ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DI BOLOGNA FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE Corso di laurea in educatore sociale e culturale TITOLO DELLA PROVA FINALE: LA LINGUA PER ESPRIMERSI E PER LA CITTADINANZA Prova finale in: Pedagogia Interculturale Relatore: Presentata da: Prof. Antonio Genovese Alessandro Belloni Sessione I Anno accademico: 2011/2012 1 Indice: INTRODUZIONE ……………………………………………………………………....... 3 1. IL CONTESTO MIGRATORIO E LEGGI DI RIFERIMENTO 1.1 La popolazione straniera in Italia e a Bologna: dati e riflessioni ……...…….…..….5 1.2 Le leggi in materia di immigrazione ……………………….……………………...….7 1.3 L’Accordo di Integrazione per lo straniero che richiede il permesso di soggiorno …. 9 1.4 I Centri Territoriali Permanenti ………....……………………………………………12 2. PERCHE’ UNA SCUOLA DI ITALIANO 2.1 Cosa si intende con scuola di italiano ……………………….…………………...…. 15 2.2 L’esempio dell’associazione Asinitas ……………...………………………………... 20 3. STUDIO DI UN CASO: LA SCUOLA DI ITALIANO CON MIGRANTI SIM XM24 3.1 L’ambiente e le relazioni …………..……………………………………………..…. 26 3.2 La Scuola di Italiano con Migranti SIM XM24 ……..……………………….…….. 28 3.3 Le classi e il corso donne ……………………………………………………….……. 31 3.4 L’illegante ……………………………………………………………………………. 34 3.5 Alcuni limiti e problematiche …………………………………………………..…… 35 4. RIFLESSIONI CONCLUSIVE …………………………………………………..… 37 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E A SITI …………………………………..…... 39 2 INTRODUZIONE La seguente ricerca si pone l’obiettivo di descrivere analiticamente l’esperienza della scuola di italiano con migranti SIM XM24. Per farlo inizierò introducendo l’argomento con la trattazione del contesto migratorio in Italia e a Bologna, soffermandomi prima sulle leggi in materia di immigrazione, poi sul recente Accordo di integrazione per lo straniero che richiede il permesso di soggiorno e infine sul funzionamento degli organismi preposti all’assolvimento della richiesta di insegnamento della lingua italiana ai migranti, ossia i Centri Territoriali Permanenti. Il discorso entrerà nel merito dell’esperienza nel secondo capitolo, quando sarà delineato cosa si intende, a livello olistico, con scuola di italiano; nel secondo e ultimo paragrafo del capitolo verrà a tal proposito illustrato l’esempio dell’associazione Asinitas onlus. La rappresentazione di questo prototipo permetterà l’approdo all’esposizione del caso della scuola di italiano con migranti SIM XM24, raccontata nella terza sezione dell’elaborato. Questa peculiare scuola sarà dapprima incorniciata nell’ambito logistico e strutturale in cui prospera e quindi approfondita attraverso le metodologie e le sperimentazioni a cui ha dato vita, concludendo con i limiti e le critiche che ne ostacolano la propagazione. La scelta dell’argomento e l’interesse che questo studio suscita in me sono dovuti al mio coinvolgimento in prima persona in quest’esperienza. Da tre anni partecipo settimanalmente alla scuola e fornisco il mio contributo per la sua costante evoluzione. La SIM si descrive come progetto politico pedagogico che mira alla ridefinizione dello stare insieme attraverso il canale privilegiato dell’apprendimento della lingua italiana. Il celebre superamento delle barriere tra insegnante e allievo, auspicato e precisato da Paulo Freire durante tutto il suo percorso, lo avverto nel mio essere nel momento in cui, guardandomi indietro, vedo le personali decostruzioni di pregiudizi e stereotipi che ho determinato, grazie alla costante messa in discussione collettiva che la scuola compie. La scuola è un progetto politico perché agisce collettivamente sulla realtà con scopi precisi; a ciò si mescolano modalità e fini pedagogici non solo perché si tratta di una scuola, ma soprattutto perché fa dell’incontro la pratica più diffusa e condivisa. La metodologia utilizzata per la dissertazione segue l’analisi critica dell’esperienza diretta, coadiuvata dall’indagine della giurisdizione in materia e supportata dallo studio dei classici del pensiero pedagogico novecentesco. La relazione con l’associazione Asinitas ha favorito 3 la capacità di accomodamento del pensiero montessoriano e freinetiano all’interno di pratiche educative attive con migranti. Quest’indagine ha inoltre l’intento di includere nella narrazione della scuola di italiano con migranti il disagio sociale che traspare dalle biografie di chi quotidianamente deve relazionarsi con marginalità ed esclusione. Come ci ricorda Salah, un ragazzo che vive la scuola da diverso tempo: “I migranti non vengono qui per i soldi, ma per la speranza che hanno perso nel proprio paese, ma quello che hanno trovato è stato peggio. In Italia non ci sono diritti per noi migranti. Non ci sentiamo protetti, ci sentiamo soli, scappati da un peggio ad un altro. Non viviamo bene perché trattati come degli animali. Io, che sono partito dal Marocco, non mi sento né marocchino né italiano, ma dove cazzo posso vivere? Chi sono io? Voglio una risposta. L’uomo senza casa, senza permesso, è come un animale. Il governo deve rispettare la nostra dignità e per farlo deve eliminare questa legge razzista. Deve facilitare le pratiche per ottenere i documenti per rendere più vivibile la nostra esistenza. L’Italia non è una terra aperta a tutti come sembra, la verità è un’altra: appena uno entra si sente fuori”1. 1 Salah Taif, discorso in piazza del Nettuno, Bologna, primo Marzo 2012, riportato dal giornale autoprodotto L’illegante, numero 2, Aprile 2012. 4 1. IL CONTESTO MIGRATORIO E LEGGI DI RIFERIMENTO 1.1 La popolazione straniera in Italia e a Bologna: dati e riflessioni Secondo i dati del Dossier Statistico Immigrazione2 i residenti stranieri in Italia all’inizio del 2011 erano poco più di 4 milioni e mezzo, di cui 51,8% donne. Sulla popolazione totale (circa 60 milioni) l’incidenza ammontava al 7,5%. L’aumento annuale, nonostante la crisi, è stato attorno alle 330 mila unità. Ai residenti, secondo la stima del Dossier, vanno aggiunte altre 400 mila persone regolarmente presenti ma non ancora iscritte all’anagrafe e bisogna inoltre sommare i circa 500 mila migranti non aventi il permesso di soggiorno, che vivono e lavorano in Italia senza essere in regola con i documenti: solo così il dato ricavato risulta più aderente alla realtà del fenomeno. Più della metà dei residenti senza la cittadinanza italiana provengono dall’Europa3 e almeno 6 su 10 risiedono al Nord4. Nel corso del solo ultimo decennio gli immigrati sono più che triplicati, aumentando di 3 milioni e 200 mila elementi5: quest’ultimo semplice elemento ci aiuta a inquadrare meglio il perché del ritardo nelle politiche di accoglienza e sociali rispetto ai paesi europei con bacini di immigrazione più vecchi e strutturati (Regno Unito e Francia in particolare). 2 Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2011, 21° Rapporto, edizioni Idos, Roma, 2011. 3 Per quanto riguarda l’ammontare degli stranieri in regola con il permesso di soggiorno, circa 2 milioni e 450 mila provengono da paesi europei. Tra i primi 5 paesi per provenienza troviamo infatti: Romania, 969 mila; Albania, 483 mila; Marocco, 452 mila; Cina, 210 mila; Ucraina, 201 mila (elaborazioni su dati ISTAT). Queste 5 nazionalità da sole rappresentano oltre la metà dell’intera presenza straniera in Italia (50,6%). Per quanto concerne invece la forte presenza rumena c’è da ricordare che questa ha conquistato piena visibilità statistica (e di riflesso nell’analisi politica e sociale) prima con la regolarizzazione del 2002 (all’interno della legge di modifica delle norme in materia di immigrazione, la cosiddetta Bossi-‐Fini) e quindi nel 2007 con l’ingresso della Romania nell’UE e la quasi contemporanea entrata in vigore del nuovo regolamento sulla libera circolazione dei cittadini dei paesi membri (Direttiva 2004/38/CE, entrata in vigore in Italia nell’Aprile 2007), che ha emancipato i cittadini romeni dai rigidi vincoli che regolano l’ingresso, il soggiorno e il lavoro dei non comunitari in Italia. Altra regolarizzazione rilevante è stata quella del 2009 per gli addetti al lavoro domestico e alla cura della persona (colf e badanti), che ha permesso l’emersione di circa 300 mila lavoratori in questi settori, con buona preponderanza di persone provenienti da paesi dell’Est Europa (Ucraina e Moldavia in particolare). 4 Le 8 regioni del Nord Italia accolgono infatti circa 2 milioni e 800 mila stranieri in regola (fonte: ISTAT, riportata nel Dossier Statistico Immigrazione 2011, pagina 102). 5 Agli inizi del 2001 le presenze di stranieri secondo le questure ammontavano a circa 1 milione e 340 mila (fonte: Dossier Statistico Immigrazione 2011, 11° Rapporto). 5 Di fronte al rilevante aumento dell’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di persone provenienti da Paesi altri6, si palesa la non sovrapponibilità di termini quali immigrato e straniero, utilizzati come sinonimi nei media e nei discorsi pubblici, ma sempre più spesso discordanti nella realtà. Sin dagli albori del fenomeno immigratorio in Italia, la distribuzione sul territorio della popolazione straniera è avvenuta in modo molto disomogeneo (si pensi alle differenze tra Nord e Sud, alle disuguaglianze delle zone produttive o alle difformità tra le domande di lavoro tra le grandi città e la provincia). Non stupisce perciò che la percentuale di cittadini avente a che fare con il permesso di soggiorno sul totale della popolazione residente (7,5%), sia una media ponderata tra le forti discordanze di tutte le regioni: i valori minimi sono rappresentati dalla Sardegna e dalla Puglia, che si attestano sul 2,3% sul totale, quelli massimi sono invece espressi dall’Emilia Romagna, che nel 2011 ha superato il tetto dell’11%7. La forza attrattiva dell’Emilia Romagna è data dalla presenza di un tessuto economico di piccole e medie industrie, che esercitano particolare interesse nei confronti degli immigrati. Altra peculiarità regionale è un composto di servizi che favoriscono i percorsi di inserimento sociale: un mix di intervento dei comuni, di azione del privato sociale (sindacato e associazionismo), delle reti di solidarietà e dell’attivismo di numerosi gruppi formali o informali e collettivi, che sovente adattano gli strumenti esistenti prima di specifiche direttive politiche nazionali. Al 1° gennaio 2011 Bologna conteggiava poco meno di 50 mila residenti stranieri, con una percentuale del 12,8 sul totale8: poco meno di un quinto del totale si trovava a dimorare nella zona denominata Bolognina, in particolare nelle aree Arcoveggio, via Ferrarese e Piazza dell’Unità9. 6 66 mila ottenimenti di cittadinanza italiana solo nel 2010 (elaborazione del Dossier Statistico Immigrazione 2011 su dati del Ministero dell’Interno). 7 Fonte: ISTAT. 8 I dati sono forniti dall’Osservatorio Regionale e sono consultabili al sito: http://sociale.regione.emilia-‐ romagna.it/immigrati-‐e-‐stranieri/dati/osservatorio-‐regionale 9 Questi settori, insieme alle zone ex mercato ortofrutticolo e CNR, rappresentano le sottosezioni della Bolognina, una delle 3 zone statistiche in cui si articola il più ampio quartiere Navile. Per i riferimenti dettagliati riguardo la presenza migrante in ogni circoscrizione, si può consultare la pagina web: http://www.comune.bologna.it/iperbole/piancont/Stranieri/indice_Stranieri_DS.htm 6 Considerando il perdurante invecchiamento della popolazione e il progressivo calo delle nascite, i dinamismi migratori in Italia sono determinanti per la crescita demografica. La componente straniera infatti giova sia in termini di saldo naturale sia per quanto concerne il movimento migratorio. Inoltre, il livello di qualità della vita raggiunto dal Paese non potrebbe essere mantenuto senza l’essenziale sostegno che i migranti apportano all’apparato economico: la struttura demografica dei residenti stranieri è nettamente più giovane dei corrispettivi di nazionalità italiana e le spese contributive eccedono enormemente i benefici sociali che vengono garantiti a questo settore della popolazione. Nonostante l’innegabile ausilio all’ossatura produttiva del paese, la presenza dei migranti non può essere banalmente ridotta a giudizi di natura economica. I migranti non sono corpimerce da poter utilizzare a proprio piacimento per colmare i buchi dell’universo lavorativo e contributivo. La questione più considerevole che ci viene posta dalla condivisione del territorio è l’invito a conoscere meglio la nostra stessa società, più fluida e mutevole rispetto alle rigide analisi dozzinali tanto care a chi è abituato al connubio stranieri/delinquenza. Nostro obiettivo dovrebbe essere una comune ridefinizione degli assetti culturali e sociali, con l’intento di garantire a ciascuno la libertà di poter usufruire al meglio del proprio tempo e del proprio spazio. 