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DELL’ ORIENTAMENTO
L’Orientatore Professionale nella fase di validazione
delle competenze esperienziali
Dott.ssa Anna Monia Mirmina
INDICE
L’orientatore professionale nella fase di validazione delle
competenze esperienziali.
Introduzione
I capitolo: L’orientatore e il processo di orientamento
pag. 4
1. Chi è l’orientatore.
pag. 4
2. La scelta della metodologia di orientamento da adottare
pag. 7
3. Gli strumenti da impiegare
pag. 9
II capitolo: La validazione delle competenze esperienziali
pag. 12
1. Gli apprendimenti formale, informali e non formali
pag. 12
2. la validazione delle competenze in Europa, aspetti
normativi
3. la validazione in Italia
pag. 15
pag. 18
III capitolo: l’orientatore nella fase di validazione delle
competenze esperienziali.
pag. 22
1. Il ruolo dell’orientatore nella fase di validazione delle
competenze esperienziali
pag. 22
2. la tecnica del colloquio per far emergere le esperienze
maturate
pag. 25
3. la redazione del dossier personale sulle esperienze
maturate ai fini della validazione delle competenze.
pag. 28
Conclusioni
2
Introduzione
Il presente lavoro nasce dall’esigenza di proiettare le nuove
professioni verso un contesto non più nazionale ma europeo.
La figura dell’Orientatore Professionale ha assunto oggi una
portata globale, divenendo punto riferimento imprescindibile in tutti i
contesti formativi, lavorativi e professionali.
Finanche nella progettazione formativa e didattica, sia essa
professionale che scolastica, è indispensabile la figura dell’orientatore
quale professionista in grado di coadiuvare i destinatari di tali azioni nella
individuazione e poi scelta del percorso da intraprendere nella loro vita.
In ambito europeo, poi, questo aspetto di coniuga all’esigenza di
uniformare le professionalità, anche se questo aspetto, giuridicamente,
non è ancora stato statuito da un atto normativo e vincolante per tutti i
paesi europei.
E proprio per rispondere a tale ulteriore esigenza che è nata l’idea
di
realizzare
questa
breve
trattazione
sulla
professionalità
dell’Orientatore in un contesto sempre più attento e sensibile alle novità
professionali esistenti in Europa e alla necessità, da parte dei destinatari
di tale attività, di vedersi riconosciuta una competenza acquisita in ambiti
non prettamente formali, mediante la quale poter fare una scelta in
termini professionali e di vita.
3
I capitolo
L’orientatore e il processo di orientamento
1. Chi è l’orientatore.
L’orientatore è colui che fornisce agli individui (giovani o adulti) un
sostegno nella costruzione dei percorsi formativi e/o professionali,
mettendo in relazione capacità, inclinazioni e desideri del singolo con il
sistema formativo e l’andamento del mercato del lavoro.
La sua attività ha lo scopo di assicurare a tutti la conoscenza delle
varie alternative disponibili nei settori dell’istruzione e della formazione.
Il termine orientamento deriva dal latino “oriens”, che significa
oriente, punto cardinale in cui sorge il sole. Il termine nel tempo ha
assunto significati diversi dando vita ai concetti e alle teorie del moderno
orientamento. Nella letteratura scientifica, ad esempio, l’evoluzione delle
teorie e delle pratiche dell’orientamento è collocabile, semplificando, in
una duplice dimensione:
1. nella prima, l’azione di “orientare” è intesa come intervento
svolto da un adulto, un docente, un maestro di bottega, un
genitore verso un giovane, un apprendista, un discente, un
garzone di bottega, per trasmettere un sapere teorico o pratico.
2. nella seconda dimensione, invece, “l’orientarsi” è inteso come
capacità appresa, attraverso dei facilitatori (orientatori), di
scegliere e decidere responsabilmente e autonomamente il
proprio futuro scolastico o professionale.
Il compito principale dell’orientatore è proprio quello di aiutare e
sostenere colui che ha la necessità di effettuare una scelta formativa e/o
4
professionale, esplorando lo scenario che lo circonda, osservando le
possibilità che il sistema offre con uno sguardo aperto e attento.
L’orientatore professionale deve supportare l’individuo che a lui si
rivolge nei processi di scelta supportandoli e cercando di sviluppare le
potenzialità dello stesso per costruire un percorso personale continuo. Ci
si forma per la vita professionale e si deve comprendere che questo
processo non ha mai fine. Ogni ambito lavorato implica una scelta
formativa costante che deve avvenire durante tutto l’arco della vita del
soggetto, così come statuito e conclamato dall’Europa nei Programmi
LLp relativi al lifelong learning.
Ma
essere
orientatore
oggi
significa
anche
avere
la
consapevolezza che il sistema formativo e professionale in Italia e in
Europa è profondamente cambiato da alcuni anni e continuerà la
metamorfosi dovendosi allineare alle esigenze del mondo globale.
Formarsi, orientarsi è un lavoro su se stessi che dura tutto l’arco
della vita, data la grande mobilità che il sistema oggi richiede.
Mentre in altri paesi europei la mobilità è sentita quale crescita e
opportunità nel migliorarsi, nel nostro paese è sinonimo di crisi, di
difficoltà, di doversi adattare a fare qualsiasi cosa pur di trovare uno
sbocco occupazionale.
In questo contesto, con questo sentimento che aleggia nell’animo
di chi si avvicina ad un percorso di valutazione e scelta professionale e
personale, il ruolo dell’orientatore è ancora più delicato.
