Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea Specialistica in Comunicazione d’Impresa e Pubblica Tesi di Laurea in Information Design The Explanatory Visualization of Social Networks. La configurazione di rete tra potere esplicativo e biases percettivi. Relatore Ch. mo Prof. Guelfo Tozzi Candidato Marina Mazza matr. 032/0400059 Correlatore Dott.ssa Marianna Marra Anno accademico 2007-2008 INDICE Introduzione……………………………………………………………… p.1 1) Nascita ed evoluzione della SNA: matrici teoriche e indagini empiriche………………………….. p.6 1.1) Antecedenti storici…………………………………………. p.7 1.2) I pionieri degli anni ’30………………………………........ p.12 1.2.1) Jacob Levy Moreno (1889-1974) 1.2.2) Loyd Warner e il gruppo di Harvard 1.3) Dagli anni ’40 agli anni ’60………………………………. p.18 1.3.1) La sintesi di Homans 1.3. 2) Lewin e i suoi successori 1.3.3) Gli antropologi sociali britannici 1.4) Harrison White e la “svolta di Harvard”……………….. p.25 1.5) Sintesi delle diverse prospettive di ricerca…………….. p.27 1.6) Gli studi italiani…………………………………………….. p.30 2) Il circuito della ricerca e le misure di rete…………………….. p.32 2.1) Il “Circuito della ricerca”…………………………………. p.35 2.1.1) Rete sociale e suoi elementi 2.1.2) Problemi di confine 2.2) Raccolta dei dati relazionali………………………………. p.41 2.3) Misure della rete……………………………………………. p.44 2.3.1) Proprietà dei legami 2.3.2) Proprietà dei nodi 2.3.2a) Centralità per relazioni simmetriche 2.3.2b) Centralità nelle relazioni direzionate 2.3.3) Proprietà della struttura 3) Social Network Visualization…………………………………….. p.55 3.1) Rappresentazione matriciale dei dati relazionali……… p.56 3.2) Rappresentazione attraverso i grafi……………………… p.59 3.2.1) Tipologie ed elementi di un grafo 3.2.2) Convenzioni e variabili visive 3.2.3) Tipologie di layout 3.3) L’evoluzione nella visualizzazione dei network……… p.70 3.4) Visualizzare network complessi: ampiezza e dinamicità…………………………………………………. p.77 3.4.1) Strategie di visualizzazione per network altamente densi 3.4.2) Complessità dei network dinamici 4) Verso il “buon layout”……………………………………………... p.84 4.1) La percezione dei gruppi………………………………….. p.86 4.2) Prominence, bridging e grouping………………………... p.89 4.2.1) Esperimento 4.2.2) Risultati dell’analisi 4.2.3) Conclusioni 4.3) L’effetto del movimento e del layout spaziale sulla percezione…………………………………………………… p.96 4.3.1) Esperimento 4.3.2) Risultati dell’analisi 4.3.3) Conclusioni 4.4) Effetti della sovrapposizione di linee e delle convenzioni rappresentative……………………………………………… p.103 4.4.1) Esperimento 4.4.2) Risultati dell’analisi 4.4.3) Conclusioni 4.5) Criteri estetici per la visualizzazione dei network……. p.112 4.6) The explanatory visualization of social network……… p.114 Conclusioni……………………………………………………………...... p.121 Bibliografia 1 Introduzione Negli anni Trenta alcuni studiosi hanno iniziato a considerare e a “vedere” la struttura sociale come una fitta rete di interconnessioni e a rappresentarla come tale. La visualizzazione grafica che ne deriva è un grafo, la cui struttura relazionale, quindi, può essere analizzata attraverso misure derivate dall’omonima teoria. Per la tradizione sociologica, da sempre interessata a individuare la struttura dell’azione sociale, diviene fondamentale andare a considerare le relazioni che formano tale struttura, ma “paradossalmente, la maggior parte dei manuali esistenti di metodologia della ricerca e tecniche di raccolta dei dati prestano [ancora] scarsa attenzione a questo tipo di dati, e si concentrano invece sull’analisi delle variabili per il trattamento degli attributi.” 1 Dopo più di settanta anni, comunque, tali metodi e tecniche sono state perfezionate e continuano a proliferare, rompendo gli argini dei principali ambiti di studio che l’avevano accolta: la psicologia, la sociologia e l’antropologia. Questa nuova metodologia di studio ha acquisito nel tempo il nome di Social Network Analysis. 2 Essa ha avuto negli anni uno sviluppo cumulativo, i cui contributi provengono da vari ambiti disciplinari, come la scienza politica, l’organizzazione aziendale, l’economia, dimostrandone così la flessibilità. Presenta due caratteristiche principali: la prima è che veicola l’idea in base alla quale la società può essere considerata come un intreccio complesso di relazioni sociali variamente strutturate, che costituiscono il focus dell’indagine. Ogni fenomeno sociale, in questo senso, può essere letto in termini relazionali e strutturali, poiché ogni individuo (o attore) si relaziona con gli altri inevitabilmente. La forma di queste relazioni costituiscono allo stesso tempo un vincolo e un opportunità per lo stesso, in un rapporto circolare tra attore e struttura. La seconda caratteristica di questa analisi risiede nel fatto che è una prospettiva fondata metodologicamente e tecnicamente. 1 Scott J., Social Network Analysis. A handbook, Sage Pubblications, London, 1991; trad. it. A cura di Amaturo E., L’analisi delle reti sociali, Carocci, Roma, 2003, p. 29. 2 Da ora SNA. 2 Un’indagine condotta attraverso l’analisi di rete deve, secondo Freeman 3 , contenere quattro elementi fondamentali: un’intuizione strutturale, la raccolta di dati empirici sistematici, l’uso dell’analisi matematica e/o algebrica e la codifica di immagini grafiche. Poiché il nostro lavoro è nato nell’ambito dell’Information Design, il nostro interesse per questo metodo si focalizza proprio su questo ultimo elemento. La capacità delle rappresentazioni grafiche di trasmettere informazioni in modo più efficace di semplici rappresentazioni testuali è nota da tempo. Il punto di forza di queste, è quello di sfruttare le notevoli capacità della percezione visiva, in grado di recepire ed analizzare, in una immagine, una notevole quantità di dati. Tale vantaggio è però subordinato alla capacità di costruire l’immagine in modo da sfruttare pienamente le abilità percettive dell’occhio umano, evitando al tempo stesso di nascondere o alterare delle caratteristiche di interesse dei dati che si stanno rappresentando. La scelta della giusta rappresentazione è quindi cruciale. Gli attributi visivi come colore, dimensioni, forme geometriche, prossimità e movimento vengono immediatamente assimilati ed elaborati dai meccanismi percettivi, prima ancora che intervengano i processi cognitivi complessi della mente umana. Le rappresentazioni grafiche, se ben costruite, possono essere utili non solo per percepire informazioni in tempo più breve, ma anche per processare più dati contemporaneamente. Come risultato, le rappresentazioni grafiche ci permettono di comprendere sistemi complessi, prendere delle decisioni e scoprire delle informazioni che, altrimenti, potrebbero rimanere nascoste nei dati. Mazza 4 spiega che osservare una rappresentazione grafica è un’attività cognitiva con cui le persone costruiscono un modello mentale dei dati, ovvero una rappresentazione interna del mondo che ci circonda per poterlo comprendere. Ciò vuol dire che le rappresentazioni grafiche, rendendo immediata l’inferenza percettiva dei dati mostrati, velocizza il processo cognitivo che porta all’acquisizione dell’informazione. 3 Cfr Freeman, The Development of Social Network Analysis. A Study in the Sociology of Science, Empirical Press, Vancouver, BC Canada, 2004; trad. It. a cura di Memoli, Lo sviluppo dell’analisi delle reti sociali. Uno studio di sociologia della scienza, Franco Angeli, Milano, 2007. 4 Cfr Mazza R., La rappresentazione grafica dell’informazione, ApogeoEbook, 2007. 3 Il nostro intento, quindi, è quello di andare a mostrare quali “schemi grafici” vengono utilizzati per poter mostrare dei dati particolari, i dati relazionali che permeano la vita sociale. Tali schemi sintetizzano l’informazione derivante dalle strutture sociali attraverso due metodi principali: le matrici di dati e i grafi. Le prime sono di tipo tabellare e sono essenziali per poter condurre qualsiasi tipo d’analisi dei dati di rete. I secondi, invece, sono dei diagrammi che visualizzano lo schema concreto di relazioni fra attori, in questo senso, riescono a mostrare un fenomeno non immediatamente percepibile ma reale. Permettono quindi una “riduzione omeomorfica” della realtà. Nella trattazione ci soffermeremo soprattutto sulla seconda tipologia di visualizazione dei network, i grafi. Quelli che mostreremo saranno soprattutto dei grafi con un layout a due dimensioni, eviteremo di proposito quelli tridimensionali che danno spesso priorità all’estetica piuttosto che all’informazione. Tale scelta è stata determinata dall’influenza di uno dei principi espressi da Tufte, a cui ci rifacciamo, secondo cui “i buoni design hanno due elementi chiave: l’eleganza grafica è spesso fondata sulla semplicità del disegno e la complessità dei dati”. 5 L’uso di alcuni ornamenti inutili (bordi, riquadri, sfondi, effetti 3D ecc.) o di prospettive superflue non rende i grafici stessi più attrattivi, anzi, non fa altro che distogliere l’attenzione da ciò che il grafico vuole comunicare. Quello su cui ci focalizzeremo è il fatto che per questo insieme di punti e di linee, rappresentanti rispettivamente gli attori del network e i loro legami, ciò che è importante non è la posizione sulla pagina dei suoi elementi costituivi bensì il modello delle relazioni che li legano. Per questa ragione da uno stesso insieme di dati possono essere generati una pluralità di grafi diversi, ognuno dei quali avrà una propria capacità, o meno, di comunicare la realtà sulle caratteristiche del network considerato. Alla luce del fatto che il layout visivo può influenzare la percezione, quando ci si appresta alla rappresentazione grafica dell’informazione, bisogna tener conto dei fattori che possono determinarne la comprensione. Solo così potremo produrre un’immagine di rete che abbia un forte potere descrittivo ma anche un potere esplicativo. Il nostro percorso si articolerà come segue. 5 Tufte E. R., The visual display of quantitative information, Graphics Press LLc, Cheshire, Connecticut, 2001 ( 1983, I ed.), p. 177. 4 Nel primo capitolo ripercorreremo l’evoluzione storica della Social Network Analysis, per cercare di capire come tutto è iniziato. Lo sviluppo dell’analisi di rete deriva da contributi di diversi filoni di ricerca, che si sono intersecati in alcuni momenti e allontanati in altri per procedere lungo strade diverse. L’analisi di rete come la intendiamo noi oggi è, secondo Freeman, riconducibile agli studi condotti durante gli anni ’30 da due scuole di ricerca, collegate alle figure di Moreno e di Warner. Entrambi hanno utilizzato i sociogrammi per rappresentare le relazioni tra gli individui. Nel trentennio ’40 - ’60 si ricordano i contributi prodotti da Lewin e i suoi collaboratori, psicologi sociali operanti al MIT e all’Università del Michigan e quelli degli antropologi della Scuola di Manchester. Fino ad arrivare agli anni ’70 con la cd. svolta di Harvard, i cui numerosi contributi hanno avuto il merito di far riconoscere l’utilità dell’analisi di rete alla maggioranza della comunità scientifica dei sociologi. In Italia, invece, tale prospettiva si è sviluppata da poco più che una decina di anni, ma i contributi, seppur comprensibilmente ancora esigui rispetto al contesto americano, aumentano progressivamente. Nel secondo capitolo, dopo aver dato una definizione approfondita di quella che oggi è la Social Network Analysis, illustreremo quello che Bailey chiamava il “circuito della ricerca”. Sostanzialmente le fasi non cambiano rispetto alle ricerche cd. standard, piuttosto si acuiscono alcuni problemi, come quello della corretta definizione dell’oggetto d’indagine, senza la quale si corre il rischio di rilevare qualcosa di diverso da quello che volevamo, e il problema del confine della nostra popolazione. Seguendo il percorso determinato dalle fasi di ricerca, descriveremo brevemente le modalità di raccolta dei dati, diverse a seconda che si tratti di un network personale o completo. La stessa differenza va fatta anche per quanto riguarda le modalità d’analisi della rete, che spiegheremo sommariamente facendo riferimento al triplice livello d’analisi dei nodi, dei legami e della rete nella sua totalità. Nel terzo capitolo verranno approfonditi quelli che sono gli schemi grafici più utilizzati nella Social Network Analysis, le matrici e i grafi. In particolare la nostra attenzione si focalizzerà soprattutto su questi ultimi. Dopo aver spiegato le varie tipologie di grafo e le variabili visive usualmente utilizzate dai ricercatori per comunicare le proprietà della rete, passeremo in rassegna l’evoluzione nel 5 tempo delle strategie di visualizzazione. Poi ci occuperemo degli approcci utilizzati dai ricercatori per poter mostrare network complessi, sia in termini di densità che di dinamicità. Nel quarto capitolo affronteremo il problema dell’influenza delle varie modalità di visualizzazione sulle capacità di percezione degli osservatori. A tal proposito ripercorreremo quattro ricerche empiriche che hanno indagato gli effetti di tale influenza, e, in base ai risultati provenienti da queste, proporremo delle regole da rispettare se si vuole ottenere un “buon layout”. Poiché questo si ottiene creando una raffigurazione che riesca a far comprendere le caratteristiche di interesse del network, suggeriamo di utilizzare quella che è l’explanatory visualization. Tale modalità di rappresentazione utilizza le misura derivanti dall’analisi di rete per parametrizzare la configurazione, così riuscendo ad aumentare quello che è il potere descrittivo ed esplicativo del grafo. 6 Capitolo I Nascita ed evoluzione della SNA: matrici teoriche e indagini empiriche. Lo sviluppo dell’analisi di rete deriva dai contributi di diversi filoni di ricerca che si sono intersecati in alcuni momenti e allontanati in altri, per procedere lungo strade diverse. A tal proposito Freeman 1 , nel suo libro sullo sviluppo dell’analisi delle reti sociali, mostra come non meno di diciassette centri di ricerca e altrettanti gruppi di ricercatori, durante gli anni ’30 e ’70, abbiano utilizzato una prospettiva generale delle reti sociali. Indubbiamente vi possono essere state delle influenze reciproche, ma è anche probabile che alcuni esperimenti iniziali siano stati indipendenti fra loro, poiché le persone coinvolte provenivano da cinque differenti nazioni ( Francia, Gran Bretagna, Olanda, Svezia e Stati Uniti) e da sette diverse discipline (antropologia, psicologia sociale, geografia, biologia, matematica, sociologia, scienze politiche e psicologia sperimentale). Secondo l’autore, l’analisi di rete, come la intendiamo noi oggi, è determinata dall’integrazione di quattro approcci in un unico paradigma di ricerca, che pertanto si basa su: - un’intuizione strutturale fondata sui legami che connettono gli attori sociali, - dati empirici sistematici, - immagini grafiche, - uso della matematica e/o di modelli di calcolo. Esistono alcuni studi strutturali sui fenomeni sociali precedenti agli anni ’30, che non contenendo tutte le caratteristiche succitate, ma solo alcune di esse, per questo non possono essere annoverati tra le moderne analisi di reti sociali. Lo sviluppo della Social Network Analysis delineato in questo capitolo inizierà proprio col considerare questi studi e queste prospettive teoriche, per poi proseguire cronologicamente nella disamina dei gruppi di ricercatori che nel 1 Cfr Freeman L. C., The Development of Social Network Analysis. A Study in the Sociology of Science, Empirical Press, Vancouver, BC Canada, 2004; trad. It. a cura di Memoli R., Lo sviluppo dell’analisi delle reti sociali. Uno studio di sociologia della scienza, Franco Angeli, Milano, 2007. 