Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Direttore: Francesco Gui (dir. resp.).
Comitato scientifico: Antonello Biagini, Luigi Cajani, Francesco Dante, Anna
Maria Giraldi, Francesco Gui, Giovanna Motta, Pèter Sarkozy.
Comitato di redazione: Andrea Carteny, Stefano Lariccia, Francesca Romana
Lenzi, Immacolata Leone, Chiara Lizzi, Daniel Pommier Vincelli, Pamela Priori,
Vittoria Saulle, Luca Topi, Giulia Vassallo.
Proprietà: “Sapienza” - Università di Roma.
Sede e luogo di trasmissione: Dipartimento di Storia moderna e contemporanea,
P. le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma
tel. 0649913407 – e - mail: [email protected]
Decreto di approvazione e numero di iscrizione: Tribunale di Roma 388/2006
del 17 ottobre 2006
Codice rivista: E195977
Codice ISSN 1973-9443
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Indice della rivista
gennaio - marzo 2011, n. 18
MONOGRAFIE E DOCUMENTI
Grande fra i piccoli: l’Olanda e la nascita delle Comunità europee.
La partecipazione olandese alla costruzione comunitaria
tra apporti, tensioni e contraddizioni (1945-1966)
(Seconda parte)
di Giulia Vassallo
p.
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UN MANIFESTO PER VENTISETTE PAESI.
LA TRADUZIONE DEL MESSAGGIO DI VENTOTENE NELLE
LINGUE UFFICIALI DELL'UNIONE EUROPEA
p. 151
Presentazione
ES3w
p. 152
Introduzioni dei docenti e traduzioni
Italia
Presentazione a cura di: Francesco Gui
Testo
p. 155
p. 159
Francia / France
Presentazione e supervisione a cura di / Présentation et supervision par:
Gianfranco Rubino
p. 182
Traduzione di / Traduction par: Tatiana Cescutti
p. 184
Germania / Deutschland
Presentazione e supervisione a cura di / Praësentation und Aufsicht:
Mauro Ponzi
Übersetzung von: Susanne Lippert
p. 208
p. 211
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Paesi Bassi / Nederland
Presentazione e supervisione a cura di / Presentatie en toezicht op:
Fiorella Mori
Traduzione di / Vertaling door: Ludo Dierickx
p. 239
p. 242
Belgio / Belgique / Belgien / België
Présentation par
Francesco Gui
Praësentation von
Francesco Gui
Presentatie door:
Francesco Gui
Traduzione di / Traduction par / Übersetzung von / Vertaling door:
Tatiana Cescutti (Français)
Susanne Lippert (Deutsch)
Ludo Dierickx (Nederlandse)
p. 267
p. 270
p. 273
p. 184
p. 211
p. 242
Lussemburgo / Luxembourg / Luxemburg
Présentation par Praësentation von:
Giulia Vassallo
Praësentation von:
Giulia Vassallo
Traduzione di / Traduction par / Übersetzung von
Tatiana Cescutti (Français)
Susanne Lippert (Deutsch)
p. 276
p. 279
p. 184
p. 211
INTERVENTI E RECENSIONI
Books and Articles Reviews
di Lorenzo Kamel
p. 282
G. Motta, Baroni in camicia rossa. Passigli, Firenze 2011
di Antonello Battaglia
p. 288
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Grande fra i piccoli: l’Olanda e la nascita delle Comunità europee.
La partecipazione olandese alla costruzione comunitaria tra apporti,
tensioni e contraddizioni (1945-1966).
(Seconda parte)
di Giulia Vassallo
III. Jan Willem Beyen architetto del Mercato comune (1952-1957)
L’arrivo di Beyen all’Aja
Pur nella complessità della situazione, fu la prolungata instabilità governativa,
che si protrasse pressoché senza interruzioni dal 24 gennaio 1951 al 1 settembre
1952 (eccezion fatta per la breve parentesi del secondo gabinetto Drees1) e che fu
apparentemente innescata da fattori esogeni, benché di fatto espressione di una
diffusa esigenza di ricambio ai vertici dello stato, ad avviare nei Paesi Bassi
quella che, anche allo sguardo retrospettivo, risulta essere stata la stagione di
più intensa progettualità politica in materia di integrazione europea2. Una
svolta creativa che, tuttavia, non rappresentò né il riflesso di una concreta
vocazione integrazionista dell’Aja, unanimemente condivisa a livello di élites
culturali e di governo, né, tanto meno, una risposta alle sollecitazioni della
frangia federalista – peraltro non così nutrita - dell’opinione pubblica nazionale.
La nuova coalizione ricalcò di fatto, nella maggioranza dei componenti e degli schieramenti
politici, il precedente governo. A conferma di ciò basti considerare che lo stesso VVD, che pure
aveva provocato la crisi, era riuscito a mantenere il proprio leader, Stikker, al vertice del
ministero degli Esteri. Di là da questi aspetti, pure fondamentali, che non fosse avvenuto un
cambiamento effettivo risultò soprattutto dall’incapacità del nuovo governo di trovare una
soluzione alle problematiche che avevano condotto alle dimissioni del suo predecessore, tra cui,
in primis, il problema indonesiano. Cfr. P.P.T Bovend’Eert, H.M.B.M. Kummeling, Het
Nederlandse parlement, Berts Arts bNO, Nijmegen/Utrecht, 2004, p. 396.
2 Cfr. Anjo G. Harryvan, In Pursuit of Influence. The Netherlands’European Policy during the
Formative Years of the European Union, 1952-1973, P.I.E. Peter Lang, Brussels, 2009, pp. 35-39.
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
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Al contrario, chiave di volta del cambiamento fu la comparsa sulla scena
di un nuovo ministro degli Esteri, Johan Willem Beyen3, il quale, di ritorno da
Washington, fece spirare sulle guglie gotiche del Binnenhof, nonché sull’intero
Vecchio continente, i venti dell’Atlantico, carichi di tensioni europeistiche, di
tradizioni federaliste mescolate al pragmatismo di scuola calvinista, nonché di
dirompente attivismo e innovazione.
Le vicende legate alla nomina e all’attività ministeriale di Beyen sono
tutt’altro che spiegabili con le tradizionali logiche spartitorie interne ai partiti e
restano a tutt’oggi poco conosciute, almeno tra gli storici nostrani, così come
scarsamente approfondita risulta l’analisi del suo progetto per l’Europa e dei
principi che lo ispirarono. È indubbio, tuttavia, che, come ricorda lo studioso
olandese Jan-Willem Brouwer, non soltanto Beyen “réussit presque tout seul à
persuader son gouvernement de changer sa politique européenne”, ma
soprattutto che il suo passaggio, per quanto repentino e circoscritto, lasciò
effettivamente un segno indelebile nelle pagine della storia dell’integrazione
europea. Senza contare, d’altro canto, che il suo piano per il rilancio della
Comunità gettò di fatto le fondamenta teoriche e programmatiche su cui
l’edificio brussellese si resse almeno per i successivi trent’anni. Ragioni, queste,
che da sole appaiono sufficienti a giustificare il tentativo di restituire all’uomo,
all’economista e al politico la dignità storiografica che merita, non solo come
figura centrale dell’europeismo dei Paesi Bassi4, ma soprattutto come ospite
illustre del Pantheon dei padri dell’Europa.
Jan-Willem Brouwer sintetizza efficacemente l’impressione che i coevi ebbero dell’uomo,
appena egli fu designato al vertice del Buitenlandse Zaken: “Les témoins néerlandais le décrivent
comme «peu hollandais». Aux yeux de ses compatriotes, il paraissait comme un cosmopolite et
un bon vivant: avec son intellect, son charme et sa légèreté. En effet, Beyen cultive une certaine
désinvolture. Le titre de ses mémoires, Het spel en de knikkers («Le jeu et le billes»), est une
référence à l’expression néerlandaise selon laquelle il est plus important de participer à un jeu
que d’y gagner. Beyen aime citer le mot de Cyrano de Bergerac: «…c’est bien plus beau lorsque
c’est inutile». Il est cependant intéressant de noter que ses homologues européens, tout en
montrant leur bienveillance, le décrivent justement comme ‘hollandais’, en insistant sur sa
persévérance. Spaak parle d’un homme «de volonté et d’intransigeance» et Christian Pineau,
ministre français des affaires étrangères en 1956-1957, évoque un homme «courtois, d’une
grande franchise d’expression». Cfr. J.-W. Brouwer, “Jan-Willem Beyen, Européen sur le tard”,
in Sylvain Schirmann (dir.), Robert Schuman et les Pères de l’Europe. Cultures politiques et années de
formation, P.I.E. Peter Lang, Bruxelles, 2008, pp. 257-267, qui pp. 257-258.
4 Anche in Olanda, ad ogni modo, si evidenzia una scarsa attenzione storiografica per la vicenda
biografica, personale e pubblica, del personaggio. L’unica biografia esistente, infatti, risulta ad
oggi il lavoro a cura di Willem Herman Weenink, Johan Willem Beyen, 1897-1976: bankier van de
wereld, bouwer van Europa, uscito ad Amsterdam, per i tipi di Prometheus e a Rotterdam con
NRC Handelsblad nel 2005.
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
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Perché Beyen
Il 25 giugno 1952, con le dimissioni del secondo governo Drees, si concludeva
senza successo anche l’esperienza di (in)formatore, iniziata il 27 febbraio 1951,
del leader storico del KVP, Carl Romme5, che pure, sulle prime, sembrava essere
riuscito nell’impresa - già fallita da altri illustri omologhi, nella fattispecie
Stikker6, Drees-Van Schaik7 e Steenberghe8 - di condurre il paese fuori dalla crisi
Romme adottò una strategia differente: chiese direttamente ai partiti la loro disponibilità ad
entrare nel nuovo governo. Tutti aderirono all’invito ad eccezione del partito antirivoluzionario
(ARP). Cfr. ibidem. Questa soluzione, tuttavia, a detta di Drees, piuttosto che il risultato di
un’abile manovra politica messa in atto da Romme, sarebbe stata imposta dalla gravità della
situazione internazionale. Cfr. ASMAE, DGAP, I, Olanda 1950, b. 257, Supplement to A.N.P. –
Aneta Bulletin: The new government’s programme, statement in Parliament bt Prime Minister Dr. W.
Drees on March 17th 1951. L’interpretazione di Drees, peraltro, sembra ampiamente condivisa da
Stikker: “In the beginning of March, Romme, as informateur, seemed to be succeeding. His
program was approved by five parties. […] The crisis had now lasted seven weeks, and it
seemed to me that all possibilities were exhausted. I felt that now I had to take a firm stand and
that the time had come for strong measures. I therefore asked to be present at the meeting of the
party’s Parliamentary groups from the two Chambers, in which the decision on the reply to
Romme was to be taken”. Cfr. D.U. Stikker, Men of Responsibility…, cit., pp. 246-247.
6 Nelle sue memorie, il ministro degli Esteri uscente, incaricato (in)formatore il 28 gennaio e
rimasto in carica appena cinque giorni, illustra, non senza accenni di rammarico, le circostanze
in cui maturò la sua nomina: “The next in order to form a Cabinet, as I resigned first, was
myself. After the Queen discussed this possibility with me, telephoned to me, and followed up
with ‘strictly private’ letters to me, I finally accepted, not to be the formateur, but the
informateur. […] By this device I sought to indicate that I did not want, and knew that I should
not desire, ever to become Prime Minister or Vice-Prime Minister. […] But I believed that
perhaps I could help Her Majesty by trying to obtain information on how a Cabinet could be
formed at that time. This would be my contribution to paying for the broken china”. Cfr. D.U.
Stikker, Men of Responsibility…, cit., p. 242. Fu questa la prima volta che la Corona, nella
fattispecie la regina Juliana, affidava l’incarico di (in)formatore a un ministro dimissionario.
(L’ambasciatore italiano all’Aja, Carissimo, avrebbe infatti definito “ufficioso” l’incarico dato a
Stikker). Il carattere del tutto inedito di tale episodio ha indotto alcuni studiosi a ritenere che
l’evento abbia costituito, di fatto, l’atto di nascita della figura stessa dell’(in)formatore. Cfr.
Pieter P.T. Bovend’Eert, Henk R.B.M. Kummeling, Het Nederlandse parlement, cit., p. 373. A detta
di Stikker, tuttavia, come si è visto, al fondo di quell’insolita decisione stavano ragioni ben
precise. Juliana infatti, che pure riteneva l’ex ministro personalmente responsabile della crisi di
governo , piuttosto che consentirgli di allontanarsi silenziosamente dalla scena, lasciando ad
altri l’onere di ricomporre una dirigenza apparentemente frantumata, aveva risolto di
obbligarlo, seppur indirettamente, a rispondere delle proprie azioni. Cfr. D.U. Stikker, Men of
Responsibility…, cit., p. 242. Quanto alle ragioni che determinarono il fallimento di Stikker,
stando a Carissimo, si sarebbe trattato dell’ “opposizione dei laburisti al programma economico
di emergenza per la difesa che egli intendeva realizzare”. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b.
257, Carissimo al Ministero degli Affari Esteri, Telespresso N. 567/185, Crisi governativa olandese,
23.2.1951.
7 Nel Telespresso N. 567/185 Carissimo spiegava alla Farnesina le motivazioni alla base
dell’insuccesso del duo Drees/Van Schaik nei termini che seguono: “Durante la seconda fase che
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
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e di comporre una coalizione solida e legittimata dalla fiducia della Tweede
Kamer.
I Paesi Bassi riuscirono a ritrovare un’autentica stabilità interna, cioè un
governo capace di superare il primo anno di vita, soltanto a partire dal 2
settembre 1952, allorché, in virtù delle “fatiche congiunte dei Ministri Staf,
Drees e Beel”9, entrò in carica la nuova coalizione, meglio nota come terzo
è durata più di due settimane il Presidente e il Vice Presidente del Consiglio uscenti Drees
(laburista) e Schaik (cattolico) investiti dell’incarico sovrano hanno cercato invano di ricostituire
il vecchio Gabinetto, mantenendo nei Dicasteri più importanti i Ministri dei loro rispettivi
partiti (6 Ministri cattolici e 6 laburisti) e offrendo i rimanenti tre posti uno a ciascuno dei tre
partiti minori: il liberale, il cristiano-storico (conservatore) e l’anti-rivoluzionario (conservatore).
Drees e Schaik hanno però commesso un grave errore: hanno prima elaborato in seno al
Gabinetto, come se questo non fosse dimissionario, un programma economico di emergenza che
non hanno nemmeno discusso con gli esponenti dei tre partiti minori e poi hanno sollecitato
l’appoggio di questi ultimi. Volevano costituire il Ministero su larga base parlamentare,
mantenendo però intatto il binomio cattolico-laburista e offrendo all’una o all’altra figura
secondaria dei partiti minori i Ministeri meno importanti. Unica eccezione facevano per il
portafoglio degli Esteri, di nuovo offerto a Stikker, il quale a tali condizioni naturalmente non
ha accettato”. Cfr. Ibidem.
8 Stando a quanto riportato al Ministero degli Affari Esteri di Roma dall’ambasciatore italiano
all’Aja, Carissimo, “con l’incarico dato dalla Regina al signor Steenberghe di formare il
Gabinetto…, il lento e laborioso svolgimento della crisi apertasi il 24 gennaio u.s. è entrato nella
terza fase”. Quanto alla personalità designata dalla Corona per formare il nuovo governo,
precisava Carissimo: “Steenberghe non è un uomo nuovo: fu Ministro degli Affari Economici
prima della guerra per circa tre anni: svolse poi per conto del suo governo un’importante
missione economica negli Stati Uniti durante e dopo la guerra; ritornò in Olanda nel 1946 e da
allora non si è occupato più di politica e si è dedicato agli affari. Egli riappare ora sulla scena a
52 anni con il vantaggio di essersi tenuto fuori dalla politica negli anni scorsi fino a farsi
dimenticare e con la fama di eminente esperto economico”. Ibidem. Per quanto il compito
affidato a Stikker dalla Corona si presentasse fin dall’inizio di non semplice realizzazione,
giacché, stando a Carissimo, “non si tratta soltanto di una crisi ministeriale ma di una crisi più
profonda, connessa con la difficile situazione economica del Paese, egli poteva comunque
contare sull’appoggio pressoché trasversale da parte della stampa nazionale e della stessa
opinione pubblica, presso la quale si era affermato come “eminente esperto economico” più che
di politico di antico pelo.
9 Con queste parole Murari allude alla complessità del compito affidato congiuntamente ai tre
ministri. Anche in questo caso, fa notare l’ambasciatore italiano all’Aja, si trattò di una
soluzione inedita, giacché, fino ad allora, l’incarico di formatore era stato affidato sempre e
soltanto ad un leader di partito, colui che, come si ricorderà, avrebbe poi assunto, almeno nella
prassi, la carica di Presidente del consiglio. Murari spiega efficacemente le ragioni al fondo
dell’incarico congiunto: “Il nuovo Gabinetto, frutto delle fatiche congiunte dei Ministri Staf,
Drees e Beel, investito collettivamente dell’incarico di trovare finalmente una soluzione dopo
l’insuccesso del dott. Donker, rappresenta un compromesso delle varie formule
successivamente tentate e abbandonate dai primi tre ‘formatori’ singolarmente designati Drees,
Beel e Donker”. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Murari a Ministero degli Affari
Esteri, Telespresso Urgente, Il nuovo Governo olandese, 2.9.1952, p. 2.
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gabinetto Drees, guidata, come di consueto nei Paesi Bassi, da una robusta
maggioranza cattolico-socialista e sostenuta da CHU e ARP, con quest’ultimo
che aveva sostituito il VVD - sul quale, come si è visto, gravava la responsabilità
di aver aperto la crisi10 - come partito di governo11. Tale modifica comportò un
La crisi governativa, infatti, era stata determinata dalla mozione di sfiducia presentata dal
liberale Pieter J. Oud, il quale, nel lungo periodo di assenza di Stikker dall’Aja, aveva assunto la
guida del partito. Commenta Stikker: “We were a program Government, composed of ministers
from four parties. If any one of the parties, including my own, unanimously withdrew its
confidence, the basis of the Government had disappeared. […] Oud I felt, had made no
contribution to this mutual understanding, neither in December, 1949, when, without prior
consultation, he had proposed an amendment to the law transferring sovereignty, nor in May,
1950, when, again without prior consultation, he published his article of January 2, 1951. […]
During the debate, under pressure from several sides, Oud at last made it abundantly clear that
his motion was one of censure. He disqualified the Cabinet by declaring: ‘This is a weak
Cabinet. It is tired. It cannot cope any longer with the problems’. […] Romme fully supported
the Cabinet against Oud’s no-confidence motion. The Government had a good majority. My
party, however, voted for the motion. I therefore resigned”. Cfr. D.U. Stikker, Men of
Responsibility…, cit., pp. 239-242. Tali considerazioni potrebbero anche spiegare per quale
motivo Drees, all’atto di formare il suo terzo gabinetto, abbia deciso di ripartire il portafoglio
degli Esteri. Se, infatti, gli impegni istituzionali non avessero costretto Stikke ad allontanarsi
dall’Aja per periodi così prolungati, probabilmente Oud non avrebbe avuto spazio di manovra
sufficiente per portare avanti la sua mozione di sfiducia. Conferma, implicitamente, Murari:
“Come si è già riferito, lo sdoppiamento del Ministero degli Esteri, era stato ideato dal
formatore Donker sia per ragioni di dosaggio politico, per dare i due posti ai Cattolici in
compenso della loro rinuncia al Ministero degli Affari Economici, sia per ragioni pratiche, al
fine di meglio articolare quella Amministrazione in relazione ai sempre crescenti impegni
internazionali che distoglievano troppo frequentemente l’unico Ministro dalla sede”. Cfr.
ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Il nuovo Governo olandese, cit., p. 3. Una ricostruzione
sintetica ma efficace delle condizioni in cui maturò la crisi di governo del 1951 si ritrova in R.J.J.
Stevens, De lichte kabinetscrisis van mei 1950. Oud en het zelfbeschikkingsrecht voor de Indonesische
minderheden,
in
«Politieke
Opstellen»,
n.
14,
Nijmegen,
1994,
http://www.ru.nl/cpg/overige_publicaties/politieke_opstellen/#14
11 È interessante riprodurre, a tale proposito, parte del “Telespresso urgente” inviato, il 5
settembre 1952, da Murari alla Farnesina: “Il nuovo Governo olandese, formato dal laburista
dott. Drees nella decima settimana della crisi governativa e nominato con Regio Decreto del 1°
c.m., risulta così composto: Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Generali Dott. Drees
(laburista); Vicepresidente e Ministro dell’Interno Prof. dott. L.J.M. Beel (cattolico); Ministri
degli Affari Esteri Dott. J.W. Beyen (senza Partito) Dott. J.M.A.H. Luns (cattolico); Ministro della
Giustizia Dott. L.A. Donker (laburista); Ministro delle Finanze Sig. J. Van de Kieft (lab.);
Ministro della Guerra Ing. C. Staf (crist. storico); Ministro degli Affari Economici Prof. dott. J.
Zijlstra (antirivoluzion.); Ministro dell’Educazione, Arti e Scienze Dott. J.M.L.T. Cals (cattolico);
Ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni Dott. J. Algera (antirivoluzion.); Ministro
dell’Organizzazione Industriale Sig. A.C. de Bruijn (cattolico); Ministro dell’Agricoltura, Pesca e
Alimentazione Sig. S.L. Mansholt (laburista); Ministro degli Affari Sociali e della Pubblica
Sanità Sig. J.G. Suurhoff (laburista); Ministro della Ricostruzione e degli Alloggi Ing. H.B.J.
Witte (cattolico); Ministro degli Affari del Regno Prof. dott. W.J.A. Kernkamp (cristiano storico).
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ricambio per così dire strutturale ai vertici del Buitenlandse Zaken, che ebbe
ricadute importanti soprattutto sulla politica olandese in Europa.
Con l’allontanamento di Stikker, infatti, non soltanto tramontava la
strategia europea di cui il leader liberale era stato ispiratore – fondata, come si è
visto, sui due principi irrinunciabili del mantenimento della special relationship
con Londra e sulla difesa dell’autonomia decisionale dei piccoli stati - e che, di
fatto, aveva dettato i tempi e le modalità dell’adesione dei Paesi Bassi alla
Comunità dei Sei12. Ma anche e soprattutto venne maturando nel premier Drees
l’idea di procedere a un’inedita ripartizione del portafoglio degli Esteri13,
giustificando tale decisione con la necessità di agevolare il funzionamento del
dicastero, sopperendo cioè allo straordinario sovraccarico lavorativo che
quest’ultimo si era trovato a dover gestire, con la costruzione europea e la
questione indonesiana che, da sole, assorbivano quasi completamente le sue
risorse materiali e umane14. Ma questa non era l’unica ragione al fondo
dell’inedita soluzione concepita dal Primo ministro. Lo si comprese al momento
in cui furono resi noti i nomi dei due designati all’incarico, nella fattispecie il
Il nuovo Gabinetto che conta sedici ministri (1 in più del Gabinetto precedente) è dunque
composto di sei cattolici, cinque laburisti, due antirivoluzionari, due cristiani storici e uno senza
partito. Appartenevano al Gabinetto precedente soltanto quattro Ministri, tre dei quali
riconfermati nella carica già ricoperta… Il nuovo Gabinetto, frutto delle fatiche congiunte dei
Ministri Staf, Drees e Beel, investito collettivamente dell’incarico di trovare finalmente una
soluzione dopo l’insuccesso del dott. Donker, rappresenta un compromesso delle varie formule
successivamente tentate e abbandonate dai primi tre “formatori” singolarmente designati
Drees, Beel e Donker. Portafogli nuovo Governo saranno distribuiti come segue: ‘sei cattolici,
cinque laburisti, due antirivoluzionari, due cristiani storici ed uno senza partito”. Cfr. ASMAE,
DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Murari a Ministero degli Esteri, Nuovo Governo Olandese, 31.8.
1952, pp. 1-2.
12 Del tutto opposta l’opinione di Murari: “Come da telegramma 98, in data di ieri, nuovo
Governo olandese presterà giuramento martedì 2 settembre. Trasmetto a parte sua
composizione, secondo la quale, a mio avviso, dovrebbero restare immutate le direttive generali
di politica estera”. Cfr. Ivi, Murari a Ministero degli Affari Esteri, Segreto, 1.9.1952, p. 1
13 Stikker, fortemente contrario all’iniziativa di Drees, commentò la scelta della ripartizione
ponendo l’accento sui rischi ad essa correlati. Più precisamente : “My decision to leave the
Cabinet gave the States-General an opportunity to try out another idea which I had always
rejected while in office. I was thus succeeded by not one, but two Ministers of Foreign Affairs. I
could readily agree that the Minister of Foreign Affairs was overburdened, but I think my two
simultaneous successors came in time to agree with me that the function has a universal
character and is not divisible”. Cfr. D.U. Stikker, Men of Responsibility…, cit., pp. 250-251.
14 In proposito, aggiunge Willem H. Weenink, biografo di Beyen: “Een duo werd toen door
velen als een werkzame formule gezien om zowel aan het sterk toegenomen internationale
overleg deel te nemen als een ministeriele presentie op het departement te houden” (Un duo fu
allora visto da molti come una formula efficace sia per rafforzare la partecipazione alle
discussioni internazionali, sia per garantire la presenza del ministro al dipartimento). Cfr. W.H.
Weenink, Johan Willem Beyen..., cit., pp. 175-176.
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finanziere senza affiliazione partitica, per lo più ignoto alle stanze della politica,
Johan Willem Beyen15, e Joseph Luns16, cattolico fortemente apprezzato dalla
dirigenza del KVP, frequentatore abituale dei corridoi del Buitenlandse Zaken,
nonché diplomatico accreditato nei grandi consessi internazionali, soprattutto
nel contesto delle Nazioni Unite. Al primo venne affidata la responsabilità della
cooperazione multilaterale e della politica europea, mentre il secondo,
nominato ministro senza portafoglio, venne incaricato della gestione dei
rapporti bilaterali e delle relazioni con l’Onu.
Guardando alla fisionomia dei prescelti, risultava evidente che, intorno
alla loro nomina, i partiti maggiori della nuova coalizione, cattolici e laburisti,
avevano combattuto un’aspra battaglia politica, con implicazioni profonde sui
molteplici terreni nei quali miravano ad imporre il proprio indirizzo e la
propria supremazia17. Più precisamente, con le questioni di politica estera che
andavano progressivamente monopolizzando il dibattito in seno alla Tweede
Kamer, anche e soprattutto per effetto della partecipazione olandese
all’integrazione europea, e con il prestigio crescente che, di conseguenza,
andava assumendo la figura del ministro degli Esteri, l’ambizione a riservare ad
Beyen, in realtà, non fu la prima scelta di Drees. Stando alle informazioni inviate da Murari
alla Farnesina, infatti: “Constatata l’impossibilità di trovare candidati cattolici per ambedue i
portafogli, si ricorse a una nuova soluzione, affidando ai cattolici uno dei due posti e
compensandoli con l’istituzione dei due nuovi Ministeri indicati: quello della Previdenza
Sociale (composto con taluni servizi gi appartenenti ai Ministeri degli Affari Sociali e
dell’Interno), e quello cosiddetto dell’Organizzazione Industriale, che assorbe i compiti già
devoluti nel precedente Gabinetto al Ministro senza Portafoglio per l’Aumento della
Produttività”. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Nuovo Governo Olandese, cit., p. 3. A parte
il già citato lavoro di Weenink, non esistono ad oggi biografie recenti su Beyen, né sono mai
state pubblicate monografie in lingua italiana e inglese interamente dedicate al personaggio,
ragione per cui risulta difficile raccogliere pareri diversi sulla questione del suo insediamento.
Una pur interessante fotografia dell’uomo e della sua attività è offerta dal saggio di Brouwer,
già citato alla nota 3 del presente lavoro. In italiano, viceversa, è in corso di pubblicazione la
voce “Johan Willem Beyen”, curata da Giulia Vassallo per il Dizionario dell’integrazione europea, a
cura di Piero Craveri, Umberto Morelli, Gaetano Quagliariello, in corso di stampa presso
l’editore Rubbettino.
16 Anche su Joseph Luns non esistono a tutt’oggi biografie in lingua italiana. L’unica
ricostruzione, più o meno completa, della vicenda personale e pubblica del personaggio è la
voce a cura di G. Vassallo, “Joseph Luns”, ivi.
17 Occorre precisare, a tale proposito, che la vittoria, seppur risicata, riportata dai laburisti sui
cattolici alle elezioni del luglio precedente ebbe un forte impatto sul paese, sia a livello di
dirigenza politica, sia di opinione pubblica. A riprova di ciò, basti attenersi a quanto riferito da
Caruso al Ministero degli Esteri italiano: “Dati i sistemi elettorali vigenti in Olanda, i piccoli
spostamenti che si sono verificati a favore dei laburisti hanno qui un particolare significato ed
una importanza maggiore di quanto potrebbero averne in altri Paesi, visti al lume di altri
sistemi elettorali”. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 207, Caruso a Ministero degli Affari
Esteri, Telespresso urgente, Elezioni in Olanda, 3 luglio 1952.
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un proprio esponente quel ruolo era divenuta un obiettivo cruciale sia per il
KVP, sia per il PvdA. Non solo. I contrasti si inasprivano ulteriormente tenendo
conto delle divergenze tra i due partiti sul terreno della strategia comunitaria,
laddove alle pressioni di Romme affinché, col contributo decisivo dei Paesi
Bassi, si completasse il quadro di un Consiglio dei ministri della Ceca
interamente composto da rappresentanti cattolici, si contrapponeva
l’idiosincrasia di Drees per la prospettiva di “un’Europa vaticana”, come egli
stesso era solito definirla, la quale, sempre nell’ottica del Primo ministro,
avrebbe condizionato il percorso dei Sei indirizzandolo sulla via più confacente
alle direttive francesi, cioè, più esplicitamente, rendendolo un terreno di
sperimentazioni sovranazionali in campo politico e militare che avrebbe
minacciato la solidità della Nato e la coesione occidentale 18. Da qui, la formula
di compromesso, esplicitatasi nella bipartizione del portafoglio degli Esteri, con
Beyen a costituire la diretta emanazione dei desiderata socialdemocratici e Luns
a tenere a freno le rimostranze cattoliche.
Per quanto insolito potesse sembrare il fatto che il Primo ministro non
avesse designato un uomo del PvdA alla direzione degli affari comunitari, la
nomina di Beyen non stava certo a significare che Drees volesse abbandonare al
caso, o nelle mani di una guida impreparata, le sorti dei Paesi Bassi nell’ambito
della Comunità. Viceversa, una riflessione meticolosa e sistematica, benché, in
ultima analisi, rivelatasi del tutto infondata, aveva indotto il leader socialista a
ritenere che quel banchiere di professione, trattenuto a Washington per diversi
anni dagli incarichi presso il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e presso la
Banca Mondiale19, fosse di fatto l’uomo giusto, perché scevro da
condizionamenti ideologici e da entusiasmi federalisti20, per orientare la politica
Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 39.
É lo stesso Beyen, nelle sue memorie, a smentire Drees nelle sue valutazioni. Scrive infatti l’ex
ministro: “Reeds toen ik vanuit Washington als buitenstaand belangstellende de pogingen tot
unificatie van Europa volgde had ik tegen deze ‘approach’ ernstige bezwaren gekoesterd...
Terwijl ik dus in het algemeen de door de Nederlandse Regering tot dusver gevolgde lijn kon
blijven volgen, zij het met een versterking van de ‘druk’ ten gunste van den supranationale
integratie, moest ik op dit ene punt het roer omgooien. In het kabinet bleek men daar geen
bezwaar tegen hebben”. (Già quando da Washington, come interessato esterno, seguivo i
tentativi dell’unificazione europea ho mostrato serie obiezioni contro questo ‘approccio’
(monnetiano, ndr.)… Mentre in generale da lontano seguivo la linea politica intrapresa dal
governo olandese e pensavo potesse funzionare purché fosse aumentata la pressione per
l’integrazione sovranazionale, per cui era su questo punto che avrei dovuto modificato gli
orientamenti. All’interno del governo sembrava che non ci fossero obiezioni in merito alla mia
posizione). Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers, een kroniek van vijftig jaren, Ad. Donker,
Rotterdam, 1958, pp. 206-207.
20 Così anche Harryvan: “Nothing on Jan Willem Beyen’s official track record predicted his
transformation into ardent supporter of continental regional integration on a supranational
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europea dei Paesi Bassi su una linea di maggiore cautela e pragmatismo, cioè, in
altre parole, lungo il percorso che i laburisti avevano mostrato più volte di voler
perseguire21.
Tuttavia, come ebbe poi egli stesso ad ammettere, Drees riconobbe
soltanto a posteriori di aver commesso “un grosso sbaglio”22. Anticipando
footing. Rather the contrary, as a mundane witty and rather cynical international banker
without party affiliations, he appeared completely free of federalist inclinations… His views on
Europe were unknown to the public at large and to Prime Minister Drees when he selected
Beyen as Foreign Minister in the third Drees government (1952-1956). To his displeasure Drees’
supposedly safe bet turned out a cuckoo’s fledgling in his cow-bird’s nest”. Cfr. A.G. Harryvan,
In Pursuit of Influence…, cit., pp. 39 e 42.
21 Cfr. R.T. Griffiths, “The Beyen Plan”, in Id. (ed.), The Netherlands and the Integration…, cit., p.
168. Stando a Harryvan, peraltro, sulla designazione del banchiere avrebbero influito anche
“some gentle prodding by the royal family, with which Beyen entertained a long-standing
friendship”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 39. (Nei Paesi Bassi, vale la
pena di ricordare, circolò per lungo tempo la voce che il futuro ministro sarebbe stato l’amante
della Regina nel periodo dell’esilio londinese, ma la notizia, appresa da chi scrive nel corso di
alcuni colloqui con il personale degli archivi olandesi, non trova riscontro né nelle fonti, né nella
letteratura). Nelle sue memorie, Beyen racconta dettagliatamente con quale stato d’animo visse
l’esperienza della nomina. Dalla sua descrizione, si intuisce chiaramente quanto inatteso, per lo
stesso neo-ministro, giungesse l’incarico governativo. “In mei 1952 ondernam ik mijn jaarlijkse
reis van Washington naar Nederland, waar ik steeds enige weken doorbracht om overleg te
plegen met mijn opdrachtgever, de Minister van Financiën. Dit jaar zou mijn verblijf langer
duren en het einde beteken van mijn werkzaamheden als Executive Director bij de
Internationale Bank en het Internationale Fonds” (Nel maggio 1952 intrapresi il mio viaggio
annuale da Washington verso l’Olanda, dove già ero solito trascorrere alcune settimane per
consultarmi con il mio superiore, il ministro delle Finanze. Quell’anno la mia permanenza
sarebbe durata più a lungo e questo significò la fine del mio incarico di Direttore esecutivo
presso il Fondo Monetario Internazionale). Cfr. J.W. Beyen, Het spel…, cit.., p. 198. Che i
laburisti intendessero imprimere alla politica europea dei Paesi Bassi una caratterizzazione più
moderata è confermato da Caruso, nel Telespresso Urgente del 3 luglio 1952. Stando al
funzionario della Farnesina infatti:”tutto lascia prevedere una politica forse più cauta e più
riflessiva in materia di federalismo europeo, un maggiore distacco dalla Francia ok un
conseguente maggiore, ma non del tutto proporzionale, avvicinamento all’Inghilterra. Tale
fenomeno potrebbe portare ad una certa politica delle piccole Potenze fatta dal Benelux. Nel
realizzarla si guarderebbe a noi sempre con maggiore interesse”. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda
1950, b. 257, Caruso a Ministero degli Affari Esteri, Elezioni in Olanda, cit.
22 L’affermazione di Drees è citata da R.T. Griffiths, “The Beyen Plan”, in R.T. Griffiths (ed.), The
Netherlands and the Integration…, cit., p. 168. A tale proposito, va rilevato che il premier olandese
non dovette aspettare molto a lungo prima di comprendere quale fosse l’effettivo orientamento
di Beyen in tema di integrazione europea. Già il 2 settembre 1952, infatti, cioè il giorno stesso
del loro insediamento ufficiale, i due nuovi ministri degli Esteri furono chiamati a partecipare
alla Ambassadeursconferentie, la conferenza annuale degli Ambasciatori olandesi che prestavano
servizio a Washington, Londra, Parigi, Bonn, Bruxelles e Lussemburgo, nonché dei
rappresentanti permanenti alla Nato. In quella circostanza, racconta Beyen nelle sue memorie,
egli fu chiamato per la prima volta - in vista della riunione del Consiglio dei ministri della Ceca,
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quanto verrà analizzato con maggiore dovizia di particolari nelle pagine che
seguono, infatti, vale qui la pena di sottolineare che, affidando la direzione del
Buitenlandse Zaken a Beyen, il premier olandese - che pure era riuscito a
scongiurare, in virtù di quella nomina, il pericolo della “Europa vaticana”, cui si
è già accennato - non riuscì di fatto a contrastare le aspirazioni federaliste del
KVP, che al contrario Beyen finì col recepire in larghissima parte nel suo
disegno per la creazione del Mercato comune europeo. Stando alle affermazioni
di Harryvan, infatti:
To Drees’ dismay he traded in Stikker’s reticent stance on European integration for a pro-active
offensive campaign in which European integration among the Six, in lieu of a potential threat to
the national interests or a necessary evil at best, henceforth represented welcome political-legal
leverage for the creation of a liberal trade regime in Western Europe. 23
Viceversa, l’azione del nuovo ministro, e la prospettiva politico-ideale che
ne costituiva il fondamento teorico, riuscì comunque a soddisfare, come si
vedrà e seppur indirettamente, un altro degli obiettivi della politica europea
laburista e di Drees in particolare, vale a dire il rafforzamento del legame tra le
che si sarebbe tenuta il successivo 9 settembre - ad illustrare il proprio punto di vista, nonché
quello del governo, circa l’integrazione politica dell’Europa. “Nu was, gelukkig, het probleem
van de Europese integratie voor mij niet nieuwe. Ik had er mij reeds jaren men bezig gehouden,
wat niet verwonderlijk is omdat het vraagstuk van de toekomst van Europa mij ik had mij reeds
jaren mee bezig gehouden, wat niet verwonderlijk is omdat het vraagstuk van de toekomst van
Europa mij sedert de oorlogsdagen in Londen voor ogen had gestaan, terwijl de internationale
samenwerking een probleem was dat op monetair terrein reeds vele jaren mijn dagtaak was
geweest en waarover ik in mijn Washingtonse jaren een boek had geschreven (Fortunatamente
il problema dell’integrazione europea per me non era nuovo. Me ne occupavo già da diversi
anni, cosa che non era insolita, visto che la questione del futuro dell’Europa mi si era presentata
già a Londra, durante la guerra, mentre la cooperazione internazionale era un problema sui cui
mi ero impegnato già da tempo e su cui negli anni trascorsi a Washington avevo scritto un
libro). Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers, cit., pp. 205-206. Quanto al presente, Beyen non
lasciò dubbi in merito alla sua coltivata propensione europeistica, né rispetto all’accento,
fortemente sovranazionale, che avrebbe impresso alla politica europea olandese, segnando in tal
modo, peraltro, la differenza con il suo predecessore. Più precisamente: “Mijn voorganger, Mr.
Stikker, was een voorstander van de Europese eenwording, maar hij was zeker vele graden
minder warm dan ik voor wat betreft de ‘supranationale’ weg om deze eenwording te bereiken:
‘Ik begrep’, zo schrijft hij in zijn Memoires… ‘dat Beyen dichter bij de opvattingen van de
Kamermeerderheid stond dan ik had gedaan’”. (Il mio predecessore, Stikker, era un sostenitore
dell’unificazione europea, ma era certo meno convinto di me della validità della via
“sovranazionale” per raggiungere questa unificazione: “Io capisco”, così scrive nelle sue
Memorie… “che Beyen aveva idee molto più vicine alla maggioranza della Camera di quanto
non ne avessi io”). Ivi, p. 206.
23 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 39.
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“piccole Potenze” del Benelux”24. In altre parole, nei quattro anni appena in cui
fu alla guida del dicastero degli Esteri olandese, Beyen condusse il cosiddetto
“fronte dei piccoli” al timone dell’integrazione europea, rendendolo, di fatto,
motore del rilancio comunitario e dell’Europa sovranazionale. Tutto ciò,
naturalmente, non senza compromettere le già difficili relazioni francoolandesi, giacché i transalpini non accettarono certo di buon grado di vedersi
sottrarre la leadership comunitaria da un rumoroso terzetto di pigmei. Di contro,
queste tensioni diplomatiche non sembravano suscitare irresistibili apprensioni
alle autorità dei Paesi Bassi, le quali, dal canto loro, riconoscevano nel
raffreddamento dei rapporti con Parigi il viatico più efficace per il
rafforzamento del legame con Londra. Pertanto, almeno sotto quest’ultimo
Tale considerazione è il risultato di una riflessione scaturita dalla lettura di quanto riportato
da Caruso al suo governo, il 3 luglio 1952. Commentando la vittoria dei laburisti alle elezioni
recentemente svoltesi nei Paesi Bassi, infatti, l’ambasciatore italiano all’Aja preconizzò quanto
segue: “… tutto lascia prevedere una politica forse più cauta e più riflessiva in materia di
federalismo europeo, un maggiore distacco dalla Francia ed un conseguente maggiore, ma non
del tutto proporzionale, avvicinamento all’Inghilterra. Tale fenomeno potrebbe portare ad una
certa politica delle piccole Potenze fatta dal Benelux. Nel realizzarla si guarderebbe a noi
sempre con maggiore interesse. Cfr. ASMAE, DGAP I, Olanda 1950, b. 257, Carissimo al
Ministero degli Affari Esteri, Elezioni in Olanda, cit. Di fatto le previsioni di Carissimo erano
viziate in origine da un errore di valutazione piuttosto grossolano. Giacché fino ad allora, come
conferma anche Brouwer, la politica europea dei Paesi Bassi era stata tutt’altro che ispirata
all’idea sovranazionale. Al contrario, “la politique de La Haye est atlantiste et plutôt favorable à
des projets intergouvernementaux dans le cadre de l’Organisation européenne de coopération
économique (OECE) au lieu de celui de l’Europe des Six”. Cfr. J.-W. Brouwer, “Jan-Willem
Beyen, Européen sur le tard“, cit., p. 258. Più vicina alla disamina di Brouwer, la visione di
Beyen, il quale sostiene: “De Nederlandse politieke partijen hadden van 1948 af positief
tegenover het streven naar Europese eenwording gestaan, met uizondering van de
Communistische Partij. Het Nieuwe Parlement stond eerder nog enige graden warmer
tegenover die ennwording dan het vorige. Het was in zijn overgrote meerheid vóór de zgn.
supranationale integratie en juichte, in algemene zin, de in Luxemburg ter tafel komende
plannen toe, naar af te leiden uit de houding van de Nederlandse leden van het Parlement van
de Raad van Europa, de zgn. Straatsburgers, die in het Nederlandse Parlement en in de
Commissies voor Buitenlandse Zaken der beide Kamers mijn ‘interlocuterurs’ zouden zijn”. (I
partiti politici olandesi, fin dal 1948, avevano avuto un atteggiamento positivo nei confronti
dell’obiettivo dell’unificazione europea, ad eccezione del partito comunista. Il nuovo
Parlamento si mostrò ancora più incline nei confronti di questa unificazione di quanto non lo
fosse il precedente. La grande maggioranza era favorevole alla cosiddetta integrazione
sovranazionale e accolse senza resistenze, in generale, i piani che vennero presentati al tavolo di
Lussemburgo, come si deduce dall’atteggiamento dei membri olandesi del Parlamento del
Consiglio d’Europa, i cosiddetti strasburghesi, che sarebbero stati i miei “interlocutori” nella
Commissione per gli affari esteri in entrambe le Camere). Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikker,
cit., p. 206. Che il Piano che Beyen avrebbe elaborato nei mesi successivi fosse un “Smaller
Powers’exercise in international relations” è confermato, con la sopracitata espressione, anche
da A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence..., cit., p. 39.
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profilo, l’indirizzo politico intrapreso da Beyen si pose in linea di continuità con
quello del suo predecessore, Stikker. Con l’unica, sostanziale, differenza che, se
Stikker, da un lato, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a sacrificare le proprie
ambizioni alla sovranazionalità, ammesso che ne coltivasse, alla causa ben più
importante della partecipazione britannica al comune destino europeo, il
banchiere senza partito, suo successore, promuovendo l’idea del Mercato
comune e dell’integrazione orizzontale, decise di puntare sulla virtuosità della
cooperazione sovranazionale per esportare oltremanica il suggestivo afflato
europeista, rivestendolo di carica pragmatica e contenuti allettanti affinché
fosse ben accetto persino agli algidi gentlemen londinesi25.
A carte scoperte: Beyen e l’Europa sovranazionale
Per la verità, nonostante gli accorgimenti di Drees volti ad imprimere un
cambiamento ben riconoscibile nel Ministerraad, sia a livello di attori, sia quanto
a orientamenti politici - anche e soprattutto nell’intento di segnare lo scarto con
il gabinetto che lo aveva preceduto, dominato dai cattolici – in tema di politica
europea il nuovo governo presentava le stesse spaccature e divergenze di
prospettiva della precedente coalizione. Restava, cioè, ben netta la frattura tra
chi, da un lato, privilegiava le soluzioni minimaliste – come Stikker a suo tempo
e come lo stesso Drees in quel preciso frangente - vale a dire una cooperazione
quanto più possibile estesa dell’Occidente europeo, comprensivo della Gran
Bretagna, ovverossia, più nel concreto, un rafforzamento dei legami tra le
democrazie liberiste destinato soprattutto alla ripartenza virtuosa dei traffici
commerciali e alla difesa dell’Europa dalla minaccia sovietica 26; e chi, dall’altro
lato – il ministro dell’Agricoltura Sicco Mansholt e Jelle Zijlstra, che era a capo
degli Affari Economici, tra tutti - sosteneva l’Europa schumaniana, a vocazione
sovranazionale e aperta esclusivamente alla partecipazione dei governi che
avessero abbracciato gli ideali contenuti nella Dichiarazione del 9 maggio 195027.
Pur nell’apparente inconciliabilità delle posizioni, emergeva un aspetto
intorno al quale le prospettive del Ministerraad sembravano convergere, ossia la
vexata quaestio della partecipazione britannica al cammino comunitario, effettiva
spina nel fianco della politica europea dei Paesi Bassi28.
Ibidem.
Cfr. Jan van der Harst, “The Pleven Plan”, in R.T. Griffiths (ed.), The Netherlands and the
Integration…, cit., pp. 137-164, qui pp. 146-151.
27 Ibidem.
28 Cfr. D.U. Stikker, Men of Responsibility..., cit., p. 250. Così anche Harryvan: “Dutch policy
toward political union had been governed by the criterion of British participation, rather than
25
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Non che gli olandesi fossero gli unici a porsi il problema di acquisire
Londra ai destini del Continente. Al contrario, la questione era stata dibattuta a
lungo anche in altri paesi, come pure in contesti più ampi di quelli nazionali.
Un esempio fra tanti, il discorso pronunciato da Paul-Henri Spaak, alla fine del
1951, davanti all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, all’atto di
presentare le proprie dimissioni dalla presidenza di quel consesso.
Dichiarò nell’occasione il celebre europeista belga:
There is a simple choice facing Europeans. […] Either we must line up with Great Britain and
renounce the attempt to create a united Europe, or we must endeavour to create a Europe
without Great Britain. For my part, I choose the second alternative, despite the risks and all the
dangers involved, because, reckoning all the possibilities, I think the risks are less great and the
dangers less serious than those which inaction and renunciation would inevitably imply 29.
L’interrogativo rivolto da Spaak ai presenti aveva, in realtà, forma retorica,
ma lasciava comunque emergere le tracce di un’apprensione diffusa, da parte
dei governi impegnati nel processo di costruzione comunitaria, riguardo al fatto
che un elemento essenziale, e senz’altro prestigioso, dell’Occidente europeo
avesse scelto di rimanere al margine del nuovo percorso comune. Il che
insinuava in molti il dubbio sull’effettiva opportunità di continuare a comporre
un mosaico di cooperazione nella già acquisita consapevolezza di non
possedere un tassello decisivo. Tuttavia, se il presidente dimissionario non
aveva faticato a sciogliere le riserve e a scommettere sulla’efficacia in sé del
cammino intrapreso, l’Aja continuava a lasciar macerare in questa inconciliabile
antinomia la contraddizione forse più drammatica, e senz’altro durevole, della
sua politica europea.
Più nel concreto, per un verso gli olandesi guardavano con entusiasmo ai
risvolti positivi dell’integrazione, vale a dire alla garanzia di un dialogo
permanente e privilegiato con Washington e alla possibilità di cementare i
legami e incrementare la cooperazione nell’ambito del Benelux, senza contare i
benefici economici derivanti dal processo di “economic disarmament” che
l’integrazione aveva avviato in Europa e che rappresentava, di fatto, “the major
driving force behind Dutch support for economic cooperation and liberalization
in Europe”30. Per altro verso, e di contro, sussistevano i timori – apertamente
dichiarati a suo tempo da Stikker31 e che certo il Piano Pleven aveva contribuito
that of ‘supranational institution or Britain”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p.
149.
29 D.U. Stikker, Men of Responsibility..., cit., p. 250.
30 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 35.
31 Così Dirk Stikker “I felt that the creation of a separate group of Six, before we really knew
what directions its foreign or defence policy might take, was too risky an enterprise. I feared
that the establishment of a restricted bloc of Six, which might even become autarkic, would,
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non poco a rafforzare - che l’Europa dei Sei divenisse ostaggio nelle mani dei
grandi stati, di Parigi soprattutto, finendo così col costituirsi come “blocco”
autonomo, per di più potenzialmente autarchico e chiuso in se stesso32, incapace
non soltanto di guidare il processo di unificazione continentale, ma addirittura
destinato a contrapporsi a quel “blocco virtuale” composto dai restanti paesi
dell’Europa occidentale.
La persistente ambiguità di orientamenti non impedì comunque al
governo Drees III di operare delle scelte, peraltro decisive. Il momento, del
resto, era di quelli che non consentono temporeggiamenti o dilazioni,
considerata la delicatezza delle questioni sul tappeto, prima fra tutte la futura
riunione del Consiglio dei ministri dei Sei che si sarebbe tenuta di lì a pochi
giorni, più precisamente l’8 settembre, per discutere “sull’elaborazione di uno
Statuto per la comunità politica sovranazionale”33. Il problema, semmai, restava
quello di chiarire quali strategie avesse voluto formulare Beyen, e se tali
strategie fossero o meno in sintonia con gli obiettivi di politica estera
individuati collettivamente dal Ministerraad34. Il nuovo ministro degli Esteri, in
ogni caso, intervenne direttamente, e tempestivamente, a sciogliere le riserve. Il
5 settembre 1952, infatti, nel corso di un dibattito governativo sulla Cpe, puntò
subito l’accento sulla propria estraneità alla condotta fino ad allora tenuta dai
Paesi Bassi in Europa e invitò i presenti - non mancando appositamente di
sottolineare la propria provenienza dal mondo della finanza internazionale,
nonché la perizia che aveva acquisito delle dinamiche peculiari di quel
particolare ambiente, che imponevano di evitare i facili entusiasmi e di tenere
presente che la costruzione di una cornice politica in cui inquadrare i processi
economici è spesso operazione più dannosa che efficace - a non rifiutare “à
priori” la proposta italiana, ma a tenere viceversa lo sguardo vigile, affinché
“l’integrazione politica non venisse considerata come uno strumento per
instead of leading to wider Western European unity, spilt Western Europe into blocs”. D.U.
Stikker, Men of Responsibility..., cit., p. 250.
32 Ibidem.
33 Così veniva descritta dal Segretario generale agli Affari Esteri, Hendrik Boon, la proposta
italiana per la Comunità politica europea (Cpe). Cfr. NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 482, De
Minister van Buitenlandse Zaken, voor deze De Secretaris-Generaal, Hendrik Boon aan de Heer
Minister-President, Ministerraad-nota inz. Ministerconferentie 9 en 10 September te Luxemburg. 29
Augustus 1952, p. 1.
34 Rileva, a tale proposito, la precisazione di Harryvan circa le responsabilità del Presidente del
Consiglio olandese in politica estera. Spiega lo storico: “... in the Netherlands’coalition
governments the prime-minister, although responsible for the upkeep of the coalition and the
quality of cabinet decision-making, is not a leader of government in the British or German way.
The Minister of Foreign Affairs and the Cabinet as a whole determine foreign policy”. Cfr. A.G.
Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 42.
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accantonare, forse definitivamente, il metodo funzionalista”35. Il tenore delle
dichiarazioni di Beyen era a dir poco esplosivo e, non a caso, agì da detonatore
per scatenare all’interno del Ministerraad un dibattito accesissimo, e a tratti
acrimonioso, nonché quasi interamente incentrato sulle implicazioni
sovranazionali del trattato Ced e, in particolare, dell’articolo 3836. Drees,
“De Minister heeft weliswaar in de financiële wereld gezien hoe een te groot enthousiasme en
een te vroege oprichting van instituten vaak meer kwaad dan goed kan doen, doch hij acht het
niet juist, dat de Nederlandse Regering à priori een afqijzend standpunt tegenover de gedachte
van Italië inneemt. Wel zal men er voor moeten waken, dat de politieke integratie niet wordt
gebruikt om de landen af te leiden van de op gang zijnde functionele integratie”. Cfr. NLHaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 397, Ministerraad Nr. 1133, Notulen van de vergadering gehouden in
de Treveszaal op Vrijdag 5 September 1952, des middags te 2 uur, 5.9.1952, p. 4. Va precisato che i
timori di Beyen circa la possibilità che la costruzione della Cpe, e soprattutto del suo apparato
istituzionale, distogliesse l’attenzione dei governi dei Sei dalle questioni economiche, con
particolare riferimento all’obiettivo di completare quanto prima il disarmo tariffario, facevano
direttamente capo al rapporto che il già citato Segretario generale del Buitenlandse Zaken,
Hendrik Boom, aveva inviato a Drees il 29 agosto e che prendeva in esame, dettagliatamente, i
punti all’ordine del giorno per la riunione di Lussemburgo: 1) la Risoluzione n. 14 del Consiglio
d’Europa circa l’elaborazione dello Statuto della Cpe; 2) l’autorità politica; 3) il memorandum
britannico del 16 luglio, cosiddetto Piano Eden. Quanto alla questione suddetta, sulla quale si
era soffermato Beyen, il rapporto di Boon parlava chiaro: “Nu wordt het wel voorgesteld, alsof
de instelling van een ‘Politieke Autoriteit’, als bedoeld in het voorstel-de Gasperi, een panacée
voor al deze kwalen kan zijn. Het moet echter ernstig worden betwijfeld, of dit juist is. Het is
veeleer te verwachten dat de stappen die zouden worden ondernemen om de voorbereiding
van een dergelijke politieke autoriteit op te dragen aan een Assemblée, een gerede aanleiding
zoude geven om de pogingen om langs functionele weg tot integratie van Europa te geraken
verder te verslappen. Men bedenke hierbij dat zij, die deze ‘politieke autoriteit’ propageren
veelal juist de grootste bezwaren ontwikkeken tegen het verwezenlijken van een economische
integratie op die terreinen, waarop voor Nederland de grootste belangen liggen in een
dergelijke integratie”. (Ora ci si chiede se l’istituzione di un’ “Autorità Politica”, come viene
presentata nella proposta di De Gasperi, possa essere una panacea per tutti questi mali. Ci si
deve invece chiedere se questa sia giusta. Ci si deve molto più aspettare che i passi che verranno
compiuti per affidare la preparazione di una tale autorità politica a un’Assemblea daranno una
risposta definitiva ai tentativi di conseguire l’integrazione dell’Europa attraverso un lungo
percorso funzionalista o se non finiranno per indebolirla ulteriormente. Si pensa infatti che essa
la quale promuove questa “autorità politica” non fa, viceversa che sviluppare le più forti
obiezioni contro la realizzazione di un’integrazione economica su quei terreni sui quali si
concentrano gli interessi per un tale tipo di integrazione”. Cfr. NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr.
482, De Minister van Buitenlandse Zaken, voor deze De Secretaris-Generaal, Hendrik Boon aan de Heer
Minister-President..., cit.
36 Come si ricorderà, l’articolo 38 affidava all’Assemblea provvisoria della Ced il compito di
elaborare un progetto di Statuto della Cpe, definendo al contempo i principi ai quali tale
Assemblea si sarebbe dovuta ispirare nella fase di progettazione. Nella fattispecie, la struttura
da costruire, avrebbe dovuto costituire uno degli elementi di una ulteriore struttura a carattere
federale o confederale, fondata sul principio della separazione dei poteri e sul sistema
rappresentativo bicamerale. Cfr. Daniela Preda, L’action européenne de De Gasperi et la
35
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soprattutto, puntava il dito contro la mancanza di chiarezza dell’articolo, la
quale, a suo avviso, doveva indurre a subodorare che le sue ricadute sarebbero
state molto più profonde e importanti di quanto, apparentemente, non si
volesse far credere. Non che il premier olandese avesse avuto un’intuizione
assimilabile a una preveggenza. Piuttosto aveva letto con attenzione – e
preoccupazione - le informazioni inviategli dal Segretario generale agli Affari
Esteri, Hendrik Boon, il quale, senza mezzi termini, lo aveva messo in guardia
circa la lucidità diplomatica di De Gasperi – e implicitamente di Altiero Spinelli,
noto a molti come l’eminenza grigia - che del “famigerato” articolo era stato
l’ispiratore. Il Primo ministro italiano, spiegava infatti Boon, “non soltanto,
all’atto di promuovere l’introduzione dell’art. 38, non aveva precisato che il suo
reale intento fosse quello di dar vita ad una struttura federale europea, ma
addirittura aveva chiesto e ottenuto che la creazione della Cpe fosse una tappa
successiva all’istituzione della Ced”. Da quest’ultima proposta, sempre stando a
Boon, De Gasperi si attendeva un duplice risultato: in primo luogo, riteneva che
dall’inquadramento della Germania nel sistema difensivo dell’Europa
occidentale si creasse una convergenza di interessi tra i Sei tale da rendere
indispensabile, e quasi consequenziale, la progettazione di una struttura
politica di coordinamento; in secondo luogo, sperava di convincere i governi –
come difatti avvenne – dell’opportunità di infoltire quella stessa struttura
politica di contenuti prettamente federali37.
Al termine del dibattito, che aveva coinvolto anche i ministri Beel, Luns,
Mansholt, Staf e Van der Kieft38, la posizione che i Paesi Bassi avrebbero assunto
all’incontro di Lussemburgo risultò chiaramente definita e ampiamente
condivisa. L’Aja, consapevole che, come aveva riferito Boon39, la maggioranza
dei Sei aveva cominciato a riconoscere nella Cpe una sorta di “panacea” per i
mali del Continente, avrebbe abbandonato l’atteggiamento di ostinata
resistenza nei confronti dell’art. 38, puntando viceversa ad ottenere che la
nuova Assemblea, incaricata, come si è detto, di preparare lo Statuto della
Comunità politica, non soltanto svolgesse i suoi lavori sotto il controllo vigile
dei governi – che sarebbe stato esercitato attraverso il Consiglio dei ministri
della Ceca – ma soprattutto tenesse nella massima considerazione le questioni
contribution du réseau catholique européenne autour de lui”, in S. Schirmann (dir.), Robert
Schuman…, cit., pp. 307-323, qui pp. 314-315.
37 Cfr. NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 482, De Minister van Buitenlandse Zaken, voor deze De
Secretaris-Generaal, Hendrik Boon aan de Heer Minister-President..., cit., p. 3.
38 Cfr. NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 482, De Minister van Buitenlandse Zaken, voor deze De
Secretaris-Generaal, Hendrik Boon aan de Heer Minister-President..., cit.
39 Ibidem.
19
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
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economiche, con particolare riferimento alla creazione di un mercato comune 40.
Avrebbe commentato Beyen nelle sue memorie: “lo slogan del governo fu
presto coniato: nessuna integrazione politica senza integrazione economica”41.
Il 9 settembre 195242, come annunciato, il Consiglio dei ministri della Ceca
si riunì per la prima volta a Lussemburgo, nella duplice formazione degli Affari
Esteri e degli Affari Economici. Per i Paesi Bassi parteciparono rispettivamente
Jan Beyen e Jelle Zijlstra. Il “partijloze Minister43” (ministro senza partito) del
Buitenlandse Zaken si preparò con rigore alla sua prima uscita ufficiale in
un’assise di tale prestigio: studiò attentamente l’atteggiamento da adottare
(“mijn tactische overweging”44) e, infine, risolse di riproporre agli omologhi
europei le stesse questioni sulle quali aveva discusso il Ministerraad pochi giorni
prima. Al termine dell’incontro, il 10 settembre, si raggiunse l’accordo su una
proposta italiana, sostenuta con forza dai francesi, volta ad accelerare i tempi
dell’integrazione politica. In particolare, si proponeva che la bozza di trattato
della Cpe fosse predisposta da un’Assemblea ad hoc, formata dai membri del
parlamento della Ceca e da altri rappresentanti degli stati membri, tra cui
deputati dei parlamenti nazionali. Beyen, con grande sorpresa dei presenti e
degli stessi suoi collaboratori, anziché delegare un proprio collaboratore, si
autocandidò a far parte della nuova Assemblea come rappresentante dei Paesi
Bassi45. Commenta in proposito Harryvan:
Then Adenauer, who was chairing, said: “Well, let us now appoint a small committee to draft
this mandate. Whom do you appoint?” And everybody appointed an official, but Beyen said: “I
will go there myself”. He went into the working party to draft a mandate. Why? Because he
wanted to have reference to a customs union in the programme of work… So that was the thing
that he wanted… one thing, that is to create a structure in which the economic misery between
the wars could not occur again. It was always the same motive. And this was an opening. And
there he started for the first time to launch this one… The new Dutch minister’s move, although
“highly unorthodox” was not to be attributed to inexperience but to his desire to broaden the
scope of the Assembly’s mandate. As the sole government minister on the drafting committee
Beyen secured the chair and had no problems in achieving his policy aim. 46
NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 397, Ministerraad Nr. 1133, Notulen van de vergadering
gehouden in de Treveszaal op Vrijdag 5 September 1952, des middags te 2 uur, 5.9.1952, pp. 6-7. Si
veda anche J.W. Beyen, Het spel en de knikkers..., cit., p. 207
41 De leuze: “geen politieke integratie zonder economische integratie”, drukte haar standpunt
uit. Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers..., cit., p. 207.
42 Beyen, nelle sue memorie, precisa che il Consiglio dei ministri iniziava i suoi lavori il giorno
successivo alla cerimonia d’apertura della Ceca. Cfr. Ibidem.
43 L’espressione è di Beyen. Cfr. Ivi, p. 208.
44 Ivi, p. 207.
45 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 40.
46 Cfr. ASUE, COL, European Oral History, Interviews (INT), serie 04, INT532 Wellenstein,
Edmund, 16.5.1989, pp. 29-30.
40
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E lo scopo del ministro olandese era concreto e preciso, come ebbe a dire il
suo assistente a Lussemburgo, Edmund Wellenstein, anni dopo:
… Beyen immediately raised his finger, and said: “one of the tasks that they should have is
running a custom union”. 47
Le dichiarazioni del ministro olandese irruppero nella sala senza che
nessuno dei presenti fosse preparato ad accoglierle e, eventualmente, ad
opporsi. Ha ricordato ancora Wellenstein:
Nobody expected that really! It wasn’t properly the moment even to launch it, but he wanted to
bring it in, and nobody said “No”. 48
Sulla base delle osservazioni di Beyen, pertanto, si raccomandò
all’Assemblea ad hoc, incaricata di redigere lo statuto della Cpe, di tenere
opportunamente presenti anche gli aspetti economici dell’integrazione, ivi
compresa l’ipotesi di un mercato comune europeo49.
In sintesi, con il suo atteggiamento “poco ortodosso”, che sapeva certo più
di abilità tattica che di esuberanza data dall’inesperienza, il ministro olandese
era riuscito a conseguire simultaneamente due risultati. In primo luogo,
mostrandosi pronto al dialogo, anziché assumere un atteggiamento
ostruzionistico, cioè, nella pratica, presentando emendamenti allo schema
italiano, piuttosto che contrastandolo con una controproposta, aveva fatto sì che
i partner della Ceca accogliessero senza particolari resistenze quelli che, di fatto,
erano i desiderata dell’Aja. In secondo luogo, aveva registrato un successo
personale di straordinaria portata, giacché, con inaspettata perizia diplomatica,
era riuscito ad introdurre un concetto del tutto nuovo, anticipatore e
moderatore al contempo, come quello del Mercato comune europeo,
nell’orizzonte ideale e progettuale sia del Consiglio dei Sei, sia del proprio
governo.
Alla sua prima apparizione sul palcoscenico comunitario, ad appena una
settimana dalla nomina, Beyen aveva già guadagnato il proscenio, gettando
contestualmente le fondamenta su cui, anni dopo, si sarebbe costruito il
successo della sua iniziativa50.
Ibidem.
Ibidem.
49 Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers..., cit., p. 207 e anche NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr
482, Kort verslag van de Eerste Zitting van de Bijzondere Raad van Ministers van de Europese
Gemeenschap voor Kolen en Staal en van de daarop aansluitende Conferentie der Ministers van
Buitenlandse Zaken van de staten-leden dezer Gemeenschap, gehouden op 8, 9 en 10 September 1952,
13.9.1952.
50 Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT532…, cit., p. 31.
47
48
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Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Tra ideali e pragmatismo: genesi e sviluppo del primo Piano Beyen (11 dicembre 1952)
Ad un mese di distanza dal vertice di Lussemburgo, i Paesi Bassi furono
nuovamente chiamati ad elaborare un ben precisato corpus di proposte per
accelerare la chiusura dei lavori dell’Assemblea ad hoc51. A novembre, Beyen,
che aveva convinto il governo dell’Aja a istituire per l’occasione un apposito
comitato interdipartimentale, meglio conosciuto come “Comitato Beyen”, aveva
già formulato il suo schema, che presentò al Ministerraad nella forma di
“Grondslagen voor het Nederlandse standpunt met betrekking tot het vraagstuk der
Europese integratie” (Basi per la posizione olandese circa la questione
dell’integrazione europea)52 e i cui contenuti sarebbero poi stati trasposti, nelle
loro linee essenziali, in quello che passò alla storia come “primo Piano Beyen”.
Passando da accenti allarmati ad argomentazioni che rimandavano, forse
involontariamente, alla Crisi della civiltà di Johan Huizinga, il rapporto si apriva
con una sollecitazione diretta e decisa al governo dell’Aja affinché recuperasse il
suo ruolo di “co-costruttore” di quella civiltà europea occidentale di cui era
parte integrante e componente essenziale e affinché impegnasse le sue risorse,
in termini di apporti culturali e di intraprendenza politica, nella battaglia per la
tutela dell’Europa, cioè, in altre parole, nel porsi alla guida del processo di
unificazione europea su basi sovranazionali. Alla lettera:
Het voortbestaan van West-Europa staat bloot aan ernstige bedreigingen. Deze bedreigingen
hebben niet uitsluitend het karakter van een mogelijke verovering door militair geweld. Het
gaat in het algemeen om de bedreiging van Europa's eeuwenoude beschaving, die zich,
“Onbetwistbaar blijft echter, dat behoud en geleidelijke verbetering van het Europese
levenspeil niet mogelijk is, zonder voortdurende verhoging en verbetering van de Europese
productie, een verhoging en verbetering, die niet bereikt kan worden in een door
handelsbelemmeringen in te kleine markten verdeeld, en door monetaire onrust verstoord
Europa. Economische, dat wil dus tevens zeggen, monetaire en sociale integratie van Europa is
voor het behoud der Europese beschaving essentieel” (É indubbio che il mantenimento e il
graduale miglioramento del livello di vita europeo è possibile senza un continuo aumento e
miglioramento della produzione europea, un aumento e miglioramento che non può essere
realizzato in un contesto di piccoli mercati divisi da barriere commerciali, e nel disordine
monetario che sconvolge l’Europa. L’integrazione economica, che è anche integrazione
monetaria e sociale è quindi essenziale per la conservazione della civiltà europea). Cfr. NLHaNA, AZ/KMP 2.03.01, inv.nr. 2679, Minister Beyen aan Zijner Excellentie Dr. W. Drees, MinisterPresident, ‘s–Gravenhage. Cc. Z.E. S.L. Mansholt, Z.E. Prof. Dr. J. Zijlstra, ’s-Gravenhage, 10
November 1952. pp. 2-3. Cfr. Anche NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 397, Ministerraad n. 1158,
Notulen van de buitegewone vergadering op Donderdag 16 October 1952 in de Zaal van Justitie
aangevangen des morgens te 10 uur.
52 Cfr. NL-HaNA, AK/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2679, M. Beyen aan Zijner Excellentie Dr. W. Drees,
Minister President, ’s-Gravenhage, c.c. Z.E. S.L. Mansholt, Z.E. Prof. Dr. J. Zijlstra, 10 November 1952.
Cfr. Anche NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, inv.nr. 22913, Drs. E.H. van der
Beugel aan Z.E. Minister Beyen, Memorandum, 12.11.1952.
51
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Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
ondanks grote verschillen van land tot land, en ondanks morele en economische terugslagen als
gevolg van onderlinge oorlogen, gehandhaafd en ontwikkeld heeft, en die, niettegenstaande
sterke economische en technologische invloeden uit het Westen, een uitgesproken eigen
karakter heeft bewaard. Nederland heeft in de opbouw der Westeuropese beschaving een eigen
en belangrijke rol gespeeld. Het is, ook na de tijdelijke ernstige verzwakking van zijn
economische kracht als gevolg van de laatste wereldoorlog, in staat gebleven die rol te spelen.
Als medearchitect en als bewoner van het huis der Westeuropese beschaving heeft Nederland
een levensbelang bij de bescherming en verdere uitbouw daarvan. Noch het een noch het ander
is mogelijk tenzij de Westeuropese landen zich verenigen. Aan het tot stand brengen dier
vereniging moet Nederlanddus met zijn volle vermogen medewerken. Een Verenigd WestEuropa kan echter niet bestaan en niet bloeien zonder nauw verkeer op ieder terrein met de
democratische landen der verdere wereld. Nederlands grootheid is ontstaan door zijn banden
met overzeese landen en het kan slechts hopen op een toekomstige bloei indien die banden
worden behouden en verstrekt. Dit geldt voor alle landen van West-Europa, doch Nederland
behoort door zijn historie tot de landen, waar het besef dezer noodzakelijkheid het levendigst is.
Nederland heeft geen door een eeuwenlange geschiedenis ingevreten vijandschap tegenover
andere democratische landen der wereld. Nederland is dus bij uitstek aangewezen, zowel om
een actieve rol te spelen in de bevordering van de vereniging van West-Europa, als om te
waken tegen het ontstaan van economische en politieke tegenstellingen tussen een Verenigd
West Europa en de rest van de wereld.53
La sopravvivenza dell’Europa occidentale è esposta a gravi minacce. Queste minacce non
hanno propriamente il carattere di una conquista militare. Piuttosto, in generale, sono in
pericolo le antiche civiltà europee, le quali, nonostante le grandi differenze tra paese e paese, e
nonostante le battute d’arresto morali ed economiche conseguite alle guerre reciproche, si sono
conservate e si sono sviluppate, e che, nonostante la forte influenza economica e tecnologica da
Ovest, hanno mantenuto una forte caratterizzazione individuale. I Paesi Bassi hanno ricoperto
un proprio e importante ruolo nella costruzione della civiltà occidentale. Anche a seguito del
temporaneo, grave indebolimento della loro potenza economica, come conseguenza dell’ultima
guerra mondiale, restano in grado di esercitare quel ruolo. Come co-costruttori e come abitanti
della casa della civiltà europea occidentale, i Paesi Bassi devono considerare quale loro interesse
primario, vitale, la difesa e l’ulteriore sviluppo di quella stessa civiltà. Ma né l’una né l’altro
sono possibili senza l’unificazione dei paesi europei. A porre in essere questa unificazione
l’Olanda deve quindi collaborare con tutte le sue forze. Un’Europa occidentale unita non può
però esistere e prosperare senza un’intensificazione dei traffici con i paesi democratici del resto
del mondo. La grandezza olandese è nata proprio grazie ai suoi legami con i territori
d’oltremare e può sperare in un futuro di prosperità soltanto se tali legami verranno mantenuti
e rafforzati. Questo discorso vale per tutti i paesi dell’Europa occidentale, ma tanto più per i
Paesi Bassi, la cui storia Questo vale per tutti i paesi dell'Europa occidentale, ma, per la loro
tradizione, i Paesi Bassi devono sentire più impellente questa necessità. L’Olanda non ha una
storia secolare di radicata ostilità verso gli altri paesi democratici. Pertanto, è quanto mai
opportuno sia che essa svolga un ruolo attivo nel promuovere l’unificazione dell’Europa
occidentale, sia che contrasti l’emergere di spaccature economiche e politiche tra l’Unione
dell’Europa occidentale e il resto del mondo. Cfr. NL-HaNA, AK/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2679, M.
Beyen aan Zijner Excellentie Dr. W. Drees, Minister President, ’s-Gravenhage, c.c. Z.E. S.L. Mansholt,
Z.E. Prof. Dr. J. Zijlstra, 10 November 1952.
53
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La minaccia alla civiltà europea, proseguiva il ministro, avrebbe premuto
su due fronti, uno interno e uno esterno, e sarebbe stata condotta da soggetti
distinti, uno politico-ideologico e l’altro strategico-militare. Quanto al primo
aspetto, l’azione sovvertitrice, sistematicamente perpetrata da fascisti e
comunisti, esponeva la democrazia europea al pericolo di “contaminazione da
totalitarismo”; sul versante esterno, viceversa, l’Unione Sovietica e i suoi
satelliti si addensavano al confine orientale pronti all’invasione militare.54 Ma,
lungi dal voler generare eccessivi allarmismi, Beyen rassicurava
immediatamente il Ministerraad proponendo una soluzione, rapida e facilmente
praticabile, per entrambi i problemi. “La miglior difesa contro il virus del
totalitarismo”, spiegava il ministro,”è il benessere economico e sociale” 55, il
quale avrebbe dovuto essere conservato, ove presente, apportato e
incrementato, se necessario. L’innalzamento degli standard di vita europei,
pertanto, doveva essere conseguito nel minor tempo possibile e attraverso
strategie di intervento mirate e puntuali. Lo schema proposto da Beyen, ispirato
agli insegnamenti della logica e del pragmatismo, presentava entrambi i
requisiti. “Il mantenimento e il miglioramento progressivo dei livelli di
benessere in Europa”, precisava il rapporto, “non sono realizzabili se non sono
accompagnati da un costante aumento e sviluppo della produttività
continentale”. Ma quest’ultimo obiettivo, a sua volta, non poteva essere
conseguito in un contesto di piccoli mercati, peraltro divisi da un’infinità di
barriere tariffarie, nonché in uno scenario di forti perturbazioni monetarie. Ne
conseguiva che la salvaguardia della civiltà europea dipendeva non soltanto dal
benessere economico e sociale, ma anche da un’integrazione economica che
tenesse pure conto degli aspetti sociali e monetari, cioè, in altre parole, da un
“marché unique”56 costruito secondo i precetti dell’integrazione economica
“De West-Europese beschaving is bedreigd van binnen uit, waar fascistische of
communistische machten trachten te vernietigen het democratisch karakter van de politieke
structuur der Westeuropese landen; van buiten uit, indien de Sovjet Unie en haar satellieten
trachten te veroveren de gebieden dier landen” (La civiltà europea occidentale è minacciata
dall’interno, dove le forze fasciste e comuniste tentano di cancellare il carattere democratico
della struttura politica dei paesi dell’Ovest europeo; dall’esterno, dove l’Unione Sovietica e i
suoi satelliti tentano di invadere i territori di quei paesi). Ibidem.
55 Wat het eerste betreft staat wel vast, dat de beste verdediging tegen het virus van een
totalitaire besmetting in economische en sociale gezondheid ligt”. (Quanto al primo aspetto, è
evidente che la miglior difesa contro la contaminazione del virus del totalitarismo risiede nel
benessere economico e sociale). Ibidem.
56 “Onbetwistbaar blijft echter, dat behoud en geleidelijke verbetering van het Europese
levenspeil niet mogelijk is, zonder voortdurende verhoging en verbetering van de Europese
productie, een verhoging en verbetering, die niet bereikt kan worden in een door
handelsbelemmeringen in te kleine markten verdeeld, en door monetaire onrust verstoord
Europa. Economische, dat wil dus tevens zeggen, monetaire en sociale integratie van Europa is
54
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
orizzontale. Per la prima volta, la prospettiva di costruire un “mercato unico
europeo”, da tempo nell’orizzonte concettuale dell’ex direttore del Fmi e della
Banca mondiale, il quale, peraltro, aveva ben in mente il modello americano 57,
veniva precisata in un documento ufficiale, ad uso dapprima del solo governo
olandese e poi delle cancellerie degli stati membri della Ceca.
Quanto alla minaccia dall’esterno, lo schema di Beyen individuava
nell’integrazione militare dell’Europa e nella cooperazione del mondo
democratico sul terreno della difesa58 le risposte più efficaci da dare al
problema. Tale integrazione, tuttavia – aveva cura di puntualizzare il ministro
olandese – non doveva spingere i governi dei Sei ad identificare la cooperazione
continentale con una sorta di “lega difensiva contro un nemico comune”. Al
contrario, lasciando trapelare apertamente le sue propensioni europeiste,
peraltro fortemente sbilanciate verso il federalismo, Beyen riconosceva nella
consapevolezza dell’esistenza di un nemico comune, cioè di un pericolo
concreto unanimemente percepito dagli europei dell’Ovest, un suggestivo
catalizzatore per accelerare la formazione di una solida “coscienza unitaria”,
voor het behoud der Europese beschaving essentieel”. (È indubbio che la conservazione e il
miglioramento progressivo del livello di vita europeo resta impossibile senza un continuo
aumento e miglioramento della produzione europea, un incremento e miglioramento che non
può essere realizzato in mercati troppo piccoli divisi da barriere commerciali e in un’Europa
perturbata da disordini monetari. L’integrazione economica dell’Europa, con cui s’intende
anche l’integrazione monetaria e sociale, è quindi indispensabile per la sopravvivenza della
civiltà europea). Ibidem.
57 “De gedachte, dat het Europese probleem zou moeten - en alleen zou kunnen worden opgelost door een Verenigd Europa op te bouwen, dat economisch en sociaal werkt als de
Verenigde Staten, berust in meer dan één opzicht op een misvatting. Bij de bespreking van het
vraagstuk van de "marché unique" hoede Europa zich zorgvuldig voor deze misvatting. De
oplossing van dat vraagstuk is zowel ingewikkelder als gemakkelijker dan het zou zijn, ware
deze Amerikaanse conceptie juist”. (L’idea che il problema europeo dovrebbe – e potrebbe
soltanto - essere risolto con la costruzione di un’Europa Unita, che economicamente e
socialmente funzioni secondo il modello statunitense, è fondata in più di un aspetto su un
malinteso. Discutendo sulla questione del “mercato unico” l’Europa eviterebbe questo
malinteso. La soluzione della questione è tanto più complicata quanto sarebbe più semplice se si
ritenesse giusta l’impostazione americana). Ibidem.
58 “Wat het eerste betreft staat wel vast, dat de beste verdediging tegen het virus van een
totalitaire besmetting in economische en sociale gezondheid ligt... De bedreiging van buiten eist
militaire integratie van Europa, en, tegelijk, omdat de bedreiging zich niet uitsluitend tegen
Europa maar tegen de gehele democratische wereld richt, innige samenwerking van het militair
geintegreerd Europa met de verdere Westerse democratische wereld” (Quanto al primo aspetto,
è evidente che la miglior difesa contro la contaminazione del virus del totalitarismo risiede nel
benessere economico e sociale... La minaccia dall’esterno richiede l’integrazione militare
dell’Europa e, più specificamente, poiché la minaccia non si limita all’Europa, ma si rivolge
contro l’intero mondo democratico, una più stretta cooperazione dell’Europa militarmente
integrata con il resto del mondo occidentale democratico). Ibidem.
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così come era già accaduto alle origini del percorso comunitario, allorché
l’esigenza di risolvere definitivamente l’antagonismo franco-tedesco,
collettivamente riconosciuto come minaccia alla stabilità politica e allo sviluppo
economico, aveva alimentato la crescita di una solidarietà reciproca tra gli stati
del Vecchio continente59. E quella stessa solidarietà, concludeva Beyen, avrebbe
spinto gli stati ad accettare “quei sacrifici senza i quali nessuna integrazione, in
nessun ambito, potrebbe essere realizzata”60.
Indicate le soluzioni alle problematiche contingenti, restava in sospeso la
spinosa questione della struttura politica di cui dotare la Comunità, peraltro
intrinsecamente connessa con il discorso sull’integrazione militare. Una
questione che, del resto, era già all’esame dei Sei, a seguito dell’iniziativa
dell’italiano De Gasperi. Anche nell’affrontare tale tematica, che Beyen sapeva
bene rappresentare il nodo principale della politica europea olandese, il
rapporto si ispirava ai capisaldi della logica e del pragmatismo, tentando così di
sollecitare l’Aja a valutare le ragioni pratiche e i risvolti concreti della proposta,
risolvendo, in ultima analisi, di offrire ad essa il proprio sostegno. Stando al
testo:
Militaire samenwerking zonder politieke integratie is zeer goed bestaanbaar, doch de
tegenwordige dreiging is gezien het karakter der moderne oorlogsvoering zodanig, dat althans
in Europa slechts bijen zekere politieke integratie de offers kunnen worden verwacht, nodig tot
het opbouwen van een geintegreerde militaire macht, sterk genoeg om de dreiging af te
wenden. Het is dan ook begrijpelijk dat de noodzakelijkheid tot militaire integratie het
probleem der politieke integratie op de voorgrond heeft gebracht 61
“De Europese integratie is geenszins in de eerste plaats een militaire integratie, een
noodzakelijk defensief verbond tegen een gezamenlijke vijand. Doch het is het bestaan van een
gezamenlijke vijand, het bewustzijn van een gezamenlijke bedreiging door een tastbaar gevaar,
dat het bewustzijn der Europese saamhorigheid heeft aangewakkerd.”. (L’integrazione europea
non è in alcun modo un’integrazione principalmente militare, un necessario legame difensivo
contro un nemico comune. Ma è l’esistenza di un nemico comune, la consapevolezza di una
minaccia comune da parte di un nemico concreto, che ha alimentato la coscienza della
solidarietà europea). Ibidem.
60 “Slechts een levendig saamhorigheids bewustzijn doet de offers aanvaarden zonder welke
geen integratie, op welk gebied dan ook, tot stand zou kunnen komen”. (Soltanto la
consapevolezza di una solidarietà viva consente di accettare quei sacrifici senza i quali nessuna
integrazione, in nessun ambito, potrebbe essere realizzata). Ibidem.
61 Ibidem. La cooperazione militare senza integrazione politica è senz’altro possibile, ma la
minaccia attuale, considerata la natura della guerra attuale, è tale che, almeno in Europa,
soltanto se si accettano determinate offerte di integrazione politica, necessarie per la costruzione
di una forza militare integrata, si può diventare abbastanza forte da scongiurare il pericolo. È
quindi comprensibile che la necessità dell’integrazione militare abbia portato in primo piano il
problema dell’integrazione politica.
59
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
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Alla luce di tali premesse, l’economista olandese illustrava apertamente il
suo teorema dell’integrazione, il quale, in pratica, sintetizzava a mo’ di
sillogismo, in un’unica soluzione, coerente e propositiva, le due proposte
precedentemente avanzate. Più concretamente, Beyen invitava a considerare
l’integrazione economica, militare e politica “come tre aspetti di uno stesso
problema, che è l’unificazione europea”, giacché:
... politieke integratie zonder economische integratie zinvol is, ja dat politieke integratie iets
wezenlijk anders is dan economische integratie. Daarbij wordt over het hoofd gezien, niet allen
dat militaire integratie zonder een zekere economische integratie onbestaanbaar is, maar ook,
dat economische integratie in brede zin, nl. de integratie nodig voor het behoud en verhoging
van het Europees levenspeil, zonder een zekere politieke integratie onuitvoerbaar ware. Een
politieke integratie, die geen andere inhoud heeft, dan het mogelijk maken van gecoördineerde
militaire krachtsinspanning met daarnaast slechts de regeling van de productie en afzet van
enige belangrijke grondstoffen, zou slechts een zeer beperkte saamhorigheid in Europa tot
stand brengen. Wil men een wezenkijk levend saamhorigheidsbewustzijn doen groeien zonder
welke . welke geen enkele integratie levensvatbaar is, dan moet men economische, militaire en
politieke integratie zien als drie aspecten van een en hetzelfde probleem, dat der Europese
integratie. 62
Il raggiungimento di un obiettivo tanto ambizioso quanto in prospettiva
fecondo– proseguiva il rapporto - avrebbe inevitabilmente imposto agli stati, e
soprattutto ai paesi di piccole dimensioni, di compiere dei sacrifici in termini di
souvereiniteitsoverdracht (cessione di sovranità) nelle materie affidate alla
gestione di organi comuni europei. Ma tali rinunce sarebbero state comunque
sopportate a fronte della garanzia di benefici importanti e di lungo periodo
offerta dall’integrazione sovranazionale. Per questo – e qui Beyen mandava a
segno il suo affondo decisivo – il governo olandese – insieme alla Tweede Kamer,
giacché la solidarietà europea si sarebbe conseguita soltanto se al processo di
unificazione avessero partecipato anche i parlamenti nazionali63 - si sarebbe
Ibidem. (... l’integrazione politica senza integrazione economica non ha senso, sicché
l’integrazione politica è altrimenti desiderabile rispetto all’integrazione economica. Inoltre non
solo viene trascurato che l’integrazione militare senza una certa integrazione economica non è
sostenibile, ma anche che l’integrazione economica generale, cioè l’integrazione necessaria per
la conservazione e l’innalzamento degli standard di vita europei, non è praticabile senza una
certa integrazione politica. Un’integrazione politica che non abbia altre ambizioni che rendere
possibile lo sforzo militare coordinato, insieme alla semplice regolamentazione della
produzione e della commercializzazione di alcuni prodotti chiave, porterebbe soltanto ad
ottenere una solidaritetà molto limitata in Europa. L’idea di voler far crescere una desiderabile e
viva coscienza unitaria europea è impraticabile senza una qualche integrazione, per cui si deve
vedere l’integrazione economica, militare e politica come tre aspetti dello stesso problema, che è
quello dell’integrazione europea).
63 “Het verschil met reeds bestaande vormen van samenwerking op andere gebieden ligt op
twee vlakken: a, de samenwerking zal niet uitsluitend een samenwerking tussen Regeringen
62
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
dovuto assumere la responsabilità di promuovere la cessione di sovranità,
lanciando peraltro un chiaro messaggio, sia sul Continente sia al di là
dell’Atlantico, di raggiunta maturità politica.
Più nel concreto, i Paesi Bassi avrebbero dovuto premere sugli altri stati
impegnati nella costruzione della Ceca e della Ced affinché programmassero di
estendere la cooperazione sovranazionale ai terreni economico, sociale e
monetario, gli unici cioè, come si era già dimostrato, in grado di assicurare un
miglioramento dei livelli di vita dei cittadini europei, ovverossia di conseguire
l’obiettivo principale dell’integrazione. E il primo passo in tale direzione
sarebbe stata la riduzione o l’eliminazione degli ostacoli al libero commercio,
cioè, in altre parole, l’unione doganale europea. Il tono del rapporto lasciava
trasparire senza mezzi termini il carattere di urgenza che Beyen attribuiva a tale
misura. Alla lettera:
Het heeft genn zijn energie en tijd te verspillen aan het opheffing van handelsbelemmeringen,
waar deze voor productieverhoging niet noodzakelijk is. 64
Il superamento della divisione tra le economie nazionali, nonché di
conseguenza, l’abbattimento di qualsiasi forma di protezionismo avrebbe
dovuto rappresentare il primissimo impegno sull’agenda delle istituzioni della
Cpe, le quali, in un secondo momento, avrebbero iniziato a programmare
l’armonizzazione delle politiche monetarie e sociali65.
Ora, analizzati i contenuti della prima proposta organica sull’integrazione
europea presentata da Beyen al proprio governo, occorre precisare che i principi
che vi si enunciavano, per quanto in parte mutuati dal modello “Benelux”66,
traducevano in progetti concreti le convinzioni maturate dal ministro olandese
già a partire dagli anni Trenta, vale a dire la consapevolezza che la
sopravvivenza dell’Europa presupponesse necessariamente un certo grado di
zijn, doch ook tussen de parlementen der aangesloten Staten”. (La differenza con le forme già
esistenti di cooperazione su altri terreni si rileva su due livelli: a, la cooperazione non sarà
esclusivamente una cooperazione tra governi, ma anche tra i parlamenti degli stati interessati).
Ibidem.
64 Ibidem. (Non ci sono energie né tempo da perdere. L’eliminazione delle barriere commerciali è
necessaria perché ostacola l’aumento della produttività).
65 Cfr. NL-HaNA, MR 2.02.05.02, inv.nr. 397, Het vraagstuk der Europese Integratie, 24.11.1952, p.
8.
66 Per la precisione, il modello di riferimento di Beyen era la cosiddetta “Convenzione di
Ouchy”, la quale , già nel 1932, aveva previsto una riduzione progressiva dei diritti di dogana e
l’applicazione del regime della nazione più favorita tra l’Unione economica belgolussemburghese (Uebl) e i Paesi Bassi. Spiccatamente vocata alle esportazioni, l’Olanda aderì
all’iniziativa nell’intento sia di sviluppare il proprio commercio, sia di trovare nuovi sbocchi
europei per le sue merci”. Cfr. www.ena.lu
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
unificazione, purché quest’ultima si realizzasse sulla base di esigenze di ordine
pratico, piuttosto che attraverso pur affascinanti sollecitazioni ideali 67. “La lotta
per l’integrazione europea”, affermava ostentando un peculiare pragmatismo
da banchiere ed economista, “è stata tale, fin dall’inizio, perché ha assunto le
sembianze di un conflitto tra differenti linee di pensiero”68. Viceversa,
l’evoluzione della politica nazionale e dei rapporti interstatali, e soprattutto
l’acquisizione del welfare nella sfera delle competenze dei governi, aveva di fatto
obbligato gli stati ad abbandonare le pur seducenti speculazioni intellettuali e
ad impegnarsi in una cooperazione positiva e plausibilmente crescente. Tale
scelta, in effetti, era diventata ineludibile, vista l’impossibilità di risolvere a
livello nazionale le problematiche che si ponevano di fronte ai governi all’avvio
dell’era postbellica: barriere commerciali proibitive, disoccupazione, ostacoli
monetari e guerre, per citarne soltanto alcune. Soltanto un coacervo così
intricato di circostanze e di necessità urgenti, concludeva il ministro, avrebbe
convinto, anzi imposto agli stati la rinuncia alla sovranità. Convinzioni, queste,
che ad ogni modo non facevano di Beyen un discepolo di Mitrany, né, tanto
meno, un seguace di Jean Monnet. Al contrario, come si è visto, il finanziere
olandese riteneva che l’integrazione settoriale fosse troppo limitata per avere
successo nel lungo periodo. La sua pluriennale esperienza di economista,
infatti, lo aveva persuaso che tale modello avrebbe prodotto, come risultato
finale, soltanto una frammentazione delle economie nazionali, anziché un
terreno fertile su cui impiantare quella federazione europea cui aspiravano i
funzionalisti di scuola monnetiana.
Tali considerazioni, è bene precisare, non hanno la pretesa di alludere ad
un possibile coinvolgimento federalista del banchiere appassionato di violino e
di letteratura, tanto più che egli stesso espresse in più occasioni la sua
persuasione che l’Europa federale fosse, di fatto, un’utopia. Volendo
sintetizzare, si potrebbe invece affermare che l’europeismo di Beyen si
configurava come una sorta di “terza via” tra i due approcci, quello federalista e
quello monnetiano, giacché del federalismo accoglieva il principio dell’azione
Cfr. W.H. Weenink, Johan Willem Beyen…, cit., pp. 318-319. A tale proposito, Jan-Willem
Brouwer precisa che fu il periodo trascorso da Beyen a Bali, dove fu chiamato a ricoprire il ruolo
di vice-presidente della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), la stagione senz’altro più
feconda per la maturazione del suo pensiero europeista. Stando allo storico olandese infatti: “Il
vit de près le fonctionnement d’une organisation intergouvernementale lors de la crise
internazionale. La BRI est impuissante devant les obstacles des paiements de dommages de
guerre, devant le fait que le système de l’étalon d’or ne fonctionne plus et surtout devant l’échec
de la coopération internationale”. Cfr. J.-W. Brouwer, “Jan-Willem Beyen, Européen…, cit., p.
261.
68 “De strijd om de Europese integratie is van het begin af een strijd over denkbeelden geweest”.
Cfr. J.W. Beyen, Het spel…, cit., p. 219.
67
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ad ampio respiro e la tendenza a cogliere il momento per accelerare le
trasformazioni, pur rifiutandone l’impianto radicale e il carattere militante;
mentre del funzionalismo apprezzava l’aderenza alla realtà e l’impronta
pragmatica delle soluzioni proposte, pur senza condividerne il gradualismo
esasperato e la ristrettezza di orizzonti propria del settorialismo.