Deve riuscire a creare, nell’interlocutore, un clima favorevole
all’apertura affinché l’approccio sia di tipo costruttivo e non utilitaristico ai
fini della risoluzione del problema occupazione momentaneo e
contingente.
La sua capacità di leggere il contesto sociale, l’ambiente nel quale
è inserito l’interlocutore, e far si che le negatività restino fuori dalla
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valutazione sono la “conditio sine qua non” per poter lavorare bene e
trasformare il proprio apporto in risultati apprezzabili per il destinatario
dell’azione di orientamento.
A mio avviso, oggi più che mai l’orientatore ha un ruolo
fondamentale nella nostra società, in quanto è sempre più un punto di
riferimento, una bussola, nelle strutture e agenzie formative, quali le
scuole, le università, gli enti di formazione,
per coloro che devono
delineare il proprio futuro professionale ma anche per tutti coloro che
devono ricollocarsi in un contesto formativo che cambia rapidamente,
cercando di superare il gap fisiologico che si genera quando le
competenze acquisite non corrispondono più alle reali esigenze del
mercato del lavoro.
In tal modo l’orientatore diventa il trait d’unione fra ciò che il
mercato del lavoro richiede e ciò che ogni individuo vuole e può
realizzare.
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2. La scelta della metodologia di orientamento da adottare
L’orientatore deve scegliere la metodologia da applicare in base al
soggetto al quale deve offrire il suo contributo professionale.
Storicamente l’orientatore ha dovuto modificare il suo approccio
nella scelta della metodologia attraversando una serie di processi storici
contestualizzati alla realtà sociale e storica dell’uomo.
Infatti il primo approccio, storicamente parlando, era di tipo
naturalistico, ossia naturalmente l’uomo più anziano del gruppo aiutava,
spiegava ed insegnava le diverse tecniche necessarie alla realizzazione
di un lavoro. Poi il suo “apprendista” sceglieva se optare per tale attività
e la svolgeva. In seguito diventava lui il possessore di tale patrimonio
nonché Mentore in futuro per gli altri. Certo questo accadeva in una fase
“primitiva” e l’orientatore era colui che già conosceva la professione
nonché tutte le sfaccettature del lavoro che svolgeva.
Ma, con il tempo, la società si è evoluta e questo tipo di approccio
non era più sufficiente.
Entrò in gioco il ruolo della famiglia, dei genitori che in una
condivisione degli obiettivi indicava ai figli la strada professionale da
seguire per riuscire nella vita.
Spesso però, proprio per una visione limitata della professionalità e
del mondo del lavoro, ci si limitava a suggerire il proprio lavoro, del quale
ovviamente si conoscevano tutti gli aspetti, tramandando così il proprio
lavoro di generazione in generazione.
Dopo l’avvento della società industriale e ella necessità di svolgere
professioni e lavori diversi, di cui spesso i padri non conoscevano nulla,
nasce l’esigenza di formare i nuovi lavoratori e orientarli verso
professioni diverse. Per far tutto questo non basta più l’anziano del
gruppo o la famiglia ama un professionista che, studiando il mercato e le
richieste derivanti dall’industrializzazione, fosse poi in gradi di suggerire
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opportunità diverse in base alle prerogative del soggetto che doveva
scegliere la propria professione. Si affaccia l’idea della pratica
professionale.
Da un punto di vista metodologico si passò da una scelta di mezzi
idonei a trovare l’uomo giusto per collocarlo nel posto giusto, ad iniziare
a tenere conto delle esigenze personali, attitudini ed abilità del soggetto,
filtrate attraverso anche i suoi interessi, epr giungere al soddisfacimento
dei propri bisogni, quasi primari esprimibili attraverso una giusta
collocazione sul mercato e finire ad una scelta maturata dal soggetto in
base ad un progetto che vuole realizzare nell’arco della sua vita
professionale.
La crisalide del desiderio di svolgere un’attività lavorativa, dopo
varie metamorfosi arriva a sbocciare in una bellissima farfalla, ma
ognuno differente in base al percorso formativo personale posto in
essere con l’ausilio dell’orientatore e diventare un disegno di vita.
In questo caso la metodologia migliore, per me, da adottare
l’orientatore per far sbocciare la farfalla che c’è in ogni individuo, è
proprio quella del “modello interdisciplinare”, perché tiene conto non
soltanto degli aspetti personali e psicosociali, ma anche di tutti quegli
altri aspetti che corollano la vita dell’individuo quali quelli economici,
familiari, culturali ma anche del contesto sociale e relazionale nel quale
vive e dal quale è comunque influenzato nelle proprie scelte di vita.
Questo perché tale modello consente di dare una visione globale
dell’individuo attraverso un approccio generalizzato.
8
3. Gli strumenti da impiegare.
Dopo aver scelto il modello dio orientamento che ritiene più
consono al raggiungimento dell’obiettivo prefissato, l’orientatore deve
procede alla scelta degli strumenti.
Uno strumento importantissimo, secondo me, per una buona
riuscita del lavoro è il “colloquio orientativo”.
Partendo dal presupposto che l’orientatore può operare in un
contesto quale quello della validazione delle competenze, che risulta
essere molto personale, in quanto deve estrapolare delle competenze
che il soggetto ha acquisito in modo informale e non formale, e
trasformarle
in
consapevolezze
professionalmente,
ed
in
un
bagaglio
spendibile
egli deve creare un clima favorevole all’apertura e
alla conoscenza dell’interlocutore.