7 tempo hanno sviluppato una tale prospettiva determinandone l’affermarsi. Dagli studi sociometrici di Moreno e quelli antropologici condotti da Warner e il suo gruppo negli anni ’30, si passerà a considerare l’intervallo temporale che va dagli anni ‘40° a quelli ‘60, durante i quali, pur non sviluppandosi un grande centro di ricerca, vi sono stati dei tentativi che hanno tenuta viva la prospettiva strutturale, in particolare si ricorda l’attività svolta dalla scuola di Manchester. Si farà poi riferimento a quella che ormai tutti chiamano la “svolta di Harvard”, dopo la quale l’analisi di rete fu universalmente riconosciuta dai sociologi. A conclusione del percorso storico verranno individuate quelle che sono le prospettive d’analisi delle reti sociali, in base all’approccio utilizzato e allo specifico oggetto di studio, così da sintetizzare gli argomenti delle ricerche condotte . In questo excursus non poteva mancare un riferimento agli studi italiani che verranno brevemente presentati nell’ultimo paragrafo del capitolo. 1.1) Antecedenti storici Tutti gli studiosi delle reti sociali concordano nel riconoscere a Georg Simmel (1858-1918) le prime intuizioni strutturali. Secondo lo studioso, una sociologia come scienza di particolari società non avrebbe un oggetto o lo dovrebbe cambiare continuamente. Perciò la sociologia di Simmel è una sociologia formale, nel senso che ricerca le “forme a-storiche della sociazione”, ossia le forme dei rapporti sociali che rimangono invariate nonostante i loro contenuti storici sempre diversi. La società, infatti, è un complesso di relazioni che gli individui creano nel loro continuo interagire, sono queste relazioni che influenzano l’agire del soggetto, perciò la sociologia ha il compito di studiarne le forme. Anche se la distinzione fra forma e contenuto dei fenomeni sociali non è sempre così facilmente individuabile, Simmel è orientato a separarli, poiché i contenuti sono differenti per le diverse associazioni umane. Le strutture superindividuali come lo stato, il clan, la città, i sindacati, la famiglia etc. altro non sono che cristallizzazioni dei rapporti di interazione fra gli individui. 8 Mettendo al centro della sua analisi l’individuo in quanto prodotto della società, Simmel enfatizza che l’uomo è, allo stesso tempo, dentro la società e fuori di essa, ne è incorporato eppure le si oppone, ne è determinato eppure è determinante, ne è modellato ma anche si autorealizza. Inoltre l’individuo può appartenere a quelle che l’autore chiama le cerchie sociali. Più è differenziata la società, più crescono gli ambiti di appartenenza degli individui e più aumentano le sue relazioni sociali. Queste cerchie possono essere avvolte le une nelle altre, secondo una struttura concentrica, tale concetto anticipa di molti anni quello che verrà poi chiamato nested graphs, oppure possono intersecarsi, in questo caso, l’individuo ne occuperà l’intersezione. In Sociologia 2 , Simmel analizza le forme delle relazioni con riferimento a semplici rapporti quantitativi all’interno di gruppi, in particolare, affronta il problema del numero dei componenti. Ad esempio, poiché i rapporti diadici, che sono contenuti entro una triade, tendono per loro natura all’esclusività, l’inserimento del terzo elemento rende strutturalmente possibile la formazione di maggioranze e di coalizioni. Nello studio di gruppi più numerosi si è invece concentrato sul rapporto tra il numero minimo e massimo consentito per certe attività. Particolare interesse, in questo senso, ha mostrato per le società segrete, le quali devono contemperare due esigenze apparentemente inconciliabili: avere una struttura gerarchica coesa in grado di assicurare l’efficienza operativa, e nello stesso tempo renderla scarsamente penetrabile dall’esterno attraverso una segmentazione delle relazioni tra i membri. Un esempio è dato dall’illustrazione della setta segreta ceca Omladina (fig. 1). Si vede come dal basso vengono eletti i tre livelli gerarchici, in modo tale da impedire che gli eletti dei due livelli inferiori della piramide organizzativa si conoscano. 3 I capi vengono chiamati pollici e dita, il primo pollice conosce tutti i pollici, ma gli altri pollici non si conoscono tra di loro, delle dita si conoscono solo quelle che sono subordinate ad un pollice comune. 2 Cfr Simmel, Sozologie. Untersuchungen uber die Former der Vergesellschaftung, Duncker & Humblot, Leipzig,1908; ed. it. Sociologia, Einaudi, edizioni di Comunità, Milano, 1998. 3 Cfr Chiesi A., L’analisi dei reticoli, Franco Angeli, Milano, 1999, pp. 38-40. 9 Figura 1 - Elezione della gerarchia in una società segreta studiata da Simmel 4 Per quanto riguarda, invece, le prime indagini su fenomeni sociali strutturali che hanno permesso di raccogliere dati empirici sistematici, Freeman ricorda Henry Morgan , John Atkinson Hobson e alcuni psicologi dello sviluppo. Morgan, che faceva parte della società segreta “La grande alleanza degli Irochesi”, insieme all’organizzazione, iniziò a studiare questa tribù, di cui sapevano ben poco. Sul campo si appassionò alla ricerca che concluse con la pubblicazione di un libro sulla discendenza degli irochesi 5 , l’autore si accorse che il modo di determinarla era completamente differente da quello utilizzato dagli Europei occidentali. Intervistando altri esponenti delle tribù nord-americane scoprì che gli schemi per denominare le famiglie e per determinare le discendenze erano tutti diversi. Da questo immane lavoro nacque un altro libro, “ Sistemi di consaguinità e affinità delle famiglie umane” 6 . Hobson, invece, fu il primo a raccogliere dati sistematici sulle interconnessioni societarie (interlooking directorates). Posizionando su una tabella a doppia entrata le sei compagnie sudafricane e i sei membri dei Consigli d’Amministrazione che le legavano, ha potuto individuare sia i legami tra le aziende attraverso membri in 4 5 Fonte: Chiesi A., ibidem, p. 39. Cfr Morgan, League of Ho-dé-no-sau-nee or Iroquois, Sage, Rochester, NY, 1851, Cit. in Freman L. C., ibidem, 2007. 6 Morgan, Systems of Consanguinity and Affinità of Human Family, University of Nebraska, Lincoln, NE, 1985/1997, cit. in Freeman L. C., ibidem, 2007. 10 comune, sia i legami dei consiglieri mostrati dalla compartecipazione allo stesso Consiglio 7 . Mentre le prime immagini grafiche delle strutture relazionali compaiono, secondo Freeman 8 , proprio a sostegno degli studi sulla discendenza. Infatti lo stesso Morgan rappresentava gli individui come punti e le relazioni di parentela come linee che li legavano. Ma questi diagrammi non possono essere considerati grafi perché la posizione dei punti aveva un significato, diversamente dai grafi, infatti l’immagine era orientata dall’alto verso il basso a significare la discendenza dal capostipite. Anche Hobson utilizza immagini grafiche. Per rappresentare i dati bimodali ha prodotto immagini per sovrapposizione, gli ipergrafi, così da mostrare come un piccolo numero di grandi Società fruttando le interdipendenze dei consiglieri potevano controllare molte altre Società ( v. fig. 2). Figura 2 – Ipergrafo di Hobson 9 7 Cfr Hobson, The evolution of Modern Capitalism; A Study of Machine Production, Allen & Unwin, Macmillan, London, New York, 1884/1954. 8 Cft Freeman, ibidem, 2007. 9 Fonte: ibidem, p.47. 11 In merito all’introduzione di modelli matematici per spiegare strutture relazionali, i primi tentativi li troviamo sempre nell’ambito dello studio sulle parentele. A questo proposito può essere citato Macfarlane in quanto è stato il primo a trovare un metodo esplicito per caratterizzare il sistema inglese delle discendenze, concatenandone i termini con un semplice sistema simbolico 10 . Mentre Galton e Watson, nel tentativo di risolvere il problema della scomparsa nel tempo delle famiglie importanti di un dato periodo, elaborarono un modello stocastico della scomparsa dei nomi delle stesse, un processo a rete. Attingendo dalla Teoria della Probabilità dimostrarono che ogni cognome è destinato a scomparire con una probabilità pari a uno. 11 Un gran numero di dati empirici sono stati raccolti anche da alcuni psicologi dello sviluppo durante gli anni ’20, nell’intento di studiare i rapporti interpersonali di bambini e adolescenti. Nel 1922 un professore di Stanford, John Almack, pubblicò uno studio che anticipò lo sviluppo degli strumenti sociometrici.12 La ricerca, condotta in una scuola della California su bambini dai 4 ai 7 anni, aveva lo scopo di individuare se ci fosse un legame fra il quoziente intellettivo degli stessi e la scelta dei propri compagni. Vennero poste loro una serie di domande, del tipo “Se dessi una festa chi bambino della tua classe inviteresti?”, che avevano lo scopo di capire con chi i bambini avevano più piacere a lavorare e a giocare. Così facendo, lo studioso, anticipò di dieci anni una procedura di raccolta dati solitamente attribuita a Moreno. Almack mise in tabella la relazione tra il rispondente e il bambino scelto e verificò la correlazione tra gli IQ degli stessi. Le preferenze dichiarate accreditarono l’ipotesi, tuttora corrente, che le scelte sono omofile 13 . Un altro esempio è fornito dall’etnografa Helen Bott 14 che nel 1928 studiò i bambini in età prescolare per osservare il comportamento abituale tra gli stessi. Ogni giorno la studiosa designava come “focale” il bambino che veniva 10 Cfr Freeman L. C., ibidem, 2007, p.47-48. Cfr Ibidem, p.49-50. 12 Cfr Almack, “The influence of intelligence on the selection of associates”, in School and Society 16, 1922. 13 Omofilia, similarità = Principio fondamentale che agisce nella configurazione delle reti sociali secondo cui la possibilità che persone con caratteristiche simili entrino in relazione tra loro è più alta rispetto a persone dissimili., da “Lessico delle reti” di Cordaz, p. 47, in Analisi delle reti sociali. Teorie, Metodi, Applicazioni., di Salvini ( a cura di ), Franco Angeli, Milano, 2007. 14 Cfr Bott, “Observation of play activities in a nursery school”, Genetic Psycology Monographs 4, 1928. 11 12 osservato. Registrando gli schemi delle interazioni in matrici, la Bott ha anticipato di quasi venti anni il metodo utilizzato da Forsyth e Katz (1946). In conclusione, anche se questi lavori non sono riconosciuti come facenti parte delle ricerche sulle reti sociali, tuttavia in essi possono essere facilmente individuate idee e scelte che hanno precorso i tempi. 1.2) I pionieri degli anni ‘30 Molti studiosi ritengono che Moreno, con i suoi metodi, abbia preceduto gli analisti delle reti sociali fornendo ad essi gli strumenti utili alle loro ricerche. In realtà negli anni che vanno dal 1930 al 1940 in America vi è stato anche un altro gruppo di studiosi che hanno utilizzato un approccio strutturale all’analisi delle relazioni tra gli individui. Tale gruppo ruotava intorno alla figura di Lloyd Warner, un antropologo influenzato dalle idee di Radcliffe-Brown. Secondo Freeman 15 entrambi gli orientamenti hanno avuto il merito di sviluppare, per la prima volta, degli studi che contemplavano tutte e quattro le caratteristiche che definiscono l’analisi delle reti sociali. Vediamoli entrambi. 1.2.1) Jacob Levy Moreno (1889-1974) Moreno era uno psichiatra europeo che ha vissuto a lungo negli Stati Uniti 16 , dove si era rifugiato per scappare dalla Germania nazista, insieme ad altri esponenti di quella psicologia sociale influenzata dalla Gestalt, come Lewin e Heider 17 . Secondo la Gestalt la percezione delle persone è influenzata dagli schemi concettuali, complessi e organizzati, della mente umana. La psicologia sociale che deriva da essa ha sottolineato che questi schemi sono determinati dalla società, in particolare è l’organizzazione del gruppo, e il clima sociale che vi è connesso, che influenza le percezioni individuali. Moreno voleva capire come le relazioni di gruppo potessero funzionare da limitazioni o da opportunità per le 15 Cft Freeman L. C., ibidem, p. 52 e 80. Per un racconto biografico della sua vita e della sua personalità particolare si veda Freeman, ibidem, p. 53-62. 17 Ne parleremo nel prossimo paragrafo. 16 13 azioni dei partecipanti e per il loro sviluppo psicologico personale. Il suo intento, in particolare, essendo uno psichiatra, era di vedere come le “configurazioni sociali”, con le quali intendeva i modelli di relazione che si instaurano tra i soggetti, potessero influenzare il benessere dell’individuo. Tra i sui lavori più famosi, condotti prevalentemente con il sapiente apporto della psicologa Helen Jennings, gli analisti di rete citano spesso quello condotto alla Hudson School for Girls, istituto correttivo per ragazze, descritto nel libro Who shall survive? 18 del 1934. In esso, la fuga “epidemica” dalla scuola da parte di queste viene spiegata dall’autore ricostruendo la catena dei legami che connettevano tutte quelle che se n’erano andate, e questo costituisce un chiaro esempio di prova a favore dell’esistenza delle reti sociali, come lo stesso ha dichiarato nel libro 19 . Egli definisce il suo metodo Sociometria, ossia un metodo quantitativo che permette di indagare sull’organizzazione, sullo sviluppo dei gruppi e sulla posizione degli individui al suo interno. Oltre a rilevare lo stato delle relazioni interpersonali all’interno di un gruppo, una ricerca sociometrica dovrebbe anche mobilitare, coinvolgere, rendere i membri consapevoli e interessati al proprio gruppo. In questo senso, era un vero e proprio trattamento terapeutico. Alla fine degli anni’30 la sociometria, però, perde la sua missione terapeutica, trasformandosi in una affermata tecnica di rilevazione particolarmente usata dagli psicologi. Il suo obiettivo è soprattutto rilevare l’attrazione interpersonale, cioè il processo di scelta che sta alla base delle strutture di relazione e comunicazione dei piccoli gruppi, attraverso delle semplici domande del tipo “ con chi vorresti lavorare?”, “con chi ti senti più amico?”