1.2 Le leggi in materia di immigrazione Il primo intervento normativo rispetto al fenomeno immigrazione risale al 1990 (la cosiddetta legge Martelli10) e si presenta formalmente come provvedimento in materia di rifugiati e profughi. Le programmazioni statali iniziano a regolamentare i flussi d’ingresso degli stranieri non comunitari in base alle necessità produttive e occupazionali del Paese. Sin dalla prima legge in materia di immigrazione si delinea quella che diverrà una costante della legislazione italiana: la gestione dell’immigrazione dal prisma della lettura economica. Vengono anche fissati i parametri iniziali del meccanismo generalizzato dell’espulsione quale mezzo di controllo degli immigrati clandestini o considerati socialmente pericolosi. In aggiunta si subordina, per la prima volta, la permanenza dello straniero sul territorio italiano al rilascio di un permesso di soggiorno da parte della questura o del commissariato di pubblica sicurezza territorialmente competente. 10 Legge 28 Febbraio 1990, numero 39. 7 Nel corso degli anni ’90 gli ordini internazionali mutano rapidamente e il testo risulta presto inadeguato. Alla fine della stessa decade il Parlamento emana una normativa più esaustiva, la legge 40/1998 (così chiamata legge Turco-Napolitano), che confluirà successivamente nel Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero11. Questo è l’assetto su cui il più recente intervento legislativo, la legge 189/2002 (la cosiddetta legge Bossi-Fini), va ad incidere in senso vessatorio e punitivo. Infatti, nonostante la Bossi-Fini si presenti solamente come una modifica al Testo unico, essa vi introduce in realtà significative modifiche, rendendo più difficoltoso l’ingresso e il soggiorno regolare dello straniero e agevolandone l’allontanamento, e riformando in senso restrittivo la disciplina dell’asilo. La linea politica adottata mira alla limitazione degli ingressi imposta dall’autorità mediante il ricorso allo strumento dei decreti flussi12. L’eventuale diniego al visto d’entrata può non essere motivato (rendendo di fatto inappellabile il provvedimento di rifiuto) e aumenta il numero della cause ostative al suo rilascio13. La concessione del permesso di soggiorno diviene subordinata all’ottenimento di un contratto di lavoro, generando un chiaro binomio tutto a favore dello sfruttamento della manodopera migrante. Nel momento in cui le crisi, i tagli, le delocalizzazioni o semplicemente i rinnovati ritmi di produttività o di collocazione all’interno del mercato del lavoro portano il migrante a perdere il posto di lavoro, questo preclude anche la possibilità allo stesso di rimanere in Italia e di poter quindi proseguire il proprio progetto migratorio e di vita. Altro punto rilevante è l’espulsione coatta come principale meccanismo di rimpatrio. Il ricorso ai centri di permanenza temporanea (CPT, oggi chiamati meno eufemisticamente centri d’identificazione ed espulsione, ossia CIE), istituiti dalla Turco-Napolitano, viene 11 Decreto Legislativo 25 Luglio 1998, numero 286. 12 Il decreto flussi è l'atto normativo con il quale il Governo stabilisce ogni anno quanti cittadini stranieri non comunitari possono entrare in Italia per motivi di lavoro. La Bossi-‐Fini consente quote preferenziali ai Paesi che collaborano con il governo italiano nel controllo dell’immigrazione clandestina e nella riammissione di propri cittadini soggetti a provvedimenti di rimpatrio, andando così facilmente a produrre una disuguaglianza sostanziale tra gli stranieri basata esclusivamente sulla loro cittadinanza, che porta all’aumento dell’immigrazione clandestina proveniente da quei Paesi che non possono permettere emigrazioni regolari verso l’Italia. 13 Oltre alla mancanza di requisiti e a motivi di ordine pubblico si aggiunge il diniego a seguito di condanna penale, anche patteggiata. La legge, di chiaro stampo repressivo, introduce anche l’obbligo per il richiedente il rilascio del visto, così come per il rinnovo del permesso di soggiorno, a essere sottoposto a rilievi foto dattiloscopici, procedura non prevista per i cittadini di Paesi appartenenti all’Unione Europea. 8 aumentato esponenzialmente, rendendoli, di fatto, centri di detenzione da cui tutti i clandestini devono passare, indipendentemente dal fatto che siano considerati socialmente pericolosi o meno. E’ interessante notare come l’intervento legislativo della Bossi-Fini, che si pone come legge di modifica di un corpo più vasto, si vada ad accanire in senso punitivo sulla responsabilità giuridica del migrante, senza andare ad intaccare minimante il versante dell’integrazione. L’impegno a perseguire la clandestinità e l’ostentazione di questa come uno dei mali peggiori del Paese ha fatto perdere totalmente di vista la responsabilità della costruzione di basi sociali e culturali su cui poter poggiare l’accoglienza. Come abbiamo già avuto modo di osservare, l’immigrazione viene analizzata unicamente dal lato economico-produttivo e al limite dal punto di vista della sicurezza pubblica, ma mai come fenomeno sociale potenzialmente foriero di spinta e ibridazione positiva. “L’Italia vanta un indice di natalità bassissimo e ambizioni produttive elevate. Gli immigrati ci servono. Meglio – è l’innegabile conclusione a seguito dell’analisi della normativa che li riguarda – se irregolari: possono così formare quell’esercito di riserva a basso costo necessario a un’economia capitalistica che affronta la propria crisi strutturale con l’assalto al costo del lavoro. La presenza straniera ha ormai raggiunto il 7,5% della popolazione italiana. Un sottoproletariato figlio di un dio minore, che pur contribuendo attivamente all’economia del Paese, non ha gli stessi diritti dei cittadini italiani.”14 1.3 L’Accordo di Integrazione per lo straniero che richiede il permesso di soggiorno La cornice normativa in materia di immigrazione è dunque quella del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione, che ha valore costituzionale, con i relativi aggiornamenti promulgati dalla legge Bossi-Fini. Una nuova modifica è stata apportata con la Legge 15 Luglio 2009, numero 94: il cosiddetto Pacchetto sicurezza. Seguendo il solco tracciato dalla Bossi-Fini questa nuova legge crea ulteriori sbarramenti e difficoltà per i e le migranti che soggiornano regolarmente nel territorio italiano. Il provvedimento in questione celebra norme dal puro sapore propagandistico e sopperisce 14 Conclude così il suo articolo di critica alle norme repressive, La schizofrenia dell’accoglienza, Erika Gramaglia. Il brano è stato pubblicato sul bimestrale di analisi politica, cultura e letteratura Paginauno, visitabile al sito: http://www.rivistapaginauno.it/la_schizofrenia_dell'27accoglienza.php 9 all’incapacità o impossibilità di eseguire le espulsioni con l’introduzione di aggiuntive privazioni della libertà personale: il ricorso ai centri di identificazione ed espulsione aumenta nuovamente. In appendice si creano le basi per la costituzione dell’Accordo di Integrazione. A partire dal 10 Marzo 2012 è infatti entrato in vigore l’Accordo di Integrazione per lo straniero che richiede il permesso di soggiorno. Quest’accordo, che non ha valore retroattivo, va stipulato in fase di ingresso per la prima volta nel territorio italiano15 e vincola il rilascio del permesso di soggiorno (della durata non inferiore ai 2 anni) alla firma di questo patto unilaterale con cui lo Stato italiano avanza pretese di doveri prima di garantire i diritti base di accoglienza e rispetto. Cito dal testo dell’Accordo gli impegni indispensabili che richiedente il permesso di soggiorno deve firmare: “Contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno, lo straniero è tenuto a sottoscrivere l’Accordo di Integrazione, entrato in vigore nel marzo 2012. Secondo quest’accordo l’interessato si impegna a: a) Acquisire una conoscenza della lingua italiana parlata equivalente almeno al livello A2 di cui al quadro comune europeo di riferimento per le lingue emanato dal Consiglio d’Europa; b) Acquisire una sufficiente conoscenza dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica, dell’organizzazione e funzionamento delle istituzioni pubbliche e della vita civile in Italia, con particolare riferimento ai settori della sanità, della scuola, dei servizi sociali, del lavoro e agli obblighi fiscali; c) Garantire l’adempimento dell’obbligo di istruzione da parte dei figli minori; d) Assolvere agli obblighi fiscali e contributivi. L’interessato dichiara, altresì, di aderire alla Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione di cui al decreto del Ministro dell’Interno 23 aprile 2007 e si impegna a rispettarne i principi16. 15 “Non si fa luogo alla stipula dell’accordo ai fini del rilascio del permesso di soggiorno (…) qualora lo straniero sia affetto da patologie o da disabilità tali da limitare gravemente l’autosufficienza o da determinare gravi difficoltà di apprendimento linguistico e culturale, attestati mediante una certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica (…). Non si procede alla sottoscrizione dell’accordo per: a) i minori non accompagnati (…); b) le vittime della tratta di persone, di violenza o di sfruttamento (…)” Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. 16 Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. 10 L’Accordo, ribattezzato anche Permesso a punti, obbliga altresì il firmatario ad aver maturato nel periodo di validità del permesso di soggiorno almeno 30 punti, considerati obiettivi di integrazione. Inizialmente ne vengono garantiti 16 e sono previsti meccanismi di riconoscimento e detraibilità in base ad atteggiamenti, qualifiche o condotte17. Si tratta perciò di un accordo imposto e che pretende di schedare le persone attraverso la mappatura delle attività praticate o certificate. Oltre a ciò, un elemento che rischia di passare inosservato è la richiesta di adesione alla Carta dei valori, della cittadinanza e dell’integrazione18. Questo documento ha la pretesa di delineare, in maniera obiettiva ed omogenea, una descrizione sociale e culturale dell’Italia in 31 punti, semplificando e ignorando le fratture che fanno dell’Italia un Paese molto più frammentato di quel che si vuole rappresentare. Se non si aderisce a tale Carta si viene espulsi ancor prima di essere potuti entrare nel territorio italiano. La differenza tra rispetto di una norma e adesione a essa è una forzatura giuridica allarmante e gravida di pesanti ripercussioni sul piano della ricattabilità di chi è obbligato all’adesione. Mentre il rispetto di una legge è un dovere richiesto a tutti i cittadini nel territorio della giurisdizione, l’adesione è esatta solo a chi richiede il permesso di soggiorno. Aderire è un verbo che trova ampio utilizzo nelle accezioni politiche e culturali, non può essere preso in prestito dalla giurisprudenza; imporre l’adesione a valori è un ossimoro, oltre che un atto che ricorda esperienze di esplicito autoritarismo. La legge smaschera in maniera evidente la decantata parità di trattamento sancita dalla Costituzione (articolo 3). Al primo punto degli impegni dovuti da chi sottoscrive l’Accordo, troviamo dunque l’acquisizione della conoscenza della lingua italiana parlata equivalente almeno al livello 17 I crediti riconoscibili (di cui all’articolo 2, comma 3 della suddetta legge) seguono tabelle preordinate relative a: conoscenza della lingua italiana; conoscenza della cultura civica e della vita civile in Italia; percorsi di istruzione per adulti, corsi di istruzione secondaria superiore o di istruzione e formazione professionale; corsi di studi universitari o di alta formazione in Italia; conseguimento di titoli di studio aventi valore legale in Italia; attività di docenza; corsi di integrazione linguistica e sociale; onorificenze e benemerenze pubbliche; attività economico-‐imprenditoriali; scelta di un medico di base; partecipazione alla vita sociale; abitazione; corsi di formazione anche nel Paese di origine. I crediti sono invece decurtabili (ai sensi dell’articolo 4, comma 2) in base a: reati (con condanne anche non definitive alla pena); misure di sicurezza personali; illeciti amministrativi e tributari. 