Nello specifico, non si può comprendere cosa una persona abbia
imparato nella vita, in modi, tempi e forme diverse, che adesso può
reinvestire in ambito lavorativo, senza che tale persona si senta “accolta”
e compresa per aprirsi ad un lavoro introspettivo ma anche di
condivisione con l’orientatore.
Il “colloquio orientativo” consente di far proprio questo. Ha una
duplice finalità, sia quella
di
trasferire informazioni su ciò che ha
imparato nel tempo, ma anche quella di creare una relazione
emotiva/affettiva con l’orientatore al fine di permettergli far emergere le
competenze che ha acquisito anche senza rendersene conto, ma che
sono spendibili in ambito professionale, cambiando in alcuni casi, o
migliorando, il proprio progetto di vita professionale.
Tutto ciò è possibile soltanto che si crea quel feeling fra i due
interlocutori e il soggetto si sente accolto. Importante, a tal fine, è anche
9
l’ambiente nonché l’abbigliamento e l’approccio dell’orientatore, nella sua
comunicazione verbale e non verbale.
Bisogna creare un ambiente accogliente, con un arredamento
comodo che faccia sentire il soggetto accolto, senza creare distrazioni,
ma il più rilassante possibile. Le luci devono creare dei giochi rilassanti,
infatti la cromoterapia può essere d’aiuto in questo caso, così come
l’aroma terapia per gli odori da diffondere nella stanza che creano
predisposizione al dialogo e riduzione di scontri emotivi.
Anche della musica di sottofondo può contribuire a creare un clima
sereno, ma soprattutto il volto dell’orientatore. Egli deve comunicare con
la mimica facciale ma con ogni espressione non verbale del suo corpo,
un atteggiamento di apertura, di ascolto, non certo di chiusura o di critica
o, nella peggiore delle ipotesi, di giudizio. Anche perché il soggetto che
si rivolge ad un orientatore è particolarmente sensibile proprio ai segnali
non verbali della comunicazione, così come da sempre ci suggerisce lo
studio delle emozioni, perché si attivano dei processi del cervello,
definito “emotivo” che allo stato inconscio captano dei passaggi
mediante l’amigdala, prima ancora che il soggetto se ne renda conto e
prima ancora che la neocortezza cerebrale possa codificarli e catalogarli.
E proprio perché il cervello emotivo coglie prima alcuni segnali
inviati dall’orientatore, non si può fingere un ascolto e un’accoglienza che
non si sente. Quindi l’orientatore deve predisporsi con un lavoro di
apertura di tecnica di ascolto per approcciarsi realmente al soggetto.
Ritengo che, per raggiungere tale obiettivo, l’orientatore può
attingere dal pensiero sviluppato dall’antropologia sociale, che permette
di
riflettere
sulla
società
e
sull’evoluzione
dell’uomo
in
essa,
costringendoci a d effettuare una riflessione. Ossia l’uomo, spesso, vive
di pregiudizi, trova delle risposte prima ancora di analizzare il contesto
sociale nel quale tale interrogativo nasce. Non ci si sofferma ad
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analizzare il pensiero in maniera scevra da ogni condizionamento, ma
anzi si parte dal presupposto che c’è una sola angolazione e non ci si
mette in discussione, e soprattutto che ogni evento o fatto che si
presenta differente dal nostro modo di pensare e vivere rappresenta un
“problema” da risolvere e non una risorsa. Quindi spesso ci si lascia
condizionare da ciò che non è omologato, sia esso un essere umano, sia
una situazione, pensando subito a come rimuovere il “problema” anziché
viverlo coma una opportunità che nasce dalla realtà sociale che può solo
arricchire il nostro punto di vista e le nostre esperienze.
Se l’orientatore riesce a creare questo clima di accoglienza ed
ascolto, mediante il colloquio di orientamento, restando consapevole di
quanto può condizionare il suo atteggiamento e il suo pensiero il
soggetto interlocutore che gli chiede aiuto, allora il colloquio sortirà
l’effetto desiderato, che nel nostro caso, è quello di far emergere tutte le
esperienze vissute dal soggetto e impiegabili quali bagaglio di
competenze in un nuovo progetto di vita professionale nel quale
investire.
11
II capitolo
La validazione delle competenze esperienziali
1. Gli apprendimenti formali, informali e non formali.
Con il termine “apprendere” si intende un processo naturale con cui
l'individuo persegue obiettivi per lui significativi. Esso è attivo, volontario
e mediato internamente. E' un processo di scoperta e costruzione del
significato che nasce con l'informazione e l'esperienza, ma poi viene
filtrato attraverso le percezioni, i pensieri e i sentimenti individuali del
soggetto che apprende.
Un elemento essenziale dell’apprendimento è sicuramente la
volontarietà di acquisire delle informazioni utili nella propria vita, sia essa
scolastica che professionale, e reimpiegarle in contesti diversi da quelli
nei quali si è appresso.
Molti autori, tra i quali i pedagogisti quali J. H. Pestalozzi, F.
Froeber e F. Rousseau, attribuivano molta importanza nella fase di
apprendimento dei fanciulli al contesto sociale nel quale erano inseriti e
alle risorse interiori degli stessi. Ossia tutti e tre sostenevano che non
dovevano essere riempiti di nozioni ma che il loro apprendimento doveva
avvenire in maniera quasi naturale senza risultare una forzatura, ma
l’educatore doveva essere una guida per loro e fargli scoprire, in piena
libertà,
il proprio sapere. Basti pensare ai giardini per l’infanzia di
Pestalozzi o alla natura quale madre per Rousseau.
