Il commento Gli aspetti fiscali del fallimento: la circolare 04/10/2004, n. 42/E 1. Premessa Con la circolare 04/10/2004, n. 42/E, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta per chiarire le corrette modalità di determinazione del reddito d’impresa prodottosi nel corso delle procedure concorsuali, con particolare riferimento al fallimento e alla liquidazione coatta amministrativa. Detti chiarimenti si sono resi necessari per uniformare la disciplina fiscale alle mutate interpretazioni che la riforma societaria ha fornito in ordine agli effetti prodotti dal fallimento sul concetto di impresa e, in particolare, sulla possibilità che questa possa o meno continuare una volta che la procedura concorsuale sia terminata. nel fallimento del disposto contenuto all’art. 84, TUIR; ciò significa che le predette perdite sono riportabili nei 5 esercizi d’imposta successivi. A tale riguardo, si sottolinea che la procedura fallimentare vale come unico periodo di imposta. Le modalità di utilizzazione delle perdite cambia a seconda della tipologia di impresa. Nell’ipotesi di società di capitali l’eventuale reddito risultante dal maxi-periodo è compensabile con le perdite pregresse e l’eventuale eccedenza potrà essere utilizzata in futuro dalla società ritornata in bonis. Se a fallire, invece, è un’impresa individuale o una società di persone, ai sensi dell’art. 8, TUIR, opera il diverso meccanismo di compensazione a seconda che l’impresa sia in contabilità semplice o ordinaria. 2. Il reddito imponibile Il reddito imponibile è pari alla differenza tra il residuo attivo del fallimento e il patrimonio netto dell’impresa all’inizio della procedura. A tale riguardo, la circolare 22/03/2002, n. 26/E ha chiarito che, per la determinazione del patrimonio netto iniziale, non si deve dare rilevanza ai valori di stima delle poste attive e passive, ma ai costi fiscalmente riconosciuti: i crediti, quindi, ad esempio, sono valutati al loro valore nominale dedotte soltanto le svalutazioni fiscalmente rilevanti. Devono essere considerate anche tutte quelle attività e passività accertate dal curatore e non evidenziate nella contabilità. Per tale ragione lo stesso, nell’attività di accertamento, deve utilizzare la massima diligenza avvalendosi dell’inventario e dello stato passivo ricostruito e della collaborazione del fallito. L’art. 18, D.P.R. 04/02/1988, n. 42, inoltre, dispone che, nel caso in cui il patrimonio netto iniziale sia di segno negativo, lo stesso verrà considero nullo. In questo modo il legislatore ha evitato che, come invece succede nella liquidazione ordinaria, si creasse materia imponibile da plusvalori, proventi o sopravvenienze che non producono un reale incremento patrimoniale, ma servono unicamente a ridurre il deficit iniziale. Per quanto concerne, invece, il “residuo attivo”, tale importo corrisponde alle disponibilità che residuano in seguito alla soddisfazione di tutti i creditori ammessi al concorso, nonché al pagamento del compenso del curatore e delle spese di procedura (cosiddette “spese della massa”). In caso di imprese individuali o di società di persone, la differenza tra residuo attivo e patrimonio iniziale deve essere diminuita dei corrispettivi delle cessioni dei beni personali e aumentata dell’ammontare dei debiti personali dell’imprenditore o dei soci pagati dal curatore (art. 183, co. 1, TUIR). Nell’ipotesi in cui l’impresa abbia delle perdite pregresse, la circolare 26/E del 2002 ha ribadito l’applicabilità anche CHIUSURA IN REDAZIONE: 16/10/2004 3. Le modalità di valorizzazione del “residuo attivo” Il calcolo del risultato imponibile della procedura fallimentare segue regole proprie nel senso che gli ordinari criteri di determinazione del reddito d’impresa non trovano più applicazione. In primo luogo, infatti, esso è considerato come un unico periodo d’imposta che va dalla data di fallimento al termine di chiusura. Inoltre, il risultato imponibile presenta natura ibrida poiché, pur rivestendo carattere reddituale, scaturisce dal confronto tra il patrimonio rilevato all’atto della chiusura (cosiddetto residuo attivo restituito al soggetto) e quello misurato al momento della dichiarazione di fallimento. Il residuo attivo corrisponde al valore dei beni restituiti al soggetto che ritorna in bonis e può continuare l’esercizio dell’impresa la cui attività aveva determinato l’insorgere dello stato di insolvenza. Con la sentenza di fallimento, infatti, si realizza una sorta di cristallizzazione del patrimonio a favore del curatore fallimentare, il quale subentra all’imprenditore nella conduzione dell’impresa; il fallito, quindi, perde la disponibilità dei beni, ma non la proprietà. Ne consegue che, nel caso in cui la procedura concorsuale si chiuda per cause diverse dall’avvenuta liquidazione integrale dell’attivo, al ritorno in bonis dell’ex soggetto fallito si accompagna la ripresa dell’attività imprenditoriale a meno che lo stesso non decida successivamente di non proseguire chiedendo la cessazione dell’esercizio dell’attività. Ai fini della quantificazione del “residuo attivo” è, comunque, necessario esaminare le ipotesi di chiusura del fallimento, disciplinate dall’art. 118, R.D. 16/03/1942, n. 267, in quanto, secondo la recente circolare 42/E, il residuo attivo assume diverso significato a seconda delle situazioni da cui scaturisce la sentenza di cessazione della procedura concorsuale. 