Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Department of Public Policy and Public Choice – POLIS Working paper N. 40 February 2004 Stato, groβe Politik ed Europa nel pensiero politico di F. W. Nietzsche Francesco Ingravalle UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA Stato, groβe Politik ed Europa nel pensiero politico di F. W. Nietzsche Francesco Ingravalle ABSTRACT Nietzsche è convinto, tra il 1866 e il 1874 che il Reich bismarckiano costituisca il potere amministrativo di una futura élite creata attraverso il modello del “pessimismo tragico” della tragedia greca antica, del dramma musicale wagneriano e della filosofia di Schopenhauer. Lo Stato è il mezzo al servizio degli “eroi” di una “cultura tragica” (di una “Germania ellenica”). La delusione provocata dagli sviluppi politici successivi alla guerra franco-prussiana spingono Nietzsche a opporre allo Stato burocratico bismarckiano l’ideale di uno Stato come strumento nelle mani del “grande individuo” (1877-1882). Lo Stato è il mezzo del “grande individuo.” La visione che conduce al modello del Übermensch (1882-1888) è collegata al concetto di “grande politica”e al progetto di una unione degli Stati d’Europa.Questa unione sarà guidata da un’aristocrazia di “superuomini” alla realizzazione della “grande politica” nella lotta per il potere mondiale. Nietzsche descrive la futura guida dell’Europa, a partire dal 1882, come guida carismatica. 2 INTRODUZIONE L’interesse per il pensiero politico di F. W. Nietzsche ha attraversato, nella cultura europea, tre fasi di cui le prime due nettamente separate dalla terza dal conflitto mondiale del 1939-1945. La prima fase, aperta dai celebri lavori di Georg Morris Cohen Brandes, Daniel Halévy, Ettore Zoccoli1, ha portato alla luce un Nietzsche critico della società di massa, “anti-moderno” e radicalmente aristocratico-individualista, antesignano della critica antidemocratica della cultura. La seconda è rappresentata dalle interpretazioni nazionalsocialiste del pensiero di Nietzsche nelle quali accanto a interpreti che indicano in Nietzsche un precursore del movimento crociuncinato (Richard Oehler, Alfred Baeumler) vi è chi prudentemente gli affianca Houston Stewart Chamberlain, Richard Wagner e Paul De Lagarde (Alfred Rosenberg) e chi lo rifiuta in quanto decadente (Christoph Steding) o in quanto individualista e ostile al primato della Gemeinschaft (Ernst Kriek)2. Ma la destra tedesca non si “riassume” nel nazionalsocialismo: la Konservative Revolution, nelle sue svariate manifestazioni, si ispirò largamente a Nietzsche soprattutto in merito al problema del nichilismo3. La terza fase, infine, è stata aperta sia dall’edizione critica delle opere già edite e del Nachlass nonché dell’Epistolario curata da Giorgio Colli e da Mazzino Montinari, sia dal celebre intervento di Michel Foucault intitolato Nietzsche, Marx, Freud.4. Il saggio di Foucault mirava non soltanto a cogliere in Nietzsche uno dei maestri della “critica dell’ideologia”, ma, soprattutto, a estrarre dalle sue pagine un metodo di indagine della morale, il metodo “genealogico”, basato essenzialmente sulla pratica della “decostruzione” della morale stessa (attraverso l’individuazione dei numerosi fili che s’intrecciano nella sua forma attuale) e della “microfisica del potere” che la innerva. Una simile pratica mostrava analogie sia con l’analisi dell’ “ideologia” sviluppata da Marx, sia con l’analisi della psiche sviluppata da Freud. La prima fase era influenzata dal disorientamento della cultura politica liberale di fronte allo sviluppo della società di massa (creata dalla seconda industrializzazione) e alla esigenza 1 Cfr. Georg Morris Cohen Brandes, En Afhandling om aristokratisk Radikalisme, København, 1899, tr. inglese a cura di A.G. Chater, Friedrich Nietzsche-An Essay on aristocratic radicalism, London, Heinemann, 1914, tr. it. di A. Ingravalle condotta sulla trad. inglese, Friedrich Nietzsche o del radicalismo aristocratico, Padova, Edizioni di Ar, 1995; Daniel Halévy, La vie de Nietzsche, Paris, 1909, nuova edizione, Nietzsche, Paris, Grasset, 1944, tr. it di Valentina D’Anna, Milano, Edizioni del Borghese, 1974, rist. Roma, Ciarrapico, 1983, Ettore Zoccoli, Federico Nietzsche: la filosofia religiosa, la morale, l’estetica, Modena, Vincenzi, 1898; 2^ ed. Torino, Bocca, 1901. 2 Cfr. Maurizio Ferraris, Storia della Volontà di potenza in F. Nietzsche, La volontà di potenza. Frammenti postumi ordinati da Peter Gast e Elisabeth Förster– Nietzsche, tr. it di A. Treves (1927), nuova edizione a cura di M. Ferraris e Piero Kobau, Milano, Bompiani, 1995, pp. 656 e 669. 3 Cfr. Armin Mohler, Die konservative Revolution in Deutschland (1918-1932) (1972), tr. it. e introduzione di L. Arcella, La rivoluzione conservatrice in Germania (1918-1932), Firenze-Napoli, La Roccia di Erec-Akropolis, 1990, pp. 89-126. 4 Cfr. M. Foucault, Nietzsche, Marx, Freud, Paris, Editions du Minuit, 1967. 3 oggettiva di allargare democraticamente la base di legittimazione delle strutture politiche stesse5. La seconda fase è stata dominata dal problema del rapporto fra le ideologie del totalitarismo fascista e nazionalsocialista e il contenuto politico del pensiero nietzscheano6. La terza fase era caratterizzata da una richiesta di democratizzazione della vita sociale (conseguente al consolidamento della democrazia politica in Occidente e al proseguimento della seconda rivoluzione industriale), da una sensibilità critica per le modalità e i mezzi con i quali il potere politico tende a sciogliersi dai vincoli della democrazia; non a caso il vivo interesse per il problematico rapporto tra etica, diritto e potere a partire dalla metà degli anni Sessanta configurò un orientamento considerevolmente libertario da parte della maggioranza della società civile dei paesi occidentali7. E’ curioso notare che in tutte le fasi si è manifestato scarso interesse per le riflessioni di Nietzsche sullo Stato, le loro connessioni con i concetti di groβe Politik e la preconizzazione dell’unificazione dell’Europa, nonostante gli studi sul suo pensiero politico si siano sviluppati con vigore (non paragonabile, tuttavia, a quello che ha caratterizzato e continua a caratterizzare l’interesse per Nietzsche come filosofo tout-court). Che si vedesse in Nietzsche l’iniziatore di una critica del liberalismo, del socialismo e della democrazia di tipo nuovo rispetto alle ben note critiche dei nostalgici della Restaurazione8, e lo si intendesse come il teorico della guerra dei popoli per lo “spazio vitale” o che lo si considerasse come un “maestro del pensiero laico e libertario”9, nessuna di queste prospettive di lettura ha attirato eccessiva attenzione sul modo in cui Nietzsche si poneva di fronte allo Stato e tematizzava lo sviluppo della politica dei “grandi 5 Cfr. Paolo Pombeni (a cura di), Le trasformazioni politiche nell’ Europa liberale, Bologna, Il Mulino, 1986; si veda anche Domenico Losurdo, Democrazia o bonapartismo. Trionfo e decadenza del suffragio universale, Torino, Boringhieri, 1993. 6 Emblematico il giudizio espresso da Bertrand Russell su un punto cruciale del pensiero di Nietzsche: “Il suo uomo «nobile» (...) è un essere completamente privo di simpatia, spietato, astuto, crudele, che pensa solo al potere. Re Lear, sulla soglia della pazzia, dice: Farò tali cose (Quali, ancora non so) ma saranno Il terrore del mondo. Questa è la filosofia di Nietzsche entro un guscio di noce” (History of Western Philosophy and its Connection with Political and Social Circumstances from the Earliest Times to the Present Day, 1939, tr. it. di L. Pavolini, Storia della filosofia occidentale, Milano, Mondadori, 1979, vol. II, p. 732. Questo giudizio è echeggiato dall’anonimo prefatore della versione di Also sprach Zarathustra pubblicata nel 1963 dalle edizioni Ghelfi di Milano, soprattutto istituendo una connessione tra filosofia della volontà di potenza, ideologia totalitaria e follia. Tale connessione dominò il giornalismo da terza pagina degli anni Cinquanta nei paesi anglofoni, in Italia, in Germania, in Francia, e fu fondamentale nel determinare una certa ricezione del pensiero nietzscheano; tramontò soltanto in seguito agli studi critici stimolati dall’edizione delle opere del filosofo diretta da G. Colli e M. Montinari. 7 Come ha evidenziato la saggistica sui movimenti politici della seconda metà degli anni Sessanta: cfr. Peppino Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Roma, Editori Riuniti, 1988; Giovanni Arrighi, Terence Hopkins, Immanuel Wallerstein, Antisystemic Movements, Roma, Manifestolibri, 1992 e l’antologia curata da Marco Scavino, Le radici del ’68, Milano, Baldini e Castoldi, 1998. 8 Cfr. Adriano Romualdi, Nietzsche, Roma–Padova, Edizioni Europa–Edizioni di Ar, 1971, nuova edizione con il titolo Nietzsche e la mitologia egualitaria, Padova, Edizioni di Ar, 1981, con postfazione di F. Ingravalle. 9 L’espressione - che compendia l’interpretazione del pensiero di Nietzsche sviluppata da Gianni Vattimo in Ipotesi su Nietzsche, Torino, Giappichelli, 1967, Id. Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, Milano, Bompiani, 1974 compare in un suo intervento del 13. 09. 1980, intitolato Da quale cultura viene la violenza di destra, pubblicato in “Tuttolibri” e ora leggibile in AA. VV. Totalità sociale e comunità organica, Padova, Edizioni di Ar, 1982, pp. 45-48; la citazione si trova a p. 45. 4 spazi”. Persino il quadro duramente critico del pensiero di Nietzsche tracciato da György Lukacs10 (che ne identifica il “centro” nella lotta teorica contro il socialismo) non si occupa del tema dello Stato. Da quanto detto sarebbe lecito inferire che i passi delle opere edite e inedite del filosofo tedesco in cui l’ oggetto-Stato viene esaminato siano quantitativamente scarsi, oppure poco significativi (configurandosi come meri corollari della sua più generale riflessione sull’etica e sulla politica). Oltre centocinquanta significativi e non poco estesi passi degli scritti (pubblicati in vita o postumi) di Nietzsche, invece, ne trattano estesamente e incisivamente, in connessione con la diagnosi - certo non comune, all’epoca – del tramonto dello Stato-Nazione europeo conseguente al dischiudersi degli spazi continentali della groβe Politik e considerato nella prospettiva di un’Europa unificata e protagonista della groβe Politik stessa. Perché nella ormai sconfinata bibliografia sul pensiero etico-politico di Nietzsche queste connessioni sembrano essere state quasi eluse? Un motivo è, presumibilmente, il carattere di mezzo, di strumento, che Nietzsche attribuisce sempre allo Stato; tale carattere ha indotto a giudicare più interessante dello Stato (e di quanto vi si connette) ciò di cui lo Stato è strumento: la nuova gerarchia, per gli interpreti collocabili nella “prima fase”, la volontà di potenza, per gli interpreti collocabili nella seconda (a esempio Baeumler) e nella terza fase; all’interno di quest’ultima, lo sforzo per svincolare Nietzsche dalle interpretazioni nazionalsocialiste è stato indirizzato alla reinterpretazione del concetto di “volontà di potenza”, a partire almeno dal Nietzsche et la Philosophie di Gilles Deleuze (1962), nella chiara consapevolezza – che accomuna, paradossalmente, Rosenberg, Bäeumler e Deleuze – della strumentalità dello Stato nel pensiero etico-politico di Nietzsche. Ed è proprio questa singolarissima convergenza interpretativa a fornirci un’indicazione preziosa per il tema che ci proponiamo di trattare: un’analisi del concetto nietzscheano di Stato può, forse, contribuire a illuminare ulteriormente il pensiero etico-politico del filosofo tedesco che la recente e discussa interpretazione di Domenico Losurdo11 ha riportato in primo piano in Italia? Esaminare il concetto nietzscheano di Stato significa introdurre all’analisi della figura teorica della groβe Politik e alla conseguente prospettiva di un’unione degli Stati europei. La letteratura critica non ha per lo più ravvisato nella trattazione nietzscheana del problema dello Stato un nodo strategico del pensiero del filosofo; esistono però alcune eccezioni che 10 Cfr. G. Lukacs, Die Zestörung der Vernunft (1954) tr. it. di E. Arnaud, La distruzione della ragione, Torino, Einaudi, 1959, pp. 311 - 403; si veda anche Adriano Romualdi, Nietzsche, cit., che sostiene un’interpretazione analoga a quella di Lukacs ma di segno politico opposto e non dedica attenzione al tema dello Stato. 11 Cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, Torino, Boringhieri, 2002 preceduto da id. Nietzsche e la critica della modernità, Roma, Manifestolibri, 1997 che ne anticipa le tesi basilari sul carattere «reazionario» del pensiero etico-politico di Nietzsche. 5 prenderemo brevemente in esame nel capitolo I; si tratta di eccezioni costituite prevalentemente – anche se non esclusivamente - da studiosi italiani. Nietzsche ha costantemente respinto il concetto dello Stato come teleologia dei processi sociali, riconducibile alla matrice hegeliana, considerandolo invece uno strumento; ma non lo ha mai considerato come strumento della società e mezzo per la realizzazione della libertà umana nei termini in cui questa immagine affiora in molta pubblicistica “positivistica” o per l’emancipazione della classe oppressa e, attraverso essa, dell’intera società teorizzata in ambito “socialista”12. Né si può dire che Nietzsche intendesse lo Stato come strumento della nazione13 o della “razza”, come l’intendeva propriamente la pubblicistica nazionalista (e quella socialdarwinistica14, non di rado a essa intrecciata, in Germania). Nondimeno, Nietzsche considera lo Stato come strumento, inizialmente sulla scorta di Arthur Schopenhauer e, per rispondere all’ovvia domanda che sorge a questo punto, cioè di che cosa lo Stato sia strumento, se si vuole superare la corretta ma ancora generica chiamata in causa della volontà di potenza, non è possibile fare nient’altro che ricostruire le diverse fasi della riflessione nietzscheana stessa sullo Stato. Come si vedrà, Nietzsche concepisce quale finalità della società prima il “genio artistico”, poi lo “spirito libero” nella forma del “grande individuo”, e infine il “superuomo” (varianti di quello che è stato definito da Herbert Marcuse il “neoindividualismo” di Nietzsche15); in estrema sintesi: il “grande individuo” (e poi il “superuomo”) come “giustificazione”, come teleologia della società e lo Stato come suo strumento. Va rilevato che nella “costruzione” del concetto di Stato Nietzsche usa materiali che hanno un peso diverso a seconda delle fasi del suo pensiero: la città-Stato greca, il principato rinascimentale italiano (visto con gli occhi di Niccolò Machiavelli e di Jakob Burckhardt) e 12 Nietzsche non conobbe il pensiero di Marx e di Engels neppure nella sua più nota formulazione, il celebre Manifest del 1848; conosceva invece il pensiero di Ferdinand Lassalle, sia pure indirettamente (attraverso l’opera di Joseph Edmund Jörg, Geschichte des social-politisches Parteien in Deutschland, Freiburg im Breisgau, Herder ‘sche Verlagshandlung, 1867, cap. VII, come apprendiamo da una lettera di Nietzsche stesso a Carl von Gersdorff del 16 febbraio 1868), e direttamente soltanto il pensiero di un socialista “atipico” come Eugen Dühring. Non ci sono prove di una conoscenza, da parte di Marx e di Engels, del pensiero di Nietzsche. 13 Sulla conoscenza che Nietzsche ebbe del pensiero di Heinrich von Treitschke si veda oltre, cap. II. 14 Il cui maggiore esponente fu il giurista e sociologo Ludwig Gumplowicz (1838 - 1909), autore, nel 1875, di un saggio intitolato Rasse und Staat e, successivamente, di un ampio studio intitolato Die soziologische Staatsidee, (1892), rist. Aalen, Scientia Verlag, 1969 ampiamente diffuso nei paesi di lingua tedesca e tradotto persino in italiano nel 1904 (Il concetto sociologico dello Stato, Torino, Fratelli Bocca Editori). Nietzsche non nomina mai lo scritto di Gumplowicz del 1875 anche se là dove affronta questioni connesse col “problema della razza” il pensiero di Gumplowicz come termine di riferimento potrebbe non essergli stato sconosciuto. Su alcune coincidenze oggettive fra il pensiero di Nietzsche e quello di Gumplowicz si sofferma D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle, cit., pp. 509, 724, 856 – 857. E’ noto, peraltro, che Nietzsche conosceva bene l’opera più nota di John Lubbock (1834-1913) (The origin of civilisation and the condition of man. Mental and social condition of savages, London, Longmans, 1875) in traduzione tedesca (Die Entstehung der Civilisation und der Urzustand des Menschengeschlechtes, Costenoble, Jena, 1875) menzionato da M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, Milano, Adelphi, 2000, p. 108. 15 Cfr. H. Marcuse, Di fronte al nazismo. Scritti di teoria critica 1940-1948, tr. it. di R. Laudani con una premessa di Carlo Galli, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 4. 6 infine l’Impero romano.Con questi modelli istituzionali si intrecciano modelli teorici come quello hobbesiano mediatogli da Schopenhauer16, il modello “negativo” hegeliano, “letto” attraverso Schopenhauer, il modello positivistico mediatogli, in ampia misura, da Paul Rée17. L’intero arco della riflessione nietzscheana sullo Stato ha come termine di confronto il Reich bismarckiano; un termine di confronto essenziale per comprendere le metamorfosi della “grande individualità” attraverso le fasi della teorizzazione di quest’ultima da parte del filosofo. Il coinvolgimento diretto di Nietzsche nella quotidianità politica, come si noterà più avanti, è particolarmente intenso nel periodo 1866-1874 e, come testimoniano anche le lettere, va ridimensionandosi, in fondo, nel dodicennio successivo18; l’interesse teorico per il problema dello Stato, invece, resta costante sino agli ultimi appunti del 1888. L’analisi che il filosofo sviluppa non si presenta, tuttavia, nei termini di un discorso sui meccanismi amministrativi o sui principi costituzionali del Reich, bensì nei termini di un’indagine sul significato dello Stato tedesco e dello Stato in generale. Il “luogo di convergenza” delle riflessioni nietzscheane è la connessione tra “nazionalismo, democrazia di massa e interventismo statale” e le ambiguità di un “democraticismo” – quello bismarckiano - diviso in una componente rappresentativa e in una componente plebiscitaria19; a tale connessione Nietzsche applica, dopo il 1877, la pietra di paragone del “grande individuo”, della crisi dello Stato-Nazione, della groβe Politik e dell’Europa come futuro soggetto politico di quest’ultima (col correlativo problema della “nuova gerarchia”). Egli giunge gradualmente a propugnare una sorta di teoria “cesaristica” dello Stato; ma non dello Stato-Nazione, centro della propaganda pangermanistica, bensì di una Europa unita. La visione della incipiente società di massa in Europa è attraversata dalla convinzione che si stiano creando, proprio attraverso la massificazione, gli strumenti migliori di cui si potranno servire le “nature dominatrici”, i futuri “aristòcrati” dell’Europa. Questi ultimi realizzeranno l’avvento della superumanità. Non la politica quotidiana in sé stessa costituiva l’interesse precipuo del filosofo, né l’insieme delle istituzioni concrete, bensì il significato filosofico e politico dell’una e delle altre; ma non è il significato filosofico il centro del presente lavoro, anche se spesso vi si accennerà, bensì quello politico; il pensiero politico nietzscheano non è del tutto separabile dal suo pensiero filosofico: pertanto, sia pure soltanto come sfondo, saranno richiamate le grandi tematiche filosofiche per le quali Nietzsche è noto; non sarà, tuttavia, evitabile una certa “emarginazione” dell’imponente letteratura critica a carattere prettamente ermeneutico-filosofico a lui dedicata. 16 Vedere oltre, cap. II. Cfr. Paul Rée, Die Entstehung der moralischen Empfindungen, Chemnitz, Schmeitzner, 1877. Sono tutt’altro che infrequenti, comunque, negli scritti di Nietzsche successivi al 1876, menzioni di Herbert Spencer o allusioni a John Stuart Mill. 18 Ma si cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle, cit., parte terza, capp. 17 e 18. 19 Utilizziamo qui la terminologia impiegata da Michael Stürmer, Das ruhelose Reich. Deutschland 1866-1918, Berlin, Severin und Siedler, 1983, tr. it. di A. Roveri, L’impero inquieto. La Germania dal 1866-1918, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 154. 17 7 La scansione delle fasi del pensiero di Nietzsche a proposito dello Stato coincide, in linea di massima, con quelle evidenziate per il suo pensiero filosofico dalla letteratura critica più influente20. Il presente scritto si propone, anche per limiti di spazio disponibile, soltanto come un tentativo di evidenziare l’interna coerenza dell’aspetto del pensiero politico di Nietzsche preso in esame, non già come uno studio che pretenda di esaurirne tutte le articolazioni interne. La discussione della bibliografia è inoltre limitata ai soli studi che hanno considerato come strategicamente centrale per il pensiero di Nietzsche il concetto di Stato, le sue connessioni con il concetto di groβe Politik e con il tema dell’unificazione dell’Europa. Ringrazio Corrado Malandrino che ha cortesemente letto varie versioni di questo scritto suggerendomi modifiche nella strutturazione del testo. Delle interpretazioni sviluppate in questo scritto sono, comunque, l’unico responsabile. 