretti entro i limiti del settorialismo monnetiano. Nel dibattito sull’adesione britannica, in terzo luogo, si misurano le resistenze di Parigi ad accogliere nella Comunità un contraltare al proprio primato europeo e alla propria grandeur, mascherate da una pur suggestiva volontà di salvaguardare l’integrazione sovranazionale dalla minaccia intergovernativa rappresentata da Londra, e la spinta olandese a promuovere l’ingresso tra i Sei di un elemento riequilibratore nei confronti della paventata egemonia francotedesca, nonché di una promessa di ulteriore sviluppo economico, di autonomia politica e di sicurezza difensiva per i piccoli paesi372. Una battaglia perseguita anche a costo di sconfessare la passione europeista ormai ampiamente preponderante al Binnenhof e apparire come il “cavallo di Troia” di un’Inghilterra tradizionalmente euroscettica. Last but not least, il compromesso di Lussemburgo, il quale, pur nelle differenti interpretazioni che gli storici e i politologi ne hanno dato, costituisce la sintesi e racchiude tutti gli elementi del dissidio comunitario tra “grands et petits”. In effetti, Quanto al secondo aspetto, che, come si ricorderà, concerneva la capacità dei piccoli stati di influire in maniera decisiva sugli sviluppi dell’integrazione, i documenti esaminati, come pure parte della letteratura in argomento, lasciano trasparire con una certa evidenza che il Buitenlandse Zaken riuscì elaborare una politica europea effettivamente coerente (anche se indirizzata, nella visione di alcuni, tra cui lo storico Heldrig, alla costruzione di “une Hollande élargie”373), nonché una progettualità efficace, nella maggior parte dei casi anche in virtù dell’approccio pragmatico più volte sottolineato, a rappresentare l’unica via d’uscita praticabile per condurre i Sei fuori dall’impasse, con l’esperienza della Ced e la crisi della sedia vuota che restano gli esempi più calzanti. Certo, probabilmente risultati di tale portata non sarebbero stati conseguiti, né conseguibili, se al vertice del dicastero responsabile della strategia comunitaria olandese non fossero state designate personalità particolarmente carismatiche, nonché dotate di sicura fede europeista, Beyen in primis. E sarebbe stato altresì complesso, per i piccoli olandesi, ricavarsi uno spazio importante “nel gioco a Sei”, dal quale far rislatare la propria voce sui certo più imponenti timbri dei partner della Cee, senza l’eccezionale stabilità diplomatica sapientemente Cfr. J.L. Heldrig, Europe: A greater Holland?, in «Internationale Spectator», 19, 7, 1965, pp. 538548. 373 Cfr. JL. Heldrig, Europe: A greater Holland?, cit. 372 121 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 costruita negli anni tra il 1956 e il 1971, all’epoca di quello che De Bruin chiama “le phénomen Luns”374. Sta di fatto, ad ogni modo, che, in virtù del contributo profferto dall’Aja, sia da Beyen, che di fatto progettò un edificio comunitario capace di resistere sostanzialmente inalterato per ben un trentennio (la prima, concreta modifica dei Trattati di Roma sarebbe stata apportata nel 1987, con la firma dell’Atto unico europeo), sia da Luns e Mansholt, che, respingendo qualsiasi tentazione di abbandonare l’impari confronto con de Gaulle, anche nei momenti di più assoluto isolamento diplomatico, riscattarono di fatto l’idea sovranazionale dal labirinto di specchi in cui l’aveva costretta il Generale e la consegnarono, integra e feconda, nelle mani dei futuri architetti dell’Unione europea. Per concludere, occorre precisare che indagare sulla vicenda comunitaria dei Paesi Bassi non significa esclusivamente venire a contatto con il dibattito politico e con la riflessione intellettuale di un piccolo stato, seppur vivace, che si confronta con la scelta cruciale tra l’opzione sovranazionale e l’ancoraggio al Continente, ivi compresa l’inclusione nello spalto atlantico, da un lato, e il perseguimento della tradizionale vocazione colonialista e neutralista e della special relationship con Londra, dall’altro. Viceversa, vuol dire osservare uno panorama articolato, un coacervo di contraddizioni che, sullo sfondo problematico della Comunità degli anni Cinquanta-Sessanta, vengono rappresentate nella pièce della difficile transizione dei governi europei dall’elaborazione di una politica che si potrebbe definire “per lo stato nello stato” alla definizione di una piattaforma, altrettanto efficace, “per lo stato nel continente”. E su quel “microcosmo di politica europea” 375, come lo definisce Susanne Bodenheimer, che sono i Paesi Bassi si celebra effettivamente la chiusura di un’epoca di riferimenti politico-concettuali e abitudini ideali, tutti facenti capo all’idea primitiva dello stato-nazione, radicati nel Vecchio continente da oltre un secolo e, contestualmente, si apre la stagione della riflessione sistematica sull’interdipendenza politico-economico-strategica e sulla sovranazionalità come nuovo fondamento dei rapporti intereuropei. Più precisamente, osservando le complesse dinamiche che caratterizzano la vita politica olandese nel primo ventennio di storia dell’integrazione, si riconosce sia il carattere aleatorio della tradizionale definizione di “piccolo” e di “grande” stato - tanto più fluida nel contesto limitato della Comunità dei Sei - giacché l’Olanda, nel tentativo di emanciparsi dalla condizione di “designated victim of international power struggle”376 dimostra quanto sia “perfectly possible for a state to Cfr. R. De Bruin, Les Pays Bas et l’intégration europeéenne…, cit., vol. II, p. 71 e 79. Cfr. J.S. Bodenheimer, Political Union..., cit. 376 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 17. 374 375 122 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 be both small and big at the same time”377. Ma, anche e soprattutto, si intona il canto del cigno degli stati nazione e della loro politica “solipsistica” di affermazione di se stessi e della propria potenza sugli altri paesi, mentre si afferma, di contro, e finisce col prevalere, la via intrapresa dalle “Smaller Powers” di puntare sull’ “international organization”378, come pure sull’azione congiunta, non soltanto per attutire l’impatto negativo dell’anarchia internazionale, ma anche e soprattutto per riscattarsi dalla posizione subalterna in cui la storia le aveva fino ad allora relegate e guadagnare un peso e un’influenza spesso superiore a quella dei grandi stati. 377 378 Ivi, p. 24. Ibidem. 123 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Bibliografia e fonti Opere di carattere generale e monografie. - AA. VV., La Comunità Europea al bivio, progresso o declino, Roma, Palombi, 1983; - AA. VV., Storia d’Europa, vol. 5; Einaudi, Torino, 1996; - Aerts, Erik and Milward, Alan S. 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Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 - Griffiths, Richard T., Verloren toekomsten. Economische voorspellingen sinds de Tweede Wereldoorlog, in «Internationale Spectator», n. 1, 1999, pp. 12-17; - Id., L'échec de la 'Petite Europe'? Le Conseil Tripartite, 1944-1948, in «Guerres mondiales et conflits contemporains», No. 252, 1988, pp. 39-62; - Id., Asbeek Brusse, Wendy, L’ “European Recovery Program” e i cartelli: una indagine preliminare, in «Studi Storici», 37, 1, 1996, pp. 41–68; - Id. and Lynch, Frances M.B., L’échec de la ‘Petite Europe’? Les négociations Fritalux/Finebel 1949/50, in «Revue Historique», 274, 1985, pp. 159-193; - Eid., L’èchec de la ‘Petite Europe’? Le Conseil Tripartite 1944-1948, in «Guerres mondiales et conflits contemporains», 252, 1988; - Grofman, Bernard, van Rozendaal, Peter, Toward a theoretical explanation of premature cabinet Termination. 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Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 - La Croix; Le Monde; Luxemburger Wort; Nieuwe Rotterdamse Courant NRC Handelsblad; Paraat; Süddeutsche Zeitung; The Guardian; The New York Times. Archivi e fondi - Archief Joop Den Uyl: 1) Directeur van de Wiardi Beckman Stichting (1949-1962), Onderzoek, i) 204 Stukken betreffende de Benelux. Met aantekeningen van J.M. den Uyl en G.M. Nederhorst, en documentatie, 1948-1951. - Archieven van de Historisch Documentatiecentrum voor het Nederlands Protestantisme (1800-heden) (HDC): 1) Antirevolutionaire Kamerclub, (Tweede Kamer fractie)–(1907-1946), Algemene Onderwerpen, Vergaderingen. - Archivio Storico dell’Unione Europea, Firenze (ASUE): 1) Collection (COL) I) Italian Foreign Ministry Collection (MAEI): i) Plan Schuman (PS) 000019, 16/01/1950 - 30/12/1950, Ambasciata Parigi - CECA - Piano Schuman (1950) II) Jean Monnet American Source (JMAS): i) 156, 01/10/1953 - 31/10/1953, David Bruce’s diary entries - October 1953. III) Jean Monnet Duchene Sources (JMDS): i) 000040, 10/09/1943 – 25/03/1945, War Department: John McCloy Papers; ii) 000075, 13/12/1950 – 15/07/1952, Belgian Perspective; iii) 000085; 12/09/1951 – 1954, Concept of European Political Community; iv) 000091, 29/10/1954 - 09/06/1955, Ministére des Affaires Etrangéres; v) 000122, 18/03/1960 - 19/12/1960, Progress on European Integration; vi) 000123, 18/01/1961 - 17/05/1963, Britain and the Six, 1961-1963; vii) 000124, 02/09/1956 - 28/07/1961, Max Kohnstamm Diaries; viii) 000125, 1979, Rutten Document; ix) 000127, 01/06/1964, Ernst van der Beugel; 141 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 x) 000246; 2/12/1988 – 31/05/1990, Harry S. Truman Library Institute; xi) 000296, 16/12/1973, Le Pays Bas et l'Integration Européenne, 1957-1967. IV) Jean Monnet Duchene Sources (JMDS) - JMDS.A-09.06 Max Kohnstamm Papers, 1950-1963: i) 123, 18/01/1961 – 17/05/1963, Britain and the Six, 1961-1963 V) i) ii) iii) iv) v) vi) Oral History Interviews (INT): 491 Brink Johannes Reloef Maria (Jan) Van Den, 17.5.1989; 656-MR Rutten Charles, 26.06.1987; 658-MR Spierenburg Dirk Pieter 23.11.1998; 659, Vraggesprek met Edmund P. Wellenstein, Den Haag, 10 juli 1998; 661, Vraggesprek met Dr. J. Kymmel, 8 juli 1998; 532 Wellenstein, Edmund, Interview with François Duchêne, the Hague, 16 May 1989; VI) Michael Tracy (MT) – Agricultural Policy and European Integration – documents from 1945 to 1960: i) 000036 Benelux, 1945-1947. VII) Ministero degli Affari Esteri Italiano (MAEI), Piano Schuman (PS) : i) 000019, 16/01/1950 - 30/12/1950, Ambasciata Parigi - CECA - Piano Schuman (1950). 2) Deposits (DEP), I) European Movement (ME), i) 842, Congrès de l’Europe tenu a Rome, 10/06/1957 - 13/06/1957. ii) Fond from European Communities Institutions (EC): Council of Ministers (CM), The Treaties of Rome (CM3/NEGO), 3, 1955, Réunion des ministres des Affaires étrangères, Messine, 01-03 juin 1955; 12, Comité intergouvernemental : structure et organisation du Comité intergouvernemental, 07.06.1955 - 04.1956; II) Max Kohnstamm (MK), i) 1, Travaux de la Haute Autorité de la CECA 04/1952 - 12/1954; 4, Conférence intergouvernementale (CIG) pour le Marché commun et l'Euratom, 08/1956 - 11/1956; 142 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 III) Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) fonds, European Payments Union/European Monetary Agreement (EPU/EMA) - Negotiations for EPU documents from 1949 to 1956 i) 000001, Negotiations – 1, 14/11/1949 - 06/04/1950. Nationaal Archief, Den Haag (NL-HaNA): - Archieven van de Centrale Directies van het ministerie van Financiën, Generale Thesaurie, Directie Buitenlands Betalings Verkeer, 1941-1954, 2.08.50, 9. Landendossiers: 1) 9-28 Stukken betreffende het handels en betalingsverkeer met diverse landen 1945-1954, i) 15 Frankrijk, 1945-1952. - Archieven van de Ministeries voor Algemeene Oorlogvoering van het Koninkrijk (AOK) en van Algemene Zaken (AZ): Kabinet van de MinisterPresident (KMP), (1924) 1942-1979 (1989), 2.03.01: 1) I Periode (1924)1942-1969(1975), 03 Minister-President, 207-219: Stukken betreffende de bemoeienissen van demissionaire ministerspresident en het Kabinet van de Minister-President met kabinetswisselingen en reconstructies, ambtelijke ondersteuning van (in)formateurs, de voortgang van regerings- en wetgevingsaangelegenheden in het demissionaire interval, inbegrepen de formele overgave en overname van het ministerie, 1945-1967: i) 207 Kabinet Schermerhorn/Drees 1945; ii) 222, Drees, W., 1948-1958. 2) 342 Staatsrecht, 342.55 – Bescherming van Staatsbelangen: i) 1149, Stukken betreffende het voorstel tot stringentere veileigheidsmaatregelen in verband met het uitlekken van geheim van de Nederlandse regering in Londen, 1942–1944. 3) 351 Bestuuruitoefening, 351.88 Internationale Betrekkingen, i) 351.88(4) Europa: 32 Internationale en supranationale organisaties, a. 31.1 Adviescommissie voor de Europese Integratie, 143 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 b. c. d. e. f. g. h. 2676 Stukken betreffende de werkzaamheden van de Ad Hoc Commissie tot voorbereiding en instelling van de Staatscommissie tot bestudering van vraagstukken betreffende de Europese integratie 1952 – 1954; 32.91 Europese Gemeenschap voor Kolen en Staal (EGKS), 28252833 Stukken betreffende de Duits-Franse samenwerking op het gebied kolen en staalprodukten (Plan-Schuman), resulterend in de EGKS. 1950-1960, 2825 1950; 2826 1950-1951. 32.921 Vorming en oprichting, 2854-2859 Stukken betreffende de uitwerking, toepassing en parlementaire behandeling van het verdrag tot oprichting van de Europese Economische Gemeenschap (EEG) en van het verdrag tot oprichting van de Europese Gemeenschap voor Atoomenergie (EURATOM). 1957-1969, 2858 1964-1966. 32.922 Toetreding van nieuwe lidstaten, 2863 Stukken betreffende de onderhandelingen over de toetreding van Groot-Brittannie tot de Europese Economische Gemeenschap (EEG). 19621964. 32.924 Raden van Ministers en topconferenties; 2864-2870 Notulen van vergaderingen van de Raden van Ministers van de Europese Economische Gemeenschap (EEG) en de Europese Gemeenschap voor Atoomenergie (EURATOM), sinds 1967 van de Europese Gemeenschappen 1958-1969, 2864 1958-1960; 2865 1961-1962; 32.2 Europese Politieke Gemeenschap (EPG) 2679 Stukken betreffende de voorbereiding op de vorming van een EPG. 1952; 2680-2681 Stukken betreffende de voorbereiding op, de deelname aan en de verslaggeving over de ministersconferenties inzake de vorming van de EPG. 2680 1952-1953; 32.3 Europese Defensie Gemeenschap (EDG) 6481-6484 Stukken betreffende de behandeling van aangelegenheden met betrekking tot de vorming van een Europees leger en de EDG. 1951-1954, 6487 Stukken betreffende het plan-Pleven en de totstandkoming van de EDG. 1952-1954; 32.921 Vorming en oprichting, 2843 Stukken betreffende de bijdrage aan de voorbereiding van een Europese douane-unie. 1947-1957; 144 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 2856 1960-1961. i. 32.924 Raden van Ministers en topconferenties, 2872 Stukken betreffende de te Parijs, Bonn en Rome gehouden topconferenties van de landen van de Europese Economische Gemeenschap (EEG). 1961, 1967 j. 32.927 Integratie binnen de Europese Economische Gemeenschap (EEG. 2912-2915 Stukken betreffende het voeren van een gemeenschappelijk landbouwbeleid door de landen van de EEG. 1958-1969, 2929 Stukken betreffende Europese politieke samenwerking resp. de politieke unie van Europa. 1964-1967. ii) 351.88(43) Duitsland: a. 33 Duitsland; economisch, 3078 Stukken betreffende de ontmanteling van de Duitse industrie. 1945-1949. b. 341 Duitsland; annexatie grondgebied, grenscorrecties, 3109 Stukken betreffende de mogelijke annexatie door Nederland van Duits grondgebied als compensatie voor de geleden schade tijdens de bezetting, 1941-1945; c. 493 België; - Archieven van de Ministerie van Koloniën en Opvolgers, Dossierarchief, (1859) 1945-1963 (1979), (Arch. Min. v. K.), 2.10.54: 1) -1 Taak van de organen, -1.87 Recht. Justitie, -1.871 Volkenrecht. Internationaal Recht, -1.871.2 Subjecten en objecten van volkenrecht. Internationale betrekkingen, -1.871.24 Internationale verdragen, i) 6723, Herleving van een aantal vooroorlogse verdragen tussen Nederland en Duitsland 1950-1952; - Archieven van de Raad van Ministers [Ministerraad (MR)] 1823-1988, 2.02.05.02, 3. Raad van Ministers, Raad van Ministers van het Koninkrijk en Onderraden, 1945 Juli -1975: 1) 3.02 Raad van Ministers (MR) 1945 Juli – 1975, i) div.nrs. Notulen van de vergaderingen van de Raad van Ministers. 1945-1975: a. 394 1950; b. 395 1951; c. 397 1952; d. 398 1953; 145 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 e. f. g. h. i. 399 1954 jan. – juni; 400 1954 juli – dec.; 401 1955 jan. – juni; 404 1956 juli – dec.; 405 1957 jan. - juni ii) div.nrs. Vergaderstukken voor de vergaderingen van de Raad van Ministers. 1945-1975: a. 425 1945 Juni – okt; b. 464 1951 feb; c. 470 1951 aug.; d. 472 1951 okt.; e. 480 1952 juni; f. 482, 1952 sep. g. 483 1952 september; h. 486 1953 jan. - feb.; i. 495 1953 nov.; j. 500 1954 apr.; k. 506 1954 okt. – nov.; l. 509 1955 mrt.; m. 510 1955 apr. – mei; n. 619 1960 juli – dec.; o. 629 1960 aug.; p. 639 1961 feb.; q. 640 1961 mrt.; r. 641 1961 apr.; s. 646 1961 sep. 1-4; t. 647 1961 sep. 8-29; u. 649 1961 nov.; v. 652 1961 jan. - juni; w. 653 1961 juli – dec.; x. 660 1962 feb.; y. 670 1962 okt.; z. 675 1962 jan. – juni; aa. 712 1963 feb.; bb. 753 1963 jan. – juni; 2) 3.04 Raad Voor Economische Aangelegenheden (REA) 1945-1975, i) div.nrs. Notulen van de Vergaderingen van de Raad voor Economische Aangelegenheden (REA). 1945-1975: 146 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 a. 570 1945-1947; b. 571 1948-1949; c. 572 1950-1951. ii) div.nrs. Notulen van de vergaderingen van de Raad voor Economische Aangelegenheden (REA). 1945-1975: a. 587 1950 aug. 3) 3.14 Raad voor Europese Zaken (REZ), 1963-1975, i) div.nrs Notulen van de vergaderingen van de Raad voor Europese Zaken. 1963-1975: a. 879 1963-1972. - Archieven van Ministerie van Buitenlandse Zaken (Min. BuZa): Blok 1, Code-Archief 1945-1954, nummer toegang 2.05.117: 1) A.1.1. Algemeen (Correspondentie met diverse instellingen van onder het Ministerie ressorterende afdelingen), i) 360-363 Registers van ingekomen en uitgegane telegrammen. 19461949, a. 362 1948; ii) 319-359 Agenda's van ingekomen stukken bij de afdeling G.S. "Bureau Geheime Stukken APA". 1945-1954: 2) B. Code Archief 0 T/M 999, ii) 6. Economie, Migratie, Arbeid, 61 Economie, 610.2 Economische Betrekkingen, 610-20 Algemeen: a. 10301 Algemeen; de economische samenwerking tussen Frankrijk, Italië, het Verenigd Koninkrijk, West-Duitsland en de Benelux. 1947-1950. b. 21443 Besprekingen tussen Frankrijk, Nederland, België, Luxemburg en Italië betreffende de totstandkoming van Finebel, ook wel geheten Fritalux, een economische samenwerkingsverband tussen deze landen. 1949-1950. iii) 9 Staatkunde, Landsverdediging, Internationale Organisaties, a. 91 Staatkunde, 913 Multilaterale betrekkingen, wereldproblemen, 913.1 Europa, 913.10 Algemeen, 16821-16846 Assemblee ad hoc, ingesteld in september 1952 door de landen van de Europese Gemeenschap voor Kolen en Staal (EGKS) tot instelling van een Europese Politieke Gemeenschap, 1952 – 1954, 16827 1953 jan., omslag; 16829 1953 feb.; 16834 1953 mei 16839 1953 nov. - dec. 147 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 b. 92 Landsverdediging, 921 Militaire verdediging, 921.3 Multilaterale militaire betrekkingen, 921.331 Defensieproblemen, 7932 Verdediging westelijk halfrond, 1946–1954. c. 99 Internationale Organisaties 996 Europese Gemeenschap voor Kolen en Staal (EGKS), 996.1 Oprichting en uitbreiding, 996.10 Algemeen, 18590-18599 Besprekingen in Parijs. 1950-1951, 18590 Algemene verslagen van besprekingen, 1950, pak. 18599 Vergaderingen van de delegatiechefs, 1950-1951; 18600-18602 Commissie van Advies. 1950-1951; 18601 Verslagen van de vergaderingen 1 tot en met 17, 1950–1951; 18603-18606 Internationale standpunten ten aanzien van het plan. 1950-1952; 999 Staatkundige en militaire organisaties, 999.0 Algemeen 999.0 3) D. Afzonderlijke Directies, I. Regeringscommissariaat voor het Europese Herstel Programma / Directoraat-Generaal voor het Economische en Militaire Hulpprogramma, 0 Diversen: i) 22913-22915 Dossier 05: Europese Politieke Gemeenschap; algemene stukken. 1952-1954: a. 22913 1952 feb. - 1953 juni. ii) 23011, Dossier 108: brieven gericht aan de heer D.P. Spierenburg, directeur-generaal van de Buitenlandse Economische Betrekkingen (BEB) en tevens plaatsvervangend regeringscommissaris. 1950; iii) 24085-24086 Dossier 6106: correspondentie en nota's met betrekking tot het plan van de Franse minister van Financiën, Maurice Petsche, om te komen tot een monetaire overeenkomst en meer algemene economische samenwerking tussen Frankrijk, Italië en de Benelux (Fritalux), plan Petsche. 1949-1950: a. 24085 1949 okt. – nov.; b. 24086 1949 dec. – 1950. iv) 24190 Dossier 6217: Stukken met betrekking tot de pogingen tot "Fibenel" (ook wel Frankrijk, Italië en de Benelux (FRITALUX) geheten) over te gaan, een samenwerkingsverband op financieeleconomisch gebied tussen Frankrijk, tussen Frankrijk, Italië, Benelux en West-Duitsland. 1950; v) 24191, Dossier 6218: dossier over Europese integratieplannen en plan Stikker. 1950-1951. 148 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 4) E Archieven van Vertegenwoordigers van Nederland bij Vreemde Mogendheden en Internationale Organisaties, E.2 bij Internationale Organisaties, E.2.1.7 Afzonderlijk Ingestelde Commissies: i) 26239, Customs Union Study Group; deelname aan de studiecommissie inzake douane-unies door Europese landen. 1947; 5) H Werkarchieven, H.1 D.U. Stikker Minister van Buitenlandse Zaken van 7 Augustus 1948 tot 2 September 1952, i) 27339-27341 Aantekening, notizie en memoranda van D.U. Stikker a. 27340 1951-1952. ii) 27342-27346 Memoranda aan D.U. Stikker, geordend op afzender. 1950-1952, a. 27343 Map II: - Directie Europa en Directie Westelijke Samenwerking - - Archieven van Ministerie van Buitenlandse Zaken (Min. BuZa): Blok 2, Code-Archief 1955-1964, nummer toegang 2.05.118 1) B, 9 Staatkunde, Landsverdediging, Internationale Organisaties, 913 Multilaterale Betrekkingen, Wereldproblemen, 913.1 Europa, 913.10 Algemeen, 18685-18760 Europese integratie 1955-1964, 18701-18702 Werkzaamheden van het Directoraat-Generaal voor Economische en Militaire Aangelegenheden, 1955-1957; i) 18704 Memoranda van de Benelux en West-Duitsland, 1955-1962; Archief van de Ministerie van Economische Zaken, (Min. EZ), 1) Buitenlandse Economische Betrekkingen (BEB), 577, Notulen, 1950-1952. - Archief van prof.dr. E.H. van der Beugel [geboren 1918], 1946-1990, nummer toegang: 2.21.183.08: 1) 5-6 Nota's Buitenlandse Zaken, 1952-1958; ii) 6 1957/1958>1957-1958; - Bewindslieden van het Ministerie van Buitenlandse Zaken 1952-1998, nummer toegang: 2.05.81 2) 01 Mr. J.W. Beyen, Minister, 1952-1956; i) 1-7 Algemene correspondentie, alfabetisch geordend op naam; 1-6 Algemeen; a. 2 C-G. ii) 8-13 Memoranda, ontvangen door minister Beyen 1952 – 1956; 8-12 Algemeen; a. 11 1955, pak 149 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, Roma. (ASMAE) - Direzione Generale Affari Politici (DGAP) 1946-1950, 1) b. 13/4, Francia Belgio Gran Bretagna, 1947. Rapporti con altri Stati, Note: Trattato; 2) b. 150/1; 3) b. 255 Questioni internazionali 1950-1957; 4) b. 257 Olanda 1950; 5) b. 394 1955; 6) b. 467 Accordo franco-britannico (Dunquerque, 4.3.’47), proposta Bidault di allargamento a Belgio e Olanda; - Archivio di Gabinetto (AG) 1943-1958: 1) b. 93 OECE, Italia Olanda 1950, Note: Corrispondenza e appunti sui lavori OECE Riunioni del CIR (gennaio-febbraio). Visita di Stikker a Roma (aprile); CECA, Italia Belgio Olanda Lussemburgo Francia Germ.(Rep.Fed.) 1952, Italia II, Piano Schuman- C.E.C.A, Note: Ratifica italiana trattato istitutivo CECA (Senato). Appunti sui lavori. 2) b. 25.3, Francia Belgio Olanda Lussemburgo, 1949, Politica finanziaria. Note: Progetto Fibenel; 3) b. 26.7, Francia Belgio Olanda Lussemburgo Gran Bretagna, 1949, Patto occidentale. Note: Conferenza dei Ministri degli esteri dei Paesi firmatari del Patto di Bruxelles, (Lussemburgo, 17.6.’49); 4) b. 30.1, Francia Germania (Rep.Fed.) Belgio Olanda, 1950, Accordo francotedesco: proposta Schuman. Note: Intesa agricola franco-tedesca; reazione belga e olandese Piano Schuman; testo del progetto francese di Trattato; Conversazioni di Parigi del 20-24 giugno; The National Archives (TNA): - Cabinet Papers 1915-1959 Truman Library Archival Collection - Oral History 150 G. Vassallo, Grande fra i piccoli Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Un Manifesto per ventisette paesi. La traduzione del messaggio di Ventotene nelle lingue ufficiali dell'Unione europea 151 Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Presentazione Il presente numero della rivista «Eurostudium3w» è largamente dedicato al Manifesto per un'Europa libera ed unita, meglio noto come Manifesto di Ventotene, e alle traduzioni, nelle lingue dell'Unione europea, curate dai docenti della "Sapienza" con il contributo della Regione Lazio. Il Manifesto costituisce notoriamente un punto di riferimento insostituibile per il federalismo europeo, nonché uno tra i più pregiati lasciti della Resistenza italiana, per la lungimiranza e l'originalità del progetto politico. Redatto fra l'inverno del 1940 e l'estate del 1941 nell'isola pontina di Ventotene, luogo di confino del regime fascista, ad opera di Altiero Spinelli, ex militante comunista, espulso dal partito nel 1937 per "deviazione ideologica e presunzione piccolo-borghese", e di Ernesto Rossi, liberale di scuola einaudiana simpatizzante per il laburismo anglosassone, con la preziosa collaborazione di Eugenio Colorni, dirigente del Centro interno socialista appassionato di filosofia e di matematica, il Manifesto raccoglie la riflessione dei tre autori sulla crisi irreversibile dello Stato-nazione e sulla necessità del suo superamento attraverso la costruzione di un nuovo assetto federale europeo. Al di là degli sviluppi successivi della storia del Vecchio continente, che certo hanno inserito elementi di contraddizione, almeno parziali, rispetto alle previsioni del documento federalista, resta innegabile l'acutezza di visione dei tre intellettuali confinati, i quali, nella fase più incerta della seconda guerra mondiale, nel momento di massima espansione del totalitarismo nazi-fascista, seppero individuare un futuro di pace e di cooperazione per l’Europa, riprendendo una prospettiva certo già vagheggiata da filosofi e intellettuali di epoche precedenti, ma ricomponendola in un’inedita forma di progetto politico concreto e immediatamente praticabile. È stato proprio dalla constatazione dell’importanza del messaggio ventotenese, nonché dell’influenza da esso esercitata sul processo di integrazione europea del dopoguerra, che il Comitato nazionale Altiero Spinelli, la facolta di Scienze Umanistiche della “Sapienza” e la Regione Lazio hanno ideato e promosso, tra il 2008 e il 2009, la realizzazione delle traduzioni del Manifesto nelle ventitre lingue ufficiali dell’Ue. L’iniziativa, che si è svolta nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita di Spinelli, affidate all'omonimo Comitato, ha coinvolto numerosi docenti, ricercatori e studiosi della “Sapienza”, i quali si sono impegnati sia Presentazione 152 Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 nella traduzione, sia nell’analisi linguistica e concettuale, sia infine in un’accurata opera di supervisione dei testi, affinché fosse comprensibile e apprezzabile, volendo esgerare un po', “dall’Atlantico agli Urali”. Raccolte insieme in un corposo cofanetto di trentadue volumi (uno per ciascuno dei ventisette stati dell’Unione europea, più la doppia o tripla versione per gli stati con due o più lingue ufficiali), le traduzioni sono state presentate al Parlamento europeo, alla presenza dell’allora presidente dell’Assemblea di Strasburgo, Hans-Gert Pöttering, il 5 marzo 2009. La scelta di riprodurre su «Eurostudium3w», in forma digitale, i testi delle traduzioni, sei per ogni numero, a partire dalle lingue dei sei paesi fondatori, e proseguendo con le altre in ordine alfabetico, e delle relative presentazioni realizzate dai docenti della “Sapienza”, ai quali va un doveroso e sentito ringraziamento, rientra nell’ambito degli obiettivi prefissati nello schema originale dell’iniziativa. Essi consistono, da un lato, nella diffusione del Manifesto di Ventotene e dei suoi contenuti oltre i confini nazionali del paese in cui fu redatto e, dall’altro lato, nella disseminazione delle conoscenze sulle personalità dei tre autori, di Altiero Spinelli soprattutto, il quale è ufficialmente riconosciuto dall'Unione europea come uno dei “padri” dell’Europa. La pubblicazione on-line è stata d’altronde ritenuta uno strumento di indiscutibile efficacia per garantire una maggiore fruibilità dell’opera realizzata, la quale, occorre comunque precisare, è attualmente oggetto di presentazioni e dibattiti presso gli atenei e i centri culturali dell’Ue in virtù di un’ulteriore iniziativa condotta in collaborazione tra la Regione Lazio, la “Sapienza” e il Centro studi Altiero Spinelli, istituito presso il Dipartimento di Storia, Culture, Religioni, che del Comitato Nazionale costituisce una sorta di erede ideale, per la pubblicizzazione delle traduzioni nei vari paesi europei. Si segnala inoltre che, a partire dal prossimo numero della rivista, la sezione dedicata al Manifesto di Ventotene si arricchirà della relativa edizione critica, realizzata dalla dott.ssa di ricerca Giulia Vassallo, vincitrice di un assegno di ricerca biennale finanziato dalla Regione Lazio, in collaborazione con il Dipartimento. Passando infine ad illustrare il criterio seguito nella riproduzione on-line dei testi cartacei, si precisa che il testo originale utilizzato per le traduzioni corrisponde a quello dell'edizione del gennaio 1944, pubblicata clandestinamente a Roma da Eugenio Colorni, all'interno di un libretto, Problemi della federazione europea, che conteneva altri due scritti di Spinelli, oltre alla "Prefazione" dello stesso Colorni. In questa sede, al testo in italiano, preceduto dalla presentazione di Francesco Gui, seguono le tre traduzioni integrali in francese, tedesco e olandese, realizzate rispettivamente da Tatiana Cescutti, lettrice di madrelingua francese, Susanne Lippert, docente di lingua tedesca, Presentazione 153 Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 nonché attingendo al contribuito di una personalità dell'europeismo olandese, come il senatore e europarlamentare, Ludo Dierickx, recentemente scomparso. Ciascuna delle tre versioni è preceduta dalla presentazione dei docenti della “Sapienza” Gianfranco Rubino, ordinario di Letteratura francese; Mauro Ponzi, ordinario di Lingua e Letteratura tedesca e Fiorella Mori Leemhuis, docente di Lingua e Letteratura nederlandese. Per il Belgio e il Lussemburgo, le cui lingue ufficiali sono rispettivamente il francese, il tedesco e il nederlandese, nonché il francese e il tedesco, le presentazioni risultano a cura di Francesco Gui e Giulia Vassallo. ES3w Presentazione 154 Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Un Manifesto per i Federalisti Europei di Francesco Gui Il progetto di manifesto per un’Europa libera e unita, scritto nel 1941 da un giovane dirigente comunista, Altiero Spinelli, divenuto in carcere federalista europeo, e da uno studioso liberale acquisito al socialismo di concezione inglese, nella persona di Ernesto Rossi, costituisce un punto di riferimento sempre più importante per la cultura politica italiana ed europea. La sua preveggenza risulta evidente proprio ai nostri giorni, in cui, sia sotto il profilo politico che socio-economico, si avverte la mancanza di un’Europa dotata di istituzioni a carattere federale. A ben considerare, sono pochi i documenti prodotti durante la Resistenza antifascista ad aver propugnato in maniera così determinata ed efficace gli Stati Uniti d’Europa e quella costituzione democratica tornata recentemente di attualità nell’UE prima di soccombere all’alea dei referendum di ratifica. Si deve pertanto essere riconoscenti al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, se egli, che è stato prosecutore dell’opera di Spinelli nella commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, non perde occasione per sottolineare il significato semplicemente fondante, per la Repubblica italiana e per l’intero federalismo europeo, del Manifesto ventotenese. Nelle limpide pagine vergate da Rossi, allievo di Luigi Einaudi, e da “Ulisse” (pseudonimo di Spinelli, oggi annoverato fra i “padri fondatori” dell’Unione) viene avanzata una nettissima e innovativa discriminante politica: la vera linea di divisione fra progressisti e reazionari passa ormai fra chi si pone come obiettivo prioritario la federazione europea e chi intende invece lavorare ancora per la restaurazione degli stati nazionali dotati di sovranità assoluta. Non solo, giacché il Manifesto propone per la prima volta la creazione di una forza politica, a carattere rivoluzionario, che si prefigga il traguardo immediato della democrazia sovranazionale europea. Non meno importante è sottolineare ancora come lo stato federale europeo venga giudicato indispensabile dai due autori non soltanto per conferire una pace stabile al continente dopo tanti anni di guerre e di distruzioni, e non certo per fare dell’Europa federata una nuova potenza sulla scena mondiale, bensì per una ragione in primo luogo umanistica e, diremmo, spirituale: quella cioè di offrire agli europei – e tramite loro a tutto il globo – un più alto grado di civiltà, fondato sulla libertà dell’individuo, sulla piena espressione delle singole potenzialità umane e sul rispetto del diritto legittimato dalla democrazia. 155 F. Gui, Un Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Per il perseguimento di tali scopi risultava dunque necessario procedere ad azioni coraggiose e lungimiranti, quali unire i singoli popoli sotto comuni istituzioni rappresentative, aprire le frontiere alla circolazione dei cittadini e dei beni, creare l’unità economica e monetaria, dotarsi di una capacità di difesa e di una politica estera unica. Che sono poi gli stessi obiettivi, sia pure perseguiti a passi felpati, dell’Unione Europea dei nostri giorni. Per parte loro, Rossi e Spinelli, vale la pena di ripeterlo, consideravano la federazione europea un’impresa rivoluzionaria. Come osserva Sergio Pistone, le proposte politiche e organizzative avanzate dall’ex dirigente comunista e dal suo compagno di prigionia, nel perseguire l’abbattimento dell’ordine europeo nazi-fascista allora all’apogeo, rivelavano al tempo stesso il desiderio di offrire una valida alternativa al Manifesto dei comunisti, propagandato da Marx e Engels nel 1848 e divenuto la bandiera della Seconda, non meno che della Terza Internazionale, guidata dall’Unione Sovietica staliniana. Un’alternativa che rivelava peraltro come il nesso fra teoria e strategia proposto dai ventotenesi fosse frutto di una rielaborazione degli insegnamenti ricevuti dal marxismo, prima del passaggio al federalismo. Scrive appunto lo storico torinese: “Va segnalato l’approccio dialettico presente nel Manifesto di Ventotene, che si ispira chiaramente al modello del Manifesto del Partito Comunista, anche se l’orientamento ideologico è ovviamente diverso. Degli stati nazionali si vede la funzione progressiva svolta in una fase della storia (come il capitalismo per Marx), la crisi storica dovuta al loro essere superati dall’evoluzione del modo di produzione, le contraddizioni che emergono nella crisi (l’imperialismo egemonico e l’inconciliabilità fra sovranità nazionale assoluta e progresso in senso liberale, democratico e sociale), la possibilità da parte di un soggetto politico rivoluzionario di sfruttare queste contraddizioni per realizzare il federalismo sovranazionale” (S. Pistone, L’Unione dei Federalisti Europei, Guida, Napoli, 2008, pp. 34-35). Ma non che si possa passare sotto silenzio il coraggio con cui gli antifascisti federalisti Rossi e Spinelli prendevano al tempo stesso le distanze dal marxismo. In uno scritto di “Ulisse” allegato all’edizione del Manifesto del ’44, quella preceduta dalla prefazione di Colorni (qui di seguito riprodotta), si definivano semplicemente ipocriti coloro che continuavano a propagandare il verbo di Marx, pur sapendo che ormai si trattava soltanto di un mito. E per la verità si potrebbe notare anche un altro particolare, non privo di risvolti di attualità: da un certo punto di vista, il Manifesto metteva sullo stesso piano nazionalisti, democratici e marxisti, perché tutti erravano nel voler ricostruire la sovranità dei vecchi stati, responsabili di tante guerre fratricide. Al contempo additava a costoro la strada, sia consentito esprimersi così, della possibile 156 F. Gui, Un Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 redenzione: ossia l’adesione al federalismo sovranazionale. In altre parole, attorno all’impegno per gli Stati Uniti d’Europa e per la democrazia federale poteva essere ricostruita una nuova unità di intenti e di spiriti, superando le divisioni del passato. Certo, non si può non ricordare che nella prefazione di Colorni all’edizione clandestina del ’44, fatta circolare in una Roma ancora occupata dalle truppe tedesche, i toni si attenuavano rispetto all’intransigenza del Manifesto vero e proprio: ormai i federalisti si erano orientati a dar vita non più ad un partito, ma ad un movimento, il Movimento Federalista Europeo (MFE), fondato a Milano nel tardo agosto del ’43, dopo la fine del regime mussoliniano, sempre ad opera di Spinelli, Rossi, Colorni ed altri. Inoltre il Manifesto stesso veniva presentato come l’opinione, seppur autorevole, di taluni intellettuali, ma non come la posizione ufficiale del Movimento. La ragione stava nel fatto che il MFE intendeva collaborare strettamente con tutte le forze della Resistenza, comunisti compresi, per metter fine all’orribile esperienza nazifascista e per indurle ad aderire, se possibile, al federalismo europeo. Per di più risultava ormai chiaro che le superpotenze dell’Est e dell’Ovest si accampavano progressivamente sull’Europa, condizionandone le dinamiche interne. Tuttavia non pare difficile rendersi conto che i temi di riflessione, le analisi e le proposte contenute nel Manifesto, al di là di talune ingenuità o errori di valutazione più tardi ammessi da Spinelli stesso, possedevano una forza interna destinata a sprigionarsi irresistibilmente con il passare dei decenni, specie dopo la fine della guerra fredda. Tra le altre, le pagine dedicate alle riforme economiche postbelliche, con la ricerca di un equilibrio nuovo fra liberismo e statalismo, con l’attenzione dedicata alle esigenze dei giovani e dei lavoratori precari, con la diffidenza nei confronti del sindacalismo corporativo non meno che della finanza parassitaria, rivelano un’attualità sorprendente. La stessa tradizione del socialismo non collettivista risulta valorizzata e rilanciata dal messaggio ventotenese, insieme ad impegno di progresso per tutta l’umanità, purché gli europei, beninteso, intendano responsabilmente farsene carico. Al contempo, la familiarità con il pensiero liberale e federalista anglosassone fa del Manifesto una delle espressioni della Resistenza più affini alla cultura dei “liberatori”, come Spinelli e Rossi non avrebbero mancato di confermare, con gli scritti e con l’azione politica, sia durante la guerra che nelle vicende successive. Un testo, dunque, quello di Ventotene, come espressione delle migliori tradizioni culturali e della più ardita creatività dell’Occidente. E pertanto 157 F. Gui, Un Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 destinato, appunto, a resistere all’usura del tempo, anzi, a uscire vieppiù confermato dal duro confronto con le sfide della storia successiva. I confinati Spinelli e Rossi si dedicarono al loro scritto pungolati dall’angoscia per la guerra tornata a dilaniare popoli e stati. Se c’è qualcosa di enfatico, di eccitato nelle loro pagine e nel loro disegno rivoluzionario, la ragione sta nell’ansia di chi si ritrovava nuovamente con il disastro di un civiltà davanti agli occhi e nel profondo dell’anima. Una punta, almeno un punta di quell’ansia minaccia di riemergere di nuovo, proprio in questi tempi, nel cuore degli europei. Che valga almeno come stimolo per raccogliere il testimone dei visionari di Ventotene. 158 F. Gui, Un Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Prefazione di Eugenio Colorni (Roma 1944) I presenti scritti sono stati concepiti e redatti nell'isola di Ventotene, negli anni 1941 e 1942. In quell'ambiente d'eccezione, fra le maglie di una rigidissima disciplina, attraverso un'informazione che con mille accorgimenti si cercava di rendere il più possibile completa, nella tristezza dell'inerzia forzata e nell'ansia della prossima liberazione, andava maturando in alcune menti un processo di ripensamento di tutti i problemi che avevano costituito il motivo stesso dell'azione compiuta e dell'atteggiamento preso nella lotta. La lontananza dalla vita politica concreta permetteva uno sguardo più distaccato, e consigliava di rivedere le posizioni tradizionali, ricercando i motivi degli insuccessi passati non tanto in errori tecnici di tattica parlamentare o rivoluzionaria, od in una generica «immaturità» della situazione, quanto in insufficienze dell'impostazione generale, e nell'aver impegnato la lotta lungo le consuete linee di frattura, con troppo scarsa attenzione al nuovo che veniva modificando la realtà. Preparandosi a combattere con efficienza la grande battaglia che si profilava per il prossimo avvenire, si sentiva il bisogno non semplicemente di correggere gli errori del passato, ma di rienunciare i termini dei problemi politici con mente sgombra da preconcetti dottrinari o da miti di partito. Fu così che si fece strada, nella mente di alcuni, l'idea centrale che la contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la nostra società, è l'esistenza di stati sovrani, geograficamente, economicamente, militarmente individuati, consideranti gli altri stati come concorrenti e potenziali nemici, viventi gli uni rispetto agli altri in una situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes. I motivi per cui questa idea, di per sé non nuova, assumeva un aspetto di novità nelle condizioni e nell'occasione in cui veniva pensata, sono vari: 1) Anzitutto, la soluzione internazionalista, che figura nel programma di tutti i partiti politici progressisti, viene da essi considerata,in un certo senso, come una conseguenza necessaria e quasi automatica del raggiungimento dei fini che ciascuno di essi si propone. I democratici ritengono che l'instaurazione, nell'ambito di ciascun paese, del regime da essi propugnato, condurrebbe sicuramente alla formazione di quella coscienza unitaria che, superando le frontiere nel campo culturale e morale, costituirebbe la premessa che essi ritengono indispensabile ad una libera unione di popoli anche nel campo 159 E. Colorni, Prefazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 politico ed economico. E i socialisti, dal canto loro, pensano che l'instaurazione di regimi di ditta-tura del proletariato nei vari stati, condurrebbe di per sé ad uno stato internazionale collettivista. Ora, una analisi del concetto moderno di stato e dell'insieme di interessi e di sentimenti che ad esso sono legati, mostra chiaramente che, benché le analogie di regime interno possano facilitare i rapporti di amicizia e di collaborazione fra stato e stato, non è affatto detto che portino automaticamente e neppure progressivamente alla unificazione, finché esistano interessi e sentimenti collettivi legati al mantenimento di una unità chiusa all'interno delle frontiere. Sappiamo per esperienza che sentimenti sciovinistici ed interessi protezionistici possono facilmente condurre all'urto e alla concorrenza anche tra due democrazie; e non è detto che uno stato socialista ricco debba necessariamente accettare di mettere in comune le proprie risorse con un altro stato socialista molto più povero, per il solo fatto che in esso vige un regime interno analogo al proprio. L'abolizione delle frontiere politiche ed economiche fra stato e stato non discende dunque necessariamente dall'instaurazione contemporanea di un dato regime interno in ciascuno stato; ma è un problema a sé stante, che va aggredito con mezzi propri e ad esso attagliantisi. Non si può essere socialisti, è vero, senza essere insieme internazionalisti; ma ciò per un legame ideologico, più che per una necessità politica ed economica; e dalla vittoria socialista nei singoli stati non discende necessariamente lo stato internazionale. 2) Ciò che spingeva inoltre ad accentuare in modo autonomo la tesi federalista, era il fatto che i partiti politici esistenti, legati ad un passato di lotte combattute nell'ambito di ciascuna nazione, sono avvezzi, per consuetudine e per tradizione, a porsi tutti i problemi partendo dal tacito presupposto dell'esistenza dello stato nazionale, ed a considerare i problemi dell'ordinamento internazionale come questioni di «politica estera», da risolversi mediante azioni diplomatiche e accordi fra i vari governi. Questo atteggiamento è in parte causa, in parte conseguenza di quello prima accennato, secondo cui, una volta afferrate le redini di comando nel proprio paese, l'accordo e l'unione con regimi affini in altri paesi è cosa che viene da sé, senza bisogno di dar luogo ad una lotta politica a ciò espressamente dedicata. Negli autori dei presenti scritti si era invece radicata la convinzione che chi voglia proporsi il problema dell'ordinamento internazionale come quello centrale dell'attuale epoca storica, e consideri la soluzione di esso come la premessa necessaria per la soluzione di tutti i problemi istituzionali, economici, sociali che si impongono alla nostra società, debba di necessità considerare da questo punto di vista tutte le questioni riguardanti i contrasti politici interni e l'atteggiamento di ciascun partito, anche riguardo alla tattica e alla strategia 160 E. Colorni, Prefazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 nella lotta quotidiana. Tutti i problemi, da quello delle libertà costituzionali a quello della lotta di classe, da quello della pianificazione a quello della presa del potere e dell'uso di esso, ricevono una nuova luce se vengono posti partendo dalla premessa che la prima mèta da raggiungere è quella di un ordinamento unitario nel campo internazionale. La stessa manovra politica, l'appoggiarsi all'una od all'altra delle forze in giuoco, l'accentuare l'una o l'altra parola d'ordine, assume aspetti ben diversi, a seconda che si consideri come scopo essenziale la presa del potere e l'attuazione di determinate riforme nell'ambito di ciascun singolo stato, oppure la creazione delle premesse economiche, politiche, morali per la instaurazione di un ordinamento federale che abbracci tutto il continente. 