1 Il comment commento o Gli aspetti fiscali del fallimento: la circolare 04/10/2004, n. 42/E 3.1. Le situazioni che determinano la chiusura del fallimento In base all’art. 118, L.F., le situazioni che determinano la chiusura del fallimento sono le seguenti. Inesistenza del passivo. Nel caso in cui non siano state proposte, nei termini, domande di ammissione al passivo o, se presentate, non ne sia stata autorizzata l’ammissione da parte del giudice. Integrale pagamento dei creditori. Nell’ipotesi in cui, anche in epoca anteriore alla ripartizione finale dell’attivo, sia intervenuto l’integrale pagamento del 100% dei crediti ammessi al passivo, o questi siano stati in altro modo estinti e sia stato corrisposto il compenso del curatore e le spese della procedura. Compiuta ripartizione dell’attivo. Nel caso in cui l’intero attivo realizzato dal curatore sia stato ripartito tra gli aventi diritto anche se, tra questi, vi sia alcuno che non è stato, in tutto o in parte, soddisfatto. Insufficienza dell’attivo. Nel caso in cui manchi un attivo da ripartire tra i creditori ammessi al passivo. Nelle ultime due situazioni (compiuta ripartizione e insufficienza dell’attivo) non è possibile valorizzare alcun residuo attivo, in quanto in entrambi i casi il curatore non può materialmente restituire alcun bene al soggetto poiché questi o sono stati totalmente utilizzati per soddisfare, in tutto o in parte, i creditori, ovvero non esistevano. Il discorso, invece cambia radicalmente con riferimento alle fattispecie relative alla chiusura della procedura per integrale soddisfacimento dei creditori o per mancanza di creditori insinuatesi al passivo fallimentare. In questi casi, infatti, esiste un residuo attivo che deve essere valorizzato ai fini del successivo confronto con il patrimonio netto iniziale. Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate sottolinea come all’atto della chiusura del fallimento il fallito ritornerà in bonis in qualità di imprenditore, dovendo, pertanto, riassumere nel proprio patrimonio i beni del residuo attivo al costo fiscalmente rilevante, assoggettandoli al regime proprio dei beni relativi all’impresa. I beni residui, pertanto, non rientrano (neppure ai fini fiscali) nel patrimonio del soggetto ex fallito, per il fatto stesso che non ne sono mai usciti. Il curatore dovrà valorizzare i beni compresi nel residuo attivo secondo il valore preesistente al fallimento e, quindi, sulla base del costo fiscalmente riconosciuto. Allo stesso modo, continua la circolare, nel caso delle società, al verificarsi della chiusura della procedura, cessano gli effetti patrimoniali del fallimento e agli amministratori è restituita la disponibilità e l’amministrazione dei beni sociali perché possa esercitarsi la stessa attività condotta all’epoca della dichiarazione di fallimento. In altri termini, si realizza un regime di continuità tra il valore di carico precedente l’apertura del fallimento e quello con cui i medesimi beni rientrano nella disponibilità del soggetto sia esso imprenditore individuale, società di persone o di capitali. Soltanto la successiva ed eventuale alienazione degli stessi beni rientrati nel residuo attivo potrà far emergere materia imponibile in base alle ordinarie regole fiscali in materia di tassazione delle plusvalenze patrimoniali. In definitiva, quindi, si può concludere il ragionamento affermando che il residuo attivo può dar luogo ad un’imponibile soltanto se con esso viene restituito dell’attivo liquido derivante dalla cessione dei beni facenti parte del patrimonio aziendale. Pertanto, conclude l’Amministrazione finanziaria, entreranno nel computo del residuo attivo le somme corrispondenti al saldo attivo presente sul libretto di conto corrente intestato alla procedura, nonché gli eventuali canoni riscossi dalla curatela relativamente a beni locati compresi nel patrimonio attratto al fallimento o l’affitto dell’azienda del soggetto fallito, qualora tale operazione sia stata autorizzata dagli organi competenti per prevenire un danno grave e irreparabile conseguente alla chiusura dell’attività. 