. Per mostrare le forme di queste configurazioni sociali, Moreno pensò di utilizzare i sociogrammi, dei diagrammi in cui gli individui sono rappresentati da punti e le relazioni da linee. Tali rappresentazioni permettono al ricercatore di individuare i canali attraverso i quali passa l’informazione e attraverso i quali un individuo può influenzarne un altro, identificare i leader e i punti isolati, scoprire asimmetrie e reciprocità. Il gruppo a stella, della catena e del cerchio sono tra le strutture relazionali da lui individuate. Quando Moreno si 18 Cfr Moreno, Who Shall Survive?, Nervous and Mental, Disease Publishing Company, Washington, DC, 1934; trad. it. Principi di psicoterapia di gruppo e sociodramma, Etas Kompass, Milano, 1964. 19 Cft ibidem p. 413. 14 avvalse della collaborazione di Lazarsfeld, sociologo matematico, per generare un modello probabilistico per le scelte sociometriche 20 , allora il suo metodo divenne completo e ricevette l’attenzione dell’elite della comunità americana delle scienze sociali. Alla fine degli anni ’40, però, Moreno smise di dare contributi alla sociometria, dedicandosi sempre più alla psicoterapia di gruppo, allo psicodramma e al sociodramma quali tecniche terapeutiche. Inoltre, come ipotizza Freeman cercando di trovare una spiegazione alla successiva marginalizzazione della sociometria , “ il suo impegno per il misticismo, il suo personale stile roboante e la sua megalomania allontanarono la maggior parte dei suoi sostenitori. Queste caratteristiche della personalità di Moreno non potevano essere tollerate dai membri della comunità accademica, non potevano, semplicemente, rientrare nella quotidianità della vita accademica o del mondo scientifico.” 21 1.2.2) Loyd Warner e il gruppo di Harvard Rispetto agli studi di Moreno, il gruppo di ricercatori di Harvard degli stessi anni ha posto l’attenzione soprattutto sui sistemi sociali di larga scala, nelle loro indagini, infatti, si sono occupati delle relazioni interpersonali all’interno di comunità. Tale tradizione di ricerca è influenzata dall’antropologo anglosassone Radcliffe-Brown, il quale diede vita al cosiddetto "funzionalismo strutturale". L'oggetto principale dell'antropologia per Radcliffe-Brown è lo studio della realtà sociale. Tale realtà è configurata come una "struttura", cioè come una rete di relazioni sociali e personali in cui ogni tratto esercita una sua specifica "funzione" in relazione al tutto. Lo scopo dell’antropologia non è solamente la spiegazione del funzionamento delle società ma lo studio comparativo delle società stesse, per arrivare alla formulazione delle leggi generali su cui si fondano i fenomeni sociali, seguendo un metodo scientifico analogo a quello delle scienze naturali. Il metodo sviluppato era di tipo induttivo e consisteva innanzitutto nell'identificazione dei meccanismi che operavano all'interno delle società e ne consentivano il funzionamento, nella comparazione di tali meccanismi ed infine, se possibile, nella loro generalizzazione in legge. Tale metodo orientava il ricercatore verso 20 Date scelte casuali, Lazarsfeld trovò la probabilità che un qualsiasi individuo ha di essere scelto da un altro. 21 Freeman L. C., ibidem, p.62. 15 una raccolta esaustiva dei dati e verso la loro sistematica collocazione in un tutto che, attraverso la messa in evidenza delle loro relazioni, diventava significativo. Warner, laureato in inglese e in antropologia, incontrò Racliffe-Brown a Berkeley, il quale gli propose di aggregarsi al suo gruppo di ricerca in Australia 22 . Dopo aver studiato gli aborigeni per circa due anni, nel 1929 Warner lasciò il gruppo e si recò ad Harvard per insegnare e per applicare il metodo etnografico allo studio sulle comunità industriali. Un anno dopo venne coinvolto nella ricerca alla centrale elettrica di Hawthorne, a cui stava lavorando lo psicologo australiano Elton Mayo, arrivato ad Harvard tre anni prima. Il progetto Hawthorne si sviluppò tra il 1924 e il 1933 presso lo stabilimento di produzione della Western Electric della Bell Telephone, localizzato in un’area chiamata “Hawthorne”, nei pressi di Chicago. La finalità di questi studi era sperimentare alcune soluzioni di organizzazione del lavoro, che potessero migliorare la produttività dei lavoratori lungo la linea di montaggio di apparecchiature telefoniche. La prima fase del progetto, che ebbe inizio nel 1924 e si concluse nel 1927, si occupò di verificare l’occorrenza di relazioni tra livelli di illuminazione e produttività. Per ragioni non comprese, la produttività aumentava all’aumento ma anche alla riduzione dell’illuminazione. Questo progressivo aumento della produttività dei lavoratori, indipendente da ogni particolare manipolazione di sistemi fisici e di controllo sull’attività di lavoro, venne denominato “Fenomeno Hawthorne”. Con l’obiettivo di determinare le cause di tale incongruenza, fu nominato responsabile del progetto Mayo, il quale suggerì di concentrarsi sugli effetti che potevano avere le caratteristiche psicologiche degli operai sul loro rendimento. In quest’ottica concluse che “il fattore cruciale responsabile dell’accresciuta produttività è stato il semplice fatto di partecipare al progetto di ricerca: i lavoratori erano compiaciuti che i loro capi si interessassero a loro, e il conseguente senso di coinvolgimento e integrazione nella vita di fabbrica li motivava a maggiori sforzi.” 23 Col coinvolgimento di Warner nel progetto, però, l’ottica venne spostata sulla struttura sociale. Registrando le interazioni che avvenivano tra gli operai nella sala di cablaggio, si voleva capire l’influenza delle 22 Cfr Freeman L. C., Ibidem. Scott J., Social Network Analysis. A handbook, Sage Pubblications, London, 1991; trad. it. A cura di Amaturo E., L’analisi delle reti sociali, Carocci, Roma, 2003, p. 45. 23 16 relazioni interpersonali informali sul comportamento lavorativo. Egli suggerì di osservare e studiare il gruppo come una piccola società e di usare tecniche di analisi sul campo di matrice antropologica. L’indagine fece emergere che il comportamento nelle organizzazioni non è rigidamente determinato dalle prescrizioni formali promulgate dal vertice dell’azienda e rappresentate dall’organigramma.. I comportamenti informali, norme e procedure emergenti, condizionano, in parte, le attitudini dei lavoratori, le loro azioni e influenzano la produttività del lavoro. Le relazioni effettive tra gli operai, rilevate dai ricercatori mostrarono quella che fu chiamata “organizzazione informale”, la quale venne rappresentata attraverso dei diagrammi simili ai sociogrammi di Moreno. Figura 3 - Sociogramma di Hawtorne 24 Figura 4 – Amicizie nella sala di cablaggio 24 25 25 Fonte: Scott, ibidem, p. 46. Fonte: Roethlisberger e Dickson (1939), cit. in. Freeman, ibidem, p. 68. 17 Dopo aver rappresentato in questo modo la struttura di gruppo, i ricercatori non ne fecero più uso, in questo senso Scott ha l’impressione che “essi non avessero nessuna comprensione teorica di come le reti sociali possano dar forma al comportamento degli individui.” 26 Parallelamente Warner inizia lo studio della comunità di Newburyport nel New England, alla quale venne dato il nome di “Yankee City”. L’indagine venne concepita come studio antropologico di una moderna comunità urbana e realizzata tra il 1930 e il 1935. Le interazioni fra gli individui e la stratificazione sociale, scopi della ricerca, vennero rilevate attraverso l’osservazione sul campo e le comuni interviste. La mole di dati acquisita e analizzata diede l’opportunità di affermare quella che era l’ipotesi di Warner, ossia che l’organizzazione sociale di una comunità consiste in una trama di relazioni attraverso cui le persone interagiscono fra di loro. Si comprese che la cittadina era formata da sotto-gruppi, famiglia, chiesa, associazioni, ma a questi andavano aggiunti un particolare tipo di sottogruppo che i ricercatori chiamarono clique 27 . Queste erano costituite da un numero variabile di persone, intime fra loro e non legate da relazioni parentali. Secondo i ricercatori queste erano seconde per importanza solo alla famiglia nel determinare la collocazione delle persone nella società. Ogni persona poteva appartenere a più cliques, le quali vennero raffigurate come una serie di cerchi intersecatesi in un diagramma di Venn. Purtroppo, però, i ricercatori non si spinsero ad alcuna analisi formale, strutturale di queste rappresentazioni. In questo senso si può dire che alla metà degli anni ’30 l’attività di Harvard si era avvicinata senza riuscire ad includere tutte e quattro le caratteristiche che identificano la moderna analisi di rete. Chapple e Arensberg, che avevano partecipato al progetto “Yankee City”, si mossero per colmare il vuoto. I due studiosi svilupparono nuovi metodi di raccolta ed analisi dei dati dettagliati sui legami sociali e, durante lo sviluppo di tale attività si trovarono di fronte ad un problema 28 : come occuparsi simultaneamente di un gran numero di relazioni. Per risolverlo organizzarono concatenazioni di matrici così da trattare le relazioni composte. I ricercatori del gruppo, però, non erano entusiasti del formalismo matematico raggiunto, in 26 Scott J., ibidem, p. 47. Non nel senso sociometrico del termine. Si veda il secondo capitolo. 28 Cfr Freeman L. C., ibidem, p.78. 27 18 quanto più interessati alla ricerca sul campo, così quando Warner lasciò Harvard per l’università di Chicago, il gruppo si sciolse. Probabilmente i ricercatori di Harvard “non erano apparentemente pronti a muoversi al di fuori e nella nuova direzione proposta da Chapple e Arensberg: non erano preparati ad abbracciare il rigore nelle procedure per la raccolta di dati e la modellistica algebrica formale.” 29 1.3) Dagli anni ’40 agli anni ’60 Il trentennio che va dagli anni ’40 agli anni ’60 viene chiamato da Freeman “età buia”, poiché non si sviluppò un grande centro di ricerca, ma vi furono molti tentativi che mantennero viva la prospettiva strutturale. In particolare noi prenderemo in considerazione il gruppo di ricerca sviluppatosi al MIT attorno alla figura di Lewin e il gruppo di ricerca degli antropologi anglossassoni, il cui esponente principale è Gluckman. Prima però vedremo il contributo di un autore, Homans, che, per primo, ha cercato di elaborare una sintesi dei due filoni di ricerca progenitori dell’analisi di rete. 1.3.1) La sintesi di Homans Anche se non vi sono prove della conoscenza dei rispettivi lavori tra le due scuole viste in precedenza, quella sociometrica e quella struttural-funzionalista, le due si svilupparono parallelamente e Gorge Homans 30 fu il primo che ne confrontò i lavori per tentare una sintesi. In particolare, alla fine degli anni ’40, elaborò la riorganizzazione di una matrice di uno studio chiamato “Old City”, iniziato nel 1936 e condotto nel Sud degli Stati Uniti da Davis e altri colleghi di Warner, con la supervisione dello stesso. 31 La matrice era di tipo bimodale, con in riga le donne e in colonna gli avvenimenti a cui avevano o meno partecipato. Le crocette apparivano distribuite a caso nella matrice, il tentativo di Homans fu quello di modificare l’ordine delle righe e delle colonne per far emergere le clique. 29 Freeman L. C., ibidem, 2007, p. 80. Cfr Homans, The Human Group, Routledge and Kegan Paul, London, 1951, cit. in Freeman L. C., ibidem, 2007. 31 Per approfondimenti sull’indagine e sulla sintesi di Homans si veda Scott J., ibidem, p. 50-56. 30 19 L’operazione fatta a mano, dopo svariati tentativi, portò all’individuazione di due gruppi, risultato non emerso dall’analisi condotta da Davis. Figura 5 – Esempio di ri-organizzazione della matrice 32 “Non si può esser certi che i risultati finali prodotti da un qualsiasi altro ricercatore sarebbero stati gli stessi ottenuti da Homans, in quanto non esistono criteri in base ai quali giudicare un risultato “corretto”. È per questo che nei tentativi successivi di condurre analisi di questo tipo si è cercato di mettere a punto algoritmi programmabili, in modo che i computer potessero eseguire la riorganizzazione in maniera attendibile.” 33 Il metodo teorizzato da Homans, infatti, è analogo a quello che poi sarebbe stato chiamato Modello a blocco, ma, a differenza degli analisti di rete recenti, egli non usò nessun metodo matematico. 32 Fonte: Scott J., ibidem, p.54. Non è la matrice originale ma ne rappresenta il metodo di riorganizzazione. 33 Scott J., ibidem, p. 53. 20 1.3.2) Lewin e i suoi successori Tra gli psicologi fuggiti dal regime nazista, oltre a Moreno, c’era anche Lewin. In un primo momento egli concentrò la sua ricerca sulla Teoria del campo o “psicologia topologica”, che aveva come scopo quello di considerare l’effetto dei fattori situazionali nella determinazione del comportamento. Lo scopo della sua teoria era quello di studiare l’interdipendenza fra gruppo e ambiente percepito in termini matematici. Con il termine “campo sociale” Lewin intendeva una serie di punti e percorsi che dividono lo stesso in “regioni”. L’assenza di percorsi tra una regione e l’altra determina i confini entro cui l’individuo può muoversi, tali percorsi, quindi, costituiscono le “forze” che influenzano i comportamenti del gruppo. Secondo Freeman 34 , però, dopo che lo psicologo arrivò all’università dell’Iowa cominciò a spostare il suo interesse dallo studio del comportamento individuale allo studio dei rapporti interpersonali e dei processi di gruppo, e quindi sulla relazione effettiva tra gli individui. Il carisma di Lewin riuscì ad attrarre un gran numero di giovani psicologi e laureandi, che dopo il suo passaggio al MIT lo seguirono. Il 1945 fu un periodo particolarmente fecondo per questo gruppo di lavoro che produsse ricerche su svariati argomenti: la leadership, la produttività del gruppo, la comunicazione e la propagazione dell’influenza nel gruppo. 35 Ma l’improvvisa morte dello psicologo tedesco provocò la chiusura del Centro ad opera del Rettore e il passaggio di molti suoi collaboratori all’Università del Michigan, come Cartwright e Festinger. Tra quelli che rimasero, una figura di spicco per l’analisi di rete fu Bavelas, il quale è l’autore di un importante intuizione strutturale. “ Egli era convinto che in ogni organizzazione il grado al quale un singolo individuo si attesta e domina la sua rete di comunicazione – la centralità – condiziona la sua efficienza, il suo morale e la percezione dell’influenza di ogni singolo attore.” 36 La sua intuizione fu confermata dal matematico Luce, che nel ’49 aveva definito formalmente la definizione di clique con Perry. Egli fu assunto con lo scopo di indagare le conseguenze della struttura comunicativa, che venne rappresentata sotto forma di grafo. 34 Cfr Freeman L. C., ibidem, 2007, p. 82. Per una disamina sui lavori, si veda Freeman, ibidem, p. 83. 36 Freeman L. C., ibidem, p. 84. 35 21 Figura 6 – Strutture comunicative studiate dal gruppo di Bavelas. 