18 La Carta dei valori, della cittadinanza e dell’integrazione, redatta nel 2007 seguendo le direttive e le disposizioni dell’allora Ministro dell’Interno Giuliano Amato, è consultabile direttamente al sito: http://www.interno.it/mininterno/site/it/sezioni/sala_stampa/notizie/immigrazione/2007_04_23_app_Carta _dei_Valori.html 11 A219. La stessa semplicità con cui si tramuta l’adempienza in adesione si ritrova in questo caso nella confusione tra diritti e doveri. La padronanza della lingua, invece di essere vettore di inclusione, viene imposta come ostacolo alla partecipazione e al godimento dei diritti fondamentali (come il diritto alla non discriminazione e all’unità famigliare); piuttosto che possibilità di scambio e di arricchimento a cui aspirare la si rende obbligo e barriera. L’adesione a valori fittizi e il vincolo della conoscenza di una lingua imposta materializzano i confini tra chi può pretendere diritti e chi non conosce altro che doveri. Da un lato si cercano lavoratori che sopperiscano alle insufficienze del sistema produttivo e dall’altro si opera una selezione in base alle maggiori o minori vicinanze con un artefatto modello di cultura. In nessuno dei due passaggi la persona che migra (spesso per necessità) è percepita come soggetto protagonista della propria storia e portatore di valori ed esperienze. 1.4 I Centri Territoriali Permanenti L’apprendimento della lingua vigente in un determinato luogo dovrebbe essere un beneficio e dunque, come tale, esige la possibilità del suo godimento. Il condizionale dovrebbe sta ad indicare che evidentemente la conoscenza della lingua italiana non è contemplata all’interno quadro del diritto allo studio garantito dalle istituzioni italiane; questo sapere trova infatti il suo alloggio nelle incombenze spettanti ai singoli. Siffatta analisi scaturisce sia dall’osservazione delle evoluzioni giuridiche a riguardo (indagate nel paragrafo precedente) sia dall’approfondimento delle opportunità che lo Stato mette a disposizione dei migranti per ottemperare alle richieste che esso stesso avanza loro. Effettivamente le difficoltà e il paradosso che ci troviamo dinnanzi sono evidenti: la conoscenza della lingua italiana si costituisce come criterio di selezione per poter continuare a soggiornare in questo Paese, ma le opportunità appositamente fornite per far fronte a tale istanza sono strutturalmente carenti. 19 A partire da Dicembre 2010 era già stata predisposta la dimostrazione della conoscenza della lingua italiana al livello A2 come prerogativa per chi richiedeva il Permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (già chiamato Carta di soggiorno, è un permesso di soggiorno a tempo indeterminato che si può pretendere con i seguenti requisiti: si possiede un permesso di soggiorno di lunga durata; si dimostra la regolare residenza in Italia da almeno 5 anni; si ha un reddito minimo stabilito e, dal 2010, si conosce la lingua italiana a livello A2). A1, A2, B1, B2, C1, C2 sono i 6 livelli su cui si basa il Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER): è un sistema descrittivo impiegato per livellare le abilità conseguite da chi studia una lingua straniera europea, nonché allo scopo di indicare il livello di un insegnamento linguistico nei vari ambiti in cui tale metro è riconosciuto. Il livello A2 è considerato elementare. 12 “La conoscenza della lingua italiana secondo i livelli di cui al quadro comune europeo di riferimento per le lingue emanato dal Consiglio d’Europa, (…) è comprovata attraverso le certificazioni di competenza linguistica rilasciate dalle istituzioni convenzionate con il Ministero degli affari esteri, riconosciute dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e conseguite presso le sedi presenti nel territorio italiano e all’estero, nonché attraverso le certificazioni rilasciate al termine di un corso di lingua italiana frequentato presso i centri provinciali per l’istruzione degli adulti”20. Le certificazioni di competenza linguistica riconosciute dai ministeri sopracitati sono rilasciate da: CILS (università per stranieri di Siena); CELI (università per stranieri di Perugia); IT (università di Roma Tre); PLIDA (società Dante Alighieri). Il certificato è rilasciato dopo un esame strutturato con modalità omogenee e criteri riconosciuti da organismi internazionali; l’esame è a pagamento e complesso, ma spendibile sul mercato del lavoro in quanto riconosciuto positivamente. Con centri provinciali per l’istruzione degli adulti, il legislatore fa invece riferimento ai Centri Territoriali Permanenti (CTP, già conosciuti con l’acronimo EDA: centri per l’educazione degli adulti). Tali Centri Territoriali Permanenti, istituiti nel 1997, hanno raccolto ed integrato le precedenti esperienze dei corsi di alfabetizzazione e dei corsi per lavoratori, e rappresentano, sotto l'aspetto organizzativo, l'insieme dei servizi e delle attività di istruzione e di formazione degli adulti presenti sul territorio. Ogni CTP è una struttura che si sviluppa integrando la scuola di stato, la formazione professionale e i servizi territoriali, per offrire attività di formazione e orientamento a quei cittadini che intendono rientrare in un percorso di studio, di crescita personale e professionale. Alle attività del centro si possono iscrivere tutti i cittadini italiani e stranieri, qualunque sia il titolo di studio in loro possesso. Una caratteristica su cui si impostano i CTP è il cosiddetto patto formativo: un accordo tra il centro e l’utente in cui viene definito un percorso di studio, le sue tappe, gli obiettivi, i criteri per valutare i risultati e la durata delle ore dell’attività. I percorsi possono concludersi con attestati di frequenza, certificazioni di competenza o rilascio di titoli di studio21. I corsi hanno un costo variabile e alcuni sono gratuiti; è necessaria l’iscrizione prima dell’inizio del corso e vi sono margini di flessibilità negli orari. 20 Articolo 12 dell’Accordo di integrazione, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. 21 Per un approfondimento sulle strutture e le modalità di funzionamento dei CTP si consiglia la pagina web del centro DITALS, dell’università per stranieri di Siena: http://www.ditals.com/ctp-‐centri-‐territoriali-‐ permanenti.asp 13 Per quanto concerne l’insegnamento dell’italiano a migranti, le modalità attuate variano da un CTP all’altro e sono principalmente incentrate sulle competenze individuali di ciascun docente, poiché i corsi di formazione sono scarni e difficilmente approfondiscono temi quali la mediazione culturale o modalità più interattive di insegnamento. E’ facile che le lezioni rimangano ancorate a modelli di educazione scolastici piuttosto antiquati o comunque non sempre riadattati a migranti adulti con visioni del mondo proprie e immagazzinamenti della conoscenza che seguono spesso solchi culturali. Il problema più grosso però è quello della difficile reperibilità delle strutture adibite all’insegnamento della lingua italiana per migranti. A fronte di circa 50 mila residenti stranieri a Bologna e altrettanti nella provincia22, troviamo 2 CTP in città e altri 6 fuori dal capoluogo23. Per quanto riguarda perlomeno la provincia di Bologna (che ha una relazione numero di stranieri/numero di CTP più alta di molte altre regioni d’Italia) si evince l’impossibilità, da parte delle istituzioni preposte, di poter soddisfare la richiesta di corsi, con il conseguente carico di lavoro informalmente delegato al così chiamato terzo settore, che può preparare i migranti per sostenere il test ministeriale di lingua italiana presso la Prefettura. Il paradosso iniziale viene perciò in parte risolto grazie alla mediazione di associazioni, cooperative, onlus e spazi sociali che si intromettono, ciascuno secondo i propri interessi e schemi, tra le inadempienze dello Stato e le critiche esigenze delle persone che vivono in questo Paese vincolate alla coercizione del permesso di soggiorno. Secondo il network flash giovani24, patrocinato dal comune di Bologna, in città sono presenti 15 scuole di italiano facenti riferimento ad associazioni o spazi di aggregazione e altre ancora trovano sistemazione nelle sedi di partito, di sindacato o nei circoli. E’ solamente grazie al lavoro dei volontari di questi gruppi che a volte integrazione diviene qualcosa di più che una parola ammantata di polvere persa nei labirinti giuridici tra le imposizioni e le pene. 22 Per i dati relativi all’inizio del 2011 si può consultare: Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2011, 21° Rapporto, edizioni Idos, Roma, 2011. 23 CTP Besta, viale Aldo Moro 31, (Bologna); CTP Dozza, via de’ Carolis, 23 (Bologna); CTP di Imola, via Vivaldi, 76 (Imola); CTP di San Giovanni in Persiceto, via Malpighi, 2 (San Giovanni in Persiceto); CTP di Budrio, via Giovanni XXIII, 2 (Budrio); CTP di Castiglione de’ Pepoli, via Toscana, 21 (Castiglione de’ Pepoli); CTP di Vergato, via Bologna, 240 (Vergato); CTP di Castel San Pietro Terme, via delle Terme, 1054 (Castel san Pietro Terme). 24 http://www.flashgiovani.it/giramondo/news/28/1901/145 14 Fare della conoscenza della lingua uno strumento di ricatto, invece di propendere verso la costruzione di una lingua comune come ponte tra tutti gli uomini e le donne che attraversano un determinato spazio, designa in maniera inequivocabile l’interesse privatistico di chi nella relazione con gli altri non è capace di vedere al di là dei rischi della perdita dei propri privilegi. 