3) Un altro motivo ancora - e forse il più importante - era costituito dal fatto che l'ideale di una federazione europea, preludio di una federazione mondiale, mentre poteva apparire lontana utopia ancora qualche anno fa, si presenta oggi, alla fine di questa guerra, come una mèta raggiungibile e quasi a portata di mano. Nel totale rimescolamento di popoli che questo conflitto ha provocato in tutti i paesi soggetti all'occupazione tedesca, nella necessità di ricostruire su basi nuove una economia quasi totalmente distrutta, e di rimettere sul tappeto tutti i problemi riguardanti i confini politici, le barriere doganali, le minoranze etniche ecc.; nel carattere stesso di questa guerra, in cui l'elemento nazionale è stato così spesso sopravanzato dall'elemento ideologico, in cui si sono visti piccoli e medi stati rinunziare a gran parte della loro sovranità a favore degli stati più forti, e in cui da parte degli stessi fascisti il concetto di «spazio vitale» si è sostituito a quello di «indipendenza nazionale»; in tutti questi elementi sono da ravvisare dei dati che rendono attuale come non mai, in questo dopoguerra, il problema dell'ordinamento federale dell'Europa. Forze provenienti da tutte le classi sociali, per motivi sia economici sia ideali, possono essere interessate ad esso. Ad esso ci si potrà avvicinare per via di trattative diplomatiche e per via di agitazione popolare; promuovendo fra le classi colte lo studio dei problemi ad esso attinenti, e provocando stati di fatto rivoluzionari, avvenuti i quali non sia più possibile tornare indietro; influendo sulle sfere dirigenti degli stati vincitori, ed agitando negli stati vinti la parola che solo in una Europa libera e unita essi possono trovare la loro salvezza ed evitare le disastrose conseguenze della sconfitta. Appunto per questo è sorto il nostro Movimento. È la preminenza, l'anteriorità di questo problema rispetto a tutti quelli che si impongono nell'epoca in cui ci stiamo inoltrando; è la sicurezza che, se lasceremo risolidificare la situazione nei vecchi stampi nazionalistici, l'occasione sarà persa per sempre, e nessuna pace e benessere duraturo ne potrà avere il nostro continente; è tutto questo che ci ha spinto a 161 E. Colorni, Prefazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 creare un'organizzazione autonoma, allo scopo di propugnare l'idea della Federazione Europea come mèta realizzabile nel prossimo dopoguerra. Non ci nascondiamo le difficoltà della cosa, e la potenza delle forze che opereranno nel senso contrario; ma è la prima volta, crediamo, che questo problema si pone sul tappeto della lotta politica, non come un lontano ideale, ma come una impellente, tragica necessità. Il nostro Movimento, che vive oramai da circa due anni della difficile vita clandestina sotto l'oppressione fascista e nazista; i cui aderenti provengono dalle file dei militanti dell'antifascismo e sono tutti in linea nella lotta armata per la libertà; che ha già pagato il suo duro contributo di carcere per la causa comune; il nostro Movimento non è e non vuol essere un partito politico. Così come si è venuto sempre più nettamente caratterizzando, esso vuole operare sui vari partiti politici e nell'interno di essi, non solo affinché l'istanza internazionalista venga accentuata, ma anche e principalmente affinché tutti i problemi della sua vita politica vengano impostati partendo da questo nuovo angolo visuale, a cui finora sono stati così poco avvezzi. Non siamo un partito politico perché, pur promuovendo attivamente ogni studio riguardante l'assetto istituzionale, economico, sociale della Federazione Europea, e pur prendendo parte attiva alla lotta per la sua realizzazione e preoccupandoci di scoprire quali forze potranno agire in favore di essa nella futura congiuntura politica, non vogliamo pronunciarci ufficialmente sui particolari istituzionali, sul grado maggiore o minore di collettivizzazione economica, sul maggiore o minore decentramento amministrativo ecc. ecc., che dovranno caratterizzare il futuro organismo federale. Lasciamo che nel seno del nostro movimento questi problemi vengano ampiamente e liberamente discussi, e che tutte le tendenze politiche, da quella comunista a quella liberale, siano presso di noi rappresentate. Di fatto, i nostri aderenti militano quasi tutti in qualcuno dei partiti politici progressivi: tutti si accordano nel propugnare quelli che sono i principii basilari di una libera federazione europea, non basata su egemonie di sorta, né su ordinamenti totalitari, e dotata di quella solidità strutturale che non la riduca ad una semplice Società delle Nazioni. Tali principi si possono riassumere nei seguenti punti: esercito unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all'emigrazione tra gli stati appartenenti alla Federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali, politica estera unica. In questi due anni di vita, il nostro Movimento si è largamente diffuso fra i gruppi ed i partiti politici antifascisti. Alcuni di essi ci hanno espresso pubblicamente la loro adesione e la loro simpatia. Altri ci hanno chiamato a collaborare alle loro formulazioni programmatiche. Non è forse presuntuoso dire che è in parte merito nostro, se i problemi della Federazione Europea 162 E. Colorni, Prefazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 vengono così spesso trattati nella stampa clandestina italiana. Il nostro giornale, «L'Unità Europea», segue con attenzione gli avvenimenti della politica interna ed internazionale, prendendo posizione di fronte ad essi con assoluta indipendenza di giudizio. I presenti scritti, frutto dell'elaborazione di idee che ha dato luogo alla nascita del nostro Movimento, non rappresentano però che l'opinione dei loro autori, e non costituiscono affatto una presa di posizione del Movimento stesso. Vogliono solo essere una proposizione di temi di discussione a coloro che vogliono ripensare tutti i problemi della vita politica internazionale tenendo conto delle più recenti esperienze ideologiche e politiche, dei risultati più aggiornati della scienza economica, delle più sensate e ragionevoli prospettive per l'avvenire. Saranno presto seguiti da altri studi. Il nostro augurio è che possano suscitare fermento di idee; e che, nella presente atmosfera arroventata dall'impellente necessità dell'azione, portino un contributo di chiarificazione che renda l'azione sempre più decisa, cosciente e responsabile. Il Movimento italiano per la federazione europea Roma, 22 Gennaio 1944 163 E. Colorni, Prefazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Per un'Europa libera e unita. Progetto d'un Manifesto Ventotene, 1941 Altiero Spinelli, Ernesto Rossi I. La crisi della civiltà moderna La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero. 1°) Si è affermato l'eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo, individuato dalle sue caratteristiche etniche, geografiche, linguistiche e storiche, doveva trovare nell'organismo statale creato per proprio conto, secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore i suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo. L'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l'oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere entro il territorio di ciascun nuovo stato alle popolazioni più arretrate le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava però in sé i germi dell'imperialismo capitalista, che la nostra generazione ha visto ingigantire, sino alla formazione degli stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali. La nazione non è ora più considerata come lo storico prodotto della convivenza di uomini che, pervenuti grazie ad un lungo processo ad una maggiore unità di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana; è invece divenuta un'entità divina, un 164 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possano risentirne. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente minacciato dalla potenza degli altri e considera suo «spazio vitale» territori sempre più vasti, che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza, senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquetarsi che nella egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti. In conseguenza di ciò, lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi tenuti a servizio, con tutte le facoltà per renderne massima l'efficienza bellica. Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai in molti paesi su quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi: la scuola, la scienza, la produzione, l'organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e all'odio verso gli stranieri, le libertà individuali si riducono a nulla, dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestare servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la famiglia, l'impiego, gli averi, ed a sacrificare la vita stessa per obbiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore; in poche giornate vengono distrutti i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo. Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più coerente l'unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono perciò dimostrati gli organismi più adatti all'odierno ambiente internazionale. Basta che una nazione faccia un passo in avanti verso un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre trascinate nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere. 2°) Si è affermato l'eguale diritto di tutti i cittadini alla formazione della volontà dello stato. Questa doveva così risultare la sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte le categorie sociali liberamente espresse. Tale organizzazione politica ha permesso di correggere o almeno di attenuare molte delle più stridenti ingiustizie ereditarie dei regimi passati. Ma la libertà di stampa e di associazione, e la progressiva estensione del suffragio, rendevano sempre più difficile la difesa dei vecchi privilegi, mantenendo il sistema rappresentativo. I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di questi strumenti per dare l'assalto ai diritti acquisiti dalle classi abbienti; le imposte sociali sui redditi non guadagnati e sulle successioni, le aliquote progressive 165 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 sulle maggiori fortune, la esenzione dei redditi minimi e dei beni di prima necessità, la gratuità della scuola pubblica, l'aumento delle spese di assistenza e di previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle fabbriche, minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate cittadelle. Anche i ceti privilegiati che avevano consentito all'eguaglianza dei diritti politici, non potevano ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di realizzare quell'uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva libertà. Quando, dopo la fine della prima guerra mondiale, la minaccia divenne troppo grave, fu naturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero l'instaurazione delle dittature, che toglievano le armi legali di mano ai loro avversari. D'altra parte la formazione di giganteschi complessi industriali e bancari e di sindacati riunenti sotto un'unica direzione interi eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo stato stesso in tante baronie economiche in acerba lotta fra loro. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si servivano per meglio sfruttare l'intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo le libertà popolari, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere. Di fatto, poi, i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione delle varie categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed hanno precluso col controllo poliziesco di tutta la vita dei cittadini e con la violenta eliminazione di tutti i dissenzienti, ogni possibilità legale di ulteriore correzione dello stato di cose vigenti. Si è così assicurata l'esistenza del ceto assolutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti e dei redditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo nel tagliare le cedole dei loro titoli; dei ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i consumatori, e fanno volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori; dei plutocrati che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l'apparenza del perseguimento dei superiori interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria delle grandi masse, escluse da ogni possibilità di godere i frutti della moderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le riserve materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto, 166 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle possibilità proletarie resta così ridotto, che per vivere i lavoratori sono spesso costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi possibilità di impiego. Per tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i sindacati sono stati trasformati, da liberi organismi di lotta, diretti da individui che godevano la fiducia degli associati, in organi di sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di impiegati scelti dal gruppo governante e verso esso solo responsabili. Se qualche correzione viene fatta a un tale regime economico, è sempre solo dettata dalle esigenze del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie aspirazioni dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli stati totalitari. 3°) Contro il dogmatismo autoritario, si è affermato il valore permanente dello spirito critico. Tutto quello che veniva asserito, doveva dare ragione di sé o scomparire. Alla metodicità di questo spregiudicato atteggiamento, sono dovute le maggiori conquiste della nostra società in ogni campo. Ma questa libertà spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli stati totalitari. Nuovi dogmi da accettare per fede, o da accettare ipocritamente, si stanno accampando da padroni in tutte le scienze. Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza, e le più elementari nozioni storiche ne facciano risultare l'assurdità, si esige dai fisiologi di credere, dimostrare e convincere che si appartiene ad una razza eletta, solo perché l'imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare nelle masse l'odio e l'orgoglio. I più evidenti concetti della scienza economica debbono essere considerati anatemi per presentare la politica autarchica, gli scambi bilanciati e gli altri ferri vecchi del mercantilismo, come straordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa della interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà moderna è tutto il globo; ma si è creata la pseudo scienza della geopolitica, che vuol dimostrare la consistenza della teoria degli spazi vitali, per dar veste teorica alla volontà di sopraffazione dell'imperialismo. La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell'interesse della classe governante. Le biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le opere non considerate ortodosse. Le tenebre dell'oscurantismo di nuovo minacciano di soffocare lo spirito umano. La stessa etica sociale della libertà e dell'eguaglianza è scalzata. Gli uomini non sono più considerati cittadini liberi, che si valgono dello stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello stato, che stabilisce quali debbano essere i loro fini, e come volontà dello stato viene senz'altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere. Gli uomini non sono più soggetti di diritto, ma, gerarchicamente disposti, sono tenuti ad 167 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 ubbidire senza discutere alle autorità superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato. Il regime delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri. Questa reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato in una serie di paesi, ha infine trovato nella Germania nazista la potenza che si è ritenuta capace di trarne le ultime conseguenze. Dopo una meticolosa preparazione, approfittando con audacia e senza scrupoli delle rivalità, degli egoismi, della stupidità altrui, trascinando al suo seguito altri stati vassalli europei - primo fra i quali l'Italia alleandosi col Giappone, che persegue fini identici in Asia, essa si è lanciata nell'opera di sopraffazione. La sua vittoria significherebbe il definitivo consolidamento del totalitarismo nel mondo. Tutte le sue caratteristiche sarebbero esasperate al massimo, e le forze progressive sarebbero condannate per lungo tempo ad una semplice opposizione negativa. La tradizionale arroganza ed intransigenza dei ceti militari tedeschi può già darci un'idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio, dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi, vittoriosi, potrebbero anche permettersi una lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell'umanità in Spartiati ed Iloti. Anche una soluzione di compromesso tra le parti in lotta, significherebbe un ulteriore passo innanzi del totalitarismo, poiché tutti i paesi che fossero sfuggiti alla stretta della Germania, sarebbero costretti ad adottare le sue stesse forme di organizzazione politica, per prepararsi adeguatamente alla ripresa della guerra. Ma la Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad uno gli stati minori, con la sua azione ha costretto forze sempre più potenti a scendere in lizza. La coraggiosa combattività della Gran Bretagna, anche nel momento più critico in cui era rimasta sola a tener testa al nemico, ha fatto sì che i tedeschi sieno andati a cozzare contro la strenua resistenza dell'esercito sovietico e ha dato tempo all'America di avviare la mobilitazione delle sue sterminate risorse produttive. E questa lotta contro l'imperialismo tedesco si è strettamente connessa con quella che il popolo cinese va conducendo contro l'imperialismo giapponese. Immense masse di uomini e di ricchezze sono già schierate contro le potenze totalitarie; le forze di queste potenze hanno raggiunto il loro culmine, e non possono ormai che consumarsi progressivamente. Quelle avverse hanno invece già superato il momento della massima depressione, e sono in ascesa. 168 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 La guerra degli alleati risveglia ogni giorno di più la volontà di liberazione, anche nei paesi che avevano soggiaciuto alla violenza ed erano stati smarriti per il colpo ricevuto; e persino risveglia tale volontà negli stessi popoli delle potenze dell'Asse, i quali si accorgono di essere trascinati in una situazione disperata, solo per soddisfare la brama di dominio dei loro padroni. Il lento processo, grazie al quale enormi masse di uomini si lasciavano modellare passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano e contribuivano così a consolidarlo, è arrestato; si è invece iniziato il processo contrario. In questa immensa ondata che lentamente si solleva, si ritrovano tutte le forze progressive, le parti più illuminate delle classi lavoratrici che non si sono lasciate distogliere dal terrore e dalle lusinghe nella loro aspirazione ad una superiore forma di vita; gli elementi più consapevoli dei ceti intellettuali, offesi dalla degradazione cui è sottoposta la intelligenza; imprenditori che, sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche e dalle autarchie nazionali, che impacciano ogni loro movimento; tutti coloro infine che, per un senso innato di dignità, non sanno piegar la spina dorsale nell'umiliazione della servitù. A tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà. 169 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 II. I compiti del dopoguerra. L’Unità Europea La sconfitta della Germania non porterebbe però automaticamente al riordinamento dell'Europa secondo il nostro ideale di civiltà. Nel breve intenso periodo di crisi generale (in cui gli stati giaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose le parole nuove e saranno materia fusa, ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capaci di accogliere la guida di uomini seriamente internazionalisti), i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali, cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni internazionaliste, e si daranno ostentatamente a ricostituire i vecchi organismi statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi, magari d'accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose in questo senso, per riprendere la politica dell'equilibrio dei poteri, nell'apparente immediato interesse dei loro imperi. Le forze conservatrici, cioè: i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali; i quadri superiori delle forze armate, culminanti, là dove ora esistono, nelle monarchie; quei gruppi del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie ecclesiastiche che solo da una stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito tutto l'innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che anche sono solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste forze reazionarie già fin da oggi sentono che l'edificio scricchiola, e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto finora, e le esporrebbe all'assalto delle forze progressiste. La situazione rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti La caduta dei regimi totalitari significherà sentimentalmente per interi popoli l'avvento della «libertà»; sarà scomparso ogni freno, ed automaticamente regneranno amplissime libertà di parola e di associazione. Sarà il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature, che vanno da un liberalismo molto conservatore fino al socialismo e all'anarchia. Credono nella «generazione spontanea» degli avvenimenti e delle istituzioni, nella bontà assoluta degli impulsi che vengono dal basso. Non vogliono forzare la mano alla «storia», al «popolo», al «proletariato » e come altro chiamano il loro Dio. Auspicano la fine delle dittature, immaginandola come la restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni è un'assemblea costituente, eletta col più esteso suffragio e col più 170 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 scrupoloso rispetto del diritto degli elettori, la quale decida che costituzione debba darsi. Se il popolo è immaturo, se ne darà una cattiva; ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione. I democratici non rifuggono per principio dalla violenza; ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sull'«i», sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali, che debbono essere solo ritoccate in aspetti relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nella rivoluzione russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi. In tali situazioni, caduto il vecchio apparato statale, colle sue leggi e la sua amministrazione, pullulano immediatamente, con sembianze di vecchia legalità, o sprezzandola, una quantità di assemblee e rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni fondamentali bisogni da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie. Con i suoi milioni di teste non riesce ad orientarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta fra loro. Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni. Pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare. Perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono una lunga preparazione, e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà di rinnovamento, ma le confuse velleità regnanti in tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo della reazione. La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria. Man mano che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima popolarità di assertori della libertà, mancando ogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pretotalitarie, e la lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi della contrapposizione delle classi. Il principio secondo il quale la lotta di classe è il termine cui van ridotti tutti i problemi politici, ha costituito la direttiva fondamentale specialmente degli 171 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 operai delle fabbriche, ed ha giovato a dare consistenza alla loro politica, finché non erano in questione le istituzioni fondamentali; ma si converte in uno strumento di isolamento del proletariato, quando si imponga la necessità di trasformare l'intera organizzazione della società. Gli operai, educati classisticamente, non sanno allora vedere che le loro particolari rivendicazioni di classe, o addirittura di categoria, senza curarsi del come connetterle con gli interessi degli altri ceti; oppure aspirano alla unilaterale dittatura della loro classe, per realizzare l'utopistica collettivizzazione di tutti gli strumenti materiali di produzione, indicata da una propaganda secolare come il rimedio sovrano di tutti i loro mali. Questa politica non riesce a far presa su nessun altro strato, fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze progressive del loro sostegno, o le lasciano cadere in balìa della reazione che abilmente le organizza per spezzare le reni allo stesso movimento proletario. Fra le varie tendenze proletarie, seguaci della politica classista e dell'ideale collettivista, i comunisti hanno riconosciuta la difficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere, e per ciò si sono - a differenza degli altri partiti popolari - trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta il mito russo per organizzare gli operai, ma non prende legge da essi e li utilizza nelle più disparate manovre. Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma, tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie - col predicare che la loro «vera» rivoluzione è ancora da venire - costituiscono, nei momenti decisivi, un elemento settario che indebolisce il tutto. Inoltre, la loro assoluta dipendenza dallo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati per il perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di svolgere alcuna politica con un minimo di continuità. Hanno sempre bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un Negrin, per andare poi facilmente in rovina insieme con i fantocci democratici adoperati; poiché il potere si consegue e mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacità di rispondere in modo organico e vitale alla necessità della società moderna. Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie. Gli stati nazionali hanno infatti già così profondamente pianificato le rispettive economie, che la questione centrale diverrebbe ben presto quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioè quale classe dovrebbe detenere le leve di comando del piano. Il fronte delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa fra classi e categorie economiche. Con la maggiore probabilità i reazionari sarebbero coloro che ne trarrebbero profitto. 172 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che han saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà saper collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, e in genere con quanti cooperino alla disgregazione del totalitarismo; ma senza lasciarsi irretire dalla prassi politica di nessuna di esse. Le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati, si proclameranno amanti della libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuate dietro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati, convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovranno fare i conti. Il punto sul quale esse cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal modo possono anche sperare di più facilmente confondere le idee degli avversari, dato che per le masse popolari l'unica esperienza politica finora acquisita è quella svolgentesi entro l'ambito nazionale, ed è perciò abbastanza facile convogliare sia esse che i loro capi più miopi sul terreno della ricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera. Se questo scopo venisse raggiunto, la reazione avrebbe vinto. Potrebbero pure questi stati essere in apparenza largamente democratici e socialisti; il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo. Risorgerebbero le gelosie nazionali, e ciascuno stato di nuovo riporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza delle armi. Compito precipuo tornerebbe ad essere a più o meno breve scadenza quello di convertire i popoli in eserciti. I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti a profittare delle autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzirebbero in un nulla, di fronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra. Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Il crollo della maggior parte degli stati del continente sotto il rullo compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei popoli europei, che, o tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti insieme entreranno, con la caduta di questo, in una crisi rivoluzionaria in cui non si troveranno irrigiditi e distinti in soli de strutture statali. Gli spiriti sono già ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell'Europa. La dura esperienza degli ultimi decenni ha aperto gli occhi anche a 173 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 chi non voleva vedere, ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale. Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un equilibrio di stati europei indipendenti, con la convivenza della Germania militarista a parità di condizioni degli altri paesi, né si può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta che sia vinta. Alla prova, è apparso evidente che nessun paese in Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a niente valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. È ormai dimostrata l'inutilità, anzi la dannosità di organismi sul tipo della Società delle Nazioni, che pretendeva di garantire un diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni, e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente - tracciato dei confini nelle zone di popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc. - che troverebbe nella Federazione Europea la più semplice soluzione - come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte della più vasta unità nazionale avendo perso la loro acredine, col trasformarsi in problemi di rapporti fra le diverse provincie. D'altra parte, la fine del senso di sicurezza dato dalla inattaccabilità della Gran Bretagna, che consigliava agli inglesi la «splendid isolation», la dissoluzione dell'esercito e della stessa repubblica francese al primo serio urto delle forze tedesche (risultato che è da sperare abbia di molto smorzata la convinzione sciovinista dell'assoluta superiorità gallica) e specialmente la coscienza della gravità del pericolo corso di generale asservimento, sono tutte circostanze che favoriranno la costituzione di un regime federale, che ponga fine all'attuale anarchia. E il fatto che l'Inghilterra abbia ormai accettato il principio dell'indipendenza indiana, e la Francia abbia potenzialmente perduto col riconoscimento della sconfitta tutto il suo impero, rendono più agevole trovare anche una base di accordo per una sistemazione europea nei possedimenti coloniali. A tutto ciò va aggiunta infine la scomparsa di alcune delle principali dinastie, e la fragilità delle basi che sostengono quelle superstiti. Va tenuto conto infatti che le dinastie, considerando i diversi paesi come proprio tradizionale appannaggio, rappresentavano, con i poderosi interessi di cui eran l'appoggio, un serio ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti d'Europa, i 174 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 quali non possono poggiare che sulla costituzione repubblicana di tutti i paesi federati. E quando, superando l'orizzonte del Vecchio Continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l'umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l'unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l'unità politica dell'intero globo. La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale - e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità - e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come strumento per realizzare l'unità internazionale. Con la propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami fra i singoli movimenti che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre sin d'ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari; abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l'autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli. Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, poiché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera. Essi avranno di fronte partiti e tendenze già tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell'ultimo ventennio. Poiché sarà l'ora di opere nuove, sarà anche l'ora di uomini nuovi: del MOVIMENTO PER L'EUROPA LIBERA ED UNITA. 175 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 III. I compiti del dopoguerra. La riforma della società Un'Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l'era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era farà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l'attuazione saranno crollate o crollanti; e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita. La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell'economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista; ma, una volta realizzata in pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell'economia. Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma - come avviene per le forze naturali - essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne sieno vittime. Le gigantesche forze di progresso che scaturiscono dall'interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica routinière per trovarsi poi di fronte all'insolubile problema di resuscitare lo spirito d'iniziativa con le differenziazioni nei salari, e con gli altri provvedimenti del genere; quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore opportunità di sviluppo e di impiego, e contemporaneamente vanno consolidati e perfezionati gli argini che le convogliano verso gli obbiettivi di maggiore vantaggio per tutta la collettività. La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale, anche nella coscienza dei 176 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 lavoratori. Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al presupposto ormai indispensabile dell'unità europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti: a) Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un'attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori; ad esempio le industrie elettriche, le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo ma che, per reggersi, hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l'esempio più notevole di questo tipo d'industria sono finora in Italia le siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l'importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa (Es.: industrie minerarie, grandi istituti bancari, grandi armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz'altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti. b) Le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione, hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi la coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l'azionariato operaio ecc. c) I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare le possibilità effettive di proseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare in ogni branca di studi, per l'avviamento ai diversi mestieri e alle diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi press'a poco eguali per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze fra le rimunerazioni nell'interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali. d) La potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima necessità, con la tecnica moderna, permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l'alloggio e il vestiario, col minimo di conforto necessario per conservare il senso della dignità umana. La 177 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 solidarietà umana verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica, non dovrà, per ciò, manifestarsi con le forme caritative sempre avvilenti e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori. e) La liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere in balìa della politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici anzitutto del grande capitale. I lavoratori debbono tornare ad essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le condizioni cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire l'osservanza dei patti conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente combattute, una volta che sieno realizzate quelle trasformazioni sociali. Questi sono i cambiamenti necessari per creare intorno al nuovo ordine un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento, e per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi, le libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto, e non solo formale, per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un continuo ed efficace controllo sulla classe governante. Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarsi, poiché, non potendosi prevedere le condizioni in cui dovranno sorgere ed operare, non faremmo che ripetere quel che tutti già sanno sulla necessità di organi rappresentativi, sulla formazione delle leggi, sull'indipendenza della magistratura che prenderà il posto dell'attuale per l'applicazione imparziale delle leggi emanate, sulla libertà di stampa e di associazione per illuminare l'opinione pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare effettivamente alla vita dello stato. Su due sole questioni è necessario precisare meglio le idee, per la loro particolare importanza in questo momento nel nostro paese: sui rapporti dello stato con la chiesa e sul carattere della rappresentanza politica: a) Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l'alleanza col fascismo andrà senz'altro abolito per affermare il carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno essere egualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei culti. b) La baracca di cartapesta che il fascismo ha costituito con l'ordinamento corporativo cadrà in frantumi insieme alle altre parti dello stato totalitario. C'è 178 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 chi ritiene che da questi rottami si potrà domani trarre il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi non lo crediamo. Negli stati totalitari, le camere corporative sono la beffa che corona il controllo poliziesco sui lavoratori. Se anche però le camere corporative fossero la sincera espressione delle diverse categorie dei produttori, gli organi di rappresentanza delle diverse categorie professionali non potrebbero mai essere qualificati per trattare questioni di politica generale, e nelle questioni più propriamente economiche diverrebbero organi di sopraffazione delle categorie sindacalmente più potenti. Ai sindacati spetteranno ampie funzioni di collaborazione con gli organi statali incaricati di risolvere i problemi che più direttamente li riguardano, ma è senz'altro da escludere che ad essi vada affidata alcuna funzione legislativa, poiché risulterebbe un'anarchia feudale nella vita economica, concludentesi in un rinnovato dispotismo politico. Molti che si sono lasciati prendere ingenuamente dal mito del corporativismo, potranno e dovranno essere attratti all'opera di rinnovamento; ma occorrerà che si rendano conto di quanto assurda sia la soluzione da loro confusamente sognata. Il corporativismo non può avere vita concreta che nella forma assunta dagli stati totalitari, per irreggimentare i lavoratori sotto funzionari che ne controllino ogni mossa nell'interesse della classe governante. Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri generali e nelle prime direttive d'azione. Esso non deve rappresentare una massa eterogenea di tendenze, riunite solo negativamente e transitoriamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice attesa della caduta del regime totalitario, pronte a disperdersi ciascuna per la sua strada, una volta raggiunta quella meta. Il partito rivoluzionario sa invece che solo allora comincerà veramente la sua opera; e deve perciò essere costituito da uomini che si trovino d'accordo sui principali problemi del futuro. Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque vi sieno degli oppressi dell'attuale regime, e, prendendo come punto di partenza il problema volta a volta sentito come più doloroso dalle singole persone e classi, mostrare come esso si connette con altri problemi, e quale possa esserne la vera soluzione. Ma dalla sfera via via crescente dei suoi simpatizzanti deve attingere e reclutare nell'organizzazione del movimento solo coloro che hanno fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita; che disciplinatamente realizzino giorno per giorno il necessario lavoro, provvedano oculatamente alla sicurezza continua ed efficace di esso, anche nelle situazioni di più dura illegalità, e costituiscano così la solida rete che dà consistenza alla più labile sfera dei simpatizzanti. 179 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua parola, esso deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo a quegli ambienti che sono più importanti come centro di diffusione di idee e come centro di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto verso i due gruppi sociali più sensibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di domani; vale a dire la classe operaia e i ceti intellettuali. La prima è quella che meno si è sottomessa alla ferula totalitaria, e che sarà la più pronta a riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali, particolarmente i più giovani, sono quelli che si sentono spiritualmente più soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Man mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento generale. Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di queste forze, è condannato alla sterilità; poiché, se movimento di soli intellettuali, sarà privo della forza di massa necessaria per travolgere le resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffidato rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da sentimenti democratici, proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà, sul terreno della mobilitazione di tutte le altre classi contro gli operai, cioè verso una restaurazione fascista. Se poggerà solo sul proletariato, sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici da per tutto, e sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista. Durante la crisi rivoluzionaria, spetta a questo movimento organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le masse rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate. Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell'ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle informi masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia. Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sboccare in un rinnovato dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo, fin dai primissimi passi, le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano partecipare veramente alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento, di istituzioni politiche libere. 180 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge, così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie fra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell'attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l'eredità di tutti i movimenti di elevazione dell'umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà! Altiero Spinelli - Ernesto Rossi 181 A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 La leçon du Manifeste de Ventotene dans la culture européenne française par Gianfranco Rubino Les célébrations du centenaire de la naissance de ce grand précurseur qu’a été Altiero Spinelli offrent l’occasion de mesurer le chemin parcouru par la cause européenne depuis le Manifeste de Ventotene et la fin de la guerre. L’existence actuelle de l’Union européenne et de tout un appareil institutionnel qui administre et coordonne les activités d’une bonne partie de notre continent confirme l’ampleur et la lucidité des perspectives théorisées par Spinelli. Les éloges qui lui sont adressés présentent souvent ce dernier comme un grand visionnaire. C’est là une bonne définition si l’on entend par ce terme la capacité de concevoir au-delà de l’existant les horizons d’un état futur de la société. Mais il ne faut pas considérer «le mot “visionnaire”» comme synonyme d’«utopiste». Le diagnostic de Spinelli à propos des responsabilités des États-nations dans l’éclatement de la seconde guerre mondiale pouvait être tenu pour parfaitement fondé. À plus forte raison, le dépassement des nationalismes constituait une prémisse indispensable de la paix au sein du vieux continent. Certes, la construction européenne d’aujourd’hui ne coïncide pas avec l’État fédéral auquel Spinelli songeait; mais les raisons de ce décalage tiennent à plusieurs facteurs historiques, souvent imprévisibles à l’époque. Même aujourd’hui, la globalisation et la persistance tenace d’intérêts nationaux et locaux posent des problèmes que l’on ne saurait sous-estimer. Cette perspective unitaire de l’Europe a ses antécédents dans un passé culturel et politique qui concerne entre autres un pays qui est au centre même du continent, à savoir la France. Sans remonter plus loin, il faudrait rappeler à quel point celle qu’on appela la République des lettres au XVIIe siècle traçait l’idéal d’une communauté internationale d’hommes sages et cultivés, capables de faire avancer la connaissance par leur collaboration. Le père idéal de cette conception, dont témoignent les correspondances érudites et scientifiques du XVIIe et du XVIIIe, était bien Descartes, tandis que Pierre Bayle sut imprimer à ce réseau d’échanges un potentiel de divulgation et de développement grâce à son journal «Nouvelles de la République des lettres». S’il s’agissait là (de tout façon) des dialogues d’une lumières au XVIIIe siècle étendait les pouvoirs de la réflexion intellectuelle et morale à des horizons bien plus vastes et à des possibilités d’application pratique et politique beaucoup plus immédiates. On 182 G. Rubino, La leçon du Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 sait quel a été le rôle des Rousseau, des Voltaire, des Montesquieu, des Diderot… Si le XIXe siècle, en tant qu’apogée des revendications nationales, a démenti ces attitudes (mais le 17 juillet 1851 son discours à l’Assemblée législative, lors du débat sur la révision de la Constitution, Victor Hugo préconisait «cet immense édifice de l’avenir, qui s’appellera un jour les États Unis d’Europe»), il est sûr que le XXe siècle, à cause des tragédies qui l’ont traversé, a dû reproposer la problématique européenne à plusieurs niveaux: sur le plan culturel, des écrivains comme Paul Valéry et Jules Romains, auteur d’un magnifique poème «Europe» au lendemain de la première guerre mondiale et d’essais spécifiques sur le même sujet, ont réfléchi sur les perspectives de notre continent. Au lendemain des ravages de la seconde guerre mondiale, “Éducation européenne” de Romain Gary lançait un appel, au-delà de toute rancune, à la fraternité humaine et culturelle des peuples d’Europe. On sait que dans le domaine politique l’itinéraire de Spinelli a rencontré la France à plusieurs reprises. En 1944 ce fut grâce à l’appui de Jean- Marie Soutou, représentant de la France libre, que le CFFE (Comité Français pour la Fédération Européenne) donna son adhésion à l’institution d’une fédération européenne. En avril 1944, lors d’une réunion internationale très importante organisée à Paris, à laquelle participèrent Vincent Auriol, André Philip, Henri Frenay, Albert Camus, où Spinelli et d’autres fondèrent le Comité International pour la Fédération européenne. Pour de multiples raisons, la suite n’a pas été linéaire, comme l’on sait. En 1954, à la grande déception de Spinelli, le projet d’une Communauté européenne de défense (CED) fut rejeté par le Parlement français. Tout récemment, Valéry Giscard d’Estaing a dirigé l’élaboration d’un Traité constitutionnel, qui n’a été ratifié ni par la France ni par la Hollande. Mais des hommes politiques français ont participé de façon décisive aux différentes étapes de la construction européenne: Robert Schumann, qui participa en 1950 à la création de la CECA, Jean Monnet, préconisateur lui aussi de la CECA et fondateur en 1955 du Comité d’action pour les États-Unis d’Europe, Simone Veil, premier président du Parlement européen élu directement par les citoyens, Jacques Delors, président de la Commission exécutive de la Communauté européenne de 1985 à 1995, décennie capitale pour l’élargissement et le renforcement de l’intégration. L’élaboration d’une convention constitutionnelle plus agile, ayant débouché sur le traité de Lisbonne, a permis de surmonter l’impasse rencontrée par le projet précédent. Il est légitime de souhaiter que les processus historiques en cours, dans un monde aussi complexe que celui d’aujourd’hui, aillent dans la direction d’une unification de plus en plus substantielle. 