Questo preambolo ci consente di
comprendere quanto sia
importante l’apprendimento nella vita di ogni individuo e di quanto questo
processo sia naturale ed pervada tutta la nostra vita. Ma, il più delle
volte, consideriamo apprendimento solo quello che può definirsi formale.
12
E’ indispensabile una definizione di apprendimento “formale”.
Ossia è quella forma di conoscenza e di impiego di ciò che si è appreso
in un contesto prettamente riconosciuto quale luogo di apprendimento
formale, definito istruzione formale, che nel nostro paese corrisponde
alle scuole, alle università, gli enti e alle agenzie formative.
Ma vi è anche un altro tipo di apprendimento che possiamo definire
“non formale“. L'apprendimento non formale è quello che ha luogo al di
fuori del curriculum previsto dall’istruzione formale. Le attività si svolgono
su base volontaria e sono accuratamente progettate per favorire lo
sviluppo personale e sociale dei partecipanti.
L’apprendimento “informale”, invece, avviene durante le attività
della vita di tutti i giorni, al lavoro, in famiglia, nel tempo libero, ecc.1
Si può riassumere in un “imparare facendo”.
L’apprendimento non formale e informale consente ai giovani di
acquisire competenze essenziali e contribuisce al loro sviluppo
personale,
all’inserimento
aumentandone così
le
sociale
prospettive
e
alla
cittadinanza
occupazionali. Le
attiva,
attività
di
apprendimento nel settore della gioventù rappresentano un importante
valore aggiunto per i giovani, per l’economia e per l’intera società.
Tale attività sono complementari all'istruzione scolastica e al
sistema formativo: esse adottano un metodo partecipativo e incentrato
sulla persona, si svolgono su base volontaria e sono dunque
direttamente correlate alle esigenze, alle aspirazioni e agli interessi dei
giovani. Queste attività, diventando una fonte supplementare di
apprendimento,
permettono
ai
giovani,
con
minori
opportunità
occupazionali o minore formazione formale, di accrescere le possibilità di
1
Definizione tratta dalla “Direzione Generale Istruzione e Cultura della Commissione Europea” nel
Programma Gioventù in Azione 2007-2013
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impiego mettendo in campo ciò che hanno appreso in maniera non
formale ed informale.
Ma tali apprendimenti sono indispensabili nella formazione
professionale dei soggetti dato che l’apprendimento è l’insieme di
capacità apprese in modi diversi e attraverso una elaborazione
personale del singolo, diventano una nuova risorsa da spendere in
campo professionale, anche se il suo contenuto non è legato ad una
area professionalizzante.
Questo però non impedisce al soggetto di arricchirsi di una
capacità in più da impiegare in ambito professionale. Ed è ciò che
sempre più spesso coloro che offrono lavoro hanno iniziato a guardare
ed analizzare con maggiore interesse. Tutte quelle attività svolte per
hobby o come passatempo permetto al soggetto di sviluppare delle altre
abilità diverse e differenti da quelle formali ma utili per accrescere le
capacità trasversali, ossia quelle che si possono spendere in svariati
contesti, ma che accrescono l’individuo nella sua complessità e globalità,
perché arricchiscono e completano.
14
2. La validazione delle competenze in Europa, aspetti
normativi.
La validazione in Europa è un tema che è stato affrontato già da
alcuni anni, dalla stessa Commissione Europea, quando si è avvertita la
necessità di ridurre un gap esistente fra il concetto di comunità europea,
intesa quale luogo unico di incontro e condivisione di popoli e nazioni
diverse ma accomunate da un unico spirito, e i titoli acquisiti nei singoli
sistemi formativi e riconosciuti, al momento, soltanto nei propri paesi e
nel proprio sistema di istruzione e formazione.
Il tema della trasparenza e del riconoscimento delle competenze
comunque e ovunque acquisite rappresenta stabilmente da alcuni anni
un oggetto di dibattito nonché di concrete politiche di intervento a livello
dell’Unione Europea così come nell’ambito dei principali Paesi
occidentali. Anche e soprattutto a valle del periodo di pesante crisi
economica e occupazionale che si è abbattuto sull’Europa negli ultimi
cinque anni, la comunità istituzionale e scientifica è sempre più convinta
che non basti promuovere costantemente l’apprendimento lungo tutto
l’arco della vita attiva (come già da anni ribadito e praticato attraverso
importanti
processi
europei
quale
Lisbona
2001),
ma
occorra
necessariamente renderlo visibile, valorizzarlo, innestarlo in un circuito
sociale di comunicazione e significatività che agevoli i processi di
evoluzione sociale e professionale assicurando a individui e sistema
produttivo resilienza2 e flessibilità nei confronti degli eventi critici3.
2
La resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente
la propria vita dinanzi alle difficoltà. Persone resilienti sono coloro che immerse in circostanze avverse riescono,
nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo
slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti
3
Validazione delle competenze da esperienza: approcci e pratiche in Italia e in Europa. Isfol. I libri del fondo
Sociale Europeo n. 163.