37 Nel 1950 Bavelas, però, lasciò il MIT e anche questo gruppo di ricerca si inaridì. Nel frattempo nel Michigan, i seguaci di Lewin, Cartwright e Festinger, iniziarono una collaborazione molto proficua con Harary. Il loro grande merito è stato quello di aver capito che rappresentare le relazioni interpersonali effettive di un gruppo sotto forma di grafo, significava poter applicare ad essi la matematica derivante da quella Teoria38 e descriverne, in tal modo, le proprietà. Questo collegamento ha permesso lo sviluppo in termini matematici dell’analisi di rete, spingendo la sua affermazione in quanto paradigma. Seguendo questa strada riuscirono ad elaborare la definizione formale della nozione di equilibrio cognitivo proposta da Heider. Per lo psicologo tedesco, influenzato dalla Gestalt, gli atteggiamenti di un individuo verso gli altri sono nello stato di “equilibrio” nella mente di lui, quando non producono una tensione psicologica. Il suo interesse verteva sull’equilibrio interpersonale, mirava a capire, per esempio, in che modo un persona legata emotivamente a due altre persone possa reagire ad un eventuale conflitto tra le due. Nella prospettiva di Heider il punto focale era la mente del singolo soggetto e quindi si ragionava sulla percezione che questo potesse avere della relazione tra gli altri due soggetti considerati; con Cartwright e Harary 39 si passa da un equilibrio cognitivo a un equilibrio strutturale, ossia le 37 Fonte: Leavitt ( 1951) citato in Freeman L. C., ibidem, 2007, p. 85. “ La Teoria dei grafi consiste in un corpo di assiomi e formule matematiche che descrivono le proprietà dei modelli formati da linee.” Scott J., ibidem, p. 40. 39 Cfr Cartwright , Harary, “Structural Balance: a Generalisation of Heider’s Theory”, Psychological Review, 63, 1956, cit, in Freeman L. C., ibidem, 2007. 38 22 relazioni considerate sono quelle effettive. Applicando al grafo dei segni, positivi e negativi, la struttura del gruppo può essere analizzata considerando simultaneamente tutti gli appartenenti allo stesso. Secondo i due autori le strutture sociali complesse possono essere viste come costituite da strutture semplici chiamate “triadi”, che si sovrappongono tra loro. Figura 7 - Strutture equilibrate e non equilibrate 40 Durante le loro analisi scoprirono che ogni grafo equilibrato può essere diviso in due sottogruppi con proprietà interessanti: le relazioni all’interno di ciascun sottogruppo saranno positive, mentre quelle fra i sottogruppi saranno negative. Individuare se una rete è equilibrata o meno significa sviluppare tecniche di “decomposizione” del grafo, a cui è deputata l’analisi matematica. La nozione di “equilibrio” è stata utilizzata negli studi sulla cooperazione e sulla leadership nei gruppi. Secondo Freeman “ il gruppo Iowa - MIT - Michigan è andato ben oltre la sociometria di Moreno. Le due linee di ricerca hanno condiviso la nozione intuitiva secondo cui i legami sociali della persona hanno importanti conseguenze per i loro percorsi di vita ma, al di là di questa intuizione di fondo, proseguirono in direzioni differenti. Il lavoro di Moreno si basò soprattutto sulle risposte ai questionari somministrati individualmente, mentre Lewin ed i suoi allievi operarono sui legami sociali e raccolsero dati sperimentali circa le loro 40 Fonte: Scott J, ibidem, p. 42. 23 conseguenze. Inoltre, la matematica, marginale alla maggior parte della ricerca di Moreno, era invece il nucleo centrale del lavoro al MIT e alla Michigan. Per concludere, mentre entrambi hanno usato i grafi, Bavelas […], Cartwright e Harary li hanno usati esplicitamente nel contesto formalizzato della teoria dei grafi.” 41 1.3.3) Gli antropologi sociali britannici Durante gli anni ’50 si afferma un’altra scuola che percepisce la società in termini strutturali, questa fa capo a Max Gluckman che venne nominato direttore del Dipartimento di Antropologia Sociale e di Sociologia all’Università Manchester. Il lavoro di questo gruppo rappresenta lo sviluppo in chiave critica dello strutturalfunzionalismo di Radcliffe-Brown, poiché, invece di insistere sull’integrazione e la coesione, si concentrò sul conflitto e sul cambiamento nella trasformazione e persistenza delle strutture sociali. A questo gruppo di ricercatori va il merito di aver determinato il passaggio da una considerazione metaforica del concetto di “rete” ad una formale, intendendo con esso l’insieme delle relazioni che legano gli individui. Il termine “rete”, infatti, è stato utilizzato per la prima volta da questi autori. In particolare Barnes lo cominciò ad applicare in modo più rigoroso e analitico e con lui Bott. Il primo viene citato dagli analisti di rete per il suo studio su una comunità di pescatori della Norvegia, Bremnes, la cui particolarità risiedeva nel fatto che era strutturato esclusivamente sui rapporti di parentela 42 . In esso sosteneva che “la totalità della vita sociale poteva essere vista come un insieme di punti, alcuni dei quali sono congiunti da linee, in modo da formare una “rete totale” di relazioni. La sfera informale delle relazioni interpersonali doveva essere vista come una parte, una “rete parziale”, di questa rete totale.” 43 Lo studio della psicologa canadese Helen Bott, che era stata allieva di Warner, invece, aveva lo scopo di esaminare il livello di segregazione dei ruoli coniugali all’interno delle famiglie britanniche. Non trovando alcuna correlazione significativa tra le variabili sociodemografiche, classe sociale e collocazione 41 Freeman L. C., ibidem, p.88. Cfr Barnes, “Class and Committees in a Norvegian Island Parish”, in Human Relations, 7, 1954. 43 Scott J., ibidem, p.58. 42 24 territoriale, la studiosa si dedicò ad analizzare la rete relazionale familiare. I risultati furono sorprendenti, l’analisi rilevò che nelle famiglie definite a “maglia stretta”, ossia con una densità di relazioni più elevata, il grado di segregazione dei ruoli coniugali erano maggiori, l’inverso si verificava per le famiglie a “maglia larga”. 44 Il contributo più ricco del gruppo di Manchester proviene, però, da Mitchell. L’autore parla di “ordine personale”, ossia dell’insieme di relazioni che il soggetto ha con un insieme di persone e i legami tra queste. Tali reti interpersonali sono costituite da due azioni ideali, la “comunicazione”, che comporta il trasferimento di informazione tra una persona e l’altra, e l’azione “strumentale”, che consiste nel trasferimento di beni materiali. Inoltre, l’autore formula il concetto di “rete totale” di una società come l’insieme delle relazioni in continua crescita che la costituiscono. In una ricerca concreta sarebbe molto difficile andare a considerarle tutte e quindi, dalla rete totale si preferisce individuare una “rete parziale”. La selezione degli elementi che ne fanno parte può avvenire secondo due criteri: “ancorando” la rete ad un individuo focale, si parla così di rete ego-centrata; o estrapolando dalla totalità dei legami una tipologia in particolare, ad esempio legami politici, parentali, di lavoro, definendo così la rete parziale in base al “contenuto”, ossia al significato delle relazioni coinvolte. Secondo l’autore la maggior parte delle reti studiate dai sociologi e dagli antropologi sono del primo tipo e contengono legami “multipli”. Per descrivere la qualità di queste relazioni Mitchell, durante gli anni ’60, introduce una serie di concetti. La reciprocità, indica quando la relazione è diretta, non mediata, ed è misurabile attraverso il “grado” in cui la transazione è ricambiata. La durata, indica quanto sono durature le relazioni e l’intensità, si riferisce alla forza degli obblighi comportanti da una relazione, ed è relativa alla forza con cui ci si sente vincolati agli stessi o alla molteplicità della relazione, che determina una più grande intensità. Rispetto agli altri componenti del gruppo di Manchester, l’antropologo, considera più attentamente la matematica della Teoria dei grafi, da cui deriva una serie di concetti sociologici. La densità, ad esempio, misura la completezza del network, ossia il numero di relazioni attivate su quelle attivabili. Mentre la raggiungibilità, 44 Cfr Vargiu A., Il nodo mancante. Guida pratica all’analisi delle reti per l’operatore sociale, FrancoAngeli, Milano, 2001, p. 70. 25 o permeabilità, indica la facilità di contattare tutti i membri della rete. Bisogna chiarire, però, che Mitchell tendeva verso una definizione “residuale” di rete sociale, l’analisi di rete riguardava, infatti, solo la sfera interpersonale, ciò che rimaneva una volta eliminate le strutture di relazione istituzionale. “Questo equivoco”, secondo Scott, “si rivelò fatale per lo sviluppo dell’analisi delle reti sociali in Inghilterra, che perlopiù non riuscì ad attrarre proseliti al di fuori dell’area degli studi di comunità.” 45 1.4) Harrison White e la “svolta di Harvard” “Alla fine degli anni ’60, nessuna versione dell’analisi di rete era ancora universalmente accettata come capace di fornire un paradigma generale per la ricerca sociale, anche se la vasta comunità di persone collegate alla ricerca era ormai pronta ad abbracciare un paradigma strutturale.”46 Una forte spinta in questo senso provenne da un folto gruppo di ricercatori di Harvard a cui va il merito di aver compreso, e fatto comprendere alla comunità scientifica, che l’analisi delle reti sociali permette lo studio delle proprietà globali della rete in tutti i campi della vita sociale. Il principale esponente di questa scuola è Harrison White, laureato in fisica teorica e successivamente in sociologia, produsse, insieme ai suoi collaboratori, un’importante serie di lavori sul blockmodelling e sull’equivalenza strutturale. L’impostazione della scuola può essere definita di “sociologia matematica” 47 , l’intento era quello di mostrare i modelli di strutture sociali di ogni tipo e analizzarli attraverso l’uso della teoria dei grafi e dell’algebra delle matrici. Ciò che accomunava i diversi studi non era una teoria sociale ma il metodo della Network Analysis in quanto tale. 48 Uno degli esponenti di questa scuola che ha contribuito a divulgare questo punto di vista è Mark Granovetter. La peculiarità del suo studio sulla ricerca del posto di lavoro 49 sta nel fatto che 45 Scott J., ibidem, p.63. Freeman L. C., ibidem, 2007, p. 128. 47 Cfr Chiesi A., ibidem, p.46. 48 Cfr Ibidem, p.46. ; Scott J., ibidem, p.64. 49 Cfr Granovetter M., “The strenght of weak ties”, American Journal of Sociology, 78, 1973, cit. in Freeman L. C., ibidem, 207. 46 26 rispetto agli altri non presenta un approccio esplicitamente algebrico. Il suo intento era quello di scoprire in che modo le persone acquisiscono informazioni sulle occasioni di lavoro attraverso i loro contatti sociali informali. In particolare era interessato a capire quali tipi di legami facilitassero la trasmissione delle informazioni. Lo studio mostrò l’importanza dei legami personali informali, cosa in linea con le precedenti ricerche e, cosa nuova, rilevò un modesto impegno di “ricerca attiva” 50 dell’occupazione. L’informazione, infatti, veniva acquisita accidentalmente in occasione di contatti che la offrivano spontaneamente, generalmente contatti di lavoro o vicino ad esso, raramente proveniva da amici o familiari. Nell’intento di spiegare questi risultati Granovetter elaborò un modello di diffusione dell’informazione. “ Era dato per scontato che le persone in possesso di informazioni circa i loro posti di lavoro le passassero in qualche misura ai loro contatti immediati, i quali a loro volta le passavano a una certa percentuale di loro contatti, e così via. Assumendo che l’informazione si attenui col tempo a mano a mano che passa attraverso gli anelli successivi della catena, è possibile tracciarne il passaggio attraverso una rete sociale e scoprire il numero di persone che acquisiranno l’informazione e le loro varie collocazioni nella rete. L’acquisizione dell’informazione, quindi, dipende, in primo luogo, dalla motivazione a passarla da parte di quelli che ne sono in possesso, e, in secondo luogo, dalla collocazione “strategica” dei contatti di una persona nel flusso generale dell’informazione.” 51 Il fenomeno venne spiegato con la Teoria della “forza dei legami deboli”. Le persone fortemente legate probabilmente hanno gli stessi amici e interagiscono nelle stesse situazioni, quindi è plausibile che avranno le stesse conoscenze in merito a occasioni di lavoro, poiché l’informazione che raggiunge uno di loro li raggiunge tutti. Le persone con situazioni lavorative diverse dalle proprie, con le quali si hanno contatti meno frequenti saranno fonte di informazione nuova e diversa, in ciò i legami deboli mostrano tutta la loro forza e il loro valore. 50 51 Non vi era in effetti confronto tra ricompense e costi relativi in vista della massimizzazione. Scott J., ibidem, p.66. 27 1.5) Sintesi delle diverse prospettive di ricerca Dopo i numerosi contributi prodotti dei membri della scuola di Harvard, l’analisi delle reti fu universalmente riconosciuta fra i sociologi.52 Dalla fine degli anni ’70 in poi la Social Network Analysis ha avuto uno crescita progressiva grazie allo sviluppo analitico reso possibile dai programmi computerizzati e grazie ai numerosi contributi di altri autori. L’interesse generale e la volontà di confrontarsi fece sì che nel 1977 si decise 53 di dare avvio ad una forma organizzativa, l’INSA ( International Network for Social Network Analysis), la cui iniziale newsletter è divenuta col tempo un giornale vero e proprio, Connections. L’anno seguente è stata pubblicata la prima edizione del giornale Social Network, collegato all’organizzazione e nel 1980 iniziarono le Sun Belt, una serie di incontri tenuti in America ogni anno, e ogni tre anni in Europa. 54 La necessità di incontrarsi nasce dall’esigenza di tenersi aggiornati sui progressi della materia e sulle ricerche che ogni anno vengono implementate e che partono da prospettive diverse. In questo senso abbiamo voluto presentare, seppur brevemente, le varie prospettive di ricerca utilizzate dagli studiosi di rete, questo ci servirà anche per sintetizzare i filoni di studio visti nei paragrafi precedenti e i temi da essi affrontati. Tabella 1 – Modalità di approccio all’analisi di rete 55 Approccio Oggetto 52 Individuo Sottogruppo Rete globale Relazionale Approccio individuale relazionale Approccio relazionale per sottogruppi Approccio relazionale globale Posizionale Approccio individuale posizionale Approccio posizionale per sottogruppi Approccio posizionale globale Cfr Freeman L. C., ibidem, 134. Fu Berry Wellman che ebbe l’idea e si attivò per metterla in pratica. 54 L’estensione europea si è avuta nel 1989. 55 Fonte: Vargiu A., ibidem, p. 75. 