Di là dai tentativi, anche avventurosi, di ricostruire organicamente il
peculiare europeismo di Jan Beyen (che peraltro egli stesso non si premurò mai
di precisare nei presupposti teorici, puntando piuttosto a trasporlo nelle
iniziative concrete che portò avanti come ministro degli Esteri), vale comunque
la pena di sottolineare che le riflessioni sopraesposte costituirono di fatto il
sostrato ideale alla base delle proposte del banchiere olandese per l’Europa
comunitaria. E occorre altresì tener presente che proprio in virtù di quelle idee,
maturate in quasi vent’anni di partecipazione, benché indiretta, al dibattito
sull’integrazione, il ministro “partijloze” riuscì in brevissimo tempo a costruirsi
una visione coerente e puntuale della coeva realtà comunitaria. Riteneva infatti
che, per quanto evocativi, i progetti troppo ambiziosi, con particolare
riferimento al tentativo di unificazione politica, fossero irreversibilmente
destinati a fallire, considerata l’insufficienza delle condizioni sine qua non pressioni esterne e volontà politica - su cui poggiare per garantirne
l’attuazione69. Pertanto, nella certezza che “una strategia politica di successo è
pensiero applicabile alla realtà”70, Beyen elaborava il suo Memorandum
valutando contestualmente sia, in prospettiva, la wenselijkheid, “auspicabilità”
nella traduzione letterale del termine, delle proposte avanzate, sia,
nell’immediato, la loro praticabilità. La sintesi era un Piano per l’integrazione
economica generale, capace al contempo di sollecitare gli appetiti dei governi,
interessati in primo luogo a raggiungere massimi livelli di sviluppo e
produttività, e di introdurre il maggior numero possibile di presupposti su cui
edificare, in un futuro non precisato, una solida unità continentale su basi
sovranazionali71.
Sintetizza efficacemente Anjo G. Harryvan:
“Maar goed beschouwd bestaat in politicis de zgn. Werkelijkheid, die het doorvoeren van
bepaalde ideeën, het verwezenlijken van bepaalde dromen onmogelijk maakt, zelf niet louter
uit feitelijkheden”. Ibidem.
70 “Een successvolle politiek is niet denkbaar, die niet met de werkelijkheid rekening houdt”.
Ibidem.
71 A tal proposito, e a dimostrazione della validità della tesi di Beyen, si consideri Wolters:
“Basically then, Dutch policy-makers built upon the assumption that political integration in
Western Europe would led to, and be subordinate to, economic integration only”. Cfr. M.
Wolters, “Scrutinizing Dutch EC Membership”, in Menno Wolters and Peter Coffey (eds.), The
Netherlands and EC Membership Evaluated, Pinter Publishing, London, 1990, pp. 10-21.
69
30
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This Beyen Plan would remain the official Dutch policy line for a great many years unitl its
political realisation in 1957. 72
Il Piano Beyen al vaglio dei Sei
Ottenuto l’avallo del Ministerraad, l’11 dicembre 1952, lo schema che passò alla
storia come “primo Piano Beyen”, elaborato da un Comitato ad hoc (Advies
Commissie voor de Europese Integratie) istituito in seno al Buitenlandse Zaken e
presieduto dallo stesso Beyen, partiva in forma di Memorandum dalle cancellerie
dei Paesi Bassi per raggiungere i tavoli dei ministeri degli Affari Esteri dei
Cinque. Il testo, come già anticipato, riprendeva i principi fondamentali
dell’impianto concettuale del suo ideatore, con particolare riferimento alla
marcia parallela dell’integrazione economica e dell’integrazione politica,
all’abbandono del metodo settoriale in virtù dell’opzione generale, nonché
all’idea cardine della Dichiarazione Schuman, vale a dire la costruzione
dell’unità continentale attraverso “réalisations concrète créant d’abord une
solidarité de fait”73.
Il destino del Memorandum dipendeva, ora, dall’abilità dei negoziatori
olandesi nel convincere i partner comunitari a stilare il trattato Cpe secondo il
disegno dell’Aja. Anche in questa circostanza, come nelle precedenti trattative,
lo scoglio principale era rappresentato dalla posizione che avrebbe assunto la
Francia. Ad ogni modo, nelle ottimistiche previsioni del Ministerraad, essendo il
Quai d’Orsay il “regno” dell’europeista Schuman, non sarebbe stato difficile
aprire un dialogo con Parigi e giungere ad un accordo sulle proposte elaborate
al Binnenhof.
Nel gennaio 1953, tuttavia, un radicale avvicendamento ai vertici del
ministero degli Esteri francese schierò davanti ai Paesi Bassi un antagonista
imprevisto.
Con l’entrata in funzione del nuovo governo di Parigi, infatti, largamente
rappresentato da gollisti, a sostituire Schuman venne chiamato Georges Bidault,
sensibilmente più tiepido del predecessore quanto a vocazione europeistica. E
tuttavia era stata proprio la maggiore attenzione di Bidault – figura carismatica
della Resistenza francese, nonché fondatore del Movimento repubblicano
popolare (MRP) - per la tutela degli interessi nazionali (tematica riportata in
auge dalla crisi economica che andava imperversando sul territorio transalpino)
rispetto alla cooperazione internazionale, nonché la pronunciata sensibilità
all’idea della grandeur parigina, a convogliare intorno al suo nome la maggior
parte delle preferenze.
72
73
A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence..., cit., pp. 45-46.
Ivi, p. 46.
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Alla luce di questi cambiamenti, le probabilità di successo del Piano Beyen
si assottigliavano vistosamente, giacché si profilava l’ipotesi che Bidault non
soltanto avrebbe ostacolato qualsiasi proposta di avanzamento dell’integrazione
che non avesse ricevuto il preventivo placet parigino, ma tanto più che si
sarebbe scagliato contro un progetto di unione doganale, visto che Parigi, per
contrastare gli effetti della crisi economica di cui sopra, sembrava ormai del
tutto decisa a cedere alla tentazione del protezionismo.
Seconda e terza revisione
Nel tentativo di eludere lo scontro frontale con i transalpini e, contestualmente,
di mettere al sicuro i contenuti del suo Piano da semplicistiche opposizioni di
principio – le quali, stando ai resoconti dei delegati olandesi a Bonn, sarebbero
giunte anche dai tedeschi, intenzionati più che mai a tener saldo l’ancoraggio
alla Francia per non compromettere il buon esito del negoziato sulla Ced74 - il 28
gennaio, Beyen consegnava a Drees una versione ritoccata, ovverossia più
cauta, del Memorandum dell’11 dicembre, la quale, comunemente nota come
“secondo Piano Beyen”75, il 14 febbraio sarebbe stata inoltrata ai ministri dei Sei,
Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, 91 Staatkunde, 913 Multilaterale
betrekkingen, wereldproblemen, 913.1 Europa, 913.10 Algemeen, 16821-16846 Assemblee ad
hoc, ingesteld in september 1952 door de landen van de Europese Gemeenschap voor Kolen en
Staal (EGKS) tot instelling van een Europese Politieke Gemeenschap, 1952 – 1954, inv.nr. 16827
1953 jan., omslag, De Duitse regering en het Nederlandse plan voor Europese economische integratie,
Medio Januari 1953.
75 Il secondo Piano Beyen giungeva alla sua versione definitiva il 14 febbraio 1953. Cfr. J.-W.
Brouwer, “Jan-Willem Beyen..., cit., p. 263. Ricorda in proposito lo stesso Beyen: “Dit
memorandum werd op 14 februari 1953 gevolgd door een brief van de Nederlandse Minister
van Buitenlandse Zaken aan de bovengenoemde Ministers van Buitenlandse Zaken, waarin met
het oog op de voorgenomen Conferentie der Zes Ministers te Rome op 24 en 25 februari d.a.v.
een nadere uiteenzetting werd gegeven van het standpunt van de Nederlandse Regering. In
deze brief, die het algemene standpunt van onze Regering tegenover het vraagstuk der
Europese integratie uitvoerig uiteenzet, wordt voorgesteld: 1. in het formuleren van de
doelstellingen van de Politieke Gemeenschap de schepping van een „gezamenlijke markt”
uitdrukkelijk aan te kondigen; 2. als concrete bijdrage aan de verwezenlijking daarvan een
Douanegemeenschap te vormen; 3. het in het Verdrag opnemen van „Clauses de Sauvegarde”
welke iedere deelnemende Staat kan inroepen, wanneer de opheffing van de
handelsbelemmeringen zou leiden tot „troubles fondamentaux”, voor de toepassing waarvan
wat betreft hun duur en hun karakter de toestemming nodig zou zijn van de Politieke
Gemeenschap; 4. dat als de Gemeenschap deze toestemming weigert, zij moet vaststellen, welke
maatregelen toelaatbaar zouden zijn op grond van de „Clauses de Sauvegarde”, alsook welke
overgangsmaatregelen genomen zouden kunnen worden door de Gemeenschap zelf. Voor de
onder 3 en 4 bedoelde beslissingen is eenstemmigheid niet vereist; 5. dat, wat betreft sectoren
van het economisch leven waar de toepassing van de „Clauses de Sauvegarde” de
verwezenlijking van de Gemeenschappelijke Markt zou beletten, de Gemeenschap voorstellen
moet doen teneinde de noodzakelijkheid van de toepassing der „Clauses de Sauvegarde”
74
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insieme ad una lettera autografa del ministro olandese76, e poi discussa (24-25
febbraio) a Roma, in occasione della riunione del Consiglio dei ministri della
Ceca77.
Nella lettera, in particolare, Beyen ribadiva la necessità di armonizzare il
processo di integrazione politica con quello di integrazione economica, la quale,
a sua volta, avrebbe dovuto essere realizzata a livello generale, anche e
soprattutto nell’intento di giungere ad un’effettiva uniformità dei livelli di
sviluppo delle economie nazionali e di generare, di conseguenza, un sentimento
overbodig te maken, d.w.z. voorstellen om de „troubles fondamentaux” zelve uit de wereld te
helpen. Het karakter dezer voorstellen zou verschillend zijn, naar gelang van de aard der
„troubles fondamentaux” en zij zouden dus niet beperkt behoeven te zijn tot de economische
sectoren waar de „troubles” zich voordeden — ze zouden voorts zowel economisch als
financieel kunnen zijn; 6. teneinde de hier bedoelde voorstellen te financieren of te helpen
financieren zou een Gemeenschappelijk Fonds moeten worden geschapen, ter vorming
waarvan zekere ontvangsten moesten worden gereserveerd, die óf ontvangsten van de
Gemeenschap óf bijdragen (of garanties) van de Leden-Staten konden zijn” (Questo
memorandum fu inviato, il 14 febbraio 1953, attraverso una lettera del ministro degli Esteri
olandese, ai sopracitati ministri degli Esteri, in cui rifacendosi alle proposte della Conferenza
dei Sei ministri, tenutasi nella capiale italiana il 24 e 25 febbraio, offriva un’ulteriore
illustrazione del punto di vista del governo olandese. In questa leggera
76 Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, inv.nr. 16828, Brief van Beyen aan Min.
des Affaires Etrangères, Luxembourg; Min. des Affaires Etrangères, Paris; Min. des Affaires Etrangères,
Bruxelles; Le Président du Conseil des Ministres, Rome; Le Chancelier-Fédéral de la République Fédérale
d’Allemagne, Bonn, La Haye, le 14 février 1953. Cfr. anche “Brief van de Minister van Buitenlandse
Zaken, Mr. J.W. Beyen, op 14 Februari 1953 toegezonden aan de Ministers van Buitenlandse
Zaken van de andere landen, die deel uitmaken van de Europese Gemeenschap voor Kolen en
Staal, betreffende de taak en de bevoegheden van de Europese Gemeenschap op economisch
gebied”, in Ministerie van Buitenlandse Zaken, Jaarboek van het Ministerie van Buitenlandse Zaken,
1952/1953, s.l., 1953, pp. 237-241.
77 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 486, Ontwerp van een memorandum bestemd voor de
regeringen, 28.1.1953. In particolare, Beyen, preso atto delle resistenze dei governi ad accettare
un ampliamento delle competenze degli organi sovranazionali, proponeva di limitare gli
obiettivi della nascente Cpe ad alcuni passi concreti in direzione della “fusion des intérêts
essentiels des Etats membres”. In tale contesto, la prima tappa sarebbe stata la creazione
graduale di un mercato comune, a partire cioè dalla soppressione delle barriere doganali interne
e dall’introduzione di una tariffa esterna comune. Tali disposizioni sarebbero state precisate nei
contenuti e nel calendario da una commissione di studio sovranazionale per l’Unione doganale
europea. A garanzia degli stati che, a seguito dell’applicazione di questa tariffa, si fossero
trovati a confrontarsi con “Troubles Fondamentaux”, Beyen prevedeva di introdurre sia una
clausola di salvaguardia, sia di misure transitorie, sia di un fondo di garanzia. La possibilità di
uno stato di avvalersi di tali misure straordinarie, ad ogni modo, sarebbe stata decisa
collettivamente dagli altri partner senza ricorrere a votazioni all’unanimità. Cfr. anche J.W.
Beyen, Het spel en de knikkers..., cit., pp. 227-229.
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“de solidairté réelle qu’éprouvent les peuples de l’Europe occidentale”78. Peraltro,
precisava Beyen, anche in caso di pieno successo del metodo settoriale, il
risultato non sarebbe andato oltre “alcune forme di cartellizzazione” che
avrebbero inficiato la crescita degli altri settori. In conclusione, l’economista
olandese esortava i Sei a mettere a punto un trattato Cpe che prospettasse
“expressément la création d’un marché commun”79 dell’Europa occidentale, con
particolare riferimento al primo obiettivo da conseguire in tale direzione, vale a
dire la “constitution d’une Communauté Tarifaire”80. Il trattato avrebbe inoltre
dovuto prevedere l’introduzione di alcune “clauses de sauvegarde” di cui si
potessero avvalere quei paesi che si fossero trovati di fronte a “troubles
fondamentaux” a seguito dell’introduzione delle nuove disposizioni. Quanto alle
competenze delle istituzioni sovranazionali, Beyen non ignorava certo le
resistenze, prima di tutto psicologiche, degli stati, dello stesso governo dell’Aja,
alla prospettiva di devolvere interamente agli organi comuni la responsabilità
di dare attuazione all’unificazione economica e tariffaria. Pertanto, si era
premurato di rassicurare preventivamente gli animi conferendo all’esecutivo di
Bruxelles soltanto alcune funzioni essenziali: la competenza di verificare
l’esistenza concreta dei requisiti per l’applicazione della clausola di
salvaguardia, nonché la sua forma e la sua durata; la facoltà di presentare
proposte per la soluzione dei problemi strutturali (schemi di riorganizzazione
dei singoli settori economici e di modernizzazione dei metodi di produzione).
Per l’insieme di queste decisioni, prescriveva Beyen, “l’unanimité ne sera pas
requise”, mentre gli stati che avessero voluto presentare ricorso contro una
decisione della Comunità si sarebbero dovuti rivolgere a “un collège indépendant,
tel que la Cour”81. Le misure proposte dagli organi sovranazionali - le quali, in
alcuni casi, avrebbero presumibilmente comportato degli impegni finanziari sarebbero state parzialmente finanziate con risorse comuni, cioè attraverso un
Fondo ad hoc, “c’est-à-dire que certaines recettes devraient être réservées à cette
effet”82. Infine, in netto anticipo sui tempi - cosa che confermava la lucidità
dell’analisi politico-economica del banchiere olandese, il quale tentava altresì
una parziale riconciliazione con il “nemico” transalpino – Beyen suggeriva di
Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, inv.nr. 16828, Brief van Beyen aan Min.
des Affaires Etrangères, Luxembourg..., cit., p. 2.
79 Ivi, p. 5.
80 Ibidem. Sulla Comunità Tariffaria precisava la lettera: “La décision de créer une Communauté
Tarifaire devrait se traduire par l’élaboration de dispositions à inclure dans le Traité. Ces
dispositions devraient stipuler la période au cours de laquelle la Communauté Tarifaire devrait
être réalisée et l’automatisme devant assurer sa constitution pendant la période ainsi
déterminée”.
81 Ivi, p. 6.
82 Ivi, p. 7.
78
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prevedere la creazione di una “communauté spécialisée” nei settori economici di
particolare rilevanza, o nei quali più evidenti emergevano le disparità di
sviluppo tra gli stati membri, primo fra tutti l’agricoltura83.
L’introduzione di tali misure, precisava la lettera, avrebbe
necessariamente comportato il rafforzamento del carattere sovranazionale della
nascente Cpe. L’invito ai governi era del tutto esplicito in questo senso:
Le Gouvernement de la Reine ne partage l’opinion qu’il serait possible de réaliser une prèmiere
Communauté Politique dont les attributions seraient limite aux domaines déjà intégrés, et cela
dans l’espoir que les organes d’une telle communauté parviendraient à acquérir par eux-même
l’autorité nécessaire à l’exptension graduelle du domaine dans lequel elle exercerait sa
compétence. Cet espoir ne semble guère justifiée, car l’extension de l’autorité politique des
organes précités serait influencée très défavorablement par le fait que les responsabilités
auraient été intentionnellement refusées à la Communauté Politique, précisément dans les
domaines où elle devrait acquérir son autorité. Mais en outre, selon l’opinion du Gouvernement
de la Reine, cette manière de voir ne tient pas suffisamment compte des incertitudes et des
conflits qui pourraient surgir et qui surgiront nécessairement entre les organes nationaux et les
organes européens lorsque ces derniers prétendraient exercer leur autorité dans les domaines
qu’ils ne peuvent, il est vrai, éviter, mais à l’égard desquels les organes nationaux sont
exclusivement responsables. Loin de favoriser le renforcement et l’élargissement de la
Communauté Politique, la réalisation de cette conception reviendrait à l’introduire le germe de
la désagrégation au sein de la nouvelle communauté et consisterait pour le moins à retarder son
élargissement désiré et nécessaire, contrairement à l’intérét bien compris des peuples
européens..84
Chiamato ad esporre il Memorandum al successivo incontro dei sei
ministri, a Strasburgo, Beyen, benché avesse già ricevuto aperte manifestazioni
di interesse sia da Roma che dai partner del Benelux85, realizzò che le sue pur
NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, inv.nr. 16828, Brief van Beyen aan Min. des
Affaires Etrangères, Luxembourg..., cit., p. 8. Su quest’ultimo aspetta osserva Anjo G. Harryvan:
“For agricolture and other sectors, where the impact and repercussions of integration would be
considerable, the system of safety clauses threatened to halt alla progress. Therefore, special
measures had to be taken for these sectors, such as the establishment of a specialized authority
and the creation of a common fund”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 49.
84 Ivi, pp. 2-3.
85 “1. - La Belgique peut se rallier au principe que les Etats portent une responsabilité commune
à l'égard des perturbations temporaires dans l'économie nationale qui se produiront à mesure
que l’intégration évolue. 2. - L'union douanière réclamée par les Néerlandais semble devoir être
plus une conséquence de l'intégration économique souhaitée qu'un moyen d'y arriver. 3. - La
Belgique a intérêt à ce que l'intégration économique s'étende au nombre le plus grand possible
de pays, 4. - la Belgique a intérêt à ce que l'intégration économique se développe dans d'autres
secteurs que ceux du charbon et de l'acier tout en utilisant les institutions non techniques
existantes et en réservant sa position quant aux pouvoirs à donner à l’organe exécutif qui serait
appelé à diriger la ou les autres communautés qui seraient instituées dans l'avenir.”. Cfr.
Considérations d'ordre économique sur le Mémorandum Néerlandais relatif a la création d'une
83
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ponderate precauzioni non erano riuscite a produrre gli effetti sperati. Bidault,
infatti, esordì dichiarando expressis verbis che non avrebbe mai accettato di far
coesistere gli aspetti politici ed economici dell’integrazione nel trattato per la
Cpe, stroncando così alla radice qualsiasi possibilità di dialogo a Sei sui dettagli
del Memorandum dell’Aja86. In effetti, il ministro francese era ben consapevole
delle reazioni che una sua così decisa opposizione avrebbe suscitato negli altri
quattro capi dicastero. Adenauer per primo, pur avendo espresso
informalmente giudizi più che positivi sulle proposte di Beyen, prese a
mostrare un improvviso scetticismo. Non che la cosa venisse accolta con
stupore dagli olandesi. Al contrario, come accennato, era ormai risaputo che, al
momento, il Cancelliere ambiva soprattutto al buon esito della ratifica del
trattato Ced, al quale riteneva fosse interamente vincolata la riconferma del
proprio mandato nazionale87. Un obiettivo che, tutto sommato, anche nell’ottica
del grande “padre” dell’Europa, valeva pur bene il sacrificio delle virtualità del
Piano Beyen all’ingiustificata tracotanza parigina.
A giungere inaspettato, di contro, fu il dissenso più e meno velato degli
altri partner88, soprattutto di Belgio e Lussemburgo. Sottesa a tali opposizioni,
Communauté
Politique
Européenne,
Bruxelles,
le
12
février
1953,
http://www.inghist.nl/pdf/europa/G01532.pdf
86 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, 351.88(4) 32.2 Europese Politieke Gemeenschap (EPG),
2680-2681: Stukken betreffende de voorbereiding op, de deelname aan en de verslaggeving over
de ministersconferenties inzake de vorming van de EPG. 2680 1952-1953; inv.nr 2680, Verslag
van de werkzaamheden der Commission Constitutionelle en de Subcommissie, I, II en IV in de periode 5
t/m 12 Februari 1955. In particolare, nel rapporto sulla “integrazione politica europea” inviato da
Beyen e Luns a Drees i due ministri avrebbero precisato: “Van Franse zijde is tegen uitbreiding
van het competentieveld der E.P.G. op economisch terrein scherp stelling genomen”. (Da parte
francese è stata contrapposta una resistenza tagliente all’ampliamento delle competenze della
Cpe al terreno economico). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 486, Europese Politieke
Gemeenschap, 5 Februari 1953, p. 4. Avrebbe commentato Beyen in proposito: “Spreker vestigt
vervolgens nog de aandacht op de wijziging in de houding van de Franse Regering ten aanzien
van de gedachte van de Europese Gemeenschap. Terwijl het vóór de conferentie in Rome leek,
dat Frankrijk veel prijs stelde op een vorm van politieke integratie, krijgt men thans de indruk,
dat Bidault hier niet veel meer voor voelt”. (Il relatore segnala il cambiamento di atteggiamento
del governo francese rispetto all’idea di Comunità europea. Mentre prima della conferenza di
Roma sembrava che la Francia tenesse in grande considerazione l’integrazione politica, si ha
invece adesso l’impressione che Bidault non ha intenzione di andare avanti). Cfr. NL-HaNA,
MR, 2.02.05.02, inv.nr. 398, Notulen van de vergadering gehouden op Maandag 16 Maart 1953, in de
zaal van Justitie, aangevangen des morgens te 11 uur en des middags voortgezet, dd. 16.3.1953.
87 A spaventare Adenauer, in particolare, era l’ipotesi che, in caso di fallimento della Ced, il
fronte antieuropeista tedesco, capeggiato dai socialisti, guadagnasse consensi nell’elettorato.
Cfr. R.T. Griffiths, “The Beyen Plan”, cit., p. 171.
88 Soltanto De Gasperi si dichiarò sostanzialmente d’accordo con il Memorandum olandese.
Stando al verbale della riunione, infatti: “M. DE GASPERI est convaincu que l’aboutissement de
la Communauté Politique est lié à la ratification de la Communauté de Défense cela ne doit pas
36
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
riferiva il funzionario degli Esteri Jan Kymmell al suo omologo Enrst H. van der
Beugel, era la reticenza dei due governi ad assumersi degli obblighi precisi, in
primo luogo la costruzione di una unione doganale, da realizzare peraltro in
tempi brevi89. A conferma di ciò, si prenda in considerazione quanto dichiarato
da Paul van Zeeland, il ministro degli Esteri belga, alla seduta del Consiglio dei
ministri del 9 marzo: “en allant trop vite, on risque de mettre en danger la
construction de l’Europe”. E il lussemburghese Joseph Bech, nella stessa
occasione, non aveva esitato ad esprimere la propria solidarietà all’omologo
belga90.
Un’apparente, totale, disfatta per i Paesi Bassi. Eppure, il Piano Beyen non
sembrava destinato ad abbandonare definitivamente il tavolo delle discussioni
comunitarie. Tutt’altro. Due eventi subentrarono, inattesi, a cambiare il corso
della storia dell’integrazione e ad indirizzarla, involontariamente e in breve
tempo, nella direzione auspicata dall’Aja: l’esito della consultazione elettorale
in Italia e nella Repubblica federale tedesca e la nuova crisi di governo in
Francia. Le mutate condizioni politiche all’interno dei“Big Three”, infatti,
avrebbero incoraggiato il ministro olandese a ridiscutere le proprie idee al
Binnenhof e a rilanciarle, in una forma ancor più concreta e precisata, al
successivo incontro dei Sei.
empêcher les six Ministres de mener parallèlement les travaux pour arrêter leurs positions
respectives dans le domaine de la Communauté Politique. Il appartient aux gouvernement de
prendre, dans le cadre de leurs responsabilités, des décisions politiques précises au sujet du
travail de l'Assemblée ad Hoc qu'ils avaient chargée d'élaborer in projet de Traité. Les questions
plus techniques, pour l'étude desquelles il faudra plus de temps, pourront être examinées
ultérieurement. Il faut que M. le Président soit en mesure de dire dès maintenant au Président
de l'Assemblée ad Hoc que les gouvernements convoqueront une Conférence
intergouvernementale pour examiner le projet déposé par les parlementaires. Cette déclaration
montrera que l'action pour réaliser la Communauté Politique n'est pas interrompue et que les
gouvernements prennent l'affaire en main. Il faudra fixer la date pour la prochaine réunion des
six Ministres cette réunion ne serait pas la réunion définitive mais elle permettrait aux Ministres
d'échanger leurs réflexions à la suite des études qui auront été menées dans l'intervalle. Quant à
la proposition de M. Beijen, M. de Gasperi est d'accord sur le but qu'elle veut atteindre. Il pense
que le Secrétariat devrait être chargé de ce travail. M. de Gasperi résume ses propositions en
demandant de fixer une date pour la prochaine réunion des Ministres, de confier au Secrétariat
du Conseil de Ministres le travail demandé par M. Beijen. De plus en ce qui concerne les
rapports avec l'Assemblée ad Hoc, il est d'avis qu'il ne faudrait pas parler d'association mais de
consultation ou d'échanges de vues”. Cfr. http://www.inghist.nl/pdf/europa/G01203.pdf
89 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, 351.88(4), 31.1 Adviescommissie voor de Europese
Integratie, inv.nr. 2676 Stukken betreffende de werkzaamheden van de Ad Hoc Commissie tot
voorbereiding en instelling van de Staatscommissie tot bestudering van vraagstukken betreffende de
Europese integratie 1952 – 1954; Memorandum van Dr. J. Kymmell aan Drs E.H. van der Beugel, 10
Maart 1953.
90 Cfr. Cfr. http://www.inghist.nl/pdf/europa/G01203.pdf
37
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Nel frattempo, all’Aja il dibattito politico intorno alla questione della Cpe
era andato progressivamente infuocandosi. Il Primo ministro infatti, il quale,
come si è visto, non aveva mai fatto mistero della propria ostilità all’idea di
unificazione politica europea, cominciò a calcare l’accento sulle scarsissime
probabilità di tenuta di un edificio tanto artificiosamente costruito. Più
precisamente, Drees sosteneva che, seppure i Sei avessero trovato un accordo di
fondo intorno al quale redigere il trattato per la Cpe, la profonda instabilità
politica di alcuni paesi, soprattutto della Francia e dell’Italia, in cui era forte e
influente la presenza comunista, avrebbe reso intrinsecamente fragile qualsiasi
struttura si fosse deciso di plasmare. Senza contare, peraltro, la prospettiva più
inquietante per i piccoli stati, cioè il progressivo rafforzamento della solidarietà
franco-tedesca a seguito della nascita della nuova Comunità – accordo che
sarebbe stato cementato dalla condivisione extra omnes, tra Parigi e Bonn,
dell’aspirazione all’unità continentale - a danno degli altri partner91. I quali,
oltretutto, anziché rinserrare le linee e rivendicare compatti le proprie istanze,
prima fra tutte la priorità dell’integrazione economica su quella politica,
continuavano a perdere tempo in sterili, reciproci alterchi, dettati più
dall’incertezza sulle posizioni da prendere che da reali divergenze di
prospettiva92. Beyen, appoggiato da Mansholt, replicò stizzito che il Primo
ministro mostrava un’assoluta mancanza di coerenza. Se infatti il governo
olandese riteneva che l’integrazione sovranazionale, intesa nella sua peculiare
caratterizzazione progressiva, non avesse avuto, in ultima analisi, alcuna
possibilità di successo, non soltanto non avrebbe dovuto proporre piani per
l’approfondimento della cooperazione economica, ma, a fortiori, fin dall’inizio,
si sarebbe dovuto indirizzare verso un cammino alternativo, per esempio
puntando al rafforzamento della propria posizione all’interno dell’Oece. “Nel
momento in cui si opera una scelta” - concludeva il ministro europeista – “se ne
devono accettare tutte le conseguenze”93. Le affermazioni di Beyen fecero
Cfr. “Deze gemeenschap zal niet evenwichtig zijn en worden gevormd voor een belangrijk
deel uit politiek onstabiele staten (Frankrijk, Italië) met sterke communistische bewegingen. Het
aantal staten is te klein, waardoor het waarschijnlijk wordt, dat het een samenspel tussen
Frankrijk en Duitsland wordt, zoals de KSG reeds te zien heeft gegeven, terwijl de wezenlijke
wil tot eenheid in de meeste landen ontbreekt.” (Questa Comunità non sarà in equilibrio e sarà
formata in massima parte da stati instabili politicamente (Francia, Italia) con forti movimenti
comunisti. Il numero di stati è troppo piccolo, per cui accadrà verosimilmente che si creerà un
maggiore affiatamento tra Francia e Germania, come si è già potuto vedere nell’ambito della
Ceca, mentre la maggior parte degli altri paesi non condividono la stessa aspirazione all’unità).
NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 398, Notulen van de vergadering gehouden op Woensdag 29 April
1953, in 'de zaal van Justitie, aangevangen des morgens te 10 uur, pp. 2-3.
92 Ibidem.
93 “Minister Beyen is van oordeel, dat als de Regering zich op het standpunt stelt, dat er nooit
iets van deze samenwerking zal komen, men zich dan van het begin af anders er tegen over had
91
38
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
breccia nell’assemblea. Drees, infatti, acconsentì a procedere sulla linea indicata
dal Memorandum, non mancando però di ribadire il proprio personale
scetticismo circa le sue possibilità di successo presso gli altri governi 94. Infine,
tuonava il Primo ministro, qualora i Paesi Bassi fossero stati obbligati a firmare
il trattato Cpe, cioè a ritrovarsi costretti in una struttura istituzionale articolata e
vincolante, senza ottenere benefici di sorta nella sfera economica, anche
l’accordo in seno al Ministerraad sulle scelte di politica europea apparentemente acquisito e incontestabile - sarebbe senz’altro venuto meno,
creando non pochi problemi di stabilità interna95.
Ad ogni modo, di là dalle tensioni al Binnenhof, di là dagli accessi polemici
stemperati puntualmente dalle manifestazioni di stima all’indirizzo di Beyen, il
5 maggio 1953, il ministro “bankier van de wereld”96 (banchiere del mondo), dopo
aver chiesto e ottenuto l’approvazione del Consiglio dei ministri a prendere
autonomamente l’iniziativa97, inviava all’attenzione degli omologhi della Ceca
moeten stellen. De Regering heeft echter enkele memoranda over deze zaak aan de andere vijf
regeringen gezonden. Spreker heeft de onmogelijkheid gezien om verder dan een zekere grens
te komen, als er alleen maar samenwerking tussen regeringen is. Men zal zich niet moten laten
verblinden door het succes van de liberalisatie in de OEEC. Als men een grotere samenwerking
in Europa mogelijk acht, zal men moeten nagaan welke gevolgen dit zal kunnen hebben” (Il
ministro Beyen ritiene che se il governo avesse pensato che questo tipo di cooperazione non
avrebbe avuto alcuna possibilità di successo, si sarebbe dovuto porre fin dall’inizio in posizione
alternativa e contrastante. Il governo, invece, ha inviato alcuni memoranda su questo tema agli
altri cinque governi. Il relatore ha visto l’impossibilità di andare oltre un certo limite, se c’è
soltanto una cooperazione tra governi. Non ci si deve lasciar accecare dal successo della
liberalizzazione nell’ambito dell’Oece. Se si ritiene possibile una maggiore cooperazione in
Europa si dovrà anche tener conto delle conseguenze che questa potrà avere). Ivi, p. 4. A tale
proposito, occorre precisare, anche sulla base della testimonianza di Charles Rutten, che la
posizione di Beyen all’interno del Ministerraad era spesso scomoda e impopolare. Gli stessi
ministri Mansholt e Zijlstra, solitamente solidali con il banchiere europeista, nei momenti di
maggiore tensione finivano per rifluire su orientamenti più cauti, lasciando Beyen nel più totale
isolamento. Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT656…, cit., pp. 6-8.
94 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 398, Notulen van de vergadering..., cit., p. 6.
95 Ibidem.
96 L’espressione è mutuata dal titolo del volume a cura di W.H. Weenink, Johan Willem Beyen…,
cit.
97 Del fatto che Beyen avesse agito in piena indipendenza è testimonianza la relazione “geheim”
(segreta) che il Segretario della Commissione consultiva per l’integrazione europea inviò agli
altri membri della medesima Commissione il 4 maggio 1953: “Hiernevens wordt U aangeboden
het concept voor het aan de andere regeringen te zenden memorandum inzake de economische
taak en bevoegdheden ener Europese Gemeenschap. Gaarne zal zo spoedig mogelijk worden
vernomen of uw Minister met de inhoud van dit concept, hetwelk niet in de Ministerraad zal
worden behandeld, accoord gaat” (Viene di seguito presentata l’idea di inviare un
memorandum agli altri governi sulle questioni economiche e le competenze della Comunità
europea. Si prega di far conoscere il più presto possibile se il ministro è d’accordo con questa
39
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
un nuovo Memorandum, accompagnato anche questa volta da una lettera scritta
di proprio pugno, “in cui veniva presentato un resoconto più dettagliato delle
proposte olandesi in campo economico”98.
In questo nuovo documento, noto come “terzo Piano Beyen”, il pervicace
ministro dell’Aja tornava ad insistere sulla necessità di offrire garanzie
sufficienti, in termini di attribuzione delle competenze, affinché la nuova
Comunità potesse realizzare “d’une façon efficace et avec l’élan nécessaire”
l’importantissima missione affidatale, vale a dire la costruzione del mercato
comune europeo99. L’invito che il governo olandese rivolgeva ai suoi partner
comunitari era pertanto quello di “envisager des mesures concrete pour atteindre les
buts envisagés”, cioè, in altre parole, di costruire la comunità doganale, la quale
avrebbe consentito “d’emblée” sia di abolire le retrizioni tariffarie, sia di
formulare un metodo attraverso cui superare le difficoltà emergenti in itinere 100.
L’impianto del nuovo Memorandum ricalcava essenzialmente quello delle
due precedenti versioni, già presentate e discusse dai ministri dei Sei. Gli
approfondimenti riguardavano per lo più il sistema di clausole di salvaguardia
e il fondo europeo. Quanto al primo aspetto, recitava il documento:
Comme le Gouvernement néerlandais l’a expliqué dans ses mémorandums, un système de
clauses de sauvegarde sera nécessaire. Si à l’appréciation de la Communauté un pays peut
prouver de façon satisfaisante dans un rapport circonstancié qu’une partie de sa vie industrielle
ou sociale est menacée de trouble fondamentaux et persistants, il peut demander l’ajournement
des mesures libèratrices, à condition qu’il présente un plan de modernisation ou de transition.
La Communauté décide. Dans le cas où elle refuse la demande, ou bien si un accord n’est pas
réalisable sur un plan modifié, le pays intéressé a recours à la Cour. 101
Sul fondo europeo, viceversa:
Les mémorandums ainsi que le Projet de Traité prévoient un Fonds européen. Ce Fonds sera à
la disposition de la Communauté qui peut en faire usage pour financer les plans de
modernisation ou de transition qu’un ou plusieurs pays peuvent proposer dans les cas prévus à
l’alinéa précédent. Il conviendrait de stipuler que le Fonds ne fournirait jamais plus de 50% du
financement. Le Fonds servira donc uniquement à faciliter l’adaptation aux conditions du
marché commun. Il devrait être administré séparément des fond généraux, quoi qu’il devrait
idea, che non verrà discussa nel Consiglio dei ministri). Cfr. NL-HaNA, Concept-memorandum
inz.
Economiche
taak
en
bevoegdheden
Europese
Gemeenschap,
http://www.inghist.nl/pdf/europa/G01237.pdf
98 “waarin een nadere uiteenzetting is gegeven van de Nederlandse voorstellen op economisch
gebied”. Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1 1945-1954, inv.nr. 16834 1953 mei,
Nederlandse voorstellen betreffende de economische bevoegdheden van een Europese Gemeenschap, 7
maggio 1953.
99 Ivi, Lettera di Beyen ai ministri degli Esteri della Ceca, p. 1
100 Ivi, p. 2.
101 Ivi, p. 6.
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Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
évidemment figurer au budget de la Communauté. Le Gouvernement néerlandais estime que le
Fonds devrait opérer dés le début, tout d’abord parce que la nécessité d’un tel fonds pourrait
bien se manifester d’emblée et ensuite parce que l’opération en commun de ce moyen technique
pourra contribuer à renfonrcer la solidarité économique entre les pays participants. 102
Tali precisazioni, presumibilmente, erano finalizzate a infondere nei
governi la consapevolezza della responsabilità comune per il bene comune, il
quale, almeno sul momento, era rappresentato dalla costruzione di un nuovo
assetto economico europeo, improntato alla modernizzazione e finalizzato a
creare le condizioni per l’implementazione di una “coopération internazionale sur
le terrain de l’économie mondiale”103. Per raggiungere tale obiettivo, tuttavia, che sottolineava accortamente Beyen - aveva il carattere più della necessità che della
pur condivisibile tensione ideale al rapido approfondimento dell’integrazione,
la conditio sine qua non sarebbe stata l’abbandono definitivo dell’approccio
settoriale. Argomentava il Memorandum:
Le Projet de Traité ne s’occupe pas des divers secteurs de la production. La question si
l’intégration économique doit se réaliser par secteurs ou non a été beaucoup discutée ces
dernières années. La Communauté du Charbon et de l’Acier est une intégration par secteur. La
constitution de cette communauté est, en soi, un résultat important vers l’intégration
économique de l’Europe. Toutefois, on est amené à se rendre compte que chaque secteur
particulier est très intimement lié à tous les autres secteurs. Les différentes études et les
discussions au sujet de l’intégration d’autres secteurs de la production ont d’ailleurs démontré
que l’intégration par secteurs, c'est-à-dire l’intégration fonctionnelle, risque de mener à des
arrangements purement commerciaux sur la base d’un status quo souvent périmé, parfois au
détriment d’autre interêts économiques. De tels arrangements iront à l’encontre de l’effort de
moderniser la structure économique de l’Europe. Il en pourra résulter qu’on immobilise ce qui
devrait être mis en marche. D’autre part il peut être utile, en entamant le problème des droits
d’entrée et des autres restrictions, de distinguer entre quelques groupes importants, comme par
example les matières premières, les demi-produits et les produits finis. De même, la solution
des ˝troubles fondamentaux et persistants˝ pourrait dans certains cas nécessiter un traitement
spécial dans l’un ou l’autre secteur. Il va sans dire, qu’une coopération intime dans le cadre de
secteurs spéciaux, sera souhaitable. Ce qu’il faut éviter cependant, c’est de tâcher d’affaiblir les
répercussions qui s’établiront dans un secteur spécial uniquement par des mesures limitées à ce
secteur. C’est pour cette raison que, quoiqu’il y aura lieu sans doute, d’ériger des institutions de
coopération dans des secteur spéciaux, il faudra éviter de créer d’autres ˝Hautes Autorités˝
investies de pouvoirs publics, dans des secteurs de la production en dehors du secteur du
Charbon et de l’Acier. Pour cette même raison le Fonds mentionné sous l’alinéa il devra être un
Fond général de la Communauté. 104
L’esperienza dell’Alta Autorità, come pure dell’invenzione monnetiana,
doveva pertanto ritenersi conclusa, avendo esaurito la sua funzione principale,
Ibidem.
Ivi, p. 7.
104 Ivi, p. 8.
102
103
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e certo importantissima, che era quella di veicolare l’Europa verso
un’integrazione economica generale. Il nuovo esecutivo, viceversa, dovendo
assolvere un compito senz’altro più delicato e cruciale, quale quello della tutela
e della promozione dell’interesse comune in campo economico, nonché, sotto il
profilo politico, dell’irrobustimento definitivo della solidarietà e dell’unità
europea, avrebbe dovuto possedere uno spessore più elevato e riconoscibile
rispetto al suo pur apprezzabile prototipo. Il che, in altre parole, stava a
significare che l’esecutivo della Cpe avrebbe dovuto compiere il tanto atteso
salto qualitativo in direzione della sovranazionalità, divenendo cioè
responsabile non più soltanto davanti ai governi degli stati, ma anche e
soprattutto dinnanzi ad un parlamento sovranazionale105.
Passando alle innovazioni introdotte dal Memorandum del 5 maggio,
occorre in primo luogo ricordare l’invito aperto a costruire un’unione doganale
generale. Sottolinea in proposito Anjo G. Harryvan:
Although the tariff community was still mainteined as a first aim, it was now completely linked
to the abolition of quantitative restrictions on trade between the member countries, coordination of their foreign, trade policies with regard to third countries and the creation of a
common external tariff. The timetable to be written into the Treaty would have to deal with the
abolition within a certain period of time for both tariff and quota. 106
In piena sintonia con gli interessi primari del governo olandese, la
proposta di Beyen mirava quindi a impedire che i Sei, la Francia soprattutto,
risolvessero di innalzare barriere commerciali di altra natura (ad esempio
restrizioni quantitative) per proteggere le proprie economie dagli effetti
negativi della comunità tariffaria, questi ultimi essendo ad essa inevitabilmente
connessi, almeno nella fase iniziale. Tale comunità, viceversa, sarebbe stata
realizzata mediante un accordo ad interim tra i governi finalizzato alla
formazione di un’unione doganale, la quale, a sua volta, avrebbe rappresentato
una tappa fondamentale per il raggiungimento del fine ultimo
dell’integrazione, vale a dire “un marché commun fondé sur la libre circultarion des
marchandises, des capitaux et des personnes”107. Dato il carattere progressivo e
stringente degli obiettivi da conseguire, peraltro, Beyen sottolineava che il
trattato avrebbe dovuto indicare con precisione il calendario per la
realizzazione del mercato comune, il quale sarebbe stato predisposto dal
“Conseil Exécutif” della Comunità “sur avis conforme du Conseil des Ministres” e
“soumis à l’approbation du parlement européen”108.
Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 228.
Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 53.
107 Lettera di Beyen ai ministri degli Esteri della Ceca, cit., p. 4.
108 Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1 (1945-1954), inv.nr 16834, Projet de dispositions
économique du Traité portant Statut de la Communauté Européenne, p.2.
105
106
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Ulteriore novità, infine, era l’accento che il Memorandum poneva sulla
necessità di coordinamento delle politiche dei Sei, con particolare riferimento
alla “politique commerciale coordonnée des Etats membres dans leur relations avec les
pays tiers”109. Tale armonizzazione, tuttavia, come ha rilevato anche Anjo G.
Harryvan, non era intesa nel senso di un’uniformità, ma piuttosto di un
livellamento dei costi di produzione110.
In sintesi, nella sua formulazione definitiva, il Piano Beyen combinava gli
obiettivi essenziali della politica europea, economica e commerciale dell’Aja con
la prospettiva pragmatica dell’integrazione propria del ministro degli Esteri
olandese. Ragion per cui, nella pratica, nel Memorandum si trovavano a
coesistere, peraltro organizzati in una sorta di bozza di trattato, cioè ripartiti per
articoli, sia i riferimenti all’abbandono del metodo settoriale e
all’approfondimento del carattere sovranazionale della nuova Comunità – che
erano elementi distintivi della riflessione beyeniana sull’integrazione europea –
sia la prospettiva di armonizzazione dei costi di produzione, nonché il
coordinamento delle politiche commerciali nei rapporti con i paesi terzi e la
spinta alla liberalizzazione che rappresentavano i cardini della vocazione
olandese a guadagnare e mantenere una posizione competitiva sul mercato
mondiale.
Era naturale, pertanto, che il Ministerraad si ritrovasse a dover accogliere
pressoché nella sua totalità, e nonostante i malumori del solito Drees111, la
strategia di politica europea sapientemente messa a punto da Beyen. La
questione che si sarebbe posta nel prossimo futuro, diversamente, come lo
stesso ministro avrebbe rilevato, quella di far convergere le istanze dell’Aja con
gli orientamenti dei partner comunitari.
Ibidem.
Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 54.
111 Riferisce, in proposito, Anjo G. Harryvan: “… as the Prime Minister Drees pointed out, it [the
proposed system, ndr.] still did not contain a watertight guarantee that such a custom union
would in fact materialize. Therefore, it was to be feared, he commented, that it would be
impossible to realise the tariff and quotas elimination programme. The point was that because
of the opposition to economic integration scheme in the various countries, a majority for any
integration scheme in the European Parliament seemed implausible. Essential, therefore, was a
clause, which would automatically lead to the extinction of all internal Western European tariffs
and quantitative restrictions, had the customs union come into being after a period of for
instance 5 or 10 years subsequent to the signing of the Treaty. Also, in view of this opposition to
economic integration, the Dutch would need to have certainty on their economic issues in
general before acquiescing to the resolution of the institutional problems”. Cfr. A.G. Harryvan,
In Pursuit of Influence…, cit., pp. 55-56.
109
110
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Un naufragio annunciato: la Ced/Cpe, il Piano Beyen e il “non” di Parigi
Il fatto che il governo dei Paesi Bassi avesse sostenuto l’iniziativa di Beyen stava
ad indicare che, nei tre anni intercorsi dall’iniziale adesione al progetto
comunitario, le posizioni del Binnenhof in politica europea erano rimaste
sostanzialmente immutate. Ma se, in tal modo, l’Olanda offriva di sé, agli altri
membri della Ceca, un’immagine solida e coerente, l’Aja si trovava comunque a
confrontarsi con un panorama articolato e disomogeneo, giacché, a Bruxelles, le
discussioni sulla Ced e sulla Cpe si svolgevano all’insegna dell’incertezza di
prospettive e della minaccia crescente del riflusso nazionalistico e
protezionistico.
Tra il settembre e l’ottobre del 1953, in particolare, le sedute delle
Commissioni incaricate di discutere del trattato Ced/Cpe, che impegnarono i
delegati dei Sei per ben due settimane consecutive, a Roma e a Parigi, si
risolsero in un fiasco assoluto. Germania, Italia e belgo-lussemburghesi, che
pure condividevano i principi enunciati nel Piano Beyen, non vollero
compromettere ulteriormente il già traballante esito della Cpe e sostennero
Parigi nel predicare l’esclusione dal trattato di qualsiasi riferimento
all’integrazione economica. Sul versante opposto, gli olandesi, Beyen
capogruppo, continuarono ad irrigidirsi sulle loro posizioni, ben sapendo che
queste ultime rappresentavano la sola via praticabile per evitare la fuoriuscita
dei Paesi Bassi dalla Comunità112.
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 495, Lettera di Beyen e Luns a Drees, Resultaten van de
conferentie van Rome, betreffende de Europese Gemeenschap, 23 October 1953. Stando peraltro a
quanto dichiarato da Beyen al Ministerraad del 26 ottobre 1953: “... is het wel duidelijk, dat onze
tactiek in Rome juist is geweest, aangezien tegenover eventuele concessies onzerzijds dan niets
had gestaan. Minister Bidault zou in de besloten kring van de Commissie van Buitenlandse
Zaken uit het Franse Parlement gezegd hebben, dat hij alleen bereid is een Europese
Gemeenschap te aanvaarden, die uitsluitend een overkoepeling is van de KSG en de EDG.
Aangezien dit in strijd is met het Nederlandse standpunt (een standpunt, dat bij de resolutie
van Luxemburg is aanvaard en ook door Bidault op 12 Mei in Parijs tegenover Adenauer
ingenomen) wil spreker Bidault van te voren waarschuwen, dat Nederland niet bereid is op de
conferentie in Den Haag op een andere basis te onderhandelen dan die van Luxemburg. Anders
zou Nederland moeten terugkeren tot artikel 38 van het EDG-verdrag” (É chiaro che la tattica
che abbiamo usato a Roma è stata giusta, nonostante non sia stata fatta alcuna concessione da
parte nostra. Il ministro Bidault avrebbe ricevuto disposizioni dal Parlamento francese, mentre
era nella cerchia ristretta della Commissione esteri, che si sarebbe dovuto mostrare pronto ad
accettare soltanto una Comunità europea che non fosse niente più che una cornice della Ceca e
della Ced. Visto che questo è in contrasto con la posizione olandese (una posizione che è stata
accettata con la risoluzione di Lussemburgo e che anche Bidault ha sostenuto il 12 maggio a
Parigi contro Adenauer) Bidault avviserà in anticipo che l’Olanda non è pronta a negoziare su
altre basi alla Conferenza dell’Aja che quelle di Lussemburgo. Altrimenti dovrebbe ritrattare
l’articolo 38 del trattato Ced). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 398, Ministerraad, dd. 2610-1953.
112
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In effetti, all’Aja il clima politico intorno alle tematiche europee andava
progressivamente arroventandosi. Beel soprattutto, il ministro degli Interni che
insieme a Drees rappresentava la frangia euroscettica del Kabinet olandese,
giungeva a promettere un vero e proprio ostracismo nei confronti di Bidault:
Ook als de Fransen alleen een coiffure van KSG en EDG willen, zal Nederland neen moeten
zeggen, aangezien wij niet bereid moeten zijn tot verdracht van een deel van de souvereiniteit
over te gaan voor het bereiken van een lege huis... deze voor de Minister onaanvaardbaar
maken, nl de onvoldoendeuitwerking van de economische punten in het verdrag zelf en de
toelating van een nationaal veto, waardoor van den werkzaamheden van de EG op economisch
terrein weinig of niets terecht zal komen. 113
Di fronte a una chiusura tanto netta, a nulla valsero i tentativi di
conciliazione perpetrati da Beyen, Mansholt e Zijlstra, dai più europeisti, cioè,
tra i membri del Ministerraad. Tant’è che il verbale della riunione del 23
novembre 1953 si chiuse lapidario, con la dichiarazione che l’atteggiamento
olandese nei confronti della Francia, da allora in avanti, si sarebbe ispirato alle
indicazioni di Beel: nessuna concessione in termini di sovranazionalità senza
garanzie precise in materia di integrazione economica.
Lo scontro diretto tra Parigi e l’Aja, pertanto, era ufficialmente annunciato,
restando in attesa di consumarsi, in un crescendo costante, nelle settimane a
venire. E difatti, tra il 26 e il 28 novembre, proprio nella capitale istituzionale
dei Paesi Bassi, la conferenza dei ministri dei Sei - che avrebbe dovuto chiudere
il ciclo di discussioni sulla Ced e sulla Cpe anche sulla base dei risultati prodotti
dall’Assemblea ad hoc - fu teatro di un primo confronto su questioni di principio
tra Beyen e l’ambasciatore Parodi, segretario generale del ministero degli Esteri
francese incaricato di rappresentare Bidault all’incontro, quest’ultimo essendo
stato trattenuto in patria da “complicazioni” politiche 114. Laddove Beyen, infatti,
“Anche se i francesi vogliono soltanto un copricapo della Ceca e della Ced, i Paesi Bassi
dovranno dire no, visto che noi non dobbiamo essere pronti a passare alla cessione di una parte
della sovranità per ritrovarci con un guscio vuoto… queste cose per il ministro sono
inaccettabili, cioè, nella fattispecie che nel trattato i punti economici vengano sviluppati in
maniera insufficiente e che venga introdotto il veto nazionale, ragione per cui delle attività della
Comunità europea sul terreno economico alla fine verrà fatto poco e niente”. Cfr. NL-HaNA,
MR, 2.02.05.02, inv.nr. 398, Notulen van de vergaderingen gehouden op Zaterdag 21 November 1953 in
de Treveszaal, aangevangen ‘s morgens om half tien en 's middags voortgezet en op Maandag 23
November 1953, aangevangen 's morgens om elf uur en 's middags voortgezet, p. 21.
114 Riporta, in proposito, il rapporto dei delegati olandesi alla Conferenza: “De Franse Minister
Bidault kon, in verband met de debatten in het Franse parlement, eerst op Zaterdag 28
November aan deze besprekingen deelnemen en werd tijdens de eerste twee dagen der
Conferentie vertegenwoordigd door de Secretaris-Generaal van het Franse Ministerie van
Buitenlandse Zaken, de Ambassadeur Parodi, die de verzekering kon geven, dat hem de nodige
instructies waren verstrekt om het Franse standpunt te kunnen uiteenzetten en aan de
113
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oltre a riproporre con forza la necessità di includere nel nuovo trattato
disposizioni specifiche circa l’integrazione economica generale, esortava i
governi della Ceca - rilevando l’emergere di sentimenti diffusi di “paura” e di
“insofferenza” da parte, rispettivamente, degli stati e dell’opinione pubblica
europeista – a discutere sulle competenze e sul controllo democratico della
nuova Comunità (cioè sulle due questioni intorno alle quali più nette si
percepivano le divergenze di opinione) nell’ambito di una Commissione di
studio appositamente predisposta, il rappresentante francese, che pure non
ricorreva alla virulenza di toni di Bidault, replicava ribadendo l’ostilità del
proprio governo non soltanto rispetto alle posizioni olandesi in tema di
integrazione economica, ma anche verso qualsiasi forma di controllo
democratico, come pure sull’ampliamento delle competenze dell’esecutivo
comunitario già a partire dalla sua entrata in funzione115. Tale inconciliabilità di
vedute, peraltro, si presentò inalterata anche al momento di decidere la
composizione della suddetta Commissione di studio, con il ministro olandese
che premeva perché fosse formata da esperti indipendenti e con Parodi che
insisteva affinché riunisse i rappresentanti degli stati116.
Nondimeno, se all’Aja si erano manifestate le prime avvisaglie della lunga
e spinosa controversia franco-olandese, alla fine stemperate dalla decisione di
rimandare ad altro contesto e ad altri protagonisti la risoluzione definitiva dei
nodi più problematici, fu la Commissione di studio, di fatto e inevitabilmente,
la cornice in cui si produsse l’insanabile frattura tra i campioni del
protezionismo e dell’Europa “europea”, da affidare senza indugi alla guida
prestigiosa dei “grands” parigini, e i paladini della liberalizzazione e
discussies deel te nemen, zodat de afwezigheid van Minister Bidault niet tot vertraging bij het
verloop der werkzaamheden aanleiding zou behoeven te geven. Gezien de politieke situatie in
Frankrijk kan inderdaad worden aangenomen, dat de afwezigheid van Minister Bidault op het
ver loop der Conferentie practisch geen invloed heeft gehad. De Heer Parodi heeft aan het
overleg deelgenomen op een wijze, welke onder de gegeven moeilijke omstandigheden alle
waardering verdient” (Il ministro francese Bidault, coincidendo la conferenza con i dibattiti nel
parlamento francese, avrebbe potuto prendere parte a queste discussioni al massimo a partire
da sabato 28 novembre e nei primi due giorni, pertanto, fu sostituito dal Segretario generale del
ministero francese degli Affari Esteri, l’ambasciatore Parodi, che poteva offrire l’assicurazione
che gli erano state date le informazioni necessarie affinché sostenesse la posizione francese e
partecipasse alla discussione in modo tale che l’assenza del ministro Bidault non fosse motivo
di rallentamenti nello svolgimento delle attività. Vista la situazione politica in francia si può
ottenere infatti che l’assenza del ministro Bidault non abbia ricadute pratiche sullo svolgimento
della Conferenza). Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.117, blok 1, 1945-1954, inv.nr. 16839, 1953
nov. – dec., Conferentie van Ministers van Buitenlandse zaken gehouden te Den Haag, van 26 t/m 28
November 1953, p. 1.
115 Ivi, pp. 4-6.
116 Ibidem.
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dell’atlantismo, tenaci sostenitori dell’equal partnership comunitaria tra grandi e
piccoli paesi e di un’Europa allargata in primo luogo oltremanica.
Senza addentrarsi nel dettaglio dei singoli argomenti oggetto di dibattito
in Commissione, per cui comunque si rimanda al rapporto inviato da Beyen e
Luns al Primo ministro olandese il 2 aprile 1954117, occorre qui precisare che a
collidere furono sostanzialmente due impianti concettuali antitetici, quello di
Parigi, che, come ha sottolineato con efficacia il recentemente scomparso Bino
Olivi, era intessuto di riferimenti alla “primazia francese nel Contiente” e alla
“riduzione ‘strutturale’ delle capacità di armamento della Germania” 118, e
quello dell’Aja, arricchito degli apporti di Jan Beyen, costruito intorno all’idea
di una solidarietà europea formatasi in virtù di realizzazioni concrete in campo
economico e sul ripristino dello spalto tedesco, nonché del mercato della Rft,
come garanzia per i piccoli paesi, sia nei confronti dell’egemonia parigina, sia
rispetto alla minaccia sovietica.
Ad ogni modo, benché, col senno di poi, possa apparire del tutto acquisito
il dato che, tra le due, sarebbe stata la visione olandese ad imporsi nel lungo
periodo, informando di sé il cammino comunitario delle decadi successive,
all’apertura dei lavori della Commissione di studio, il 12 dicembre 1953, nella
capitale francese, l’esito delle discussioni era tutt’altro che scontato. Al punto
che i delegati olandesi che vi presero parte stilarono un rapporto in cui veniva
più volte sottolineata, con sorpresa e non certo senza soddisfazione, la difficoltà
diplomatica dei transalpini, ritrovatisi spesso isolati a portare avanti i propri
tentativi di limitare il più possibile le competenze e il ruolo degli organi
sovranazionali119. I rappresentanti dell’Aja, in particolare, ritennero di aver
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 500 1954 apr., Overzicht besprekingen studiecommissie
E.P.G. Parijs, 12 December – 8 Maart 1954, 2.4.1954.
118 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., pp. 21 e 32.
119 “De Franse delegatie, die de taak en bevoegdheden der nieuwe Executieve uitsluitend tot het
terrein van studies, adviezen en voorstellen wenst te beperken, maakte daarop ook ten aanzien
van dit punt geen uitzondering en meende, dat de Executieve - in samenwerking met de Hoge
Autoriteit en het Commissariaat - slechts de accoórden zou moeten voorbereiden, die geleidelijk
en met de goedkeuring der betreffende Staten de unificatie der twee bestaande
Gemeenschappen binnen de nieuwe Gemeenschap zouden moetan realiseren… Alle delegaties,
behalve de Franse, waren van oordeel, dat het karakter en de inhoud van de nieuwe
bevoegdheden, welke aan de supra-nationale Executieve zullen worden toegekend, van invloed
zullen zijn op de omvang en de aard van de coördinerende bevoegdheden ten opzichte van de
executieve organen der doelgemeenschappen.” (La delegazione francese, che alla fine mira a
limitare i compiti e le competenze del nuovo esecutivo al solo campo degli studi, dei pareri e
delle proposte, anche su questo aspetto non ha fatto eccezione e ha proposto che l’esecutivo – in
collaborazione con l’Alta Autorità e con il Commissariato – dovrebbe soltanto preparare gli
accordi, che gradualmente e con l’approvazione degli stati interessati dovrebbero realizzare
l’unificazione delle due Comunità esistenti in una nuova Comunità… Tutte le delegazioni,
117
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conseguito successi significativi nel dibattito sul mercato comune europeo,
laddove, rispetto alle trattative precedenti, erano riusciti non soltanto a
conquistarsi il sostegno degli altri due paesi del Benelux “su molte questioni
fondamentali”120 a veicolare gli altri partner ad affiancarsi alle loro posizioni e
ad opporsi, di conseguenza, alle istanze francesi per la formulazione
“seulement… de clauses économiques très générales”121. Argomenta in proposito il
rapporto:
De economische commissie had tot opdracht een diepergaande studie te maken, dan te Rome
mogelijk was geweest, van de rol, welke de gemeenschap zou hebben te vervullen bij het
bevorderen van de totstandkoming van een gemeenschappelijke markt voor de Zes. Tijdens de
te 's-Gravenhage gehouden Ministersconferentie was de hoop uitgesproken, dat het studiekarakter dezer commissie gelegenheid zou bieden over dit onderwerp tot een meer vrije
gedachtenwisseling te komen, welke zo mogelijk zou dienen te leiden tot het concretiseren van
eventueel verkregen overeenstemming in bepaalde ontwerp-teksten voor een verdrag. De
beoogde vrije gedachtenwisseling is evenwel minder tot haar recht gekomen, omdat het door
de Ministerste 's-Gravenhage officieel goedgekeurde rapport van Rome - dat hoofdzakelijk een
onderlinge confrontatie van de instructies der zes delegaties bevatte - in belangrijke mate de
discussies te Parijs bleek te beinvloeden. Zo was het in verscheidene gevallen duidelijk, dat een
delegatie vreesde van zwakte te worden verdacht, wanneer zijde andere delegaties méér
tegemoetkwam dan op grond van het Romerapport mocht worden verwacht. Intussen zij hier
echter onmiddelijk opgemerkt, dat - met name in de laatste fase dezer studiebesprekingen - een
toenemende neiging tot onderlinge aan een sluiting van de standpunten der vijf andere
delegaties tegenover Frankrijk merkbaar werd. 122
eccetto quella francese, ritenevano che la natura e il contenuto delle nuove competenze, che
saranno devolute all’esecutivo sovranazionale, influenzeranno le dimensioni e la natura delle
competenze di coordinamento rispetto agli organi esecutivi delle comunità che si intendono
creare). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 500 1954 apr., Overzicht besprekingen
studiecommissie E.P.G. Parijs, 12 December – 8 Maart 1954, 2.4.1954, p. 10.
120 Ivi, p. 14. “Het feit bovendien, dat onze Beneluxpartners tijdens het overleg in vele essentiële
vraagstukken in belangrijke mate een solidariteit met Nederland aan de dag hebben gelegd is in
dit opzicht veelbelovend”. (Il fatto inoltre che i nostri partner del Benelux abbiano mostrato su
questioni fondamentali una notevole solidarietà con i Paesi Bassi lascia maturare prospettive
promettenti in questo senso).
121 Ivi, p. 13.
122 La commissione economica aveva avuto l’incarico di effettuare uno studio più approfondito
di quanto non fosse stato possibile fare a Roma del ruolo che la comunità avrebbe potuto
esercitare per promuovere la realizzazione di un mercato comune per i Sei. Durante la
conferenza dei Ministri che si è tenuta all’Aja fu espresso l’auspicio che il carattere speculativo
di questa commissione avrebbe consentito su questo argomento una discussione più libera, che
avrebbe potuto portare a concretizzare gli accordi cui si sarebbe giunti in progetti di articoli per
il trattato. L’auspicato libero dibattito, tuttavia, non si è realizzato, perché la conferenza dei
ministri dell’Aja ha alla fine approvato il rapporto di Roma – che essenzialmente rifletteva lo
scontro tra le differenti posizioni dei sei governi – che alla fine risulta aver influenzato anche le
discussioni di Parigi. Così, in diversi casi, è stato chiaro che una delegazione temesse di essere
sospettata di debolezza, quando le altre delegazioni tendevano a fare qualche passo in più del
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In sintesi, pertanto, l’esperienza della Commissione di studio - la quale
chiudeva i battenti l’8 marzo 1954 - decretava non soltanto un primo,
importante successo dei Paesi Bassi sui pur influenti avversari, ma affermava
altresì la ripresa del cammino congiunto dei partner del Benelux, peraltro nella
direzione indicata da Beyen, sul terreno comunitario.
Che si trattasse di una vittoria più formale che reale, o, per meglio dire, da
raccogliere nel lungo periodo, anziché nell’immediato, sarebbero stati gli
sviluppi successivi a mostrarlo.
Tuttavia, già dal 29 aprile il Ministerraad esprimeva più di qualche
inquietudine rispetto alla sorte che Parigi, isolata e fortemente ridimensionata
nelle sue aspirazioni di deus ex machina del dibattito comunitario, si proponeva
di riservare alla Ced e alla Cpe. Il ministro della giustizia, Leendert A. Donker,
più degli altri, chiedeva a Beyen rassicurazioni precise circa possibilità di
stimolare i francesi a rivedere le proprie posizioni e ad assumere un
atteggiamento meno ostile nei confronti delle proposte elaborate dalla
Commissione di studio123.
Non che le sensazioni di Donker scaturissero da considerazioni politiche
sostanzialmente avulse dalla realtà dei fatti. Anzi, caso mail contrario. Lo stesso
Beyen, del resto, si mostrava preoccupato circa i cambiamenti convulsi in atto a
Parigi, i quali non soltanto avevano rallentato il lavoro della Commissione di
studio, ma soprattutto stavano condizionando il buon esito del processo di
ratifica parlamentare del trattato Ced (quest’ultimo essendosi concluso con esito
positivo in cinque dei sei paesi membri della Ceca già nella prima metà del
rapporto di Roma. Nel frattempo, tuttavia, è sembrato anche innegabile che – soprattutto
nell’ultima fase di queste discussioni – si sia manifestata una crescente tendenza ad far
convergere le posizioni delle altre cinque delegazioni contro la Francia. Cfr. Ivi, p. 11.
123
“Minister Donker wijst er op, dat Frankrijk door de kwestie van de ratificatie van het EDG—
verdrag reeds in tweeën dreigt te worden gescheurd. Nu bij de besprekingen in Parijs op
verschillende punten overeenstemming is bereikt tussen de vertegenwoordigers van vijf landen
zonder Frankrijk, heeft spreker het gevoel, dat het voor Frankrijk gemakkelijker wordt te
weigeren om aan de EG mede te doen dan bij de EDG. In dit verband stelt spreker de vraag of
Minister Beyen een mogelijkheid ziet om het negativisme aan Franse zijde te doorbreken”. (Il
ministro Donker punta l’accento sul fatto che la Francia già minaccia di strappare in due il
trattato Ced al momento della ratifica. Ora, a Parigi, durante i colloqui, su diversi punti si è
raggiunto un accordo tra i rappresentanti di cinque paesi , senza la Francia. Il relatore ha quindi
la sensazione che questo induca la Francia a ritenere più facile la propria partecipazione alla
Ced che alla Cpe. A tale proposito il ministro chiede a Beyen se esiste una possibilità di
interrompere questo atteggiamento “negativo” dei francesi). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02,
inv.nr. 399 1954 jan.- juni, Notulen van de buitengevone vergadering gehouden op Dinsdag 13 April
1954 in de Trèveszaal aangevangen ’s morgens om tien uur, p. 2.
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1954)124. Agli occhi dell’abile negoziatore olandese a Bretton Woods, in effetti,
non sfuggiva certo il nesso tra l’elezione di Mendès-France – che, peraltro,
l’economista di Rotterdam aveva personalmente conosciuto alla sopracitata
conferenza finanziaria del 1944 -, il tornante storico della guerra in Indocina e
l’alimentarsi della tensione nell’opinione pubblica francese intorno al
costruendo esercito europeo. Cioè, in altre parole, Beyen aveva perfettamente
compreso che il trattato Ced sarebbe stata la vittima sacrificale che il governo
antieuropeista del nuovo Primo ministro francese avrebbe offerto ai propri
cittadini per riparare, anche se soltanto parzialmente, alle proprie, disastrose
scelte di politica coloniale. Non solo. La mancata ratifica del trattato sarebbe
stata anche la necessaria contropartita da offrire alla rumorosa frangia gollista
dell’Assemblée nationale, al fine di placarne le intemperanze nazionalistiche con
la garanzia che nessuna progettualità europeista avrebbe minato la tutela
dell’integrità difensiva nazionale, tanto meno uno schema elaborato allo scopo,
sottaciuto ma non per questo imperscrutabile, di allentare le ansie di
Washington attraverso la rimilitarizzazione del “nemico” tedesco125.
Di fatto, il 31 agosto 1954, si concretizzarono contestualmente sia gli
allarmi lanciati dal ministro guardasigilli dell’Aja, sia le lucide previsioni di
Beyen. Il destino comune dei progetti Ced, Cpe e del mercato comune, che dei
primi due era diretta propaggine, si compì infatti con la decisione del
Parlamento francese di rinviare sine die la ratifica del trattato Ced. Un “non”,
peraltro, che spezzò bruscamente il robusto filo di speranze con il quale gli
europeisti più convinti avevano legato insieme la nascita dell’esercito europeo e
della cornice politica entro cui quest’ultimo si sarebbe insciritto e l’approdo
decisivo verso la grande Federazione continentale, l’effettiva terza via al mondo
bipolare, nonché la tomba dei particolarismi e degli egoismi nazionali e dei
conflitti da essi derivanti126.
Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., pp. 229-230.
Ivi, p. 230.
126 Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 234. L’analisi di questo delicatissimo
frangente della storia comunitaria è stata condotta a vari livelli e da diverse prospettive, in
epoche più e meno recenti, come testimonia l’ampia e variegata mole di pubblicazioni
disponibili in argomento, sia in Italia che in Europa. Di contro, balza agli occhi la carenza di
approfondimenti – soprattutto recenti - sulla ricezione del cosiddetto “affaire de la Ced”
nell’ambiente politico-intellettuale olandese, così come sulle ripercussioni che tale episodio
produsse nella riflessione europeista dei Paesi Bassi degli anni a venire. Meritano comunque di
essere citati: Pierre Gerbet, “La ‘Relance’ Européenne jusqu’a la conference de Messine”, in E.
Serra, Il Rilancio dell’Europa…, cit., pp. 66-70; R. Massigli, Une comédie des erreurs…, cit.; Jean Ch.
Snoy et d’Oppuers, Un témoin raconte: Du plan Schuman aux traités de Rome, in «30 jours
d’Europe», n. 285, 1982, pp. 23-24; Richard Mayne, The Recovery of Europe, from Devastation to
Unity, Harper and Row, New York, 1970; Arnold J. Zurcher, The struggle to Unite Europe 19401958, New York University Press, New York, 1958.
124
125
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Lo stesso Beyen, neanche a dirlo, si ritrovava schierato tra le file dei
disillusi. E certo con un senso d’amarezza molto più accentuato rispetto ad altri
coevi appassionati europeisti, giacché non soltanto vedeva tramontare le
proprie aspirazioni a cambiare strutturalmente il corso dell’integrazione,
riorientandolo lungo la via dell’approccio “orizzontale” di cui si pregiava di
essere l’ispiratore, ma anche e soprattutto perché assisteva alla vanificazione di
tre anni di impegno costante e sistematico per la promozione del suo Piano, sia
all’Aja, ove, come si è visto, aveva faticato non poco – anche e soprattutto in
quanto neofita della politica e “partijloze” - a convincere dei vantaggi
dell’integrazione sovranazionale l’ostinata frangia euroscettica del
Ministerraad127, sia in Europa, in Francia soprattutto, ove, come ricorda il
capostipite del federalismo europeo olandese, Hendrik Brugmans:
Beyen était allé… sacrifiant ses vacances, afin de faire un dernier effort pour persuader tel
Radical ou tel Gaulliste. 128
Eppure, rileva ancora Brugmans, all’indomani del voto francese, Beyen fu
“probablement le seul à envisager une alternative”129. Già il 24 settembre 1954,
infatti, in un discorso pronunciato in occasione del “Rotterdamse Internationale
Havendag”, il finanziere europeista avrebbe esortato i governi dei Sei a non
riprendere le discussioni sull’integrazione politica, che si sarebbero comunque
rivelate sterili nell’evidente assenza di cambiamenti significativi nella politica
europea francese. Ma ciò non stava certo a significare che i partner comunitari si
dovessero rassegnare ad un momentaneo, e quanto mai pericoloso,
immobilismo. Al contrario, la soluzione all’impasse esisteva ed era a portata di
mano, purché fosse ricercata sul terreno che fino ad allora si era rivelato il più
Ricorda in proposito lo stesso Beyen, nelle sue memorie: “De figuur van een partijloze
Minister van Buitenlandse Zaken was geenszins nieuw in onze politieke geschiedenis, maar in
de vroegere gevallen ging het vaak om carrière-diplomaten in een tijd waarin het Parlement
zich nauwelijks enige bemoeienis met de buitenlandse politiek aanmatigde... Het partij-loos-zijn
had zeker zijn bezwaren kunnen hebben. Tegenover het niet te versmaden voordeel dat alle
eenzaamheid medebrengt stond het nadeel dat er tussen de leden van de Kamer en mij geen
persoonlijk contact bestond”. (La figura di un ministro degli Esteri senza partito non era del
tutto nuova nella nostra storia politica, ma nei casi precedenti essa veniva spesso ricoperta da
una personalità che avesse fatto carriera diplomatica in un momento in cui il Parlamento non si
era riservato praticamente nessuna influenza in politica estera… Il fatto di essere un “senza
partito” aveva certo i suoi svantaggi. Benché non vada sottovalutato il vantaggio che comporta
la solitudine c’è comunque la difficoltà di non avere nessun contatto personale con gli altri
membri della Camera). Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 208.
128 Cfr. H. Brugmans, L’idée européenne 1920-1970, De Tempel, Bruges, 1970, p. 289.
129 Ibidem.
127
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idoneo a garantire successi immediati e promettente quanto a prospettive di
lungo periodo, cioè quello della cooperazione economica130.
In altre parole, nell’ottica del ministro degli Esteri olandese, la ripartenza
della macchina comunitaria sarebbe stata possibile soltanto se i Sei avessero
acconsentito a seguire i precetti indicati nel Memorandum dell’Aja, riesumando
in tal modo, dalle macerie della Ced, il progetto di unione doganale, unico,
fecondo superstite131.
La politica europea dell’Aja all’indomani del “non” francese all’esercito comune (1954 –
1955).
Di là dalle prospettive incoraggianti avanzate da Beyen, era innegabile che il
fallimento della Ced avesse avuto ricadute drammatiche e profonde negli animi
degli europei, tanto a livello di élites politiche, quanto nelle rispettive opinioni
pubbliche nazionali. Oltre generare un dilagante sentimento di sfiducia sulla
capacità di tenuta del sistema comunitario, di cui era emersa con fin troppa
evidenza l’intrinseca vulnerabilità, la scabrosa vicenda dell’esercito comune
aveva fatto sì che la soluzione delle problematiche più cogenti sull’agenda
internazionale, prima fra tutte la questione del riarmo tedesco, continuasse a
soggiacere agli umori dei governi e all’andamento altalenante dell’opzione
attendista. Sicché, all’indomani del verdetto francese, i Sei non soltanto si
ritrovarono a dover riformulare in tempi strettissimi un piano per il ripristino
dell’apparato difensivo della Rft, cercando al contempo di contenere alla bene e
meglio l’insopportabile pressione di Washington, ma dovettero anche fare i
conti con un’assenza trasversale di spunti creativi, che era l’inevitabile
conseguenza dell’insuccesso appena raccolto.
Non fu un caso, pertanto, alla luce di tali considerazioni, che la risposta al
problema della sicurezza – di cui il riarmo della Germania costituiva un
elemento dirimente – fu trovata al di fuori del suolo comunitario, cioè, nella
fattispecie, a Londra. Più precisamente, fu Anthony Eden , il segretario del
Foreign Office britannico, a formulare un corpo coerente di proposte che, nel
corso di una serie di conferenze tenutesi rispettivamente nella capitale del
Regno Unito e a Parigi, tra il settembre e l’ottobre del 1954, fu presentato ai
governi perché divenisse la base di un protocollo di intesa per la difesa
dell’Europa occidentale. Meglio noto come Piano Eden, lo schema prevedeva
sia di accordare a Germania e Italia la membership Nato, con l’obiettivo
implicito di allentare le preoccupazioni americane sul vuoto difensivo nel
130
131
Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 234.
Cfr. A.G. Harryvan, E. Kersten, The Netherlands, Benelux…, cit., p. 133.
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territorio della Rft, sia di sottoporre il riarmo tedesco a ben precise restrizioni,
nell’evidente intenzione di rassicurare i francesi132.
All’Aja, il Piano Eden, uno schema tecnico, efficace e immediatamente
applicabile, nonché del tutto privo di riferimenti alla sovranazionalità, fu
percepito come una sorta di panacea per la sicurezza dell’occidente europeo.
Senza considerare, peraltro, che tale progetto, oltre ad indicare la strada meglio
praticabile, almeno nel breve periodo, per superare l’impasse del
coordinamento difensivo europeo, lasciava intravedere una concreta possibilità
di effettivo coinvolgimento britannico negli affari continentali, cosa che, come si
ricorderà, rappresentava un’antica e intensamente coltivata aspirazione degli
olandesi133. Beyen commentò soddisfatto:
In de West-Europese Unie moet de enge band met het V.K. als voornaamste belang worden
beschouwd. Vandaar dat in het kader dier Unie niet moet worden gestreefd naar doelstellingen,
die niet voor het V.K. gelden en dat methoden, die het V.K. niet kan aanvaarden of bindingen,
die het V.K. niet mede wil aangaan, moeten worden vermeden. De Unie leent zich daarom niet
voor supranationale oplossingen. De WEU is in hoofdzaak een militair-politieke alliantie.
Samenwerking in het kader dier Unie op ander dan militair-politiek gebied behoeft niet te
worden uitgesloten, mits niet worde vergeten, dat, met name op monetair en economisch
gebied, Europese samenwerking eerder in breder verband (OEEC) moet worden gezocht,
vooral ook omdat de West-Europese Unie bij voorkeur niet moet worden uit gebreid door het
lidmaatschap van andere landen dan de huidige zeven, omdat dit de samenwerking in NATOverband zou bemoeilijken... Terwijl Nederland de vormen van inter-gouvernementele
samenwerking, zoals NATO, Raad van Europa, OEEC en WEU van harte moet steunen, moet
het supranationale structuur nastreven door volleen actieve steun aan de KSG bij het bereiken
van de doelstellingen, die in het KSG—verdrag zijn neergelegd... Bij alle bovenstaande punten
moet zoveel als mogelijk worden gestreefd naar een gemeenschappelijk Beneluxstandpunt. 134
A.G. Harryvan, The Netherlands, Benelux…, cit., p. 5.
Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, “Het Nederlandse aandeel in de
totstandkoming van de Gemenschappelijke Markt inzonderheid in de periode maart-juni 1955”,
p. 28.
134 Nell’Unione dell’Europa occidentale deve essere considerato di massima importanza lo
stretto legame stabilito con la Gran Bretagna. Pertanto, nel quadro di questa Unione non
devono essere perseguiti obiettivi che non possono essere accettati dalla Gran Bretagna, né
metodi che non possono essere accettati dal Regno Unito, o vincoli in cui Londra non si vuole
sentire stretta. ’Ueo è essenzialmente un’alleanza politico-militare. La cooperazione in altri
campi oltre quello militare non è necessariamente esclusa nel quadro di questa Unione, a
condizione che non venga dimenticato che, soprattutto sul terreno monetario e economico, la
cooperazione europea deve essere principalmente ricercata in un più ampio contesto (Oece),
anche e soprattutto perché l’Unione dell’Europa occidentale, preferibilmente, non deve essere
estesa alla partecipazione di altri paesi che non siano gli attuali sette, perché questo renderebbe
più difficile la cooperazione nell’ambito della Nato… Mentre i Paesi Bassi devono pienamente
supportare alcune forme di integrazione intergovernativa, come la Nato, il Consiglio d’Europa,
l’Oece e l’Ueo, devono comunque perseguire la realizzazione di una struttura sovranazionale
offrendo il proprio attivo sostegno alla Ceca affinché consegua gli obiettivi contenuti nel
132
133
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In altre parole, nell’ottica di Beyen, la Ueo costituiva un collante politico
importantissimo per i Paesi Bassi, giacché contestualmente rafforzava sia il
legame bilaterale con il Regno Unito, che sembrava essersi allentato a causa
dell’autoesclusione di Londra dal processo di integrazione, sia la posizione
dell’Aja nel più ampio contesto della Nato. In tale quadro, tuttavia, al governo
olandese, che allora più che mai avrebbe dovuto puntare sulla collaborazione
con i partner del Benelux, spettava il difficile compito di farsi garante del
mantenimento degli equilibri, certo delicatissimi, sui quali si reggeva la coeva
cooperazione internazionale. Ovverossia, sul versante dei rapporti multilaterali,
doveva ostacolare le inutili forzature sull’establishment britannico affinché
accettasse di introdurre contenuti sovranazionali nell’impianto statutario
dell’Ueo – cosa che, oltre a provocare quasi inevitabilmente un irrigidimento di
Londra nei confronti della cooperazione con gli alleati continentali, avrebbe
creato tensioni nell’ambito della Nato – sul versante più prettamente europeo,
viceversa, avrebbe dovuto continuare a promuovere le iniziative di
approfondimento dell’integrazione economica, anche e soprattutto allo scopo di
impedire che la Francia trovasse il campo libero per riprendere saldamente in
mano le redini della Comunità, magari offrendo una non così improbabile coleadership ai “grandi” della Rtf135. Di fronte a tale prospettiva, ribadiva il
ministro olandese, diventava ancor più importante che il Ministerraad avesse
ben chiara in mente la distinzione tra il concetto di “integrazione” e quello di
“cooperazione”, cioè tra il percorso di collaborazione intereuropea ispirato al
principio della sovranazionalità e un’organizzazione internazionale di natura
confederale. Se infatti i Sei non avessero tenuto costantemente separate le due
sfere, a livello concettuale oltre che pratico, la Francia di Mendès-France
avrebbe avuto gioco facile nel condizionare il cammino della Comunità verso il
più sicuro approdo della sua politica del “nationaal reveil”136. Ammoniva il
ministro:
trattato…. Per affrontare tutti i problemi sopra elencati deve essere il più possibile ricercato un
punto di vista comune del Benelux. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 506 1954 okt. – nov.,
Nota betreffende het beleid der Nederlandse Regering t.o.v. de Europese samenwerking, 19.11.1954, p. 5.
135 Ibidem.
136 “...en men moet Mendes-France niet de kans te geven een zodanige stampot van alle
mogelijke met elkaar in strijd zijnde concepties te maken, dat daaruit slechts een voor de Franse
eetbaar hapje te voorschijn komt” (e non si deve offrire l’opportunità a Mendes-France di fare
un minestrone di tutti i tipi di concezioni fra loro contrastanti, cosa che risulterebbe uno
spuntino commestibile soltanto per i francesi). Cfr. NL-HaNA, 2.21.183.08, Collectie Van der
Beugel, inv.nr 6, 1957/1958>1957-1958, Gesprek met de Heren Spierenburg en Kohnstamm in Brussel
op 2 November 1954.
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The well intended efforts to prevent “Little Europe” from stagnation bear the risk that France –
by a dialectic of its own, already skilfully applied by Mendès France – will see its chance to
render void the notion of “supranationality” and transform it into a political slogan serving the
various needs of French foreign policy. 137
Tali considerazioni, in effetti, componevano la struttura portante del
discussion paper, dal titolo “La politica del governo olandese in materia di
integrazione europea”, che Beyen aveva presentato al Binnenhof il 19 novembre
1954138. Il documento, cioè, che di fatto rappresentò la premessa teorica del
Memorandum del Benelux, nonché l’invito ufficiale, inoltrato dall’Aja
all’indirizzo dei più solidi partner europei, a riprendere il dialogo privilegiato che le tensioni del dibattito sulla Ced/Cpe avevano apparentemente congelato e a costituire insieme un fronte compatto, a tutela non soltanto dell’integrazione
sovranazionale, ma anche e soprattutto dei rispettivi interessi economicocommerciali139.
Più precisamente, Beyen sollecitava gli omologhi del Benelux a guardare
con preoccupazione alla tendenza francese a riprendere il dialogo con la Rtf su
base bilaterale. Sebbene non fossero ancora percepibili segnali inequivocabili di
questo orientamento, e benché da parte tedesca non fosse giunto alcun accenno
di entusiasmo relativamente a una tale prospettiva, il fatto stesso che si
profilasse una simile ipotesi avrebbe dovuto spingere i piccoli paesi a rafforzare
la reciproca collaborazione, “anche sul piano della politica estera, qualora si
fosse ritenuto necessario”140.
137
Ibidem. La citazione in inglese è ripresa da A.G. Harryvan, The Netherlands, Benelux…, cit., p.
8.
“Het beleid van de Nederlandse regering ten opzichte van de Europee samenwerking“, è il
titolo originale della nota. Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 28.
139 É opportune precisare che - stando a quanto si apprende dal telegramma inviato da Beyen e
Luns ai ministri degli Esteri dei Sei, nonché, per conoscenza, anche a Washington e a Londra – i
colloqui separati tra i tre ministri del Benelux erano iniziati già qualche mese prima, per la
precisione nel giugno del 1954, sotto forma di scambio reciproco di vedute circa l’esito delle
ratifiche del trattato Ced. Fu in quella circostanza, presumibilmente, che emerse con maggiore
chiarezza la sintonia di orientamenti dei tre governi in materia di integrazione, nonché la
condivisa insofferenza nei confronti della politica di Méndes-France. Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP,
2.03.01, inv.nr. 6487 Stukken betreffende het plan-Pleven en de totstandkoming van de EDG.
1952-1954, Codetelegram, 23.6.1954.
140 NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 506 1954 okt. – nov., Nota betreffende het beleid der
Nederlandse Regering t.o.v. de Europese samenwerking, 19.11.1954, p. 3. Precisa a tale proposito la
Note de Travail sur quelques "Plans" d'Integration Economique Europeenne redatta dal ministero
degli Esteri e del Commercio estero belga: " Après avoir marqué ce temps d'arrêt, l'idée de l'
intégration européenne devait être Reprise à la fin de 1954, notamment à la suite des
inquiétudes que provoquèrent dans les pays de Bénélux et en Italie, les projets de
rapprochement franco-allemand (accord sur la Sarre et communiqué franco-allemand d'octobre
138
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Detto altrimenti, fu proprio in un’atmosfera di profondo disagio quale
quella appena descritta, con i piccoli stati impegnati a trovare soluzioni comuni
per contenere le velleità egemoniche dei “grandi” vicini continentali, Parigi in
primis, che prese forma il Memorandum del 1955, destinato a diventare in breve
tempo, non soltanto lo strumento più efficace per rilanciare il processo di
unificazione europea sovranazionale, ma una vera e propria pietra angolare
della storia dell’integrazione.
La strada verso Messina
Confortato dalla garanzia del sostegno belgo-lussemburghese, Beyen, in linea
con le sue ben radicate convinzioni e prendendo a modello il percorso che
aveva condotto alla nascita del Benelux, iniziò innanzitutto a riformulare la
politica europea dei Paesi Bassi secondo una linea più moderata, cioè
ponendosi obiettivi di minore portata, quali la realizzazione di un’unione
doganale a livello dell’Oece, ben consapevole, peraltro, che non avrebbe certo
faticato a guadagnarsi l'avallo dell'Aja141. Non soltanto, infatti, la
liberalizzazione commerciale, come si è detto più volte, rappresentava il
principale obiettivo di politica economica ed europea del governo olandese, ma
ancor più, in quel preciso frangente storico, sarebbe stata apprezzata una
proposta “pessimistica e difensiva”142, senza allusioni di sorta alla
sovranazionalità.
Assicuratosi, come previsto, il sonoro "ja" dal Binnenhof, il ministro degli
Esteri “passionnément européen”, come lo avrebbe definito Hendrik Brugmans
qualche anno più tardi143, il 23 novembre partì per Bruxelles, ove era atteso da
Spaak e Bech per tracciare insieme una linea di condotta comune da adottare
nei due contesti dell'Ueo e della Ceca. Nell’occasione, quello tra Beyen e Spaak,
fu di fatto un confronto ad ampio raggio tra due prospettive affatto dissimili,
1954)". Cfr. NL-HaNA, A.E./B.Z. ((Ministerie van Buitenlandse Zaken, België) inv.nr. 17,741/4,
Note de Travail sur quelques "Plans" d'Integration Economique Europeenne, s.d., p. 9.
141 Ibidem. Cfr. anche A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 74.
142 Precisa Harryvan in proposito: “As a possible course of action Beyen mentioned the idea
recently launched by Baron Snoy et d’Oppuers, the Secretary General of the Belgian Ministry of
Economic Affairs, that the Benelux countries might take the initiative to start discussions in the
OEEC on the formation of a Free Trade Area”. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit.,
p. 74 e Id., The Netherlands, Benelux…, cit., p. 11. Sull’atteggiamento del governo olandese negli
anni questione cfr. Albert E. Kersten, Maken drie kleinen een grote? De politieke invloed van de
Benelux, 1945–1955, Van Holkema & Warendorf, Bussum, 1982, pp. 10–15. “[…] de Nederlandse
Regering had op 22.XI ingestemd met zijn opvatting het was een van de conclusies uit zijn nota
van 19.XI.1954 dat m.b.t de Europese samenwerking zoveel mogelijk moest worden gestreefd
naar gemeenschappelijk Benelux-standpunt”. Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten
Document, cit., p. 30.
143 Cfr. H. Brugmans, L’idée européenne…, cit., p. 289.
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per quanto entrambe facenti capo al grande filone europeista, mentre Bech si
limitava a sostenere ora l’uno, ora l’altro punto di vista. In particolare,
l'impostazione di Beyen, come si è variamente precisato, si fondava sulla critica
del metodo monnetiano e sulla convinzione che soltanto un'integrazione
economica generale avrebbe costituito la giusta premessa per lo sviluppo di
un'autentica e condivisa solidarietà continentale. Spaak, di contro, continuava
ad apparire come un devoto discepolo di Monnet, al quale si era peraltro rivolto
più volte, all’indomani del fallimento della Ced, nell’intento di individuare
assieme al proprio mentore una via d’uscita dall’impasse e una possibile ripresa
della riflessione sull’integrazione sovranazionale. Prodotto di tali colloqui era
stata l’elaborazione di un quadro abbastanza particolareggiato della coeva
situazione europea e di un’idea precisa della strada da percorrere:
Nous étons d’accord pour penser qu’il fallait proposer quelque chose. Le meilleure méthode
consistait, creyons-nous, à étendre les compétences de la CECA. Nous ambitions étaient
modestes. Nos aspoirs l’étaint aussi. Il nous semblait important de nous aurions de réelles
chances de réussir, laissant pour plus tard la réalisation de plus vastes projets. Il fallait avant
tout èviter un novel échec”. 144
Ad ogni modo, come avrebbe peraltro riferito il ministro olandese al suo
governo, di là dalle divergenze interpretative su quella o quell’altra questione,
le premesse per la formulazione di una strategia comune erano concrete e
riconoscibili fin dalle primissime battute del colloquio. C’era, innanzitutto, la
comune avversione al “réveil nationaliste” di Mendès-France e alla sua tendenza
a privilegiare le relazioni bilaterali. Tale atteggiamento, affermavano i tre:
… s’oppose, non seulement à l’idée supranationale mais, bien pis, au “multilateralisme” qui est
à la base des efforts de l’O.E.C.E, et de l’U.P.E. Faute d’un organe supranational, responsable
pour l’intérêt commun, le but bien défini de ces organisations n’en est pas moins de servir
l’inérêt commun dans leur politique nationale. C’est pourquoi l’Europe s’est pu libérer du
bilatéralisme, qui avait commencé à corrompre la vie économique après 1930 sous l’égide de M.
Schacht, et qui menaçait d’étrangler la réconstruction de l’Europe après la guerre. C’est presque
un miracle de sagesse, que l’Europe est parvenu à se distancier de cette tendance dangereuse,
qui conduit à une protection industrielle due pire genre et à la dscrimination dans les relations
économiques et monétaires… Nous ne voulons pas être alarmistes. Nous ne nous
préoccuperons pas encore d’un développement très proche dans cette direction… Mais il ne
faut pas oublier que… le bilatéralisme, comme d’ailleurs le nationalisme, est infectueux. S’il
prend de l’envergure en France, il se développera aussi en Allemagne. 145
Sotto questo profilo, la posizione comune fu facilmente individuata:
Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 30.
Cfr. NL-HaNA, Bewindslieden van het Ministerie van Buitenlandse Zaken 1952-1998, 2.05.81,
inv.nr. 2, Brief en instructie, Beyen a Drees, 27.12.1954, p. 3.
144
145
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protester le moment venu et à l’endroit le plus approprié, contre le tendance bilatéraliste
comme telle. 146
Tale protesta, precisava Beyen, avrebbe dovuto essere condotta non
soltanto sotto forma di attacco polemico, anche pungente, portato avanti
attraverso gli organi d’informazione e i discorsi ufficiali, ma soprattutto a livello
istituzionale, sia nella Ceca che nelle altre organizzazioni internazionali. La
prima ad essere chiamata in causa, neanche a dirlo, fu l’Ueo, che per molti
“antisupranationalistes" rappresentava l’alternativa alla Ced per costruire una
cooperazione europea sul terreno della difesa. In tale contesto, i tre “petits” del
Benelux avrebbero dovuto sì offrire la massima collaborazione e anche
contributi importanti per accrescere le potenzialità dell’organizzazione, ma
soprattutto si sarebbero dovuti impegnare a sollecitare i partner sulla necessità
di riprendere il percorso dell’unificazione sovranazionale nell’unica realtà
deputata ad accoglierlo, la Ceca. 147 In altre parole:
Il va sans dire qu’il n’est pas question de s’opposer en principe contr toute extension du terrain
de la W.E.U. en dehors du domain de la défense, si, par des développements naturels, une telle
extension se présenterait comme utile et pratiquable. Il est certainement point nécessaire
d’interrompre le travail actuel de l’organisation de Bruxelles sur les terrains social et culturel.
Mais il serati déavantageux pour la coopération européenne de tâcher de faire la W.E.U. le
noyau de cette coopération dans d’autres domaines que celle de la défense, au détriment des
formes existantes de coopération européenne… La C.E.C.A. est la seule “tête de pont” de l’idée
supranationale, la seule “Communauté” qui possède un organe exécutif avec une responsabilité
propre pour le bien commun, et responsable devant un parlement pourvu de pouvoirs réels. 148
Ora, indicati gli aspetti “negativi” della posizione comune, vale a dire le
restitenze che i tre stati avrebbero dovuto opporre ai tentativi di distorsione
dell’unificazione europea perpetrati dai governi “antisupranationalistes”,
occorreva individuare gli elementi “positivi” che il Benelux avrebbe dovuto
introdurre nel dibattito comunitario “pour défendre le principe du multilatéralisme
et pou développer la réalisation de l’idée supranationale”149. Nessun dubbio, in tal
senso, da parte di Beyen, il quale, come si è detto, aveva già da tempo maturato
il proposito di rilanciare l’idea del mercato comune partendo dalla
realizzazione dell’unione doganale150. Alla lettera:
Ivi, p. 4.