2. PERCHE’ UNA SCUOLA DI ITALIANO 2.1 Cosa si intende con scuola di italiano Da un punto di vista puramente assistenzialista, la scelta di una scuola di italiano si inserirebbe nell’ottica di coprire i buchi istituzionali rispetto alla fornitura di adeguati servizi per poter adempiere agli obblighi che lo Stato stesso richiede. Il compito di una scuola di italiano però è solo limitatamente quello di tappare le falle delle istituzioni. La lingua infatti è ben oltre un mezzo per ottenere il permesso di soggiorno. Le ragioni che spingono un/a migrante a partecipare ad una scuola di italiano e a voler così imparare la lingua sono diverse. La competenza professionale di insegnante di italiano a migranti che ho maturato negli anni, congiuntamente alle personali esperienze di vita all’estero, mi fanno propendere alla selezione di tre motivazioni principali, emerse anche da ampi confronti con gli alunni durante le lezioni: le parole esistono per farci sopravvivere, lavorare, interagire. Le parole esistono perché da soli non possiamo stare e dunque abbiamo bisogno di comunicare con gli altri. Infine le parole esistono per esprimere chi siamo e riconoscerci nel mondo. Quel che più spesso si segnala nel confronto nelle classi è la primaria necessità di imparare la lingua del luogo in cui si abita per la ricerca del lavoro e il suo svolgimento, per destreggiarsi con la burocrazia negli uffici pubblici e per la ricerca della casa. Questa contingenza si accompagna spesso alla paura (giustificata) che qualcuno approfitti dell’incompetenza linguistica per imbrogliare, per non garantire diritti o per escludere. Così la lingua è anche il modo per conoscere le leggi, essere consapevoli dei propri diritti e doveri 15 e avere la forza di esercitarli. La curiosità di apprendere la lingua del Paese di migrazione nasce da ragioni pratiche per allargarsi gradualmente a livelli sempre più collettivi (dalla casa, al lavoro, fino alla legge e ai mezzi di comunicazione), diventando espressione di emancipazione e autodeterminazione. La seconda ragione ha a che fare con l’importanza di imparare la lingua per meglio relazionarsi con la dimensione collettiva nella quale viviamo e con l'alterità. La lingua permette di tessere reti di comunicazione, di creare rapporti, di stringere legami, di condividere emozioni, paure, speranze, offrendoci la possibilità di entrare in contatto con tutti gli altri volti che quotidianamente incontriamo. La nostra esperienza della realtà è frutto dell’interazione, dell’incontro, dello scambio, della comprensione e del rispetto reciproci. Abbandonando i luoghi comuni che troppo spesso ci accompagnano e falsano la percezione di ciò che ci circonda, la lingua permette di conoscersi realmente, ascoltarsi e capirsi. Le parole consentono infine di costruire la nostra identità per noi stessi, garantendo la dignità e la nostra legittima diversità, tentando di farci sentire un po' più liberi nonostante le gerarchie e i poteri con cui abbiamo quotidianamente a che fare. La narrazione di sé non solo ci fa conoscere agli altri, ma soprattutto ci apre a noi stessi, attraverso le parole che scegliamo di esprimere. Questa terza riflessione è probabilmente la più importante. Quello che infatti preme sottolineare è che la condivisione di un percorso di apprendimento linguistico non nasce dal concepire la lingua solo come strumento pratico per accedere al mondo del lavoro (affermare questo infatti significherebbe considerare i migranti unicamente in quanto forza lavoro). La lingua dovrebbe invece essere veicolo di espressione del sé. Come si può tentare di scardinare le gerarchie economiche basate sulla disparità delle risorse materiali, credo che sia necessario decostruire anche le disparità negli strumenti comunicativi. La realizzazione di una lingua comune e non imposta dall'alto diventa così l'obiettivo fondamentale di una scuola, perché, parafrasando Paulo Freire, la liberazione deve passare anche attraverso la pedagogia25. Una scuola di italiano è un luogo di incontro, di scoperta, di condivisione e di rivelazione. Una scuola di italiano non può e non deve essere un semplice luogo di travaso di nozioni grammaticali e lessicali da chi sa verso chi non sa. La scuola come luogo di incontro fonda i suoi principi metodologici sulle esperienze della pedagogia attiva e popolare che a partire 25 Freire P., L'educazione come pratica della libertà, Mondadori, Milano, 1973. 16 dagli inizi del ‘900 si sono diffusi in Italia e nel mondo, grazie alle opere e alle pratiche di educatrici ed educatori come Maria Montessori26, John Dewey27, Célestin ed Elise Freinet28, Paulo Freire29, Ivan Illich30, don Milani31 e vari altri e alle esperienze di centri quali i CEMEA (Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva)32 e il Movimento di Cooperazione Educativa (MCE)33. “Ogni persona viene a scuola con una storia e un corpo” è uno degli insegnamenti del Movimento di Cooperazione Educativa. Quello che una scuola dovrebbe fare è valorizzare le storie di ciascuno e fare in modo che siano utili alla crescita collettiva del gruppo-classe che si costituisce. Nella sua lunga esperienza di pratiche educative cooperative e facenti riferimento al metodo naturale, Freinet34 elabora un importante decalogo di aspetti connaturati all’apprendimento: 26 In particolare: Montessori M., Il segreto dell'infanzia, Garzanti, Milano, 1960; Montessori M., L'autoeducazione nelle scuole elementari, Garzanti, Milano 2000; Montessori M., Educazione per un mondo nuovo, Garzanti, Milano, 2000. 27 Si segnala soprattutto: Dewey J., Esperienza e educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1973; Dewey J., Il mio credo pedagogico: antologia di scritti sull'educazione, scelta introduzione e note a cura di Lamberto Borghi, La Nuova Italia, Firenze, 1999. 28 Delle esperienze di Célestin Freinet e di sua moglie Elise si consigliano i seguenti testi: Freinet C., L’apprendimento della lingua secondo il metodo naturale, La Nuova Italia, Firenze, 1971; Freinet C., Una moderna pedagogia del buonsenso, edizioni e/o, Roma, 1997; Freinet C., a cura di Roberto Eynard, La scuola del fare, Junior, Azzano san Paolo (BG), 2002; Freinet E., Nascita di una pedagogia popolare, La Nuova Italia, Firenze, 1999. 29 Del pedagogo brasiliano i saggi fondamentali sono: Freire P., La pedagogia degli oppressi, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2011; Freire P., a cura di Linda Bimbi, L’educazione come pratica della libertà, Mondadori, Milano, 1973. 30 In particolare: Illich I., La convivialità, Boroli editore, Milano, 2005; Illich I., I fiumi a nord del futuro, Quodlibet edizioni, Roma, 2009. 31 Le riflessioni pedagogiche di don Milani sono facilmente riscontrabili nell’analisi della Scuola di Barbiana e in ciò che collettivamente è stato prodotto in quel contesto. La massima espressione dell’esperienza è probabilmente Lettera ad una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1967. 32 Si veda: http://www.cemea.it/ 33 Una descrizione del movimento, nato in Italia nel 1951 sulla scia del pensiero pedagogico e sociale di Célestin ed Elise Freinet, si trova al sito: http://www.mce-‐fimem.it/ 34 L’impostazione di Freinet era fortemente antiautoritaria e si poneva in netto contrasto con le pedagogie patriarcali e classiste del suo tempo (Francia, dagli anni ’20 agli anni ’60 del secolo scorso). La sua pedagogia, definita popolare o democratica, si poneva l’obiettivo di attuare metodi d’insegnamento e stili di vita 17 1. Ogni apprendimento deve fondarsi sul valore e la capacità innata in ogni individuo 2. Ogni apprendimento porta a una maggiore libertà e autonomia 3. Ogni apprendimento autentico porta a una maggiore coerenza fra sé e l’universo 4. Ogni apprendimento deve avere la sua origine nell’individuo 5. Ogni apprendimento deve fondarsi sulla realtà così come viene percepita 6. Ogni apprendimento deve basarsi sull’esperienza personale 7. Ogni autentico apprendimento implica l’utilizzo di tutte le risorse dell’organismo 8. Ogni apprendimento deve condurre a una concettualizzazione e a un accomodamento dei modelli interpretativi precedentemente interiorizzati 9. Ogni apprendimento implica un rispetto delle differenze individuali 10. Ogni apprendimento autentico dev’essere fondato su una motivazione interna 11. L’individuo in formazione è il soggetto più adatto a offrire dei feed-back relativi al proprio apprendimento 12. Ogni apprendimento avviene nel tempo 13. Ogni apprendimento implica dei cambiamenti autentici e significativi 14. La valutazione è parte integrante dei processi di apprendimento 15. L’utilizzo e la revisione degli errori è parte integrante dei processi di apprendimento 16. Ogni apprendimento richiede un clima di sicurezza e di libertà 17. Ogni apprendimento è rivolto alla crescita dell’individuo e alle sue interazioni con l’ambiente 18. Gli educatori trasmettono sempre un messaggio attraverso la struttura del lavoro che propongono e gli interventi che effettuano 35 Questi precetti, redatti negli anni ’50 dello scorso secolo, sono serviti ad ampliare notevolmente le visioni connaturate all’apprendimento e, di riflesso, all’insegnamento. I scolastici rispettosi dei ritmi di sviluppo degli allievi, impostando l’apprendimento come ricerca e promuovendo il lavoro cooperativo per piccoli gruppi. 35 Freinet C., Le invarianti dell’apprendimento, pubblicato nel report della 60ˆ Assemblea Nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa (Firenze, 7-‐8 Dicembre 2011): http://www.mce-‐ fimem.it/editoria/materiali/down/22_12_11/libretto.pdf 18 concetti che traspaiono sono estremamente moderni per quanto riguarda l’attacco frontale alla scuola pubblica come istituzione tendente all’omologazione e alla riproduzione dei valori della classe dominante36. Per quanto nel corso degli anni siano state messe in discussione le presunte capacità innate di ogni individuo (primo punto), la centralità del soggetto e delle sue inclinazioni e risorse, delle esperienze personali, dell’apprendimento olistico e duraturo (vedi lifelong e lifewide learning37), del rispetto e delle libertà, permangono come paradigmi nelle sperimentazioni educative più intraprendenti. La risposta alla domanda “perché una scuola di italiano?” va dunque ricercata nella necessità dell’autoeducazione38 e della co-costruzione del sapere per la ridefinizione della lingua come qualcosa che risulti dallo scambio delle conoscenze e delle appartenenze. La scuola di italiano non è concepibile come uno spazio alieno al mondo rinchiuso in 4 mura che delineano la superficie entro cui le nozioni vengono inculcate da madrelingua sapienti verso stranieri ignoranti la lingua e le modalità: quelle sono aule grigie e vuote. La pienezza e la vivacità di una scuola sono date dalla possibilità di manipolazione ed espressione che chi la vive le dà. La scuola è di chi la attraversa e costantemente la rappresenta. Proprio per questo il lavoro non termina con la conoscenza dell’italiano a livello C239, perché così come la lingua è in continuo divenire anche la scuola e gli scambi che da questa si generano hanno un potenziale perpetuo. 36 Una critica strutturale dell’istituzione scolastica si può approfondire con Illich I., Descolarizzare la società, Mimesis edizioni, Milano, 2010 e Vaneigem R., La scuola è vostra, Tropea editore, Milano, 1996. 37 Con lifelong learning e lifewide learning si intende rispettivamente l’apprendimento per tutto l’arco della vita e l’apprendimento in ogni luogo di vita. Per il primo si parla di apprendimento permanente e volontario e di una ricerca di conoscenza auto motivata e costante per ragioni sia personali che professionali. I CTP, come abbiamo visto, possono essere considerati esempi di lefelong learning. Il lifewide learning, invece, pretende l’emancipazione dell’apprendimento rispetto ai luoghi formali dell’istruzione (scuola, università, corsi di formazione, ecc..), considerando essenziali anche gli ambiti non formali (associazionismo) e informali (media, internet, tempo libero, ecc..). L’apprendimento viene così slegata dal tempo dell’infanzia e dell’adolescenza e dallo spazio della scuola, per insinuarsi nelle più vaste regioni della vita di ogni individuo. 38 L’Autoeducazione è anche l’incipit del titolo di un libro di Maria Montessori (L’autoeducazione nelle scuole elementari, Garzanti, Milano, 2000). Questo lavoro, così come la maggioranza dei lavori della pedagoga italiana, è riferito al lavoro con bambini, ma l’immagine è facilmente esportabile ad altri contesti: il concetto di autoeducazione intende infatti porre in risalto la vitalità autonoma e originaria dei soggetti nel formare sé stessi, nel far emergere la propria irripetibile originalità. 39 Secondo il Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue è il livello avanzato o di padronanza della lingua in situazioni complesse. 19 Il fine della scuola di italiano che descrivo è dunque quello di un progetto di inclusione e condivisione, che valorizzi le singole persone e stimoli uno scambio orizzontale di esperienze di vita. Una scuola che sia aperta a mondo e orientata alla ridefinizione collettiva delle prassi che lo governano; che stimoli la centralità del soggetto e la valorizzazione dell’identità di ciascuno, delle differenti abilità, delle diversità culturali, della differenza di genere; il rispetto dei tempi di crescita individuali, l’accoglienza di ogni persona nella sua interezza, la formazione di competenze e la formazione alla cittadinanza. Punti cardine sono le relazioni tra i soggetti, tra i soggetti e i contesti e tra i soggetti e il mondo; è apprezzabile predisporre le condizioni che permettono la partecipazione creativa e i processi di apprendimento dei singoli nei gruppi; costruire insieme appartenenze plurime, invogliare la partecipazione e il sostegno a sistemi territoriali integrati (al di fuori della scuola) per l’apprendimento permanente e la sensibilizzazione ad una dimensione planetaria. Per fare ciò bisogna poter riconoscere insieme la non neutralità dei contenuti culturali, dell’informazione, della qualità dello sviluppo umano e ambientale. 