15
Come noto a partire dal documento “Common European Principles
for the identification and validation of non formal and informal learning”
redatto nel 2004, i Paesi UE avviano una fase pratica di allineamento su
questi temi attraverso la condivisione di alcuni principi guida che tutti si
impegnano a rispettare per sviluppare sistemi o pratiche di validazione
dell’apprendimento.
Tali principi per la validazione sanciti nel 2004 sono:
• la validazione deve essere attuata su base volontaria;
• la privacy dell’individuo deve essere rispettata;
• l’accesso alla validazione deve essere equo e garantito per tutti;
• gli stakeholders devono partecipare alla definizione dei sistemi e
dei dispositivi di validazione;
• i dispositivi devono prevedere meccanismi di orientamento e
consulenza per gli individui;
• i dispositivi devono rispondere a requisiti di qualità;
• il processo, le procedure e i criteri utilizzati per la validazione
devono essere chiari, trasparenti e garantiti da criteri di qualità;
• i dispositivi di validazione devono legittimare e garantire gli
interessi e la partecipazione di tutti gli stakeholders coinvolti;
• il processo di validazione deve essere imparziale ed evitare
conflitti di interessi;
• coloro che gestiscono la valutazione devono avere specifiche
competenze e preparazione professionale.
Proprio per favorire la progressiva convergenza di approcci e
metodologie, negli anni a seguire la Commissione Europea ed il
CEDEFOP
hanno
lavorato
alla
elaborazione
e
al
costante
aggiornamento dell’“European Inventory on Validation of non-formal and
informal learning” strumento che raccoglie, illustra e mette in
condivisione i diversi sistemi, processi, dispositivi e approcci alla
16
convalida degli apprendimenti non formali e informali in uso nei diversi
contesti europei.
Il livello di sviluppo ed implementazione di dispositivi di validazione
non formale ed informale dei diversi Stati Membri, appare, al momento
attuale, piuttosto differenziato ed eterogeneo.
Alcuni Stati non possiedono una strategia formalizzata sulla
validazione degli apprendimenti non formali e informali, altri stanno
definendo i principi guida attraverso sperimentazioni ed implementazioni
concrete pur non avendo formalizzato e normato le procedure
inserendole di diritto all’interno dei sistemi nazionali di istruzione e
formazione nonché del mercato del lavoro.
Ad esempio In alcuni paesi come Danimarca, Francia, Norvegia,
Finlandia, Regno Unito, Spagna, Portogallo e Islanda, il livello di
formalizzazione ed implementazione del processo di validazione degli
apprendimenti non formali ed informali risulta particolarmente sviluppato
e consolidato anche attraverso specifiche norme e leggi e atti formali che
introducono la procedura all’interno dei sistemi di istruzione e formazione
e del mercato del lavoro.
In altri paesi come Repubblica Ceca, Polonia, Germania, Ungheria
la validazione degli apprendimenti non formali e informali è ancora ad
uno stadio sperimentale e più spesso affidato all’iniziativa di associazioni
datoriali, sindacali, imprese o enti del terzo settore piuttosto che da
agenzie formative o educative attraverso programmi europei finalizzati
allo sviluppo di modelli sperimentali e buone pratiche come il Programma
Leonardo (Italia, Estonia, Slovenia). In altri non vi è ancora alcuna
azione propedeutica a tale attività.
17
3. La validazione in Italia.
In Italia c’è da molti anni un ricco dibattito e un sostanziale accordo
tra tutte le istituzioni e gli attori sociali sull’importanza, in linea di
principio, di poter validare apprendimenti acquisiti in contesti non formali
e informali. Tuttavia ancora non si è giunti all’adozione delle disposizioni
necessarie per lo sviluppo e l’istituzionalizzazione di un sistema
nazionale di validazione e certificazione delle competenze comunque
acquisite.
Alcune barriere storiche si frappongono ancora al raggiungimento
di questo obiettivo, richiamato peraltro sin dall’Accordo per il Lavoro del
1996:
• il valore legale dei titoli ottenuti attraverso l’educazione formale e i
percorsi formativi;
•
la
tradizionale
debolezza
della
formazione
continua
e
dell’educazione e formazione per gli adulti, che in Italia non è
diffusa e consolidata come in altri paesi europei;
• l’assenza di un sistema nazionale unitario esplicito delle
qualificazioni e competenze, anche se ci sono come vedremo
sistemi di questo tipo a livello regionale;
• la pluralità delle istituzioni coinvolte in questa materia a livello
nazionale, regionale e locale.
In questi anni le istituzioni nazionali e regionali, il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali, le parti sociali e le associazioni datoriali a livello
nazionale nonché i rappresentanti delle Regioni, hanno in più occasioni
cercato di stabilire un insieme di standard di riferimento per condividere
e armonizzare le pratiche di certificazione delle competenze e per
promuovere iniziative di validazione dell’apprendimento non formale e
18
informale, ci sono stati importanti documenti di rilancio di questa
prospettiva nonché numerose iniziative specifiche legate a filiere,
territori, settori.
Ma qualcosa è cambiato, finalmente, anche in Italia. Il primo
segnale si è avuto nel 2007 Il Decreto 174, ancorché sostanzialmente
inattuato, conteneva le regole di architettura del sistema di certificazione
e ha fornito numerosi spunti per la serie di Accordi Stato Regioni che nel
periodo 2002-2005 sono stati firmati nell’ambito delle diverse filiere della
formazione professionale (IFTS, persorsi triennali di prima qualifica,
apprendistato).