Ivi, pp. 4-6.
148 Ivi, pp. 6-7.
149 Ibidem.
150 Cfr. P.-H.Spaak, Combats Inachevés, de l’espoir aux déceptions, s.l., 1969, pp. 61–62; R. Mayne,
The Recovery of Europe, from Devastation to Unity, New York, 1970, p. 220; J.W. Beyen, Het spel en
de knikkers.., cit., pp. 223-230.
146
147
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La question se pose en prmier lieu, s’il ne sera pas nécessaire d’engager de nouveau la bataille
pour l’établissement d’un marché commun en Europe. Il faut distinguer entre, d’une part, les
efforts pour obtenir un abaissement des tarifs douaniers et des restrictions quantitatives, et,
d’autre part, les plans pour créer un marché européen commun (soit de caractère général, soit
pour des secteurs de l’économie)… Je me permete de rappeler que le gouvernement néerlandais
avait soumis une proposition – connue comme le plan Beyen – qui servait comme base de
discussion. Cette discussion a mené à des propositions assez élaborées sur laquelle, parmi les
experts des six gouvernements, s’était établie une entent assez large. Toutefois, ces propositions
supposaient la création d’un organisme supranational suquel incombera la coordination de la
politique économique et monétaire et l’application de certaines mesures pour atténuer les
répercussions de l’intégration des marchée. 151
Considerati, tuttavia, i profondi cambiamenti che aveva subito lo scenario
comunitario nei pur pochi anni intercorsi dalla presentazione del primo
Memorandum dell’Aja, era evidente che l’idea originaria dovesse essere
sensibilmente ritoccata e ampiamente ridimensionata nei suoi obiettivi a breve
termine. Si decise, pertanto, anche tenendo conto delle riflessioni del duo
Spaak-Monnet più sopra menzionate, di prevedere un’estensione delle
competenze della Ceca, la quale, in virtù della sua “tendance naturelle de s’étendre
sur d’autre domaines économiques” sarebbe diventata una “base de nos efforts de
réaliser l’idée supranationale”152.
I tre ministri del Benelux ribadirono inoltre la reciproca volontà di
presentare il nuovo piano come iniziativa collettiva, anche e soprattutto al fine
di guadagnare maggiore peso nel contrastare le possibili opposizioni153. Per
quanto, viceversa, riguardava i tempi di presentazione del progetto, si stabilì di
attendere l’allontanamento di Mendès-France dal vertice del governo francese,
cosa che Beyen aveva già anticipato e pronosticato nell’ambito di una
dichiarazione alla Tweede Kamer154.
Frattanto, riprendendo le parole del ministro olandese, in Europa, e
soprattutto nel contesto del Benelux, i piani per il rilancio europeo “spuntavano
come funghi”155. Tra i più accreditati, oltre al noto progetto del barone belga
Charles Snoy et d’Oppuers per la creazione di una zona di libero scambio
nell'ambito dell'Oece, le iniziative per la cooperazione intereuropea promosse
NL-HaNA, Bewindslieden van het Ministerie van Buitenlandse Zaken 1952-1998, 2.05.81,
inv.nr. 2, Brief en instructie, Beyen a Drees, 27.12.1954, p. 9.
152 Ivi, p. 10.
153 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 400, Beneluxoverleg inzake beleid ten aanzien van WEU en
KSG, 29.11.1954, p. 8.
154 J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 236.
155 Cfr. “als paddestoelen uit de grond springen”. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 509 1955
mrt., Nota inzake de Europese integratie, 24.3.1955.
151
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dai belgi Larock156 e Van Houtte157 e il “pre-integration programme” dell’olandese
Blaisse158, tutti a carattere spiccatamente intergovernativo. Tali soluzioni, che
pure avevano suscitato l’attenzione di alcuni noti europeisti - tra i quali Beyen159
e Spaak - e che dovevano in larga parte il proprio successo al fatto di aver
saputo interpretare la sfiducia dell’opinione pubblica europea circa le effettive
virtualità del metodo comunitario, erano percepite dal ministro olandese come
un’autentica minaccia all’idea sovranazionale, nonché al proprio, personale
proposito di rilanciarla attraverso l’iniziativa del Benelux. Quest’ultima,
viceversa, riuscì a ritrovare vigore grazie alla repentina trasformazione dello
scenario internazionale. Il 5 febbraio del 1955, infatti, il governo di MendèsFrance venne rimpiazzato da una nuova maggioranza guidata dal radicale
Edgar Faure, cosa che comportò una notevole riduzione della presenza gollista
Egli presentava una serie di “propositions d’ordre économique", le quali avrebbero potuto
costituire la base per "une action politique à entreprendre par des pays de Benelux”, col fine
ultimo di innescare il “rélance de l’intégration Européenne”. La proposta di Larock era
originariamente datata novembre 1954; nel marzo del 1955, egli ottenne una sorta di offerta
ufficiale di sostegno da parte di Bruxelles, al punto che il piano Larock prese ad essere definito,
nel gergo coevo, come “la proposta del Belgio”. Larock suggeriva la creazione di un’area di
libero commercio - caratterizzata dall'assenza sia di barriere tariffarie, sia di restrizioni
quantitative - per quei prodotti - per lo più manifatturieri - i cui costi di produzione si fossero
rivelati pressoché i medesimi in tutti i paesi dell'Europa occidentale. Cfr. A.G. Harryvan, The
Netherlands, Benelux…, cit., p. 20.
157 Il piano di Van Houtte, lanciato il 17 marzo 1955, riprendeva a grandi linee la proposta di
Snoy. Nel dettaglio, Van Houtte esortava i paesi del Benelux lanciare nell’ambito dell’Oece un
un’iniziativa, estesa a un gruppo limitato di paesi, per la graduale riduzione tariffaria in un
periodo da dieci a quindici anni e per la simultanea abolizione totale delle restrizioni
quantitative. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401 1955 jan. – juni, Notulen van de
vergadering, gehouden op Maandag 28 Maart 1955 in de Trèveszaal, aangevangen ‘s morgens om elf uur
en ‘s middags voortgezet, pp. 3-4.
158 Pubblicato a ridosso del progetto di Larock, nel febbraio 1955, il progetto del deputato
olandese ricevette apprezzamenti significativi, sia in patria, sia a livello internazionale. Fondato
sulla constatazione della sostanziale immaturità dei Sei per procedere alla creazione di
un’integrazione economica effettiva, il “pre-integration programme” suggeriva una serie di misure
preliminari, dirette alla rimozione simultanea delle barriere economiche e psicologiche
all’integrazione. Tra le altre cose, questo programma introduceva anche un piano
intergovernativo per lo sviluppo dell’Italia meridionale, un progetto comune per la produttività
agricola e uno per la costruzione gli impianti di energia atomica e gas naturale, nonché una
cooperazione tecnico-finanziaria nel campo dell’edilizia. Stando a Blaisse, peraltro, il Consiglio
d’Europa avrebbe costituito la cornice istituzionale più adeguata per la realizzazione di tali
obiettivi. Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, Bewindslieden 1952-1998, 2.03.81, inv.nr. 11, Memorandum,
19.2.1955.
159 Quanto all’ideatore del mercato comune, Harryvan sostiene che il nuovo progetto di unione
doganale elaborato da Beyen si rifaceva in larghissima parte allo schema elaborato da Snoy et
d’Oppuers per un’iniziativa del Benelux nell’ambito dell’Oece volta alla creazione di un’area di
libero commercio. Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 74.
156
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nell’Assemblée Nationale e lasciò germogliare concrete speranze di una possibile
ripresa della progettualità europea da parte di Parigi160.
All’Aja, tuttavia, neanche l’uscita di scena di Mendès-France seppe
allentare gli scetticismi e convincere il Ministerraad a conferire alla propria
politica europea un più elevato profilo. Lo spirito propositivo, viceversa,
sembrò riemergere, ancora una volta su impulso di Beyen, a seguito dei
colloqui “a tre” del 10 marzo 1955, in occasione dei quali i ministri del Benelux
avevano stabilito di promuovere un incontro tra i capi dicastero degli Esteri dei
Sei, formalmente organizzato per discutere sulla successione di Monnet – che,
com’è noto, aveva presentato le proprie dimissioni dalla presidenza dell’Alta
Autorità a seguito del fallimento della Ced per mano dei francesi – alla guida
dell’esecutivo della Ceca161, ma di fatto finalizzato a verificare gli orientamenti
dei singoli governi, di quello francese in particolare, in materia di integrazione
europea. Una dichiarazione che “le trois petits”, Spaak in particolare, ritenevano
essenziale in vista della formulazione dell’iniziativa comune per il rilancio della
Comunità162.
Il discorso inaugurale di Faure al Conseil de la République lasciava intendere che il nuovo
governo francese avrebbe assunto un atteggiamento più positivo rispetto al suo predecessore,
anche e soprattutto in ambito comunitario. Faure dichiarò infatti che i francesi avrebbero preso
iniziative importanti per la cooperazione nel campo dell’elettricità, dei trasporti e dell’energia
atomica. In altre parole, Faure avrebbe accolto le indicazioni di Monnet per un rilancio
dell’integrazione settoriale. Ciononostante, restava incerta la posizione di Faure rispetto alla
sovranazionalità e al rafforzamento delle istituzioni comunitarie. Cfr. A.G. Harryvan, The
Netherlands, Benelux…, cit., p. 22 e, sulla reazione olandese alle dichiarazioni di Faure, NLHaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401, Notulen van de vergadering, gehouden op Maandag 21 Maart
1955 in de Trèveszaal, aangevangen ‘s morgens om elf uur en ‘s middags voortgezet, p. 9.
161 Già nei due mesi precedenti l’incontro, in verità, Spaak aveva tentato di promuovere la
nomina di Schuman alla presidenza dell’Alta Autorità della Ceca. Tuttavia, il cambio di guardia
a Parigi, come pure le discussioni con Monnet, lo avevano indotto a cambiare idea e ad
attendere di conoscere meglio le intenzioni di Faure in materia di integrazione europea. Cfr. P.H. Spaak, Combats Inachevés..., cit; e anche J. Monnet, Mémoires, cit., p. 47.
162 Monnet, all’atto di presentare le dimissioni, aveva dichiarato che la sua era un’azione di
protesta nei confronti della condotta di Parigi nel contesto comunitario. Al contempo, tuttavia, il
padre del funzionalismo aveva comunicato ai suoi più stretti collaboratori (vrienden) che
avrebbe riassunto la presidenza dell’Alta Autorità qualora il governo francese avesse cambiato
atteggiamento. Subito dopo la caduta di Mendès-France, peraltro, il commis d’État francese si era
dichiarato disposto a restare in carica ancora un mese, nella speranza di ottenere l’appoggio
sufficiente alla realizzazione delle sue proposte per la “comunitarizzazione” del settore
energetico. (Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 30). Spaak era
perfettamente al corrente dei propositi del suo mentore. Oltre ad essere in stretti rapporti con
Monnet, infatti, il ministro belga era anche entrato in contatto con il neoeletto ministro degli
Esteri francese, Pinay, insieme al quale aveva discusso e approvato il nuovo progetto di
integrazione settoriale elaborato dall’illustre ideatore della Ceca. Pertanto, le sue dichiarazioni
del 10 marzo 1955, riguardo all’atteggiamento che avrebbe assunto la Francia in Europa e circa
160
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Di fatto, la proposta dell’incontro a Sei, che pure era stata sostenuta
collettivamente dai tre partner, era stata avanzata dal solo ministro belga. E non
a caso. In effetti, d’intesa con lo stesso Jean Monnet - come Beyen aveva appreso
con largo anticipo dall’ambasciatore olandese a Bruxelles, Ernst H. van der
Beugel163 - il preciso intento di Spaak era quello di rilanciare l’integrazione
europea secondo il metodo settoriale promuovendo una presa d’atto congiunta
dei Sei all’indirizzo del presidente dimissionario dell’Alta Autorità, per
convincerlo a riconsiderare la propria. In altre parole, facendo leva
sull’indiscusso prestigio accreditato al burocrate in ambiente comunitario, il
ministro di Bruxelles voleva tentare di forzare la mano sui suoi omologhi
europei per persuaderli a riprendere il cammino verso l’unificazione
continentale lungo la linea tracciata a suo tempo dall’ideatore della Comunità164.
Di fronte a tale prospettiva, che certo era del tutto antitetica rispetto agli
auspici di Beyen per l’integrazione economica generale, il ministro olandese
decise di ricorrere alla prudenza diplomatica, che pure non gli era congeniale,
ma che aveva appreso, quasi involontariamente, con la prolungata
frequentazione dei negoziati internazionali. Anziché opporsi con fermezza
all’iniziativa del collega brussellese – e implicitamente creare una frattura in
quel processo di riavvicinamento tra i partner del Benelux che egli stesso aveva
avviato – offrì il proprio sostegno, limitandosi a precisare il proprio disaccordo
con i propositi per l’integrazione (integratieplannen) coltivati da Monnet165. Il che
stava implicitamente a significare che, una volta ottenuta la riconferma del
presidente dell’Alta Autorità, il ministro olandese avrebbe continuato a
promuovere il suo disegno di integrazione europea “orizzontale”.
Occorreva però, a questo punto, elaborare una soluzione alternativa, la
quale riuscisse peraltro ad eguagliare, in termini di efficacia e di applicabilità
immediata, l’attraente proposta monnetiana sull’estensione delle competenze
della Ceca. Pertanto, sulla base delle idee maturate in anni di impegno
il futuro di Monnet all’Alta Autorità della Ceca, rappresentarono delle vere e proprie
anticipazioni di quello che sarebbe stato il prossimo futuro del percorso comunitario. Non a
caso, nelle sue memorie, riferendosi ai colloqui avuti con Monnet in quel periodo, Spaak
avrebbe scritto: “Nous étions d’accord pour penser qu’il fallait proposer quelque chose la
meilleure méthode consistant, creyons-nous, à ètendre les competénces de la Ceca. Nos
ambitions ètaient modestes. Nos aspoirs l’ètaient aussi: ‘nous semblait important de nous
aurions de réelles chances ce réussir, laissant pour plus tard la réalisation de plus vastes projets.
Il fallait avant tout èviter un nouvel échec’. Cfr. P.H. Spaak, Combats Inachevés…, cit., p. 62.
163 Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, Bewindslieden 1952-1998, 2.05.81, inv.nr. 11, Memorandum en
notitie, 19.2.1955.
164 Ibidem.
165 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401, Bespreking tussen Beneluxministers van Buitenlandse
Zaken, 11.3.1955, p. 12; e anche ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 31.
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europeista, nonché forte del sostegno accordatogli dalla quasi totalità dei suoi
collaboratori al Buitenlandse Zaken166, come pure da molti colleghi nell’ambito
del Ministerraad167, in meno di due settimane Beyen elaborò la Nota inzake de
Europese integratie, un programma dettagliato sulle prospettive dell’integrazione
economica europea e sul contributo che alla sua realizzazione avrebbero potuto
offrire i Paesi Bassi168, la quale, già il 24 marzo 1955, raggiungeva i tavoli del
Binnenhof per la discussione ufficiale169. Il Piano Beyen, araba fenice, rinasceva
così dalle sue ceneri, sotto una nuova veste, opportunamente calibrata nei suoi
elementi di “opportunismo nazionale” e di “idealismo europeista”, nonché
predisposta per essere presentata come iniziativa congiunta dei paesi del
Benelux, ed essenzialmente finalizzata a proporre un’Europa a dimensione dei
“petits”170.
Nella Nota, il ministro olandese poneva l’accento sull’eccezionalità del
momento storico che stava attraversando l’Europa. Il “bisogno di riprendere in
mano i fili improvvisamente recisi dell’integrazione europea”171 rendeva infatti
più permeabili gli stati europei a recepire nuove proposte, ancorché caute o di
portata limitata. Tuttavia, la delusione e la confusione provocate dal fallimento
della Ced aveva provocato anche nei sostenitori più convinti dell’integrazione
In effetti, in vista dell’incontro di marzo tra i ministri del Benelux, la Direzione per la
Cooperazione Occidentale e l’Integrazione Europea (DWS/IE) del Buitenlandse Zaken aveva
stilato una nota nella quale sosteneva ampiamente – e sulla base di valutazioni pragmatiche – la
maggior efficacia del metodo orizzontale rispetto all’approccio monnetiano. Ibidem.
167 Questo risultò già dalla relazione inviata alla Camera il 9 marzo 1955, relativa alla
discussione degli Accordi di Parigi (Memoire van Antwoord bij het wetsontwerp tot goedkeuring van
de Parijs Verdragen, in ibidem). Nella relazione provvisoria, datata 23 febbraio 1955, e firmata, tra
gli altri, da Drees, Beyen, Staf e Zijlstra, si leggeva infatti: “il governo, soprattutto riguardo alla
sfera economica, aspira ad una molto più profonda integrazione europea, la quale è difficile da
realizzare senza che si creino istituzioni sovranazionali o, altrimenti detto, senza che vengano
previsti trasferimenti di competenze e di responsabilità. Per quanto ci riguarda non c’è modo di
cambiare questa situazione e noi siamo sempre disposti a riprendere le discussioni che sono
state interrotte nella primavera del 1954. Benché il governo sia propenso all’integrazione
economica in senso generale… inizialmente non si opporrà ai tentativi di integrazione di aree
limitate, soprattutto se queste verranno formulate nel quadro della Ceca e riguarderanno i
settori affini al carbone e all’acciaio”. Ibidem.
168 “... maar meen, dat het ogenblik gekomen is, waarop de Nederlandse Regering zich moet
afvragen, of zij niet, in samenwerking met de andere Beneluxregeringen, een positiever en meer
principieel standpunt tegenover het integratie probleem moet innemen” (... ma ritengo che sia
giunto il momento in cui il governo olandese debba chiedersi se non debba assumere, insieme
agli altri governi del Benelux, una posizione più positiva e più di principio nei confronti del
problema dell’integrazione). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 509, Nota inzake de Europese
integratie, 24.3.1955, p. 2.
169 Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 34.
170 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 84.
171 Ibidem
166
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
europea un radicamento di concezioni e di prospettive molto più pessimistiche
di quanto non fosse prevedibile all’indomani del naufragio dell’esercito
comune.172 All’Olanda si presentava pertanto l’opportunità irrinunciabile di
indirizzare verso traguardi importanti il percorso comunitario, anziché limitarsi
a criticare, più e meno positivamente, iniziative altrui.
In una miscela di fervore europeistico e pragmatismo, Beyen passava poi
ad illustrare gli obiettivi cui avrebbe dovuto puntare l’azione olandese in
Europa, traguardi che, in larghissima parte, coincidevano con quelli già
illustrati nel Piano Beyen. Il primo, come era naturale, sarebbe stata
l’unificazione economica generale, da conseguire attraverso l’ “ampliamento” e
la “stabilizzazione del mercato europeo”, cosa che, peraltro, avrebbe avuto
ricadute eccezionalmente positive la crescita economica olandese, la quale,
com’è noto, si affidava essenzialmente alle esportazioni. Detto con le parole di
Beyen:
Wij streven naar een werkelijke verinniging in de samenwerking tussen de Europese landen en
naar een uitbreiding en stabilisering van de Europese markt (voor onze export). 173
La Nota proseguiva lanciando l’allarme sulla confusione generata dal
proliferare di iniziative più o meno simili (come quelle, già ricordate, di Larock,
Van Houtte e Blaisse), accompagnate dalla campagna monnetiana a favore
dell’integrazione settoriale e sul rischio della paralisi derivante da un tale stato
di incertezza. In tale contesto, una ben congegnata (weldoordacht) iniziativa del
Benelux avrebbe assunto il carattere di urgenza, oltre a rappresentare il punto
di svolta dell’impasse comunitaria. E il salto di qualità, proseguiva il ministro,
si sarebbe riscontrato allorché, in virtù di tale “progetto a tre mani”, fosse stato
evidente che l’intenzione dei partner del Benelux era quella di salvare il lavoro
svolto dall’Assemblea ad hoc e riproporre la nascita di una Comunità politica
europea. Quest’ultima, tuttavia, avrebbe avuto poteri circoscritti al solo settore
economico e avrebbe perseguito, quale suo obiettivo essenziale, la creazione di
un’unione doganale europea sulla quale edificare una Comunità economica
europea propriamente detta174.
In tale quadro, concludeva Beyen, sarebbero state comprese anche le
proposte di Monnet-Spaak sull’estensione delle competenze della Ceca ai
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 509, Nota inzake…, cit., p. 2.
Noi aspiriamo a un reale cambiamento nella cooperazione tra i paesi europei e a un
ampliamento e a una stabilizzazione del mercato europeo (per le nostre esportazioni). Ivi, p. 3.
174 “Door het wegvallen van de E.D.G. zou de taak der Politieke Gemeenschap een zuiver
economische moeten zijn, n.1 tot stand brengen van de Europese Economische Unie na het
scheppen van een Douane Unie” (A causa del fallimento della Ced il compito della Comunità
politica sarebbe esclusivamente di carattere economico, n.1 la realizzazione dell’Unione
economica europea dopo la formazione di una Unione doganale). Ivi, p. 4.
172
173
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
terreni dei trasporti e dell’energia. Per eludere le resistenze francesi, d’altra
parte, il piano avrebbe prospettato a Parigi la possibilità di usufruire sia di uno
speciale periodo di transizione nell’arco del quale procedere alla
modernizzazione dell’apparato produttivo nazionale, sia di clausole particolari
per il settore agricolo175.
In estrema sintesi, il 27 marzo del 1955, all’apertura della seduta del
Ministerrad sulla Nota di Beyen, il ministro degli Esteri, con il consueto
atteggiamento pragmatico e con l’acume che gli aveva conferito la lunga
esperienza nel mondo degli affari, riportava la questione europea al centro del
dibattito politico olandese, inaugurando, in tal modo, la fase più feconda del
contributo dei Paesi Bassi al processo di integrazione continentale.
Il “sì” dell’Aja alla Nota di Beyen e la stesura del Memorandum del Benelux
Prima dello stesso 27 marzo, Beyen ricevette un commento scritto del ministro
Mansholt, con il quale il ministro dell’Agricoltura - che non avrebbe potuto
partecipare alla riunione del Ministerraad convocata in via eccezionale per
discutere la Nota – si schierava apertamente a sostegno dell’europeista del
Buitenlandse Zaken e del suo schema per il rilancio dell’Europa
sovranazionale176. Acceso federalista qual era, Sicco Mansholt si congratulò
apertamente con Beyen per aver ridato impulso alla riflessione europeista e per
aver elaborato un corpo concreto e coerente di proposte per rilanciare la
Comunità. Inoltre, come ministro dell’Agricoltura, si dichiarò pienamente
concorde con i suggerimenti prospettati dalla Nota per il settore primario.
Non che Mansholt fosse l’unico entusiasta del tentativo di Beyen di
risvegliare lo spirito d’iniziativa olandese per porlo al servizio della causa
europea. Al contrario, la Nota ricevette commenti positivi anche dalla più parte
del Consiglio dei ministri, fatta eccezione per Drees, Beel e Zijlstra177.
Il primo a pronunciarsi fu il ministro dell’Interno, Beel, il quale, pur
dichiarandosi sostanzialmente in accordo con gli obiettivi indicati nella nota,
non si mostrò favorevole ad accettare la ripresa delle discussioni sulla Cpe,
laddove, se soltanto di economia si doveva trattare, sarebbe stata sufficiente una
modifica, peraltro neanche troppo importante, delle già esistenti istituzioni
della Ceca178. A far eco a Beel intervenne, puntuale come sempre quando si
trattava di attaccare la sovranazionalità, il Primo ministro, il quale espresse
senza mezzi termini il suo forte scetticismo intorno alle possibilità di successo
Ibidem.
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 509, Brief Minister Mansholt aan Beyen, 26.3.1955.
177 Cfr. ASUE, COL, JMDS-000125, 1979, Rutten Document, cit., p. 36. Si veda anche NL-HaNA,
MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401, Notulen, 28.3.1955.
178 NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401, Notulen, cit., p. 12.
175
176
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
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dell’iniziativa, puntando di contro l’accento sulle tendenze protezionistiche che
si andavano progressivamente affermando in Europa e soprattutto a livello dei
Sei. Peraltro, precisava Drees nel suo lungo intervento, le istituzioni
sovranazionali non erano necessarie per ottenere risultati importanti sul terreno
economico179. Viceversa, considerato il clima non certo favorevole alla
ripartenza dell’integrazione sovranazionale, sarebbe stato più opportuno
prospettare sì un’iniziativa congiunta del Benelux a carattere intergovernativo,
sul modello dello schema proposto da Van Houtte o da Snoy et d’Oppuers180. Le
dichiarazioni di Drees vennero ampiamente suffragate dal ministro
dell’Economia, Jelle Zijlstra, il quale, seppur più possibilista del suo Presidente
rispetto al rilancio del cammino europeo verso la sovranazionalità, riteneva che
i tempi non fossero sufficientemente maturi per riprendere in mano progetti
che, al momento, potevano risultare fin troppo ambiziosi. Al contrario, sarebbe
stato più opportuno concentrare gli sforzi verso il raggiungimento di obiettivi
limitati, ma concreti, come quelli prospettati nel piano elaborato da Larock181..
Beyen, che si ritrovò improvvisamente in una situazione di imbarazzante
isolamento, visto che i ministri più influenti sembravano tutti intenzionati a
liquidare la Nota senza troppi formalismi, adottò una posizione più conciliante,
si dichiarò pronto ad espungere dal testo ogni riferimento alla Comunità
politica, ma ribadì la necessità di dotare l’unione economica europea di una
cornice istituzionale di coordinamento, la quale avrebbe essere dotata delle due
caratteristiche irrinunciabili della sovranazionalità e della responsabilità di
fronte a un parlamento. Tuttavia, di fronte all’irrobustirsi delle resistenze,
accettò di presentare ai partner del Benelux una bozza per un’iniziativa
congiunta destinata al “rafforzamento dell’integrazione economica europea”,
senza riferimenti specifici alla natura, sovranazionale o intergovernativa, della
struttura che si intendeva creare182.
A due giorni di distanza dall’acceso dibattito nell’ambito del Consiglio dei
ministri, Beyen tornò a difendere le sue proposte alla Camera, la quale, a sua
volta, era impegnata con l’approvazione dei protocolli di Parigi183. Il ministro
degli Esteri, in prima istanza, cercò di attirare l’attenzione dei parlamentari
europeisti, esprimendo la propria preoccupazione nei confronti del diffuso
pessimismo che aveva riscontrato, tra i Sei e particolarmente in seno al governo
Ibidem.
Cfr. A.G. Harryvan, The Netherlands, Benelux…, cit., p. 30.
181 Cfr. ASUE, COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 36.
182 Ibidem. Sulla reazione dell’Aja alla Nota di Beyen si veda anche A.G. Harryvan, The
Netherlands, Benelux…, cit., p. 32.
183 I Protocolli di Parigi erano stati approvati dal senato francese il 27 marzo, il che aveva
dissipato le incertezze degli altri governi sul possibile fallimento dell’iniziativa. Cfr. ASUE,
COL, JMDS-125, 1979, Rutten Document, cit., p. 37.
179
180
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dei Paesi Bassi, intorno all’idea di Europa sovranazionale. Di fronte a tale
situazione, pertanto, Beyen si chiedeva se non fosse giunto il momento di
destarsi dal “torpore contemplativo” in cui era sprofondato e di presentarsi
davanti al Consiglio dei ministri dei Sei con una richiesta ben precisa, vale a
dire una dichiarazione esplicita da parte dei singoli governi sulla disponibilità
ad
accogliere
positivamente
un’iniziativa
per
l’approfondimento
dell’integrazione economica su basi sovranazionali, la quale avrebbe costituito
la premessa essenziale per avviare, con i partner del Benelux, la fase progettuale
vera e propria184.
L’ottimismo del ministro olandese, appassionato dell’Europa come
dell’arte, nasceva dalla consapevolezza che il terreno fosse effettivamente fertile
per gettare il seme del rilancio europeo, soprattutto se quest’ultimo fosse stato
concepito secondo un’ottica pragmatica e immediatamente efficace185. Il suo
entusiasmo e le sue convinzioni, tuttavia, si scontravano con la ben più
imponente realtà dello scetticismo dei governi, i quali si muovevano a passi
incerti e calibrati sul sentiero dell’opportunismo nazionalistico e del
bilateralismo, di cui la neo costituita Ueo era espressione e fortilizio. E non fu
un caso, pertanto, che Beyen fu costretto ad ingoiare anche il “nee” della Tweede
Kamer, sul cui sostegno aveva peraltro fortemente sperato186, e a presentarsi, di
conseguenza, a Bech e Spaak con una proposta riadattata ai desiderata del
proprio governo.
Il 4 aprile 1955, dal Buitenlandse Zaken partiva un “document de travail” per
Spaak e Bech, in cui si invitavano i due politici ad un incontro, da tenersi a
Bruxelles, per discutere i termini di un’iniziativa congiunta dei paesi del
Benelux “relative à la relance de l'idée européenne”, da presentare alla successiva
riunione dei ministri degli Esteri della Ceca187. Sintetizzava Couvreur,
ambasciatore belga all’Aja:
La note de M. Beyen reproduit le plan d'integration économique dont il est l'auteur avec
quelques légères modifications a fin de tenir compte de l'opposition française (intégration de
“Ik overweeg daarom of ik mij niet uit mijn contemplatie rust moet opwekken en overwegen
een voorstel te doen, dat verschillende landen voor de vraag stelt of zij al of niet bereid zijn om
de economische integratie in algemene zin in supranationaal verbend te overwegen” (Ritengo
pertanto di dovermi destare dal mio riposo contemplativo e presentarmi con una proposta, che
i diversi paesi si dichiarino pronti o meno a credere in un’integrazione economica generale a
carattere sovranazionale). Ibidem.
185 Come egli stesso avrebbe affermato nelle sue memorie: “L’atmosfera era pronta per un
‘relance européenne’”. Cfr. J.W. Beyen, Het spel en de knikkers…, cit., p. 237.
186 Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT658…, cit. e ivi, INT519…, cit.
187 Cfr. Monsieur L. Couvreur, Chargé d'Affaires de Belgique à La Haye à Monsieur P.H. Spaak,
Ministre
des
Affaires
Etrangères
à
Bruxelles-,
6.4.1955,
http://www.inghist.nl/pdf/europa/G01496.pdf, p. 1.
184
67
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certains secteurs limitrophes à la CECA) - Critique de l’intégration fonctionnelle c. a. d. par
secteurs et de la collaboration entre gouvernements, ces deux procédures ne sont guère à même
de réaliser l'intégration économique globale – Exemples. 188
Quanto alla proposta di inserire tale integrazione economica globale in un
contesto di istituzioni a carattere sovranazionale, il “document de travail”
spiegava che, nell’interpretazione del suo estensore, cioè di Beyen, la presenza
di tali istituzioni, responsabili della tutela dell’interesse comune europeo,
sarebbe stata la sola garanzia dell’effettiva realizzazione del mercato comune
europeo, giacché sarebbe stata un’illusione credere che uno stato nazionale
potesse per qualche ragione accettare
un sacrifice d'ordre économique et social à moins que celui-ci soit imposé par un organe d'une
communauté supranationale, responsable du bien commun de cette communauté. De ce fait, le
Ministre national sera délie de sa responsabilité à l’égard des habitants de son propre pays. 189
Cosa che, in ogni caso, non significava certo una sovranazionalità limitata
ad alcuni ben precisi settori, dal momento che, come il ministro olandese aveva
già precisato al proprio governo, le misure introdotte per risolvere le
problematiche di un determinato settore avrebbero necessariamente avuto
ripercussioni, anche negative, su “d'autres secteurs”, o sugli “intérêts des
consommateurs”, ovvero avrebbero potuto condurre “à l'exclusion de la
concurrence étrangère”, il che, nell’ottica di paesi tradizionalmente
liberoscambisti come quelli del Benelux, avrebbe senz’altro rappresentato il
pericolo più temibile. Senza contare che - concludeva Beyen anticipando in
parte quanto avrebbe affermato, anni più tardi, Altiero Spinelli nella voce
“Europeismo”, scritta per l’Enciclopedia del Novecento nel 1977 – l’approccio
settoriale “manque d'appel psychologique”, non possedeva cioè quella carica di
ideali e quella componente suggestiva che pure sarebbero state essenziali, sia
nell’immediato, per reagire alle “conséquences politiques du rejet de la CED (regain
des tendances nationalistes en France et en Allemagne)”, sia per condurre il processo
di integrazione verso il suo ultimo approdo, vale a dire “renforcer le sentiment de
solidarité et l'unité de l'Europe”190.
Ibidem.
Ivi, p. 5.
190 Ivi, “Note”, p. 2. Quanto all’apparente coincidenza di visioni tra Beyen e Spinelli rispetto
all’approccio funzionalista, si legga quanto afferma il federalista di Ventotene nella voce
“Europeismo”: “Il punto debole del funzionalismo era quello di tutte le concezioni
tecnocratiche. Scambiava l'efficienza esecutrice del potere amministrativo con la creatività del
potere politico. Un'amministrazione è sempre necessaria per realizzare un piano politico, ma
tende per sua natura a irrigidirlo e a concepirlo come qualcosa di concluso in sé, quindi
incapace di generare nuovi piani. Nessuna agenzia settoriale europea avrebbe avuto una forza
trascinante per il resto delle economie e della società europea, ove fossero mancati impulsi
188
189
68
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Ciò non avrebbe comportato - precisava comunque Beyen nel documento che la realizzazione contestuale di un’integrazione nei terreni dell’energia e dei
trasporti dovesse essere “rejetée par principe”191, né che sarebbero stati posti limiti
di partecipazione agli stati che avessero avuto interesse a farlo, purché questi
ultimi si fossero mostrati disponibili ad accettare la natura sovranazionale
dell’organizzazione cui aderivano. Quanto al Regno Unito, viceversa, si
sarebbero potute prevedere forme particolari di associazione, simili a quelle già
previste dalla Ceca.
La conclusione imprimeva di fatto l’abbrivio a un’azione che avrebbe
avuto il merito non soltanto di rilanciare un processo integrativo da troppo
tempo preda della confusione e dello scoraggiamento, ma di veicolare gli stati
europei verso un futuro unità e di sviluppo:
En définissant nettement notre point de vue, nous parviendrons à mettre fin à la confusion et au
découragement parmi les partisans de l'intégration. Ce que me semble d'un intérêt tout à fait
particulier pour l'avenir de l'intégration de l'Europe. 192
Le sollecitazioni di Beyen dovettero evidentemente produrre l’effetto
desiderato se Spaak, già il 7 aprile, rispondeva all’omologo olandese definendo
“excellentes” le sue idee e dichiarandosi “fondamentalement” d’accordo con la
proposta di discuterle e rielaborarle perché fossero formalmente presentate ai
Sei. Tuttavia, precisava il federalista belga:
… je me demande si la politique que vous préconisez a quelque chance de succés. Je me
demande, notamment , si le Gouvernement français peut l’accepter… On peut mener à la fois la
lutte pour obtenir un grand marché européen et en même temp tâcher de régler certains
problèmes par secteur. 193
E ancora, rilanciando l’idea che aveva a suo tempo concepito insieme a
Monnet:
Il faudrait que les Ministres des Affaires Étrangères faisant connaitre publiquement leur volonté
de relancer l’idée européenne en étendant les compétences de la C.E.C.A. Cette extension de la
C.E.C.A. parait s’appliquer à l’ensemble de forces d’énergie et aux moyens de transport. La
politici nuovi provenienti dal di fuori dell'agenzia stessa. Ma Monnet era convinto che i governi
sarebbero stati obbligati dalla forza delle cose a produrre tali nuovi impulsi”. Cfr. A. Spinelli,
“Europeismo”, in Enciclopedia del Novecento, vol. II, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma,
1977.
191 Cfr. “Note”, cit., p. 3.
192 Ibidem.
193 NL-HaNA, Min. BuZa, Blok II 1955-1964, inv.nr. 18704, Memoranda van de Benelux en WestDuitsland, 1955-1962, “Note”, 7.4.1955.
69
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mise en commun des efforts pour le développement de l’énergie atomique à de fins pacifique
parait également être confiée à une organisation qui dépendrait de la C.E.C.A.194
Altrettanto pronta la risposta di Beyen, la quale, pur con toni concilianti,
cioè laddove sottolineava la sostanziale uniformità di reciproche vedute, anche
“en ce qui concerne la question de principe”, nonché “par rapport à notre stratégie”,
tornava a rilevare le insufficienze di un’azione condotta puntando
esclusivamente al rafforzamento delle competenze della Ceca, sia sotto il profilo
del “renforcement réel de l’économie européenne”, sia con riguardo all’ “effet
psychologique”, dacché l’intento era quello di produrre una effettiva “solidarité
politique de l’Europe”. Argomentava il ministro olandese:
Pour donner un exemple: en ce qui concerne l’intégration des sources d’énergie autres que le
charbon, il n’est pas sûr que l’élecrticité a besoin d’une organisation supranationale, tandis que
l’intégration du marché de pétrole ne m’apparait pas tout à fait simple à réaliser. Pour rapport à
l’intégration du transport quoique d’une urgence indéniable, il n’est pas sûr que cette
intégration devrait se faire dans la cadre de la C.E.C.A. Si alors on se limiterait à étudier
l’intégration dans des domaines voisins de la C.E.C.A. on risque de se trouver devant des
difficultés, qu’on ne pourra résoudre que dans un cadre plus large. 195
In sintesi, benché le premesse fossero positive (anche Bech, infatti, che
pure tardava a rispondere, aveva sempre manifestato una propensione ad
offrire massimo sostegno a qualsiasi iniziativa congiunta del Benelux), la
stesura di un piano ufficiale, ad uso delle cancellerie dei Sei stati, si prospettava
diplomaticamente faticosa.
In effetti, stando anche al rapporto inviato da Beyen all’Aja, il 29 aprile, le
discussioni a tre non furono del tutto esenti da tensioni e confronti anche accesi
su alcuni aspetti “sensibili” della proposta, tra le quali, in particolare, il capitolo
relativo alle elezioni dirette dell’Assemblea parlamentare.
In tale contesto, è doveroso precisare che il documento redatto da Beyen
illustra con particolare efficacia due aspetti spesso sottovalutati dalla
storiografia in argomento. In primo luogo, il fatto che a venire a confronto
furono in sostanza le prospettive degli olandesi, da un lato, e dei belgolussemburghesi, dall’altro196. Con Beyen che, in secondo luogo, si ritrovò a
Ibidem.
Cfr. ASMAE, AP/1950-1957, Questioni internazionali, b. 255, Risposta di Spaak alla lettera di
Beyen del 4 aprile, Bijlage 6, 14.4.1955.
194
195
196
“Zo vind ik de passage over de directe verkiezingen, gezien de Nederlandse bezwaren, en
ondanks de dilatoire formulering, in dit stadium niet gelukkig en ook niet nodig. Dit is echter
een stokpaardje van de Heer Spaak en de Heer Bech.” (Pertanto, in questa fase, non ritengo né
positivo, né necessario il passaggio sulle elezioni dirette, tenendo conto delle obiezioni olandesi
e nonostante la formula dilatoria. Ma si tratta di un piccolo progetto di Spaak e Bech). Cfr. NL-
70
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svolgere il difficile compito di “negoziatore europeista”, a vivere cioè la
dicotomia tra il desiderio di procedere quanto prima alla messa a punto di
un’iniziativa intorno alla quale si sarebbe di fatto deciso il futuro
sovranazionale della Comunità, e la necessità di tener conto delle opposizioni
che avrebbe incontrato nell’ambito del proprio governo, il cui euroscetticismo
andava contenuto con robuste contropartite sul piano della soddisfazione degli
interessi prettamente nazionali. Senza contare che, infine, volendo i Paesi Bassi
esercitare un ruolo guida nella contrattazione collettiva a livello del Benelux,
qualsiasi decisione fosse stata presa avrebbe dovuto rispecchiare, almeno agli
occhi degli esigenti componenti del Ministerraad, il frutto di un compromesso
strappato ai belgo-lussemburghesi in virtù della maggiore influenza dei cugini
dell’Aja.
Tenuto conto della complessità del panorama in cui si trovò ad operare,
risulta quindi ancor più prezioso il lavoro svolto da Beyen nella fase di
elaborazione del testo programmatico che, a partire dal 18 maggio 1955, sarebbe
passato alla storia come Memorandum del Benelux.
In estrema sintesi197, in linea con i suggerimenti di Jean Monnet, il quale
continuava ad operare nelle retrovie, il testo si apriva esortando i paesi
dell’Europa occidentale a ridare impulso all’integrazione sul terreno che fino a
quel momento si era rivelato il più consono a sostenerla, quello economico, e sul
fondamento teorico – anche se ritoccato nei suoi contenuti più spiccatamente
ispirati al settorialismo - che, nel 1950, aveva ispirato la nascita dell’Europa
comunitaria, il funzionalismo. Precisate le premesse concettuali e individuato
l’ambito in cui promuovere l’azione, il Memorandum passava all’esame più
dettagliato delle due piattaforme per il rilancio della Comunità. La prima,
ispirata al disegno di Beyen, consisteva nella realizzazione di un’unione
economica generale, costruita sui due capisaldi dell’unione doganale e del
mercato comune, nonché coordinata da “un’Autorità sovranazionale dotata di
propri poteri”198. La seconda, di matrice monnetiana e, pertanto, introdotta
essenzialmente da Spaak, promuoveva l’estensione delle competenze della Ceca
al terreno dei trasporti e delle fonti energetiche, con particolare riferimento ai
programmi per l’utilizzo dell’energia atomica per fini pacifici, che nell’ottica
spaak-monnetiana rappresentavano il maggior punto di forza dello schema.
HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 510 1955 apr. - mei, Beyen a Drees e a tutti i membri del Consiglio dei
ministri, 29.4.1955, p. 1.
197 In questa sede non sembra opportuno illustrare dettagliatamente i contenuti del
Memorandum, i quali sono stati peraltro parzialmente anticipati nei paragrafi precedenti. Per
una
visione
completa
del
documento
si
rimanda
ad
ogni
modo
a
www.ena.lu/benelux_memorandum-020102540.html
198 Cfr. E. Bruylant, Pour une Communauté politique européenne, Travaux préparatoires, 1955-1957,
vol. II, 1955-1957, Bibliothèque dela Fondation Paul-Henri Spaak, Bruxelles, 1987, pp. 25-29.
71
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
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Illustrato il contenuto essenziale dell’iniziativa dei “tre piccoli”, il
Memorandum proponeva di convocare una Conferenza dei Sei – aperta alla
partecipazione dei paesi membri dell’Oece e degli stati associati alla Comunità –
incaricata di discutere le proposte e procedere, alla stesura dei trattati, nonché
alla compilazione di un calendario dettagliato per il completamento dell’unione
doganale, indicata, per espressa volontà di Beyen, quale premessa
imprescindibile per la realizzazione di un mercato comune propriamente
detto199.
La stessa conferenza, peraltro, avrebbe avuto il compito di stilare un
profilo delle politiche da adottare in comune sul terreno sociale, dei trasporti e
dell’energia nucleare.
Arrivato sul tavolo del Consiglio dei ministri della Ceca, il Memorandum
del Benelux fu accolto dagli italiani e dai tedeschi con un entusiasmo superiore a
qualsiasi previsione. La Repubblica federale soprattutto, che proprio in quel
periodo stava attraversando una fase di grande espansione economica, grazie
soprattutto all’accresciuto volume delle esportazioni, prese ad esercitare
immediate pressioni affinché la proposta dei “piccoli beneluxiani” venisse
immediatamente trascritta nella forma di un nuovo trattato comunitario. La
Francia, viceversa, si assestò su un riserbo che sapeva di acredine, non soltanto
perché consapevole della scarsa attrattiva dell’iniziativa per gli interessi
particolari di Parigi - non certo capofila in materia di competitività di
produzione industriale, nonché spaventata di subire l’invasione delle merci
tedesche - ma anche e soprattutto in quanto vedeva usurpata la propria
leadership comunitaria da un gruppetto di neofiti della scena internazionale, di
fronte ai quali, tuttavia, non aveva al momento sufficiente prestigio per opporre
resistenza. D’altro canto, i transalpini erano fortemente interessati ad
un’accelerazione del proprio programma di sviluppo atomico (per scopi
pacifici) e, pertanto, si trovavano costretti a piegare il capo di fronte alle
agevolazioni che la “comunitarizzazione” dell’atomo offriva a fronte degli alti
costi di tale ramo produttivo200.
Ad ogni modo, per non rischiare un nuovo isolamento diplomatico, alla
fine di maggio, il Quai d’Orsay, pur tra le decise rimostranze dei gollisti,
approvò il Memorandum in tutte le sue parti. Di conseguenza, complice la
sapienza politica di Gaetano Martino, ministro degli Esteri italiano, i Sei
giunsero a Messina, il 1 giugno 1955, per avviare i negoziati che, il 25 marzo
1957, avrebbero portato alla firma dei Trattati di Roma.
Fin dall’apertura delle discussioni, fu evidente che Spaak aveva
progressivamente occupato il centro della scena. Una presenza imponente,
199
200
Cfr. R.T. Griffiths (ed.), The Netherlands and the Integration of Europe…, cit., p. 178.
Ibidem.
72
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
quella del leader belga, non soltanto quanto a struttura fisica, ma anche e
soprattutto sul piano dell'esperienza, che inevitabilmente offuscava la ben più
modesta statura politica di Beyen, che pure era stato l’ispiratore effettivo del
Memorandum del Benelux. Non che l’europeista di Bruxelles volesse acquisire a
se stesso i meriti del collega olandese. Anzi, al contrario. Dopo aver invano
atteso che l’ex direttore del Fmi accettasse la sua offerta di guidare il comitato
per il Mercato unico, appositamente istituito a Messina, insistette perché la
presidenza di quel consesso fosse significativamente affidata ad un altro
olandese, Verrijn Stuart, capo delegazione dell’Aja alla Conferenza dell'1-3
giugno201.
Tale inversione di ruoli e di credito, in effetti, potrebbe essere spiegata
attraverso un duplice ordine di motivazioni. In primo luogo, partendo dalla
constatazione che, nel corso delle discussioni che si tennero nella cittadina
siciliana, si diffuse rapidamente la convinzione che l’autentico fiore all’occhiello
dell’iniziativa del Benelux fosse rappresentato dal capitolo "monnetiano", cioè
dalla prospettiva di avanzamento dell'integrazione nei settori dei trasporti e
dell’energia, soprattutto nucleare. Stando alle puntualizzazione di Harryvan,
infatti, lo stesso Spaak, nell’occasione, si dichiarò propenso a condurre
parallelamente le trattative sulle due Comunità, purché i negoziati sul Mercato
comune non ritardassero l’entrata in vigore delle nuove norme in materia di
cooperazione settoriale202. In secondo luogo, in accordo con l’interpretazione di
Brouwer, fu apparentemente lo stesso Beyen a lasciare al collega, politico di
professione, l’onore – e l’onere – di condurre a termine il negoziato sul Mec e
sull’Euratom. Afferma in proposito lo storico olandese:
Il parait qu’au lendemain de la conférence de Messine, Konrad Adenauer aurait proposé que
Beyen dirige la commission d’études. Dans la commission des Affaires étrangères due
parlement néerlandais, le ministre explique pourquoi il a refusé. Il prévoit que le président de la
commission dirigerait aussi la conférence intergouvernementale qui est censée élaborer les
traités. Cette perspective ne l’attire pas. Sa réponse est franche : « Je serais trop lié ». Ce
désistement ne s’explique-t-il pas par cette habitude de perdre l’iintérêt après un certain
temps ? Comme l’a remarqué un de ses collaborateurs de l’époque, Beyen n’était pas la
personne à vouloir élaboré en détail le projet de marché commun. 203
Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 123. Occorre qui precisare che fu lo stesso
Beyen a supportare la candidatura di Verrijn Stuart, anche e soprattutto davanti al Ministerraad.
Testimonia in proposito il verbale della discussione del 13 giugno 1955: “De Raad verklaart zich
vervolgens accoord met het voorstel van Minister Beyen om Verrijn Stuart te polsen” (Il
Consiglio si dichiara d’accordo con la proposta del ministro Beyen di tastare il terreno per la
candidatura di Verrijn Stuart). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 401, Notulen, 13.6.1955, p.
5.
202 Ibidem.
203 Cfr. J.-W. Brouwer, “Jan-Willem Beyen…, cit., p. 265.
201
73
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Sia come sia, sta di fatto che il "Rotterdamse bankier", intravedendo già
l’esito positivo dell’iniziativa alla quale aveva dedicato ben quattro anni della
sua vita, anche privata, era comunque persuaso di aver esaurito la propria
missione in Europa e, più in generale, nell’agone politico nazionale e
internazionale. Come si vedrà nel prossimo paragrafo, infatti, l'assoluta fedeltà
all’idea sovranazionale e il sostanziale disinteresse per le beghe di politica
interna avrebbero fortemente danneggiato l'immagine di Beyen nell’ambito del
Ministerraad, dal quale, non a caso, di lì a pochi mesi, sarebbe stato estromesso.
Ciò non deve tuttavia indurre a ridimensionare l'importanza del ruolo in
Europa e il lascito originale, in termini di idee e di contributi concreti, di questo
“partijloze” poco olandese e molto europeo (come lo definisce Brugmans 204). Se,
infatti, Drees non avesse commesso “il grosso sbaglio” 205 di richiamarl0o da
Washington e incaricarlo agli Esteri, proprio in coincidenza con uno fra i
tornanti più delicati della storia comunitaria, l’Unione europea che tutti
conosciamo avrebbe, forse, ad oggi, volto diverso.
La crisi di governo e l’allontanamento di Beyen
Il successo conseguito in Europa, anziché rafforzare il prestigio di Beyen, in
patria e all’estero, rappresentò per il ministro olandese l’apice di una parabola
che, dal 1956, avrebbe iniziato la sua fase discendente.
A pesare sul declino dell’uomo che, più di qualunque altro, aveva e
avrebbe garantito ai Paesi Bassi un ruolo decisivo nel contesto comunitario
furono essenzialmente ragioni di equilibrio politico interno. A partire dai primi
mesi del 1956, infatti, il governo olandese fu attraversato da una crescente
tensione, la quale produsse effetti paralizzanti sulla politica nazionale. Ad
aggravare la situazione sopraggiunsero le allarmanti dichiarazioni di alcuni
ministri, i quali si dissero intenzionati a ritirarsi dalla scena politica a
prescindere dall’esito della crisi. Cosa che contribuì ulteriormente ad alimentare
l’apprensione dell’opinione pubblica, come pure dei vertici di governo, i quali
avevano già iniziato a paventare il ritorno di una lunga e difficile fase di
instabilità. Esplicite, in tal senso, le comunicazioni alla Farnesina
dell’ambasciatore italiano all’Aja, Carlo Benzoni, il quale peraltro aggiungeva,
non senza sorpresa, che il primo a pagare il prezzo della crisi, con
l’allontanamento dal proprio incarico, sarebbe stato il ministro degli Esteri,
Beyen:
204
205
Cfr. H. Brugmans, L’idée européenne…, cit., p. 289.
Cfr. nel testo il capitolo III., p. 11.
74
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acquista sempre maggior credito la voce che egli non farà più parte della futura combinazione
ministeriale; gli verrebbe invece offerto il posto di Delegato permanente alla NATO, carica che,
nella gerarchia olandese, è considerata subito dopo l’Ambasciata a Washington 206
Un’ipotesi tanto più accreditata allorché, il 26 giugno, al termine della
tornata elettorale che aveva visto i laburisti imporsi sui cattolici207, la regina
affidò l’incarico di formatore al noto euroscettico Willem Drees. I contrasti tra
quest’ultimo e Beyen, che avevano animato le riunioni del Ministerraad nei
precedenti quattro anni, lasciavano infatti presupporre che il leader socialista
non avrebbe certo perso l’occasione di liberarsi del pur prestigioso antagonista,
tanto più che il banchiere “senza partito” non aveva mai espresso il desiderio di
concludere al Binnenhof la propria, multiforme carriera professionale, né aveva
tentato di assicurare continuità al proprio mandato costruendo attorno a sé una
solida rete di amicizie politiche, più e meno influenti.
La crisi si protrasse, di fatto, fino all’11 ottobre, fin quando cioè la regina
Giuliana – il cui prestigio era stato peraltro profondamente scosso dal
cosiddetto “Greet Hoffmans Affaire”, vale a dire la presunta relazione tra la
regina e il suo confidente e segretario, Greet Hoffmans, che la portò alla soglia
dell’abdicazione208 - forzò la mano del formatore affinché sciogliesse le riserve e
componesse un esecutivo che, quanto meno, rispecchiasse la volontà
dell’elettorato. La novità più rilevante interessò il ministero degli Esteri, che
venne affidato alla guida di un unico vertice, Joseph Luns. Come previsto da
Benzoni qualche mese prima209, pertanto, a pagare il prezzo della sua
“spregiudicatezza e del suo anticonformismo”, caratteristiche che lo facevano
apparire un “originale” agli occhi degli olandesi, deformati invece dal
“conformismo imperante”210, fu il solo Beyen, il quale rassegnava le dimissioni
in quello stesso ottobre 1956. Commentava ancora Benzoni:
Cfr. ASMAE, AP/1956, Olanda, b. 467, Elezioni politiche nei Paesi Bassi, 11 maggio 1956. Ancor
prima, tuttavia, l’11 maggio 1956, il ministro degli esteri italiano Martino fece un viaggio in
Olanda, durante il quale ebbe modo di discutere ampiamente con Beyen. Benzoni, in un altro
rapporto inviato a Roma, il 17 maggio, affermò che “in un momento di effusione post-conviale
Beyen confidò ad un piccolo gruppo di persone, tra cui il sottoscritto (Benzoni, ndr.), che molto
probabilmente i suoi giorni di Ministro degli Esteri erano contati”. Ibidem.
207 Il 13 giugno, al termine delle elezioni, Benzoni affermò che “l’unico e inaspettato vincitore”
era il partito socialista, nel quale erano confluiti anche diversi elementi dei cristiano-storici e
degli antirivoluzionari. Cfr. ivi, Elezioni olandesi, Rapporto, Benzoni al Ministero degli Affari Esteri
di Roma, 16 giugno 1956.
208 Cfr. W. Weenink, Johan Willem Beyen…, cit., p. 10 e ss.
209 L’ufficializzazione delle dimissioni di Beyen fu definita da Benzoni un“open secret”. Cfr.
ASMAE, AP/1955, Olanda, b. 394, Rapporto…, cit.
210 Ibidem.
206
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Con la scomparsa di Beyen questo Paese perde una personalità di primo piano e la politica
europeista un convinto, tenace ed anche, sotto taluni aspetti, dogmatico assertore. 211
Il nuovo governo, di fatto, sarebbe apparso come una ricostruzione fedele
della vecchia dirigenza nazionale. Non furono poche le critiche che si
sollevarono, in tutti gli ambienti, sulla lungaggine dei tempi intercorsi per la
formazione di un esecutivo che, alla luce dei fatti, avrebbe potuto essere
composto in pochi giorni. Cominciò addirittura a circolare la voce che fossero
stati i cattolici e, più in generale, i partiti confessionali ad aver rallentato lo
svolgimento delle operazioni al fine di allontanare i laburisti dalla direzione
politico-economica del paese. Pertanto, l'ondata di dissenso interno che aveva
travolto il III governo Drees, anziché spegnersi di fronte a una coalizione
cattolico-laburista finalmente ricompattata, trovò nuovo vigore nel progressivo
deterioramento dei rapporti tra i partiti di maggioranza, sicché la tradizionale
convivenza tra Kvp e PvdA, sulla cui stabilità si era fondata la vita politica e
istituzionale del primo decennio postbellico olandese, si trasformò
repentinamente in “faticoso condominio”212, lasciando addensare, sul panorama
politico del Paesi Bassi, fosche prospettive di rinnovata tensione.
Alla guida dei “piccoli” sulla strada verso Roma
Come accennato, tra le due proposte contenute nel Memorandum del Benelux, fu
il piano per l’energia atomica, elaborato dal duo Spaak-Monnet, a registrare,
almeno inizialmente, il più ampio successo213. Non che Beyen non l’avesse
previsto. Anzi, già nella “Note” ai suoi omologhi belgo-lussemburghesi, il
ministro olandese aveva chiarito che – al di là delle personali reticenze nei
confronti dell’approccio settoriale, nonché del sotteso tentativo di guadagnare
più agevolmente il sostegno di Spaak all’iniziativa congiunta del Benelux l’introduzione di un capitolo sulla cooperazione nel campo dei trasporti e
dell’energia sarebbe stata un catalizzatore di grandissima rilevanza per attirare
al Memorandum le simpatie di Parigi214. L’energia nucleare soprattutto,
sosteneva Beyen pur senza esplicitarlo al collega belga, rappresentando un
terreno immune da radicati e vincolanti interessi nazionali e quindi più
Ibidem.
Ivi, p. 2.
213 Recita il telegramma inviato da Beyen e Luns alle cancellerie di Francia, Repubblica Federale
tedesca, Gran Bretagna e Stati Uniti: “Gedurende de besprekingen bleek bijzondere
belangstelling te bestaan voor de samenwerking op het gebied van de kernenergie” (Durante le
discussioni particolare interesse è stato mostrato per la cooperazione nel campo dell’energia
atomica). Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.118, blok II (1955-1964), inv.nr. 18711, Codetelegram,
8.6.1955
214 Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, blok II, 1955-1964, inv.nr. 18704, Note, 4.4.1955.
211
212
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facilmente controllabile a livello sovranazionale, avrebbe potuto fungere da
grimaldello in mano ai paesi del Benelux per vincere le resistenze dei governi e
ottenere il loro assenso anche rispetto ad altri, ben più importanti,
approfondimenti dell’integrazione. Tale concessione pertanto, avrebbe
affermato il ministro olandese nel corso di un dibattito alla Tweede Kamer, si
sarebbe prospettata come “la carota che farà muovere l’asino215”, alludendo con
ciò alla probabile partecipazione francese anche al mercato comune.
Quanto detto, in ogni caso, non vuol lasciar intendere che l’Aja fosse
contraria per principio, a differenza degli altri stati della Ceca, alla realizzazione
di una Comunita europea per l’energia atomica. Viceversa, il paese aveva già
manifestato interesse per lo sviluppo di questo settore, come testimoniavano
peraltro gli accordi bilaterali per la ricerca nel nucleare da poco stipulati con
Stati Uniti e Gran Bretagna216. Quello che semmai si temeva, peraltro
diffusamente, era il pericolo che, una volta affidato alla gestione comune, lo
sviluppo dell’energia atomica diventasse questione di esclusivo appannaggio
franco-tedesco. Preoccupazione trasversalmente nutrita nel Ministerraad uscito
dalla crisi del 1956, sia dai sempre presenti elementi euroscettici, Drees capofila,
sia dai vecchi e nuovi europeisti - la cui presenza, tra l’altro, si era visibilmente
assottigliata - da Mansholt a Marga Klompé, ministro degli Affari sociali, a Ivo
Samkalden, ministro della Giustizia. L’atteggiamento assunto da Francia217 e
Cfr. E. Serra (a cura di), Il rilancio europeo…, cit., pp. 482–483.
I Paesi Bassi, per la precisione, avevano offerto il pieno sostegno alla campagna statunitense
“Athom for Peace”, inaugurata a Washington allo scopo di promuovere un più largo utilizzo
dell’energia atomica per scopi pacifici. Richard T. Griffiths, in particolare, informa che la
maggior parte della dirigenza olandese mostrava grande entusiasmo nei confronti delle
prospettive che sembravano aprirsi in questo settore, da Drees a Beyen, da Zijlstra a Mansholt e
molti altri. Il ministro dell’Agricoltura, più degli altri, sosteneva a gran voce l’avvio della
cooperazione europea sovranazionale nel campo dell’energia nucleare, anche e soprattutto nella
consapevolezza degli importanti benefici che avrebbe potuto trarne il settore primario. “Se
l’Olanda avesse voluto mantenere un qualche primato nella produzione agricola” ammoniva
Mansholt “sarebbe stato pertanto necessario creare un istituto per lo studio delle applicazioni
del’energia nucleare nel settore agricolo. I risultati prodotti dall’istituto, peraltro, avrebbero
consentito ai Paesi Bassi di di guadagnare un primato internazionale in questo campo, cosa che
avrebbe altresì consentito all’Aja di rafforzare la propria posizione nell'Euratom, come nelle
altre organizzazioni internazionali”. Cfr. R.T. Griffiths, “The Beyen Plan”, cit., p. 211.
217 “M. Pinay… en ce qui concerne les points d’application, une énumération a été fait des
secteurs dans lesquels une action pourrait être rapidement entreprise, à savoir, les transports,
l’énergie et plus particulièrement l’énergie nucléaire : sur ces points, le Gouvernement français
est entièrement d’accord… M. Pinay déclarer que ce qui importe en tout premier lieu, c’est de
réussir ; après l’échec auquel a abouti le Traité de la C.E.D., lui semble-t-il opportun de ne pas
s’engager dans la voie de ce qui paraȋtrait idéalement souhaitable, mais de rester sur le terrain
de ce qui est pratiquement possible. En effet, un nouvel échec semblable à celui de la C.E.D.
constituerait inévitablement le signe d’une régression marqués ou, en tout cas, d’un arrêt dans
215
216
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Germania218 già alla conferenza di Messina, che pure, è opportuno precisare,
aveva dato risultati “molto soddisfacenti”219, spingeva a credere che i due paesi
fossero effettivamente intenzionati ad esercitare un “controllo privilegiato”
sulla Comunità dell’atomo. Il governo francese, da un lato, non aveva fatto
mistero dell’ostilità che nutriva nei riguardi dell’integrazione economica
generale220, mentre aveva espresso pieno consenso per la futura comunità
atomica. La Germania, allo stesso modo, si era dichiarata interessata alla
cooperazione nel campo nucleare, concepita come unico strumento elemento su
cui puntare per costruire concretamente una solidarietà europea e giungere, di
conseguenza, all’unificazione continentale221.
Fu Luns, di fatto, ad intervenire con decisione, forzando la mano al
governo affinché tornasse a sostenere la rapida approvazione di entrambe le
proposte. Se non altro per non rischiare di dover rinunciare ai vantaggi del
Mercato comune, come pure per non dar di sé un’immagine di massima
incoerenza, come era accaduto alla Francia con il Piano Pléven. Alla luce di
queste considerazioni, il governo olandese decise di sostenere il Rapporto
Spaak – che di fatto fu il preludio dei Trattati di Roma – adattandosi a
riconoscervi il risultato di un ragionevole compromesso tra le pressioni franco-
la voie de la construction de l’Europe. Par conséquent, M. Pinay estime qu’il y aurait avantage à
procéder d’abord immédiat et une action rapide, tandis qu’une intégration générale postulerait
l’harmonisation progressive des conditions économiques et sociales dans les six pays… M.
Pinay indique que ces suggestions rejoignent, quant au fond, les prepositions qui sont
présentées dans le mémorandum allemand, à savoir celles qui prévoient un organe consultatif
permanent”. Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.118, blok II, 1955-1964, inv.nr. 18711, Projet de
Proces-Verbal de la réunion des Ministres des Affaires Etrangères des Etats membres de la C.E.C.A.,
Messine, 1er et 2 juin 1955, pp. 25-28.
218 “En ce que concerne l’integration économique générale: la délégation allemande estime,
d’accord avec les délégations du Benelux, qu’il faut promouvoir le progrès de cette intégration.
Les développements favorables qui ont pu être obtenus dans un cadre plus large, au sein de
l’O.E.C.E., permettent à présent de réaliser dans un cadre plus restreint un pas en avant vers
l’établissement d’un marché commun général. La délégation allemande a repris les idées
fondamentales du mémorandum du Benelux, en leur donnant, sur certains points, une forme
plus large ou plus précise”. Ivi, pp. 18-19.
219 Così Beyen e Luns nel sopracitato telegramma: “Als achtergrond van dit document diene, dat
dezerzijds de resultaten van genoemde conferentie onder de gegeven omsatndigheden zeer
bevredigend worden geacht” (Si tenga conto che, sottesa a questo documento, sta la
considerazione che i risultati di questa conferenza, tenendo presenti le circostanze, sono stati
molto soddisfacenti). Cfr. NL-HaNA, Min. BuZa, 2.05.118, inv.nr. 18711, Codetelegram, 8.6.1955.
220 “M. Pinay precise donc que le Gouvernement français est d’accord avec les mémoranda, qui
ont présentés, en les considérent comme la définition du but à atteindre. Toutefois, il va de soi
que certaines conditions devraient être remplies de manière à ce que le progrès de l’integration
suive une cadence qui serait acceptable pour les diverses économies nationales”. Ivi, p. 26.
221 Cfr. “Mémorandum du Gouvernement Fédéral sur la poursuite de l’intégration”, ivi, p. 2.
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tedesche sul primato della cooperazione in campo nucleare e i piani del Benelux
per un’economia europea integralmente unificata. Per quanto concerneva gli
aspetti militari, infine, - che costituivano un forte deterrente per l’adesione
francese al Rapporto – i Paesi Bassi lasciarono senza troppe difficoltà il campo
libero ai cinque partner per decidere secondo i rispettivi orientamenti,
l’armamento atomico essendo del tutto estraneo all’orizzonte dell’Aja, sia sotto
il profilo concettuale che economico,.
La scelta definitiva sembrò effettuata nel momento in cui anche la regina,
nel discorso pronunciato davanti al Binnenhof il 18 nonvembre 1956, espresse
pieno sostegno ad una nuova forma di cooperazione sovranazionale
intereuropea222. Il riferimento all’auspicata nascita del mercato comune, anche
da parte dell’autorità simbolo del paese, poteva ritenersi una conquista per gli
assertori dell’iniziativa, i quali ben sapevano l’impatto che tali dichiarazioni
avrebbero avuto sull’opinione pubblica nazionale.
Il pur suggestivo appello della regina, tuttavia, non avrebbe
tranquillizzato gli animi di governo e parlamento, né evitato le possibili fratture
interne ad essi. E, in effetti, di lì a breve, più precisamente il 14 gennaio 1957,
Linthorst Homan e da Van der Beugel, rispettivamente presidente della
Commissione di coordinamento per l’integrazione e capo-delegazione olandese
a Bruxelles avrebbero posto la dirigenza olandese di fronte ad una serie di
interrogativi che rischiarono concretamente di pregiudicare la sua
partecipazione alla Cee. Di fatto, dopo aver rilevato l’urgenza della ratifica dei
due trattati, considerata l’eccezionalità della situazione, che vedeva i governi
francese e tedesco apparentemente favorevoli non soltanto all’Euratom, ma
anche al Mercato comune223, i due funzionari del Buitenlandse Zaken non
mancavano di precisare che, con tutta probabilità, tale firma avrebbe
rappresentato per l’Olanda l’anticamera di una forte delusione. Per quanto
concerneva il mercato comune, in particolare, Homan e van der Beugel
riconoscevano che il Rapporto Spaak aveva indebolito la proposta originale del
Benelux, sia sul piano economico che su quello politico224. E i Paesi Bassi, in
particolare, avrebbero dovuto fare i conti con il forte ridimensionamento che
tale fomula di compromesso – perché di questo si trattava – in favore dei grandi
stati avrebbe comportato sia in campo agricolo, ove prevaleva la volontà
francese di tenere il settore primario al di fuori del trattato sul Mercato
comune225; sia sotto il profilo commerciale, con la decisione di introdurre una
tariffa esterna comune molto più alta di quanto inizialmente previsto e, cioè,
Cfr. ASMAE, AP/1956, Olanda, b. 467, cit.,
Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr.2849, Nota betreffende de integratie, 14.1.1957, p. 1.
224 Ivi, p. 3.
225 Ivi, p. 5.
222
223
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maggiormente limitativa della libera concorrenza226; sia sul piano istituzionale,
laddove al Consiglio dei ministri venivano attribuite gran parte delle
competenze che l’Aja auspicava si riservassero alla Commissione227. Senza
contare, infine, che gli svantaggi inizialmente previsti dagli stessi estensori del
Memorandum restavano sostanzialmente inalterati, giacché il livello dei prezzi
sarebbe comunque cresciuto per effetto dell’introduzione delle misure di
armonizzazione sociale e, d’altra parte, sarebbero permase le problematiche dei
rapporti commerciali con i territori d’oltremare.
Ancora una volta, in conclusione, si poneva il problema della maggior
influenza dei grandi stati, cioè degli squilibri di peso diplomatico nel contesto
dei Sei, laddove, come sosteneva il Primo ministro Drees, “alla fine, le decisioni
spettavano alla Francia e alla Germania”228.
Il 1 marzo 1957, Luns dichiarava al governo olandese che, seppur con
l’amaro in bocca, l’Olanda avrebbe comunque dovuto accettare il suo status di
“piccolo fra i grandi” stati e concentrarsi, diversamente, sui vantaggi che
comunque avrebbe tratto dalla firma del trattato, senza contare peraltro che
ulteriori modifiche si sarebbero potute introdurre nel corso delle successive
consultazioni. Ciò non stava certo a significare, come lo stesso ministro degli
Esteri avrebbe affermato nel corso del Ministerraad del 22 marzo 1957, che la
battaglia diplomatica con i francesi non fosse stata nel complesso fallimentare,
né che le resistenze dei transalpini non avessero finito col provocare
l’espunzione dalla bozza di trattato di molti tra i principi più evocativi e più
innovatori recepiti dalla Conferenza di Messina. Ma la posta in gioco era troppo
alta per lasciarsi trascinare in un inutile braccio di ferro con un avversario già
vincente sulla carta. Era opportuno, viceversa, puntare a rivendicare ciò che
appariva effettivamente essenziale per il futuro europeo. Commentava
sinteticamente Ernst van der Beugel:
Het gevecht zal ongetwijfeld zwaar zijn, maar het is ten volle waard om het uit te vechten, want
de toekomst... stat op het spel. 229
La scelta, pertanto, era obbligata; l’Olanda non avrebbe potuto rinunciare,
in modo repentino, all’opzione comunitaria, che dopo tutto costituiva una parte
integrante della fisionomia olandese postbellica, e soprattutto non avrebbe
potuto compromettere, per mere questioni di principio, il lavoro assiduamente
Ibidem.
Ivi, p. 6.
228 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 404 1956 juli – dec., Notulen, 19.11.1956, p. 18.
229 “La battaglia sarà dura, senza dubbio, ma vale comunque la pena di lottare, perché è in gioco
il futuro”. Cfr. NL-HaNA, Collectie van der Beugel, 2.21.183.08, inv.nr. 6, Memorandum,
12.3.1957, p. 2.
226
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svolto da Beyen. Il paese aveva ottenuto, dopo tutto, l’irreversibilità della
liberalizzazione commerciale intereuropea e l’introduzione di un trattato
quadro per la realizzazione dell’unione economica.
Forti di tali convinzioni, il 25 marzo 1957, i plenipotenziari olandesi
firmavano a Roma i trattati istitutivi della Comunità Economica Europea (Cee)
e la Comunità Europea per l’Energia Atomica (Euratom). In soli tre mesi tutti e
sei governi avrebbero provveduto a ratificarli.
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IV. Davide e Golia: un decennio di confronto tra l’Aja e de Gaulle
(1957-1966)
L’Europa dei Trattati di Roma nel dibattito politico olandese: successo o sconfitta?
In attesa che la Tweede Kamer fosse chiamata a ratificare i due testi sottoscritti a
Roma nel marzo del 1957, il governo olandese cominciò progressivamente ad
alludere ai Trattati Cee e Euratom come a semplici piattaforme, più o meno
stabili, dalle quali ripartire per avviare un’azione sistematica di rivendicazione
delle istanze dei piccoli stati230. In altre parole, come sostiene Wendy Asbeek
Brusse, alla vista del figlio deforme partorito dalla, pur feconda, Conferenza di
Messina, gli olandesi, anziché prendere atto degli ostacoli per così dire
“congeniti” che si frapponevano allo sviluppo dei propri progetti – troppo
ambiziosi, evidentemente, rispetto alla statura politica dei promotori – si
predisposero a rilanciarli, con rinnovata forza, in un contesto apparentemente
più idoneo ad accoglierli e di fronte a nuovi, più agguerriti, oppositori231.
Non che l’insoddisfazione dell’Aja, ad onor del vero, fosse, alla fine dei
conti, così evidentemente motivata. A ben guardare, infatti, i negoziatori
olandesi erano riusciti a convincere la Francia ad accettare, seppur
parzialmente, il progetto del Mercato comune. Senza contare peraltro che, con
la nascita della Cee, i Paesi Bassi compivano passi decisivi verso la realizzazione
dei tanto a lungo vagheggiati obiettivi della progressiva riduzione delle barriere
tariffarie, della liberalizzazione commerciale intereuropea, nonché della
prospettiva di graduale integrazione agricola dei Sei232.
Nell’aprile del 1957, tuttavia, Drees chiariva al Ministerraad le ragioni del
malcontento: “Con la sottoscrizione di questo trattato l’Olanda si è inserita in
una combinazione di interessi protezionistici di dimensioni relativamente
piccole”233. Eterogeneo e deciso fu il coro di approvazione che seguì alle
dichiarazioni del premier. In generale, la maggioranza dei decision-makers
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 405, Notulen van de vergadering gehouden op maandag 29
april 1957 in de Trèveszaal, aangevangen 's morgens om 11 uur en 's middags voortgezet, 29.4.1957.
231 Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., pp. 122.
232 Cfr. R.T. Griffiths, W. Asbeek Brusse, “The Dutch Cabinet and the Rome Treaties”, in E. Serra
(a cura di), Il rilancio europeo..., cit., p. 492.
233 “Met ondertekening van dit verdrag heeft Nederland zich begeven in een protectionistische
combinatie van betrekkelijk kleine omvang”. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 405,
Notulen van de vergadering gehouden op maandag 29 april 1957 in de Trèveszaal, aangevangen 's
morgens om 11 uur en 's middags voortgezet, 29.4.1957, p. 9.
230
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olandesi deplorava sonoramente la struttura istituzionale, ampiamente
prosciugata dei più importanti riferimenti alla sovranazionalità, messa a punto
dal trattato istitutivo del Mercato comune, lamentando al contempo il
fallimento delle discussioni sulla free trade area tra la Comunità e l’Oece234. In
apparente contraddizione con i principi sui quali aveva impostato la propria
linea diplomatica in materia di integrazione europea (rigidamente osservata
durante i negoziati di Parigi, sia sul progetto Ceca che su quello Ced), l’Aja
recriminava sull’ampia sfera di competenze che la Cee conferiva al Consiglio
dei ministri ai danni della Commissione235
… not for federalist sentiments, but to guarantee the effectiveness of the EEC’s decision-making.
Limited to European economic integration, such “functionalism supranationalism” or
“instrumental supranationalism” was not at odds with the Hague-coveted primacy of
Atlanticism in the realm of high politics. 236
Diverse sono state le interpretazioni che gli storici hanno attribuito ad una
così radicale e repentina inversione di tendenza del Ministerraad rispetto ai
tempi del dibattito sulla Ced/Cpe. Probabilmente, come sostiene Griffiths,
l’establishment olandese si era realmente persuaso - con buona pace
dell'europeista Beyen, che tanto si era adoperato per indurre i propri colleghi al
cambiamento anticipato di prospettiva - che il Mercato comune rappresentasse
l’effettiva, forse unica, opportunità di realizzare gli obiettivi di lungo periodo
della politica economico-commerciale dei Paesi Bassi. E non va neanche
Stando a Bino Olivi, in entrambi i Trattati firmati a Roma il 25 marzo 1957: “era similare la
struttura istituzionale che, seppure meno marcata (anche nominalmente: l’espressione ‘Alta
Autorità’ già usata per il Trattato Ceca, diventava ‘Commissione’) dalla sovranazionalità, era
tuttavia lo specchio fedele delle idee monnetiane. Mentre scompariva dai testi qualsiasi
allusione anche indiretta agli ‘Stati Uniti d’Europa’ o di sapore federalista, veniva affermata
compiutamente la ‘teoria funzionalistica’ che soggiaceva al ‘funzionalismo’ monnetiano”. Cfr.
B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 50. Era questa “involuzione intergovernativa” che accendeva
gli animi dei policy-makers olandesi, divenuti improvvisamente convinti fautori della
sovranazionalità. La cattolica Marga Klompè, in particolare, esprimeva forte scetticismo sulle
possibilità di approvazione del Trattato. L’unico a pronunciarsi a favore, nell’ambito del
gabinetto olandese, fu l’antirivoluzionario Jelle Zijlstra, il quale sottolineò le importanti
prospettive aperte dall’Euratom. Cfr NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 405, Notulen van de
vergadering gehouden op maandag 29 april 1957 in de Trèveszaal, aangevangen 's morgens om 11 uur
en 's middags voortgezet, 29.4.1957, cit.
235 Griffiths, al riguardo, cita le affermazioni di Luns: “it is difficult to show, in concreto, what
the advantages for the Netherlands are compared with the existing possibilities for bilateral and
multilateral cooperation. Important principles which played a fundamental role in Spaak report
have disappeared… It boils down to a choice between this treaty or no treaty”. Cfr. R.T.
Griffiths, “The Common Market”, in R.T. Griffiths (ed.) The Netherlands and the integration of
Europe…, cit., p. 202.
236 Così Harryvan in Id., In Pursuit of Influence…, cit., p. 174.
234
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sottovalutata l’ipotesi di Brusse, che ascrive l’improvvisa sensibilità olandese
per la causa sovranazionale – in virtù della quale l’Aja si schierò tra gli avvocati
più impegnati a perorare l’ampliamento dei poteri della Commissione – al
timore che il voto a maggioranza ponderata, il quale veniva indicato dal trattato
Cee come procedura ordinaria per il Consiglio, si rivelasse, in ultima istanza,
lesivo della tutela degli interessi dei piccoli stati237. E non mancano altresì le
puntualizzazioni di coloro che, come Harryvan, rilevano la contraddittorietà
dell’atteggiamento olandese, il cui “plea for supranationalism” si porrebbe in
stridente antinomia con un altro “basic aim of Dutch European policies, namely,
British EC membership”238.
Guardando allo scenario coevo con l’occhio dei suoi protagonisti, ad ogni
modo, risulta però evidente che il governo olandese si accingesse a ratificare i
trattati di Roma con la consapevolezza di aver dovuto giocoforza accettarne le
decurtazioni imposte dai “grandi”, le quali, neanche a dirlo, avevano
riguardato gli aspetti più creativi dell’originale schema beneluxiano. Certo,
restava accesa la speranza che, qualora la neonata Cee avesse effettivamente
portato a compimento gli obiettivi indicati nel suo trattato istitutivo - che era
comunque un "trattato quadro", è bene ricordarlo - i Paesi Bassi avrebbero
potuto beneficiare di un’importante area di libero scambio, comprensiva,
peraltro, del mercato tedesco. E c’era comunque da tener presente il risultato
eccezionale conseguito dagli olandesi nell’aver proposto un’iniziativa che aveva
di fatto aperto una nuova stagione per la Comunità, inaugurando, da un lato,
un nuovo approccio all’integrazione, alternativo a quello monnetiano 239 e,
dall’altro, preparando con cura il terreno per la candidatura inglese alla Cee.
Constatazioni che, alla fine del dibattito apertosi al Binnehof dopo il 25 marzo
1957, si ritennero sufficienti, almeno per il momento, per lasciar da parte i
malanimi e salutare l’entrata in vigore dei trattati di Roma come il segnale di
Si veda, in proposito, il telegramma di Luns all’Aja del 17 giugno 1957 in NL-HaNA, Min.
BuZa., blok II, 1955-1964, inv.nr. 19920. Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone whitin the Six…, cit., p.
122. Come osserva Olivi, tuttavia, “la procedura di voto del Consiglio è uno dei problemi più
importanti e cruciali della storia comunitaria: il voto a maggioranza ponderata era previsto dal
Trattato Cee come la regola (salvo eccezioni espresse nel Trattao) dopo la fine del periodo
transitorio. In verità ci vorranno lunghi decenni (in pratica fino all’adozione dell’Atto Unico
Europeo) perché esso diventi la regola generale dell’integrazione europea”. Cfr. B. Olivi,
L’Europa difficile, cit., p. 53.
238 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 147.
239 Rileva in proposito Griffiths: “without the constant pressure from the side of the
Netherlands, there might never had been a common market at all. That would have left
European integration continuing along the path of sector integration envisaged in 1955 by Jean
Monnet”. Cfr. R.T. Griffiths, “The Common Market”, cit., p. 204.
237
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una ripartenza dell'unificazione continentale che avrebbe chiuso
definitivamente la deludente vicenda della Ced.
Senz'altro non si poteva prevedere, sul momento, che quel traguardo si
sarebbe rivelato ben presto come l’occhio del ciclone al centro di quella stessa
tempesta addensatasi nel cielo comunitario durante la querelle dell'esercito
europeo. Una burrasca che si sarebbe abbattuta, con accresciuta intensità e a
vari livelli, sull’edificio comunitario dell'era gollista, mettendone a dura prova
la stabilità. Gli stati europei che avevano scelto di continuare ad impegnarsi nel
processo d’integrazione si stavano infatti preparando a vivere il decennio forse
più drammatico e decisivo della loro storia comune240.
Diversi fattori, interni ed esterni, contribuirono a comporre lo sfondo su
cui sarebbe andata in scena la tormentata rappresentazione della Cee degli anni
Sessanta. La pressione dell’Urss, per quanto attenuatasi dopo la morte di Stalin,
andava riprendendo vigore ai confini di Yalta. L’annosa questione di Berlino,
lungi dal giungere al proprio epilogo, creava, nell’emisfero occidentale, attese
allarmanti di un imminente disastro nucleare (che avrebbero peraltro raggiunto
l’apice nel 1967, di fronte alle celebrazioni sovietiche per il conquistato primato
spaziale sugli Stati Uniti). L’Europa, divisa tra Est e Ovest, si configurava
futuribilmente come il campo di battaglia sul quale le superpotenze avrebbero
misurato la reciproca capacità distruttiva, il che imponeva ai Sei di riprendere le
discussioni per l’organizzazione di una più stretta cooperazione politica, da
affiancare alla collaborazione sul terreno militare affidata all'intergovernativa
Ueo. Con quest’ultima che, d’altro canto, fungeva da straordinaria cassa di
risonanza sulle aspirazioni di Londra ad acquisire la membership comunitaria,
sempre più consolidatesi di fronte alle apprezzabilissime performaces del Mec.
Perché - occorre precisare - pur muovendosi in una temperie politicodiplomatica internazionale non certo attraversata da segnali di distensione, il
cammino comunitario procedeva nel frattempo all'insegna della conquista di
approdi decisivi. Tra i quali, nel 1958, l'entrata in vigore della Cee e
dell’Euratom, che, con la Comunità carbosiderurgica, avrebbero costituito il
centro propulsore della nuova vitalità europea, nonché di un ritrovato ruolo
internazionale per il Vecchio continente, ormai assestatosi nella sua dimensione
collettiva.
Sotto una fulgida apparenza, tuttavia, ribollivano acque insidiose, pronte
ad inondare il terreno comunitario e foriere di nuovi contrasti, sia teorici, fra
federalisti e confederalisti, sia di carattere metodologico, fra l’approccio
“costituente” all’integrazione sostenuto dai primi e l’opzione intergovernativa
caldeggiata dai secondi. Fu l’avvento di de Gaulle all’Eliseo, in particolare, ad
240
Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., pp. 55-56.
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accendere la miccia che avrebbe fatto esplodere le tensioni, lasciando altresì
riaffiorare quel nodo sotteso al processo d’integrazione europea che il
funzionalismo monnetiano aveva mostrato di poter sciogliere soltanto
parzialmente e per un tempo limitato.
In sintesi, dopo un decennio di fervore creativo, l’Europa faceva i conti
con la realtà del suo passato di rivalità nazionali, i cui echi, violentemente
repressi dall’ondata “comunitaria”, risorgevano, seppur sotto forma di tensioni
diplomatiche e divergenze di prospettiva, per l’ultima, dirompente apparizione.
Echi, peraltro, dall’accento spiccatamente parigino, evocati dalle lapidarie
dichiarazioni del carismatico Generale:
l’azione, l’influenza e, per tutto dire, il valore della Francia saranno, come lo vogliono la storia e
la geografia ed il buon senso, essenziali all’Europa per orientarsi e riprendere con il mondo.
Occorre costruire l’Europa occidentale… Ma di questa regione, il centro fisico e morale è la
Francia. 241
Ora, tali dichiarazioni, che certo suscitavano non pochi rigurgiti di
insofferenza tra i partner comunitari, si riversavano sull’Aja come una colata
lavica su un campo a lungo coltivato, distruggendo anni di fatiche e, al
contempo, evidenziando l’urgenza di apportare misure correttive242. Sicché il
governo dei Paesi Bassi, fuori dalla metafora, si ritrovò, da un lato, a tentare di
tamponare le ricadute della politica gollista sul suolo comunitario, ponendosi
come “counterbalance” a difesa di una sovranazionalità di cui pure, intimamente,
non era un entusiasta sostenitore243; dall’altro a cercare di anticipare le mosse
del Generale facendo leva sulle istituzioni comunitarie Cosa che, d’altro canto,
produceva l’effetto “paradosso” di allontanare Londra dalla Cee, cioè dell’unica
potenza che, agli occhi degli olandesi, avrebbe potuto allontanare dalla Cee la
Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 68.
“The aim of General de Gaulle’s proposals is not to strenghten European unity and
integration… His proposals exclusively serve decision making on matters that lie outside the
European Community’s scope”. (Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 640 1961 mrt., Franse
voorstellen inzake Europese politieke samenwerking, 7.3.1961. La traduzione in inglese è riportata in
W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six..., cit., p. 121). Così il ministro Joseph Luns, che De
Bruin definisce il “dominateur” della politica estera olandese negli anni Sessanta commentava la
linea europea intrapresa dalla Quinta Repubblica francese. La Brusse in proposito: “By 1960,
however, it seemed as if de Gaulle had opened Pandora’s box with a storm of vicious, rampant
issues of defence and power politics that left the Dutch policy-makers disoriented and
exasperated”. Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone with the Six…, cit., p. 124. Sull’acrimonia di Luns
nei confronti di de Gaulle e della sua strategia europea si veda anche ASUE, COL, JMDS-122,
18/03/1960 - 19/12/1960 Progress on European Integration, 1960, vol. II, p. 373.
243 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence..., cit., p. 148.
241
242
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minaccia di un’eventuale egemonia parigina, o fors’anche di un direttorio
franco-tedesco244.
In sintesi, gli anni della cosiddetta “Europa gollista” rappresentarono per
il governo dell’Aja, ma anche per la Comunità, un autentico crocevia, sotto
diversi profili:
1)
perché, con la riapertura delle discussioni sull’integrazione
politica, che di fatto si esaurirono intorno alla vicenda dei due Piani Fouchet
(1961-1962), che sarà analizzata nei paragrafi che seguono, i Paesi Bassi furono
chiamati a confrontarsi con il grado di maturazione raggiunto a livello
nazionale quanto a convinzione dell’irreversibilità dell’assetto comunitario
europeo e della necessità di farvi integralmente parte.
2)
Considerando che, come si vedrà, in corso il negoziato per
l’adesione britannica, a partire dallo stesso 1961, la strategia adottata in
funzione antigollista, vale a dire il più sopra ricordato arroccamento a difesa del
principio sovranazionale, andò a porsi in stridente contraddizione con la
consueta ambizione olandese ad acquisire Londra al cammino comune del
Continente.
3)
Perché proprio in tale frangente emerse in forma violenta, e a tratti
insolubile, la questione della difficile convivenza tra grandi e piccoli d’Europa
nel seno della Comunità, con i Paesi Bassi a rivestire, ancor più di quanto non
avessero fatto fino ad allora, il duplice ruolo di “piccoli” oppositori di fronte
alle ambizioni parigine per una Comunità dominata dalle grandi potenze e di
“grandi” leader del piccolo Benelux, il quale, proprio in quel tormentato
decennio, e in virtù dell’azione sistematica condotta dal ministro degli Esteri
olandese, Joseph Luns, avrebbe salvato l’Europa dalla deriva intergovernativa
verso cui il Generale francese voleva condurla.
La politica europea olandese tra il 1958 e il 1960: una mano tesa verso Londra
Fu il biennio a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta ad offrire all’Aja
l’occasione per mettere a punto, in maniera quasi definitiva, i capisaldi della
propria politica europea. Fino ad allora, infatti, il tentativo di perseguire una
condotta “pendolare” – per adottare un’espressione che Bino Olivi utilizza per
definire l’atteggiamento di Charles de Gaulle in Europa245 - o, per meglio dire,
una strategia bifronte, aveva impedito agli olandesi di tratteggiare con più
decisione la propria fisionomia comunitaria, la quale restava spaccata tra il
tentativo di consolidare la propria posizione di paladini della sovranazionalità
Così Max Kohnstamm a Roy Price: “The only really satisfactory solution would be Britain
membership of the Community, or an intimate association coming very close to fill
membership”. Cfr. ASUE, COL, JMDS-122, cit., Max Kohnstamm a Roy Pryce, 18.3.1960.
245 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit.
244
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nella Cee e la propensione a non allentare i legami con l’Oece per non perdere
quanto rimaneva dell’antico legame privilegiato con Londra246. La capitale
d’oltremanica rappresentava infatti per i Paesi Bassi, autentici appassionati del
liberismo economico, il baluardo del libero commercio, linfa vitale per
l’economia olandese, nonché una possibile avanguardia – ipsi dixerunt - per la
creazione di un nuovo spazio commerciale, da affiancare al Mec, così come era
già stato prospettato durante il negoziato sulla Cee e l’Euratom. In una visione
carica di tensioni emotive, pertanto, gli olandesi riprendevano a caldeggiare la
realizzazione di un’area paneuropea di libero scambio, che, sotto l’egida
britannica, avrebbe saputo bilanciare, qualora fosse stato necessario, le tendenze
protezionistiche sobillate dalla Francia nel contesto a Sei247.
Un’istanza costruttiva che, nell’aprile 1959, si tradusse in un piano
dettagliato, elaborato di concerto dai partner del Benelux e prontamente
presentato al Rey Committee, il gruppo di esperti incaricato dal Consiglio dei
ministri della Cee di studiare le possibilità di associazione tra i Sei e l’Oece. Lo
schema approntato all’Aja proponeva di regolare i rapporti commerciali tra i
partner comunitari e i paesi dell’Organizzazione istituita nell’aprile del 1948
all’interno di un’area di libero scambio, creata ad hoc dalla Comunità al termine
del periodo transitorio248. Sebbene Londra considerasse favorevolmente questa
prospettiva, Parigi oppose un immediato quanto radicale rifiuto. Nonostante gli
sforzi degli olandesi per mettere a punto una proposta che apparisse
irrinunciabile anche agli ostici transalpini, fu ben presto chiaro che le obiezioni
francesi andavano ben oltre la bontà, o meno, delle soluzioni individuate. de
Gaulle, infatti, non soltanto non nutriva alcun interesse per l’iniziativa in sé, ma
puntava ad archiviare quanto prima il progetto, anche e soprattutto per evitare
che Bonn, attirata dalle possibilità di intensificazione dei traffici intereuropei e
dalle ricadute che quest’ultima avrebbe prodotto sull’economia tedesca,
all’epoca in fase di straordinaria espansione, contribuisse a dar fiato alle vele
del Benelux249.
Tra l’estate del 1959 e il 1960, due eventi inattesi giunsero a mettere
scompiglio tra le carte dell’Aja, aprendo nuove prospettive per il futuro
europeo dei Paesi Bassi. Il primo vide protagonisti i partner del Benelux, tra i
Diverse ed eterogenee sono le pubblicazioni in argomento. Ad ogni modo, particolarmente
efficaci a chiarire la percezione che gli olandesi avevano del rapporto con i britannici risultano
le seguenti pubblicazioni: Miriam Camps, Britain and European Community 1955–1963, London,
1964, pp. 80-81; J.A. de Koning, The Dutch attitude towards of the United Kingdom into the European
Community (1957-1973), Master Academy Thesis, University of Cambridge, 1991, pp. 13-14.
Oltre alla più volte citata W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., pp. 128-134.
247 Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 122.
248 Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 122.
249 Cfr. M. Camps, Britain and European Community…, cit., pp. 198-200.
246
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quali cominciò a manifestarsi una progressiva divergenza di vedute rispetto
all’indirizzo politico da adottare in Europa. Ad evocarla, la proposta lanciata
dal ministro degli Esteri belga, Paul Wigny, il quale invitava i tre “piccoli” a
promuovere una stretta sovranazionale dell’apparato politico-istituzionale della
Cee250. Luns si rifiutò di sottoscrivere il progetto. Nella sua ottica, infatti,
proiettata principalmente su Londra, rafforzare il carattere sovrananzionale
delle istituzioni europee equivaleva a compromettere definitivamente
l’adesione britannica alla Comunità, con inevitabili ripercussioni sui piani di
associazione tra Cee e Oece251. Mutuando l’espressione da Jan Willem Brouwer,
al “je t’aime” di Wigny, corrispondeva secco il “moi non plus” di Luns252. Dopo
l’importante funzione che aveva ricoperto negli anni Cinquanta, l’unione del
Benelux, all’aprirsi della nuova decade, mostrava una progressiva tendenza allo
scollamento. In altre parole, il ruolo di pioniere dell’integrazione che tale
unione regionale aveva svolto per l’intero arco degli anni Cinquanta volgeva
inesorabilmente al termine. Efficace, in tal senso il commento di Brouwer:
“l’«omnibus» Benelux est rattrapé par le «train» de la CEE”253.