2.2 L’esempio dell’associazione Asinitas “L’associazione ASINITAS Onlus è stata fondata nell’aprile 2005 con le finalità di promuovere attività interdisciplinari rivolte alla cura, all’educazione-formazione, all’accoglienza e alla testimonianza di persone minori e adulte, italiane e straniere.”40 L’associazione Asinitas si occupa di educazione e intervento sociale rivolto a minori e adulti, italiani e stranieri. Per educazione non si intende “solo scuola, università o circuiti tradizionali del sistema formativo, ma tutti i discorsi, gli ambiti e le attività legate alla formazione dei valori e alla trasmissione della cultura. L’insieme dei luoghi, vasto e scivoloso, in cui si forma un’opinione, in cui si creano e trasmettono idee, giudizi e pregiudizi, senso critico e conformismo. E per sociale non intendiamo soltanto la marginalità metropolitana, gli esclusi, i deboli, gli “ultimi” e chi si occupa di loro (…). Il termine sociale è qui un riferimento più generale alla società, agli ambiti della vita la cui 40 Queste sono le frasi introduttive della pagina web di Asinitas, visitabile all’indirizzo: http://www.asinitas.org/chisiamo.html 20 centralità esige una riappropriazione da parte dell’individuo e intorno a cui tentare di costruire ipotesi di comunità”41. Insieme a varie collaborazioni e numerose iniziative, l’associazione Asinitas porta avanti scuole di italiano rivolte a migranti e corsi di formazione per la diffusione del loro metodo sperimentale. Convinti del fatto che non si inventa quasi mai nulla di nuovo e che le situazioni sono spesso un riadattamento, una ricostituzione e al limite una contestualizzazione di idee e percorsi precedenti, il lavoro di Asinitas segue il filone che parte da Maria Montessori e passa attraverso i CEMEA e il Movimento di Cooperazione Educativa. Ciò che Asinitas ha fatto è stato ripensare questa corrente all’interno del lavoro con migranti e adattare le pratiche a questa condizione specifica. Chi insegna italiano a migranti deve sapere che si sta relazionando con persone che solitamente hanno un passato travagliato e di frequente hanno i fili dell’identità particolarmente intrecciati o a volte spezzati. Sapendo che più una persona si sente sicura e protetta e più vengono meno le sue barriere verso l’apprendimento, uno dei concetti fondamentali nel metodo Asinitas è lo sviluppo della resilienza di ciascuno, cioè della capacità dell'uomo, o della donna, di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzati e addirittura trasformati positivamente. Spesso c’è una forte resistenza interiore inconscia all’apprendimento della lingua e solo quando la persona si sente al sicuro può essere ben predisposta all’acquisizione dei concetti. In questo modo l’apprendimento e l’essere umano crescono di pari passo. Il processo di dispiegamento della persona attraversa fasi di grande vulnerabilità (abbastanza semplici da pensare se consideriamo la situazione di adulti che si trovano a vivere in una terra straniera senza conoscere inizialmente nemmeno le parole base della lingua del posto) e, se si vuole fare un lavoro decente, gli e le insegnanti si devono porre come accompagnatori o accompagnatrici di questo percorso, con il ruolo di rassicurare e riannodare i fili interiori spezzati. Non si può pretendere di insegnare italiano a migranti senza considerare le implicazioni psicologiche e pedagogiche che ciò comporta. Il processo di rassicurazione passa attraverso la conoscenza della persona con la quale si collabora (caposaldo di ogni progetto educativo è infatti l’osservazione42) e 41 Monti L., Oggi e domani, in Gli asini. Educazione e intervento sociale, numero 1, Edizioni dell’asino, Roma, 2010, pagina 6. 42 Con osservazione in questa circostanza si fa riferimento alla conoscenza diretta della persona con la quale si instaura la relazione e alle considerazioni che si possono fare rispetto alle esigenze di ciascuno. 21 l’accompagnamento all’apprendimento attraverso la stimolazione di ogni personale interlingua. In questo contesto per interlingua non si intende la lingua ausiliaria internazionale fondata nel 1951 per opera della International Auxiliary Language Association (IALA), bensì il livello di italiano raggiunto da ogni persona non madrelingua. “Un'interlingua è la lingua che viene sviluppata da un discente che sta imparando una seconda lingua ma non l'ha ancora pienamente acquisita, preservando alcune caratteristiche della lingua nativa nel parlare o nello scrivere nella lingua bersaglio e apportando delle 'innovazioni'. Un'interlingua è peculiarmente basata sulle esperienze dei discenti con la L2 (seconda lingua). Può cristallizzarsi in qualsiasi fase del suo sviluppo. Il discente crea un'interlingua utilizzando diverse strategie come Language Transfer, ipergeneralizzazione e semplificazione”43. Non si tratta di un sistema di classificazione sulla scia dei livelli A1, A2, B1, B2, C1, C2, che pretendono di testare oggettivamente il livello di comprensione ed espressione di ciascuno sulla base di test quantitativi preconfezionati e autonomi. Ogni livello di interlingua non è mancante di qualcosa, essa è infatti un universo completo in sé, nel senso che ogni persona adulta ha una propria completa rappresentazione del mondo e la sfida sta nell’accompagnare all’emersione questa rappresentazione e poco a poco colorarla con l’italiano. Conoscere la persona che si ha di fronte e il suo livello di interlingua è quindi importante per intendere il punto di partenza su cui si può poggiare l’intervento volto all’insegnamento dell’italiano e per rispettare le basi iniziali che ciascuno ha. La ricezione di stimoli esterni nuovi è positiva e alta solamente se le barriere che proteggono sono relativamente esigue e se si è porosi e vulnerabili all’altro. E’ per questo che il principale bisogno che un/a migrante ha nel momento in cui entra in una scuola di italiano è quello di sentirsi accettato/a e di poter comunicare ed esprimere sé stesso/a. La comunicazione verbale è solo una delle numerose possibilità che le relazioni umane hanno di conoscersi e capirsi. In virtù di ciò quello che ad Asinitas cercano di fare è utilizzare i modi più svariati per dare la possibilità a chi entra a scuola di sentirsi libero e accolto in quanto tale. “Nell’educazione attiva l’agire è un punto cardine. Perché l’apprendimento possa essere esperienziale è necessario che le persone siano invitate ad agire e possano sentirsi libere di 43 Definizione ripresa da: http://it.wikipedia.org/wiki/Interlingua_(linguistica) 22 farlo. Chiamiamo gli studenti a un coinvolgimento che riguarda l’interezza della loro persona.”44 Il metodo si fonda su cinque pilastri base, tutti appartenenti alle esperienze pedagogiche: il corpo, il canto, i laboratori manuali, la narrazione autobiografica e il gioco. Si tratta di strumenti che vengono utilizzati per raggiungere l’obiettivo dell’espressione del sé attraverso l’azione. Riflessione e azione non vengono mai considerate disgiunte. Il corpo è l’involucro di una persona, tutti ne abbiamo uno. La nostra storia si rifletto sul corpo, lasciando tracce che possono essere scoperte e condivise. Il canto è la voce del corpo e cantare in gruppo aiuta a sentirsi parte di qualcosa e a disfarsi poco a poco delle inibizioni che intralciano la comunicazione. La prima presenza che si riconosce in una persona nuova è dunque il corpo e appena dopo la voce, tutto il resto viene in secondo luogo. I laboratori manuali possono servire come veicolo d’espressione attraverso materiali; alcuni laboratori sono propedeutici all’introduzione di un tema in foggia sperimentale e creativa e attivano i sensi. La narrazione autobiografica attraverso laboratori condivisi è una maniera efficace di attivare le memorie in maniera meno invadente che semplicemente chiedendo di raccontare la propria storia (senza creare un clima consono e trovare una modalità adatta, si incorre facilmente in repressioni nell’esposizione o quantomeno ci si trova pervasi da un clima di pietismo); attraverso i temi delle varie giornate si possono raccogliere numerose storie di ciascuno che raccolte insieme compongono la grande storia della scuola. Si cerca quindi di stimolare e accogliere la memoria, ma anche le narrazioni dell’esperienza presente. Se si dà valore alla lingua nel suo aspetto comunicativo, anche con pochissime parole le persone tendono a “raccontare qualcosa di sé”. Infine il gioco è un momento ludico in cui possiamo esperire collaborazione, fiducia e sfogare eventuali insicurezze. Ogni momento di lezione è strutturato su tre ore e si compone di tre diverse parti: la prima è l’accoglienza, in cui si riscaldano il corpo con esercizi e giochi e la voce con il canto; quando si è entrati nello spirito del gruppo si passa al nocciolo della lezione, che di solito segue gli sfondi integratori considerati adatti al gruppo classe. Infine la lezione termina con la restituzione dei lavori fatti insieme, che può essere la presentazione collettiva di quel che ciascuno ha fatto o prodotto, oppure un ripasso comune di quel che si è appreso, sfruttando positivamente gli errori eventualmente individuati. 44 Tratto da: http://www.asinitas.org/apprendimento_esperienziale.html 23 Gli sfondi integratori sono il tema della lezione. Di solito sono stabiliti a inizio anno in relazione a ciascun gruppo e si basano sul concetto di “universali umani” di Ernesto De Martino. Basilarmente il concetto di universali umani riconosce che nonostante le differenze culturali che vi possono essere tra popolazioni e geografie, vi sono dei temi ricorrenti, universali antropologici, che chiunque può riconoscere e descrivere e che tendono ad accomunare persone in condivisione di esperienze. Esempi di questi temi sono la casa, l’amore, il tradimento, il limite, l’amicizia, e così via. Gli sfondi integratori sono di solito scelti poco dopo l’inizio del percorso, quando si ha una minima conoscenza del gruppo classe. Il fine di tali temi è di poter accompagnare lo studio della lingua con l’espressione del sé e con l’emersione del proprio punto di vista sulla vita che, se reso pubblico in un’atmosfera disponibile, non può che essere arricchente per tutti. Si cerca di fare breccia nelle scorze di protezione che chiunque ha e di poter permettere alla persona di aprirsi e uscire e poi si cercano legami per consentire il corredo delle storie. Attraverso i vari laboratori e i percorsi si riportano narrazioni e poco alla volta si cerca di sviluppare e approfondire i racconti con parti in più e con parole nuove, che a loro volta creano legami altri per andare oltre. Per fare ciò è essenziale che si crei un contesto di intimità adatto e questo a volte è meglio nei piccoli gruppi. Il gruppo classe (che raramente supera le 20 persone per limiti strutturali di relazione) può così venire talvolta suddiviso in gruppi più piccoli che si confrontano su alcune tematiche in maniera più semplice e diretta e poi eventualmente riportano ciò che di interessante è emerso a tutti. Uno sguardo olistico sulle modalità espressive della persona significa poter anche usufruire di materiali manipolabili e utilizzabili a piacimento dagli stessi studenti. I materiali montessoriani, come ad esempio l’alfabetario mobile o la scatola grammaticale45, sono particolarmente adatti ad essere usati in vece delle classiche fotocopie in cui bisogna 45 L’alfabetario mobile o tattile è un tipico materiale montessoriano; consiste nella riproduzione su legno delle lettere dell’alfabeto (in corsivo o in stampatello), in modo che siano facilmente riconoscibili e maneggiabili. Solitamente le vocali sono in rosso e le consonanti in azzurro e le lettere vengono usate direttamente dagli studenti per riprodurre le parole. “Toccare le lettere e insieme guardarle fissa più presto la loro immagine, pel concorso di più sensi. In seguito si separano i due fatti: guardare (lettura); toccare (scrittura). Secondo i tipi individuali alcuni impareranno prima a leggere, altri a scrivere” (Maria Montessori). Per scatola grammaticale invece si intende una scatola suddivisa nelle varie strutture della frase, ad ognuna delle quali è assegnato un colore e una forma, per aiutare la visualizzazione della lingua e ancorarla a materiali, evitando così di rimanere nell’astrazione. Di norma si costruisce insieme una frase e poi questa viene divisa dai ragazzi secondo le componenti grammaticali; ogni sezione della frase si associa alla sua casella e colore. 