53 28 Seguendo Burt 56 , possiamo dire che l’analisi delle reti sociali può essere applicata attraverso sei prospettive (vedi tab.1), determinate dall’incrocio di due approcci perseguibili, quello relazionale e quello posizionale, con tre oggetti di ricerca, l’individuo, il gruppo, la rete globale. Nello specifico, si intende per approccio relazionale quello che pone l’accento sulle relazioni tra gli attori, mentre per approccio posizionale quello che si concentra sulle relazioni di un attore rispetto a quelle realizzate dagli altri, che appunto determinano la posizione dell’attore nella rete. Nel primo tipo di approccio, individuale relazionale, troviamo gli studi dei “network personali” che si sono focalizzati sulla mobilità sociale, di cui quello di Granovetter sulla “forza dei legami deboli” è un esempio. Inoltre, in questa prima tipologia, possiamo far rientrare alcuni studi che utilizzano la small world technique per ricostruire la rete di relazione che uniscono due individui che non si conoscono. Nel secondo tipo, relazionale per sottogruppi, rientrano lo studio e la comparazione di sottogruppi altamente connessi, le clique, al fine di analizzare i rapporti al loro interno, tra gruppi e al loro esterno. Tale tradizione di ricerca parte da Mayo, con l’esperimento di Hawthorne, e poi si dirama nel comprendere vari studi a seconda della definizione formale che viene data al termine sottogruppo. Inoltre in essi rientrano gli studi sugli interlooking directorates, che possono essere considerati come facenti parti anche dell’approccio successivo, quello relazionale globale. Questo terzo tipo di approccio si concentra sullo studio delle relazioni tra attori o gruppi che vanno a formare il sistema relazionale globale. In esso ritroviamo gli studi sulle interdipendenze aziendali che si basano sull’idea di Hilferding57 secondo cui i legami personali che uniscono le società per azioni possono essere considerati come relazioni di potere e controllo e come strumento di coordinazione e informazione tra esse. Oltre alle “appartenenze multiple”, in questa categoria di studi vanno inseriti anche quelli che si focalizzano sulla “centalità del grafo”, e quelli si rifanno alla Teoria dell’equilibrio. 56 Cft Burt, “Applied Network Analysis: An Overview”, Sociological Methods and Research, 7, 2, 1978. cit. in Vargiu A., ibidem, p. 75 e ss. 57 Cfr Hilferding, Il capitale finanziario, Feltrinelli, Milano, 1961. 29 Nell’Approccio posizionale individuale si ritrovano due linee di ricerca, una che si focalizza sugli indici posizionali, come la “centralità dell’attore” considerata nelle sue svariate accezioni (betweeness, rush, etc.), e l’altra che si occupa di studiare i processi attivati per relazionarsi con attori che occupano una posizione sociale diversa dalla propria, e quindi come la propria posizione nella rete influenza tale possibilità di collegamento. Tra essi si ricordano lo studio di Laumann 58 sulla tendenza degli individui di intrattenere relazioni amicali con persone che occupano la stessa posizione occupazionale. Per finire, gli Approcci posizionali per sottogruppi e globale vengono considerati insieme perché comprendono studi che condividono l’utilizzo di una stessa tecnica, “la blockmodelling analysis”. Questa serve per l’individuazione di “blocchi”, ossia di insiemi di attori che, pur non essendo necessariamente legati fra loro, occupano una medesima posizione, e quindi sono “strutturalmente equivalenti”. Il concetto è stato formulato per la prima volta da White, come abbiamo visto, e si basa su un ragionamento opposto a quello di clique: se quest’ultima viene individuata sulla base della densità dei rapporti tra gli attori, invece, l’equivalenza strutturale tra questi si ha quando, pur non conoscendosi, essi presentano lo stesso numero e tipo di legami. A conclusione del capitolo ci è parso opportuno inserire un ultimo paragrafo che dà atto dei filoni di ricerca sull’analisi delle reti sociali sviluppati nel nostro paese. La volontà di separare gli studi italiani da quelli del resto del mondo sta nel fatto che in Italia tale tipo di approccio è molto giovane, infatti, la comunità scientifica è rimasta sostanzialmente estranea ad esso fino alla metà degli anni ’80. Inoltre, com’è comprensibile, gli studi sono numericamente inferiori e oggettivamente concentrati su determinati argomenti. 58 Cfr Laumann, Prestige and Association in a Urban Community, Bobbs-Merril, Indianapolis, 1966, cit. in Vargiu A., ibidem. 30 1.6) Gli studi italiani I primi contributi all’analisi di rete nel nostro paese si devono a Chiesi, autore di due articoli pubblicati nel 1980 e ‘81 sulla rivista Rassegna italiana di Sociologia 59 . Dopo più di dieci anni, nel 1996, la stessa rivista ospita un edizione completamente dedicata alla Social Network Analysis, con il contributo di vari autori. È, infatti, di questo periodo la pubblicazione di tre testi manualistici, quello di Scott (1994), di Vargiu (1998, 2001) e di Chiesi (1999). “ A questi studiosi, dunque, va il merito di aver introdotto la social network analysis in Italia, di averla adattata al contesto nazionale, di averne individuato punti di forza e di debolezza, di averne prefigurato le possibilità di applicazione nella ricerca sociale considerato lo sviluppo e le caratteristiche del dibattito metodologico presenti nel paese.” 60 Secondo Salvini 61 quasi tutti gli autori italiani, che si occupano di analisi di rete, si trovano concordi nell’apprezzare i contributi offerti dalla Scuola di Manchester e nella sostanziale disapprovazione della scuola di Harvard, soprattutto per la sua insistenza sugli aspetti tecnici a cui non corrisponde un altrettanto sforzo teorico. Come suggerisce Chiesi 62 possiamo dividere gli studi italiani in quattro direttrici di interesse. La prima è inerente alle politiche di welfare indagate attraverso l’analisi dei reticoli informali di “social support”. Tra gli autori che hanno condotto tali tipi di studi vi sono Di Nicola 63 e Mutti 64 . La seconda riguarda i sociologi del lavoro che, influenzati dai risultati di Granovetter, si interessano alla rilevanza dei legami personali nelle azioni di ricerca del lavoro, tra questi ricordiamo Bianco 65 , Barbieri 66 e Follis 67 . 59 Cfr Chiesi A., “L’analisi dei reticoli sociali: teoria e metodi”, Rassegna Italiana di sociologia, 2, 1980, e “L’analisi dei reticoli sociali: un introduzione alle tecniche”, ibidem, 4, 1981. 60 Salvini, L’analisi delle reti sociali. Risorse e Meccanismi, PLUS Pisa, Pisa, 2005, p. 45. 61 Cfr Salvini A., ibidem, 2005, p. 47. 62 Cfr Chiesi A., ibidem, 1999, p. 14. 63 Cfr Di Nicola P., L’uomo non è un’isola, FrancoAngeli, Milano, 1986.; La rete: metafora dell’appartenenza, FrancoAngeli, Mi, 1998; (a cura di) “Analisi ed intervento di rete: il caso della famiglia”, in La ricerca sociale, 45, 1991. 64 Cfr Mutti A., Il buon vicino, Il Mulino, Bologna, 1992. 65 Cfr Bianco M., Classi e reti sociali, Il Mulino, Bologna, 1996. 31 La terza si concentra sull’importanza dei legami sociali nello studio del potere a livello locale e si concretizza con una serie di ricerche sulle amministrazioni locali. 68 L’ultima riguarda i legami interorganizativi, studiati ad esempio da Lomi 69 e da Diani 70 , quest’ultimo specificatamente ai legami tra associazioni. In sostanza, come dimostrato dal percorso compiuto, l’approccio di rete risulta essere stato applicato ai più disparati problemi e ambiti di studio in virtù del fatto che la provenienza degli studiosi che ne approfondirono, e ne approfondiscono, il metodo è estremamente variegata. Ciò non fa altro che dimostrare la generalità del metodo e la sua efficacia. 66 Barbieri P., “Il tesoro nascosto. La mapps del capitale sociale in un’area metropolitana”, in Rassegna Italiana di Sociologia, 38, 1997. 67 Follis M., “Introduzione” a M. Granovetter, La forza dei legami deboli e altri saggi, Liguori, Napoli, 1998. 68 Cfr Piselli F., (a cura di) Reti. L’analisi di rete nelle scienze sociali, Donzelli, Roma, 1995; “Esercizi di network analysis a Napoli”, in Rassegna Italiana di Sociologia, 37,1996; “ Il network sociale nell’analisi del potere e dei processi politici”, in Stato e Mercato, 50,1997. 69 Cfr Lomi A., Reti organizzative, Il Mulino, Bologna, 1991; (a cura di) L’analisi relazionale delle organizzazioni, Il Mulino, Bologna, 1997. 70 Cfr Diani, “I movimenti come reti”, in Rassegna Italiana di Sociologia, 36, 1995. 32 Capitolo II Il circuito della ricerca e le misure di rete Secondo Chiesi la network analysis “consiste in un insieme di tecniche di analisi strutturale, che si basano sui seguenti postulati relativi alla realtà sociale: a) il comportamento dell’attore è interpretabile principalmente in termini di vincoli strutturali all’azione, piuttosto che in termini di libertà di scelta; b) le tecniche di analisi si concentrano sulla natura relazionale della struttura sociale e sostituiscono (o integrano) le tecniche statistiche classiche che si basano su elementi considerati indipendenti tra loro; c) la forma delle relazioni sociali può a sua volta essere spiegata in parte come l’esito delle scelte degli attori, individuali o collettivi, che rappresentano i nodi del reticolo.” 1 Le affermazioni sub a) e c) non devono essere considerate contrapposte poiché, come spiega Salvini, “l’obiettivo dell’analisi delle reti sociali è quello di studiare i modelli di relazione che connettono gli attori sociali all’interno dei sistemi sociali, il modo in cui questi modelli influiscono sul comportamento degli attori e sul flusso di risorse veicolate da quelle connessioni, ma anche il modo in cui gli attori sociali, mediante quelle stesse interconnessioni, contribuiscono a modificare la struttura reticolare complessiva.” 2 In questo modo si cerca di superare quello che per anni è stato il dibattito che ha visto contrapposti la scuola di Harvard e quella di Manchester, con l’assunzione della circolarità tra attore, relazioni e struttura complessiva della rete. Tale circolarità permette, oltretutto, di superare l’antitesi classica tra micro e macro, dando la possibilità di studiare nello stesso tempo i due livelli di analisi. Come espresso nella sub b), i tradizionali metodi di ricerca non sono idonei a studiare le reti sociali, poiché come condizione di possibilità stabiliscono la non dipendenza delle unità d’analisi, interdipendenza, invece, che fonda lo studio delle 1 Chiesi A., L’analisi dei reticoli sociali, Franco Angeli, Milano, 1999, p. 25. Salvini A. (a cura di), Analisi delle reti sociali. Teorie, metodi, applicazioni, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 7. 2 33 reti. Inoltre, mentre i metodi di ricerca classici hanno l’obiettivo di indagare atteggiamenti e opinioni e per questo si focalizzano sui soggetti, rilevando i cd. dati attributo, ossia le caratteristiche degli stessi; la network analysis ha lo scopo di indagare le relazioni tra i soggetti considerati, per scoprire gli effetti delle stesse sul comportamento degli individui, o viceversa, per capire come modifiche nelle relazioni tra soggetti possano modificare la struttura della rete. In questo caso le unità d’analisi non sono più i soggetti presi singolarmente, ma le relazioni tra gli stessi. Nel primo caso l’analisi consisterà nello scoprire relazioni tra variabili, individuandone i nessi causali senza però spiegarne il meccanismo, nel secondo caso nell’individuare relazioni tra attori per cercare di spiegare il funzionamento di alcuni fenomeni sociali. Per esempio, gli studi classici danno una spiegazione causale e determinista dell’attribuzione delle posizioni occupazionali consistente nell’ereditarietà di classe, ma non sono in grado di spiegare come questo meccanismo opera effettivamente nelle scelte dei soggetti. Alcuni studi condotti nell’ambio della SNA hanno spiegato che tale fenomeno deriverebbe dal possesso, o meno, di determinate risorse in capo al singolo, il cd. capitale sociale, ossia “la capacità del soggetto di mobilitare a proprio favore le reti parentali, di affidarsi alle solidarietà amicali, di sfruttare i flussi informativi riservati e informali che passano attraverso le relazioni di conoscenza e frequentazione di ambienti caratterizzati da diversi gradi di chiusura sociale”.3 Alcune volte i due metodi di ricerca vengono utilizzati congiuntamente per poter conoscere anche da un punto di vista socio-demografico la rete sociale studiata, come per esempio avviene nelle ricerche sugli ego-network4 . Prima di spiegare quello di cui ci occuperemo nel corso di questo capitolo, occorre un ulteriore specificazione in merito alla definizione di SNA data all’inizio. Chiesi parla di un insieme di tecniche e non di un paradigma teorico specifico, questo perché, secondo l’autore, manca un corpo di postulati condivisi e un sistema teorico da esso derivato sostenuto da controlli empirici, che gli strumenti tecnici permettono di svolgere. D’altro canto, secondo l’autore, “se è vero che viene sottolineata la mancanza di un corpus teorico generale intorno alle tecniche di network analysis, è anche vero che viene ormai loro riconosciuto 3 4 Chiesi A, ibidem, p.32. Chiamata anche rete personale poiché espressione dei legami di un singolo individuo. 34 concordemente il merito di aver sviluppato una serie di teorie di medio raggio, empiricamente fondate, in campi molto eterogenei.” 5 Dello stesso parere risulta essere Enrica Amaturo che, nella premessa all’edizione italiana del libro di Sott 6 , sostiene che considerare l’analisi di rete come un metodo non ne riduce la portata di strumento conoscitivo anzi ne permette un uso più flessibile e fecondo. Svincolando l’analisi da un particolare orientamento teorico, se ne amplia la possibilità di applicazione e l’integrazione con altre prospettive d’indagine. 7 Lo stesso Scott spiega “non c’è dubbio che l’analisi delle reti sociali incorpori un particolare orientamento teorico verso la struttura del mondo sociale, ed è quindi legata a teorie strutturali dell’azione. Sembra invece probabile che una qualsiasi teoria sostantiva possa incorporare l’essenza dell’analisi delle reti sociali.” 8 Anche per questo autore si tratta, quindi, di un metodo e non di un corpus teorico. Espandendo l’etichetta data da Collins 9 alla SNA come “una tecnica in cerca di una teoria”, siamo concordi con Mattioli 10 quando la definisce “una tecnica con molte teorie”. In questo capitolo andremo a descrivere brevemente il circuito della ricerca praticato dagli analisti delle reti sociali, le cui fasi rimangono sostanzialmente le stesse di quelle della ricerca cd. standard, focalizzandoci in particolare su due aspetti che con l’analisi di rete sembrano produrre dei problemi. Questi sono la definizione operativa del concetto di rete e la delimitazione dei confini della popolazione d’indagine. Seguendo l’ordine delle fasi andremo, poi, a descrivere come avviene la raccolta dei dati sia per ego-network sia per network completi. Nella seconda parte del capitolo andremo ad esplicitare quelle che sono le misure più utilizzate nell’analisi delle reti sociali, considerando il triplice livello dei singoli nodi, le relazioni e la struttura reticolare tutta. Nel percorso saltiamo volutamente la parte dell’ organizzazione dei dati in matrice e la visualizzazione dei risultati poiché questa verrà discussa più ampiamente nel capitolo che segue. 