Il secondo episodio si registrò nell’ambito dell’incontro dei ministri degli
Esteri della Cee, tenutosi a Strasburgo, nel dicembre 1959. In quella circostanza,
infatti, i rappresentanti dei Sei avevano discusso la proposta, avanzata da de
Gaulle, di dare carattere di sistematicità alle consultazioni tra i sei capidicastero responsabili della politica estera, così da procedere ad uno “scambio
regolare di informazioni e di vedute”, ma senza finalità di istituzionalizzazione,
né di elaborazione di “decisioni comuni”254. L’Aja, in particolare, scettica per
principio rispetto alle iniziative francesi, mostrò forti riserve riguardo all’idea,
contenuta nello schema francese, di creare, a Parigi, un segretariato permanente
incaricato di preparare questi incontri. Era forte e concreto il sospetto che la
Francia volesse dotarsi, in realtà, di un ulteriore strumento per promuovere la
propria preminenza in Europa, ponendosi peraltro alla guida dei Sei, a loro
volta costituitisi in blocco unico sotto l’egida francese, in un terreno sensibile
come quello della difesa, con l’intenzione di porsi su un piede di equal
partnership con Washington, nell’ambito della Nato, e con Londra, nel contesto
dell’Ueo. A tale proposito, Luns replicava secco:
Wigny suggeriva diverse soluzioni per realizzare sia un ampliamento delle competenze della
Cee in campo politico e monetario, sia un rafforzamento delle istituzioni sovranazionali, sia
infine per avviare la creazione di un mercato interno. Cfr. ivi, p. 203.
251 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 17…, cit., 18.3.1960.
252 Cfr. J.W. Brouwer, “La Belgique dans la politique…, cit., p. 223.
253 Ibidem.
254 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2864 1958-1960, De Minister Van Onderwijs, Kunsten
en Wetenschappen, W.G. J. Cals (.J,M.L.Th.Cals) aan de Heer Minister van Buitenlandse Zaken,
23.12.1959.
250
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Any form of political bloc-formation against our Anglo-Saxon allies in insane. This would
endager NATO and therewith our most vital interest. 255
Verosimilmente, sempre agli occhi del ministro olandese, l’Eliseo aveva
elaborato un’altra strategia per tenere la Gran Bretagna lontana dalla Comunità.
Luns dichiarò quindei che avrebbe acconsentito a sottoscrivere la proposta, a
patto che tali consultazioni avessero esclusivamente carattere informale. Wigny,
supportando il collega olandese, aggiunse che tale dispositivo diplomatico non
avrebbe dovuto minimamente interferire con l’azione della Ueo e della Nato.
Le dichiarazioni di Wigny fecero pregustare a Luns il sapore di una prima
vittoria diplomatica. Non soltanto, infatti, le sue resistenze avevano ostacolato i
piani francesi in direzione del primato europeo, ma soprattutto avevano
persuaso i belgi - che pure, sulle prime, sembravano mostrare una certa
propensione ad accogliere l’invito parigino - del carattere anti-comunitario
dell’atteggiamento gollista e della necessità di ritornare a grandi passi nelle file
del Benelux256.
L’incontro di Strasburgo, ad ogni modo, aveva rappresentato un turning
point nella politica europea olandese. Alle ragioni di carattere essenzialmente
economico-commerciale che, fin dagli esordi dell’integrazione, avevano spinto
l’Aja ad intraprendere la costruzione di un ponte sulla Manica si affiancarono
altri moventi, più propriamente politici, sollecitati dalle nuove articolazioni del
dibattito comunitario. Il Buitenlandse Zaken, in particolare, di fronte alle latenti
spinte egemoniche che, attraverso l’asse Parigi-Bonn, estendevano il proprio
cono d’ombra sull’autonomia decisionale del Ministerraad, cominciò a tendere
più energicamente la propria mano verso Londra e a premere sugli altri partner
affinché seguissero il suo esempio.
L’atteggiamento olandese nei confronti dell’iniziativa di Parigi, pertanto,
può essere letto come un sintomo del profondo rivolgimento avvenuto
nell’orizzonte politico-concettuale dell’Aja (favorito anche dal ricambio al
vertice del Ministerraad, ove, all’euroscettico Drees, era subentrato il cattolico
Jan De Quay, senz’altro più sensibile al tema dell’unificazione continentale), sia
nella percezione delle dinamiche interne alla Comunità, sia relativamente alle
misure da prendere per orientarle, tali dinamiche, in direzione dei propri
desiderata.
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 5, Notulen va de vergadering gehouden op vrijdag 24 juli
1959 in de Trêveszaal aangevangen ’s morgens, om ten uur en ‘s middags voortgezet, 24.7.1959. La
traduzione inglese è ripresa da J.W. Vanke, An Impossible Union. Dutch Opposition to the Fouchet
Plan 1959-1962, in «Cold War History», vol. 2, n. 1, 2001, London, pp 95-112.
256 Cfr. J.A. de Koning, The Dutch attitude..., cit., p. 27.
255
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Nella morsa tra Parigi e Bonn
Ancor prima che de Gaulle, durante la conferenza stampa del 5 settembre 1960,
annunciasse ufficialmente il proprio schema per l’unione politica europea257, il
Ministerraad aveva già discusso ed elaborato una controffensiva, che sarebbe
stata adottata al successivo vertice europeo, incentrato sulle due questioni più
controverse all’ordine del giorno delle riunioni comunitarie, vale a dire la
partecipazione britannica alla Cee e le discussioni sulla cooperazione politica.
Del resto, affermava Luns, i tentativi egemonici “sul piano politico, militare,
economico e culturale”258 del Generale, seppur a livello ufficioso, erano stati
ampiamente chiariti nell’incontro tra de Gaulle e Adenauer, che si era tenuto a
Rambouillet, il 29 luglio259. Le prospettive che si aprivano, affermava il ministro
degli Esteri non senza manifestare una sincera preoccupazione, imponevano ai
Paesi Bassi (ma anche all’Italia260) di procedere senza esitazioni sulla linea dell’
“opposizione pragmatica”261. Nel tempo, infatti, puntualizzava Luns, la
realizzazione delle ambizioni di de Gaulle al ridimensionamento del carattere
C. de Gaulle, “Avec le renouveau - 1958–1962”, Discours et messages, vol. III, Paris, 1970, pp.
244-246. Vale la pena di riportare un estratto significativo, per l’impressione che suscitò all’Aja,
delle dichiarazioni di de Gaulle sul progetto di unificazione politica europea: “Bien sûr, si l’on
entre dans cette voie, si l’on peut espérer que l’on va y avancer, les liens se multiplieront et les
habitudes se prendront et alors, le temps faisant son oeuvre, peu à peu, il est possible que de
nouveaux pas soient faits vers l’unité européenne. Encore une fois, c’est cela que la France
propose. C’est tout cela et pas autre chose”.Cfr. ivi, p. 246.
258 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2856 1960-1961, Verslag de bespreking tussen Minister
Luns en zijn Italiaanse ambtgenoot, Minister Segni, op 16 augustus 1960, in Venetië, 18.8.1960, p. 2.
259 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 619, Notulen, 5.8.1961.
260 Riportava infatti il ministro nel resoconto della propria discussione con Antonio Segni:
“Minister Segni heette zijn Nederlandse ambtgenoot welkom en achtte dit personnlijke contact
uitermate nuttig omdat de besprekingen, welke te Rambouillet tussen Generaal de Gaulle en
Kanselier Adenauer waren gehouden, voor de Benelux-landen en Italië van grote betekenis
konden zijn. Het was derhalve noodzakelijk dat men met elkaar overleg pleegde. Het huidige
gesprek was ook daarom voor Italië van belang omdat de Italiaanse Minister-President Fanfani
in september a.s. de Generaal de Gaulle in Parijs zal bezoeken en een voorafgaande oriëntatie
derhalve gewenst is”. (Il ministro Segni ha dato il benvenuto al suo omologo olandese e lo ha
ritenuto il giusto referente per questo contatto personale che è di grandissima utilità considerate
le discussioni che si sono tenute a Rambouillet tra il generale de Gaulle e il cancelliere
Adenauer, che per i paesi del Benelux e per l’Italia potrebbero essere di grande significato. È
pertanto necessario che si svolgano delle consultazioni. L’attuale discussione si rivela
fondamentale per l’Italia anche perché il Primo ministro Fanfani si incontrerà a Parigi, a
settembre, con il generale de Gaulle ed è pertanto auspicabile che si concordi un
‘preorientamento’ comune). Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2856 1960-1961, Verslag de
bespreking tussen Minister Luns en zijn Italiaanse ambtgenoot..., cit. Da sottolineare che, tra le righe,
risultava che l’Olanda avesse iniziato a rappresentare, almeno agli occhi die partner comunitari,
una sorta di portavoce del Benelux in Europa.
261 Ibidem.
257
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sovranazionale della Cee avrebbe comportato una regressione dell’Olanda, da
equal partner della Francia a mero esecutore delle sue volontà. Senza contare che,
se Parigi avesse anche guadagnato l’auspicata leadership della difesa europea,
Washington avrebbe inevitabilmente e comprensibilmente allentato i nodi del
Patto Atlantico (cioè del “più importante organo per il coordinamento militare e
politico dell’Europa occidentale262), nonché dell’Ueo e “degli altri vincoli
multilaterali”263. Infine, nel lungo periodo, si sarebbe creata una profonda
spaccatura, sia sul terreno politico, sia su quello economico, nell’Occidente
europeo. Il che, oltre a decretare il fallimento di tutti i progetti di cooperazione
continentale, sapientemente elaborati e tenacemente perseguiti dai Sei, avrebbe
riportato l’Europa alla disgregazione prebellica, nonché, in una prospettiva
tutt’altro che improbabile, ad una nuova, disastrosa, conflittualità intestina264.
La panoramica delineata da Luns indusse il governo olandese ad attaccare
il piano sull’unione politica, che de Gaulle, come accennato, aveva presentato
nel settembre del 1960, sia criticandone gli aspetti più spiccatamente ispirati al
metodo intergovernativo – segretariato permanente, direttorio difensivo e
regolarità degli incontri dei capi di stato e di governo dei Sei –, sia insistendo
sulla necessità della partecipazione britannica alle discussioni265. Il Regno Unito,
infatti, non solo avrebbe agito da contrappeso allo strapotere franco-tedesco in
Europa, ma soprattutto avrebbe svolto la funzione di collante nei legami euroamericani, Patto Atlantico in primis. E i negoziatori olandesi, non a caso,
nell’attesa di un riscontro positivo sull’inclusione britannica al tavolo delle
trattative, ricevevano, dal governo, l’istruzione a temporeggiare266.
Alla prima Conferenza dei capi di stato e di governo della Cee, tenutasi a
Parigi dal 10 all’11 febbraio 1961, le cupe previsioni di Luns vennero
ampiamente confermate. Le proposte francesi, sebbene rivestite da una sottile
apparenza europeista, non tardarono a palesare le ambizioni euro-egemoniche
di stampo gollista che vi erano sottese. Sentenziava Luns, al termine di un
monologo di 45 minuti interamente incentrato sulle obiezioni olandesi alla
proposta del Quai d’Orsay267:
Ibidem.
Ibidem.
264 Cfr, ibidem.
265 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr., 639, Conferentie op 10 februari te Parijs van
regeringsleiders en ministers van Buitenlandse Zaken nr. 17857, 2.2.1961.
266 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 652, Notulen, 3.2.1961.
267 Albert Kersten, “De Langste, Joseph Antoine Marie Hubert Luns (1952-1971)”, in Hellema,
Duco, Zeeman, Bert, Zwan, Bert van der (eds.), De Nederlandse ministers van buitenlandse zaken in
de twintigste eeuw, Sdu, Den Haag, 1999, pp. 211-227, qui p. 219.
262
263
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Dominant… is the global aspect, and closely linked to this is the Atlantic dimension… The aim
of General de Gaulle’s proposals is not to strengthen European unity and integration… His
proposals exclusively serve decision making on matters that lie outside the European
Community’s scope. 268
A questo punto, l’Aja si trovava di fronte ad una scelta cruciale. Lo schema
per l’unione politica elaborato da de Gaulle, infatti, sembrava avere inibito le
possibilità di manovra olandesi nell’ambito dei Sei. Le uniche due vie
percorribili rimanevano, da un lato, sopportare il fardello del proprio fallimento
e manifestare col silenzio il proprio dissenso; dall’altro, sacrificare l’interesse
nazionale ad un’attiva partecipazione nella costruzione della politica di potenza
franco-tedesca. Non era da escludere, peraltro, che, nel caso in cui la Francia
avesse preferito l’ipotesi del direttorio congiunto Parigi-Bonn, la Germania non
avesse tentato, nel lungo periodo, di ricalcare le orme della politica gollista e di
estendere la propria egemonia in Europa269.
Quello che il Binnenhof aveva considerato il successo più concreto della
Dichiarazione Schuman, vale a dire la partecipazione della Repubblica Federale
al cammino comunitario, si stava al contrario rivelando una seria minaccia per
l’indipendenza della piccola Olanda, peraltro confermata dall’accordo de
Gaulle-Adenauer suggellato a Rambouillet270. In un primo momento, peraltro, il
governo olandese aveva guardato con favore alla presenza della Germania al
tavolo delle trattative sull’unione politica. Da Bonn, infatti, a dicembre, Luns
aveva ricevuto due notizie piuttosto rassicuranti. La prima, comunicata
proveniente dal segretario di stato Müller Armack, che riportava le
dichiarazioni di Adenauer, secondo la quale la Repubblica Federale avrebbe
adottato una tattica dilatoria durante le discussioni, essendo intenzionata a
conoscere preventivamente il parere del nuovo governo americano sull’intera
questione della cooperazione politica europea271. La seconda, proveniente dal
segretario di stato Müller Armack, riferiva dell’intenzione, espressa dal
Cancelliere, di propugnare l’avvicinamento dei Sei alla Gran Bretagna272.
Momentanee rassicurazioni che, tuttavia, si sgretolarono, una dopo l’altra,
a Parigi. Non solo. Nella circostanza, Luns si trovò costretto ad eludere le
critiche congiunte di Adenauer e de Gaulle contro la sua insistenza nel
Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 125.
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 640, Franse voorstellen inzake Europese politieke
samenwerking, 7.3.1961.
270 Secondo Olivi, la riunione di Rambouillet avrebbe segnato ufficialmente la nascita del
negoziato sull’unione politica. Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 73.
271 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 652, Notulen, 17.2.1961. Nel corso di questa seduta,
Luns riferì di avere ricevuto una lettera da Adenauer, nella quale il Cancelliere dichiarava
apertamente le sue intenzioni.
272 Ibidem.
268
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promuovere l’inclusione del Regno Unito nella lista dei partecipanti alla
successiva discussione sull’unione politica273. Allo stesso modo, il blocco di
pressione franco-tedesco, formato dai due capi di stato, biasimava il ministro
olandese per aver rifiutato di accettare un communiqué, elaborato a Parigi, sulla
struttura istituzionale del nuovo consesso. Con Adenauer che, a latere,
dispensava consigli a Luns per indurlo a una maggiore cautela, cosa che fu
recepita all’Aja come espressione di un autentico tradimento da parte di
Bonn274.
Nella fase di preparazione della Commissione Fouchet, quella che avrebbe
in ultima istanza esaminato lo schema francese, in previsione del summit di
Bonn, i negoziatori olandesi si trovarono ancor più nell’impasse: da vari
ambienti e a vari livelli, infatti, si muovevano le pressioni nei loro confronti, per
indirizzarli ad assumere un atteggiamento più flessibile. Anche all’interno del
Ministerraad, alcuni elementi avevano cominciato a dubitare dell’efficacia
dell’ostruzionismo sistematico perpetrato da Luns. Particolarmente diffusa era
l’opinione che i Cinque avrebbero potuto ignorare le richieste olandesi per la
partecipazione britannica, decidendo, viceversa, di proseguire secondo le
indicazioni francesi e senza i Paesi Bassi. Soprattutto il ministro delle Finanze,
Jelle Zijlstra, avvertiva concretamente questo rischio. Molto più accese, poi, le
polemiche di Marga Klompé, indirizzate principalmente contro il cosiddetto
“approccio Luns”275. Agli occhi di una convinta europeista, nonché membro del
Comitato d’Azione di Monnet, alla base della strategia adottata dall’Aja
sussisteva esclusivamente l’avversione a qualsiasi progetto di integrazione
politica. Soprattutto se rivolto esclusivamente ai Sei, cioè non aperto a
Londra276.
L’intervento del ministro Luns chiarì che la politica europea dei Paesi
Bassi non era argomento di discussione. Il vero oggetto della controversia,
semmai, erano de Gaulle e i suoi subdoli attentati all’integrazione dell’Europa.
Peraltro, la membership britannica alla Comunità costituiva una priorità
imprescindibile sull’agenda europea dei Paesi Bassi, tanto più nella situazione
contingente277.
Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 126.
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 652, Notulen, 17.2.1961. Luns, in questa circostanza,
precisò altresì che la delegazione tedesca si era scusata con lui per il comportamento assunto da
Adenauer nel corso del negoziato, rassicurando che il Cancelliere era immediatamente tornato a
più sagge considerazioni.
275 Così venne denominata la strategia politica adottata dai Paesi Bassi nel corso delle
negoziazioni per l’unione politica. Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p. 126.
276 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 652, Notulen, 17.2.1961.
277 Ibidem.
273
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Le dichiarazioni di Luns non consentivano repliche: la presenza del Regno
Unito alle trattative rimaneva conditio sine qua non per la realizzazione
dell’unione politica278.
Il Piano Fouchet: il” vertice” della tensione
I lavori della Commissione Fouchet si aprirono all’insegna della confusione per
i negoziatori olandesi, al punto che il capo delegazione, De Vos van Steenwijk,
dovette recedere dalla linea del préalable anglais, faticosamente approvata al
termine della seduta del Ministerrad del 17 febbraio, causa la ferma opposizione
degli altri partner a trattare la questione della partecipazione britannica 279.
Viceversa, l’Aja pose due nuove condizioni: che si stralciassero dall'o.d.g. della
riunione i riferimenti alla “i problemi strategici e strutturali relativi alla Nato”280
e che, in secondo luogo, si avviassero consultazioni su temi politici nell’ambito
della Ueo. De Vos ribadiva anche le iniziali obiezioni olandesi al segretariato
permanente, propugnando, viceversa, la necessità di un rafforzamento della
Comunità nella sua dimensione sovranazionale, da raggiungere mediante una
fusione dei tre esecutivi e attraverso le elezioni dirette del Parlamento europeo.
In altre parole, l’Aja, trovandosi nell'impossibilità di contrastare direttamente il
potente avversario, tentava di spingere l’Europa al “salto qualitativo” verso la
federazione. La finalità sottesa a tale forzatura federalista non era difficile da
scorgere. Se al progetto gollista fosse stato infatti affiancato un piano per il
rafforzamento degli organi sovranazionali della Cee, difficilmente il Generale
sarebbe riuscito a produrre quell'involuzione intergovernativa dell'integrazione
per cui stava tanto alacremente adoperandosi281. Era chiaro che la vocazione
sovranazionale improvvisamente manifestata dall’Aja destava profondi sospetti
nel Presidente francese, il quale cominciò a puntare il dito contro
l'atteggiamento contraddittorio dei "piccoli" partner, i quali continuavano ad
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 652, Notulen, 17.3.1961.
Ibidem. A tale proposito, Luns preventivava un “crash” (botsing) delle trattative già a partire
dal mese di maggio.
280 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2865, Verslag van besprekingen met Minister Heath Plan De Gaulle, 27.6.1961, p. 2. La relazione inviata dal segretario di stato Van Houten al
Ministerraad, relativa ai suoi colloqui con Heath sulla Nato e sulla partecipazione britannica
alla Cee, precisava, a tale proposito, che l'espunzione dalle trattative a Sei sull'unificazione
politica della Cee delle questioni concernenti la Nato era tanto più necessaria quanto più
appariva evidente che "de Amerikanen deze gevaren niet zien of althans achterstellen bij de
voordelen van nauwere politieke samenwerking van de Zes. Dit lijkt kortzichtig gezien de
conceptie van Generaal de Gaulle ten aanzien van de NAVO-problematiek". (gli americani non
vedono questi pericoli o, quantomeno, li ritengono meno importanti rispetto alla prospettiva di
una più stretta cooperazione politica tra i Sei).
281 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 646 1961 sep. 1-4, Franse plannen voor een Europees
topoverleg, 29.6.1961.
278
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oscillare tra la tentazione di porsi come paladini dell'integrazione
sovranazionale e la più naturale propensione a rappresentare il "cavallo di Troia
della Gran Bretagna nella Cee" (con ciò riconoscendo ai Paesi Bassi il medesimo
ruolo svolto dai britannici in Europa per conto degli Stati Uniti), il che
presupponeva la rinuncia a qualsiasi aspirazione federalista282.
Le parole di de Gaulle non produssero su Luns l'effetto sperato. Il ministro
olandese, infatti, anziché spaventarsi dell’isolamento diplomatico in cui si era
improvvisamente ritrovato, ritenne di doversi tener ben saldo alla linea
intrapresa, cioè sia all'opposizione senza riserve, sia all’approccio pragmatico,
se avesse voluto ottenere qualche risultato, anche minimo283. Ciò non significa,
ad ogni modo, che il “dominateur” volesse continuare una trattativa che si
preannunciava eccezionalmente aspra affrontando, da solo, l’ostilità di cinque
avversari. Viceversa, Luns seguì l’esempio del suo predecessore e si rivolse agli
omologhi del Benelux per ricompattare il fronte dei piccoli – che sembrava
essersi sfaldato a Parigi284 - e mettere a punto una strategia comune da adottare
al successivo incontro di Bonn. Organizzò pertanto, tra giugno e luglio 1961,
una serie di incontri separati (ai quali, in diverse occasioni, scelse di farsi
rappresentare dall’ambasciatore olandese a Bruxelles, Van Houten285),
innanzitutto col ministro Spaak, il quale sembrava, tra i due partner, il meno
propenso a seguire la via dell’ostracismo promossa dall’Aja286. Le maggiori
difficoltà, in effetti, per superare le quali si accese un dibattito di circa due ore
Albert Kersten, “De Langste..., cit., p. 220. Ricorda Luns nelle sue memorie: “Tijdens een tête
à tête na afloop zei hij [de Gaulle, ndr.] mij: 'Monsieur le Ministre, j'estime, j'admire en quelque
sorte votre ténacité et la forte personnalité politique que les Pays Bas, d'ailleurs à juste titre, ont
su maintenir à travers les siècles. Mais expliquez-moi: pourquoi avez-vous consenti à devenir
l’agent du Royaume-Uni?' En Couve de Murville kwam even langs met zijn cynische
glimlachje. Maar ja, hij volgde, en dat was tenslotte bekend, 'la voix de son maître', hij was 'le
tres grand commis', en wat hij zelf dacht was niet altijd even duidelijk (ik meen weleens te
hebben beluisterd dat hij ook zelf ervan overtuigd was dat Engeland geen lid moest worden
van de gemeenschap; maar helemaal duidelijk is het nooit geweest, zelfs niet na jaren
vriendschap). Cfr. Joseph Luns, Ik herinner mij. Vrijmoedige herinneringen van Mr. J.M.A.H. Luns
zoals verteld aan Michel van der Plas, A.W. Sijthoff, Leiden, 1971, p. 150.
283 Cfr. A. G. Harryvan, J. van der Haarst, S. Voorst (eds.), Voor Nederland…, cit., “Vraagstukken
met Mr. Van der Beugel”, pp. 20–36. Van der Beugel, in questa intervista, definisce la politica
europea di Luns “sovranazionalismo strumentale”. Della stessa opinione, Jeffrey W. Vanke, An
Impossible Union. Dutch Opposition to the Fouchet Plan 1959-1962, in «Cold War History», vol. 2, n.
1, 2001, London, pp. 95-112, qui p. 102.
284 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 17, Notulen, 17.2.1961. Inizialmente – occorre precisare
- Spaak si mostrò del tutto ostile nei confronti di Luns, nel quale riconosceva l’artefice del
boicottaggio olandese all’unione politica.
285 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2872, Memorandum, 5.6.1961.
286 Cfr. ivi, 2.6.1961. In realtà, Luns aveva preso questa decisione sotto pressione dell’Aja
piuttosto che per personale convinzione.
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tra Van Houten e Spaak287, sembravano sussistere proprio nella diversa
interpretazione che il dominateur olandese e il seguace belga di Monnet avevano
dato della proposta francese. Laddove il primo, infatti, come si è visto, riteneva
il piano sull’unione politica il principale dispositivo per il ripristino della
grandeur parigina in Europa e nei rapporti euro-atlantici, ragion per cui l’unico
atteggiamento efficace da adottare sarebbe stato quello dell’obiezione senza
remore; il secondo, apparentemente “sedotto” dalla retorica franco-tedesca288,
mostrava interesse per la prospettiva dell’unificazione politica europea, ma
rimaneva in bilico tra la tentazione di accodarsi alla locomotiva dei “grandi” e
la prudenza, che gli suggeriva di riagganciarsi saldamente al più modesto
vagone del Benelux. Nel corso di tali discussioni, Luns propose a Spaak di
elaborare un memorandum, nel quale precisare la linea comune del Benelux289. Il
testo messo a punto da Bruxelles il 15 giugno deluse ampiamente le aspettative
dell’Aja, rivelandosi, in sostanza, un corpus di concessioni a de Gaulle. Di fatto,
il documento ammetteva che i Sei discutessero preventivamente la posizione
che la Cee avrebbe assunto nell’ambito della Nato, seppure “aucune décision
définitive ne devrait être prise avant confrontation finale des points de vue avec les
partenaires atlantiques”290, definiva la partecipazione britannica alle discussioni
sul “relance européenne” in ambito politico “souhaitable” piuttosto che préalable ed
accettava l’istituzione di un piccolo segretariato permanente incaricato di
assicurare “la coordination politique entre les pays membres”291. In realtà, Spaak non
aveva alcuna intenzione di inimicarsi il Quai d’Orsay per supportare, peraltro
senza condividerla, la préalable anglais degli olandesi292. Ad ogni modo, non
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 653, Franse plannen..., cit..
Questa è l’immagine che di Spaak dà Albert Kersten quando afferma che il ministro belga
cercò di ammorbidire i toni dello scontro cercando di persuadere il collega olandese
dell’opportunità di concentrarsi su obiezioni di carattere “procedurale”, piuttosto che su una
contrapposizione diretta rispetto ai principi stessi alla base dell’iniziativa. “Albert Kersten, “De
Langste…, cit., p. 220.
289 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 646, Franse plannen voor Europees topoverleg, 29.6.1961.
290 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2872, Memorandum, cit.
291 Cfr. Ivi, p. 1. Sul tema dell’atteggiamento olandese nei confronti dell’Alleanza Atlantica, si
prendano in considerazione le affermazioni di Riemersma: “The Netherlands often found in an
isolated position in this respect, since other countries tended to be more receptive to a military
dimension to Europe, either by free will or by force of circumstance. The reservations and
reluctance that nevertheless existed in other countries to do the talking, stalling the negotiations
by insisting on more study and such like, and by giving in when further opposition had become
useless, but veering up again when a new situation had opposition had arisen, the Dutch actors
on this stage managed to secure their main goal: security policy should be a matter for NATO
alone”. Cfr. R.A. Riemersma, “No European military integration: the Fouchet Plan”, in Ph.
P.Everts and G. Walraven (eds.), The Politics of Persuasion. Implementation of Foreign Policy by the
Netherlands, Hants, Aldershot; Brookfield, Vt, Avebury; Gower Pub. Co, USA, 1989, pp. 175-88.
292 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 653, Notulen, 14.7.1961.
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escludeva di poter modificare lo schema nel corso della conferenza al vertice di
Bonn293. Luns, accordando a malincuore il suo appoggio al collega belga, e
abbandonando contestualmente il proposito di avanzare in linea col Benelux,
maturava l’intenzione di riprendere la linea seguita da De Vos ad aprile294.
Il summit di Bonn sembrò orientarsi in una direzione piuttosto favorevole
all’Aja. Il Primo ministro, Jan De Quay, e Luns cominciarono a nutrire alcune
concrete speranze di veder realizzate le proprie aspirazioni: non c’era stata
alcuna “erosione” delle competenze della Cee o dei legami nel contesto della
Nato, nessuna allusione alla possibilità di istituire un segretariato e, soprattutto,
i Paesi Bassi non si erano ritrovati in una condizione di isolamento, cosa che
costituiva la cifra dell’azione svolta dalla diplomazia olandese a partire dal
febbraio precedente295. In effetti, le obiezioni allo schema francese sembravano
ora provenire da diversi fronti, in particolare dai partner del Benelux, la cui
acquisita “collaborazione poteva essere considerata il risultato più importante
dell’incontro”296. E lo stesso Adenauer aveva offerto il proprio sostegno alle
proposte olandesi relative all’elezione diretta del Parlamento europeo, peraltro
riaffermato anche di fronte alle richieste di stralcio avanzate da de Gaulle297,
oltre a promuovere la necessità dell’unione politica come strumento per
rafforzare l’Alleanza Atlantica e riaffermare l’autorità delle esistenti strutture
comunitarie298. Luns, tuttavia, tornava a polemizzare contro l’ostinazione del
Presidente francese, il quale continuava a mostrarsi non soltanto sordo nei
confronti di tutte le proposte alternative al proprio schema originale, ma
addirittura sleale nei confronti dei partner comunitari che si erano mostrati
disposti a scendere a compromessi con lui, con particolare riferimento
all’italiano Fanfani299.
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 653, Notulen, 5.7.1961.
Cfr., nel testo, p. 93 e NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 646, Franse plannen over en Europees
topoverleg, 29.6.1961.
295 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 653, Topbespreking te Bonn, 21.7.1961, p. 2.
296 Ibidem.
297 Ibidem.
298 Cfr. Susanne Jonas Bodenheimer, Political Union: A microcosm of European politics 1960-1966,
Sijthoff, Leyden, 1967, p. 62.
299 Più precisamente, rilevava Luns in sede di dibattito al Ministerraad del 21 luglio: “Voor de
Europese gedachte is bepaald ook een slag de wijze waarop Italië met betrekking tot een
Europese Universiteit een zware deceptie te incasseren heeft gekregen. De Gaulle liet hier
Fanfani in de steek. Men wilde Italië slechts de oprichting van een nationale universiteit
toestaan, die dan als internationale universiteit Europees zou mogen worden genoemd en
waaraan de diverse landen financieel zouden kunnen bijdragen!” (Per l’idea europea è chiaro
anche un duro colpo il modo in cui l’Italia ha dovuto incassare una pesante sconfitta
relativamente all’istituzione di un’università europea. De Gaulle, in questo caso, ha piantato
Fanfani in asso. L’Italia voleva soltanto la fondazione di un’università nazionale che fosse
293
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Ad ogni modo, al di là delle sussistenti reticenze di Luns, la piccola Aja
aveva assestato al gigante parigino il primo colpo di fionda. Ed era pronta a
colpire di nuovo, con rinnovata forza, non appena fosse giunta ufficialmente la
candidatura britannica alla Cee300.
L’atteso responso di Londra: “EEC membership”
Come in tutti gli altri paesi membri della Cee, anche all’Aja, anzi, soprattutto
all’Aja, il dibattito sull’unione politica si infiammò alla notizia della richiesta
britannica di adesione alla Comunità. Nell’ottica del Ministerraad, a fortiori, la
presenza del Regno Unito in questa nuova Europa, politicamente integrata,
rappresentava lo snodo essenziale intorno al quale si sarebbero decise le sorti
del paese nell’ambito dell’Occidente europeo. La membership londinese, infatti,
era percepita dagli olandesi come il giusto grimaldello su cui poggiare per
risolvere un molteplice e multiforme ordine di problemi di politica nazionale sia di natura economico-commerciale, sia di carattere più prettamente
diplomatico – senza con ciò compromettere la propria posizione in Europa.
Fin dall’apertura del negoziato per l’adesione britannica, tuttavia, i Paesi
Bassi ebbero netta la sensazione che lo scoglio da superare fosse tutt’altro che di
lieve entità, tenendo soprattutto conto della difficile posizione diplomatica che
l’Olanda si era ritrovata ad occupare nell’ambito dei Sei, ove si era andata via
via alimentando la persuasione che l’Aja rappresentasse effettivamente “il
cavallo di Troia” della Gran Bretagna in Europa. Il che aveva fortemente
ristretto la capacità negoziale dei negoziatori del Buitenlandse Zaken, cioè, più
concretamente, aveva condizionato i Cinque ad accogliere con riserva qualsiasi
proposta avanzata dai Paesi Bassi in favore dell’ingresso del Regno Unito nel
Mec. Stando così le cose, il Ministerraad scelse di adottare, come provvedimento
di emergenza, una condotta di basso profilo - cioè di attendere che gli accenti
polemici si smorzassero e che proseguissero le trattative sull’unione politica pur non rinunciando, si intende, a promuovere, a latere, un’accelerazione delle
trattative.
denominata università internazionale europea e alla quale i diversi statai avrebbero potuto
devolvere finanziamenti!). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 653, Topbespreking te Bonn, cit.,
p. 3.
300 L’annuncio di Macmillan, il 31 luglio, dell’intenzione britannica di adesione alla Cee
produsse un ulteriore alleggerimento in Olanda, anche se non fu una sorpresa. Edward Heath,
infatti, aveva già profilato al governo olandese, al termine di una seduta del Consiglio dell’Ueo,
l’ipotesi di una candidatura ufficiale del Regno Unito alla Cee, alla quale l’Aja si era affrettata
ad offrire il pieno sostegno per un rapido svolgimento e successo della procedura di adesione.
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 641 1961 apr., Bijlage II: betreft: Nedelandse houding op de
aanstaande topconferentie van de EEG te Bonn, 19.5.1961.
99
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La campagna di de Gaulle per plasmare l’Europa secondo il proprio
disegno, del resto, non sembrava ancora destinata a concludersi, né, tanto
meno, accennava a un graduale ammorbidimento dei toni. Al contrario, il
Generale aveva maturato la convinzione che l’allargamento alla prestigiosa
isola d’oltremanica potesse essere usato come arma di ricatto nei confronti dei
più ostili oppositori – gli olandesi, neanche a dirlo – del Piano Fouchet. Sicché,
più precisamente, se Parigi avesse ritardato l’ingresso britannico,
condizionandolo al buon esito delle trattative sull’unificazione politica, avrebbe
ottenuto il doppio vantaggio sia di veder realizzato il proprio progetto, sia di
accogliere il Regno Unito in un’Europa ormai plasmata secondo gli auspici
francesi301.
Peraltro, in corso le trattative per l’adesione di Londra alla Cee, a partire
dal 10 ottobre 1961, con Macmillan che avanzava richieste per un “trattamento
d’eccezione” nei confronti del proprio paese, l’Aja e i transalpini si erano
ritrovati a condividere più interessi di quanto avessero mai potuto immaginare,
dall’aspirazione all’approfondimento del Mercato comune, alla volontà di
mantenere inalterato il funzionamento della Politica agricola comune (Pac),
istituita nel 1962, alla reciproca reticenza circa il mantenimento dei legami
privilegiati tra Regno Unito e Commonwealth302.
Ad ogni modo, per quanto potessero sussistere le premesse, una
riconciliazione ufficiale tra de Gaulle e l’Aja si rivelava allora del tutto
inconcepibile, anche e soprattutto per le divergenze che continuavano ad
emergere nell'ambito del negoziato sull’unione politica, il quale proseguiva
all’insegna dei contrasti e dei rispettivi colpi di mano.
Nel novembre del 1961, in particolare, la delegazione francese, ignorando
le conclusioni di Bonn, era ritornata a promuovere uno schema che di fatto
riproponeva nella sua interezza il piano gollista del settembre 1960. Una mossa
che - in perfetto accordo con quanto anticipato poco sopra - il Generale aveva
concepito con l’intento di presentare l'unione politica al premier d'oltremanica
come fait accompli, obbligandolo di fatto ad accettarne le condizioni, ivi
compresa la leadership francese. L'Aja reagì all'iniziativa dell'Esliseo, dalla quale
fu comunque colta di sorpresa, predisponendo un immediato, quanto brusco,
cambio di tattica diplomatica. Non che l'alternativa fosse a portata di mano. Al
contrario, se, da un lato, la tecnica attendista, più sopra ricordata, aveva
dimostrato chiaramente la sua inefficacia, dall’altro, la via dell’ostruzionismo
alla Francia avrebbe riportato l’Olanda sull’orlo del tanto paventato isolamento
diplomatico, già scongiurato a fatica a Bonn. Il Ministerraad stabilì pertanto di
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 647 1961 sep. 8-29, Nota inzake de komende
onderhandelingen tussen de EEG en Groot-Britannie, 19.9.1961.
302 Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., pp. 128-129.
301
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tentare il compromesso con de Gaulle: se avesse sciolto le proprie riserve su
Londra, l'Aja avrebbe assicurato il placet all'unione politica. Spiegava Luns:
It is too hazardous for the Netherlands to join the conclusion of a European union treaty as long
as British accession to the existing Community is still uncertain. We must beware of being left
with a union without England, a situation that should be avoided at all costs, in view of both
the Netherlands’ interest and the interest of European integration. 303
È vero che una simile inversione di rotta sarebbe potuta apparire agli occhi
dei francesi come un dignitoso abbandono del campo di battaglia da parte del
riottoso, ma pur sempre impari, avversario. Tuttavia, il pericolo dell’isolamento
costituiva al momento una minaccia di fronte alla quale valeva pur sempre la
pena di servire un atout alla tracotanza di Parigi. Certo l’Aja non poteva
immaginare che, a dispetto di tanta apprensione, nel corso dei successivi
colloqui informali con gli altri partenr della Cee, nonché con i britannici,
avrebbe guadagnato un pieno e trasversale sostegno. Spaak, per primo, - che di
fatto parlava anche a nome del Lussemburgo - si predispose a fiancheggiare gli
olandesi nelle loro obiezioni al disegno gollista, inaugurando, in tal modo, la
politica belga di “rallie à l’obstruction néerlandaise contre le Plan Fouchet”304. A
seguire, la dichiarazione di Heath, il quale manifestava il proprio interesse a
partecipare alle discussioni della Commissione Fouchet, purché gli altri membri
non rifiutassero per principio le sue più importanti rivendicazioni305. Le uniche
critiche all’atteggiamento dei Paesi Bassi provenivano pertanto dal lato francotedesco, ma si trattava di ostacolo già ampiamente preventivato.
In tale contesto, Luns, forte del supporto accordatogli, si sentì incoraggiato
a promuovere un ulteriore irrigidimento della propria posizione., giungendo ad
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 649 Franse ontwerp verdrag Europese “Union”, 1.11.1961.
La citazione tradotta in inglese è ripresa da W. Asbeek Brusse, “Alone within the Six…, cit., p.
129.
304 Cfr. J.W. Brouwer, “La Belgique dans la politique…, cit., p. 223. Particolarmente interessanti,
al riguardo, i commenti dell’ambasciatore francese all’Aja, Étienne de Crouy-Chanel, in una
lettera indirizzata al ministro degli Esteri Couve de Murville: “Let me briefly remind you of this
position. Whereas Mr. Spaak is now giving stronger and more forthright support than before to
the Dutch position that favours British accession to the Six on the basis of a political
organisation with the state as its basic building-block, the Dutch favour, more clearly and
openly than before, a supranational approach to the new political organisation of Europe in the
event of Britain’s not acceding. The choice set out as one between having the United Kingdom
without integration or the Six with integration is now seen as a proposal supported by the two
founder countries that represent a sort of Brussels–The Hague axis within the Six”. Cfr. Letter
from Etienne de Crouy-Chanel to Maurice Couve de Murville (The Hague, 3 March 1962), in
http://www.ena.lu/mce.cfm. Ancora, sulla difficile cooperazione nell’ambito del Benelux, cfr.
Sophie Vanhoonacker, La Belgique: Responsible ou bouc émissaire de l’èchec des négociations Fouchet?
in «Res Publica», vol. 31, n. 4, 1989, pp. 513-526.
305 Cfr. S.J. Bodenheimer, Political Union…, cit., p. 60.
303
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affermare, il 19 gennaio 1962, a Parigi, che non avrebbe più partecipato alle
riunioni della Commissione Fouchet se non fosse stato certo della presenza del
collega Spaak306, il quale, a sua volta, aveva adottato la linea della fermezza,
dichiarando che nessun accordo sull’unione politica sarebbe stato possibile
senza il coinvolgimento dei delegati britannici alla discussione307.
Il trionfo era segnato. Non solo l’Aja, riconquistando alla sua causa il
reticente cugino belga, aveva bloccato l’avanzamento del Piano Fouchet,
determinandone l’irreversibile échec. Ma, soprattutto, aveva imposto la sua voce
al tavolo dei grandi negoziatori, partendo, peraltro, da una posizione di netta
inferiorità, geografica e diplomatica. Ancora, la sconfitta francese, avvenuta per
mano del Binnenhof, lasciava un segno profondo sulle pagine della storia
comunitaria, uno stridente punto nero, per la Parigi gollista, accanto al roseo
successo della campagna olandese per la Cee.
Dal gennaio 1962, inoltre e a fortiori, il Piano Fouchet si avviò a cedere
definitivamente il proscenio ad altre e più urgenti questioni308. A sottoscriverne
l’atto di morte, peraltro, fu lo stesso de Gaulle, il quale, reiterando il rifiuto di
aprire la via dell’unione politica alla Gran Bretagna, nonché disattendendo i
compromessi precedentemente raggiunti in tema di rapporti con la Nato,
confermò anche agli altri cinque partner la veridicità dei sospetti olandesi sulle
velleità egemoniche di Parigi. Cosa che contribuì, da un lato, ad irrobustire il
fronte di opposizione guidato sapientemente dall’Aja e, dall’altro, a lasciare il
Generale nel più completo isolamento diplomatico, tiepidamente supportato,
cioè, soltanto da un delusissimo Schröder309.
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 660, Luns aan Minister-president, Onderhandelingen over
het statuut Europese Unie, 9.2.1962.
307 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 675, Plan inzake Europese politieke top, 26.1.1962.
308 Commenta W. Asbeek Brusse: “By this time, howeverr, the Dutch Cabinet had made its mind
on the issue – and so, ironically, had de Gaulle”. Cfr. W. Asbeek Brusse, “Alone within the
Six…, cit., p. 130. Sulla reazione di de Gaulle allo smacco subito,viceversa, si esprime Olivi, con
un certa tendenza francofila, peraltro: “Certo dovette assai irritare de Gaulle l’atteggiamento, in
apparenza incondizionatamente favorevole, degli altri partner del Mercato comune rispetto ai
progetti di forza nucleare multilaterale, che la Francia avversò sin dall’inizio (in verità con
molte facili ragioni), anche perchè costituivano un tentativo di ridare uno statuto di piena partià
militare alla Germania e di ridurre a zerro le virtualità politiche della forza nucleare francese”.
Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 76.
309 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 675, Notulen, 23.3.1962. Commentava, in proposito, il
Corriere della Sera del 19 aprile 1962: “Anche noi ci siamo trovati nell’imbarazzo di desiderare la
presenza inglese come contrappeso ai progetti francesi e al pericolo di futuri sbandamenti, e di
dover constatare nello stesso tempo che questa presenza rende impossibile, nell’avvenire che si
può ragionevolmente prevedere, la stipulazione di legami federali. Non abbiamo scelto tra le
due cose. Ma i fatti ormai stanno scegliendo per noi. L’ideale europeo si allontana”. Cfr. Bartoli,
Domenico, “La parte di De Gaulle nella rottura fra i sei”, in Corriere della Sera, 19.04.1962, n. 93;
anno 87, p. 1.
306
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Lo smacco
Paradossalmente, la riunione dei ministri degli Esteri dei Sei, tenutasi a Parigi il
17 aprile 1962, segnando il definitivo e preventivato fallimento dell’iniziativa
francese, non indusse l’Aja a riconoscere nell’evento il segnale di un’epoca di
rinnovati e, forse, più violenti contrasti. Al contrario, il Ministerraad identificò
nel momentaneo stallo dell’Europa comunitaria lo sfondo ideale su cui far
discedere l’atteso deus ex machina che avrebbe accompagnato Londra a
Bruxelles. Il momentaneo black out della diplomazia francese, infatti, induceva
gli olandesi a credere che l’allargamento fosse questione, ormai, di poche
settimane. Anche Luns, tendenzialmente proclive alla cautela, sembrò piuttosto
convinto che “once the door to the EEC was hacked open”, la Gran Bretagna non
avrebbe avuto difficoltà ad attraversarle e raggiungere rapidamente il tavolo
della Comunità310.
Non che l’Aja ignorasse le difficoltà del negoziato, che comunque
sussistevano, a prescindere dalle bizze del recalcitrante generale francese,
specie in materia di partecipazione britannica alla Pac311. Anzi, fu proprio la
questione agricola che, nella tornata negoziale del luglio-agosto 1962, mise
drammaticamente in risalto il calibro di problematiche che gravava intorno
all’adesione del Regno Unito alla Cee. In quell’occasione, infatti, con
un’operazione evidentemente “maldestra”312, i britannici tentarono di rimettere
in discussione le linee guida della politica agricola comune, il che significava, e
non soltanto per i francesi, attentare ad uno dei maggiori successi conseguiti
dalla Comunità, nonché di uno dei capisaldi del suo funzionamento.
Il governo olandese, tuttavia, manifestò un’iniziale indifferenza nei
confronti dell’inflessibilità londinese, che pure sembrava fin troppo simile alla
resistenza incondizionata di Parigi313. Le concessioni che la Gran Bretagna
richiedeva quale condizione sine qua non per il buon esito delle trattative314, in
effetti, non soltanto lasciavano trapelare la volontà londinese di chiarire fin da
subito ai Sei quali sarebbero state le reali proporzioni, in termini di peso
contrattuale, in un’Europa a Sette ormai di prossima realizzazione, ma
soprattutto avrebbero comportato dei ritardi pesanti nel completamento
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 6, Notulen, 23.2.1962.
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 641, Bijlage II. Betreft: Nederlandse houding op de
aanstaande topconferentie van de EEG te Bonn, 19.5.1961.
312 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 83.
313 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 676, Notulen, 6.7.1962.
314 Per la precisione, Londra chiedeva per se stessa un’estensione del periodo transitorio oltre il
termine ultimo indicato dal Trattato, 1 gennaio 1970, contravvenendo in tal modo al principio
dell’uguaglianza e della solidarietà tra i membri della Cee, nonché inducendo gli altri partner,
soprattutto Germania e Belgio, a pretendere un equal treatment. Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile,
cit., p. 83.
310
311
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dell’unificazione economica, che rimaneva pur sempre un obiettivo essenziale
per la politica euroepa del Ministerraad. L’Aja, pertanto, fu costretta a ricorrere,
con grande amarezza, alla consueta rigidità, affermando che nessuna variazione
poteva essere apportata alla data di scadenza per il completamento del Mec315.
Nel corso delle successive tornate negoziali si accrebbero ulteriormente i
timori, condivisi anche da Spaak e Fayat, che il tentativo di adesione britannica
non sopravvivesse all’interruzione natalizia. Dalla fine di dicembre, Luns
prospettava concretamente ai suoi colleghi l’ipotesi che il punto di rottura
definitiva si sarebbe raggiunto a gennaio, deducendo tale previsione dalle
affermazioni del ministro degli Esteri francese, Couve de Murville, il quale
aveva ripetutamente invitato i Sei a prendere in seria considerazione la
possibilità di un futuro comunitario senza la Gran Bretagna316.
La maturata predisposizione all’evento non evitò tuttavia al governo
olandese di assistere al veto del Generale alla membership britannica come a un
autentico cataclisma. L’Aja, infatti, interpretò la decisione francese come un
affronto diretto nei suoi confronti, ovverossia come una sorta di rivalsa, volta a
punire il presunto responsabile del fallimento della politica gollista in Europa.
A più di un mese dalla fine delle trattative, quindi, i ministri olandesi tornarono
a discutere tutte le possibili modalità per riaprire i negoziati con la Gran
Bretagna, giungendo perfino a prospettare la forzata esclusione della Francia
dalle discussioni, insieme al boicottaggio sistematico di tutte le questioni ancora
pendenti sull’agenda comunitaria, su cui erano concentrati gli interessi di
Parigi317. Luns, in particolare, si preparava ad un confronto aperto,
dichiarandosi addirittura disposto a sacrificare gli interessi nazionali olandesi
in materia di cooperazione agricola, pur di restituire all’avversario il colpo
basso che aveva appena incassato318.
I nuovi contrasti franco-olandesi nel negoziato sull’Europa dei Sette319
La battaglia olandese, pertanto, era lungi dal concludersi. Le nuove minacce,
del resto, si erano già palesate nel corso delle più recenti trattative, dalle quali,
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 670, Toetredingsonderhandelingen Vereingd Koninkrijk,
17.10.1962.
316 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 675, Verslag van de Ministeriele bijeenkomst van de
Lidstaten van de EEG over de toetreding van het V.K. op 3, 4, en 5 december 1962.
317 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 712, Conclusies van de vergadering van de
Coördinatiecommissie voor Europese Integratie- en Associatie-problemen op 7 februari 1963 met
betrekking tot de door Nederland te voeren politiek in verband met de opschorting der onderhandelingen
met Engeland, 8.2.1963.
318 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 753, Notulen, 21.1.1963.
319 Così definisce le trattative comunitarie R. de Bruin, in ASUE, COL, JMDS-000296, Les Pays
Bas, cit. , tome I, p. 7.
315
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soprattutto, era emersa la progressiva convergenza di intenti tra de Gaulle e
Adenauer320.
Pur essendo riuscito fino ad allora nell’impresa di sottrarre al piano Fouchet
il sostegno del Cancelliere, anche e soprattutto con l’intenzione di evitare la
formazione di un “asse” Parigi-Bonn in seno alla Comunità321, Luns non aveva
potuto impedire che tra i due carismatici capi di stato si instaurasse un dialogo
privilegiato, costruito sulla comune volontà di riportare le rispettive nazioni
agli antichi fasti. La questione del veto all’adesione britannica, ancor di più, a
Commenta in proposito Stikker: “Adenauer, who I had known personally very well and who
stayed sometimes in this house when I was not here, and I gave him this house to live in after
he had resigned as Chancellor. At the end of his life Adenauer had to come so much under the
influence of de Gaulle, that although in the very beginning they acknowledged completely that
Germany never could come back to any position without the help of the United States, at the
end he forgot all about it. On top of that, there was in Adenauer's mind, in a way, a little
admiration for the British style of life. On the other hand, he resisted the idea that the British
had been more important than Germany ever had been”. Cfr. Truman Library Archives, Oral
History Interview with Dirk U. Stikker, Loveno, Italy, July 14, 1970, by Theodore A. Wilson, p. 62.
321 Affermava in proposito Luns: “Inmiddels moeten wij ons de vraag stellen hoe wij de
politieke positie van Frankrijk - voorgaande het overleg te Brussel - nog verder kunnen isoleren.
Wat dat betreft zou het van bijzonder groot belang zijn, als Adenauer ertoe zou kunnen worden
gebracht af te zien van zijn voorgenomen bezoek aan Parijs op - ik meen - 18 januari a.s. Lukt
dat niet, en dat zal ook wel niet het geval zijn, dan zou er toch al veel bereikt zijn, indien
Adenauer ertoe zou kunnen worden gebracht nu voor de eerste maal ook van zijn kant eens
stelling te nemen tegen het Franse optreden en alle medewerking te onthouden aan het tot
stand brengen van de gereed gemaakte As Bonn-Parijs. Het lijkt niet uitgesloten, dat op dit
laatste punt wèl iets zal kunnen worden bereikt. De vrijwel gelijktijdige aanvaarding van
Adenauer van de door De Gaulle verworpen nucleaire voorstellen van J Kennedy, heeft toch
reeds een zeer duidelijke tegenstelling tussen het Franse en het Duitse beleid in het daglicht
gesteld. Ik geloof dus, dat gezamenlijke beinvloeding door de Benelux en Italie te Bonn van
bijzonder veel belang zou kunnen zijn”. (Nel frattempo noi dobbiamo domandarci come
possiamo ancor più isolare la posizione della Francia – prima dei colloqui di Bruxelles. A tale
proposito, sarebbe interessante se Adenauer fosse spinto ad astenersi dal suo proposito di
recearsi in visita a Parigi – credo – il prossimo 18 gennaio. Non sarebbe un successo, ma non
sarà questo il caso, se Adenauer fosse portato ora per la prima volta anche da parte sua a
prendere posizione contro le proposte francesi e a ritirare tutto il sostegno all’istituzione alla
realizzazione della già pronta asse Bonn-Parigi. Non è da escludere che su quest’ultimo punto
potrà essere raggiunto qualche risultato. La quasi simultanea accettazione di Adenauer delle
proposte di J. Kennedy sul riarmo nucleare respinte da de Gaulle ha già messo ampiamente in
luce un più evidente contrasto tra la politica francese e quella tedesca. Credo quindi che
un’influenza congiunta esercitata su Bonn dal Benelux e dall’Italia potrebbe essere di
straordinaria importanza). Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2863, Aantekening voor de
Minister-President. Bretreft: Brussel na de persconferentie van De Gaulle van 14 januari 1963, 16
januari 1963, p. 3.
320
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cui il Generale era stato incoraggiato dal tacito assenso del devoto Cancelliere322,
aveva prospettato concretamente la possibilità che si avviasse una
concertazione franco-tedesca volta ad asservire la politica comunitaria agli
interessi di Parigi e di Bonn. Il tutto a danno dei piccoli stati323. E se,
nell’immediato, un sodalizio così esclusivo era già di per sé motivo di
preoccupazione, nel lungo periodo i suoi riflessi proiettavano sull’Aja una nube
alquanto minacciosa. Riacquisendo potere e supremazia sul territorio europeo,
infatti, non era improbabile che le potenze renane, tra cui pure sussistevano
divergenze profonde sia di interessi, sia di obiettivi di lungo periodo, si
ritrovassero coinvolte in quell’atavico contrasto i cui effetti devastanti sul
Continente stavano appena cominciando a dissolversi. Ipotesi tanto più
realistica, peraltro, tenendo conto che l’ “Europe des patries” che de Gaulle
intendeva soppiantare all’assetto comunitario allora esistente avrebbe costituito
la cornice ideale entro cui riaccendere il confronto.
Lo scontro tra grandi e piccoli d’Europa, pertanto, anche e soprattutto per il
protrarsi dell’assenza britannica dalla Comunità, riprendeva con rinnovata
acrimonia, consumandosi peraltro su una Cee paralizzata dal veto francese 324.
All’Aja, in particolare, il Ministerraad cominciò, già dal 18 gennaio 1963, a
discutere sulle mosse più opportune da compiere in opposizione alla politica da
In realtà, precisa Bino Olivi, Adenauer aveva accettato di opporre il rifiuto all’ingresso
britannico, in quanto profondamente infastidito dal comportamento di Macmillan, il quale, a
sua volta, aveva più volte tentato di riaprire il dialogo con Mosca. Nonostante il primo ministro
britannico avesse sempre fallito nei suoi tentativi di conquistare a Londra la piazza sovietica, il
Cancelliere tedesco si era profondamente risentito di non essere stato preventivamente
consultato e aveva interpretato tale atteggiamento come una prova di inaffidabilità della
diplomazia britannica. Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 83. Nell’ottica di Luns, invece, “Het
paste in Adenauers filosofie dat de Bondsrepubliek hecht moest worden ondergebracht in een
alliantie met Frankrijk en dat daardoor de Duitse zelfvernietigingsdrang of het altijd weer
opduikende nationalisme definitief onmogelijk zou worden gemaakt”. (La filosofia di Adenauer
imponeva che la Repubblica federale dovesse essere spinta a chiudere con il suo passato
attraverso un’alleanza con la Francia e che tale alleanza avrebbe reso definitivamente
impossibile il risorgere di un nazionalismo autodistruttivo). Cfr. J. Luns, Ik herinner mij…, cit., p.
147.
323 Cfr. Johan H. Molegraaf, Boeren in Brussel. Nederland en het Gemeenschappelijk Europees
Landbouwbeleid 1958-1971, PhD thesis University of Utrecht, Utrecht, 1999, pp.291-292.
324 Cfr. J.W. Beyen, Het spel..., cit.., p. 285. Commentava in proposito il ministro olandese
dell’Agricoltura e della Pesca, Victor G.M. Marijnen: “De betrokken regeringen raken in een
ernstige impasse, zowel wat de toetreding van Engeland tot de EEG als wat de EEG zelf betreft.
Deze crisis zou kunnen betekenen een afbraak van de Europese Gemeenschappen zelve”. (I
governi coinvolti si trovano in una grave impasse, sia per quanto riguarda l’ingresso
dell’Inghilterra alla Cee, sia relativamente alla Cee. Questa crisi potrebbe comportare la
demolizione della stessa Comunità europea). Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 753,
Notulen, 18.1.1963, p. 11.
322
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“Zonnekoning” (Re Sole) adottata da de Gaulle. Più precisamente, pur
sussistendo una certa uniformità di vedute circa l’opportunità di organizzare
un fronte dei Cinque in funzione antifrancese, tra i ministri olandesi
emergevano, di contro, orientamenti affatto dissimili quanto alla pratica della
contrapposizione, vista l’importanza che si attribuiva alla salvaguardia sia
dell’avanzamento delle discussioni sulla cooperazione agricola (il cui fallimento
avrebbe rappresentato una battuta d’arresto forse irreversibile sulla via verso
l’unione economica), sia del rilancio del negoziato per l’adesione britannica325.
Pertanto, laddove il premier De Quay e il ministro De Pous (Chu - Affari
economici) promuovevano l’esercizio di una pressione costante sulla
delegazione francese, volta a contrastare l’atteggiamento di superiorità di de
Gaulle nei confronti dei partner della Cee e della Comunità stessa e finalizzata a
evitare che il percorso comune si insabbiasse definitivamente nella stagnazione
in cui era precipitato, Marga P.M. Klompé (Kvp – Affari sociali) e Jelle Zijlstra
(Arp – Finanze) riflettevano sulla delicata posizione dell’Olanda, paese piccolo
sulla scacchiera dei grandi, e sollecitavano a “mosse sofisticate”, studiate con
“raziocinio e freddezza calcolatrice”, indirizzate a colpire indirettamente la
Francia nei suoi interessi principali326.
Ad agitare ulteriormente gli animi del kabinet olandese, peraltro,
contribuivano le pungenti dichiarazioni del governo statunitense sul fallimento
delle trattative Cee-Londra. Gli americani, soprattutto, guardavano con
preoccupazione al “resurgent nationalism in Europe”, il quale non soltanto aveva
determinato l’insuccesso dei colloqui di Bruxelles, ma continuava a minacciare
la stabilità della difesa comune dei “members of the Western world together”327. In
altre parole, non era poi così remota la possibilità che Washington cominciasse
ad allentare i legami nell’ambito della Nato e – coronando l’antica aspirazione
gollista al “direttorio mondiale” anglo-franco-americano328 - lasciasse la “piccola
Europa” in balia della leadership strategico-militare francese329.
Ibidem. Marijnen, in particolare, avvertiva i colleghi sui rischi di un’opposizione senza
compromessi: “maar men zal ook erop moeten letten niet in eigen vlees te snijden”. (espressione
idiomatica nederlandese traducibile con “tagliarsi le gambe da soli”).
326 Ivi, pp. 12-13.
327 Cfr. ASUE, JMDS.A-09.06 Max Kohnstamm Papers, 1950-1963, JMDS-123, 18/01/1961 –
17/05/1963, Britain and the Six, 1961-1963, February, 4, 1963. Cfr. anche U. Stille “La nuova
strategia occidentale nell'accordo Kennedy-Macmillan”, in Corriere della Sera, 22.12.1962, n. 288;
anno 87, p. 1.
328. Cfr. ibidem. A tale proposito, sembra opportuno riportare alcune dichiarazioni del
filogovernativo Het Parool, il quale, per primo, aveva riconosciuto nel veto opposto dal Generale
all’ingresso britannico nella Cee un chiaro segnale che la Francia avrebbe lanciato agli Usa per
informare la Casa Bianca sia della propria volontà di emancipare la difesa europea
dall’ombrello americano, sia dell’avvenuto ripristino della grandeur francese sul Continente.
Alla lettera : “de Gaulle heeft zich met zijn rede niet tot Engeland of Europa gericht, maar tot de
325
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Un’ipotesi ulteriormente accreditata, del resto, dal cosiddetto “Accordo
dell’Eliseo”, stipulato, il 22 gennaio 1963, tra de Gaulle e Adenauer, con
l’obiettivo di realizzare a livello bilaterale il progetto di unione politica
elaborato dalla Commissione Fouchet330. Un documento i cui contenuti
dettagliati erano per di più stati sottaciuti agli stessi collaboratori dei due
statisti, i quali, stando al New York Times del 9 febbraio 1963:
In Paris two weeks ago… twice dismesse their advisers and interpreters and conferred alone for
30-minute periods. 331
Sicché l’Aja cominciò a subodorare – senza essere peraltro la sola – che alla
base dell’accordo ci fosse qualcosa di più di una semplice volontà di cementare
ulteriormente la riconciliazione franco-tedesca alla base del processo
d’integrazione, ovverossia che vi si nascondesse la prova della conseguita
supremazia gollista sul più grande tra i partner europei della Francia 332, il quale,
Verenigde Staten. In dezelfde rede waarin hij de toelating van Engeland tot de EEG leek af te
wijzen, heeft hij opnieuw de noodzaak van een Frans-nationale kernwapenpolitiek uiteengezet.
Het kan dus zijn bedoeling zijn geweest om de Amerikanen te verstaan te geven dat hij
mogelijk bereid is zijn verzet tegen Engelands toetreding op te geven, indien de Amerikanen
eindelijk volle steun verlenen aan het tot stand komen van het onafhankelijke Franse
atoomwapen en vervolgens Frankrijk die plaats geven in de strategie-bepaling van het Westen
waarop het al jaren recht meent te hebben”. (De Gaulle non non si oppone alla Gran Bretagna,
ma agli Stati Uniti. Per lo stesso motivo per cui si oppone all’ingresso del Regno Unito nella
Cee, peraltro, avverte di nuovo la necessità di adottare una politica atomica nazionale della
Francia. Il suo obiettivo può quindi essere di dare a intendere agli americani che è
possibilmente pronto a mettere da parte le obiezioni all’ingresso dell’Inghilterra nella Cee, se gli
americani alla fine offriranno il loro pieno sostegno alla realizzazione di un’arma atonomica
francese indipendente e di conseguenza ad ammettere che la Francia abbia un posto nella
definizione della strategia occidentale dei prossimi anni). Cfr. “Europa”, in Het Parool,
21.01.1963. Peraltro, a sostegno delle preoccupazioni olandesi, giungevano da Londra le
allarmate dichiarazioni del The Guardian: “It is because he conceives that Britain’s presence
within the European Community would turn that Community into an instrument of American
leadership rather than one of equal partnership, that the President has thought the risk of
temporary damage to the Community less dangerous than what he seems to suppose would be
its perversion from the start”. Cfr. D. Gillie, “Why Gen. De Gaulle slammed the door”, in The
Guardian, 18.01.1963, n. 36, 247, p. 9.
329 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 753, Notulen, 30.1.1963, pp. 1-2.
330 Cfr. Mathieu Segers, De Gaulle’s Race to the Bottom: The Netherlands, France and the Interwoven
Problems of British EEC Membership and European Political Union, 1958-1963, in «Contemporary
European History», n. 19, a. II, 2010.
331 Arthur J. Olsen, “German Politicians Uneasy Over Aims Of de Gaulle in Treaty with
Adenauer”, in The New York Times, February 9, 1963.
332 Ibidem. “Ignorance has fostered rumors about secret protocols to the treaty or private pledges
made by Dr. Adenauer to the man who seems here to be the dominant fugure in the
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
di conseguenza, avrebbe dapprima seguito il nuovo alleato nelle sue ambizioni
secessioniste rispetto alla Nato e, successivamente, trovandosi isolato, non
avrebbe opposto resistenze al sopracitato “direttorio mondiale” che era
l’obiettivo finale del Generale transalpino.
In tale panorama, tuttavia, pur di fronte a un de Gaulle che riguadagnava
terreno in Europa e nel contesto occidentale333, gli olandesi, piccoli fra i grandi,
non trovando immediato sostegno dai parte dei tradizionali alleati del Benelux
– che preferivano restare in attesa di conoscere quali sarebbero stati gli sviluppi
successivi -, delusi dagli italiani – intenzionati ad assestarsi sulle posizioni
tedesche - e violentemente scossi dall’atteggiamento “remissivo” di
Washington, si ritrovarono costretti ad assistere impotenti al trionfo
momentaneo del potente avversario. Con l’atlantista Luns che, irritato, definiva
“inaccettabile” (onaanvaardbaar) l’atteggiamento di prostrazione che i Cinque
avevano assunto rispetto al “dictaat” parigino334 e proponeva di sottoscrivere,
insieme ai partner del Benelux, un accordo separato con Londra, il quale,
significativamente, avrebbe rappresentato un’alternativa de facto al trattato
dell’Eliseo. Il Primo ministro, di contro, invitava alla calma, reintroducendo la
proposta di Zijlstra e Klompé relativa alla tattica del boicottaggio indiretto di
tutte le iniziative intorno alle quali ruotavano gli interessi particolari francesi335.
Al termine dell’incontro, il Ministerraad decise di seguire le indicazioni di
Mansholt, che aveva esortato a proseguire, per quanto possibile, le trattative
sulla cooperazione in campo agricolo (che dal 1962 si era affermata come il vero
motore dell’integrazione europea336) e commerciale, lasciando da parte, almeno
per il momento, il confronto diretto con Parigi337. Tale condotta, in particolare,
avrebbe contestualmente guadagnato ai Paesi Bassi sia la realizzazione di alcuni
obiettivi importanti della loro politica europea, come ad esempio
l’approfondimento della Pac, sia il favore della Casa Bianca, ai cui occhi gli
olandesi sarebbero apparsi come i paladini dell’integrazione, oltre che
partnership… The long run they fear that the French President might drag the Bonn republic
down a road to isolation from the United States and its Atlantic allies”.
333 Nella strategia europea elaborata da de Gaulle, infatti, l’orientamento assunto dalla
Comunità all’indomani del veto rappresentava un pieno successo. Per la precisione,
sembravano essersi realizzati i punti cardine del suo disegno: privare di contenuto politico le
istituzioni comunitarie, al punto da inibirne completamente il funzionamento; avvicinare la
Germania alla Francia, nonché costruire un’Europa completamente indipendente dalla presenza
statunitense. Per ulteriori dettagli sulla politica europea del Generale, cfr. B. Olivi, L’Europa
difficile, cit., pp. 68-73.
334 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 753, De EEG en Frankrijk, 30.1.1963, p. 2.
335 Ivi, p. 3.
336 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 175.
337 Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT656…, cit., p. 32.
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
dell’allargamento della Cee. Certo, promuovere l’introduzione di nuove regole
per il settore primario significava pur sempre andare incontro alle aspirazioni
transalpine, ma c’era pure da considerare che la Pac costituiva una conquista
del metodo comunitario, il quale, contrariamente ai desiderata dell’Eliseo,
avrebbe comunque tratto vantaggio dal rafforzamento della cooperazione in
tale settore. Senza considerare poi le ricadute positive sulle istituzioni
sovranazionali, che avrebbero inevitabilmente acquisito ulteriori competenze in
virtù dell’approfondimento dell’integrazione. In sintesi, nel porsi alla guida del
fronte d’opposizione a de Gaulle, l’Olanda, per quanto “petit état”, avrebbe
riportato Washington nel cuore dell’Europa, contribuendo simultaneamente
all’attuazione delle finalità dei Cinque e degli Stati Uniti338. Prendendo le mosse
da tali considerazioni, il Ministerraad approntò quindi la propria controffensiva,
sperando in un risultato rapido e soddisfacente.
“L’euforia olandese”, come la definì Beyen, trascinò in breve la Cee verso
una momentanea ripresa339, pur senza riuscire a riscattarla dalla morsa della
politica gollista, ormai fermamente assestata sulla strategia dell’alternanza tra
dissuasione, nei confronti della membership comunitaria degli inglesi, e
“adesione“, cioè raccolta di consensi intorno all’intergovernativa unione
politica340.
Cfr. ibidem. Già nel gennaio 1962, del resto, Mansholt aveva ipotizzato questo percorso verso
la rinascita comunitaria. Scriveva infatti: “The Europe of the Six can never be an aim in itself, it
must be a catalyst inducing other countries to take the political path to the unity of Europe. One
might say: the greater our unity, the happier we shall be; for the greater our unity, the greater
will be the power of the free West, and the greater its ability to preserve freedom and world
peace”. Cfr. S. Mansholt, On the threshold of a common agricultural policy, in «Bulletin of the
European Economic Community», 1962, n. 3, pp. 5-6.
339 “Het gevole, dat de voortschrijdende douane-gemeenschap en vooral de gezamenlijke
landbouwpolitiek een geleidelijk nauwere samenwerking, te beginnen met een gezamenlijke
economische politiek, onafwendbaar zouden maken, leefde weer op. De ‘euphorie’, die zich
geleidelijk ontwikkelde leidde de Commissie en vele politici in de vijf andere landen ertoe te
denken dat men een ‘coup’ kon wagen die de uitbreiding de Gemeenschap tot breder terreinen,
de verdieping van de saamhorigheid, de betekenis van het Europese Parlement en de
zelfstandigheid van de Commissie als met éen slag zou kunnen bevestigen”. (Le conseguenze
che avrebbe inevitabilmente comportato la progressiva comunità doganale e soprattutto la
politica agricola comune iniziarono a far ripartire progressivamente una più stretta
collaborazione e le speranze di una politica economica comune. L’ “euforia”, che si sviluppà
gradualmente portò la Commissione e molti politici nei cinque paesi a pensare che si potesse
tentare un “golpe” che avrebbe potuto assicurare l’allargamento della Comunità ad altri settori,
l’approfondimento della solidarietà, il maggior significato del Parlamento europeo e
l’indipendenza della Commissione). Cfr. J.W. Beyen, Het spel…,cit., p. 286.
340 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit. pp. 68-73.
338
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Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Il Ministerraad e la “crisi della sedia vuota”: la tentazione della Comunità a Cinque
Il palcoscenico europeo, al contempo, continuava a preparasi per
accogliere la rappresentazione di uno degli scontri più gravi che la storia
comunitaria avesse mai conosciuto, quanto meno sul piano dell’impatto
emotivo sull’opinione pubblica continentale, non meno che sui leader politici, i
quali, per un non breve periodo, cominciarono seriamente a temere che
l’edificio comunitario stesse definitivamente crollando sotto i colpi del risorto
nazionalismo francese. E tanto più tale convinzione si andò affermando all’Aja,
ove, come accennato, i sentimenti federalisti, al pari di una “secular religion”341,
si erano ampiamente radicati tanto nella società civile, quanto all’interno della
Tweede Kamer, al punto che
… European unification, economically and politically, was an aim in its own right, going well
beyond serving the Netherlands’ economic interests, engaged in a permanent campaign for the
construction, extension and empowerment of supranational European governmental
institutions… Thus, when the crisis hit, the Cals government [1965-1966, ndr.] saw two of its
vital interests at stake. Firstly, the unhampered completion of the Common Market, under
threat from French unilateralism. Secondly, its own survival and the threat of being voted out of
office at the hands of the multi-party federalist majority in the Hague parliament. 342
La tensione, non a caso, esplose proprio sul terreno della cooperazione
agricola. Come è noto, infatti, la Commissione Hallstein aveva elaborato un
piano per promuovere il graduale autofinanziamento della Pac, nella
prospettiva di estendere tale sistema, detto delle “risorse proprie”, anche a
future politiche e attività della Cee. In previsione delle ingenti spese legate
all’attuazione della cooperazione agricola, infatti, l’esecutivo di Bruxelles aveva
tentato, in primo luogo, di dotarsi di un più ampio margine di manovra,
emancipandosi dal contributo diretto degli stati membri, e, in secondo luogo, di
rafforzare il Parlamento europeo, riconoscendogli innanzitutto un ruolo preciso
di controllo del budget comunitario preparato dalla Commissione, al fine di
promuovere, in un secondo momento, una responsabilità precisa di
quest’ultima nei confronti dell’Assemblea strasburghese.
Dopo un iniziale entusiasmo, sfociato nella convinzione che il successo
dell’iniziativa fosse un dato già di per sé acquisito, nel giugno 1965 la “furia”
gollista si abbatté sulla Commissione, obbligando Hallstein e i suoi, tra cui il
vicepresidente Sicco Mansholt, a un violento risveglio dal sogno
Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 175. La similitudine, come precisa lo
stesso Harryvan, è un’intuizione di Robert De Bruin, il quale afferma: “Les Pays-Bas son entrés
dans l’Europe communautaire comme d’autres entrent en religion”. Cfr. R. De Bruin, Les PaysBas et l’integration européenne, 1957-1967, Institut d’Études Politiques de Paris, Paris, 1978, p. 906.
342 A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 176.
341
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
sovranazionale343. Stando a Rutten, portavoce di un’opinione largamente diffusa
in Olanda, la Commissione, con tutta probabilità, aveva volutamente sollecitato
le ire francesi, sperando di porre de Gaulle in una complessa posizione
negoziale, da cui il capo dell’Eliseo avrebbe potuto uscire indenne soltanto a
seguito di qualche importante concessione a vantaggio degli organi comunitari.
E lo stesso Rutten non esclude che, dietro la macchinosa insidia, ci fosse il
contributo di Mansholt, acerrimo nemico della Francia gollista344. Tuttavia,
neanche l’ex ministro dell’Agricoltura olandese, profondo conoscitore dei
meccanismi della Cee, avrebbe potuto prevedere una reazione così drastica da
parte del Generale, quale fu, nella notte tra il 30 giugno e il 1 luglio 1965,
l’ordine avanzato a Couve de Mourville di abbandonare il tavolo negoziale dei
Sei. Decisione che, per ben sette mesi, lasciò il Consiglio dei ministri della Cee –
e la Comunità stessa – nello stallo più assoluto.
Pur avendo inizialmente ritenuto che si trattasse di un momentaneo
incidente destinato a provocare “il cedimento” della Commissione rispetto alle
istanze parigine, gli olandesi realizzarono ben presto che di crisi si trattava,
peraltro dalle conseguenze del tutto imponderabili345. Non che i timori dell’Aja
concernessero l’eventualità di una definitiva secessione francese dal contesto
del Mec, cosa che, ad onor del vero, cominciava ad apparire addirittura
vantaggiosa, se non altro per evitare una een “merkwaardige capitulatie”
(straordinaria capitolazione) delle istituzioni comunitarie di fronte alle minacce
francesi346. Piuttosto, era diffusa la consapevolezza, nonché l'apprensione, che,
in questa circostanza, al pur abile negoziatore Luns sarebbe stato indispensabile
il supporto sistematico e convinto di tutti e quattro gli altri governi 347, visto che
È questa l’espressione utilizzata da Rutten per descrivere la reazione della Francia
all’iniziativa della Commissione. Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT656…, cit.,
p. 34.
344 Ibidem.
345 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2867, Juridische aspecten van de houding van Frankrijk
in de Europese Gemeenschap, 21.7.1965.
346 Così Luns nel Consiglio dei ministri del 23 luglio 1965. Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr.
879, Notulen van de 14de vergadering gehouden op vrijdag 23 juli 1965 in de Trêveszaal, aangevangen ’s
morgens om half tien, 23.7.1965, pp. 1-2.
347 Così D.M. Ringnalda, funzionario degli Affari economici, al Primo ministro: “Ook in de REZ
zal waarschijnlijk weinig animo bestaan, met betrekking tot deze epineuze vraag elkaar reeds
nu recht in de ogen te kijken. In de komende maanden kan nog veel gebeuren en veel - zo niet
alles - hangt uiteraard af van de kant die de regeringen in Bonn, Rome en Brussel zullen blijken
op te gaan”. (Anche nel REZ [Consiglio Affari Economici, ndr.] ci sarà poco entusiasmo
nell’affrontare direttamente questa spinosa questione. Nei prossimi mesi si può ancora fare
molto e molto – non tutto – dipende dall’atteggiamento che i governi di Bonn, Roma e Bruxelles
decideranno di assumere). Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2858, Aantekening voor de
minister-president, 23.7.1965.
343
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de Gaulle aveva deciso di portare alle estreme conseguenze la propria battaglia
per estirpare definitivamente “l’uzzolo” sovranazionale dal progetto
comunitario. E soprattutto diventava essenziale la volontà politica dei tedeschi
di costituire un fronte antifrancese348, dacché Spaak sembrava orientato a venire
a trattative separate con la Francia349. Ma non fu difficile ottenere tale sostegno,
soprattuto da parte della Germania federale350. Precisa Harryvan:
During the second half of 1965 the "atmosphère de guerre sainte"... that had characterize the
parliamentary debates in June gradually gave way to increasing political support for Luns and
his tactics, centring on the German-Dutch common position. 351
A salvare, in extremis, la Cee dalla dissoluzione fu pertanto il sopraggiunto
rassodamento della coesione tra i Cinque, nonché il conseguito sodalizio tra
l’Aja e Bonn, entrambi diretto prodotto della conferenza stampa tenuta da de
Gaulle il 9 settembre 1965, che non aveva aperto alcuno spiraglio di distensione
tra il Generale e la Comunità, anzi, al contrario, era riuscita ad esacerbare
ulteriormente gli animi, visti i continui riferimenti alla tutela della sovranità
nazionale (nei confronti del voto a maggioranza in Consiglio e del
rafforzamento delle competenze dell’Europarlamento), nonché al ritorno al
“common sense and reality” (di fronte al tentativo della Commissione di
emanciparsi definitivamente dal giogo dei governi)352. Soprattutto il ministro
Spaak, appena rientrato dalle vacanze estive, si dichiarò profondamente deluso
dall’atteggiamento francese e, di conseguenza, pronto ad accogliere l’invito
olandese a costituire un “fronte unito dei Cinque”, da contrapporre a Couve de
Mourville già a partire dalla riunione dei ministri Cee prevista per il 25
ottobre353.
Tale inversione di rotta da parte del ministro belga, nonché la stretta nei
rapporti con la Germania occidentale rappresentarono per gli olandesi l’atteso
segnale per intraprendere a viso aperto la battaglia antigollista354.
Nella ritrovata unità, i cinque fondatori, Paesi Bassi in testa, che pure mal
tolleravano l’idea di assumersi la responsabilità di amputare alla Comunità un
elemento vitale della sua struttura originaria, si sentirono sufficientemente
solidi per minacciare i francesi, dichiarandosi disposti a proseguire nel processo
348
Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 879, Notulen van de 14de vergadering..., cit., 23.7.1965, p.
4.
Ivi, p. 2.
Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence..., cit., p. 182.
351 Ivi, p. 183.
352 Cfr. Press conference given by Charles de Gaulle (9 September 1965), in www.ena.lu.
353 Cfr. NL-HaNA, MR, 2.02.05.02, inv.nr. 879, Notulen van de 15de vergadering gehouden op vrijdag
17 september 1965 in de Trêveszaal, aangevangen ’s morgens om tien uur, 17.9.1965, p. 3.
354 Cfr. ASUE, COL, European Oral History, INT, INT656…, cit., p. 32.
349
350
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di integrazione anche da soli. Certo, esistevano pure prospettive allettanti dietro
tale presa di posizione. E, in proposito, non era un caso che i tedeschi fossero tra
i maggiori sostenitori della proposta del "going ahead in the EEC without
France"355 caldamente avanzata dall'Aja, giacché nel nuovo contesto a Cinque la
Rft avrebbe presumibilmente rilevato la posizione di primo piano lasciata
vacante da Parigi. Cosa che, d’altro canto, non creava alcuna apprensione negli
altri quattro partner della Cee, convinti, per parte loro, che il Cancelliere i suoi,
una volta giunti alla guida della Comunità, non avrebbero mai perseguito le
aspirazioni egemoniche francesi. E non soltanto perché a fungere da agente
riequilibratore sarebbe intervenuta la Gran Bretagna, il cui ingresso, in assenza
di De Gaulle, sarebbe stato vincolato esclusivamente all'adempimento di
procedure formali. Ma anche tenendo conto che i tedeschi avevano sempre
attribuito alla membership comunitaria il doppio significato di garanzia della
propria credibilità internazionale, nonché di ponte privilegiato nei rapporti con
gli Usa, dai quali dipendeva in larga misura l'essenziale ancoraggio di Bonn
all'occidente democratico.
Di contro, tale prospettiva generava un fortissimo impatto psicologico
sull'Eliseo, giacché un'Europa "germanizzata", peraltro con l'assenso di Londra,
rappresentava, di fatto, il fallimento complessivo della politica postbellica dei
transalpini, europeisti o antieuropeisti che fossero, oltre che una sorta di
smentita storica della vittoria francese sul rivale renano, conseguita durante la
seconda guerra mondiale. E de Gaulle per di più, pur nella sua vigorosa
intransigenza, era ben consapevole che, in un panorama siffatto, la Francia si
sarebbe ritrovata ancor più isolata di quanto non fosse in quel momento, poiché
alla già avvenuta rottura diplomatica con Washington si sarebbe aggiunta la
marginalizzazione da parte degli alleati comunitari.
Parigi, pertanto, ritenne strategicamente più opportuno - visto anche
l'esito dell'ultima tornata elettorale, che aveva fatto registrare un forte
indebolimento della posizione di de Gaulle nel paese, nonché tenendo conto
delle pressioni provenienti dal mondo imprenditoriale, che certo non voleva
privarsi dei vantaggi offerti dal Mec - tornare a sedersi al tavolo negoziale del
Consiglio "ordinario" del gennaio 1966, intraprendendo con ciò un doloroso
cammino “dall’Île de France a Canossa” e rientrando silenziosamente, e a testa
bassa, nella propria nicchia brussellese.
Aspettando il vertice dell’Aja, il trionfo olandese a Lussemburgo
Un ritorno al Trattato, essenzialmente. Questa, del resto, era la volontà,
finalmente “comune”, dei Cinque. E Couve de Murville, non potè far altro che
355
Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence..., cit., p. 187.
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piegarsi alle decisioni della maggioranza, cosa che si concretizzò sia nel forte
ridimensionamento delle richieste francesi per la limitazione delle competenze
degli organi sovranazionali, soprattutto in materia di agricoltura, sia nella
forzata approvazione da parte di Parigi della proposta di Schröeder, secondo
cui sarebbero stati “gli interessi vitali” di uno o più stati l’unica condizione per
giustificare tanto il ricorso al diritto di veto, quanto la ricerca, “in tempi
ragionevoli”, di una soluzione che fosse “accettabile per tutti”356. “Né vincitori,
né vinti”, per dirla con Luns - che nell’occasione presiedeva il consesso, oltre
che il fronte antifrancese dei Cinque - visto che la Comunità che emergeva dal
testo del compromesso di Lussemburgo, firmato il 29 gennaio 1966, non subiva
alcuna modifica sostanziale. Eppure, ricorda Kerstens, il vero successo
consisteva nel fatto che nessuno dei partner aveva affrontato Parigi “con le
ginocchia deboli”, ragion per cui, in ultima analisi, non era stata la Francia a
raccogliere la vittoria, cosa che, in se stessa, rappresentava un traguardo
importante per l'integrazione sovranazionale357. E in effetti, all’Aja, la ricezione
dei risultati del compromesso fu ampiamente positiva. Innanzitutto perché i
“vacillanti” tedeschi (questa l’espressione con cui Luns sintetizzava
l’atteggiamento della Rft di fronte a de Gaulle358) avevano osato contrapporsi in
maniera decisa ai transalpini, nella convinzione che, per la tutela
dell’integrazione, si potesse pure accettare un allentamento, certo momentaneo,
del patto con Parigi. In secondo luogo, come osservò il ministro degli Esteri
olandese a chiusura dei lavori, perché la crisi, pur avendo notevolmente
indebolito sia la posizione della Commissione di Bruxelles, sia la coesione
nell’ambito dei Sei, aveva fortemente ridotto la capacità dei francesi di
minacciare ulteriormente la Comunità, data la sfiducia che si era creata intorno
alla politica del Quai d’Orsay359.
Si chiudeva un ciclo, di fatto, e si cercava contestualmente di far ripartire
l’integrazione nella certezza ormai acquisita che “tutti i posti erano di nuovo
occupati”360. Ma, come ha precisato Olivi affermando che “ancora oggi… il
compromesso di Lussemburgo è invocato come principio interpretativo
dell’intero sistema comunitario” 361, di fatto, si inaugurava un’epoca di grandi
promesse, forti contrasti e scarsi risultati. Giacché, tornando a Lussemburgo,
Cfr. Andrew Moravcsik, De Gaulle and European Integration: Historical Revision and Social
Science Theory, Center for European Studies Working Paper Series, Program for the Study of
Germany and Europe, Working Paper Series 8.5, May 1998, p. 2. Si veda anche A.G. Harryvan,
In Pursuit of Influence…, cit., p. 190.
357 Cfr. A. Kersten, “De Langste…, cit., p. 223.
358 Ibidem.
359 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 190.
360 Cfr. NL-HaNA, AZ/KMP, 2.03.01, inv.nr. 2929
361 Cfr. B. Olivi, L’Europa difficile, cit., p. 103.
356
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pur nell’importanza delle questioni sul tappeto e nonostante le prospettive che
si aprivano in campi ritenuti strategici soprattutto dagli olandesi (dall’unione
doganale, realizzata nel 1968, all’unificazione dei prezzi dei prodotti agricoli;
dalla politica commerciale comune, alle concrete possibilità di rafforzamento
del ruolo del Parlamento europeo, fino all’accordo raggiunto sul sistema
autonomo di finanziamento della Comunità), di fatto, il 29 gennaio 1966, i Sei
avevano deciso di rinviare il problema, piuttosto che predisporre un
cambiamento radicale362.
Un momento-verità, pertanto, per il nucleo dei fondatori, che all’indomani
della firma si sarebbero indirizzati verso il vertice dell’Aja nella consapevolezza
che i nodi centrali andavano ancora affrontati.
Il Ministerraad, per parte sua, caricò l’evento di forti tensioni emotive,
riconoscendovi l’epocale sigillo della conflittualità permanente tra Paesi Bassi e
Francia, con l’Aja che, già all’apertura della crisi della sedia vuota, si era
assestata sull’antitetica “pole position” rispetto ai francesi, impegnandosi nella
strenua difesa della sovranazionalità “against determined attempts by Paris to undo
the communitarian elements of the Rome Treaty”363. E, proprio in virtù di tale scelta
integrazionista, gli olandesi avevano ribaltato i tradizionali equilibri diplomatici
interni alla Cee, relegando cioè Parigi nella posizione di isolamento in cui, fino
ad allora, erano stati soliti ritrovarsi. Guadagnato il sostegno, più o meno
sistematico - riferendosi con ciò ai momentanei cedimenti di Belgio e Italia, i
quali, durante le trattative di Lussemburgo, avevano rispettivamente tentato di
abbandonare il fronte dei Cinque e di mostrare flessibilità nei confronti delle
richieste di Couve de Mourville364 – degli altri partner comunitari, l’Olanda era
pertanto riuscita, al termine del confronto, a lasciare il “campo di battaglia” con
la vittoria in mano.
L’Aja, pertanto, avrebbe potuto approssimarsi al grande appuntamento con
il secondo negoziato per l’adesione britannica, nonché alla terza decade della
storia dell’integrazione, con una fisionomia europea rafforzata e ampiamente
accreditata presso i Cinque, come pure a Washington. All’indomani del
compromesso di Lussemburgo, forse, nasceva il gigante del “club dei piccoli”.
Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., pp. 192-193.
Ivi, p. 191.
364 Più precisamente, Spaak aveva “surprised his colleagues” proponendo una seconda e terza
lettura delle iniziative che avrebbero potuto danneggiare uno stato nei suoi interessi vitali
prima di passarle al voto, mentre Colombo, per parte sua aveva suggerito di prevedere un
“periodo transitorio” per l’applicazione del voto a maggioranza riguardo alle questioni più
delicate. Cfr. Ivi, pp. 188-189.
362
363
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Epilogo
Il vertice dell’Aja: Davide prevale su Golia
Attraversata la crisi dei primi anni Sessanta e salutato il compromesso di
Lussemburgo come atto conclusivo di uno scontro aperto in seno alla Comunità
già dai suoi primissimi anni di vita, riprendevano con più vigore, all’indomani
del 29 gennaio 1966, i toni aggressivi del generale de Gaulle, nutriti di forti
accenti nazionalistici, nonché di velleità di ritorno alla politica di potenza.
Sicché gli attriti franco-olandesi, dopo un breve momento di attenuazione,
tornavano ad esplodere sul palcoscenico comunitario con nuova acrimonia e
progressiva inconciliabilità. Tuttavia, laddove le istanze dell’Aja riuscivano a
raccogliere i consensi degli altri partner europei, la Francia viveva una stagione
di desolante isolamento. Del resto, la presidenza gollista, che, dal marzo 1966,
aveva deciso di abbandonare, forse definitivamente, la propria postazione
nell’ambito della Nato, sembrava avesse scelto e che stesse ormai perseguendo
con rigore la via dell’affrancamento, seppur indiretto, dal vincolo comunitario.
Ragion per cui i membri della Cee avevano più di qualche giustificazione nel
ritenere che “il Quai d’Orsay non vuole più fare l’Europa”365. Le prove a
sostegno di tale convinzione certamente non mancavano, dal veto all’ingresso
britannico (il secondo sarebbe sopraggiunto il 27 novembre 1967), alla strenua
opposizione a tutti i tentativi di approfondimento dell’integrazione
sovranazionale. E soprattutto la “crisi della sedia vuota”, che rappresentò
l'espediente estremo utilizzato dai francesi per bloccare l'emancipazione degli
organi comuitari dal controllo dei governi.
In ognuna delle circostanze sopra descritte, a tentare di contenere le
intemperanze transalpine si erano esposti i “petits néerlandais”, preoccupati sia
di difendere la propria autonomia decisionale e l’equilibrio interno alla Cee, sia
di salvaguardare i contenuti sovranazionali dell’integrazione.
Ma de Gaulle, forte delle sue convinzioni, non avrebbe mai preso in
considerazione le rimostranze di un “petit état”. Come ebbe a dire Camille Gutt
in una lettera a Spaak:
Cfr. Olivier Maunoury, “La conférence de La Haye et les relations entre la France et les PaysBas”, in M. Dumoulin, G. Duchenne (dir.), Les petits États…, cit., p. 314.
365
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[les Français] aiment beaucoup la Belgique, à condition qu’elle suive la leur politique. Et ils se
froissent comme une maȋtresse offensée chaque fois qu’elle prétend de ne pas la suivre. 366
Eppure, l’artificiosa ricostruzione della grandezza francese abilmente e
strenuamente perseguita dal Generale si sarebbe inesorabilmente sgretolata al
vertice dell’Aja, da molti considerato un Consiglio europeo ante litteram, il
quale, rappresentando l’ultimo terreno di confronto tra il Quai d’Orsay e il
Binnenhof, consegnò definitivamente al Davide “nederalndse” la fionda con cui
colpire a morte il Golia transalpino.
Fotografia di un evento
Il 1 e 2 dicembre 1969, nella capitale istituzionale olandese, siedono, l’uno
accanto all’altro, i capi di stato e di governo e i ministri degli Esteri dei Sei. Ad
essi è affidato un compito decisivo: scrivere il futuro dell’integrazione europea.
E devono riuscire nel loro intento, secondo l’appello che, già il 29 novembre,
aveva lanciato il quotidiano La Croix367 - “il summit dell’Aja deve riuscire” – che
si era fatto interprete delle tensioni che scuotevano nel profondo, da un estremo
all’altro dell’emisfero occidentale, il mondo politico-intellettuale, gli opinionisti,
i commentatori, i sostenitori più e meno accesi dell’Europa comunitaria.
È la città sede del governo dei Paesi Bassi ad ospitare il vertice, e forse non
a caso. Quelle vie, in effetti, sembrano ancora attraversate dagli echi della
retorica churchilliana del Congresso d’Europa del 1948, mentre nella stessa
Ridderzaal, ove sono riuniti i Sei, si odono ancora sonori gli appelli alla
costruzione degli “Stati Uniti d’Europa” lanciati dai federalisti nel maggio di un
ventennio prima. È una cornice suggestiva, pertanto, quella che ospita il
summit, ritenuta di fatto la più efficace per richiamare alla memoria dei
governi, anche dei più riluttanti, il significato profondo dell’unità continentale.
E gli europeisti sperano che, di fronte alla sopravvivenza della Comunità, cioè
della pace in Europa, anche “burocrati” e “mercanti”368 possano concedersi
qualche romantica e idealistica digressione.
La Francia, nell'occasione, parla con la voce di Georges Pompidou. La sua
figura, nonostante qualche riserva, soprattutto da parte olandese369, ha un
Cfr. “Lettre de Camille Gutt à Paul-Henri Spaak 23 juin 1944”, in M. Dumoulin, Spaak,
Bruxelles, 1999, p. 294.
367 “Le sommet de La Haye se doit de réussir”. Cfr. F. Roussel, “Les quatre chapitres du dossier
de La Haye”, in La Croix, 29 novembre 1969.
368 Questa espressione, entrata da diverso tempo nel lessico comune ad indicare il carattere
fortemente burocratico ed economico della struttura comunitaria, è comunque, in questa sede,
utilizzato nell’accezione che ne dà V. Castronovo, L’avventura dell’unità europea…, cit., p. 18.
369 Lo stesso Luns, peraltro, al momento dell’elezione di Pompidou all’Eliseo, nel giugno del
1969, aveva dichiarato che tale nomina apriva incoraggianti prospettive per una rapida
risoluzione del problemi europei. Cfr. O. Maunoury, “La conférence de La Haye…, cit., p. 316.
366
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impatto rassicurante sugli omologhi della Cee. Oltre che essere di buon auspicio
per una positiva risoluzione del vertice, infatti, la presenza del nuovo
presidente francese segna definitivamente il tramonto di un’epoca di incontri
europei all’insegna dell’esigente maîtresse, per dirla con Camille Gutte, e del suo
fedele portavoce, de Gaulle.