20 Che, peraltro, riprende sostanzialmente quella delineata da Nietzsche stesso nella sua autobiografia filosofica, Ecce Homo. 8 Abbreviazioni B=Friedrich Nietzsche, Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Berlin-New York, De Gruyter, 1975 -ss. E=Friedrich Nietzsche, Epistolario, a cura di G. Colli e M. Montinari, 1977 -ss. J=Curt Paul Janz, Friedrich Nietzsche. Biographie, Carl Hanser Verlag, München-Wien 19781979, tr. it. di M. Carpitella, Vita di Nietzsche, 3 voll., Roma-Bari, Laterza, 1980-1983. KGA=Friedrich Nietzsches Werke. Kritische Gesamtausgabe, herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, Berlin-New York, De Gruyter, 1967 -ss: I 1: Nachgelassene Aufzeichnungen (Anfang 1852–Sommer 1856), 1995. I 2: Nachgelassene Aufzeichnungen (Herbst 1858–Herbst 1862), 2000. I 3: Nachgelassene Aufzeichnungen (Herbst 1864–Frühjahr 1868), 1999. II 1: Philologische Schriften (1867–1873), 1982. II 2: Vorlesungsaufzeichnungen (SS 1869–WS 1869/70). Anhang: Nachschriften von Vorlesungen Nietzsches, 1993 II 3: Vorlesungsaufzeichnungen (SS 1870 – SS 1871), 1993. II 4: Vorlesungsaufzeichnungen (WS 1871/72–WS1874–1875), 1995. III 1: Die Geburt der Tragödie. Unzeitgemässe Betrachtungen I – III (1871 – 1874), 1972. III 2: Nachgelassene Schriften (1870 – 1873), 1973. III 3: Nachgelassene Fragmente (Herbst 1869–Herbst 1872), 1978. III 4: Nachgelassene Fragmente (Sommer 1872–Ende 1874), 1978. III 5: Michael Kohlenbach und Marie-Luise Haase, Nachbericht zur dritten Abteilung. Erster Halbband: kritischen Apparat (Die Geburt der Tragödie, Unzeitgemässe Betrachtungen I – III, Nachgelassene Schriften 1870–1873), 1997. Zweiter Halbband: kritischer Apparat (Nachgelassene Fragmente (Herst 1869–Ende 1874), 1997. IV 1: Richard Wagner in Bayreuth (Unzeitgemässe Betrachtungen IV). Nachgelassene Fragmente (Anfang 1875 bis Frühling 1876), 1967. IV 2: Menschliches, Allzumenschliches I. Nachgelassene Fragmente (1876 bis Winter 1878), 1967. IV 3: Menschliches, Allzumenschliches II. Nachgelassene Fragmente (Frühling 1878 bis November 1879), 1967. IV 4: Mazzino Montinari, Nachbericht zur IV. Abteilung. V 1: Morgenröthe. Nachgelassene Fragmente (Anfang 1880 bis Frühjahr 1881), 1971. V 2: Idyllen aus Messina. Die fröhliche Wissenschaft. Nachgelassene Fragmente (Frühjahr 1881 bis Sommer 1882), 1973. 9 VI 1: Also sprach Zarathustra (1883–1885), 1968. VI 2: Jenseits von Gut und Böse. Zur Genealogie der Moral (1886–1887), 1968 V1 3: Der Fall Wagner. Götzen-Dämmerung. Nachgelassene Schriften (August 1888 bis Anfang Januar 1889): Der Antichrist. Ecce Homo. Dionysos-Ditiramben. Nietzsche contra Wagner, 1969 VI 4: Marie-Luise Haase und Mazzino Montinari, Nachbericht zum ersten Band der Sechsten Abteilung (Also sprach Zarathustra), 1991. VII 1: Nachgelassene Fragmente (Juli 1882 bis Winter 1883/84), 1977. VII 2: Nachgelassene Fragmente (Frühjahr bis Herbst 1884), 1974. VII 3: Nachgelassene Fragmente (Herbst 1884 bis Herbst 1885), 1974. VII 4: Mazzino Montinari, Nachbericht zur VII. Abteilun., Erster Halbband: Nachgelassene Fragmente (Juli 1882 bis Winter 1883/84) 1984., 1984. Zweiter Halbband: Nachgelassene Fragmente (Frühjahr 1884 bis Herbst 1885), 1984. VIII 1: Nachgelassene Fragmente (Hebst 1885 bis Herbst 1887), 1974. VIII 2: Nachgelassene Fragmente (Herbst 1887 bis März 1888), 1970. VIII 3: Nachgelassene Fragmente (Anfang 1888 bis Januar 1889), 1972. IX 1: Der handschriftliche Nachlaβ ab Frühjahr 1885 in differenzierte Transkription. Notizheft N VII I, 2001. IX 2: Der handschriftliche Nachlaβ ab Frühjahr 1885 in differenzierte Transkription. Notizheft N VII 2, 2001. IX 3: Der handschriftliche Nachlaβ ab Früjahr 1885 in differenzierte Transkription.Notizheft N VII 3, 2001. OFN = Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, Milano, Adelphi, 1964 -ss. I 1: Scritti giovanili 1856–1864, 1998. I 2: Scritti giovanili 1865–1869, 2001 III 1: La nascita della tragedia.Considerazioni inattuali I – III, 1972. III 2: La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e Scritti dal 1870 al 1873, 1973. III 3, 1: Frammenti postumi 1869–1874, 1989. III 3, 2: Frammenti postumi 1869–1874, 1992. IV 1: Richard Wagner a Bayreuth e Frammenti postumi 1875–76, 1967. IV 2: Umano, troppo umano, I e Frammenti postumi 1876–78, 1965. IV 3: Umano, troppo umano,II e Frammenti postumi 1878–79, 1967. 10 V 1: Aurora e Frammenti postumi 1879–81, 1964. V 2: Idilli di Messina – La gaia scienza e Frammenti postumi 1881–82, 1965 (nuova ed. rived., 1991). VI 1: Così parlò Zarathustra, 1968. VI 2: Al di là del bene e del male – Genealogia della morale, 1968. VI 3: Il caso Wagner – Il crepuscolo degli idoli – L’anticristo – Ecce Homo – Nietzsche contra Wagner, 1970. VI 4: Ditirambi di Dioniso e Poesie postume 1882–88, 1970. VII 1, 1: Frammenti postumi 1882–1884, 1982. VII 1, 2: Frammenti postumi 1884, 1976. VII 3: Frammenti postumi 1884–1885, 1975. VIII 1: Frammenti postumi 1885–87, 1975. VIII 2: Frammenti postumi 1887–88, 1971. VIII 3:Frammenti postumi 1888– 89, 1974. Tutti i corsivi in citazione dalle opere di Nietzsche sono del filosofo stesso. 11 I. Nietzsche e lo Stato: interpretazioni Si è detto che gli studi specifici sul nostro argomento sono molto rari21. Aggiungiamo che non più di sette studiosi, nell’ intero arco della bibliografia nietzscheana, hanno dedicato un certo spazio al problema dello Stato nel pensiero di Nietzsche: Alfred Bäeumler, Walther Kaufmann nel quadro di ricostruzioni generali, Massimo Cacciari, Luigi Alfieri Roberto Escobar, Franco Livorsi e Karl Löwith nel contesto della saggistica sul pensiero politico del filosofo. Rispetto alla bibliografia sul pensiero politico di Nietzsche22 si tratta di studi che hanno considerato il problema dello Stato come strategicamente rilevante per lumeggiare il politico nietzscheano. Ci soffermeremo in primo luogo brevemente sull’opera di Bäeumler perché è la prima a essere per larga parte incentrata sulla questione della statualità in Nietzsche e può essere considerata, a buon diritto, il primo termine di confronto per un abbozzo di storia delle interpretazioni23. Nonostante l’opinione comune24, sarebbe difficile giudicare Alfred Bäeumler come uno degli “ideologi di punta” del partito nazionalsocialista tedesco; egli, infatti, aderì al partito soltanto nel 1934 e vi ricoprì incarichi ufficiali senza avere mai il peso politico di un Rosenberg o di un Kriek. E’ ragionevole vedere in lui, soprattutto, un pangermanista guadagnato alla causa del nazionalsocialismo25. Lo studioso muove – come faranno, più tardi, Kaufmann e Lukacs - da una rivendicazione della “Einheit der Nietzscheschen Produktion” incentrata sul principio secondo il quale il mondo è 21 Cfr. Martin Bermann, Nietzsche on the State, “Systematics”, 11, 1973, pp. 54-59; Raymond Polin, Nietzsche und der Staat oder die Politik eines Einsamen in Nietzsche. Werk und Wirkung, hg. von H. Steffen, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1974, pp. 22-44, entrambi inclini a sottolineare il carattere individualistico della posizione di Nietzsche sullo Stato. 22 Cfr. Georg Adler, Nietzsche. Der Sozialphilosoph der Aristokratie in „Nord und Süd“, 56, 1891, pp. 224-240; Franz Mehring, Nietzsche gegen den Sozialismus, in „Die Neue Zeit“, XV, 1, 1896-1897, pp. 545-549; Louis Leibrich, Nietzsche et la politique, in „Etudes Germaniques“, 1, 1946, pp. 41-58; S. J. Colman, Nietzsche as politique et moraliste, „JHI, 27, oct. 1966, pp. 549-574; Réné-Jean Dupuy, Politique de Nietzsche. Textes choisis et présentés, Paris, Colin, 1969 ; Sabbash Kasyap, The unknown Nietzsche : his socio-political thought and legacy, Delhi, 1970; Tracy Strong, Nietzsche and politics in Robert Solomon (ed.), Nietzsche: a collection of critical essays, New York, Anchor Press, 1973, pp. 258-292; Giuliano Campioni, Von der Auflösung der Gemeinschaft des ‚Freigeist’, „Nietzsche-Studien“, 1975, pp. 83-112. 23 Lo scritto di Bäeumler Nietzsche. Der Philosoph und Politiker, Leipzig, Reclam, 1931 (ed. it. e traduzione di Luigi Alessandro Terzuolo, Nietzsche filosofo e politico, Padova, Edizioni di Ar, 2003) si occupa della teoria nietzscheana dello Stato da p. 88 a p. 177 (pp. 71-136, tr. it.) e nell’Epilog, pp. 178-183 (pp. 136-140, tr. it.). Tutti gli altri scritti di Baeumler su Nietzsche sono stati tradotti in lingua italiana da L. A. Terzuolo con il titolo L’innocenza del divenire, Padova, Edizioni di Ar, 2003. 24 Che può essere ben esemplificata dal saggio di Georges Bataille, Nietzsche e i fascisti, in Gilles Deleuze, Nietzsche, ed. it. a cura di F. Rella, Verona, Bertani, 1973, 2^ ed. 1977 e già dalle pagine dedicate da Lukacs, nella sua monumentale Zerstörung der Vernunft, a Bäeumler. Una interpretatio autentica della milizia di quest’ultimo nella N.S.D.A.P. si può leggere nell’ appendice alla traduzione italiana, curata da F. Coppellotti , della Ästhetik (1934), interamente composta sulla base di scritti autobiografici dell’Autore, cfr. A. Bäeumler, Estetica, Padova, Edizioni di Ar, 1999, pp. 147-151. 25 Letture ideologicamente ben più “conformi” di quella di Bäeumler sono quelle di Alfred Rosenberg, Friedrich Nietzsche. Aussprache bei einer Gedankstunde anlässlich des 100 Geburtstag F. N. am 15. oktober 1944, Munich, Eher (Zentralverlag der NSDAP), 1944 preceduta da quelle di H. Härtle (Nietzsche und der Nationalsozialismus, Munich, Eher, 1937) e di R. Oehler (F. Nietzsche und die Deutsche Zukunft, Leipzig, Armanen Verlag, 1935); cfr. Mazzino Montinari, Appunti su Nietzsche e il nazionalsocialismo in “Studi Tedeschi”, 2, 1972, pp. 49 -ss centrato sull’interpretazione bäeumleriana del pensiero di Nietzsche; una sintesi della replica a questo saggio di Montinari da parte della moglie di Bäeumler si può leggere in tr. it in A. Bäeumler, L’innocenza del divenire, tr. it. di L. A. Terzuolo, Padova, Edizioni di Ar, 2003, pp. 243–249. Sulle interpretazioni nazionalsocialiste nel loro complesso cfr. Giorgio Penzo, Il superamento di Zarathustra, Roma, Armando, 1985. 12 divenire, cioè “kämpfen und siegen” e la filosofia di Nietzsche che la rispecchia totalmente è un “ heroischer Realismus”26. Perno del pensiero politico di Nietzsche sarebbe una visione “germanica” dello Stato, non già “tedesca” - per “tedesco” Bäeumler intende il germanesimo sotto l’influenza cristiano-romana. Nietzsche si pone contro lo Stato, “non semplicemente contro lo Stato tedesco, ma contro lo Stato in sé”27 fin dalla giovinezza. “Nietsches Wort ist (...)«urgermanisch»28: nella tradizione germanica il re non è «imperatore» in senso romano, ma capo dell’esercito e difensore del diritto tradizionale. Il Germano riconosce un capo (Führer) soltanto nel momento del pericolo, nella guerra, ma “non riconosce un signore”29. Su queste basi, lo studioso sostiene che Nietzsche critica il socialismo per il suo “statalismo”, lo Stato democratico per il suo “livellamento” , il nazionalismo e il pacifismo30 in quanto esiti delle “non-germaniche” idee della Rivoluzione Francese.31 Bersaglio di Nietzsche sarebbe lo “hegelschen Totalstaat als Kulturstaat”32, il liberal-nazionalismo come derivazione hegeliana e sintesi di Illuminismo e Romanticismo;33 Nietzsche critica Bismarck, secondo la ricostruzione di Bäeumler, per il suo “piccolo nazionalismo”, gli oppone la grosse Politik 34 e propugna l’ “idea eroica” di uno Stato che avrà il compito di “guidare” l’Europa35. Lo Stato è, secondo Bäeumler, il mezzo della Grande Politica; quest’ultima può sorgere soltanto dalla rivitalizzazione del “germanesimo originario” attraverso il pensiero politico di Nietzsche. In questa lettura bäeumleriana non è difficile cogliere, come reale filtro interpretativo, il mito del “risveglio nazionale” della Germania36 come sua rigenerazione; in esso, propriamente, era stata fissata la distinzione fra “tedesco” e “germanico”; e la critica a ciò che era “tedesco” coincideva con l’esaltazione di ciò che era “germanico”; il disastro stesso del 1918 era stato inteso come il “fuoco purificatore” che aveva distrutto la scorza tedesca per farne scaturire il “germanesimo”. Diversa è la lettura nazionalsocialista che considera selettivamente l’opera di Nietzsche: Alfred Rosenberg ha scritto che il nazionalsocialismo vede come propri precursori esclusivamente Richard Wagner, Friedrich Nietzsche, Paul de Lagarde e Houston Stewart 26 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., pp. 14-15. Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 89. 28 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 94. 29 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 91. 30 Si noti la significativa omissione di un altro bersaglio polemico di Nietzsche: l’antisemitismo. 31 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 119. 32 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 133. 33 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 134. 34 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 144. 35 Cfr. A. Bäeumler, Nietzsche, cit., p. 182. 36 Cfr. Oswald Spengler, Neubau des deutschen Reiches, Beck, München, 1924, pp. 28-29 e 40-50; Arthur Möller van den Brück, Der politische Mensch, antologia a cura di Hans Schwarz (1933), tr. it. di L. Arcella, L’uomo politico, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 1997, pp. 62-66 (su Nietzsche e la rigenerazione tedesca) 27 13 Chamberlain; in altri termini, ciò che interessa a Rosemberg del pensiero di Nietzsche è solo quanto può conciliarsi con l’ottica pangemanistica degli altri tre autori citati37. Il problema dello Stato nel pensiero di Nietzsche è affrontato in numerosi passi del vasto saggio di Walter Kaufmann Nietzsche. Philosopher, Psychologist, Antichrist (1950)38. Questo studio rappresenta un decisivo passo in avanti sul piano interpretativo. Esso sottolinea, infatti, nel capitolo V, la radicale contrapposizione di Nietzsche nei confronti dello Stato. Per Kaufmann il discorso di Nietzsche, centrato sull’individualità umana, s’identifica teoreticamente con il discorso filosofico sull’Existenz. Già Jaspers (ricordato da Kaufmann39) aveva indicato in Nietzsche un precursore della Existenzphilosophie; Kaufmann stesso nota motivi di intreccio teoretico tra il pensiero di Nietzsche, la fenomenologia di Husserl e la Existenzphilosophie40 e sottolinea che il problema fondamentale dell’uomo, per Nietzsche, “è quello di raggiungere la vera «esistenza»”, perché la sua vita sia qualche cosa di più che un incidente41. Ed è proprio a un’esistenza «autentica» che lo Stato sarebbe d’ostacolo, secondo Nietzsche; questi attacca non già il Reich, ma lo Stato in generale: in merito “il suo punto di vista è meno storico che sovrastorico”42 e si oppone, in generale, anche alla “sopravvalutazione della politica43 perché considera l’intero “regno dello spirito oggettivo” soltanto come una parte della natura e lo Stato come” una versione più complicata della massa”44. E’ agevole constatare che né Bäeumler, né Kaufmann accennano a un divenire storico del punto di vista nietzscheano. Massimo Cacciari45 riconduce, invece, la posizione di Nietzsche sullo Stato a una sorta di Entzauberung in base alla quale il filosofo tedesco vede nello Stato stesso e nella razionalità scientifica due meri strumenti della volontà di potenza. Obiettivo di Cacciari non è fare una storia del concetto di Stato in Nietzsche, ma ricostruire i diversi aspetti del “disincantamento” del Politico all’interno del processo, epistemologico non meno che socio-politico, di “organizzazione totale del mondo” nella cultura filosofica centro-europea a cavaliere tra i secoli XIX e XX. Ciò che lo studioso denomina “l’Impolitico nietzscheano” smaschera il discorso di 37 Cfr. A. Rosenberg, Gestalten der Idee, München, Eher, 1936, 2^ edizione, p. 18. E’ sempre utile leggere, sulle interpretazioni nazionalistiche di Nietzsche, lo scritto di Franz Pfemfert Die Deutschsprechung Friedrich Nietsches (1915) riportata, ora, in Nietzsche und die deutsche Literatur, herausgegeben von Bruno Hillebrand, vol. I. Texte zur Nietzsche-Rezeption 1873-1963, Munich, DTV, 1978, pp. 177-179, ironico giuoco di contrapposizioni fra le rivendicazioni nazionalistiche della parola nietzscheana e i passi delle opere del filosofo nei quali egli parla più sapidamente dei tedeschi e del nazionalismo tedesco. 38 tr. it. di R. Vigevani (condotta sulla 2^ edizione, del 1968), Nietzsche filosofo, psicologo, anticristo, Firenze, Sansoni, 1974, p. 97 (critica di Bäeumler), 124-126 (la critica nietzscheana dello Stato si rivolge contro Hegel e contro l’idea che la libertà si realizzi pienamente soltanto nello Stato), 201 (la convinzione i Nietzsche che Wagner fosse stato corrotto dal suo tardivo successo e che per conservarlo e accrescerlo avesse fatto pace con lo Stato, con la Chiesa e si fosse piegato all’opinione pubblica), 431 (sullo Stato come nuovo idolo) e numerosi altri passi. 39 Cfr. Karl Jaspers, Nietzsche. Einführung in das Verständnis seines Philosophierens, Berlin-Leipzig, De Gruyter, 1936. 40 Cfr. W. Kaufmann, Nietzsche, cit., p. 103. 41 Cfr. W. Kaufmann, Nietzsche, cit., p. 178. 42 Cfr. W. Kaufmann, Nietzsche, cit., p. 184. 43 Cfr. W. Kaufmann, Nietzsche, cit., p. 185. 44 cfr. W. Kaufmann, Nietzsche, cit., p. 196. 45 Cfr. M. Cacciari, L’impolitico nietzscheano, in F. Nietzsche, Il libro del filosofo, a cura di Marina Beer e M. Ciampa, Roma, Savelli, 1978, pp. 105-120. 14 valore che ancora fonda il politico nella società di massa, a differenza dell’Impolitico di Thomas Mann che vi vede il mero disvalore. L’Impolitico nietzscheano consiste, in realtà, in quel rovesciamento di valore che libera il Wille zur Macht nella dimensione di un «Politico in grande» il quale fa i conti con la politicizzazione totale dei rapporti sociali. La politicizzazione è un processo oggettivo, necessario in quanto distruzione del Valore, continua Cacciari; l’Impolitico “decostruisce” la totalità che sta sorgendo in quel complesso istituzionale che tende a rinserrare e a sussumere in sé la totalità degli interessi sociali; svela, in altri termini, gli arcani della società capitalistica di massa in piena fase di ascesa. La democratizzazione genera l’organizzazione politica; ma il politico viene, a questo punto, a rivelarsi come un campo di forze eterogenee e contraddittorie; la subordinazione allo Stato viene sottoposta all’interesse dei singoli; la legge stessa non è altro che l’organizzazione politica determinata che l’ha prodotta. Ridotto a mera contingenza, lo Stato viene “desacralizzato”. Salta, così, la conciliabilità delle esigenze sociali sostenuta in nome di una eliminazione armonicistica dei conflitti: la loro sintesi non è più possibile all’interno della “piccola politica”. Il “fare” dei diversi soggetti, prosegue Cacciari, si è incarnato nella potenza politica dei diversi interessi di classe la cui contrapposizione liquida la teleologia del valore del lavoro di cui lo “Stato dialettico” è la forma. Il lavoratore pone come impossibile la sintesi; sorgono, dunque, quegli “individui pericolosi” cui Nietzsche si riferisce in Aurora46. Se lo “Stato dialettico” si regge soltanto sul valore del lavoro, sul riconoscersi universale dei soggetti in esso, la dura demitologizzazione del valore del lavoro e dello “Stato dialettico” operata da Nietzsche è il segno che lo “stato dialettico” stesso, oramai, è inconcepibile e che l’ “operaio” avverte la propria condizione come impossibile in due sensi: perché le condizioni dello sfruttamento sono, palesemente, una “ignominia” e perché l’ “individualità” del lavoratore rende impossibile il processo dialettico di riduzione e mediazione della potenza della forma-Stato. Nietzsche ha colto a suo modo, secondo Cacciari, l’insieme dei nodi che oppongono la classe operaia allo “Stato del Capitale”, mostrando lo Stato come dominio, il lavoro come schiavitù, demistificando, dunque, la “dignità del lavoro”, e sottolineando la riottosità dei lavoratori a essere semplici ingranaggi del processo di valorizzazione del capitale. Il saggio di Roberto Escobar Nietzsche e la filosofia politica del XIX secolo47 è parzialmente dedicato al problema dello Stato48. Il presupposto che innerva l’intero studio è che Nietzsche è l’intellettuale borghese più radicale perché porta i presupposti ideologici della propria classe di appartenenza al loro esito nichilistico. Sotto questo profilo, Nietzsche è il portatore delle 46 Cfr., a esempio, gli aff. 173 e 206 , F. Nietzsche, OFN, V1, pp. 127 e 152–154 (KGA, pp. 154 e 183–185. Milano, Edizioni del Formichiere, 1979 48 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., pp.143-200. 