24 riempire i buchi. E’ importante che il materiale che si usa abbia un significato e che sia legato alle persone o alla classe. Come insegnavano Freinet e Freire, è fondamentale non scollegare mai ciò che stiamo facendo dal reale, dal quotidiano. L’analisi grammaticale non va mai scissa dal senso del discorso, dal “linguaggio vivo e comunicativo” degli studenti presenti in quella data situazione. Piuttosto che utilizzare situazioni artefatte estrapolate dai libri di testo è molto meglio scrivere qualcosa di proprio pugno che metta in gioco gli studenti ma anche i maestri come persone. L’immaginazione e l’identificazione si possono stimolare attraverso storie e miti, di qualunque paese siano o qualunque cultura li abbia prodotti, purché ci sia qualcuno che le racconti e che proponga questo “dono” agli altri. Anche le immagini e gli oggetti possono veicolare l’identificazione e la fantasia. In questo caso non si ritengono gli studenti alla stregua dei bambini nel passaggio dallo stadio preoperatorio allo stadio delle operazioni concrete (vedi gli stadi nello sviluppo cognitivo secondo Jean Piaget), ma si dà la possibilità a chi partecipa di giocare con la lingua e di sentirla più vicina, più propria, manipolabile e adattabile. Ad esempio, all’interno di riproduzioni di dipinti famosi si possono cercare insieme a degli studenti analfabeti, o che hanno da poco cominciato a cimentarsi nella lettura e scrittura, tutte le forme che ricordano le lettere dell’alfabeto latino. Oppure si può scrivere la propria iniziale del nome con dei pezzi di cartoncino e poi confonderla all’interno di un disegno fatto con le tempere: sono modi partecipativi per avvicinare gli studenti alla lingua in maniera più ludica e informale e quindi con più gioia. I momenti frontali e seminariali sono ridotti al minimo, la lezione è sempre impostata in modo circolare ed è stimolato il contributo di tutte e tutti per la costruzione collettiva del sapere. Se è vero, come sostiene Piaget, che “la conoscenza è un processo di costruzione continua”, è anche vero che è un processo di costruzione collettiva e la partecipazione ci ciascuno è valorizzante di per sé. “Ciò che è grande non è il sapere; non è neppure la scoperta: è la ricerca. Non è la conoscenza posseduta, la scienza appresa e assimilata, ma un'attività vigilante che senza tregua, si pone nuovi problemi, inventa, combina, organizza i fatti secondo rapporti non ancora conosciuti"46. 46 Freinet C., riportato in: http://www.asinitas.org/proposte.html 25 L’apprendimento è infatti un’evoluzione che si costruisce attraverso le analisi, le riflessioni e le domande di tutti. Un metodo di lavoro davvero orizzontale si caratterizza dal fatto che i contenuti e le riflessioni emergono dagli studenti, dalle loro vite, dai loro interessi e dai loro sguardi. L’educatore è un regista che predispone i materiali, le proposte e che coordina, ma i veri protagonisti sono gli studenti; il tempo della scuola è riempito da loro. La scuola sperimentale di Asinitas si fonda quindi sull’apprendimento esperienziale e sulla creazione di contesti di apprendimento anche attraverso l’acquisizione di una nuova identità “di residenza”, facilitando l’espressione del sé, aumentando l’autostima dei partecipanti e “offrendo nuove possibilità identitarie e nuove appartenenze relazionali”47. 3. STUDIO DI UN CASO: LA SCUOLA DI ITALIANO CON MIGRANTI SIM XM24 3.1 L’ambiente e le relazioni La SIM (Scuola di Italiano con Migranti) XM24 è attiva da quasi dieci anni nell'organizzare lezioni strutturate di insegnamento dell'italiano. Si tratta di una scuola gratuita, autogestita e situata all'interno degli spazi del centro sociale XM24, inserito a sua volta nella realtà della Bolognina. Come abbiamo visto nel primo capitolo, questa è la zona di Bologna che registra la più alta presenza e percentuale di residenti migranti. Il contesto fisico è dunque quello dell’ex mercato ortofrutticolo di via Fioravanti 2448, uno spazio comune che alberga e coltiva diversi progetti dentro i propri spazi. L’ex mercato è una realtà sociale e culturale ormai pienamente riconosciuta in quartiere e legittimata dalle centinaia di persone che settimanalmente la attraversano. Lo spazio anomico 47 http://www.asinitas.org/scuola_sperimentale.html 48 Il mercato ortofrutticolo di via Fioravanti è stato inaugurato nel 1939 e nel 1994 l’attività è stata trasferita al CAAB (Centro Agro Alimentare Bologna) di via Paolo Canali 1. Dopo otto anni di abbandono, nel 2002 l’esperienza di autogestione denominata Contropiani trasloca da via Ranzani negli spazi dismessi dell’ex mercato, per dar vita al progetto-‐percorso Ex Mercato 24 (XM24). Lo stabile risulta occupato da 10 anni, ma si sono aperte le trattative con il Comune per un iter che porti ad una convenzione. 26 dell’urbanistica, tipico di molte zone ai margini della città, è qui riempito da un laboratorio in fermento e foriero di nuove forme di comunicazione e associazione. Dell’originaria destinazione d’uso dello spazio XM24 conserva l’idea del mercato quale luogo pubblico di scambio e produzione. In uno ambiente urbano arido di rapporti questo spazio sociale assume su di sé l’incerta sfida di costruire un luogo di produzione culturale e di partecipazione politica e sociale totalmente autogestita e indipendente. Sfruttando la struttura architettonica dello spazio a disposizione, nei vari box sono nati altrettanti atelier con una propria progettualità specifica; al contempo il piazzale funziona come luogo di contaminazione dei diversi percorsi di sperimentazione di pratiche politiche, culturali, sociali e comunicative. E’ proprio all’interno della superficie antistante le aule che le attività possono confluire e favorirsi l’un l’altra, traendo vantaggio dall’incrocio delle reciproche prospettive. La scuola come luogo di incontro viene così costellata dalle possibilità offerte dalle altre realtà presenti e in collaborazione, quali: la ciclofficina, la cucina, la palestra, l’internet point, la sala prove, il mercato biologico, l’orto, i libri dell’infopoint (infoshock), le presentazioni di testi e video e i concerti e i momenti conviviali49. Una menzione particolare la meritano esperienze che, come la SIM, collaborano quotidianamente con migranti: lo sportello medico-legale Al-Sirat e il Coordinamento Migranti. Al-Sirat, che nella lingua araba indica il “buon cammino”, è un’associazione interculturale che promuove politiche di accoglienza e di partecipazione a favore di tutti i cittadini/e migranti. Il concetto di accoglienza che Al-Sirat ha fatto proprio presuppone un approccio interculturale alla realtà dell’immigrazione. In questa prospettiva, l’accoglienza è preordinata alla stabile integrazione del cittadino migrante nel tessuto socio-economico e culturale del paese ospitante, attuata attraverso il principio cardine dell’autodeterminazione del singolo. Lo strumento prescelto per il raggiungimento dello scopo è la gestione di uno sportello di informazione medica e giuridica gratuita aperto ogni venerdì dalle 19,30 alle 21,30 presso lo spazio sociale di XM24, in una delle 3 aule occupate dalla scuola. Il Coordinamento migranti Bologna e provincia50 è nato nel 2004, quando migranti e italiani, donne e uomini hanno formato un collettivo politico che si oppone alla legge Bossi-Fini e 49 Per approfondimenti, contatti e collaborazioni si veda il sito: http://www.ecn.org/xm24/ 50 Vedi: http://www.coordinamentomigranti.org 27 alle normative europee che, grazie al collegamento tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, fanno dei migranti una specifica forza lavoro destinata a essere sfruttata o espulsa secondo le necessità del mercato. Attraverso il lavoro di analisi e di rivendicazione, affermano il ruolo politico dei migranti nella loro lotta contro le politiche di precarizzazione del lavoro alle quali sono esposti e dalle quali sono colpiti in ambito sia lavorativo sia sociale. Considerano la legge Bossi-Fini e il razzismo istituzionale leve fondamentali della precarizzazione e per questo ribadiscono il protagonismo dei e delle migranti come una priorità politica contro la precarietà lavorativa ed esistenziale. 3.2 La Scuola di Italiano con Migranti SIM XM24 “Nessuno educa nessuno, nessuno educa sé stesso; gli esseri umani si educano tra loro con la mediazione del mondo”51: questa è la scritta che si legge sulla parete della scuola non appena si ha varcato la soglia d’entrata. La Scuola di Italiano con Migranti esiste da poco dopo che è stato riaperto l’ex mercato ortofrutticolo, ma solo da tre anni si è costituita come progetto sociale e politico basato sull’orizzontalità e la gestione assembleare di chi vi partecipa. La scuola è, come si è detto, uno spazio condiviso, autogestito e gratuito, in cui sono organizzate lezioni di lingua su quattro livelli a seconda delle competenze linguistiche (base, intermedio, avanzato e alfabetizzazione per chi è analfabeta). L’obiettivo pedagogico è la costruzione di un percorso di accoglienza, interrelazione, espressione ed emancipazione tra le persone che la vivono e che continuamente la ridefiniscono. Questo percorso, che considero politico in quanto strumento di “presa di parola diretta”, sviluppo di autonomia e socializzazione, è fondato su un progetto educativo comune che ha come fine quello di valorizzare la pluralità di voci, volti, storie e parole di cui ogni persona, italiana o migrante, è portatrice. Attraverso l’esperienza della scuola di Barbiana don Milani giungeva a questa definizione di politica: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”52. E’ proprio questa volontà di combattere insieme il 51 Freire P., La pedagogia degli oppressi, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2011. 52 Milani L., Lettera ad una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze. Il libro viene edito nel maggio 1967, scritto collettivamente dagli studenti e dalle studentesse della scuola di Barbiana, fondata da don Lorenzo Milani nel 1954. 28 muro di isolamento e l’individualismo che ci induce alla costruzione sentieri comuni. All’interno delle lezioni le possibilità e le competenze di manifestare sé stesso o sé stessa sono differenziate solamente dalla capacità di espressione in italiano, ed è effettivamente su questo punto che si cerca di far leva per togliere gli impedimenti alla piena affermazione di ognuno. Scuola con (e non per) migranti indica la dimensione del mutuo-apprendimento che si genera nello scambio umano costruito all'interno delle classi. I migranti non sono oggetti di insegnamento o di integrazione, ma soggetti di una dinamica umana che tende a porre le basi per una ridefinizione della realtà che insieme condividiamo. Come fine ultimo la scuola si propone dunque il superamento della marginalizzazione della figura del migrante, anche attraverso pratiche di condivisione e socialità. L’idea di una scuola di italiano come punto di partenza è quella che allo stesso livello del povero, del disoccupato, del senza casa o del “senza permesso”, chi in un paese è analfabeta è oppresso, in quanto gli è impedita la possibilità di espressione. Le azioni della scuola sono pertanto volte alla condivisione e diffusione di pratiche che garantiscano e promuovano il diritto alla migrazione: l'esistenza di una lingua comune si palesa così come il presupposto necessario affinché i e le migranti possano far valere il loro diritto alla partecipazione politica e sociale, possano esprimere le loro critiche e il proprio dissenso, possano, in sostanza, essere autonomi portatori e portatrici delle loro storie e lotte. Al centro della didattica della scuola vi è la condivisione e lo scambio delle storie e delle biografie delle persone che ne fanno parte. La lezione, dunque, si sviluppa e viene costruita attraverso l'interazione delle voci e dei pensieri che spontaneamente emergono a partire da un input (come ad esempio la casa, il viaggio, il quartiere di residenza, etc.). I metodi pedagogici che si stanno sperimentando hanno sempre come mezzo e fine la realizzazione di orizzontalità e di co-costruzione del significato, a partire dalla riflessione sulle dinamiche di potere con cui ci confrontiamo ogni giorno. La classica divisione insegnante-studente viene così messa in discussione: come ci ricorda Paulo Freire, all'interno della scuola nessuno ha la presunzione di educare nessuno, nessuno si educa da solo, ma tutti insieme, seguendo uno stesso percorso, insegniamo e impariamo reciprocamente con la mediazione del mondo. Da qui viene la decisione di definirci una scuola con, e non per, migranti. Per mettere in atto questi obiettivi, inoltre, l'organizzazione della scuola è coordinata da un'assemblea partecipata da chi si riconosce nel progetto, italiani e migranti, nel tentativo di dar voce a tutti e tutte sulle questioni inerenti al percorso della scuola di italiano. 