La parabola gollista, invece, può ritenersi finalmente conclusa e i Sei, per
parte loro, sono autorizzati a rispolverare i progetti di consolidamento e
approfondimento della costruzione europea. Non a caso, pertanto, all'uscita
dalla Ridderzaal, la Cee assume una fisionomia diversa, più robusta. Da una
parte, infatti, l'incontro scioglie il nodo dell’allargamento verso il nord del
continente, dall’altra, ancor più, emerge la volontà condivisa di ampliare le
competenze delle istituzioni comunitarie (Parlamento e Commissione), con
particolare riferimento agli ambiti della politica estera e della cooperazione
monetaria. Per questo, e non a torto, il vertice dell’Aja si è inscritto nella
memoria collettiva come la seconda Messina370. E per il medesimo motivo, per
tutta la durata dei lavori, intorno al Binnenhof si raccoglie una fitta schiera di
europeisti, convenuta a festeggiare la rinascita dell’idea stessa di unione
continentale, formalmente sancita per mano dei governi.
L’evento, tuttavia, non consacra soltanto la vittoria del metodo
comunitario sulle ragioni della grandeur parigina. C’è un altro vincitore, forse
meno celebrato, che nelle risoluzioni del summit, di fronte ai più illustri tra i
leader politici dell’epoca371, riconosce silenziosamente il suo trionfo. L’esito
delle discussioni lascia infatti risaltare il successo dei tenaci olandesi nel guidare
il "fronte dei piccoli" nell'impari contesa con i "grandi" d'Europa, raccolti sotto
l'egida parigina. Tale vittoria, più precisamente, non si realizza soltanto nella
battaglia conclusiva, quando, cioè, al tetragono Generale subentra il docile
Pompidou, ma, al contrario, si impone a chiudere un confronto ventennale,
interamente combattuto sul suolo comunitario, tra Francia e Paesi Bassi.
Soltanto da una prospettiva di lungo periodo, infatti, si può effettivamente
scorgere Polifemo che cade, accecato da Ulisse. Fuori dalla retorica, infatti, la
metafora mitologica è quanto mai efficace sia a dar concretezza alla discrasia
delle forze in campo, sia a caratterizzare sinteticamente i due contendenti,
laddove l'Olanda/Ulisse rappresenta l'anima pragmatica e proiettata verso il
futuro, quello della cooperazione sovranazionale, la Francia/Polifemo incarna
Cfr. J. van der Harst, The 1969 Hague Summit: A New Start for Europe, in «Journal of European
Integration History», 2003, Vol. 9, Number 2, pp. 5-10.
371 Accanto a Pompidou, infatti, e al suo primo ministro Jacques Chaband-Delmas, erano
presenti cinque capi di stato: Willy Brandt per la Germania, l’olandese Pieter de Jong, Gaston
Eyskens per il Belgio, Pierre Werner per il Granducato di Lussemburgo e Mariano Rumor per
l’Italia. Ivi, p. 322.
370
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un passato possente e pronto a imporsi con la forza, cioè il vagheggiamento
nostalgico del ritorno a un'Europa delle patrie in cui Parigi possa ritrovare il
proprio primato europeo, politico e morale.
Intorno a tale immagine, peraltro, si scioglie il nodo problematico della
presente ricerca. Come si ricorderà dall'introduzione, infatti, il lavoro in oggetto
individuava due aspetti ancora poco conosciuti del processo di integrazione
europea, proponendosi di constatarne scientificamente sia la reale sussistenza,
sia la rilevanza storica. Più precisamente, in primo luogo, si intendeva appurare
se il percorso comunitario potesse caratterizzarsi anche come successione di
momenti di attrito tra “big three” e “small three”. In secondo luogo, e in chiave
prospettica oltre che storica, si mirava a valutare l’entità dell’influenza
esercitata dai piccoli stati nel determinare le scelte e gli orientamenti generali
dell’Europa dei Sei. Orbene, quanto finora esposto consente, almeno agli occhi
di chi scrive, di ritenere soddisfatti entrambi gli obiettivi iniziali, nonché di
rispondere positivamente ai quesiti ad essi sottesi.
Quanto al primo aspetto, infatti, è emerso con sufficiente chiarezza che,
nel ventennio preso in esame in questo lavoro, il contrasto franco-olandese, che
a buon diritto può essere considerato come l’archetipo di una contesa
permanente tra grands e petits d’Europa, di fatto permeò di sé la storia
comunitaria, contribuendo in molti casi, seppur involontariamente, al
consolidamento dell’integrazione stessa. Un rafforzamento progressivo della
Comunità che derivò anche, per certi versi, dal prevalere dello stato – o degli
stati - tutelatore del principio sovranazionale sull’antagonista arroccato a difesa
della sovranità statuale, ruoli in cui Francia e Paesi Bassi sembrarono alternarsi
con una certa regolarità.
Basti ricordare, a tale proposito, alcune tappe decisive del processo di
integrazione, provando a leggerle, anche a costo di qualche lieve forzatura, alla
luce di quanto affermato poco sopra. L’architettura istituzionale della Ceca,
innanzitutto, rappresenta una formula di compromesso tra le aspirazioni dei
grandi, Francia e Germania, cioè gli europeisti Schuman e Adenauer, che
premono per comporre una struttura sovranazionale indipendente dai governi
e capace di risolvere definitivamente il problema della reciproca ostilità, e le
rimostranze dei piccoli, gli olandesi rappresentati da Stikker, che reclamano
l’istituzione di un organo tutore dei propri interessi e della propria autonomia,
presumibilmente troppo esposti alla preponderanza contrattuale dei partner. La
querelle della Ced, in secondo luogo, mette in scena sette anni di confronto
articolato tra la grande visione di Francia e Italia, decise ad affrontare, per
diverse ragioni e con differenti atteggiamenti psicologici, il nodo politico
dell’integrazione, puntando, di fatto, alla costruzione dell’Europa federale, e gli
orizzonti forse più modesti, ma nutriti di pragmatismo e di lucidità politica, di
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uomini come Beyen, Spaak e Bech, i quali, sulla base della condivisa esperienza
del Benelux, avevano già maturato la consapevolezza del nesso inscindibile tra
benessere economico e sviluppo della solidarietà europea. Convinzione che li
aveva indotti a vincolare idealmente il successo dell’integrazione al
raggiungimento di obiettivi concreti, seppure, almeno con riguardo a Jan Beyen,
non necessariamente costretti entro i limiti del settorialismo monnetiano. Nel
dibattito sull’adesione britannica, in terzo luogo, si misurano le resistenze di
Parigi ad accogliere nella Comunità un contraltare al proprio primato europeo e
alla propria grandeur, mascherate da una pur suggestiva volontà di
salvaguardare l’integrazione sovranazionale dalla minaccia intergovernativa
rappresentata da Londra, e la spinta olandese a promuovere l’ingresso tra i Sei
di un elemento riequilibratore nei confronti della paventata egemonia francotedesca, nonché di una promessa di ulteriore sviluppo economico, di autonomia
politica e di sicurezza difensiva per i piccoli paesi372. Una battaglia perseguita
anche a costo di sconfessare la passione europeista ormai ampiamente
preponderante al Binnenhof e apparire come il “cavallo di Troia” di
un’Inghilterra tradizionalmente euroscettica. Last but not least, il compromesso
di Lussemburgo, il quale, pur nelle differenti interpretazioni che gli storici e i
politologi ne hanno dato, costituisce la sintesi e racchiude tutti gli elementi del
dissidio comunitario tra “grands et petits”. In effetti,
Quanto al secondo aspetto, che, come si ricorderà, concerneva la capacità
dei piccoli stati di influire in maniera decisiva sugli sviluppi dell’integrazione, i
documenti esaminati, come pure parte della letteratura in argomento, lasciano
trasparire con una certa evidenza che il Buitenlandse Zaken riuscì elaborare una
politica europea effettivamente coerente (anche se indirizzata, nella visione di
alcuni, tra cui lo storico Heldrig, alla costruzione di “une Hollande élargie”373),
nonché una progettualità efficace, nella maggior parte dei casi anche in virtù
dell’approccio pragmatico più volte sottolineato, a rappresentare l’unica via
d’uscita praticabile per condurre i Sei fuori dall’impasse, con l’esperienza della
Ced e la crisi della sedia vuota che restano gli esempi più calzanti. Certo,
probabilmente risultati di tale portata non sarebbero stati conseguiti, né
conseguibili, se al vertice del dicastero responsabile della strategia comunitaria
olandese non fossero state designate personalità particolarmente carismatiche,
nonché dotate di sicura fede europeista, Beyen in primis. E sarebbe stato altresì
complesso, per i piccoli olandesi, ricavarsi uno spazio importante “nel gioco a
Sei”, dal quale far rislatare la propria voce sui certo più imponenti timbri dei
partner della Cee, senza l’eccezionale stabilità diplomatica sapientemente
Cfr. J.L. Heldrig, Europe: A greater Holland?, in «Internationale Spectator», 19, 7, 1965, pp. 538548.
373 Cfr. JL. Heldrig, Europe: A greater Holland?, cit.
372
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costruita negli anni tra il 1956 e il 1971, all’epoca di quello che De Bruin chiama
“le phénomen Luns”374. Sta di fatto, ad ogni modo, che, in virtù del contributo
profferto dall’Aja, sia da Beyen, che di fatto progettò un edificio comunitario
capace di resistere sostanzialmente inalterato per ben un trentennio (la prima,
concreta modifica dei Trattati di Roma sarebbe stata apportata nel 1987, con la
firma dell’Atto unico europeo), sia da Luns e Mansholt, che, respingendo
qualsiasi tentazione di abbandonare l’impari confronto con de Gaulle, anche nei
momenti di più assoluto isolamento diplomatico, riscattarono di fatto l’idea
sovranazionale dal labirinto di specchi in cui l’aveva costretta il Generale e la
consegnarono, integra e feconda, nelle mani dei futuri architetti dell’Unione
europea.
Per concludere, occorre precisare che indagare sulla vicenda comunitaria
dei Paesi Bassi non significa esclusivamente venire a contatto con il dibattito
politico e con la riflessione intellettuale di un piccolo stato, seppur vivace, che si
confronta con la scelta cruciale tra l’opzione sovranazionale e l’ancoraggio al
Continente, ivi compresa l’inclusione nello spalto atlantico, da un lato, e il
perseguimento della tradizionale vocazione colonialista e neutralista e della
special relationship con Londra, dall’altro. Viceversa, vuol dire osservare uno
panorama articolato, un coacervo di contraddizioni che, sullo sfondo
problematico della Comunità degli anni Cinquanta-Sessanta, vengono
rappresentate nella pièce della difficile transizione dei governi europei
dall’elaborazione di una politica che si potrebbe definire “per lo stato nello
stato” alla definizione di una piattaforma, altrettanto efficace, “per lo stato nel
continente”. E su quel “microcosmo di politica europea” 375, come lo definisce
Susanne Bodenheimer, che sono i Paesi Bassi si celebra effettivamente la
chiusura di un’epoca di riferimenti politico-concettuali e abitudini ideali, tutti
facenti capo all’idea primitiva dello stato-nazione, radicati nel Vecchio
continente da oltre un secolo e, contestualmente, si apre la stagione della
riflessione sistematica sull’interdipendenza politico-economico-strategica e
sulla sovranazionalità come nuovo fondamento dei rapporti intereuropei. Più
precisamente, osservando le complesse dinamiche che caratterizzano la vita
politica olandese nel primo ventennio di storia dell’integrazione, si riconosce sia
il carattere aleatorio della tradizionale definizione di “piccolo” e di “grande”
stato - tanto più fluida nel contesto limitato della Comunità dei Sei - giacché
l’Olanda, nel tentativo di emanciparsi dalla condizione di “designated victim of
international power struggle”376 dimostra quanto sia “perfectly possible for a state to
Cfr. R. De Bruin, Les Pays Bas et l’intégration europeéenne…, cit., vol. II, p. 71 e 79.
Cfr. J.S. Bodenheimer, Political Union..., cit.
376 Cfr. A.G. Harryvan, In Pursuit of Influence…, cit., p. 17.
374
375
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be both small and big at the same time”377. Ma, anche e soprattutto, si intona il canto
del cigno degli stati nazione e della loro politica “solipsistica” di affermazione
di se stessi e della propria potenza sugli altri paesi, mentre si afferma, di contro,
e finisce col prevalere, la via intrapresa dalle “Smaller Powers” di puntare sull’
“international organization”378, come pure sull’azione congiunta, non soltanto per
attutire l’impatto negativo dell’anarchia internazionale, ma anche e soprattutto
per riscattarsi dalla posizione subalterna in cui la storia le aveva fino ad allora
relegate e guadagnare un peso e un’influenza spesso superiore a quella dei
grandi stati.
377
378
Ivi, p. 24.
Ibidem.
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1959-1962, in «Cold War History», vol. 2, n. 1, 2001, London, pp. 95-112;
- Vanhoonacker, Sophie, La Belgique: Responsible ou bouc émissaire de l’èchec des
négociations Fouchet? in «Res Publica», vol. 31, n. 4, 1989, pp. 513-526.
Quotidiani e settimanali
-
Corriere della Sera;
Elseviers Weekblad;
Het Parool;
Het Vrije Volk;
140
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
-
La Croix;
Le Monde;
Luxemburger Wort;
Nieuwe Rotterdamse Courant
NRC Handelsblad;
Paraat;
Süddeutsche Zeitung;
The Guardian;
The New York Times.
Archivi e fondi
-
Archief Joop Den Uyl:
1) Directeur van de Wiardi Beckman Stichting (1949-1962), Onderzoek,
i) 204 Stukken betreffende de Benelux. Met aantekeningen van J.M. den Uyl en
G.M. Nederhorst, en documentatie, 1948-1951.
-
Archieven van de Historisch Documentatiecentrum voor het Nederlands
Protestantisme (1800-heden) (HDC):
1) Antirevolutionaire Kamerclub, (Tweede Kamer fractie)–(1907-1946),
Algemene Onderwerpen, Vergaderingen.
-
Archivio Storico dell’Unione Europea, Firenze (ASUE):
1) Collection (COL)
I) Italian Foreign Ministry Collection (MAEI):
i) Plan Schuman (PS) 000019, 16/01/1950 - 30/12/1950, Ambasciata Parigi
- CECA - Piano Schuman (1950)
II) Jean Monnet American Source (JMAS):
i) 156, 01/10/1953 - 31/10/1953, David Bruce’s diary entries - October 1953.
III)
Jean Monnet Duchene Sources (JMDS):
i) 000040, 10/09/1943 – 25/03/1945, War Department: John McCloy Papers;
ii) 000075, 13/12/1950 – 15/07/1952, Belgian Perspective;
iii) 000085; 12/09/1951 – 1954, Concept of European Political Community;
iv) 000091, 29/10/1954 - 09/06/1955, Ministére des Affaires Etrangéres;
v) 000122, 18/03/1960 - 19/12/1960, Progress on European Integration;
vi) 000123, 18/01/1961 - 17/05/1963, Britain and the Six, 1961-1963;
vii) 000124, 02/09/1956 - 28/07/1961, Max Kohnstamm Diaries;
viii) 000125, 1979, Rutten Document;
ix) 000127, 01/06/1964, Ernst van der Beugel;
141
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
x) 000246; 2/12/1988 – 31/05/1990, Harry S. Truman Library Institute;
xi) 000296, 16/12/1973, Le Pays Bas et l'Integration Européenne, 1957-1967.
IV)
Jean Monnet Duchene Sources (JMDS) - JMDS.A-09.06 Max
Kohnstamm Papers, 1950-1963:
i) 123, 18/01/1961 – 17/05/1963, Britain and the Six, 1961-1963
V)
i)
ii)
iii)
iv)
v)
vi)
Oral History Interviews (INT):
491 Brink Johannes Reloef Maria (Jan) Van Den, 17.5.1989;
656-MR Rutten Charles, 26.06.1987;
658-MR Spierenburg Dirk Pieter 23.11.1998;
659, Vraggesprek met Edmund P. Wellenstein, Den Haag, 10 juli 1998;
661, Vraggesprek met Dr. J. Kymmel, 8 juli 1998;
532 Wellenstein, Edmund, Interview with François Duchêne, the Hague, 16
May 1989;
VI)
Michael Tracy (MT) – Agricultural Policy and European
Integration – documents from 1945 to 1960:
i) 000036 Benelux, 1945-1947.
VII) Ministero degli Affari Esteri Italiano (MAEI), Piano Schuman (PS) :
i) 000019, 16/01/1950 - 30/12/1950, Ambasciata Parigi - CECA - Piano
Schuman (1950).
2) Deposits (DEP),
I) European Movement (ME),
i) 842, Congrès de l’Europe tenu a Rome, 10/06/1957 - 13/06/1957.
ii) Fond from European Communities Institutions (EC):
Council of
Ministers (CM), The Treaties of Rome (CM3/NEGO), 3, 1955,
Réunion des ministres des Affaires étrangères, Messine, 01-03 juin
1955; 12, Comité intergouvernemental : structure et organisation du
Comité intergouvernemental, 07.06.1955 - 04.1956;
II) Max Kohnstamm (MK),
i) 1, Travaux de la Haute Autorité de la CECA 04/1952 - 12/1954; 4,
Conférence intergouvernementale (CIG) pour le Marché commun et
l'Euratom, 08/1956 - 11/1956;
142
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Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
III)
Organisation for Economic Co-operation and Development
(OECD) fonds, European Payments Union/European Monetary
Agreement (EPU/EMA) - Negotiations for EPU documents from 1949 to
1956
i) 000001, Negotiations – 1, 14/11/1949 - 06/04/1950.
Nationaal Archief, Den Haag (NL-HaNA):
- Archieven van de Centrale Directies van het ministerie van Financiën,
Generale Thesaurie, Directie Buitenlands Betalings Verkeer, 1941-1954,
2.08.50, 9. Landendossiers:
1)
9-28 Stukken betreffende het handels en betalingsverkeer met diverse
landen 1945-1954,
i) 15 Frankrijk, 1945-1952.
- Archieven van de Ministeries voor Algemeene Oorlogvoering van het
Koninkrijk (AOK) en van Algemene Zaken (AZ): Kabinet van de MinisterPresident (KMP), (1924) 1942-1979 (1989), 2.03.01:
1) I Periode (1924)1942-1969(1975), 03 Minister-President, 207-219: Stukken
betreffende de bemoeienissen van demissionaire ministerspresident en
het Kabinet van de Minister-President met kabinetswisselingen en reconstructies, ambtelijke ondersteuning van (in)formateurs, de
voortgang van regerings- en wetgevingsaangelegenheden in het
demissionaire interval, inbegrepen de formele overgave en overname
van het ministerie, 1945-1967:
i) 207 Kabinet Schermerhorn/Drees 1945;
ii) 222, Drees, W., 1948-1958.
2) 342 Staatsrecht, 342.55 – Bescherming van Staatsbelangen:
i) 1149,
Stukken
betreffende
het
voorstel
tot
stringentere
veileigheidsmaatregelen in verband met het uitlekken van geheim van de
Nederlandse regering in Londen, 1942–1944.
3) 351 Bestuuruitoefening, 351.88 Internationale Betrekkingen,
i) 351.88(4) Europa: 32 Internationale en supranationale organisaties,
a. 31.1 Adviescommissie voor de Europese Integratie,
143
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
b.
c.
d.
e.
f.
g.
h.
 2676 Stukken betreffende de werkzaamheden van de Ad Hoc Commissie
tot voorbereiding en instelling van de Staatscommissie tot bestudering
van vraagstukken betreffende de Europese integratie 1952 – 1954;
32.91 Europese Gemeenschap voor Kolen en Staal (EGKS), 28252833 Stukken betreffende de Duits-Franse samenwerking op het
gebied kolen en staalprodukten (Plan-Schuman), resulterend in de
EGKS. 1950-1960,
 2825 1950;
 2826 1950-1951.
32.921 Vorming en oprichting, 2854-2859 Stukken betreffende de
uitwerking, toepassing en parlementaire behandeling van het
verdrag tot oprichting van de Europese Economische Gemeenschap
(EEG) en van het verdrag tot oprichting van de Europese
Gemeenschap voor Atoomenergie (EURATOM). 1957-1969,
 2858 1964-1966.
32.922 Toetreding van nieuwe lidstaten,
 2863 Stukken betreffende de onderhandelingen over de toetreding van
Groot-Brittannie tot de Europese Economische Gemeenschap (EEG). 19621964.
32.924 Raden van Ministers en topconferenties; 2864-2870 Notulen
van vergaderingen van de Raden van Ministers van de Europese
Economische Gemeenschap (EEG) en de Europese Gemeenschap
voor Atoomenergie (EURATOM), sinds 1967 van de Europese
Gemeenschappen 1958-1969,
 2864 1958-1960;
 2865 1961-1962;
32.2 Europese Politieke Gemeenschap (EPG)
 2679 Stukken betreffende de voorbereiding op de vorming van een EPG.
1952;
 2680-2681 Stukken betreffende de voorbereiding op, de deelname
aan en de verslaggeving over de ministersconferenties inzake de
vorming van de EPG. 2680 1952-1953;
32.3 Europese Defensie Gemeenschap (EDG)
 6481-6484
Stukken
betreffende
de
behandeling
van
aangelegenheden met betrekking tot de vorming van een
Europees leger en de EDG. 1951-1954, 6487 Stukken betreffende
het plan-Pleven en de totstandkoming van de EDG. 1952-1954;
32.921 Vorming en oprichting,
 2843 Stukken betreffende de bijdrage aan de voorbereiding van een
Europese douane-unie. 1947-1957;
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G. Vassallo, Grande fra i piccoli
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 2856 1960-1961.
i.
32.924 Raden van Ministers en topconferenties,
 2872 Stukken betreffende de te Parijs, Bonn en Rome gehouden
topconferenties van de landen van de Europese Economische
Gemeenschap (EEG). 1961, 1967
j. 32.927 Integratie binnen de Europese Economische Gemeenschap
(EEG. 2912-2915 Stukken betreffende het voeren van een
gemeenschappelijk landbouwbeleid door de landen van de EEG.
1958-1969,
 2929 Stukken betreffende Europese politieke samenwerking resp. de
politieke unie van Europa. 1964-1967.
ii) 351.88(43) Duitsland:
a. 33 Duitsland; economisch,
 3078 Stukken betreffende de ontmanteling van de Duitse industrie.
1945-1949.
b. 341 Duitsland; annexatie grondgebied, grenscorrecties,
 3109 Stukken betreffende de mogelijke annexatie door Nederland van
Duits grondgebied als compensatie voor de geleden schade tijdens de
bezetting, 1941-1945;
c. 493 België;
-
Archieven van de Ministerie van Koloniën en Opvolgers, Dossierarchief,
(1859) 1945-1963 (1979), (Arch. Min. v. K.), 2.10.54:
1) -1 Taak van de organen, -1.87 Recht. Justitie, -1.871 Volkenrecht.
Internationaal Recht, -1.871.2 Subjecten en objecten van volkenrecht.
Internationale betrekkingen, -1.871.24 Internationale verdragen,
i) 6723, Herleving van een aantal vooroorlogse verdragen tussen Nederland en
Duitsland 1950-1952;
-
Archieven van de Raad van Ministers [Ministerraad (MR)] 1823-1988,
2.02.05.02, 3. Raad van Ministers, Raad van Ministers van het Koninkrijk en
Onderraden, 1945 Juli -1975:
1) 3.02 Raad van Ministers (MR) 1945 Juli – 1975,
i) div.nrs. Notulen van de vergaderingen van de Raad van Ministers.
1945-1975:
a.
394 1950;
b.
395 1951;
c.
397 1952;
d. 398 1953;
145
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
e.
f.
g.
h.
i.
399 1954 jan. – juni;
400 1954 juli – dec.;
401 1955 jan. – juni;
404 1956 juli – dec.;
405 1957 jan. - juni
ii) div.nrs. Vergaderstukken voor de vergaderingen van de Raad van
Ministers. 1945-1975:
a.
425 1945 Juni – okt;
b.
464 1951 feb;
c.
470 1951 aug.;
d. 472 1951 okt.;
e.
480 1952 juni;
f.
482, 1952 sep.
g.
483 1952 september;
h.
486 1953 jan. - feb.;
i.
495 1953 nov.;
j.
500 1954 apr.;
k.
506 1954 okt. – nov.;
l.
509 1955 mrt.;
m. 510 1955 apr. – mei;
n.
619 1960 juli – dec.;
o.
629 1960 aug.;
p.
639 1961 feb.;
q.
640 1961 mrt.;
r.
641 1961 apr.;
s.
646 1961 sep. 1-4;
t.
647 1961 sep. 8-29;
u.
649 1961 nov.;
v.
652 1961 jan. - juni;
w. 653 1961 juli – dec.;
x.
660 1962 feb.;
y.
670 1962 okt.;
z.
675 1962 jan. – juni;
aa. 712 1963 feb.;
bb. 753 1963 jan. – juni;
2) 3.04 Raad Voor Economische Aangelegenheden (REA) 1945-1975,
i) div.nrs. Notulen van de Vergaderingen van de Raad voor
Economische Aangelegenheden (REA). 1945-1975:
146
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
a.
570 1945-1947;
b.
571 1948-1949;
c.
572 1950-1951.
ii) div.nrs. Notulen van de vergaderingen van de Raad voor
Economische Aangelegenheden (REA). 1945-1975:
a.
587 1950 aug.
3) 3.14 Raad voor Europese Zaken (REZ), 1963-1975,
i) div.nrs Notulen van de vergaderingen van de Raad voor Europese
Zaken. 1963-1975:
a. 879 1963-1972.
-
Archieven van Ministerie van Buitenlandse Zaken (Min. BuZa): Blok 1,
Code-Archief 1945-1954, nummer toegang 2.05.117:
1) A.1.1. Algemeen (Correspondentie met diverse instellingen van onder
het Ministerie ressorterende afdelingen),
i) 360-363 Registers van ingekomen en uitgegane telegrammen. 19461949,
a.
362 1948;
ii) 319-359 Agenda's van ingekomen stukken bij de afdeling G.S.
"Bureau Geheime Stukken APA". 1945-1954:
2) B. Code Archief 0 T/M 999,
ii) 6. Economie, Migratie, Arbeid, 61 Economie, 610.2 Economische
Betrekkingen, 610-20 Algemeen:
a. 10301 Algemeen; de economische samenwerking tussen Frankrijk, Italië, het
Verenigd Koninkrijk, West-Duitsland en de Benelux. 1947-1950.
b. 21443 Besprekingen tussen Frankrijk, Nederland, België, Luxemburg en
Italië betreffende de totstandkoming van Finebel, ook wel geheten Fritalux,
een economische samenwerkingsverband tussen deze landen. 1949-1950.
iii)
9 Staatkunde, Landsverdediging, Internationale Organisaties,
a. 91 Staatkunde, 913 Multilaterale betrekkingen, wereldproblemen,
913.1 Europa, 913.10 Algemeen, 16821-16846 Assemblee ad hoc,
ingesteld in september 1952 door de landen van de Europese
Gemeenschap voor Kolen en Staal (EGKS) tot instelling van een
Europese Politieke Gemeenschap, 1952 – 1954,
 16827 1953 jan., omslag;
 16829 1953 feb.;
 16834 1953 mei
 16839 1953 nov. - dec.
147
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
b. 92 Landsverdediging, 921 Militaire verdediging, 921.3 Multilaterale
militaire betrekkingen, 921.331 Defensieproblemen,
 7932 Verdediging westelijk halfrond, 1946–1954.
c. 99 Internationale Organisaties
 996 Europese Gemeenschap voor Kolen en Staal (EGKS), 996.1
Oprichting en uitbreiding, 996.10 Algemeen,
 18590-18599 Besprekingen in Parijs. 1950-1951,
 18590 Algemene verslagen van besprekingen, 1950, pak.
 18599 Vergaderingen van de delegatiechefs, 1950-1951;
 18600-18602 Commissie van Advies. 1950-1951;
 18601 Verslagen van de vergaderingen 1 tot en met 17, 1950–1951;
 18603-18606 Internationale standpunten ten aanzien van het plan.
1950-1952;
 999 Staatkundige en militaire organisaties, 999.0 Algemeen
 999.0
3) D. Afzonderlijke Directies, I. Regeringscommissariaat voor het
Europese Herstel Programma / Directoraat-Generaal voor het
Economische en Militaire Hulpprogramma, 0 Diversen:
i) 22913-22915 Dossier 05: Europese Politieke Gemeenschap; algemene
stukken. 1952-1954:
a. 22913 1952 feb. - 1953 juni.
ii) 23011, Dossier 108: brieven gericht aan de heer D.P. Spierenburg,
directeur-generaal van de Buitenlandse Economische Betrekkingen
(BEB) en tevens plaatsvervangend regeringscommissaris. 1950;
iii)
24085-24086 Dossier 6106: correspondentie en nota's met
betrekking tot het plan van de Franse minister van Financiën, Maurice
Petsche, om te komen tot een monetaire overeenkomst en meer
algemene economische samenwerking tussen Frankrijk, Italië en de
Benelux (Fritalux), plan Petsche. 1949-1950:
a. 24085 1949 okt. – nov.;
b. 24086 1949 dec. – 1950.
iv)
24190 Dossier 6217: Stukken met betrekking tot de pogingen tot
"Fibenel" (ook wel Frankrijk, Italië en de Benelux (FRITALUX)
geheten) over te gaan, een samenwerkingsverband op financieeleconomisch gebied tussen Frankrijk, tussen Frankrijk, Italië, Benelux
en West-Duitsland. 1950;
v) 24191, Dossier 6218: dossier over Europese integratieplannen en plan
Stikker. 1950-1951.
148
G. Vassallo, Grande fra i piccoli
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4) E Archieven van Vertegenwoordigers van Nederland bij Vreemde
Mogendheden en Internationale Organisaties, E.2 bij Internationale
Organisaties, E.2.1.7 Afzonderlijk Ingestelde Commissies:
i) 26239, Customs Union Study Group; deelname aan de studiecommissie
inzake douane-unies door Europese landen. 1947;
5) H Werkarchieven, H.1 D.U. Stikker Minister van Buitenlandse Zaken
van 7 Augustus 1948 tot 2 September 1952,
i) 27339-27341 Aantekening, notizie en memoranda van D.U. Stikker
a. 27340 1951-1952.
ii) 27342-27346 Memoranda aan D.U. Stikker, geordend op afzender.
1950-1952,
a. 27343 Map II: - Directie Europa en Directie Westelijke Samenwerking
-
-
Archieven van Ministerie van Buitenlandse Zaken (Min. BuZa): Blok 2,
Code-Archief 1955-1964, nummer toegang 2.05.118
1) B, 9 Staatkunde, Landsverdediging, Internationale Organisaties, 913
Multilaterale Betrekkingen, Wereldproblemen, 913.1 Europa, 913.10
Algemeen, 18685-18760 Europese integratie 1955-1964, 18701-18702
Werkzaamheden van het Directoraat-Generaal voor Economische en
Militaire Aangelegenheden, 1955-1957;
i) 18704 Memoranda van de Benelux en West-Duitsland, 1955-1962;
Archief van de Ministerie van Economische Zaken, (Min. EZ),
1) Buitenlandse Economische Betrekkingen (BEB), 577, Notulen, 1950-1952.
-
Archief van prof.dr. E.H. van der Beugel [geboren 1918], 1946-1990,
nummer toegang: 2.21.183.08:
1) 5-6 Nota's Buitenlandse Zaken, 1952-1958;
ii) 6 1957/1958>1957-1958;
-
Bewindslieden van het Ministerie van Buitenlandse Zaken 1952-1998,
nummer toegang: 2.05.81
2) 01 Mr. J.W. Beyen, Minister, 1952-1956;
i) 1-7 Algemene correspondentie, alfabetisch geordend op naam; 1-6
Algemeen;
a. 2 C-G.
ii) 8-13 Memoranda, ontvangen door minister Beyen 1952 – 1956; 8-12
Algemeen;
a. 11 1955, pak
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Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, Roma.
(ASMAE)
-
Direzione Generale Affari Politici (DGAP) 1946-1950,
1) b. 13/4, Francia Belgio Gran Bretagna, 1947. Rapporti con altri Stati, Note:
Trattato;
2) b. 150/1;
3) b. 255 Questioni internazionali 1950-1957;
4) b. 257 Olanda 1950;
5) b. 394 1955;
6) b. 467 Accordo franco-britannico (Dunquerque, 4.3.’47), proposta Bidault di
allargamento a Belgio e Olanda;
-
Archivio di Gabinetto (AG) 1943-1958:
1) b. 93 OECE, Italia Olanda 1950, Note: Corrispondenza e appunti sui lavori
OECE Riunioni del CIR (gennaio-febbraio). Visita di Stikker a Roma
(aprile); CECA, Italia Belgio Olanda Lussemburgo Francia
Germ.(Rep.Fed.) 1952, Italia II, Piano Schuman- C.E.C.A, Note: Ratifica
italiana trattato istitutivo CECA (Senato). Appunti sui lavori.
2) b. 25.3, Francia Belgio Olanda Lussemburgo, 1949, Politica finanziaria. Note:
Progetto Fibenel;
3) b. 26.7, Francia Belgio Olanda Lussemburgo Gran Bretagna, 1949, Patto
occidentale. Note: Conferenza dei Ministri degli esteri dei Paesi firmatari
del Patto di Bruxelles, (Lussemburgo, 17.6.’49);
4) b. 30.1, Francia Germania (Rep.Fed.) Belgio Olanda, 1950, Accordo francotedesco: proposta Schuman. Note: Intesa agricola franco-tedesca;
reazione belga e olandese Piano Schuman; testo del progetto francese di
Trattato; Conversazioni di Parigi del 20-24 giugno;
The National Archives (TNA):
- Cabinet Papers 1915-1959
Truman Library Archival Collection
- Oral History
150
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Un Manifesto per ventisette paesi.
La traduzione del messaggio di Ventotene
nelle lingue ufficiali dell'Unione europea
151
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Presentazione
Il presente numero della rivista «Eurostudium3w» è largamente dedicato al
Manifesto per un'Europa libera ed unita, meglio noto come Manifesto di Ventotene, e
alle traduzioni, nelle lingue dell'Unione europea, curate dai docenti della
"Sapienza" con il contributo della Regione Lazio.
Il Manifesto costituisce notoriamente un punto di riferimento insostituibile
per il federalismo europeo, nonché uno tra i più pregiati lasciti della Resistenza
italiana, per la lungimiranza e l'originalità del progetto politico.
Redatto fra l'inverno del 1940 e l'estate del 1941 nell'isola pontina di
Ventotene, luogo di confino del regime fascista, ad opera di Altiero Spinelli, ex
militante comunista, espulso dal partito nel 1937 per "deviazione ideologica e
presunzione piccolo-borghese", e di Ernesto Rossi, liberale di scuola einaudiana
simpatizzante per il laburismo anglosassone, con la preziosa collaborazione di
Eugenio Colorni, dirigente del Centro interno socialista appassionato di
filosofia e di matematica, il Manifesto raccoglie la riflessione dei tre autori sulla
crisi irreversibile dello Stato-nazione e sulla necessità del suo superamento
attraverso la costruzione di un nuovo assetto federale europeo.
Al di là degli sviluppi successivi della storia del Vecchio continente, che
certo hanno inserito elementi di contraddizione, almeno parziali, rispetto alle
previsioni del documento federalista, resta innegabile l'acutezza di visione dei
tre intellettuali confinati, i quali, nella fase più incerta della seconda guerra
mondiale, nel momento di massima espansione del totalitarismo nazi-fascista,
seppero individuare un futuro di pace e di cooperazione per l’Europa,
riprendendo una prospettiva certo già vagheggiata da filosofi e intellettuali di
epoche precedenti, ma ricomponendola in un’inedita forma di progetto politico
concreto e immediatamente praticabile.
È stato proprio dalla constatazione dell’importanza del messaggio
ventotenese, nonché dell’influenza da esso esercitata sul processo di
integrazione europea del dopoguerra, che il Comitato nazionale Altiero
Spinelli, la facolta di Scienze Umanistiche della “Sapienza” e la Regione Lazio
hanno ideato e promosso, tra il 2008 e il 2009, la realizzazione delle traduzioni
del Manifesto nelle ventitre lingue ufficiali dell’Ue.
L’iniziativa, che si è svolta nell’ambito delle celebrazioni per il centenario
della nascita di Spinelli, affidate all'omonimo Comitato, ha coinvolto numerosi
docenti, ricercatori e studiosi della “Sapienza”, i quali si sono impegnati sia
Presentazione
152
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
nella traduzione, sia nell’analisi linguistica e concettuale, sia infine in
un’accurata opera di supervisione dei testi, affinché fosse comprensibile e
apprezzabile, volendo esgerare un po', “dall’Atlantico agli Urali”.
Raccolte insieme in un corposo cofanetto di trentadue volumi (uno per
ciascuno dei ventisette stati dell’Unione europea, più la doppia o tripla versione
per gli stati con due o più lingue ufficiali), le traduzioni sono state presentate al
Parlamento europeo, alla presenza dell’allora presidente dell’Assemblea di
Strasburgo, Hans-Gert Pöttering, il 5 marzo 2009.
La scelta di riprodurre su «Eurostudium3w», in forma digitale, i testi delle
traduzioni, sei per ogni numero, a partire dalle lingue dei sei paesi fondatori, e
proseguendo con le altre in ordine alfabetico, e delle relative presentazioni
realizzate dai docenti della “Sapienza”, ai quali va un doveroso e sentito
ringraziamento, rientra nell’ambito degli obiettivi prefissati nello schema
originale dell’iniziativa. Essi consistono, da un lato, nella diffusione del
Manifesto di Ventotene e dei suoi contenuti oltre i confini nazionali del paese in
cui fu redatto e, dall’altro lato, nella disseminazione delle conoscenze sulle
personalità dei tre autori, di Altiero Spinelli soprattutto, il quale è ufficialmente
riconosciuto dall'Unione europea come uno dei “padri” dell’Europa.
La pubblicazione on-line è stata d’altronde ritenuta uno strumento di
indiscutibile efficacia per garantire una maggiore fruibilità dell’opera realizzata,
la quale, occorre comunque precisare, è attualmente oggetto di presentazioni e
dibattiti presso gli atenei e i centri culturali dell’Ue in virtù di un’ulteriore
iniziativa condotta in collaborazione tra la Regione Lazio, la “Sapienza” e il
Centro studi Altiero Spinelli, istituito presso il Dipartimento di Storia, Culture,
Religioni, che del Comitato Nazionale costituisce una sorta di erede ideale, per
la pubblicizzazione delle traduzioni nei vari paesi europei.
Si segnala inoltre che, a partire dal prossimo numero della rivista, la
sezione dedicata al Manifesto di Ventotene si arricchirà della relativa edizione
critica, realizzata dalla dott.ssa di ricerca Giulia Vassallo, vincitrice di un
assegno di ricerca biennale finanziato dalla Regione Lazio, in collaborazione
con il Dipartimento.
Passando infine ad illustrare il criterio seguito nella riproduzione on-line
dei testi cartacei, si precisa che il testo originale utilizzato per le traduzioni
corrisponde a quello dell'edizione del gennaio 1944, pubblicata
clandestinamente a Roma da Eugenio Colorni, all'interno di un libretto, Problemi
della federazione europea, che conteneva altri due scritti di Spinelli, oltre alla
"Prefazione" dello stesso Colorni. In questa sede, al testo in italiano, preceduto
dalla presentazione di Francesco Gui, seguono le tre traduzioni integrali in
francese, tedesco e olandese, realizzate rispettivamente da Tatiana Cescutti,
lettrice di madrelingua francese, Susanne Lippert, docente di lingua tedesca,
Presentazione
153
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
nonché attingendo al contribuito di una personalità dell'europeismo olandese,
come il senatore e europarlamentare, Ludo Dierickx, recentemente scomparso.
Ciascuna delle tre versioni è preceduta dalla presentazione dei docenti della
“Sapienza” Gianfranco Rubino, ordinario di Letteratura francese; Mauro Ponzi,
ordinario di Lingua e Letteratura tedesca e Fiorella Mori Leemhuis, docente di
Lingua e Letteratura nederlandese. Per il Belgio e il Lussemburgo, le cui lingue
ufficiali sono rispettivamente il francese, il tedesco e il nederlandese, nonché il
francese e il tedesco, le presentazioni risultano a cura di Francesco Gui e Giulia
Vassallo.
ES3w
Presentazione
154
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Un Manifesto per i Federalisti Europei
di Francesco Gui
Il progetto di manifesto per un’Europa libera e unita, scritto nel 1941 da un
giovane dirigente comunista, Altiero Spinelli, divenuto in carcere federalista
europeo, e da uno studioso liberale acquisito al socialismo di concezione
inglese, nella persona di Ernesto Rossi, costituisce un punto di riferimento
sempre più importante per la cultura politica italiana ed europea. La sua
preveggenza risulta evidente proprio ai nostri giorni, in cui, sia sotto il profilo
politico che socio-economico, si avverte la mancanza di un’Europa dotata di
istituzioni a carattere federale.
A ben considerare, sono pochi i documenti prodotti durante la Resistenza
antifascista ad aver propugnato in maniera così determinata ed efficace gli Stati
Uniti d’Europa e quella costituzione democratica tornata recentemente di
attualità nell’UE prima di soccombere all’alea dei referendum di ratifica. Si deve
pertanto essere riconoscenti al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, se egli, che
è stato prosecutore dell’opera di Spinelli nella commissione Affari costituzionali
del Parlamento europeo, non perde occasione per sottolineare il significato
semplicemente fondante, per la Repubblica italiana e per l’intero federalismo
europeo, del Manifesto ventotenese.
Nelle limpide pagine vergate da Rossi, allievo di Luigi Einaudi, e da “Ulisse”
(pseudonimo di Spinelli, oggi annoverato fra i “padri fondatori” dell’Unione)
viene avanzata una nettissima e innovativa discriminante politica: la vera linea
di divisione fra progressisti e reazionari passa ormai fra chi si pone come
obiettivo prioritario la federazione europea e chi intende invece lavorare ancora
per la restaurazione degli stati nazionali dotati di sovranità assoluta. Non solo,
giacché il Manifesto propone per la prima volta la creazione di una forza
politica, a carattere rivoluzionario, che si prefigga il traguardo immediato della
democrazia sovranazionale europea.
Non meno importante è sottolineare ancora come lo stato federale europeo
venga giudicato indispensabile dai due autori non soltanto per conferire una
pace stabile al continente dopo tanti anni di guerre e di distruzioni, e non certo
per fare dell’Europa federata una nuova potenza sulla scena mondiale, bensì
per una ragione in primo luogo umanistica e, diremmo, spirituale: quella cioè di
offrire agli europei – e tramite loro a tutto il globo – un più alto grado di civiltà,
fondato sulla libertà dell’individuo, sulla piena espressione delle singole
potenzialità umane e sul rispetto del diritto legittimato dalla democrazia.
155
F. Gui, Un Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Per il perseguimento di tali scopi risultava dunque necessario procedere ad
azioni coraggiose e lungimiranti, quali unire i singoli popoli sotto comuni
istituzioni rappresentative, aprire le frontiere alla circolazione dei cittadini e dei
beni, creare l’unità economica e monetaria, dotarsi di una capacità di difesa e di
una politica estera unica.
Che sono poi gli stessi obiettivi, sia pure perseguiti a passi felpati, dell’Unione
Europea dei nostri giorni.
Per parte loro, Rossi e Spinelli, vale la pena di ripeterlo, consideravano la
federazione europea un’impresa rivoluzionaria. Come osserva Sergio Pistone, le
proposte politiche e organizzative avanzate dall’ex dirigente comunista e dal
suo compagno di prigionia, nel perseguire l’abbattimento dell’ordine europeo
nazi-fascista allora all’apogeo, rivelavano al tempo stesso il desiderio di offrire
una valida alternativa al Manifesto dei comunisti, propagandato da Marx e Engels
nel 1848 e divenuto la bandiera della Seconda, non meno che della Terza
Internazionale, guidata dall’Unione Sovietica staliniana.
Un’alternativa che rivelava peraltro come il nesso fra teoria e strategia proposto
dai ventotenesi fosse frutto di una rielaborazione degli insegnamenti ricevuti
dal marxismo, prima del passaggio al federalismo.
Scrive appunto lo storico torinese: “Va segnalato l’approccio dialettico presente
nel Manifesto di Ventotene, che si ispira chiaramente al modello del Manifesto
del Partito Comunista, anche se l’orientamento ideologico è ovviamente diverso.
Degli stati nazionali si vede la funzione progressiva svolta in una fase della
storia (come il capitalismo per Marx), la crisi storica dovuta al loro essere
superati dall’evoluzione del modo di produzione, le contraddizioni che
emergono nella crisi (l’imperialismo egemonico e l’inconciliabilità fra sovranità
nazionale assoluta e progresso in senso liberale, democratico e sociale), la
possibilità da parte di un soggetto politico rivoluzionario di sfruttare queste
contraddizioni per realizzare il federalismo sovranazionale” (S. Pistone,
L’Unione dei Federalisti Europei, Guida, Napoli, 2008, pp. 34-35).
Ma non che si possa passare sotto silenzio il coraggio con cui gli antifascisti
federalisti Rossi e Spinelli prendevano al tempo stesso le distanze dal
marxismo. In uno scritto di “Ulisse” allegato all’edizione del Manifesto del ’44,
quella preceduta dalla prefazione di Colorni (qui di seguito riprodotta), si
definivano semplicemente ipocriti coloro che continuavano a propagandare il
verbo di Marx, pur sapendo che ormai si trattava soltanto di un mito.
E per la verità si potrebbe notare anche un altro particolare, non privo di risvolti
di attualità: da un certo punto di vista, il Manifesto metteva sullo stesso piano
nazionalisti, democratici e marxisti, perché tutti erravano nel voler ricostruire la
sovranità dei vecchi stati, responsabili di tante guerre fratricide. Al contempo
additava a costoro la strada, sia consentito esprimersi così, della possibile
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F. Gui, Un Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
redenzione: ossia l’adesione al federalismo sovranazionale. In altre parole,
attorno all’impegno per gli Stati Uniti d’Europa e per la democrazia federale
poteva essere ricostruita una nuova unità di intenti e di spiriti, superando le
divisioni del passato.
Certo, non si può non ricordare che nella prefazione di Colorni all’edizione
clandestina del ’44, fatta circolare in una Roma ancora occupata dalle truppe
tedesche, i toni si attenuavano rispetto all’intransigenza del Manifesto vero e
proprio: ormai i federalisti si erano orientati a dar vita non più ad un partito,
ma ad un movimento, il Movimento Federalista Europeo (MFE), fondato a
Milano nel tardo agosto del ’43, dopo la fine del regime mussoliniano, sempre
ad opera di Spinelli, Rossi, Colorni ed altri. Inoltre il Manifesto stesso veniva
presentato come l’opinione, seppur autorevole, di taluni intellettuali, ma non
come la posizione ufficiale del Movimento.
La ragione stava nel fatto che il MFE intendeva collaborare strettamente con
tutte le forze della Resistenza, comunisti compresi, per metter fine all’orribile
esperienza nazifascista e per indurle ad aderire, se possibile, al federalismo
europeo. Per di più risultava ormai chiaro che le superpotenze dell’Est e
dell’Ovest si accampavano progressivamente sull’Europa, condizionandone le
dinamiche interne.
Tuttavia non pare difficile rendersi conto che i temi di riflessione, le analisi e le
proposte contenute nel Manifesto, al di là di talune ingenuità o errori di
valutazione più tardi ammessi da Spinelli stesso, possedevano una forza interna
destinata a sprigionarsi irresistibilmente con il passare dei decenni, specie dopo
la fine della guerra fredda.
Tra le altre, le pagine dedicate alle riforme economiche postbelliche, con la
ricerca di un equilibrio nuovo fra liberismo e statalismo, con l’attenzione
dedicata alle esigenze dei giovani e dei lavoratori precari, con la diffidenza nei
confronti del sindacalismo corporativo non meno che della finanza parassitaria,
rivelano un’attualità sorprendente.
La stessa tradizione del socialismo non collettivista risulta valorizzata e
rilanciata dal messaggio ventotenese, insieme ad impegno di progresso per
tutta l’umanità, purché gli europei, beninteso, intendano responsabilmente
farsene carico. Al contempo, la familiarità con il pensiero liberale e federalista
anglosassone fa del Manifesto una delle espressioni della Resistenza più affini
alla cultura dei “liberatori”, come Spinelli e Rossi non avrebbero mancato di
confermare, con gli scritti e con l’azione politica, sia durante la guerra che nelle
vicende successive.
Un testo, dunque, quello di Ventotene, come espressione delle migliori
tradizioni culturali e della più ardita creatività dell’Occidente. E pertanto
157
F. Gui, Un Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
destinato, appunto, a resistere all’usura del tempo, anzi, a uscire vieppiù
confermato dal duro confronto con le sfide della storia successiva.
I confinati Spinelli e Rossi si dedicarono al loro scritto pungolati dall’angoscia
per la guerra tornata a dilaniare popoli e stati. Se c’è qualcosa di enfatico, di
eccitato nelle loro pagine e nel loro disegno rivoluzionario, la ragione sta
nell’ansia di chi si ritrovava nuovamente con il disastro di un civiltà davanti
agli occhi e nel profondo dell’anima.
Una punta, almeno un punta di quell’ansia minaccia di riemergere di nuovo,
proprio in questi tempi, nel cuore degli europei. Che valga almeno come
stimolo per raccogliere il testimone dei visionari di Ventotene.
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F. Gui, Un Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Prefazione
di Eugenio Colorni (Roma 1944)
I presenti scritti sono stati concepiti e redatti nell'isola di Ventotene, negli anni
1941 e 1942. In quell'ambiente d'eccezione, fra le maglie di una rigidissima
disciplina, attraverso un'informazione che con mille accorgimenti si cercava di
rendere il più possibile completa, nella tristezza dell'inerzia forzata e nell'ansia
della prossima liberazione, andava maturando in alcune menti un processo di
ripensamento di tutti i problemi che avevano costituito il motivo stesso
dell'azione compiuta e dell'atteggiamento preso nella lotta.
La lontananza dalla vita politica concreta permetteva uno sguardo più
distaccato, e consigliava di rivedere le posizioni tradizionali, ricercando i motivi
degli insuccessi passati non tanto in errori tecnici di tattica parlamentare o
rivoluzionaria, od in una generica «immaturità» della situazione, quanto in
insufficienze dell'impostazione generale, e nell'aver impegnato la lotta lungo le
consuete linee di frattura, con troppo scarsa attenzione al nuovo che veniva
modificando la realtà.
Preparandosi a combattere con efficienza la grande battaglia che si profilava per
il prossimo avvenire, si sentiva il bisogno non semplicemente di correggere gli
errori del passato, ma di rienunciare i termini dei problemi politici con mente
sgombra da preconcetti dottrinari o da miti di partito.
Fu così che si fece strada, nella mente di alcuni, l'idea centrale che la
contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie e
degli sfruttamenti che travagliano la nostra società, è l'esistenza di stati sovrani,
geograficamente, economicamente, militarmente individuati, consideranti gli
altri stati come concorrenti e potenziali nemici, viventi gli uni rispetto agli altri
in una situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes. I motivi per cui
questa idea, di per sé non nuova, assumeva un aspetto di novità nelle
condizioni e nell'occasione in cui veniva pensata, sono vari:
1) Anzitutto, la soluzione internazionalista, che figura nel programma di tutti i
partiti politici progressisti, viene da essi considerata,in un certo senso, come
una conseguenza necessaria e quasi automatica del raggiungimento dei fini che
ciascuno di essi si propone. I democratici ritengono che l'instaurazione,
nell'ambito di ciascun paese, del regime da essi propugnato, condurrebbe
sicuramente alla formazione di quella coscienza unitaria che, superando le
frontiere nel campo culturale e morale, costituirebbe la premessa che essi
ritengono indispensabile ad una libera unione di popoli anche nel campo
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E. Colorni, Prefazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
politico ed economico. E i socialisti, dal canto loro, pensano che l'instaurazione
di regimi di ditta-tura del proletariato nei vari stati, condurrebbe di per sé ad
uno stato internazionale collettivista.
Ora, una analisi del concetto moderno di stato e dell'insieme di interessi e di
sentimenti che ad esso sono legati, mostra chiaramente che, benché le analogie
di regime interno possano facilitare i rapporti di amicizia e di collaborazione fra
stato e stato, non è affatto detto che portino automaticamente e neppure
progressivamente alla unificazione, finché esistano interessi e sentimenti
collettivi legati al mantenimento di una unità chiusa all'interno delle frontiere.
Sappiamo per esperienza che sentimenti sciovinistici ed interessi protezionistici
possono facilmente condurre all'urto e alla concorrenza anche tra due
democrazie; e non è detto che uno stato socialista ricco debba necessariamente
accettare di mettere in comune le proprie risorse con un altro stato socialista
molto più povero, per il solo fatto che in esso vige un regime interno analogo al
proprio.
L'abolizione delle frontiere politiche ed economiche fra stato e stato non
discende dunque necessariamente dall'instaurazione contemporanea di un dato
regime interno in ciascuno stato; ma è un problema a sé stante, che va aggredito
con mezzi propri e ad esso attagliantisi. Non si può essere socialisti, è vero,
senza essere insieme internazionalisti; ma ciò per un legame ideologico, più che
per una necessità politica ed economica; e dalla vittoria socialista nei singoli
stati non discende necessariamente lo stato internazionale.
2) Ciò che spingeva inoltre ad accentuare in modo autonomo la tesi federalista,
era il fatto che i partiti politici esistenti, legati ad un passato di lotte combattute
nell'ambito di ciascuna nazione, sono avvezzi, per consuetudine e per
tradizione, a porsi tutti i problemi partendo dal tacito presupposto
dell'esistenza dello stato nazionale, ed a considerare i problemi
dell'ordinamento internazionale come questioni di «politica estera», da
risolversi mediante azioni diplomatiche e accordi fra i vari governi. Questo
atteggiamento è in parte causa, in parte conseguenza di quello prima accennato,
secondo cui, una volta afferrate le redini di comando nel proprio paese,
l'accordo e l'unione con regimi affini in altri paesi è cosa che viene da sé, senza
bisogno di dar luogo ad una lotta politica a ciò espressamente dedicata.
Negli autori dei presenti scritti si era invece radicata la convinzione che chi
voglia proporsi il problema dell'ordinamento internazionale come quello
centrale dell'attuale epoca storica, e consideri la soluzione di esso come la
premessa necessaria per la soluzione di tutti i problemi istituzionali, economici,
sociali che si impongono alla nostra società, debba di necessità considerare da
questo punto di vista tutte le questioni riguardanti i contrasti politici interni e
l'atteggiamento di ciascun partito, anche riguardo alla tattica e alla strategia
160
E. Colorni, Prefazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
nella lotta quotidiana. Tutti i problemi, da quello delle libertà costituzionali a
quello della lotta di classe, da quello della pianificazione a quello della presa del
potere e dell'uso di esso, ricevono una nuova luce se vengono posti partendo
dalla premessa che la prima mèta da raggiungere è quella di un ordinamento
unitario nel campo internazionale. La stessa manovra politica, l'appoggiarsi
all'una od all'altra delle forze in giuoco, l'accentuare l'una o l'altra parola
d'ordine, assume aspetti ben diversi, a seconda che si consideri come scopo
essenziale la presa del potere e l'attuazione di determinate riforme nell'ambito
di ciascun singolo stato, oppure la creazione delle premesse economiche,
politiche, morali per la instaurazione di un ordinamento federale che abbracci
tutto il continente.
3) Un altro motivo ancora - e forse il più importante - era costituito dal fatto che
l'ideale di una federazione europea, preludio di una federazione mondiale,
mentre poteva apparire lontana utopia ancora qualche anno fa, si presenta oggi,
alla fine di questa guerra, come una mèta raggiungibile e quasi a portata di
mano. Nel totale rimescolamento di popoli che questo conflitto ha provocato in
tutti i paesi soggetti all'occupazione tedesca, nella necessità di ricostruire su basi
nuove una economia quasi totalmente distrutta, e di rimettere sul tappeto tutti i
problemi riguardanti i confini politici, le barriere doganali, le minoranze etniche
ecc.; nel carattere stesso di questa guerra, in cui l'elemento nazionale è stato così
spesso sopravanzato dall'elemento ideologico, in cui si sono visti piccoli e medi
stati rinunziare a gran parte della loro sovranità a favore degli stati più forti, e
in cui da parte degli stessi fascisti il concetto di «spazio vitale» si è sostituito a
quello di «indipendenza nazionale»; in tutti questi elementi sono da ravvisare
dei dati che rendono attuale come non mai, in questo dopoguerra, il problema
dell'ordinamento federale dell'Europa.
Forze provenienti da tutte le classi sociali, per motivi sia economici sia ideali,
possono essere interessate ad esso. Ad esso ci si potrà avvicinare per via di
trattative diplomatiche e per via di agitazione popolare; promuovendo fra le
classi colte lo studio dei problemi ad esso attinenti, e provocando stati di fatto
rivoluzionari, avvenuti i quali non sia più possibile tornare indietro; influendo
sulle sfere dirigenti degli stati vincitori, ed agitando negli stati vinti la parola
che solo in una Europa libera e unita essi possono trovare la loro salvezza ed
evitare le disastrose conseguenze della sconfitta. Appunto per questo è sorto il
nostro Movimento. È la preminenza, l'anteriorità di questo problema rispetto a
tutti quelli che si impongono nell'epoca in cui ci stiamo inoltrando; è la
sicurezza che, se lasceremo risolidificare la situazione nei vecchi stampi
nazionalistici, l'occasione sarà persa per sempre, e nessuna pace e benessere
duraturo ne potrà avere il nostro continente; è tutto questo che ci ha spinto a
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E. Colorni, Prefazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
creare un'organizzazione autonoma, allo scopo di propugnare l'idea della
Federazione Europea come mèta realizzabile nel prossimo dopoguerra.
Non ci nascondiamo le difficoltà della cosa, e la potenza delle forze che
opereranno nel senso contrario; ma è la prima volta, crediamo, che questo
problema si pone sul tappeto della lotta politica, non come un lontano ideale,
ma come una impellente, tragica necessità.
Il nostro Movimento, che vive oramai da circa due anni della difficile vita
clandestina sotto l'oppressione fascista e nazista; i cui aderenti provengono
dalle file dei militanti dell'antifascismo e sono tutti in linea nella lotta armata
per la libertà; che ha già pagato il suo duro contributo di carcere per la causa
comune; il nostro Movimento non è e non vuol essere un partito politico. Così
come si è venuto sempre più nettamente caratterizzando, esso vuole operare sui
vari partiti politici e nell'interno di essi, non solo affinché l'istanza
internazionalista venga accentuata, ma anche e principalmente affinché tutti i
problemi della sua vita politica vengano impostati partendo da questo nuovo
angolo visuale, a cui finora sono stati così poco avvezzi.
Non siamo un partito politico perché, pur promuovendo attivamente ogni
studio riguardante l'assetto istituzionale, economico, sociale della Federazione
Europea, e pur prendendo parte attiva alla lotta per la sua realizzazione e
preoccupandoci di scoprire quali forze potranno agire in favore di essa nella
futura congiuntura politica, non vogliamo pronunciarci ufficialmente sui
particolari istituzionali, sul grado maggiore o minore di collettivizzazione
economica, sul maggiore o minore decentramento amministrativo ecc. ecc., che
dovranno caratterizzare il futuro organismo federale. Lasciamo che nel seno del
nostro movimento questi problemi vengano ampiamente e liberamente
discussi, e che tutte le tendenze politiche, da quella comunista a quella liberale,
siano presso di noi rappresentate. Di fatto, i nostri aderenti militano quasi tutti
in qualcuno dei partiti politici progressivi: tutti si accordano nel propugnare
quelli che sono i principii basilari di una libera federazione europea, non basata
su egemonie di sorta, né su ordinamenti totalitari, e dotata di quella solidità
strutturale che non la riduca ad una semplice Società delle Nazioni. Tali
principi si possono riassumere nei seguenti punti: esercito unico federale, unità
monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all'emigrazione
tra gli stati appartenenti alla Federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai
consessi federali, politica estera unica.
In questi due anni di vita, il nostro Movimento si è largamente diffuso fra i
gruppi ed i partiti politici antifascisti. Alcuni di essi ci hanno espresso
pubblicamente la loro adesione e la loro simpatia. Altri ci hanno chiamato a
collaborare alle loro formulazioni programmatiche. Non è forse presuntuoso
dire che è in parte merito nostro, se i problemi della Federazione Europea
162
E. Colorni, Prefazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
vengono così spesso trattati nella stampa clandestina italiana. Il nostro giornale,
«L'Unità Europea», segue con attenzione gli avvenimenti della politica interna
ed internazionale, prendendo posizione di fronte ad essi con assoluta
indipendenza di giudizio. I presenti scritti, frutto dell'elaborazione di idee che
ha dato luogo alla nascita del nostro Movimento, non rappresentano però che
l'opinione dei loro autori, e non costituiscono affatto una presa di posizione del
Movimento stesso. Vogliono solo essere una proposizione di temi di
discussione a coloro che vogliono ripensare tutti i problemi della vita politica
internazionale tenendo conto delle più recenti esperienze ideologiche e
politiche, dei risultati più aggiornati della scienza economica, delle più sensate e
ragionevoli prospettive per l'avvenire. Saranno presto seguiti da altri studi. Il
nostro augurio è che possano suscitare fermento di idee; e che, nella presente
atmosfera arroventata dall'impellente necessità dell'azione, portino un
contributo di chiarificazione che renda l'azione sempre più decisa, cosciente e
responsabile.
Il Movimento italiano per la federazione europea
Roma, 22 Gennaio 1944
163
E. Colorni, Prefazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Per un'Europa libera e unita. Progetto d'un Manifesto
Ventotene, 1941
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi
I. La crisi della civiltà moderna
La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà,
secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un
autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo
un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo
rispettassero.
1°) Si è affermato l'eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati
indipendenti. Ogni popolo, individuato dalle sue caratteristiche etniche,
geografiche, linguistiche e storiche, doveva trovare nell'organismo statale creato
per proprio conto, secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo
strumento per soddisfare nel modo migliore i suoi bisogni, indipendentemente
da ogni intervento estraneo. L'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un
potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un
senso di più vasta solidarietà contro l'oppressione degli stranieri dominatori; ha
eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e
delle merci; ha fatto estendere entro il territorio di ciascun nuovo stato alle
popolazioni più arretrate le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più
civili. Essa portava però in sé i germi dell'imperialismo capitalista, che la nostra
generazione ha visto ingigantire, sino alla formazione degli stati totalitari ed
allo scatenarsi delle guerre mondiali. La nazione non è ora più considerata
come lo storico prodotto della convivenza di uomini che, pervenuti grazie ad
un lungo processo ad una maggiore unità di costumi e di aspirazioni, trovano
nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il
quadro di tutta la società umana; è invece divenuta un'entità divina, un
164
A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo,
senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possano risentirne. La
sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di
ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente minacciato dalla potenza degli altri e
considera suo «spazio vitale» territori sempre più vasti, che gli permettano di
muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza, senza dipendere da
alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquetarsi che nella egemonia
dello stato più forte su tutti gli altri asserviti. In conseguenza di ciò, lo stato, da
tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi tenuti
a servizio, con tutte le facoltà per renderne massima l'efficienza bellica. Anche
nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili
guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai in molti paesi su
quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il funzionamento di
ordinamenti politici liberi: la scuola, la scienza, la produzione, l'organismo
amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico;
le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza
premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie
prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle
armi e all'odio verso gli stranieri, le libertà individuali si riducono a nulla, dal
momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestare
servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la
famiglia, l'impiego, gli averi, ed a sacrificare la vita stessa per obbiettivi di cui
nessuno capisce veramente il valore; in poche giornate vengono distrutti i
risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo.
Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più coerente
l'unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di
autarchia, e si sono perciò dimostrati gli organismi più adatti all'odierno
ambiente internazionale. Basta che una nazione faccia un passo in avanti verso
un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre trascinate nello
stesso solco dalla volontà di sopravvivere.
2°) Si è affermato l'eguale diritto di tutti i cittadini alla formazione della volontà
dello stato. Questa doveva così risultare la sintesi delle mutevoli esigenze
economiche e ideologiche di tutte le categorie sociali liberamente espresse. Tale
organizzazione politica ha permesso di correggere o almeno di attenuare molte
delle più stridenti ingiustizie ereditarie dei regimi passati. Ma la libertà di
stampa e di associazione, e la progressiva estensione del suffragio, rendevano
sempre più difficile la difesa dei vecchi privilegi, mantenendo il sistema
rappresentativo. I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di questi
strumenti per dare l'assalto ai diritti acquisiti dalle classi abbienti; le imposte
sociali sui redditi non guadagnati e sulle successioni, le aliquote progressive
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A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
sulle maggiori fortune, la esenzione dei redditi minimi e dei beni di prima
necessità, la gratuità della scuola pubblica, l'aumento delle spese di assistenza e
di previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle fabbriche,
minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate cittadelle. Anche i ceti
privilegiati che avevano consentito all'eguaglianza dei diritti politici, non
potevano ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di
realizzare quell'uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto
concreto di effettiva libertà. Quando, dopo la fine della prima guerra mondiale,
la minaccia divenne troppo grave, fu naturale che tali ceti applaudissero
calorosamente ed appoggiassero l'instaurazione delle dittature, che toglievano
le armi legali di mano ai loro avversari. D'altra parte la formazione di
giganteschi complessi industriali e bancari e di sindacati riunenti sotto un'unica
direzione interi eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che premevano sul
governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi,
minacciava di dissolvere lo stato stesso in tante baronie economiche in acerba
lotta fra loro. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di
cui questi gruppi si servivano per meglio sfruttare l'intera collettività,
perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che
solamente lo stato totalitario, abolendo le libertà popolari, potesse in qualche
modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non
riuscivano più a contenere.
Di fatto, poi, i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione
delle varie categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed hanno precluso
col controllo poliziesco di tutta la vita dei cittadini e con la violenta
eliminazione di tutti i dissenzienti, ogni possibilità legale di ulteriore correzione
dello stato di cose vigenti. Si è così assicurata l'esistenza del ceto assolutamente
parassitario dei proprietari terrieri assenteisti e dei redditieri che contribuiscono
alla produzione sociale solo nel tagliare le cedole dei loro titoli; dei ceti
monopolistici e delle società a catena che sfruttano i consumatori, e fanno
volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori; dei plutocrati che, nascosti dietro
le quinte, tirano i fili degli uomini politici per dirigere tutta la macchina dello
stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l'apparenza del perseguimento dei
superiori interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e la
miseria delle grandi masse, escluse da ogni possibilità di godere i frutti della
moderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in
cui le riserve materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a
soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane,
vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro
che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col
diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto,
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A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale
dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle possibilità proletarie resta
così ridotto, che per vivere i lavoratori sono spesso costretti a lasciarsi sfruttare
da chi offra loro una qualsiasi possibilità di impiego.
Per tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i sindacati sono stati
trasformati, da liberi organismi di lotta, diretti da individui che godevano la
fiducia degli associati, in organi di sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di
impiegati scelti dal gruppo governante e verso esso solo responsabili. Se
qualche correzione viene fatta a un tale regime economico, è sempre solo
dettata dalle esigenze del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie
aspirazioni dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli stati totalitari.
3°) Contro il dogmatismo autoritario, si è affermato il valore permanente dello
spirito critico. Tutto quello che veniva asserito, doveva dare ragione di sé o
scomparire. Alla metodicità di questo spregiudicato atteggiamento, sono
dovute le maggiori conquiste della nostra società in ogni campo. Ma questa
libertà spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli stati totalitari.
Nuovi dogmi da accettare per fede, o da accettare ipocritamente, si stanno
accampando da padroni in tutte le scienze.
Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza, e le più elementari nozioni
storiche ne facciano risultare l'assurdità, si esige dai fisiologi di credere,
dimostrare e convincere che si appartiene ad una razza eletta, solo perché
l'imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare nelle masse l'odio e
l'orgoglio. I più evidenti concetti della scienza economica debbono essere
considerati anatemi per presentare la politica autarchica, gli scambi bilanciati e
gli altri ferri vecchi del mercantilismo, come straordinarie scoperte dei nostri
tempi. A causa della interdipendenza economica di tutte le parti del mondo,
spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita
corrispondente alla civiltà moderna è tutto il globo; ma si è creata la pseudo
scienza della geopolitica, che vuol dimostrare la consistenza della teoria degli
spazi vitali, per dar veste teorica alla volontà di sopraffazione
dell'imperialismo.
La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell'interesse della classe
governante. Le biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le opere non
considerate ortodosse. Le tenebre dell'oscurantismo di nuovo minacciano di
soffocare lo spirito umano. La stessa etica sociale della libertà e dell'eguaglianza
è scalzata. Gli uomini non sono più considerati cittadini liberi, che si valgono
dello stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello stato,
che stabilisce quali debbano essere i loro fini, e come volontà dello stato viene
senz'altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere. Gli uomini non
sono più soggetti di diritto, ma, gerarchicamente disposti, sono tenuti ad
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A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
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ubbidire senza discutere alle autorità superiori che culminano in un capo
debitamente divinizzato. Il regime delle caste rinasce prepotente dalle sue
stesse ceneri.
Questa reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato in una serie di paesi,
ha infine trovato nella Germania nazista la potenza che si è ritenuta capace di
trarne le ultime conseguenze. Dopo una meticolosa preparazione, approfittando
con audacia e senza scrupoli delle rivalità, degli egoismi, della stupidità altrui,
trascinando al suo seguito altri stati vassalli europei - primo fra i quali l'Italia alleandosi col Giappone, che persegue fini identici in Asia, essa si è lanciata
nell'opera di sopraffazione. La sua vittoria significherebbe il definitivo
consolidamento del totalitarismo nel mondo. Tutte le sue caratteristiche
sarebbero esasperate al massimo, e le forze progressive sarebbero condannate
per lungo tempo ad una semplice opposizione negativa.
La tradizionale arroganza ed intransigenza dei ceti militari tedeschi può già
darci un'idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio, dopo una guerra
vittoriosa. I tedeschi, vittoriosi, potrebbero anche permettersi una lustra di
generosità verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territori e
le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido
sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità
degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle
forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque
camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione
dell'umanità in Spartiati ed Iloti.
Anche una soluzione di compromesso tra le parti in lotta, significherebbe un
ulteriore passo innanzi del totalitarismo, poiché tutti i paesi che fossero sfuggiti
alla stretta della Germania, sarebbero costretti ad adottare le sue stesse forme di
organizzazione politica, per prepararsi adeguatamente alla ripresa della guerra.
Ma la Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad uno gli stati
minori, con la sua azione ha costretto forze sempre più potenti a scendere in
lizza. La coraggiosa combattività della Gran Bretagna, anche nel momento più
critico in cui era rimasta sola a tener testa al nemico, ha fatto sì che i tedeschi
sieno andati a cozzare contro la strenua resistenza dell'esercito sovietico e ha
dato tempo all'America di avviare la mobilitazione delle sue sterminate risorse
produttive. E questa lotta contro l'imperialismo tedesco si è strettamente
connessa con quella che il popolo cinese va conducendo contro l'imperialismo
giapponese.
Immense masse di uomini e di ricchezze sono già schierate contro le potenze
totalitarie; le forze di queste potenze hanno raggiunto il loro culmine, e non
possono ormai che consumarsi progressivamente. Quelle avverse hanno invece
già superato il momento della massima depressione, e sono in ascesa.
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A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
La guerra degli alleati risveglia ogni giorno di più la volontà di liberazione,
anche nei paesi che avevano soggiaciuto alla violenza ed erano stati smarriti per
il colpo ricevuto; e persino risveglia tale volontà negli stessi popoli delle
potenze dell'Asse, i quali si accorgono di essere trascinati in una situazione
disperata, solo per soddisfare la brama di dominio dei loro padroni.
Il lento processo, grazie al quale enormi masse di uomini si lasciavano
modellare passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano e contribuivano
così a consolidarlo, è arrestato; si è invece iniziato il processo contrario. In
questa immensa ondata che lentamente si solleva, si ritrovano tutte le forze
progressive, le parti più illuminate delle classi lavoratrici che non si sono
lasciate distogliere dal terrore e dalle lusinghe nella loro aspirazione ad una
superiore forma di vita; gli elementi più consapevoli dei ceti intellettuali, offesi
dalla degradazione cui è sottoposta la intelligenza; imprenditori che, sentendosi
capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche e
dalle autarchie nazionali, che impacciano ogni loro movimento; tutti coloro
infine che, per un senso innato di dignità, non sanno piegar la spina dorsale
nell'umiliazione della servitù.
A tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà.
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A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
II. I compiti del dopoguerra. L’Unità Europea
La sconfitta della Germania non porterebbe però automaticamente al
riordinamento dell'Europa secondo il nostro ideale di civiltà.
Nel breve intenso periodo di crisi generale (in cui gli stati giaceranno fracassati
al suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose le parole nuove e
saranno materia fusa, ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove,
capaci di accogliere la guida di uomini seriamente internazionalisti), i ceti che
più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali, cercheranno subdolamente o
con la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni
internazionaliste, e si daranno ostentatamente a ricostituire i vecchi organismi
statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi, magari d'accordo con quelli
americani, tentino di spingere le cose in questo senso, per riprendere la politica
dell'equilibrio dei poteri, nell'apparente immediato interesse dei loro imperi.
Le forze conservatrici, cioè: i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati
nazionali; i quadri superiori delle forze armate, culminanti, là dove ora
esistono, nelle monarchie; quei gruppi del capitalismo monopolista che hanno
legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e
le alte gerarchie ecclesiastiche che solo da una stabile società conservatrice
possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito tutto
l'innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che anche sono solo
abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste forze reazionarie già fin
da oggi sentono che l'edificio scricchiola, e cercano di salvarsi. Il crollo le
priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto finora, e le esporrebbe
all'assalto delle forze progressiste.
La situazione rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti
La caduta dei regimi totalitari significherà sentimentalmente per interi popoli
l'avvento della «libertà»; sarà scomparso ogni freno, ed automaticamente
regneranno amplissime libertà di parola e di associazione. Sarà il trionfo delle
tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature, che vanno da un
liberalismo molto conservatore fino al socialismo e all'anarchia. Credono nella
«generazione spontanea» degli avvenimenti e delle istituzioni, nella bontà
assoluta degli impulsi che vengono dal basso. Non vogliono forzare la mano
alla «storia», al «popolo», al «proletariato » e come altro chiamano il loro Dio.
Auspicano la fine delle dittature, immaginandola come la restituzione al popolo
degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione. Il coronamento dei loro
sogni è un'assemblea costituente, eletta col più esteso suffragio e col più
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A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
scrupoloso rispetto del diritto degli elettori, la quale decida che costituzione
debba darsi. Se il popolo è immaturo, se ne darà una cattiva; ma correggerla si
potrà solo mediante una costante opera di convinzione.
I democratici non rifuggono per principio dalla violenza; ma la vogliono
adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità,
cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino
da mettere sull'«i», sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria
amministrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto della bontà
delle istituzioni fondamentali, che debbono essere solo ritoccate in aspetti
relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non
debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce
clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nella rivoluzione russa,
tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi. In tali situazioni, caduto il
vecchio apparato statale, colle sue leggi e la sua amministrazione, pullulano
immediatamente, con sembianze di vecchia legalità, o sprezzandola, una
quantità di assemblee e rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano
tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni fondamentali bisogni da
soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane
suonano alle sue orecchie. Con i suoi milioni di teste non riesce ad orientarsi, e
si disgrega in una quantità di tendenze in lotta fra loro.
Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si
sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma
solo un torbido tumultuare di passioni. Pensano che loro dovere sia di formare
quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono
capi che guidino sapendo dove arrivare. Perdono le occasioni favorevoli al
consolidamento del nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che
presuppongono una lunga preparazione, e sono adatti ai periodi di relativa
tranquillità; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per
rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la
volontà di rinnovamento, ma le confuse velleità regnanti in tutte le menti, che,
paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo della
reazione. La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi
rivoluzionaria.
Man mano che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima
popolarità di assertori della libertà, mancando ogni seria rivoluzione politica e
sociale, si andrebbero immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche
pretotalitarie, e la lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi della
contrapposizione delle classi.
Il principio secondo il quale la lotta di classe è il termine cui van ridotti tutti i
problemi politici, ha costituito la direttiva fondamentale specialmente degli
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A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
operai delle fabbriche, ed ha giovato a dare consistenza alla loro politica, finché
non erano in questione le istituzioni fondamentali; ma si converte in uno
strumento di isolamento del proletariato, quando si imponga la necessità di
trasformare l'intera organizzazione della società. Gli operai, educati
classisticamente, non sanno allora vedere che le loro particolari rivendicazioni
di classe, o addirittura di categoria, senza curarsi del come connetterle con gli
interessi degli altri ceti; oppure aspirano alla unilaterale dittatura della loro
classe, per realizzare l'utopistica collettivizzazione di tutti gli strumenti
materiali di produzione, indicata da una propaganda secolare come il rimedio
sovrano di tutti i loro mali. Questa politica non riesce a far presa su nessun altro
strato, fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze progressive del
loro sostegno, o le lasciano cadere in balìa della reazione che abilmente le
organizza per spezzare le reni allo stesso movimento proletario.
Fra le varie tendenze proletarie, seguaci della politica classista e dell'ideale
collettivista, i comunisti hanno riconosciuta la difficoltà di ottenere un seguito
di forze sufficienti per vincere, e per ciò si sono - a differenza degli altri partiti
popolari - trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta il
mito russo per organizzare gli operai, ma non prende legge da essi e li utilizza
nelle più disparate manovre.
Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti
dei democratici; ma, tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie
dalle altre forze rivoluzionarie - col predicare che la loro «vera» rivoluzione è
ancora da venire - costituiscono, nei momenti decisivi, un elemento settario che
indebolisce il tutto. Inoltre, la loro assoluta dipendenza dallo stato russo, che li
ha ripetutamente adoperati per il perseguimento della sua politica nazionale,
impedisce loro di svolgere alcuna politica con un minimo di continuità. Hanno
sempre bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un Negrin, per
andare poi facilmente in rovina insieme con i fantocci democratici adoperati;
poiché il potere si consegue e mantiene non semplicemente con la furberia, ma
con la capacità di rispondere in modo organico e vitale alla necessità della
società moderna.
Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe
molto difficile sfuggire alle vecchie aporie. Gli stati nazionali hanno infatti già
così profondamente pianificato le rispettive economie, che la questione centrale
diverrebbe ben presto quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioè
quale classe dovrebbe detenere le leve di comando del piano. Il fronte delle
forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa fra classi e categorie
economiche. Con la maggiore probabilità i reazionari sarebbero coloro che ne
trarrebbero profitto.
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A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che han saputo
criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà saper collaborare con le forze
democratiche, con quelle comuniste, e in genere con quanti cooperino alla
disgregazione del totalitarismo; ma senza lasciarsi irretire dalla prassi politica
di nessuna di esse.
Le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educati al comando, che si
batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave
momento sapranno presentarsi ben camuffati, si proclameranno amanti della
libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere. Già nel
passato abbiamo visto come si siano insinuate dietro i movimenti popolari, e li
abbiano paralizzati, deviati, convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio
saranno la forza più pericolosa con cui si dovranno fare i conti.
Il punto sul quale esse cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato
nazionale. Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più
offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il
sentimento patriottico. In tal modo possono anche sperare di più facilmente
confondere le idee degli avversari, dato che per le masse popolari l'unica
esperienza politica finora acquisita è quella svolgentesi entro l'ambito
nazionale, ed è perciò abbastanza facile convogliare sia esse che i loro capi più
miopi sul terreno della ricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera.
Se questo scopo venisse raggiunto, la reazione avrebbe vinto. Potrebbero pure
questi stati essere in apparenza largamente democratici e socialisti; il ritorno del
potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo.
Risorgerebbero le gelosie nazionali, e ciascuno stato di nuovo riporrebbe la
soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza delle armi. Compito
precipuo tornerebbe ad essere a più o meno breve scadenza quello di convertire
i popoli in eserciti. I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti a
profittare delle autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le
masse. Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzirebbero in un nulla, di
fronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra.
Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro
progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione
dell'Europa in stati nazionali sovrani. Il crollo della maggior parte degli stati del
continente sotto il rullo compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei
popoli europei, che, o tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti
insieme entreranno, con la caduta di questo, in una crisi rivoluzionaria in cui
non si troveranno irrigiditi e distinti in soli de strutture statali. Gli spiriti sono
già ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale
dell'Europa. La dura esperienza degli ultimi decenni ha aperto gli occhi anche a
173
A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
chi non voleva vedere, ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al
nostro ideale.
Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un
equilibrio di stati europei indipendenti, con la convivenza della Germania
militarista a parità di condizioni degli altri paesi, né si può spezzettare la
Germania e tenerle il piede sul collo una volta che sia vinta. Alla prova, è
apparso evidente che nessun paese in Europa può restarsene da parte mentre
gli altri si battono, a niente valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di
non aggressione. È ormai dimostrata l'inutilità, anzi la dannosità di organismi
sul tipo della Società delle Nazioni, che pretendeva di garantire un diritto
internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni, e
rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdo è risultato il
principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere
lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la
costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per
tutti gli altri paesi europei. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che
avvelenano la vita internazionale del continente - tracciato dei confini nelle
zone di popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei
paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc. - che
troverebbe nella Federazione Europea la più semplice soluzione - come l'hanno
trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte
della più vasta unità nazionale avendo perso la loro acredine, col trasformarsi
in problemi di rapporti fra le diverse provincie.
D'altra parte, la fine del senso di sicurezza dato dalla inattaccabilità della Gran
Bretagna, che consigliava agli inglesi la «splendid isolation», la dissoluzione
dell'esercito e della stessa repubblica francese al primo serio urto delle forze
tedesche (risultato che è da sperare abbia di molto smorzata la convinzione
sciovinista dell'assoluta superiorità gallica) e specialmente la coscienza della
gravità del pericolo corso di generale asservimento, sono tutte circostanze che
favoriranno la costituzione di un regime federale, che ponga fine all'attuale
anarchia. E il fatto che l'Inghilterra abbia ormai accettato il principio
dell'indipendenza indiana, e la Francia abbia potenzialmente perduto col
riconoscimento della sconfitta tutto il suo impero, rendono più agevole trovare
anche una base di accordo per una sistemazione europea nei possedimenti
coloniali.
A tutto ciò va aggiunta infine la scomparsa di alcune delle principali dinastie, e
la fragilità delle basi che sostengono quelle superstiti. Va tenuto conto infatti
che le dinastie, considerando i diversi paesi come proprio tradizionale
appannaggio, rappresentavano, con i poderosi interessi di cui eran l'appoggio,
un serio ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti d'Europa, i
174
A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
quali non possono poggiare che sulla costituzione repubblicana di tutti i paesi
federati. E quando, superando l'orizzonte del Vecchio Continente, si abbraccino
in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l'umanità, bisogna pur
riconoscere che la Federazione Europea è l'unica concepibile garanzia che i
rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di
pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi
possibile l'unità politica dell'intero globo.
La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò
ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del
maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima
linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello
antico, cioè la conquista del potere politico nazionale - e che faranno, sia pure
involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava
incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie
assurdità - e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un
solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze
popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopreranno in primissima
linea come strumento per realizzare l'unità internazionale.
Con la propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e
legami fra i singoli movimenti che nei vari paesi si vanno certamente formando,
occorre sin d'ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare
tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più
grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un saldo
stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli
eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale
dei regimi totalitari; abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire nei
singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune,
pur lasciando agli stati stessi l'autonomia che consenta una plastica
articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari
caratteristiche dei vari popoli.
Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che
comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, poiché la
situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera. Essi avranno di fronte
partiti e tendenze già tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell'ultimo
ventennio. Poiché sarà l'ora di opere nuove, sarà anche l'ora di uomini nuovi:
del MOVIMENTO PER L'EUROPA LIBERA ED UNITA.
175
A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
III. I compiti del dopoguerra. La riforma della società
Un'Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà
moderna, di cui l'era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era farà
riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la
disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici
che ne impedivano l'attuazione saranno crollate o crollanti; e questa loro crisi
dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione.
La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere
socialista, cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la
realizzazione per esse di condizioni più umane di vita. La bussola di
orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere
però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei
mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e
tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno.
La statizzazione generale dell'economia è stata la prima forma utopistica in cui
le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista;
ma, una volta realizzata in pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla
costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta
classe dei burocrati gestori dell'economia.
Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della
collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione,
è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli
uomini, ma - come avviene per le forze naturali - essere da loro sottomesse,
guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne
sieno vittime. Le gigantesche forze di progresso che scaturiscono dall'interesse
individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica routinière per
trovarsi poi di fronte all'insolubile problema di resuscitare lo spirito d'iniziativa
con le differenziazioni nei salari, e con gli altri provvedimenti del genere; quelle
forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore opportunità di
sviluppo e di impiego, e contemporaneamente vanno consolidati e perfezionati
gli argini che le convogliano verso gli obbiettivi di maggiore vantaggio per tutta
la collettività.
La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso,
non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce
naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea
liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale. La soluzione
razionale deve prendere il posto di quella irrazionale, anche nella coscienza dei
176
A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
lavoratori. Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto di
questa direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni punto
programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al presupposto
ormai indispensabile dell'unità europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti:
a) Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un'attività
necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei
consumatori; ad esempio le industrie elettriche, le imprese che si vogliono
mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo ma che, per reggersi, hanno
bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l'esempio più
notevole di questo tipo d'industria sono finora in Italia le siderurgiche); e le
imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai
occupati, o per l'importanza del settore che dominano, possono ricattare gli
organi dello stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa (Es.: industrie
minerarie, grandi istituti bancari, grandi armamenti). È questo il campo in cui si
dovrà procedere senz'altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun
riguardo per i diritti acquisiti.
b) Le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto
di successione, hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati
ricchezze che converrà distribuire durante una crisi rivoluzionaria in senso
egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti
di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e
far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una
riforma agraria che, passando la terra a chi la coltiva, aumenti enormemente il
numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà
dei lavoratori nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l'azionariato
operaio ecc.
c) I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo
le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la
scuola pubblica dovrà dare le possibilità effettive di proseguire gli studi fino ai
gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare in ogni
branca di studi, per l'avviamento ai diversi mestieri e alle diverse attività
liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del
mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi press'a poco eguali
per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze fra
le rimunerazioni nell'interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse
capacità individuali.
d) La potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di
prima necessità, con la tecnica moderna, permette ormai di assicurare a tutti,
con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l'alloggio e il vestiario, col
minimo di conforto necessario per conservare il senso della dignità umana. La
177
A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
solidarietà umana verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica,
non dovrà, per ciò, manifestarsi con le forme caritative sempre avvilenti e
produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con
una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano
o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al
lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare
contratti di lavoro iugulatori.
e) La liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le
condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere in balìa
della politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano
semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici anzitutto
del grande capitale. I lavoratori debbono tornare ad essere liberi di scegliere i
fiduciari per trattare collettivamente le condizioni cui intendono prestare la loro
opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire l'osservanza dei patti
conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente
combattute, una volta che sieno realizzate quelle trasformazioni sociali.
Questi sono i cambiamenti necessari per creare intorno al nuovo ordine un
larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento, e per dare alla
vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso
di solidarietà sociale. Su queste basi, le libertà politiche potranno veramente
avere un contenuto concreto, e non solo formale, per tutti, in quanto la massa
dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare
un continuo ed efficace controllo sulla classe governante.
Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarsi, poiché, non potendosi
prevedere le condizioni in cui dovranno sorgere ed operare, non faremmo che
ripetere quel che tutti già sanno sulla necessità di organi rappresentativi, sulla
formazione delle leggi, sull'indipendenza della magistratura che prenderà il
posto dell'attuale per l'applicazione imparziale delle leggi emanate, sulla libertà
di stampa e di associazione per illuminare l'opinione pubblica e dare a tutti i
cittadini la possibilità di partecipare effettivamente alla vita dello stato. Su due
sole questioni è necessario precisare meglio le idee, per la loro particolare
importanza in questo momento nel nostro paese: sui rapporti dello stato con la
chiesa e sul carattere della rappresentanza politica:
a) Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l'alleanza col fascismo
andrà senz'altro abolito per affermare il carattere puramente laico dello stato, e
per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile.
Tutte le credenze religiose dovranno essere egualmente rispettate, ma lo stato
non dovrà più avere un bilancio dei culti.
b) La baracca di cartapesta che il fascismo ha costituito con l'ordinamento
corporativo cadrà in frantumi insieme alle altre parti dello stato totalitario. C'è
178
A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
chi ritiene che da questi rottami si potrà domani trarre il materiale per il nuovo
ordine costituzionale. Noi non lo crediamo. Negli stati totalitari, le camere
corporative sono la beffa che corona il controllo poliziesco sui lavoratori. Se
anche però le camere corporative fossero la sincera espressione delle diverse
categorie dei produttori, gli organi di rappresentanza delle diverse categorie
professionali non potrebbero mai essere qualificati per trattare questioni di
politica generale, e nelle questioni più propriamente economiche diverrebbero
organi di sopraffazione delle categorie sindacalmente più potenti. Ai sindacati
spetteranno ampie funzioni di collaborazione con gli organi statali incaricati di
risolvere i problemi che più direttamente li riguardano, ma è senz'altro da
escludere che ad essi vada affidata alcuna funzione legislativa, poiché
risulterebbe un'anarchia feudale nella vita economica, concludentesi in un
rinnovato dispotismo politico. Molti che si sono lasciati prendere ingenuamente
dal mito del corporativismo, potranno e dovranno essere attratti all'opera di
rinnovamento; ma occorrerà che si rendano conto di quanto assurda sia la
soluzione da loro confusamente sognata. Il corporativismo non può avere vita
concreta che nella forma assunta dagli stati totalitari, per irreggimentare i
lavoratori sotto funzionari che ne controllino ogni mossa nell'interesse della
classe governante.
Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato nel
momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno nel suo
atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri generali e nelle prime direttive
d'azione. Esso non deve rappresentare una massa eterogenea di tendenze,
riunite solo negativamente e transitoriamente, cioè per il loro passato
antifascista e nella semplice attesa della caduta del regime totalitario, pronte a
disperdersi ciascuna per la sua strada, una volta raggiunta quella meta. Il
partito rivoluzionario sa invece che solo allora comincerà veramente la sua
opera; e deve perciò essere costituito da uomini che si trovino d'accordo sui
principali problemi del futuro.
Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque vi sieno degli
oppressi dell'attuale regime, e, prendendo come punto di partenza il problema
volta a volta sentito come più doloroso dalle singole persone e classi, mostrare
come esso si connette con altri problemi, e quale possa esserne la vera
soluzione. Ma dalla sfera via via crescente dei suoi simpatizzanti deve attingere
e reclutare nell'organizzazione del movimento solo coloro che hanno fatto della
rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita; che disciplinatamente
realizzino giorno per giorno il necessario lavoro, provvedano oculatamente alla
sicurezza continua ed efficace di esso, anche nelle situazioni di più dura
illegalità, e costituiscano così la solida rete che dà consistenza alla più labile
sfera dei simpatizzanti.
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A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua
parola, esso deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo a quegli
ambienti che sono più importanti come centro di diffusione di idee e come
centro di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto verso i due gruppi
sociali più sensibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di domani; vale
a dire la classe operaia e i ceti intellettuali. La prima è quella che meno si è
sottomessa alla ferula totalitaria, e che sarà la più pronta a riorganizzare le
proprie file. Gli intellettuali, particolarmente i più giovani, sono quelli che si
sentono spiritualmente più soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Man
mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento generale.
Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di queste forze, è
condannato alla sterilità; poiché, se movimento di soli intellettuali, sarà privo
della forza di massa necessaria per travolgere le resistenze reazionarie, sarà
diffidente e diffidato rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da
sentimenti democratici, proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà, sul terreno
della mobilitazione di tutte le altre classi contro gli operai, cioè verso una
restaurazione fascista. Se poggerà solo sul proletariato, sarà privo di quella
chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è
necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà
prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici da per tutto, e sdrucciolerà sulla
dottrinaria soluzione comunista.
Durante la crisi rivoluzionaria, spetta a questo movimento organizzare e
dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si
formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le
masse rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate.
Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva
consacrazione da parte dell'ancora inesistente volontà popolare, ma dalla
coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal
modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle
informi masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il
nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia.
Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente
sboccare in un rinnovato dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo
di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo,
fin dai primissimi passi, le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini
possano partecipare veramente alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà,
anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una
progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e
perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento, di istituzioni
politiche libere.
180
A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti
ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge, così diverso da tutto
quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove
energie fra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la
trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell'attuale crisi della civiltà
europea, e che perciò raccolgono l'eredità di tutti i movimenti di elevazione
dell'umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei
mezzi come raggiungerlo.
La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!
Altiero Spinelli - Ernesto Rossi
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A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
La leçon du Manifeste de Ventotene
dans la culture européenne française
par Gianfranco Rubino
Les célébrations du centenaire de la naissance de ce grand précurseur qu’a été
Altiero Spinelli offrent l’occasion de mesurer le chemin parcouru par la cause
européenne depuis le Manifeste de Ventotene et la fin de la guerre. L’existence
actuelle de l’Union européenne et de tout un appareil institutionnel qui
administre et coordonne les activités d’une bonne partie de notre continent
confirme l’ampleur et la lucidité des perspectives théorisées par Spinelli. Les
éloges qui lui sont adressés présentent souvent ce dernier comme un grand
visionnaire. C’est là une bonne définition si l’on entend par ce terme la capacité
de concevoir au-delà de l’existant les horizons d’un état futur de la société. Mais
il ne faut pas considérer «le mot “visionnaire”» comme synonyme d’«utopiste».
Le diagnostic de Spinelli à propos des responsabilités des États-nations dans
l’éclatement de la seconde guerre mondiale pouvait être tenu pour parfaitement
fondé. À plus forte raison, le dépassement des nationalismes constituait une
prémisse indispensable de la paix au sein du vieux continent. Certes, la
construction européenne d’aujourd’hui ne coïncide pas avec l’État fédéral
auquel Spinelli songeait; mais les raisons de ce décalage tiennent à plusieurs
facteurs historiques, souvent imprévisibles à l’époque. Même aujourd’hui, la
globalisation et la persistance tenace d’intérêts nationaux et locaux posent des
problèmes que l’on ne saurait sous-estimer.