47 15 contraddizioni fondamentali di una classe oggettivamente in declino e il suo pensiero sullo Stato rivela con particolare chiarezza alcune tra queste contraddizioni49. Nietzsche sostiene che i rapporti politici sono rapporti di potenza50; a partire da questo assunto fondamentale prende corpo un’ambiguità basilare: “da un lato[Nietzsche] rifiuta la «santificazione» dello Stato, parallela alla assolutizzazione del presente e del successo (che egli vede nella realtà del suo tempo e che crede di potere ricondurre all’influsso del pensiero hegeliano); dall’altro, però, giunto al termine della propria analisi, sembra paradossalmente recuperare l’idea di Stato in una versione radicalizzata (lo «Stato forte») in funzione del proprio disegno relativo alla costruzione di un nuovo modello umano51”. E’ questa, secondo Escobar, la contraddizione che va illuminata per comprendere e “rendere produttivo” il pensiero di Nietzsche sullo Stato. “Stato”, osserva Escobar, è “la parola con cui [Nietzsche] designa ogni forma di dominio (sempre violento) da parte di un individuo o di un gruppo nei confronti di una comunità (...)”52. Esso è la dimensione del “gregge”, dimensione “radicalmente eteronoma”53 cui si oppone l’ Übermensch; nell’utopia nietzscheana lo Stato e la sua violenza vengono superati dall’Übermensch anche perché per Nietzsche lo Stato è soltanto un mezzo: “Il suo valore non consiste nella capacità di rappresentare e promuovere «valori», ma nel suo opporsi a una situazione di disordinata violenza”54. Il superuomo ha senso soltanto “dopo lo Stato”, sostiene Escobar55. Lo Stato non sorge per “contratto”, ma dai violenti rapporti delle origini umane e giunge a sublimarsi sino a “Stato idolo” nella filosofia hegeliana56 nei termini di una forza opposta alla “cultura”57. E tuttavia, osserva lo studioso, Nietzsche fa l’apologia dello Stato antico fondato sul controllo delle passioni e sulla condivisione di un’ “immagine del mondo”58, critica lo Stato moderno che su tale condivisione non si fonda (fondandosi, invece, su principi razionali “astratti”) e finisce per recuperare il valore del nazionalismo e persino del militarismo59, contro il socialismo e la democrazia, per creare il contesto favorevole al superuomo. Secondo Escobar la contraddizione viene a sussistere tra il superuomo come realtà che può nascere soltanto dalle ceneri dello Stato e il superuomo come realtà che può nascere solo 49 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 179. Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 143. 51 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 144. 52 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 148. 53 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 148. 54 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 150. 55 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., p. 152. 56 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., pp.154-159. 57 Cfr. R. Escobar, nietzsche, cit., pp. 159-162. 58 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., pp. 162-164. 59 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., pp. 182-183 50 16 attraverso uno Stato fondato sulle ceneri della democrazia e del socialismo; da un lato Nietzsche critica lo Stato; dall’altro ne fa l’apologia. E la contraddizione, secondo Escobar, è insanabile. E’ programmaticamente limitato agli scritti composti da Nietzsche tra il 1869 e il 1876 lo studio di Luigi Alfieri60. Il selettore utilizzato dallo studioso è il rapporto fra Kultur e società che viene considerato l’unico problema comune a tutte le opere nietzscheane del periodo preso in considerazione. Attraverso un’indagine diacronica Alfieri giunge a sostenere che il tema “rivoluzionario” implicito nella Nascita della tragedia diviene esplicito in Richard Wagner a Bayreuth configurando il pensiero del giovane Nietzsche come “critico dell’ordine costituito, sostenitore della giustizia sociale e persino della «democrazia»”61; tuttavia, “ogni fenomeno collettivo si presenta, dal punto di vista nietzscheano, come una ricaduta nella barbarie: la vita dei popoli è dominata dalla guerra, dagli odi nazionali o di classe, dal militarismo, dalla supina acquiescenza alle convenzioni, dall’obbedienza fanatica allo Stato o da una ribellione allo Stato che a Nietzsche appare una pura esplosione di nichilismo62”. Nietzsche, in fondo, non esce, secondo Alfieri, dal problema della cultura com’esso è stato tematizzato dal suo tempo: egli l’ha sviscerato per intero, sia in negativo, sia in positivo, lumeggiandolo nei termini della polarità tra “genio” e “popolo”. Tra questi due poli, dopo la Nascita della tragedia, il filosofo non vedrà “alcun passaggio”63. Il dionisiaco è “rivoluzione”, o scatenamento della passionalità come momento meramente negativo della politica, mentre l’apollineo è “il puro, assoluto dominio”. La tragedia attica è la sintesi di entrambi e ha il suo corrispettivo istituzionale nella democrazia ateniese. Ciò che Nietzsche cerca, rileva Alfieri, è una sintesi analoga nella situazione tedesca del 1869-1876 e per questo motivo egli teme la rivoluzione, com’è attestato chiaramente dal suo atteggiamento nei confronti della Comune di Parigi. Nietzsche cerca una sintesi “greca”, anzi, ateniese, del conflitto fra dionisiaco e apollineo (che egli giudica essere gli impulsi fondamentali della vita psichica umana, non soltanto di quella degli antichi Greci); ma una tale sintesi presuppone la ripresa della connessione fra Kultur e schiavitù e Nietzsche la propone, osserva Alfieri, in temini di “ideali astratti e sogni metafisici” e di “puro fanatismo filosofico64. Alla realizzazione di tali ideali presiede l’ “Apollo doricoprussiano”, “il dio dello Stato che è anche il dio della guerra e della schiavitù”65. 60 Cfr. L. Alfieri, Apollo tra gli schiavi. Filosofia e società nel giovane Nietzsche, Milano, Franco Angeli, 1984. Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., p. 21. 62 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., pp. 34-35. 63 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., p. 37. 64 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., p. 149. 65 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., p. 155. 61 17 Nel saggio Schopenhauer come educatore, osserva ancora Alfieri, Nietzsche riconferma il carattere strumentale dello Stato rispetto alla cultura; la cultura gli appare come “figlia dell’autoconoscenza del singolo e dell’insoddisfazione di sé”66 e in antitesi con un potenziamento dello Stato. Il quadro complessivo che risulta da questa lettura delle opere giovanili di Nietzsche è quello di una ambiguità marcata del filosofo tedesco il quale oscilla tra l’elogio dello Stato come forma, speranze in una rinascita ellenica della Germania grazie anche al Reich bismarckiano e pulsioni rivoluzionarie interamente legate allo sviluppo della nozione di “Dionisiaco”. Risale al 1985 il saggio di Franco Livorsi Friedrich Nietzsche67che rappresenta una ricostruzione sobria e completa del pensiero politico di Nietzsche nella quale il concetto di Stato ha una funzione decisiva per illustrare il pensiero politico del filosofo tedesco. “La linea di fondo di Nietsche, scrive l’Autore, è relativista-nichilista in gnoseologia; dionisiaca, nel senso del nesso tra distruzione e creazione e della complementarietà tra nascita, morte e nuova nascita, e “bene” e “male” come aspetti in sé fusi della vita, e in generale fra l’unità divina e la molteplicità del reale, sul piano dell’ontologia e dell’etica; e infine aristocratico-libertaria e cesarista, con aperture democratiche, sul piano politico” 68. La posizione di Nietzsche oscilla, politicamente, tra ”presidenzialismo, o cesarismo, democratico oppure autoritario, respingendo o considerando molto strumentalmente le altre possibili soluzioni politiche. In ogni caso era contro lo Stato burocratico-militare e poneva i suoi Cesari sulla linea di svuotamento e annichilimento graduale dello Stato” 69. Il suo anarchismo aristocratico “è un elitismo a un tempo liberale e libertario” 70; nel filosofo tedesco “si intersecano due atteggiamenti, che si potrebbero definire da un lato un anarchismo aristocratico e dall’altro un cesarismo democratico. I due aspetti non presentano la minima contraddizione: l’anarchismo è il progetto a lungo termine o, se si vuole, l’ “utopia” di Nietzsche; il cesarismo democratico è il progetto concreto, costante, o quanto meno emergente” 71 . Questa “intersezione”, questo intreccio avviene attorno alla concezione dello Stato come “violenza organizzata sin dalle origini” 72 . La figura del Cesare è vista come fenomeno che caratterizza l’apogeo della “stanchezza di un popolo”, il suo “autunno” ed è la conseguenza dell’ “individualismo sfrenato” tipico della fasi di decadenza di un popolo73. Sotto questo profilo Nietzsche interpreta anche la figura di Napoleone74. 66 Cfr. L. Alfieri, Apollo, cit., p. 326. Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, Milano, Franco Angeli, 1985. 68 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., pp. 63-64. 69 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit. p. 62. 70 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., p. 62. 71 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., p. 62. 72 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., p. 34. 73 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., p. 37. 74 Cfr. F. Livorsi, Friedrich Nietzsche, cit., pp. 42-43. 67 18 Questo rapido profilo delle più significative interpretazioni del concetto di Stato in Nietzsche ci mette di fronte a una molteplicità di posizioni per certi versi sconcertante: critica dello Stato come critica del solo modello “romano” di statualità, o come impedimento al pieno sviluppo dell’esistenza individuale o, ancora, come critica della sintesi dialettica del conflitto sociale; subordinazione del discorso sullo Stato alla critica della democrazia e del socialismo o, infine, radicale ambiguità dell’esaltazione dello Stato “apollineo” connessa con l’esaltazione dell’“Anti-Stato” dionisiaco; critica dello Stato da un punto di vista “aristocratico-libertario”. Ognuna di queste interpretazioni coglie certamente un aspetto rilevante e presente nel discorso di Nietzsche sullo Stato. Ma ognuno di questi aspetti si relaziona a un quadro più vasto che è stato delineato forse per la prima volta nei suoi tratti generali da Karl Löwith in un saggio redatto nel 1939, Der europäische Nihilismus. Betrachtungen zur geistigen Vorgeschichte des europäischen Krieges.75Pur non essendo dedicato in modo specifico a Nietzsche il saggio fornisce alcuni spunti preziosi per i nodi problematici di cui ci occupiamo. Ricostruendo lo sviluppo del nichilismo politico europeo, Löwith sottolinea la connessione operante in Nietzsche fra diagnosi della decadenza dell’Europa degli Stati-Nazione e l’auspicio di una decisione volta a creare un’Europa unita, in grado di essere soggetto politico nell’epoca della groβe Politik. Il nichilismo è visto da Nietzsche come crisi del cristianesimo, della “malattia degenerativa” della volontà di potenza. L’organizzarsi della politica estera secondo “grandi spazi”, il tramonto dello StatoNazione e la democratizzazione sono considerati da Nietzsche – secondo Löwith – come i fattori sinergici operanti per l’unificazione politica dell’Europa in vista della lotta per il dominio della terra.76 Lo studioso tedesco individua, così, la linea interpretativa che vede nella riflessione sullo Stato (e, in particolare, sulla crisi dello Stato-Nazione) il filo conduttore della rimeditazione nietzscheana sulle due figure della Groβe Politik e dell’ Europa. Intendiamo saggiare quest’ultima linea interpretativa nelle sue potenzialità di ricostruzione di quello che pare essere il nucleo essenziale del pensiero politico nietzscheano. 75 76 Cfr. K. Löwith, Il nichilismo europeo, tr. it. di F. Ferraresi, prefazione di Carlo Galli, Roma – Bari, Laterza, 1999. Cfr. K. Löwith, Il nichilismo, cit., pp. 46–53. 19 II. Lo Stato e la Cultura (1866-1874) In una lettera a Carl von Gersdorff del 21 giugno 1871 leggiamo: “Ora si annunziano nuovi doveri e se una cosa può sopravvivere, anche nella pace, di quel selvaggio giuoco della guerra, questa sarà lo spirito eroico e insieme riflessivo (der heldmüthige und zugleich besonnene Geist) non privo, però, di avvedutezza, che con mia sorpresa ho trovato, fresco e forte del vecchio vigore germanico, nel nostro esercito: è stata quasi una bella e inaspettata scoperta. Su questo si può costruire: possiamo di nuovo sperare! La nostra missione tedesca non è ancora finita! Mi sento più animoso che mai, perché non tutto è rovinato sotto il livellamento e l’”eleganza” francese-ebraica, né sotto l’avido affaccendarsi della vita di “oggigiorno”. C’è ancora del coraggio, il coraggio tedesco, che è qualcosa di profondamente diverso dall’élan dei nostri deplorevoli vicini”77. La guerra franco-prussiana è finita, il Secondo Reich è già stato proclamato e Nietzsche sta riordinando e scegliendo gli appunti raccolti in vista della composizione del suo primo libro, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, che sarà pubblicato a Natale del 1871. La guerra franco-prussiana ha per Nietzsche un significato particolare: con essa si afferma la Cultur78 contro la Civilisation francese (e lato sensu latina), il “pessimismo della forza” del dramma musicale wagneriano contro l’ottimismo della debolezza tipico, secondo il filosofo, del “dramma musicale latino”, l’idea dell’ “eroe germanico” contro quella dell’”uomo buono primitivo” (idea, quest’ultima, che preannuncia i “movimenti socialistici”79). All’”ottimismo” della Civilisation, culminato nella Commune parigina, Nietzsche non crede che si possa contrapporre però la mera unificazione politica tedesca come se di per sé essa fosse un valore,80finché nel nuovo Reich dominerà quella stessa Civilisation che ha al suo fondo la fede nella “felicità terrena di tutti” e che ha quindi provocato lo scontento di una “classe barbarica di schiavi”81. Ciò a cui Nietzsche mira nell’abbozzo del febbraio 1871 del “Vorwort an Richard Wagner” per la Nascita della tragedia è una grecità germanica,” una “rinascita tedesca del mondo ellenico” 82 di cui Arthur Schopenhauer è il filosofo, Richard Wagner il drammaturgo e 77 Cfr. F. Nietzsche, E II, pp. 194–195 (B II 1, p. 203), trad. leggermente modificata. Nietzsche utilizza sempre la grafia Cultur. Il concetto risente , soprattutto per ciò che concerne il conflitto fra Cultura e Stato, dell’influenza di Jakob Burckhardt, cfr. J. Burckhardt, Sullo studio della storia. Lezioni e conferenze a cura di M. Ghelardi, Torino, Einaudi, 1998, p. 45. Di sostanziale identitrà parla R. Escobar, Nietzsche, cit., pp. 159–160; si v. anche Robert McGinn Cultur as Prophylactic: Nietzsche’s Birth of Tragedy as Culture Criticism in “Nietzsche-Studien”, 1975, pp. 78–79. 79 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, pp. 126–127 (KGA I , pp. 122–123). 80 Cfr. L. Alfieri, Apollo tra gli schiavi, cit., pp. 83–84. 81 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, pp. 120–121 (KGA I , p. 117). 82 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, p. 363 (KGA III 3 11[1], p. 369). Il confronto tra questo abbozzo e la Prefazione effettivamente pubblicata riuscirebbe particolarmente utile per chiarire l’atteggiamento di Nietzsche nei confronti del progetto bismarckiano agli inizi del 1871. L’adesione al programma nazionale bismarckiano non è acritica: lo statalismo prussiano e il timore di una eccessiva arrendevolezza nei confronti della chiesa cattolica segnano le lettere a von Gersdorff del 7 novembre 1870 (E II, pp. 149–150 = B II 1, pp. 155–156) e a Erwin Rohde del 17 (o 23) novembre 1870 (E II, p. 154 = B II 1, p. 160). 78 20 Otto von Bismarck il condottiero. La Prussia deve creare uno “Stato di cultura” nel quale la fede nella “missione tedesca” (la lotta contro la Civilisation latina) diventi realtà istituzionale. Di questa complessa costellazione filosofico-politica il primo libro di Nietzsche è programmaticamente il manifesto; non a caso vi si legge che l’origine della tragedia è un problema “schiettamente tedesco”, collocato “come punto focale e di svolta, al centro delle speranze tedesche83 ”, strettamente connesso alla “splendida serietà prussiana” e in opposizione a quella cultura tedesca che “galleggia in superficie”84. La cultura ateniese nell’epoca dello sviluppo della tragedia e della talassocrazia è il modello, l’idea regolativa di ciò che il Secondo Reich deve diventare. Come è noto, la cultura tragica ateniese nasce, secondo Nietzsche, dalla tensione creativa tra l’impulso all’ordine e alla forma (simboleggiato dal dio Apollo) che costituisce ogni realtà individuale e quello allo scatenamento degli istinti che punta all’annullamento estatico di ogni forma di individuazione (simboleggiato dal dio Dioniso). La tragedia e la democrazia ateniese sono la sintesi, rispettivamente sul piano del culto e su quello delle istituzioni sociali e politiche, di questa coppia di opposti85. L’apollineo è vivificato dal dionisiaco e il dionisiaco è “messo in forma”, “canalizzato” dall’apollineo. Lo Stato ateniese fu lo strumento apollineo di questa Gestaltung: non a caso Nietzsche scrive che Apollo è “fondatore di Stati”86. Apollo è, infatti, forma, individuazione, particolarizzazione. Dioniso, al contrario, è la liberazione da qualsiasi forma e individuazione (personale, sociale, politica) perché è scatenamento della pura forza vitale affrancata da ogni limite. Dove domina il principio apollineo allo stato puro si realizza il dominio fine a sé stesso, come avvenne a Sparta, vero “accampamento militare”87 (Kriegslager) dell’apollineo. Atene, sintesi dei due princìpi, non si perdette né nel rimuginare estatico tipico del buddhismo, né nella “logorante cupidità del dominio e della gloria mondiali” tipico dell’impero romano88. Lo Stato ha come scopo Apollo, l’esistenza ha come scopo Dioniso afferma Nietzsche tra la fine del 1870 e aprile del 1871 quasi a sintetizzare il giro delle sue riflessioni89. La risultante della tensione tra le due forze è la Cultur tragica che glorifica l’esistenza attraverso la guerra e la conquista non meno che attraverso l’arte. La statualità è identificata con il principio ordinatore della vita sociale greca; il suo opposto è l’istintività vitale, ciò che Schopenhauer aveva denominato Wille, volontà di vivere 83 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 19 (KGA I, p. 20). Cfr. F. Nietzsche, E II, p. 301 (B II 1, pp. 316–317). 85 Cfr. L. Alfieri, Apollo tra gli schiavi, cit., p. 95. 86 Cfr. F. Nietzsche OFN III 1, p. 137 (KGA III 1, p. 129). 87 Cfr. F: Nietzsche, OFN III 1, p. 38 (KGA III1, p. 37). Si segue la traduzione proposta da L. Alfieri, Apollo tra gli schiavi, cit., p. 85, nota 7, in luogo di quella proposta da S. Giametta (“campo di battaglia”). 88 Cfr. F. Nietzsche, OFN III1, p. 138 (KGA III1, pp. 129–130). 89 Cfr. F: Nietzsche, OFN III 3, 7[54], p. 159. 84 21 che vuole soltanto sé stessa ciecamente, irrazionalmente. Di questo antipode rispetto alla statualità, cioè del dionisiaco, Nietzsche sottolinea l’ ”essenza titanico-barbarica”90: al di sotto del mondo delle forme (cui appartiene lo Stato) si agitano le cose più terribili91. Il dionisiaco non è soltanto la porta della dimensione estatica, ma anche l’insieme dei sanguinosi e crudeli miti pre-omerici; la creazione della forma dello Stato fronteggia questa crudeltà originaria con pari crudeltà. Nietzsche riconduce a tale creazione la nascita della schiavitù; quest’ultima “appartiene (gehört) all’essenza di ogni cultura”92. Attraverso il lavoro degli schiavi lo Stato è in grado di garantire la creazione della bellezza cui si deve la possibilità di riscattare l’orrore dell’esistenza: una minoranza “eletta” viene liberata dalle cure della vita per poter creare la bellezza. L’arte (redentrice dell’esistenza) esiste soltanto grazie alla schiavitù che lo Stato alimenta con la guerra di conquista93. Esso, per questo, è il presupposto concreto della cultura ateniese. Lo Stato greco, tuttavia, è sempre a un passo dall’essere travolto dalla tirannide; il tiranno è “il culmine della pulsione politica ellenica”94. Per la tirannide lottano le fazioni all’interno della pòlis: la tirannide è la modalità dionisiaca per eccellenza della politica greca; la stàsis (tratto caratteristico di quest’ultima) è la concretizzazione della pulsione agonale che non soltanto spinge le diverse fazioni delle pòleis una contro l’altra, ma genera anche la guerra fra pòlis e pòlis. Guerra e stàsis sono le peculiari manifestazioni dell’istinto politico greco. Tra guerra (civile e non), schiavitù e possibilità dell’arte c’è secondo Nietzsche una relazione “misteriosa”95, ma reale. La forma militare è la forma originaria, l’archetipo dello Stato (dello Stato greco, certo. Ma Nietzsche sembra attribuire portata generale alla sua affermazione): senza la schiavizzazione dei nemici tramite la guerra l’arte non potrebbe esistere. L’immane energia che originariamente si manifestava nel bellum omnium contra omnes genera la guerra tra gli Stati. Al’interno di ogni Stato, sostiene Nietzsche, il rapporto tra i gruppi familiari è naturalmente bellum; lo Stato si è costituito proprio per proiettare questa conflittualità all’esterno.96 L’antica mitologia pre-omerica che rispecchia il fondo di violenza cieca, incontrollata, non finalizzata a nulla, viene “purificata” nell’agòne tra cittadini, nella lotta per prevalere politicamente l’uno sull’altro e nella guerra tra le città per il dominio. Il dilaniarsi degli uomini “pre-omerici” diventa agòne97 omerico, gara. Ma 90 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 38 (KGA III 1, p. 37). Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, p. 67 (KGA III 3, 3 [42] p. 72. 92 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, pp. 143 (KGA III 3, 7[16] e 7[18], p. 148). 93 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, pp. 145 – 146 (KGA III 3, 7[23], pp. 149–150). 94 Cfr. F. Nietzsche, OFN III3, 1, p. 417 (KGA III 3, p. 151, 7[25]). 95 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, p. 351 (KGA III 3, 10[1], p. 357); su tale relazione cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit, pp. 60–67. 96 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, p. 352 (KGA III 3, 10[1], pp. 361–362. 