Lo stesso Decreto ha inoltre consentito una iniziativa del Ministero
del Lavoro per la definizione comune del Libretto Formativo del Cittadino
che si può considerare uno strumento strategico per lo sviluppo di un
sistema di validazione su base nazionale, in coerenza con quanto ci
indica la Commissione Europea. Dopo la citazione del Decreto 174, il
Libretto è stato meglio definito all’art. 2 comma i) del Decreto 276/2003:
“libretto formativo del cittadino”: libretto personale del lavoratore
definito, ai sensi dell’accordo Stato regioni del 18 febbraio 2000, di
concerto tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, previa intesa con la
Conferenza unificata Stato regioni e sentite le parti sociali, in cui
vengono registrate le competenze acquisite durante la formazione in
apprendistato, la formazione in contratto di inserimento, la formazione
specialistica e la formazione continua svolta durante l’arco della vita
lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle regioni, nonché le
competenze acquisite in modo non formale e informale secondo gli
19
indirizzi della Unione europea in materia di apprendimento permanente,
purché è riconosciute e certificate4.
Nel settembre 2006 il Ministero del Lavoro ha promosso un “Tavolo
Unico Nazionale per gli standard professionali, di certificazione e
formativi” finalizzato alla definizione e all’attuazione di un “National
Qualification
Framework”
ovvero
un
“Quadro
nazionale
delle
qualificazioni” secondo le indicazioni dell’UE. Il Tavolo è composto da
rappresentanti dei Ministeri dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,
le Regioni e le parti sociali e si è proposto come un passo importante
nello sviluppo del sistema italiano in grado di dare trasparenza e visibilità
alle competenze acquisite in qualsiasi contesto (formale, non formale e
informale), in coerenza con le politiche europee per l’apprendimento
permanente (EQF, ECVET).
Avvicinandoci ai nostri giorni, esattamente nel mese di novembre
l’Isolf, ha prodotto e divulgato le “Linee Guida per la Validazione delle
Competenze da Esperienza” al fine di consentire a tutte le strutture
formative accreditate, agli istituti o alle università, ma finanche alle
imprese, di avere un canovaccio al quale riferirsi per poter certificare le
competenze di tutti coloro che ne facciano richiesta, attraverso un iter
definito, per il quale la figura dell’orientatore è fondamentale nella
comprensione delle esperienze informali e non formali vissute, e per
poterle trasformare in competenze di base o trasversali acquisite e
rientranti nelle professionalità richieste dalle figure professionali
riconosciute dall’Isfol o dall’Istat o dalla formazione professionale
competente per le singole regioni.
Arrivando ai giorni nostri, il 15 febbraio 2013 è stato pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n.39 il Decreto Legislativo del 16 gennaio 2013 n.
4
Validazione delle competenze da esperienza: approcci e pratiche in Italia e in Europa. Isfol. I libri del fondo
Sociale Europeo n. 163.
20
13 recante la “Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali
delle prestazioni per l´individuazione e validazione degli apprendimenti
non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema
nazionale di certificazione delle competenze, a norma dell´articolo 4,
commi 58 e 68, della legge 28 giugno 2012, n. 92”.
Finalmente si inizia a legiferare su tale tema individuando chi sono
gli enti titolari dell’azione di validazione e di certificazione e come de
avvenire il procedimento.
21
III capitolo
L’orientatore nella fase di validazione delle competenze
esperienziali.
1.
Il ruolo dell’orientatore nella fase di validazione delle
competenze esperienziali.
Il ruolo dell’orientatore nella fase di validazione delle competenze
esperienziali è fondamentale perché è il perno attorno al quale ruota la
possibilità, per il singolo individuo, di far emergere le proprie competenze
derivanti dalle esperienze acquisite in maniera non formale ed informale.
Nella prima fase l’orientatore ha il compito di conoscere il soggetto
che chiede di essere assistito nella delicata fase di rielaborazione delle
proprie esperienze e di aiutarlo proprio nella messa a fuoco delle
competenze acquisite.
Nel caso specifico l’orientatore deve impostare il proprio lavoro
partendo dalla definizione di competenza in modo da farla acquisire al
soggetto. Questo passaggio è importante perché soltanto se il soggetto
comprende il significato intrinseco di tale elemento può riconoscerlo nelle
sue esperienze lavorative.
Una delle tante definizioni di competenza può essere riassunta in
“ogni caratteristica personale genericamente utilizzabile sul lavoro,
indipendentemente dal contesto di lavoro e dal livello di prestazione
ottenibile col suo utilizzo”5, ma questa definizione da sola non basta
infatti è stata esplicitata aggiungendo una ulteriore specifica ossia
“capace di svolgere bene un determinato compito o professione”,
intendendo
5
valorizzare
quello
che
una
persona
sa
fare,
Evangelista, anno 2006.
22
indipendentemente da come lo ha imparato. E’ proprio questo il focus
della
consapevolezza
che
l’orientatore
deve
trasferire
al
suo
interlocutore, ossia che non ha importanza come abbia acquisito quella
capacità, la cosa importante è che tale risorsa la possa investire nel
proprio ambito lavorativo qualunque esso sia.
In questa fase può avvalersi della tecnica dello scaffolding,
introdotta dallo psicologo Bruner, che viene utilizzata in psicologia e
pedagogia per indicare l’assistenza data da una persona ad un'altra per
svolgere un compito. Lo scaffolding, in pedagogia, indica proprio un
insieme di strategie di aiuto utilizzate da un individuo esperto per
agevolare il processo di apprendimento di un altro individuo. In questo
caso l’assistenza consiste proprio nel fargli acquisire la consapevolezza
di ciò che hanno appreso al di fuori del sistema scolastico (formale) ma
che è importante e spendibile nel mondo del lavoro.