Cette perspective unitaire de l’Europe a ses antécédents dans un passé culturel
et politique qui concerne entre autres un pays qui est au centre même du
continent, à savoir la France. Sans remonter plus loin, il faudrait rappeler à quel
point celle qu’on appela la République des lettres au XVIIe siècle traçait l’idéal
d’une communauté internationale d’hommes sages et cultivés, capables de faire
avancer la connaissance par leur collaboration. Le père idéal de cette
conception, dont témoignent les correspondances érudites et scientifiques du
XVIIe et du XVIIIe, était bien Descartes, tandis que Pierre Bayle sut imprimer à
ce réseau d’échanges un potentiel de divulgation et de développement grâce à
son journal «Nouvelles de la République des lettres». S’il s’agissait là (de tout
façon) des dialogues d’une lumières au XVIIIe siècle étendait les pouvoirs de la
réflexion intellectuelle et morale à des horizons bien plus vastes et à des
possibilités d’application pratique et politique beaucoup plus immédiates. On
182
G. Rubino, La leçon du Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
sait quel a été le rôle des Rousseau, des Voltaire, des Montesquieu, des
Diderot…
Si le XIXe siècle, en tant qu’apogée des revendications nationales, a démenti ces
attitudes (mais le 17 juillet 1851 son discours à l’Assemblée législative, lors du
débat sur la révision de la Constitution, Victor Hugo préconisait «cet immense
édifice de l’avenir, qui s’appellera un jour les États Unis d’Europe»), il est sûr
que le XXe siècle, à cause des tragédies qui l’ont traversé, a dû reproposer la
problématique européenne à plusieurs niveaux: sur le plan culturel, des
écrivains comme Paul Valéry et Jules Romains, auteur d’un magnifique poème
«Europe» au lendemain de la première guerre mondiale et d’essais spécifiques
sur le même sujet, ont réfléchi sur les perspectives de notre continent. Au
lendemain des ravages de la seconde guerre mondiale, “Éducation européenne”
de Romain Gary lançait un appel, au-delà de toute rancune, à la fraternité
humaine et culturelle des peuples d’Europe.
On sait que dans le domaine politique l’itinéraire de Spinelli a rencontré la
France à plusieurs reprises. En 1944 ce fut grâce à l’appui de Jean- Marie
Soutou, représentant de la France libre, que le CFFE (Comité Français pour la
Fédération Européenne) donna son adhésion à l’institution d’une fédération
européenne. En avril 1944, lors d’une réunion internationale très importante
organisée à Paris, à laquelle participèrent Vincent Auriol, André Philip, Henri
Frenay, Albert Camus, où Spinelli et d’autres fondèrent le Comité International
pour la Fédération européenne.
Pour de multiples raisons, la suite n’a pas été linéaire, comme l’on sait. En
1954, à la grande déception de Spinelli, le projet d’une Communauté
européenne de défense (CED) fut rejeté par le Parlement français. Tout
récemment, Valéry Giscard d’Estaing a dirigé l’élaboration d’un Traité
constitutionnel, qui n’a été ratifié ni par la France ni par la Hollande. Mais des
hommes politiques français ont participé de façon décisive aux différentes
étapes de la construction européenne: Robert Schumann, qui participa en 1950 à
la création de la CECA, Jean Monnet, préconisateur lui aussi de la CECA et
fondateur en 1955 du Comité d’action pour les États-Unis d’Europe, Simone
Veil, premier président du Parlement européen élu directement par les citoyens,
Jacques Delors, président de la Commission exécutive de la Communauté
européenne de 1985 à 1995, décennie capitale pour l’élargissement et le
renforcement de l’intégration.
L’élaboration d’une convention constitutionnelle plus agile, ayant
débouché sur le traité de Lisbonne, a permis de surmonter l’impasse rencontrée
par le projet précédent. Il est légitime de souhaiter que les processus historiques
en cours, dans un monde aussi complexe que celui d’aujourd’hui, aillent dans la
direction d’une unification de plus en plus substantielle.
183
G. Rubino, La leçon du Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Préface
d’Eugenio Colorni (Rome 1944)
Les présents écrits ont été élaborés et rédigés sur l’île de Ventotene, au cours
des années 1941-1942. C’est dans ce climat d’exception, à travers les mailles
d’une rigoureuse discipline, par le canal d’une information que l’on tentait au
moyen de mille ruses de rendre la plus complète possible, que quelques esprits
- partagés entre un sentiment de tristesse dû à l’inertie forcée et l’attente
impatiente d’une prochaine libération - mûrissaient une nouvelle réflexion sur
l’ensemble des problématiques qui avaient été à l’origine aussi bien de l’action
menée que du comportement adopté dans la lutte.
L’éloignement de la vie politique concrète offrait l’occasion d’un regard
plus détaché, de même qu’il invitait à revoir les positions traditionnelles en
s’interrogeant sur les échecs passés, dont les raisons étaient moins à rechercher
dans les erreurs d’ordre technique de stratégie parlementaire ou
révolutionnaire, ou encore dans l’“immaturité” globale de la situation, que dans
les maladresses de l’organisation générale et dans la lutte engagée selon les
lignes de rupture habituelles sans tenir suffisamment compte des nouvelles
modalités qui étaient en train de transformer la réalité.
Pour s’apprêter à combattre efficacement la grande bataille qui s’annonçait
dans un avenir fort proche, il fallait non seule ment corriger les erreurs du
passé, mais encore reformuler les termes des diverses problématiques
politiques, en ayant l’esprit libre de tout préjugé doctrinal et de toute
mythologie de parti.
C’est ainsi que, dans l’esprit de quelques-uns, a fait son chemin l’idée que
la contradiction fondamentale, à l’origine des crises, des guerres et des
injustices qui affligent notre société, tient à l’existence d’États souverains,
géographiquement, économiquement et militairement affermis, qui considèrent
les autres États comme des rivaux ou de potentiels ennemis et qui instaurent les
uns par rapport aux autres des relations de perpetuo bellum omnium contra omnes.
Certes, l’idée n’était nullement inédite en soi. Mais, dans le contexte et les
circonstances où elle voyait le jour, elle prenait une allure de nouveauté. À cela,
plusieurs raisons:
1) Tout d’abord, la solution internationaliste, commune aux programmes
de tous les partis politiques progressistes, est considérée dans une certaine
mesure par ces mêmes partis comme la conséquence obligée et quasi
automatique de la réalisation des objectifs que chacun d’eux s’est fixés. Les
184
E. Colorni, Preéface
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
démocrates estiment que la mise en place, dans chaque pays, du régime qu’ils
préconisent, favoriserait sûrement la naissance d’une conscience unitaire qui,
tout en permettant d’abolir les frontières culturelles et mentales, devrait être le
préambule indispensable d’après eux à une libre union entre les peuples, y
compris dans les domaines politique et économique. Les socialistes, quant à
eux, pensent que l’instauration, dans les différents États, de régimes fondés sur
une didacture du prolétariat conduirait de par leur nature à un État collectiviste
international.
Or, une analyse du concept moderne d’État, tenant compte de l’ensemble
des intérêts et des sentiments nationaux, montre clairement que les analogies
entre les régimes, susceptibles de faciliter des rapports d’amitié et de
collaboration entre les États, ne sont pas une garantie d’unification
automatique, quand bien même progressive, tant que perdureront des intérêts
et des sentiments collectifs liés au maintien d’une unité circonscrite à l’intérieur
des frontières nationales. L’histoire nous a appris que des sentiments
chauvinistes et des intérêts protectionnistes peuvent amener deux démocraties
à l’antagonisme et au conflit. De même, rien n’oblige un État socialiste riche à
accepter de mettre en commun ses propres ressources avec un autre État
socialiste beaucoup plus pauvre, pour le simple fait que tous deux sont régis
par des systèmes politiques analogues.
L’abolition des frontières politiques et économiques entre les États ne
ressortit donc pas nécessairement à l’instauration, dans tous les États à la fois,
d’un même régime donné. C’est en réalité un problème à part qui demande à
être affronté selon les modalités qui lui sont propres. Certes, on ne peut pas être
des socialistes authentiques sans être dans le même temps internationalistes.
Mais on l’est en vertu d’un lien idéologique, plus que par nécessité politique et
économique, si bien que la victoire socialiste dans chaque État n’aboutit pas
forcément à un État international.
2) Ensuite, ce qui amenait à renforcer de manière autonome la thèse
fédéraliste était le fait que les partis politiques existants, liés à un passé de luttes
engagées à un niveau national, sont habitués, par coutume et par tradition, à
poser toutes les problématiques en partant du présupposé implicite qu’est
l’existence de l’État national et à considérer les problématiques relatives à une
organisation internationale comme des questions de «politique étrangère» qu’il
convient de résoudre par la voie diplomatique et par le biais d’accords entre les
divers gouvernements. Cette attitude est à la fois la cause et la conséquence de
l’attitude évoquée plus haut, selon laquelle on considère qu’après avoir pris les
rênes du pouvoir, l’accord et l’union entre régimes ayant des affinités sont
naturels, sans que soit nécessaire un combat politique expressément engagé
dans ce but.
185
E. Colorni, Preéface
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Dans l’esprit des auteurs des textes ici rassemblés, s’est au contraire
profondément ancrée la conviction que la question d’un système international
ne peut devenir la question centrale de notre époque historique et être tenue
pour un préliminaire obligé dans la résolution de tous les problèmes
institutionnels, économiques et sociaux qui s’imposent à notre société, qu’à
l’inéluctable condition de prendre en compte tous les aspects qu’impliquent les
divergences politiques internes et les choix de chaque parti, y compris au plan
des tactiques et des stratégies adoptées dans la lutte quotidienne. Toutes les
problématiques, qu’il s’agisse de libertés constitutionnelles, de lutte des classes,
de planification, de prise du pouvoir et d’exercice du pouvoir, bénéficient d’un
éclairage nouveau si elles sont examinées en partant du principe que l’objectif
prioritaire est la réalisation d’un système unitaire international. Les stratégies
politiques, le fait de soutenir telle ou telle autre force en jeu et d’intensifier tel
ou tel autre mot d’ordre, revêt des aspects bien différents selon que le but
envisagé est la prise du pouvoir et la mise en place de réformes dans chacun
des États nationaux ou la création des conditions économiques, politiques et
morales fondamentales en vue d’instaurer un système fédéral qui puisse
intéresser l’ensemble du continent.
3) La dernière raison - et sans doute la plus importante - dépend du fait
que l’idéal d’une fédération européenne, en tant que prélude à une fédération
mondiale, pouvant paraître encore une lointaine utopie il y a quelques années
de cela, se présente aujourd’hui, à la fin de la guerre, comme un but réalisable,
presque à portée de la main. Le total bouleversement que ce conflit a provoqué
pour les populations de tous les pays soumis à l’occupation allemande, la
nécessité de reconstruire sur de nouvelles bases une économie détruite dans sa
presque totalité et de remettre à l’ordre du jour la question des frontières
politiques, des barrières douanières, des minorités ethniques, etc., la singularité
de cette guerre où l’élément national a été si souvent exas péré par la
composante idéologique, où on a vu des États plus petits renoncer en grande
partie à leur souveraineté au profit des États les plus forts et où les fascistes ont
remplacé le concept d’«espace vital» par celui d’«indépendance nationale»: tous
ces éléments rendent plus que jamais actuel, dans l’après-guerre, le problème
de l’organisation d’un fédéralisme européen.
Pour des raisons tant économiques qu’idéologiques, le fédéralisme pourra
intéresser des forces issues de toutes les classes sociales. On s’en approchera
aussi bien par la voie diplomatique que par des manifestations populaires, en
promouvant d’une part au sein des classes cultivées une réflexion sur les
problèmes relatifs au fédéralisme et, de l’autre, en provoquant une conjoncture
révolutionnaire qui, une fois établie, rendra impossible tout retour en arrière; en
cherchant d’une part à influencer les classes dirigeantes des États victorieux et,
186
E. Colorni, Preéface
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
de l’autre, en agitant dans les pays vaincus le mot d’ordre proclamant que seule
une Europe libre et unie peut leur assurer le salut et leur éviter les dramatiques
conséquences de la défaite.
Notre Mouvement est né de ces exigences. La prééminence et l’antériorité
de ce problème par rapport à tous ceux qui s’imposent en cette époque que
nous nous apprêtons à vivre, la certitude que, si nous laissons la situation se
figer dans les vieux moules nationalistes, l’occasion sera perdue pour toujours
et que ni la paix ni aucun bonheur durable ne seront possibles pour notre
continent, nous ont poussé à vouloir créer une orga nisation autonome, chargée
de promouvoir l’idée d’une Fédération Européenne en tant qu’objectif
réalisable dans l’immédiat après-guerre.
Nous n’ignorons pas les difficultés d’un tel projet, ainsi que la puissance
des forces qui opèrent en sens contraire. Mais c’est aussi la première fois que ce
problème est selon nous placé à l’ordre du jour de la lutte politique, non pas
comme un lointain idéal, mais comme un besoin tragique et urgent.
Notre Mouvement, qui vit désormais depuis près de deux ans dans une
clandestinité rendue extrêmement difficile par l’oppression fasciste et nazie,
dont les membres proviennent des rangs de l’antifascisme et sont tous engagés
dans la lutte armée pour la liberté, et qui a déjà payé son lourd tribut de
prisonniers pour la cause commune, n’est pas et ne veut pas être un parti
politique. Comme il l’a toujours plus nettement démontré, notre mouvement
veut agir sur les différents partis politiques et au sein de chacun d’eux, non
seulement pour en accentuer la composante internationaliste, mais aussi et
surtout pour que tous les problèmes de la vie politique soient appréhendés à
partir de ce nouveau point de vue auxquels ils ont été si peu habitués jusqu’à
présent.
Nous ne sommes pas un parti politique car, même si nous avons soin de
promouvoir la réflexion sur l’organisation institutionnelle, économique et
sociale de la Fédération Européenne et que nous prenons part activement à la
lutte pour sa réalisation, notamment en essayant d’identifier les forces qui
pourront agir en sa faveur dans la future conjoncture politique, nous ne
voulons pas nous prononcer officiellement sur des questions d’ordre
institutionnel, sur le degré plus ou moins élevé de collectivisation économique
ou de décentralisation administrative, etc. qui devront caractériser le futur
système fédéral. Nous préférons que ces problèmes soient amplement et
librement débattus au sein de notre mouvement et que toutes les tendances
politiques, de l’aile communiste à l’aile libérale, y soient représentées. De fait,
nos adhérents militent presque tous dans un des partis politiques progressistes
et tous s’accordent pour promouvoir les principes qu’ils considèrent comme les
principes élémentaires d’une Fédération Européenne libre, fondée sur aucune
187
E. Colorni, Preéface
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
hégémonie ni sur aucun régime totalitaire et dotée de structures suffisamment
solides pour ne pas être réduite à une simple Société des Nations. Ces principes
peuvent se résumer par les points suivants: armée fédérale commune, unité
monétaire, abolition des barrières douanières et des restrictions à la circulation
des individus ressortissants des États membres de la Fédération, représentation
directe des citoyens aux assemblées fédérales, politique étrangère commune.
Au cours de ses deux années d’existence, notre Mouvement s’est
largement étendu aux groupes et aux partis politiques antifascistes. Parmi eux,
certains nous ont publiquement exprimé leur adhésion et sympathie. D’autres
ont sollicité notre collaboration à l’établissement de leurs programmes. Et il
n’est pas prétentieux de dire que si les problèmes de la Fédération Européenne
sont si souvent traités dans la presse clandestine, le mérite nous en revient en
partie. Notre journal «L’Unità Europea» suit avec attention les événements de
politique intérieure et internationale et prend position sur ces questions avec
une totale indépendance de jugement.
Les présents écrits, fruit des idées qui ont donné naissance à notre
Mouvement, n’expriment toutefois que les points de vue de leurs auteurs. Ils ne
constituent donc en aucune manière une prise de position du Mouvement luimême. Ils veulent offrir des sujets de discussion à tous ceux qui veulent
entamer une nouvelle réflexion sur l’ensemble des problèmes liés à la vie
politique internationale, en tenant compte des expériences idéologiques et
politiques les plus récentes, des tout derniers résultats fournis par les experts
économiques, des perspectives pour l’avenir les plus sensées et les plus
raisonnables, qui seront bientôt complétés par d’autres études ou analyses.
Notre souhait est que ces réflexions puissent susciter une effervescence d’idées
et apporter, en ce climat embrasé par l’urgence de l’action, les éclairages
nécessaires pour que notre action soit toujours plus déterminée, consciente et
responsable.
Le Mouvement italien pour la fédération européenne
Rome, le 22 janvier 1944
188
E. Colorni, Preéface
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Pour une Europe libre et unie. Projet d'un Manifeste
Ventotene, 1941
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi
I. La Crise de la Civilisation Moderne
La civilisation moderne a choisi comme fondement le principe de la liberté, en
vertu duquel l’homme ne doit pas être pour autrui un simple instrument mais
une entité de vie autonome. Eu égard à ce code, un processus historique
grandiose s’est mis en place à tous les niveaux de la vie sociale qui ne s’y
conformaient pas.
1) On a affirmé, pour toutes les nations, le droit à se constituer en États
indépendants. Tout peuple, avec ses caractéristiques ethniques, géographiques,
linguistiques et historiques propres, devait pouvoir trouver dans l’organisme
de l’État dûment créé, suivant sa propre conception de la vie politique, un
instrument apte à satisfaire au mieux ses exigences, en toute indépendance,
sans aucune intervention étrangère. L’idéologie de l’indépendance nationale a
été un puissant levain de progrès: elle a permis de dépasser les chauvinismes
mesquins pour ouvrir à une plus vaste solidarité contre l’oppression des
dominateurs étrangers; elle a levé bon nombre d’obstacles qui empêchaient la
circulation des individus et des marchandises; à l’intérieur des frontières de
chaque nouvel État, elle a étendu les institutions et les systèmes d’organisation
des pays les plus avancés à ceux qui l’étaient le moins. Mais telle idéologie
portait en son sein les germes de l’impérialisme capitaliste que notre génération
a vu se développer jusqu’à former des États totalitaires et déchaîner des guerres
mondiales.
La nation n’est plus considérée à présent comme le produit historique de
la cohabitation entre individus qui, parvenus au terme d’un long processus à
une plus grande unité de moeurs et d’aspirations, trouvent dans l’État la forme
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
la plus efficace d’organisation de leur vie collective au sein de la société. La
nation est devenue au contraire une entité divine, un organisme qui ne doit
penser qu’à son existence et à son développement, sans se soucier le moins du
monde des dommages que pourraient en subir les autres. La souveraineté
absolue a conduit les États nationaux à accroître leur volonté de domination,
chacun se sentant menacé par la puissance des autres et considérant comme son
«espace vital» des territoires de plus en plus vastes, susceptibles de lui
permettre de se mouvoir librement et de lui garantir ses propres moyens de
subsistance sans dépendre d’autrui. Dans ces circonstances, seule l’hégémonie
de l’État le plus fort sur tous les autres États qui lui seraient asservis pourrait
enrayer cette volonté de domination.
Ainsi, de garant de la liberté des citoyens, l’État s’est-il transformé en
maître à l’égard de sujets qu’il tient à son service et sur lesquels il exerce toutes
les facultés étant en son pouvoir pour porter au maximum leur efficacité
guerrière. Même durant les périodes de paix - considérées comme des pauses
nécessaires pour préparer d’autres guerres inévitables –, la volonté des milieux
militaires prédomine désormais dans de nombreux pays sur celle des civils et
rend de plus en plus difficile un fonctionnement libre des organisations
politiques. L’école, les secteurs scientifiques, les systèmes de production,
l’administration doivent principalement contribuer à renforcer le potentiel de
guerre. Les femmes sont considérées comme des mères à soldats; aussi sontelles récompensées selon les critères que l’on applique dans les foires aux bêtes
les plus prolifiques. Les enfants sont éduqués, depuis leur plus jeune âge, au
métier des armes et à la haine de l’étranger. Les libertés individuelles sont
réduites à néant, dès lors que tous sont militarisés et continuellement appelés
sous les drapeaux. Les guerres à répétition obligent à quitter famille et emploi, à
abandonner ses biens et à sacrifier sa vie pour des objectifs dont nul ne
comprend vraiment l’importance. Et voici détruit, en quelques jours, le fruit de
plusieurs années d’efforts et de sacrifices, accomplis pour le bien-être de la
communauté.
Les États totalitaires sont ceux qui ont réalisé l’unification de toutes les
forces avec le plus de cohérence, au moyen d’une extrême centralisation et
autarcie. C’est pourquoi ils se présentent comme les organismes les mieux
adaptés à l’actuel contexte international. Il suffit qu’une nation avance d’un pas
vers un totalitarisme plus accentué pour qu’elle en entraîne d’autres dans son
sillon, mûes par un même instinct de survie.
2) On a affirmé, pour tous les citoyens, le droit à participer à l’expression
de la volonté de l’État, celle-ci devant représenter, dans leur mobilité, la
synthèse des exigences économiques et idéologiques librement manifestées par
les diverses catégories sociales. Telle organisation politique a permis de
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
corriger, du moins d’atténuer, bon nombre d’injustices les plus criantes, léguées
par les régimes précédents. Par ailleurs, les libertés de presse et d’association,
ainsi que l’extension progressive du suffrage électoral, rendaient de plus en
plus difficile le maintien des anciens privilèges dans ce nouveau système
représentatif.
Les plus démunis apprenaient peu à peu à se servir de ces instruments
pour donner l’assaut aux droits acquis par les classes aisées. Les impôts sociaux
sur les rentes et les successions, les taux d’imposition progressifs sur les
grandes fortunes, l’exemption des revenus les plus bas et des biens de première
nécessité, la gratuité de l’école publique, l’augmentation des dépenses en
matière de prévention et de sécurité sociales, les réformes agraires, le contrôle
de la production dans les usines, menaçaient les classes privilégiées dans leurs
citadelles les plus retranchées.
Même les classes privilégiées qui avaient consenti à l’égalité des droits
politiques ne pouvaient admettre que les classes les plus pauvres y aient
recours pour tenter de réaliser une égalité de fait qui aurait concrètement donné
à ces mêmes droits une valeur de liberté effective. À la fin de la première guerre
mondiale, lorsque la menace se fit trop pressante, c’est naturellement que ces
classes privilégiées avaient applaudi et appuyé avec vigueur l’instauration des
dictatures qui retiraient des mains de leurs adversaires des armes légales
d’opposition.
De plus, la création de gigantesques groupes industriels et bancaires, ainsi
que la création de syndicats réunissant autour d’une unique direction des
cohortes entières de travailleurs - chacun faisant pression sur le gouvernement
pour obtenir une politique plus conforme à leurs intérêts particuliers - menaçait
de faire éclater l’État lui-même en de multiples fiefs économiques qu’une lutte
exacerbée auraient opposés. Le système démocratico-libéral, étant devenu pour
ces groupes l’instrument pour mieux exploiter l’ensemble de la communauté,
perdait toujours plus de son prestige. Et ainsi, prenait pied la conviction que
seul l’État totalitaire aurait pu parvenir, en abolissant les libertés populaires, à
résoudre en quelque sorte les conflits d’intérêt que les institutions politiques
existantes n’arrivaient plus à contenir. De fait, les régimes totalitaires ont
ensuite bloqué la position des diverses catégories sociales là où elles étaient
parvenues et ont entravé toute voie légale susceptible de modifier par la suite la
situation en vigueur, d’une part en exerçant un contrôle policier sur la vie de
tous les citoyens et, de l’autre, en éliminant violemment toute forme
d’opposition. C’est ainsi qu’a été garantie l’existence absolument parasitaire
d’une classe de propriétaires terriens absents et de rentiers qui contribuent à la
production nationale uniquement en détachant les coupons de dividendes de
leurs titres, de même qu’ont été garanties l’existence de classes monopolistes et
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
de sociétés en chaîne qui exploitent les consommateurs et rendent volatile
l’argent des petits épargnants, et l’existence de ploutocrates qui dans les
coulisses tirent les ficelles de la politique et dirigent la machine de l’État à leur
seul profit, sous prétexte de répondre aux intérêts supérieurs de la nation. C’est
ainsi également que sont entretenues d’une part les fortunes colossales d’un
petit nom bre et de l’autre la misère des masses qui se voient exclues de la
possibilité de jouir des fruits de la civilisation moderne. Enfin, c’est ainsi qu’a
été sauvegardé un régime économique où les ressources matérielles et les forces
de travail, qui devraient être employées à satisfaire les besoins fondamentaux
des énergies vitales humaines, visent au contraire à satisfaire les désirs les plus
futiles de ceux qui ont les moyens de payer les prix les plus élevés, un régime
économique également où le droit de succession perpétue au sein d’une même
classe la puissance de l’argent, la transformant ainsi en un privilège qui ne
correspond en rien à la valeur sociale attribuée aux services réellement prêtés et
où la marge des possibilités matérielles du prolétariat est si réduite que pour
vivre les travailleurs sont contraints souvent à se laisser exploiter par ceux qui
leur offrent un travail, quel qu’il soit.
En vue d’immobiliser et de soumettre les classes ouvrières, les syndicats se
sont transformés, d’organismes de lutte indépendants qu’ils étaient, dirigés par
des individus qui jouissaient de la confiance de leurs adhérents, en des organes
de surveillance policière placés sous la direction d’employés choisis par le
groupe dirigeant, auquel ils doivent rendre compte. Si le régime économique en
question subit quelques modifications, celles-ci seront toujours et uniquement
dictées par les exigences du militarisme, qui se confondent avec les aspirations
réactionnaires des classes privilégiées soucieuses de créer et de consolider les
États totalitaires.
3) On a affirmé la valeur permanente de l’esprit critique contre le
dogmatisme autoritaire. Tout ce qui était déclaré, devait avoir sa raison d’être
ou disparaître. C’est à cette démarche méthodique et dénuée de tout préjugé
que notre société doit dans tous les domaines ses principales conquêtes. Mais
cette liberté de l’esprit n’a pas su résister à la crise qui a généré les États
totalitaires. De nouveaux dogmes, adoptés par conviction ou par hypocrisie,
font autorité dans toutes les sciences.
Bien que nul ne sache définir ce qu’est une race - les connaissances
historiques les plus élémentaires démontrent d’ailleurs l’absurdité d’une telle
notion –, on exige des philosophes qu’ils pensent, prouvent et convainquent
que l’on appartient à une race élue, uniquement parce que l’impérialisme a
besoin de ce mythe pour exalter auprès des masses les sentiments de haine et
d’orgueil. Les concepts économiques les plus évidents sont frappés d’anathème
et ce, pour présenter la politique autarcique, les échanges équilibrés et les autres
192
A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
vieux instruments du mercantilisme comme d’extraordinaires découvertes de
l’époque actuelle. Du fait de l’interdépendance économique entre les diverses
régions du monde, l’espace vital pour un peuple, désireux de maintenir un
niveau de vie en accord avec la civilisation moderne, est la planète entière.
Aussi at- on inventé une pseudoscience: la géopolitique qui entend démontrer
le bien-fondé théorique de l’espace vital et par là donner une assise théorique à
la volonté de domination qui caractérise l’impérialisme. L’histoire est falsifiée
dans ses données essentielles pour servir les intérêts de la classe au pouvoir. Les
bibliothèques et les librairies sont épurées de tous les ouvrages jugés non
orthodoxes. De nouveau, les ténèbres de l’obscurantisme menacent de juguler
l’esprit humain. La morale sociale de la liberté et de l’égalité est elle-même
battue en brèche. Les individus ne sont plus considérés comme des citoyens
libres pour lesquels l’État est l’organisme servant à réaliser les objectifs de la
communauté. Ils sont au contraire les serviteurs d’un État qui leur fixe leurs
propres objectifs. La volonté de l’État devient ainsi la volonté de ceux qui
détiennent le pouvoir. Les individus ne sont plus des citoyens de droit mais,
soumis à une hiérarchie, ils sont tenus d’obéir sans mot dire aux autorités
supérieures que chapeaute un chef dûment divinisé. Le régime des castes, plein
d’arrogance, renaît de ses cendres.
Après avoir triomphé dans divers pays, cette culture réactionnaire et
totalitaire a pour finir trouvé dans l’Allemagne nazie le terreau fertile pour
parvenir à ses conséquences extrêmes. Grâce à une méticuleuse préparation,
profitant impudemment et sans scrupules des rivalités, des égoïsmes et de la
naïveté des autres nations, entraînant dans son sillage d’autres États européens
vassaux - l’Italie en tête - et s’alliant avec le Japon, l’Allemagne s’est lancée dans
une vaste entreprise de domination. Sa victoire signifierait une consolidation
définitive du totalitarisme dans le monde. Toutes ses caractéristiques s’en
trouveraient exaspérées au plus haut point et les forces progressistes seraient
pendant longtemps condamnées à une simple opposition, nulle en soi.
L’intransigeance et la traditionnelle arrogance des milieux militaires
allemands peuvent déjà nous donner un aperçu du caractère de leur
domination à l’issue d’une guerre victorieuse. Les Allemands victorieux
pourraient même se permettre un semblant de générosité envers les autres
peuples européens, feindre de respecter leurs territoires et leurs institutions
politiques et ainsi gouverner en satisfaisant un stupide sentiment patriotique
qui tient compte de la couleur des barrières aux frontières ou de la nationalité
des hommes politiques qui occupent le devant de la scène et non du rapport
entre les forces en jeu et de la valeur effective des organismes étatiques. Quand
bien même dissimulée, la réalité serait toujours la même: une nouvelle division
de l’humanité entre Spartiates et Hilotes.
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Même l’hypothèse d’un compromis entre les factions antagonistes se
traduirait encore par une ultérieure avancée du totalitarisme puisque les pays
ayant pu se soustraire à l’emprise de l’Allemagne seraient eux-mêmes
contraints d’adopter les mêmes formes d’organisation politique pour se
préparer efficacement à une nouvelle guerre.
Mais si l’Allemagne hitlérienne est parvenue d’une part à abattre un à un
les États plus petits, elle a obligé ce faisant les États plus puissants à entrer en
lice. L’opposition courageuse de la Grande Bretagne - y compris dans les
moments les plus difficiles où elle a dû, seule, tenir tête à l’ennemi - a fait que
les Allemands se sont heurtés à la rude résistance de l’armée soviétique, ce qui a
donné le temps aux Américains de mobiliser leurs ressources de production
illimitées. Et, par ailleurs, la lutte contre l’impérialisme allemand s’est
étroitement associée à celle que le peuple chinois avait engagée de son côté
contre l’impérialisme japonais.
Quantité d’individus et de richesses ont été dressés contre les puissances
totalitaires dont les forces ont atteint leur apogée et ne peuvent désormais que
progressivement se consumer. Les forces adverses ont au contraire surmonté
leur plus bas niveau de dépression et connaissent à présent une remontée.
La guerre entreprise par les Alliés éveille toujours plus chaque jour un
désir de libération, y compris dans les pays qui s’étaient pliés à la violence de
l’attaquant et que le choc subi avaient ébranlés, y compris même parmi les
populations des puissances de l’Axe qui ont conscience de s’être laissées
entraîner dans une situation désespérée, dans le seul but d’assousir la soif de
domination de ceux qui les gouvernent.
Le lent processus qui a conduit quantité d’hommes à se laisser
passivement modeler par le nouveau régime, à s’y conformer et ainsi à le
renforcer, a été endigué. On assiste même au processus contraire. Une vague
immense lentement se soulève: elle se compose de toutes les forces
progressistes, des groupes les plus éclairés de la classe ouvrière que la peur et le
mirage de mille illusions n’ont pas détournés de leur aspiration à une forme de
vie meilleure, des intellectuels qui sont les plus conscients de l’avilissement
auquel est soumise l’intelligence, des entrepreneurs qui se sentant capables de
nouvelles initiatives voudraient se libérer du pesant harnais de la machine
bureaucratique ainsi que des autarcies nationales qui entravent toute possibilité
d’action, de tous ceux enfin qui ont un sens inné de la dignité et refusent de
plier l’échine bien qu’humiliés et asservis.
C’est à toutes ces forces qu’est confiée aujourd’hui l’avenir de notre
civilisation.
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
II. Les Enjeux de l’après-guerre. L’Unité Européenne
Mais la défaite de l’Allemagne n’implique pas automatiquement une
réorganisation de l’Europe suivant notre idéal de civilisation. Durant l’intense quoique brève - période de crise générale (où les États seront à genoux, où les
masses populaires attendront impatientes un discours nouveau et seront
comme de la matière en fusion, ardente et prête à être coulée dans l’empreinte
de formes nouvelles, susceptibles d’accueillir la conduite d’hommes réellement
internationalistes), les classes les plus privilégiées dans les anciens systèmes
nationaux pourront tenter, sournoisement ou par la violence, d’infléchir l’élan
de sentiments et de passions internationalistes et s’emploieront ostensiblement
à reconstruire les anciens organismes de l’État. Il est par ailleurs probable que
des dirigeants britanniques - de concert même avec les dirigeants américains tenteront de faire avancer les choses en ce sens, afin de restaurer une politique
d’équilibre des pouvoirs qui assure de toute évidence l’intérêt immédiat de
leurs empires.
Les forces conservatrices, à savoir les dirigeants des principales
institutions des États nationaux, mais aussi les cadres supérieurs des forces
armées au faîte de la hiérarchie dans les monarchies encore existantes, les
groupes du capitalisme monopoliste qui ont lié leurs profits au sort des États,
les grands propriétaires fonciers et les hiérarchies supérieures de l’Église dont
seule une rigoureuse société conservatrice peut garantir les revenus
parasitaires, et à leur suite la multitude innombrable de ceux qui dépendent
d’eux ou qui sont aveuglés par leur traditionnelle puissance: toutes ces forces
réactionnaires ont aujourd’hui le sentiment que l’édifice est fissuré de toutes
parts et qu’il faut le sauver. Son effondrement les priverait soudain de toutes les
garanties dont elles ont joui jusqu’à présent et les exposerait à l’assaut des
forces progressistes.
La situation révolutionnaire: anciennes et nouvelles orientations
La chute des régimes totalitaires sera ressentie par bien des peuples comme
l’avènement de la «liberté». Tout frein aura été levé. Les libertés de parole et
d’association règneront alors automatiquement et largement. Ce sera le
triomphe des tendances démocratiques. Celles-ci ont de multiples nuances qui
vont d’un libéralisme conservateur au socialisme ou à l’anarchie. Elles croient
en une «génération spontanée» des événements et des institutions, en la totale
bonne foi des impulsions venues du bas. Elles ne veulent pas forcer la main à
l’«histoire», au «peuple», au «prolétariat» ou à tout autre nom donné à leur
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
dieu. Elles souhaitent la fin de toute dictature, synonyme d’une restitution au
peuple de ses droits imprescriptibles à l’autodétermination. Le couronnement
de leurs rêves serait une assemblée constituante élue au suffrage le plus large
possible et dans le strict respect du droit des électeurs, qui déciderait de la
Constitution à adopter. Si les citoyens ne sont pas mûrs encore, le risque est
sans doute de proposer une mauvaise Constitution, mais ce n’est qu’à travers
un constant travail de persuasion que l’on pourra la corriger.
Les démocrates n’excluent pas, par pur principe, l’usage de la violence.
Mais ils y auront recours uniquement lorsque la majorité sera convaincue
qu’elle est indispensable, uniquement donc lorsqu’elle ne sera pas plus qu’un
point superflu à mettre sur un «i». Ainsi les démocrates sont-ils des dirigeants
faits pour gouverner en des périodes d’administration ordinaire où les citoyens
sont dans l’ensemble persuadés du bien-fondé de leurs principales institutions
qui ne demanderont à être modifiées que dans des aspects relativement
secondaires. Au cours de périodes révolutionnaires où les institutions ne sont
pas à administrer mais à créer, la pratique démocratique fait manifestement
faillite. Les révolutions russe, allemande et espagnole offrent trois des plus
récents témoignages de la désolante impuissance des démocrates. Dans chacun
de ces pays, après la chute du vieil appareil étatique et de son système législatif
et administratif, on a vu aussitôt se multiplier, sous le couvert d’une légalité
renouvelée, quantité d’assemblées et de représentations populaires où
convergent et s’agitent toutes les forces sociales progressistes. Certes la
population a des besoins fondamentaux à satisfaire mais elle ne sait avec
précision ce qu’elle veut ni ce qu’elle doit faire. Mille cloches résonnent à ses
oreilles. Avec ses millions de têtes, elles ne parvient pas à s’orienter et elle se
divise en quantité de tendances antagonistes.
Au moment où il faudrait faire preuve d’une détermination et d’un
courage extrêmes, les démocrates se sentent perdus, n’ayant pour les soutenir
qu’un ensemble de passions désordonnées et non un consensus populaire
spontané. Ils croient que leur tâche est de créer ce consensus: aussi ont-ils des
allures de prédicateurs qui exhortent les populations, plutôt que d’être des
chefs ou des guides qui sachent où les mener. Ils laissent passer les occasions
qui se présentent à eux de consolider le nouveau régime et préfèrent au
contraire tenter de faire immédiatement fonctionner des institutions qui non
seulement supposent une longue préparation mais sont mieux adaptées à des
périodes de relative tranquillité politique. Ils offrent ainsi à leurs adversaires les
armes qu’ils useront ensuite contre eux. Ils représentent en somme, par leurs
mille tendances, non pas une volonté de renouvellement, mais au contraire les
confuses velléités qui règnent dans tous les esprits et qui préparent, tout en se
paralysant mutuellement, un terrain propice au développement de la réaction.
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Le processus politique démocratique ne sera plus qu’un poids mort au coeur
même de la crise révolutionnaire.
À mesure que les démocrates auront épuisé en logomachies leur
popularité initiale de partisans de la liberté, faute d’une sérieuse politique
révolutionnaire, on verra immanquablement se recomposer les institutions
politiques pré-totalitaires et la lutte se redéploiera suivant les anciens schémas
de l’affrontement entre classes.
Le principe en vertu duquel la lutte des classes est le dénominateur
commun de tous les problèmes a constitué entre autres l’orientation
fondamentale des ouvriers d’usines et a servi à donner corps à leur politique,
aussi longtemps que n’étaient pas remises en cause les institutions
fondamentales. Mais ce même principe devient un instrument d’isolement du
prolétariat lorsque s’impose l’exigence de transformer l’organisation de la
société dans sa totalité. Les ouvriers, du fait de leur éducation fondée sur la
lutte des classes, ne savent voir que leurs revendications particulières de classe,
ou de catégorie, sans se soucier de les relier aux intérêts des autres catégories de
la société. Ou encore aspirent-ils à une dictature unilatérale de leur classe afin
de réaliser la collectivisation utopique de tous les instruments matériels de
production qu’une propagande centenaire a indiquée comme le remède absolu
contre tous les maux. Telle politique n’a prise sur aucune autre catégorie,
hormis celle des ouvriers qui privent ainsi les autres forces progressistes de leur
soutien, voire les abandonnent à la merci de la réaction qui habilement les
manipule de façon à briser l’échine du mouvement prolétarien lui-même.
En regard des diverses tendances prolétariennes, partisanes d’une
politique de classe et d’un idéal collectiviste, les communistes ont admis la
difficulté d’obtenir le soutien d’un nombre suffisant de forces pour assurer la
victoire. Aussi, à la différence des autres partis, se sont-ils transformés en un
mouvement rigoureusement discipliné qui organise les ouvriers en usant du
mythe russe, sans soumettre sa ligne de conduite à leurs revendications mais en
se servant d’eux au contraire pour les manœuvres les plus disparates.
Une telle attitude rend, dans les périodes de crise révolutionnaire, les
communistes plus efficaces que les démocrates. Cependant, parce qu’ils
s’efforcent de maintenir la distinction entre les classes ouvrières et les autres
forces révolutionnaires - notamment en prêchant que la «véritable» révolution
doit encore avoir lieu - ils constituent dans les moments décisifs un élément
sectaire qui affaiblit l’ensemble. Qui plus est, leur allégeance totale à l’État russe
- lequel s’en est d’ailleurs systématiquement servi pour atteindre les objectifs de
sa politique nationale - les empêche de mener une politique ayant un tant soit
peu de continuité. Ils ont constamment besoin de se dissimuler derrière un
Karoly, un Blum ou un Negrin pour ne courir ensuite qu’à leur perte, à l’instar
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
des pantins démocratiques dont ils se sont inspirés. Car le pouvoir ne se
conquiert, ni ne se garde par la ruse uniquement, mais grâce à la capacité de
répondre de manière vitale et concrète aux besoins de la société moderne.
Si demain la lutte devait se limiter au seul domaine national traditionnel, il
serait bien difficile alors d’échapper aux anciennes apories. De fait, les États
nationaux ont déjà profondément planifié leurs économies respectives, au point
que la question centrale se résoudrait bien vite à savoir quel groupe d’intérêts,
voire quelle classe, tient les commandes de la planification. Le front des forces
progressistes se briserait alors sans difficulté dans le conflit qui oppose les
diverses classes et catégories économiques. Selon toute probabilité, les
réactionnaires en tireraient le meilleur profit.
Un véritable mouvement révolutionnaire ne peut provenir que des rangs
de ceux qui se sont montrés capables de critiquer les vieilles théories politiques.
Il devra en outre être capable de collaborer avec les forces démocratiques, avec
les forces communistes et, plus généralement, avec celles qui voudront coopérer
à la désagrégation du totalitarisme, sans toutefois se laisser séduire par telle ou
telle autre ligne politique.
Les forces réactionnaires disposent d’hommes et de cadres habiles, formés
au commandement, qui se battront avec acharnement pour conserver leur
suprématie. En ce moment grave, elles sauront se présenter bien camouflées et
proclameront vouloir défendre la liberté, la paix, le bien-être général, ainsi que
l’intérêt des classes les plus pauvres. Dans le passé, nous avons déjà pu
observer leur capacité à se placer dans le sillage des mouvements populaires
qu’elles ont ensuite paralysés et déviés de leurs objectifs pour les convertir enfin
en leur exact contraire. Elles constitueront sans nul doute la force la plus
dangereuse qu’il nous faudra affronter.
Le moyen dont elles se serviront comme d’un levier sera la restauration de
l’État national. Elles pourront ainsi exploiter un sentiment populaire fort
répandu, qui plus est humilié par les récents événements et aisément utilisable
à des fins réactionnaires: le sentiment patriotique. De la sorte, elles peuvent
même espérer créer une certaine confusion dans l’esprit de leurs adversaires.
Les masses populaires n’ont pas d’autre expérience politique que celle qu’elles
ont acquise dans un contexte national; il est donc facile de les conduire, de
même que leurs chefs les plus myopes, sur le terrain de la reconstruction des
États que la tempête a abattus.
Si elles atteignaient cet objectif, la réaction l’emporterait. Ces États
pourraient même en apparence être des États largement démocratiques ou
socialistes: le retour des réactionnaires au pouvoir ne serait qu’une question de
temps. On verrait alors resurgir les jalousies nationales et chaque État confierait
de nouveau, à la seule force des armes, la satisfaction de ses exigences.
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
L’ambition prioritaire serait une fois encore, à plus ou moins court terme, celle
de transformer les peuples en armées. Les généraux recommenceraient à
commander, les monopolistes à profiter des autarcies, les corps bureaucratiques
à grossir, les prêtres à rendre les masses dociles. Toutes les conquêtes des
premiers temps se réduiraient à néant devant la nécessité de devoir à nouveau
se préparer pour la guerre. Le problème urgent à résoudre, sous peine de
rendre illusoire tout autre progrès, est l’abolition définitive de la division de
l’Europe en États nationaux souverains. L’effondrement de la plupart des États
du continent sous le rouleau compresseur allemand a déjà unifié le destin des
peuples européens qui se trouvent face à deux options: se soumettre à la
domination hitlérienne ou, après la défaite de celle-ci, s’engager tous ensemble
dans une crise révolutionnaire où ils ne seront plus figés et séparés en de
rigides structures étatiques. Les esprits sont aujourd’hui bien mieux disposés
que dans le passé à l’égard d’une réorganisation fédérale de l’Europe. La rude
expérience de ces dernières décennies a ouvert les yeux même de ceux qui
refusaient de voir et a produit bon nombre de circonstances favorables pour
notre idéal.
Tous les hommes de bon sens reconnaissent désormais qu’on ne peut
maintenir un équilibre entre des États européens indépendants au sein desquels
l’Allemagne militariste jouirait des mêmes conditions que les autres pays, ni
morceler l’Allemagne et lui tenir la bride haute une fois vaincue. La preuve en
est qu’aucun pays en Europe ne peut rester en marge tandis que les autres se
battent, les déclarations de neutralité et de pactes de non agression n’ayant
aucune valeur. On a pu démontrer l’inutilité, voire le caractère nuisible,
d’organismes comme la Société des Nations qui prétendait garantir un droit
international sans l’appui d’une force militaire pour imposer ses décisions et
faire respecter dans le même temps la souveraineté absolue des États membres.
Tout aussi absurde s’est révélé le principe de non intervention en vertu duquel
tout peuple est libre de se doter du gouvernement despotique de son choix,
comme si la constitution interne de chaque État n’était pas d’un intérêt vital
pour tous les autres pays européens. Les nombreux problèmes qui
empoisonnent la vie internationale du continent sont demeurés sans solution (le
tracé des frontières dans les régions à population mixte, la défense des
minorités allogènes, les débouchés maritimes des pays n’en disposant pas, la
question des Balkans, la question irlandaise, etc). La Fédération Européenne
pourrait offrir une solution des plus simples à ces problèmes, sur le modèle
d’une plus vaste unité nationale au moyen de laquelle un certain nombre de
petits États avaient déjà cherché, par le passé, à résoudre des problèmes
analogues qui, ainsi, perdaient de leur acuité en devenant des problèmes de
relations entre les diverses provinces d’une même nation.
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
En outre, la fin du sentiment de sécurité que la Grande Bretagne tirait de
sa position inattaquable - qui la poussait à affecter sa «splendid isolation» –, la
dissolution de la République française et celle de son armée à la première
offensive sérieuse des forces allemandes (un résultat - il faut l’espérer - qui aura
fortement émoussé la conviction chauviniste d’une véritable supériorité
française) et, en particulier, la conscience de la gravité du danger encouru par
un asservissement général, telles sont globalement les circonstances qui
favoriseront la constitution d’un régime fédéral susceptible de mettre fin à
l’anarchie actuelle. Par ailleurs, le fait que l’Angleterre a désormais accepté le
principe de l’indépendance indienne et que la France a potentiellement perdu,
par l’acceptation de sa défaite, tout son empire, permet également de trouver
plus aisément les bases d’un accord pour un aménagement européen des
«possessions coloniales».
Enfin, à cela s’ajoutent la disparition de quelques-unes des principales
dynasties et la fragilité des fondements qui soutiennent les dynasties ayant
subsisté. Il convient effectivement de tenir compte du fait que les dynasties,
considérant les divers pays comme leur apanage traditionnel, représentaient, en
raison des puissants intérêts qu’elles défendaient, un obstacle sérieux à une
organisation rationnelle des États Unis d’Europe, lesquels ne peuvent se fonder
que sur une constitution républicaine de tous les pays fédérés. Et lorsque,
franchissant l’horizon du Vieux Continent, on tente d’embrasser par une vision
d’ensemble tous les peuples qui composent l’humanité, il faut pourtant bien
reconnaître que la Fédération Européenne est l’unique garantie envisageable
pour que les relations avec les peuples d’Asie et d’Amérique puissent se nouer
sur la base d’une coopération pacifique, avant que ne soit possible, dans un
avenir plus lointain, l’unité politique de la planète entière.
Aussi la ligne de partage entre partis progressistes et partis réactionnaires
ne se trace-t-elle plus d’après la ligne formelle de la démocratie ou du
socialisme plus ou moins avancés qu’il faut instaurer, mais d’après la toute
nouvelle - et par ailleurs essentielle - ligne de faîte qui sépare ceux qui
conçoivent la lutte selon sa finalité fondamentale traditionnelle, à savoir la
conquête du pouvoir politique national (faisant ainsi, quand bien même
involontairement, le jeu des forces réactionnaires en laissant se solidifier dans
l’ancien moule la lave incandescente des passions populaires et en permettant
que resurgissent les incohérences du passé), de ceux qui envisagent la création
d’un État international stable comme le principal enjeu, si bien qu’ils
chercheront à canaliser vers ce but les forces populaires et qu’ils se serviront du
pouvoir national, après l’avoir conquis, en priorité comme d’un instrument
pour réaliser l’unité internationale.
200
A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
C’est par le biais de la propagande et de l’action, c’est en cherchant à
établir par tous les moyens possibles des accords et des liens entre les divers
mouvements qui se forment certainement dans chaque pays, qu’il faut dès à
présent jeter les bases d’un mouvement capable de mobiliser toutes les forces
pour donner naissance à une nouvelle organisation qui sera l’idée la plus
grandiose et la plus novatrice que l’Europe ait connue depuis des siècles. Et ce,
plus largement, en vue de constituer un État fédéral stable qui dispose, au lieu
des armées nationales, d’une force armée européenne qui ait les structures et les
moyens suffisants pour faire appliquer dans les divers États fédérés des
directives qui veilleront au maintien d’un ordre communautaire, tout en
garantissant aux États eux-mêmes l’autonomie nécessaire pour permettre une
articulation et un déroulement souples de la vie politique, conformément aux
caractéristiques de chacune des nations.
S’il se trouve, dans les principaux pays, assez d’hommes pour comprendre
cela, la victoire sera bientôt entre leurs mains, car les circonstances et les esprits
sont non seulement favorables à leur projet, mais ils ont aussi face à eux des
partis et des mouvements déjà discrédités par l’expérience désastreuse de ces
vingt dernières années. L’heure étant venue d’accomplir des actions nouvelles,
l’heure viendra aussi d’accueillir des hommes nouveaux et d’accueillir le
MOUVEMENT POUR UNE EUROPE LIBRE ET UNIE.
201
A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
III. Les Enjeux de l’Après-guerre. La Réforme de la Societé
Une Europe libre et unie est le préambule nécessaire à une consolidation de la
civilisation moderne. La fin de l’ère totalitaire, qui en a marqué le coup d’arrêt,
permettra de reprendre totalement et immédiatement le processus historique
engagé contre les inégalités et les privilèges sociaux. Toutes les anciennes
institutions conservatrices qui entravaient sa réalisation auront été anéanties ou
seront sur le point de l’être. Il faudra exploiter cette situation de crise avec
courage et détermination.
Si elle veut répondre à nos exigences, la révolution européenne sera
socialiste ou ne sera pas. Autrement dit, elle devra proposer l’émancipation des
classes ouvrières ainsi que l’obtention pour celles-ci de conditions de vie plus
humaines. Toutefois, la ligne d’orientation à suivre pour prendre des mesures
en ce sens ne saurait s’appuyer sur un principe purement doctrinal, suivant
lequel la propriété privée des moyens matériels de production doit être en
théorie abolie mais tolérée provisoirement lorsqu’elle apparaît inévitable.
L’étatisation générale de l’économie a été la première forme d’utopie qui avait
laissé croire aux classes ouvrières en une libération possible du joug capitaliste.
Mais quand bien même elle serait totalement instituée, elle ne conduirait pas au
but rêvé mais bien à la constitution d’un régime où l’ensemble de la population
serait asservie à la classe restreinte des bureaucrates gérant l’économie.
Le véritable principe fondamental du socialisme - et pour lequel le
principe de la collectivisation générale n’a été qu’une déduction hâtive et
erronée - est le principe selon lequel les forces économiques ne doivent pas
prendre le pas sur les individus mais - comme c’est le cas pour les forces
naturelles - leur être soumises, se laisser guider et contrôler par eux, le plus
rationnellement possible, afin que les masses ne soient plus leurs victimes. Il
faut éviter que les gigantesques forces de progrès, sublimant les intérêts
individuels, ne s’enlisent dans les eaux stagnantes de la pratique routinière et
ne se retrouvent ensuite confronter à l’insoluble problème de devoir ressusciter
l’esprit d’initiative, moyennant des salaires différenciés ou toute autre mesure
de ce genre. Il faut au contraire que ces forces soient encouragées, qu’on leur
offre la possibilité de s’accroître et de s’engager davantage. Et, dans le même
temps, il faut renforcer et perfectionner les digues qui les canalisent et les
orientent vers les objectifs qui présentent les meilleurs avantages pour
l’ensemble de la collectivité.
La propriété privée doit être abolie, limitée, corrigée, voire élargie cas par
cas, et non par pur principe dogmatique. Cette directive s’inscrit naturellement
202
A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
dans le processus visant à la formation d’une réalité économique européenne
qui serait affranchie des cauchemars du militarisme ou d’un bureaucratisme
national. Une résolution rationnelle des problèmes devra s’imposer sur toute
résolution irréfléchie, y compris dans la conscience des travailleurs. Pour
illustrer de façon précise le contenu de cette directive et, puisque l’intérêt et les
modalités de chaque point programmatique devront toujours être évalués en
fonction du présupposé désormais indispensable qu’est l’unité européenne,
nous souhaiterions mettre en relief les points suivants:
a) On ne peut plus laisser entre les mains des privés les entreprises qui, de
par leur activité essentiellement monopoliste, sont en état d’exploiter la masse
des consommateurs. Ce sont, par exemple, les industries électriques, mais aussi
toutes les entreprises que l’on veut maintenir en vie pour des raisons d’intérêt
collectif mais qui ont besoin pour survivre de droits protecteurs, de subventions
ou de commandes de faveur, etc. (à cet égard, l’industrie sidérurgique en Italie
est aujourd’hui l’exemple le plus remarquable), ou encore toutes les entreprises
qui, par le volume des capitaux investis, par le nombre d’ouvriers qu’elles
emploient ou par l’importance du secteur où elles opèrent, peuvent faire
pression sur les organes de l’État et imposer une politique qui est à leur
avantage (c’est le cas des industries minières, des grands groupes bancaires, des
principales sociétés d’armement). C’est là un domaine où il faudra sans nul
doute procéder à des nationalisations sur une vaste échelle, sans se soucier des
droits acquis.
b) Les caractéristiques qui ont réglementé, dans le passé, le droit de
propriété et le droit de succession, ont favorisé entre les mains de quelques
privilégiés l’accumulation de richesses qu’il faudra redistribuer de manière
égalitaire, au cours d’une période de crise révolutionnaire. Ceci permettra
d’éliminer les groupes parasitaires et de donner aux travailleurs les moyens de
production dont ils ont besoin, dans la perspective également d’améliorer leurs
conditions de vie et de leur assurer des moyens de subsistance plus autonomes.
C’est pourquoi nous avons projeté à la fois une réforme agraire qui donnera la
terre à ceux qui la cultivent et augmentera ainsi considérablement le nombre de
propriétaires et une réforme industrielle qui étendra l’accès à la propriété parmi
les travailleurs des secteurs non étatisés, au moyen de gestions coopératives,
d’un actionnariat ouvrier, etc.
c) Il faut prévoir d’aider les jeunes par des dispositions aptes à réduire le
plus possible les inégalités de départ, au seuil de la lutte qu’est l’existence. En
particulier, l’école publique devra offrir aux meilleurs élèves - et non aux plus
riches seulement - les moyens réels de poursuivre des études jusqu’aux niveaux
supérieurs et elle devra préparer, dans toutes les filières et pour faciliter l’accès
aux diverses professions et activités libérales ou scientifiques, un nombre
203
A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
d’individus en mesure de répondre à la demande du marché, de sorte que les
salaires moyens puissent être maintenus à un niveau plus ou moins égal,
quelles que soient les catégories professionnelles ou les différences de
rémunération au sein de chacune d’elle, établies selon les diverses compétences
individuelles.
d) Désormais, grâce aux technologies modernes, le potentiel quasi illimité
de la production massive de produits de première nécessité permet de garantir
à tous, à des coûts sociaux relativements maîtrisés, la nourriture, le logement et
l’habillement, ainsi que le confort minimum pour garantir le sentiment de la
dignité humaine. La solidarité humaine envers ceux qui succombent dans la
lutte économique ne devra donc plus se traduire par des formes de charité en
soi humiliantes et par surcroît génératrices de ces mêmes maux auxquelles elles
prétendent remédier, mais au contraire par une série de mesures d’assistance
qui garantissent à tous - qu’ils soient en mesure ou non de travailler - un niveau
de vie digne, sans pour autant réduire la motivation au travail et à l’épargne.
Ainsi la misère n’obligera-t-elle plus personne à accepter des contrats de travail
astreignants.
e) La libération des classes laborieuses ne se fera qu’en mettant en place
les conditions évoquées aux points précédents, autrement dit en évitant que ces
mêmes classes ne soient de nouveau à la merci de la politique économique des
syndicats monopolistes qui se bornent à appliquer, au sein du monde ouvrier,
les logiques d’exploitation typiques avant tout du grand capital. Les travailleurs
doivent être libres par contre de choisir leurs représentants qui négocieront les
conditions collectives auxquelles ils accepteront de prêter leurs services. Et
l’État devra prédisposer les moyens juridiques nécessaires pour que soient
respectés les accords conclus. Mais, toutes les tendances monopolistes ne
pourront être efficacement combattues que lorsque ces transformations sociales
auront été réalisées.
Tous ces changements sont nécessaires si l’on veut recueillir, autour de ce
nouvel ordre, un large consensus de la part des citoyens et donner à la vie
politique un caractère de liberté consolidée, empreinte également d’un sens
profond de solidarité sociale. Les libertés politiques, elles-mêmes fondées sur
ces principes, pourront avoir aux yeux de tous un contenu concret - et non de
pure forme uniquement - car l’ensemble des citoyens jouira d’une
indépendance et de connaissances suffisantes pour exercer un contrôle efficace
et permanent de la classe dirigeante.
Il nous paraît superflu de nous étendre sur le sujet des institutions
constitutionnelles, faute de pouvoir prévoir les conditions où elles verront le
jour et où elles opèreront. Nous ne ferions que répéter ce que tout le monde sait
déjà sur le besoin d’organismes représentatifs, sur la promulgation des lois, sur
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A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
l’indépendance de la magistrature qui viendra remplacer la magistrature
actuelle et sera chargée de l’application impartiale des lois, sur les libertés de
presse et d’association indispensables pour informer l’opinion publique et
donner à tous les citoyens la possibilité de participer réellement à la vie de la
nation. Ceci étant dit, deux questions méritent néanmoins d’être approfondies,
ne serait-ce qu’en raison de leur singulière importance en ce moment pour notre
pays: il s’agit des rapports entre l’Église et l’État d’une part et, de l’autre, du
caractère de la représentation politique :
a) Le concordat par lequel le Vatican a conclu en Italie une alliance avec le
fascisme devra évidemment être aboli pour affirmer le caractère purement laïc
de l’État et établir sans équivoque la suprématie de l’État dans la vie de la
nation. Toutes les confessions religieuses devront être respectées sans
distinction aucune, mais l’État n’aura plus à prévoir un budget pour les cultes.
b) La baraque de papier mâché que le fascisme a bâtie à travers une
organisation corporatiste s’effondrera, en même temps que s’effondreront tous
les autres pans de l’État totalitaire. Certains considèrent qu’on pourra, de ces
débris, tirer les matériaux nécessaires à la construction d’un nouvel ordre
constitutionnel. Quant à nous, nous ne le croyons pas. Dans les États
totalitaires, les chambres corporatistes ne sont que la énième mascarade
parachevant le contrôle policier exercé sur les travailleurs. Quand bien même
les chambres corporatistes seraient l’expression sincère des diverses catégories
de producteurs, les organes représentatifs des diverses catégories
professionnelles ne pourraient pas avoir les compétences suffisantes en matière
de politique générale et, dans le cadre de questions plus précisément
économiques, elles deviendraient des organismes autoritaires au service des
catégories les plus puissantes au plan syndical. Certes, les syndicats auront
d’amples fonctions de collaboration avec les organes de l’État chargés de
résoudre les problèmes qui les concernent plus directement, mais il est
absolument exclu qu’il leur soit confiée une quelconque fonction législative. Ce
serait donner libre cours, au sein de la vie économique du pays, à une anarchie
féodale qui aboutirait à un nouveau despotisme politique. Nombre de ceux qui
se sont laissés ingénument séduire par le mythe corporatiste devront à présent
nécessairement être séduits par ce processus de renouvellement. Mais encore
faudra-t-il qu’ils se rendent compte de l’absurdité de la solution dont ils avaient
confusément rêvé. Le corporatisme ne peut réellement exister que dans la forme
que lui attribue les États totalitaires pour enrégimenter les travailleurs sous les
ordres de fonctionnaires chargés de contrôler leurs moindres mouvements, et ce
dans l’intérêt de la classe dirigeante.
On ne peut concevoir qu’au moment décisif le parti révolutionnaire soit
improvisé, telle l’œuvre de dilettantes. Il doit au contraire, dès à présent,
205
A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
commencer à définir pour le moins une ligne politique centrale avec ses
structures générales et ses directives d’action essentielles. Il ne saurait en aucun
cas représenter une masse de tendances hétérogènes, rassemblées de manière
transitoire et stérile, uniquement pour leur passé antifasciste, attendant toutes la
chute du régime totalitaire et prêtes ensuite à se disperser, chacune dans sa
propre direction, une fois le but atteint. Le parti révolutionnaire sait bien au
contraire que c’est à ce moment-là que commencera véritablement pour lui son
action. Aussi devra-t-il se composer d’hommes capables de converger sur les
principaux problèmes de l’avenir.
Au moyen d’une propagande méthodique, le parti révolutionnaire doit
pouvoir pénétrer partout où se trouvent des victimes de l’oppression du régime
actuel. Et, partant à chaque fois du problème le plus aigu pour les individus ou
pour les classes, il devra chercher à montrer comment ce problème est lié à
d’autres problèmes et il en indiquera la solution. De plus, il devra recruter
comme organisateurs du mouvement, dans le cercle de plus en plus vaste de ses
sympathisants, uniquement ceux qui ont fait de la révolution européenne le
principal objectif de leur vie, ceux qui accomplissent jour après jour, avec
discipline, le travail nécessaire et ceux qui veillent à en assurer la bonne marche
de manière continue et avisée, même au cœur des situations d’illégalité les plus
rudes, si bien qu’ils constituent un réseau consolidé, en mesure de donner une
véritable stabilité au groupe plus fragile des sympathisants.
Sans négliger aucune occasion ni aucun domaine pour divulguer son
message, il doit en tout premier lieu orienter son action vers les milieux les plus
importants en tant que centres de diffusion des idées et de recrutement des
hommes d’action. Autrement dit, principalement vers les deux groupes sociaux
les plus sensibles aujourd’hui et qui seront demain les plus déterminants: la
classe ouvrière et les milieux intellectuels. La classe ouvrière est celle qui a le
moins pliée sous la férule totalitaire; elle sera donc la mieux disposée à
réorganiser ses rangs. Quant aux intellectuels, notamment les plus jeunes, ils se
sentent mentalement opprimés au plus haut point et n’éprouvent que dégoût
envers le régime despotique au pouvoir. Peu à peu, d’autres catégories sociales
seront inévitablement attirées dans le mouvement général actuel.
Tout mouvement qui échouerait dans l’ambition de rallier ces forces, est
condamné à être stérile. S’il se limite à n’être qu’un mouvement d’intellectuels,
il se privera de la force nécessaire pour vaincre les résistances réactionnaires et
il aura une attitude de défiance à l’égard de la classe ouvrière qui se méfiera
elle-même en retour. Et bien qu’animé de sentiments démocratiques, il sera
enclin à s’engager, devant les difficultés, sur le terrain de la mobilisation de
toutes les autres classes contre les ouvriers, autrement dit à s’engager dans la
voie de la restauration du fascisme. S’il s’appuie au contraire sur le prolétariat,
206
A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
il se privera d’une clarté de réflexion qui ne peut venir que des intellectuels et
qui est indispensable pour identifier de manière efficace les actions et les
orientations nouvelles. Il demeurera ainsi prisonnier du vieil antagonisme de
classe, il verra des ennemis partout et il s’abandonnera à la solution
communiste doctrinale.
Durant la crise révolutionnaire, c’est à ce mouvement qu’il incombe
d’organiser et de diriger les forces progressistes, en s’appuyant sur tous les
mouvements populaires qui spontanément se forment, à l’image de creusets
ardents où viennent se mêler les masses révolutionnaires, non pour exprimer
un plébiscite mais dans l’attente d’être guidées. Ce mouvement puise l’intuition
et la certitude de ce qu’il doit faire, non dans une consécration préalable
émanant d’une volonté populaire encore inexistante, mais dans la conscience de
représenter les exigences profondes de la société moderne. Ainsi pourra-t-il
dicter les toutes premières directives du nouvel ordre, la toute première
discipline sociale aux masses encore informes. C’est à travers la dictature du
parti révolutionnaire que prendra forme le nouvel État sur duquel se fondera
véritablement la nouvelle démocratie. Il n’est pas à craindre que ce régime
révolutionnaire conduise obligatoirement à un nouveau despotisme. Le risque
qu’il y conduise n’existe que si ce régime a modelé un type de société servile.
Mais si le parti révolutionnaire est capable de créer, d’une main ferme, dès le
début, les conditions pour l’avènement d’une société libre où tous les citoyens
pourront réellement participer à la vie de la nation, son évolution se fera - fût-ce
au prix de quelques crises secondaires - dans le sens d’une progressive
compréhension et acceptation de l’ordre nouveau de la part de tous, et donc
dans le sens d’un fonctionnement libre et de plus en plus efficace des
institutions politiques. Le moment est venu aujourd’hui de se débarrasser des
vieux fardeaux devenus encombrants, de se tenir prêts à accueillir le monde
nouveau qui se présente à nous, si différent de celui que nous avions imaginé,
d’écarter parmi les plus âgés ceux qui se révèlent inadaptés pour laisser la place
aux plus jeunes et encourager les nouvelles énergies. C’est aujourd’hui qu’il
nous faut chercher et trouver, pour tisser la toile de l’avenir, ceux qui ont su
identifier les causes de la crise actuelle de la civilisation européenne et qui sont
de ce fait les héritiers de tous les mouvements ayant contribué au progrès de
l’humanité mais qui ont fait naufrage, faute d’avoir su comprendre quel était le
but à atteindre et quels étaient les moyens pour y parvenir. Le chemin à
parcourir n’est ni facile ni sûr, mais il faut le parcourir et nous le ferons!
Altiero Spinelli - Ernesto Rossi
207
A. Spinelli, E. Rossi ,Le Manifeste
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Die Kraft der Utopie
von Mauro Ponzi
Das Manifest für ein freies und vereintes Europa, das von Altiero Spinelli 1941 in
Ventotene geschrieben wurde, entstand in Zusammenarbeit mit Ursula
Hirschmann (die er später heiratete), Ernesto Rossi und Eugenio Colorni.
Spinelli war ein sehr aktiver und „visionärer“ Politiker, er hatte keine Angst
gehabt, politische Lösungen vorzuschlagen, die in jenem Moment utopisch
schienen. Das Erlebnis des Krieges, der Gefangenschaft und der Verbannung
brachten ihn dazu, radikale und ganz andere Lösungen als die üblichen
anzubieten. Das Erlebnis des Krieges führte ihn zu der Überzeugung, dass eine
neutrale Einstellung unmöglich war. Man musste unbedingt Stellung nehmen.
In dem Manifest werden, mit der damaligen politischen Terminologie, die
Grundprinzipien des Antifaschismus und der Demokratie verteidigt, vor allem
aber der Vorschlag, eine Föderation der europäischen Staaten zu gründen, der
auf eine langjährige europäistische Tradition ideell zurückgreift, jedoch neue,
eigenartige und originelle Züge annimmt. Gegen die wirtschaftliche und
politische Krise jener Jahre schildert Spinelli eine anspruchsvolle und
weitgehende Perspektive. Man muss die Lösung der nationalen Konflikte und
des wirtschaftlichen Umbaus auf Weltebene betrachten. Ein freies und vereintes
Europa wird als ein logisches und konsequentes Ergebnis des Kampfes für die
Demokratie bezeichnet, und zwar als Ergebnis einer Rationalisierung der
politischen, gesellschaftlichen und wirtschaftlichen Bedürfnisse der neuen Zeit:
Den Nationalismus überwinden durch eine Bündnisperspektive, in der das
Eigentliche nicht verschwindet, sondern in einer Einheit von Verschiedem
verstärkt wird.
Spinelli erkennt ganz genau die Gefahr des Lokalpatriotismus, der in der
extremen Form des Nationalismus falsche Lösungen zu konkreten politischen
und wirtschaftlichen Problemen jener Zeit durchsetzen wollte. Es ist Spinelli
gelungen, die Entwicklung der sozialpolitischen Ereignisse vorherzusehen und
schneller als seine Zeitgenossen zu bestimmen und eine konkrete Antwort zur
Globalisierung als Vorschlag einer politischen und wirtschaftlichen
Organisation zu formulieren, die über die alten politischen Kategorien
hinausgehen könnte. Man kann die Aktualität seines Denkens ganz genau
feststellen, wenn man seine Thesen mit der heutigen politischen Debatte
vergleicht: Die Auseinandersetzung Globalismus/Lokalismus und die Studien
über die Topographie des Fremden formulieren nämlich in neuen und
208
M. Ponzi, Die Kraft
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
moderneren Termini und mit einem ganz anderen wissenschaftlichen und
methodologischen Apparat einige Intuitionen von Spinelli. Er hat sein Leben
lang zunächst im italienischen Parlament der Nachkriegszeit und dann im
europäischen Parlament für den Föderalismus gekämpft, kam jedoch nicht
einmal dazu, sein Projekt wenigstens partiell verwirklicht zu sehen. Die
Europäische Union ist heute noch nicht die im Manifest von Ventotene
gewünschte politische Einheit, dennoch erweisen sich seine Vorschläge heute
mehr denn je als richtig – inmitten einer wirtschaftlichen Krise, die vielleicht
viel schlimmer als die von 1929 ist.
Nur eine einheitliche Politik der Länder der Europäischen Union ist in der
Lage, angemessene Antworten auf die neuen geistigen und materiellen
Bedürfnisse der europäischen Bevölkerung zu geben.
Ich habe Mitte der 80er Jahre Altiero Spinelli persönlich kennengelernt, als
ich für „Rassegna Sindacale“, die Wochenzeitschrift der größten italienischen
Gewerkschaft (CGIL) schrieb. In einem Gespräch mit ihm trafen mich die
Entschlossenheit und Überzeugung, mit denen er seine Ideen äußerte, obwohl
sie den meisten Zuhörern als utopisch erschienen. Die neue Zeit
vorwegzunehmen bringt manchmal die Gefahr mit sich, von seinen
Zeitgenossen nicht verstanden zu werden. Das war teilweise Spinellis Schicksal
gewesen, auch wenn seine Figur aber im Lauf der Zeit immer mehr an
Bedeutung gewann, weil seine Analysen und politischen Vorschläge sich
immer geeigneter erweisen, der politischen und sozialwirtschaftlichen
Entwicklung eine richtige und funktionierende Antwort zu geben.
Wir haben es vorgezogen, das Manifest neu zu übersetzen, um dem
deutschen Text eine sprachliche Aktualität zu verleihen, die seiner politischen
Aktualität entsprechen kann. Gewiss ist die Analyse von Spinelli teilweise mit
der gesellschaftlichen und politischen vom con von 1941 verbunden, was aber
in dem Manifest entscheidend ist, sind seine politischen Vorschläge für die
Zukunft, und zwar jene, die damals gewagt erschienen und heute aber an der
Tagesordnung liegen.
Spinelli wusste seinen utopischen Schwung mit einer konkreten
politischen Praxis zu verflechten, die ihn zu dem Versuch führte, sein Projekt
Stück für Stück zu verwirklichen. Im April 1986, einen Monat vor seinem Tod,
behauptete er in einem Interview mit Raul Wittenberg für „Thema“, die
Monatsschrift der CGIL: «Europa muss in der Lage sein, ein politisches Projekt
zu entwerfen. Die Alternative liegt nicht zwischen Europa und einer Rückkehr
zum Nationalismus, die nicht zustande kommen wird, weil heutzutage alles,
was entscheidend ist, eine übernationale Dimension hat. Die Alternative ist:
entweder sich der Nation unterwerfen, oder Europa aufzubauen. Das große
Hindernis zur politischen Union besteht in der Tatsache, dass die europäische
209
M. Ponzi, Die Kraft
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Frage in den Händen der Verwaltung liegt. Sie muss hingegen dem
Repräsentativorgan der Gemeinschaft übertragen werden; deshalb müssen wir
kämpfen, damit das Europaparlament bei den nächsten Wahlen (Juni 1989) ein
Verfassungsmandat bekommt, um ein Projekt zu entwerfen, das dann von den
verschiedenen Staaten durch ein Referendum und nicht von den
Zentralverwaltungen bestätigt werden muss».
Seine Tätigkeit als Mitglied des Europaparlaments zielte nur darauf, das
im Manifest Geschriebene zu verwirklichen: Selbst ein gemeinsames
Verteidigungssystem der europäischen Staaten wurde von ihm als ein kleiner
Schritt Angesehen, um jene politische Einheit zu erreichen, die er für
entscheidend hielt, um die internationale Lage zu bewältigen. Er hat in
verschiedenen Kommissionen des Europaparlaments gearbeitet und die
politisch-theoretischen Grundlinien jener langjährigen Entwicklung entworfen,
die dann zum Maastrichtabkommen geführt hat. Man muss ihm als Verdienst
anrechnen, dass er einen festen Glauben an eine Idee gehabt hat, die damals
unrealisierbar schien. Vielleicht sollte man am Beispiel von Spinelli die Kraft
der Utopie entdecken und erkennen. I have a dream, sagte Martin Luther King
vor vierzig Jahren. Spinelli hat niemals von „Träumen“ gesprochen, er hat
konkrete politische Vorschläge formuliert, die sich nach sechzig Jahren
allmählich verwirklichen.
210
M. Ponzi, Die Kraft
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Vorwort
von Eugenio Colorni (rom 1944)
Die vorliegenden Schriften wurden zwischen 1941 und 1942 auf der Insel
Ventotene verfasst. Trotz all der außergewöhnlichen Umstände, trotz der
Zwänge einer strengen Reglementierung und Überwachung, trotz der
Trostlosigkeit in der erzwungenen Untätigkeit, aber auch in der angstvollen
Hoffnung auf die baldige Befreiung, versuchte man sich mit viel List und
Erfindungsgeist so umfassend wie möglich über die Außenwelt zu informieren,
und die eigenen Handlungen und die im politischen Kampf eingenommenen
Positionen grundsätzlich neu zu überdenken.
Die Distanz zum tatsächlichen politischen Leben erlaubte einen
unabhängigeren Blick und legte die Revision der traditionellen Positionen nahe,
wobei man die Gründe der vergangenen Misserfolge weniger in technischen
Fehlern der parlamentarischen oder revolutionären Taktik suchte, oder darin,
dass die allgemeine Lage noch nicht reif sei, sondern eher in der
Unzulänglichkeit der allgemeinen Denkmuster, und darin, dass man den
Kampf an den alten kontroversen Bruchstellen angesiedelt hatte, ohne das
Neue, das die Realität veränderte, ausreichend zu berücksichtigen.
Während man sich darauf vorbereitete, den großen, sich für die nahe
Zukunft abzeichnenden Kampf nachhaltig und mit wirksamen Mitteln zu
führen, verspürte man das Bedürfnis, die Fehler der Vergangenheit nicht nur zu
korrigieren, sondern die Konturen der politischen Fragen mit einem von
doktrinären Vorurteilen und Parteimythen freien Geist ganz neu zu umreißen.
Auf diese Weise entstand in den Köpfen einiger Menschen die
Grundüberzeugung, dass nur ein Hauptwiderspruch für die Krisen, die Kriege,
die Armut und die Unterdrückung, die unsere Gesellschaft quälten,
verantwortlich zu machen sei, das heißt die Existenz von geographisch,
wirtschaftlich und militärisch souveränen Staaten, die die anderen Staaten als
Rivalen und potenzielle Feinde betrachteten, und von denen ein jeder mit
jedem in einem Zustand des „bellum omnium contra omnes“ lebte. Diese Idee
war an und für sich nichts Neues, doch Bedingungen und Anlass, aus denen sie
jetzt neu entstand, ließ sie in gewisser Weise zu einem Novum werden, und das
hat vielfältige Ursachen:
1.) Erstens: In den Programmen aller fortschrittlichen Parteien ist die
internationalistische, übernationale Lösung zu finden, die für diese Parteien in
einem gewissen Sinne unumgänglich und automatisch umgesetzt wird, wenn
211
E. Colorni, Vorwort
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
die eigenen gesetzten politischen Ziele erreicht werden. Die Demokraten
denken, dass die Einführung des von ihnen geforderten Systems in jedem Land
ganz sicher zur Entstehung eines einheitlichen Bewusstseins und damit zur
Überwindung der kulturellen und moralischen Grenzen führt und darüber
hinaus auch die unabdingbare Voraussetzung für die freie Union der Völker
auch auf politischem und wirtschaftlichem Gebiet ist. Und die Sozialisten
ihrerseits meinen, dass die Einführung der Diktatur des Proletariats in den
verschiedenen Staaten zu einem inter- und übernationalen Kollektivstaat
führen würde.
Nun zeigt aber eine Analyse des modernen Staatsbegriffs und die Summe
der damit verbundenen Interessen und Gefühle deutlich, dass freundschaftliche
Beziehungen und zwischenstaatliche Zusammenarbeit trotz aller Analogien im
internen Staatsaufbau keineswegs zwangsläufig und progressiv zur Einigung
führen, solange noch kollektive Interessen und Gefühle existieren, die von dem
Staat als einer von Grenzen umschlossenen Einheit ausgehen. Wir wissen aus
Erfahrung, dass chauvinistische Gefühle und protektionistische Interessen
leicht zu Streitigkeiten und Rivalitäten zwischen zwei Demokratien führen
können; und es ist nicht gesagt, dass ein reicher sozialistischer Staat
notwendigerweise seine eigenen Ressourcen mit einem ärmeren sozialistischen
Staat teilt, nur weil sich beide Staaten ähnliche Staatsformen gegeben haben.
Die Abschaffung der politischen und wirtschaftlichen Grenzen zwischen
den Staaten ergibt sich also nicht zwangsläufig aus der synchronen Einführung
einer bestimmten Staatsform in den betroffenen Staaten, sondern stellt ein
eigenständiges, von der Staatsform unabhängiges Problem dar, das mit
geeigneten und angemessenen Mitteln in Angriff genommen werden muss.
Man kann nicht Sozialist sein, ohne gleichzeitig auch die internationale
Staatengemeinschaft zu wollen, doch leitet sich das eher aus der ideologischen
Überzeugung ab als aus einer politischen und wirtschaftlichen Notwendigkeit;
und aus dem Sieg des Sozialismus in einzelnen Staaten entsteht nicht
notwendigerweise auch der internationale Staat.
2.) Auch eine weitere Überlegung führte zu der Überzeugung, die
föderalistische Zielsetzung unabhängig von der Sichtweise der Parteien zu
verfolgen. Die existierenden politischen Parteien ziehen ihre Erfahrungen aus
den in der Vergangenheit auf nationaler Ebene geführten politischen Kämpfen,
und deshalb werden - sei es aus Gewohnheit oder aus Tradition - die
Bedingungen des Nationalstaates bei allen anstehenden politischen Fragen als
Basis und Ausgangspunkt genommen und somit die Probleme der
internationalen Ordnung als Angelegenheiten der „Außenpolitik“ angesehen,
die durch diplomatische Bemühungen und Abkommen zwischen den einzelnen
Regierungen gelöst werden müssen. Diese Haltung ist zum Teil Ursache und
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E. Colorni, Vorwort
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
zum Teil aber auch Folge der oben beschriebenen Überzeugung der Parteien,
dass mit der Übernahme der Zügel im eigenen Land, eine Einigung und
Vereinigung mit den Ländern, die ähnliche Staatsformen übernommen haben,
automatisch zustande kommt, ohne dass ein spezifisch auf dieses Ziel
ausgerichteter politischer Kampf geführt werden muss.
Bei den Verfassern der vorliegenden Schriften war stattdessen die
folgende Überzeugung herangereift: Sieht man die Frage der internationalen
Staatenordnung als das zentrale Problem der gegenwärtigen historischen
Epoche, und betrachtet man die Lösung dieses Problems als die notwendige
Bedingung für die Lösung aller weiteren institutionellen, wirtschaftlichen und
sozialen Fragen unserer Gesellschaft, so muss man gezwungenermaßen auch
alle anderen Fragen, die die internen politischen Auseinandersetzungen
betreffen, aus dieser Perspektive betrachten, einschließlich der Positionen jeder
einzelnen Partei bezüglich ihrer Strategie und Taktik im alltäglichen politischen
Handeln. Alle Fragen, ausgehend von den in der Verfassung verbrieften
Freiheitsrechten bis hin zum Klassenkampf, von der Organisation und Planung
bis hin zur Machtübernahme und Machtausübung, stehen unter einem neuen
Licht, wenn man von der Prämisse ausgeht, dass ein einheitliches System auf
internationaler Ebene das wichtigste und vorrangigste politische Ziel ist. Auch
die Form des eigentlichen politischen Handelns, das heißt mit welcher anderen
politischen Kraft man zusammenarbeitet, welches Losungswort man
programmatisch hervorhebt, verändert sich, je nachdem ob man sich als
Hauptziel die Machtübernahme und Durchsetzung bestimmter Reformen auf
einzelstaatlicher Ebene setzt, oder aber die Schaffung der wirtschaftlichen,
politischen und ethischen Voraussetzungen für das Entstehen einer föderativen
Ordnung, die den ganzen Kontinent umfasst.
3.) Eine weitere - und vielleicht wichtigste - Ursache ist darin zu sehen,
dass sich das Ideal einer europäischen Föderation, Präludium zu einer
weltweiten Föderation, das noch vor wenigen Jahren wie eine ferne Utopie
erscheinen musste, heute am Ende dieses Krieges als erreichbares, beinahe mit
der Hand berührbares Ziel offenbart. In der totalen Vermischung der Völker,
die dieser Konflikt in allen der deutschen Besatzung unterworfenen Gebieten
verursacht hat, in der Notwendigkeit, die fast völlig zerstörte Wirtschaft wieder
aufzubauen und alle Fragen, die Staats- und Zollgrenzen oder ethnische
Minderheiten usw. betreffen, neu zu erörtern; durch das Wesen dieses Krieges
an sich, in dem das nationale Element so oft von dem ideologischen Element
überlagert wurde, in dem man gesehen hat, wie kleine und mittlere Staaten zu
Gunsten stärkerer Staaten auf einen großen Teil ihrer Souveränität verzichtet
haben, und in dem von Seiten der Faschisten selbst der Begriff der „nationalen
Unabhängigkeit“ durch den des „Lebensraums“ ersetzt wurde; aus allen diesen
213
E. Colorni, Vorwort
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Elementen können wir Beweise herauslesen, die die Aktualität der Frage einer
föderativen Ordnung Europas so deutlich wie nie zuvor werden lassen.
Kräfte aus allen sozialen Klassen werden aus ökonomischen ebenso wie
aus ideellen Gründen ein besonderes Interesse daran haben. Man wird sich
diesem Thema mittels diplomatischer Verhandlungen nähern können und
mittels Volksagitation; indem man in den gebildeten Schichten das Studium der
damit verbundenen Fragen fördert und revolutionäre Zustände herbeiführt, die
- erst einmal entstanden - nicht mehr ungeschehen gemacht werden können;
indem man auf die politische Führung der Siegermächte einwirkt und in den
besiegten Staaten die Losung verbreitet, dass sie nur in einem freien und
vereinigten Europa ihre Rettung finden und die entsetzlichen Folgen der
Niederlage mindern können.
Aus all dem ist unsere Bewegung entstanden. Da ist die Vor - rangstellung
und das Primat, das diese Frage vor allen anderen Fragen unserer Zeit
einnimmt; und da ist die Gewissheit, dass die Gelegenheit für immer verloren
wäre, ließen wir es zu, dass wieder nach den alten nationalistischen Mustern
verfahren wird und dass dann kein dauerhafter Frieden und Wohlstand für
unseren Kontinent möglich sein wird. All dies hat uns von der Notwendigkeit
überzeugt, eine parteiunabhängige Organisation zu gründen, die sich für die
nun nahende Nachkriegszeit die Verbreitung der Idee einer europäischen
Föderation als realisierbares Ziel setzt.
Wir leugnen nicht die Schwierigkeiten dieses Unterfangens, genauso
wenig wie die Macht der Kräfte, die unserer Sache entgegen arbeiten; aber
heute glauben wir zum ersten Mal, dass unsere Sache nicht nur als weit
entferntes Ideal, sondern als dramatisch unaufschiebbare Notwendigkeit auf
die Tagesordnung der politischen Auseinandersetzung gesetzt werden muss.
Unsere Bewegung, die jetzt bereits seit nahezu zwei Jahren ein
schwieriges Leben im Untergrund unter der faschistischen und nazistischen
Unterdrückung führt, deren Angehörige aus den Reihen der antifaschistischen
Widerstandskämpfer kommen und alle im bewaffneten Kampf für die Freiheit
geeint sind und schon im Gefängnis einen harten Preis für die gemeinsame
Sache gezahlt haben, diese unsere Bewegung ist keine politische Partei und will
das auch nicht sein. Immer klarer definiert unsere Bewegung das eigene
politische Handeln, dass sie auf die verschiedenen politischen Parteien
einwirken und auch in innerhalb der Parteien selbst arbeiten will, nicht nur um
die internationalistischen Aufgaben voran zu treiben, sondern auch und in
erster Linie um daran zu arbeiten, dass alle Probleme des politischen Lebens
unter diesem neuen Blickwinkel betrachtet werden, dem bisher so wenig
Aufmerksamkeit geschenkt wurde.
214
E. Colorni, Vorwort
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Wir sind keine politische Partei, obwohl wir die umfassende Analyse der
institutionellen, wirtschaftlichen und sozialen Ausrichtung der europäischen
Föderation aktiv fördern, obwohl wir aktiv an dem Kampf für deren
Durchsetzung teilnehmen und uns damit beschäftigen, welche Kräfte in der
künftigen politischen Auseinandersetzung für sie eintreten könnten, trotz
alledem wollen wir uns nicht öffentlich dazu äußern, wie die Institutionen im
Einzelnen aussehen sollen, in welchem Ausmaß die Wirtschaft verstaatlicht
oder die Verwaltung dezentralisiert werden soll usw. usw., also über die
Merkmale des künftigen föderalen Gefüges. Wir lassen es zu, dass im Inneren
unserer Bewegung diese Themen offen und frei diskutiert werden, und dass
alle politischen Tendenzen, von der kommunistischen bis zur liberalen, bei uns
vertreten sind. In der Tat sind fast alle unserer Anhänger in einer der
fortschrittlichen Parteien tätig: Alle stimmen darin überein, die Prinzipien einer
freien Europäischen Föderation zu vertreten und deren Durchsetzung zu
fördern, einen europäischen Bundesstaat zu wollen, der weder auf einer
irgendwie gearteten Hegemonie basiert, noch auf totalitären Systemen, und der
von einer strukturellen Stabilität getragen sein soll, die ihn nicht zu einer
einfachen Gesellschaft der Nationen werden lässt. Derartige Prinzipien lassen
sich unter den folgenden Punkten zusammenfassen: eine einheitliche föderale
Armee, ein einheitliches Währungssystem, Abschaffung der Zollschranken und
der Beschränkungen der Freizügigkeit innerhalb der Staaten der Föderation,
direkte Vertretung der Bürger bei den föderalen Versammlungen und eine
gemeinsame Außenpolitik.
In diesen beiden Lebensjahren hat unsere Bewegung sich innerhalb der
antifaschistischen Gruppen und Parteien weit verbreitet. Einige von ihnen
haben uns öffentlich ihre Anhängerschaft und ihre Sympathie erklärt. Andere
haben uns aufgerufen, an der Formulierung ihrer Programme mitzuarbeiten. Es
ist sicherlich nicht anmaßend zu behaupten, dass es zum Teil unser Verdienst
ist, wenn die Probleme der Europäischen Föderation so oft in der italienischen
Untergrundpresse behandelt werden. Unsere Zeitschrift „L’Unità Europea“
verfolgt mit Aufmerksamkeit die Ereignisse der italienischen und
internationalen Politik, und bezieht diesbezüglich mit absolut unabhängigem
Urteil Position.
Die vorliegenden Schriften sind das Ergebnis unserer Überlegungen und
Ideen, die zur Geburt unserer Bewegung geführt haben, jedoch geben sie nur
die Meinung der Autoren wieder und sind keineswegs als einzige und
unabdingbare Position der Bewegung selbst zu verstehen. Sie wollen nur all
denen Diskussionsthemen vorschlagen und Anregungen geben, die die Fragen
in der internationalen Gesamtheit neu überdenken wollen, wobei nicht nur die
jüngsten ideologischen und politischen Erfahrungen einbezogen werden,
215
E. Colorni, Vorwort
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
sondern auch die neuesten Ergebnisse der Wirtschaftswissenschaften und die
Perspektiven für die Zukunft, die uns am sinnvollsten und vernünftigsten
erschienen. Es werden bald weitere Arbeiten und Analysen folgen. Es ist unser
Anliegen, dass sie das Entstehen neuer Ideen beflügeln und dass sie in
Anbetracht des gegenwärtigen Handlungsdrucks und der aktuellen
Dringlichkeit zur Klärung des Sachverhalts beitragen, denn Klarheit und
Wissen macht unser politisches Handeln immer entschiedener, bewusster und
verantwortungsvoller.
Die italienische Bewegung für die Europäische Föderation
Rom, den 22. Januar 1944
216
E. Colorni, Vorwort
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Für ein freies und vereintes Europa. Enwurf zu einem Manifest
Ventotene, 1941
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi
I. Die Krise der modernen Gesellschaft
Die Grundlage der modernen Gesellschaft ist das Prinzip der Freiheit, wonach
der Mensch niemals bloßes Objekt des anderen sein darf, sondern immer ein
autonomes Subjekt ist. Auf diesem Grundsatz fußend begann ein gewaltiger
historischer Prozess gegen all diejenigen Aspekte des Lebens, die dieses Prinzip
missachteten.
1.) Allen Nationen wurde das Recht zugesprochen, sich in unabhängigen
Staaten zusammenzuschließen. Jedes Volk, gekennzeichnet durch die eigene
geographische, ethnische, sprachliche und historische Identität, sollte in diesem,
entsprechend der eigenen politischen Auffassung selbst geschaffenen Staat das
geeignete Werkzeug finden, um seine spezifischen Bedürfnisse auf die beste Art
und Weise und unabhängig von jeder äußeren Einmischung zu befriedigen. Die
Ideologie der nationalen Unabhängigkeit wurde zu einer starken Triebfeder des
Fortschritts und hat dazu beigetragen, den engstirnigen und bornierten
Lokalpatriotismus zugunsten einer größeren, umfassenderen Solidarität gegen
die Unterdrückung und Fremdherrschaft zu überwinden, auch wurden viele
der Hindernisse abgeschafft, welche den freien Verkehr von Personen und
Waren einschränkten und innerhalb des neu geschaffenen Staates wurde auch
den weniger privilegierten Bevölkerungsschichten Zugang zu den
fortschrittlichen staatlichen Institutionen und den Vorteilen einer modernen
Staatsordnung verschafft. Diese Ideologie trug aber auch den Keim des
kapitalistischen Imperialismus in sich, den unsere Generation mit Macht
heranwachsen sah, bis hin zum Entstehen der totalitären Staaten und zum
Ausbruch der Weltkriege.
217
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Der Nationalstaat wird heute nicht mehr als das historische Produkt des
Zusammenlebens der Menschen angesehen, die in einem lang andauernden
Prozess zu gemeinsamen und einheitlichen Lebensformen und – zielen
gefunden haben und in ihrem Staat das wirksamste Mittel sehen, ihr
Zusammenleben im Rahmen der gesamten menschlichen Gesellschaft zu
gestalten. Die Nation wird heute jedoch zu einer Art göttlichem Wesen
erhoben, zu einem Gebilde, das nur an den eigenen Vorteil und das eigene
Fortkommen denkt, ohne sich in irgendeiner Weise um den Schaden zu
kümmern, welcher anderen dadurch zugefügt wird. Die uneingeschränkte
Souveränität der Nationalstaaten hat dazu geführt, dass jeder einzelne
Nationalstaat über den anderen herrschen will, da sich ein jeder von der Macht
des anderen bedroht fühlt, und deshalb immer größere Gebiete als den eigenen
„Lebensraum“ beansprucht, und damit auch das Recht, sich hier ohne
Rücksicht auf andere bedenkenlos zu bedienen und die für die eigene Existenz
notwendigen Ressourcen zu sichern. Diese Herrschaftsansprüche konnten nur
dazu führen, dass der mächtigste und stärkste Staat die Vorherrschaft gewinnt
und die schwächeren Staaten unterjocht.
Folgerichtig hat sich der Staat vom Garanten der Freiheit seiner Bürger
zum Herren über seine Untertanen gewandelt, die ihm jederzeit und mit all
ihren Kräften und Fähigkeiten zu Diensten stehen müssen, um die
Kriegsmaschinerie zu höchster Leistung zu bringen. Auch in Friedenszeiten, die
als Ruhephase zur Vorbereitung unvermeidlicher künftiger Kriege angesehen
werden, ist die Macht der Militärkaste in vielen Ländern größer als die der
bürgerlichen Schichten und behindert dadurch das Funktionieren der
freiheitlichen politischen Staatsordnung immer mehr. Schule, Wissenschaft,
Produktion und der Verwaltungsapparat dienen überwiegend der Steigerung
des kriegerischen Potentials. Mütter werden zu Gebärmaschinen künftiger
Soldaten herabgewürdigt und nach den gleichen Kriterien belohnt, wie
besonders fruchtbare Nutztiere auf den Viehmärkten. Kinder werden vom
zartesten Alter an zum Soldatenberuf und zum Hass auf die Fremden erzogen.