183 G. Rubino, La leçon du Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Préface d’Eugenio Colorni (Rome 1944) Les présents écrits ont été élaborés et rédigés sur l’île de Ventotene, au cours des années 1941-1942. C’est dans ce climat d’exception, à travers les mailles d’une rigoureuse discipline, par le canal d’une information que l’on tentait au moyen de mille ruses de rendre la plus complète possible, que quelques esprits - partagés entre un sentiment de tristesse dû à l’inertie forcée et l’attente impatiente d’une prochaine libération - mûrissaient une nouvelle réflexion sur l’ensemble des problématiques qui avaient été à l’origine aussi bien de l’action menée que du comportement adopté dans la lutte. L’éloignement de la vie politique concrète offrait l’occasion d’un regard plus détaché, de même qu’il invitait à revoir les positions traditionnelles en s’interrogeant sur les échecs passés, dont les raisons étaient moins à rechercher dans les erreurs d’ordre technique de stratégie parlementaire ou révolutionnaire, ou encore dans l’“immaturité” globale de la situation, que dans les maladresses de l’organisation générale et dans la lutte engagée selon les lignes de rupture habituelles sans tenir suffisamment compte des nouvelles modalités qui étaient en train de transformer la réalité. Pour s’apprêter à combattre efficacement la grande bataille qui s’annonçait dans un avenir fort proche, il fallait non seule ment corriger les erreurs du passé, mais encore reformuler les termes des diverses problématiques politiques, en ayant l’esprit libre de tout préjugé doctrinal et de toute mythologie de parti. C’est ainsi que, dans l’esprit de quelques-uns, a fait son chemin l’idée que la contradiction fondamentale, à l’origine des crises, des guerres et des injustices qui affligent notre société, tient à l’existence d’États souverains, géographiquement, économiquement et militairement affermis, qui considèrent les autres États comme des rivaux ou de potentiels ennemis et qui instaurent les uns par rapport aux autres des relations de perpetuo bellum omnium contra omnes. Certes, l’idée n’était nullement inédite en soi. Mais, dans le contexte et les circonstances où elle voyait le jour, elle prenait une allure de nouveauté. À cela, plusieurs raisons: 1) Tout d’abord, la solution internationaliste, commune aux programmes de tous les partis politiques progressistes, est considérée dans une certaine mesure par ces mêmes partis comme la conséquence obligée et quasi automatique de la réalisation des objectifs que chacun d’eux s’est fixés. Les 184 E. Colorni, Preéface Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 démocrates estiment que la mise en place, dans chaque pays, du régime qu’ils préconisent, favoriserait sûrement la naissance d’une conscience unitaire qui, tout en permettant d’abolir les frontières culturelles et mentales, devrait être le préambule indispensable d’après eux à une libre union entre les peuples, y compris dans les domaines politique et économique. Les socialistes, quant à eux, pensent que l’instauration, dans les différents États, de régimes fondés sur une didacture du prolétariat conduirait de par leur nature à un État collectiviste international. Or, une analyse du concept moderne d’État, tenant compte de l’ensemble des intérêts et des sentiments nationaux, montre clairement que les analogies entre les régimes, susceptibles de faciliter des rapports d’amitié et de collaboration entre les États, ne sont pas une garantie d’unification automatique, quand bien même progressive, tant que perdureront des intérêts et des sentiments collectifs liés au maintien d’une unité circonscrite à l’intérieur des frontières nationales. L’histoire nous a appris que des sentiments chauvinistes et des intérêts protectionnistes peuvent amener deux démocraties à l’antagonisme et au conflit. De même, rien n’oblige un État socialiste riche à accepter de mettre en commun ses propres ressources avec un autre État socialiste beaucoup plus pauvre, pour le simple fait que tous deux sont régis par des systèmes politiques analogues. L’abolition des frontières politiques et économiques entre les États ne ressortit donc pas nécessairement à l’instauration, dans tous les États à la fois, d’un même régime donné. C’est en réalité un problème à part qui demande à être affronté selon les modalités qui lui sont propres. Certes, on ne peut pas être des socialistes authentiques sans être dans le même temps internationalistes. Mais on l’est en vertu d’un lien idéologique, plus que par nécessité politique et économique, si bien que la victoire socialiste dans chaque État n’aboutit pas forcément à un État international. 2) Ensuite, ce qui amenait à renforcer de manière autonome la thèse fédéraliste était le fait que les partis politiques existants, liés à un passé de luttes engagées à un niveau national, sont habitués, par coutume et par tradition, à poser toutes les problématiques en partant du présupposé implicite qu’est l’existence de l’État national et à considérer les problématiques relatives à une organisation internationale comme des questions de «politique étrangère» qu’il convient de résoudre par la voie diplomatique et par le biais d’accords entre les divers gouvernements. Cette attitude est à la fois la cause et la conséquence de l’attitude évoquée plus haut, selon laquelle on considère qu’après avoir pris les rênes du pouvoir, l’accord et l’union entre régimes ayant des affinités sont naturels, sans que soit nécessaire un combat politique expressément engagé dans ce but. 185 E. Colorni, Preéface Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Dans l’esprit des auteurs des textes ici rassemblés, s’est au contraire profondément ancrée la conviction que la question d’un système international ne peut devenir la question centrale de notre époque historique et être tenue pour un préliminaire obligé dans la résolution de tous les problèmes institutionnels, économiques et sociaux qui s’imposent à notre société, qu’à l’inéluctable condition de prendre en compte tous les aspects qu’impliquent les divergences politiques internes et les choix de chaque parti, y compris au plan des tactiques et des stratégies adoptées dans la lutte quotidienne. Toutes les problématiques, qu’il s’agisse de libertés constitutionnelles, de lutte des classes, de planification, de prise du pouvoir et d’exercice du pouvoir, bénéficient d’un éclairage nouveau si elles sont examinées en partant du principe que l’objectif prioritaire est la réalisation d’un système unitaire international. Les stratégies politiques, le fait de soutenir telle ou telle autre force en jeu et d’intensifier tel ou tel autre mot d’ordre, revêt des aspects bien différents selon que le but envisagé est la prise du pouvoir et la mise en place de réformes dans chacun des États nationaux ou la création des conditions économiques, politiques et morales fondamentales en vue d’instaurer un système fédéral qui puisse intéresser l’ensemble du continent. 3) La dernière raison - et sans doute la plus importante - dépend du fait que l’idéal d’une fédération européenne, en tant que prélude à une fédération mondiale, pouvant paraître encore une lointaine utopie il y a quelques années de cela, se présente aujourd’hui, à la fin de la guerre, comme un but réalisable, presque à portée de la main. Le total bouleversement que ce conflit a provoqué pour les populations de tous les pays soumis à l’occupation allemande, la nécessité de reconstruire sur de nouvelles bases une économie détruite dans sa presque totalité et de remettre à l’ordre du jour la question des frontières politiques, des barrières douanières, des minorités ethniques, etc., la singularité de cette guerre où l’élément national a été si souvent exas péré par la composante idéologique, où on a vu des États plus petits renoncer en grande partie à leur souveraineté au profit des États les plus forts et où les fascistes ont remplacé le concept d’«espace vital» par celui d’«indépendance nationale»: tous ces éléments rendent plus que jamais actuel, dans l’après-guerre, le problème de l’organisation d’un fédéralisme européen. Pour des raisons tant économiques qu’idéologiques, le fédéralisme pourra intéresser des forces issues de toutes les classes sociales. On s’en approchera aussi bien par la voie diplomatique que par des manifestations populaires, en promouvant d’une part au sein des classes cultivées une réflexion sur les problèmes relatifs au fédéralisme et, de l’autre, en provoquant une conjoncture révolutionnaire qui, une fois établie, rendra impossible tout retour en arrière; en cherchant d’une part à influencer les classes dirigeantes des États victorieux et, 186 E. Colorni, Preéface Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 de l’autre, en agitant dans les pays vaincus le mot d’ordre proclamant que seule une Europe libre et unie peut leur assurer le salut et leur éviter les dramatiques conséquences de la défaite. Notre Mouvement est né de ces exigences. La prééminence et l’antériorité de ce problème par rapport à tous ceux qui s’imposent en cette époque que nous nous apprêtons à vivre, la certitude que, si nous laissons la situation se figer dans les vieux moules nationalistes, l’occasion sera perdue pour toujours et que ni la paix ni aucun bonheur durable ne seront possibles pour notre continent, nous ont poussé à vouloir créer une orga nisation autonome, chargée de promouvoir l’idée d’une Fédération Européenne en tant qu’objectif réalisable dans l’immédiat après-guerre. Nous n’ignorons pas les difficultés d’un tel projet, ainsi que la puissance des forces qui opèrent en sens contraire. Mais c’est aussi la première fois que ce problème est selon nous placé à l’ordre du jour de la lutte politique, non pas comme un lointain idéal, mais comme un besoin tragique et urgent. Notre Mouvement, qui vit désormais depuis près de deux ans dans une clandestinité rendue extrêmement difficile par l’oppression fasciste et nazie, dont les membres proviennent des rangs de l’antifascisme et sont tous engagés dans la lutte armée pour la liberté, et qui a déjà payé son lourd tribut de prisonniers pour la cause commune, n’est pas et ne veut pas être un parti politique. Comme il l’a toujours plus nettement démontré, notre mouvement veut agir sur les différents partis politiques et au sein de chacun d’eux, non seulement pour en accentuer la composante internationaliste, mais aussi et surtout pour que tous les problèmes de la vie politique soient appréhendés à partir de ce nouveau point de vue auxquels ils ont été si peu habitués jusqu’à présent. Nous ne sommes pas un parti politique car, même si nous avons soin de promouvoir la réflexion sur l’organisation institutionnelle, économique et sociale de la Fédération Européenne et que nous prenons part activement à la lutte pour sa réalisation, notamment en essayant d’identifier les forces qui pourront agir en sa faveur dans la future conjoncture politique, nous ne voulons pas nous prononcer officiellement sur des questions d’ordre institutionnel, sur le degré plus ou moins élevé de collectivisation économique ou de décentralisation administrative, etc. qui devront caractériser le futur système fédéral. Nous préférons que ces problèmes soient amplement et librement débattus au sein de notre mouvement et que toutes les tendances politiques, de l’aile communiste à l’aile libérale, y soient représentées. De fait, nos adhérents militent presque tous dans un des partis politiques progressistes et tous s’accordent pour promouvoir les principes qu’ils considèrent comme les principes élémentaires d’une Fédération Européenne libre, fondée sur aucune 187 E. Colorni, Preéface Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 hégémonie ni sur aucun régime totalitaire et dotée de structures suffisamment solides pour ne pas être réduite à une simple Société des Nations. Ces principes peuvent se résumer par les points suivants: armée fédérale commune, unité monétaire, abolition des barrières douanières et des restrictions à la circulation des individus ressortissants des États membres de la Fédération, représentation directe des citoyens aux assemblées fédérales, politique étrangère commune. Au cours de ses deux années d’existence, notre Mouvement s’est largement étendu aux groupes et aux partis politiques antifascistes. Parmi eux, certains nous ont publiquement exprimé leur adhésion et sympathie. D’autres ont sollicité notre collaboration à l’établissement de leurs programmes. Et il n’est pas prétentieux de dire que si les problèmes de la Fédération Européenne sont si souvent traités dans la presse clandestine, le mérite nous en revient en partie. Notre journal «L’Unità Europea» suit avec attention les événements de politique intérieure et internationale et prend position sur ces questions avec une totale indépendance de jugement. Les présents écrits, fruit des idées qui ont donné naissance à notre Mouvement, n’expriment toutefois que les points de vue de leurs auteurs. Ils ne constituent donc en aucune manière une prise de position du Mouvement luimême. Ils veulent offrir des sujets de discussion à tous ceux qui veulent entamer une nouvelle réflexion sur l’ensemble des problèmes liés à la vie politique internationale, en tenant compte des expériences idéologiques et politiques les plus récentes, des tout derniers résultats fournis par les experts économiques, des perspectives pour l’avenir les plus sensées et les plus raisonnables, qui seront bientôt complétés par d’autres études ou analyses. Notre souhait est que ces réflexions puissent susciter une effervescence d’idées et apporter, en ce climat embrasé par l’urgence de l’action, les éclairages nécessaires pour que notre action soit toujours plus déterminée, consciente et responsable. Le Mouvement italien pour la fédération européenne Rome, le 22 janvier 1944 188 E. Colorni, Preéface Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Pour une Europe libre et unie. Projet d'un Manifeste Ventotene, 1941 Altiero Spinelli, Ernesto Rossi I. La Crise de la Civilisation Moderne La civilisation moderne a choisi comme fondement le principe de la liberté, en vertu duquel l’homme ne doit pas être pour autrui un simple instrument mais une entité de vie autonome. Eu égard à ce code, un processus historique grandiose s’est mis en place à tous les niveaux de la vie sociale qui ne s’y conformaient pas. 1) On a affirmé, pour toutes les nations, le droit à se constituer en États indépendants. Tout peuple, avec ses caractéristiques ethniques, géographiques, linguistiques et historiques propres, devait pouvoir trouver dans l’organisme de l’État dûment créé, suivant sa propre conception de la vie politique, un instrument apte à satisfaire au mieux ses exigences, en toute indépendance, sans aucune intervention étrangère. L’idéologie de l’indépendance nationale a été un puissant levain de progrès: elle a permis de dépasser les chauvinismes mesquins pour ouvrir à une plus vaste solidarité contre l’oppression des dominateurs étrangers; elle a levé bon nombre d’obstacles qui empêchaient la circulation des individus et des marchandises; à l’intérieur des frontières de chaque nouvel État, elle a étendu les institutions et les systèmes d’organisation des pays les plus avancés à ceux qui l’étaient le moins. Mais telle idéologie portait en son sein les germes de l’impérialisme capitaliste que notre génération a vu se développer jusqu’à former des États totalitaires et déchaîner des guerres mondiales. La nation n’est plus considérée à présent comme le produit historique de la cohabitation entre individus qui, parvenus au terme d’un long processus à une plus grande unité de moeurs et d’aspirations, trouvent dans l’État la forme 189 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 la plus efficace d’organisation de leur vie collective au sein de la société. La nation est devenue au contraire une entité divine, un organisme qui ne doit penser qu’à son existence et à son développement, sans se soucier le moins du monde des dommages que pourraient en subir les autres. La souveraineté absolue a conduit les États nationaux à accroître leur volonté de domination, chacun se sentant menacé par la puissance des autres et considérant comme son «espace vital» des territoires de plus en plus vastes, susceptibles de lui permettre de se mouvoir librement et de lui garantir ses propres moyens de subsistance sans dépendre d’autrui. Dans ces circonstances, seule l’hégémonie de l’État le plus fort sur tous les autres États qui lui seraient asservis pourrait enrayer cette volonté de domination. Ainsi, de garant de la liberté des citoyens, l’État s’est-il transformé en maître à l’égard de sujets qu’il tient à son service et sur lesquels il exerce toutes les facultés étant en son pouvoir pour porter au maximum leur efficacité guerrière. Même durant les périodes de paix - considérées comme des pauses nécessaires pour préparer d’autres guerres inévitables –, la volonté des milieux militaires prédomine désormais dans de nombreux pays sur celle des civils et rend de plus en plus difficile un fonctionnement libre des organisations politiques. L’école, les secteurs scientifiques, les systèmes de production, l’administration doivent principalement contribuer à renforcer le potentiel de guerre. Les femmes sont considérées comme des mères à soldats; aussi sontelles récompensées selon les critères que l’on applique dans les foires aux bêtes les plus prolifiques. Les enfants sont éduqués, depuis leur plus jeune âge, au métier des armes et à la haine de l’étranger. Les libertés individuelles sont réduites à néant, dès lors que tous sont militarisés et continuellement appelés sous les drapeaux. Les guerres à répétition obligent à quitter famille et emploi, à abandonner ses biens et à sacrifier sa vie pour des objectifs dont nul ne comprend vraiment l’importance. Et voici détruit, en quelques jours, le fruit de plusieurs années d’efforts et de sacrifices, accomplis pour le bien-être de la communauté. Les États totalitaires sont ceux qui ont réalisé l’unification de toutes les forces avec le plus de cohérence, au moyen d’une extrême centralisation et autarcie. C’est pourquoi ils se présentent comme les organismes les mieux adaptés à l’actuel contexte international. Il suffit qu’une nation avance d’un pas vers un totalitarisme plus accentué pour qu’elle en entraîne d’autres dans son sillon, mûes par un même instinct de survie. 2) On a affirmé, pour tous les citoyens, le droit à participer à l’expression de la volonté de l’État, celle-ci devant représenter, dans leur mobilité, la synthèse des exigences économiques et idéologiques librement manifestées par les diverses catégories sociales. Telle organisation politique a permis de 190 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 corriger, du moins d’atténuer, bon nombre d’injustices les plus criantes, léguées par les régimes précédents. Par ailleurs, les libertés de presse et d’association, ainsi que l’extension progressive du suffrage électoral, rendaient de plus en plus difficile le maintien des anciens privilèges dans ce nouveau système représentatif. Les plus démunis apprenaient peu à peu à se servir de ces instruments pour donner l’assaut aux droits acquis par les classes aisées. Les impôts sociaux sur les rentes et les successions, les taux d’imposition progressifs sur les grandes fortunes, l’exemption des revenus les plus bas et des biens de première nécessité, la gratuité de l’école publique, l’augmentation des dépenses en matière de prévention et de sécurité sociales, les réformes agraires, le contrôle de la production dans les usines, menaçaient les classes privilégiées dans leurs citadelles les plus retranchées. Même les classes privilégiées qui avaient consenti à l’égalité des droits politiques ne pouvaient admettre que les classes les plus pauvres y aient recours pour tenter de réaliser une égalité de fait qui aurait concrètement donné à ces mêmes droits une valeur de liberté effective. À la fin de la première guerre mondiale, lorsque la menace se fit trop pressante, c’est naturellement que ces classes privilégiées avaient applaudi et appuyé avec vigueur l’instauration des dictatures qui retiraient des mains de leurs adversaires des armes légales d’opposition. De plus, la création de gigantesques groupes industriels et bancaires, ainsi que la création de syndicats réunissant autour d’une unique direction des cohortes entières de travailleurs - chacun faisant pression sur le gouvernement pour obtenir une politique plus conforme à leurs intérêts particuliers - menaçait de faire éclater l’État lui-même en de multiples fiefs économiques qu’une lutte exacerbée auraient opposés. Le système démocratico-libéral, étant devenu pour ces groupes l’instrument pour mieux exploiter l’ensemble de la communauté, perdait toujours plus de son prestige. Et ainsi, prenait pied la conviction que seul l’État totalitaire aurait pu parvenir, en abolissant les libertés populaires, à résoudre en quelque sorte les conflits d’intérêt que les institutions politiques existantes n’arrivaient plus à contenir. De fait, les régimes totalitaires ont ensuite bloqué la position des diverses catégories sociales là où elles étaient parvenues et ont entravé toute voie légale susceptible de modifier par la suite la situation en vigueur, d’une part en exerçant un contrôle policier sur la vie de tous les citoyens et, de l’autre, en éliminant violemment toute forme d’opposition. C’est ainsi qu’a été garantie l’existence absolument parasitaire d’une classe de propriétaires terriens absents et de rentiers qui contribuent à la production nationale uniquement en détachant les coupons de dividendes de leurs titres, de même qu’ont été garanties l’existence de classes monopolistes et 191 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 de sociétés en chaîne qui exploitent les consommateurs et rendent volatile l’argent des petits épargnants, et l’existence de ploutocrates qui dans les coulisses tirent les ficelles de la politique et dirigent la machine de l’État à leur seul profit, sous prétexte de répondre aux intérêts supérieurs de la nation. C’est ainsi également que sont entretenues d’une part les fortunes colossales d’un petit nom bre et de l’autre la misère des masses qui se voient exclues de la possibilité de jouir des fruits de la civilisation moderne. Enfin, c’est ainsi qu’a été sauvegardé un régime économique où les ressources matérielles et les forces de travail, qui devraient être employées à satisfaire les besoins fondamentaux des énergies vitales humaines, visent au contraire à satisfaire les désirs les plus futiles de ceux qui ont les moyens de payer les prix les plus élevés, un régime économique également où le droit de succession perpétue au sein d’une même classe la puissance de l’argent, la transformant ainsi en un privilège qui ne correspond en rien à la valeur sociale attribuée aux services réellement prêtés et où la marge des possibilités matérielles du prolétariat est si réduite que pour vivre les travailleurs sont contraints souvent à se laisser exploiter par ceux qui leur offrent un travail, quel qu’il soit. En vue d’immobiliser et de soumettre les classes ouvrières, les syndicats se sont transformés, d’organismes de lutte indépendants qu’ils étaient, dirigés par des individus qui jouissaient de la confiance de leurs adhérents, en des organes de surveillance policière placés sous la direction d’employés choisis par le groupe dirigeant, auquel ils doivent rendre compte. Si le régime économique en question subit quelques modifications, celles-ci seront toujours et uniquement dictées par les exigences du militarisme, qui se confondent avec les aspirations réactionnaires des classes privilégiées soucieuses de créer et de consolider les États totalitaires. 3) On a affirmé la valeur permanente de l’esprit critique contre le dogmatisme autoritaire. Tout ce qui était déclaré, devait avoir sa raison d’être ou disparaître. C’est à cette démarche méthodique et dénuée de tout préjugé que notre société doit dans tous les domaines ses principales conquêtes. Mais cette liberté de l’esprit n’a pas su résister à la crise qui a généré les États totalitaires. De nouveaux dogmes, adoptés par conviction ou par hypocrisie, font autorité dans toutes les sciences. Bien que nul ne sache définir ce qu’est une race - les connaissances historiques les plus élémentaires démontrent d’ailleurs l’absurdité d’une telle notion –, on exige des philosophes qu’ils pensent, prouvent et convainquent que l’on appartient à une race élue, uniquement parce que l’impérialisme a besoin de ce mythe pour exalter auprès des masses les sentiments de haine et d’orgueil. Les concepts économiques les plus évidents sont frappés d’anathème et ce, pour présenter la politique autarcique, les échanges équilibrés et les autres 192 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 vieux instruments du mercantilisme comme d’extraordinaires découvertes de l’époque actuelle. Du fait de l’interdépendance économique entre les diverses régions du monde, l’espace vital pour un peuple, désireux de maintenir un niveau de vie en accord avec la civilisation moderne, est la planète entière. Aussi at- on inventé une pseudoscience: la géopolitique qui entend démontrer le bien-fondé théorique de l’espace vital et par là donner une assise théorique à la volonté de domination qui caractérise l’impérialisme. L’histoire est falsifiée dans ses données essentielles pour servir les intérêts de la classe au pouvoir. Les bibliothèques et les librairies sont épurées de tous les ouvrages jugés non orthodoxes. De nouveau, les ténèbres de l’obscurantisme menacent de juguler l’esprit humain. La morale sociale de la liberté et de l’égalité est elle-même battue en brèche. Les individus ne sont plus considérés comme des citoyens libres pour lesquels l’État est l’organisme servant à réaliser les objectifs de la communauté. Ils sont au contraire les serviteurs d’un État qui leur fixe leurs propres objectifs. La volonté de l’État devient ainsi la volonté de ceux qui détiennent le pouvoir. Les individus ne sont plus des citoyens de droit mais, soumis à une hiérarchie, ils sont tenus d’obéir sans mot dire aux autorités supérieures que chapeaute un chef dûment divinisé. Le régime des castes, plein d’arrogance, renaît de ses cendres. Après avoir triomphé dans divers pays, cette culture réactionnaire et totalitaire a pour finir trouvé dans l’Allemagne nazie le terreau fertile pour parvenir à ses conséquences extrêmes. Grâce à une méticuleuse préparation, profitant impudemment et sans scrupules des rivalités, des égoïsmes et de la naïveté des autres nations, entraînant dans son sillage d’autres États européens vassaux - l’Italie en tête - et s’alliant avec le Japon, l’Allemagne s’est lancée dans une vaste entreprise de domination. Sa victoire signifierait une consolidation définitive du totalitarisme dans le monde. Toutes ses caractéristiques s’en trouveraient exaspérées au plus haut point et les forces progressistes seraient pendant longtemps condamnées à une simple opposition, nulle en soi. L’intransigeance et la traditionnelle arrogance des milieux militaires allemands peuvent déjà nous donner un aperçu du caractère de leur domination à l’issue d’une guerre victorieuse. Les Allemands victorieux pourraient même se permettre un semblant de générosité envers les autres peuples européens, feindre de respecter leurs territoires et leurs institutions politiques et ainsi gouverner en satisfaisant un stupide sentiment patriotique qui tient compte de la couleur des barrières aux frontières ou de la nationalité des hommes politiques qui occupent le devant de la scène et non du rapport entre les forces en jeu et de la valeur effective des organismes étatiques. Quand bien même dissimulée, la réalité serait toujours la même: une nouvelle division de l’humanité entre Spartiates et Hilotes. 193 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Même l’hypothèse d’un compromis entre les factions antagonistes se traduirait encore par une ultérieure avancée du totalitarisme puisque les pays ayant pu se soustraire à l’emprise de l’Allemagne seraient eux-mêmes contraints d’adopter les mêmes formes d’organisation politique pour se préparer efficacement à une nouvelle guerre. Mais si l’Allemagne hitlérienne est parvenue d’une part à abattre un à un les États plus petits, elle a obligé ce faisant les États plus puissants à entrer en lice. L’opposition courageuse de la Grande Bretagne - y compris dans les moments les plus difficiles où elle a dû, seule, tenir tête à l’ennemi - a fait que les Allemands se sont heurtés à la rude résistance de l’armée soviétique, ce qui a donné le temps aux Américains de mobiliser leurs ressources de production illimitées. Et, par ailleurs, la lutte contre l’impérialisme allemand s’est étroitement associée à celle que le peuple chinois avait engagée de son côté contre l’impérialisme japonais. Quantité d’individus et de richesses ont été dressés contre les puissances totalitaires dont les forces ont atteint leur apogée et ne peuvent désormais que progressivement se consumer. Les forces adverses ont au contraire surmonté leur plus bas niveau de dépression et connaissent à présent une remontée. La guerre entreprise par les Alliés éveille toujours plus chaque jour un désir de libération, y compris dans les pays qui s’étaient pliés à la violence de l’attaquant et que le choc subi avaient ébranlés, y compris même parmi les populations des puissances de l’Axe qui ont conscience de s’être laissées entraîner dans une situation désespérée, dans le seul but d’assousir la soif de domination de ceux qui les gouvernent. Le lent processus qui a conduit quantité d’hommes à se laisser passivement modeler par le nouveau régime, à s’y conformer et ainsi à le renforcer, a été endigué. On assiste même au processus contraire. Une vague immense lentement se soulève: elle se compose de toutes les forces progressistes, des groupes les plus éclairés de la classe ouvrière que la peur et le mirage de mille illusions n’ont pas détournés de leur aspiration à une forme de vie meilleure, des intellectuels qui sont les plus conscients de l’avilissement auquel est soumise l’intelligence, des entrepreneurs qui se sentant capables de nouvelles initiatives voudraient se libérer du pesant harnais de la machine bureaucratique ainsi que des autarcies nationales qui entravent toute possibilité d’action, de tous ceux enfin qui ont un sens inné de la dignité et refusent de plier l’échine bien qu’humiliés et asservis. C’est à toutes ces forces qu’est confiée aujourd’hui l’avenir de notre civilisation. 194 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 II. Les Enjeux de l’après-guerre. L’Unité Européenne Mais la défaite de l’Allemagne n’implique pas automatiquement une réorganisation de l’Europe suivant notre idéal de civilisation. Durant l’intense quoique brève - période de crise générale (où les États seront à genoux, où les masses populaires attendront impatientes un discours nouveau et seront comme de la matière en fusion, ardente et prête à être coulée dans l’empreinte de formes nouvelles, susceptibles d’accueillir la conduite d’hommes réellement internationalistes), les classes les plus privilégiées dans les anciens systèmes nationaux pourront tenter, sournoisement ou par la violence, d’infléchir l’élan de sentiments et de passions internationalistes et s’emploieront ostensiblement à reconstruire les anciens organismes de l’État. Il est par ailleurs probable que des dirigeants britanniques - de concert même avec les dirigeants américains tenteront de faire avancer les choses en ce sens, afin de restaurer une politique d’équilibre des pouvoirs qui assure de toute évidence l’intérêt immédiat de leurs empires. Les forces conservatrices, à savoir les dirigeants des principales institutions des États nationaux, mais aussi les cadres supérieurs des forces armées au faîte de la hiérarchie dans les monarchies encore existantes, les groupes du capitalisme monopoliste qui ont lié leurs profits au sort des États, les grands propriétaires fonciers et les hiérarchies supérieures de l’Église dont seule une rigoureuse société conservatrice peut garantir les revenus parasitaires, et à leur suite la multitude innombrable de ceux qui dépendent d’eux ou qui sont aveuglés par leur traditionnelle puissance: toutes ces forces réactionnaires ont aujourd’hui le sentiment que l’édifice est fissuré de toutes parts et qu’il faut le sauver. Son effondrement les priverait soudain de toutes les garanties dont elles ont joui jusqu’à présent et les exposerait à l’assaut des forces progressistes. La situation révolutionnaire: anciennes et nouvelles orientations La chute des régimes totalitaires sera ressentie par bien des peuples comme l’avènement de la «liberté». Tout frein aura été levé. Les libertés de parole et d’association règneront alors automatiquement et largement. Ce sera le triomphe des tendances démocratiques. Celles-ci ont de multiples nuances qui vont d’un libéralisme conservateur au socialisme ou à l’anarchie. Elles croient en une «génération spontanée» des événements et des institutions, en la totale bonne foi des impulsions venues du bas. Elles ne veulent pas forcer la main à l’«histoire», au «peuple», au «prolétariat» ou à tout autre nom donné à leur 195 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 dieu. Elles souhaitent la fin de toute dictature, synonyme d’une restitution au peuple de ses droits imprescriptibles à l’autodétermination. Le couronnement de leurs rêves serait une assemblée constituante élue au suffrage le plus large possible et dans le strict respect du droit des électeurs, qui déciderait de la Constitution à adopter. Si les citoyens ne sont pas mûrs encore, le risque est sans doute de proposer une mauvaise Constitution, mais ce n’est qu’à travers un constant travail de persuasion que l’on pourra la corriger. Les démocrates n’excluent pas, par pur principe, l’usage de la violence. Mais ils y auront recours uniquement lorsque la majorité sera convaincue qu’elle est indispensable, uniquement donc lorsqu’elle ne sera pas plus qu’un point superflu à mettre sur un «i». Ainsi les démocrates sont-ils des dirigeants faits pour gouverner en des périodes d’administration ordinaire où les citoyens sont dans l’ensemble persuadés du bien-fondé de leurs principales institutions qui ne demanderont à être modifiées que dans des aspects relativement secondaires. Au cours de périodes révolutionnaires où les institutions ne sont pas à administrer mais à créer, la pratique démocratique fait manifestement faillite. Les révolutions russe, allemande et espagnole offrent trois des plus récents témoignages de la désolante impuissance des démocrates. Dans chacun de ces pays, après la chute du vieil appareil étatique et de son système législatif et administratif, on a vu aussitôt se multiplier, sous le couvert d’une légalité renouvelée, quantité d’assemblées et de représentations populaires où convergent et s’agitent toutes les forces sociales progressistes. Certes la population a des besoins fondamentaux à satisfaire mais elle ne sait avec précision ce qu’elle veut ni ce qu’elle doit faire. Mille cloches résonnent à ses oreilles. Avec ses millions de têtes, elles ne parvient pas à s’orienter et elle se divise en quantité de tendances antagonistes. Au moment où il faudrait faire preuve d’une détermination et d’un courage extrêmes, les démocrates se sentent perdus, n’ayant pour les soutenir qu’un ensemble de passions désordonnées et non un consensus populaire spontané. Ils croient que leur tâche est de créer ce consensus: aussi ont-ils des allures de prédicateurs qui exhortent les populations, plutôt que d’être des chefs ou des guides qui sachent où les mener. Ils laissent passer les occasions qui se présentent à eux de consolider le nouveau régime et préfèrent au contraire tenter de faire immédiatement fonctionner des institutions qui non seulement supposent une longue préparation mais sont mieux adaptées à des périodes de relative tranquillité politique. Ils offrent ainsi à leurs adversaires les armes qu’ils useront ensuite contre eux. Ils représentent en somme, par leurs mille tendances, non pas une volonté de renouvellement, mais au contraire les confuses velléités qui règnent dans tous les esprits et qui préparent, tout en se paralysant mutuellement, un terrain propice au développement de la réaction. 196 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Le processus politique démocratique ne sera plus qu’un poids mort au coeur même de la crise révolutionnaire. À mesure que les démocrates auront épuisé en logomachies leur popularité initiale de partisans de la liberté, faute d’une sérieuse politique révolutionnaire, on verra immanquablement se recomposer les institutions politiques pré-totalitaires et la lutte se redéploiera suivant les anciens schémas de l’affrontement entre classes. Le principe en vertu duquel la lutte des classes est le dénominateur commun de tous les problèmes a constitué entre autres l’orientation fondamentale des ouvriers d’usines et a servi à donner corps à leur politique, aussi longtemps que n’étaient pas remises en cause les institutions fondamentales. Mais ce même principe devient un instrument d’isolement du prolétariat lorsque s’impose l’exigence de transformer l’organisation de la société dans sa totalité. Les ouvriers, du fait de leur éducation fondée sur la lutte des classes, ne savent voir que leurs revendications particulières de classe, ou de catégorie, sans se soucier de les relier aux intérêts des autres catégories de la société. Ou encore aspirent-ils à une dictature unilatérale de leur classe afin de réaliser la collectivisation utopique de tous les instruments matériels de production qu’une propagande centenaire a indiquée comme le remède absolu contre tous les maux. Telle politique n’a prise sur aucune autre catégorie, hormis celle des ouvriers qui privent ainsi les autres forces progressistes de leur soutien, voire les abandonnent à la merci de la réaction qui habilement les manipule de façon à briser l’échine du mouvement prolétarien lui-même. En regard des diverses tendances prolétariennes, partisanes d’une politique de classe et d’un idéal collectiviste, les communistes ont admis la difficulté d’obtenir le soutien d’un nombre suffisant de forces pour assurer la victoire. Aussi, à la différence des autres partis, se sont-ils transformés en un mouvement rigoureusement discipliné qui organise les ouvriers en usant du mythe russe, sans soumettre sa ligne de conduite à leurs revendications mais en se servant d’eux au contraire pour les manœuvres les plus disparates. Une telle attitude rend, dans les périodes de crise révolutionnaire, les communistes plus efficaces que les démocrates. Cependant, parce qu’ils s’efforcent de maintenir la distinction entre les classes ouvrières et les autres forces révolutionnaires - notamment en prêchant que la «véritable» révolution doit encore avoir lieu - ils constituent dans les moments décisifs un élément sectaire qui affaiblit l’ensemble. Qui plus est, leur allégeance totale à l’État russe - lequel s’en est d’ailleurs systématiquement servi pour atteindre les objectifs de sa politique nationale - les empêche de mener une politique ayant un tant soit peu de continuité. Ils ont constamment besoin de se dissimuler derrière un Karoly, un Blum ou un Negrin pour ne courir ensuite qu’à leur perte, à l’instar 197 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 des pantins démocratiques dont ils se sont inspirés. Car le pouvoir ne se conquiert, ni ne se garde par la ruse uniquement, mais grâce à la capacité de répondre de manière vitale et concrète aux besoins de la société moderne. Si demain la lutte devait se limiter au seul domaine national traditionnel, il serait bien difficile alors d’échapper aux anciennes apories. De fait, les États nationaux ont déjà profondément planifié leurs économies respectives, au point que la question centrale se résoudrait bien vite à savoir quel groupe d’intérêts, voire quelle classe, tient les commandes de la planification. Le front des forces progressistes se briserait alors sans difficulté dans le conflit qui oppose les diverses classes et catégories économiques. Selon toute probabilité, les réactionnaires en tireraient le meilleur profit. Un véritable mouvement révolutionnaire ne peut provenir que des rangs de ceux qui se sont montrés capables de critiquer les vieilles théories politiques. Il devra en outre être capable de collaborer avec les forces démocratiques, avec les forces communistes et, plus généralement, avec celles qui voudront coopérer à la désagrégation du totalitarisme, sans toutefois se laisser séduire par telle ou telle autre ligne politique. Les forces réactionnaires disposent d’hommes et de cadres habiles, formés au commandement, qui se battront avec acharnement pour conserver leur suprématie. En ce moment grave, elles sauront se présenter bien camouflées et proclameront vouloir défendre la liberté, la paix, le bien-être général, ainsi que l’intérêt des classes les plus pauvres. Dans le passé, nous avons déjà pu observer leur capacité à se placer dans le sillage des mouvements populaires qu’elles ont ensuite paralysés et déviés de leurs objectifs pour les convertir enfin en leur exact contraire. Elles constitueront sans nul doute la force la plus dangereuse qu’il nous faudra affronter. Le moyen dont elles se serviront comme d’un levier sera la restauration de l’État national. Elles pourront ainsi exploiter un sentiment populaire fort répandu, qui plus est humilié par les récents événements et aisément utilisable à des fins réactionnaires: le sentiment patriotique. De la sorte, elles peuvent même espérer créer une certaine confusion dans l’esprit de leurs adversaires. Les masses populaires n’ont pas d’autre expérience politique que celle qu’elles ont acquise dans un contexte national; il est donc facile de les conduire, de même que leurs chefs les plus myopes, sur le terrain de la reconstruction des États que la tempête a abattus. Si elles atteignaient cet objectif, la réaction l’emporterait. Ces États pourraient même en apparence être des États largement démocratiques ou socialistes: le retour des réactionnaires au pouvoir ne serait qu’une question de temps. On verrait alors resurgir les jalousies nationales et chaque État confierait de nouveau, à la seule force des armes, la satisfaction de ses exigences. 198 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 L’ambition prioritaire serait une fois encore, à plus ou moins court terme, celle de transformer les peuples en armées. Les généraux recommenceraient à commander, les monopolistes à profiter des autarcies, les corps bureaucratiques à grossir, les prêtres à rendre les masses dociles. Toutes les conquêtes des premiers temps se réduiraient à néant devant la nécessité de devoir à nouveau se préparer pour la guerre. Le problème urgent à résoudre, sous peine de rendre illusoire tout autre progrès, est l’abolition définitive de la division de l’Europe en États nationaux souverains. L’effondrement de la plupart des États du continent sous le rouleau compresseur allemand a déjà unifié le destin des peuples européens qui se trouvent face à deux options: se soumettre à la domination hitlérienne ou, après la défaite de celle-ci, s’engager tous ensemble dans une crise révolutionnaire où ils ne seront plus figés et séparés en de rigides structures étatiques. Les esprits sont aujourd’hui bien mieux disposés que dans le passé à l’égard d’une réorganisation fédérale de l’Europe. La rude expérience de ces dernières décennies a ouvert les yeux même de ceux qui refusaient de voir et a produit bon nombre de circonstances favorables pour notre idéal. Tous les hommes de bon sens reconnaissent désormais qu’on ne peut maintenir un équilibre entre des États européens indépendants au sein desquels l’Allemagne militariste jouirait des mêmes conditions que les autres pays, ni morceler l’Allemagne et lui tenir la bride haute une fois vaincue. La preuve en est qu’aucun pays en Europe ne peut rester en marge tandis que les autres se battent, les déclarations de neutralité et de pactes de non agression n’ayant aucune valeur. On a pu démontrer l’inutilité, voire le caractère nuisible, d’organismes comme la Société des Nations qui prétendait garantir un droit international sans l’appui d’une force militaire pour imposer ses décisions et faire respecter dans le même temps la souveraineté absolue des États membres. Tout aussi absurde s’est révélé le principe de non intervention en vertu duquel tout peuple est libre de se doter du gouvernement despotique de son choix, comme si la constitution interne de chaque État n’était pas d’un intérêt vital pour tous les autres pays européens. Les nombreux problèmes qui empoisonnent la vie internationale du continent sont demeurés sans solution (le tracé des frontières dans les régions à population mixte, la défense des minorités allogènes, les débouchés maritimes des pays n’en disposant pas, la question des Balkans, la question irlandaise, etc). La Fédération Européenne pourrait offrir une solution des plus simples à ces problèmes, sur le modèle d’une plus vaste unité nationale au moyen de laquelle un certain nombre de petits États avaient déjà cherché, par le passé, à résoudre des problèmes analogues qui, ainsi, perdaient de leur acuité en devenant des problèmes de relations entre les diverses provinces d’une même nation. 