29 All’interno di quest’assemblea settimanale si opera quel processo di riflessione-azione finalizzato alla messa al bando di ogni verticismo e di ogni segregazione, affinché ci si possa riconoscere come donne e uomini che vogliono essere i soggetti protagonisti della propria storia53. Nella SIM si svolge anche un percorso di autoformazione promosso dagli stessi educatori/trici riguardo le metodologie pedagogiche da promuovere all'interno della scuola. E’ proprio grazie alle necessità di formazione che siamo venuti in contatto con l’associazione Asinitas. Come ci ha insegnato l’esperienza di questa onlus romana, la scansione temporale secondo la quale una persona prima impara l'italiano e poi è in grado di esprimersi è forzata ed artificiosa, perciò la scuola si pone come obiettivo quello di approfondire, in modo integrato al percorso linguistico, gli strumenti corporei, affettivi ed extralinguistici che favoriscono l'espressione dei migranti. L'intento della SIM è quello di costruire un ambiente che favorisca l'emersione dell'universo simbolico ed espressivo di cui ogni persona è portatrice. Per raggiungere quest’obiettivo probabilmente non è sufficiente la sola lezione, si considerano perciò altrettanto importanti i momenti di vita condivisa, quali ad esempio momenti di giochi al parco, cene comuni, tandem linguistici, tornei sportivi non competitivi, ecc... Proprio nel poter sfruttare altre situazioni che appoggiano e stimolano sta la forza di essere all’interno di uno spazio sociale con varie attività. Insieme ai progetti sopracitati Al-Sirat e Coordinamento migranti affrontiamo inoltre altre questioni inerenti la vita dei migranti e non solo, quali il diritto alla casa, i diritti dei lavoratori, il diritto alla salute e le questioni più impellenti che ci riguardano. Queste tematiche sono esaminate congiuntamente attraverso dei seminari formativi organizzati durante le lezioni, per analizzare insieme prima le leggi in materia di immigrazione e poi le possibilità che abbiamo di allargare le strette maglie legali se agiamo unitamente. Il rilevante contributo di queste discussioni ci ha permesso di partecipare attivamente a manifestazioni cittadine (quali ad esempio le giornate del primo Marzo54 o la rassegna Welcome! Indietro 53 “Pretendere la loro (gli oppressi) liberazione senza il contributo della loro riflessione, significa trasformarli in oggetti che, per così dire, vadano salvati da un incendio. Significa farli cadere nelle acque morte del populismo e trasformarli in massa da manovra. (…) La riflessione e, insieme, con l’azione sono indispensabili, se non si vuole fare lo sbaglio di scindere il contenuto dalla forma storica, propria dell’essere umano”. Freire P., La pedagogia degli oppressi, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2011, pagina 52. 54 Nel Gennaio del 2010 a Rosarno (RC) si scatenò un violento conflitto tra migranti sfruttati nei campi per i lavori stagionali e vari residenti autoctoni spalleggiati dalla mafia locale. La rivolta ebbe un forte impatto sulle sensibilità nazionali e in breve tempo si organizzò una giornata dello sciopero per i diritti dei migranti il primo 30 non si torna55) a partire dal 2010 ad oggi. Le azioni politiche che la SIM compie, in collaborazione alle reti con le quali opera, sono tese al superamento del clima politico attuale, verso l'introduzione di pratiche che garantiscano ai migranti un effettivo diritto di migrazione e che li riconoscano come soggetti, ai quali attribuire tutele lavorative e diritti di partecipazione politica e sociale. Nello specifico la SIM si pone, insieme al Coordinamento, contro la legge Bossi-Fini e in particolare contro il ricatto costante che si genera nel binomio permesso di soggiorno-contratto di lavoro; legame che crea le premesse per lo sfruttamento e per operare, in periodi di crisi, aggiustamenti strutturali della manodopera migrante. Attraverso le sue attività la scuola cerca di aprirsi al quartiere e alla città, portando nelle iniziative che organizza le problematiche connesse alla questione dei migranti in Italia. 3.3 Le classi e il corso donne La Scuola si rivolge a tutti e tutte coloro che sono interessati a partecipare a questo percorso, garantendo lezioni ogni Lunedì, Martedì, Mercoledì e Giovedì dalle 19 alle 21 all'XM24, in via Fioravanti 24, da Settembre a Giugno. Le classi miste sono divise in 4 livelli: base, intermedio, avanzato e alfabetizzazione. L’alfabetizzazione è un livello che ha visto la luce quest’anno, nato accuratamente attorno alle esigenze di chi non possiede le nozioni di lettura e scrittura nemmeno nei propri contesti di provenienza. Il lavoro principale in questo gruppo parte dal riconoscimento delle lettere, passando per la riproduzione delle stesse e giungendo infine alla produzione vera e propria di lettere e parole. Il base è rivolto a chi solitamente è da poco in Italia o comunque ha una conoscenza piuttosto limitata della lingua: abitualmente il vocabolario è essenziale, autoreferenziale e volto alle necessità pratiche. L’obiettivo specifico del gruppo è giungere ad una discreta capacità di lettura e scrittura, con comprensione di frasi sostanziali (soggetto, verbo, complemento) e un vocabolario non primario e anche slegato dal sé e dalle utilità pratiche. Altro focus importante è la fonetica corretta. Il livello intermedio sussiste per chi ha Marzo. Il Comitato primo Marzo nacque ad hoc e continua a tenere vivo l’appuntamento, che quest’anno è giunto alla terza edizione. 55 Per protestare contro i continui respingimenti di profughi provenienti dall’Adriatico (principalmente minori afgani in fuga da guerre e persecuzioni, riportati in Grecia) nel Giugno del 2010 a Bologna e nei porti di Venezia, Ancona e Bari si organizzarono numerose attività di dissenso e sensibilizzazione. 31 una comprensione contenutistica e non solo grammaticale ampia anche se basica. Attraverso delle lezioni più flessibili con schemi aperti e lavori di gruppo si punta al raggiungimento di una comprensione e produzione che possa spaziare nei vari campi utilizzando un linguaggio e delle strutture delle frasi consone. Infine la compagine dell’avanzato è caratterizzata dal possesso di un vocabolario di base strutturato e la lingua italiana è parlata in maniera sufficientemente fluente. L’orizzontalità del metodo diventa qui pressoché totale, sfiorando l’autogestione delle lezioni da parte dei singoli studenti. Lo scopo è la piena espressione soggettiva e affermativa e la partecipazione al progetto anche cimentandosi come mediatori nelle situazioni in cui ciò si ritiene necessario. Quanto riportato ritrae la cornice delle classi miste serali, ma all’interno del progetto SIM trova spazio anche un corso solo per donne con cadenza bisettimanale. Le motivazioni alla base dell’iniziativa sono di carattere pratico e sociale. Nonostante sia uno spazio liberato56, negli anni la scuola è stata purtroppo attraversata da pochissime donne. Questo ci ha portato a porci svariate domande: come costituirsi come spazio di resistenza se una larga parte delle persone che volevamo accanto a noi era assente? Cosa centrano il femminismo e l'antisessismo in una scuola di italiano? Come far emergere punti di connessione con le esperienze delle tante donne migranti che attraversano la città? È possibile costruire una lingua comune partendo da biografie diversissime fondandola esclusivamente su una supposta appartenenza al sesso femminile? Intrisi di questi dubbi postcoloniali, si è pensato ciononostante che tutte queste domande non dovessero paralizzare o impaurire. Cercando di riflettere sul perché di questa assenza e sul come superarla, si è tentato in vari modi di costruire percorsi pedagogici che fossero più attenti alle esigenze e biografie specifiche delle tante donne migranti che vivono nel quartiere. Così è stato creato un corso apposito per le donne in un orario non serale in modo da intercettare chi, sia a livello logistico sia per questioni che qualcuno banalmente definirebbe “culturali”, preferiva un corso solo femminile in orario diurno. L'assenza menzionata è stata dunque parzialmente colmata tanto che oggi un numero consistente di donne sta effettivamente partecipando al corso pomeridiano. Quel che è parso maggiormente necessario per coinvolgere davvero tutte e tutti, è stato lavorare su quella rete di fiducia e intimità che si è ormai consolidata all’interno della scuola e che ultimamente sembra aver superato lo spazio di XM24 per diffondersi nel quartiere. 56 Con liberato si intende non soggetto alle classiche relazioni di potere esistenti nella città e nel Paese. 32 Questa partecipazione è particolarmente interessante poiché il fine ultimo della SIM è il superamento della marginalizzazione dei e delle migranti e della loro stereo tipizzazione e ciò assume ancora maggior valore per chi vive una doppia condizione di esclusione e subordinazione politica e sociale. Le donne migranti sono spesso invisibili perché tale invisibilità è strutturale a una condizione politica ed economica che le vuole assenti dai territori pubblici e dai pubblici discorsi. Questo è il nodo fondamentale su cui si gioca la questione dell'apprendimento linguistico da parte delle migranti. L'invisibilità sociale delle tantissime migranti presenti nel nostro Paese è prodotta dal razzismo e da strutture di tipo patriarcale, fardelli che non hanno nazionalità e che appartengono all'Italia come a molti altri Paesi del mondo. Si è così deciso di organizzare un corso esclusivamente indirizzato alle donne con la consapevolezza che anche solo parlare di “donne migranti” sia una mera strategia retorica che racchiude in sé un'infinita varietà di storie, profili e appartenenze socio culturali. Un corso di lingua in uno spazio separato è un'esperienza fondamentale per un progetto che vuole davvero essere con le migranti e i migranti del quartiere. Presenti nel discorso pubblico solo come “fedeli badanti” o silenziose “mogli di”, per le donne migranti l'apprendimento della lingua italiana può essere strumento di emancipazione di primaria importanza per non delegare a nessuna e nessuno i propri desideri e le proprie parole. Apprendere la lingua del paese di migrazione offre la possibilità di rapportarsi con l’esterno, di relazionarsi con gli altri e di definire se stesse. Come costruire un percorso linguistico con le donne migranti? Innanzitutto domandandosi cosa le spinge a frequentare un corso di italiano. Il desiderio o la necessità di apprendere la lingua del paese di migrazione possono nascere dal bisogno di lavorare, di districarsi tra i mille cavilli burocratici, di conoscere le leggi e far valere i propri diritti senza paura di essere imbrogliate. Ma anche la dimensione affettiva gioca un ruolo determinante. Apprendere la lingua del nuovo paese in cui ci si trova a vivere può essere di vitale importanza per intessere o mantenere relazioni importantissime, come quella con i propri figli o quella che si instaura con le persone che provengono da altri universi linguistici e che attraversano e segnano la nostra quotidianità. E' proprio quando la dimensione funzionale lascia spazio a quella affettiva che una lingua veramente condivisa può emergere. La lingua permette di rapportarsi con la collettività in cui si vive, di creare una rete di condivisione e supporto, di esprimere sé stesse attraverso le proprie narrazioni. La conoscenza della lingua, prima di essere strumento pratico per accedere al mondo del lavoro, è veicolo di espressione del sé, di costruzione della propria identità, di garanzia della nostra dignità. Così, se solitamente i corsi di italiano per 33 stranieri sono spesso costruiti attorno ad un destinatario neutro per genere e condizioni di vita, credo sia invece necessario modulare l'apprendimento linguistico tenendo ben presenti le specificità biografiche di chi si trova ad apprendere. Tante migranti difficilmente possono riconoscersi nel modello neutro su cui sono modulati i libri scolastici, per questo un percorso di apprendimento linguistico dovrebbe essere costruito e modellato tenendo presente sfere solitamente tralasciate, come quella dell'affettività, dei sentimenti, dei figli. Questo non perché esiste una sfera della femminilità solo legata a queste dimensioni, ma perché è necessario creare dei piani di connessione che leghino biografie e creino le condizioni per l'emersione delle storie che ciascuna deciderà di condividere. 