Tale
strumento
dall’orientatore,
è
particolarmente
efficace
se
è
inserito,
nella così detta “zona di sviluppo prossimale”
introdotta dallo psicologo Vygotskij, che consiste nella zona cognitiva
entro la quale un individuo riesce a svolgere con il sostegno (scaffolding)
di un adulto o in collaborazione con un pari più capace, attraverso la
mediazione degli scambi comunicativi, compiti che non sarebbe in grado
di svolgere da solo.
Spesso gli individui hanno delle competenze di cui non conoscono
le potenzialità proprio perché non sono state acquisite negli ambiti
deputati all’apprendimento formale, (scuola, università), per cui alla
semplice domanda di quali siano i loro punti di forza o di debolezza
spesso non sanno cosa rispondere perché non hanno ben chiare le loro
competenze e le loro potenzialità. In questo caso, anche se la zona di
sviluppo prossimale, così come lo scaffolding siano solitamente utilizzati
in pedagogia quali metodologie di rafforzamento delle potenzialità del
23
bambino, in questo contesto hanno lo stesso valore metodologico perché
il soggetto, anche se adulto, che si sente spaventato dalla scelta
lavorativa
o
dal
cambiamento
che
deve
affrontare,
riveste
psicologicamente lo stesso abito del bambino che deve apprendere e
non conosce tutto il resto del mondo.
L’orientatore, in questa fase particolare, lo deve sostenere proprio
nel metter fuori, nello sperimentare ciò che sente, che ha dentro, che ha
acquisito inconsapevolmente, per trasformarlo in una risorsa spendibile.
Tutto ciò ci permette di comprendere quanto sia importante e focale
il ruolo dell’orientatore dato che dovrà conquistare la fiducia del suo
interlocutore e portarlo verso una apertura costruttiva.
24
2.
La tecnica del colloquio per far emergere le esperienze
maturate.
L’orientatore, per far emergere le competenze acquisite in modo
informale e non formale dal soggetto che a lui si rivolge, deve utilizzare
come strumento principale proprio il colloquio di orientamento.
Esso è finalizzato all’approccio, alla conoscenza e all’instaurazione
di un certo rapporto di fiducia tra i due soggetti, al fine di raggiungere la
meta desiderata.
Il colloquio di orientamento costituisce un uno strumento psicosociale perché consente al soggetto di comprendere e valutare se stesso
e le proprie esperienze vissute accrescendo la consapevolezza delle
proprie competenze da investire in ambito lavorativo. In questo processo
egli si attiva nel raccogliere le informazioni attraverso un’attenta
riflessione del suo vissuto, base indispensabile dalla quale partire per far
emergere ogni apprendimento.
Esso si suddivide in tre fasi:
1. Conoscitiva: consente alle parti di conoscersi, di instaurare un
rapporto e di comprendere quale sia l’obiettivo del richiedente e
quindi in cosa poi debba consistere il sostegno dell’orientatore.
Si procede con la definizione della richiesta di voler validare,
attraverso una certificazione, delle competenze acquisite in
maniera non formale ed informale, i dati biografici del soggetto,
l’anamnesi dell’esperienze lavorative e formative, nonché quelle
volontarie,
effettuate
dal
soggetto
e
non
certamente
documentabili in modo formale, nonché l’autovalutazione del
richiedente sulle competenze acquisite, primo passaggio
fondamentale ai fini della maturazione di una consapevolezza
delle proprie abilità e competenze.
25
2. Diagnostica: consente di poter approfondire le conoscenze
diagnostiche del soggetto per comprendere, sotto l’aspetto
affettivo, relazionale e cognitivo, come il soggetto si relaziona e
quali esperienze abbia potuto maturare in tali contesti informali.
3. Progettuale: consente di stilare una progettazione di quali
esperienze siano state vissute dal soggetto, in quali contesti e
capire quali abilità, riassumibili in sapere, saper fare e saper
essere, ne sono derivate. Tutto ciò, consentirà di realizzare una
mappatura delle competenze di base, professionali e trasversali
acquisite dal soggetto, tali da poter poi essere rielaborate nella
fase di comparazione con
professionali
statuite
dalle
quelle richieste nelle figure
Qualifiche
Europee,
dell’Isfol,
dell’Istat o dalle Regioni in ambito professionale.
Il colloquio sarà scandito dalle seguenti fasi: di apertura, centrale e
di chiusura. Ognuna di esse scandirà il tempo e le modalità per poter far
emergere gli elementi essenziali ai fini di una corretta valutazione delle
competenze acquisite dal soggetto nell’arco della sua vita lavorativa e
personale. Sicuramente l’approccio iniziale è fondamentale per costruire
una relazione scevra da ogni pregiudizio. Il soggetto deve potersi fidare
ed affidare all’orientatore vedendolo come uno strumento valido di aiuto
per poter far emergere ciò che lui stesso possiede ma che ha difficoltà a
denominare in termini di abilità e competenze. Il luogo del colloquio
dovrà essere confortevole ed ispirare sicurezza e rilassatezza. Non deve
mai percepire il soggetto alcuna rigidità o chiusura, ma anzi dovrà
sentire, a livello emozionale, di essere al centro dell’attenzione
dell’orientatore. A tal fine saranno importanti gli elementi di arredo del
luogo nel quale si svolgerà il colloquio ma anche la comunicazione
dell’orientatore in termini sia di linguaggio che di espressioni mimiche.