2 Gli aspetti p operativi p Gli aspetti fiscali del fallimento: la circolare 04/10/2004, n. 42/E Adempimenti del curatore In merito alla disciplina tributaria del fallimento ai fini delle imposte dirette, i compiti posti a carico del curatore fallimentare possono suddividersi in due categorie: adempimenti inerenti operazioni poste in essere prima della dichiarazione di fallimento; adempimenti successivi alla chiusura del fallimento e collegati alle operazioni eseguite durante la procedura. La predetta disciplina è regolata dall’art. 183, TUIR, dall’art. 5, D.P.R. 22/07/1998, n. 322, e dall’art. 18, D.P.R. 42/1988. 1. Adempimenti connessi all’inizio della procedura fallimentare Il curatore deve: 1) redigere il bilancio e determinare il relativo reddito d’impresa della frazione di esercizio intercorso tra l’inizio del periodo di imposta e la data della dichiarazione di fallimento (art. 183, co. 1, TUIR); 2) presentare la dichiarazione dei redditi connessa alla predetta frazione di esercizio (art. 5, co. 4, D.P.R. 322/98). Il bilancio, come si può desumere dal citato art. 18, D.P.R. 42/1988, non deve essere redatto secondo le norme stabilite dal codice civile, bensì deve esporre le attività e le passività secondo i valori riconosciuti ai fini delle imposte dirette. Nell’ipotesi di contabilità inattendibile o inesistente, inoltre, il suddetto reddito è determinato in base al criterio del valore normale stabilito dall’art. 9, TUIR. Tale bilancio, inoltre, deve essere obbligatoriamente redatto dal curatore fallimentare a prescindere dalla tipologia di impresa e regime fiscale utilizzato. Una volta quantificato il reddito, esso deve essere dichiarato attraverso la dichiarazione dei redditi e qualora da questa scaturisca un debito di imposta, lo stesso avrà o meno natura di debito concorsuale a seconda che si tratti di IRPEF (IRE) o IRES. Nel primo caso (soggetto IRPEF/IRE), infatti, ai sensi dell’art. 183, co. 1, TUIR, l’imposta a debito non rientra nel passivo fallimentare, né deve essere, tanto meno, versata dal curatore in quanto è attribuito al fallito o ai soci della società di persone i quali lo sommeranno agli altri redditi. Di conseguenza, il comma 4 del più volte citato art. 18, stabilisce che il curatore ha l’onere di inviare la dichiarazione redatta all’imprenditore e a ciascuno dei familiari partecipanti all’impresa o a ciascun socio. Diversamente, nel caso di società di capitali, l’Amministrazione finanziaria deve presentare domanda di insinuazione nel passivo fallimentare. Quanto ai termini di presentazione, le dichiarazioni inerenti la frazione di esercizio pre-fallimento, a far data dal 1° gennaio 2002, devono essere presentate esclusivamente in via telematica entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo alla nomina del curatore. Un punto molto dibattuto riguarda la questione se in capo al curatore gravi l’obbligo di predisporre la dichiarazione dei redditi inerente l’esercizio precedente il fallimento nell’ipotesi in cui il fallito non abbia provveduto. A tale riguardo, molti hanno sottolineato che, benché non sussista un obbligo esplicito, è opportuno che il curatore provveda alla presentazione della suddetta dichiarazione. Ciò, anche perché tale adempimento sembra costituire il completamento dell’obbligo posto a carico del curatore dall’art. 89, L.F., il qualedispone la redazione del bilancio dell’ultimo esercizio non compilato dal fallito. 2. Adempimenti di fine procedura Il curatore deve redigere la dichiarazione finale relativa al maxi-periodo che intercorre tra la dichiarazione di fallimento e la chiusura dello stesso ed è tenuto pagare le relative imposte IRES. Per quanto concerne, invece, l’IRPEF (IRE), come sottolineato in precedenza, questa è comunicata e pagata dall’imprenditore o dai soci . La procedura fallimentare, infatti, ai fini delle imposte dirette (art. 183, co. 2, TUIR) costituisce un unico grande periodo per il quale occorre presentare una sola dichiarazione dei redditi. Relativamente alle modalità di presentazione, dovendosi presentare la dichiarazione soltanto per via telematica, la stessa dovrà essere trasmessa entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo a quello di chiusura del fallimento. 3 Dall’esperienza p Zucchetti Gli aspetti fiscali del fallimento: la circolare 04/10/2004, n. 42/E Quando dalla crisi d’impresa… si passa al fallimento Zucchetti propone, tra le altre, una linea di prodotti1 atti a gestire le crisi d’impresa che portano al fallimento. 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La loro riproduzione è vietata salvo espressa autorizzazione della MAP Servizi S.r.l. - Via Morosini, 19 - Torino Il MAP ne ha parlato: 3 FONTE AUTORE TITOLO E-Dispensa MAP del 21/10/2004 Riccardo Giorgetti Fallimento, il Fisco rivede l’imponibilità del”residuo attivo” (Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 42/E del 04/10/2004) Libro MAP n. 9, pag. 193 Anna Amato Il fallimento Libro MAP n. 9, pag. 313 Anna Amato Formulario sul fallimento Circolari, risoluzioni, pareri del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di altri Ministeri, Autorità ed Istituzioni, associazioni di categoria rilevanti. 5