5 Chiesi A., ibidem, p.195. Cfr Scott J., Social Network Analysis. A handbook, Sage Pubblications, London, 1991; trad. it. A cura di Amaturo E., L’analisi delle reti sociali, Carocci, Roma, 2003. 7 Cfr ibidem, p. 17. 8 Cfr Ibidem, p. 68. 9 Cfr Collins, Theoretical Sociology, Hancourt Brace Jovanivich, Orlando, 1988; trad. It. Teorie sociologiche, Il Mulino, Bologna, 1992. 10 Cfr Mattioli, Sociometria delle reti sociali, relazione presentata al Convegno “Analisi di rete e disuguaglianze sociali”, Bertinoro, 27-28 settembre 1996. 6 35 2.1) Il “Circuito della ricerca” La ricerca sociale ha metodi e ambiti diversi a seconda della scuola cui appartiene il ricercatore e a seconda dei paradigmi adottati, le fasi della sua conduzione, però, rimangono le stesse. Facendo riferimento a quello che Bailey 11 chiama “circuito della ricerca”, questa può essere suddivisa in cinque fasi. Figura 8 - Circuito della ricerca di Bailey Una volta individuato il problema, il passo successivo sarà quello di formulare una teoria. Definita la teoria nelle sue componenti occorre, per renderla controllabile, determinare delle ipotesi. In questa fase lo spoglio della letteratura specialistica diviene allora necessario per acquisire i contributi di quanti si sono posti a loro volta il medesimo problema. Nella formulazione del disegno della ricerca le ipotesi vengono rese empiricamente osservabili attraverso la definizione operativa delle proprietà dei concetti espressi in esse, trasformandole in variabili così da poterle misurare. Si decidono, quindi, le tecniche di raccolta dei dati più appropriate per gli obiettivi 11 Cfr Bailey, Metodi di ricerca empirica, Il Mulino, Bologna, 1982. 36 della ricerca e di conseguenza anche le tecniche di elaborazione dei dati. In questa fase il ricercatore deve anche definire il gruppo di soggetti su cui verificare tali ipotesi, sia come numerosità che come caratteristiche possedute. Al fine di individuare i casi, dobbiamo in primo luogo identificare l’ambito della nostra ricerca, definito da limiti precisi individuati sulla base di specifiche coordinate spazio-temporali. Sulla base di queste direttive, si passa alla fase di raccolta dei dati, terminata la quale il ricercatore sociale si trova spesso con una mole notevole di informazioni da elaborare. Per ridurre in forma meglio analizzabile questa mole di materiali, si codificano i dati, ad ogni variabile rilevata nel questionario si assegnano determinati codici, cosicché il ricercatore potrà registrare più velocemente i dati nella matrice. In questo modo l’analisi dei dati risulterà più semplice. L’interpretazione dei risultati è l'ultima fase di una ricerca. Essa permette di controllare le ipotesi che si erano formulate e comunicarle agli altri attraverso specifici metodi di visualizzazione dei risultati. 12 Nella SNA alcuni passi contenuti in queste fasi si complicano. Tali elementi di complicazione riguardano, in particolare, l’oggetto e la scelta dei soggetti da includere nel campo di osservazione. Per quanto riguarda l’oggetto di indagine, nel nostro caso, è costituito dai legami intercorrenti tra diversi soggetti, ossia una rete sociale. Il problema è che il concetto di rete si pone ad un livello di astrazione piuttosto elevato, quindi se vogliamo rilevare ciò a cui concretamente si riferisce, dobbiamo definire nella maniera più chiara possibile il suo referente empirico, così da poterlo distinguere da altri oggetti presenti nello stesso campo di osservazione. Per fare ciò bisogna dare una definizione del termine “rete sociale” che risulti utile sul piano dell’operatività della ricerca per poi arrivare a determinarne allo stesso modo le proprietà più rilevanti. 12 Per approfondimenti circa queste fasi si rinvia alla numerosa manualistica esistente. 37 2.1.1) Rete sociale e suoi elementi Il concetto di rete sociale è stato per lungo tempo utilizzato, nell’ambito delle scienze sociali, come un concetto metaforico, finché Barnes parlò delle relazioni tra soggetti in questi termini: “immagino una serie di punti, alcuni dei quali collegati da linee. I punti rappresentano gli individui, o talvolta i gruppi, e le linee indicano che le persone interagiscono fra loro. Possiamo certamente pensare che l’intera vita sociale costituisca una rete di questo tipo.” 13 Nonostante ciò non fosse nelle intenzioni dell’autore, alcuni studiosi, sfruttando il parallelismo punti= individui e linee= interazioni, iniziarono ad applicare alle reti sociali alcune procedure di calcolo derivanti da una branca della matematica, la teoria dei grafi. Questa studia le proprietà di configurazioniformate, appunto, da punti e linee. Utilizzando il linguaggio specifico della teoria dei grafi si parlerà di vertici e archi, nella network analysis questi termini vengono spesso sostituiti con quelli di nodi e legami. Per quanto riguarda gli elementi che costituiscono la rete, questi sono: i singoli nodi e le relazioni tra questi. I nodi della rete possono essere costituiti da un singolo individuo o da gruppi. La natura individuale o collettiva dipende dal contesto empirico in cui viene svolta l’indagine e dalla finalità della stessa. I soggetti più studiati sono gli individui a livello micro, ma l’analisi di rete si presta molto bene anche ad analisi macro, quali relazioni tra associazioni, organizzazioni, istituzioni, famiglie, etc. I legami, come i nodi, possono riferirsi a cose diverse: relazioni informali di amicizia, legami di parentela, vicinato, relazioni informali di potere, affiliazione, etc. In base alle finalità della ricerca, dei legami, oltre alla semplice presenza o assenza, è possibile osservare e registrare: la loro natura, l’univocità o la molteplicità, la direzione, l’intensità, la durata e la frequenza. 14 13 Barnes, “Class and Committees in a Norvegian Island Parish”, in Human Relations, 7, 1954, p. 43, op. cit. in Vargiu, Il nodo mancante. Guida pratica all’analisi delle reti per l’operatore sociale, Franco Angeli, Milano, 2001, p. 19. 14 Tali concetti verranno chiariti nel paragrafo 2 di questo stesso capitolo poiché riguardano aspetti della misurazione delle reti sociali. 38 2.1.2) Problemi di confine Nelle ricerche tradizionali determinare la popolazione d’indagine è un passo molto importante, poiché ci fa individuare quelli che sono i confini oltre i quali non è più necessario rilevare i dati. Alcune volte possono essere sfruttati confini chiaramente definiti, come l’appartenenza ad un’organizzazione, abitare in un determinato territorio, frequentare una certa scuola, ma altre volte non è così semplice e lo stabilire i confini diventa esso stesso un obiettivo di ricerca. Nella network analysis il ricercatore, per poter rilevare la rete, dovrebbe seguire le concatenazioni sociali man mano che compaiono e non stabilire dei limiti istituzionali prestabiliti. Ma così facendo si correrebbe il rischio di avere una popolazione talmente grande che le risorse a disposizione non basterebbero a condurre l’analisi; dall’altro lato, però, stabilendo dei confini arbitrari, si perderebbero alcune relazioni rilevanti e influenti, poiché non immediatamente percepibili, in quanto collocate fuori dal campo di osservazione. Al di là di queste considerazioni, ancora fonte di dibattito, sono due le domande che il ricercatore si deve porre quando vuole individuare la sua popolazione: che tipo di approccio si vuole seguire e se si hanno o meno fonti secondarie grazie alle quali individuare network già strutturati. Per quanto riguarda la prima domanda, lo studioso può decidere se analizzare una rete egocentrata o una rete completa. Nel primo caso, il reticolo può essere identificato a partire dai legami di un singolo soggetto, si dirà che la rete è ancorata ad uno specifico nodo del network e avremo tante reti quanti sono gli intervistati. I confini sono così indirettamente definiti dal ricercatore, poiché definisce i criteri in base ai quali l’individuo focale (Ego) può citare le persone (Alters) con cui intrattiene un determinato rapporto, ed eventualmente ne stabilisce il numero citabile. Nel secondo caso, con la rete completa, avremo un reticolo formato da un insieme di individui, senza la necessità di partire da un nodo specifico per ricostruirlo. Il ricercatore, così, potrà condurre l’analisi sulla rete nel suo complesso, poiché dispone dei dati relazionali relativi a tutti i soggetti che fanno parte del setting definito. In questo caso i confini sono determinati dal ricercatore stesso che chiede 39 all’intervistato di indicare, tra le persone appartenenti a quel setting, con quali intrattiene quel tipo di rapporto specifico oggetto della ricerca. In merito alla seconda questione, la disponibilità o meno di fonti secondarie, possiamo dire che vi sono casi in cui il campo di osservazione appare già “strutturato” e facilmente individuabile dalle stesse, altri, in cui è necessaria la sua determinazione sul campo. Alcune fonti secondarie che permettono di individuare network già “strutturati” sono ad esempio: elenchi di membri di associazioni, organigrammi aziendali, annuari delle maggiori società per azioni, e altri documenti di vario tipo. I criteri per la sua individuazione sono sostanzialmente due: quello dell’affiliazione, in base al quale coloro che appartengono alla rete hanno una caratteristica in comune, per esempio l’appartenenza ad una stessa associazione, gruppo, comunità, impresa, reparto, etc; e il criterio nominalistico, che permette l’individuazione di soggetti che ricoprono un determinato ruolo formale o una particolare posizione sociale. Molti studi sulle élites economiche si basano sull’applicazione di questo criterio. Per esempio negli studi sugli interlocking directorates 15 si assume che chi ricopre una carica nei consigli di amministrazione esercita di fatto un potere di comando, ma si sa che esistono anche consigli proforma, dove le cariche vengono talvolta assegnate per ragioni di prestigio e di lustro, piuttosto che per attribuzioni di comando effettivo. In questi studi, infatti, non c’è ancora accordo tra gli studiosi sulla rilevanza di queste posizione per indagare la rete dell’elités economica o politica.. Nel caso in cui non abbiamo fonti secondarie che ci permettono di individuare il network, lo dobbiamo determinare sul campo, attraverso una scelta ragionata. Questa può avvenire, ad esempio, in base ad un criterio reputazionale, per cui si chiede ad un soggetto, che ricopre una qualche posizione formale pertinente, i nomi dei soggetti ritenuti di fatto membri di una certa cerchia, così da redigere una lista, che potrà essere ulteriormente ampliata nel corso delle altre interviste. In questo caso, bisogna considerare che il risultato può essere condizionato dalla scelta degli informatori. 15 Con questo termine si indicano i legami personali tra consigli di amministrazione, e indica quel fenomeno per cui la presenza dello stesso “manager” in due o più consigli viene vista come un legame informale di influenza, controllo o coordinamento tra due o più società. 40 Quando la rete completa risulta essere troppo grande si può ricorrere anche al campionamento, anche se in realtà la struttura della rete non si presta bene ad essere rilevata in tal modo, poiché dovrebbe venir meno l’assunto dell’indipendenza delle unità statistiche. Ma escludendo un nodo si escludono tutti i suoi legami, impedendo così di rilevare la forma complessiva del network. Un campionamento probabilistico è stato impiegato solo con reti egocentrate, che permette l’estrazione dalla popolazione solo degli Egos, i quali poi, attraverso le domande fatte dal ricercatore, ricostruiranno la propria rete di relazione. In questo senso potremo solo comparare le diverse tipologie di reti personali senza poter misurare la densità della rete nel suo complesso. Tra le tecniche non probabilistiche spesso viene utilizzato il campionamento a valanga, che consiste nel partire da un individuo, che fa parte della popolazione rilevante, che riferisce i nomi delle persone con cui è in contatto. Da questa “zona di primo livello” si ripartirà per realizzare nuove interviste che forniranno altri nomi, e così via. La decisione di interrompere le interviste sarà una scelta arbitraria del ricercatore, e comunque bisogna sempre tener presente che il reticolo rilevato è solo una sezione della rete complessiva. Un particolare tipo di tecnica non probabilistica è quella chiamata small world 16 . Chiesi spiega che “ si tratta di una tecnica di rilevazione a catena, guidata dagli stessi intervistati, secondo un disegno che non si limita a rilevare opinioni, ma anche comportamenti. Essa consiste nel consegnare ad un solo soggetto di partenza un libretto in cui sono annotati nome, indirizzo e occupazione di un soggetto-obiettivo. Chi riceve il libretto deve annotare il proprio nome, alcune caratteristiche sociali rilevanti e trasmettere il libretto ad un conoscente, che a suo giudizio ha maggiore probabilità di conoscere direttamente, o attraverso conoscenti, il soggetto-obbiettivo. Lo scopo è quello di stimare le probabilità di successo o insuccesso della catena di conoscenze e la sua lunghezza sulla base delle caratteristiche sociali dei soggetti che ne fanno parte. I risultati hanno mostrato una sorprendente brevità delle catene di conoscenza, poiché gli intermediari tra due soggetti qualsiasi entro il territorio degli Stati Uniti 16 Cfr Milgram S., “The Small World Problem”, in Psychology Today, 22, 61-7, 1967. 41 sono mediamente 5,2.” 17 A onor del vero bisogna però dire che il numero delle cadute e dei rifiuti è elevato, e quindi l’attendibilità dei dati può non essere certa. Un’ultima possibilità per determinare la nostra popolazione si presenta in ricerche sperimentali, in cui la rete viene creata ad hoc scegliendo i soggetti che si vuole che la compongano, per poterne studiare le dinamiche relazionali. Il problema di legami lasciati fuori dal reticolo in questo caso non sono rilevanti perché vengono appositamente evitati, isolando la situazione sperimentale. Un esempio è lo studio di Bavelas del 1950 sul rapporto tra efficienza e struttura delle comunicazioni interne a gruppi sperimentali formati da cinque soggetti. In conclusione, ci si è resi conto come le soluzioni possibili sono molteplici, tante quanti sono gli interrogativi di ricerca. Non esiste la tecnica di rilevamento migliore ma una tecnica migliore per ogni singola situazione di ricerca. 