Die individuellen Freiheiten sind aufgehoben, wenn alles militärischen
Zwecken untergeordnet ist und alle jederzeit zum Waffendienst gerufen
werden können. Immer neue Kriege zwingen die Menschen, ihre Familien, ihre
Arbeit und ihr Hab und Gut zu verlassen und ihr Leben für Ziele zu opfern,
deren Sinn und Wert niemand wirklich begreift. In wenigen Tagen werden die
Früchte jahrzehntelanger Arbeit zunichte gemacht, die doch den allgemeinen
gesellschaftlichen Wohlstand vermehren sollten.
Den totalitären Staaten ist es am konsequentesten gelungen, alle
gesellschaftlichen Kräfte zu vereinen und ein Höchstmaß an Zentralisierung
und Autarkie zu verwirklichen, und somit scheint in den heute herrschenden
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A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
internationalen Verhältnissen die totalitäre Staatsform die am besten geeignete
zu sein. Wenn eine Nation einen Schritt in Richtung eines noch extremeren
Totalitarismus macht, folgen ihr, von ihrem Überlebenswillen auf den gleichen
Weg getrieben, alle anderen blind.
2.) Allen Bürgern wurde das gleiche Recht bei der Bildung des
Staatswillens zugesprochen, verstanden als die aus freiem Willen zustande
gekommene Synthese der unterschiedlichen, sich ändernden wirtschaftlichen
und ideologischen Bedürfnisse aller sozialen Schichten. Eine solche politische
Ordnung ermöglichte es, viele der von früheren Herrschaftssystemen
sozusagen als Altlast übernommenen schlimmsten Ungerechtigkeiten zu
korrigieren oder zumindest abzuschwächen. Doch die Pressefreiheit, die
Vereinigungsfreiheit und die zunehmende Durchsetzung des allgemeinen und
gleichen Wahlrechts erschwerten zusehends die Bewahrung der alten
Privilegien und stärkte gleichzeitig das repräsentative System immer mehr.
Nach und nach lernten die Besitzlosen, sich dieser Instrumente zu
bedienen und mit ihrer Hilfe die angestammten Rechte und Privilegien der
besitzenden Klassen zu schwächen. Die Vermögens- und Erbschaftssteuer, die
progressiven Steuersätze auf die größeren Vermögen, die Steuerfreiheit für
Minimaleinkommen und lebensnotwendige Bedarfsgüter, die Abschaffung des
Schulgelds für öffentliche Schulen, die Einführung eines staatlichen
Sozialversicherungssystems, die Agrarreformen und die Regulierung und
Kontrolle der industriellen Arbeitsbedingungen, all das bedrohte die
privilegierten Schichten in ihrem innersten Kern.
Selbst jene privilegierten Schichten, die der politischen Gleichberechtigung
zugestimmt hatten, konnten nicht zulassen, dass die mittellosen Klassen diese
Freiheiten dazu nutzten, eine faktische Gleichheit durchzusetzen, die besagte
Rechten mit dem konkreten Inhalt wirklicher Freiheit gefüllt hätte. Als dann
nach dem Ende des Ersten Weltkriegs die Bedrohung zu stark wurde, war es
nur natürlich, dass diese Schichten das Aufkommen der Diktaturen freudig
begrüßten und aktiv unterstützten, die dann ihren Gegnern auch die
gesetzlichen Waffen entzogen.
Darüber hinaus entstanden mächtige Interessensverbände, gewaltige
Industrie-und Bankenkonzerne auf der einen und die Gewerkschaften, die
unter einer einzigen Dachorganisation ganze Heerscharen von Arbeitern
vereinigten, auf der anderen Seite, und sowohl die Gewerkschaften als auch die
Industrieverbände übten starken Druck auf die Regierungen aus, um die
jeweiligen Sonderinteressen durchzusetzen. Auf diesem Hintergrund drohte
der Staat, in viele einzelne wirtschaftliche Interessensverbände zu zerfallen, die
sich untereinander aufs heftigste bekämpften. Die liberal-demokratische
Rechtsordnung wurde von diesen Gruppen genutzt, um das gesamte
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A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Gemeinwesen besser für die eigenen Interessen auszunutzen, und verlor so
immer mehr an Ansehen. So entstand die Überzeugung, dass allein der
totalitäre Staat unter Abschaffung der politischen Freiheiten des Volkes die
Interessenskonflikte lösen konnte, deren die politischen Institutionen nicht
mehr Herr zu werden vermochten.
In Wirklichkeit festigten die totalitären Regime die nach und nach
errungene Stellung der verschiedenen Gesellschaftsklassen, und die Errichtung
eines Polizeistaats, der das Lebens der Bürger total überwachte, sowie die
gewaltsame Vernichtung aller Andersdenkender verhinderte jede rechtmäßige
Möglichkeit zu einer Veränderung des Status Quo. Dadurch wurde das
Fortbestehen des völlig parasitären Standes der Grundbesitzer und Rentiers
gewährleistet, deren einziger Beitrag zur gesellschaftlichen Produktion im
Einkassieren ihrer Zinserträge besteht, sowie der Monopole und Kartelle, die
die Konsumenten ausnützen und das Geld der kleinen Sparer vernichten.
Garantiert wird auch die Stellung der Plutokraten, die hinter den Kulissen die
Politiker wie Marionetten beeinflussen, um so die ganze Staatsmaschinerie
unter dem Vorwand übergeordneter nationaler Interessen zu ihrem eigenen
persönlichen Nutzen zu lenken. Unangetastet bleiben die immensen Vermögen
einiger weniger, und das Elend der großen Massen wird festgeschrieben, denen
jede Möglichkeit, die Früchte der modernen Zivilisation zu genießen, verwehrt
bleibt. Im Wesentlichen wird ein wirtschaftliches System aufrecht erhalten, in
dem die materiellen Ressourcen und die Arbeitskraft, die eigentlich zur
Befriedigung der für die Entwicklung und Erhaltung menschlicher Lebenskraft
unerlässlichen Grundbedürfnisse eingesetzt werden sollten, statt dessen der
Erfüllung der überflüssigen und überstiegenen Wünsche der Besitzenden
dienen, die allein in der Lage sind, auch die höchsten Preise zu bezahlen: Ein
wirtschaftliches System, in dem das Erbschaftsrecht dafür sorgt, dass die Macht
des Geldes immer der selben Klasse vorbehalten bleibt, und zu einem Privileg
wird, das dem sozialen Wert der tatsächlich geleisteten Dienste in keiner Weise
entspricht. Demgegenüber ist die soziale Lage des Proletariats unerträglich,
und die Arbeiter sind zum bloßen Überleben oft gezwungen, sich von jedem
ausbeuten zu lassen, der ihnen irgendeine Arbeitsmöglichkeit anbietet.
Um die Arbeiterklassen handlungsunfähig und gefügig zu machen,
werden die Gewerkschaften, gegründet als freie Organisationen, die sich dem
Kampf für die Interessen ihrer Mitglieder verschrieben hatten und die von
Personen geführt wurden, die das Vertrauen aller besaßen, in polizeiliche
Überwachungsorgane umgewandelt, deren Führungskader von den
herrschenden Gruppen eingesetzt werden und nur diesen gegenüber
verantwortlich sind. Jedwede Veränderungen eines solchen Wirtschaftssystems
werden ausschließlich von den Erfordernissen und Notwendigkeiten des
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A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Militarismus diktiert, die zusammenfallen mit den reaktionären Zielen der
privilegierten Schichten, den totalitären Staat zu errichten und zu festigen.
3.) Gegen den autoritären Dogmatismus hat sich der bleibende Wert des
kritischen Geistes durchgesetzt. Alles, was behauptet wurde, musste sich selbst
rechtfertigen oder verschwinden. Der systematischen Anwendung dieser
vorurteilslosen Haltung verdanken wir die größten Errungenschaften unserer
Gesellschaft in jedem Bereich. Aber diese Freiheit des Geistes konnte der Krise,
die in den totalitären Staat führte, nicht standhalten. Neue Dogmen, die aus
Überzeugung oder Heuchelei übernommen werden, erheben sich als die
Herrscher über alle Wissenschaften.
Niemand weiß wirklich, was eine Rasse ist, und schon die elementarsten
Grundkenntnisse der Geschichte beweisen die Absurdität dieser Theorie,
dennoch verlangt man von den Physiologen, daran zu glauben, dass man zu
einer auserwählten Rasse gehöre, und dies auch überzeugend nachzuweisen,
nur weil der Imperialismus diesen Mythos braucht, um in den Massen den
Hass und den Nationalstolz zu schüren. Die eindeutigsten Begriffe der
Wirtschaftswissenschaft werden auf den Index verbannt, um eine auf Autarkie
abzielende Politik, eine ausgewogene Handelsbilanz und all die anderen alten
Eisen des Merkantilismus als herausragende Entdeckungen unserer Zeit
anzupreisen. Aufgrund der wechselseitigen wirtschaftlichen Abhängigkeit aller
Teile der Welt ist der Lebensraum für jedes Volk, das den Lebensstandard einer
modernen Gesellschaft bewahren will, auch der ganze Erdball. Doch es wurde
die Pseudowissenschaft der Geopolitik geschaffen, die die Gültigkeit der
Theorie vom Lebensraum beweisen will, um den Herrschaftswillen des
Imperialismus theoretisch zu untermauern.
Die wesentlichen Daten der Geschichte werden im Interesse der
herrschenden Klasse gefälscht. Die Bibliotheken und Buchhandlungen werden
von allen, nicht für rechtgläubig gehaltenen Werken gesäubert. Die Finsternis
des Obskurantismus droht erneut, den menschlichen Geist zu ersticken. Selbst
die Sozialethik der Freiheit und der Gleichheit wird ausgehöhlt. Die Menschen
werden nicht mehr als freie Bürger angesehen, die sich des Staates bedienen
können, um ihre gesellschaftlichen Ziele und Interessen wirksamer durchsetzen
zu können. Sie werden zu Untertanen des Staates, der bestimmt, wie ihre Ziele
und Interessen auszusehen haben. Der Wille des Staates wird zu dem Willen
der Statthalter der Macht. Die Menschen sind keine mit Rechten ausgestatteten
Personen mehr, sondern sie sind einer klaren Hierarchie unterworfen und
müssen den höheren Autoritäten widerspruchlos gehorchen, an deren Spitze
ein Führer steht, der gebührend vergöttlicht werden muss. Das Kastensystem
ist allmächtiger als je zuvor aus seiner eigenen Asche wieder auferstanden.
221
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Dieses reaktionäre totalitäre System hat, nachdem es in einigen Länden
gesiegt hat, im nationalsozialistischen Deutschland eine Macht gefunden, die
sich für fähig hielt, diese Ideologie bis in die letzte Konsequenz umzusetzen.
Nach gründlicher Vorbereitung und dreister und skrupelloser Ausnutzung
bestehender Rivalitäten, Egoismen und der Dummheit der anderen gelang es
Hitler-Deutschland auch noch andere Vasallenstaaten mit sich zu reißen, zuerst
Italien, danach hat es sich mit Japan verbündet, das in Asien identische Ziele
verfolgte, und alle in einen Angriffskrieg zur Errichtung der Weltherrschaft
gestürzt. Ein Sieg würde die endgültige Durchsetzung des Totalitarismus auf
der Welt bedeuten, und das in seiner brutalsten Form, und die progressiven
Kräfte wären für lange Zeit zu bloßer negativer Opposition verdammt.
Die traditionelle Arroganz und der Starrsinn der deutschen Militärkaste
kann uns schon eine Vorstellung davon geben, wie ihre Herrschaft nach dem
totalen Sieg aussehen würde. Die siegreichen Deutschen könnten sich sogar
einen Anflug von geheuchelter Großzügigkeit gegenüber den anderen
europäischen Völkern leisten, ihre Staatsgebiete und politischen Institutionen
formal anerkennen, um so die eigene Herrschaft zu sichern, denn so wäre
diesem törichten patriotischen Gefühl Genüge getan, das die Farben der
Grenzpfähle und die Nationalität der im Rampenlicht stehenden Politiker für
wichtiger hält als das tatsächliche Kräfteverhältnis und den wirklichen Inhalt
der staatlichen Institutionen. Wie auch immer verkleidet, wäre die Realität doch
immer die gleiche, nichts als die erneute Aufteilung der Menschheit in
Spartiaten und Heloten.
Auch eine Kompromisslösung zwischen den kämpfenden Parteien würde
einen weiteren Schritt hin zum Totalitarismus bedeuten, wären doch alle
Länder, die dem Würgegriff Deutschlands entgangen sind, zur Anwendung der
gleichen politischen Organisationsformen gezwungen, um sich angemessen auf
einen Wiederbeginn des Krieges vorzubereiten. Aber Hitlerdeutschland hat
dadurch, dass es die kleineren Staaten einen nach dem anderen unterjocht hat,
auch größere und mächtigere Länder zur Gegenwehr gezwungen. Der Mut und
Kampfgeist Großbritanniens, das selbst zu einem äußerst kritischen Zeitpunkt,
als es dem Feind allein gegenüberstand, in den Krieg eintrat, hat dazu geführt,
dass die Deutschen auf den zähen Widerstand der sowjetischen Streitkräfte
trafen, und dies gab Amerika Zeit zur Mobilisierung all seiner unermesslichen
materiellen und humanen Ressourcen. Dieser Kampf gegen den deutschen
Imperialismus war eng verbunden mit dem des chinesischen Volkes gegen den
japanischen Imperialismus.
Unzählige Menschen haben sich schon gegen die totalitären Mächte
gestellt, und enorme Finanzmittel wurden schon bereitgestellt. Die Macht der
totalitären Länder hat schon ihren Höhepunkt erreicht und wird von nun an
222
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
unaufhaltsam ihrem Niedergang entgegengehen. Die Gegenkräfte haben
dagegen ihren Tiefpunkt bereits überwunden und werden immer stärker.
Der Krieg der Alliierten stärkt jeden Tag aufs Neue den Willen zur
Befreiung, auch in den besetzten und unterjochten Ländern, die sich unter der
Gewalt selbst aufgegeben hatten. Der Wille zur Befreiung erwacht sogar in den
Völkern der Achse, die sich bewusst werden, dass sie in den Abgrund gerissen
werden, nur um die Gier ihrer Machthaber zu befriedigen.
Unzählige Menschen wurden von dem neuen Regime verformt,
verblendet und haben sich angepasst, und so konnte sich die totalitäre Macht
festigen, doch heute ist dieser langsame Prozess nicht nur unterbrochen,
sondern es hat schon längst eine entgegengesetzte Entwicklung begonnen. In
dieser starken, sich langsam erhebenden Bewegung finden sich alle
progressiven Kräfte wieder: Die aufgeklärten Teile der Arbeiterklasse, die
weder Gewalt und Terror noch Schmeicheleien von ihrem Streben nach einem
besseren Leben abhalten konnten; die klarsten Köpfe der Intellektuellen, die die
Erniedrigung der Intelligenz als Kränkung empfanden; Unternehmer, die sich
zu neuen Initiativen fähig fühlen und die bürokratischen Fesseln der nationalen
Autarkie abwerfen möchten, weil sie ihre Bewegungsfreiheit einengen; und
schließlich all diejenigen, deren angeborener Sinn für Würde sie auch in der
demütigenden Sklaverei den aufrechten Gang nicht hat vergessen lassen.
All diesen Kräften ist heute die Rettung unserer Zivilisation anvertraut.
223
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
II. Die Aufgaben der Nachkriegszeit. Die europäische Einheit
Die Niederlage Deutschlands würde aber nicht automatisch zu einer
Neuordnung Europas nach unserem Ideal der Zivilgesellschaft führen. In der
kurzen intensiven Zeit der allgemeinen Krise (während derer die Staaten
zerstört am Boden liegen und die Volksmassen voller Sorgen auf neue Ideen
warten werden, formbar und aufnahmefähig für neue Formen, bereit, die
Führung ehrlicher international denkender Männer anzunehmen), werden die
in den alten nationalstaatlichen Systemen ehemals am stärksten privilegierten
Schichten mit Hinterlist oder mit Gewalt versuchen, die Welle der
internationalen Begeisterung abzuschwächen, und sich ostentativ damit
beschäftigen, das alte Staats- und Herrschaftssystem wiederherzustellen. Es ist
wahrscheinlich, dass die englischen Staatsführer, vielleicht sogar im
Einverständnis mit den führenden amerikanischen Politikern, versuchen
werden, die Dinge in diese Richtung zu lenken, um die Politik des
Gleichgewichts der Kräfte im scheinbar unmittelbaren Interesse ihrer Länder
weiter verfolgen zu können.
Die konservativen Kräfte, das heißt die Amtsinhaber der wichtigsten
Institutionen der Nationalstaaten; die Führungsschicht des Militärs, die auch
bis in monarchistische Kreise reicht; all jene Gruppen des monopolistischen
Kapitalismus, die das eigene Profitinteresse mit dem Staatsinteresse
gleichgesetzt haben; die Großgrundbesitzer und die hohen kirchlichen
Würdenträger, deren parasitäre Erträge nur durch eine stabile konservative
Gesellschaftsordnung gesichert sind; und in ihrer Folge die ganze unzählige
Schar derer, die von ihnen abhängen oder auch nur von ihrer althergebrachten
Macht verblendet sind; alle diese reaktionären Kräfte spüren schon heute, dass
das Fundament ihrer Macht brüchig geworden ist, und versuchen nun, zu
retten, was noch zu retten ist. Der Zusammenbruch würde ihnen auf einen
Schlag all die Sicherheiten nehmen, über die sie bisher verfügten, und sie dem
Angriff der progressiven Kräfte aussetzen.
Die Revolutionäre Situation: Alte und Neue Strömungen
Der Zusammenbruch der totalitären Regime bedeutet für die Völker
gefühlsmäßig die Rückkehr der „Freiheit“; die auf ihrem Siegeszug nicht
aufzuhalten ist, und damit auch automatisch die Einführung der Meinungsund Vereinigungsfreiheit. Das wird der Triumph der demokratischen Kräfte
sein. Diese haben unzählige Nuancen, die von einem sehr konservativen
Liberalismus bis hin zum Sozialismus und zur Anarchie gehen. Sie glauben an
das „spontane Entstehen“ der Ereignisse und der Institutionen, an den
224
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
absoluten Wert der Impulse, die von unten kommen. Sie wollen den Lauf der
„Geschichte“, das „Volk“ und das „Proletariat“, oder wie auch immer ihre
Götter heißen, zu nichts zwingen. Sie wünschen das Ende der Diktaturen, und
stellen
es
sich
wie
die
Rückgabe
der
unveräußerlichen
Selbstbestimmungsrechte an das Volk vor. Die Krönung ihrer Träume ist eine
verfassungsgebende Versammlung, gewählt unter strengster Achtung der
Rechte des Wahlvolks und mit einem möglichst weit ausgedehnten Wahlrecht.
Sie entscheidet darüber, welche Verfassung sich das Land gibt. Wenn das Volk
dazu nicht reif ist, wird es sich eine schlechte Verfassung geben; doch kann
diese nur durch eine fortwährende Überzeugungsarbeit verbessert werden.
Die Demokraten verzichten nicht prinzipiell auf Gewalt; sie wollen jedoch
nur dann auf sie zurückgreifen, wenn die Mehrheit von ihrer Unvermeidbarkeit
überzeugt ist, das heißt genau dann, wenn Gewaltanwendung nur noch ein
nahezu überflüssiges Tüpfelchen auf dem „i“ darstellt. Die Demokraten taugen
also als geeignete Führungskräfte nur in Zeiten des normalen demokratischen
Lebens, in denen ein Volk im Grossen und Ganzen von der Zweckmäßigkeit
und Funktionstüchtigkeit seiner Grundordnung überzeugt ist, die nur einer
Änderung in vergleichsweise zweitrangigen Aspekten bedarf. In
revolutionären Zeiten, in denen die Institutionen noch aufgebaut und nicht nur
verwaltet werden müssen, scheitert die demokratische Praxis kläglich. Die
bedauernswerte Unfähigkeit der Demokraten während der russischen,
deutschen und spanischen Revolution sind drei der jüngsten Beispiel dafür.
Nach dem Zusammenbruch des alten Staatsapparats mit seinen Gesetzen und
seiner
Verwaltung
werden
unzählige
Volksversammlungen
und
Volksvertretungen einberufen, in denen der alte Rechtszustand dem Anschein
nach entweder verteidigt oder aber rigoros abgelehnt wird und in denen alle
fortschrittlichen gesellschaftlichen Kräfte zusammenfließen und die
anstehenden Fragen aufgeregt erörtern. Das Volk hat gewiss einige
grundlegende Bedürfnisse zu stillen, weiß aber nicht recht, was es wirklich will
oder was zu tun ist. Tausend Glocken klingen in den Ohren des Volkes. Den
Millionen unterschiedlicher Köpfe und Meinungen gelingt es nicht, eine
gemeinsame Richtung zu finden, und das Volk zerfällt in eine Unzahl
verschiedener Strömungen, die sich gegenseitig bekämpfen.
In einem solchen Moment ist jedoch größte Entscheidungsfähigkeit und
größte Entschlossenheit gefragt, doch die Demokraten fühlen sich verloren,
wenn sie keinen spontanen Volkskonsens hinter sich spüren, sondern nur einen
unruhigen Aufruhr der Leidenschaften. Sie sehen es als ihre Pflicht an, diesen
Konsens zu erreichen und appellieren mahnend von der Kanzel herab an das
Volk, in einem Moment, in dem Menschen mit Führungsqualitäten gebraucht
werden, die das zu erreichende Ziel klar vor Augen haben. Und so wird die
225
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
günstigste Gelegenheit zur Festigung der neuen Staatsform verpasst, denn die
in aller Eile einberufenen Organe benötigen eine lange Vorbereitungszeit und
sind deshalb nur für Zeiten relativer politischer Ruhe geeignet. Sie spielen ihren
Gegnern Waffen zu, die diese dann gegen sie selbst wenden. Sie zeigen mit
ihren zahlreichen Widersprüchen nicht so sehr den Willen zur Erneuerung,
sondern
eher
die
allgemeine
konfuse
Tatenlosigkeit
und
Entscheidungsschwäche all der Kräfte, die sich gegenseitig lähmen und somit
den Boden für die reaktionären Kräfte vorbereiten. In einer revolutionären
Krise wird die politische Methode der Demokraten nichts als nutzloser Ballast
sein.
Sobald die Demokraten mit ihren Wortgefechten ihre Beliebtheit als
Verfechter der Freiheit verspielt haben, weil den Worten keine ernsthafte
politische und soziale Revolution nachgefolgt ist, würden zweifelsohne die
politischen Institutionen wiederauferstehen, die schon vor der Machtergreifung
des Totalitarismus geherrscht haben, und die politische Auseinandersetzung
würde nach den alten Mustern des Klassenkampfes fortgeführt werden.
Das Prinzip, wonach der Klassenkampf der einzige gemeinsame Nenner
ist, auf den alle politischen Probleme zurückgeführt werden, war die
Grundüberzeugung vor allem der Fabrikarbeiter und hat dazu beigetragen,
ihrer Politik Geschlossenheit zu geben, so lange die grundlegenden
Institutionen nicht in Frage gestellt wurden. Es verwandelt sich aber in ein
Instrument zur Isolierung des Proletariats, wenn die gesamte
Gesellschaftsordnung grundlegend erneuert werden muss. Die im
Klassenkampf groß gewordenen Arbeiter haben noch nicht erkannt, dass ihre
spezifischen Klasseninteressen, oder sogar die Interessen der Arbeiter einzelner
Wirtschaftsbranchen nicht durchzusetzen sind, wenn sie nicht in die Interessen
der anderen Gesellschaftsschichten eingebunden werden, oder aber sie streben
die einseitige Diktatur ihrer Klasse an, um die utopische Kollektivierung aller
Produktionsmittel zu erreichen, die von einer jahrhundertealten Propaganda als
das Allheilmittel für all ihre Leiden angepriesen wird. Diese Politik kann keine
andere Schicht außer die der Arbeiter begeistern und verliert somit die
Unterstützung aller anderen progressiven Kräfte, oder liefert sie der Reaktion
aus, die sich ihrer geschickt bedient, um der proletarischen Bewegung das
Rückgrat zu brechen.
Unter
den
verschiedenen
Strömungen
der
traditionellen
Arbeiterbewegung, die der Klassenpolitik und dem kollektivistischen Ideal
verpflichtet sind, waren es gerade die Kommunisten, die die Notwendigkeit,
aber auch die Schwierigkeit erkannt hatten, für die Umsetzung ihrer Politik
starke Bündnispartner zu finden. Deswegen haben sich die Kommunisten im
Unterschied zu den anderen Volksparteien in eine streng organisierte
226
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Bewegung verwandelt und den Mythos der russischen Revolution ausgenutzt,
um die Arbeiter in einer Einheitsbewegung zusam menzuschließen, jedoch
wird die Arbeiterklasse nicht zum eigentlichen Entscheidungsträger erhoben,
sondern als bloßes Werkzeug in den diversen aussichtslosen politischen
Schachzügen eingesetzt.
Diese Vorgehensweise gibt den Kommunisten in revolutionären Krisen
eine größere politische Effizienz als den Demokraten; doch versuchen die
kommunistischen Kräfte unter dem Vorwand, dass die „wahre Revolution“ des
Proletariats erst noch kommen werde, die Arbeiterklasse so weit wie möglich
von den anderen revolutionären Kräften fernzuhalten, und so wird im
entscheidenden Moment eine Spaltung hervorgerufen, die die Durchsetzung
der politischen Zielsetzungen insgesamt schwächt. Auch ihre absolute
Abhängigkeit vom russischen Sowjetstaat, der die nationalen kommunistischen
Bewegungen des Öfteren dazu benutzt hat, die eigenen nationalen politischen
Interessen durchzusetzen, verleiht der eigenen nationalen kommunistischen
Politik keinerlei Kontinuität. Sie müssen sich immer hinter einem Karoly, einem
Blum, einem Negrin verstecken, um dann umso widerstandsloser gemeinsam
mit ihren demokratischen Strohmännern unterzugehen. Man erwirbt und
festigt die Macht nicht nur durch kluge politische Schachzüge, sondern allein
dann, wenn man auch in der Lage ist, glaubwürdige und realitätsnahe
Antworten auf die Anforderungen der modernen Gesellschaft zu geben.
Bliebe der Kampf in der Zukunft auf das traditionelle nationale Feld
beschränkt, so wäre es sehr schwer, den alten, bisher nicht gelösten Problemen
zu entfliehen. Denn die Nationalstaaten haben ihre Wirtschaft bereits so
weitgehend geplant, dass die Kernfrage schon bald wäre, welche
wirtschaftliche Interessensgemeinschaft, mit anderen Worten welche Klasse, die
wirtschaftlichen Schalthebel in der Hand hält. Die Front der progressiven
Kräfte würde im Streit zwischen den Gesellschaftsklassen und den
unterschiedlichen wirtschaftlichen Interessen leicht zerschmettert werden. Aller
Wahrscheinlichkeit nach würden die reaktionären Kräfte daraus Profit
schlagen.
Eine echte revolutionäre Bewegung muss von den Gruppierungen
ausgehen, die den alten politischen Ausrichtungen kritisch gegenüberstehen.
Sie wird lernen müssen, mit den demokratischen Kräften zusammenzuarbeiten,
mit den Kommunisten, und ganz allgemein mit all denen, die zum Untergang
des Totalitarismus beigetragen haben, ohne sich jedoch von der politischen
Praxis irgendeiner dieser Kräfte instrumentalisieren zu lassen.
Die reaktionären Kräfte verfügen über fähige Männer und
Führungspersönlichkeiten, die zum Befehlen erzogen wurden, und die
entschlossen für den Erhalt ihrer Vorherrschaft kämpfen werden. In schweren
227
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Zeiten werden sie sich geschickt verstellen, sie werden vorgeben, Befürworter
der Freiheit, des Friedens, des allgemeinen Wohlstands der ärmeren Klassen zu
sein. Wir haben schon in der Vergangenheit gesehen, wie sie sich hinter den
Volksbewegungen verborgen und diese gelähmt, umgeleitet und in das glatte
Gegenteil verwandelt haben. Sie werden ohne Zweifel die gefährlichste Kraft
sein, die es auszuschalten gilt.
Ihr Ziel wird mit aller Sicherheit die Wiederherstellung des
Nationalstaates sein. Hierbei können sie auf das am weitesten verbreitete
Volksempfinden zurückgreifen, auf das Nationalgefühl, das durch die
vergangenen Erschütterungen am meisten verletzt wurde und von den
Reaktionären am leichtesten manipuliert werden kann. Auf diese Weise können
sie auch darauf hoffen, die Ideen ihrer Gegner leichter zu verwirren, da sich die
einzige politische Erfahrung der Massen bisher im Rahmen der nationalen
Grenzen bewegte. Deswegen ist es auch umso leichter, sowohl das Volk als
auch seine kurzsichtigeren politischen Führer auf den Weg des Wiederaufbaus
der durch die Katastrophe zerstörten Nationalstaaten zu locken.
Würden dieses Ziel erreicht, dann hätte die Reaktion gewonnen. Diese
Staaten könnten sogar dem Anschein nach verhältnismäßig demokratisch und
sozialistisch sein, doch wäre die Rückkehr der Macht in die Hände der
reaktionären Kräfte nur eine Frage der Zeit. Die nationalen Rivalitäten würde
wiedererwachen und jeder Staat erneut die Befriedigung seiner eigenen
Bedürfnisse ausschließlich in die Hände des Militärs legen. Übergeordnetes Ziel
wäre es, die Völker früher oder später wieder in den Krieg zu führen. Die
Generäle würden wieder befehlen, die Monopolisten wieder von einer auf
Autarkie ausgerichteten Wirtschaft profitieren, die bürokratischen
Körperschaften würden sich wieder aufblähen, die Priester würden die Massen
wieder zähmen. Alle Errungenschaften der ersten Stunde würden auf ein
Nichts zusammenschrumpfen vor der Notwendigkeit, sich auf einen neuen
Krieg vorzubereiten.
Das Problem, welches zu allererst gelöst werden muss und ohne dessen
Lösung jeder andere Fortschritt nur ein Schein bleibt, ist die endgültige
Abschaffung der Zersplitterung Europas in souveräne Nationalstaaten. Der
Zusammenbruch der Mehrheit der Staaten des Kontinents unter der deutschen
Dampfwalze hat schon das gemeinsame Schicksal der europäischen Völker
besiegelt, denn entweder werden sie alle gemeinsam der Herrschaft HitlerDeutschlands unterworfen oder aber alle gemeinsam nach dem
Zusammenbruch dieses Regimes in eine revolutionäre Krise eintreten, in der sie
sich aus ihren herkömmlichen Staats strukturen befreien und die vorhandene
Trennung aufheben können. Schon heute stehen sie einem föderativen
Wiederaufbau Europas viel wohlwollender gegenüber als in der
228
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Vergangenheit. Die dramatischen Erfahrungen der letzten Jahrzehnte haben
auch denen die Augen geöffnet, die nichts sehen wollten, und haben viele
günstige Umstände für unser Ideal geschaffen.
Alle vernünftigen Menschen haben inzwischen begriffen, dass ein
Gleichgewicht unter den unabhängigen europäischen Staaten nicht aufrecht zu
erhalten ist, solange das militaristische Deutschland unter gleichen
Bedingungen mit den anderen Staaten zusammenlebt. Genauso wenig kann
man Deutschland nach seiner Niederlage zerstückeln und es „mit dem Fuß im
Nacken“ zu einem Kleinstaat degradieren. Es wurde klar, dass kein Land in
Europa unbeteiligt bleiben kann, während die anderen sich bekriegen, und dass
Neutralitätserklärungen und Nichtangriffspakte zu nichts nütze sind. Es ist
inzwischen bewiesen, wie nutzlos, ja schädlich Organismen von der Art eines
Völkerbundes sind, der vorgab, ein internationales Recht zu garantieren, ohne
eine militärische Kraft zu besitzen, die in der Lage gewesen wäre, unter
Wahrung der absoluten Souveränität der teilnehmenden Staaten internationale
Entscheidungen durchzusetzen. Absurd ist das Prinzip der Nichteinmischung
in die inneren Angelegenheiten eines Staates, nach dem jedes Volk frei sein
sollte, sich eine beliebige despotische Regierung zu wählen, als wäre der innere
Aufbau jedes einzelnen Staates nicht von vitalem Interesse für jeden anderen
europäischen Staat. Unlösbar sind die vielfältigen Probleme, die das
internationale Leben unseres Kontinents vergiften. Die Grenzziehung in den
Gebieten mit gemischter Bevölkerung, die Verteidigung der nationalen
Minderheiten, der Zugang zum Meer für Binnenländer, die Balkanfrage, die
Irland-Frage, usw., all diese Probleme könnten in einer Europäischen
Föderation leicht gelöst werden, ebenso wie in der Vergangenheit die
verschiedenen Konflikte der Kleinstaaten mit ihrer Aufnahme in das größere
nationale Staatsgebilde gelöst und dadurch entschärft wurden, dass sie nun als
eine innerstaatliche Angelegenheit betrachtet wurden.
Auf der anderen Seite begünstigen viele Umstände das Errichten eines
föderativen Systems, das allein in der Lage ist, der momentanen Anarchie ein
Ende zu setzen: Der zerstörte Mythos der Unangreifbarkeit Großbritanniens,
der die Engländer in die so genannte „splendid isolation“ getrieben hatte,
bedeutete auch das Ende des Gefühls der Sicherheit; die Niederlage und
Auflösung der französischen Streitkräfte und der französischen Republik schon
beim ersten ernsthaften Angriff der deutschen Truppen (wodurch die
chauvinistische Überzeugung von der absoluten gallischen Überlegenheit
hoffentlich stark geschwächt wurde); und vor allem das allgemeine Erkennen
der großen Gefahr, unter das deutsche Joch zu geraten. Auch die Tatsache, dass
England inzwischen die indische Unabhängigkeit anerkannt hat, und dass
Frankreich mit dem Eingestehen seiner Niederlage möglicherweise sein ganzes
229
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Imperium verloren hat, erleichtert es, eine Verständigungsbasis für eine
europäische Neuordnung der kolonialen Besitztümer zu finden.
Dazu kommen schließlich noch der Untergang einiger der wichtigsten
Dynastien und die schwankenden Grundfesten der übrigen Monarchien. Es
muss dabei berücksichtigt werden, dass die Dynastien, welche die
verschiedenen Länder als ihr traditionelles Erbteil betrachten, zusammen mit
den mächtigen Interessen, in deren Einverständnis sie handelten, ein
ernsthaftes Hindernis bei einer von der Vernunft gebotenen Errichtung der
Vereinigten Staaten von Europa darstellten, da diese nur auf einer
republikanischen Verfassung all ihrer Mitgliedsländer gegründet werden
können. Und wenn sich, über den europäischen Horizont hinaus, in einer
Zukunftsvision alle Völker der Menschheit in die Arme fallen sollten, dann
muss man akzeptieren, dass die Europäische Föderation die einzige denkbare
Garantie dafür darstellt, dass die Beziehungen zu den asiatischen und
amerikanischen Völkern sich auf der Grundlage einer friedlichen
Zusammenarbeit entwickeln können, in Erwartung einer weiter entfernten
Zukunft, in welcher die politische Einheit des ganzen Erdballs möglich sein
wird.
Die Trennungslinie zwischen den fortschrittlichen und den reaktionären
Parteien verläuft also jetzt nicht mehr entlang der formalen Linie einer mehr
oder weniger ausgeprägten Demokratie oder eines mehr oder weniger
ausgeprägten sozialistischen Systems, sondern entlang der grundlegend neuen
Trennungslinie: Auf der einen Seite stehen all diejenigen, die weiter dem alten
Hauptziel, der Übernahme der politischen Macht im Nationalstaat verhaftet
bleiben, und die, ohne es zu wollen, unvermeidlich zum Spielball der
reaktionären Kräfte werden, indem sie die glühende, formbare Lava der
Begeisterung des Volkes in die alten Formen pressen und dadurch die alten
Absurditäten wieder auferstehen lassen, auf der anderen Seite stehen
diejenigen Kräfte, die ihre Hauptaufgabe darin sehen, einen soliden und
gefestigten internationalen Staat zu schaffen, und die Kräfte des Volkes in diese
Richtung lenken wollen. Selbst wenn diese Kräfte die nationale Macht erobern
sollten, werden sie diese in erster Linie als Werkzeug zur Verwirklichung der
internationalen Einheit einsetzen.
Aufklärung, Propaganda und Aktion, aber auch eine Vielfalt von
Absprachen und Zusammenarbeit zwischen den einzelnen Bewegungen, die in
den verschiedenen Ländern zweifelsohne entstehen werden, bilden schon jetzt
das Fundament für eine einheitliche Bewegung, die alle Kräfte zu mobilisieren
vermag, um diesen neuen übernationalen Organismus ins Leben zu rufen, der
nach Jahrhunderten die großartigste und fortschrittlichste Schöpfung in Europa
sein wird. Es muss ein stabiler Bundesstaat aufgebaut werden, der die
230
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
nationalen Streitkräfte zugunsten einer europäischen Streitmacht abschafft; der
entschieden die Wirtschaftsautarkien zerschmettert, die das Rückgrat der
totalitären Regime bilden; der über angemessene Staatsorgane und finanzielle
Mittel verfügt, um in den einzelnen Bundesstaaten seine Entscheidungen, die
dem Erhalt der gemeinschaftlichen Ordnung dienen, durchsetzen zu können,
dabei aber gleichzeitig den einzelnen Staaten die Autonomie lässt, die es ihnen
erlaubt, das politische Leben gemäß der besonderen Eigenheiten der jeweiligen
Völker auszuformen und weiter zu entwickeln.
Wenn es in den größten europäischen Ländern genug Menschen gibt, die
das verstehen, dann werden wir den Sieg binnen kurzer Zeit in unseren
Händen halten, da die allgemeinen Umstände und der Zeitgeist unserem Werk
zuarbeiten. Ihnen werden Parteien und Tendenzen gegenüberstehen, die sich
durch die verheerende Erfahrung der letzten zwanzig Jahre selbst diskreditiert
haben. Denn die Zeit ist gekommen, für neue Aufgaben, für den neuen
Menschen, für die BEWEGUNG FÜR EIN FREIES UND VEREINTES EUROPA.
231
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
III. Die Aufgaben der Nachkriegszeit. Die Reform der Gesellschaft
Ein freies und vereinigtes Europa ist die notwenige Voraussetzung für die
Weiterentwicklung der modernen Gesellschaft, die im Zeitalter des
Totalitarismus zum Stillstand gekommen war. Das Ende dieser Ära wird sofort
den historischen Prozess gegen die Ungleichheit und die sozialen Privilegien
wieder entfachen. Alle alten, konservativen Institutionen, die diesen Prozess
behinderten, werden zusammenbrechen; und diese Krise muss mit Mut und
Entschlossenheit genutzt werden.
Die europäische Revolution muss, um unseren eigenen Ansprüchen zu
genügen, sozialistisch sein, das heißt, sie muss also sich als Ziel die
Emanzipation der arbeitenden Bevölkerung und das Erreichen würdigerer
Lebensbedingungen für diese Schicht setzen. Der Richtung weisende Kompass
kann hierbei aber nicht das rein doktrinäre Prinzip sein, nach dem das
Privateigentum an den Produktionsmitteln prinzipiell abgeschafft werden
muss, oder nur in einer Übergangsphase geduldet werden kann. Die allgemeine
Verstaatlichung der Wirtschaft war die erste utopische Form, unter der sich die
Arbeiterklasse die Befreiung vom kapitalistischen Joch vorstellte; jedoch sobald
dies einmal vollständig durchgesetzt ist, führt dies nicht zum ersehnten Ziel,
sondern zur Errichtung eines Regimes, in dem das ganze Volk im Dienst einer
kleinen Kaste von Bürokraten steht, die die Wirtschaft verwaltet.
Das wahre Grundprinzip des Sozialismus besteht darin, dass die
wirtschaftlichen Kräfte nicht über die Menschen herrschen sollen, sondern dass
diese Kräfte, so wie es für die Naturgewalten zutrifft, auf vernünftige Weise
von den Menschen gezähmt, gelenkt und kontrolliert werden sollten, damit die
großen Massen nicht zu ihrem Opfer werden (die allgemeine Kollektivierung
stellt lediglich eine überstürzte und fehlerhafte Schlussfolgerung aus diesem
Grundprinzip dar). Die enormen, aus dem individuellen Interesse
entspringenden fortschrittlichen Kräfte, sollten nicht in der täglichen Routine
ersticken, um dann vor der unlösbaren Aufgabe zu stehen,
Unternehmungsgeist, Leistung und Engagement anschließend durch finanzielle
Anreize und Gehaltsdifferenzierung wiederzuerwecken; diese Kräfte sollen
stattdessen unterstützt und ausgebaut werden, und ihnen sollten größere
Chancen zur Weiterentwicklung, Selbstentfaltung und Arbeitsmöglichkeiten
gegeben werden. Gleichzeitig müssen die Rahmenbedingungen konsolidiert
und perfektioniert werden, die zur Erreichung all der Ziele führen, die für die
ganze Gesellschaft am wichtigsten sind.
232
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Das Privateigentum muss von Fall zu Fall abgeschafft, begrenzt, korrigiert
oder auch erweitert werden, also nicht auf dogmatische und prinzipielle Art.
Diese Richtlinie fügt sich selbstverständlich in den Prozess der Entstehung
eines europäischen Wirtschaftslebens ein, das von dem Alptraum des
Militarismus und des nationalen Bürokratismus befreit ist. Die rationale Lösung
muss die Stelle der irrationalen einnehmen, auch im Bewusstsein der Arbeiter.
Um den Inhalt dieser Richtlinie genauer zu klären und unter Berücksichtigung
der Tatsache, dass die Angemessenheit und die Modalitäten jedes einzelnen
Programmpunktes immer vor dem von jetzt an unverzichtbaren Hintergrund
der europäischen Einheit beurteilt werden müssen, betonen wir die folgenden
Punkte:
a) Es gibt Unternehmen, die nicht in privaten Händen verbleiben sollten,
zum Beispiel Konzerne, die eine Monopolstellung eingenommen haben, die
ihnen die Möglichkeiten zur Ausbeutung der Konsumenten bietet, zum Beispiel
die Elektrizitätswerke; oder die Unternehmen von kollektivem Interesse, die
aber Schutzzölle, Subventionen, Beihilfen usw. benötigen (das bekannteste
Beispiel für diese Art von Industrie ist bisher in Italien die Eisen- und
Stahlindustrie); und die Unternehmen, die wegen der Höhe des investierten
Kapitals und der Anzahl der von ihnen beschäftigten Arbeiter oder aufgrund
der Wichtigkeit des von ihnen beherrschten Wirtschaftszweigs, die
Staatsorgane erpressen und eine für sie geeignete Politik erzwingen können
(z.B.: Bergbau, Großbanken, große Rüstungsindustrien). Dies ist das Feld, in
dem man sicherlich in großem Maßstab Nationalisierungen vornehmen muss,
ohne jede Rücksicht auf angestammte Rechte und Privilegien.
b) Eigentums- und Erbschaftsrecht haben in der Vergangenheit dazu
geführt, dass in den Händen weniger Privilegierter große Reichtümer
angehäuft wurden, die während einer revolutionären Krise gerecht verteilt
werden sollten, um die parasitären Schichten abzuschaffen und den Arbeitern
die Produktionsmittel in die Hand zu geben, derer sie zur Verbesserung ihrer
finanziellen Situation und zur Erreichung größerer Unabhängigkeit bedürfen.
Wir denken dabei an eine Agrarreform, die das Land denen überschreibt, die es
bebauen, wodurch die Anzahl der Grundbesitzer enorm ansteigen würde, oder
an eine Industriereform, die das Eigentum der Arbeiter auf die nicht
verstaatlichten Bereiche ausdehnt, und zwar durch Mitbestimmung,
Betriebsaktien für Arbeiter usw.
c) Die jungen Menschen müssen durch angemessene Maßnahmen
gefördert werden, damit die ungleichen Ausgangspositionen im Lebenskampf
auf ein Minimum reduziert werden. Vor allem muss die öffentliche Schule eine
reale Möglichkeit bieten, den Begabtesten und nicht nur den Reichsten den
Zugang zu den höchsten Schul- und Studienabschlüssen zu ermöglichen; und
233
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
das Bildungssystem muss in jedem Ausbildungs- und Studienzweig eine der
Nachfrage des Marktes entsprechende Anzahl von Personen auf die
unterschiedlichen Berufe und die freien und wissenschaftlichen Tätigkeiten
vorbereiten, damit die Durchschnittslöhne für die verschiedenen Berufszweige
mehr oder weniger gleich sind, wie unterschiedlich die Bezahlung innerhalb
der gleichen Kategorie auch sein mag, entsprechend den unterschiedlichen
persönlichen Leistungen und Fähigkeiten.
d) Die dank der modernen Technik schier unbegrenzte Möglichkeit der
Massenproduktion lebenswichtiger Güter erlaubt es inzwischen, alle Menschen
mit verhältnismäßig geringen sozialen Kosten mit Wohnung, Nahrung und
Kleidung zu versorgen, um allen ein menschenwürdiges Leben zu
gewährleisten. Die menschliche Solidarität gegenüber denjenigen, die im
wirtschaftlichen Kampf unterlegen sind, sollte aber keine karitative Form
annehmen, die immer erniedrigend ist und das gleiche Übel verursacht, das sie
beseitigen will. Sondern sie soll mittels gezielter Maßnahmen allen Menschen
bedingungslos eine angemessene Lebensqualität garantieren, ob sie nun
arbeiten können oder nicht, ohne indes den Anreiz zur Arbeit, Leistung und
zum Sparen zu verringern. Dadurch wird niemand mehr durch Armut
gezwungen sein, halsabschneiderische Arbeitsverträge zu akzeptieren.
e) Die Befreiung der Arbeiterklasse kann nur unter den oben genannten
Bedingungen stattfinden. Sie darf nicht wieder in die Hände der
Wirtschaftspolitik der monopolistischen Syndikate fallen, die ganz einfach die
Unterdrückungsmethoden des Großkapitals auf die Lebensbedingungen der
Arbeiter übertragen. Die Arbeiter müssen ihre Vertrauensleute wieder frei
wählen dürfen, damit Arbeits- und Lohnbedingungen kollektiv verhandelt
werden, und der Staat muss die Rechtsmittel zur Verfügung stellen, die das
Zustandkommen und Einhalten der abgeschlossenen Verträge garantieren. Alle
monopolistischen Tendenzen können wirksam bekämpft werden, sobald diese
sozialen Reformen durchgesetzt worden sind.
Diese Veränderungen müssen vorgenommen werden, um innerhalb der
neuen Gesellschaftsordnung eine breite Schicht von Bürgern zu schaffen, denen
die Aufrechterhaltung dieser Ordnung am Herzen liegt, und um dem
politischen Leben eine freiheitliche Prägung zu geben, die durch einen starken
Sinn für soziale Verantwortung gekennzeichnet ist. Auf dieser Grundlage
haben die politischen Freiheiten wirklich einen konkreten Inhalt, nicht nur
einen formalen, und das gilt für alle, denn dann wird die überwiegende
Mehrheit der Bürger unabhängig und verantwortungsbewusst genug sein, um
eine dauerhafte und wirksame Kontrolle über die ausführenden Gewalten
auszuüben.
234
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Es wäre müßig, sich mit den konstitutionellen Institutionen aufzuhalten,
da sich die Konditionen, unter welchen sie entstehen und wir ken sollen, nicht
vorhersehen lassen. Daher würden wir nur wiederholen, was alle schon über
die Notwendigkeit repräsentativer Organe wissen und gesagt haben; oder über
die Gesetzgebungsverfahren; über die Unabhängigkeit der Rechtsprechung, die
an die Stelle der aktuellen treten soll, und deren Aufgabe es ist, die
verabschiedeten Gesetze unparteiisch umzusetzen; über die Presse- und
Vereinigungsfreiheit, die zur Aufklärung der öffentlichen Meinung und zur
effektiven Teilhabe aller Bürger am staatlichen und gesellschaftlichen Leben
unentbehrlich ist. Lediglich zwei Fragen bedürfen weiterer Klärung, da sie in
diesem Augenblick für unser Land von besonderer Wichtigkeit sind: die
Beziehungen des Staates zur Kirche und die Form der politischen Vertretung.
a) Das Konkordat, mit welchem der Vatikan in Italien einen Vertrag mit
dem Faschismus geschlossen hat, muss zweifelsohne annulliert werden, um
den rein weltlichen, laizistischen Charakter des Staates zu unterstreichen, und
um auf unwiderrufliche Weise das Primat des Staates über das gesellschaftliche
Leben festzuschreiben. Alle religiösen Bekenntnisse müssen auf gleiche Weise
respektiert werden, doch sollen keine staatlichen Gelder mehr an die Kirchen
fließen.
b) Das vom Faschismus mit der korporativen Ordnung errichtete
Kartenhaus wird zusammen mit den anderen Bestandteilen des totalitären
Staates in sich zusammenfallen. Manche meinen, dass in diesen Trümmern das
Material für eine neue Verfassung gefunden werden kann. Wir sind nicht dieser
Meinung. Die korporativen Kammern, deklariert als branchen- und
berufsständische Vertretungen, sind in den totalitären Staaten nichts anderes
als ein die Rechte der Arbeiter verhöhnendes Instrument des Polizeistaats.
Selbst wenn diese korporativen Kammern wirkliche Interessensvertretungen
der verschiedenen Wirtschaftsbranchen wären, so sind die repräsentativen
Organe der verschiedenen Berufskategorien niemals befähigt, in Fragen der
allgemeinen Politik zu entscheiden, und in den rein wirtschaftlichen Fragen
würden die mächtigsten und stärksten korporativen Vertretungen die
Vorherrschaft über die schwächeren gewinnen. Den Gewerkschaften wird
weitgehend die Aufgabe zufallen, mit den staatlichen Organen
zusammenzuarbeiten, die für die Umsetzung gewerkschaftlicher Forderungen
und Interessen zuständig sind. Es ist aber auszuschließen, dass ihnen eine
gesetzgebende Funktion zugesprochen wird, denn dies würde eine
Feudalanarchie im Wirtschaftsleben bedeuten, was zu einem neuen politischen
Despotismus führen würde. Für viele, die sich blauäugig vom Mythos des
Korporativismus verführen ließen, könnte die Idee einer Neu- und
Umgestaltung dieses Systems verlockend sein; aber es muss eingesehen
235
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
werden, wie absurd diese konfuse Lösung war. Der Korporativismus kann nur
in der Form existieren, die er in den totalitären Staaten angenommen hatte, als
Mittel zur Kontrolle und Reglementierung der Arbeiter durch regimetreue
Funktionäre, die jede Aktion und Handlung im Interesse der regierenden Kaste
überwachen.
Die revolutionäre Partei kann nicht erst im entscheidenden Moment
dilettantisch und unvorbereitet aus dem Boden gestampft werden, sondern
muss ab sofort wenigstens ihre zentrale politische Grundhaltung, ein
allgemeines Rahmenprogramm und einen allgemeinen Aktionsplan
ausarbeiten und festlegen. Sie sollte kein heterogenes Agglomerat
verschiedener Strömungen sein, die sich nur aus einer Negativhaltung heraus
als Übergangslösung zusammenschließen, das heißt aufgrund ihrer
antifaschistischen Vergangenheit und in der bloßen Erwartung des
Zusammenbruchs des totalitären Regimes, um dann wieder ihrer eigenen Wege
zu gehen, sobald dieses Ziel erreicht ist. Die revolutionäre Partei weiß dagegen,
dass ihre Arbeit mit dem Zusammenbruch des Totalitarismus erst wirklich
beginnt. Deswegen muss sie aus Männern und Frauen bestehen, die bezüglich
der wichtigsten Probleme der Zukunft einer Meinung sind.
Die Partei muss mit einer durchdachten Propaganda alle Unterdrückten
des aktuellen Regimes erreichen, und die individuellen und schichtspezifischen
Fragen aufgreifen, die am schmerzlichsten und dringendsten empfunden
werden, in der Folge muss jedoch auch der Zusammenhang mit anderen
Problemen und deren wahre Lösung aufgezeigt werden. Aber aus dem
dauernd anwachsenden Umkreis ihrer Sympathisanten dürfen in den engeren
Kreis Organisation der Bewegung nur diejenigen aufgenommen werden, die
die europäische Revolution zum Hauptziel ihres Lebens gemacht haben und
die diszipliniert Tag für Tag die nötige Arbeit leisten, die umsichtig und
fortwährend für die Sicherheit aller Mitglieder sorgen, auch in Situationen der
härtesten Illegalität, und die so das solide Netzwerk bilden, das dem labileren
Umkreis der Sympathisanten Rückhalt verleiht.
Obwohl die Partei keine Gelegenheit auslassen und kein Wirkungsfeld
vernachlässigen darf, um ihre Ideen zu verbreiten, muss sie doch ihre
Bemühungen vor allem auf die Kreise konzentrieren, die als Katalysator zur
Verbreitung von Ideen und auch als Rekrutierungsfeld kampfbereiter Männer
am wichtigsten sind. Dies sind zuallererst die beiden sozialen Gruppen, die die
Dramatik der aktuellen Lage am stärksten empfinden und die auch in der
Zukunft entscheidend sein werden, und zwar die Arbeiterklasse und die
Intellektuellen. Erstere haben sich der totalitären Geißel am wenigsten gebeugt,
sie werden am schnellsten bereit sein, ihre Reihen neu zu ordnen. Die
Intellektuellen, insbesondere die jüngeren, fühlen sich durch die herrschenden
236
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Despoten am meisten erstickt und angewidert. Nach und nach werden sich
auch andere Schichten unvermeidlich von der allgemeinen Bewegung
angezogen fühlen.
Jede Bewegung, die die Aufgabe verfehlt, diese Kräfte an sich zu binden,
ist zur Erfolglosigkeit verdammt. Einer Bewegung, die nur aus Intellektuellen
besteht, wird es am Rückhalt der Massen fehlen, der nötig ist, um den
Widerstand der reaktionären Kräfte zu brechen, und eine solche Partei und die
Arbeiterklasse würden sich gegenseitig misstrauen. Selbst wenn sie von
demokratischen Gefühlen beseelt wäre, wäre sie doch geneigt, sich angesichts
von Schwierigkeiten durch Mobilisierung aller anderen Klassen gegen die
Arbeiter auf eine faschistische Restauration hin zu bewegen. Würde sich die
Bewegung dagegen allein auf das Proletariat stützen, fehlte ihr die Klarheit des
Denkens, die nur von den Intellektuellen kommen kann und notwendig ist, um
die neuen Aufgaben und die neuen Wege richtig einzuschätzen. Sie würde im
alten Klassendenken verhaftet bleiben, überall Feinde sehen und unvermeidlich
in die doktrinäre kommunistische Lösung stolpern.
Während der revolutionären Krise ist es Aufgabe dieser Bewegung, die
fortschrittlichen Kräfte zu organisieren und zu führen, auch unter Nutzung all
der spontan im Schmelztiegel der revolutionären Massen entstehenden
Volksorgane, die sich hier nicht versammeln, um Volksabstimmungen zu
veranstalten, sondern weil sie darauf warten, in die richtige Richtung geführt
zu werden. Unsere Bewegung bezieht ihre Vision und die Gewissheit darüber,
was zu tun ist, nicht aus der Vorwegnahme eines noch gar nicht ausgebildeten
Volkswillens, sondern aus der Gewissheit, die tief liegenden Bedürfnisse der
modernen Gesellschaft zu vertreten. Unsere Bewegung gibt auf diese Weise die
ersten Grundsätze für die neue Gesellschaftsordnung und den ersten sozialen
Rahmen für die noch amorphen Massen. Durch diese Diktatur der
Revolutionspartei wird der neue Staat geschaffen und mit ihm die neue, wahre
Demokratie.
Es ist nicht zu befürchten, dass eine derartige Revolutionsregierung
notwendigerweise in eine neue Despotie führt. Dies würde nur geschehen,
wenn die neu geschaffene Gesellschaftsform auf der Unterwürfigkeit der
Untertanen aufgebaut wäre. Wenn aber die Revolutionspartei mit fester Hand
von Anfang an die Voraussetzungen für ein Leben in Freiheit schafft, also eine
Gesellschaftsordnung, in der alle Bürger wirklich am staatlichen und
gesellschaftlichen Leben teilhaben, dann wird deren Weiterentwicklung, auch
durch eventuelle unbedeutende politische Krisen hindurch, in Richtung eines
wachsenden Verständnisses und Akzeptierens der neuen Ordnung von Seiten
aller Bürger und Schichten verlaufen, und deswegen das Funktionieren freier
politischer Institutionen in immer größerem Maße ermöglichen.
237
A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Heute ist der Augenblick gekommen, um die alten drückenden Lasten
abzuwerfen, und bereit und offen zu sein für das Neue, das so ganz anders sein
wird, als man es sich vorgestellt hatte. Die, die versagt haben im alten Regime,
müssen die politische Bühne verlassen, und neue Energien unter den jungen
Menschen müssen erweckt werden. Heute suchen und finden sich alle, die die
Gründe der gegenwärtigen Krise der europäischen Zivilisation erkannt haben,
und sie beginnen die Zukunft neu zu gestalten, und deshalb treten sie jetzt das
Erbe all der Bewegungen an, die für die Menschlichkeit gekämpft haben, die
aber bisher gescheitert sind, weil sie sich ein falsches Ziel gesetzt oder aber zu
falschen Mitteln gegriffen haben.
Der Weg, der uns erwartet, ist weder leicht noch sicher. Aber wir müssen
ihn gehen, und wir werden es tun!
Altiero Spinelli - Ernesto Rossi
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A.S., E.R., Das Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Europese Unie: Versterking van de eigen identiteit
door Fiorella Mori
Het document geschreven door Altiero Spinelli en Ernesto Rossi, in
samenwerking met Eugenio Colorni, dat in de afwijzing van totalitaire machten
en nationalistische conservatieve krachten en in de opheffing van de verdeling
van Europa in nationale staten de enige manier zag om de vrede te bewaren en
het evenwicht en de voortgang van de volkeren te waarborgen, hoopt op en
beraamt, daarbij zijn tijd vele jaren vooruitlopend, de oprichting van een
supranationale Europese macht. De gedachte die naar voren gebracht is door de
auteurs van het Manifest heeft de grote stap vooruit betekend in de opzet van
een Europese unie welke zijn begin heeft gezien in het Verdrag van Rome en
wat zich verder concretiseerde in de loop van de daarop volgende tientallen
jaren.
De Europese Unie van vandaag, meer dan een echte federatie van staten,
zoals gedroomd door Spinelli, Rossi en Colorni, is meer een confederatie waarin
de nationale lidstaten een aantal taken op bepaalde gebieden gedelegeerd
hebben. Dankzij het Manifest, opgesteld door iemand die ver vooruit in de tijd
heeft kunnen kijken, kan de generatie van vandaag genieten van de voordelen
van een voor een groot deel verenigd Europa en de hoop koesteren dat door
middel van de Europese Unie men tot een eenheid van, en vrede en evenwicht
tussen de daarin verenigde volkeren kan komen.
Het ligt niet in mijn capaciteiten noch voel ik mij professioneel competent
om voorspellingen te kunnen formuleren betreffende de mogelijkheid dat de
droom van Spinelli, Rossi en Colorni tot een complete realisatie zal komen,
maar als gewoon burger beschouw ik zeer positief het feit dat op een aantal
gebieden, zoals die betreffende monetaire zaken en milieupolitiek, de Europese
Unie reeds een federalistische opzet heeft en als overtuigd Europese burger
druk ik dan ook de hoop uit dat ook in andere sectoren de individuele staten
zullen komen tot het aan de Europese Unie delegeren van een steeds groter deel
van hun nationale soevereiniteit.
Ik ben er verder van overtuigd dat, in het licht van de vooruitgang welke
er vooral in de laatste tien jaar is geweest, de bezorgdheid, welke naar voren is
gebracht door een aantal lidstaten betreffende een bedreiging van de eigen
nationale identiteit, het veld zal ruimen voor de positieve overweging dat uit de
vergelijking met de andere identiteiten men zich een beter idee kan vormen van
zijn eigen identiteit. Dit is ook de gedachte welke naar voren gebracht is door
239
F. Mori, Europese Unie
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
de Nederlandse Minister-President Jan Peter Balkenende die aanwezig was bij
de ondertekening van de Europese Grondwet op 29 oktober 2004 in Rome.
De grondwet zou volgens Balkenende geen bedreiging zijn maar een
versterking van de eigen identiteit. “Met deze grondwet levert Nederland zich
niet uit aan Europa,” stelde hij, “we krijgen er juist meer greep op. Deze
grondwet is een kans voor een middelgroot land als Nederland.”
Deze woorden zijn echter niet voldoende geweest om tijdens het
referendum op 1 juni 2005 de Nederlandse bevolking ervan te overtuigen om
de Europese grondwet als een vooruitgang te gaan beschouwen. Ook de recente
uitslag van het Ierse referendum (juni 2008) over het Verdrag van Lissabon is
een duidelijk signaal dat deze bezorgdheid er nog steeds is. Ik ben echter
geneigd om het positieve optimisme te delen van José Manuel Barroso,
voorzitter van de Europese Commissie, en doe zijn woorden de mijne worden:
"Identiteit, dat is een gevaarlijk woord, omdat het vaak wordt afgezet tegen de
identiteit van anderen. Daarom moeten we binnen de EU streven naar
meerdere identiteiten en die combineren met cultuur. Want cultuur komt op
mijn lijst van waarden boven economie."
Ik ben het er volledig mee eens dat de individuele culturen gekoesterd
moeten worden en dat de individuele ontwikkeling daarvan door moet gaan
omdat de individuele culturen de grootste rijkdom zijn die Europa bezit en
waardoor het in staat moet zijn zijn toekomst op te bouwen en zich te
onderscheiden van andere delen van de wereld.
Juist de samenwerking van de grote Europese culturen zullen in staat zijn
om die lawine van gedachten en ideeën naar voren te brengen die ons “oude”
continent zo nodig heeft om verder te kunnen gaan.
De Europese Unie respecteert de verschillen in karakter en nationale
identiteit van zijn lidstaten. Het is heel belangrijk het culturele erfgoed van
ieder afzonderlijk land naar voren te brengen en aan de Unie te tonen opdat het
belang ervan in wijde supranationale kringen ingezien, herkend en op prijs
gesteld zal worden. Op deze manier draagt men bij tot de groei van de nieuwe
Europese dimensie waar een grote groep euroburgers zich al van bewust is
geworden.
Het is zeker dat mijn talenstudies en mijn persoonlijke
wederwaardigheden er toe hebben bijgedragen, en dit reeds vanaf jonge
leeftijd, om mij Europa te laten voelen als mijn natuurlijke geografische
levensruimte en met groeiende besef heb ik mijn gevoel als zijnde een Europese
burger geaccepteerd. Een belangrijk facet in mijn gevoelens is zonder twijfel te
danken aan de verhouding met mijn Nederlandse echtgenoot en mijn
aangetrouwde Nederlandse familie en de daaruit voortvloeiende gunstige
situatie welke het voor mij mogelijk heeft gemaakt om over een lange tijd de
240
F. Mori, Europese Unie
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
ervaring van een confrontatie tussen twee culturen te kunnen hebben en de
culturele en spirituele verrijking te voelen die is ontstaan uit het zich inwoner te
voelen van twee zo verschillende landen. Om deze reden heb ik dan ook de
opdracht om de vertaling van het Manifest van Spinelli en van het Voorwoord
van Colorni te verzorgen voor mij van bijzondere betekenis gevonden.
Ik wil bij deze verduidelijken dat de vertaling van het Manifest in grote
lijnen hetzelfde is gebleven ten opzichte van die welke door het Belgische exparlamentslid Ludo Dierikx is verzorgd die een zeer waarderend vriend van
Altiero Spinelli was. Hij was verder heel actief in de Europese Federalistische
Beweging en is een prominent lid van B Plus, de Belgische pressiegroep die
voor “een waarachtig en evenwichtig federalisme” op nationaal en
supranationaal niveau ijvert.
In het Manifest heb ik mij beperkt tot slechts een klein aantal ingrepen, ten
dele noodzakelijk gezien een aantal zetfouten en lacunes in de ontvangen tekst
en veranderingen in het lexicon, en verder in het vervangen van enigszins
streekgebonden termen en enkele in onbruik geraakte of overbodige
uitdrukkingen. Ludo Dierickx, in een uitwisseling van opinies over de door
hem vertaalde tekst, heeft mij gezegd de schrijfstijl van het Manifest zeer
moeilijk te hebben gevonden maar in ieder geval gepoogd te hebben om alles
zo letterlijk mogelijk te vertalen.
Gezien het bijzondere historische moment en de bijzondere
omstandigheden onder welke ze zijn geschreven, dit voor zowel de tekt van het
Manifest van Ventotene als voor die van het Voorwoord van Colorni, ook al zijn
ze geformuleerd in de stijl, krachtig en hoogdravend, welke karakteristiek is
voor een proclamatie, zijn ze doortrokken van een grote emotionele spanning,
welke voortkomt uit de nadrukkelijke bewustheid van de noodzaak van een
authentieke vernieuwing en uit de wens om onder de mensen een bericht van
hoop voor een toekomst van vrede en vrijheid te verspreiden.
Het Manifest is geschreven in de intense, opdringende en plechtige stijl
waarmede men grote ideeën wil overbrengen en het geweten opnieuw wakker
wil schudden. De taal van Altiero Spinelli en Ernesto Rossi, en ook die van
Eugenio Colorni is de geleerde en literaire taal van de intellectuelen met
complexe volzinnen en rijk aan ondergeschikte opeenvolgingen. Het volledige
begrip van de tekst vraagt een attente en geconcentreerde lezing. De retorische
nadruk, het herhalen van beelden en de constante aanwezigheid van frasen van
een ingewikkelde structuur, hebben in een aantal gevallen de vertaling
bemoeilijkt. Het is echter mijn doel geweest om deze te doen met respect voor
de originele tekst, daarbij trachtend - waar mogelijk - de stijl aan de strakke
structuur en aan het karakter van directheid en nuchterheid, die zo
kenmerkend zijn voor de Nederlandse taal, aan te passen.
241
F. Mori, Europese Unie
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Voorwoord
door Eugenio Colorni (Rome 1944)
De onderhavige geschriften zijn geconcipieerd en opgesteld op het eiland
Ventotene in de jaren 1941 en 1942. In die uitzonderlijke omgeving rijpte in de
geest van enkelen een proces van heroverweging van alle problemen welke de
eigenlijke redenen waren geweest van de verrichte actie en van de in de strijd
ingenomen houding.
Dit alles tussen de mazen van een buitengewoon strenge discipline door,
op basis van informatie welke men door middel van duizenden kunstgrepen zo
compleet mogelijk trachtte te maken en met de triestheid van de geforceerde
daadloosheid en de bezorgdheid omtrent de naderende bevrijding.
De afstand tot het concrete politieke leven gaf de mogelijkheid van een
gedistantieerde blik en gaf aanleiding om de traditionele standpunten te
herzien en de motieven te zoeken voor de mislukkingen uit het verleden. Dit
niet zozeer t.a.v. technische fouten in de parlementaire of revolutionaire tactiek
of van een algemene “onrijpheid” van de toestand, dan wel een onvolledigheid
in de algehele opzet en t.a.v. het strijd gevoerd te hebben langs de gebruikelijke
breuklijnen, met te weinig aandacht voor het nieuwe dat de realiteit kwam
veranderen.
In de voorbereiding van het efficiënt strijden van de grote slag die zich
voor de nabije toekomst aan de horizon aftekende, voelde men de behoefte om
niet simpelweg de fouten van het verleden te corrigeren maar om de termen
van de politieke problemen te her formuleren en dit met een gemoed vrij van
doctrinaire vooroordelen of partij mythes.
Het was op deze manier dat in de geest van enkelen het centrale idee van
de essentiële tegenstelling opkwam. De tegenstelling welke verantwoordelijk
was voor de crisis, voor de oorlogen, voor de ellende en de uitbuiting die onze
maatschappij kwellen en voor het bestaan van soevereine staten, geografisch,
economisch en militair gekenmerkt, welke staten de andere staten als
concurrenten en potentiële vijanden beschouwen, ieder voor zich ten opzichte
van de ander levend in een situatie van voortdurend “bellum omnium contra
omnes”. De redenen waardoor dit idee, op zichzelf niet nieuw, een aspect van
nieuwheid aannam onder de omstandigheden en in de situatie waaronder er
aan werd gedacht, zijn verschillende:
1) Ten eerste, de internationalistische oplossing, welke in het programma
van alle progressieve politieke partijen staat, wordt door deze in zekere zin
242
E. Colorni, Voorwoord
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
beschouwd als een noodzakelijke en bijna automatische consequentie van het
bereiken van de objectieven die eenieder van deze partijen aan zich zelf
voorlegt. De democraten menen dat het invoeren, binnen de grenzen van ieder
land, van het door hen bepleitte staatsbestel, zeker tot de vorming van die
algemene bewustheid zou leiden welke, in het geval van het wegvallen van de
grenzen op cultureel en moreel terrein, als voorwaarde geldt van wat door hen
essentieel bevonden wordt om tot een vrije unie van de volkeren te komen. Dit
eveneens op politiek en economisch niveau. En de socialisten van hun kant
denken dat de invoering in de verschillende staten van een dictatoriaal regime
van het proletariaat vanzelf tot een collectivistische internationalistische staat
zal leiden.
Nu toont een analyse van het moderne concept van de staat, van het
geheel van de daarmee verbonden belangen en sentimenten, heel duidelijk aan
dat, alhoewel de analogieën van het interne staatsbestel de relaties van
vriendschap en samenwerking tussen staat en staat bevorderen, het zeker niet is
gezegd dat zij automatisch en ook niet geleidelijk tot een unificatie leiden. Dit
zeker voor zolang er collectieve interessen en sentimenten blijven welke
gebonden zijn aan het behouden van een gesloten eenheid binnen de grenzen.
We weten uit ervaring dat chauvinistische sentimenten en protectionistische
belangen gemakkelijk kunnen leiden tot een botsing en tot concurrentie, ook
tussen twee democratieën. Het is niet mogelijk om een echte socialist te zijn
zonder daarbj ook internatio nalist te zijn. Het is niet mogelijk om een echte
socialist te zijn zonder daarbij ook tussen twee democratieën. Het is niet gezegd
dat een rijke socialistisch staat noodzakelijkerwijs moet accepteren dat zijn
eigen rijkdommen met een andere veel armere socialistische staat worden
gedeeld, alleen maar omdat daarin hetzelfde interne bewind heerst als dat bij
zichzelf.
Het opheffen van de politieke en economische grenzen tussen staat en
staat is noodzakelijkerwijs niet het gevolg van het gelijktijdige invoeren van een
gegeven intern staatsstelsel in iedere staat. Het is echter een op zichzelf staand
probleem wat met eigen, daarbij passende middelen moet worden aangepakt;
uit een ideologische band, meer dan uit een politieke en economische
noodzakelijkheid: De socialistische overwinning in afzonderlijke staten leidt
noodzakelijkerwijs niet tot de internationale staat.
2) Wat de ontwikkeling van de federalistische stelling in autonoom
opzicht verder accentueerde was het feit dat de bestaande politieke partijen,
verbonden aan een verleden van gevechten, gestreden binnen de grenzen van
iedere natie, uit gewoonte en uit traditie, gewend zijn om, bij hun opstelling ten
opzichte van alle problemen, uit te gaan van de stilzwijgende veronderstelling
van het bestaan van de nationale staat. De problemen van de internationale
243
E. Colorni, Voorwoord
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
ordening moeten daarbij gezien worden als kwesties van de “buitenlandse
politiek” welke opgelost moeten worden door middel van diplomatieke acties
en door overeenkomsten tussen de verschillende regeringen.
Deze houding is ten dele de reden, en ten dele ook het gevolg van wat hier
eerder is aangemerkt, dat als eenmaal de teugels van het bewind in het eigen
land in handen genomen zijn, de overeenkomst en de unie met soortgelijke
staatsbestellen in andere landen van zelf komt. Er is geen noodzaak voor het
aanvangen van een politieke strijd welke direct daarmee verbonden is.
Onder de auteurs van de onderhavige geschriften had zich echter de
overtuiging geworteld dat diegene die het probleem van de internationale
ordening als het centrale punt van de hedendaagse geschiedenis wil opvatten,
en voor wie de oplossing ervan als een noodzakelijke voorwaarde geldt voor
het oplossen van alle constitutionele, economische en sociale problemen welke
zich aan onze samenleving opdringen, noodzakelijkerwijs vanuit dit
gezichtspunt alle vragen moet overwegen betreffende de interne politieke
tegenstellingen en de standpunten van elke partij. Dit ook voor wat de
dagelijkse tactiek en strategie van de dagelijkse strijd betreft. Alle problemen,
vanaf diegene welke verbonden zijn met de constitutionele vrijheid tot die van
de strijd tussen de klassen, van die gerelateerd aan het formuleren van
doelstellingen tot degene welke verband houden met het in de hand nemen van
de macht en het gebruik ervan, krijgen een nieuw licht als ze gesteld worden
vanuit de veronderstelling dat het eerste te bereiken doel dat is van een unitaire
ordening op internationaal niveau is. De politieke handelwijze zelf, het steunen
op de ene of de andere in het spel aanwezige macht, het versterken van de ene
of de andere opdracht, neemt een volledig verschillend karakter aan al
naargelang men ze ziet als een essentieel middel om de macht in handen te
krijgen en voor het invoeren van bepaalde hervormingen binnen elke
afzonderlijke staat of als middel om economische, politieke en morele
grondslagen te leggen ter invoering van een federale ordening welke het gehele
continent omvat.
3) Nog een andere beweegreden - en misschien de meest belangrijke werd gevormd door het feit dat het ideaal van een Europese federatie,
preludium tot een wereldwijde federatie, wat slechts enkele jaren geleden een
utopie leek, zich vandaag de dag aan het einde van deze oorlog presenteert als
een bereikbaar doel en bijna binnen handbereik.
Door de algehele vermenging van de volkeren welke door dit conflict is
veroorzaakt in alle landen welke onderhavig zijn geweest aan de Duitse
bezetting, door de noodzakelijkheid om op nieuwe fundamenten een bijna
totaal verwoeste economie opnieuw op te bouwen, om opnieuw alle problemen
betreffende politieke grenzen, douane barrières, etnische minderheidsgroepen
244
E. Colorni, Voorwoord
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
etc. opnieuw ter tafel te brengen, in al deze elementen, moeten feiten herkend
worden, welke als nooit tevoren in dit naoorlogse tijdperk het probleem van de
federale ordening van Europa actueel maken. Verdere elementen die hierbij
toegevoegd kunnen worden zijn het eigen karakter van deze oorlog waarin het
nationale element zo vaak door het ideologische element is voorbijgegaan,
waarin men heeft gezien dat kleine en middelgrote staten voor een groot deel
hun onafhankelijkheid hebben opgegeven ten goede van de sterkere staten, en
waarin door de fascisten zelf het concept van “levensruimte” door “nationale
onafhankelijkheid” vervangen is.
Krachten afkomstig uit alle sociale klassen, zei het om economisch - zei het
om idealistische redenen, kunnen daarin geïnteresseerd zijn. Het is mogelijk om
daar dichterbij te komen door middel van diplomatieke onderhandelingen en
door middel van volksoproer, door het bevorderen onder de intellectuele
klassen van de studie van de daarbij behorende problemen en door het
veroorzaken van revolutionaire feiten, van waar, eenmaal gedaan, geen
terugkeer mogelijk is. Verder kan dit doel bereikt worden door het invloed
uitoefenen op de leidinggevende klassen van de overwinnende staten en door
het verspreiden van het begrip in de overwonnen staten dat zij alleen in een vrij
en verenigd Europa hun redding kunnen vinden en de verwoestende gevolgen
van de nederlaag kunnen ontlopen.
Juist hiervoor is onze Beweging ontstaan. Het is de preëminentie, de
prioriteit van dit probleem ten opzichte van alle welke in het tijdperk waarin
wij verder gaan zich opdringen. Het is de zekerheid dat, als wij de situatie in de
oude nationalistische vormen weer laten verharden, de kans voor altijd
verloren zal zijn gegaan en ons continent er geen enkele langdurige vrede en
voorspoed door zal kunnen verkrijgen. Het is dit alles wat ons ertoe gedreven
heeft een autonome organisatie te creëren om voor het idee van een Federaal
Europa in de nabije naoorlogstijd als een uitvoerbaar einddoel op te komen.
Wij verbergen voor onszelf de moeilijkheden hiervan niet en de sterkte
van de krachten welke deze tegen zullen werken, maar wij denken dat het de
eerste keer is dat dit probleem op tafel van de politieke strijd gebracht wordt,
niet als een ver ideaal maar als een dringende en tragische noodzakelijkheid.
Onze Beweging, welke sinds ongeveer twee jaar bestaat en in de moeilijke
clandestiniteit onder de fascistische en nazistische onderdrukking leeft;
waarvan de aanhangers uit de gelederen van de strijders van het anti-fascisme
komen en het allen eens zijn met de gewapende strijd voor de vrijheid; welke al
zijn hoge prijs heeft betaald voor het algemene doel in de vorm van de
gevangeniscel; onze Beweging is en wil geen politieke partij zijn. Zoals zij zich
steeds duidelijker heeft gekarakteriseerd, wil zij werken op en in de
verschillende politieke partijen. Dit niet alleen met het doel om de
245
E. Colorni, Voorwoord
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
internationalistische kwestie te accentueren maar ook en bovenal opdat alle
problemen van hun politieke leven gesteld zullen worden uitgaande van dit
nieuwe gezichtspunt, iets waar zij tot nu toe maar weinig aan gewend waren.
Wij zijn geen politieke partij, ook al bevorderen wij actief elke studie waar
het de institutionele, economische en sociale opzet van de Europese Federatie
betreft. Wij nemen actief deel aann de strijd voor haar realisatie en stellen ons
ten doel de krachten te ontbloten welke ten voordele hiervan kunnen werken in
de toekomstige politieke conjunctuur. Wij willen ons niet officieel uitspreken
over institutionele details, over een hoge of lagere graad van economische
collectivisering, over een hogere of lagere graad van administratieve
decentralisatie etc. welke het toekomstige federale organisme zullen moeten
karakteriseren.
Laten we dat in de schoot van onze beweging deze problemen uitgebreid
en vrij besproken worden en laten alle politieke richtingen, van de
communistische tot de liberale, bij ons vertegenwoordigd zijn. In feite zijn bijna
al onze aanhangers actief in een van de progressieve politieke partijen; allen
nemen deel aan het verspreiden van wat de basisprincipes zijn van een vrije
Europese Federatie, niet gebaseerd op hegemonie van welk soort dan ook, niet
op totalitaire principes, maar voorzien van een solide structuur welke haar niet
reduceert tot een eenvoudige Vereniging van Naties. Deze principes kunnen in
de volgende punten worden samengevat: een enkel federaal leger, monetaire
eenheid, afschaffing van douanebarrières en van de beperkingen in de
emigratie tussen de staten welke deel uitmaken van de Federatie, directe
vertegenwoordiging van de bevolking in de federale vergaderingen en
gemeenschappelijke buitenlandse politiek.
In deze twee levensjaren heeft onze Beweging zich wijd verbreid onder de
antifascistische groepen en politieke partijen. Enkele van hen hebben publiek
hun aanhang en sympathie geuit.
Anderen hebben ons gevraagd om aan hun programmatische formulering
mee te werken. Het is misschien niet aanmatigend om te zeggen dat het ten dele
onze verdienste is dat de problemen van de Europese Federatie zo vaak in de
clandestiene Italiaanse kranten worden behandeld.
Onze krant «L’Unione Europea» (De Europese Unie) volgt met aandacht
de gebeurtenissen in de interne en internationale politiek, daarbij ten opzicht
hiervan een positie innemend van absolute onafhankelijkheid van oordeel.
De hierbij gevoegde geschriften, product van het verwerken van ideeën
welk de geboorte van onze Beweging tot resultaat heeft gehad, representeren
slechts de opinie van de auteurs, en betekenen niet het innemen van een positie
van de Beweging zelf. Ze willen slechts een voorstel zijn voor discussiethema’s
voor diegenen welke opnieuw alle problemen van het internationale politieke
246
E. Colorni, Voorwoord
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
leven willen overdenken, daarbij rekening houdende met de meest recente
ideologische en politieke ervaringen, met de resultaten van de meest recente
economische wetenschap, met de meest voor de hand liggende en redelijke
perspectieven voor de toekomst. Zij zullen spoedig gevolgd worden door
andere studies. Onze wens is dat deze een gisting van ideeën tot gevolg zullen
hebben, en dat in de huidige verhitte atmosfeer van de urgentie van actie, zij
een bijdrage leveren ter verduidelijking, wat de actie steeds resoluter, bewuster
en verantwoordelijker zal maken.
De Italiaanse Beweging voor de Europese Federatie
Roma, 22 Januari 1944
247
E. Colorni, Voorwoord
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Voor een vrij en verenigd Europa. Ontwerp voor een Manifest
Ventotene, 1941
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi
I. De crisis van de moderne maatschappij
Onze moderne maatschappij is gebaseerd op het principe van de vrijheid.
Volgens dit beginsel is de mens geen instrument ten dienste van anderen, maar
een autonoom centrum van leven. Uitgaande van deze basisgedachte is een
groots historisch gevecht begonnen tegen alle aspecten van het maatschappelijk
leven, waarin dat grondbeginsel niet werd toegepast.
1) Aan alle naties werd het recht toegekend zich in onafhankelijke staten te
organiseren. Elk volk dat zich door zijn etnische, geografische, taalkundige en
historische karaktertrekken onderscheidde, moest in zijn eigen staatsbestel,
ingericht volgens zijn eigen opvatting van het politieke leven, het beste
instrument vinden om aan zijn behoeften te voldoen, onafhankelijk van elke
buitenlandse inmenging. De ideologie van de nationale onafhankelijkheid gaf
een sterke impuls aan de vooruitgang. Ze verving de kleingeestige
dorpsmentaliteit door bredere solidariteit tegen de onderdrukking door
vreemde overheersers. Ze werkte vele hinderpalen weg die het vrije verkeer
van mensen en goederen in de weg stonden. Binnen elke nieuwe staat breidde
zij de instellingen en de wetten van de geciviliseerde streken tot de
achtergebleven gebieden uit. Deze ideologie droeg echter ook de kiemen in zich
van het kapitalistisch imperialisme dat in onze generatie zulke enorme
afmetingen aanneemt; zij lag aan de basis van de vorming van totalitaire staten
en leidde tot twee wereldoorlogen.
De natie wordt niet langer beschouwd als het historisch product van een
samenleving van mensen die via een langdurig proces tot een grotere eenheid
248
A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
in gebruiken en strevingen gekomen zijn en die in hun staatsbestel een
doeltreffend middel vinden om het collectieve leven te organiseren binnen het
ruimere kader van het hele mensdom.
Neen, die natie is een goddelijk iets geworden, een organisme dat alleen
aan eigen bestaan en eigen ontwikkeling denkt zonder zich op enigerlei wijze te
bekommeren om het nadeel dat het anderen kan berokkenen. De absolute
soevereiniteit van de nationale staten mondt telkens uit in overheersingsdrang
omdat zij zich alle bedreigd voelen door de macht van de andere. De
“levensruimte” wordt een steeds groter gebied dat hun moet toestaan zich vrij
te bewegen en het eigen bestaan, onafhankelijk van alle andere, te verzekeren.
Deze drang tot overheersen valt pas weg wanneer de sterkste staat de
hegemonie verwerft en alle andere onderworpen heeft.
Van beschermer van de vrijheid van de burgers is de staat dus geworden
tot de baas van zijn dienstbare onderdanen, die zijn militaire doeltreffendheid
met al hun krachten zo groot mogelijk moeten maken. Ook in vredestijd, die
beschouwd wordt als een periode van voorbereiding op de onafwendbare
volgende oorlog, domineert de wil van de militairen in vele landen over die van
de burgers, waardoor het functioneren van vrije politieke instellingen steeds
moeilijker wordt. Onderwijs, wetenschap, productie en bestuur moeten vooral
het oorlogspotentieel vergroten. Moederschap wordt gelijkgesteld met
soldatenteelt; moeders worden met dezelfde maatstaven gedecoreerd als de
vruchtbaarste dieren op jaarmarkten. Kinderen worden vanaf hun prilste jeugd
opgeleid tot soldaten en vreemdelingenhaat wordt hun aangeleerd. Individuele
vrijheden verdwijnen geheel daar eenieder gemilitariseerd is en steeds weer
onder de wapens geroepen wordt. De voortdurende oorlogen dwingen de
mannen hun familie, hun werk, hun hebben en houden achter te laten en hun
leven op te offeren voor dingen waarvan eigenlijk niemand de waarde begrijpt.
In enkele dagen worden de resultaten van tientallen jaren van inspanningen
voor het algemeen welzijn totaal vernietigd.
De totalitaire staten hebben op de meest coherente manier de bundeling
van alle krachten en de grootst mogelijke concentratie en autarkie
verwezenlijkt. Zij hebben zich het best aan de huidige internationale toestand
aangepast. Anderzijds is het voldoende dat één natie een stap doet naar een
meer uitgesproken totalitarisme om de andere, in hun drang tot zelfbehoud,
hetzelfde te laten doen. Alle naties worden zo in dezelfde draaikolk
meegesleurd.
2) Aan alle burgers werd gelijkelijk het recht toegekend om tot de vorming
van de staatswil bij te dragen. Deze wil moest aldus de synthese zijn van alle
sociale klassen, die zich vrij kunnen uiten. Deze politieke reorganisatie heeft tot
gevolg gehad dat vele van de schrijnendste ongerechtigheden, overgeërfd van
249
A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
voorbije regimes, weggenomen of ten minste verzacht konden worden. De
persvrijheid, de vrijheid van vereniging en de geleidelijke uitbreiding van het
stemrecht bemoeilijkten echter, bij instandhouding van het parlementaire
systeem, steeds meer de handhaving van de oude privilegies.
Zij die niets bezaten leerden beetje bij beetje zich van deze instrumenten te
bedienen om de strijd aan te binden tegen de voorrechten van de bezittende
klassen. De belasting op de niet-verdiende inkomsten, de successierechten, de
progressieve vermogensheffingen, de belastingvrijdom voor lage lonen en
levensnoodzakelijke goederen, het gratis onderwijs, de verbetering van de
sociale voorzieningen en uitkeringen, de landbouwhervormingen en de
medezeggenschap van de fabrieksarbeiders bedreigden de bevoorrechte
klassen in hun sterkste vestingen.
De bevoorrechte klassen, die ingestemd hadden met de gelijkheid van
politieke rechten, konden echter niet toestaan dat het proletariaat hiervan
gebruik zou maken om een feitelijke gelijkheid te verwerven, waardoor die
rechten een concrete inhoud van vrijheid zouden krijgen. Toen deze dreiging na
de Eerste Wereldoorlog te groot werd, was het heel natuurlijk dat de
bevoorrechte klassen de instelling van dictaturen, die hun tegenstanders de
wettelijke wapens ontnamen, gingen toejuichen en steunen.
Daarnaast dreigde de vorming van gigantische industrie- en bankgroepen
en vakbonden (die hele arbeiderslegers onder één leiding verenigden) - welke
groepen en vakbonden in hun eigen belang druk uitoefenden op de regering -,
de staat zelf te doen uiteenvallen in talrijke elkaar bekampende economische
vorstendommetjes. De vrije democratische instellingen, die het instrument
werden waarvan deze groepen zich bedienden om de collectiviteit beter uit te
buiten, verloren steeds meer prestige. Zo ontstond de opvatting dat alleen de
totalitaire staat, die alle burgerlijke vrijheden afschaft, de belangenconflicten,
waartegen de bestaande instellingen niet meer opgewassen waren, enigszins uit
de weg kon ruimen. De totalitaire regimes hebben in feite over het algemeen de
positie van de verschillende sociale klassen bevroren en hebben elke wettelijke
mogelijkheid om alsnog verbetering te brengen in de bestaande toestand
tenietgedaan door de politiecontrole op het hele leven van de burgers en door
het gewelddadig uit de weg ruimen van alle dissidenten. Zo werd het
voortbestaan verzekerd van de volstrekt parasitaire kaste van
grootgrondbezitters en renteniers die tot de productie alleen maar bijdragen
door het afscheuren van de dividendbewijzen van hun aandelen, van de
monopolies en de grootwarenhuizen die de consument uitbuiten en het geld
van de kleine spaarders doen vervliegen, van de plutocraten die achter de
schermen aan de politieke touwtjes trekken en zo het hele staatsapparaat ten
eigen voordele leiden onder het mom van de verdediging van hogere nationale
250
A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
belangen. Het contrast tussen de fantastische fortuinen van enkelingen en de
ellende van de grote massa, die niet kan genieten van de voordelen van de
moderne beschaving, bestaat nog steeds. Zo houdt men een economisch regime
in stand waarin de materiële hulpmiddelen en de arbeidskrachten, die gebruikt
zouden moeten worden om aan de fundamentele behoeften van de menselijke
maatschappij te voldoen, gericht worden op de vervulling van de onnozelste
verlangens van hen die de hoogste prijzen kunnen betalen; een economisch
regime, waarin de macht van het geld door het erfrecht steeds in dezelfde
klasse blijft en zo verwordt tot een privilege, die buiten alle verhouding staat tot
de sociale waarde van de verrichte diensten. De mogelijkheden van de
proletariërs blijven beperkt; om te kunnen leven zijn deze gedwongen zich te
laten uitbuiten door hen die hun één of ander werk kunnen verschaffen.
Om de arbeidersklassen te immobiliseren en te onderdrukken werden de
vakbonden veranderd van vrije, strijdbare organisaties, geleid door personen
die het vertrouwen van hun leden genoten, in politiebewakingsdiensten onder
leiding van vertrouwelingen van de heersende groep, die slechts aan deze
groep verantwoording verschuldigd zijn. Als in een dergelijk economisch
systeem enigerlei verbetering wordt aangebracht, is dit alleen ingegeven door
de behoeften van het militarisme, die, samen met de reactionaire aspiraties van
de bevoorrechte klassen, geleid hebben tot het ontstaan en de consolidering van
de totalitaire staten.
3) Tegenover het autoritaire dogmatisme werd de permanente waarde van
de kritische geest gesteld. Alleen wat bewezen kan worden is waar. Aan deze
onbevooroordeelde houding hebben wij de grootste verworvenheden van onze
beschaving op alle gebieden te danken. Deze geestelijke vrijheid heeft de crisis,
die de totalitaire staten heeft doen ontstaan, echter niet overleefd. Nieuwe
dogma’s, die men gelovig of hypocriet moet aanvaarden, worden in alle takken
der wetenschap opgedrongen.
Hoewel niemand weet wat een ras is en de meest elementaire historische
kennis de absurditeit hiervan aantoont, eist men dat de fysiologen geloven,
bewijzen en overtuigen dat sommigen tot een uitverkoren ras behoren, alleen
omdat het imperialisme deze mythe nodig heeft om in de massa de haat en de
hoogmoed te doen oplaaien. De meest voor de hand liggende opvattingen van
de economische wetenschap moeten als ketterijen worden beschouwd om de
autarkische politiek, het evenwichtige ruilverkeer en andere oude technieken
van het mercantilisme als buitengewone ontdekkingen van onze tijd voor te
stellen. Wegens de onderlinge economische afhankelijkheid van de
verschillende delen van de wereld is de levensruimte van elk volk dat een
moderne levensstandaard wil handhaven, gelijk aan de hele wereld; met de
geopolitiek echter heeft men een pseudo-wetenschap in het leven geroepen die
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A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
de juistheid van de theorie der levensruimten moet aantonen om een
theoretische basis te vormen voor de onderdrukkingswil van het imperialisme.
De geschiedenis wordt vervalst in het belang van de regerende klasse. Uit
bibliotheken en boekwinkels worden alle werken geweerd die niet als orthodox
worden beschouwd. De nevelen van het obscurantisme dreigen opnieuw de
menselijke geest te verstikken. Zelfs de sociale ethiek van vrijheid en gelijkheid
wordt ondermijnd. De mensen worden niet langer als vrije burgers beschouwd
die van de staat gebruik maken om hun collectieve doelstellingen beter te
verwezenlijken. Ze worden dienaars van de staat, die bepaalt welke
doelstellingen ze moeten nastreven en als staatswil wordt steeds de wil
beschouwd van diegenen die de macht in handen hebben. De mensen zijn niet
langer rechtssubjecten, maar zijn hiërarchisch ingedeeld en moeten zonder
mopperen gehoorzamen aan de overheid, die culmineert in de persoon van het
vergoddelijkte staatshoofd. Het kastenstelsel herrijst machtiger dan ooit uit zijn
as.
Deze reactionaire en totalitaire beschaving heeft, na een serie triomfen in
andere landen, ten slotte in nazi-Duitsland een macht gevonden die zichzelf in
staat achtte tot de uiterste consequenties van het systeem te gaan. Na een
grondige voorbereiding begon Duitsland zijn onderdrukkingsveldtocht,
waarbij het met veel durf en zonder scrupules uit de rivaliteit, het egoïsme en
de stupiditeit van anderen munt sloeg, een aantal Europese vazalstaten,
waaronder in de eerste plaats Italië, meesleurde en een verbond sloot met
Japan, dat hetzelfde doel in Azië nastreefde. De overwinning van Duitsland zou
de definitieve vestiging van het totalitaire regime in de wereld betekenen. Al
zijn kenmerken zouden tot het uiterste worden opgedreven en de progressieve
krachten zouden voor lange tijd tot het voeren van een louter negatieve
oppositie gedoemd zijn.
De traditionele arrogantie en hardheid van het Duitse militaire milieu kan
ons reeds een idee geven van het karakter van hun overheersing, indien zij de
oorlog zouden winnen. Winnen de Duitsers de oorlog, dan kunnen ze zich zelfs
een schijn van grootmoedigheid tegenover de andere Europese volkeren
permitteren en hun grondgebied en politieke instellingen formeel respecteren,
om te heersen zonder het idiote patriottische gevoel te krenken, dat belang
hecht aan de kleur van de grenspalen en de nationaliteit van de politici die het
toneel bevolken, in plaats van aan machtsverhoudingen en de werkelijke
inhoud van de staatsorganen te denken. Maar ook gecamoufleerd zou de
werkelijkheid toch hetzelfde blijven: een nieuwe indeling van de mensheid in
Spartanen en Heloten.