199 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 En outre, la fin du sentiment de sécurité que la Grande Bretagne tirait de sa position inattaquable - qui la poussait à affecter sa «splendid isolation» –, la dissolution de la République française et celle de son armée à la première offensive sérieuse des forces allemandes (un résultat - il faut l’espérer - qui aura fortement émoussé la conviction chauviniste d’une véritable supériorité française) et, en particulier, la conscience de la gravité du danger encouru par un asservissement général, telles sont globalement les circonstances qui favoriseront la constitution d’un régime fédéral susceptible de mettre fin à l’anarchie actuelle. Par ailleurs, le fait que l’Angleterre a désormais accepté le principe de l’indépendance indienne et que la France a potentiellement perdu, par l’acceptation de sa défaite, tout son empire, permet également de trouver plus aisément les bases d’un accord pour un aménagement européen des «possessions coloniales». Enfin, à cela s’ajoutent la disparition de quelques-unes des principales dynasties et la fragilité des fondements qui soutiennent les dynasties ayant subsisté. Il convient effectivement de tenir compte du fait que les dynasties, considérant les divers pays comme leur apanage traditionnel, représentaient, en raison des puissants intérêts qu’elles défendaient, un obstacle sérieux à une organisation rationnelle des États Unis d’Europe, lesquels ne peuvent se fonder que sur une constitution républicaine de tous les pays fédérés. Et lorsque, franchissant l’horizon du Vieux Continent, on tente d’embrasser par une vision d’ensemble tous les peuples qui composent l’humanité, il faut pourtant bien reconnaître que la Fédération Européenne est l’unique garantie envisageable pour que les relations avec les peuples d’Asie et d’Amérique puissent se nouer sur la base d’une coopération pacifique, avant que ne soit possible, dans un avenir plus lointain, l’unité politique de la planète entière. Aussi la ligne de partage entre partis progressistes et partis réactionnaires ne se trace-t-elle plus d’après la ligne formelle de la démocratie ou du socialisme plus ou moins avancés qu’il faut instaurer, mais d’après la toute nouvelle - et par ailleurs essentielle - ligne de faîte qui sépare ceux qui conçoivent la lutte selon sa finalité fondamentale traditionnelle, à savoir la conquête du pouvoir politique national (faisant ainsi, quand bien même involontairement, le jeu des forces réactionnaires en laissant se solidifier dans l’ancien moule la lave incandescente des passions populaires et en permettant que resurgissent les incohérences du passé), de ceux qui envisagent la création d’un État international stable comme le principal enjeu, si bien qu’ils chercheront à canaliser vers ce but les forces populaires et qu’ils se serviront du pouvoir national, après l’avoir conquis, en priorité comme d’un instrument pour réaliser l’unité internationale. 200 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 C’est par le biais de la propagande et de l’action, c’est en cherchant à établir par tous les moyens possibles des accords et des liens entre les divers mouvements qui se forment certainement dans chaque pays, qu’il faut dès à présent jeter les bases d’un mouvement capable de mobiliser toutes les forces pour donner naissance à une nouvelle organisation qui sera l’idée la plus grandiose et la plus novatrice que l’Europe ait connue depuis des siècles. Et ce, plus largement, en vue de constituer un État fédéral stable qui dispose, au lieu des armées nationales, d’une force armée européenne qui ait les structures et les moyens suffisants pour faire appliquer dans les divers États fédérés des directives qui veilleront au maintien d’un ordre communautaire, tout en garantissant aux États eux-mêmes l’autonomie nécessaire pour permettre une articulation et un déroulement souples de la vie politique, conformément aux caractéristiques de chacune des nations. S’il se trouve, dans les principaux pays, assez d’hommes pour comprendre cela, la victoire sera bientôt entre leurs mains, car les circonstances et les esprits sont non seulement favorables à leur projet, mais ils ont aussi face à eux des partis et des mouvements déjà discrédités par l’expérience désastreuse de ces vingt dernières années. L’heure étant venue d’accomplir des actions nouvelles, l’heure viendra aussi d’accueillir des hommes nouveaux et d’accueillir le MOUVEMENT POUR UNE EUROPE LIBRE ET UNIE. 201 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 III. Les Enjeux de l’Après-guerre. La Réforme de la Societé Une Europe libre et unie est le préambule nécessaire à une consolidation de la civilisation moderne. La fin de l’ère totalitaire, qui en a marqué le coup d’arrêt, permettra de reprendre totalement et immédiatement le processus historique engagé contre les inégalités et les privilèges sociaux. Toutes les anciennes institutions conservatrices qui entravaient sa réalisation auront été anéanties ou seront sur le point de l’être. Il faudra exploiter cette situation de crise avec courage et détermination. Si elle veut répondre à nos exigences, la révolution européenne sera socialiste ou ne sera pas. Autrement dit, elle devra proposer l’émancipation des classes ouvrières ainsi que l’obtention pour celles-ci de conditions de vie plus humaines. Toutefois, la ligne d’orientation à suivre pour prendre des mesures en ce sens ne saurait s’appuyer sur un principe purement doctrinal, suivant lequel la propriété privée des moyens matériels de production doit être en théorie abolie mais tolérée provisoirement lorsqu’elle apparaît inévitable. L’étatisation générale de l’économie a été la première forme d’utopie qui avait laissé croire aux classes ouvrières en une libération possible du joug capitaliste. Mais quand bien même elle serait totalement instituée, elle ne conduirait pas au but rêvé mais bien à la constitution d’un régime où l’ensemble de la population serait asservie à la classe restreinte des bureaucrates gérant l’économie. Le véritable principe fondamental du socialisme - et pour lequel le principe de la collectivisation générale n’a été qu’une déduction hâtive et erronée - est le principe selon lequel les forces économiques ne doivent pas prendre le pas sur les individus mais - comme c’est le cas pour les forces naturelles - leur être soumises, se laisser guider et contrôler par eux, le plus rationnellement possible, afin que les masses ne soient plus leurs victimes. Il faut éviter que les gigantesques forces de progrès, sublimant les intérêts individuels, ne s’enlisent dans les eaux stagnantes de la pratique routinière et ne se retrouvent ensuite confronter à l’insoluble problème de devoir ressusciter l’esprit d’initiative, moyennant des salaires différenciés ou toute autre mesure de ce genre. Il faut au contraire que ces forces soient encouragées, qu’on leur offre la possibilité de s’accroître et de s’engager davantage. Et, dans le même temps, il faut renforcer et perfectionner les digues qui les canalisent et les orientent vers les objectifs qui présentent les meilleurs avantages pour l’ensemble de la collectivité. La propriété privée doit être abolie, limitée, corrigée, voire élargie cas par cas, et non par pur principe dogmatique. Cette directive s’inscrit naturellement 202 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 dans le processus visant à la formation d’une réalité économique européenne qui serait affranchie des cauchemars du militarisme ou d’un bureaucratisme national. Une résolution rationnelle des problèmes devra s’imposer sur toute résolution irréfléchie, y compris dans la conscience des travailleurs. Pour illustrer de façon précise le contenu de cette directive et, puisque l’intérêt et les modalités de chaque point programmatique devront toujours être évalués en fonction du présupposé désormais indispensable qu’est l’unité européenne, nous souhaiterions mettre en relief les points suivants: a) On ne peut plus laisser entre les mains des privés les entreprises qui, de par leur activité essentiellement monopoliste, sont en état d’exploiter la masse des consommateurs. Ce sont, par exemple, les industries électriques, mais aussi toutes les entreprises que l’on veut maintenir en vie pour des raisons d’intérêt collectif mais qui ont besoin pour survivre de droits protecteurs, de subventions ou de commandes de faveur, etc. (à cet égard, l’industrie sidérurgique en Italie est aujourd’hui l’exemple le plus remarquable), ou encore toutes les entreprises qui, par le volume des capitaux investis, par le nombre d’ouvriers qu’elles emploient ou par l’importance du secteur où elles opèrent, peuvent faire pression sur les organes de l’État et imposer une politique qui est à leur avantage (c’est le cas des industries minières, des grands groupes bancaires, des principales sociétés d’armement). C’est là un domaine où il faudra sans nul doute procéder à des nationalisations sur une vaste échelle, sans se soucier des droits acquis. b) Les caractéristiques qui ont réglementé, dans le passé, le droit de propriété et le droit de succession, ont favorisé entre les mains de quelques privilégiés l’accumulation de richesses qu’il faudra redistribuer de manière égalitaire, au cours d’une période de crise révolutionnaire. Ceci permettra d’éliminer les groupes parasitaires et de donner aux travailleurs les moyens de production dont ils ont besoin, dans la perspective également d’améliorer leurs conditions de vie et de leur assurer des moyens de subsistance plus autonomes. C’est pourquoi nous avons projeté à la fois une réforme agraire qui donnera la terre à ceux qui la cultivent et augmentera ainsi considérablement le nombre de propriétaires et une réforme industrielle qui étendra l’accès à la propriété parmi les travailleurs des secteurs non étatisés, au moyen de gestions coopératives, d’un actionnariat ouvrier, etc. c) Il faut prévoir d’aider les jeunes par des dispositions aptes à réduire le plus possible les inégalités de départ, au seuil de la lutte qu’est l’existence. En particulier, l’école publique devra offrir aux meilleurs élèves - et non aux plus riches seulement - les moyens réels de poursuivre des études jusqu’aux niveaux supérieurs et elle devra préparer, dans toutes les filières et pour faciliter l’accès aux diverses professions et activités libérales ou scientifiques, un nombre 203 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 d’individus en mesure de répondre à la demande du marché, de sorte que les salaires moyens puissent être maintenus à un niveau plus ou moins égal, quelles que soient les catégories professionnelles ou les différences de rémunération au sein de chacune d’elle, établies selon les diverses compétences individuelles. d) Désormais, grâce aux technologies modernes, le potentiel quasi illimité de la production massive de produits de première nécessité permet de garantir à tous, à des coûts sociaux relativements maîtrisés, la nourriture, le logement et l’habillement, ainsi que le confort minimum pour garantir le sentiment de la dignité humaine. La solidarité humaine envers ceux qui succombent dans la lutte économique ne devra donc plus se traduire par des formes de charité en soi humiliantes et par surcroît génératrices de ces mêmes maux auxquelles elles prétendent remédier, mais au contraire par une série de mesures d’assistance qui garantissent à tous - qu’ils soient en mesure ou non de travailler - un niveau de vie digne, sans pour autant réduire la motivation au travail et à l’épargne. Ainsi la misère n’obligera-t-elle plus personne à accepter des contrats de travail astreignants. e) La libération des classes laborieuses ne se fera qu’en mettant en place les conditions évoquées aux points précédents, autrement dit en évitant que ces mêmes classes ne soient de nouveau à la merci de la politique économique des syndicats monopolistes qui se bornent à appliquer, au sein du monde ouvrier, les logiques d’exploitation typiques avant tout du grand capital. Les travailleurs doivent être libres par contre de choisir leurs représentants qui négocieront les conditions collectives auxquelles ils accepteront de prêter leurs services. Et l’État devra prédisposer les moyens juridiques nécessaires pour que soient respectés les accords conclus. Mais, toutes les tendances monopolistes ne pourront être efficacement combattues que lorsque ces transformations sociales auront été réalisées. Tous ces changements sont nécessaires si l’on veut recueillir, autour de ce nouvel ordre, un large consensus de la part des citoyens et donner à la vie politique un caractère de liberté consolidée, empreinte également d’un sens profond de solidarité sociale. Les libertés politiques, elles-mêmes fondées sur ces principes, pourront avoir aux yeux de tous un contenu concret - et non de pure forme uniquement - car l’ensemble des citoyens jouira d’une indépendance et de connaissances suffisantes pour exercer un contrôle efficace et permanent de la classe dirigeante. Il nous paraît superflu de nous étendre sur le sujet des institutions constitutionnelles, faute de pouvoir prévoir les conditions où elles verront le jour et où elles opèreront. Nous ne ferions que répéter ce que tout le monde sait déjà sur le besoin d’organismes représentatifs, sur la promulgation des lois, sur 204 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 l’indépendance de la magistrature qui viendra remplacer la magistrature actuelle et sera chargée de l’application impartiale des lois, sur les libertés de presse et d’association indispensables pour informer l’opinion publique et donner à tous les citoyens la possibilité de participer réellement à la vie de la nation. Ceci étant dit, deux questions méritent néanmoins d’être approfondies, ne serait-ce qu’en raison de leur singulière importance en ce moment pour notre pays: il s’agit des rapports entre l’Église et l’État d’une part et, de l’autre, du caractère de la représentation politique : a) Le concordat par lequel le Vatican a conclu en Italie une alliance avec le fascisme devra évidemment être aboli pour affirmer le caractère purement laïc de l’État et établir sans équivoque la suprématie de l’État dans la vie de la nation. Toutes les confessions religieuses devront être respectées sans distinction aucune, mais l’État n’aura plus à prévoir un budget pour les cultes. b) La baraque de papier mâché que le fascisme a bâtie à travers une organisation corporatiste s’effondrera, en même temps que s’effondreront tous les autres pans de l’État totalitaire. Certains considèrent qu’on pourra, de ces débris, tirer les matériaux nécessaires à la construction d’un nouvel ordre constitutionnel. Quant à nous, nous ne le croyons pas. Dans les États totalitaires, les chambres corporatistes ne sont que la énième mascarade parachevant le contrôle policier exercé sur les travailleurs. Quand bien même les chambres corporatistes seraient l’expression sincère des diverses catégories de producteurs, les organes représentatifs des diverses catégories professionnelles ne pourraient pas avoir les compétences suffisantes en matière de politique générale et, dans le cadre de questions plus précisément économiques, elles deviendraient des organismes autoritaires au service des catégories les plus puissantes au plan syndical. Certes, les syndicats auront d’amples fonctions de collaboration avec les organes de l’État chargés de résoudre les problèmes qui les concernent plus directement, mais il est absolument exclu qu’il leur soit confiée une quelconque fonction législative. Ce serait donner libre cours, au sein de la vie économique du pays, à une anarchie féodale qui aboutirait à un nouveau despotisme politique. Nombre de ceux qui se sont laissés ingénument séduire par le mythe corporatiste devront à présent nécessairement être séduits par ce processus de renouvellement. Mais encore faudra-t-il qu’ils se rendent compte de l’absurdité de la solution dont ils avaient confusément rêvé. Le corporatisme ne peut réellement exister que dans la forme que lui attribue les États totalitaires pour enrégimenter les travailleurs sous les ordres de fonctionnaires chargés de contrôler leurs moindres mouvements, et ce dans l’intérêt de la classe dirigeante. On ne peut concevoir qu’au moment décisif le parti révolutionnaire soit improvisé, telle l’œuvre de dilettantes. Il doit au contraire, dès à présent, 205 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 commencer à définir pour le moins une ligne politique centrale avec ses structures générales et ses directives d’action essentielles. Il ne saurait en aucun cas représenter une masse de tendances hétérogènes, rassemblées de manière transitoire et stérile, uniquement pour leur passé antifasciste, attendant toutes la chute du régime totalitaire et prêtes ensuite à se disperser, chacune dans sa propre direction, une fois le but atteint. Le parti révolutionnaire sait bien au contraire que c’est à ce moment-là que commencera véritablement pour lui son action. Aussi devra-t-il se composer d’hommes capables de converger sur les principaux problèmes de l’avenir. Au moyen d’une propagande méthodique, le parti révolutionnaire doit pouvoir pénétrer partout où se trouvent des victimes de l’oppression du régime actuel. Et, partant à chaque fois du problème le plus aigu pour les individus ou pour les classes, il devra chercher à montrer comment ce problème est lié à d’autres problèmes et il en indiquera la solution. De plus, il devra recruter comme organisateurs du mouvement, dans le cercle de plus en plus vaste de ses sympathisants, uniquement ceux qui ont fait de la révolution européenne le principal objectif de leur vie, ceux qui accomplissent jour après jour, avec discipline, le travail nécessaire et ceux qui veillent à en assurer la bonne marche de manière continue et avisée, même au cœur des situations d’illégalité les plus rudes, si bien qu’ils constituent un réseau consolidé, en mesure de donner une véritable stabilité au groupe plus fragile des sympathisants. Sans négliger aucune occasion ni aucun domaine pour divulguer son message, il doit en tout premier lieu orienter son action vers les milieux les plus importants en tant que centres de diffusion des idées et de recrutement des hommes d’action. Autrement dit, principalement vers les deux groupes sociaux les plus sensibles aujourd’hui et qui seront demain les plus déterminants: la classe ouvrière et les milieux intellectuels. La classe ouvrière est celle qui a le moins pliée sous la férule totalitaire; elle sera donc la mieux disposée à réorganiser ses rangs. Quant aux intellectuels, notamment les plus jeunes, ils se sentent mentalement opprimés au plus haut point et n’éprouvent que dégoût envers le régime despotique au pouvoir. Peu à peu, d’autres catégories sociales seront inévitablement attirées dans le mouvement général actuel. Tout mouvement qui échouerait dans l’ambition de rallier ces forces, est condamné à être stérile. S’il se limite à n’être qu’un mouvement d’intellectuels, il se privera de la force nécessaire pour vaincre les résistances réactionnaires et il aura une attitude de défiance à l’égard de la classe ouvrière qui se méfiera elle-même en retour. Et bien qu’animé de sentiments démocratiques, il sera enclin à s’engager, devant les difficultés, sur le terrain de la mobilisation de toutes les autres classes contre les ouvriers, autrement dit à s’engager dans la voie de la restauration du fascisme. S’il s’appuie au contraire sur le prolétariat, 206 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 il se privera d’une clarté de réflexion qui ne peut venir que des intellectuels et qui est indispensable pour identifier de manière efficace les actions et les orientations nouvelles. Il demeurera ainsi prisonnier du vieil antagonisme de classe, il verra des ennemis partout et il s’abandonnera à la solution communiste doctrinale. Durant la crise révolutionnaire, c’est à ce mouvement qu’il incombe d’organiser et de diriger les forces progressistes, en s’appuyant sur tous les mouvements populaires qui spontanément se forment, à l’image de creusets ardents où viennent se mêler les masses révolutionnaires, non pour exprimer un plébiscite mais dans l’attente d’être guidées. Ce mouvement puise l’intuition et la certitude de ce qu’il doit faire, non dans une consécration préalable émanant d’une volonté populaire encore inexistante, mais dans la conscience de représenter les exigences profondes de la société moderne. Ainsi pourra-t-il dicter les toutes premières directives du nouvel ordre, la toute première discipline sociale aux masses encore informes. C’est à travers la dictature du parti révolutionnaire que prendra forme le nouvel État sur duquel se fondera véritablement la nouvelle démocratie. Il n’est pas à craindre que ce régime révolutionnaire conduise obligatoirement à un nouveau despotisme. Le risque qu’il y conduise n’existe que si ce régime a modelé un type de société servile. Mais si le parti révolutionnaire est capable de créer, d’une main ferme, dès le début, les conditions pour l’avènement d’une société libre où tous les citoyens pourront réellement participer à la vie de la nation, son évolution se fera - fût-ce au prix de quelques crises secondaires - dans le sens d’une progressive compréhension et acceptation de l’ordre nouveau de la part de tous, et donc dans le sens d’un fonctionnement libre et de plus en plus efficace des institutions politiques. Le moment est venu aujourd’hui de se débarrasser des vieux fardeaux devenus encombrants, de se tenir prêts à accueillir le monde nouveau qui se présente à nous, si différent de celui que nous avions imaginé, d’écarter parmi les plus âgés ceux qui se révèlent inadaptés pour laisser la place aux plus jeunes et encourager les nouvelles énergies. C’est aujourd’hui qu’il nous faut chercher et trouver, pour tisser la toile de l’avenir, ceux qui ont su identifier les causes de la crise actuelle de la civilisation européenne et qui sont de ce fait les héritiers de tous les mouvements ayant contribué au progrès de l’humanité mais qui ont fait naufrage, faute d’avoir su comprendre quel était le but à atteindre et quels étaient les moyens pour y parvenir. Le chemin à parcourir n’est ni facile ni sûr, mais il faut le parcourir et nous le ferons! Altiero Spinelli - Ernesto Rossi 207 A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Die Kraft der Utopie von Mauro Ponzi Das Manifest für ein freies und vereintes Europa, das von Altiero Spinelli 1941 in Ventotene geschrieben wurde, entstand in Zusammenarbeit mit Ursula Hirschmann (die er später heiratete), Ernesto Rossi und Eugenio Colorni. Spinelli war ein sehr aktiver und „visionärer“ Politiker, er hatte keine Angst gehabt, politische Lösungen vorzuschlagen, die in jenem Moment utopisch schienen. Das Erlebnis des Krieges, der Gefangenschaft und der Verbannung brachten ihn dazu, radikale und ganz andere Lösungen als die üblichen anzubieten. Das Erlebnis des Krieges führte ihn zu der Überzeugung, dass eine neutrale Einstellung unmöglich war. Man musste unbedingt Stellung nehmen. In dem Manifest werden, mit der damaligen politischen Terminologie, die Grundprinzipien des Antifaschismus und der Demokratie verteidigt, vor allem aber der Vorschlag, eine Föderation der europäischen Staaten zu gründen, der auf eine langjährige europäistische Tradition ideell zurückgreift, jedoch neue, eigenartige und originelle Züge annimmt. Gegen die wirtschaftliche und politische Krise jener Jahre schildert Spinelli eine anspruchsvolle und weitgehende Perspektive. Man muss die Lösung der nationalen Konflikte und des wirtschaftlichen Umbaus auf Weltebene betrachten. Ein freies und vereintes Europa wird als ein logisches und konsequentes Ergebnis des Kampfes für die Demokratie bezeichnet, und zwar als Ergebnis einer Rationalisierung der politischen, gesellschaftlichen und wirtschaftlichen Bedürfnisse der neuen Zeit: Den Nationalismus überwinden durch eine Bündnisperspektive, in der das Eigentliche nicht verschwindet, sondern in einer Einheit von Verschiedem verstärkt wird. Spinelli erkennt ganz genau die Gefahr des Lokalpatriotismus, der in der extremen Form des Nationalismus falsche Lösungen zu konkreten politischen und wirtschaftlichen Problemen jener Zeit durchsetzen wollte. Es ist Spinelli gelungen, die Entwicklung der sozialpolitischen Ereignisse vorherzusehen und schneller als seine Zeitgenossen zu bestimmen und eine konkrete Antwort zur Globalisierung als Vorschlag einer politischen und wirtschaftlichen Organisation zu formulieren, die über die alten politischen Kategorien hinausgehen könnte. Man kann die Aktualität seines Denkens ganz genau feststellen, wenn man seine Thesen mit der heutigen politischen Debatte vergleicht: Die Auseinandersetzung Globalismus/Lokalismus und die Studien über die Topographie des Fremden formulieren nämlich in neuen und 208 M. Ponzi, Die Kraft Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 moderneren Termini und mit einem ganz anderen wissenschaftlichen und methodologischen Apparat einige Intuitionen von Spinelli. Er hat sein Leben lang zunächst im italienischen Parlament der Nachkriegszeit und dann im europäischen Parlament für den Föderalismus gekämpft, kam jedoch nicht einmal dazu, sein Projekt wenigstens partiell verwirklicht zu sehen. Die Europäische Union ist heute noch nicht die im Manifest von Ventotene gewünschte politische Einheit, dennoch erweisen sich seine Vorschläge heute mehr denn je als richtig – inmitten einer wirtschaftlichen Krise, die vielleicht viel schlimmer als die von 1929 ist. Nur eine einheitliche Politik der Länder der Europäischen Union ist in der Lage, angemessene Antworten auf die neuen geistigen und materiellen Bedürfnisse der europäischen Bevölkerung zu geben. Ich habe Mitte der 80er Jahre Altiero Spinelli persönlich kennengelernt, als ich für „Rassegna Sindacale“, die Wochenzeitschrift der größten italienischen Gewerkschaft (CGIL) schrieb. In einem Gespräch mit ihm trafen mich die Entschlossenheit und Überzeugung, mit denen er seine Ideen äußerte, obwohl sie den meisten Zuhörern als utopisch erschienen. Die neue Zeit vorwegzunehmen bringt manchmal die Gefahr mit sich, von seinen Zeitgenossen nicht verstanden zu werden. Das war teilweise Spinellis Schicksal gewesen, auch wenn seine Figur aber im Lauf der Zeit immer mehr an Bedeutung gewann, weil seine Analysen und politischen Vorschläge sich immer geeigneter erweisen, der politischen und sozialwirtschaftlichen Entwicklung eine richtige und funktionierende Antwort zu geben. Wir haben es vorgezogen, das Manifest neu zu übersetzen, um dem deutschen Text eine sprachliche Aktualität zu verleihen, die seiner politischen Aktualität entsprechen kann. Gewiss ist die Analyse von Spinelli teilweise mit der gesellschaftlichen und politischen vom con von 1941 verbunden, was aber in dem Manifest entscheidend ist, sind seine politischen Vorschläge für die Zukunft, und zwar jene, die damals gewagt erschienen und heute aber an der Tagesordnung liegen. Spinelli wusste seinen utopischen Schwung mit einer konkreten politischen Praxis zu verflechten, die ihn zu dem Versuch führte, sein Projekt Stück für Stück zu verwirklichen. Im April 1986, einen Monat vor seinem Tod, behauptete er in einem Interview mit Raul Wittenberg für „Thema“, die Monatsschrift der CGIL: «Europa muss in der Lage sein, ein politisches Projekt zu entwerfen. Die Alternative liegt nicht zwischen Europa und einer Rückkehr zum Nationalismus, die nicht zustande kommen wird, weil heutzutage alles, was entscheidend ist, eine übernationale Dimension hat. Die Alternative ist: entweder sich der Nation unterwerfen, oder Europa aufzubauen. Das große Hindernis zur politischen Union besteht in der Tatsache, dass die europäische 209 M. Ponzi, Die Kraft Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Frage in den Händen der Verwaltung liegt. Sie muss hingegen dem Repräsentativorgan der Gemeinschaft übertragen werden; deshalb müssen wir kämpfen, damit das Europaparlament bei den nächsten Wahlen (Juni 1989) ein Verfassungsmandat bekommt, um ein Projekt zu entwerfen, das dann von den verschiedenen Staaten durch ein Referendum und nicht von den Zentralverwaltungen bestätigt werden muss». Seine Tätigkeit als Mitglied des Europaparlaments zielte nur darauf, das im Manifest Geschriebene zu verwirklichen: Selbst ein gemeinsames Verteidigungssystem der europäischen Staaten wurde von ihm als ein kleiner Schritt Angesehen, um jene politische Einheit zu erreichen, die er für entscheidend hielt, um die internationale Lage zu bewältigen. Er hat in verschiedenen Kommissionen des Europaparlaments gearbeitet und die politisch-theoretischen Grundlinien jener langjährigen Entwicklung entworfen, die dann zum Maastrichtabkommen geführt hat. Man muss ihm als Verdienst anrechnen, dass er einen festen Glauben an eine Idee gehabt hat, die damals unrealisierbar schien. Vielleicht sollte man am Beispiel von Spinelli die Kraft der Utopie entdecken und erkennen. I have a dream, sagte Martin Luther King vor vierzig Jahren. Spinelli hat niemals von „Träumen“ gesprochen, er hat konkrete politische Vorschläge formuliert, die sich nach sechzig Jahren allmählich verwirklichen. 210 M. Ponzi, Die Kraft Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Vorwort von Eugenio Colorni (rom 1944) Die vorliegenden Schriften wurden zwischen 1941 und 1942 auf der Insel Ventotene verfasst. Trotz all der außergewöhnlichen Umstände, trotz der Zwänge einer strengen Reglementierung und Überwachung, trotz der Trostlosigkeit in der erzwungenen Untätigkeit, aber auch in der angstvollen Hoffnung auf die baldige Befreiung, versuchte man sich mit viel List und Erfindungsgeist so umfassend wie möglich über die Außenwelt zu informieren, und die eigenen Handlungen und die im politischen Kampf eingenommenen Positionen grundsätzlich neu zu überdenken. Die Distanz zum tatsächlichen politischen Leben erlaubte einen unabhängigeren Blick und legte die Revision der traditionellen Positionen nahe, wobei man die Gründe der vergangenen Misserfolge weniger in technischen Fehlern der parlamentarischen oder revolutionären Taktik suchte, oder darin, dass die allgemeine Lage noch nicht reif sei, sondern eher in der Unzulänglichkeit der allgemeinen Denkmuster, und darin, dass man den Kampf an den alten kontroversen Bruchstellen angesiedelt hatte, ohne das Neue, das die Realität veränderte, ausreichend zu berücksichtigen. Während man sich darauf vorbereitete, den großen, sich für die nahe Zukunft abzeichnenden Kampf nachhaltig und mit wirksamen Mitteln zu führen, verspürte man das Bedürfnis, die Fehler der Vergangenheit nicht nur zu korrigieren, sondern die Konturen der politischen Fragen mit einem von doktrinären Vorurteilen und Parteimythen freien Geist ganz neu zu umreißen. Auf diese Weise entstand in den Köpfen einiger Menschen die Grundüberzeugung, dass nur ein Hauptwiderspruch für die Krisen, die Kriege, die Armut und die Unterdrückung, die unsere Gesellschaft quälten, verantwortlich zu machen sei, das heißt die Existenz von geographisch, wirtschaftlich und militärisch souveränen Staaten, die die anderen Staaten als Rivalen und potenzielle Feinde betrachteten, und von denen ein jeder mit jedem in einem Zustand des „bellum omnium contra omnes“ lebte. Diese Idee war an und für sich nichts Neues, doch Bedingungen und Anlass, aus denen sie jetzt neu entstand, ließ sie in gewisser Weise zu einem Novum werden, und das hat vielfältige Ursachen: 1.) Erstens: In den Programmen aller fortschrittlichen Parteien ist die internationalistische, übernationale Lösung zu finden, die für diese Parteien in einem gewissen Sinne unumgänglich und automatisch umgesetzt wird, wenn 211 E. Colorni, Vorwort Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 die eigenen gesetzten politischen Ziele erreicht werden. Die Demokraten denken, dass die Einführung des von ihnen geforderten Systems in jedem Land ganz sicher zur Entstehung eines einheitlichen Bewusstseins und damit zur Überwindung der kulturellen und moralischen Grenzen führt und darüber hinaus auch die unabdingbare Voraussetzung für die freie Union der Völker auch auf politischem und wirtschaftlichem Gebiet ist. Und die Sozialisten ihrerseits meinen, dass die Einführung der Diktatur des Proletariats in den verschiedenen Staaten zu einem inter- und übernationalen Kollektivstaat führen würde. Nun zeigt aber eine Analyse des modernen Staatsbegriffs und die Summe der damit verbundenen Interessen und Gefühle deutlich, dass freundschaftliche Beziehungen und zwischenstaatliche Zusammenarbeit trotz aller Analogien im internen Staatsaufbau keineswegs zwangsläufig und progressiv zur Einigung führen, solange noch kollektive Interessen und Gefühle existieren, die von dem Staat als einer von Grenzen umschlossenen Einheit ausgehen. Wir wissen aus Erfahrung, dass chauvinistische Gefühle und protektionistische Interessen leicht zu Streitigkeiten und Rivalitäten zwischen zwei Demokratien führen können; und es ist nicht gesagt, dass ein reicher sozialistischer Staat notwendigerweise seine eigenen Ressourcen mit einem ärmeren sozialistischen Staat teilt, nur weil sich beide Staaten ähnliche Staatsformen gegeben haben. Die Abschaffung der politischen und wirtschaftlichen Grenzen zwischen den Staaten ergibt sich also nicht zwangsläufig aus der synchronen Einführung einer bestimmten Staatsform in den betroffenen Staaten, sondern stellt ein eigenständiges, von der Staatsform unabhängiges Problem dar, das mit geeigneten und angemessenen Mitteln in Angriff genommen werden muss. Man kann nicht Sozialist sein, ohne gleichzeitig auch die internationale Staatengemeinschaft zu wollen, doch leitet sich das eher aus der ideologischen Überzeugung ab als aus einer politischen und wirtschaftlichen Notwendigkeit; und aus dem Sieg des Sozialismus in einzelnen Staaten entsteht nicht notwendigerweise auch der internationale Staat. 2.) Auch eine weitere Überlegung führte zu der Überzeugung, die föderalistische Zielsetzung unabhängig von der Sichtweise der Parteien zu verfolgen. Die existierenden politischen Parteien ziehen ihre Erfahrungen aus den in der Vergangenheit auf nationaler Ebene geführten politischen Kämpfen, und deshalb werden - sei es aus Gewohnheit oder aus Tradition - die Bedingungen des Nationalstaates bei allen anstehenden politischen Fragen als Basis und Ausgangspunkt genommen und somit die Probleme der internationalen Ordnung als Angelegenheiten der „Außenpolitik“ angesehen, die durch diplomatische Bemühungen und Abkommen zwischen den einzelnen Regierungen gelöst werden müssen. Diese Haltung ist zum Teil Ursache und 212 E. Colorni, Vorwort Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 zum Teil aber auch Folge der oben beschriebenen Überzeugung der Parteien, dass mit der Übernahme der Zügel im eigenen Land, eine Einigung und Vereinigung mit den Ländern, die ähnliche Staatsformen übernommen haben, automatisch zustande kommt, ohne dass ein spezifisch auf dieses Ziel ausgerichteter politischer Kampf geführt werden muss. Bei den Verfassern der vorliegenden Schriften war stattdessen die folgende Überzeugung herangereift: Sieht man die Frage der internationalen Staatenordnung als das zentrale Problem der gegenwärtigen historischen Epoche, und betrachtet man die Lösung dieses Problems als die notwendige Bedingung für die Lösung aller weiteren institutionellen, wirtschaftlichen und sozialen Fragen unserer Gesellschaft, so muss man gezwungenermaßen auch alle anderen Fragen, die die internen politischen Auseinandersetzungen betreffen, aus dieser Perspektive betrachten, einschließlich der Positionen jeder einzelnen Partei bezüglich ihrer Strategie und Taktik im alltäglichen politischen Handeln. Alle Fragen, ausgehend von den in der Verfassung verbrieften Freiheitsrechten bis hin zum Klassenkampf, von der Organisation und Planung bis hin zur Machtübernahme und Machtausübung, stehen unter einem neuen Licht, wenn man von der Prämisse ausgeht, dass ein einheitliches System auf internationaler Ebene das wichtigste und vorrangigste politische Ziel ist. Auch die Form des eigentlichen politischen Handelns, das heißt mit welcher anderen politischen Kraft man zusammenarbeitet, welches Losungswort man programmatisch hervorhebt, verändert sich, je nachdem ob man sich als Hauptziel die Machtübernahme und Durchsetzung bestimmter Reformen auf einzelstaatlicher Ebene setzt, oder aber die Schaffung der wirtschaftlichen, politischen und ethischen Voraussetzungen für das Entstehen einer föderativen Ordnung, die den ganzen Kontinent umfasst. 3.) Eine weitere - und vielleicht wichtigste - Ursache ist darin zu sehen, dass sich das Ideal einer europäischen Föderation, Präludium zu einer weltweiten Föderation, das noch vor wenigen Jahren wie eine ferne Utopie erscheinen musste, heute am Ende dieses Krieges als erreichbares, beinahe mit der Hand berührbares Ziel offenbart. In der totalen Vermischung der Völker, die dieser Konflikt in allen der deutschen Besatzung unterworfenen Gebieten verursacht hat, in der Notwendigkeit, die fast völlig zerstörte Wirtschaft wieder aufzubauen und alle Fragen, die Staats- und Zollgrenzen oder ethnische Minderheiten usw. betreffen, neu zu erörtern; durch das Wesen dieses Krieges an sich, in dem das nationale Element so oft von dem ideologischen Element überlagert wurde, in dem man gesehen hat, wie kleine und mittlere Staaten zu Gunsten stärkerer Staaten auf einen großen Teil ihrer Souveränität verzichtet haben, und in dem von Seiten der Faschisten selbst der Begriff der „nationalen Unabhängigkeit“ durch den des „Lebensraums“ ersetzt wurde; aus allen diesen 213 E. Colorni, Vorwort Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Elementen können wir Beweise herauslesen, die die Aktualität der Frage einer föderativen Ordnung Europas so deutlich wie nie zuvor werden lassen. Kräfte aus allen sozialen Klassen werden aus ökonomischen ebenso wie aus ideellen Gründen ein besonderes Interesse daran haben. Man wird sich diesem Thema mittels diplomatischer Verhandlungen nähern können und mittels Volksagitation; indem man in den gebildeten Schichten das Studium der damit verbundenen Fragen fördert und revolutionäre Zustände herbeiführt, die - erst einmal entstanden - nicht mehr ungeschehen gemacht werden können; indem man auf die politische Führung der Siegermächte einwirkt und in den besiegten Staaten die Losung verbreitet, dass sie nur in einem freien und vereinigten Europa ihre Rettung finden und die entsetzlichen Folgen der Niederlage mindern können. Aus all dem ist unsere Bewegung entstanden. Da ist die Vor - rangstellung und das Primat, das diese Frage vor allen anderen Fragen unserer Zeit einnimmt; und da ist die Gewissheit, dass die Gelegenheit für immer verloren wäre, ließen wir es zu, dass wieder nach den alten nationalistischen Mustern verfahren wird und dass dann kein dauerhafter Frieden und Wohlstand für unseren Kontinent möglich sein wird. All dies hat uns von der Notwendigkeit überzeugt, eine parteiunabhängige Organisation zu gründen, die sich für die nun nahende Nachkriegszeit die Verbreitung der Idee einer europäischen Föderation als realisierbares Ziel setzt. Wir leugnen nicht die Schwierigkeiten dieses Unterfangens, genauso wenig wie die Macht der Kräfte, die unserer Sache entgegen arbeiten; aber heute glauben wir zum ersten Mal, dass unsere Sache nicht nur als weit entferntes Ideal, sondern als dramatisch unaufschiebbare Notwendigkeit auf die Tagesordnung der politischen Auseinandersetzung gesetzt werden muss. Unsere Bewegung, die jetzt bereits seit nahezu zwei Jahren ein schwieriges Leben im Untergrund unter der faschistischen und nazistischen Unterdrückung führt, deren Angehörige aus den Reihen der antifaschistischen Widerstandskämpfer kommen und alle im bewaffneten Kampf für die Freiheit geeint sind und schon im Gefängnis einen harten Preis für die gemeinsame Sache gezahlt haben, diese unsere Bewegung ist keine politische Partei und will das auch nicht sein. Immer klarer definiert unsere Bewegung das eigene politische Handeln, dass sie auf die verschiedenen politischen Parteien einwirken und auch in innerhalb der Parteien selbst arbeiten will, nicht nur um die internationalistischen Aufgaben voran zu treiben, sondern auch und in erster Linie um daran zu arbeiten, dass alle Probleme des politischen Lebens unter diesem neuen Blickwinkel betrachtet werden, dem bisher so wenig Aufmerksamkeit geschenkt wurde. 214 E. Colorni, Vorwort Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Wir sind keine politische Partei, obwohl wir die umfassende Analyse der institutionellen, wirtschaftlichen und sozialen Ausrichtung der europäischen Föderation aktiv fördern, obwohl wir aktiv an dem Kampf für deren Durchsetzung teilnehmen und uns damit beschäftigen, welche Kräfte in der künftigen politischen Auseinandersetzung für sie eintreten könnten, trotz alledem wollen wir uns nicht öffentlich dazu äußern, wie die Institutionen im Einzelnen aussehen sollen, in welchem Ausmaß die Wirtschaft verstaatlicht oder die Verwaltung dezentralisiert werden soll usw. usw., also über die Merkmale des künftigen föderalen Gefüges. Wir lassen es zu, dass im Inneren unserer Bewegung diese Themen offen und frei diskutiert werden, und dass alle politischen Tendenzen, von der kommunistischen bis zur liberalen, bei uns vertreten sind. In der Tat sind fast alle unserer Anhänger in einer der fortschrittlichen Parteien tätig: Alle stimmen darin überein, die Prinzipien einer freien Europäischen Föderation zu vertreten und deren Durchsetzung zu fördern, einen europäischen Bundesstaat zu wollen, der weder auf einer irgendwie gearteten Hegemonie basiert, noch auf totalitären Systemen, und der von einer strukturellen Stabilität getragen sein soll, die ihn nicht zu einer einfachen Gesellschaft der Nationen werden lässt. Derartige Prinzipien lassen sich unter den folgenden Punkten zusammenfassen: eine einheitliche föderale Armee, ein einheitliches Währungssystem, Abschaffung der Zollschranken und der Beschränkungen der Freizügigkeit innerhalb der Staaten der Föderation, direkte Vertretung der Bürger bei den föderalen Versammlungen und eine gemeinsame Außenpolitik. In diesen beiden Lebensjahren hat unsere Bewegung sich innerhalb der antifaschistischen Gruppen und Parteien weit verbreitet. Einige von ihnen haben uns öffentlich ihre Anhängerschaft und ihre Sympathie erklärt. Andere haben uns aufgerufen, an der Formulierung ihrer Programme mitzuarbeiten. Es ist sicherlich nicht anmaßend zu behaupten, dass es zum Teil unser Verdienst ist, wenn die Probleme der Europäischen Föderation so oft in der italienischen Untergrundpresse behandelt werden. Unsere Zeitschrift „L’Unità Europea“ verfolgt mit Aufmerksamkeit die Ereignisse der italienischen und internationalen Politik, und bezieht diesbezüglich mit absolut unabhängigem Urteil Position. Die vorliegenden Schriften sind das Ergebnis unserer Überlegungen und Ideen, die zur Geburt unserer Bewegung geführt haben, jedoch geben sie nur die Meinung der Autoren wieder und sind keineswegs als einzige und unabdingbare Position der Bewegung selbst zu verstehen. Sie wollen nur all denen Diskussionsthemen vorschlagen und Anregungen geben, die die Fragen in der internationalen Gesamtheit neu überdenken wollen, wobei nicht nur die jüngsten ideologischen und politischen Erfahrungen einbezogen werden, 215 E. Colorni, Vorwort Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 sondern auch die neuesten Ergebnisse der Wirtschaftswissenschaften und die Perspektiven für die Zukunft, die uns am sinnvollsten und vernünftigsten erschienen. Es werden bald weitere Arbeiten und Analysen folgen. Es ist unser Anliegen, dass sie das Entstehen neuer Ideen beflügeln und dass sie in Anbetracht des gegenwärtigen Handlungsdrucks und der aktuellen Dringlichkeit zur Klärung des Sachverhalts beitragen, denn Klarheit und Wissen macht unser politisches Handeln immer entschiedener, bewusster und verantwortungsvoller. Die italienische Bewegung für die Europäische Föderation Rom, den 22. Januar 1944 216 E. Colorni, Vorwort Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Für ein freies und vereintes Europa. Enwurf zu einem Manifest Ventotene, 1941 Altiero Spinelli, Ernesto Rossi I. Die Krise der modernen Gesellschaft Die Grundlage der modernen Gesellschaft ist das Prinzip der Freiheit, wonach der Mensch niemals bloßes Objekt des anderen sein darf, sondern immer ein autonomes Subjekt ist. Auf diesem Grundsatz fußend begann ein gewaltiger historischer Prozess gegen all diejenigen Aspekte des Lebens, die dieses Prinzip missachteten. 1.) Allen Nationen wurde das Recht zugesprochen, sich in unabhängigen Staaten zusammenzuschließen. Jedes Volk, gekennzeichnet durch die eigene geographische, ethnische, sprachliche und historische Identität, sollte in diesem, entsprechend der eigenen politischen Auffassung selbst geschaffenen Staat das geeignete Werkzeug finden, um seine spezifischen Bedürfnisse auf die beste Art und Weise und unabhängig von jeder äußeren Einmischung zu befriedigen. Die Ideologie der nationalen Unabhängigkeit wurde zu einer starken Triebfeder des Fortschritts und hat dazu beigetragen, den engstirnigen und bornierten Lokalpatriotismus zugunsten einer größeren, umfassenderen Solidarität gegen die Unterdrückung und Fremdherrschaft zu überwinden, auch wurden viele der Hindernisse abgeschafft, welche den freien Verkehr von Personen und Waren einschränkten und innerhalb des neu geschaffenen Staates wurde auch den weniger privilegierten Bevölkerungsschichten Zugang zu den fortschrittlichen staatlichen Institutionen und den Vorteilen einer modernen Staatsordnung verschafft. Diese Ideologie trug aber auch den Keim des kapitalistischen Imperialismus in sich, den unsere Generation mit Macht heranwachsen sah, bis hin zum Entstehen der totalitären Staaten und zum Ausbruch der Weltkriege. 