97 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 3, 1, p. 424 (KGA III 3, 16[26], pp. 429–430). 91 22 con ciò lo sfondo originario non è abolito: permane, latente, sempre pronto a scatenarsi nelle guerre civili. Queste osservazioni sparse sull’origine dello Stato trovano una formulazione sistematica, ma estremamente compendiosa, nello scritto Lo Stato greco che vide la luce soltanto postumo98. In esso Nietzsche ribadisce che la creazione artistica – il vero senso della cultura greca – sarebbe impensabile senza la schiavitù resa possibile dallo Stato. Lo Stato è un mezzo della natura che altrimenti “non riuscirebbe a giungere - attraverso la società - alla redenzione nella parvenza, nello specchio del genio99. Quest’ultimo ha come precondizione la schiavitù che è il risultato della guerra: questa è l’ ”anamnesi della genesi” della perfezione artistica greca. Conseguentemente il modello ellenico per la rinascita della Germania è la democrazia schiavistica ateniese (non senza significativi “riconoscimenti” tributati al modello dorico).100 Quale sia la nuova classe di schiavi è evidente dal giudizio del filosofo sulla Commune parigina; Nietzsche ha ben chiaro il carattere potenzialmente internazionalistico di questo primo esempio di “democrazia proletaria;” e non soltanto perché nella lettera a von Gersdorff egli parla della “testa d’idra dell’ “Internazionale,””né solo perché vede nell’insurrezione parigina la logica conclusione del “razionalismo ottimistico” socratico (inteso come fenomeno che oltrepassa ogni confine culturale e nazionale), ma perché egli sembra cogliere perfettamente la tendenza internazionalistica del capitalismo industriale e del conflitto di classe. Nietzsche osserva che la divulgazione dei diritti dell’uomo fa sentire all’operaio la sua condizione sociale come un’ingiustizia e pone, così, le condizioni psicologiche per ogni rivolta; l’espansione del capitalismo industriale comporta la diffusione della condizione operaia e del conflitto sociale in Europa e nel mondo. Per quanto riguarda la Germania Nietzsche ribadisce che se se ne vuole una rinascita “ellenica”, una “stragrande maggioranza”, la classe lavoratrice, “deve essere al servizio di una minoranza”. Ma non basta la condizione di schiavitù perché possa ripetersi il “miracolo greco”; tale condizione è soltanto una premessa che abbisogna di un’autentica svolta nella cultura tedesca. L’unificazione della Germania, la creazione di un corpo statale unitario ha bisogno di un “principio di movimento”, di un’”anima” che soltanto la visione tragica della vita può creare101. Nietzsche aderisce oggettivamente alle posizioni nazional-liberali bismarckiane102; soggettivamente, il suo progetto di rinascita della Germania è, come si vede, ben più radicale103. 98 Sul periodo della sua composizione cfr. J, pp. 466–471. Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 230 (KGA III 2, p. 265). 100 Cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 60–63. 101 Sulla Nascita della tragedia come una sorta di “manifesto del partito della visione tragica del mondo“cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 71-74. 102 Su questo lato oggettivo si è soffermato D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 26-28 99 23 Il suo apprezzamento per l’opera statuale di Bismarck e il suo disprezzo per i conservatori104 è ben chiaro. Fin dai tempi della battaglia di Sadowa il filosofo si era convinto della necessità oggettiva di una guerra contro la Francia: “Una guerra contro la Francia deve risvegliare, in Germania, un’unità di sentimenti (...). Mai da cinquant’anni a questa parte, siamo stati così vicini all’avverarsi delle nostre speranze di Tedeschi”105; fintantoché il centro della diplomazia europea resta a Parigi, “in Europa non vi sarà alcun mutamento. Alle nostre aspirazioni non verrà risparmiato di sovvertire lo stato di cose in Europa, o, in ogni caso, di tentare di sovvertirlo”106. Sotto questo profilo Nietzsche aderiva all’ideologia del blocco culturale bismarckiano quale ci è documentata da Gustav Freytag, dal suo periodico “Die Grenzboten”, da Karl Biedermann e da Heinrich Gotthard von Treitschke (il cui scritto Die Zukunft der norddeutschen Mittelstaaten107era noto a Nietzsche che lo cita con favore108). Dal tempo in cui, giovanissimo, aveva fondato la società culturale “Germania”, Nietzsche aveva coltivato un’immagine anti-moderna dell’identità germanica; modernità equivaleva per lui a “troppa riflessione e troppo poca energia naturale”.109 La Germania cui egli pensava era quella mitizzata da Fichte e dal primo romanticismo la cui immagine, negli anni della guerra francoprussiana, si fuse, per il filosofo, con l’Atene del VI e V secolo a. C. e con la ripresa wagneriana della mitologia germanica. In una lettera a Wagner il filosofo rivela di cogliere nell’opera di quest’ultimo “l’atmosfera di una visione del mondo più seria e ricca di sentimento, visione che per via di ogni sorta di miserie politiche e per la confusione della filosofia e dell’invadente giudaismo (vordringliches Judenthum), da un momento all’altro è venuto a noi poveri tedeschi. Devo a Lei e a Schopenhauer se finora sono stato fedele alla serietà germanica della vita, ad una considerazione più profonda di questo modo di esistere tanto enigmatico e rischioso”110. Il nazional-liberalismo di Nietzsche è, certo, sui generis; von Treitschke aveva affermato la stretta connessione tra Stato e guerra (in un articolo pubblicato nei “Preussische Jahresberichte” nell’agosto 1870) e sosterrà più tardi che è compito dello Stat domare “le 103 Si veda anche la critica dell’ “oblìo della germanicità autentica” rivolta a David F. Strauss e al partito nazional-liberale nel 1873 su cui cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 149–165. 104 Per le critiche all’opposizione conservatrice raccolta attorno alla “Kreuzzeitung” di von Gerlach (fieramente antibismarckiana) si veda la lettera di Nietzsche alla madre e alla sorella dei primi di luglio 1866 in E I, pp. 438–440 (B I, 2, pp. 134– 136) e le osservazioni di J I, pp. 195–201. Sulla sconfitta dei conservatori conseguita alla vittoria del 1866 cfr. M. Stürmer, L’impero inquieto, cit., pp. 201–205; sul conflitto tra liberalismo nazionale e conservatorismo cfr. Bernhard von Bülow, La Germania imperiale (1913), tr. it. Milano, F.lli Treves, 1914, rist. con introduzione di G. Talamo, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1994, pp. 111–118. 105 Cfr. F. Nietzsche, E I, p. 433 (B I, 2, p. 143). 106 Cfr. F. Nietzsche, E, I, p. 446 (B I, 2, p. 144). 107 Cfr. H. G. von Treitschke, Die Zukunft der norddeutschen Mittelstaaten, Berlin, G. Reimer, 1866. 108 Cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., p. 27. 109 Cfr. M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, Milano, Adelphi, 1999, p. 34. 110 Lettera del 22 maggio 1869, cfr. E II, pp. 8–9 (B II, 1, p. 9). Sul contesto ideologico di queste osservazioni cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 105–136. 24 malvagie passioni sociali”,111ma non si era spinto sino al punto di riproporre un modello schiavistico; Gustav Freytag aveva esaltato il Reich come “Kulturstaat”, ma senza affiancargli quale specchio virtuoso l’Atene classica con la sua imbarazzante stratificazione sociale. In questo momento la visione che Nietzsche ha dello Stato è estranea sia alla dottrina hegeliana dello Stato come “eticità realizzata” sia alla contrapposizione che sta lentamente sorgendo fra dottrina dello Stato di diritto e dottrina dello Stato potenza; tale visione si colloca, per così dire, alle spalle di queste figurazioni dello Stato moderno. Lo Stato deve essere strumento della Cultur cui deve fornire i mezzi materiali (la pace tra i gruppi che compongono la compagine politica nonché una vasta base sociale dedita al lavoro manuale) per la creazione estetica operata dal genio.112Sullo Stato come mezzo che ha sottratto gli uomini al bellum omnium contra omnes si era già soffermato Schopenhauer; nel libro IV § 62 dell’opera maggiore del filosofo di Danzica (Il mondo come volontà e rappresentazione), che Nietzsche aveva appassionatamente studiato fin dal 1867113. Schopenhauer afferma che lo Stato è nato non già contro l’egoismo, ma contro gli effetti dannosi dell’egoismo114 e rinvia a Hobbes115. E’ stato notato116 che Nietzsche, a differenza di Schopenhauer, omette di parlare del patto costitutivo che genera lo Stato; in termini hobbesiani si può dire che egli consideri soltanto il “commonwealth by acquisition”117; in termini machiavelliani (la presenza silenziosa di Machiavelli, del suo Principe è ben percepibile in tutta l’opera di Nietzsche) si può dire che prenda in considerazione soltanto il “principato interamente nuovo”. Lo Stato canalizza apollineamente l’istintualità dionisiaca e genera il “redentore estetico”, il genio, soltanto attraverso la guerra e la schiavitù. E’ questa la strada che, con il libro sulla nascita della tragedia greca, Nietzsche mostra al Secondo Reich appena sorto. Negli scritti composti e pubblicati tra il 1873 e il 1874 Nietzsche prende atto della distanza che separa la vagheggiata “Germania ellenica” dal Reich bismarckiano. Sotto il governo del Cancelliere e dell’Imperatore, il Reich esprimeva una cultura in cui si mescolavano la fiducia 111 Entrambe le opinioni di von Treitschke sono riportate da Nicolao Merker, La Germania, Roma, Editori Riuniti, 1995, pp. 301–302. 112 L’esaltazione della figura del genio è presente notoriamente in Schopenhauer e riveste un ruolo centrale nell’estetica kantiana, ma essa si ritrova – e in contrapposizione alla “mediocrità democratica” – in Richard Wagner, Was ist deutsch?(1865-1878), in Id. Sämtliche Schriften und Dichtungen, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1910, vol. X, p. 46 e in Paul de Lagarde, Schriften fürdas deutsche Volk a c. di K. A. Fischer, Lemann, München, 1937, p. 79 sui quali richiama l’attenzione D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., p. 95. 113 Cfr. F. Nietzsche, La mia vita, tr. it. di M. Carpitella, Milano, Adelphi, 1983, p. 163; J I, pp. 222–224. 114 Cfr. A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, in Arthur Schopenhauer’s Sämtliche Werke, hg. von J. Frauenstädt, Zweiter Band, Leipzig, Brockhaus, 1891 (1^ edizione 1819), p. 408, tr. it. di G. de Lorenzo e P. Savj - Lopez, con introduzione di Cesare Vasoli, Il mondo come volontà e rappresentazione, Roma – Bari, Laterza, 1974, p. 454. 115 Cfr. A. Schopenhauer, ibid.: „Auch Hobbes hat diese Ursprung und Zweck des Staates ganz richtig um vortrefflich auseinandergesetz“. 116 Cfr. R. Escobar, Nietzsche, cit., pp. 152–154. 117 Cfr. Thomas Hobbes, Leviathan or the Matter, Forme and Power of a Commonwealth Ecclesiastical and Civil edited by Michael Oakeshott, Collier Mac Millan Publishers, London – New York, 1962, p. 132. 25 positivistica nella potenza della tecnologia e della scienza e l’hegelismo politico118; le istituzioni politiche erano la giustapposizione di un modello federale e di tratti bonapartistici, sul piano dell’amministrazione quotidiana; non mancava neppure una tinta democratica con il suffragio universale maschile. La società tedesca si stava avviando a divenire società industriale di massa e l’istruzione iniziò a venirvi considerata come funzione della potenza dello Stato. Lo “Stato di cultura” si configurava come il portatore di una “cultura di Stato” in cui la funzione statale – fondamentale per Nietzsche, si è visto – è invertita e lo Stato si trova a essere un mezzo promosso al rango di fine. Nel saggio David Strauss, l’uomo di fede e lo scrittore119 (la prima delle “Considerazioni Inattuali“), pubblicato nel 1873 Nietzsche criticava lo scritto di David F. Strauss Der alte und der neue Glaube. Ein Bekenntnis pubblicato a Lipsia nel 1872 in quanto elogio della mediocrità e del conformismo intellettuale che sommerge l’essenza tedesca; un conformismo di matrice ebraica120, a detta di Nietzsche, che si starebbe impadronendo dell’essenza del Reich annientando il contenuto “spirituale” della vittoria sulla Francia. Nietzsche attacca Strauss e profetizza “l’estirpazione dello spirito tedesco a favore del “Reich” tedesco121. Lo scritto di Strauss rappresentava il quieto agnosticismo alieno da ogni considerazione tragica dell’esistenza e quindi sostanzialmente “anti-tedesco”. Che Strauss fosse il portavoce di quello che era, allora, l’orientamento prevalente nelle file nazional-liberali lo prova il duro attacco contro lo scritto nietzscheano contenuto nei “Grenzboten.”122Nietzsche registra ora il conflitto fra cultura e Stato; quest’ultimo si è affiancato all’orientamento ottimistico-progressistico già imputato, come si è visto, alla cultura francese. La preoccupazione per il conflitto fra cultura e Stato compariva già nel ciclo di conferenze risalenti al periodo compreso tra il 16 gennaio e il 23 marzo 1872 (note con il titolo Sull’avvenire delle nostre scuole). Il loro nucleo essenziale consiste nella polemica contro l’istruzione aperta a tutti che il nuovo Stato tedesco sta realizzando. Nietzsche sostiene che la massima estensione della cultura la sminuisce e la indebolisce; contro l’istruzione di massa il filosofo evoca due contro-tendenze “veramente tedesche e specialmente gravide di avvenire”: la restrizione e la concentrazione dell’istruzione, il rafforzamento e l’autosufficienza della cultura123. Nietzsche utilizza il termine “Bildung” che nella traduzione italiana è reso con “istruzione” anche nel senso di “cultura”; “Bildung”, connesso a “Bilden” equivale a “formazione”, “atto del dare forma”: è il 118 Un esempio del hegelismo del tempo è il ponderoso scritto di Karl Rosenkranz Hegel als Nationalphilosoph, Leipzig, Duncker & Humblot, 1870. 119 Su cui cfr. J, I, pp. 498–515. 120 Si vedano le osservazioni su questa “Inattuale” sviluppate da D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 170–176. 121 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 167 (KGA III 1, pp. 155–156. 122 Cfr. la lettera di Nietzsche a von Gersdorff del 27 novembre 1873 in E II, pp. 476–477 (B II 3, pp. 173–174). 123 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 86 (KGA III 2, p. 139) 26 medesimo processo dal quale sono nate la tragedia attica e la contemporanea potenza politicomilitare ateniese; l’impulso vitale scatenato ha assunto una forma grazie alla “mediazione” dello Stato e questo grazie a una minoranza di uomini che hanno “diretto” tale “mediazione”. Nietzsche continua: “Il vero segreto della cultura (Bildungsgeheimnis) deve trovarsi qui, nel fatto cioè che innumerevoli uomini aspirano alla cultura e lavorano in vista della cultura, apparentemente per sé, ma in sostanza solo per rendere possibili alcuni pochi individui”124. Con una sorta di eterogenesi dei fini il lavoro egoistico degli uomini comuni rende possibili pochi individui geniali. Il nuovo Reich si sta muovendo nella direzione opposta; la democratizzazione della cultura comporta “il grande anzi enorme pericolo che a un certo momento la grande massa salti il gradino intermedio e si getti direttamente sulla felicità terrena. E questo oggi viene chiamato la questione sociale (...) La cultura comune a tutti è per l’appunto la barbarie”125. Il controllo della cultura da parte dello Stato sottrae le masse ai grandi individui, le emancipa da ogni servizio sotto lo “scettro” del genio126. Per arrestare questo processo ormai in atto in Germania bisogna “mantenere quella salutare incoscienza, quella placidità del popolo, che costituiscono il rimedio senza cui la cultura, con la divorante tensione ed esasperazione dei suoi effetti, non potrebbe sussistere”127. Lo Stato bismarckiano sta livellando democraticamente la realtà germanica. Il genio, afferma Nietzsche, emerge dal popolo, egli è “il giuoco cromatico” di tutte le forze peculiari di esso. Il genio è colui che collega il popolo con l’eternità. Questo non lo può fare lo Stato che ora si atteggia a “stella polare” (Leitstern) della cultura”128. Per i Greci lo Stato era uno strumento per la soddisfazione dei bisogni e un mezzo di difesa; lo Stato moderno, al contrario fa della cultura il proprio strumento perché si concepisce come la totalità al di fuori della quale nulla può né deve esistere. Giunto così all’apoteosi, si legge nella considerazione inattuale Sull’utilità e il danno della storia per la vita del 1874, “lo Stato ha la missione di diventare patrono di tutti gli egoismi accorti per proteggerli con la sua forma militare e poliziesca dai terribili scoppi dell’egoismo malaccorto”129. Così Nietzsche sembra leggere il conflitto di classe il cui episodio più recente era stato quello della Commune parigina: uno scontro fra egoismi e nulla di più. Nella considerazione inattuale Schopenhauer come educatore Nietzsche delinea i tratti caratteristici dell’intellettuale che rifiuta di dipendere dallo Stato e dalla società. La fondazione del Reich è stata soltanto una innovazione politica; essa non rigarda pertanto gli “uomini 124 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 107 (KGA III 2, p. 157). Cfr. F. Nietzsche. OFN III 2, pp. 110–111 (KGA III2, p. 160). 126 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 144 (KGA III 2, p. 190). 127 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 145 (KGA III 2, p. 191). 128 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 2, p. 155 (KGA III2, p. 202). 129 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 342 (KGA III1, pp. 317–318). 125 27 superiori” che hanno “come telelogia” non uno Stato ma la Cultur130. Lo scopo dell’umanità non consiste nel benessere delle masse, bensì in questi “uomini che redimono” e lo scopo dello Stato è soltanto quello di “fornire la difesa dall’esterno, la difesa dall’interno e la difesa contro i difensori”131. Proprio perché lo Stato è un mezzo, esso non ha alcun interesse alla verità, ma soltanto a ciò che è utile al funzionamento della macchina amministrativa, sia esso verità, mezza verità o errore”132. E’ ovvio che lo Stato miri a “educare (...) cittadini fedeli e utili”133. Ma fedeli a chi? Utili a chi? Senza il genio l’intero apparato statale è privo del suo scopo. Privo di scopo appare a Nietzsche, ormai, il Reich bismarckiano: esso è tutto ciò contro cui il filosofo si è battuto dalla pubblicazione del suo primo libro sino allo scritto su Schopenhauer. 130 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 390 (KGA III1, p. 361). Cfr. KGA III 1, p. 354: “denn wir ahnen, das solche Menschen, mir allem ihrem Geiste, eine werdende Cultur und die Erzeugung des Genius- das heisst das Ziel aller Cultur- nicht fördern, sondern Verhindern“ (OFN III 1, p. 382). Su questo scopo „unico“ della Cultur cfr. A. Schopenhauer, Über die Universitäts-Philosophie in Parerga und Paralipomena (1851), tr. it. di G. Colli, con un saggio di Manlio Sgalambro e un’avvertenza di Franco Volpi, La filosofia delle università, Milano, Adelphi, 1992, specialmente alle pp. 29, 33, 45, 64. Su questa considerazione inattuale cfr. J I, pp. 551–582. 131 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 438 (KGA III 1, p. 405). 132 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p.452 (KGA III1, p. 418). 133 Cfr. F. Nietzsche, OFN III 1, p. 453 (KGA III1, p. 419). 28 III. Lo spirito libero, la crisi dello Stato-Nazione e l’idea di Europa (1877-1882) La constatazione della “inattualità” di una “rinascita ellenica” della Germania134 spinse Nietzsche a una radicale storicizzazione135 dell’intero patrimonio ideale nel quale si era identificato tra il 1868 e il 1876. Come scrive Montinari “caduta, insieme all’arte, la religione, vanificato il «bisogno metafisico» (che per Nietzsche non è più «eterno», ma storicamente condizionato), non rimane altro che la ricerca di un ideale di saggezza contemplativa, quella che Nietzsche ha delineato nella figura dello spirito libero136. E’ la saggezza contemplativa del Goethe maturo, ma anche di Montaigne, Larochefoucauld, La Bruyère, Fontenelle, Vauvenargues, Chamfort137 e di Epicuro; riguardo alla politica ciò significa un radicale realismo. Se il modello del genio era quello di un “costruttore”, lo spirito libero è innanzitutto un distruttore. Nello spazio creato da tale distruzione il filosofo vede in una nuova luce due processi sociali e politici che aveva osservato sia nelle “considerazioni inattuali”, sia nelle conferenze sugli istituti di cultura: il tramonto della ragion d’essere concreta dello Stato-Nazione (e del nazionalismo) in seguito alla creazione di una rete europea (e mondiale di scambi economici. Un tramonto che secondo Nietzsche potrebbe essere la premessa per un nuova aurora: l’unificazione degli Stati europei; d’altro lato, la società di massa e la democratizzazione dei rapporti sociali e politici nei paesi europei gli appare come una sfida, non più soltanto come una minaccia: la nuova esigenza di selezionare una nuova aristocrazia che porti le nazioni europee all’unità e a una politica mondiale all’altezza dei tempi. Da questo nuovo sguardo scaturisce dunque il grande problema che occuperà il filosofo sino alla fine della sua vita cosciente: quello di una “aristocrazia europea” che costituisca in ciascuno Stato e poi nel’unione degli Stati europei il senso dell’esistenza delle masse. Nietzsche riprende così anche alcune considerazioni già svolte negli scritti 1870 – 1874 sviluppandole in un tentativo di analisi della forma- Stato nelle sue generalità. 