18 2.2) Raccolta dei dati relazionali La raccolta dei dati relazionali può avvenire, come qualsiasi altro dato, attraverso l’utilizzo di fonti secondarie, se si hanno a disposizione, e attraverso la raccolta di dati sul campo. Quando l’oggetto di indagine riguarda relazioni potenzialmente delicate è chiaro che sarebbe auspicabile avere una fonte di informazione secondaria che ce le possa svelare, poiché, di solito, i soggetti intervistati mostrano una certa ritrosia nel rilevare la struttura relazionale in cui sono inseriti. Un esempio può essere quello delle reti di potere informale nelle organizzazioni, dove una deviazione dall’organigramma ufficiale può essere temuto come fonte di conflitto. Quando non sono disponibili fonti secondarie occorre rilevare i dati sul campo. A seconda che si vogliano rilevare dati comportamentali o dati su opinioni e atteggiamenti, si utilizzeranno rispettivamente la tecnica dell’osservazione diretta 17 Chiesi A., ibidem, p. 72. Per una trattazione più specifica della questione del campionamento si veda Chiesi A., ibidem, p. 69-75 e Scott J., Social Network Analysis. A Handbook, Sage Publications Ltd, London, 1991, trad. it. Amaturo, L’analisi delle reti sociali, Carocci, Roma, 1998, p. 90 - 100. 18 42 e dell’intervista più o meno strutturata. In questo ultimo caso, spiega Chiesi 19 , le domande fatte dall’intervistatore potranno: - limitare o meno il numero delle citazioni esprimibili dall’intervistato, - presentare o meno una lista dei componenti del gruppo o della comunità tra i quali indicare i soggetti coi quali si intrattiene una determinata relazione, - chiedere di valutare l’intensità del legame citato o costruire una graduatoria degli stessi. Inoltre, un altro aspetto fondamentale da tenere in considerazione è se stiamo studiando una rete completa o una rete personale, poiché cambiano i soggetti sui quali si rilevano i dati. Nel primo caso ad ogni membro del network viene chiesto di indicare le relazioni intrattenute con gli altri attori che fanno parte della stessa rete, in base a specifici criteri (relazioni di amicizia, collaborazione).20 Nel caso di reti personali, invece, si chiede ad Ego di indicare le persone con le quali intrattiene un certo tipo di rapporto e i rapporti che secondo lui legano gli alters da lui citati. 21 Le strategie utilizzabili sono di due tipi: - quella person-based, con la quale si dà la possibilità ad ego di citare tutte le persone con cui ha legami, specificandone dopo la tipologia. In questo caso viene spesso utilizzata una particolare forma di visualizzazione della rete che è il “bersaglio” (v. fig 9 pagina seguente), 22 - quella relational-based con la quale ego deve citare le persone con le quali ha un particolare legame prestabilito dal ricercatore. In questo caso spesso si preferisce fissare il numero massimo di persone citabili, anche se questa procedura comporta una distorsione nei dati favorendo l’elencazione di persone con le quali si intrattengono legami più forti. In questo modo emergerà quello che è il core network del soggetto focale. 19 Cfr Chiesi A., ibidem, p. 63 e ss. Cfr Cordaz D., “Il lessico delle reti”, in Salvini, ibidem, 2007, p. 29. 21 I legami tra ego e gli alters costituiscono la stella di primo grado, i legami tra gli alters citati la zona di primo grado. Si potrebbe continuare ad estendere il network andando a d intervistare gli alters singolarmente per farci indicare le persone con cui intrattengono rapporti, così avremo la stella di II grado e la zona di II grado. Ma di solito nessun ricercatore si spinge oltre il primo grado. 22 Cfr Vargiu A., ibidem, p.106. 20 43 Figura 9- Sociogramma a bersaglio 23 Per conoscere le informazioni sulla rete di cui si ha bisogno, nei questionari vengono utilizzati due strumenti. Il primo è il name generator, costituito da domande che spingono il soggetto a esplicitare le proprie conoscenze. A tal proposito queste prendono il nome di “name eliciting questions”. Il secondo è il name interpreter, formato da domande inerenti le caratteristiche delle persone elencate (sesso, età, titolo di studio), le caratteristiche dei legami tra ego e alters (tipo di relazione, frequenza, intensità, etc.) e l’eventuale esistenza e intensità dei legami tra alters. 24 In ogni caso, sia se studiamo una rete completa che una rete personale, il questionario può non limitarsi alla sola rilevazione dei dati relazionali ed essere arricchito con la rilevazione di dati-attributo tipiche dei questionari standard. Rilevando informazioni circa le caratteristiche dei soggetti che fanno parte della rete, possiamo scoprire quella che è l’eterogeneità della stessa, informazione fondamentale negli studi sul capitale sociale. Mentre rilevare una rete con un alto livello di omofilia, indicherebbe una somiglianza nei soggetti che la compongono, somiglianza che ci sia spetta nelle relazioni amicali. 23 Fonte: Vargiu A., ibidem, p. 106. Cfr Cordaz D., ibidem, p. 28 e ss. Per un esempio di questo tipo di questionario si veda Salvini A., ibidem, 2007, p. 194 e ss; e Vargiu A., ibidem, p. 97 e ss. 24 44 2.3)Misure della rete Le diverse tipologie di network, personale e completo, oltre a comportare diversi metodi di raccolta delle informazioni implicano anche diversi meccanismi di analisi. Infatti, sui network completi si conduce un’analisi relazionale e strutturale. Con la prima si studiano le relazioni che costituiscono la rete per individuare aree più o meno dense, mentre con la seconda si studiano le relazioni intrattenute da soggetti che occupano determinate posizioni nella rete e che possono risultare equivalenti tra loro. Sugli ego network, invece, viene condotta un’analisi quasi-relazionale, nella quale si individua la composizione della rete e la densità della stessa. 25 In questi studi è consuetudine trascurare il soggetto focale e i suoi contatti diretti per concentrarsi solo sui legami tra alters, poiché sarebbe scontato trovare che la rete sia altamente densa. È comunque possibile confrontare la densità tra varie reti personali andando a contare non i legami tra ego e alters 26 ma solo quelle tra alters. Considerazione simile va fatta per la questione della centralizzazione. In una rete personale è visivamente palese (vedi sociogramma a bersaglio sopra) l’alto grado di centralizzazione della stessa, nella quale, peraltro, è lo stesso ego ad occupare la posizione focale. In ogni caso, i metodi che il ricercatore utilizza per analizzare la rete sono molteplici e riguardano tre livelli, quello dei singoli nodi, quello dei legami che li uniscono, quello della struttura reticolare nel suo complesso. Nel prosieguo li considereremo singolarmente. È bene precisare che le misure qui considerate sono solo una piccola parte di quelle utilizzate dagli analisti di rete, del resto il nostro interesse in questo lavoro non è focalizzato sulle varie tecniche a disposizione per l’analisi ma sulle modalità di visualizzazione della stessa. 25 26 Cfr Salvini A., L’analisi delle reti sociali. Risorse e meccanismi,Edizioni Plus, Pisa, 2005. Cfr Scott J., ibidem, p. 111. 45 2.3.1) Proprietà dei legami Le proprietà che è possibile rilevare rispetto ai legami sono la natura e il contenuto, la presenza, la direzione, il segno, il peso e la molteplicità; ed eventualmente, se la ricerca lo richiede, la durata e la frequenza. In merito alla natura e al contenuto dei legami bisogna dire che molti autori se ne sono occupati nel tempo, ma non c’è ancora un’unica tassonomia. Riprendendo quella di Knoke e Kuklinski del 1982 27 possiamo distinguere cinque contenuti di una relazione: - scambio di risorse, relazione di tipo strumentale in cui gli attori interagiscono per ottenere beni materiali o immateriali considerati necessari, - trasmissione di informazioni, i legami tra attori sono canali entro cui vengono trasmessi diversi tipi di messaggi da un attore all’altro nella rete, - relazioni di potere, interazione asimmetrica nella quale un attore esercita una forma di controllo sul comportamento dell’altro secondo forme legittime e riconosciute di potere o attraverso la coercizione, - interpenetrazione tra confini, azioni coordinate tra soggetti per raggiungere un obiettivo comune, - attaccamento affettivo, relazioni che generano obbligazioni di mutua assistenza e supporto, producendo processi di dono e solidaristici. In queste relazioni rientrano anche quelle fondate su sentimenti negativi, come odio, ostilità e inimicizia. Decisa quale è la natura della relazione da rilevare, il ricercatore si appresterà a valutarne la presenza o assenza, codificate rispettivamente col codice 1e 0. Da questa prima semplice rilevazione è possibile misurare il degree di un nodo, ossia quanti sono i legami del soggetto. Tale informazione serve al ricercatore per calcolare la centralità 28 di un nodo rispetto agli altri del reticolo, basandosi, appunto, sulla quantità dei legami che instaura lo stesso. 27 Cfr Knoke, Kuklinski, Network Analysis , Sage University Paper series on Quantitative Applications in Social Sciences, Beverly Hills and London, Sage Publications,1982. op. cit. in Salvini A., ibidem, 2005. 28 La centralità essendo una misura che riguarda il nodo verrà affrontata nel paragrafo che segue. 46 Un’altra proprietà rilevabile è la direzione della relazione poiché non tutti i legami sono simmetrici. Tenendo conto della direzione si può misurare l’indegree, ossia la quantità di attori che scelgono 29 il nodo, e l’outdegree, il numero di attori scelti dal nodo. Registrando la relazione con un segno positivo o negativo si indicherà la valenza di un qualsiasi atteggiamento (amicizia-inimicizia, simpatia-antipatia). L’intensità di un legame, invece, può essere resa attribuendogli un peso, che avrà quindi valore ordinale. Naturalmente due persone possono attribuire un valore differente al loro legame. Tra due persone può esistere un legame univoco (single-stranded o uniplex) oppure legami molteplici (multi-stranded, o multiplex), quest’ultimo, ad esempio, si verifica quando due persone oltre che essere parenti sono anche amici. Secondo Chiesi è quando c’è molteplicità che si può parlare di relazione sociale, poiché questa “può essere definita operativamente come il fascio dei differenti legami che intercorrono tra coppie di soggetti i cui corsi di azione sono reciprocamente orientati” 30 . Il concetto di molteplicità è stato introdotto per la prima volta in ambito antropologico da Mayer 31 e ripreso da Kapferer in uno studio sulle dinamiche relazionali in ambiente di lavoro 32 . In questo, l’autore spiega che “ il grado di molteplicità della relazione è indice della forza della relazione. Si assume in tal modo, che le relazioni multiple sono più “forti” delle relazioni a un solo contenuto. [Con tale termine] mi riferisco al fatto che un individuo è in grado di esercitare maggiore influenza e pressione sulle persone cui è legato in maniera molteplice.” 33 La durata e la frequenza delle relazioni, in genere, sono caratteristiche che vengono rilevate soprattutto quando sono utilizzati, al fianco dei metodi quantitativi di ricerca, i metodi qualitativi, come ad esempio l’intervista in profondità. 29 Nel senso di preferenza, conoscenza, appartenenza, collaborazione, poichè il contenuto del legame indagato dipende dalle finalità di ricerca. 30 Chiesi, ibidem, p.51. 31 Cfr Mayer, Townsmen or Tribesmen, Oxford University Press, Cape Town, 1961. 32 Cfr Kapfer, “Norms and the Manipulation of Relationships in a Work Context”, in Mitchell, Social Networks in Urban Situations, Manchester University Press, Manchester, 1969, op. cit. in Vargiu A., ibidem. 33 Ibidem, p. 38. 47 2.3.2) Proprietà dei nodi La più studiata proprietà dei nodi, ancora fonte di dibattito sia sul piano del contenuto che su quello degli indicatori, è la centralità. Dania Cordaz la definisce “ […] come la misura della prominenza o importanza degli attori della rete. La prominenza di un attore indica la sua visibilità all’interno della rete, per cui un attore è prominente quando le sue relazioni con gli altri attori siano tali da renderlo visibile. Gli attori che sono più importanti sono solitamente collocati in una posizione più “strategica” all’interno della rete. Knoke e Burt hanno individuato due tipologie di visibilità, distinguendo la centralità dal prestigio. Un attore è centrale quando è impegnato in molte relazioni, ossia partecipa a molte interazioni sociali.[…] Il prestigio è una misura della visibilità dell’attore[…] Tale proprietà è calcolata attraverso le scelte ricevute da ogni attore” 34 . La centralità di un nodo può essere misurata tenendo o meno conto della direzione della relazione. Alcuni dei più diffusi manuali si limitano, però, a presentare solo gli indici per le relazioni simmetriche. In effetti, gli indici che tengono conto della direzione hanno ancora poco consenso tra gli studiosi, non hanno ancora raggiunto un grande livello di diffusione e applicazione. Il perché di questo probabilmente è da ricercare nel fatto che, in alcuni casi, rimane irrisolto il problema del loro significato sostanziale, in poche parole, non si sa bene cosa misurino. Ad ogni modo, nel paragrafo tratteremo prima le misure di centralità per le relazioni bidirezionali, basandoci sulla classificazione operata da Freeman, 35 e poi, molto brevemente, alcune misure applicate a relazioni direzionate. 2.3.2.a) Centralità nelle relazioni simmetriche Fu Moreno per primo a intuire la possibilità di misurare la posizione strutturale del nodo attraverso la valutazione della sua centralità rispetto al reticolo, definendola status o rank, o ancora popolarità. Dopo di lui, molti altri elaborarono misure di centralità intendendo con essa cose diverse; in generale, comunque, 34 Cordaz D., ibidem, p. 43. Cfr Freeman L. C., “Centrality in Social Networks: I. Conceptual Clarification”, in Social Networks, 2, 215-39, 1979, cit. in Chiesi A., ibidem. 35 48 tutte sono indici che possono assumere valori che vanno da 0 a 1, da una minima centralità ad una massima. Freeman, in un famoso articolo sulla rivista Social Networks, ha dato un notevole contributo in proposito, sistematizzando le misure di centralità che nel tempo si erano sviluppate. In particolare egli ne distingue tre: - Degree centrality, basata sul grado. Un attore è tanto più centrale quanto più è attivo, ossia quante più relazioni ha, calcolate su quelle potenzialmente attivabili. Poiché il soggetto può avere relazioni con tutti gli attori del reticolo tranne con se stesso, la formula sarà: CD(ni) = d(ni)/g-1 36 Il nominatore indica il numero di relazioni attivate dal soggetto iesimo e il denominatore permette di comparare i diversi indici di centralità di soggetti appartenenti a network con differenti dimensioni. Questa misura viene chiamata anche centralità locale. - Closness centrality, basata sulla vicinanza dei punti. Il presupposto è che un attore è tanto più centrale quanto meno distante dagli altri attori del reticolo. Sarà quindi necessario calcolare la distanza complessiva che lo separa dagli altri nodi del reticolo. Distanza, intesa come geodetica, ossia come sentiero 37 più breve che connette due attori. La formula è: CC(ni) = (g-1) [Σ d(ni,nj)]-1 Poiché tra centralità e distanza c’è una relazione inversa, quest’ultima viene invertita ( elevazione alla -1). Così il fattore di standardizzazione, g1, che ci permette di confrontare reti di diversa dimensione, in un calcolo 36 La D in pedice sta per centralità calcolata sul degree, d(ni) indica la quantità di relazioni del soggetto iesimo, g sta per il numero totale di nodi del reticolo. 