217 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Der Nationalstaat wird heute nicht mehr als das historische Produkt des Zusammenlebens der Menschen angesehen, die in einem lang andauernden Prozess zu gemeinsamen und einheitlichen Lebensformen und – zielen gefunden haben und in ihrem Staat das wirksamste Mittel sehen, ihr Zusammenleben im Rahmen der gesamten menschlichen Gesellschaft zu gestalten. Die Nation wird heute jedoch zu einer Art göttlichem Wesen erhoben, zu einem Gebilde, das nur an den eigenen Vorteil und das eigene Fortkommen denkt, ohne sich in irgendeiner Weise um den Schaden zu kümmern, welcher anderen dadurch zugefügt wird. Die uneingeschränkte Souveränität der Nationalstaaten hat dazu geführt, dass jeder einzelne Nationalstaat über den anderen herrschen will, da sich ein jeder von der Macht des anderen bedroht fühlt, und deshalb immer größere Gebiete als den eigenen „Lebensraum“ beansprucht, und damit auch das Recht, sich hier ohne Rücksicht auf andere bedenkenlos zu bedienen und die für die eigene Existenz notwendigen Ressourcen zu sichern. Diese Herrschaftsansprüche konnten nur dazu führen, dass der mächtigste und stärkste Staat die Vorherrschaft gewinnt und die schwächeren Staaten unterjocht. Folgerichtig hat sich der Staat vom Garanten der Freiheit seiner Bürger zum Herren über seine Untertanen gewandelt, die ihm jederzeit und mit all ihren Kräften und Fähigkeiten zu Diensten stehen müssen, um die Kriegsmaschinerie zu höchster Leistung zu bringen. Auch in Friedenszeiten, die als Ruhephase zur Vorbereitung unvermeidlicher künftiger Kriege angesehen werden, ist die Macht der Militärkaste in vielen Ländern größer als die der bürgerlichen Schichten und behindert dadurch das Funktionieren der freiheitlichen politischen Staatsordnung immer mehr. Schule, Wissenschaft, Produktion und der Verwaltungsapparat dienen überwiegend der Steigerung des kriegerischen Potentials. Mütter werden zu Gebärmaschinen künftiger Soldaten herabgewürdigt und nach den gleichen Kriterien belohnt, wie besonders fruchtbare Nutztiere auf den Viehmärkten. Kinder werden vom zartesten Alter an zum Soldatenberuf und zum Hass auf die Fremden erzogen. Die individuellen Freiheiten sind aufgehoben, wenn alles militärischen Zwecken untergeordnet ist und alle jederzeit zum Waffendienst gerufen werden können. Immer neue Kriege zwingen die Menschen, ihre Familien, ihre Arbeit und ihr Hab und Gut zu verlassen und ihr Leben für Ziele zu opfern, deren Sinn und Wert niemand wirklich begreift. In wenigen Tagen werden die Früchte jahrzehntelanger Arbeit zunichte gemacht, die doch den allgemeinen gesellschaftlichen Wohlstand vermehren sollten. Den totalitären Staaten ist es am konsequentesten gelungen, alle gesellschaftlichen Kräfte zu vereinen und ein Höchstmaß an Zentralisierung und Autarkie zu verwirklichen, und somit scheint in den heute herrschenden 218 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 internationalen Verhältnissen die totalitäre Staatsform die am besten geeignete zu sein. Wenn eine Nation einen Schritt in Richtung eines noch extremeren Totalitarismus macht, folgen ihr, von ihrem Überlebenswillen auf den gleichen Weg getrieben, alle anderen blind. 2.) Allen Bürgern wurde das gleiche Recht bei der Bildung des Staatswillens zugesprochen, verstanden als die aus freiem Willen zustande gekommene Synthese der unterschiedlichen, sich ändernden wirtschaftlichen und ideologischen Bedürfnisse aller sozialen Schichten. Eine solche politische Ordnung ermöglichte es, viele der von früheren Herrschaftssystemen sozusagen als Altlast übernommenen schlimmsten Ungerechtigkeiten zu korrigieren oder zumindest abzuschwächen. Doch die Pressefreiheit, die Vereinigungsfreiheit und die zunehmende Durchsetzung des allgemeinen und gleichen Wahlrechts erschwerten zusehends die Bewahrung der alten Privilegien und stärkte gleichzeitig das repräsentative System immer mehr. Nach und nach lernten die Besitzlosen, sich dieser Instrumente zu bedienen und mit ihrer Hilfe die angestammten Rechte und Privilegien der besitzenden Klassen zu schwächen. Die Vermögens- und Erbschaftssteuer, die progressiven Steuersätze auf die größeren Vermögen, die Steuerfreiheit für Minimaleinkommen und lebensnotwendige Bedarfsgüter, die Abschaffung des Schulgelds für öffentliche Schulen, die Einführung eines staatlichen Sozialversicherungssystems, die Agrarreformen und die Regulierung und Kontrolle der industriellen Arbeitsbedingungen, all das bedrohte die privilegierten Schichten in ihrem innersten Kern. Selbst jene privilegierten Schichten, die der politischen Gleichberechtigung zugestimmt hatten, konnten nicht zulassen, dass die mittellosen Klassen diese Freiheiten dazu nutzten, eine faktische Gleichheit durchzusetzen, die besagte Rechten mit dem konkreten Inhalt wirklicher Freiheit gefüllt hätte. Als dann nach dem Ende des Ersten Weltkriegs die Bedrohung zu stark wurde, war es nur natürlich, dass diese Schichten das Aufkommen der Diktaturen freudig begrüßten und aktiv unterstützten, die dann ihren Gegnern auch die gesetzlichen Waffen entzogen. Darüber hinaus entstanden mächtige Interessensverbände, gewaltige Industrie-und Bankenkonzerne auf der einen und die Gewerkschaften, die unter einer einzigen Dachorganisation ganze Heerscharen von Arbeitern vereinigten, auf der anderen Seite, und sowohl die Gewerkschaften als auch die Industrieverbände übten starken Druck auf die Regierungen aus, um die jeweiligen Sonderinteressen durchzusetzen. Auf diesem Hintergrund drohte der Staat, in viele einzelne wirtschaftliche Interessensverbände zu zerfallen, die sich untereinander aufs heftigste bekämpften. Die liberal-demokratische Rechtsordnung wurde von diesen Gruppen genutzt, um das gesamte 219 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Gemeinwesen besser für die eigenen Interessen auszunutzen, und verlor so immer mehr an Ansehen. So entstand die Überzeugung, dass allein der totalitäre Staat unter Abschaffung der politischen Freiheiten des Volkes die Interessenskonflikte lösen konnte, deren die politischen Institutionen nicht mehr Herr zu werden vermochten. In Wirklichkeit festigten die totalitären Regime die nach und nach errungene Stellung der verschiedenen Gesellschaftsklassen, und die Errichtung eines Polizeistaats, der das Lebens der Bürger total überwachte, sowie die gewaltsame Vernichtung aller Andersdenkender verhinderte jede rechtmäßige Möglichkeit zu einer Veränderung des Status Quo. Dadurch wurde das Fortbestehen des völlig parasitären Standes der Grundbesitzer und Rentiers gewährleistet, deren einziger Beitrag zur gesellschaftlichen Produktion im Einkassieren ihrer Zinserträge besteht, sowie der Monopole und Kartelle, die die Konsumenten ausnützen und das Geld der kleinen Sparer vernichten. Garantiert wird auch die Stellung der Plutokraten, die hinter den Kulissen die Politiker wie Marionetten beeinflussen, um so die ganze Staatsmaschinerie unter dem Vorwand übergeordneter nationaler Interessen zu ihrem eigenen persönlichen Nutzen zu lenken. Unangetastet bleiben die immensen Vermögen einiger weniger, und das Elend der großen Massen wird festgeschrieben, denen jede Möglichkeit, die Früchte der modernen Zivilisation zu genießen, verwehrt bleibt. Im Wesentlichen wird ein wirtschaftliches System aufrecht erhalten, in dem die materiellen Ressourcen und die Arbeitskraft, die eigentlich zur Befriedigung der für die Entwicklung und Erhaltung menschlicher Lebenskraft unerlässlichen Grundbedürfnisse eingesetzt werden sollten, statt dessen der Erfüllung der überflüssigen und überstiegenen Wünsche der Besitzenden dienen, die allein in der Lage sind, auch die höchsten Preise zu bezahlen: Ein wirtschaftliches System, in dem das Erbschaftsrecht dafür sorgt, dass die Macht des Geldes immer der selben Klasse vorbehalten bleibt, und zu einem Privileg wird, das dem sozialen Wert der tatsächlich geleisteten Dienste in keiner Weise entspricht. Demgegenüber ist die soziale Lage des Proletariats unerträglich, und die Arbeiter sind zum bloßen Überleben oft gezwungen, sich von jedem ausbeuten zu lassen, der ihnen irgendeine Arbeitsmöglichkeit anbietet. Um die Arbeiterklassen handlungsunfähig und gefügig zu machen, werden die Gewerkschaften, gegründet als freie Organisationen, die sich dem Kampf für die Interessen ihrer Mitglieder verschrieben hatten und die von Personen geführt wurden, die das Vertrauen aller besaßen, in polizeiliche Überwachungsorgane umgewandelt, deren Führungskader von den herrschenden Gruppen eingesetzt werden und nur diesen gegenüber verantwortlich sind. Jedwede Veränderungen eines solchen Wirtschaftssystems werden ausschließlich von den Erfordernissen und Notwendigkeiten des 220 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Militarismus diktiert, die zusammenfallen mit den reaktionären Zielen der privilegierten Schichten, den totalitären Staat zu errichten und zu festigen. 3.) Gegen den autoritären Dogmatismus hat sich der bleibende Wert des kritischen Geistes durchgesetzt. Alles, was behauptet wurde, musste sich selbst rechtfertigen oder verschwinden. Der systematischen Anwendung dieser vorurteilslosen Haltung verdanken wir die größten Errungenschaften unserer Gesellschaft in jedem Bereich. Aber diese Freiheit des Geistes konnte der Krise, die in den totalitären Staat führte, nicht standhalten. Neue Dogmen, die aus Überzeugung oder Heuchelei übernommen werden, erheben sich als die Herrscher über alle Wissenschaften. Niemand weiß wirklich, was eine Rasse ist, und schon die elementarsten Grundkenntnisse der Geschichte beweisen die Absurdität dieser Theorie, dennoch verlangt man von den Physiologen, daran zu glauben, dass man zu einer auserwählten Rasse gehöre, und dies auch überzeugend nachzuweisen, nur weil der Imperialismus diesen Mythos braucht, um in den Massen den Hass und den Nationalstolz zu schüren. Die eindeutigsten Begriffe der Wirtschaftswissenschaft werden auf den Index verbannt, um eine auf Autarkie abzielende Politik, eine ausgewogene Handelsbilanz und all die anderen alten Eisen des Merkantilismus als herausragende Entdeckungen unserer Zeit anzupreisen. Aufgrund der wechselseitigen wirtschaftlichen Abhängigkeit aller Teile der Welt ist der Lebensraum für jedes Volk, das den Lebensstandard einer modernen Gesellschaft bewahren will, auch der ganze Erdball. Doch es wurde die Pseudowissenschaft der Geopolitik geschaffen, die die Gültigkeit der Theorie vom Lebensraum beweisen will, um den Herrschaftswillen des Imperialismus theoretisch zu untermauern. Die wesentlichen Daten der Geschichte werden im Interesse der herrschenden Klasse gefälscht. Die Bibliotheken und Buchhandlungen werden von allen, nicht für rechtgläubig gehaltenen Werken gesäubert. Die Finsternis des Obskurantismus droht erneut, den menschlichen Geist zu ersticken. Selbst die Sozialethik der Freiheit und der Gleichheit wird ausgehöhlt. Die Menschen werden nicht mehr als freie Bürger angesehen, die sich des Staates bedienen können, um ihre gesellschaftlichen Ziele und Interessen wirksamer durchsetzen zu können. Sie werden zu Untertanen des Staates, der bestimmt, wie ihre Ziele und Interessen auszusehen haben. Der Wille des Staates wird zu dem Willen der Statthalter der Macht. Die Menschen sind keine mit Rechten ausgestatteten Personen mehr, sondern sie sind einer klaren Hierarchie unterworfen und müssen den höheren Autoritäten widerspruchlos gehorchen, an deren Spitze ein Führer steht, der gebührend vergöttlicht werden muss. Das Kastensystem ist allmächtiger als je zuvor aus seiner eigenen Asche wieder auferstanden. 221 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Dieses reaktionäre totalitäre System hat, nachdem es in einigen Länden gesiegt hat, im nationalsozialistischen Deutschland eine Macht gefunden, die sich für fähig hielt, diese Ideologie bis in die letzte Konsequenz umzusetzen. Nach gründlicher Vorbereitung und dreister und skrupelloser Ausnutzung bestehender Rivalitäten, Egoismen und der Dummheit der anderen gelang es Hitler-Deutschland auch noch andere Vasallenstaaten mit sich zu reißen, zuerst Italien, danach hat es sich mit Japan verbündet, das in Asien identische Ziele verfolgte, und alle in einen Angriffskrieg zur Errichtung der Weltherrschaft gestürzt. Ein Sieg würde die endgültige Durchsetzung des Totalitarismus auf der Welt bedeuten, und das in seiner brutalsten Form, und die progressiven Kräfte wären für lange Zeit zu bloßer negativer Opposition verdammt. Die traditionelle Arroganz und der Starrsinn der deutschen Militärkaste kann uns schon eine Vorstellung davon geben, wie ihre Herrschaft nach dem totalen Sieg aussehen würde. Die siegreichen Deutschen könnten sich sogar einen Anflug von geheuchelter Großzügigkeit gegenüber den anderen europäischen Völkern leisten, ihre Staatsgebiete und politischen Institutionen formal anerkennen, um so die eigene Herrschaft zu sichern, denn so wäre diesem törichten patriotischen Gefühl Genüge getan, das die Farben der Grenzpfähle und die Nationalität der im Rampenlicht stehenden Politiker für wichtiger hält als das tatsächliche Kräfteverhältnis und den wirklichen Inhalt der staatlichen Institutionen. Wie auch immer verkleidet, wäre die Realität doch immer die gleiche, nichts als die erneute Aufteilung der Menschheit in Spartiaten und Heloten. Auch eine Kompromisslösung zwischen den kämpfenden Parteien würde einen weiteren Schritt hin zum Totalitarismus bedeuten, wären doch alle Länder, die dem Würgegriff Deutschlands entgangen sind, zur Anwendung der gleichen politischen Organisationsformen gezwungen, um sich angemessen auf einen Wiederbeginn des Krieges vorzubereiten. Aber Hitlerdeutschland hat dadurch, dass es die kleineren Staaten einen nach dem anderen unterjocht hat, auch größere und mächtigere Länder zur Gegenwehr gezwungen. Der Mut und Kampfgeist Großbritanniens, das selbst zu einem äußerst kritischen Zeitpunkt, als es dem Feind allein gegenüberstand, in den Krieg eintrat, hat dazu geführt, dass die Deutschen auf den zähen Widerstand der sowjetischen Streitkräfte trafen, und dies gab Amerika Zeit zur Mobilisierung all seiner unermesslichen materiellen und humanen Ressourcen. Dieser Kampf gegen den deutschen Imperialismus war eng verbunden mit dem des chinesischen Volkes gegen den japanischen Imperialismus. Unzählige Menschen haben sich schon gegen die totalitären Mächte gestellt, und enorme Finanzmittel wurden schon bereitgestellt. Die Macht der totalitären Länder hat schon ihren Höhepunkt erreicht und wird von nun an 222 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 unaufhaltsam ihrem Niedergang entgegengehen. Die Gegenkräfte haben dagegen ihren Tiefpunkt bereits überwunden und werden immer stärker. Der Krieg der Alliierten stärkt jeden Tag aufs Neue den Willen zur Befreiung, auch in den besetzten und unterjochten Ländern, die sich unter der Gewalt selbst aufgegeben hatten. Der Wille zur Befreiung erwacht sogar in den Völkern der Achse, die sich bewusst werden, dass sie in den Abgrund gerissen werden, nur um die Gier ihrer Machthaber zu befriedigen. Unzählige Menschen wurden von dem neuen Regime verformt, verblendet und haben sich angepasst, und so konnte sich die totalitäre Macht festigen, doch heute ist dieser langsame Prozess nicht nur unterbrochen, sondern es hat schon längst eine entgegengesetzte Entwicklung begonnen. In dieser starken, sich langsam erhebenden Bewegung finden sich alle progressiven Kräfte wieder: Die aufgeklärten Teile der Arbeiterklasse, die weder Gewalt und Terror noch Schmeicheleien von ihrem Streben nach einem besseren Leben abhalten konnten; die klarsten Köpfe der Intellektuellen, die die Erniedrigung der Intelligenz als Kränkung empfanden; Unternehmer, die sich zu neuen Initiativen fähig fühlen und die bürokratischen Fesseln der nationalen Autarkie abwerfen möchten, weil sie ihre Bewegungsfreiheit einengen; und schließlich all diejenigen, deren angeborener Sinn für Würde sie auch in der demütigenden Sklaverei den aufrechten Gang nicht hat vergessen lassen. All diesen Kräften ist heute die Rettung unserer Zivilisation anvertraut. 223 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 II. Die Aufgaben der Nachkriegszeit. Die europäische Einheit Die Niederlage Deutschlands würde aber nicht automatisch zu einer Neuordnung Europas nach unserem Ideal der Zivilgesellschaft führen. In der kurzen intensiven Zeit der allgemeinen Krise (während derer die Staaten zerstört am Boden liegen und die Volksmassen voller Sorgen auf neue Ideen warten werden, formbar und aufnahmefähig für neue Formen, bereit, die Führung ehrlicher international denkender Männer anzunehmen), werden die in den alten nationalstaatlichen Systemen ehemals am stärksten privilegierten Schichten mit Hinterlist oder mit Gewalt versuchen, die Welle der internationalen Begeisterung abzuschwächen, und sich ostentativ damit beschäftigen, das alte Staats- und Herrschaftssystem wiederherzustellen. Es ist wahrscheinlich, dass die englischen Staatsführer, vielleicht sogar im Einverständnis mit den führenden amerikanischen Politikern, versuchen werden, die Dinge in diese Richtung zu lenken, um die Politik des Gleichgewichts der Kräfte im scheinbar unmittelbaren Interesse ihrer Länder weiter verfolgen zu können. Die konservativen Kräfte, das heißt die Amtsinhaber der wichtigsten Institutionen der Nationalstaaten; die Führungsschicht des Militärs, die auch bis in monarchistische Kreise reicht; all jene Gruppen des monopolistischen Kapitalismus, die das eigene Profitinteresse mit dem Staatsinteresse gleichgesetzt haben; die Großgrundbesitzer und die hohen kirchlichen Würdenträger, deren parasitäre Erträge nur durch eine stabile konservative Gesellschaftsordnung gesichert sind; und in ihrer Folge die ganze unzählige Schar derer, die von ihnen abhängen oder auch nur von ihrer althergebrachten Macht verblendet sind; alle diese reaktionären Kräfte spüren schon heute, dass das Fundament ihrer Macht brüchig geworden ist, und versuchen nun, zu retten, was noch zu retten ist. Der Zusammenbruch würde ihnen auf einen Schlag all die Sicherheiten nehmen, über die sie bisher verfügten, und sie dem Angriff der progressiven Kräfte aussetzen. Die Revolutionäre Situation: Alte und Neue Strömungen Der Zusammenbruch der totalitären Regime bedeutet für die Völker gefühlsmäßig die Rückkehr der „Freiheit“; die auf ihrem Siegeszug nicht aufzuhalten ist, und damit auch automatisch die Einführung der Meinungsund Vereinigungsfreiheit. Das wird der Triumph der demokratischen Kräfte sein. Diese haben unzählige Nuancen, die von einem sehr konservativen Liberalismus bis hin zum Sozialismus und zur Anarchie gehen. Sie glauben an das „spontane Entstehen“ der Ereignisse und der Institutionen, an den 224 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 absoluten Wert der Impulse, die von unten kommen. Sie wollen den Lauf der „Geschichte“, das „Volk“ und das „Proletariat“, oder wie auch immer ihre Götter heißen, zu nichts zwingen. Sie wünschen das Ende der Diktaturen, und stellen es sich wie die Rückgabe der unveräußerlichen Selbstbestimmungsrechte an das Volk vor. Die Krönung ihrer Träume ist eine verfassungsgebende Versammlung, gewählt unter strengster Achtung der Rechte des Wahlvolks und mit einem möglichst weit ausgedehnten Wahlrecht. Sie entscheidet darüber, welche Verfassung sich das Land gibt. Wenn das Volk dazu nicht reif ist, wird es sich eine schlechte Verfassung geben; doch kann diese nur durch eine fortwährende Überzeugungsarbeit verbessert werden. Die Demokraten verzichten nicht prinzipiell auf Gewalt; sie wollen jedoch nur dann auf sie zurückgreifen, wenn die Mehrheit von ihrer Unvermeidbarkeit überzeugt ist, das heißt genau dann, wenn Gewaltanwendung nur noch ein nahezu überflüssiges Tüpfelchen auf dem „i“ darstellt. Die Demokraten taugen also als geeignete Führungskräfte nur in Zeiten des normalen demokratischen Lebens, in denen ein Volk im Grossen und Ganzen von der Zweckmäßigkeit und Funktionstüchtigkeit seiner Grundordnung überzeugt ist, die nur einer Änderung in vergleichsweise zweitrangigen Aspekten bedarf. In revolutionären Zeiten, in denen die Institutionen noch aufgebaut und nicht nur verwaltet werden müssen, scheitert die demokratische Praxis kläglich. Die bedauernswerte Unfähigkeit der Demokraten während der russischen, deutschen und spanischen Revolution sind drei der jüngsten Beispiel dafür. Nach dem Zusammenbruch des alten Staatsapparats mit seinen Gesetzen und seiner Verwaltung werden unzählige Volksversammlungen und Volksvertretungen einberufen, in denen der alte Rechtszustand dem Anschein nach entweder verteidigt oder aber rigoros abgelehnt wird und in denen alle fortschrittlichen gesellschaftlichen Kräfte zusammenfließen und die anstehenden Fragen aufgeregt erörtern. Das Volk hat gewiss einige grundlegende Bedürfnisse zu stillen, weiß aber nicht recht, was es wirklich will oder was zu tun ist. Tausend Glocken klingen in den Ohren des Volkes. Den Millionen unterschiedlicher Köpfe und Meinungen gelingt es nicht, eine gemeinsame Richtung zu finden, und das Volk zerfällt in eine Unzahl verschiedener Strömungen, die sich gegenseitig bekämpfen. In einem solchen Moment ist jedoch größte Entscheidungsfähigkeit und größte Entschlossenheit gefragt, doch die Demokraten fühlen sich verloren, wenn sie keinen spontanen Volkskonsens hinter sich spüren, sondern nur einen unruhigen Aufruhr der Leidenschaften. Sie sehen es als ihre Pflicht an, diesen Konsens zu erreichen und appellieren mahnend von der Kanzel herab an das Volk, in einem Moment, in dem Menschen mit Führungsqualitäten gebraucht werden, die das zu erreichende Ziel klar vor Augen haben. Und so wird die 225 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 günstigste Gelegenheit zur Festigung der neuen Staatsform verpasst, denn die in aller Eile einberufenen Organe benötigen eine lange Vorbereitungszeit und sind deshalb nur für Zeiten relativer politischer Ruhe geeignet. Sie spielen ihren Gegnern Waffen zu, die diese dann gegen sie selbst wenden. Sie zeigen mit ihren zahlreichen Widersprüchen nicht so sehr den Willen zur Erneuerung, sondern eher die allgemeine konfuse Tatenlosigkeit und Entscheidungsschwäche all der Kräfte, die sich gegenseitig lähmen und somit den Boden für die reaktionären Kräfte vorbereiten. In einer revolutionären Krise wird die politische Methode der Demokraten nichts als nutzloser Ballast sein. Sobald die Demokraten mit ihren Wortgefechten ihre Beliebtheit als Verfechter der Freiheit verspielt haben, weil den Worten keine ernsthafte politische und soziale Revolution nachgefolgt ist, würden zweifelsohne die politischen Institutionen wiederauferstehen, die schon vor der Machtergreifung des Totalitarismus geherrscht haben, und die politische Auseinandersetzung würde nach den alten Mustern des Klassenkampfes fortgeführt werden. Das Prinzip, wonach der Klassenkampf der einzige gemeinsame Nenner ist, auf den alle politischen Probleme zurückgeführt werden, war die Grundüberzeugung vor allem der Fabrikarbeiter und hat dazu beigetragen, ihrer Politik Geschlossenheit zu geben, so lange die grundlegenden Institutionen nicht in Frage gestellt wurden. Es verwandelt sich aber in ein Instrument zur Isolierung des Proletariats, wenn die gesamte Gesellschaftsordnung grundlegend erneuert werden muss. Die im Klassenkampf groß gewordenen Arbeiter haben noch nicht erkannt, dass ihre spezifischen Klasseninteressen, oder sogar die Interessen der Arbeiter einzelner Wirtschaftsbranchen nicht durchzusetzen sind, wenn sie nicht in die Interessen der anderen Gesellschaftsschichten eingebunden werden, oder aber sie streben die einseitige Diktatur ihrer Klasse an, um die utopische Kollektivierung aller Produktionsmittel zu erreichen, die von einer jahrhundertealten Propaganda als das Allheilmittel für all ihre Leiden angepriesen wird. Diese Politik kann keine andere Schicht außer die der Arbeiter begeistern und verliert somit die Unterstützung aller anderen progressiven Kräfte, oder liefert sie der Reaktion aus, die sich ihrer geschickt bedient, um der proletarischen Bewegung das Rückgrat zu brechen. Unter den verschiedenen Strömungen der traditionellen Arbeiterbewegung, die der Klassenpolitik und dem kollektivistischen Ideal verpflichtet sind, waren es gerade die Kommunisten, die die Notwendigkeit, aber auch die Schwierigkeit erkannt hatten, für die Umsetzung ihrer Politik starke Bündnispartner zu finden. Deswegen haben sich die Kommunisten im Unterschied zu den anderen Volksparteien in eine streng organisierte 226 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Bewegung verwandelt und den Mythos der russischen Revolution ausgenutzt, um die Arbeiter in einer Einheitsbewegung zusam menzuschließen, jedoch wird die Arbeiterklasse nicht zum eigentlichen Entscheidungsträger erhoben, sondern als bloßes Werkzeug in den diversen aussichtslosen politischen Schachzügen eingesetzt. Diese Vorgehensweise gibt den Kommunisten in revolutionären Krisen eine größere politische Effizienz als den Demokraten; doch versuchen die kommunistischen Kräfte unter dem Vorwand, dass die „wahre Revolution“ des Proletariats erst noch kommen werde, die Arbeiterklasse so weit wie möglich von den anderen revolutionären Kräften fernzuhalten, und so wird im entscheidenden Moment eine Spaltung hervorgerufen, die die Durchsetzung der politischen Zielsetzungen insgesamt schwächt. Auch ihre absolute Abhängigkeit vom russischen Sowjetstaat, der die nationalen kommunistischen Bewegungen des Öfteren dazu benutzt hat, die eigenen nationalen politischen Interessen durchzusetzen, verleiht der eigenen nationalen kommunistischen Politik keinerlei Kontinuität. Sie müssen sich immer hinter einem Karoly, einem Blum, einem Negrin verstecken, um dann umso widerstandsloser gemeinsam mit ihren demokratischen Strohmännern unterzugehen. Man erwirbt und festigt die Macht nicht nur durch kluge politische Schachzüge, sondern allein dann, wenn man auch in der Lage ist, glaubwürdige und realitätsnahe Antworten auf die Anforderungen der modernen Gesellschaft zu geben. Bliebe der Kampf in der Zukunft auf das traditionelle nationale Feld beschränkt, so wäre es sehr schwer, den alten, bisher nicht gelösten Problemen zu entfliehen. Denn die Nationalstaaten haben ihre Wirtschaft bereits so weitgehend geplant, dass die Kernfrage schon bald wäre, welche wirtschaftliche Interessensgemeinschaft, mit anderen Worten welche Klasse, die wirtschaftlichen Schalthebel in der Hand hält. Die Front der progressiven Kräfte würde im Streit zwischen den Gesellschaftsklassen und den unterschiedlichen wirtschaftlichen Interessen leicht zerschmettert werden. Aller Wahrscheinlichkeit nach würden die reaktionären Kräfte daraus Profit schlagen. Eine echte revolutionäre Bewegung muss von den Gruppierungen ausgehen, die den alten politischen Ausrichtungen kritisch gegenüberstehen. Sie wird lernen müssen, mit den demokratischen Kräften zusammenzuarbeiten, mit den Kommunisten, und ganz allgemein mit all denen, die zum Untergang des Totalitarismus beigetragen haben, ohne sich jedoch von der politischen Praxis irgendeiner dieser Kräfte instrumentalisieren zu lassen. Die reaktionären Kräfte verfügen über fähige Männer und Führungspersönlichkeiten, die zum Befehlen erzogen wurden, und die entschlossen für den Erhalt ihrer Vorherrschaft kämpfen werden. In schweren 227 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Zeiten werden sie sich geschickt verstellen, sie werden vorgeben, Befürworter der Freiheit, des Friedens, des allgemeinen Wohlstands der ärmeren Klassen zu sein. Wir haben schon in der Vergangenheit gesehen, wie sie sich hinter den Volksbewegungen verborgen und diese gelähmt, umgeleitet und in das glatte Gegenteil verwandelt haben. Sie werden ohne Zweifel die gefährlichste Kraft sein, die es auszuschalten gilt. Ihr Ziel wird mit aller Sicherheit die Wiederherstellung des Nationalstaates sein. Hierbei können sie auf das am weitesten verbreitete Volksempfinden zurückgreifen, auf das Nationalgefühl, das durch die vergangenen Erschütterungen am meisten verletzt wurde und von den Reaktionären am leichtesten manipuliert werden kann. Auf diese Weise können sie auch darauf hoffen, die Ideen ihrer Gegner leichter zu verwirren, da sich die einzige politische Erfahrung der Massen bisher im Rahmen der nationalen Grenzen bewegte. Deswegen ist es auch umso leichter, sowohl das Volk als auch seine kurzsichtigeren politischen Führer auf den Weg des Wiederaufbaus der durch die Katastrophe zerstörten Nationalstaaten zu locken. Würden dieses Ziel erreicht, dann hätte die Reaktion gewonnen. Diese Staaten könnten sogar dem Anschein nach verhältnismäßig demokratisch und sozialistisch sein, doch wäre die Rückkehr der Macht in die Hände der reaktionären Kräfte nur eine Frage der Zeit. Die nationalen Rivalitäten würde wiedererwachen und jeder Staat erneut die Befriedigung seiner eigenen Bedürfnisse ausschließlich in die Hände des Militärs legen. Übergeordnetes Ziel wäre es, die Völker früher oder später wieder in den Krieg zu führen. Die Generäle würden wieder befehlen, die Monopolisten wieder von einer auf Autarkie ausgerichteten Wirtschaft profitieren, die bürokratischen Körperschaften würden sich wieder aufblähen, die Priester würden die Massen wieder zähmen. Alle Errungenschaften der ersten Stunde würden auf ein Nichts zusammenschrumpfen vor der Notwendigkeit, sich auf einen neuen Krieg vorzubereiten. Das Problem, welches zu allererst gelöst werden muss und ohne dessen Lösung jeder andere Fortschritt nur ein Schein bleibt, ist die endgültige Abschaffung der Zersplitterung Europas in souveräne Nationalstaaten. Der Zusammenbruch der Mehrheit der Staaten des Kontinents unter der deutschen Dampfwalze hat schon das gemeinsame Schicksal der europäischen Völker besiegelt, denn entweder werden sie alle gemeinsam der Herrschaft HitlerDeutschlands unterworfen oder aber alle gemeinsam nach dem Zusammenbruch dieses Regimes in eine revolutionäre Krise eintreten, in der sie sich aus ihren herkömmlichen Staats strukturen befreien und die vorhandene Trennung aufheben können. Schon heute stehen sie einem föderativen Wiederaufbau Europas viel wohlwollender gegenüber als in der 228 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Vergangenheit. Die dramatischen Erfahrungen der letzten Jahrzehnte haben auch denen die Augen geöffnet, die nichts sehen wollten, und haben viele günstige Umstände für unser Ideal geschaffen. Alle vernünftigen Menschen haben inzwischen begriffen, dass ein Gleichgewicht unter den unabhängigen europäischen Staaten nicht aufrecht zu erhalten ist, solange das militaristische Deutschland unter gleichen Bedingungen mit den anderen Staaten zusammenlebt. Genauso wenig kann man Deutschland nach seiner Niederlage zerstückeln und es „mit dem Fuß im Nacken“ zu einem Kleinstaat degradieren. Es wurde klar, dass kein Land in Europa unbeteiligt bleiben kann, während die anderen sich bekriegen, und dass Neutralitätserklärungen und Nichtangriffspakte zu nichts nütze sind. Es ist inzwischen bewiesen, wie nutzlos, ja schädlich Organismen von der Art eines Völkerbundes sind, der vorgab, ein internationales Recht zu garantieren, ohne eine militärische Kraft zu besitzen, die in der Lage gewesen wäre, unter Wahrung der absoluten Souveränität der teilnehmenden Staaten internationale Entscheidungen durchzusetzen. Absurd ist das Prinzip der Nichteinmischung in die inneren Angelegenheiten eines Staates, nach dem jedes Volk frei sein sollte, sich eine beliebige despotische Regierung zu wählen, als wäre der innere Aufbau jedes einzelnen Staates nicht von vitalem Interesse für jeden anderen europäischen Staat. Unlösbar sind die vielfältigen Probleme, die das internationale Leben unseres Kontinents vergiften. Die Grenzziehung in den Gebieten mit gemischter Bevölkerung, die Verteidigung der nationalen Minderheiten, der Zugang zum Meer für Binnenländer, die Balkanfrage, die Irland-Frage, usw., all diese Probleme könnten in einer Europäischen Föderation leicht gelöst werden, ebenso wie in der Vergangenheit die verschiedenen Konflikte der Kleinstaaten mit ihrer Aufnahme in das größere nationale Staatsgebilde gelöst und dadurch entschärft wurden, dass sie nun als eine innerstaatliche Angelegenheit betrachtet wurden. Auf der anderen Seite begünstigen viele Umstände das Errichten eines föderativen Systems, das allein in der Lage ist, der momentanen Anarchie ein Ende zu setzen: Der zerstörte Mythos der Unangreifbarkeit Großbritanniens, der die Engländer in die so genannte „splendid isolation“ getrieben hatte, bedeutete auch das Ende des Gefühls der Sicherheit; die Niederlage und Auflösung der französischen Streitkräfte und der französischen Republik schon beim ersten ernsthaften Angriff der deutschen Truppen (wodurch die chauvinistische Überzeugung von der absoluten gallischen Überlegenheit hoffentlich stark geschwächt wurde); und vor allem das allgemeine Erkennen der großen Gefahr, unter das deutsche Joch zu geraten. Auch die Tatsache, dass England inzwischen die indische Unabhängigkeit anerkannt hat, und dass Frankreich mit dem Eingestehen seiner Niederlage möglicherweise sein ganzes 229 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Imperium verloren hat, erleichtert es, eine Verständigungsbasis für eine europäische Neuordnung der kolonialen Besitztümer zu finden. Dazu kommen schließlich noch der Untergang einiger der wichtigsten Dynastien und die schwankenden Grundfesten der übrigen Monarchien. Es muss dabei berücksichtigt werden, dass die Dynastien, welche die verschiedenen Länder als ihr traditionelles Erbteil betrachten, zusammen mit den mächtigen Interessen, in deren Einverständnis sie handelten, ein ernsthaftes Hindernis bei einer von der Vernunft gebotenen Errichtung der Vereinigten Staaten von Europa darstellten, da diese nur auf einer republikanischen Verfassung all ihrer Mitgliedsländer gegründet werden können. Und wenn sich, über den europäischen Horizont hinaus, in einer Zukunftsvision alle Völker der Menschheit in die Arme fallen sollten, dann muss man akzeptieren, dass die Europäische Föderation die einzige denkbare Garantie dafür darstellt, dass die Beziehungen zu den asiatischen und amerikanischen Völkern sich auf der Grundlage einer friedlichen Zusammenarbeit entwickeln können, in Erwartung einer weiter entfernten Zukunft, in welcher die politische Einheit des ganzen Erdballs möglich sein wird. Die Trennungslinie zwischen den fortschrittlichen und den reaktionären Parteien verläuft also jetzt nicht mehr entlang der formalen Linie einer mehr oder weniger ausgeprägten Demokratie oder eines mehr oder weniger ausgeprägten sozialistischen Systems, sondern entlang der grundlegend neuen Trennungslinie: Auf der einen Seite stehen all diejenigen, die weiter dem alten Hauptziel, der Übernahme der politischen Macht im Nationalstaat verhaftet bleiben, und die, ohne es zu wollen, unvermeidlich zum Spielball der reaktionären Kräfte werden, indem sie die glühende, formbare Lava der Begeisterung des Volkes in die alten Formen pressen und dadurch die alten Absurditäten wieder auferstehen lassen, auf der anderen Seite stehen diejenigen Kräfte, die ihre Hauptaufgabe darin sehen, einen soliden und gefestigten internationalen Staat zu schaffen, und die Kräfte des Volkes in diese Richtung lenken wollen. Selbst wenn diese Kräfte die nationale Macht erobern sollten, werden sie diese in erster Linie als Werkzeug zur Verwirklichung der internationalen Einheit einsetzen. Aufklärung, Propaganda und Aktion, aber auch eine Vielfalt von Absprachen und Zusammenarbeit zwischen den einzelnen Bewegungen, die in den verschiedenen Ländern zweifelsohne entstehen werden, bilden schon jetzt das Fundament für eine einheitliche Bewegung, die alle Kräfte zu mobilisieren vermag, um diesen neuen übernationalen Organismus ins Leben zu rufen, der nach Jahrhunderten die großartigste und fortschrittlichste Schöpfung in Europa sein wird. Es muss ein stabiler Bundesstaat aufgebaut werden, der die 230 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 nationalen Streitkräfte zugunsten einer europäischen Streitmacht abschafft; der entschieden die Wirtschaftsautarkien zerschmettert, die das Rückgrat der totalitären Regime bilden; der über angemessene Staatsorgane und finanzielle Mittel verfügt, um in den einzelnen Bundesstaaten seine Entscheidungen, die dem Erhalt der gemeinschaftlichen Ordnung dienen, durchsetzen zu können, dabei aber gleichzeitig den einzelnen Staaten die Autonomie lässt, die es ihnen erlaubt, das politische Leben gemäß der besonderen Eigenheiten der jeweiligen Völker auszuformen und weiter zu entwickeln. Wenn es in den größten europäischen Ländern genug Menschen gibt, die das verstehen, dann werden wir den Sieg binnen kurzer Zeit in unseren Händen halten, da die allgemeinen Umstände und der Zeitgeist unserem Werk zuarbeiten. Ihnen werden Parteien und Tendenzen gegenüberstehen, die sich durch die verheerende Erfahrung der letzten zwanzig Jahre selbst diskreditiert haben. Denn die Zeit ist gekommen, für neue Aufgaben, für den neuen Menschen, für die BEWEGUNG FÜR EIN FREIES UND VEREINTES EUROPA. 231 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 III. Die Aufgaben der Nachkriegszeit. Die Reform der Gesellschaft Ein freies und vereinigtes Europa ist die notwenige Voraussetzung für die Weiterentwicklung der modernen Gesellschaft, die im Zeitalter des Totalitarismus zum Stillstand gekommen war. Das Ende dieser Ära wird sofort den historischen Prozess gegen die Ungleichheit und die sozialen Privilegien wieder entfachen. Alle alten, konservativen Institutionen, die diesen Prozess behinderten, werden zusammenbrechen; und diese Krise muss mit Mut und Entschlossenheit genutzt werden. Die europäische Revolution muss, um unseren eigenen Ansprüchen zu genügen, sozialistisch sein, das heißt, sie muss also sich als Ziel die Emanzipation der arbeitenden Bevölkerung und das Erreichen würdigerer Lebensbedingungen für diese Schicht setzen. Der Richtung weisende Kompass kann hierbei aber nicht das rein doktrinäre Prinzip sein, nach dem das Privateigentum an den Produktionsmitteln prinzipiell abgeschafft werden muss, oder nur in einer Übergangsphase geduldet werden kann. Die allgemeine Verstaatlichung der Wirtschaft war die erste utopische Form, unter der sich die Arbeiterklasse die Befreiung vom kapitalistischen Joch vorstellte; jedoch sobald dies einmal vollständig durchgesetzt ist, führt dies nicht zum ersehnten Ziel, sondern zur Errichtung eines Regimes, in dem das ganze Volk im Dienst einer kleinen Kaste von Bürokraten steht, die die Wirtschaft verwaltet. Das wahre Grundprinzip des Sozialismus besteht darin, dass die wirtschaftlichen Kräfte nicht über die Menschen herrschen sollen, sondern dass diese Kräfte, so wie es für die Naturgewalten zutrifft, auf vernünftige Weise von den Menschen gezähmt, gelenkt und kontrolliert werden sollten, damit die großen Massen nicht zu ihrem Opfer werden (die allgemeine Kollektivierung stellt lediglich eine überstürzte und fehlerhafte Schlussfolgerung aus diesem Grundprinzip dar). Die enormen, aus dem individuellen Interesse entspringenden fortschrittlichen Kräfte, sollten nicht in der täglichen Routine ersticken, um dann vor der unlösbaren Aufgabe zu stehen, Unternehmungsgeist, Leistung und Engagement anschließend durch finanzielle Anreize und Gehaltsdifferenzierung wiederzuerwecken; diese Kräfte sollen stattdessen unterstützt und ausgebaut werden, und ihnen sollten größere Chancen zur Weiterentwicklung, Selbstentfaltung und Arbeitsmöglichkeiten gegeben werden. Gleichzeitig müssen die Rahmenbedingungen konsolidiert und perfektioniert werden, die zur Erreichung all der Ziele führen, die für die ganze Gesellschaft am wichtigsten sind. 232 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Das Privateigentum muss von Fall zu Fall abgeschafft, begrenzt, korrigiert oder auch erweitert werden, also nicht auf dogmatische und prinzipielle Art. Diese Richtlinie fügt sich selbstverständlich in den Prozess der Entstehung eines europäischen Wirtschaftslebens ein, das von dem Alptraum des Militarismus und des nationalen Bürokratismus befreit ist. Die rationale Lösung muss die Stelle der irrationalen einnehmen, auch im Bewusstsein der Arbeiter. Um den Inhalt dieser Richtlinie genauer zu klären und unter Berücksichtigung der Tatsache, dass die Angemessenheit und die Modalitäten jedes einzelnen Programmpunktes immer vor dem von jetzt an unverzichtbaren Hintergrund der europäischen Einheit beurteilt werden müssen, betonen wir die folgenden Punkte: a) Es gibt Unternehmen, die nicht in privaten Händen verbleiben sollten, zum Beispiel Konzerne, die eine Monopolstellung eingenommen haben, die ihnen die Möglichkeiten zur Ausbeutung der Konsumenten bietet, zum Beispiel die Elektrizitätswerke; oder die Unternehmen von kollektivem Interesse, die aber Schutzzölle, Subventionen, Beihilfen usw. benötigen (das bekannteste Beispiel für diese Art von Industrie ist bisher in Italien die Eisen- und Stahlindustrie); und die Unternehmen, die wegen der Höhe des investierten Kapitals und der Anzahl der von ihnen beschäftigten Arbeiter oder aufgrund der Wichtigkeit des von ihnen beherrschten Wirtschaftszweigs, die Staatsorgane erpressen und eine für sie geeignete Politik erzwingen können (z.B.: Bergbau, Großbanken, große Rüstungsindustrien). Dies ist das Feld, in dem man sicherlich in großem Maßstab Nationalisierungen vornehmen muss, ohne jede Rücksicht auf angestammte Rechte und Privilegien. b) Eigentums- und Erbschaftsrecht haben in der Vergangenheit dazu geführt, dass in den Händen weniger Privilegierter große Reichtümer angehäuft wurden, die während einer revolutionären Krise gerecht verteilt werden sollten, um die parasitären Schichten abzuschaffen und den Arbeitern die Produktionsmittel in die Hand zu geben, derer sie zur Verbesserung ihrer finanziellen Situation und zur Erreichung größerer Unabhängigkeit bedürfen. Wir denken dabei an eine Agrarreform, die das Land denen überschreibt, die es bebauen, wodurch die Anzahl der Grundbesitzer enorm ansteigen würde, oder an eine Industriereform, die das Eigentum der Arbeiter auf die nicht verstaatlichten Bereiche ausdehnt, und zwar durch Mitbestimmung, Betriebsaktien für Arbeiter usw. c) Die jungen Menschen müssen durch angemessene Maßnahmen gefördert werden, damit die ungleichen Ausgangspositionen im Lebenskampf auf ein Minimum reduziert werden. Vor allem muss die öffentliche Schule eine reale Möglichkeit bieten, den Begabtesten und nicht nur den Reichsten den Zugang zu den höchsten Schul- und Studienabschlüssen zu ermöglichen; und 233 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 das Bildungssystem muss in jedem Ausbildungs- und Studienzweig eine der Nachfrage des Marktes entsprechende Anzahl von Personen auf die unterschiedlichen Berufe und die freien und wissenschaftlichen Tätigkeiten vorbereiten, damit die Durchschnittslöhne für die verschiedenen Berufszweige mehr oder weniger gleich sind, wie unterschiedlich die Bezahlung innerhalb der gleichen Kategorie auch sein mag, entsprechend den unterschiedlichen persönlichen Leistungen und Fähigkeiten. d) Die dank der modernen Technik schier unbegrenzte Möglichkeit der Massenproduktion lebenswichtiger Güter erlaubt es inzwischen, alle Menschen mit verhältnismäßig geringen sozialen Kosten mit Wohnung, Nahrung und Kleidung zu versorgen, um allen ein menschenwürdiges Leben zu gewährleisten. Die menschliche Solidarität gegenüber denjenigen, die im wirtschaftlichen Kampf unterlegen sind, sollte aber keine karitative Form annehmen, die immer erniedrigend ist und das gleiche Übel verursacht, das sie beseitigen will. Sondern sie soll mittels gezielter Maßnahmen allen Menschen bedingungslos eine angemessene Lebensqualität garantieren, ob sie nun arbeiten können oder nicht, ohne indes den Anreiz zur Arbeit, Leistung und zum Sparen zu verringern. Dadurch wird niemand mehr durch Armut gezwungen sein, halsabschneiderische Arbeitsverträge zu akzeptieren. e) Die Befreiung der Arbeiterklasse kann nur unter den oben genannten Bedingungen stattfinden. Sie darf nicht wieder in die Hände der Wirtschaftspolitik der monopolistischen Syndikate fallen, die ganz einfach die Unterdrückungsmethoden des Großkapitals auf die Lebensbedingungen der Arbeiter übertragen. Die Arbeiter müssen ihre Vertrauensleute wieder frei wählen dürfen, damit Arbeits- und Lohnbedingungen kollektiv verhandelt werden, und der Staat muss die Rechtsmittel zur Verfügung stellen, die das Zustandkommen und Einhalten der abgeschlossenen Verträge garantieren. Alle monopolistischen Tendenzen können wirksam bekämpft werden, sobald diese sozialen Reformen durchgesetzt worden sind. Diese Veränderungen müssen vorgenommen werden, um innerhalb der neuen Gesellschaftsordnung eine breite Schicht von Bürgern zu schaffen, denen die Aufrechterhaltung dieser Ordnung am Herzen liegt, und um dem politischen Leben eine freiheitliche Prägung zu geben, die durch einen starken Sinn für soziale Verantwortung gekennzeichnet ist. Auf dieser Grundlage haben die politischen Freiheiten wirklich einen konkreten Inhalt, nicht nur einen formalen, und das gilt für alle, denn dann wird die überwiegende Mehrheit der Bürger unabhängig und verantwortungsbewusst genug sein, um eine dauerhafte und wirksame Kontrolle über die ausführenden Gewalten auszuüben. 