134 Sul periodo compreso tra il 1877 e il 1879 cfr. J, I, pp. 743-797; sul periodo tra il 1879 e il 1882 cfr. ibid. II, pp. 35-96. Cfr. D. Losurdo, Nietzsche, cit., pp. 20-27. 136 Cfr. M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, cit., pp. 92-93. 137 Cfr. F. Nietzsche, Il viandante e la sua ombra, af. 214 (OFN IV 3, p. 221, KGA pp. 284 - 285); Brendan Donnelan, Nietzsche and the French Moralists, Bonn, Bouvier, 1982. 135 29 La prima opera della nuova fase è Umano, troppo umano (1878) il cui aforisma 99 presenta una ricostruzione delle origini dello Stato in quanto istituzione; tale ricostruzione arricchisce quello che possiamo definire il precedente modello “hobbesiano-schopenhaueriano” senza distruggerlo. Nella condizione che precede lo Stato, sostiene Nietzsche, noi uccidiamo l’essere, sia esso scimmia o uomo, che vuole strappare a noi il frutto dell’albero, proprio quando abbiamo fame e corriamo verso l’albero. E’, questa, un’altra versione del bellum omnium contra omnes teorizzato nel saggio intitolato Lo Stato greco. Come allora Nietzsche non collega la nascita del potere statale a un qualsivoglia patto: “Nella condizione che viene prima dello Stato, il singolo può trattare altri esseri in modo duro e crudele, al fine di incutere spavento (...) così agisce il violento, il potente, l’originario fondatore di uno Stato, che si sottomette i deboli. Egli ha cioè il diritto che ancora oggi lo Stato si arroga; o piuttosto non esiste alcun diritto che possa impedire ciò”138. E’ scomparsa dall’immagine nietzscheana del politico la teleologia della cultura, dell’arte, e il politico stesso si mostra come violenza che fronteggia violenza. La violenza è raffigurata come un dato originario del rapporto tra i singoli individui. La distinzione tra “giusto” e “ingiusto” nasce da un atto di forza: “Il terreno per ogni moralità può essere approntato solo quando un individuo più grande o un individuo collettivo, come per esempio la società o lo Stato, sottomette i singoli, ossia li trae fuori dal loro isolamento e li ordina in una associazione”. Nietzsche aggiunge, poi: “La costrizione precede la moralità; più tardi il comportamento coatto diviene costume, poi libera obbedienza e infine istinto.” La “stabilità dello Stato” è più preziosa della libertà139. La forza stabile e stabilizzante opera positivamente sulla formazione di una fede comune e sul senso della collettività; l’uomo appare modificabile, così, dall’influsso esterno, politico-istituzionale. Menzionando Machiavelli Nietzsche sostiene che la forma dei governi “è di pochissima importanza”140 rispetto al problema della stabilizzazione e del mantenimento della stabilità interna. La forza, la violenza, la potenza sono, secondo Nietzsche gli aspetti decisivi di quello che potremmo chiamare il “potere costituente” l’istituzione statale. La tesi dell’origine violenta delle istituzioni sociali e politiche deriva certamente a Nietzsche dal modello “hobbesiano-schopenhaueriano”; ma non le è estranea, probabilmente, la tesi positivistica sulla origine della proprietà non dal lavoro, bensì dall’ “accumulazione 138 Cfr. F. Nietzsche KGA IV 2, p. 94 (OFN IV 2, p. 77). Cfr. F. Nietzsche KGA IV 2, pp. 191-192 (OFN IV 2, p. 77). 140 Cfr. F. Nietzsche KGA IV 2, p. 193 (OFN IV 2, p. 162). E’ possibile che Nietsche avesse in mente il passo del cap. XII del Principe in cui si legge:“E principali fondamenti che abbino tutti li Stati, così nuovi come vecchi o misti, sono buone legge e le buone arme: e perché non può essere buone legge dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene sieno buone legge, io lascerò indrieto il ragionare della legge e parlerò delle arme“ (N. Machiavelli, Il Principe,a cura di U. Dotti, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 76). L’insistenza machiavelliana sulle „buone arme“ può avere convinto Nietzsche della minore rilevanza per Machiavelli del problema delle forme di governo. 139 30 attraverso conquista e violenza” ricordata da John Stuart Mill141, oppure la teoria dello “stadio militare” della società come primo momento di uscita dalla barbarie primordiale elaborata da Herbert Spencer142 sulla scia di Auguste Comte. Sono visibili anche trasparenti analogie, limitatamente alla teoria dell’origine dello Stato, con la “teoria della violenza” elaborata da Eugen Dühring e criticata da Friedrich Engels nel suo scritto intitolato AntiDühring143 e con la riconduzione dei rapporti politici e sociali a rapporti di forza tra individui operata da Max Stirner nell’opera L’unico e la sua proprietà (1845)144. Non ci sono tracce sicurissime di una conoscenza da parte di Nietzsche dell’opera maggiore di Stirner; ma egli conosceva il Cursus der Philosophie als strenger wissenschaftlicher Weltanschauung und Lebensgestaltung pubblicato dal socialdarwinista Dühring nel 1875 e che risulta conservato nella sua biblioteca145; sul Cursus (e sulla Kritische Geschichte der Nationalökonomie und des Socialismus, 1875) si basava principalmente la confutazione engelsiana. Dühring riconduceva al “soggiogamento dell’uomo in servitù (die Unterjochung des Menschen zum Knechtsdienst)” l’origine dell’intero sistema dei rapporti sociali ed economici; lo stabilirsi di un dominio (Herrschaft) economico sulle cose ha avuto come presupposto “il dominio politico, sociale ed economico dell’uomo sull’uomo146. Tuttavia, se per Dühring questa tesi serviva come spunto per una critica “socialista” dell’esistente, Nietzsche precisa nell’aforisma 235 di Menschliches Allzumenschliches: ”Lo Stato è una saggia istituzione per la protezione degli individui gli uni contro gli altri: se si esagera nel nobilitarlo, l’individuo finisce con l’esserne indebolito, anzi divelto –l’originario fine viene cioè vanificato nel modo più radicale.”Tale fine originario è la reciproca difesa degli individui di cui lo Stato è garante. La tutela dell’individualità è, quindi il fine dello Stato, così come lo era, nel periodo 1868-1876, la tutela delle condizioni atte a creare l’individuo geniale. L’ottava parte di Menschliches, Allzumenschliches reca il titolo „Uno sguardo allo Stato“, anche se gli aforismi coerenti in senso stretto con il titolo non sono molti; vi vediamo emergere il quadro nietzscheano della crisi dello Stato-nazione. Il più notevole aforisma è senza dubbio il n. 141 Cfr. J. Suart Mill, Principles of political Economy. With some of their Applications to social Philosophy (1848), tr. it. Principii di economia politica con alcune applicazioni alla filosofia sociale, Torino, UTET, 1851, lib. 2, cap. 1. 142 Cfr. Herbert Spencer, The Principles of Sociology ( la cui seconda edizione risale al 1877) in The Works of Herbert Spencer vol. VI, Osnabrück, Otto Zeller, 1966, cap. X (“Social types and Constitutions”), pp. 544-563 e cap. X (“Social Metamorphoses”), pp. 564-575; vol. VII (contenente il secondo volume dei Principles, edizione 1879 parte IV e 1882, parte V), cap. XVII (“The militant Type of Society”), pp. 568-602. 143 Pubblicato tra il 7 gennaio 1877 e il 7 luglio 1878 in forma di articoli e poi, in volume col titolo Herrn Eugen Dühring Umwälzung der Wissenschaft. Philosophie, Ökonomie, Sozialismus, Leipzig, 1878, tr. it. di Fausto Codino, Roma, Edizioni Rinascita, 1950, riediz. con saggio introduttivo di Valentino Gerratana, Roma, Editori Riuniti, 1984, pp. 151-177 (Karl Marx – Friedrich Engels, Gesamtausgabe (MEGA), Berlin, Dietz Verlag, 1988, I, 27, pp. 350–373). 144 tr. it. L’Unico e la sua proprietà a cura di Claudio Berto, con saggio introduttivo di Giorgio Penzo, Milano, Mursia, 1990, p. 220; p. 251. 145 Cfr. M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, cit., p. 188. Nietzsche cita le lezioni tenute da Dühring all’Università di Berlino nel semestre estivo del 1865 (Über Optimismus und Pessimismus) e nel semestre invernale 1865-66 (Über die Grenzen der Poesie und Philosophie mit besondere Rücksicht auf Byron und Schopenhauer), cfr. B I 2, p. 257 (E I, p. 563-564). 146 Cfr. F. Engels AntiDühring, tr,. it. cit., p. 167 (MEGA I, 27, p. 364). 31 472 in cui Nietzsche argomenta che la democrazia moderna è “la forma storica della caduta (Verfall) dello Stato”147. L’affermarsi del modello politico democratico porterà il governo ad assumere la stessa posizione del popolo in materia di religione. La molteplicità delle opinioni in merito condurrà a considerare la religione come “affare privato” e sorgeranno, quindi, sètte che lotteranno tra di loro. Lo Stato dovrà porsi al di sopra di ogni religione; così facendo indurrà a un fanatismo statalista. Infine “la sfiducia verso qualsiasi governante, la comprensione dell’inutilità e della gravosità di queste lotte di corto respiro è destinata a spingere gli uomini a una decisione completamente nuova: all’abolizione del concetto stesso di Stato”, alla soppressione dell’antitesi “privato-pubblico”. Le società private incorporeranno gli affari dello Stato; persino il governare sarà compito di “imprenditori privati”. Sicché “il disprezzo, la decadenza e la morte dello Stato, la liberazione della persona privata (mi guardo dal dire: dell’individuo) saranno la conseguenza dell’idea democratica dello Stato; in ciò consiste la sua missione”. Il trionfo del privato, però, è la sfera della produzione capitalistica, della “burocrazia del profitto”, del denaro, in cui la “grande individualità”, piegata alla logica utilitaristica e condotta lontano dalla ricerca della verità, si eclissa. In tale contesto il socialismo col suo grido «Quanto più Stato è possibile!» aspira espressamente “all’annientamento dell’individuo”; ma presto giungerà il grido opposto, «Quanto meno Stato è possibile!», a tutto vantaggio della sfera economica privata. L’individualità è presa, secondo Nietzsche, tra i due fuochi del capitalismo e del socialismo che sviluppano, ciascuno a modo suo, il processo di riduzione degli individui a componenti di una massa indifferenziata. Il processo di democratizzazione in atto in Europa si sviluppa parallelamente all’aumento degli scambi economici e alla creazione di una “cultura superiore” svincolata dai limiti nazionali. Si sta innescando, secondo Nietzsche, un processo di indebolimento e si profila una distruzione delle nazioni (Vernichtung der Nationen), per lo meno di quelle europee la cui causa risiede nello sviluppo del capitalismo148. Ne deriverà una “Mischrasse”, quella dell’”uomo europeo” alla quale dovranno contribuire tutti i popoli dell’Europa. Agiscono contro tale processo “determinate case regnanti e determinate classi (bestimmte Klassen) del commercio e della società”. Ma se il processo si compirà fino in fondo, la storia dell’Europa sarà davvero una continuazione di quella greca. Riconosciuto ciò, “bisogna dirsi francamente solo buoni Europei e contribuire con l’azione alla fusione delle nazioni”. Se il Cristianesimo ha fatto di tutto per “orientalizzare” l’Occidente, l’ebraismo – componente decisiva della cultura europea – lo ha 147 Cfr. F. Nietzsche KGA IV 2, p. 316 (OFN IV 2, p. 260). Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 2, aforisma 475, pp. 262-264 (KGA IV 2, pp. 319–321). La tesi nietzscheana non manca di punti di contatto con quella espressa da Marx ed Engels nel celebre Manitesto del Partito Comunista: “L’isolamento e l’antagonismo nazionali dei popoli vanno via via scomparendo con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l’uniformità della produzione industriale e con le condizioni di vita a essi rispondenti (tr. it. di Palmiro Togliatti, Roma, Edizioni Rinascita, 1954, p. 51). 148 32 sempre di nuovo occidentalizzato. L’identità europea, ciò che l’ha distinta dall’Asia, lo sviluppo prodigioso della cultura razionale, è dovuto all’ebraismo149. L’Europa è il “luogo naturale” dello “spirito libero”150. E’ chiaro che Nietzsche intende la fusione dei popoli europei alla luce di una concezione razziale della storia: quella centrata sulla connessione razza-carattere di un popolo. Egli non si nasconde i pericoli – paventati dal razzismo ‘classico’- di un popolo di “razza mista”: la razza mista è “crudele”, “malvagia”, “irrequieta”; ma poi, con un processo di adattamento, assorbimento e di separazione la razza si depura. I Greci ci danno l’esempio “di una razza e di una cultura divenute pure: e speriamo che una buona volta si realizzi una pura razza e una pura cultura europea”151. La democratizzazione dell’Europa porterà, secondo l’aforisma 292 di Il viandante e la sua ombra “a una federazione europea (ein europäischer Völkerbund) in cui ogni popolo, delimitato in base a opportunità geografiche, possederà la posizione di un cantone e i particolari diritti di questo”152. Per quanto riguarda il concetto di individualità, qui indirettamente chiamato in causa a proposito del processo di democratizzazione-massificazione, il discorso sviluppato da Nietzsche non è chiarissimo, ma non sembra proprio che ogni individuo sia valore a sé (come nella prospettiva elaborata da Stirner); le differenze di valore fra gli individui sembrano radicarsi nel “dato” della razza, pura, mista o depurata che essa sia. Il processo di massificazione ha nello Stato uno dei suoi migliori strumenti; Nietzsche afferma che lo Stato fin dal tempo dei Greci è stato una minaccia per lo spirito: “La formazione intellettuale si sviluppò nonostante la pòlis: certo indirettamente e contro volontà anch’essa giovò, perché nella pòlis l’ambizione del singolo veniva eccitata al massimo, sicché quegli, una volta entrato nella strada della formazione intellettuale, proseguiva poi in essa fino all’estremo limite”153. Nel Reich sembra che l’istruzione generalizzata, il suffragio universale (pur soltanto maschile), la cultura subordinata alla burocrazia e funzionale all’allevamento di “buoni impiegati”, lo sviluppo del giornalismo come strumento della cultura di massa e il potere del denaro stiano per soffocare non l’ “individualità”, ma le potenziali “grandi individualità”154. Quel sistema di mediazione fondato sull’ “idea-forza” dell’armonia sociale, sull’efficienza dell’amministrazione statale e sul benessere dei cittadini che caratterizzò, secondo Michael Stürmer155, l’età bismarckiana si reggeva sull’ “abbinamento di sviluppo dell’economia 149 Su queste posizioni e sulle loro ambiguità cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 252–258. Cfr. F. Nietsche, OFN IV 3, p. 178 (KGA IV 3, p. 230). 151 Cfr. F. Nietzsche, OFN V1, af. 272, pp. 177-178 (KGA V1, pp. 215-216). 152 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 3, p. 251 (KGA, p. 322). 153 Cfr. F. Nietzsche KGA IV 2, pp. 318-319 (OFN IV 2, p. 262). 154 E’ questo il quadro che Nietzsche fornisce del Reich bismarckiano in Umano, troppo umano. 155 Cfr. M. Stürmer, L’impero, cit., p. 283. Si vedano peraltro le considerazioni di Bernhard von Bülow, cit., pp. 137-166 sul problema del socialismo in Germania. 150 33 industriale e tradizione del potere burocratico” e sulla stabilità sociale strettamente legata alla figura di Bismarck156, non sulla selezione delle “grandi individualità.” Le “grandi individualità” sembrano essere state concepite da Nietzsche come i picchi più alti di una cultura e la cultura, a sua volta, come la manifestazione di un substrato razziale. Abbandonato il mito del germanesimo Nietzsche pensa all’Europa come a una realtà che dovrebbe riuscire a enucleare da sé i “grandi individui.” Nella Gaia scienza (aforisma 362157) il filosofo intravede nel modello delle aristocrazie rinascimentali una prefigurazione di questa vagheggiata élite; Napoleone che ne è una incarnazione tarda “ha rimesso in luce un lato interno della vita antica, il decisivo, forse, -quello di granito (das Stück Granit). E chi sa che quest’antica faccia del vecchio mondo, l’eroismo antico, cioè, non ridivenga ancora una volta la dominatrice di codesto movimento nazionale e, nel senso più positivo, l’erede e continuatrice di Napoleone? – di questi il quale voleva l’Europa una, com’è noto, e signora della terra (Herrin der Erde)?” Napoleone è il simbolo del superamento del piccolo nazionalismo nella direzione di unità europea di potenza. Essere “buoni Europei”, continua Nietzsche nell’aforisma 377158 della medesima opera, non significa né umanitarismo, né nazionalismo, ma l’amore per “il pericolo, la guerra, l’avventura.” Rispetto a ciò, la nozione di Stato come tutore della sicurezza pubblica in nome della quale si vorrebbe sacrificare ogni singolo individuo, nozione corrente nel Reich, appare a Nietzsche “meschina.” In Aurora (1881), aforisma 132, Nietzsche critica l’idea che “la felicità e insieme il sacrificio del singolo starebbero nel fatto di sentirsi utile membro e strumento del tutto”159; tale totalità riceve la sua configurazione più decisiva dalla sicurezza: “Rendere la società sicura dai furti e dagli incendi e infinitamente comoda per ogni sorta di traffici e di commerci e trasformare lo Stato in Provvidenza, nel senso buono o cattivo- questi sono obiettivi bassi, mediocri e non assolutamente indispensabili”, perché è in gioco, invece, lo “spirito”160, si legge nell’aforisma 179. E’ un passo tratto dai frammenti postumi che chiarisce quale sia il criterio in base al quale Nietzsche sta giudicando l’esperienza politica bismarckiana: “Io vedo nella tendenza statale e sociale un ostacolo per l’individuazione, una elaborazione dell’homo communis: ma l’uomo comune ed uguale viene desiderato solo perché gli uomini deboli temono il forte individuo e preferiscono in luogo dello sviluppo verso l’individuo, l’indebolimento generale”161. 156 Sul “plebiszitärer Cäsarismus” di Bismarck, cfr. Th. Nipperdey, Deutsche Geschichte, Beck, München, 1998, Bd. II, p. 410; sulla Sozialpolitik bismarckiana ibid. Bd. I, pp. 337-346; Gordon Craig, Germany 1866-1945, Oxford University Press, 1978, tr. it di Olga Algranati Merola, Storia della Germania 1866-1945, vol. I, pp. 164-166. 157 Cfr. F. Nietzsche, OFN V 2, p. 238 (KGA, p. 292). 158 Cfr. F. Nietzsche, OFN V 2, p. 256 (KGA, p. 311). 159 Cfr. F. Nietzsche OFN V 1, p. 100 (KGA V 1, p. 121) . 160 Cfr. F. Nietzsche OFN V 1, pp. 129-130 (KGA V 1, pp. 157-158). 161 Cfr. F. Nietzsche OFN V 1, p. 461 (KGA V 1, 6[163], p. 358). 34 Lo Stato nega l’individualità forte; in un frammento postumo del 1881-82 si legge: “Lo Stato non vuole, e non ha mai voluto, una qualità migliore, bensì la massa! Per questo non gli importa nulla di selezionare gli uomini!”162. Lo Stato dovrebbe selezionare l’individualità forte; ma il modello bismarckiano – termine di riferimento immediato del discorso di Nietzsche - è del tutto inidoneo a operare una simile selezione; esso, anzi, seleziona solo fedeli impiegati; da un simile modo di procedere non può che derivare, nel tempo, una massa senza capi. Siamo molto distanti dalla mera critica della società industriale ottocentesca come possibile minaccia di dissoluzione per l’individualità (critica sviluppata, per fare un solo esempio, da John Stuart Mill163); per Stuart Mill il pericolo che minaccia la natura umana “non è l’eccesso, ma la carenza di impulsi e preferenze individuali”164, mentre c’è bisogno di persone geniali il cui sviluppo le istituzioni devono favorire165, e il dominio moderno dell’opinione pubblica minaccia ogni forma di creatività individuale166. Posizioni analoghe sono reperibili anche nella Entstehung des moralischen Empfindungen che nel 1877 Paul Rée, amico di Nietzsche, aveva pubblicato, nonché nelle opere che Georg Morris Cohen Brandes, futuro corrispondente epistolare di Nietzsche, era venuto pubblicando proprio dal 1877167. Nella critica nietzscheana alla “massificazione” risuona, tuttavia, una impostazione gerarchica e anti-egualitaria che non ha molto in comune con gli autori citati168. Ciò che risulta paradossale per il filosofo è che all’immagine dello Stato come tutore sociale si associ l’orgoglio nazionalista a causa del quale l’Europa si sta dissanguando, come già fece la Grecia169. I Tedeschi non si accorgono che la democratizzazione europea prepara ben altro: “Ora è il tempo delle costruzioni ciclopiche! Sicurezza nelle fondamenta: con ciò l’intero futuro può essere costruito su di esse senza pericolo!”170. Di quale “costruzione ciclopica” è la base la democratizzazione europea? E’ un fatto che lo sviluppo economico spinga a un’unificazione del continente; che vaste masse si concentrino in città sempre più grandi è un altro dato di fatto. Nietzsche si chiede però dove siano i capi in grado di guidare queste masse. 162 Cfr. F. Nietzsche OFN V 2, p. 394 (KGA V 2 11[179], p. 450). Cfr. John Stuart Mill, On Liberty (1859), tr. it. di Stefano Magistretti, Sulla libertà, Milano, EST, 1999. 164 Cfr. J. Stuart Mill, Sulla libertà, cit., p. 70. 165 Cfr. J. Stuart Mill, Sulla libertà, cit., p. 72. 166 Cfr. J. Stuart Mil, Sulla libertà, cit., p. 83. 167 Cfr. la mia succinta nota introduttiva a G. Brandes, Friedrich Nietzsche o del radicalismo aristocratico (1899), tr. it. di A. Ingravalle, Padova, Edizioni di Ar, 1995, pp. 9–14. 168 Nota invece assonanze e convergenze D. Losurdo, Nietzsche, cit. pp. 17-18 169 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 2, p. 245 af. 442 (KGA IV 2, p. 298). 170 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 3, af 275, pp. 241–242 (KGA IV 3, pp. 309–310. Citaz. a p. 310). 