Ook een compromis tussen de strijdende partijen zou een stap voorwaarts
betekenen voor het totalitarisme, omdat alle landen die aan de Duitse
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A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
wurggreep ontkomen waren, toch gedwongen zouden zijn dezelfde vorm van
politieke organisatie aan te nemen om zich behoorlijk op een nieuwe oorlog
voor te bereiden.
Terwijl Hitler-Duitsland de kleinere landen één voor één heeft kunnen
verslaan, heeft zijn actie steeds sterkere krachten gedwongen in het strijdperk te
treden. De verbetenheid van Groot-Brittannië, dat ook in het meest kritieke
ogenblik tegenover de vijand overeind wist te blijven, heeft ertoe geleid dat de
Duitsers op de dappere weerstand stootten van het Sovjetleger en gaf Amerika
de tijd zijn onbeperkte productiemogelijkheden te mobiliseren. Deze strijd
tegen het Duitse imperialisme is nauw verbonden met de strijd van het Chinese
volk tegen het Japanse imperialisme.
Enorme aantallen mensen en enorme rijkdommen zijn reeds ingezet in de
strijd tegen de totalitaire macht. Deze macht heeft nu haar toppunt bereikt en
kan nog slechts langzaam afbrokkelen. De tegengestelde krachten zijn hun
dieptepunt voorbij en gaan weer bergop.
De strijd van de geallieerden wekt elke dag meer het verlangen naar
bevrijding op, ook in die landen die waren bezweken onder het geweld en die
door deze verschrikkelijke klap de moed waren kwijtgeraakt. En uiteindelijk
ontwaakt dat verlangen naar bevrijding zelfs bij de volkeren van de
Asmogendheden, die nu beseffen dat ze in een hopeloze situatie zijn
meegesleurd, alleen maar om de overheersingsdrift van hun leiders te
bevredigen.
Het langzame proces waarin enorme mensenmassa’s zich passief door het
nieuwe regime lieten beïnvloeden, zich ernaar schikten en het op die manier
verstevigden, is tot stilstand gebracht; een tegengesteld proces is op gang
gekomen. In deze enorme vloedgolf die langzaam omhoogstijgt, vinden we alle
progressieve krachten terug, het verlichte deel van de arbeidersklasse dat zich
niet door geweld en vleierij van zijn streven naar een hogere levensstijl heeft
laten afbrengen; de meest bewuste intellectuelen die de minachting van de
intelligentsia niet nemen; ondernemers die zich in staat voelen tot nieuwe
initiatieven en die zich vrij willen maken van het bureaucratische juk en de
nationale autarkie die hun elke bewegingsvrijheid ontnemen, en tenslotte al
diegenen die zich door hun aangeboren gevoel van waardigheid niet kunnen
plooien onder de vernedering van de slavernij.
Van al deze krachten verwachten wij vandaag de redding van onze
beschaving.
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A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
II. Taken voor na de oorlog. De eenmaking van Europa
Dit de nederlaag van Duitsland zal niet automatisch de reorganisatie van
Europa volgens ons beschavingsideaal voortspruiten. In de korte en intense
periode van algemene crisis (waarin de nationale staten nog volledig verwoest
en uitgeput zullen neerliggen, waarin de volksmassa’s angstig zullen wachten
op nieuwe ordewoorden, zoals een gesmolten, gloeiende materie, gereed om in
nieuwe vormen gegoten te worden en bereid om de leiding te aanvaarden van
betrouwbare internationalisten) zullen de klassen die in de oude nationale
regimes het meest geprivilegieerd waren, alles in het werk stellen om met
verborgen middelen en met geweld de vloedgolf van internationalistische
gevoelens in te dammen. Zij zullen alles doen om de oude nationale
staatsinstellingen in ere te herstellen. En het is zelfs te voorspellen dat de Britse
regeringskringen, wellicht in overleg met de Amerikanen, ostentatief zullen
pogen dingen in deze richting te stuwen ten einde de oude evenwichtpolitiek
tussen de mogendheden te doen herleven, met de bedoeling het schijnbare
direkte imperiale eigenbelang te dienen.
De behoudende krachten, namelijk: zij die belangrijke functies bekleden in
de centrale staatsinstellingen; de hogere legerleidingen met de koningshuizen,
waar die nog bestaan, aan de top; de vertegenwoordigers van het
monopoliekapitalisme die het lot van hun winsten aan dat van de staten
verbonden hebben; de grootgrondbe zitters en de hoge kerkelijke hiërarchieën
die alleen door een stabiele en conservatieve maatschappij hun parasitaire
inkomsten verzekerd weten; in hun kielzog de ontelbare schare van hen
afhankelijk is of verblind wordt door hun traditionele macht; en in hun gevolg
worden al die reactionaire krachten al gewaar dat het gebouw in zijn voegen
kraakt, en pogen zichzelf te redden. De ineenstorting zou hen alle zekerheden
die ze tot dusver hadden, ontnemen en ze blootstellen aan de aanval van de
progressieve krachten.
De revolutionaire situatie: oude en nieuwe stromingen
De val der totalitaire regimes zal voor hele volkeren, gevoelsmatig de komst
van de “vrijheid” betekenen. Elke dwang zal verdwijnen en de vrijheid van
meningsuiting en vereniging zal automatisch opnieuw heersen. Voor de
democratische tendensen zal het een ware triomf zijn. Deze hebben talloze
schakeringen, van erg conservatief liberalisme tot socialisme en anarchisme. Zij
geloven aan de “spontane generatie” van gebeurtenissen en instellingen, aan
het “absoluut goede” van de impulsen die uit de basis komen. Zij willen de
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A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
“geschiedenis”, het “volk”, het “proletariaat” of hoe zij hun God anders
noemen, geen geweld aandoen. Zij verlangen naar het einde van de dictaturen,
dat volgens hen neerkomt op het herstel van het onvervreemdbaar recht voor
elk volk op zelfbestemming. In hun dromen zien ze dit streven bekroond door
de samenroeping van een grondwetgevende vergadering - verkozen met het
meest algemene kiesrecht en met de grootst mogelijke eerbied voor de rechten
van het kiezerskorps -: die vergadering beslist welke grondwet er zal komen. Is
het volk nog niet rijp, dan zal het zichzelf een slechte grondwet geven.
Verbetering daarvan mag echter alleen gebeuren door bestendig
overtuigingswerk.
Democraten hebben geen principiële afkeer van geweld, maar zij willen er
alleen gebruik van maken wanneer de meerderheid van de noodzaak ervan
overtuigd is, wanneer met andere woorden de belangrijke dingen al vooraf
geregeld zijn. In feite zijn democratische leiders alleen maar geschikt voor het
dagelijks bestuur van instellingen, waarin ongeveer het hele volk volledig
vertrouwen heeft, en waaraan niet veel moet worden veranderd. Dit wil dus
zeggen in rustige tijden. In tijden van omwenteling daarentegen, wanneer de
instellingen niet moeten worden bestuurd maar opgericht, slaan democraten
een slecht figuur. De meelijwekkende onmacht van de democraten in de
Russische, de Duitse en de Spaanse revolutie is hiervan een recent voorbeeld.
Onder zulke omstandigheden, wanneer het oude staatsapparaat met zijn
wetten en zijn administratie in elkaar stort, ontstaan onmiddellijk een groot
aantal volksvergaderingen, die zich al dan niet met een schijn van oude
legitimiteit tooien, waarin alle progressieve maatschappelijke krachten
samenkomen om hun stem te laten horen. Het volk heeft wel steeds enkele
fundamentele behoeften waaraan moet worden voldaan, maar het weet niet
precies wat het wil en wat er gedaan moet worden. Het hoort duizend klokken
luiden en met zijn miljoenen hoofden slaagt het er niet in één richting te kiezen.
Tal van stromingen bestrijden elkaar.
Als het erop aankomt blijk te geven van vastberadenheid en moed, voelen
de democraten zich ontredderd, omdat ze niet gestuwd worden door een
spontane eensgezindheid van het volk, maar slechts door een wervelstorm van
passies. Zij geloven dat het hun plicht is deze eensgezindheid tot stand te
brengen en treden op als redenaars daar waar er behoefte is aan leiders die
weten welke doelen bereikt moeten worden. Daarbij missen zij de kansen ter
versteviging van het nieuwe stelsel door te pogen instellingen, die geschikt zijn
voor normale tijden van relatieve rust en een lange aanloopperiode nodig
hebben, onmiddellijk te doen functioneren. Zodoende geven zij hun
tegenstanders wapens, die dezen gebruiken om ze te doen struikelen. In feite
vertegenwoordigen zij in hun duizenden tendensen niet de wil te vernieuwen,
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A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
maar de verwarde tegenstrijdigheden der geesten. Zij leggen elkaar lam en
maken de weg vrij voor de terugkeer van de reactie. De democratische methode
zal in de revolutionaire crisis een blok aan het been zijn.
Geleidelijk zullen de democraten met hun gezwets hun eerste populariteit
als verdedigers van de vrijheid kwijtraken. Zij zullen alle serieuze kansen op
politieke en sociale hervorming missen. De instellingen van het pre-totalitaire
tijdperk zullen dan onvermijdelijk weer tot leven komen, de strijd zal weer
verlopen volgens het oude schema van de klassenstrijd.
Het idee dat alle politieke problemen te herleiden zijn tot vormen van
klassenstrijd, was een uitgangspunt voor de actie, vooral van de
fabrieksarbeiders, en gaf inhoud aan de politieke strijd, zo lang het niet ging om
de basisinstellingen van de maatschappij. Datzelfde beginsel isoleert echter het
proletariaat wanneer het erop aankomt de maatschappijorganisatie zelf aan te
pakken. De volgens de klassieke schema’s opgevoede arbeiders kennen dan
alleen maar het eisenprogramma van hun eigen klasse, of zelfs van hun eigen
beroepsgroep, zonder enig verband te leggen met de belangen van de andere
onderdelen van de maatschappij. Of zij streven naar een eenzijdige dictatuur
van het proletariaat om te komen tot een utopische collectivisatie van alle
productiemiddelen, wat dan volgens de oude propaganda het wondermiddel
moet zijn voor al hun kwalen. Zulk een politiek heeft op geen enkele laag der
bevolking vat, behalve dan op de arbeiders zelf. Door deze politiek isoleert de
arbeidersklasse zich en onthoudt zij haar steun aan de andere progressieve
krachten in de maatschappij. Deze raken dan wellicht in de greep van de
reactionaire milieus, die ze handig inzetten om de beweging van het
proletariaat terug te drijven en neer te slaan.
Tussen de verschillende proletarische strekkingen, geïnspireerd door de
klassenstrijd en het collectivistisch ideaal, hebben alleen de communisten
begrepen hoe moeilijk het is te beschikken over voldoende krachten om de
overwinning te behalen. Daarom hebben zij gekozen voor een streng
gedisciplineerde beweging. Zij exploiteren de Russische mythe om de arbeiders
te organiseren, maar laten zich niet door hen leiden en gebruiken ze voor de
meest uiteenlopende manoeuvres.
Deze houding maakt de communisten in revolutionaire crisissituaties
efficiënter dan de democraten. Ze houden echter de arbeidersklasse zoveel
mogelijk gescheiden van de andere revolutionaire krachten - zeggend dat de
“echte” revolutie nog moet komen - en vormen zodoende op de cruciale
ogenblikken van de geschiedenis een sektarisch element dat het geheel
verzwakt. Bovendien zijn zij volledig afhankelijk van de Russische staat die hen
herhaaldelijk heeft gebruikt voor zijn nationale politieke doeleinden. Deze
afhankelijkheid verhindert hen welke politiek dan ook met een minimum aan
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A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
continuïteit te voeren. Ze moeten zich steeds verbergen achter een Karoly, een
Blum, een Negrin, maar gaan dan ook vaak ten onder in gezelschap van hun
democratische marionetten. De macht wordt immers niet veroverd en
behouden door gebruik van listen en truckjes, maar door de bekwaamheid om
op een organische en levensechte wijze te voldoen aan de noden van de
moderne samenleving.
Indien de strijd morgen tot het traditionele nationale strijdperk beperkt
blijft, zal het zeer moeilijk zijn de oude onoplosbare problemen te ontlopen. De
nationale staten hebben immers hun respectieve economieën reeds zo
diepgaand gepland, dat de zich opdringende vraag snel zou worden: welke
belangengroep, welke klasse krijgt de touwtjes van het planbureau in handen?
In elk geval zou het front van de progressieven, in de strijd tussen de klassen en
de economische groepen, gemakkelijk uit elkaar geslagen worden. Zeer
waarschijnlijk zouden de reactionaire milieus uit dit alles profijt trekken.
De werkelijke revolutionaire beweging zal moeten ontstaan door toedoen
van hen die de moed hadden de oude politieke uitgangspunten aan kritiek te
onderwerpen. Deze revolutionaire beweging zal moeten samenwerken met de
democratische krachten, met de communisten en met al diegenen die het
totalitarisme bevechten. Deze beweging mag zich echter niet laten verstrikken
in geen van de politieke praktijken van de krachten waarmee ze samenwerkt.
De reactionaire krachten beschikken over handige jongens en
kadermensen die leiding kunnen nemen. Deze zullen hardnekkig vechten voor
het behoud van hun suprematie. Als het erop aankomt zullen ze zich
vermommen als verdedigers van de vrijheid, van de vrede, van het
volkswelzijn, van de armen. In het verleden reeds zagen we hoe ze
binnendrongen in de volksbewegingen, hoe ze die lam legden, misleidden, en
gebruikten ter verwezenlijking van hun eigen doelen. Dit zijn de meest te
duchten krachten. Met hen zullen de progressieven eerst en vooral rekening
moeten houden.
Het punt waarop deze conservatieve krachten hun hefboom zullen
plaatsen, is het herstel van de eigen nationale staat. Zodoende zullen zij
inhaken op het meest verspreide volksgevoel, dat in het recente verleden het
sterkst is gekwetst en dat het gemakkelijkst voor reactionaire doeleinden kan
worden gebruikt: de vaderlandsliefde. Op die manier kunnen zij ook hopen
tamelijk gemakkelijk verwarring te scheppen in de geesten van hun
tegenstanders. Voor de brede massa bestaat politiek tot dusver alleen in het
nationale kader. Het is dan ook tamelijk gemakkelijk het volk en zijn meest
kortzichtige leiders voor het herstel van de nationale staat na de oorlog te laten
werken.
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A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Als deze opzet slaagt, zou de reactie het weer eens gehaald hebben.
Uiterlijk zouden deze staten zelfs in ruime mate democratisch en socialistisch
kunnen zijn, maar de terugkeer van de conservatieve elementen naar de
commandoposten zou alleen nog een kwestie van tijd zijn. De nationale
ijverzucht zou weer de kop opsteken en elke staat zou de garantie voor de
vervulling van zijn eigen wensen opnieuw alleen vinden in zijn nationale
strijdmacht. Na korte tijd zou de belangrijkste opdracht weer zijn: van de
volkeren legers en van de burgers soldaten maken. De generaals zouden weer
commanderen, de monopolisten weer profiteren van de autarkie, de
bureaucraten hun belang opblazen en de priesters het volk kalm houden. Al
wat onmiddellijk na de beëindiging van de vijandelijkheden bereikt werd, zou
samenschrompelen in het licht van de noodzaak zich op nieuwe oorlogen voor
te bereiden. Eén probleem moet eerst en vooral een oplossing vinden. Zonder
deze oplossing is al de rest slechts schijnbare vooruitgang. Aan de verdeling
van Europa in soevereine nationale staten moet definitief een einde gemaakt
worden. De ineenstorting van het grootste gedeelte van de staten van het
continent onder de Duitse wals heeft de Europese volkeren reeds lotsverbonden
gemaakt. Ofwel zullen ze zich samen onderwerpen aan Hitlers heerschappij,
ofwel zullen zij, na diens val, samen in een tijdperk van crisis en omwenteling
treden, dat ze samen zullen beleven en niet elk voor zich, verstard in van elkaar
gescheiden staatsstructuren. De geesten staan op dit ogenblik, veel meer dan in
het verleden, open voor het idee van een federale reorganisatie van Europa. De
pijnlijke ervaringen van de laatste decennia hebben zelfs de ogen van diegenen
geopend die niet wilden zien en hebben voor de verwezenlijking van onze
doelstellingen gunstige omstandigheden geschapen.
Alle met rede begaafde schepselen beginnen in te zien dat het onmogelijk
is een evenwicht te handhaven tussen onafhankelijke Europese Staten, waartoe
ook, met gelijke rechten, het militaristische Duitsland zou behoren. Ook is het
onmogelijk Duitsland in stukken te hakken en na de nederlaag volkomen in
bedwang te houden. In de praktijk is duidelijk gebleken dat geen enkel
Europees land zich afzijdig kan houden terwijl de anderen oorlog voeren;
neutraliteitsverklaringen en niet-aanvalspakten zijn niets dan dode letters.
Duidelijk is bewezen hoe nutteloos, ja verderfelijk organisaties zijn als de
Volkenbond, die, zonder te beschikken over een bovennationale legermacht, die
beslissingen kon doen naleven, toch beweerde internationale rechtsorde te
verzekeren en gelijktijdig de absolute soevereiniteit der lidstaten te kunnen
eerbiedigen. Absurd is ook de regel gebleken die verbiedt tussen beiden te
komen in de interne aangelegenheden van soevereine staten. Volgens dit
beginsel zou elk volk in volle vrijheid de dictatuur mogen kiezen waaraan het
de voorkeur geeft, alsof het interne bestel van elke staat niet van vitaal belang is
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A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
voor alle andere Europese landen. Onoplosbaar zijn de vele problemen de
overbjiende landen immers also hum tradizionali geworden die het
internationale politieke leven van ons continent vergiftigen - vastlegging van
grenzen in gebieden met gemengde bevolking, verdediging van etnische
minderheden, recht op uitweg naar zee voor landen zonder kuststrook, de
Balkankwestie, het Ierse vraagstuk enz.– en die in een Europees federaal
verband een oplossing zouden kunnen vinden, zoals in het verleden de
problemen tussen de vele staatjes hun scherpte verloren toen deze opgenomen
werden in de ruimere natiestaten en hun oude twisten nog slechts spanningen
tussen provincies werden.
Aan de andere kant zijn er een aantal omstandigheden die de oprichting
in de hand werken van een federaal stelsel dat een einde kan maken aan de
huidige anarchie: het einde van het onbeperkte gevoel van veiligheid van
Groot-Brittannië dat de Engelsen hun “splendid isolation” deed verkiezen, het
uiteenvallen van het leger van de Franse republiek bij het eerste ernstige treffen
met de Duitse legermacht (laten we maar hopen dat hierdoor de
chauvinistische overtuiging van de absolute Gallische superioriteit eindelijk een
deuk krijgt), en vooral het bewustzijn van het grote gevaar der algemene
slavernij. Ook het principieel aanvaarden van de Indische onafhankelijkheid
door Groot-Brittannië en het feit dat Frankrijk door zijn nederlaag praktisch zijn
imperium verloren heeft, maken het gemakkelijker een regeling te vinden voor
de Europese kolonies.
Daarbij komt nog het wegvallen van enkele van de belangrijkste Europese
dynastieën en de broosheid van de grondvesten waarop de overblijvende
berusten. De vorstenhuizen beschouwden de verschillende landen immers als
hun traditionele erfdeel; samen met de belangen die zij steunden, vormden zij
een aanzienlijke hindernis voor een rationele organisatie van de Verenigde
Staten van Europa, die eigenlijk slechts kunnen rusten op de republikeinse
staatsinrichting van alle gefedereerde staten. Alhoewel het mogelijk is nu reeds
verder te kijken dan de horizont van dit Oude Continent en te denken aan het
lot van alle volkeren en de toekomst van heel de mensheid, moet de Europese
Federatie toch in een beginstadium instaan voor vredelievende betrekkingen
met Amerika en Azië. In afwachting van de politieke eenheid van de wereld
kan alleen Europa zorgen voor vrede en samenwerking.
De scheidingslijn tussen progressieve en reactionaire krachten is niet meer
die tussen de groepen die zich meer of minder democratisch opstellen, meer of
minder socialistisch ageren, maar wel die tussen diegenen die nog steeds
geloven dat het doel van hun politieke strijd de verovering moet zijn van de
macht in de nationale staat (en die, zij het dan wellicht zonder opzet, het spel
spelen van de reactie, door het lava van de gloeiende passies te laten stollen in
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A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
de oude smeltpotten en de oude absurditeiten opnieuw te laten opflakkeren) en
diegenen die geloven dat hun actie gericht moet zijn op het bouwen van een
internationale staat, naar welk doel zij het volk willen doen streven en
waarvoor zij zelfs de nationale macht willen gebruiken na deze heroverd te
hebben.
Door propaganda en actie moeten wij stevige banden smeden tussen de
bewegingen die in de verschillende landen zullen ontstaan. Het zal van nu af
aan zaak zijn de fundamenten te leggen van een beweging die in staat is alle
krachten te mobiliseren om een nieuw bestel te vormen dat voor Europa de
meest grandioze en de meest vernieuwende schepping zal zijn sinds eeuwen;
om een solide federale staat op te richten die beschikt over één Europese
legermacht die in de plaats treedt van de nationale legers; om krachtdadig de
economische autarkieën, ruggensteun der totalitaire regimes, door te breken;
om over voldoende organen en actiemiddelen te beschikken om in de
verschillende gefedereerd staten zijn beschikkingen te laten uitvoeren en de
federale wetten te doen naleven. Ook al blijven de deelstaten beschikken over
voldoende autonomie om aan hun instellingen eigen vormen te geven en om
een politiek leven te leiden in overeenstemming met de eigenheden van de
betrokken volksgemeenschappen.
Indien er in de belangrijkste Europese landen voldoende mensen
gevonden worden die dit alles begrijpen, zal de overwinning in korte tijd
binnen hun bereik zijn. De omstandigheden en de geestesgesteldheid van de
massa zullen hun behulpzaam zijn. Zij zullen tegenover partijen en strekkingen
staan die in de laatste twintig onheilvolle jaren blijk gegeven hebben van
onbekwaamheid. Nu komt de tijd om nieuwe taken aan te vatten en dit zal
gedaan moeten worden door nieuwe mensen: door de BEWEGING VOOR EEN
VRIJ EN VERENIGD EUROPA.
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A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
III.Taken voor na de oorlog. De hervorming van de maatschappij
Een Vrij en Verenigd Europa is het onontbeerlijke uitgangspunt voor de
vooruitgang van de moderne beschaving. Na de stilstand van de totalitaire
periode zal de evolutie een verdere afbouw van het sociale onrecht en van de
privilegies met zich meebrengen. Alle oude conservatieve instellingen zullen
ineenstorten. Met moed en beslistheid moet van deze crisistoestand gebruik
gemaakt worden.
Om aan onze verwachtingen te beantwoorden zal de Europese revolutie
socialistisch moeten zijn. Het doel zal zijn de bevrijding van de werkende
klassen en de verwezenlijking van meer menselijke levensvoorwaarden. Het
zuiver doctrinaire principe dat het privaatbezit van productiemiddelen moet
worden afgeschaft of slechts voorlopig toegelaten, kan echter niet
richtinggevend zijn voor de te treffen maatregelen. De algemene verstaatsing
van de economie was inderdaad het eerste utopische idee waarvan de arbeiders
verwachtten dat ze de bevrijding zou betekenen van het kapitalistische juk. De
totale etatisering laat echter geen droom werkelijkheid worden, maar wel een
stelsel waarin heel de bevolking onderworpen is aan de beperkte groep
bureaucraten die de economie dirigeren. Het ware basisbeginsel van het
socialisme - en hiervan is het idee van de algemene collectivisatie slechts een
haastige en verkeerde afleiding - zegt dat de economische krachten de mens
niet moeten domineren maar - zoals dit ook geldt voor de krachten van de
natuur - dat de mens de economie moet leiden, onder controle houden en op de
meest rationale manier moet beheersen om te vermijden dat de arbeidersmassa
er het slachtoffer van wordt. De gigantische krachten van de vooruitgang,
ontspruitend uit het persoonlijk belang, mogen niet wegsterven in de kanalen
van de routine met als gevolg dat we dan de zin voor initiatief en de
ondernemingslust opnieuw moeten opwekken met loondifferentiaties en
andere dergelijke maatregelen. Deze krachten moeten integendeel
aangemoedigd worden, ze moeten tot ontwikkeling kunnen komen en meer
gebruikt worden. Gelijktijdig moeten deze krachten echter stevig ingedijkt
worden ten einde misbruiken te vermijden en ze te laten ageren in het belang
van de hele gemeenschap.
Het privaat bezit moet afgeschaft, beperkt, aangepast en uitgebreid
worden naargelang het geval en niet volgens een dogmatisch beginsel. Deze
politiek moet zich situeren in het proces dat leidt naar een Europese
economische samenleving, eindelijk bevrijd van de nationale militaristische en
bureaucratische nachtmerries. Redelijke oplossingen moeten ook in het
261
A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
bewustzijn der arbeiders de overhand hebben op het irrationele. We willen zo
genuanceerd en gedetailleerd mogelijk de inhoud geven van de te volgen
richtlijnen, er op wijzend dat elk punt van het programma moet worden
bekeken in relatie tot het noodzakelijk te verwezenlijken doel, nl. de Europese
eenheid. We beschouwen de volgende punten als belangrijk:
a) Aan particulieren mag niet het beheer overgelaten worden van
ondernemingen die een activiteit van monopolistische aard ontwikkelen en dus
in staat zijn de verbruikers uit te buiten, zoals bijvoorbeeld de
elektriciteitsondernemingen; ondernemingen die in het leven gehouden worden
in het belang van de gemeenschap maar die beschermd moeten worden door
douanetarieven, staatssubsidies en gunstopdrachten (een mooi voorbeeld
hiervan is de Italiaanse metaalindustrie); ondernemingen die wegens de
geïnvesteerde kapitalen het aantal mensen dat ze tewerkstellen en de domeinen
die ze beheersen in staat zijn druk uit te oefenen op de staatsinstellingen en een
politiek op te dringen die hun het gunstigst is (voorbeeld: de kolenmijnen, de
grote banken, de grote rederijen). Op deze gebieden zal er grootscheeps
genationaliseerd moeten worden en dit zonder enig respect voor verworven
rechten.
b) Het eigendomsrecht en het erfrecht met hun bijzondere kenmerken
hebben ervoor gezorgd dat de rijkdommen terechtkwamen in de handen van
een beperkte groep geprivilegieerden. Deze opgehoopte rijkdommen moeten in
de revolutionaire crisisperiode verdeeld worden. Die parasitaire standen
moeten worden uitgeschakeld. Aan de werkenden moeten de
productiemiddelen ter hand gesteld worden die ze nodig hebben om hun
economische positie te verbeteren en een meer onafhankelijk leven te kunnen
leiden. Hierbij denken we aan een landbouwhervorming waardoor de
bewerkers van het land er ook eigenaar van worden een waardoor het aantal
grondbezitters enorm zal toenemen, alsook aan een industriële hervorming
waardoor het eigendomsrecht van de werkers uitgebreid wordt tot de nietgeëtatiseerde bedrijven, door oprichting van coöperaties, door de arbeider tot
aandeelhouder te maken, enz.
c) De jongeren moeten geholpen worden door de invoering van regelingen
die startsituaties voor iedereen zo gelijk mogelijk maken. Vooral de openbare
school zal aan de bekwaamsten, en niet aan de rijksten, de mogelijkheid moeten
geven hogere studies te volgen. In elke studievak zal zij mensen moeten
vormen voor de uitoefening van de verschillende vrije en andere beroepen.
Daarbij zal ervoor gezorgd moeten worden dat het aantal afgestudeerden per
vakgebied de vraag niet overtreft. De gemiddelde financiële vergoedingen
moeten dan in de verschillende beroepsgroepen ongeveer gelijk zijn, alhoewel
262
A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
er zich binnen de groepen verschillen kunnen voordoen naargelang van de
individuele bekwaamheden.
d) Door de bijna onbeperkte mogelijkheden van de massaproductie kan
aan eenieder het levensnoodzakelijke: voedsel, huisvesting en kleding, verstrekt
worden. Tegen een relatief lage kostprijs kan elke burger genieten van het
comfort dat met de menselijke waardigheid overeenstemt. De solidariteit met
diegenen die het er in de economische strijd minder goed afbrengen, mag geen
charitatieve vormen aannemen. Deze houding heeft steeds iets vernederends in
zich en baart meestal de kwalen waarvan ze de gevolgen wil wegwerken. Er
moeten, integendeel, voorzieningen getroffen worden ten einde aan allen, of ze
kunnen werken of niet, onvoorwaardelijk een behoorlijke levensstandaard te
geven. Daardoor mag echter de prikkel tot werken en sparen niet verdwijnen.
Op deze wijze zal niemand meer door ellende gedwongen zijn vernederende
arbeidsvoorwaarden te aanvaarden.
e) De bevrijding van de werkende klassen is alleen mogelijk als de
hierboven aangehaalde punten worden verwezenlijkt. De arbeidersklasse mag
niet opnieuw in de greep geraken van de economische politiek van de
monopolistische vakbonden, die eenvoudigweg de onderdrukkingsmethoden
van het grootkapitaal gebruiken op het niveau van de arbeiders. De werkers
moeten vrij kunnen kiezen wie er in hun naam collectieve
arbeidsovereenkomsten sluit. De staat zal vervolgens moeten waken over de
naleving van de bepalingen van deze overeenkomsten. Alle monopolistische
tendensen zullen kunnen worden bestreden zodra bovengenoemde sociale
hervormingen plaatsgehad hebben.
Dat zijn de veranderingen die nodig zijn om de brede lagen van de
bevolking te winnen voor het nieuwe stelsel en om het in stand te houden met
de steun van de burgers. Deze veranderingen zullen aan het politieke leven een
op de vrijheid gevestigde grondslag geven, doordrongen van een sterk gevoel
van sociale solidariteit. Op zo’n basis kunnen de politieke vrijheden een echte
en niet alleen formele inhoud krijgen voor allen. Elke burger zal beschikken
over voldoende onafhankelijkheid en kennis om bestendig en doeltreffend
toezicht uit te oefenen op de heersende klasse.
Het zou overbodig zijn uit te wijden over de grondwettelijke instellingen
omdat we ook niet kunnen voorzien in welke omstandigheden ze tot stand
zullen komen en zullen functioneren. We zouden dus slechts kunnen herhalen
wat iedereen weet betreffende de noodzaak van vertegenwoordigende organen
en wetgevende procedures, de nodige onafhankelijkheid van de magistratuur
die in de plaats zal treden van die welke we nu kennen en die de wetten
onpartijdig zal toepassen, betreffende de persvrijheid en de vrijheid van
vereniging die het mogelijk moeten maken de publieke opinie voor te lichten en
263
A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
de kans te geven daadwerkelijk deel te nemen aan het politieke leven van de
staat. Alleen op twee punten moeten we even nader ingaan. Het gaat om
aangelegenheden van uitzonderlijk belang voor ons land: de relatie tussen kerk
en staat en de aard van de politieke vertegenwoordiging:
a) Het concordaat dat het Vaticaan in Italië gesloten heeft met het fascisme
moet ongetwijfeld verbroken worden om het zuiver burgerlijk karakter van de
staat te bevestigen. Door dit verbreken moet ondubbelzinnig tot uiting komen
dat de Staat in het burgerlijk leven de overhand heeft. Alle religieuze
belijdenissen moeten gelijk geëerbiedigd worden. De Staat mag echter geen
begroting voor de erediensten meer hebben.
b) Het corporatistische kaartenhuisje van het fascisme zal in elkaar storten
zoals ook de andere instellingen van de totalitaire staat. Er zijn er die geloven
dat men morgen uit de puinhopen een nieuwe grondwet kan fabriceren. Wij
niet. In de totalitaire staten zijn de corporatieve lichamen een handig middel om
de arbeiders onder controle te houden. Zelfs indien de corporatieve kamers het
eerlijke spiegelbeeld zouden zijn van de verschillende soorten producenten en
het representatieve orgaan van de verschillende beroepsgroepen, dan zouden
ze nog niet gekwalificeerd zijn om algemeen politieke aangelegenheden te
behandelen. In zuiver economische kwesties zouden ze ook dan alleen dienen
om de machtigsten toe te laten de anderen te domineren. De vakverenigingen
zullen op vele wijzen moeten samenwerken met de staatsorganen die belast zijn
met het oplossen van de problemen die hen aanbelangen. Wetgevende taken
mogen hun echter in geen geval worden toevertrouwd, want daaruit zou een
feodale anarchie van het economische leven voortspruiten, wat uiteindelijk zou
uitmonden in een nieuw politiek despotisme. Velen die zich domweg lieten
vangen door de mythe van het corporatisme, zullen aan de vernieuwing
kunnen en moeten meewerken; ze zullen echter moeten inzien dat ze in hun
wazige dromen een absurde oplossing hebben nagestreefd. Corporatisme kan
slechts in totalitaire staten concreet tot stand komen, om de arbeiders in de pas
te laten lopen en om hen voortdurend in het oog te laten houden door een
aantal ambtenaren die ten dienste staan van de heersende klasse.
Onze revolutionaire partij mag niet op het beslissende moment op een
geïmproviseerde wijze in het leven geroepen worden. Nu reeds moet zij
beginnen gestalte aan te nemen door het vastleggen van haar fundamentele
opties, door het uitbouwen van de leidende groepen en door het geven van de
eerste richtlijnen voor de werking. Deze partij mag geen samenraapsel zijn van
alle mogelijke strekkingen die zich slechts verbonden voelen in hun afwijzing
van het fascisme en die na de val van het totalitaire regime onmiddellijk in alle
richtingen uiteen zullen zwermen. Onze revolutionaire partij gaat ervan uit dat
het eigenlijke werk pas na de verwachte val zal beginnen. Daarom moet zij
264
A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
bestaan uit mensen die het eens zijn over de oplossing die in de toekomst
gegeven moet worden aan alle belangrijke problemen.
Met haar stelselmatige propaganda moet de partij overal doordringen
waar mensen door het huidige regime verdrukt worden. Overal moet zij
inhaken op de problemen die door de individuen en de groepen als het meest
pijnlijk aangevoeld worden, om aan te tonen hoe deze problemen verband
houden met andere problemen en wat een echte oplossing ervoor kan zijn. Uit
het groeiende aantal sympathisanten mogen alleen diegenen tot de eingenlijke
organisatie zelf toetreden die van de Europese revolutie hun levensdoel maken,
die tuchtvol, dag na dag, het werk doen, die waken over zijn veiligheid en
doeltreffendheid zelfs in de hardste omstandigheden van de strijd in de
illegaliteit. Zij zullen het netwerk vormen dat de meer labiele groep van
sympathisanten bij elkaar houdt.
Alhoewel geen enkele propagandamogelijkheid mag worden
verwaarloosd, moet toch in eerste instantie contact gezocht worden met de
milieus die in aanmerking komen als centrum voor de verspreiding van ideeën
en de rekrutering van strijdvaardige mensen, vooral dan de twee sociale
groepen die vandaag het meest gevoelig zijn voor hetgeen gebeurt en die
morgen de doorslag zullen geven: de arbeiders en de intellectuelen. De eersten
hebben zich het minst aan het totalitarisme onderworpen en zullen ook het
vlugst de eigen rangen weer organiseren. De intellectuelen, en vooral de
jongeren onder hen, lijden het meest onder de geestelijke verdrukking en
walgen van het despotisme. Ook andere milieus zullen zich geleidelijk tot de
algemene beweging aangetrokken voelen.
Iedere beweging die er niet in slaagt deze krachten te verenigen, zal steriel
blijven. Indien de beweging alleen uit intellectuelen bestaat, zal ze niet over de
massale kracht beschikken om de weerstand van de reactie te overwinnen. Ze
zal de arbeiders wantrouwen en door hen gewantrouwd worden. Zelfs
wanneer de beweging bezield is met democratische gevoelens, zal zij toch,
staande voor de moeilijkheden, de neiging vertonen alle andere
bevolkingsgroepen te mobiliseren tegen de arbeidersklasse, met andere
woorden het fascisme te herstellen. Wanneer de beweging alleen zou steunen
op het proletariaat, zou de helderheid van denken ontbreken, die alleen van de
intellectuelen kan komen e die onontbeerlijk is om duidelijk in te zien wat moet
worden gedaan en welke wegen moeten worden gevolgd. De beweging zou de
gevangene blijven van de oude klassenstrijdtheorie, ze zou overal vijanden
ontwaren en afglijden naar de doctrinaire communistische oplossing.
In de revolutionaire crisis zal deze beweging de progressieve krachten
moeten organiseren en leiden. Ze zal daarbij gebruik moeten maken van alle
volkse organen en formaties die in zulke ogenblikken spontaan tot stand komen
265
A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
en die, net als in een smeltkroes, zich in de revolutionaire massa’s zullen laten
opgaan, niet om een plebisciet uit te spreken maar om geleid te worden. Deze
beweging zal inzichten over wat gedaan moet worden zeker niet verwerven
door een voorafgaande goedkeuring door de nog niet bestaande volkswil, maar
door het bewustzijn de werkelijke noden van de moderne maatschappij te
vertegenwoordigen. Aldus zal zij de eerste richtlijnen voor de nieuwe orde
geven, de nieuwe stelregels voor de nog in verwarring verkerende menigten.
Door deze dictatuur van de revolutionaire partij wordt het nieuwe staatsbestel
opgericht en daar omheen de ware nieuwe democratie.
Er bestaat geen gevaar dat dit revolutionaire regime noodzakelijkerwijs
zal uitmonden in een nieuwe despotisme. Dit zou gebeuren wanneer de
revolutie een slavenmaatschappij zou voortbrengen. Als echter de
revolutionaire partij vanaf het begin met sterke hand de voorwaarden voor een
vrij bestaan schept, waarin alle burgers werkelijk aan het openbare leven
kunnen deelnemen, zal de evolutie, zij het met enkele kleinere politieke
crisissen, gaan in de richting van een geleidelijk begrijpen en aanvaarden door
allen van de nieuwe orde, en dus in de richting van betere mogelijkheden voor
de werking van vrije politieke instellingen.
Vandaag moeten de oude lasten worden afgeworpen, moeten we
openstaan voor het nieuwe dat komt - zo anders dan we het hadden verwacht -;
bij de ouderen de onbekwamen opzijzetten en bij de jongeren nieuwe energie
opwekken. Vandaag zoeken en ontmoeten elkaar diegenen die het patroon van
de toekomst weven, die de redenen voor de huidige crisis van de Europese
beschaving hebben onderkend en die daarom het erfdeel dragen van al die
bewegingen die naar menselijke verheffing hebben gestreefd maar ten onder
zijn gegaan door onbegrip voor het te bereiken doel of van de daartoe aan te
wenden middelen.
De af te leggen weg is niet gemakkelijk, noch veilig. Maar hij moet - en zal
- afgelegd worden!
Altiero Spinelli - Ernesto Rossi
266
A. Spinelli, E. Rossi, Het Manifest
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
De Ventotene à Brussel
de Francesco Gui
En présentant le message du Manifeste de Ventotene dans les diverses langues de
l’Union Européenne, la présente publication de la Région Latium, réalisée en
collaboration avec l’Université “La Sapienza” de Rome et le Comité national
Altiero Spinelli, entend apporter sa contribution à la réflexion sur le fédéralisme
européen ainsi qu’à la culture du processus d’unification, qui impliquent
également l’échange d’expériences et de propositions mûries au sein des
différents pays.
Le Manifeste, comme l’on sait, constitue un apport original à la Résistance
italienne, élaboré par un groupe restreint d’opposants au régime mussolinien,
emprisonnés dans les années 20 et 30, puis envoyés en relégation. Un groupe
restreint certes, mais extrêmement motivé et cultivé, au point de réussir à
produire un document encore valable aujourd’hui qui a su le mieux anticipé le
futur de l’Europe de l’après-guerre.
Parmi ses auteurs, Altiero Spinelli provenait de l’internationalisme
communiste, tandis qu’Ernesto Rossi, élève de Luigi Einaudi, le célèbre
économiste ainsi que futur président de la République italienne, était partisan
du libéralisme démocratique, avec de fortes sympathies pour le labourisme
anglais. Quant au philosophe Eugenio Colorni, celui-ci était un important
dirigeant du Centre interne du Parti socialiste italien. Leur ambition était de
proposer à la société européenne une authentique solution, non plus inspirée
cette fois de l’idéologie marxiste et de la lutte des classes, mais d’un
dépassement de la souveraineté absolue des Étatsnations en vue d’instaurer les
États-Unis d’Europe.
Ce faisant, ils espéraient que les guerres sanguinaires du XXe siècle
pourraient laisser la place à un plus haut niveau de civilisation pour l’humanité,
s’appuyant sur des institutions démocratiques supranationales de type fédéral,
sur l’ouverture des frontières, la liberté des échanges, voire une monnaie
unique, sur une défense commune et un progrès social généralisé, afin de
s’opposer à la résurgence de dictatures totalitaires, d’empreinte nationaliste ou
communiste.
En août 1943, à Milan, Spinelli, Rossi et Colorni (qui sera assassiné l’année
suivante par la police fasciste pour avoir publié l’édition clandestine du
Manifeste, accompagnée d’une préface rédigée de sa main, que nous
267
F. Gui, De Ventotene
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
reproduisons dans ce volume) fondèrent avec d’autres camarades le
Mouvement fédéraliste européen (MFE), militant aujourd’hui encore pour une
Europe fédérale. Aussitôt après, ils prirent contact avec la Résistance
européenne et se rendirent en Suisse et en France pour rencontrer les membres
des autres mouvements européistes.
Au cours des années qui suivirent jusqu’à sa mort en mai 1986 à l’âge de
79 ans, le député européen Altiero Spinelli, aujourd’hui reconnu comme l’un
des “pères fondateurs” de l’Union européenne, aura tenté de réaliser ce qu’avait
préfiguré le Manifeste de 1941, à une époque où le nazi-fascisme se trouvait
encore à son apogée. Pendant ses années de militantisme, et notamment dans la
première moitié des années 50, l’agitateur Altiero Spinelli – promoteur
d’initiatives heureuses, telles que la création de la Communauté européenne du
charbon et de l’acier, ou dramatiquememt vouées à l’échec, comme la
Communauté européenne de défense – au nom du secrétariat du Mouvement
fédéraliste européen et en tant que membre du bureau de l’Union européenne
des Fédéralistes (UEF), a étroite ment collaboré avec d’autres “pères
fondateurs”, tels que les hommes d’État Alcide De Gasperi, Jean Monnet et
Paul-Henri Spaak.
Ce dernier, en qualité de président de l’Assemblée parlementaire de la
Ceca et du Mouvement Européen (ME), noua avec Spinelli une entente solide
au cours de la phase de rédaction du Statut de la Communauté politique
européenne, confiée à une “Assemblée ad hoc”. Les esprits travaillaient dans un
climat propice à élaborer pour l’Europe la constitution que l’auteur du Manifeste
aura souhaité toute sa vie durant, sans épargner ses critiques âprement dirigées
contre l’instrument des traités diplomatiques et le système intergouvernemental
ou confédéral (cher en revanche, au dire de Spinelli du moins, au ministre des
Affaires Étrangères belge Paul van Zeeland).
Plus tard, “Ulysse” (pseudonyme d’Altiero Spinelli) critiqua sévèrement la
Communauté économique européenne, une oeuvre de Monnet et mieux encore
de Spaak, estimant que le fonctionnalisme ne pouvait pas conduire à une
Europe supranationale. Aussi Spinelli organisa-t-il un Congrès du peuple
européen où il invitait les citoyens à revendiquer une constituante européenne
et une véritable démocratie fédérale. Parmi les villes européennes qui
répondirent avec une très forte participation, on compte Anvers, Strasbourg,
Lyon, Maastricht, Milan, Turin, Genève et Düsseldorf.
En dépit des objections, les diverses communautés se prononcèrent par
contre en faveur d’une unité européenne. Aussi Spinelli fit-il marche arrière et
s’employa-t-il à influencer de l’intérieur les institutions établies à Bruxelles,
Strasbourg et Luxembourg. Et en 1970, grâce au soutien de Pietro Nenni, leader
socialiste et ministre des Affaires Étrangères italien, le vieil anti-fasciste devint
268
F. Gui, De Ventotene
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
membre de la Commission des Communautés, où il eut entre autres pour
collègues Albert Coppé et Henri Simonet. Il résida alors à Bruxelles au numéro
12 de l’Avenue Boileau, comme le rappelle Piero Graglia, auteur d’une récente
biographie, parue aux éditions Il Mulino.
Guère satisfait des résultats obtenus par la Commission, Spinelli préféra
entrer à partir de 1976 au Parlement européen, grâce à l’appui – quoique se
déclarant “indépendant” – de son ancien parti, le Parti communiste italien,
dirigé par Enrico Berlinguer, qu’il espérait gagner à la cause d’une Europe
fédérale. En réalité, Spinelli avait longtemps rêvé à la naissance d’un
authentique parti fédéraliste européen. Son élection à l’assemblée de
Strasbourg, notamment à partir de 1979, dès les premières élections au suffrage
universel direct, permit au révolutionnaire à la barbe blanche de relancer le
projet d’une constitution européenne, en revendiquant un rôle constituant pour
les parlementaires européens, en leur qualité de représentants du “peuple”
européen.
Après avoir fondé à Strasbourg le “Club du Crocodile” – devant son nom
à un célèbre restaurant où se réunissait la patrouille des parlementaires prêts à
le soutenir –, le 14 février 1984, “Ulysse” parvint à faire approuver par le
Parlement le projet de traité de l’Union européenne, ou “projet Spinelli”, qui
permit de relancer le processus de réforme des institutions européennes, en
oeuvre encore aujourd’hui. À la mort de l’homme de Ventotene, l’initiative
constituante fut reprise par le parlementaire populaire Fernand Herman,
membre du “Club du Crocodile”. Un bâtiment est aujourd’hui dédié à Altiero
Spinelli au siège du Parlement européen de Bruxelles.
269
F. Gui, De Ventotene
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Von Ventotene nach Brüssel
von Francesco Gui
Die publicatie van de Regio Lazio, vorliegende Veröffentlichung der Region
Latium, herausgegeben in Zusammenarbeit mit der Universität „La Sapienza“,
Rom, und dem Nationalkomitee zur Feier des hundertsten Geburtstags von
Altiero Spinelli möchte durch Präsentation der Botschaft des Manifests von
Ventotene zur Reflexion über den europäischen Föderalismus und die Kultur
des Vereinigungsprozesses beitragen. Dies soll auch durch einen Vergleich mit
den in anderen Ländern gesammelten Erfahrungen geschehen.
Das Manifesto ist bekanntlich ein authentisches Dokument der
italienischen Widerstandsbewegung gegen den Faschismus, das von einer
kleinen Gruppe von Gegnern des Mussolini-Regimes erarbeitet wurde, die in
den Zwanzigerund Dreißigerjahren im Gefängnis saßen und danach verbannt
worden waren. Es handelte sich um eine kleine aber sehr gebildete und
hochmotivierte Gruppe, der es gelungen ist, eines der weitsichtigsten und heute
noch wichtigen Dokumente für die Zukunft im Nachkriegseuropa zu
erarbeiten.
Zu seinen Verfassern zählte der von der kommunistischen Internationale
her kommende Altiero Spinelli, wogegen Ernesto Rossi, der Schüler von Luigi
Einaudi, des bekannten Wirtschaftsexperten und späteren Präsidenten der
italienischen Republik, dem demokratischen Liberalismus angehörte und große
Sympathien für die Politik der englischen Labour-Partei hegte. Was den
Philosophen Eugenio Colorni betrifft, so war er ein angesehener Direktor des
sogenannten inneren Kreises der sozialistischen Partei Italiens. Ihre Absicht war
es, der europäischen Gesellschaft eine echte Revolution vorzuschlagen, die aber
nicht mehr von der marxistischen Ideologie und vom Klassenkampf inspiriert
sein sollte, sondern von dem Ziel der Überwindung der absoluten Souveränität
der Nationalstaaten und der Errichtung der Vereinigten Staaten von Europa.
Auf diese Weise hofften sie, dass anstelle der blutigen Epoche der Kriege
des neunzehnten Jahrhunderts eine höhere Ebene der menschlichen Zivilisation
erreicht werden könne, die auf übernationalen demokratischen Institutionen
föderativen Charakters, der Öffnung der Grenzen, dem freien Güterverkehr, ja
sogar einer einheitlichen Währung, einer gemeinsamen Verteidigung und
allgemeinem sozialen Fortschritt gründen sollte. Dadurch sollte das erneute
270
F. Gui, Von Ventotene
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Entstehen
von
totalitären
Regimen
nationalsozialistischer
oder
kommunistischer Prägung unterbunden werden.
Im August 1943 gründeten Spinelli, Rossi und Colorni (der im Folgejahr
von der faschistischen Polizei umgebracht wurde, nachdem er die in der
vorliegenden Ausgabe wiedergegebene Untergrundausgabe des Manifests mit
einem von ihm verfassten Vorwort herausgegeben hatte) zusammen mit
anderen Genossen das „Movimento federalista europeo“ (MFE), das sich auch
heute noch für ein föderatives Europa einsetzt. Gleich danach kontaktierten sie
die europäische Widerstandsbewegung und reisten in die Schweiz und nach
Frankreich, um die Angehörigen der anderen Bewegungen für Europa
kennenzulernen.
Von diesem Augenblick an bis zum Moment seines Todes im Mai 1986 als
neunundsiebzigjähriger Europaabgeordneter hat Altiero Spinelli versucht das
im Manifest von 1941 noch unter der Nazizeit Beschriebene zu verwirklichen.
Während seiner langjährigen politischen Aktivität, vor allem aber in der ersten
Hälfte der Fünfzigerjahre, die von geglückten Initiativen wie der Schaffung der
Europäischen Gemeinschaft für Kohle und Stahl gekennzeichnet waren, aber
auch von dramatisch gescheiterten Unternehmungen wie der der Europäischen
Verteidigungsgemeinschaft, hat der Agitator Spinelli, Beauftragter des
Sekretariats des „Movimento federalista europeo“ und Mitglied des bureau der
„Union européenne des Fédéralistes“ (UEF) eng mit anderen „Gründervätern“
zusammengearbeitet, z.B. mit Alcide De Gasperi, Jean Monnet und Paul-Henri
Spaak. Der letztere hat als Präsident der parlamentarischen Versammlung der
EGKS und der Europäischen Bewegung (Movimento Europeo, ME) während
der Phase der Niederschrift des Statuts der politischen Gemeinschaft Europas,
die der sogenannten „Ad-hoc-Versammlung“ übertragen worden war, eine
enge Zusammenarbeit mit Spinelli begründet. Ihr Anliegen war es, Europa jene
Verfassung zu geben, um die der Autor des Manifests ein Leben lang gerungen
hat, wobei er das Instrument der diplomatischen Traktate und die
zwischenstaatlichen oder Bündniszwänge aufs Schärfste kritisierte (die
stattdessen dem belgischen Außenminister Paul van Zeeland, wenigstens nach
Spinellis Aussage, sehr wichtig waren).
Später kritisierte „Ulisse“ (Pseudonym von Spinelli) die europäische
Wirtschaftsgemeinschaft streng, eine Kreatur von Monnet und mehr noch von
Spaak, da er dachte, dass der Funktionalismus nicht zu einem übernationalen
Europa führen könnte. In der Tat organisierte Spinelli den europäischen
Volkskongress, auf dem er die Bürger aufrief, eine europäische Verfassung und
eine echte föderative Demokratie zu fordern. Unter den Städten, die mit der
größten Teilnahme darauf reagierten, waren auch Antwerpen, zusammen mit
Straßburg, Lyon, Maastricht, Mailand, Turin, Genf und Düsseldorf.
271
F. Gui, Von Ventotene
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Trotz der Widerstände erwies es sich, dass die Gemeinschaften wirksam
für die europäische Einheit arbeiteten. Daher setzte sich Spinelli, der alles
vorher Gesagte wieder zurückgenommen hatte, später dafür ein, die zwischen
Brüssel, Straßburg und Luxemburg situierten Institutionen von Innen heraus zu
beeinflussen. Tatsächlich wurde der ehemalige Verbannte dank der
Unterstützung von Pietro Nenni, dem Anführer der Sozialisten und
Außenminister Italiens, zu einem Mitglied der Kommission der Gemeinschaft,
wo seine Kollegen u.a. Albert Coppé und Henri Simonet waren. Seine
Wohnung in Brüssel befand sich in Avenue Boileau, 12, wie der Verfasser einer
kürzlich bei dem Verlag „Il Mulino“ erschienen Biographie Piero Graglia
erwähnt.
Unzufrieden mit den in der Kommission erreichten Arbeitsergebnissen
zog es Spinelli von 1976 an vor, ins Europäische Parlament einzuziehen, was
ihm dank der Unterstützung seiner ehemaligen Partei, der von Enrico
Berlinguer geführten kommunistischen Partei Italiens, möglich war, die er zu
einer Verfechterin des föderativen Europas machen wollte. In Wahrheit hatte
Spinelli lange von der Geburt einer echten föderalistischen Partei für Europa
geträumt. Sein Einzug in die Straßburger Versammlung erlaubte es dem
Revolutionär mit dem weißen Bart aber trotzdem, und vor allem ab 1979 (also
ab der ersten direkten Wahl), sein Ziel einer europäischen Verfassung erneut zu
einem allgemeinen Thema zu machen, wobei er eine verfassungsgebende Rolle
für die Europaparlamentier forderte, da sie das europäische „Volk“
repräsentierten.
Nachdem er den „Crocodile Club“ geschaffen hatte, der den Namen eines
bekannten Restaurants trug, in dem er eine Reihe von Parlamentariern
versammelt hatte, die bereit waren, ihn zu unterstützen, gelang es „Ulisse“ am
14. Februar 1984, das Projekt der Verfassung für die Europäische Union vom
Parlament absegnen zu lassen, das auch „Spinelli-Projekt“ genannt wurde, und
dank dessen der noch heute im Gang befindliche Reformprozess der
europäischen Institutionen wieder in Schwung kam.
Nach dem Tod von Spinelli wurde die Verfassungsinitiative von dem der
Volkspartei („partito popolare“) angehörigen Abgeordneten Fernand Hernan
weitergeführt, der dem „Crocodile Club“ angehört hatte. Nach Spinelli wurde
ein Gebäude des Europaparlaments in Brüssel benannt.
272
F. Gui, Von Ventotene
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Van Ventotene naar Brussel
door Francesco Gui
Deze publicatie van de Regio Lazio, uitgegeven in samenwerking met de
Università Sapienza van Rome en het Nationale Comité Altiero Spinelli, welke
het bericht van het Manifest van Ventotene in de verschillende talen van de
Europese Unie presenteert, heeft tot doel een bijdrage te leveren tot een
bespiegeling over het Europese federalisme en de cultuur van het unificatie
proces, ook door middel van een vergelijking tussen de ervaringen en de in de
verschillende landen gerijpte voorstellen.
Het Manifest, zoals bekend is, is een originele bijdrage van het Italiaanse
verzet, opgezet door een beperkt aantal tegenstanders van het Mussolini
regime, die gedetineerd waren tussen de twintiger en dertiger jaren en welken
daarna verbannen zijn. Een beperkte groep, maar desalniettemin uiterst geleerd
en gemotiveerd, en wel zozeer dat ze in staat zijn geweest één van de meest
vooruitziende documenten op te stellen, en dat tot op heden nog steeds zijn
geldigheid bewaart, over de toekomst van het naoorlogse Europa.
Onder zijn auteurs, Altiero Spinelli was afkomstig van het
internationalistisch communisme, terwijl Ernesto Rossi, leerling van de
welbekende econoom en latere president van de Italiaanse Republiek Luigi
Einaudi, deel uit maakte van het democratisch liberalisme met grote sympathie
voor de Engelse Labour partij. Voor wat betreft de filosoof Eugenio Colorni,
kan men zeggen dat het een gezaghebbende leider was van de zogenaamde
Interne Centrum van de Italiaanse socialistische Partij.
Hun doel was om aan de Europese sociëteit een echte revolutie voor te
stellen, echter niet meer gebaseerd op de Marxistische ideologie en de
klassenstrijd, maar met het objectief om de absolute soevereiniteit van de
nationale staten te overwinnen en het opzetten van de Verenigde Staten van
Europa.
Op deze manier hoopten zij namelijk dat in plaats van de bloedige periode
van de oorlogen van de negentiende eeuw een hoger niveau van menselijke
samenleving zou ontstaan, gebaseerd op democratische boven de staten
staande instellingen van een federaal type, op het openen van de grenzen,
vrijheid van uitwisseling, zelfs een gemeenschappelijke munteenheid,
gemeenschappelijke defensie en een veralgemeende sociale vooruitgang,
273
F. Gui, Van Ventotene
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
daarbij de herhaling van totalitaire dictaturen onmogelijk makende, niet alleen
van nationalistische- maar ook van communistische opzet.
In augustus van 1943 richtten Spinelli, Rossi e Colorni (het jaar daarna
werd de laatste vermoord door de fascistische politie nadat hij de clandestiene
versie van het Manifest, wat in deze publicatie is afgedrukt, samen met zijn
Voorwoord, had uitgegeven) in Milaan, samen met andere kameraden, de
Europese Federalistische Beweging (EFB) op, nog tot op heden bezig zijnde
voor het federale Europa. Direct daarna is er contact opgenomen met de
Europese Weerstand, daarvoor naar Zwitserland en Frankrijk reizende om de
exponenten van de andere Europese bewegingen te ontmoeten.
Vanaf die tijd, tot mei 1986, toen Altiero Spinelli op de leeftijd van 79, toen
Eurodeputaat, overleed, en vandaag erkend als een van de Vaders van de
Grondlegging van de Europese unie, zou hij zich inzetten om datgene te
realiseren wat in het Manifest van ’41 voorgesteld werd en dat terwijl het nazifascisme zich nog op zijn hoogtepunt bevond.
Gedurende zijn lang activisme, en vooral in de tweede helft van de
vijftiger jaren, koortsachtig van succesvolle initiatieven, zoals de creatie van de
Europese Gemeenschap van Kolen en Staal en de dramatisch failliet gegaan
zijnde Europese Defensie Gemeenschap van, heeft de alles in beweging
brengende Spinelli, met de opdracht van het Secretariaat van de Europese
Federalistische Beweging en als lid van het bureau van de Europese
Federalistische Unie (UEF), nauw samen gewerkt met andere “vaders van de
grondlegging”, zoals de staatslieden Alcide De Gasperi, Jean Monnet en PaulHenri Spaak.
Deze laatste, als president van de parlementaire Assemblée van de CECA
en van de Europese Beweging (ME), heeft met Spinelli een solide
verstandhouding gehad gedurende het opstellen van het Statuut van de
Europese Politieke Gemeenschap, opgedragen aan de zogenaamde Assemblée
ad-ho . Het klimaat van de geestesinstellingen was dat om aan Europa die
constitutie te geven waar de auteur van het Manifest gedurende zijn hele leven
om zou vragen, daarbij de instrumenten van diplomatieke overeenkomsten en
de intergovernatieve of confederale opzet scherp bekritiserend (echter dierbaar,
in ieder geval naar zeggen van Spinelli; aan de Belgische Minister van
Buitenlandse Zaken Paul van Zeeland).
Later heeft “Ulisse” (pseudoniem van Altieri) de Europese Economische
Gemeenschap, schepping van Monnet en nog meer van Spaak, scherp
bekritiseerd, van oordeel zijnde dat het functionalisme niet tot een
supranationaal Europa kon leiden. Inderdaad organiseerde Spinelli het Congres
van het Europese Volk, daarbij de burgers oproepende om een Europese
grondwet en een echte federale democratie te vereisen. Onder de Europese
274
F. Gui, Van Ventotene
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
steden welke met een hogere deelname beantwoordden bevonden zich tevens
Antwerpen, samen met Straatsburg, Lion, Maastricht, Milaan, Turijn, Genève
en Düsseldorf.
Niettegenstaande de bezwaren, lieten de Gemeenschappen echter zien op
een efficiënte manier voor de eenheid van Europa te kunnen werken. Daarom
werkte Spinelli, teruggekeerd op zijn stappen, aan het van binnenuit
beïnvloeden van de in Brussel, Straatsburg en Luxemburg gevestigde
instituties.
In 1970, dankzij de hulp van Pietro Nenni, socialistisch leider en Minister
van Buitenlandse Zaken, werd de oude anti-fascistische verbanneling lid van de
Commissie van de Gemeenschap en had daarbij onder anderen als collega’s
Albert Coppé e Henri Simonet. Zijn huis in Brussel bevond zich op de Avenue
Boileau, n,12, zoals door Piero Graglia, auteur van een recente biografie,
uitgegeven door Il Mulino, herinnerd is.
Onvoldaan over de door de Commissie behaalde resultaten, prefereerde
Spinelli in ’79 in het Europese Parlement zitting te nemen, dit, ook al
kwalificeerde hij zich als “onafhankelijke”, dankzij de steun van de Italiaanse
Communistische Partij, geleid door Enrico Berlinguer, welke hij hoopte te
kunnen omvormen tot een voorstander van een federaal Europa. In
werkelijkheid had Spinelli voor lange tijd van de geboorte van een werkelijke
Europese federalistische partij gedroomd. Het zitting nemen in het Europese
Parlement, vooral vanaf 1979, ofwel vanaf de eerste verkiezing met direct
algemeen stemrecht, maakte het de revolutionair met de witte baard mogelijk
om het objectief van de Europese Grondwet te lanceren, daarin een
constituerende rol voor de europarlementariërs opeisend, aangezien deze
vertegenwoordigers zijn van het Europese “volk”.
Na in Straatsburg de “Club van de Krokodil” (“Club del Coccodrillo”)
opgericht te hebben, naar de naam van een bekend restaurant waar een groep
parlementariërs, klaar om hem te steunen, bijeenkwam, slaagde op 14 februari
1984 “Ulisse” er in om het project van het traktaat van de Europese Unie, ook
wel “Spinelliproject” genoemd, door het Parlement te laten goedkeuren, dankzij
hetwelke het reformatie proces van de Europese instituties, tot op heden
gaande, opnieuw opstartte.
Na het heengaan van de man van Ventotene, is het constituerend proces
weer opgenomen door de populaire parlementariër Fernand Herman, die een
aanhanger was geweest van de “Club van de Krokodil”. Aan Spinelli is een
gebouw gewijd van de zetel van het Europarlement in Brussel.
275
F. Gui, Van Ventotene
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Le message de Spinelli pour le lecteur luxembourgeois
de Giulia Vassallo
En promouvant et en finançant la traduction du Manifeste de Ventotene dans les
diverses langues des pays membres de l’Union européenne, la Région Latium,
en collaboration avec l’Université “La Sapienza” de Rome et le Comité National
Altiero Spinelli, a souhaité favoriser une plus large connaissance des textes
fondateurs non seulement du fédéralisme européen, mais encore de la culture
de l’intégration européenne.
Le Manifeste, rédigé sur la petite île pontine en 1941 par le militant
communiste Altiero Spinelli qui s’était converti au fédéralisme européen, par le
libéral Ernesto Rossi, intellectuellement lié au socialisme de matrice
britannique, et par le dirigeant du “Centre interne” du parti socialiste Eugenio
Colorni, est aujourd’hui proposé au citoyen luxembourgeois dans les trois
langues officielles de son pays.
Le texte, formulé dans un langage passionné et volontairement
emphatique par endroits, est un produit original de la Résistance italienne,
caractérisé par une extraordinaire clairvoyance historique et politique. Il suffit
de penser à l’abolition des barrières douanières, à la libre circulation des
marchandises et des personnes, à la défense commune, à la monnaie unique et à
l’exigence de doter le vieux continent d’une constitution démocratique. Ce sont
là des acquis en grande partie réalisés par l’Union européenne, en vertu
notamment de l’apport intellectuel et des batailles politiques menées par Altiero
Spinelli dans l’aprèsguerre. Quant à la constitution européenne, le sujet est de
nouveau pleinement d’actualité avec le Traité constitutionnel élaboré par la
Convention européenne, bien que révisé ultérieurement par le Traité de
Lisbonne, aujourd’hui en cours de ratification.
Quoiqu’élaboré dans un contexte italien, puisque ses auteurs, tous
opposants anti-fascistes, avaient tout particulièrement à coeur le sort de la
péninsule au lendemain de la chute du régime de Mussolini, le Manifeste de
Ventotene exprime une aspiration générale de renouvellement de la société
européenne, voire mondiale pour certains aspects. Ses auteurs anticipent en
effet le projet d’une action commune des forces progressistes, visant à
construire une réalité inédite sur le vieux continent: les États-Unis d’Europe,
qu’il s’agit de réaliser en dépassant le système des États nationaux. En effet,
dans l’esprit des relégués fédéralistes, la division de l’Europe en États
souverains, constamment en guerre pour conquérir leur propre “espace vital”,
avait inexorablement conduit à la naissance des totalitarismes, ainsi qu’à un
276
G. Vasssallo, Le message
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
deuxième conflit mondial, bien plus destructeur et menaçant pour le sort de
l’humanité.
C’est de ces diverses considérations angoissées que naissait l’appel à
mettre en oeuvre un processus révolutionnaire, au caractère fédéraliste et non
plus marxiste, susceptible d’anéantir définitivement les bases sur lesquelles
s’appuyait l’appareil étatique nationaliste, tendanciellement totalitaire, défini
comme “extrême centralisation et autarcie” et comme berceau du système
corporatif et des “baronnies économiques” liées au pouvoir politique. À sa
place, il fallait édifier un système supranational, fondé sur des institutions
démocratiques communes au niveau européen, en mesure de favoriser une
concrète reconstruction morale et économique et de générer un plus haut degré
de civilisation, dans le but de garantir pour chaque individu la jouissance de ses
libertés élémentaires.
La force des idées avancées et la conviction profondément ancrée que la
contingence historique, par son caractère dramatique exceptionnel, était
extraordinairement propice à mettre en place un processus di transformation
radicale de l’histoire européenne, eurent également des incidences sur l’action
politique entreprise par les auteurs du Manifeste une fois libérés, en juillet 1943,
après la chute du régime mussolinien. En août de la même année, ils fondèrent
à Milan, avec d’autres intellectuels et hommes politiques antifascistes, le
Mouvement fédéraliste européen (Mfe), qui poursuit aujourd’hui encore son
action en vue de fonder une fédération démocratique européenne. Ils
commencèrent par ailleurs à nouer des relations de plus en plus étroites avec les
autres groupes européistes qui s’étaient constitués sur le continent pendant les
années de la Résistance, afin de créer un mouvement pour l’unité européenne le
plus large et le plus tranversal possible.
Altiero Spinelli, plus que tout autre, fut au coeur d’un vaste réseau
d’intenses contacts entre les personnalités majeures de la scène européenne. Au
nombre de ses interlocuteurs et correspondants luxembourgeois, il convient de
rappeler Arthur Calteux, membre influent de l’Union européenne des
fédéralistes (Uef), Henri Koch de l’Union fédérale, Gordian Troeller du
Mouvement fédéraliste luxembourgeois et le futur président de la Commission
européenne, Gaston Thorn.
Les relations entre Altiero Spinelli et Joseph Bech, tous deux passés à
l’histoire en tant que « pères de l’Europe », furent bien plus complexes. Spinelli
reconnaissait en effet à l’alors ministre des Affaires Étrangères du Grand Duché
le mérite d’avoir inscrit le Luxembourg au rang des États fondateurs de la
Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier (Ceca). Qui plus est, il
l’appréciait pour avoir réclamé haut et fort que son pays puisse accueillir la
Haute Autorité, confirmant ainsi la totale disponibilité du petit État à mener à
277
G. Vasssallo, Le message
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
bien et à promouvoir le projet communautaire. Néanmoins, lors de la fondation
de la Communauté économique européenne (Cee), il ne pouvait ignorer le fait
que Bech avaitcollaboré avec ses homologues belge et hollandais, Paul-Henri
Spaak et Johan Willem Beyen, à la fondation d’une institution de nature
typiquement fonctionnaliste qui, dans l’optique de Spinelli, n’était qu’une
“farce” pour tous ceux qui avaient oeuvré pour une Europe supranationale
qu’il s’agissait de promouvoir grâce à une participation populaire et un système
constituant.
Tout d’abord déçu par l’“échec” des Traités de Rome, puis convaincu de la
validité des Communautés européennes, “Ulysse”, après une pause de
réflexion, décida d’oeuvrer directement au sein des nouvelles institutions, en
vue de les orienter vers une perspective fédéraliste. De 1970 à 1975, il fut en
effet commissaire européen, avant d’être élu en 1976 au Parlement de
Strasbourg. C’est en sa qualité de parlementaire, notamment après les élections
au suffrage universel direct (juin 1979) et jusqu’à sa mort en mai 1986, que le
vieil antifasciste aurait témoigné avec originalité de sa capacité à concilier
stratégie politique et esprit révolutionnaire: le résultat le plus important de son
action, au plan dirons-nous historique, a sans doute été l’approbation de la part
de l’assemblée, le 14 février 1984, du Projet de traité d’Union européenne, un
présupposé essentiel des ultérieurs développements, qu’il s’agisse de l’Acte
unique européen ou des traités les plus récents.
En conclusion, il est important qu’en un moment si délicat et si décisif
pour l’histoire de l’Union, les citoyens européens puissent avoir l’occasion de
réfléchir au message véhiculé par le Manifeste de Ventotene, un texte digne d’être
étudié pour sa clairvoyance politique, pour la prégnance de son langage, pour
sa valeur profondément humaine de témoignage et pour l’idéal qui anime de
manière passionnée chacune de ses pages.
278
G. Vasssallo, Le message
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Spinelli Botschaft für den Luxemburger Leser
von Giulia Vassallo
Mittels Finanzierung der Übersetzung des Manifests von Ventotene in die
Sprachen der Mitgliedsstaaten der Europäischen Union will die Region Latium
unter Mitwirkung der Universität „La Sapienza“, Rom, und des Komitees zur
Feier des hundertsten Geburtstags von Altiero Spinelli eine weitere Verbreitung
eines der wichtigsten Texte des europäischen Föderalismus und der Kultur der
europäischen Integrationsgedankens sicherstellen.
Das auf der kleinen Insel Ventotene 1941 von dem ehemals
kommunistischen dann zum europäischen Föderalismus konvertierten Altiero
Spinelli, von dem Liberalen Ernesto Rossi (der dem Sozialismus britischer
Ausprägung verpflichtet war) und vom Direktor des „inneren Kreises“ der
sozialistischen Partei Italiens Eugenio Colorni verfasste Manifest wird jetzt dem
luxemburgischen Leser in den drei offiziellen Staatssprachen dargeboten. Der
phasenweise von gewollt leidenschaftlicher Sprache und bewusst
emphatischem Stil gekennzeichnete Text stellt ein Originalprodukt der
italienischen Widerstandsbewegung gegen die Faschisten dar, das von
außergewöhnlicher historisch- politischer Weitsichtigkeit zeugt. Man denke nur
an folgende Themen: die Abschaffung der Zollgrenzen, der freie Verkehr von
Waren und Personen, die gemeinsame Verteidigung, die gemeinsame Währung
und die Notwendigkeit, dem alten Kontinent eine demokratische Verfassung
zu geben. Das sind allesamt Punkte, die zum größten Teil von der Europäischen
Union erreicht worden sind, auch dank der intellektuellen Starthilfe und der
politischen Kämpfe, die Altiero Spinelli im Verlauf der Nachkriegszeit geführt
hat. Was die europäische Verfassung betrifft, so wäre dieses Thema durch den
vom Europäischen Konvent ausgearbeiteten Vertrag über eine Verfassung für
Europa wieder von brennender Aktualität, der aber in der Folge vom heute zu
ratifizierenden Vertrag von Lissabon wieder eingeschränkt worden ist.
In einer italienischen Umgebung ausgearbeitet – den Autoren, allesamt
Faschismus- Gegner, lag vor allem das Schicksal der italienischen Halbinsel
nach dem Sturz des Mussolini-Regimes am Herzen – zeichnet sich das Manifest
von Ventotene doch durch einen allgemeinen Drang zur Erneuerung der
europäischen und in einem gewissen Sinn weltweiten Gesellschaft aus. Seine
Autoren nehmen in der Tat eine gemeinsame Aktion der progressiven Kräfte
für die Konstruktion einer völlig neuen Realität auf dem alten Kontinent
vorweg, nämlich die Vereinigten Staaten von Europa, die durch das
279
G. Vassallo, Spinelli Botschaft
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Überwinden des Systems der Nationalstaaten entstehen sollten. Nach Meinung
der föderalistischen Verbannten hat die Aufteilung Europas in souveräne
Staaten, die untereinander dauernd gegenseitig um die Eroberung des eigenen
„Lebensraums“ streiten, unausweichlich zur Geburt der totalitären Regime und
zu einem zweiten, noch zerstörerischen Weltkrieg geführt, der der gesamten
Menschheit gefährlich wurde.
Aus diesen angstvollen Überlegungen entstand der Aufruf zu einem nicht
mehr marxistisch sondern föderalistisch geprägten revolutionären Prozess, der
die Grundlagen, auf denen der nationalistische, tendenziell totalitäre
Staatsapparat geruht hatte, endgültig beseitigen sollte. Ein Staat, der „den
Gipfel der Zentralisierung und der Autarkie“ darstellte, sowie die Wiege des
korporativen Systems und der „wirtschaftlichen Machtmissbräuche“, die an die
politische Macht gebunden waren. An seine Stelle sollte stattdessen eine
übernationale, auf europäischer Ebene verankerte und auf demokratischen
Institutionen beruhende Ordnung treten, der es gelingen sollte, einen konkreten
moralischen und wirtschaftlichen Wiederaufbau zu fördern und außerdem eine
höhere Zivilisation zu bedingen, um die vollständige Freiheit der einzelnen
Individuen zu garantieren.
Die Kraft der Ideen und die feste Überzeugung, dass der historische
Moment gerade wegen seiner dramatischen Außergewöhnlichkeit unglaublich
geeignetsel, um einen radikalen Umformungsprozess in der europäischen
Geschichte einzuleiten, wirkte sich auch auf die von den Verfassern des
Manifests unternommenen politischen Schritte aus, sobald sie im Juli 1943 nach
dem Fall des Mussolini- Regimes erst einmal aus der Verbannung befreit
worden waren. Im August desselben Jahres gründeten sie in Mailand
zusammen mit anderen antifaschistischen Intellektuellen und Politikern das
„Movimento federalista europeo“ (Mfe), das sich auch heute noch für die
demokratische Föderation von Europa einsetzt. Außerdem begannen sie mit
den anderen europafreundlichen Gruppen immer engere Verbindungen zu
knüpfen, die auf dem Kontinent während der Zeit des Widerstands entstanden
waren, um eine Bewegung für die Europäische Vereinigung zu schaffen, die so
groß und umfassend wie möglich sein sollte. Altiero Spinelli stand mehr als die
anderen im Zentrum eines weiten und intensiven Austausches mit
bedeutenden Persönlichkeiten auf der europäischen Bühne. Unter seinen
Gesprächspartnern und Korrespondenten in Luxemburg soll hier an Arthur
Calteux erinnert werden, verdientes Mitglied des Europäischen
Zusammenschlusses der Föderalisten (Unione europea dei federalisti, Uef), an
Henri Koch von der „Union fédérale“, Gordian Troeller vom „Mouvement
fédéraliste luxembourgeois“, sowie an den künftigen Präsidenten der
Europäischen Union, Gaston Thorn.
280
G. Vassallo, Spinelli Botschaft
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Wesentlich komplexer waren die Beziehungen zwischen Spinelli und
Joseph Bech, die beide in die Geschichte eingingen als „Gründerväter Europas“.
Tatsächlich hatte der damals als Außenminister des Großfürstentums tätige
Bech in den Augen Altieros das Verdienst, Luxemburg zu einem der
Gründerstaaten der Europäischen Gemeinschaft für Kohle und Stahl (EGKS) zu
machen. Außerdem schätzte Spinelli ihn, weil Bech laut gefordert hatte, sein
Land sollte die Hohe Behörde beherbergen und damit die vollständige
Disponibilität des kleinen Staates klargestellt hatte, das europäische Projekt
voranzutreiben und zu fördern. Jedoch konnte Spinelli die Tatsache nicht
übersehen, dass Bech im Moment der Entstehung der Europäischen
Wirtschaftsgemeinschaft (EWG) mit seinen belgischen und holländischen
Kollegen Paul-Henri Spaak und Johan Willem Beyen an der Gründung einer
Institution von ausgeprägt funktionalistischem Charakter gearbeitet hatte, was
nach Ansicht Spinellis einen „Hohn“ für alle diejenigen darstellte, die sich für
ein übernationales Europa eingesetzt hatten, das durch Volksbeteiligung und
verfassungsgebende Methode zustande kommen sollte.
Anfänglich verbittert über den „Rückschlag“ der Römischen Verträge,
aber dann doch vom Wert der Europäischen Gemeinschaften überzeugt,
entschied sich „Ulisse“ nach einer Denkpause dafür, sich direkt im Inneren der
neuen Institutionen zu engagieren, um sie trotz allem in Richtung einer
föderalistische Perspektive zu lenken. Von 1970 bis 1975 war er also
Europakommissar, danach arbeitete er ab 1976 im Parlament von Straßburg. In
dieser Funktion hat der ehemalige Verbannte vor allem nach den allgemeinen
direkten Wahlen (Juni 1979) und bis zu seinem Tod im Mai 1986 seine
außergewöhnliche Fähigkeit bewiesen, politische Taktik und revolutionären
Geist zu verbinden: Das wichtigste und epochemachende Ergebnis seines
Wirkens war am 14. Februar 1984 die Zustimmung des europäischen
Parlaments zum Projekt für einen Vertrag für Europa, eine notwendige
Vorbedingung für alle weiteren Entwicklungen von der einheitlichen
europäischen Akte bis zu den heutigen Verträgen.
Kurz: Es ist wichtig, dass die europäischen Bürger in einem so delikaten
und entscheidenden Moment der Geschichte der Union die Möglichkeit haben,
über die Botschaft des Manifests von Ventotene nachzudenken, einem Text, der es
aufgrund seiner politischen Voraussicht, der Prägnanz seiner Sprache, seiner
Aussagekraft als Zeugnis der Menschheit und der Leidenschaft für das Ideal,
die jede einzelne Seite durchzieht, wert ist gelesen zu werden.
281
G. Vassallo, Spinelli Botschaft
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Books and Articles Reviews
Lorenzo Kamel379
Miodownik, Dan (co-authors: Ravi Bhavnani, Hyun Jin Choi), Three Two
Tango: Territorial Control and Selective Violence in Israel, the West Bank, and
Gaza.380
Miodownik’s article falls into the research area of identifying “causes of
violence against civilians in a civil war” (Miodownik 2010, 6). However, while
this literature usually deals with two actors with relatively symmetric
capabilities, Miodownik challenges this assumption and deals with a case study
of three actors with asymmetric capabilities: the case of Israel, Fatah and
Hamas. Miodownik starts his article by introducing the theory of Kalyvas,
according to which under the condition of two actors, violence will be most
likely in areas of incomplete control, meaning for the Israeli-Palestinian case in
Area C (incomplete Israeli control) and Area A (incomplete Palestinian control),
not however in within-Green line Israel, in jointly Israeli-Palestinian governed
Area B and in Hamas governed Gaza. Miodownik’s data show that from 1987
to 2005, Kalyvas’ projections indeed apply to the Israeli-Palestinian case: most
violence occurred in Area C and Area A.
However, in 2006, Hamas gained control over Gaza and subsequently
there are three actors involved. Miodownik’s data show that after 2006 violence
perpetrated by Israel shifts to Area A and Hamas governed Gaza. With an
agent-based computational model, the author shows that between 2006 and
2008, 33% of all killings took place in Gaza and 63.3% took place in Area A.
Only 3.4% of all killings happened in Area B and no violence occurred in Area
C and within-Green line Israel (Miodownik 2010, 15).
So, in triadic, asymmetric wars, “violence is more likely to occur in areas
incompletely controlled by the weaker side” (Miodownik 2010, 17).
Furthermore, regarding Palestinian violence, the author finds that Palestinian
violence is more likely in the zone of incomplete Palestinian control (Area A)
than in the area of complete Palestinian control (Gaza) – however, fatalities tend
Le presenti recensioni, cui seguiranno altre nei prossimi numeri, sono state redatte
dall'autore durante la sua recente permanenza presso la Hebrew University of Jerusalem.
380 The article has been published on February 2011: Dan Miodownik, Ravi Bhavnani and JinChoi Hyun, «Journal of Conflict Resolution», vol. 55, no. 1, pp. 133-158.
379
282
L. Kamel, Reviews
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
to be higher in Gaza than in Area A, meaning that violence here is less targeted
and more indiscriminate. Miodownik explains his findings by the split between
Fatah and Hamas which “created opportunities for Israel to divide and rule”
(Miodownik 2010, 20). Israel let Palestinian security forces trained in Jordan into
Area A to destroy Hamas infrastructure there.
Miodownik’s article touches a theoretically, as well as practically very
pressing topic and is thus of high relevance. He uses an impressive amount of
data and his agent-based computational model seems very appropriate for
testing his hypotheses. Also his findings are highly interesting and my critique
for this article is far outweighed by all these factors just mentioned.
First of all, the structure of the article seems sometimes slightly confusing
for the reader. The author immediately starts with a discussion of Kalyvas’
theory instead of shortly describing what the general state of the art is and what
is missing there. Also in the beginning, he should already refer to the aims of
his study and sum up the major findings which are in contrast to present
findings in the literature. Furthermore, Miodownik could better explain why he
chose to study the Israeli-Palestinian case, which is a great choice for testing his
theory, but is never explicitly defended. He could also possibly compare the
Israeli-Palestinian case to other cases of triadic or asymmetric civil wars like
Colombia or Apartheid South Africa. Another problem which he could address
better is that contrary to cases like Colombia, Myanmar or Lebanon, the IsraeliPalestinian case is not a case of civil war. Thus, in other cases of triadic warfare,
possibly different patterns could emerge, especially when dealing with such
causal mechanisms such as denunciations.
Besides, in the regression analysis, possible other factors are raised, which
could be better explained. Altitude, for example, which turns out to be
statistically significant and is used to control for rough terrain, seems a
questionable variable to indeed control for rough terrain. It leaves the reader
puzzled why higher or lower places would offer better possibilities for
hideouts. In general, all these control variables could be better explained and
discussed.
Also, the author’s discussion of the findings could have been more
extensive by maybe including also more qualitative research. Basically, the
discussion is more informed by assumptions of what could be the causal
mechanisms than by deeper qualitative research, which could have further
backed up his results, and which could qualify his findings in respect to
possible other case studies.
283
L. Kamel, Reviews
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Peled, Alon, “Traversing Digital Babel”, Paper submitted to Public
Administration Review (forthcoming 2011)
In his paper, Alon Peled deals with the question of “how can we incentivize
public institutions to share information more effectively?” (Peled 2010, 2). He
proposes three key ideas to answer this question: the primacy of bureaucracy
over technology, the automatization of bureaucratic language, and the
monetization of information-sharing transactions. After sketching the successes
and failures of information-sharing project, he briefly identifies the reasons for
the failures on three levels: the political level, meaning that actors seek to keep
their information in order to hold on to their power; the managerial level,
meaning that managers failed to think about an architectural program before;
and the archeological level, meaning that in face of the vast information,
computer systems acquire their own life and become uncontrollable.
He then lays out his arguments for the three above identified key ideas on
basis of immense empirical knowledge in this complex area, which represents a
big advantage of this article. In addition and based on this empirical
knowledge, the author seems to offer some “fresh” ideas to policy makers: in
the area of information-trading, for example, he proposes ideas to foster
information brokerage through focusing on concrete public goods, through
empowering an agency “to develop a starter data-set that holds valuable
information for other organizations” (Peled 2010, 19) and through expanding
the information marketplace to address neighboring problems.
However, this huge empirical knowledge seems to come at the price of
theory generation. The article seems to be mainly policy-consulting oriented
and contributes less to theory in the area. This is the major problem of the
article, which already becomes clear in the beginning. The author identifies that
the sharing of security information could have prevented 9/11 and that the 2009
Christmas airline attack showed that nothing much has improved yet,
notwithstanding this external shock. This, indeed, is a very relevant finding.
However, the appropriate research question to such a finding is the question of
“why do bureaucracies fail to cooperate?” not “how can we incentivize them to
cooperate?”. The latter question responds to the identification of incentive
problems, which lead to the cooperation failure. This means, the author first
would have to outline where exactly this lack of incentive lies, which is hardly
analyzed in the article. To the contrary, the author only refers to this on barely
one and a half pages. Without a deeper analysis, however, the article can hardly
proceed to answer such a question. Such an analysis would have to include
284
L. Kamel, Reviews
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
thoroughly political questions, which the article sometimes touches, but not
sufficiently.
Secondly, the article in parts lacks structure, which makes it difficult for
the reader to follow the thread that runs through the article. Most basically, the
introduction should refer to how the author will proceed, already.
Subsequently, it could be better structured, as well. In this context, also the
figure on page 3 is vague and makes the reader wonder what the author means
by it, as he does not explain the use of it at all. To the contrary he mentions
dimensions in there, which are hardly discussed afterwards.
One such dimension – and here lies the third problem of the article – is the
ethical dimension, which he hardly discusses, except for in a small paragraph
on pages 22-23. This, however, seems to be an essential question to address
when dealing with the centralization of information about the individual,
which always implies a violation of the individual’s freedom. The author
himself once refers to the great “infocrator” (Peled 2010, 8), which represents a
mix of the words information, creator and dictator. Such highly relevant
questions for a political community cannot be easily abandoned, should be
addressed and controversially discussed in the beginning of an article and at
least there should also be a reference to the relevant literature in this respect.
Then, also the arguments for information sharing such as the saving of tax
payer’s money or the protection of the community could be better bundled
instead of being spread throughout the article and leaving the reader with the
task to find them.
In the conclusion, the author compares the biblical tower of Babel to the
electronic tower of Babel, which is a brilliant metaphor. However, again, the
author only relates this to the question of how for the builders of the tower,
questions of technology resumed priority and – according to Peled – “the same
sins lie at the root of many public computer projects” (Peled 2010, 24). This is
again true, but not only in the way how Peled intends to use this metaphor. Not
only technology, but also the bureaucratic monster, which the German
sociologist Max Weber foresaw in the 19th century, is a sin to a society built on
individual freedoms.
285
L. Kamel, Reviews
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
Ira Sharkansky, “The Promised Land of the Chosen People is not all that
Distinctive: On the Value of Comparison”, 1999, in Levi-Faur, David, Gabriel
Sheffer, David Vogel (eds.) “Israel. The Dynamics of Change and
Continuity”, pp. 279-92.
In her article, Ira Sharkansky argues that the Israeli idea of being unique does
not necessarily reflect reality, but deters self-assessment. These ideas of
uniqueness are driven by biblical doctrines, which have been with the Jewish
people for thousands of years. However, Sharkansky identifies a danger with
this tendency: “The dangers of parochialism lie not only in mistaken
commentaries, but in distorted political efforts and misdirected economic
concerns” (Sharkansky 1999, 279). So, there might be distorted resource
allocations. She also identifies an additional danger: “The centrality of the
Promised Land to religious and nationalist Jews produces an intensity and
rigidity about issues currently on the national agenda. The vilification of Prime
Minister Yitzhak Rabin for bargaining away parts of the Promised Land and his
assassination are extreme representations of emotions whose incidence in the
population is not possible to gauge accurately” (Sharkansky 1999, 290). Driven
by these concerns, Sharkansky sets out to analyse three topics in comparative
perspective, for which Israelis assume they are unique: the power and limits of
religion, economic and social inequality, and the number of traffic deaths.
Starting with the first, Sharkansky argues that the Jewish state assures
indeed an important role for religion. “Founded in 1948 with a declaration of
being a Jewish state, Israel stood against the trend of breaking the church-state
nexus that had prevailed for more than a century in Europe and North
America” (Sharkansky 1999, 280). After describing the main parameters of
discussion in Israel about religion and politics, especially also for the city of
Jerusalem, she claims that Israel “seems to fit somewhere among other western
regimes” (Sharkansky 1999, 284). She justifies this claim by comparing surveys
on how religious people perceive themselves, on the dimension of
governmental support for religion, and on the prominence of religious symbols
in a state.
In terms of income inequality, Sharkansky shortly follows the Israeli
discourse on this topic. She then discusses how to measure this concept and
acknowledges that it “is no easy task to define or measure economic equality”
(Sharkansky 1999, p. 285). Her solution to this problem is the claim that
countries with higher GNP (i.e. with higher development) have higher equality;
subsequently, GNP becomes one of her measurements. Furthermore, she also
286
L. Kamel, Reviews
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
uses the GINI index. As a result, she claims that “Israel is more egalitarian than
a number of other countries at or above its level of wealth” (Sharkansky 1999,
287). However, she also acknowledges, that similar to other Western countries,
also in Israel inequality is increasing.
Thirdly, she compares Israel to other Western countries in terms of traffic
safety and finds that “Israel’s record of road deaths appears to be normal with
respect to a groups of countries appropriate for comparison” (Sharkansky 1999,
288).
This article touches a very important field. Indeed, it is important to
analyze in a comparative perspective how unique Israel really is, so that
resources are allocated properly and so that ideology is removed from politics.
The article accomplishes its task in a scientific, quantitative measure.
Nonetheless, I would like to argue with two points that the author makes:
Firstly, regarding the importance of religion within Israel. Sharkansky claims
that other Western states are similar to Israel by comparing level of
religiousness, governmental support, and religious symbols. It would be
interesting to me to know the reason why she decided to take these
measurements. In other words, I am interested in understanding why she took
these specific measurements and not others. She herself describes two other
important dimensions: the level of tension between secular and religious, which
do not exist in other Western countries, and the importance of “Jewish” for the
State of Israel. While this is consensus across Jewish Israelis, such a consensus
does not exist in Europe, which became most evident in the debate if “Christian
values” should be included in a European constitution. Thus, religion does play
a much higher role in Israel than in other Western countries. Secondly, she
measures equality through economic development. This, however, is a possibly
shaky claim, especially when we consider that economic gaps between the rich
and the poor in Western countries are increasing with proceeding economic
development, as she later on acknowledges herself. In addition, Gross National
Product might not be the best measurement for the development of a country,
and the Human Development Index could be of much better use for measuring
this concept.
287
L. Kamel, Reviews
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
G. Motta, Baroni in camicia rossa, Passigli, Firenze 2011.
di Antonello Battaglia
Calabria, agosto 1860. Don Gerardo Bianchi Giardina di Belmonte, prestigioso
nobile calabrese, decide impavido di seguire la scia travolgente del generale
Garibaldi, appena sbarcato sul “continente”.
Dopo la ben nota conquista della Sicilia, le fila dei Mille, rimpinguate dai
fervidi animi dei volontari isolani, proseguono l’escalation contro le truppe di
“Franceschiello”. Tra l’inizio e la fine della campagna rivoluzionaria, tra
Marsala e il Volturno, tra maggio e settembre, una parentesi di grande
importanza per i destini della nascente Italia è costituita dall’azione delle
camicie rosse che nel mese di agosto attraversano la Calabria. Don Gerardo,
come molti nobili del suo rango, “sogna di fare la storia” e in realtà questa
Storia lo coinvolge oltre le sue previsioni. In una regione segnata
dall’arretratezza economica e sociale e dall’ingiustizia, serpeggiano tuttavia le
idee dei liberali che, profondamente delusi dalla monarchia borbonica,
condividono e assecondano la spinta rivoluzionaria. Sullo sfondo, l’immagine
di una vita agiata, feste a palazzo, banchetti memorabili dalle mille portate,
riunioni di famiglia, rituali massonici, amori travolgenti che non impediscono la
nascita e il consolidamento di un progetto politico alternativo rispetto
all’impronta reazionaria della corona.
Il barone don Gerardo, con il suo gruppo di amici e parenti, venuto a
conoscenza che Garibaldi è arrivato in Calabria, lo raggiunge offrendo
generosamente la sua spada e mettendo a disposizione della rivoluzione i suoi
averi. Partecipando all’impresa garibaldina, il barone si batte valorosamente
contro le forze nemiche, alle quali appartiene anche un suo cugino, il duca
Francesco, avversario di una vita, invidioso e competitivo, che questa volta
vuole finalmente prevalere su Gerardo. E infatti, con i suoi bravi, lo circonda
catturandolo in una vigliacca imboscata. Mentre i volontari hanno la meglio,
conquistando la città di Reggio, dove i borbonici si rinchiudono nella fortezza
sventolando bandiera bianca, don Gerardo, ormai preda dei alleati della
monarchia, viene rinchiuso nelle segrete del carcere borbonico di Ventotene.
Tutti i paesi della Calabria sono ormai conquistati dalla rivoluzione:
Catanzaro, Cosenza, Castrovillari, Paola insorgono e le sorti del conflitto si
confermano in favore di Garibaldi, mentre don Gerardo, ancora in carcere,
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A. Battaglia, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2011
ferito e bruciante per la febbre, ripercorre momenti importanti della sua
esistenza che l’hanno visto come protagonista.
Il racconto si muove tra realtà e fantasia, tra vicende storiche e
immaginario letterario, ma l’autrice riesce abilmente ad annodare i fili di un
Risorgimento minore, mantenendo viva fino alla fine la curiosità del lettore, al
quale riserva una sorpresa finale.
È un nuovo filo questo, felicemente inaugurato da Giovanna Motta, che
riesce a tessere con singolare destrezza le complesse e variegate realtà storiche
di un momento contraddittorio, tra episodi gloriosi e tradimenti, regalandoci un
romanzo che presenta una sicura consistenza storica, ma anche una leggerezza
narrativa e soprattutto un Risorgimento inedito, visto attraverso gli occhi di un
signorotto locale, un piccolo eroe del Sud.
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A. Battaglia, Recensione
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