234 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Es wäre müßig, sich mit den konstitutionellen Institutionen aufzuhalten, da sich die Konditionen, unter welchen sie entstehen und wir ken sollen, nicht vorhersehen lassen. Daher würden wir nur wiederholen, was alle schon über die Notwendigkeit repräsentativer Organe wissen und gesagt haben; oder über die Gesetzgebungsverfahren; über die Unabhängigkeit der Rechtsprechung, die an die Stelle der aktuellen treten soll, und deren Aufgabe es ist, die verabschiedeten Gesetze unparteiisch umzusetzen; über die Presse- und Vereinigungsfreiheit, die zur Aufklärung der öffentlichen Meinung und zur effektiven Teilhabe aller Bürger am staatlichen und gesellschaftlichen Leben unentbehrlich ist. Lediglich zwei Fragen bedürfen weiterer Klärung, da sie in diesem Augenblick für unser Land von besonderer Wichtigkeit sind: die Beziehungen des Staates zur Kirche und die Form der politischen Vertretung. a) Das Konkordat, mit welchem der Vatikan in Italien einen Vertrag mit dem Faschismus geschlossen hat, muss zweifelsohne annulliert werden, um den rein weltlichen, laizistischen Charakter des Staates zu unterstreichen, und um auf unwiderrufliche Weise das Primat des Staates über das gesellschaftliche Leben festzuschreiben. Alle religiösen Bekenntnisse müssen auf gleiche Weise respektiert werden, doch sollen keine staatlichen Gelder mehr an die Kirchen fließen. b) Das vom Faschismus mit der korporativen Ordnung errichtete Kartenhaus wird zusammen mit den anderen Bestandteilen des totalitären Staates in sich zusammenfallen. Manche meinen, dass in diesen Trümmern das Material für eine neue Verfassung gefunden werden kann. Wir sind nicht dieser Meinung. Die korporativen Kammern, deklariert als branchen- und berufsständische Vertretungen, sind in den totalitären Staaten nichts anderes als ein die Rechte der Arbeiter verhöhnendes Instrument des Polizeistaats. Selbst wenn diese korporativen Kammern wirkliche Interessensvertretungen der verschiedenen Wirtschaftsbranchen wären, so sind die repräsentativen Organe der verschiedenen Berufskategorien niemals befähigt, in Fragen der allgemeinen Politik zu entscheiden, und in den rein wirtschaftlichen Fragen würden die mächtigsten und stärksten korporativen Vertretungen die Vorherrschaft über die schwächeren gewinnen. Den Gewerkschaften wird weitgehend die Aufgabe zufallen, mit den staatlichen Organen zusammenzuarbeiten, die für die Umsetzung gewerkschaftlicher Forderungen und Interessen zuständig sind. Es ist aber auszuschließen, dass ihnen eine gesetzgebende Funktion zugesprochen wird, denn dies würde eine Feudalanarchie im Wirtschaftsleben bedeuten, was zu einem neuen politischen Despotismus führen würde. Für viele, die sich blauäugig vom Mythos des Korporativismus verführen ließen, könnte die Idee einer Neu- und Umgestaltung dieses Systems verlockend sein; aber es muss eingesehen 235 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 werden, wie absurd diese konfuse Lösung war. Der Korporativismus kann nur in der Form existieren, die er in den totalitären Staaten angenommen hatte, als Mittel zur Kontrolle und Reglementierung der Arbeiter durch regimetreue Funktionäre, die jede Aktion und Handlung im Interesse der regierenden Kaste überwachen. Die revolutionäre Partei kann nicht erst im entscheidenden Moment dilettantisch und unvorbereitet aus dem Boden gestampft werden, sondern muss ab sofort wenigstens ihre zentrale politische Grundhaltung, ein allgemeines Rahmenprogramm und einen allgemeinen Aktionsplan ausarbeiten und festlegen. Sie sollte kein heterogenes Agglomerat verschiedener Strömungen sein, die sich nur aus einer Negativhaltung heraus als Übergangslösung zusammenschließen, das heißt aufgrund ihrer antifaschistischen Vergangenheit und in der bloßen Erwartung des Zusammenbruchs des totalitären Regimes, um dann wieder ihrer eigenen Wege zu gehen, sobald dieses Ziel erreicht ist. Die revolutionäre Partei weiß dagegen, dass ihre Arbeit mit dem Zusammenbruch des Totalitarismus erst wirklich beginnt. Deswegen muss sie aus Männern und Frauen bestehen, die bezüglich der wichtigsten Probleme der Zukunft einer Meinung sind. Die Partei muss mit einer durchdachten Propaganda alle Unterdrückten des aktuellen Regimes erreichen, und die individuellen und schichtspezifischen Fragen aufgreifen, die am schmerzlichsten und dringendsten empfunden werden, in der Folge muss jedoch auch der Zusammenhang mit anderen Problemen und deren wahre Lösung aufgezeigt werden. Aber aus dem dauernd anwachsenden Umkreis ihrer Sympathisanten dürfen in den engeren Kreis Organisation der Bewegung nur diejenigen aufgenommen werden, die die europäische Revolution zum Hauptziel ihres Lebens gemacht haben und die diszipliniert Tag für Tag die nötige Arbeit leisten, die umsichtig und fortwährend für die Sicherheit aller Mitglieder sorgen, auch in Situationen der härtesten Illegalität, und die so das solide Netzwerk bilden, das dem labileren Umkreis der Sympathisanten Rückhalt verleiht. Obwohl die Partei keine Gelegenheit auslassen und kein Wirkungsfeld vernachlässigen darf, um ihre Ideen zu verbreiten, muss sie doch ihre Bemühungen vor allem auf die Kreise konzentrieren, die als Katalysator zur Verbreitung von Ideen und auch als Rekrutierungsfeld kampfbereiter Männer am wichtigsten sind. Dies sind zuallererst die beiden sozialen Gruppen, die die Dramatik der aktuellen Lage am stärksten empfinden und die auch in der Zukunft entscheidend sein werden, und zwar die Arbeiterklasse und die Intellektuellen. Erstere haben sich der totalitären Geißel am wenigsten gebeugt, sie werden am schnellsten bereit sein, ihre Reihen neu zu ordnen. Die Intellektuellen, insbesondere die jüngeren, fühlen sich durch die herrschenden 236 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Despoten am meisten erstickt und angewidert. Nach und nach werden sich auch andere Schichten unvermeidlich von der allgemeinen Bewegung angezogen fühlen. Jede Bewegung, die die Aufgabe verfehlt, diese Kräfte an sich zu binden, ist zur Erfolglosigkeit verdammt. Einer Bewegung, die nur aus Intellektuellen besteht, wird es am Rückhalt der Massen fehlen, der nötig ist, um den Widerstand der reaktionären Kräfte zu brechen, und eine solche Partei und die Arbeiterklasse würden sich gegenseitig misstrauen. Selbst wenn sie von demokratischen Gefühlen beseelt wäre, wäre sie doch geneigt, sich angesichts von Schwierigkeiten durch Mobilisierung aller anderen Klassen gegen die Arbeiter auf eine faschistische Restauration hin zu bewegen. Würde sich die Bewegung dagegen allein auf das Proletariat stützen, fehlte ihr die Klarheit des Denkens, die nur von den Intellektuellen kommen kann und notwendig ist, um die neuen Aufgaben und die neuen Wege richtig einzuschätzen. Sie würde im alten Klassendenken verhaftet bleiben, überall Feinde sehen und unvermeidlich in die doktrinäre kommunistische Lösung stolpern. Während der revolutionären Krise ist es Aufgabe dieser Bewegung, die fortschrittlichen Kräfte zu organisieren und zu führen, auch unter Nutzung all der spontan im Schmelztiegel der revolutionären Massen entstehenden Volksorgane, die sich hier nicht versammeln, um Volksabstimmungen zu veranstalten, sondern weil sie darauf warten, in die richtige Richtung geführt zu werden. Unsere Bewegung bezieht ihre Vision und die Gewissheit darüber, was zu tun ist, nicht aus der Vorwegnahme eines noch gar nicht ausgebildeten Volkswillens, sondern aus der Gewissheit, die tief liegenden Bedürfnisse der modernen Gesellschaft zu vertreten. Unsere Bewegung gibt auf diese Weise die ersten Grundsätze für die neue Gesellschaftsordnung und den ersten sozialen Rahmen für die noch amorphen Massen. Durch diese Diktatur der Revolutionspartei wird der neue Staat geschaffen und mit ihm die neue, wahre Demokratie. Es ist nicht zu befürchten, dass eine derartige Revolutionsregierung notwendigerweise in eine neue Despotie führt. Dies würde nur geschehen, wenn die neu geschaffene Gesellschaftsform auf der Unterwürfigkeit der Untertanen aufgebaut wäre. Wenn aber die Revolutionspartei mit fester Hand von Anfang an die Voraussetzungen für ein Leben in Freiheit schafft, also eine Gesellschaftsordnung, in der alle Bürger wirklich am staatlichen und gesellschaftlichen Leben teilhaben, dann wird deren Weiterentwicklung, auch durch eventuelle unbedeutende politische Krisen hindurch, in Richtung eines wachsenden Verständnisses und Akzeptierens der neuen Ordnung von Seiten aller Bürger und Schichten verlaufen, und deswegen das Funktionieren freier politischer Institutionen in immer größerem Maße ermöglichen. 237 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Heute ist der Augenblick gekommen, um die alten drückenden Lasten abzuwerfen, und bereit und offen zu sein für das Neue, das so ganz anders sein wird, als man es sich vorgestellt hatte. Die, die versagt haben im alten Regime, müssen die politische Bühne verlassen, und neue Energien unter den jungen Menschen müssen erweckt werden. Heute suchen und finden sich alle, die die Gründe der gegenwärtigen Krise der europäischen Zivilisation erkannt haben, und sie beginnen die Zukunft neu zu gestalten, und deshalb treten sie jetzt das Erbe all der Bewegungen an, die für die Menschlichkeit gekämpft haben, die aber bisher gescheitert sind, weil sie sich ein falsches Ziel gesetzt oder aber zu falschen Mitteln gegriffen haben. Der Weg, der uns erwartet, ist weder leicht noch sicher. Aber wir müssen ihn gehen, und wir werden es tun! Altiero Spinelli - Ernesto Rossi 238 A.S., E.R., Das Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Europese Unie: Versterking van de eigen identiteit door Fiorella Mori Het document geschreven door Altiero Spinelli en Ernesto Rossi, in samenwerking met Eugenio Colorni, dat in de afwijzing van totalitaire machten en nationalistische conservatieve krachten en in de opheffing van de verdeling van Europa in nationale staten de enige manier zag om de vrede te bewaren en het evenwicht en de voortgang van de volkeren te waarborgen, hoopt op en beraamt, daarbij zijn tijd vele jaren vooruitlopend, de oprichting van een supranationale Europese macht. De gedachte die naar voren gebracht is door de auteurs van het Manifest heeft de grote stap vooruit betekend in de opzet van een Europese unie welke zijn begin heeft gezien in het Verdrag van Rome en wat zich verder concretiseerde in de loop van de daarop volgende tientallen jaren. De Europese Unie van vandaag, meer dan een echte federatie van staten, zoals gedroomd door Spinelli, Rossi en Colorni, is meer een confederatie waarin de nationale lidstaten een aantal taken op bepaalde gebieden gedelegeerd hebben. Dankzij het Manifest, opgesteld door iemand die ver vooruit in de tijd heeft kunnen kijken, kan de generatie van vandaag genieten van de voordelen van een voor een groot deel verenigd Europa en de hoop koesteren dat door middel van de Europese Unie men tot een eenheid van, en vrede en evenwicht tussen de daarin verenigde volkeren kan komen. Het ligt niet in mijn capaciteiten noch voel ik mij professioneel competent om voorspellingen te kunnen formuleren betreffende de mogelijkheid dat de droom van Spinelli, Rossi en Colorni tot een complete realisatie zal komen, maar als gewoon burger beschouw ik zeer positief het feit dat op een aantal gebieden, zoals die betreffende monetaire zaken en milieupolitiek, de Europese Unie reeds een federalistische opzet heeft en als overtuigd Europese burger druk ik dan ook de hoop uit dat ook in andere sectoren de individuele staten zullen komen tot het aan de Europese Unie delegeren van een steeds groter deel van hun nationale soevereiniteit. Ik ben er verder van overtuigd dat, in het licht van de vooruitgang welke er vooral in de laatste tien jaar is geweest, de bezorgdheid, welke naar voren is gebracht door een aantal lidstaten betreffende een bedreiging van de eigen nationale identiteit, het veld zal ruimen voor de positieve overweging dat uit de vergelijking met de andere identiteiten men zich een beter idee kan vormen van zijn eigen identiteit. Dit is ook de gedachte welke naar voren gebracht is door 239 F. Mori, Europese Unie Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 de Nederlandse Minister-President Jan Peter Balkenende die aanwezig was bij de ondertekening van de Europese Grondwet op 29 oktober 2004 in Rome. De grondwet zou volgens Balkenende geen bedreiging zijn maar een versterking van de eigen identiteit. “Met deze grondwet levert Nederland zich niet uit aan Europa,” stelde hij, “we krijgen er juist meer greep op. Deze grondwet is een kans voor een middelgroot land als Nederland.” Deze woorden zijn echter niet voldoende geweest om tijdens het referendum op 1 juni 2005 de Nederlandse bevolking ervan te overtuigen om de Europese grondwet als een vooruitgang te gaan beschouwen. Ook de recente uitslag van het Ierse referendum (juni 2008) over het Verdrag van Lissabon is een duidelijk signaal dat deze bezorgdheid er nog steeds is. Ik ben echter geneigd om het positieve optimisme te delen van José Manuel Barroso, voorzitter van de Europese Commissie, en doe zijn woorden de mijne worden: "Identiteit, dat is een gevaarlijk woord, omdat het vaak wordt afgezet tegen de identiteit van anderen. Daarom moeten we binnen de EU streven naar meerdere identiteiten en die combineren met cultuur. Want cultuur komt op mijn lijst van waarden boven economie." Ik ben het er volledig mee eens dat de individuele culturen gekoesterd moeten worden en dat de individuele ontwikkeling daarvan door moet gaan omdat de individuele culturen de grootste rijkdom zijn die Europa bezit en waardoor het in staat moet zijn zijn toekomst op te bouwen en zich te onderscheiden van andere delen van de wereld. Juist de samenwerking van de grote Europese culturen zullen in staat zijn om die lawine van gedachten en ideeën naar voren te brengen die ons “oude” continent zo nodig heeft om verder te kunnen gaan. De Europese Unie respecteert de verschillen in karakter en nationale identiteit van zijn lidstaten. Het is heel belangrijk het culturele erfgoed van ieder afzonderlijk land naar voren te brengen en aan de Unie te tonen opdat het belang ervan in wijde supranationale kringen ingezien, herkend en op prijs gesteld zal worden. Op deze manier draagt men bij tot de groei van de nieuwe Europese dimensie waar een grote groep euroburgers zich al van bewust is geworden. Het is zeker dat mijn talenstudies en mijn persoonlijke wederwaardigheden er toe hebben bijgedragen, en dit reeds vanaf jonge leeftijd, om mij Europa te laten voelen als mijn natuurlijke geografische levensruimte en met groeiende besef heb ik mijn gevoel als zijnde een Europese burger geaccepteerd. Een belangrijk facet in mijn gevoelens is zonder twijfel te danken aan de verhouding met mijn Nederlandse echtgenoot en mijn aangetrouwde Nederlandse familie en de daaruit voortvloeiende gunstige situatie welke het voor mij mogelijk heeft gemaakt om over een lange tijd de 240 F. Mori, Europese Unie Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 ervaring van een confrontatie tussen twee culturen te kunnen hebben en de culturele en spirituele verrijking te voelen die is ontstaan uit het zich inwoner te voelen van twee zo verschillende landen. Om deze reden heb ik dan ook de opdracht om de vertaling van het Manifest van Spinelli en van het Voorwoord van Colorni te verzorgen voor mij van bijzondere betekenis gevonden. Ik wil bij deze verduidelijken dat de vertaling van het Manifest in grote lijnen hetzelfde is gebleven ten opzichte van die welke door het Belgische exparlamentslid Ludo Dierikx is verzorgd die een zeer waarderend vriend van Altiero Spinelli was. Hij was verder heel actief in de Europese Federalistische Beweging en is een prominent lid van B Plus, de Belgische pressiegroep die voor “een waarachtig en evenwichtig federalisme” op nationaal en supranationaal niveau ijvert. In het Manifest heb ik mij beperkt tot slechts een klein aantal ingrepen, ten dele noodzakelijk gezien een aantal zetfouten en lacunes in de ontvangen tekst en veranderingen in het lexicon, en verder in het vervangen van enigszins streekgebonden termen en enkele in onbruik geraakte of overbodige uitdrukkingen. Ludo Dierickx, in een uitwisseling van opinies over de door hem vertaalde tekst, heeft mij gezegd de schrijfstijl van het Manifest zeer moeilijk te hebben gevonden maar in ieder geval gepoogd te hebben om alles zo letterlijk mogelijk te vertalen. Gezien het bijzondere historische moment en de bijzondere omstandigheden onder welke ze zijn geschreven, dit voor zowel de tekt van het Manifest van Ventotene als voor die van het Voorwoord van Colorni, ook al zijn ze geformuleerd in de stijl, krachtig en hoogdravend, welke karakteristiek is voor een proclamatie, zijn ze doortrokken van een grote emotionele spanning, welke voortkomt uit de nadrukkelijke bewustheid van de noodzaak van een authentieke vernieuwing en uit de wens om onder de mensen een bericht van hoop voor een toekomst van vrede en vrijheid te verspreiden. Het Manifest is geschreven in de intense, opdringende en plechtige stijl waarmede men grote ideeën wil overbrengen en het geweten opnieuw wakker wil schudden. De taal van Altiero Spinelli en Ernesto Rossi, en ook die van Eugenio Colorni is de geleerde en literaire taal van de intellectuelen met complexe volzinnen en rijk aan ondergeschikte opeenvolgingen. Het volledige begrip van de tekst vraagt een attente en geconcentreerde lezing. De retorische nadruk, het herhalen van beelden en de constante aanwezigheid van frasen van een ingewikkelde structuur, hebben in een aantal gevallen de vertaling bemoeilijkt. Het is echter mijn doel geweest om deze te doen met respect voor de originele tekst, daarbij trachtend - waar mogelijk - de stijl aan de strakke structuur en aan het karakter van directheid en nuchterheid, die zo kenmerkend zijn voor de Nederlandse taal, aan te passen. 241 F. Mori, Europese Unie Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Voorwoord door Eugenio Colorni (Rome 1944) De onderhavige geschriften zijn geconcipieerd en opgesteld op het eiland Ventotene in de jaren 1941 en 1942. In die uitzonderlijke omgeving rijpte in de geest van enkelen een proces van heroverweging van alle problemen welke de eigenlijke redenen waren geweest van de verrichte actie en van de in de strijd ingenomen houding. Dit alles tussen de mazen van een buitengewoon strenge discipline door, op basis van informatie welke men door middel van duizenden kunstgrepen zo compleet mogelijk trachtte te maken en met de triestheid van de geforceerde daadloosheid en de bezorgdheid omtrent de naderende bevrijding. De afstand tot het concrete politieke leven gaf de mogelijkheid van een gedistantieerde blik en gaf aanleiding om de traditionele standpunten te herzien en de motieven te zoeken voor de mislukkingen uit het verleden. Dit niet zozeer t.a.v. technische fouten in de parlementaire of revolutionaire tactiek of van een algemene “onrijpheid” van de toestand, dan wel een onvolledigheid in de algehele opzet en t.a.v. het strijd gevoerd te hebben langs de gebruikelijke breuklijnen, met te weinig aandacht voor het nieuwe dat de realiteit kwam veranderen. In de voorbereiding van het efficiënt strijden van de grote slag die zich voor de nabije toekomst aan de horizon aftekende, voelde men de behoefte om niet simpelweg de fouten van het verleden te corrigeren maar om de termen van de politieke problemen te her formuleren en dit met een gemoed vrij van doctrinaire vooroordelen of partij mythes. Het was op deze manier dat in de geest van enkelen het centrale idee van de essentiële tegenstelling opkwam. De tegenstelling welke verantwoordelijk was voor de crisis, voor de oorlogen, voor de ellende en de uitbuiting die onze maatschappij kwellen en voor het bestaan van soevereine staten, geografisch, economisch en militair gekenmerkt, welke staten de andere staten als concurrenten en potentiële vijanden beschouwen, ieder voor zich ten opzichte van de ander levend in een situatie van voortdurend “bellum omnium contra omnes”. De redenen waardoor dit idee, op zichzelf niet nieuw, een aspect van nieuwheid aannam onder de omstandigheden en in de situatie waaronder er aan werd gedacht, zijn verschillende: 1) Ten eerste, de internationalistische oplossing, welke in het programma van alle progressieve politieke partijen staat, wordt door deze in zekere zin 242 E. Colorni, Voorwoord Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 beschouwd als een noodzakelijke en bijna automatische consequentie van het bereiken van de objectieven die eenieder van deze partijen aan zich zelf voorlegt. De democraten menen dat het invoeren, binnen de grenzen van ieder land, van het door hen bepleitte staatsbestel, zeker tot de vorming van die algemene bewustheid zou leiden welke, in het geval van het wegvallen van de grenzen op cultureel en moreel terrein, als voorwaarde geldt van wat door hen essentieel bevonden wordt om tot een vrije unie van de volkeren te komen. Dit eveneens op politiek en economisch niveau. En de socialisten van hun kant denken dat de invoering in de verschillende staten van een dictatoriaal regime van het proletariaat vanzelf tot een collectivistische internationalistische staat zal leiden. Nu toont een analyse van het moderne concept van de staat, van het geheel van de daarmee verbonden belangen en sentimenten, heel duidelijk aan dat, alhoewel de analogieën van het interne staatsbestel de relaties van vriendschap en samenwerking tussen staat en staat bevorderen, het zeker niet is gezegd dat zij automatisch en ook niet geleidelijk tot een unificatie leiden. Dit zeker voor zolang er collectieve interessen en sentimenten blijven welke gebonden zijn aan het behouden van een gesloten eenheid binnen de grenzen. We weten uit ervaring dat chauvinistische sentimenten en protectionistische belangen gemakkelijk kunnen leiden tot een botsing en tot concurrentie, ook tussen twee democratieën. Het is niet mogelijk om een echte socialist te zijn zonder daarbj ook internatio nalist te zijn. Het is niet mogelijk om een echte socialist te zijn zonder daarbij ook tussen twee democratieën. Het is niet gezegd dat een rijke socialistisch staat noodzakelijkerwijs moet accepteren dat zijn eigen rijkdommen met een andere veel armere socialistische staat worden gedeeld, alleen maar omdat daarin hetzelfde interne bewind heerst als dat bij zichzelf. Het opheffen van de politieke en economische grenzen tussen staat en staat is noodzakelijkerwijs niet het gevolg van het gelijktijdige invoeren van een gegeven intern staatsstelsel in iedere staat. Het is echter een op zichzelf staand probleem wat met eigen, daarbij passende middelen moet worden aangepakt; uit een ideologische band, meer dan uit een politieke en economische noodzakelijkheid: De socialistische overwinning in afzonderlijke staten leidt noodzakelijkerwijs niet tot de internationale staat. 2) Wat de ontwikkeling van de federalistische stelling in autonoom opzicht verder accentueerde was het feit dat de bestaande politieke partijen, verbonden aan een verleden van gevechten, gestreden binnen de grenzen van iedere natie, uit gewoonte en uit traditie, gewend zijn om, bij hun opstelling ten opzichte van alle problemen, uit te gaan van de stilzwijgende veronderstelling van het bestaan van de nationale staat. De problemen van de internationale 243 E. Colorni, Voorwoord Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 ordening moeten daarbij gezien worden als kwesties van de “buitenlandse politiek” welke opgelost moeten worden door middel van diplomatieke acties en door overeenkomsten tussen de verschillende regeringen. Deze houding is ten dele de reden, en ten dele ook het gevolg van wat hier eerder is aangemerkt, dat als eenmaal de teugels van het bewind in het eigen land in handen genomen zijn, de overeenkomst en de unie met soortgelijke staatsbestellen in andere landen van zelf komt. Er is geen noodzaak voor het aanvangen van een politieke strijd welke direct daarmee verbonden is. Onder de auteurs van de onderhavige geschriften had zich echter de overtuiging geworteld dat diegene die het probleem van de internationale ordening als het centrale punt van de hedendaagse geschiedenis wil opvatten, en voor wie de oplossing ervan als een noodzakelijke voorwaarde geldt voor het oplossen van alle constitutionele, economische en sociale problemen welke zich aan onze samenleving opdringen, noodzakelijkerwijs vanuit dit gezichtspunt alle vragen moet overwegen betreffende de interne politieke tegenstellingen en de standpunten van elke partij. Dit ook voor wat de dagelijkse tactiek en strategie van de dagelijkse strijd betreft. Alle problemen, vanaf diegene welke verbonden zijn met de constitutionele vrijheid tot die van de strijd tussen de klassen, van die gerelateerd aan het formuleren van doelstellingen tot degene welke verband houden met het in de hand nemen van de macht en het gebruik ervan, krijgen een nieuw licht als ze gesteld worden vanuit de veronderstelling dat het eerste te bereiken doel dat is van een unitaire ordening op internationaal niveau is. De politieke handelwijze zelf, het steunen op de ene of de andere in het spel aanwezige macht, het versterken van de ene of de andere opdracht, neemt een volledig verschillend karakter aan al naargelang men ze ziet als een essentieel middel om de macht in handen te krijgen en voor het invoeren van bepaalde hervormingen binnen elke afzonderlijke staat of als middel om economische, politieke en morele grondslagen te leggen ter invoering van een federale ordening welke het gehele continent omvat. 3) Nog een andere beweegreden - en misschien de meest belangrijke werd gevormd door het feit dat het ideaal van een Europese federatie, preludium tot een wereldwijde federatie, wat slechts enkele jaren geleden een utopie leek, zich vandaag de dag aan het einde van deze oorlog presenteert als een bereikbaar doel en bijna binnen handbereik. Door de algehele vermenging van de volkeren welke door dit conflict is veroorzaakt in alle landen welke onderhavig zijn geweest aan de Duitse bezetting, door de noodzakelijkheid om op nieuwe fundamenten een bijna totaal verwoeste economie opnieuw op te bouwen, om opnieuw alle problemen betreffende politieke grenzen, douane barrières, etnische minderheidsgroepen 244 E. Colorni, Voorwoord Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 etc. opnieuw ter tafel te brengen, in al deze elementen, moeten feiten herkend worden, welke als nooit tevoren in dit naoorlogse tijdperk het probleem van de federale ordening van Europa actueel maken. Verdere elementen die hierbij toegevoegd kunnen worden zijn het eigen karakter van deze oorlog waarin het nationale element zo vaak door het ideologische element is voorbijgegaan, waarin men heeft gezien dat kleine en middelgrote staten voor een groot deel hun onafhankelijkheid hebben opgegeven ten goede van de sterkere staten, en waarin door de fascisten zelf het concept van “levensruimte” door “nationale onafhankelijkheid” vervangen is. Krachten afkomstig uit alle sociale klassen, zei het om economisch - zei het om idealistische redenen, kunnen daarin geïnteresseerd zijn. Het is mogelijk om daar dichterbij te komen door middel van diplomatieke onderhandelingen en door middel van volksoproer, door het bevorderen onder de intellectuele klassen van de studie van de daarbij behorende problemen en door het veroorzaken van revolutionaire feiten, van waar, eenmaal gedaan, geen terugkeer mogelijk is. Verder kan dit doel bereikt worden door het invloed uitoefenen op de leidinggevende klassen van de overwinnende staten en door het verspreiden van het begrip in de overwonnen staten dat zij alleen in een vrij en verenigd Europa hun redding kunnen vinden en de verwoestende gevolgen van de nederlaag kunnen ontlopen. Juist hiervoor is onze Beweging ontstaan. Het is de preëminentie, de prioriteit van dit probleem ten opzichte van alle welke in het tijdperk waarin wij verder gaan zich opdringen. Het is de zekerheid dat, als wij de situatie in de oude nationalistische vormen weer laten verharden, de kans voor altijd verloren zal zijn gegaan en ons continent er geen enkele langdurige vrede en voorspoed door zal kunnen verkrijgen. Het is dit alles wat ons ertoe gedreven heeft een autonome organisatie te creëren om voor het idee van een Federaal Europa in de nabije naoorlogstijd als een uitvoerbaar einddoel op te komen. Wij verbergen voor onszelf de moeilijkheden hiervan niet en de sterkte van de krachten welke deze tegen zullen werken, maar wij denken dat het de eerste keer is dat dit probleem op tafel van de politieke strijd gebracht wordt, niet als een ver ideaal maar als een dringende en tragische noodzakelijkheid. Onze Beweging, welke sinds ongeveer twee jaar bestaat en in de moeilijke clandestiniteit onder de fascistische en nazistische onderdrukking leeft; waarvan de aanhangers uit de gelederen van de strijders van het anti-fascisme komen en het allen eens zijn met de gewapende strijd voor de vrijheid; welke al zijn hoge prijs heeft betaald voor het algemene doel in de vorm van de gevangeniscel; onze Beweging is en wil geen politieke partij zijn. Zoals zij zich steeds duidelijker heeft gekarakteriseerd, wil zij werken op en in de verschillende politieke partijen. Dit niet alleen met het doel om de 245 E. Colorni, Voorwoord Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 internationalistische kwestie te accentueren maar ook en bovenal opdat alle problemen van hun politieke leven gesteld zullen worden uitgaande van dit nieuwe gezichtspunt, iets waar zij tot nu toe maar weinig aan gewend waren. Wij zijn geen politieke partij, ook al bevorderen wij actief elke studie waar het de institutionele, economische en sociale opzet van de Europese Federatie betreft. Wij nemen actief deel aann de strijd voor haar realisatie en stellen ons ten doel de krachten te ontbloten welke ten voordele hiervan kunnen werken in de toekomstige politieke conjunctuur. Wij willen ons niet officieel uitspreken over institutionele details, over een hoge of lagere graad van economische collectivisering, over een hogere of lagere graad van administratieve decentralisatie etc. welke het toekomstige federale organisme zullen moeten karakteriseren. Laten we dat in de schoot van onze beweging deze problemen uitgebreid en vrij besproken worden en laten alle politieke richtingen, van de communistische tot de liberale, bij ons vertegenwoordigd zijn. In feite zijn bijna al onze aanhangers actief in een van de progressieve politieke partijen; allen nemen deel aan het verspreiden van wat de basisprincipes zijn van een vrije Europese Federatie, niet gebaseerd op hegemonie van welk soort dan ook, niet op totalitaire principes, maar voorzien van een solide structuur welke haar niet reduceert tot een eenvoudige Vereniging van Naties. Deze principes kunnen in de volgende punten worden samengevat: een enkel federaal leger, monetaire eenheid, afschaffing van douanebarrières en van de beperkingen in de emigratie tussen de staten welke deel uitmaken van de Federatie, directe vertegenwoordiging van de bevolking in de federale vergaderingen en gemeenschappelijke buitenlandse politiek. In deze twee levensjaren heeft onze Beweging zich wijd verbreid onder de antifascistische groepen en politieke partijen. Enkele van hen hebben publiek hun aanhang en sympathie geuit. Anderen hebben ons gevraagd om aan hun programmatische formulering mee te werken. Het is misschien niet aanmatigend om te zeggen dat het ten dele onze verdienste is dat de problemen van de Europese Federatie zo vaak in de clandestiene Italiaanse kranten worden behandeld. Onze krant «L’Unione Europea» (De Europese Unie) volgt met aandacht de gebeurtenissen in de interne en internationale politiek, daarbij ten opzicht hiervan een positie innemend van absolute onafhankelijkheid van oordeel. De hierbij gevoegde geschriften, product van het verwerken van ideeën welk de geboorte van onze Beweging tot resultaat heeft gehad, representeren slechts de opinie van de auteurs, en betekenen niet het innemen van een positie van de Beweging zelf. Ze willen slechts een voorstel zijn voor discussiethema’s voor diegenen welke opnieuw alle problemen van het internationale politieke 246 E. Colorni, Voorwoord Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 leven willen overdenken, daarbij rekening houdende met de meest recente ideologische en politieke ervaringen, met de resultaten van de meest recente economische wetenschap, met de meest voor de hand liggende en redelijke perspectieven voor de toekomst. Zij zullen spoedig gevolgd worden door andere studies. Onze wens is dat deze een gisting van ideeën tot gevolg zullen hebben, en dat in de huidige verhitte atmosfeer van de urgentie van actie, zij een bijdrage leveren ter verduidelijking, wat de actie steeds resoluter, bewuster en verantwoordelijker zal maken. De Italiaanse Beweging voor de Europese Federatie Roma, 22 Januari 1944 247 E. Colorni, Voorwoord Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Voor een vrij en verenigd Europa. Ontwerp voor een Manifest Ventotene, 1941 Altiero Spinelli, Ernesto Rossi I. De crisis van de moderne maatschappij Onze moderne maatschappij is gebaseerd op het principe van de vrijheid. Volgens dit beginsel is de mens geen instrument ten dienste van anderen, maar een autonoom centrum van leven. Uitgaande van deze basisgedachte is een groots historisch gevecht begonnen tegen alle aspecten van het maatschappelijk leven, waarin dat grondbeginsel niet werd toegepast. 1) Aan alle naties werd het recht toegekend zich in onafhankelijke staten te organiseren. Elk volk dat zich door zijn etnische, geografische, taalkundige en historische karaktertrekken onderscheidde, moest in zijn eigen staatsbestel, ingericht volgens zijn eigen opvatting van het politieke leven, het beste instrument vinden om aan zijn behoeften te voldoen, onafhankelijk van elke buitenlandse inmenging. De ideologie van de nationale onafhankelijkheid gaf een sterke impuls aan de vooruitgang. Ze verving de kleingeestige dorpsmentaliteit door bredere solidariteit tegen de onderdrukking door vreemde overheersers. Ze werkte vele hinderpalen weg die het vrije verkeer van mensen en goederen in de weg stonden. Binnen elke nieuwe staat breidde zij de instellingen en de wetten van de geciviliseerde streken tot de achtergebleven gebieden uit. Deze ideologie droeg echter ook de kiemen in zich van het kapitalistisch imperialisme dat in onze generatie zulke enorme afmetingen aanneemt; zij lag aan de basis van de vorming van totalitaire staten en leidde tot twee wereldoorlogen. De natie wordt niet langer beschouwd als het historisch product van een samenleving van mensen die via een langdurig proces tot een grotere eenheid 248 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 in gebruiken en strevingen gekomen zijn en die in hun staatsbestel een doeltreffend middel vinden om het collectieve leven te organiseren binnen het ruimere kader van het hele mensdom. Neen, die natie is een goddelijk iets geworden, een organisme dat alleen aan eigen bestaan en eigen ontwikkeling denkt zonder zich op enigerlei wijze te bekommeren om het nadeel dat het anderen kan berokkenen. De absolute soevereiniteit van de nationale staten mondt telkens uit in overheersingsdrang omdat zij zich alle bedreigd voelen door de macht van de andere. De “levensruimte” wordt een steeds groter gebied dat hun moet toestaan zich vrij te bewegen en het eigen bestaan, onafhankelijk van alle andere, te verzekeren. Deze drang tot overheersen valt pas weg wanneer de sterkste staat de hegemonie verwerft en alle andere onderworpen heeft. Van beschermer van de vrijheid van de burgers is de staat dus geworden tot de baas van zijn dienstbare onderdanen, die zijn militaire doeltreffendheid met al hun krachten zo groot mogelijk moeten maken. Ook in vredestijd, die beschouwd wordt als een periode van voorbereiding op de onafwendbare volgende oorlog, domineert de wil van de militairen in vele landen over die van de burgers, waardoor het functioneren van vrije politieke instellingen steeds moeilijker wordt. Onderwijs, wetenschap, productie en bestuur moeten vooral het oorlogspotentieel vergroten. Moederschap wordt gelijkgesteld met soldatenteelt; moeders worden met dezelfde maatstaven gedecoreerd als de vruchtbaarste dieren op jaarmarkten. Kinderen worden vanaf hun prilste jeugd opgeleid tot soldaten en vreemdelingenhaat wordt hun aangeleerd. Individuele vrijheden verdwijnen geheel daar eenieder gemilitariseerd is en steeds weer onder de wapens geroepen wordt. De voortdurende oorlogen dwingen de mannen hun familie, hun werk, hun hebben en houden achter te laten en hun leven op te offeren voor dingen waarvan eigenlijk niemand de waarde begrijpt. In enkele dagen worden de resultaten van tientallen jaren van inspanningen voor het algemeen welzijn totaal vernietigd. De totalitaire staten hebben op de meest coherente manier de bundeling van alle krachten en de grootst mogelijke concentratie en autarkie verwezenlijkt. Zij hebben zich het best aan de huidige internationale toestand aangepast. Anderzijds is het voldoende dat één natie een stap doet naar een meer uitgesproken totalitarisme om de andere, in hun drang tot zelfbehoud, hetzelfde te laten doen. Alle naties worden zo in dezelfde draaikolk meegesleurd. 2) Aan alle burgers werd gelijkelijk het recht toegekend om tot de vorming van de staatswil bij te dragen. Deze wil moest aldus de synthese zijn van alle sociale klassen, die zich vrij kunnen uiten. Deze politieke reorganisatie heeft tot gevolg gehad dat vele van de schrijnendste ongerechtigheden, overgeërfd van 249 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 voorbije regimes, weggenomen of ten minste verzacht konden worden. De persvrijheid, de vrijheid van vereniging en de geleidelijke uitbreiding van het stemrecht bemoeilijkten echter, bij instandhouding van het parlementaire systeem, steeds meer de handhaving van de oude privilegies. Zij die niets bezaten leerden beetje bij beetje zich van deze instrumenten te bedienen om de strijd aan te binden tegen de voorrechten van de bezittende klassen. De belasting op de niet-verdiende inkomsten, de successierechten, de progressieve vermogensheffingen, de belastingvrijdom voor lage lonen en levensnoodzakelijke goederen, het gratis onderwijs, de verbetering van de sociale voorzieningen en uitkeringen, de landbouwhervormingen en de medezeggenschap van de fabrieksarbeiders bedreigden de bevoorrechte klassen in hun sterkste vestingen. De bevoorrechte klassen, die ingestemd hadden met de gelijkheid van politieke rechten, konden echter niet toestaan dat het proletariaat hiervan gebruik zou maken om een feitelijke gelijkheid te verwerven, waardoor die rechten een concrete inhoud van vrijheid zouden krijgen. Toen deze dreiging na de Eerste Wereldoorlog te groot werd, was het heel natuurlijk dat de bevoorrechte klassen de instelling van dictaturen, die hun tegenstanders de wettelijke wapens ontnamen, gingen toejuichen en steunen. Daarnaast dreigde de vorming van gigantische industrie- en bankgroepen en vakbonden (die hele arbeiderslegers onder één leiding verenigden) - welke groepen en vakbonden in hun eigen belang druk uitoefenden op de regering -, de staat zelf te doen uiteenvallen in talrijke elkaar bekampende economische vorstendommetjes. De vrije democratische instellingen, die het instrument werden waarvan deze groepen zich bedienden om de collectiviteit beter uit te buiten, verloren steeds meer prestige. Zo ontstond de opvatting dat alleen de totalitaire staat, die alle burgerlijke vrijheden afschaft, de belangenconflicten, waartegen de bestaande instellingen niet meer opgewassen waren, enigszins uit de weg kon ruimen. De totalitaire regimes hebben in feite over het algemeen de positie van de verschillende sociale klassen bevroren en hebben elke wettelijke mogelijkheid om alsnog verbetering te brengen in de bestaande toestand tenietgedaan door de politiecontrole op het hele leven van de burgers en door het gewelddadig uit de weg ruimen van alle dissidenten. Zo werd het voortbestaan verzekerd van de volstrekt parasitaire kaste van grootgrondbezitters en renteniers die tot de productie alleen maar bijdragen door het afscheuren van de dividendbewijzen van hun aandelen, van de monopolies en de grootwarenhuizen die de consument uitbuiten en het geld van de kleine spaarders doen vervliegen, van de plutocraten die achter de schermen aan de politieke touwtjes trekken en zo het hele staatsapparaat ten eigen voordele leiden onder het mom van de verdediging van hogere nationale 250 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 belangen. Het contrast tussen de fantastische fortuinen van enkelingen en de ellende van de grote massa, die niet kan genieten van de voordelen van de moderne beschaving, bestaat nog steeds. Zo houdt men een economisch regime in stand waarin de materiële hulpmiddelen en de arbeidskrachten, die gebruikt zouden moeten worden om aan de fundamentele behoeften van de menselijke maatschappij te voldoen, gericht worden op de vervulling van de onnozelste verlangens van hen die de hoogste prijzen kunnen betalen; een economisch regime, waarin de macht van het geld door het erfrecht steeds in dezelfde klasse blijft en zo verwordt tot een privilege, die buiten alle verhouding staat tot de sociale waarde van de verrichte diensten. De mogelijkheden van de proletariërs blijven beperkt; om te kunnen leven zijn deze gedwongen zich te laten uitbuiten door hen die hun één of ander werk kunnen verschaffen. Om de arbeidersklassen te immobiliseren en te onderdrukken werden de vakbonden veranderd van vrije, strijdbare organisaties, geleid door personen die het vertrouwen van hun leden genoten, in politiebewakingsdiensten onder leiding van vertrouwelingen van de heersende groep, die slechts aan deze groep verantwoording verschuldigd zijn. Als in een dergelijk economisch systeem enigerlei verbetering wordt aangebracht, is dit alleen ingegeven door de behoeften van het militarisme, die, samen met de reactionaire aspiraties van de bevoorrechte klassen, geleid hebben tot het ontstaan en de consolidering van de totalitaire staten. 3) Tegenover het autoritaire dogmatisme werd de permanente waarde van de kritische geest gesteld. Alleen wat bewezen kan worden is waar. Aan deze onbevooroordeelde houding hebben wij de grootste verworvenheden van onze beschaving op alle gebieden te danken. Deze geestelijke vrijheid heeft de crisis, die de totalitaire staten heeft doen ontstaan, echter niet overleefd. Nieuwe dogma’s, die men gelovig of hypocriet moet aanvaarden, worden in alle takken der wetenschap opgedrongen. Hoewel niemand weet wat een ras is en de meest elementaire historische kennis de absurditeit hiervan aantoont, eist men dat de fysiologen geloven, bewijzen en overtuigen dat sommigen tot een uitverkoren ras behoren, alleen omdat het imperialisme deze mythe nodig heeft om in de massa de haat en de hoogmoed te doen oplaaien. De meest voor de hand liggende opvattingen van de economische wetenschap moeten als ketterijen worden beschouwd om de autarkische politiek, het evenwichtige ruilverkeer en andere oude technieken van het mercantilisme als buitengewone ontdekkingen van onze tijd voor te stellen. Wegens de onderlinge economische afhankelijkheid van de verschillende delen van de wereld is de levensruimte van elk volk dat een moderne levensstandaard wil handhaven, gelijk aan de hele wereld; met de geopolitiek echter heeft men een pseudo-wetenschap in het leven geroepen die 251 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 de juistheid van de theorie der levensruimten moet aantonen om een theoretische basis te vormen voor de onderdrukkingswil van het imperialisme. De geschiedenis wordt vervalst in het belang van de regerende klasse. Uit bibliotheken en boekwinkels worden alle werken geweerd die niet als orthodox worden beschouwd. De nevelen van het obscurantisme dreigen opnieuw de menselijke geest te verstikken. Zelfs de sociale ethiek van vrijheid en gelijkheid wordt ondermijnd. De mensen worden niet langer als vrije burgers beschouwd die van de staat gebruik maken om hun collectieve doelstellingen beter te verwezenlijken. Ze worden dienaars van de staat, die bepaalt welke doelstellingen ze moeten nastreven en als staatswil wordt steeds de wil beschouwd van diegenen die de macht in handen hebben. De mensen zijn niet langer rechtssubjecten, maar zijn hiërarchisch ingedeeld en moeten zonder mopperen gehoorzamen aan de overheid, die culmineert in de persoon van het vergoddelijkte staatshoofd. Het kastenstelsel herrijst machtiger dan ooit uit zijn as. Deze reactionaire en totalitaire beschaving heeft, na een serie triomfen in andere landen, ten slotte in nazi-Duitsland een macht gevonden die zichzelf in staat achtte tot de uiterste consequenties van het systeem te gaan. Na een grondige voorbereiding begon Duitsland zijn onderdrukkingsveldtocht, waarbij het met veel durf en zonder scrupules uit de rivaliteit, het egoïsme en de stupiditeit van anderen munt sloeg, een aantal Europese vazalstaten, waaronder in de eerste plaats Italië, meesleurde en een verbond sloot met Japan, dat hetzelfde doel in Azië nastreefde. De overwinning van Duitsland zou de definitieve vestiging van het totalitaire regime in de wereld betekenen. Al zijn kenmerken zouden tot het uiterste worden opgedreven en de progressieve krachten zouden voor lange tijd tot het voeren van een louter negatieve oppositie gedoemd zijn. De traditionele arrogantie en hardheid van het Duitse militaire milieu kan ons reeds een idee geven van het karakter van hun overheersing, indien zij de oorlog zouden winnen. Winnen de Duitsers de oorlog, dan kunnen ze zich zelfs een schijn van grootmoedigheid tegenover de andere Europese volkeren permitteren en hun grondgebied en politieke instellingen formeel respecteren, om te heersen zonder het idiote patriottische gevoel te krenken, dat belang hecht aan de kleur van de grenspalen en de nationaliteit van de politici die het toneel bevolken, in plaats van aan machtsverhoudingen en de werkelijke inhoud van de staatsorganen te denken. Maar ook gecamoufleerd zou de werkelijkheid toch hetzelfde blijven: een nieuwe indeling van de mensheid in Spartanen en Heloten. Ook een compromis tussen de strijdende partijen zou een stap voorwaarts betekenen voor het totalitarisme, omdat alle landen die aan de Duitse 252 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 wurggreep ontkomen waren, toch gedwongen zouden zijn dezelfde vorm van politieke organisatie aan te nemen om zich behoorlijk op een nieuwe oorlog voor te bereiden. Terwijl Hitler-Duitsland de kleinere landen één voor één heeft kunnen verslaan, heeft zijn actie steeds sterkere krachten gedwongen in het strijdperk te treden. De verbetenheid van Groot-Brittannië, dat ook in het meest kritieke ogenblik tegenover de vijand overeind wist te blijven, heeft ertoe geleid dat de Duitsers op de dappere weerstand stootten van het Sovjetleger en gaf Amerika de tijd zijn onbeperkte productiemogelijkheden te mobiliseren. Deze strijd tegen het Duitse imperialisme is nauw verbonden met de strijd van het Chinese volk tegen het Japanse imperialisme. Enorme aantallen mensen en enorme rijkdommen zijn reeds ingezet in de strijd tegen de totalitaire macht. Deze macht heeft nu haar toppunt bereikt en kan nog slechts langzaam afbrokkelen. De tegengestelde krachten zijn hun dieptepunt voorbij en gaan weer bergop. De strijd van de geallieerden wekt elke dag meer het verlangen naar bevrijding op, ook in die landen die waren bezweken onder het geweld en die door deze verschrikkelijke klap de moed waren kwijtgeraakt. En uiteindelijk ontwaakt dat verlangen naar bevrijding zelfs bij de volkeren van de Asmogendheden, die nu beseffen dat ze in een hopeloze situatie zijn meegesleurd, alleen maar om de overheersingsdrift van hun leiders te bevredigen. Het langzame proces waarin enorme mensenmassa’s zich passief door het nieuwe regime lieten beïnvloeden, zich ernaar schikten en het op die manier verstevigden, is tot stilstand gebracht; een tegengesteld proces is op gang gekomen. In deze enorme vloedgolf die langzaam omhoogstijgt, vinden we alle progressieve krachten terug, het verlichte deel van de arbeidersklasse dat zich niet door geweld en vleierij van zijn streven naar een hogere levensstijl heeft laten afbrengen; de meest bewuste intellectuelen die de minachting van de intelligentsia niet nemen; ondernemers die zich in staat voelen tot nieuwe initiatieven en die zich vrij willen maken van het bureaucratische juk en de nationale autarkie die hun elke bewegingsvrijheid ontnemen, en tenslotte al diegenen die zich door hun aangeboren gevoel van waardigheid niet kunnen plooien onder de vernedering van de slavernij. Van al deze krachten verwachten wij vandaag de redding van onze beschaving. 