163 35 Il filosofo vede nelle ideologie “socialiste” lo specchio della massificazione171e d’altra parte nega che lo sviluppo dell’economia capitalistica sia una fonte valida di rapporti gerarchici. Il criterio di validità della gerarchia non può essere economico, per lui. Sin dall’inizio, come è stato detto172 la politica sociale di Bismarck era stata pensata in grande: “ essa doveva essere un a politica costituzionale, integrare in positivo la legge sui socialisti, togliere ai socialisti l’arma dell’insoddisfazione e offrire anche all’operaio dell’industria quella protezione materiale che da oggetto della tradizionale assistenza ai poveri lo avrebbe trasformato in un cittadino industriale. Agli operai bisognava restituire – come Bismarck disse nel Reichstag (2. 4. 1881) - il senso della dignità umana”. Quale punto di vista fa proprio Nietzsche in merito alla “questione sociale” che Bismarck sta, a suo modo, affrontando? La tutela della stabilità interna del Reich e l’obiettivo di rendere meno facile per la socialdemocrazia raccogliere consensi sul piano del malcontento sociale risultano estranei al pensiero di Nietzsche: per il filosofo valgono non soltanto le tesi sul superamento dello Statonazione, ma anche, in vista dell’unione dell’Europa, quelle sulla irrinunciabilità, per una cultura superiore, della schiavitù e della stratificazione sociale secondo una struttura a caste; tale punto di vista è ribadito in Umano, troppo umano, aforisma 439 (“Una cultura superiore (höhere Cultur) può sorgere solo là dove ci sono due distinte caste della società (zwei unterschiedene Kasten der Gesellschaft): quella di coloro che lavorano e quella di coloro che oziano, capaci del vero ozio. Il punto di vista della ripartizione della felicità non è l’essenziale, quando si tratta produrre una civiltà superiore (...)”173) e nell’aforisma 462 intitolato La mia utopia (“ In una società ordinata, privazioni e lavori pesanti saranno riservati a coloro che meno ne soffrono, cioè ai più rozzi, e così di grado in grado fino a colui che è eletto a provare tutte le più sublimi sfumature del dolore anche nella maggiore comodità di vita”174). La differenza di valore tra gli individui è, pare, un dato immodificabile e lo Stato dovrebbe farne strumento per creare una cultura superiore e una nuova gerarchia. Il crollo della “metafisica del genio” è stato compensato dalla teoria dell’”individuo superiore”, lo “spirito libero”, e dall’emergere della prospettiva politica europea senza 171 E’ probabile che Nietzsche conosca il socialismo soltanto attraverso le pubblicazioni di Dühring; cfr. Aldo Venturelli, Asketismus und Wille zur Macht. Nietzsche Auseinandersetzung mit Eugen Dühring, „Nietzsche-Studien“, 15, 1986, pp. 138-139 e già M. Montinari, Su Nietzsche, Roma, Editori Riuniti, 1981, pp. 96-98; Paolo Chiarini, „Introduzione“ a F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit., p. XVIII. 172 Cfr. M. Stürmer, L’impero, cit., p. 307. 173 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 2, p. 244 (KGA IV 2, pp. 296–297). 174 Cfr. F. Nietzsche, OFN IV 2, p. 254 (KGA IV 2, p. 309). In un frammento postumo si legge: „La schiavitù non va abolita, essa è necessaria. Dobbiamo solo voler fare in modo che nascano coloro per i quali gli altri lavorano affinché questa massa immane di energie politico – commerciali non sia consumata invano.” (OFN V 2, p. 413, KGA V 2, 11[221], p. 425,). Questo modo di concepire la gerarchia sociale è reperibile in KGA VIII 3, 14[221], (inizi 1888-gennaio 1889) pp. 186–187 dove si legge (p. 187): “der Begriff Kaste sanktionirt nur die Natur – Abscheidung” tra i “tipi” (caratteri, temperamenti) (OFN VIII 3, pp. 183–184; citaz. a p. 184). 36 modificare in nulla né la concezione generale anti-egualitaria della cultura umana (ora saldamente, ma non certo acriticamente, ancorata a un modello interpretativo socialdarwinistico), né il ruolo strumentale che, rispetto a essa, deve avere lo Stato. Da questo complesso di posizioni Nietzsche critica il Reich bismarckiano. 37 IV. Il superuomo, la groβe Politik e lo Stato La perdita dell’orizzonte metafisico ha trasformato il “genio” degli anni 1868-1876 nell’”individualità superiore” degli anni 1877-1882. Nell’ultima parte della sua vicenda intellettuale Nietzsche radicalizza ulteriormente le sue vedute in merito a coloro che devono lavorare e a coloro che devono essere dediti all’otium. Egli configura con maggiore precisione l’immagine della politica del futuro con il concetto di groβe Politik. Un frammento del 1885-1887 recita: “La mia filosofia mira alla gerarchia (Rangordnung), non a una morale individualistica. Il senso del gregge deve dominare nell’ambito del gregge, ma non straripare al di là di esso. I reggitori del gregge (Die Führer der Heerde) hanno bisogno di una valutazione diversa delle loro azioni, parimenti i liberi o le «bestie da preda» etc.”175. Nietzsche rivendica così la differenza della propria posizione teorica rispetto al culto dell’individuo. Egli mostra di concepire la massa come un insieme di individui che dovrebbe avere un capo, ma ne è privo. Se poniamo mente al fatto che con l’espressione “gregge” Nietzsche indica la massa, vediamo bene che egli non critica la massificazione se non nella misura in cui essa inibisce la possibilità dell’esistenza degli “individui superiori”. Evidentemente, fra “individuo” e “individuo superiore” Nietzsche pone una grande differenza. Pare che l’essere individuo sia un dato di fatto, assiologicamente neutro; ciò che conta è appartenere al gregge, o, all’opposto, essere fra gli “individui superiori” i quali sono superiori non in quanto “unici” o “irripetibili”, ma in quanto rappresentano una tipologia, quella del “capo”. In altri termini, l’individuo non è un valore, come per il pensiero libertario e per quello liberale; coerentemente con questa posizione, Nietzsche non critica la funzione massificante dello Stato (tedesco, nello specifico) se non nella misura in cui essa mina le possibilità di esistenza degli “individui superiori”. Egli è contrario a che si rivendichi la stessa libertà per tutti in nome dell’eguaglianza dei diritti176 e viene a porre, così, le basi per sostenere che c’è una morale per chi comanda e una morale per chi obbedisce. Il fondamento di questa posizione si trova nella concezione che Nietsche ha della cultura177 come autentica sostanza socio-politica e psicologica di cui lo Stato è il mezzo. Il Secondo Reich esprime, per Nietzsche, la democratizzazione della vita (equiparata drasticamente alla massificazione) cui si accompagna la 175 Cfr. F. Nietzsche OFN VIII 1, p. 267 (KGA VIII 1, 7[6], p. 288): „ Meine Philosophie ist auf Rangordnung gerichtet: nicht auf eine individualistische Moral. Der Sinn der Heerde soll in der Heerde herrschen,- aber nicht über sie hinausgreifen: die Führer der Heerde bedürfen einer grundverschiedenen Wertung ihrer eignen Handlungen, insgleichen die Unabhängigen, oder die «Raubtiere» usw.“ 176 Come si legge nell’aforisma 188 della Gaia Scienza: “La regale cortesia dell’espressione «siamo tutti lavoratori» sarebbe stata, anche sotto Luigi XIV un cinismo e un’indecenza” cfr. OFN V 2, p. 173 (KGA V 2, pp. 181–182). 177 La parola Cultur indica, come nelle opere precedenti, anche il modello di organizzazione politico-sociale ritenuto corretto da Nietzsche. 38 diffusione del lavoro di fabbrica. In un frammento della primavera-estate 1883 si legge: “La schiavitù del presente: una barbarie! Dove sono coloro per cui gli schiavi lavorano? Non ci si deve sempre attendere una contemporaneità delle due caste reciprocamente complementari178.” La società di massa viene, in sostanza, considerata come composta da “schiavi” cui mancano gli autentici “signori”. A partire dai frammenti postumi 1882-1884 il “grande individuo” viene trasposto nell’immagine del Übermensch, il superuomo179; delle precedenti figurazioni il superuomo eredita l’esigenza di una gerarchia “qualitativa” nell’ambito politico in grado di costituire il senso della vita della massa. Nei frammenti postumi 1882-1884 leggiamo che il superuomo è colui che “dice di sì alla vita” 180 . E la vita è “volontà di dominio e di possesso”, non “un principio metafisico come la volontà di esistere o la volontà di vivere” di cui parlava Schopenhauer: essa non “si manifesta”, bensì è semplicemente un altro modo di dire vita, di definire la vita; la quale per Nietzsche è rapporto tra “forte” e “debole”, ma soprattutto “superamento di sé” nell’essere vivente che mette sé stesso a repentaglio “per amore della potenza”. Emerge il tema della vita come volontà di potenza; ma di esso si parla con chiarezza solo nel capitolo di Così parlò Zarathustra intitolato “Del superamento di sé stessi”: “Solo dove è vita, è anche volontà: ma non volontà di vita, bensì... volontà di potenza”181. La polemica contro l’identificazione degli istinti vitali con la “volontà di vita” è chiaramente rivolta contro il darwinismo182 il quale permetteva, a esempio, a non pochi teorici anarchici, di ipotizzare utopisticamente una situazione futura in cui, soddisfatti i bisogni vitali di ogni uomo, si sarebbe realizzata la pace tra gli individui come tra i gruppi e i popoli. Ma una volta identificata la vita con la volontà di potenza, ciò non è più possibile. Se, inoltre si sostiene che la vita percorre sempre il medesimo ciclo183, vale a dire la lotta tra quella che Nietzsche chiama “vita ascendente” e la “vita declinante”184, non si può che giungere alla conclusione che i valori sui quali si regge ogni codice morale e ogni sistema politico valgono 178 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 1, p. 282 (KGA VII 1, Nachgelassene Fragmente Juli 1882-Winter 1883/4, Frühjahr-Sommer 1883, 7[167], p. 304). 179 Si concorda qui con la traduzione “tradizionale” del termine accreditata, da ultimo, anche da M. Montinari nel già citato Che cosa ha detto Nietzsche.La traduzione attualmente più diffusa (“oltreuomo”) è quella proposta da Gianni Vattimo nel vol. cit. Il soggetto e la maschera, cui si è recentemente affiancata la traduzione proposta dal traduttore degli studi nietzscheani di A. Bäeumler, L. A. Terzuolo: “sovrauomo”. 180 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 1, 1, pp. 127-128 (KGA VII 1, 4[81] , November 1882-Februar 1883, p. 139). 181 Cfr. F. Niezsche, OFN VI 2, p. 140 (KGA VI 1, p. 145: “Nur, wo Leben ist, da ist auch Wille: aber nicht Wille zum leben, sonder- so lehre ich’s dich- Wille zur Macht.“). 182 Cfr. anche F. Nietzsche OFN VIII 3, pp. 93-94 (KGA VIII 3 Nachgelassene Fragmente Anfang 1888 bis Anfang Januar 1889 (Frühjahr 1888), 14[123], pp. 95-97). 183 Cfr. l’interpretazione fondamentale di questo tema in Karl Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno (1936), tr. it. Roma-Bari, Laterza, 1986. 184 Cfr. F. Ingravalle, Filosofie regressive della storia. De Gobineau, Nietzsche, Spengler ,Evola, in S. Belligni, F. Ingravalle, G. Ortona. P. Pasquino, M. Senellart, Trasformazioni della politica. Contributi del seminario di Teoria politica, Working Paper n. 31, September 2002, « Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive Polis», Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Alessandria, pp. 110-116. 39 tanto quanto vale la “qualità vitale” di coloro che li pongono, dal fatto che incarnino il “nichilismo passivo”, oppure il “nichilismo attivo”185. Posta questa costellazione di idee Nietzsche considera lo Stato come strumento della vita e della volontà di potenza. A ciò sembrerebbe ostare il celebre passo di Così parlò Zarathustra contenuto nel capitolo intitolato “Dei nuovi idoli”: “Si chiama Stato il più gelido di tutti i gelidi mostri. Esso è gelido anche quando mente; e questa menzogna gli striscia fuori di bocca: «Io, lo Stato, sono il popolo»”186. Nietzsche continua affermando che “creatori furono coloro che crearono i popoli e sopra di essi affissero una fede e un amore. Distruttori sono coloro che sistemano trappole per i molti e le chiamano Stato”187. Poi aggiunge: ”Troppi vengono al mondo: per i superflui fu inventato lo Stato. Guardate come alletta i troppi! Come li ingoia, digerisce e rumina!”188. Questo è lo Stato tutore e divoratore delle masse, ma “là dove lo Stato finisce – guardate, guardate, fratelli! Non vedete l’arcobaleno e i ponti del Superuomo?”189. Lo Stato tutore e divoratore delle masse non è altro che il Reich bismarckiano190, come rivela proprio il duplice carattere della tutela e del controllo ben espliciti nei passi ora citati; che si tratti di una realtà e non di teorizzazioni pur presenti, nella Germania di quel tempo, circa l’identità tra popolo e Stato o sullo Stato come strumento del popolo lo rivela il tono stesso dei brani citati e la coincidenza sostanziale con le critiche già mosse da Nietzsche al Secondo Reich. All’ identità fra popolo e Stato e allo Stato come strumento del popolo Nietzsche oppone l’immagine fortemente normativa della massa e dello Stato come strumenti dell’”individualità superiore”. Il superuomo non è semplicemente l’individuo, bensì l’ individuo ”superiore”191; in un frammento della primavera del 1884 si legge: “L’individuo superiore (das hohe Individuum) si dà tutti i diritti che lo Stato si concede – uccidere, distruggere, spiare, e così via. La viltà e la cattiva coscienza della maggior parte dei sovrani ha inventato lo Stato e la frase vuota del bien public. L’uomo vero lo ha sempre utilizzato come mezzo nelle sue mani, per un qualsiasi scopo. La cultura (die Cultur) è nata solo in culture nobili (in vornehmen Culturen) – e in solitari che inceneriscono tutto intorno a sé con il disprezzo”192. Più oltre, Nietzsche insiste su tale tema: “Lo «Stato», in quanto esercita la giustizia (als Gericht), è una viltà, perché manca il grande uomo 185 Cfr. F. Nietzsche OFN VIII 2, pp. 12-14 (KGA VIII 2, Nachgelassene Fragmente Herbst 1887 bis März 1888, 9[35], pp. 1415). 186 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 1, p. 54 (KGA VI 1, p. 57). 187 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 1, p. 54 (KGA VI 1, p. 57); la traduzione è stata lievemente modificata. 188 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 1, p. 55 (KGA VI 1, p. 58). 189 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 1, pp. 56-57 (KGA VI 1, p. 60). 190 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, p. 71 (KGA VII 2, 25[272], primavera 1884, p. 78 : “Bismarck wollte mit dem Parlament für den leitenden Staatsmann eunen Blitzableiter schaffen, eine Kraft gegen die Krone und unter Umständer einen Hebel zur Pression auf das Ausland:- er hat auch seinen Sünden- und Unfalls-block.“). 191 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, p. 76 (KGA VII 2, Nachgelassene Fragmente frühjahr 1884-Herbst 1884, 25[298], p. 83: „Vom Range. Die schreckliche Consequenz der «Gleichheit»- schlieβlich glaubt jeder das Recht zu haben zu jedem Problem. Es ist alle Rangordnung verloren gegangen.“). 192 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, p. 69 (KGA VII 2, 25[261], p. 76). 40 (der Groβe Mensch) che può fornire un metro con la sua grandezza”193. Sempre in un frammento della primavera del 1884 si legge, sotto il titolo Rangordnung: “Der die Werthe bestimmt und den Willen von Jahrtausenden lenkt, dadurch daβ die höchsten Naturen lenkt, ist der höchste Mensch“194. Non già lo Stato come strumento del „grande individuo“, ma lo Stato in quanto amministratore della giustizia è „una viltà“; infatti sono i „quanti“ di potenza a costituire la base della „legittimità“ del potere politico; l’idea stessa di giustizia non può che essere identificata con la „viltà“ di chi vuole illudersi che esista un’ulteriorità giuridica rispetto ai meri rapporti di potenza tra gli uomini. Il “grande individuo” è la misura dei valori, proprio perché la potenza è immediatamente, senza bisogno di alcuna sanzione etica o giuridica, valore, per Nietzsche. Sotto questo profilo il Reich viene così giudicato: esso è fondato”sul pensiero più abusato e spregevole (auf den verbrauchtesten und bestverachteten Gedanken), l’uguaglianza dei diritti e dei voti”195. Ciò che Nietzsche critica non è soltanto il fatto del suffragio universale, ma il principio dell’uguale diritto di ciascun uomo in quanto uomo all’interno della compagine sociale e politica inteso; egli critica la democrazia politica perché essa è incapace di enucleare vere figure di “capi” . Il modello democratico uscito dalla Rivoluzione francese “ha diabolicamente assorbito i diritti di tutti e io mi domando se, sotto il nome di piena sovranità dello Stato, il futuro non tenga in serbo per noi ancora una tutt’altra tirannia, servi par le despotisme d’une bureaucratie française196.Di questo tipo di Stato Nietzsche dice che esso è “violenza organizzata”. Tale tesi consiste nel vedere nell’ideale democratico sorto dalla fase giacobina della Rivoluzione francese lo sviluppo del progetto di accentramento amministrativo iniziato da Luigi XIV. Nietzsche sembra tracciare qui una critica condotta da un punto di vista “libertario”, ma a evitare equivoci ci soccorrre un frammento nietzscheano sul quale ha richiamato l’attenzione Norberto Bobbio197: “La nostra ostilità per la Révolution non si riferisce alla farsa cruenta, all’«immoralità» con cui si svolse; ma alla sua moralità di branco, alle «verità» con cui sempre e ancora continua a operare, alla sua immagine contagiosa di «giustizia e libertà», con cui si accalappiano tutte le anime mediocri, al rovesciamento dei ceti superiori”198; una farsa che, proprio perché cruenta ha impressionato anche gli spiriti più orgogliosi. Nietzsche contesta alla 193 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, p. 92 (KGA VII 2, 25[349], p. 100). Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, p. 93 (KGA VII 2, 25[335], p. 102); in KGA VIII 2, Nachgelassene Fragmente Herbst 1887bis März 1888, 11 [36], p. 262 (OFN VIII 2, p. 232) leggiamo: „Über den Rang entscheidet das Quantum Macht, das du bist; der Rest ist Feigheit.“ 195 Cfr. F. Nietzsche, OFN VIII 2, p. 298 (KGA VIII 2, 11[235], p. 334). 196 Cfr. F. Nietzsche OFN VIII 2, p. 298 (KGA VIII 2, 11[252], p. 339). 197 Cfr. N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, p. 102. 198 Cfr. F. Nietzsche, KGA VIII 2, Nachgelassene Fragmente Herbst 1887 bis März 1888, 9[116], p. 67 (OFN VIII 2, p. 59): „Unsere Feindschaft gegen die révolution bezieht sich nicht auf die blutige Farce, ihre «immoralität», mit der sich abspielte; vielmehr auf ihre Heerden-Moralitä, auf ihre «Wahrheiten» mit denen sie immer noch wirkt, auf ihre contagiöse Vorstelung von «Gerechtigkeit, Freiheit», mit der sie alle mittelmäβigen Seelen bestrickt, auf ihre Niederwerfung der Autoritäten höherer Stände. Daβ um sie herum so schrechlich und blutig zugieng, hat dieser Orgie der Mittelmäβigkeit einen Anschein von Gröβe gegeben, so daβ sie als Schauspiel auch die stolzesten Geister verführt hat.“ 194 41 Rivoluzione lo spirito di “risentimento” contro il ceto nobiliare e vede nella Rivoluzione stessa la “rivolta degli schiavi” (con un giudizio analogo a quello che aveva formulato a proposito della Comune di Parigi del 1871); il modello di Stato che ne è derivato incarna l’ideale dell’eguaglianza che, secondo il filosofo, si traduce in un dispotismo burocratico nel quale il “grande individuo” non può dominare (va ricordato peraltro che il giudizio di Nietzsche sulla Rivoluzione non è totalmente negativo199). Di contro a questo modello, lo Stato è “ l’immoralità organizzata”; all’interno esso organizza la polizia, utilizza il diritto penale, la suddivisione in classi, la circolazione delle merci, la famiglia, all’esterno esso è “volontà di potenza, di guerra, di conquista, di vendetta”. Lo Stato è il mezzo per giungere a far compiere a una grande quantità di uomini cose che l’individuo non acconsentirebbe mai a fare attraverso “una divisione delle responsabilità” del comando e dell’esecuzione, facendo intervenire la virtù dell’obbedienza, del dovere, dell’amore di patria e dell’attaccamento al principe, favorendo la conservazione di tutti i tratti tipici che contraddicono il tipo del gregario: ”l’orgoglio, la severità, la fortezza, l’odio, la vendetta.” L’impersonalità fa in modo che noi “ci permettiamo questi affetti come media di una collettività (giudizi collegiali, giurì, cittadino, soldato, ministro, principe, società, «critico»)... ci dà il senso come se facessimo un sacrificio”. Il mantenimento dello Stato militare è l’ultimo mezzo sia per accogliere, sia per mantenere “la grande tradizione riguardo al tipo supremo d’uomo, al tipo forte. E tutti i concetti che perpetuano l’ostilità e la distanza di rango tra gli Stati possono sotto questa prospettiva apparire sanzionati... per esempio nazionalismo, protezionismo..” qui il testo si interrompe; ma non ci sono dubbi che quello che abbiamo appena letto è il “catalogo” dei “mezzi immorali” di cui si serve il “tipo umano forte” alla guida dello Stato, tra i quali è compreso il nazionalismo che qui indica presumibilmente, in realtà, un “nazionalismo europeo”200. L’espressione “nazionalismo europeo” non è utilizzata da Nietzsche ma è funzionale all’espressione del nesso tra la prospettiva dell’unione degli Stati europei e la groβe Politik di cui tale unione dovrebbe essere la protagonista. La tematica della groβe Politik compare con chiarezza nei frammenti postumi del 1884-1885201 e non scompare più dalla riflessione del filosofo. La configurazione della “nuova aristocrazia” compare in un frammento postumo del 199 Si legge in OFN VIII 2, p. 121 (KGAVIII 2, 10[31], p. 137) risalente all’autunno del 1887: “La Rivoluzione rese possibile Napoleone: è questa la sua giustificazione. Per un simile prezzo si dovrebbe desiderare il crollo anarchico di tutta la nostra civilizzazione (Civilisation). Napoleone rese possibile il nazionalismo: questo è il suo limite.” Una valutazione positiva che né gli interpreti liberali, né quelli democratici, né i nazionalisti tedeschi avrebbero condiviso. 