3.4 L’illegante All’inizio di quest’anno di lezioni, a ottobre 2011, la scuola ha vissuto un momento importante: l’energia era visibile e il progetto iniziava a prendere forma. In maniera del tutto naturale ci si pose la domanda: “ma allora lo facciamo un giornale della scuola?”. Dalle discussioni che sono seguite in assemblea e a lezione è emersa la volontà di costruire un proprio periodico che fosse il frutto delle rielaborazioni comuni fatte in classe. Titolo e sottotitolo: L’illegante. Scriviamo quello che non riusciamo a dire.57 L’idea del titolo nasce durante una lezione da un errore di Noman Ansar nello scrivere la parola elegante riferito a “lingua elegante”. La volontà di andare oltre al vocabolario di base per apprenderne uno più forbito si è così combinata con la parola illegale. Il sottotitolo è frutto di una frase di Mohamed Ghannaj che riassume in poche parole molti concetti e che è stata subito accettata con consenso unanime. Le motivazioni che hanno spinto alla creazione collettiva de L’illegante sono molteplici e sono state condivise con il gruppo durante una delle lezioni fondatrici: “Vogliamo far capire a che punto siamo con la lingua, esprimerci e condividere, riportare notizie reali e senza trucchi.” “Spiegare quello che si fa a scuola per invogliare altri migranti a venire, raccontiamo le cose di tutti i giorni, scriviamo tutto quello che non riusciamo a dire.” 57 I 3 numeri sinora prodotti de L’illegante sono interamente http://simxm24.noblogs.org/illegante-‐scriviamo-‐quello-‐che-‐non-‐riusciamo-‐a-‐dire/ 34 scaricabili al sito: “Voglio scrivere perché mi piace, voglio imparare a scrivere in modo elegante, voglio capire le parole difficili e le parole che leggo sui giornali.” “Saper scrivere e conoscere bene la lingua vuol dire potere.” “Scrivere per rendere chiare le cose che sui giornali non si capiscono.”58 Il giornalino è stato pensato come contenitore da poter riempire con tutto ciò che chi ha voglia di collaborare desidera trattare, previo approfondimento collettivo durante le lezioni. Si vuole consentire a chi legge di poter percepire la realtà che si vive quotidianamente a scuola e soprattutto farne comprendere le peculiarità; parlare di XM24 come spazio e luogo d’incontro; raccontare le proprie storie, spesso utilizzando anche un tono ironico rispetto ai problemi e alle vicende che si vogliono raccontare. Le autoproduzioni materiali sono una delle caratteristiche tangibili che più aiutano a sedimentare appartenenze multiple e a farci districare nel complicato labirinto delle identità flessibili. Come insegnava Freinet, che ha utilizzato molto la tipografia per rendere la giusta dignità al prodotto culturale autonomo dei suoi allievi, l’utilizzo della stampa per produrre prima testi e poi giornalini di classe è un indiscutibile supporto all’apprendimento collegiale. 3.5 Alcuni limiti e problematiche L’autogestione di un progetto ambizioso e articolato non è mai semplice. Le difficoltà nella conduzione aumentano se si considerano le precarietà di vita e di lavoro di chi partecipa, che influiscono negativamente sulla costanza nella presenza. Il contributo degli “insegnanti” è volontario, così come la condivisione di chi si avvicina per imparare la lingua o vivere il progetto. Senza l’appoggio istituzionale il primo problema a cui si cerca di far fronte è la cronica carenza di fondi economici. Le cene e le feste di autofinanziamento aiutano a tappare i buchi, ma spesso non bastano a fornire la cassa per comprare il materiale e per sostenere le spese di gestione. Sfruttando l’alta presenza numerica spesso si riescono a recuperare materiali utili e a costruire il necessario, ma date le precarietà finanziarie l’accoglienza strutturale del posto talvolta può lasciare a desiderare: questo limite rischia di entrare in 58 Le frasi emerse a lezione sono rispettivamente di: ZIne Jhbale; Mohamed Ghannaj; Noman Ansar; Mohamed Sabir; Salah Taif. 35 collisione con gli intenti di accoglienza e intimità che sono nelle mire della scuola e, purtroppo, può contribuire a creare selezioni verso la partecipazione. Per quanto riguarda la struttura delle lezioni, la descrizione artefatta dei corsi non rende merito delle enormi differenze intergruppi che regnano e delle forti disparità ed eterogeneità all’interno della singola classe e spesso anche nel passaggio da un giorno all’altro. La rappresentazione serve come linea guida per l’orientamento delle caratteristiche e delle necessità, mentre il quotidiano vive spesso di espedienti e riadattamenti. Nessuna classe potrà mai essere omogenea e bisogna essere all’altezza della valorizzazione positiva delle differenze, compito non sempre facile. Il corso è gratuito e sempre aperto a chiunque, non c’è bisogno di iscrizione né di documenti. Nonostante vengano redatti dei registri per monitorare le presenze e per cercare una continuità, è evidente la difficoltà nella costruzione di percorsi a lungo termine, data la forte instabilità delle frequenze. Le complicazioni nella programmazione per effetto del non so mai chi mi trovo in classe si accumulano alle asperità nel coordinamento tra gli “insegnanti” che si alternano nei vari giorni. Una parte delle assemblee settimanali è adibita alla programmazione per livelli, ma essendo necessario coordinarsi in quattro giorni diversi, ogni giorno composto da una coppia di maestre/i, trovare fluidità e costruire metodi condivisi spesso risulta un’impresa complicata. Le ambizioni del progetto sono di costruire insieme un modo di relazionarsi diverso, basato sul rispetto, sulla fiducia e sul riconoscimento reciproco. Tutto ciò appare limitatamente corroso se l’assemblea di gestione settimanale è a netta predominanza di madrelingua italiani. Anni di esperimenti e tentativi non sono ancora bastati a porre le condizioni per un’assemblea ampiamente partecipata anche da chi ha cominciato a frequentare la SIM per sopperire alle conoscenze linguistiche. Mentre le lezioni sono solitamente costruite attraverso metodologie e strumenti che permettono di attenuare di molto il classico verticismo esistente tra chi conosce la lingua che si vuole condividere e chi no, le assemblee permangono strutturate attorno al perno della lingua, risultando così spesso indecifrabili a chi non ha buone basi linguistiche. 36 4. RIFLESSIONI CONCLUSIVE Incontrare una nuova lingua può essere un'esperienza estremamente violenta e spaesante. La lingua può esserci imposta con le sue regole, la sua grammatica, le sue accademie e i suoi divieti, può diventare il muro che ci separa dal resto del mondo, fonte di inganno e raggiro, motivo di smarrimento e solitudine. Se a ciò si sommano leggi istituite appositamente per realizzare marginalità approfittando dello scompenso linguistico, si può afferrare la problematicità della questione. Ogni lingua è però potenzialmente anche un luogo di resistenza che può creare fratture, squarci di significato nuovi, aprire spazi di significazione condivisi. Può essere il punto di partenza da cui far scaturire il nuovo e l'inaspettato. Quando la costruzione della lingua è un'esperienza partecipata, essa diviene lo spazio in cui poter far confluire esperienze, riflessioni, aneddoti e desideri, rendendoli così delle storie condivise. Se l'incontro con una nuova lingua avviene in una dimensione di apertura e ibridazione, quella lingua si farà creatrice di parole che ci contengono, ci avvolgono e ci sopravvivranno. Questa dimensione di resistenza e alterità è la base su cui tenta di lavorare la Scuola di Italiano con migranti dell’XM24. La non professionalizzazione richiesta a chi inizia a collaborare è motivata dalla compensazione prodotta dall’intelligenza relazionale, vero faro del processo di socializzazione in situazioni multiculturali. In Immigrazione e pedagogia interculturale Duccio Demetrio rifletteva sulle prospettive della pedagogia interculturale in questi termini: “l’intelligenza relazionale è la matrice sottostante del pensiero interculturale che è, al contempo, un metodo per scoprire le corrispondenze e le differenze (…). Abbiamo bisogno di educarci e di educare ad un pensiero che non si irrigidisca mai. Ad un pensiero in movimento”59. Il perpetuo cammino del pensiero è in quest’esperienza garantito dalla costante riflessione assembleare, alla base della quale troviamo, come moto generatore di stimoli ed esortazioni, l’autocritica. L’apprendimento della lingua è una pratica sociale. Il compito che chi si avvicina alla scuola deve realizzare è la facilitazione di questo apprendimento, imparando ad individuarne il programma già in atto in ciascun individuo e costruendo un ambiente di accoglienza vario e rispettoso. Affrontare l’argomento in questi termini ci permette, come ci esorta Antonio Genovese, di “superare quella logica compensativa che vede il soggetto straniero come un 59 Demetrio D., Favaro G., Immigrazione e pedagogia interculturale, La Nuova Italia, Firenze, 1992, pagina 17. 37 individuo “deprivato” - che non sa parlare la (nostra) lingua; che non conosce le (nostre) regole; che non padroneggia la (nostra) storia – e a mettere in atto, nel processo educativo (…), la valorizzazione delle differenze”60. Valorizzare le differenze significa anche valorizzare la presenza, indipendentemente dalla provenienza. I fattori macroscopici sottostanti le moderne migrazioni (vincoli economici, scompensi demografici, delocalizzazioni, guerre, e così via) devono ricordarci quanto, come esseri umani, siamo interdipendenti l’un l’altro. John Donne scriveva in un celebre verso: “nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso”61; interiorizzare il concetto di questa poesia ci porta a sottolineare i legami e anche le responsabilità che soggiacciono alle relazioni umane. Rifiutare il puro e semplice assistenzialismo significa non considerare nessuno come “corpo passivo da salvare”, bensì riflettere e far emergere i desideri di partecipazione e i contributi alla costruzione della collettività che insieme viviamo ogni giorno. 60 Genovese A., Per una pedagogia interculturale, Bononia University Press, Bologna, 2003, pagina 197. 61 Donne J., Meditation XVII, Nessun uomo è un’isola. 38 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E A SITI Testi: • AA. 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