253 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 II. Taken voor na de oorlog. De eenmaking van Europa Dit de nederlaag van Duitsland zal niet automatisch de reorganisatie van Europa volgens ons beschavingsideaal voortspruiten. In de korte en intense periode van algemene crisis (waarin de nationale staten nog volledig verwoest en uitgeput zullen neerliggen, waarin de volksmassa’s angstig zullen wachten op nieuwe ordewoorden, zoals een gesmolten, gloeiende materie, gereed om in nieuwe vormen gegoten te worden en bereid om de leiding te aanvaarden van betrouwbare internationalisten) zullen de klassen die in de oude nationale regimes het meest geprivilegieerd waren, alles in het werk stellen om met verborgen middelen en met geweld de vloedgolf van internationalistische gevoelens in te dammen. Zij zullen alles doen om de oude nationale staatsinstellingen in ere te herstellen. En het is zelfs te voorspellen dat de Britse regeringskringen, wellicht in overleg met de Amerikanen, ostentatief zullen pogen dingen in deze richting te stuwen ten einde de oude evenwichtpolitiek tussen de mogendheden te doen herleven, met de bedoeling het schijnbare direkte imperiale eigenbelang te dienen. De behoudende krachten, namelijk: zij die belangrijke functies bekleden in de centrale staatsinstellingen; de hogere legerleidingen met de koningshuizen, waar die nog bestaan, aan de top; de vertegenwoordigers van het monopoliekapitalisme die het lot van hun winsten aan dat van de staten verbonden hebben; de grootgrondbe zitters en de hoge kerkelijke hiërarchieën die alleen door een stabiele en conservatieve maatschappij hun parasitaire inkomsten verzekerd weten; in hun kielzog de ontelbare schare van hen afhankelijk is of verblind wordt door hun traditionele macht; en in hun gevolg worden al die reactionaire krachten al gewaar dat het gebouw in zijn voegen kraakt, en pogen zichzelf te redden. De ineenstorting zou hen alle zekerheden die ze tot dusver hadden, ontnemen en ze blootstellen aan de aanval van de progressieve krachten. De revolutionaire situatie: oude en nieuwe stromingen De val der totalitaire regimes zal voor hele volkeren, gevoelsmatig de komst van de “vrijheid” betekenen. Elke dwang zal verdwijnen en de vrijheid van meningsuiting en vereniging zal automatisch opnieuw heersen. Voor de democratische tendensen zal het een ware triomf zijn. Deze hebben talloze schakeringen, van erg conservatief liberalisme tot socialisme en anarchisme. Zij geloven aan de “spontane generatie” van gebeurtenissen en instellingen, aan het “absoluut goede” van de impulsen die uit de basis komen. Zij willen de 254 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 “geschiedenis”, het “volk”, het “proletariaat” of hoe zij hun God anders noemen, geen geweld aandoen. Zij verlangen naar het einde van de dictaturen, dat volgens hen neerkomt op het herstel van het onvervreemdbaar recht voor elk volk op zelfbestemming. In hun dromen zien ze dit streven bekroond door de samenroeping van een grondwetgevende vergadering - verkozen met het meest algemene kiesrecht en met de grootst mogelijke eerbied voor de rechten van het kiezerskorps -: die vergadering beslist welke grondwet er zal komen. Is het volk nog niet rijp, dan zal het zichzelf een slechte grondwet geven. Verbetering daarvan mag echter alleen gebeuren door bestendig overtuigingswerk. Democraten hebben geen principiële afkeer van geweld, maar zij willen er alleen gebruik van maken wanneer de meerderheid van de noodzaak ervan overtuigd is, wanneer met andere woorden de belangrijke dingen al vooraf geregeld zijn. In feite zijn democratische leiders alleen maar geschikt voor het dagelijks bestuur van instellingen, waarin ongeveer het hele volk volledig vertrouwen heeft, en waaraan niet veel moet worden veranderd. Dit wil dus zeggen in rustige tijden. In tijden van omwenteling daarentegen, wanneer de instellingen niet moeten worden bestuurd maar opgericht, slaan democraten een slecht figuur. De meelijwekkende onmacht van de democraten in de Russische, de Duitse en de Spaanse revolutie is hiervan een recent voorbeeld. Onder zulke omstandigheden, wanneer het oude staatsapparaat met zijn wetten en zijn administratie in elkaar stort, ontstaan onmiddellijk een groot aantal volksvergaderingen, die zich al dan niet met een schijn van oude legitimiteit tooien, waarin alle progressieve maatschappelijke krachten samenkomen om hun stem te laten horen. Het volk heeft wel steeds enkele fundamentele behoeften waaraan moet worden voldaan, maar het weet niet precies wat het wil en wat er gedaan moet worden. Het hoort duizend klokken luiden en met zijn miljoenen hoofden slaagt het er niet in één richting te kiezen. Tal van stromingen bestrijden elkaar. Als het erop aankomt blijk te geven van vastberadenheid en moed, voelen de democraten zich ontredderd, omdat ze niet gestuwd worden door een spontane eensgezindheid van het volk, maar slechts door een wervelstorm van passies. Zij geloven dat het hun plicht is deze eensgezindheid tot stand te brengen en treden op als redenaars daar waar er behoefte is aan leiders die weten welke doelen bereikt moeten worden. Daarbij missen zij de kansen ter versteviging van het nieuwe stelsel door te pogen instellingen, die geschikt zijn voor normale tijden van relatieve rust en een lange aanloopperiode nodig hebben, onmiddellijk te doen functioneren. Zodoende geven zij hun tegenstanders wapens, die dezen gebruiken om ze te doen struikelen. In feite vertegenwoordigen zij in hun duizenden tendensen niet de wil te vernieuwen, 255 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 maar de verwarde tegenstrijdigheden der geesten. Zij leggen elkaar lam en maken de weg vrij voor de terugkeer van de reactie. De democratische methode zal in de revolutionaire crisis een blok aan het been zijn. Geleidelijk zullen de democraten met hun gezwets hun eerste populariteit als verdedigers van de vrijheid kwijtraken. Zij zullen alle serieuze kansen op politieke en sociale hervorming missen. De instellingen van het pre-totalitaire tijdperk zullen dan onvermijdelijk weer tot leven komen, de strijd zal weer verlopen volgens het oude schema van de klassenstrijd. Het idee dat alle politieke problemen te herleiden zijn tot vormen van klassenstrijd, was een uitgangspunt voor de actie, vooral van de fabrieksarbeiders, en gaf inhoud aan de politieke strijd, zo lang het niet ging om de basisinstellingen van de maatschappij. Datzelfde beginsel isoleert echter het proletariaat wanneer het erop aankomt de maatschappijorganisatie zelf aan te pakken. De volgens de klassieke schema’s opgevoede arbeiders kennen dan alleen maar het eisenprogramma van hun eigen klasse, of zelfs van hun eigen beroepsgroep, zonder enig verband te leggen met de belangen van de andere onderdelen van de maatschappij. Of zij streven naar een eenzijdige dictatuur van het proletariaat om te komen tot een utopische collectivisatie van alle productiemiddelen, wat dan volgens de oude propaganda het wondermiddel moet zijn voor al hun kwalen. Zulk een politiek heeft op geen enkele laag der bevolking vat, behalve dan op de arbeiders zelf. Door deze politiek isoleert de arbeidersklasse zich en onthoudt zij haar steun aan de andere progressieve krachten in de maatschappij. Deze raken dan wellicht in de greep van de reactionaire milieus, die ze handig inzetten om de beweging van het proletariaat terug te drijven en neer te slaan. Tussen de verschillende proletarische strekkingen, geïnspireerd door de klassenstrijd en het collectivistisch ideaal, hebben alleen de communisten begrepen hoe moeilijk het is te beschikken over voldoende krachten om de overwinning te behalen. Daarom hebben zij gekozen voor een streng gedisciplineerde beweging. Zij exploiteren de Russische mythe om de arbeiders te organiseren, maar laten zich niet door hen leiden en gebruiken ze voor de meest uiteenlopende manoeuvres. Deze houding maakt de communisten in revolutionaire crisissituaties efficiënter dan de democraten. Ze houden echter de arbeidersklasse zoveel mogelijk gescheiden van de andere revolutionaire krachten - zeggend dat de “echte” revolutie nog moet komen - en vormen zodoende op de cruciale ogenblikken van de geschiedenis een sektarisch element dat het geheel verzwakt. Bovendien zijn zij volledig afhankelijk van de Russische staat die hen herhaaldelijk heeft gebruikt voor zijn nationale politieke doeleinden. Deze afhankelijkheid verhindert hen welke politiek dan ook met een minimum aan 256 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 continuïteit te voeren. Ze moeten zich steeds verbergen achter een Karoly, een Blum, een Negrin, maar gaan dan ook vaak ten onder in gezelschap van hun democratische marionetten. De macht wordt immers niet veroverd en behouden door gebruik van listen en truckjes, maar door de bekwaamheid om op een organische en levensechte wijze te voldoen aan de noden van de moderne samenleving. Indien de strijd morgen tot het traditionele nationale strijdperk beperkt blijft, zal het zeer moeilijk zijn de oude onoplosbare problemen te ontlopen. De nationale staten hebben immers hun respectieve economieën reeds zo diepgaand gepland, dat de zich opdringende vraag snel zou worden: welke belangengroep, welke klasse krijgt de touwtjes van het planbureau in handen? In elk geval zou het front van de progressieven, in de strijd tussen de klassen en de economische groepen, gemakkelijk uit elkaar geslagen worden. Zeer waarschijnlijk zouden de reactionaire milieus uit dit alles profijt trekken. De werkelijke revolutionaire beweging zal moeten ontstaan door toedoen van hen die de moed hadden de oude politieke uitgangspunten aan kritiek te onderwerpen. Deze revolutionaire beweging zal moeten samenwerken met de democratische krachten, met de communisten en met al diegenen die het totalitarisme bevechten. Deze beweging mag zich echter niet laten verstrikken in geen van de politieke praktijken van de krachten waarmee ze samenwerkt. De reactionaire krachten beschikken over handige jongens en kadermensen die leiding kunnen nemen. Deze zullen hardnekkig vechten voor het behoud van hun suprematie. Als het erop aankomt zullen ze zich vermommen als verdedigers van de vrijheid, van de vrede, van het volkswelzijn, van de armen. In het verleden reeds zagen we hoe ze binnendrongen in de volksbewegingen, hoe ze die lam legden, misleidden, en gebruikten ter verwezenlijking van hun eigen doelen. Dit zijn de meest te duchten krachten. Met hen zullen de progressieven eerst en vooral rekening moeten houden. Het punt waarop deze conservatieve krachten hun hefboom zullen plaatsen, is het herstel van de eigen nationale staat. Zodoende zullen zij inhaken op het meest verspreide volksgevoel, dat in het recente verleden het sterkst is gekwetst en dat het gemakkelijkst voor reactionaire doeleinden kan worden gebruikt: de vaderlandsliefde. Op die manier kunnen zij ook hopen tamelijk gemakkelijk verwarring te scheppen in de geesten van hun tegenstanders. Voor de brede massa bestaat politiek tot dusver alleen in het nationale kader. Het is dan ook tamelijk gemakkelijk het volk en zijn meest kortzichtige leiders voor het herstel van de nationale staat na de oorlog te laten werken. 257 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Als deze opzet slaagt, zou de reactie het weer eens gehaald hebben. Uiterlijk zouden deze staten zelfs in ruime mate democratisch en socialistisch kunnen zijn, maar de terugkeer van de conservatieve elementen naar de commandoposten zou alleen nog een kwestie van tijd zijn. De nationale ijverzucht zou weer de kop opsteken en elke staat zou de garantie voor de vervulling van zijn eigen wensen opnieuw alleen vinden in zijn nationale strijdmacht. Na korte tijd zou de belangrijkste opdracht weer zijn: van de volkeren legers en van de burgers soldaten maken. De generaals zouden weer commanderen, de monopolisten weer profiteren van de autarkie, de bureaucraten hun belang opblazen en de priesters het volk kalm houden. Al wat onmiddellijk na de beëindiging van de vijandelijkheden bereikt werd, zou samenschrompelen in het licht van de noodzaak zich op nieuwe oorlogen voor te bereiden. Eén probleem moet eerst en vooral een oplossing vinden. Zonder deze oplossing is al de rest slechts schijnbare vooruitgang. Aan de verdeling van Europa in soevereine nationale staten moet definitief een einde gemaakt worden. De ineenstorting van het grootste gedeelte van de staten van het continent onder de Duitse wals heeft de Europese volkeren reeds lotsverbonden gemaakt. Ofwel zullen ze zich samen onderwerpen aan Hitlers heerschappij, ofwel zullen zij, na diens val, samen in een tijdperk van crisis en omwenteling treden, dat ze samen zullen beleven en niet elk voor zich, verstard in van elkaar gescheiden staatsstructuren. De geesten staan op dit ogenblik, veel meer dan in het verleden, open voor het idee van een federale reorganisatie van Europa. De pijnlijke ervaringen van de laatste decennia hebben zelfs de ogen van diegenen geopend die niet wilden zien en hebben voor de verwezenlijking van onze doelstellingen gunstige omstandigheden geschapen. Alle met rede begaafde schepselen beginnen in te zien dat het onmogelijk is een evenwicht te handhaven tussen onafhankelijke Europese Staten, waartoe ook, met gelijke rechten, het militaristische Duitsland zou behoren. Ook is het onmogelijk Duitsland in stukken te hakken en na de nederlaag volkomen in bedwang te houden. In de praktijk is duidelijk gebleken dat geen enkel Europees land zich afzijdig kan houden terwijl de anderen oorlog voeren; neutraliteitsverklaringen en niet-aanvalspakten zijn niets dan dode letters. Duidelijk is bewezen hoe nutteloos, ja verderfelijk organisaties zijn als de Volkenbond, die, zonder te beschikken over een bovennationale legermacht, die beslissingen kon doen naleven, toch beweerde internationale rechtsorde te verzekeren en gelijktijdig de absolute soevereiniteit der lidstaten te kunnen eerbiedigen. Absurd is ook de regel gebleken die verbiedt tussen beiden te komen in de interne aangelegenheden van soevereine staten. Volgens dit beginsel zou elk volk in volle vrijheid de dictatuur mogen kiezen waaraan het de voorkeur geeft, alsof het interne bestel van elke staat niet van vitaal belang is 258 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 voor alle andere Europese landen. Onoplosbaar zijn de vele problemen de overbjiende landen immers also hum tradizionali geworden die het internationale politieke leven van ons continent vergiftigen - vastlegging van grenzen in gebieden met gemengde bevolking, verdediging van etnische minderheden, recht op uitweg naar zee voor landen zonder kuststrook, de Balkankwestie, het Ierse vraagstuk enz.– en die in een Europees federaal verband een oplossing zouden kunnen vinden, zoals in het verleden de problemen tussen de vele staatjes hun scherpte verloren toen deze opgenomen werden in de ruimere natiestaten en hun oude twisten nog slechts spanningen tussen provincies werden. Aan de andere kant zijn er een aantal omstandigheden die de oprichting in de hand werken van een federaal stelsel dat een einde kan maken aan de huidige anarchie: het einde van het onbeperkte gevoel van veiligheid van Groot-Brittannië dat de Engelsen hun “splendid isolation” deed verkiezen, het uiteenvallen van het leger van de Franse republiek bij het eerste ernstige treffen met de Duitse legermacht (laten we maar hopen dat hierdoor de chauvinistische overtuiging van de absolute Gallische superioriteit eindelijk een deuk krijgt), en vooral het bewustzijn van het grote gevaar der algemene slavernij. Ook het principieel aanvaarden van de Indische onafhankelijkheid door Groot-Brittannië en het feit dat Frankrijk door zijn nederlaag praktisch zijn imperium verloren heeft, maken het gemakkelijker een regeling te vinden voor de Europese kolonies. Daarbij komt nog het wegvallen van enkele van de belangrijkste Europese dynastieën en de broosheid van de grondvesten waarop de overblijvende berusten. De vorstenhuizen beschouwden de verschillende landen immers als hun traditionele erfdeel; samen met de belangen die zij steunden, vormden zij een aanzienlijke hindernis voor een rationele organisatie van de Verenigde Staten van Europa, die eigenlijk slechts kunnen rusten op de republikeinse staatsinrichting van alle gefedereerde staten. Alhoewel het mogelijk is nu reeds verder te kijken dan de horizont van dit Oude Continent en te denken aan het lot van alle volkeren en de toekomst van heel de mensheid, moet de Europese Federatie toch in een beginstadium instaan voor vredelievende betrekkingen met Amerika en Azië. In afwachting van de politieke eenheid van de wereld kan alleen Europa zorgen voor vrede en samenwerking. De scheidingslijn tussen progressieve en reactionaire krachten is niet meer die tussen de groepen die zich meer of minder democratisch opstellen, meer of minder socialistisch ageren, maar wel die tussen diegenen die nog steeds geloven dat het doel van hun politieke strijd de verovering moet zijn van de macht in de nationale staat (en die, zij het dan wellicht zonder opzet, het spel spelen van de reactie, door het lava van de gloeiende passies te laten stollen in 259 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 de oude smeltpotten en de oude absurditeiten opnieuw te laten opflakkeren) en diegenen die geloven dat hun actie gericht moet zijn op het bouwen van een internationale staat, naar welk doel zij het volk willen doen streven en waarvoor zij zelfs de nationale macht willen gebruiken na deze heroverd te hebben. Door propaganda en actie moeten wij stevige banden smeden tussen de bewegingen die in de verschillende landen zullen ontstaan. Het zal van nu af aan zaak zijn de fundamenten te leggen van een beweging die in staat is alle krachten te mobiliseren om een nieuw bestel te vormen dat voor Europa de meest grandioze en de meest vernieuwende schepping zal zijn sinds eeuwen; om een solide federale staat op te richten die beschikt over één Europese legermacht die in de plaats treedt van de nationale legers; om krachtdadig de economische autarkieën, ruggensteun der totalitaire regimes, door te breken; om over voldoende organen en actiemiddelen te beschikken om in de verschillende gefedereerd staten zijn beschikkingen te laten uitvoeren en de federale wetten te doen naleven. Ook al blijven de deelstaten beschikken over voldoende autonomie om aan hun instellingen eigen vormen te geven en om een politiek leven te leiden in overeenstemming met de eigenheden van de betrokken volksgemeenschappen. Indien er in de belangrijkste Europese landen voldoende mensen gevonden worden die dit alles begrijpen, zal de overwinning in korte tijd binnen hun bereik zijn. De omstandigheden en de geestesgesteldheid van de massa zullen hun behulpzaam zijn. Zij zullen tegenover partijen en strekkingen staan die in de laatste twintig onheilvolle jaren blijk gegeven hebben van onbekwaamheid. Nu komt de tijd om nieuwe taken aan te vatten en dit zal gedaan moeten worden door nieuwe mensen: door de BEWEGING VOOR EEN VRIJ EN VERENIGD EUROPA. 260 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 III.Taken voor na de oorlog. De hervorming van de maatschappij Een Vrij en Verenigd Europa is het onontbeerlijke uitgangspunt voor de vooruitgang van de moderne beschaving. Na de stilstand van de totalitaire periode zal de evolutie een verdere afbouw van het sociale onrecht en van de privilegies met zich meebrengen. Alle oude conservatieve instellingen zullen ineenstorten. Met moed en beslistheid moet van deze crisistoestand gebruik gemaakt worden. Om aan onze verwachtingen te beantwoorden zal de Europese revolutie socialistisch moeten zijn. Het doel zal zijn de bevrijding van de werkende klassen en de verwezenlijking van meer menselijke levensvoorwaarden. Het zuiver doctrinaire principe dat het privaatbezit van productiemiddelen moet worden afgeschaft of slechts voorlopig toegelaten, kan echter niet richtinggevend zijn voor de te treffen maatregelen. De algemene verstaatsing van de economie was inderdaad het eerste utopische idee waarvan de arbeiders verwachtten dat ze de bevrijding zou betekenen van het kapitalistische juk. De totale etatisering laat echter geen droom werkelijkheid worden, maar wel een stelsel waarin heel de bevolking onderworpen is aan de beperkte groep bureaucraten die de economie dirigeren. Het ware basisbeginsel van het socialisme - en hiervan is het idee van de algemene collectivisatie slechts een haastige en verkeerde afleiding - zegt dat de economische krachten de mens niet moeten domineren maar - zoals dit ook geldt voor de krachten van de natuur - dat de mens de economie moet leiden, onder controle houden en op de meest rationale manier moet beheersen om te vermijden dat de arbeidersmassa er het slachtoffer van wordt. De gigantische krachten van de vooruitgang, ontspruitend uit het persoonlijk belang, mogen niet wegsterven in de kanalen van de routine met als gevolg dat we dan de zin voor initiatief en de ondernemingslust opnieuw moeten opwekken met loondifferentiaties en andere dergelijke maatregelen. Deze krachten moeten integendeel aangemoedigd worden, ze moeten tot ontwikkeling kunnen komen en meer gebruikt worden. Gelijktijdig moeten deze krachten echter stevig ingedijkt worden ten einde misbruiken te vermijden en ze te laten ageren in het belang van de hele gemeenschap. Het privaat bezit moet afgeschaft, beperkt, aangepast en uitgebreid worden naargelang het geval en niet volgens een dogmatisch beginsel. Deze politiek moet zich situeren in het proces dat leidt naar een Europese economische samenleving, eindelijk bevrijd van de nationale militaristische en bureaucratische nachtmerries. Redelijke oplossingen moeten ook in het 261 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 bewustzijn der arbeiders de overhand hebben op het irrationele. We willen zo genuanceerd en gedetailleerd mogelijk de inhoud geven van de te volgen richtlijnen, er op wijzend dat elk punt van het programma moet worden bekeken in relatie tot het noodzakelijk te verwezenlijken doel, nl. de Europese eenheid. We beschouwen de volgende punten als belangrijk: a) Aan particulieren mag niet het beheer overgelaten worden van ondernemingen die een activiteit van monopolistische aard ontwikkelen en dus in staat zijn de verbruikers uit te buiten, zoals bijvoorbeeld de elektriciteitsondernemingen; ondernemingen die in het leven gehouden worden in het belang van de gemeenschap maar die beschermd moeten worden door douanetarieven, staatssubsidies en gunstopdrachten (een mooi voorbeeld hiervan is de Italiaanse metaalindustrie); ondernemingen die wegens de geïnvesteerde kapitalen het aantal mensen dat ze tewerkstellen en de domeinen die ze beheersen in staat zijn druk uit te oefenen op de staatsinstellingen en een politiek op te dringen die hun het gunstigst is (voorbeeld: de kolenmijnen, de grote banken, de grote rederijen). Op deze gebieden zal er grootscheeps genationaliseerd moeten worden en dit zonder enig respect voor verworven rechten. b) Het eigendomsrecht en het erfrecht met hun bijzondere kenmerken hebben ervoor gezorgd dat de rijkdommen terechtkwamen in de handen van een beperkte groep geprivilegieerden. Deze opgehoopte rijkdommen moeten in de revolutionaire crisisperiode verdeeld worden. Die parasitaire standen moeten worden uitgeschakeld. Aan de werkenden moeten de productiemiddelen ter hand gesteld worden die ze nodig hebben om hun economische positie te verbeteren en een meer onafhankelijk leven te kunnen leiden. Hierbij denken we aan een landbouwhervorming waardoor de bewerkers van het land er ook eigenaar van worden een waardoor het aantal grondbezitters enorm zal toenemen, alsook aan een industriële hervorming waardoor het eigendomsrecht van de werkers uitgebreid wordt tot de nietgeëtatiseerde bedrijven, door oprichting van coöperaties, door de arbeider tot aandeelhouder te maken, enz. c) De jongeren moeten geholpen worden door de invoering van regelingen die startsituaties voor iedereen zo gelijk mogelijk maken. Vooral de openbare school zal aan de bekwaamsten, en niet aan de rijksten, de mogelijkheid moeten geven hogere studies te volgen. In elke studievak zal zij mensen moeten vormen voor de uitoefening van de verschillende vrije en andere beroepen. Daarbij zal ervoor gezorgd moeten worden dat het aantal afgestudeerden per vakgebied de vraag niet overtreft. De gemiddelde financiële vergoedingen moeten dan in de verschillende beroepsgroepen ongeveer gelijk zijn, alhoewel 262 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 er zich binnen de groepen verschillen kunnen voordoen naargelang van de individuele bekwaamheden. d) Door de bijna onbeperkte mogelijkheden van de massaproductie kan aan eenieder het levensnoodzakelijke: voedsel, huisvesting en kleding, verstrekt worden. Tegen een relatief lage kostprijs kan elke burger genieten van het comfort dat met de menselijke waardigheid overeenstemt. De solidariteit met diegenen die het er in de economische strijd minder goed afbrengen, mag geen charitatieve vormen aannemen. Deze houding heeft steeds iets vernederends in zich en baart meestal de kwalen waarvan ze de gevolgen wil wegwerken. Er moeten, integendeel, voorzieningen getroffen worden ten einde aan allen, of ze kunnen werken of niet, onvoorwaardelijk een behoorlijke levensstandaard te geven. Daardoor mag echter de prikkel tot werken en sparen niet verdwijnen. Op deze wijze zal niemand meer door ellende gedwongen zijn vernederende arbeidsvoorwaarden te aanvaarden. e) De bevrijding van de werkende klassen is alleen mogelijk als de hierboven aangehaalde punten worden verwezenlijkt. De arbeidersklasse mag niet opnieuw in de greep geraken van de economische politiek van de monopolistische vakbonden, die eenvoudigweg de onderdrukkingsmethoden van het grootkapitaal gebruiken op het niveau van de arbeiders. De werkers moeten vrij kunnen kiezen wie er in hun naam collectieve arbeidsovereenkomsten sluit. De staat zal vervolgens moeten waken over de naleving van de bepalingen van deze overeenkomsten. Alle monopolistische tendensen zullen kunnen worden bestreden zodra bovengenoemde sociale hervormingen plaatsgehad hebben. Dat zijn de veranderingen die nodig zijn om de brede lagen van de bevolking te winnen voor het nieuwe stelsel en om het in stand te houden met de steun van de burgers. Deze veranderingen zullen aan het politieke leven een op de vrijheid gevestigde grondslag geven, doordrongen van een sterk gevoel van sociale solidariteit. Op zo’n basis kunnen de politieke vrijheden een echte en niet alleen formele inhoud krijgen voor allen. Elke burger zal beschikken over voldoende onafhankelijkheid en kennis om bestendig en doeltreffend toezicht uit te oefenen op de heersende klasse. Het zou overbodig zijn uit te wijden over de grondwettelijke instellingen omdat we ook niet kunnen voorzien in welke omstandigheden ze tot stand zullen komen en zullen functioneren. We zouden dus slechts kunnen herhalen wat iedereen weet betreffende de noodzaak van vertegenwoordigende organen en wetgevende procedures, de nodige onafhankelijkheid van de magistratuur die in de plaats zal treden van die welke we nu kennen en die de wetten onpartijdig zal toepassen, betreffende de persvrijheid en de vrijheid van vereniging die het mogelijk moeten maken de publieke opinie voor te lichten en 263 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 de kans te geven daadwerkelijk deel te nemen aan het politieke leven van de staat. Alleen op twee punten moeten we even nader ingaan. Het gaat om aangelegenheden van uitzonderlijk belang voor ons land: de relatie tussen kerk en staat en de aard van de politieke vertegenwoordiging: a) Het concordaat dat het Vaticaan in Italië gesloten heeft met het fascisme moet ongetwijfeld verbroken worden om het zuiver burgerlijk karakter van de staat te bevestigen. Door dit verbreken moet ondubbelzinnig tot uiting komen dat de Staat in het burgerlijk leven de overhand heeft. Alle religieuze belijdenissen moeten gelijk geëerbiedigd worden. De Staat mag echter geen begroting voor de erediensten meer hebben. b) Het corporatistische kaartenhuisje van het fascisme zal in elkaar storten zoals ook de andere instellingen van de totalitaire staat. Er zijn er die geloven dat men morgen uit de puinhopen een nieuwe grondwet kan fabriceren. Wij niet. In de totalitaire staten zijn de corporatieve lichamen een handig middel om de arbeiders onder controle te houden. Zelfs indien de corporatieve kamers het eerlijke spiegelbeeld zouden zijn van de verschillende soorten producenten en het representatieve orgaan van de verschillende beroepsgroepen, dan zouden ze nog niet gekwalificeerd zijn om algemeen politieke aangelegenheden te behandelen. In zuiver economische kwesties zouden ze ook dan alleen dienen om de machtigsten toe te laten de anderen te domineren. De vakverenigingen zullen op vele wijzen moeten samenwerken met de staatsorganen die belast zijn met het oplossen van de problemen die hen aanbelangen. Wetgevende taken mogen hun echter in geen geval worden toevertrouwd, want daaruit zou een feodale anarchie van het economische leven voortspruiten, wat uiteindelijk zou uitmonden in een nieuw politiek despotisme. Velen die zich domweg lieten vangen door de mythe van het corporatisme, zullen aan de vernieuwing kunnen en moeten meewerken; ze zullen echter moeten inzien dat ze in hun wazige dromen een absurde oplossing hebben nagestreefd. Corporatisme kan slechts in totalitaire staten concreet tot stand komen, om de arbeiders in de pas te laten lopen en om hen voortdurend in het oog te laten houden door een aantal ambtenaren die ten dienste staan van de heersende klasse. Onze revolutionaire partij mag niet op het beslissende moment op een geïmproviseerde wijze in het leven geroepen worden. Nu reeds moet zij beginnen gestalte aan te nemen door het vastleggen van haar fundamentele opties, door het uitbouwen van de leidende groepen en door het geven van de eerste richtlijnen voor de werking. Deze partij mag geen samenraapsel zijn van alle mogelijke strekkingen die zich slechts verbonden voelen in hun afwijzing van het fascisme en die na de val van het totalitaire regime onmiddellijk in alle richtingen uiteen zullen zwermen. Onze revolutionaire partij gaat ervan uit dat het eigenlijke werk pas na de verwachte val zal beginnen. Daarom moet zij 264 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 bestaan uit mensen die het eens zijn over de oplossing die in de toekomst gegeven moet worden aan alle belangrijke problemen. Met haar stelselmatige propaganda moet de partij overal doordringen waar mensen door het huidige regime verdrukt worden. Overal moet zij inhaken op de problemen die door de individuen en de groepen als het meest pijnlijk aangevoeld worden, om aan te tonen hoe deze problemen verband houden met andere problemen en wat een echte oplossing ervoor kan zijn. Uit het groeiende aantal sympathisanten mogen alleen diegenen tot de eingenlijke organisatie zelf toetreden die van de Europese revolutie hun levensdoel maken, die tuchtvol, dag na dag, het werk doen, die waken over zijn veiligheid en doeltreffendheid zelfs in de hardste omstandigheden van de strijd in de illegaliteit. Zij zullen het netwerk vormen dat de meer labiele groep van sympathisanten bij elkaar houdt. Alhoewel geen enkele propagandamogelijkheid mag worden verwaarloosd, moet toch in eerste instantie contact gezocht worden met de milieus die in aanmerking komen als centrum voor de verspreiding van ideeën en de rekrutering van strijdvaardige mensen, vooral dan de twee sociale groepen die vandaag het meest gevoelig zijn voor hetgeen gebeurt en die morgen de doorslag zullen geven: de arbeiders en de intellectuelen. De eersten hebben zich het minst aan het totalitarisme onderworpen en zullen ook het vlugst de eigen rangen weer organiseren. De intellectuelen, en vooral de jongeren onder hen, lijden het meest onder de geestelijke verdrukking en walgen van het despotisme. Ook andere milieus zullen zich geleidelijk tot de algemene beweging aangetrokken voelen. Iedere beweging die er niet in slaagt deze krachten te verenigen, zal steriel blijven. Indien de beweging alleen uit intellectuelen bestaat, zal ze niet over de massale kracht beschikken om de weerstand van de reactie te overwinnen. Ze zal de arbeiders wantrouwen en door hen gewantrouwd worden. Zelfs wanneer de beweging bezield is met democratische gevoelens, zal zij toch, staande voor de moeilijkheden, de neiging vertonen alle andere bevolkingsgroepen te mobiliseren tegen de arbeidersklasse, met andere woorden het fascisme te herstellen. Wanneer de beweging alleen zou steunen op het proletariaat, zou de helderheid van denken ontbreken, die alleen van de intellectuelen kan komen e die onontbeerlijk is om duidelijk in te zien wat moet worden gedaan en welke wegen moeten worden gevolgd. De beweging zou de gevangene blijven van de oude klassenstrijdtheorie, ze zou overal vijanden ontwaren en afglijden naar de doctrinaire communistische oplossing. In de revolutionaire crisis zal deze beweging de progressieve krachten moeten organiseren en leiden. Ze zal daarbij gebruik moeten maken van alle volkse organen en formaties die in zulke ogenblikken spontaan tot stand komen 265 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 en die, net als in een smeltkroes, zich in de revolutionaire massa’s zullen laten opgaan, niet om een plebisciet uit te spreken maar om geleid te worden. Deze beweging zal inzichten over wat gedaan moet worden zeker niet verwerven door een voorafgaande goedkeuring door de nog niet bestaande volkswil, maar door het bewustzijn de werkelijke noden van de moderne maatschappij te vertegenwoordigen. Aldus zal zij de eerste richtlijnen voor de nieuwe orde geven, de nieuwe stelregels voor de nog in verwarring verkerende menigten. Door deze dictatuur van de revolutionaire partij wordt het nieuwe staatsbestel opgericht en daar omheen de ware nieuwe democratie. Er bestaat geen gevaar dat dit revolutionaire regime noodzakelijkerwijs zal uitmonden in een nieuwe despotisme. Dit zou gebeuren wanneer de revolutie een slavenmaatschappij zou voortbrengen. Als echter de revolutionaire partij vanaf het begin met sterke hand de voorwaarden voor een vrij bestaan schept, waarin alle burgers werkelijk aan het openbare leven kunnen deelnemen, zal de evolutie, zij het met enkele kleinere politieke crisissen, gaan in de richting van een geleidelijk begrijpen en aanvaarden door allen van de nieuwe orde, en dus in de richting van betere mogelijkheden voor de werking van vrije politieke instellingen. Vandaag moeten de oude lasten worden afgeworpen, moeten we openstaan voor het nieuwe dat komt - zo anders dan we het hadden verwacht -; bij de ouderen de onbekwamen opzijzetten en bij de jongeren nieuwe energie opwekken. Vandaag zoeken en ontmoeten elkaar diegenen die het patroon van de toekomst weven, die de redenen voor de huidige crisis van de Europese beschaving hebben onderkend en die daarom het erfdeel dragen van al die bewegingen die naar menselijke verheffing hebben gestreefd maar ten onder zijn gegaan door onbegrip voor het te bereiken doel of van de daartoe aan te wenden middelen. De af te leggen weg is niet gemakkelijk, noch veilig. Maar hij moet - en zal - afgelegd worden! Altiero Spinelli - Ernesto Rossi 266 A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 De Ventotene à Brussel de Francesco Gui En présentant le message du Manifeste de Ventotene dans les diverses langues de l’Union Européenne, la présente publication de la Région Latium, réalisée en collaboration avec l’Université “La Sapienza” de Rome et le Comité national Altiero Spinelli, entend apporter sa contribution à la réflexion sur le fédéralisme européen ainsi qu’à la culture du processus d’unification, qui impliquent également l’échange d’expériences et de propositions mûries au sein des différents pays. Le Manifeste, comme l’on sait, constitue un apport original à la Résistance italienne, élaboré par un groupe restreint d’opposants au régime mussolinien, emprisonnés dans les années 20 et 30, puis envoyés en relégation. Un groupe restreint certes, mais extrêmement motivé et cultivé, au point de réussir à produire un document encore valable aujourd’hui qui a su le mieux anticipé le futur de l’Europe de l’après-guerre. Parmi ses auteurs, Altiero Spinelli provenait de l’internationalisme communiste, tandis qu’Ernesto Rossi, élève de Luigi Einaudi, le célèbre économiste ainsi que futur président de la République italienne, était partisan du libéralisme démocratique, avec de fortes sympathies pour le labourisme anglais. Quant au philosophe Eugenio Colorni, celui-ci était un important dirigeant du Centre interne du Parti socialiste italien. Leur ambition était de proposer à la société européenne une authentique solution, non plus inspirée cette fois de l’idéologie marxiste et de la lutte des classes, mais d’un dépassement de la souveraineté absolue des Étatsnations en vue d’instaurer les États-Unis d’Europe. Ce faisant, ils espéraient que les guerres sanguinaires du XXe siècle pourraient laisser la place à un plus haut niveau de civilisation pour l’humanité, s’appuyant sur des institutions démocratiques supranationales de type fédéral, sur l’ouverture des frontières, la liberté des échanges, voire une monnaie unique, sur une défense commune et un progrès social généralisé, afin de s’opposer à la résurgence de dictatures totalitaires, d’empreinte nationaliste ou communiste. En août 1943, à Milan, Spinelli, Rossi et Colorni (qui sera assassiné l’année suivante par la police fasciste pour avoir publié l’édition clandestine du Manifeste, accompagnée d’une préface rédigée de sa main, que nous 267 F. Gui, De Ventotene Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 reproduisons dans ce volume) fondèrent avec d’autres camarades le Mouvement fédéraliste européen (MFE), militant aujourd’hui encore pour une Europe fédérale. Aussitôt après, ils prirent contact avec la Résistance européenne et se rendirent en Suisse et en France pour rencontrer les membres des autres mouvements européistes. Au cours des années qui suivirent jusqu’à sa mort en mai 1986 à l’âge de 79 ans, le député européen Altiero Spinelli, aujourd’hui reconnu comme l’un des “pères fondateurs” de l’Union européenne, aura tenté de réaliser ce qu’avait préfiguré le Manifeste de 1941, à une époque où le nazi-fascisme se trouvait encore à son apogée. Pendant ses années de militantisme, et notamment dans la première moitié des années 50, l’agitateur Altiero Spinelli – promoteur d’initiatives heureuses, telles que la création de la Communauté européenne du charbon et de l’acier, ou dramatiquememt vouées à l’échec, comme la Communauté européenne de défense – au nom du secrétariat du Mouvement fédéraliste européen et en tant que membre du bureau de l’Union européenne des Fédéralistes (UEF), a étroite ment collaboré avec d’autres “pères fondateurs”, tels que les hommes d’État Alcide De Gasperi, Jean Monnet et Paul-Henri Spaak. Ce dernier, en qualité de président de l’Assemblée parlementaire de la Ceca et du Mouvement Européen (ME), noua avec Spinelli une entente solide au cours de la phase de rédaction du Statut de la Communauté politique européenne, confiée à une “Assemblée ad hoc”. Les esprits travaillaient dans un climat propice à élaborer pour l’Europe la constitution que l’auteur du Manifeste aura souhaité toute sa vie durant, sans épargner ses critiques âprement dirigées contre l’instrument des traités diplomatiques et le système intergouvernemental ou confédéral (cher en revanche, au dire de Spinelli du moins, au ministre des Affaires Étrangères belge Paul van Zeeland). Plus tard, “Ulysse” (pseudonyme d’Altiero Spinelli) critiqua sévèrement la Communauté économique européenne, une oeuvre de Monnet et mieux encore de Spaak, estimant que le fonctionnalisme ne pouvait pas conduire à une Europe supranationale. Aussi Spinelli organisa-t-il un Congrès du peuple européen où il invitait les citoyens à revendiquer une constituante européenne et une véritable démocratie fédérale. Parmi les villes européennes qui répondirent avec une très forte participation, on compte Anvers, Strasbourg, Lyon, Maastricht, Milan, Turin, Genève et Düsseldorf. En dépit des objections, les diverses communautés se prononcèrent par contre en faveur d’une unité européenne. Aussi Spinelli fit-il marche arrière et s’employa-t-il à influencer de l’intérieur les institutions établies à Bruxelles, Strasbourg et Luxembourg. Et en 1970, grâce au soutien de Pietro Nenni, leader socialiste et ministre des Affaires Étrangères italien, le vieil anti-fasciste devint 268 F. Gui, De Ventotene Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 membre de la Commission des Communautés, où il eut entre autres pour collègues Albert Coppé et Henri Simonet. Il résida alors à Bruxelles au numéro 12 de l’Avenue Boileau, comme le rappelle Piero Graglia, auteur d’une récente biographie, parue aux éditions Il Mulino. Guère satisfait des résultats obtenus par la Commission, Spinelli préféra entrer à partir de 1976 au Parlement européen, grâce à l’appui – quoique se déclarant “indépendant” – de son ancien parti, le Parti communiste italien, dirigé par Enrico Berlinguer, qu’il espérait gagner à la cause d’une Europe fédérale. En réalité, Spinelli avait longtemps rêvé à la naissance d’un authentique parti fédéraliste européen. Son élection à l’assemblée de Strasbourg, notamment à partir de 1979, dès les premières élections au suffrage universel direct, permit au révolutionnaire à la barbe blanche de relancer le projet d’une constitution européenne, en revendiquant un rôle constituant pour les parlementaires européens, en leur qualité de représentants du “peuple” européen. Après avoir fondé à Strasbourg le “Club du Crocodile” – devant son nom à un célèbre restaurant où se réunissait la patrouille des parlementaires prêts à le soutenir –, le 14 février 1984, “Ulysse” parvint à faire approuver par le Parlement le projet de traité de l’Union européenne, ou “projet Spinelli”, qui permit de relancer le processus de réforme des institutions européennes, en oeuvre encore aujourd’hui. À la mort de l’homme de Ventotene, l’initiative constituante fut reprise par le parlementaire populaire Fernand Herman, membre du “Club du Crocodile”. Un bâtiment est aujourd’hui dédié à Altiero Spinelli au siège du Parlement européen de Bruxelles. 269 F. Gui, De Ventotene Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Von Ventotene nach Brüssel von Francesco Gui Die publicatie van de Regio Lazio, vorliegende Veröffentlichung der Region Latium, herausgegeben in Zusammenarbeit mit der Universität „La Sapienza“, Rom, und dem Nationalkomitee zur Feier des hundertsten Geburtstags von Altiero Spinelli möchte durch Präsentation der Botschaft des Manifests von Ventotene zur Reflexion über den europäischen Föderalismus und die Kultur des Vereinigungsprozesses beitragen. Dies soll auch durch einen Vergleich mit den in anderen Ländern gesammelten Erfahrungen geschehen. Das Manifesto ist bekanntlich ein authentisches Dokument der italienischen Widerstandsbewegung gegen den Faschismus, das von einer kleinen Gruppe von Gegnern des Mussolini-Regimes erarbeitet wurde, die in den Zwanzigerund Dreißigerjahren im Gefängnis saßen und danach verbannt worden waren. Es handelte sich um eine kleine aber sehr gebildete und hochmotivierte Gruppe, der es gelungen ist, eines der weitsichtigsten und heute noch wichtigen Dokumente für die Zukunft im Nachkriegseuropa zu erarbeiten. Zu seinen Verfassern zählte der von der kommunistischen Internationale her kommende Altiero Spinelli, wogegen Ernesto Rossi, der Schüler von Luigi Einaudi, des bekannten Wirtschaftsexperten und späteren Präsidenten der italienischen Republik, dem demokratischen Liberalismus angehörte und große Sympathien für die Politik der englischen Labour-Partei hegte. Was den Philosophen Eugenio Colorni betrifft, so war er ein angesehener Direktor des sogenannten inneren Kreises der sozialistischen Partei Italiens. Ihre Absicht war es, der europäischen Gesellschaft eine echte Revolution vorzuschlagen, die aber nicht mehr von der marxistischen Ideologie und vom Klassenkampf inspiriert sein sollte, sondern von dem Ziel der Überwindung der absoluten Souveränität der Nationalstaaten und der Errichtung der Vereinigten Staaten von Europa. Auf diese Weise hofften sie, dass anstelle der blutigen Epoche der Kriege des neunzehnten Jahrhunderts eine höhere Ebene der menschlichen Zivilisation erreicht werden könne, die auf übernationalen demokratischen Institutionen föderativen Charakters, der Öffnung der Grenzen, dem freien Güterverkehr, ja sogar einer einheitlichen Währung, einer gemeinsamen Verteidigung und allgemeinem sozialen Fortschritt gründen sollte. Dadurch sollte das erneute 270 F. Gui, Von Ventotene Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Entstehen von totalitären Regimen nationalsozialistischer oder kommunistischer Prägung unterbunden werden. Im August 1943 gründeten Spinelli, Rossi und Colorni (der im Folgejahr von der faschistischen Polizei umgebracht wurde, nachdem er die in der vorliegenden Ausgabe wiedergegebene Untergrundausgabe des Manifests mit einem von ihm verfassten Vorwort herausgegeben hatte) zusammen mit anderen Genossen das „Movimento federalista europeo“ (MFE), das sich auch heute noch für ein föderatives Europa einsetzt. Gleich danach kontaktierten sie die europäische Widerstandsbewegung und reisten in die Schweiz und nach Frankreich, um die Angehörigen der anderen Bewegungen für Europa kennenzulernen. Von diesem Augenblick an bis zum Moment seines Todes im Mai 1986 als neunundsiebzigjähriger Europaabgeordneter hat Altiero Spinelli versucht das im Manifest von 1941 noch unter der Nazizeit Beschriebene zu verwirklichen. Während seiner langjährigen politischen Aktivität, vor allem aber in der ersten Hälfte der Fünfzigerjahre, die von geglückten Initiativen wie der Schaffung der Europäischen Gemeinschaft für Kohle und Stahl gekennzeichnet waren, aber auch von dramatisch gescheiterten Unternehmungen wie der der Europäischen Verteidigungsgemeinschaft, hat der Agitator Spinelli, Beauftragter des Sekretariats des „Movimento federalista europeo“ und Mitglied des bureau der „Union européenne des Fédéralistes“ (UEF) eng mit anderen „Gründervätern“ zusammengearbeitet, z.B. mit Alcide De Gasperi, Jean Monnet und Paul-Henri Spaak. Der letztere hat als Präsident der parlamentarischen Versammlung der EGKS und der Europäischen Bewegung (Movimento Europeo, ME) während der Phase der Niederschrift des Statuts der politischen Gemeinschaft Europas, die der sogenannten „Ad-hoc-Versammlung“ übertragen worden war, eine enge Zusammenarbeit mit Spinelli begründet. Ihr Anliegen war es, Europa jene Verfassung zu geben, um die der Autor des Manifests ein Leben lang gerungen hat, wobei er das Instrument der diplomatischen Traktate und die zwischenstaatlichen oder Bündniszwänge aufs Schärfste kritisierte (die stattdessen dem belgischen Außenminister Paul van Zeeland, wenigstens nach Spinellis Aussage, sehr wichtig waren). Später kritisierte „Ulisse“ (Pseudonym von Spinelli) die europäische Wirtschaftsgemeinschaft streng, eine Kreatur von Monnet und mehr noch von Spaak, da er dachte, dass der Funktionalismus nicht zu einem übernationalen Europa führen könnte. In der Tat organisierte Spinelli den europäischen Volkskongress, auf dem er die Bürger aufrief, eine europäische Verfassung und eine echte föderative Demokratie zu fordern. Unter den Städten, die mit der größten Teilnahme darauf reagierten, waren auch Antwerpen, zusammen mit Straßburg, Lyon, Maastricht, Mailand, Turin, Genf und Düsseldorf. 