200 Su questo aspetto richiama l’attenzione K. Löwith, Il nichilismo europeo, cit., pp. 46-53; sul piccolo nazionalismo come névrose e sulla connessione fra Kleinstaaterei Europa’s e kleine Politik cfr. Ecce Homo in OFN VI 3, p. 370 (KGA VI 3, p. 358). 201 Si confronti il titolo Della Grande Politica (Vom Groβe Politik ) c in OFN VII 3, p. 93, 32[16] (KGA VII 3, pp. 132 – 133) risalente all’inverno 1884–1885; su tale appunto e sul suo contesto nel manoscritto nietzscheano cfr KGA VII 4/2, Nachberichte zur siebenten Abteilung, pp. 321–232. 42 periodo maggio–luglio 1885202 in questi termini: “Ci devono essere molti superuomini: ogni bontà si sviluppa solo tra pari. Un solo dio sarebbe sempre un diavolo! Una razza dominante (herrschende Rasse). Per «i signori della terra».” Ciò di cui si tratta è la lotta per il dominio della terra; Nietzsche prospetta addirittura una gerarchia (Rangordnung) realizzata “in un sistema di governo della terra: i signori della terra (Herrn der Erde) da ultimo, una nuova casta dominante”203. Da essa sorge un dio affatto epicureo, il superuomo, il trasfiguratore dell’esistenza.” Di questa aristocrazia che enuclea da sé il superuomo sono stati precursori i grandi europei, “Vorlaufer der groβen Politik204; suo prodotto è il “nuovo filosofo” il quale “può sorgere solo se connesso (in Verbindung) con una casta (Caste) dominante. La grande politica, prossimità del governo della terra; assoluta mancanza di principi per questo.” Poco sopra Nietzsche aveva affermato: “Il filosofo dev’essere come un legislatore”205. I caratteri di questa casta dominante sono maggiormente precisati un un frammento scritto tra l’estate 1884 e l’estate 1885: “ Il futuro della cultura tedesca risiede negli ufficiali prussiani”206. In un altro frammento coevo leggiamo: “Problem einer Verschmelzung der europäischen Aristokratie oder vielmehr des preuβischen Junkers mit Jüdinnen“207. Un’aristocrazia prussiano-ebraica208 avrebbe le caratteristiche per guidare l’Europa, unificata, sul cammino della „grande Politica”, cioè sul cammino del dominio della terra. Si tratta di un’aristocrazia selezionata secondo presupposti legati alla teoria della corrispondenza fra razza e carattere, nonché della gerarchia dei tipi psicologici all’interno di ciascuna razza, in vista della groβe Politik. Il maggiore ostacolo all’avvento di una aristocrazia di questo genere è il “piccolo spirito inglese” (England’s Kleingeisterei) e il principio inglese della rappresentanza popolare (“abbiamo bisogno di una rappresentanza dei grandi interessi”); ciò di cui c’è bisogno è una alleanza “assoluta” con la Russia che vi impedisca l’avvento di schemi inglesi e di un “avvenire americano”209. Alle già ricordate componenti razziali della futura nuova aristocrazia europea si aggiunge, poi, la componente slava. Lo Stato si viene a configurare come strumento di una élite nata da “incroci” tra soggetti “superiori” di “razza” ebraica, prussiana, slava, in omaggio al principio teorico della connessione razza – carattere, come si è appena detto, ma, al tempo stesso, come si è appena visto, al rifiuto di qualsiasi concezione egualitaria riguardo ai componenti di un corpo razziale; l’apparato amministrativo deve essere l’ossatura dell’unione degli Stati europei e garantire la 202 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 3, 35[ 72] p. 217 (KGA VII 3, p. 263). Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 3, 35[ 73] p. 217 (KGA VII 3, p. 263). 204 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 3, 35[45] p. 209 (KGA VII 3, p. 254). 205 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 3, 35[47] p. 210 (KGA VII 3, p. 255). 206 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 3, 36[44] p. 247 (KGA VII 3 p. 293 207 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 3, 36[45] p. 247 (KGA VII 3, p. 293) 208 Nel caso specifico, sul carattere “trasversale” della nozione di “aristocrazia” rispetto alle “differenze psicologiche” fra gruppi razziali cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 827-833. 209 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 2, 26[335] e 26[336] pp. 216-217 (KGA pp. 236 e 236–237. 203 43 selezione dell’ élite. Nietzsche sta delineando il quadro di un soggetto politico europeo in lotta per la potenza; di tale soggetto la Cultur è il principio di movimento, la statualità il principale mezzo; come si esprime il filosofo: “Die Aufgabe ist, eine herrschende Kaste zu bilden mit den unfänglichsten Seelen, fähig zu die verschiedensten Aufgaben der Erdregierung”210. In questo quadro deve esistere l’ “animale gregario” (Heerdenthier): “In sé l’animale gregario non ha niente di malato, esso è perfino prezioso, però incapace di guidare sé stesso, ha bisogno di un «pastore» -ciò capiscono i preti... lo «Stato» non è abbastanza intimo, segreto, la «guida delle coscienze» gli sfugge. Come l’animale gregario è reso malato dal prete?”211. E’ chiaro che – ma è necessario ripeterlo ancora - ciò che preoccupa Nietzsche non è, in altri termini, la massificazione dei popoli dell’Europa212, bensì la scarsa capacità da parte della formaStato che è loro comune di guidare le coscienze e di selezionare sistematicamente un’élite. Non pare quindi privo di significato il fatto che nelle opere edite tra il 1886 e il 1887 i temi di maggiore rilievo politico sono il “declino dell’arte di comandare” (che la massificazione in atto rende invece di importanza decisiva), la ricostruzione del processo di formazione dello Stato come repressione della violenta libertà originaria213 e la ritematizzazione della groβe Politik. L’aforisma 199 di Al di là del bene e del male214 afferma che avendo molti soltanto obbedito e solo pochi esercitato il comando, nella storia umana si è sviluppato un „istinto di gregge“ a spese dell’arte del comando. Chi comanda non osa più farlo senza farsi passare anch’egli per ubbidiente a qualche cosa (esecutore degli ordini degli antenati, della costituzione, del diritto, delle leggi o persino di Dio), “servitore del suo popolo”, “strumento del bene comune”. Lo Stato moderno è un esempio, assieme ai gruppi famigliari, comunità, stirpi, popoli, chiese, di “gregge umano”. Si è creata in Europa, e in particolare in Germania, secondo Nietzsche, si è visto, una massa gregaria il cui sviluppo coincide col progressivo democratizzarsi delle istituzioni politiche. Di fronte a questo processo, è un sollievo per il “gregge” degli Europei l’apparizione di un Napoleone “che comanda in modo assoluto”. Napoleone è un esempio storico di ciò che Nietzsche intende con l’espressione “grande individuo”; l’opera politica di Bonaparte lo è per il concetto di “arte del comando”; altri esempi sono Gaio Giulio Cesare e il principe 210 Cfr. F. Nietzsche, OFN VII 2, 25[221], p. 62 (KGA VII 2, p. 68) Cfr. F. Nietzsche OFN VIII 3, p. 371 (KGAVIII 3, Nachgelassene Fragmente 23[4], p. 415-416). 212 Come osservava Max Horkheimer, Nietzsche “verachtet die Masse, aber er will sie doch als Masse erhalten”, Dämmerung. Notizen in Deutschland (1931/1934) in Gasammelte Schriften Band 2: Philosophische Frühschriften 1922–1932, Frankfurt am Main, Fischer, 1987, p. 338, aforisma intitolato Nietzsche und das Proletariat. 213 Quest’ultima è sviluppata attraverso il confronto critico con la teoria del diritto elaborata da Eugen Dühring; cfr. Aldo Venturelli, Asketismus und Wille zur Macht. Nietzsches Auseinandersetzung mit Eugen Dühring, „Nietzsche-Studien“, 1986, pp. 107-139. 214 Cfr. F. Nietzsche, OFN VI 2, pp. 96 – 97 (KGA VI 2, pp.121–122). 211 44 machiavelliano215. Se ammettiamo – e non si può non ammetterlo, a questo punto - che il “grande individuo” e il superuomo sono la medesima tipologia, sarà agevole comprendere che Nietzsche sta parlando di un’autorità politica priva di un crisma che venga dall’alto o dal basso, ma dotata di quello che si dovrebbe definire “carisma” derivante dal “magnetismo”esercitato da un tipo psicologico che viene riconosciuto come quello di un “capo,” di un “hoherer Typus”216. Circa il processo di formazione dello Stato, Nietzsche, nel secondo saggio di Genealogia della morale lo configura come un procedimento repressivo della istintualità umana originaria. Tale istintualità viene configurata come “inimicizia”, “crudeltà”, “piacere della persecuzione, dell’attacco, delle mutazioni, della distruzione, della guerra, dell’avventura”. Questo ricco ma terribile patrimonio pulsionale originario fu costretto a introflettersi, andando a costituire la “cattiva coscienza”217. Lo Stato è lo strumento di questa introflessione. Non è l’istinto di autoconservazione a fare di ogni uomo il nemico di ogni altro, ma il piacere della crudeltà, il piacere di imporre la propria potenza a un proprio simile; già al tempo dei suoi studi sulla tragedia Nietzsche aveva scorto il piacere della crudeltà al fondo della pulsione dionisiaca; ora egli lo considera senz’altro il dato centrale della natura umana e ciò non manca di modificare sensibilmente lo sguardo che egli getta sulle origini dello Stato. Se l’uomo non è guidato essenzialmente dalla pulsione di autoconservazione donde deriva il calcolo utilitario che fonda, nel pensiero di Hobbes, la convivenza, la costituzione della società in forma statale non avverrà attraverso un patto, ma attraverso l’instaurazione violenta di rapporti di dominio; la pulsione che agisce nell’uomo è quella che opera anche nel protoplasma, come si legge in uno dei frammenti postumi 1887-1888: ”La volontà di potenza può manifestarsi solo contro delle resistenze (an Widerständen); cerca quello che le si contrappone – questa la tendenza originaria del protoplasma quando mette fuori pseudopodi e si tasta intorno. L’appropriazione e l’assimilazione è anzitutto un voler sopraffare, un formare, modellare e rimodellare, finché il vinto sia passato interamente sotto il potere dell’aggressore, accrescendolo (...) ‘Fame’ è solo una conformazione più ristretta, dopo che l’istinto fondamentale di potenza ha assunto una figura più spirituale”218. 215 Il Principe di Machiavelli non è stato soltanto una delle prime letture di Nietzsche ai tempi della scuola di Pforta, ma, come già si è detto, è una presenza quasi costante nell’opera di Nietzsche, anche se non sempre espressamente indicata. 216 Cfr. F. Nietzsche KGA VI 3 (Der Antichrist), aforisma 4, p. 169 (OFN VI 3, pp. 169-170). Su quest’opera nietzscheana cfr. il fondamentale studio di Jörg Salaquarda Der Antichrist, “Nietzsche-Studien” Bd. 2, 1973, pp. 91-136. 217 Cfr. F. Nietzsche KGA VI 2, pp. 337-340 (OFN VI 2, pp. 283-285). 218 Cfr. F. Nietzsche KGA VIII 2, 9[151] p. 88 (OFN VIII 2, p. 77). Sulla reale concezione della volontà di potenza in Nietzsche ricostruita attraverso la critica dell’interpretazione fornitane da Kaufmann, Nietzsche, cit., cfr. Walther H. Sokel, Political uses and abuses of Nietzsche in Walther Kaufmann’s image of Nietzsche, „Nietzsche-Studien“, Bd. 12, 1983, pp. 436-442. L’interpretazione della volontà di potenza come „pienezza traboccante di essere“ e consistente non nel desiderare e nel prendere, ma nel creare, nel dare e nel “differenziare” è dovuta, notoriamente a Gilles Deleuze, Nietzsche et la philosophie, cit., è molto affine a quella di Kaufmann; su di essa si vedano le osservazioni critiche di Ian Donaldson, Hierarchy and Ontological dualism: rethinking Gilles Deleuze’s Nietzsche for political philosophy, “History of Political Thought”, XXII, 2002, pp. 654-669; Donaldson osserva (p. 668): “What is unique in Nietzsche is the combination of difference and hierarchy. Nietzsche’s challenge to us, therefore, is to better understand the of hierarchy in the moral, economic and political structure of our communities”. 45 La base del contrattualismo, da Hobbes a Locke, a Rousseau, a Kant è un’antropologia di carattere meccanicistico sulla quale viene eretta una teoria utilitaristica dell’azione umana; essa indica come movente dell’azione l’autoconservazione, come si è detto e com’è ben noto; comunque si voglia definire l’antropologia nietzscheana, è chiaro che essa ha al suo centro la volontà di potenza descritta dalla precedente citazione: un impulso molto diverso dall’autoconservazione e che, conseguentemente,non ha nulla a che fare con passioni come la paura (fondamentale nel modello di Hobbes per la costruzione della società) o la benevolenza (fondamentale sia nel modello lockiano, sia in quello humeano). La volontà di potenza di cui parla Nietzsche corrisponderebbe alle passioni che scatenano la guerra civile nel paesaggio politico hobbesiano e al quadro del vizio delineato nel Discours sull’origine della diseguaglianza da Rousseau il quale condivide l’antropologia meccanicistica delineata da Hobbes. Se la società (e poi lo Stato) scaturiscono secondo le teorie meccanicistiche dalla minaccia reciproca cui è esposta l’autoconservazione dei soggetti, secondo il Nietzsche dell’ultima fase la società è un “dato” e lo Stato si sviluppa attraverso l’introflessione dell’originaria crudeltà umana, non già a tutela dell’autoconservazione di ciascun uomo. Lo Stato produce tale introflessione in quanto esso è l’esito della conquista del potere da parte dei “dominatori”, degli “uomini forti”. Il filosofo sembra ammettere tacitamente che l’uomo vive necessariamente in relazione con il suo simile, è, aristotelicamente, animale politico; ma tale relazione è essenzialmente antagonistica, è lotta per la potenza. Da quest’ultima scaturiscono le gerarchie sociali e politiche; coloro che si impadroniscono del potere, i “dominatori”, reprimono il naturale conflitto tra gli individui, i gruppi famigliari e i gruppi sociali attraverso una sorta di “monopolio della forza fisica” che viene poi giuridicizzato. Ogni Stato sorge in questo modo. E ogni Stato mette in campo la compattezza dinamica così costituita nella guerra con gli altri Stati. La costrizione all’introflessione della crudeltà dovette avvenire, precisa Nietzsche, con durezza inaudita: “Lo «Stato» più antico apparve come una tirannia terribile, come un meccanismo stritolatore e privo di scrupoli, e proseguì su questa via fino a quando questa materia grezza del popolo e di semianimalità non venne finalmente bene amalgamata e resa duttile, e altresì dotata di forma”. Lo Stato è il principio formatore dei popoli: si ricorderà che Nietzsche, al tempo dei suoi studi sull’origine della tragedia aveva già descritto questa “tirannia terribile” come carattere dello Stato dorico”, manifestazione del principio apollineo e l’aveva contrapposta alla canalizzazione dell’istintualità e della crudeltà propria del modello ateniese. Ora Nietzsche vede nella repressione della crudeltà tramite la crudeltà stessa l’origine dello Stato, il modo in cui il popolo riceve la forma e si allontana dal caos. La vitalità dionisiaca si 46 esplica nella lotta per la potenza e nella creazione della forma-Stato attraverso la repressione dell’istintualità originaria. La repressione politica genera un potere che Nietzsche descrive in questi termini in uno tra i suoi brani più noti (e inquietanti): “Un branco qualsiasi di biondi animali da preda, una razza di conquistatori e di padroni, che organizza militarmente e con la forza di organizzare, abbatte senza riguardo le sue orribili zampe su una popolazione forse enormemente superiore per numero, ma ancora priva di forma, ancora nomade. Così inizia in terra lo «Stato»: credo che sia eliminato il sogno illusorio che lo faceva cominciare con un «contratto». Chi può comandare, chi è naturalmente «padrone», chi incede tirannico nelle azioni e nei gesti – non ha bisogno di contratti”219. La dove un gruppo umano realizza con la conquista la “forma politica” nel senso fin qui indicato, nasce lo Stato. Questo processo è duplice: da un lato esso crea la gerarchia all’interno di una compagine sociale; dall’altro crea la gerarchia tra le popolazioni. Se da un lato gli individui più dotati di virtù guerriere si impadroniscono del potere creando lo Stato, dall’altro lo Stato così creato lotta per la potenza contro altri Stati. I conquistati, i vinti, essendo stato bloccato dalla feroce “messa in forma” conseguita alla conquista lo “sbocco naturale” della innata crudeltà naturale, sviluppano la tendenza ad autotorturarsi che deriva dalla “crudeltà dell’animale uomo interiorizzato e respinto dentro di sé”220. Tale tendenza ad autotorturarsi non è altro che la «cattiva coscienza» sulla quale si innesta poi il Cristianesimo facendo di essa il nucleo psicologico fondamentale della “rivolta degli schiavi”, della “lotta degli schiavi per la potenza”. Privi di virtus guerriera, gli “schiavi” sviluppano lo spirito e realizzano l’ “inversione dei valori” dei “forti” e dei “conquistatori”. Dalla rivolta cristiana degli “schiavi” è nato, secondo Nietzsche, lo spirito moderno i cui tratti fondamentali sono esposti nel terzo saggio di Genealogia della morale (dedicato alla volontà di potenza del tipo umano «sacerdotale», guida degli umili e dei calpestati nella loro lotta spirituale per strappare il potere ai forti). Lo Stato nasce, dunque, come Stato militare e decade a mero gregge senza vero capo nel progressivo democratizzarsi della società europea moderna e nello scomparire della virtus del comando che caratterizza l’intera storia della Moderbnità aperta dal Cristianesimo. Rispetto a questo processo (che per Nietzsche è un processo di decadenza) sia i principati rinascimentali, 219 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 2, p. 286 (KGA VI 2, (Zur Genealogie der Moral) p. 340). Rivendicando un simile ruolo alla violenza, Nietzsche respinge la teoria spenceriana che vede nelle istituzioni politiche dei mezzi di adattamento dei gruppi umani alle sfide ambientali, cfr. OFN V 2, p. 356) (KGA V 2, Nachgelassene Fragmente, Frühjahr – Herbst 1881, 11[73], pp. 367– 368). Il tema è anticipato da Nietzsche in OFN VI 2, pp. 240–241 (KGA VI 2, p. 289) con un significativo rinvio all’epitaffio di Pericle (Tucidide II 41, 4) quale esempio di “morale dei signori”. Sul passo di Tucidide e sulla sua interpretazione nietzscheana cfr. Luciano Canfora, “Introduzione” a Tucidide, Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi, Venezia, Marsilio, 1991, pp. 11–37. 220 Cfr. F. Nietzsche OFN VI 2, pp. 292-293 (KGA VI 2, (Zur Genealogie der Moral) pp. 347-349). 47 sia Napoleone Bonaparte rappresentano contro-tendenze che evocano un tipo analogo a quello incarnato da Caio Giulio Cesare. Se questo è vero, non sarà fuori luogo denominare “cesaristico” il modello di potere politico fin qui descritto. Il filosofo concepisce il politico alla luce del binomio “masse – capi” e vede nello Stato lo strumento attraverso il quale le masse, come strumenti dei capi, si muovono sul terreno della groβe Politik. Nietzsche ha in mente, in questa ultima fase del suo pensiero, uno Stato continentale, l’Europa, e il suo termine di confronto e modello è, ormai, l’Impero romano. In L’anticristo (1888) Nietzsche contrappone allo spirito “democratico” del Cristianesimo e alle sue filiazioni (liberalismo, democrazia, socialismo, anarchismo) da un lato (cioè dal lato socio-psicologico) il sistema delle caste teorizzato nel Codice di Manu, dall’altro (il lato più propriamente istituzionale-politico) l’Imperium romanum; del primo si legge: “L’ ordinamento delle caste, la legge suprema, dominante non è che la sanzione di un ordinamento della natura, di una legalità primaria della natura, sopra la quale nessun arbitrio, nessuna «idea moderna» ha potere”221; Nietzsche prosegue affermando che “in ogni sana società si differenziano, condizionandosi reciprocamente, tre tipi di diversa gravitazione dal punto di vista fisiologico, ognuno dei quali ha la sua propria igiene, la sua propria sfera di lavoro, la sua propria specie di sentimento della perfezione e maestria. La natura, non Manu separa gli esseri preminentemente spirituali da quelli prevalentemente dotati di forza muscolare e temperamento, e in terzo luogo da quelli che non emergono né per l’uno, né per l’altro verso, i mediocri – questi ultimi rappresentano il gran numero; gli altri il fiore”222. Non sfugge l’analogia con il paradigma politico platonico223 (analogia del tutto involontaria?) di questa suddivisione sociale che il filosofo chiaramente approva, e non sfugge neppure che questo è il modello su può innestarsi lo Stato del futuro preconizzato da Nietzsche nella prospettiva dell’unificazione dell’Europa sotto il dominio della “nuova aristocrazia”. Il modello storico prevalente in questa fase del pensiero nietzscheano è quello dell’ Imperium romanum. che il filosofo giudica “la più grandiosa forma di organizzazione – in mezzo a difficili condizioni – che sia mai stata raggiunta fino a oggi. (...) L’ Imperium romanum (...) questa del tutto ammirabile opera d’arte in grande stile, era un principio, la sua costruzione era calcolata per dare prova di sé con millenni – fino a oggi non si è mai costruito in questo modo (...)”224. La saldezza dell’Impero poteva tollerare i cattivi imperatori, tanto era impersonale, non 221 Cfr. F. Nietzsche, OFN VI 3, aforisma 57, p. 248, (KGA p. 240). Cfr. F. Nietzsche, OFN VI 3, aforisma 57, pp. 248 - 249 (KGA, p. 240) 223 Cfr. Platone, Respublica IV 427 d 1 – 445 e 4. 