26
In questa prima fase è molto importante che l’orientatore utilizzi
due strumenti quali la calibrazione, che gli consente di imparare a
riconoscere gli stadi mentali dell’interlocutore e a guidarlo verso
l’apertura ad uno stadio mentale ottimale per la comunicazione;
ricalco,
che
è
una
particolare
abilità
consistente
e il
nell’inviare
all’interlocutore dei messaggi tali fargli comprendere che entrambi sono
uguali.
La fase centrale sarà incentrata sull’ascolto delle esperienze per
fare emergere e per poter annotare tutte le abilità e competenze che,
spesso inconsapevolmente il soggetto ha sviluppato nel tempo.
La fase finale servirà a chiudere il colloquio ma anche a lanciare le
basi per il successivo colloquio fino a quando non saranno emerse
chiaramente tutte le abilità rilevanti ai fini della validazione.
27
3. La redazione del dossier personale sulle esperienze
maturate ai fini della validazione delle competenze.
La fase conclusiva dell’intervento da parte dell’orientatore consiste
nel redigere un dossier personale, definito dalla normativa italiana quale
libretto formativo del cittadino.
Esso
è
uno
strumento
di
documentazione
trasparente
e
formalizzata di dati, informazioni, certificazioni, utilizzabile dall'individuo
nel suo percorso di apprendimento, crescita e mobilità professionale.
In particolare il Libretto può essere considerato il corrispettivo
italiano di Europass, cioè del “passaporto delle qualifiche e delle
competenze che favorisce la ‘portabilità’ delle stesse in Europa”.
Racchiude in se il “principio di cumulabilità” valido nella
formazione per tutto l’arco della vita (Longlife Learning)”, e la “tematica
relativa all’individuazione, valutazione certificazione e riconoscimento
delle competenze e dei crediti formativi nell’ambito del sistema integrato
della formazione, istruzione e lavoro”. Nonché al processo di
“progressiva integrazione e di graduale connessione tra:
- i sistemi dell’istruzione,
- i sistemi della formazione professionale,
- i sistemi delle politiche attive del lavoro.
L’intervento fa riferimento anche al tema della “tracciabilità e
spendibilità delle competenze acquisite dal cittadino e dal lavoratore
nei diversi ambiti in cui avvengano i processi di apprendimento (formali,
non formali o informali)”.
Tutto questo è possibile grazie al lavoro condotto dall’orientatore
atto, come fin qui illustrato, a rendere trasferibili e documentabili tali
apprendimenti, per poi essere spendibili nel mercato del lavoro.
28
L’orientatore dovrà redigerlo tenendo conto della sua composizione
che consiste:
 nel Portfolio delle competenze, strumento di uscita del sistema
dell’istruzione,
 nella scheda anagrafico-professionale del soggetto,
 nel curriculum vitae europeo.
Esso sarà suddiviso poi in ulteriori due sezioni. Nella prima vi
saranno riassunti i dati anagrafici, le esperienze lavorati e professionali,
la seconda nella quale sarà descritto il soggetto e tutte le competenze di
base, trasversali e professionalizzanti acquisite.
Al termine di tale processo l’orientatore avrà fornito uno screening
dettagliato di tutto ciò che il soggetto richiedente ha maturato in termini di
esperienze, abilità
competenze acquisite in contesti non formali ed
informali, in modo da poter essere successivamente, con l’ausilio di un
formatore, comparate ai sistemi formativi professionali, regionali,
nazionali (Isfol, Istat) ed europei (EQF) così da diventare, in un secondo
passaggio titoli formali.
Questo ulteriore e conclusivo passaggio sarà realizzato da un
formatore che avendo contezza di tali qualifiche, dovrà, mediante una
prova pratica sostenuta dal soggetto dinanzi ad un esperto designato,
accertarne le competenze relative alle qualifiche emerse e poter
rilasciare il titolo formale.
Il soggetto sarà riuscito, così, a certificare delle competenze
informali
e
non
formali
possedute,
soltanto
grazie
al
lavoro
dell’orientatore che sarà riuscito a farle emergere dal suo vissuto.
29
Conclusioni
Il lavoro dell’orientatore, nella fase di validazione delle competenze
esperienziali, è essenziale perché rappresenta quella lente introspettiva
che riesce a far guardare dentro di sé il soggetto richiedente tale
validazione. A tal fine lo guida in un percorso a ritroso nella memoria,
passando attraverso esperienze lavorative, ma anche di attività
extracurriculari avente nel tempo, che si sono sedimentate creando un
nuovo
strato
di
competenze
investite,
quotidianamente
ed
inconsciamente il più delle volte, dallo stesso senza poterle trasformare
in un punto di forza nel sistema del mercato del lavoro.
Oggi più che mai, con l’esigenza i una Europa unita e produttiva,
con la crisi occupazionale, ogni esperienza può e deve diventare una
risorsa per reinvestire nel proprio futuro professionale, e di conseguenza
personale.
Tutto questo è possibile, così come lo chiede oramai l’Europa e
l’Italia, nel nostro caso, grazie all’intervento e alla elevata professionalità
competenza dell’orientatore professionale.
Dr.ssa Anna Monia Mirmina
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