271 F. Gui, Von Ventotene Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Trotz der Widerstände erwies es sich, dass die Gemeinschaften wirksam für die europäische Einheit arbeiteten. Daher setzte sich Spinelli, der alles vorher Gesagte wieder zurückgenommen hatte, später dafür ein, die zwischen Brüssel, Straßburg und Luxemburg situierten Institutionen von Innen heraus zu beeinflussen. Tatsächlich wurde der ehemalige Verbannte dank der Unterstützung von Pietro Nenni, dem Anführer der Sozialisten und Außenminister Italiens, zu einem Mitglied der Kommission der Gemeinschaft, wo seine Kollegen u.a. Albert Coppé und Henri Simonet waren. Seine Wohnung in Brüssel befand sich in Avenue Boileau, 12, wie der Verfasser einer kürzlich bei dem Verlag „Il Mulino“ erschienen Biographie Piero Graglia erwähnt. Unzufrieden mit den in der Kommission erreichten Arbeitsergebnissen zog es Spinelli von 1976 an vor, ins Europäische Parlament einzuziehen, was ihm dank der Unterstützung seiner ehemaligen Partei, der von Enrico Berlinguer geführten kommunistischen Partei Italiens, möglich war, die er zu einer Verfechterin des föderativen Europas machen wollte. In Wahrheit hatte Spinelli lange von der Geburt einer echten föderalistischen Partei für Europa geträumt. Sein Einzug in die Straßburger Versammlung erlaubte es dem Revolutionär mit dem weißen Bart aber trotzdem, und vor allem ab 1979 (also ab der ersten direkten Wahl), sein Ziel einer europäischen Verfassung erneut zu einem allgemeinen Thema zu machen, wobei er eine verfassungsgebende Rolle für die Europaparlamentier forderte, da sie das europäische „Volk“ repräsentierten. Nachdem er den „Crocodile Club“ geschaffen hatte, der den Namen eines bekannten Restaurants trug, in dem er eine Reihe von Parlamentariern versammelt hatte, die bereit waren, ihn zu unterstützen, gelang es „Ulisse“ am 14. Februar 1984, das Projekt der Verfassung für die Europäische Union vom Parlament absegnen zu lassen, das auch „Spinelli-Projekt“ genannt wurde, und dank dessen der noch heute im Gang befindliche Reformprozess der europäischen Institutionen wieder in Schwung kam. Nach dem Tod von Spinelli wurde die Verfassungsinitiative von dem der Volkspartei („partito popolare“) angehörigen Abgeordneten Fernand Hernan weitergeführt, der dem „Crocodile Club“ angehört hatte. Nach Spinelli wurde ein Gebäude des Europaparlaments in Brüssel benannt. 272 F. Gui, Von Ventotene Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Van Ventotene naar Brussel door Francesco Gui Deze publicatie van de Regio Lazio, uitgegeven in samenwerking met de Università Sapienza van Rome en het Nationale Comité Altiero Spinelli, welke het bericht van het Manifest van Ventotene in de verschillende talen van de Europese Unie presenteert, heeft tot doel een bijdrage te leveren tot een bespiegeling over het Europese federalisme en de cultuur van het unificatie proces, ook door middel van een vergelijking tussen de ervaringen en de in de verschillende landen gerijpte voorstellen. Het Manifest, zoals bekend is, is een originele bijdrage van het Italiaanse verzet, opgezet door een beperkt aantal tegenstanders van het Mussolini regime, die gedetineerd waren tussen de twintiger en dertiger jaren en welken daarna verbannen zijn. Een beperkte groep, maar desalniettemin uiterst geleerd en gemotiveerd, en wel zozeer dat ze in staat zijn geweest één van de meest vooruitziende documenten op te stellen, en dat tot op heden nog steeds zijn geldigheid bewaart, over de toekomst van het naoorlogse Europa. Onder zijn auteurs, Altiero Spinelli was afkomstig van het internationalistisch communisme, terwijl Ernesto Rossi, leerling van de welbekende econoom en latere president van de Italiaanse Republiek Luigi Einaudi, deel uit maakte van het democratisch liberalisme met grote sympathie voor de Engelse Labour partij. Voor wat betreft de filosoof Eugenio Colorni, kan men zeggen dat het een gezaghebbende leider was van de zogenaamde Interne Centrum van de Italiaanse socialistische Partij. Hun doel was om aan de Europese sociëteit een echte revolutie voor te stellen, echter niet meer gebaseerd op de Marxistische ideologie en de klassenstrijd, maar met het objectief om de absolute soevereiniteit van de nationale staten te overwinnen en het opzetten van de Verenigde Staten van Europa. Op deze manier hoopten zij namelijk dat in plaats van de bloedige periode van de oorlogen van de negentiende eeuw een hoger niveau van menselijke samenleving zou ontstaan, gebaseerd op democratische boven de staten staande instellingen van een federaal type, op het openen van de grenzen, vrijheid van uitwisseling, zelfs een gemeenschappelijke munteenheid, gemeenschappelijke defensie en een veralgemeende sociale vooruitgang, 273 F. Gui, Van Ventotene Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 daarbij de herhaling van totalitaire dictaturen onmogelijk makende, niet alleen van nationalistische- maar ook van communistische opzet. In augustus van 1943 richtten Spinelli, Rossi e Colorni (het jaar daarna werd de laatste vermoord door de fascistische politie nadat hij de clandestiene versie van het Manifest, wat in deze publicatie is afgedrukt, samen met zijn Voorwoord, had uitgegeven) in Milaan, samen met andere kameraden, de Europese Federalistische Beweging (EFB) op, nog tot op heden bezig zijnde voor het federale Europa. Direct daarna is er contact opgenomen met de Europese Weerstand, daarvoor naar Zwitserland en Frankrijk reizende om de exponenten van de andere Europese bewegingen te ontmoeten. Vanaf die tijd, tot mei 1986, toen Altiero Spinelli op de leeftijd van 79, toen Eurodeputaat, overleed, en vandaag erkend als een van de Vaders van de Grondlegging van de Europese unie, zou hij zich inzetten om datgene te realiseren wat in het Manifest van ’41 voorgesteld werd en dat terwijl het nazifascisme zich nog op zijn hoogtepunt bevond. Gedurende zijn lang activisme, en vooral in de tweede helft van de vijftiger jaren, koortsachtig van succesvolle initiatieven, zoals de creatie van de Europese Gemeenschap van Kolen en Staal en de dramatisch failliet gegaan zijnde Europese Defensie Gemeenschap van, heeft de alles in beweging brengende Spinelli, met de opdracht van het Secretariaat van de Europese Federalistische Beweging en als lid van het bureau van de Europese Federalistische Unie (UEF), nauw samen gewerkt met andere “vaders van de grondlegging”, zoals de staatslieden Alcide De Gasperi, Jean Monnet en PaulHenri Spaak. Deze laatste, als president van de parlementaire Assemblée van de CECA en van de Europese Beweging (ME), heeft met Spinelli een solide verstandhouding gehad gedurende het opstellen van het Statuut van de Europese Politieke Gemeenschap, opgedragen aan de zogenaamde Assemblée ad-ho . Het klimaat van de geestesinstellingen was dat om aan Europa die constitutie te geven waar de auteur van het Manifest gedurende zijn hele leven om zou vragen, daarbij de instrumenten van diplomatieke overeenkomsten en de intergovernatieve of confederale opzet scherp bekritiserend (echter dierbaar, in ieder geval naar zeggen van Spinelli; aan de Belgische Minister van Buitenlandse Zaken Paul van Zeeland). Later heeft “Ulisse” (pseudoniem van Altieri) de Europese Economische Gemeenschap, schepping van Monnet en nog meer van Spaak, scherp bekritiseerd, van oordeel zijnde dat het functionalisme niet tot een supranationaal Europa kon leiden. Inderdaad organiseerde Spinelli het Congres van het Europese Volk, daarbij de burgers oproepende om een Europese grondwet en een echte federale democratie te vereisen. Onder de Europese 274 F. Gui, Van Ventotene Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 steden welke met een hogere deelname beantwoordden bevonden zich tevens Antwerpen, samen met Straatsburg, Lion, Maastricht, Milaan, Turijn, Genève en Düsseldorf. Niettegenstaande de bezwaren, lieten de Gemeenschappen echter zien op een efficiënte manier voor de eenheid van Europa te kunnen werken. Daarom werkte Spinelli, teruggekeerd op zijn stappen, aan het van binnenuit beïnvloeden van de in Brussel, Straatsburg en Luxemburg gevestigde instituties. In 1970, dankzij de hulp van Pietro Nenni, socialistisch leider en Minister van Buitenlandse Zaken, werd de oude anti-fascistische verbanneling lid van de Commissie van de Gemeenschap en had daarbij onder anderen als collega’s Albert Coppé e Henri Simonet. Zijn huis in Brussel bevond zich op de Avenue Boileau, n,12, zoals door Piero Graglia, auteur van een recente biografie, uitgegeven door Il Mulino, herinnerd is. Onvoldaan over de door de Commissie behaalde resultaten, prefereerde Spinelli in ’79 in het Europese Parlement zitting te nemen, dit, ook al kwalificeerde hij zich als “onafhankelijke”, dankzij de steun van de Italiaanse Communistische Partij, geleid door Enrico Berlinguer, welke hij hoopte te kunnen omvormen tot een voorstander van een federaal Europa. In werkelijkheid had Spinelli voor lange tijd van de geboorte van een werkelijke Europese federalistische partij gedroomd. Het zitting nemen in het Europese Parlement, vooral vanaf 1979, ofwel vanaf de eerste verkiezing met direct algemeen stemrecht, maakte het de revolutionair met de witte baard mogelijk om het objectief van de Europese Grondwet te lanceren, daarin een constituerende rol voor de europarlementariërs opeisend, aangezien deze vertegenwoordigers zijn van het Europese “volk”. Na in Straatsburg de “Club van de Krokodil” (“Club del Coccodrillo”) opgericht te hebben, naar de naam van een bekend restaurant waar een groep parlementariërs, klaar om hem te steunen, bijeenkwam, slaagde op 14 februari 1984 “Ulisse” er in om het project van het traktaat van de Europese Unie, ook wel “Spinelliproject” genoemd, door het Parlement te laten goedkeuren, dankzij hetwelke het reformatie proces van de Europese instituties, tot op heden gaande, opnieuw opstartte. Na het heengaan van de man van Ventotene, is het constituerend proces weer opgenomen door de populaire parlementariër Fernand Herman, die een aanhanger was geweest van de “Club van de Krokodil”. Aan Spinelli is een gebouw gewijd van de zetel van het Europarlement in Brussel. 275 F. Gui, Van Ventotene Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Le message de Spinelli pour le lecteur luxembourgeois de Giulia Vassallo En promouvant et en finançant la traduction du Manifeste de Ventotene dans les diverses langues des pays membres de l’Union européenne, la Région Latium, en collaboration avec l’Université “La Sapienza” de Rome et le Comité National Altiero Spinelli, a souhaité favoriser une plus large connaissance des textes fondateurs non seulement du fédéralisme européen, mais encore de la culture de l’intégration européenne. Le Manifeste, rédigé sur la petite île pontine en 1941 par le militant communiste Altiero Spinelli qui s’était converti au fédéralisme européen, par le libéral Ernesto Rossi, intellectuellement lié au socialisme de matrice britannique, et par le dirigeant du “Centre interne” du parti socialiste Eugenio Colorni, est aujourd’hui proposé au citoyen luxembourgeois dans les trois langues officielles de son pays. Le texte, formulé dans un langage passionné et volontairement emphatique par endroits, est un produit original de la Résistance italienne, caractérisé par une extraordinaire clairvoyance historique et politique. Il suffit de penser à l’abolition des barrières douanières, à la libre circulation des marchandises et des personnes, à la défense commune, à la monnaie unique et à l’exigence de doter le vieux continent d’une constitution démocratique. Ce sont là des acquis en grande partie réalisés par l’Union européenne, en vertu notamment de l’apport intellectuel et des batailles politiques menées par Altiero Spinelli dans l’aprèsguerre. Quant à la constitution européenne, le sujet est de nouveau pleinement d’actualité avec le Traité constitutionnel élaboré par la Convention européenne, bien que révisé ultérieurement par le Traité de Lisbonne, aujourd’hui en cours de ratification. Quoiqu’élaboré dans un contexte italien, puisque ses auteurs, tous opposants anti-fascistes, avaient tout particulièrement à coeur le sort de la péninsule au lendemain de la chute du régime de Mussolini, le Manifeste de Ventotene exprime une aspiration générale de renouvellement de la société européenne, voire mondiale pour certains aspects. Ses auteurs anticipent en effet le projet d’une action commune des forces progressistes, visant à construire une réalité inédite sur le vieux continent: les États-Unis d’Europe, qu’il s’agit de réaliser en dépassant le système des États nationaux. En effet, dans l’esprit des relégués fédéralistes, la division de l’Europe en États souverains, constamment en guerre pour conquérir leur propre “espace vital”, avait inexorablement conduit à la naissance des totalitarismes, ainsi qu’à un 276 G. Vasssallo, Le message Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 deuxième conflit mondial, bien plus destructeur et menaçant pour le sort de l’humanité. C’est de ces diverses considérations angoissées que naissait l’appel à mettre en oeuvre un processus révolutionnaire, au caractère fédéraliste et non plus marxiste, susceptible d’anéantir définitivement les bases sur lesquelles s’appuyait l’appareil étatique nationaliste, tendanciellement totalitaire, défini comme “extrême centralisation et autarcie” et comme berceau du système corporatif et des “baronnies économiques” liées au pouvoir politique. À sa place, il fallait édifier un système supranational, fondé sur des institutions démocratiques communes au niveau européen, en mesure de favoriser une concrète reconstruction morale et économique et de générer un plus haut degré de civilisation, dans le but de garantir pour chaque individu la jouissance de ses libertés élémentaires. La force des idées avancées et la conviction profondément ancrée que la contingence historique, par son caractère dramatique exceptionnel, était extraordinairement propice à mettre en place un processus di transformation radicale de l’histoire européenne, eurent également des incidences sur l’action politique entreprise par les auteurs du Manifeste une fois libérés, en juillet 1943, après la chute du régime mussolinien. En août de la même année, ils fondèrent à Milan, avec d’autres intellectuels et hommes politiques antifascistes, le Mouvement fédéraliste européen (Mfe), qui poursuit aujourd’hui encore son action en vue de fonder une fédération démocratique européenne. Ils commencèrent par ailleurs à nouer des relations de plus en plus étroites avec les autres groupes européistes qui s’étaient constitués sur le continent pendant les années de la Résistance, afin de créer un mouvement pour l’unité européenne le plus large et le plus tranversal possible. Altiero Spinelli, plus que tout autre, fut au coeur d’un vaste réseau d’intenses contacts entre les personnalités majeures de la scène européenne. Au nombre de ses interlocuteurs et correspondants luxembourgeois, il convient de rappeler Arthur Calteux, membre influent de l’Union européenne des fédéralistes (Uef), Henri Koch de l’Union fédérale, Gordian Troeller du Mouvement fédéraliste luxembourgeois et le futur président de la Commission européenne, Gaston Thorn. Les relations entre Altiero Spinelli et Joseph Bech, tous deux passés à l’histoire en tant que « pères de l’Europe », furent bien plus complexes. Spinelli reconnaissait en effet à l’alors ministre des Affaires Étrangères du Grand Duché le mérite d’avoir inscrit le Luxembourg au rang des États fondateurs de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier (Ceca). Qui plus est, il l’appréciait pour avoir réclamé haut et fort que son pays puisse accueillir la Haute Autorité, confirmant ainsi la totale disponibilité du petit État à mener à 277 G. Vasssallo, Le message Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 bien et à promouvoir le projet communautaire. Néanmoins, lors de la fondation de la Communauté économique européenne (Cee), il ne pouvait ignorer le fait que Bech avaitcollaboré avec ses homologues belge et hollandais, Paul-Henri Spaak et Johan Willem Beyen, à la fondation d’une institution de nature typiquement fonctionnaliste qui, dans l’optique de Spinelli, n’était qu’une “farce” pour tous ceux qui avaient oeuvré pour une Europe supranationale qu’il s’agissait de promouvoir grâce à une participation populaire et un système constituant. Tout d’abord déçu par l’“échec” des Traités de Rome, puis convaincu de la validité des Communautés européennes, “Ulysse”, après une pause de réflexion, décida d’oeuvrer directement au sein des nouvelles institutions, en vue de les orienter vers une perspective fédéraliste. De 1970 à 1975, il fut en effet commissaire européen, avant d’être élu en 1976 au Parlement de Strasbourg. C’est en sa qualité de parlementaire, notamment après les élections au suffrage universel direct (juin 1979) et jusqu’à sa mort en mai 1986, que le vieil antifasciste aurait témoigné avec originalité de sa capacité à concilier stratégie politique et esprit révolutionnaire: le résultat le plus important de son action, au plan dirons-nous historique, a sans doute été l’approbation de la part de l’assemblée, le 14 février 1984, du Projet de traité d’Union européenne, un présupposé essentiel des ultérieurs développements, qu’il s’agisse de l’Acte unique européen ou des traités les plus récents. En conclusion, il est important qu’en un moment si délicat et si décisif pour l’histoire de l’Union, les citoyens européens puissent avoir l’occasion de réfléchir au message véhiculé par le Manifeste de Ventotene, un texte digne d’être étudié pour sa clairvoyance politique, pour la prégnance de son langage, pour sa valeur profondément humaine de témoignage et pour l’idéal qui anime de manière passionnée chacune de ses pages. 278 G. Vasssallo, Le message Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Spinelli Botschaft für den Luxemburger Leser von Giulia Vassallo Mittels Finanzierung der Übersetzung des Manifests von Ventotene in die Sprachen der Mitgliedsstaaten der Europäischen Union will die Region Latium unter Mitwirkung der Universität „La Sapienza“, Rom, und des Komitees zur Feier des hundertsten Geburtstags von Altiero Spinelli eine weitere Verbreitung eines der wichtigsten Texte des europäischen Föderalismus und der Kultur der europäischen Integrationsgedankens sicherstellen. Das auf der kleinen Insel Ventotene 1941 von dem ehemals kommunistischen dann zum europäischen Föderalismus konvertierten Altiero Spinelli, von dem Liberalen Ernesto Rossi (der dem Sozialismus britischer Ausprägung verpflichtet war) und vom Direktor des „inneren Kreises“ der sozialistischen Partei Italiens Eugenio Colorni verfasste Manifest wird jetzt dem luxemburgischen Leser in den drei offiziellen Staatssprachen dargeboten. Der phasenweise von gewollt leidenschaftlicher Sprache und bewusst emphatischem Stil gekennzeichnete Text stellt ein Originalprodukt der italienischen Widerstandsbewegung gegen die Faschisten dar, das von außergewöhnlicher historisch- politischer Weitsichtigkeit zeugt. Man denke nur an folgende Themen: die Abschaffung der Zollgrenzen, der freie Verkehr von Waren und Personen, die gemeinsame Verteidigung, die gemeinsame Währung und die Notwendigkeit, dem alten Kontinent eine demokratische Verfassung zu geben. Das sind allesamt Punkte, die zum größten Teil von der Europäischen Union erreicht worden sind, auch dank der intellektuellen Starthilfe und der politischen Kämpfe, die Altiero Spinelli im Verlauf der Nachkriegszeit geführt hat. Was die europäische Verfassung betrifft, so wäre dieses Thema durch den vom Europäischen Konvent ausgearbeiteten Vertrag über eine Verfassung für Europa wieder von brennender Aktualität, der aber in der Folge vom heute zu ratifizierenden Vertrag von Lissabon wieder eingeschränkt worden ist. In einer italienischen Umgebung ausgearbeitet – den Autoren, allesamt Faschismus- Gegner, lag vor allem das Schicksal der italienischen Halbinsel nach dem Sturz des Mussolini-Regimes am Herzen – zeichnet sich das Manifest von Ventotene doch durch einen allgemeinen Drang zur Erneuerung der europäischen und in einem gewissen Sinn weltweiten Gesellschaft aus. Seine Autoren nehmen in der Tat eine gemeinsame Aktion der progressiven Kräfte für die Konstruktion einer völlig neuen Realität auf dem alten Kontinent vorweg, nämlich die Vereinigten Staaten von Europa, die durch das 279 G. Vassallo, Spinelli Botschaft Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Überwinden des Systems der Nationalstaaten entstehen sollten. Nach Meinung der föderalistischen Verbannten hat die Aufteilung Europas in souveräne Staaten, die untereinander dauernd gegenseitig um die Eroberung des eigenen „Lebensraums“ streiten, unausweichlich zur Geburt der totalitären Regime und zu einem zweiten, noch zerstörerischen Weltkrieg geführt, der der gesamten Menschheit gefährlich wurde. Aus diesen angstvollen Überlegungen entstand der Aufruf zu einem nicht mehr marxistisch sondern föderalistisch geprägten revolutionären Prozess, der die Grundlagen, auf denen der nationalistische, tendenziell totalitäre Staatsapparat geruht hatte, endgültig beseitigen sollte. Ein Staat, der „den Gipfel der Zentralisierung und der Autarkie“ darstellte, sowie die Wiege des korporativen Systems und der „wirtschaftlichen Machtmissbräuche“, die an die politische Macht gebunden waren. An seine Stelle sollte stattdessen eine übernationale, auf europäischer Ebene verankerte und auf demokratischen Institutionen beruhende Ordnung treten, der es gelingen sollte, einen konkreten moralischen und wirtschaftlichen Wiederaufbau zu fördern und außerdem eine höhere Zivilisation zu bedingen, um die vollständige Freiheit der einzelnen Individuen zu garantieren. Die Kraft der Ideen und die feste Überzeugung, dass der historische Moment gerade wegen seiner dramatischen Außergewöhnlichkeit unglaublich geeignetsel, um einen radikalen Umformungsprozess in der europäischen Geschichte einzuleiten, wirkte sich auch auf die von den Verfassern des Manifests unternommenen politischen Schritte aus, sobald sie im Juli 1943 nach dem Fall des Mussolini- Regimes erst einmal aus der Verbannung befreit worden waren. Im August desselben Jahres gründeten sie in Mailand zusammen mit anderen antifaschistischen Intellektuellen und Politikern das „Movimento federalista europeo“ (Mfe), das sich auch heute noch für die demokratische Föderation von Europa einsetzt. Außerdem begannen sie mit den anderen europafreundlichen Gruppen immer engere Verbindungen zu knüpfen, die auf dem Kontinent während der Zeit des Widerstands entstanden waren, um eine Bewegung für die Europäische Vereinigung zu schaffen, die so groß und umfassend wie möglich sein sollte. Altiero Spinelli stand mehr als die anderen im Zentrum eines weiten und intensiven Austausches mit bedeutenden Persönlichkeiten auf der europäischen Bühne. Unter seinen Gesprächspartnern und Korrespondenten in Luxemburg soll hier an Arthur Calteux erinnert werden, verdientes Mitglied des Europäischen Zusammenschlusses der Föderalisten (Unione europea dei federalisti, Uef), an Henri Koch von der „Union fédérale“, Gordian Troeller vom „Mouvement fédéraliste luxembourgeois“, sowie an den künftigen Präsidenten der Europäischen Union, Gaston Thorn. 280 G. Vassallo, Spinelli Botschaft Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Wesentlich komplexer waren die Beziehungen zwischen Spinelli und Joseph Bech, die beide in die Geschichte eingingen als „Gründerväter Europas“. Tatsächlich hatte der damals als Außenminister des Großfürstentums tätige Bech in den Augen Altieros das Verdienst, Luxemburg zu einem der Gründerstaaten der Europäischen Gemeinschaft für Kohle und Stahl (EGKS) zu machen. Außerdem schätzte Spinelli ihn, weil Bech laut gefordert hatte, sein Land sollte die Hohe Behörde beherbergen und damit die vollständige Disponibilität des kleinen Staates klargestellt hatte, das europäische Projekt voranzutreiben und zu fördern. Jedoch konnte Spinelli die Tatsache nicht übersehen, dass Bech im Moment der Entstehung der Europäischen Wirtschaftsgemeinschaft (EWG) mit seinen belgischen und holländischen Kollegen Paul-Henri Spaak und Johan Willem Beyen an der Gründung einer Institution von ausgeprägt funktionalistischem Charakter gearbeitet hatte, was nach Ansicht Spinellis einen „Hohn“ für alle diejenigen darstellte, die sich für ein übernationales Europa eingesetzt hatten, das durch Volksbeteiligung und verfassungsgebende Methode zustande kommen sollte. Anfänglich verbittert über den „Rückschlag“ der Römischen Verträge, aber dann doch vom Wert der Europäischen Gemeinschaften überzeugt, entschied sich „Ulisse“ nach einer Denkpause dafür, sich direkt im Inneren der neuen Institutionen zu engagieren, um sie trotz allem in Richtung einer föderalistische Perspektive zu lenken. Von 1970 bis 1975 war er also Europakommissar, danach arbeitete er ab 1976 im Parlament von Straßburg. In dieser Funktion hat der ehemalige Verbannte vor allem nach den allgemeinen direkten Wahlen (Juni 1979) und bis zu seinem Tod im Mai 1986 seine außergewöhnliche Fähigkeit bewiesen, politische Taktik und revolutionären Geist zu verbinden: Das wichtigste und epochemachende Ergebnis seines Wirkens war am 14. Februar 1984 die Zustimmung des europäischen Parlaments zum Projekt für einen Vertrag für Europa, eine notwendige Vorbedingung für alle weiteren Entwicklungen von der einheitlichen europäischen Akte bis zu den heutigen Verträgen. Kurz: Es ist wichtig, dass die europäischen Bürger in einem so delikaten und entscheidenden Moment der Geschichte der Union die Möglichkeit haben, über die Botschaft des Manifests von Ventotene nachzudenken, einem Text, der es aufgrund seiner politischen Voraussicht, der Prägnanz seiner Sprache, seiner Aussagekraft als Zeugnis der Menschheit und der Leidenschaft für das Ideal, die jede einzelne Seite durchzieht, wert ist gelesen zu werden. 281 G. Vassallo, Spinelli Botschaft Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Books and Articles Reviews Lorenzo Kamel379 Miodownik, Dan (co-authors: Ravi Bhavnani, Hyun Jin Choi), Three Two Tango: Territorial Control and Selective Violence in Israel, the West Bank, and Gaza.380 Miodownik’s article falls into the research area of identifying “causes of violence against civilians in a civil war” (Miodownik 2010, 6). However, while this literature usually deals with two actors with relatively symmetric capabilities, Miodownik challenges this assumption and deals with a case study of three actors with asymmetric capabilities: the case of Israel, Fatah and Hamas. Miodownik starts his article by introducing the theory of Kalyvas, according to which under the condition of two actors, violence will be most likely in areas of incomplete control, meaning for the Israeli-Palestinian case in Area C (incomplete Israeli control) and Area A (incomplete Palestinian control), not however in within-Green line Israel, in jointly Israeli-Palestinian governed Area B and in Hamas governed Gaza. Miodownik’s data show that from 1987 to 2005, Kalyvas’ projections indeed apply to the Israeli-Palestinian case: most violence occurred in Area C and Area A. However, in 2006, Hamas gained control over Gaza and subsequently there are three actors involved. Miodownik’s data show that after 2006 violence perpetrated by Israel shifts to Area A and Hamas governed Gaza. With an agent-based computational model, the author shows that between 2006 and 2008, 33% of all killings took place in Gaza and 63.3% took place in Area A. Only 3.4% of all killings happened in Area B and no violence occurred in Area C and within-Green line Israel (Miodownik 2010, 15). So, in triadic, asymmetric wars, “violence is more likely to occur in areas incompletely controlled by the weaker side” (Miodownik 2010, 17). Furthermore, regarding Palestinian violence, the author finds that Palestinian violence is more likely in the zone of incomplete Palestinian control (Area A) than in the area of complete Palestinian control (Gaza) – however, fatalities tend Le presenti recensioni, cui seguiranno altre nei prossimi numeri, sono state redatte dall'autore durante la sua recente permanenza presso la Hebrew University of Jerusalem. 380 The article has been published on February 2011: Dan Miodownik, Ravi Bhavnani and JinChoi Hyun, «Journal of Conflict Resolution», vol. 55, no. 1, pp. 133-158. 379 282 L. Kamel, Reviews Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 to be higher in Gaza than in Area A, meaning that violence here is less targeted and more indiscriminate. Miodownik explains his findings by the split between Fatah and Hamas which “created opportunities for Israel to divide and rule” (Miodownik 2010, 20). Israel let Palestinian security forces trained in Jordan into Area A to destroy Hamas infrastructure there. Miodownik’s article touches a theoretically, as well as practically very pressing topic and is thus of high relevance. He uses an impressive amount of data and his agent-based computational model seems very appropriate for testing his hypotheses. Also his findings are highly interesting and my critique for this article is far outweighed by all these factors just mentioned. First of all, the structure of the article seems sometimes slightly confusing for the reader. The author immediately starts with a discussion of Kalyvas’ theory instead of shortly describing what the general state of the art is and what is missing there. Also in the beginning, he should already refer to the aims of his study and sum up the major findings which are in contrast to present findings in the literature. Furthermore, Miodownik could better explain why he chose to study the Israeli-Palestinian case, which is a great choice for testing his theory, but is never explicitly defended. He could also possibly compare the Israeli-Palestinian case to other cases of triadic or asymmetric civil wars like Colombia or Apartheid South Africa. Another problem which he could address better is that contrary to cases like Colombia, Myanmar or Lebanon, the IsraeliPalestinian case is not a case of civil war. Thus, in other cases of triadic warfare, possibly different patterns could emerge, especially when dealing with such causal mechanisms such as denunciations. Besides, in the regression analysis, possible other factors are raised, which could be better explained. Altitude, for example, which turns out to be statistically significant and is used to control for rough terrain, seems a questionable variable to indeed control for rough terrain. It leaves the reader puzzled why higher or lower places would offer better possibilities for hideouts. In general, all these control variables could be better explained and discussed. Also, the author’s discussion of the findings could have been more extensive by maybe including also more qualitative research. Basically, the discussion is more informed by assumptions of what could be the causal mechanisms than by deeper qualitative research, which could have further backed up his results, and which could qualify his findings in respect to possible other case studies. 283 L. Kamel, Reviews Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Peled, Alon, “Traversing Digital Babel”, Paper submitted to Public Administration Review (forthcoming 2011) In his paper, Alon Peled deals with the question of “how can we incentivize public institutions to share information more effectively?” (Peled 2010, 2). He proposes three key ideas to answer this question: the primacy of bureaucracy over technology, the automatization of bureaucratic language, and the monetization of information-sharing transactions. After sketching the successes and failures of information-sharing project, he briefly identifies the reasons for the failures on three levels: the political level, meaning that actors seek to keep their information in order to hold on to their power; the managerial level, meaning that managers failed to think about an architectural program before; and the archeological level, meaning that in face of the vast information, computer systems acquire their own life and become uncontrollable. He then lays out his arguments for the three above identified key ideas on basis of immense empirical knowledge in this complex area, which represents a big advantage of this article. In addition and based on this empirical knowledge, the author seems to offer some “fresh” ideas to policy makers: in the area of information-trading, for example, he proposes ideas to foster information brokerage through focusing on concrete public goods, through empowering an agency “to develop a starter data-set that holds valuable information for other organizations” (Peled 2010, 19) and through expanding the information marketplace to address neighboring problems. However, this huge empirical knowledge seems to come at the price of theory generation. The article seems to be mainly policy-consulting oriented and contributes less to theory in the area. This is the major problem of the article, which already becomes clear in the beginning. The author identifies that the sharing of security information could have prevented 9/11 and that the 2009 Christmas airline attack showed that nothing much has improved yet, notwithstanding this external shock. This, indeed, is a very relevant finding. However, the appropriate research question to such a finding is the question of “why do bureaucracies fail to cooperate?” not “how can we incentivize them to cooperate?”. The latter question responds to the identification of incentive problems, which lead to the cooperation failure. This means, the author first would have to outline where exactly this lack of incentive lies, which is hardly analyzed in the article. To the contrary, the author only refers to this on barely one and a half pages. Without a deeper analysis, however, the article can hardly proceed to answer such a question. Such an analysis would have to include 284 L. Kamel, Reviews Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 thoroughly political questions, which the article sometimes touches, but not sufficiently. Secondly, the article in parts lacks structure, which makes it difficult for the reader to follow the thread that runs through the article. Most basically, the introduction should refer to how the author will proceed, already. Subsequently, it could be better structured, as well. In this context, also the figure on page 3 is vague and makes the reader wonder what the author means by it, as he does not explain the use of it at all. To the contrary he mentions dimensions in there, which are hardly discussed afterwards. One such dimension – and here lies the third problem of the article – is the ethical dimension, which he hardly discusses, except for in a small paragraph on pages 22-23. This, however, seems to be an essential question to address when dealing with the centralization of information about the individual, which always implies a violation of the individual’s freedom. The author himself once refers to the great “infocrator” (Peled 2010, 8), which represents a mix of the words information, creator and dictator. Such highly relevant questions for a political community cannot be easily abandoned, should be addressed and controversially discussed in the beginning of an article and at least there should also be a reference to the relevant literature in this respect. Then, also the arguments for information sharing such as the saving of tax payer’s money or the protection of the community could be better bundled instead of being spread throughout the article and leaving the reader with the task to find them. In the conclusion, the author compares the biblical tower of Babel to the electronic tower of Babel, which is a brilliant metaphor. However, again, the author only relates this to the question of how for the builders of the tower, questions of technology resumed priority and – according to Peled – “the same sins lie at the root of many public computer projects” (Peled 2010, 24). This is again true, but not only in the way how Peled intends to use this metaphor. Not only technology, but also the bureaucratic monster, which the German sociologist Max Weber foresaw in the 19th century, is a sin to a society built on individual freedoms. 285 L. Kamel, Reviews Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 Ira Sharkansky, “The Promised Land of the Chosen People is not all that Distinctive: On the Value of Comparison”, 1999, in Levi-Faur, David, Gabriel Sheffer, David Vogel (eds.) “Israel. The Dynamics of Change and Continuity”, pp. 279-92. In her article, Ira Sharkansky argues that the Israeli idea of being unique does not necessarily reflect reality, but deters self-assessment. These ideas of uniqueness are driven by biblical doctrines, which have been with the Jewish people for thousands of years. However, Sharkansky identifies a danger with this tendency: “The dangers of parochialism lie not only in mistaken commentaries, but in distorted political efforts and misdirected economic concerns” (Sharkansky 1999, 279). So, there might be distorted resource allocations. She also identifies an additional danger: “The centrality of the Promised Land to religious and nationalist Jews produces an intensity and rigidity about issues currently on the national agenda. The vilification of Prime Minister Yitzhak Rabin for bargaining away parts of the Promised Land and his assassination are extreme representations of emotions whose incidence in the population is not possible to gauge accurately” (Sharkansky 1999, 290). Driven by these concerns, Sharkansky sets out to analyse three topics in comparative perspective, for which Israelis assume they are unique: the power and limits of religion, economic and social inequality, and the number of traffic deaths. Starting with the first, Sharkansky argues that the Jewish state assures indeed an important role for religion. “Founded in 1948 with a declaration of being a Jewish state, Israel stood against the trend of breaking the church-state nexus that had prevailed for more than a century in Europe and North America” (Sharkansky 1999, 280). After describing the main parameters of discussion in Israel about religion and politics, especially also for the city of Jerusalem, she claims that Israel “seems to fit somewhere among other western regimes” (Sharkansky 1999, 284). She justifies this claim by comparing surveys on how religious people perceive themselves, on the dimension of governmental support for religion, and on the prominence of religious symbols in a state. In terms of income inequality, Sharkansky shortly follows the Israeli discourse on this topic. She then discusses how to measure this concept and acknowledges that it “is no easy task to define or measure economic equality” (Sharkansky 1999, p. 285). Her solution to this problem is the claim that countries with higher GNP (i.e. with higher development) have higher equality; subsequently, GNP becomes one of her measurements. Furthermore, she also 286 L. Kamel, Reviews Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 uses the GINI index. As a result, she claims that “Israel is more egalitarian than a number of other countries at or above its level of wealth” (Sharkansky 1999, 287). However, she also acknowledges, that similar to other Western countries, also in Israel inequality is increasing. Thirdly, she compares Israel to other Western countries in terms of traffic safety and finds that “Israel’s record of road deaths appears to be normal with respect to a groups of countries appropriate for comparison” (Sharkansky 1999, 288). This article touches a very important field. Indeed, it is important to analyze in a comparative perspective how unique Israel really is, so that resources are allocated properly and so that ideology is removed from politics. The article accomplishes its task in a scientific, quantitative measure. Nonetheless, I would like to argue with two points that the author makes: Firstly, regarding the importance of religion within Israel. Sharkansky claims that other Western states are similar to Israel by comparing level of religiousness, governmental support, and religious symbols. It would be interesting to me to know the reason why she decided to take these measurements. In other words, I am interested in understanding why she took these specific measurements and not others. She herself describes two other important dimensions: the level of tension between secular and religious, which do not exist in other Western countries, and the importance of “Jewish” for the State of Israel. While this is consensus across Jewish Israelis, such a consensus does not exist in Europe, which became most evident in the debate if “Christian values” should be included in a European constitution. Thus, religion does play a much higher role in Israel than in other Western countries. Secondly, she measures equality through economic development. This, however, is a possibly shaky claim, especially when we consider that economic gaps between the rich and the poor in Western countries are increasing with proceeding economic development, as she later on acknowledges herself. In addition, Gross National Product might not be the best measurement for the development of a country, and the Human Development Index could be of much better use for measuring this concept. 287 L. Kamel, Reviews Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 G. Motta, Baroni in camicia rossa, Passigli, Firenze 2011. di Antonello Battaglia Calabria, agosto 1860. Don Gerardo Bianchi Giardina di Belmonte, prestigioso nobile calabrese, decide impavido di seguire la scia travolgente del generale Garibaldi, appena sbarcato sul “continente”. Dopo la ben nota conquista della Sicilia, le fila dei Mille, rimpinguate dai fervidi animi dei volontari isolani, proseguono l’escalation contro le truppe di “Franceschiello”. Tra l’inizio e la fine della campagna rivoluzionaria, tra Marsala e il Volturno, tra maggio e settembre, una parentesi di grande importanza per i destini della nascente Italia è costituita dall’azione delle camicie rosse che nel mese di agosto attraversano la Calabria. Don Gerardo, come molti nobili del suo rango, “sogna di fare la storia” e in realtà questa Storia lo coinvolge oltre le sue previsioni. In una regione segnata dall’arretratezza economica e sociale e dall’ingiustizia, serpeggiano tuttavia le idee dei liberali che, profondamente delusi dalla monarchia borbonica, condividono e assecondano la spinta rivoluzionaria. Sullo sfondo, l’immagine di una vita agiata, feste a palazzo, banchetti memorabili dalle mille portate, riunioni di famiglia, rituali massonici, amori travolgenti che non impediscono la nascita e il consolidamento di un progetto politico alternativo rispetto all’impronta reazionaria della corona. Il barone don Gerardo, con il suo gruppo di amici e parenti, venuto a conoscenza che Garibaldi è arrivato in Calabria, lo raggiunge offrendo generosamente la sua spada e mettendo a disposizione della rivoluzione i suoi averi. Partecipando all’impresa garibaldina, il barone si batte valorosamente contro le forze nemiche, alle quali appartiene anche un suo cugino, il duca Francesco, avversario di una vita, invidioso e competitivo, che questa volta vuole finalmente prevalere su Gerardo. E infatti, con i suoi bravi, lo circonda catturandolo in una vigliacca imboscata. Mentre i volontari hanno la meglio, conquistando la città di Reggio, dove i borbonici si rinchiudono nella fortezza sventolando bandiera bianca, don Gerardo, ormai preda dei alleati della monarchia, viene rinchiuso nelle segrete del carcere borbonico di Ventotene. Tutti i paesi della Calabria sono ormai conquistati dalla rivoluzione: Catanzaro, Cosenza, Castrovillari, Paola insorgono e le sorti del conflitto si confermano in favore di Garibaldi, mentre don Gerardo, ancora in carcere, 288 A. Battaglia, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2011 ferito e bruciante per la febbre, ripercorre momenti importanti della sua esistenza che l’hanno visto come protagonista. Il racconto si muove tra realtà e fantasia, tra vicende storiche e immaginario letterario, ma l’autrice riesce abilmente ad annodare i fili di un Risorgimento minore, mantenendo viva fino alla fine la curiosità del lettore, al quale riserva una sorpresa finale. È un nuovo filo questo, felicemente inaugurato da Giovanna Motta, che riesce a tessere con singolare destrezza le complesse e variegate realtà storiche di un momento contraddittorio, tra episodi gloriosi e tradimenti, regalandoci un romanzo che presenta una sicura consistenza storica, ma anche una leggerezza narrativa e soprattutto un Risorgimento inedito, visto attraverso gli occhi di un signorotto locale, un piccolo eroe del Sud. 289 A. Battaglia, Recensione