224 Cfr. F. Nietzsche, OFN VI 3, p. 115 (KGA, pp. 243–244) 222 48 fondata sulle peculiarità individuali questa costruzione della volontà di potenza. Ciò che conta per Nietzsche è il tipo psicologico del “dominatore”, non la sua realtà individuale, irripetibile e perciò casuale. Tale tipo era la chiave di volta, secondo il filosofo, di una costruzione come quella dell’ Imperium Romanum. E’ il modello di quest’ultimo che Nietzsche ha in mente per un’ Europa protagonista della “politica dei grandi spazi”. Nietzsche combina storia e quella che si sarebbe tentati di chiamare “biostoria” (e “biopolitica”) nel momento in cui la Rangordnung aristocratica viene legittimata attraverso la sua “naturalità.” Il suo modello di élite sembra conformarsi del tutto alla virtus “pagana” e non è lontano dal modello del Principe machiavelliano. Il Cristianesimo (e le sue “filiazioni”) appare quindi come degenerazione, décadence, corruzione che ha impedito nell’età moderna lo sviluppo di ordinamenti autenticamente aristocratici e, con la Rivoluzione francese ne ha quasi distrutto il principio politico. I valori si svalutano e il nichilismo si diffonde non soltanto perché il Cristianesimo ha designato come valore ciò che è “contro natura” (la compassione come bene e la volontà di potenza dei forti come male), contrario alla “vita ascendente” (Il Cristianesimo ha aperto la strada a un mondo spiritualmente dominato dai “deboli” e dai “malriusciti”, dalla loro educazione e dai loro valori), ma perchè, sul piano politico, la realtà dei rapporti tra gli Stati si sta configurando in termini di grande politica, di lotta per la potenza, cioè in termini anti– cristiani. Il mondo presto sarà del tutto fuori della portata dei valori e dello spirito dei deboli, profetizza Nietzsche. Nell’aforisma 208 di Al di là del bene e del male si legge: „Die Zeit für kleine Politik ist vorbei: schon das nächste Jahrhundert bringt der Kampf um die Erd – Herrschaft – den Zwang zur groβen Politik.225 Il Cristianesimo e tutte le sue filiazioni saranno presto il passato. E anche il piccolo nazionalismo è il passato. La Germania è il capofila degli alfieri del piccolo nazionalismo: “Il nazionalismo, questa névrose nationale di cui è ammalata l’Europa (an der Europa krank ist), questa perpetuazione di un’Europa fatta di staterelli, di piccola politica” è l’orizzonte della politica tedesca226; le aperture della“monarchia sociale” di Guglielmo II configurano secondo Nietzsche un quadro in cui la Germania si presenta come un crogiolo sovversivo in cui si mescolano piccolo nazionalismo, democrazia e socialismo227. In quanto tale, anche la Germania appartiene al passato. Il futuro appartiene, secondo il filosofo, all’Europa aristocratica che sarà protagonista della groβe Politik. 225 Cfr. F. Nietzsche, OFN VI 2, p. 115 (KGA VI 2, p. 144) Cfr. F. Nietzsche, Ecce homo in OFN VI 3, p. 370 (KGA p. 358). La traduzione è stata leggermente modificata. 227 Cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, cit., pp. 555–590. 226 49 V. Un abbozzo di teoria cesaristica dello Stato? Il punto d’approdo della riflessione di Nietzsche sullo Stato è chiaro: lo Stato è il mezzo della volontà di potenza sul piano politico; quest’ultima può esprimere sia la vita “in ascesa” (la nuova aristocrazia teorizzata dal filosofo), sia la vita “decadente” (gli Stati liberali che lentamente si stanno aprendo al suffragio universale). La vita dello Stato che Nietzsche preconizza consiste nel rapporto gerarchico fra “capi” e “gregari” e l’avvento della società di massa è considerato dal filosofo come la condizione stessa del dominio dei “capi”. Della vita dello Stato il filosofo non ci dà un quadro istituzionale: egli concentra il suo sguardo sulla tipologia umana che conferisce alla realtà istituzionale il suo significato: il “genio”, il “grande individuo”, il “superuomo”. Questi è, alla fine, la guida di un’Europa unificata e in lotta per il dominio sulla terra. Se nella prima fase della riflessione nietzscheana si considera con favore il ‘modello ateniese’- perché essa guarda al politico dal punto di vista del problema dell’arte tragica nell’ultima fase della sua riflessione - Nietzsche considera con favore il modello ‘romanoimperiale’ (senza, tuttavia, dimenticare il modello della ‘talassocrazia’ ateniese). L’intero percorso è accompagnato da una costante avversione ai principi della Rivoluzione francese228 in nome di una autentica riduzione della politica a una natura intesa in modo anti-meccanicistico, vitalistico; sotto questo profilo, Nietzsche rappresenta una posizione radicalmente nuova rispetto alle critiche mosse alla Rivoluzione francese dal legittimismo cattolico: Nietzsche non cerca un crisma superiore, trascendente, per legittimare l’esistenza e l’attività dello Stato; non guarda neppure alla tradizione intesa come continuità istituzionale alla maniera di Burke: egli ritiene che tale continuità rappresenti il passato, di fronte al peso che le masse hanno assunto e assumeranno nella politica. Il suo discorso politico si muove piuttosto all’interno dei modelli cesariano, napoleonico e bismarckiano. E lo fa in modo critico. Ciò era stato già rilevato da G. Lukàcs, a proposito della posizione nitzscheana nei confronti dell’opera politica di Bismarck229. Della politica bismarckiana Nietzsche critica il “piccolo nazionalismo” (ma il suo atteggiamento sulla “questione sociale” al tempo della “monarchia sociale” di Guglielmo II è affine a quello manifestato, nella stessa epoca, da Bismarck) cui contrappone il progetto di un’Europa unita ed espansionistica impegnata nella lotta per la spartizione del mondo, la groβe Politik di cui uno 228 Non a caso N. Bobbio, L’età dei diritti, cit., p. 102 definisce Nietzsche “il principe degli scrittori reazionari” e D. Losurdo, Nietzsche, cit., p. 73 lo indica come “il più grande pensatore tra i reazionari e il più grande reazionario tra i pensatori.” 229 Cfr. G. Lukàcs, La distruzione della ragione, cit., p. 333 ove si ricorda che Nietzsche è convinto che Bismarck “operi un compromesso con il popolo, antistorico, ma tuttavia abile e opportuno” e stia creando una “democrazia” capace di “formare una nuova élite”. Contro l’interpretazione di Lukacs sviluppa argomentazioni articolate ma discutibili H. Ottmann, Anti - Lukacs. Eine Kritik der Nietzsche-Kritik von Georg Lukàcs, „Nietzsche-Studien“ Bd. 13, 1984, pp. 570-586. Sulla strumentalità del giudizio positivo di Nietzsche sulla democrazia si veda l’aforisma 242 di Jenseits von Gut und Böse, KGA, VI 2, pp. 190-191 (OFN VI 2, pp. 153-155): la democratizzazione delle istituzioni politiche giungerà a fornire un gregge alle “nature dominatrici” 50 Stato europeo unitario sarebbe lo strumento. Il modello a cui guarda il filosofo per l’Europa è l’”unificazione” tentatane da Napoleone. Il primo interprete a definire la posizione politica complessiva di Nietzsche “cesaristica” fu Georg Brandes230 (l’ “inventore” , come già si è visto, della formula più felice per definire il pensiero del filosofo, cioè “radicalismo aristocratico”). Come categoria politica, il “cesarismo”231 si regge sulla polarità masse – capi donde deriva la legittimazione di un potere autocratico (sarebbe arduo distinguerlo nettamente da ciò che è stato denominato “bonapartismo” o, anche, “bismarckismo”); è molto significativa, in merito a tale categoria, la posizione di Max Weber in La politica come professione (1919): la democratizzazione e la burocratizzazione della vita sociale moderna pongono di fronte al dilemma tra “potere burocratico irresponsabile” (la democrazia parlamentare) e la “democrazia del Führer” (cioè la democrazia guidata)232; tale posizione è stata indicata come “bonapartistica”233 o “cesaristica”234. Non a caso è stato giustamente sottolineato da Wilhelm Hennis235 l’influsso esercitato da Nietzsche su Weber. Nel riproporre la categoria di “cesarismo” come la più vicina a una designazione sintetica del pensiero di Nietzsche sullo Stato, non si può certamente trascurare la critica che fece Marx di tale categoria nello scritto Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte (pubblicato in prima edizione nel 1852 e in seconda edizione ne1869)236 definendola come dovuta a una “superficiale analogia storica” a causa della quale “ si viene a dimenticare il fatto essenziale che, specialmente nell’antica Roma, la lotta di classe si svolgeva soltanto all’interno di una minoranza privilegiata, tra i ricchi e i poveri che erano liberi cittadini, mentre la grande massa produttiva della popolazione, gli schiavi, costituiva soltanto il piedistallo passivo dei combattenti.” Per Nietzsche la massa moderna è costituita da “schiavi” (sia pure privi di padrone) in un senso etico, certo, non storico - sociologico; egli pensa in modo non diacronico, ma sincronico, la connessione tra il “modello cesariano” e le prospettive di uno Stato gerarchico nell’era delle masse in modo perfettamente coerente con i dettami anti-storicistici della sua considerazione inattuale 230 Cfr. Georg Brandes, Friedrich Nietzsche, cit., p. 83, in una lettera dell’ 11.1.1888. Per la categoria del “cesarismo” cfr. Friedrich Gundolf, Caesar. Geschichte seines Ruhes, Berlin, Bondi, 1924; Id. Caesar in neunzehnten Jahrhundert, Berlin, Bondi, 1926 (tradotti in italiano da E. Giovannetti in F. Gundolf, Cesare, Milano, Garzanti, 1944). Le pagine finali dell’opera (tr. it. pp. 344–349) sono dedicate alla presenza della figura di Cesare nell’opera di Nietzsche. 232 Cfr. Max Weber, Scritti politici, con una introduzione di A. Bolaffi, Roma, Donzelli, 1998, p. 214 (Max Weber, Gesamtausgabe. Abteilung I, Band 17, Wissenschaft als Beruf (1917/1919), Politik als Beruf (1919), hg. von W. J. Mommsen und W. Schluchter, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck) Tübingen, 1992, p. 224). 233 Cfr. G. Lukàcs, La distruzione, cit., p. 617 234 Cfr. Karl Löwith, Max Weber und seine Nachfolger, „Maβ und Wert“, III, 1939, 1, pp. 166–176. Cfr. F. Tuccari, I dilemmi della democrazia moderna. Max Weber e Robert Michels, Roma–Bari, Laterza, 1993, in particolare alle pp. 41 – 52. Circa la compatibilità tra democrazia e cesarismo cfr. R. Michels, Sociologia dei partiti politici (1911), tr. it. di E. Forni, Bologna, Il Mulino, p. 50. 235 Cfr. W. Hennis, Max Webers Fragestellung. Eine Studie zur Biographie des Werks (1987), tr. it. Il problema Max Weber, Roma–Bari, Laterza, 1991. 236 Cfr. Karl Marx Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, tr. it. di Palmiro Togliatti, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 37 (Karl Marx, Politischen Schriften, Erster Band, hg. von H.-J. Lieber, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 1975, p. 270). 231 51 Sull’utilità o il danno della storia per la vita. Un modello cesaristico (vale a dire un’ attualizzazione del tipo ideale del “Cesare”) analogo sarà parzialmente sviluppato, poi, sulle orme di Nietzsche, da Oswald Spengler237. Nietzsche fornisce un profilo psicologico del tipo umano “cesaristico” e “bonapartistico” – due aggettivi quasi equivalenti nel contesto del suo pensiero politico - in un frammento dell’aprile - giugno 1885 sul quale è ora opportuno soffermarsi: “Un grande uomo, un uomo che la natura ha costituito e inventato, che cos’è questo? In primo luogo: c’è in tutto il suo agire una logica lungimirante che in grazia della sua lunghezza è difficilmente visibile nel suo complesso e quindi ingannatrice; una capacità di tendere la sua volontà su grandi estensioni della propria vita e di disprezzare tutto ciò che è piccolo (...) In secondo luogo: egli è più freddo, più duro, più irriflessivo e senza paura dell’ «opinione»: gli mancano le virtù che dipendono dalla «stima» e dalla «reputazione» e da tutto ci che appartiene alla «virtù del gregge» (...) In terzo luogo: non vuole «cuori che lo comprendano», ma vuole dei servi (Diener), degli strumenti (Werkzeuge) (..). Sa di essere incomunicabile: trova la confidenza di cattivo gusto238”. La figura filosofico – politica dell’ “uomo superiore” che Nietzsche ha sviluppato a partire dagli anni Settanta è finalmente delineata in modo chiaro e anche potentemente suggestivo: essa è il vero soggetto politico, il fine della Cultur, rispetto al quale lo Stato è soltanto un mezzo interamente subordinato, una struttura puramente amministrativa al servizio della “vita ascendente” incarnata dalla “nuova aristocrazia”. Sembra essere indifferente a Nietzsche che lo Stato sia guidato da un “grande individuo” o da una aristocrazia; le caratteristiche psicologiche che “identificano” il “grande individuo” non sono irripetibili; il “grande individuo” costituisce quindi una tipologia che non ha nulla a che vedere con la teorizzazione individualistica liberale e libertaria (il cui modello logico è, in fondo, l’”unico” com’esso è stato pensato con radicale coerenza da Stirner). L’incarnazione della vita “ben riuscita” nella tipologia dell’aristòcrate (o negli aristòcrati) esercita, secondo il filosofo, una forza d’attrazione sulle masse che essa è la forza coalescente decisiva. Lo Stato che abbraccia 237 Cfr. O. Spengler, Jahre der Entscheidung, Beck, München, 1933 (tr. it. a cura di Franco Freda, Anni della decisione, Padova, Edizioni di Ar, 1995); sul cesarismo spengleriano cfr. Detlev Felken, Oswald Spengler. Konservative Denken zwischen Kaiserreich und Diktatur, Beck, München, 1988, pp. 127-134 („Das Zeitalter der Cäsaren“), 157-169 („Spengler und Nietzsche“), 194-219 («Jahre der Entscheidung»). Nel saggio Nietzsche und sein Jahrhundert ( discorso pronunciato il 17 ottobre 1924 al “Nietzsche-Archiv” per l’ 80º anniversario della nascita del filosofo) Spengler afferma: “E’ Nietzsche ad avere mostrato al popolo più avido di storia che ci sia al mondo[il popolo tedesco, n. d. r.] la storia com’è realmente. Il testamento ch’egli ci ha tramandato è la missione di vivere la storia secondo questo stile” (O. Spengler, Reden und Aufsätze, München, Beck, 1937, tr. it. parziale da cui si cita in O. Spengler, Scritti e pensieri, con introduzione di Marcello Veneziani, Milano, Sugarco, 1993, p. 103). La categoria di „bonapartismo“ è stata esaminata storico-criticamente da D. Losurdo, Democrazia o bonapartismo, cit. 238 Cfr. F. Nietzsche OFN VII 3, 34[96], pp. 130–131 (KGA VII 3 p. 172); tra i numerosi richiami alla figura storica di Cesare come tipo ideale cfr. OFN VIII 3, pp. 104–107 14[133] (KGA VIII 3, pp. 107–108); OFN VI 2, Al di là del bene e del male, af. 200, p. 98 (KGA VI 2 pp. 122-123). Su Napoleone, tra i numerosissimi passi, cfr. OFN VI 2, Genealogia della morale p. 252 (KGA VI 2, p. 302): “ è l’uomo più singolare e più tardivamente apparso che sia mai esistito, e con lui l’incarnazione del problema dell’ ideale aristocratico in sé – si faccia attenzione a che tipo di problema sia mai questo: Napoleone, questa sintesi di non-uomo e di superuomo (Unmensch und Übermensch).” 52 dimensioni continentali ha la funzione di selezionare colui o coloro che eserciteranno il dominio. In ulteriori particolari Nietzsche non è mai sceso. Non è azzardato affermare, a questo punto, che il filo conduttore che attraversa l’intero arco delle riflessioni di Nietzsche sullo Stato è il problema di una “nuova gerarchia” in grado di condurre politicamente l’Europa oltre (e contro) la decadenza e il “nichilismo passivo” (le cui forme - liberalismo, democrazia, socialismo, anarchismo, piccolo-nazionalismo - sono state generate, secondo il filosofo, dal Cristianesimo) e a misurarsi, come corpo unitario, nella lotta per il dominio della terra nei termini di un “nichilismo attivo”. Pare agevole constatare ora che questo filo introduce nel cuore stesso del pensiero politico nietzscheano e nelle immediate vicinanze del problema cruciale delle “ricadute politiche” del fenomeno del nichilismo, come aveva intravisto Löwith. 53 Bibliografia La presente bibliografia include soltanto le opere relative al pensiero politico di Nietzsche. 1.Le opere di Nietzsche sono citate secondo l’edizione in lingua originale e la traduzione italiana curate da Giorgio Colli e Mazzino Montinari. Si v. Abbreviazioni a p. 11 2. Opere sul pensiero politico di Nietzsche Adler, Georg, Nietzsche. Der Sozialphilosoph der Aristokratie, in „Nord und Süd“, 56, 1891, pp. 224–240. Alfieri, Luigi, Apollo tra gli schiavi. Filosofia e società nel giovane Nietzsche, Milano, Franco Angeli, 1984. Bermann, Martin, Nietzsche on the State, “Systematics”, 11, 1973, pp. 54–59. Brandes, Georg Morris Cohen, En Afhandling om aristokratisk Radikalisme , København, 1899 tr. it. di A. 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Nietzsche e lo Stato: interpretazioni..., pp. 12-19 II. Lo Stato e la cultura (1866-1874)......., pp. 20-28 III. Lo spirito libero, la crisi dello Stato-Nazione e l’idea di Europa (1877-1882), pp. 29-37 IV. Il superuomo, la Groβe Politik e lo Stato (1883-1888), pp. 38-49 V. Un abbozzo di teoria cesaristica dello Stato?, pp. 50-53 VI. Bibliografia.........................................., pp. 54-56 57 Working Papers The full text of the working papers is downloadable at http://polis.unipmn.it/ *Economics Series 2004 n.40** 2003 n.39ε 2003 n.38ε 2003 n.37* 2003 n. 36* 2003 n. 35* **Political Theory Series ε Al.Ex Series Francesco Ingravalle, Stato, groβe Politik ed Europa nel pensiero politico di F. W. Nietzsche Marie Edith Bissey, Claudia Canegallo, Guido Ortona and Francesco Scacciati, Competition vs. cooperation. An experimental inquiry Marie-Edith Bissey, Mauro Carini, Guido Ortona, ALEX3: a simulation program to compare electoral systems Cinzia Di Novi, Regolazione dei prezzi o razionamento: l’efficacia dei due sistemi di allocazione nella fornitura di risorse scarse a coloro che ne hanno maggiore necessita’ Marilena Localtelli, Roberto Zanola, The Market for Picasso Prints: An Hybrid Model Approach Marcello Montefiori, Hotelling competition on quality in the health care market. 2003 n. 34* Michela Gobbi, A Viable Alternative: the Scandinavian Model of Democracy” “Social 2002 n. 33* Mario Ferrero, Radicalization as a reaction to failure: an economic model of islamic extremism 2002 n. 32ε Guido Ortona, Choosing the electoral system – why not simply the best one? 2002 n. 31** Silvano Belligni, Francesco Ingravalle, Guido Ortona, Pasquale Pasquino, Michel Senellart, Trasformazioni della politica. Contributi al seminario di Teoria politica 2002 n. 30* Franco Amisano, La corruzione amministrativa in una burocrazia di tipo concorrenziale: modelli di analisi economica. 2002 n. 29* Marcello Montefiori, Libertà di scelta e contratti prospettici: l’asimmetria informativa nel mercato delle cure sanitarie ospedaliere 2002 n. 28* Daniele Bondonio, Evaluating the Employment Impact of Business Incentive Programs in EU Disadvantaged Areas. A case from Northern Italy 2002 n. 27** Corrado Malandrino, Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa federale. Walter Hallstein e la crisi della “sedia vuota”(1965-66) 2002 n. 26** Guido Franzinetti, Le Elezioni Galiziane al Reichsrat di Vienna, 1907-1911 2002 n. 25ε Marie-Edith Bissey and Guido Ortona, A simulative frame to study the integration of defectors in a cooperative setting 2001 n. 24* Ferruccio Ponzano, Efficiency wages and endogenous supervision technology 2001 n. 23* Alberto Cassone and Carla Marchese, Should the death tax die? 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The Department has regular members and off-site collaborators from other private or public organizations. Instructions to Authors Please ensure that the final version of your manuscript conforms to the requirements listed below: The manuscript should be typewritten single-faced and double-spaced with wide margins. Include an abstract of no more than 100 words. Classify your article according to the Journal of Economic Literature classification system. Keep footnotes to a minimum and number them consecutively throughout the manuscript with superscript Arabic numerals. Acknowledgements and information on grants received can be given in a first footnote (indicated by an asterisk, not included in the consecutive numbering). Ensure that references to publications appearing in the text are given as follows: COASE (1992a; 1992b, ch. 4) has also criticized this bias.... and “...the market has an even more shadowy role than the firm” (COASE 1988, 7). List the complete references alphabetically as follows: Periodicals: KLEIN, B. (1980), “Transaction Cost Determinants of ‘Unfair’ Contractual Arrangements,” American Economic Review, 70(2), 356-362. KLEIN, B., R. G. CRAWFORD and A. A. ALCHIAN (1978), “Vertical Integration, Appropriable Rents, and the Competitive Contracting Process,” Journal of Law and Economics, 21(2), 297-326. Monographs: NELSON, R. R. and S. G. WINTER (1982), An Evolutionary Theory of Economic Change, 2nd ed., Harvard University Press: Cambridge, MA. Contributions to collective works: STIGLITZ, J. E. (1989), “Imperfect Information in the Product Market,” pp. 769-847, in R. SCHMALENSEE and R. D. WILLIG (eds.), Handbook of Industrial Organization, Vol. I, North Holland: Amsterdam-London-New York-Tokyo. Working papers: WILLIAMSON, O. E. (1993), “Redistribution and Efficiency: The Remediableness Standard,” Working paper, Center for the Study of Law and Society, University of California, Berkeley.