37 Nella teoria dei grafi il percorso che va da ni a nj è una sequenza di nodi e linee che può contenere anche più volte lo stesso nodo e la stesa linea; mentre il sentiero è una sequenza nella quale nodi e linee possono essere inserite una sola volta. Si chiama percorso o sentiero geodetico la sequenza più breve che unisce due nodi. 49 concreto diventerà nominatore e la somma delle distanze denominatore. La formula precedente, quindi, può anche assumere tale forma: CC (ni) = (g-1) / [Σ d(ni,nj)]. Questo tipo di centralità può essere calcolata solo per reti che non presentano soggetti isolati, ossia privi di legame, poiché la distanza tra questo e gli altri nodi non potrebbe essere calcolata. In questo senso tale indice non assumerà mai valore 0. Tale centralità, chiamata anche globale, permette di identificare i nodi che per la loro posizione raggiungerebbero con facilità tutti i nodi del reticolo, in questo senso Bavelas 38 parlava di capacità di controllo. - Betweenness Centrality, basata sul grado di interposizione. Un attore è centrale se si trova sul maggior numero di distanze geodetiche colleganti ogni coppia di attori. Tale concetto si basa su due assunti: il primo è che, a parità di percorsi, la comunicazione tra due soggetti verrà instradata ricorrendo al sentiero più breve che unisce i due; il secondo è che la comunicazione tra una qualsiasi coppia di attori, non direttamente collegati nel reticolo, dipende dai soggetti che si trovano lungo i percorsi che li collegano. In base ad essi la possibilità di un nodo di fungere da intermediario sta nella probabilità che questi ha di trovarsi lungo il sentiero più breve tra due soggetti presi a caso nel reticolo. Maggiore è questa probabilità maggiori saranno le sue capacità di esercitare un controllo dei flussi informativi. Indicando con rjk il numero di sentieri geodetici che esistono tra il soggetto jesimo e kesimo, assumiamo che ciascun sentiero ha la stessa probabilità di essere percorso e la esprimiamo con 1/ rj k. Invece, con rjk (ni) indichiamo il numero di sentieri geodetici che uniscono il punto j con quello k passando per il punto i. La formula [rjk (ni)/rjk], quindi, ci permette di esprimere la probabilità che l’attore iesimo sia coinvolto nella comunicazione tra qualsiasi coppia di soggetti. 38 Cfr Bavelas, “Communication Patterns in Task-oriented Group”, in Journal of the Acoustical Society of America, 22, 1950, 271-82, cit. in Chiesi A., ibidem, p.115. 50 L’indice di Betweeness Centrality potrà essere calcolato così: CB (ni) = Σ rjk (ni)/rjk j<k (g-1)(g-2)/2 L’espressione al denominatore è il solito fattore di standardizzazione, che questa volta viene misurato col numero totale delle coppie di nodi presenti nel reticolo, escludendo i, del quale si vuole calcolare la centralità. Il totale dell’espressione stessa viene diviso per 2 poiché stiamo considerando legami non diretti. Anche in questo caso l’indice varia tra 0 e 1, nel primo caso significa che nessun sentiero geodetico passa per ni, nel secondo che tutti i sentieri passano per i. Alcuni autori si sono chiesti che senso ha calcolare indici di centralità basati sul controllo dei flussi informativi ( betweeness) per relazioni di tipo amicale, visto che in un gruppo di amici, di solito, la catena di comunicazioni non è più lunga di due passaggi. 39 Per questo motivo Sprenger e Stockman 40 hanno elaborato un algoritmo che permette di calcolare una centralità variabile controllando la lunghezza dei percorsi tra soggetti, chiamata neighbourhood centrality (CN). “ Il vantaggio di questo indice sta nel fatto che, sulla base di considerazioni sostanziali, il ricercatore può scegliere la distanza rilevante. Assumere la distanza 1 (neighbourhood = 1) significa ottenere per ogni ni un indice di centralità locale basata sul grado. Assumere la distanza massima ammessa per quel grafo […] significa ottenere per ogni ni un indice di centralità globale basato sulla distanza geodetica. Tra questi due estremi, qualsiasi distanza intermedia può essere assunta sulla base di considerazioni sostanziali relative alla natura delle relazioni tra i soggetti che fanno parte del reticolo.” 41 Non entrando ulteriormente in merito all’argomento si rimanda a Chiesi (1999) per approfondimenti. 39 Cfr Chiesi A., ibidem, p. 125. Cfr Sprenger, Stockman ( a cura di ), Gradap. Graph Definition and Analysis Package. User’s Manual, ProGramma, Groningen, 1989, cit. in Chiesi A., ibidem. 41 Chiesi A., ibidem, p. 125 - 126. 40 51 Passati in rassegna gli indici di centralità più utilizzati calcolati su legami simmetrici occupiamoci di quelli asimmetrici. 2.3.2.b) Centralità nelle relazioni direzionate Benché alcuni autori affermano la possibilità di applicare, con una semplice modifica, le formule viste sopra anche a legami direzionati, in realtà, come è stato anticipato, non c’è ancora un ampio utilizzo delle stesse. Dal canto nostro mostreremo solo uno di questi, quello da più tempo utilizzato. 42 La Indegree Centrality, tiene conto delle preferenze ricevute da ciascun nodo sul totale di quelle possibili. La formula è: CID = dI(ni)/(g-1) Il risultato sarà compreso nell’intervallo [0;1], indicanti rispettivamente nessuna scelta e massima preferenza possibile. Questa formula, potremo dire, è speculare a quella della CD. Infatti, mentre con legami simmetrici la centralità viene calcolata misurando i gradi del nodo, con i legami asimmetrici, questa viene calcolata considerando i gradi in entrata (indegree). Questa scelta è dovuta, probabilmente, al fatto che nelle ricerche, spesso, si chiede agli intervistati di fornire un numero fisso di scelte, quindi, ogni nodo produce lo stesso numero di outdegree, di gradi in uscita, che non darebbero le informazioni che cerchiamo. È per questo che la più semplice centralità calcolata su legami diretti si fonda sui gradi in entrata, sia per ricerche che stabiliscono una scelta fissa che per quelle che non pongono limitazione di preferenze. Per ricapitolare le misure di centralità appena trattate si veda di seguito la tabella 1 elaborata da Vargiu. 42 Per una trattazione degli indici di centralità per grafi diretti si veda Chiesi,ibidem, p. 128-132. In particolare l’autore tratta la centralità basata sull’ambito di influenza, il prestigio basato sulla prossimità e quello basato sul rango. 52 Tabella 1 – Le misure di Centralità 43 2.3.3) Proprietà della struttura Dopo avere discusso delle proprietà inerenti i primi due livelli di analisi della rete, ossia quelle dei nodi e quelle dei legami, siamo giunti al terzo livello, il reticolo nel suo complesso. Le misure più semplici calcolate sull’intero network sono: - l’ampiezza, detta anche range, data dal conteggio del numero di soggetti presenti nella rete; - la raggiungibilità, ossia la proporzione di soggetti contattabili a partire da un qualsiasi punto della rete, indipendentemente dal numero di “passaggi” occorrenti per raggiungerlo, così da determinare in quale misura sono presenti nel reticolo soggetti completamente isolati; 43 Fonte: Vargiu A., ibidem, p.64. 53 - la connettività (connectivity), basata sul conteggio del numero di nodi che è necessario rimuovere per poter disconnettere la rete, ossia per poterla dividere in componenti, intese come parti slegate fra loro. Maggiore è tale numero maggiore è la connettività di un reticolo 44 ; - la densità, data dal numero di legami effettivamente presenti nella rete sulla totalità di quelli possibili tenendo conto dell’ampiezza della rete. Viene espressa mediante questa formula: Δ = L / n(n-1)/2 dove il nominatore L indica i legami attivati nel reticolo e il denominatore n(n-1)/2, i legami potenzialmente attivabili. In particolare, con n(n-1), si tiene conto del fatto che è impossibile attivare legami con se stessi e l’ulteriore divisione per due si rende necessaria perché stiamo considerando legami simmetrici. Anche questo è un indice relativo, dove con 0 si indica una densità nulla del reticolo perché nessun legame attivabile è stato attivato, e con 1 la situazione opposta, tutti i legami sono stati attivati. - la centralizzazione, indica in che misura il reticolo presenta una struttura centralizzata. In un reticolo, i cui nodi mostrano una centralità omogenea, la struttura sarà poco centralizzata, all’inverso, se pochi nodi presentano un’alta centralità, il reticolo si presenterà altamente centralizzato. Il risultato, comunque, ricadrà nell’intervallo tra 0 e 1 45 . - la coesione, ossia il grado di compattezza della rete, che viene misurata per individuare l’esistenza di gruppi nella stessa. Un metodo è individuare le clique, gruppi di attori (almeno tre) che hanno relazioni reciproche. Poiché difficilmente nella realtà si verifica una situazione del genere, sono stati proposti altri modelli in cui tale nozione viene, per così dire, “rilassata”. Uno di questi è la n-clique, un gruppo in cui la distanza geodetica tra due attori non deve superare il valore n. Se “ si considerano 44 Si nota facilmente il legame tra il concetto di connessione con quello di raggiungibilità, in quanto una rete può per configurazione essere di per sé già disconnessa. 45 Per un approfondimento in merito si veda Chiesi A., ibidem, p. 132 - 134. 54 le relazioni di distanza 2, la loro interpretazione è ancora piuttosto agevole sulla base della considerazione che in ogni processo dinamico, in cui si preveda il flusso di una qualche risorsa nella rete, è possibile identificare, tra due soggetti implicati, un terzo attore che funge da intermediario. Se si considerano le distanze superiori a due, diventa assai più precaria ogni possibile interpretazione concettuale” 46 , poiché si identificheranno legami deboli piuttosto di quelli forti, che, invece caratterizzano la coesione del gruppo. Si suppone, quindi, che il valore n non debba superare la soglia di 2. Altri modelli utilizzati per individuare un gruppo coeso all’interno della rete sono il plesso-k e il nucleo-k, che esprimono concetti opposti. Il primo individua il gruppo sulla base di k legami mancanti che si intende tollerare; il secondo, invece, in base a quanti k soggetti è necessario essere legati. Gli ultimi due concetti che prendiamo in considerazione vengono individuati sulla base dei c.d. dati attributo e non relazionali, per questo li abbiamo slegati da quelli precedenti. Il primo riguarda l’omofilia, ossia la similarità tra i soggetti che compongono la rete, in particolare, il principio ad esso ispirato stabilisce che la probabilità che persone con caratteristiche simili entrino in relazione è più alta rispetto a persone dissimili. Il secondo riguarda l’eterogeneità, ed è contrario rispetto al concetto precedente, in quanto rappresenta la ricchezza e la diversità della rete. Nel percorso seguito in questo capitolo abbiamo cercato, soprattutto in merito alla seconda parte, di eliminare quanto più era possibile il riferimento alla teoria dei grafi, anche se comprendiamo che quasi tutti i concetti relativi alle reti sociali sono stati operazionalizzati proprio grazie alla matematica derivata da quella stessa teoria. Tale scelta è da ricercarsi nel fatto che la teoria dei grafi, in quanto metodo di visualizzazione delle reti, verrà trattata nel capitolo che segue, poiché l’obiettivo che ci siamo posti in questo studio è proprio quello di indagare i metodi migliori per “mappare” le reti sociali. 46 Salvini A., ibidem, 2005, p.84. 55 Capitolo III Social Network Visualization La pratica della comunicazione figurale e della rappresentazione schematica sono comuni a molti campi del sapere. Lo storico Alfred Crosby, spingendosi oltre, afferma che la visualizzazione e la misurazione sono i due fattori che hanno permesso lo sviluppo della moderna scienza. 1 Sicuramente nel caso della Social Network Analysis queste parole non possono che risultare vere. Molti autori, tra cui Freeman, affermano che la rappresentazione di immagini di rete sociali ha contribuito a far scoprire agli analisti nuove conoscenze circa la struttura dei network, oltre a poter comunicare agli altri queste scoperte. È probabile che proprio a questo si riferiva Moreno quando diceva che “Il sociogramma non è soltanto un utile modo per rappresentare una configurazione sociale, esso è anche strumento di scoperte.[…] L’analisi quantitativa delle scelte ha un valore limitato: è solo una rappresentazione artificiosa ed astratta delle configurazioni studiate. L’analisi delle configurazioni in quanto tali dà una più ampia fedele immagine della realtà sociale.” 2 Se si considera la genesi delle rappresentazioni schematiche, spiega Anceschi 3 , si noterà che nella prima fase il destinatario è lo stesso ricercatore. È un caso di autocomunicazione che caratterizza la fase euristica della creazione di immagini, “nel senso che la rappresentazione è sussidio per l’invenzione, per la trovata. In questo ambito, insomma, le immagini servono infatti a scoprire e a inventare” 4 . Nella seconda fase, quella di trasmissione, le immagini divengono comunicative per i destinatari, naturalmente nella misura in cui essi comprendano i codici utilizzati dal ricercatore. Quest’ultimo, infatti, ha una responsabilità molto grande: tra tutte le informazioni riguardanti il fenomeno o lo stato da comunicare, deve scegliere quelle che entreranno a far parte della rappresentazione grafica, da 1 cfr. Freeman L. C., “Visualizing Social Network”, Journal of Social Structure, vol.1. Moreno J., Who Shall Survive?, Nervous and Mental, Disease Publishing Company, Washington, DC, 1934; trad. it. Principi di psicoterapia di gruppo e sociodramma, Etas Kompass, Milano, 1964, p. 642. 3 cfr. Anceschi G., L’oggetto della raffigurazione, EtasLibri, Milano, 1992. 4 Ibidem, p. 11. 2 56 questa scelta dipenderà la bontà e l’efficacia della configurazione stessa. Ogni costruzione grafica ha infatti origine da una tabella di dati, dalla quale vengono estratte le informazioni da comunicare. Nel caso da noi studiato, la rappresentazione di dati relazionali, vengono utilizzate un particolare tipo di tabelle, nelle quali in riga e in colonna sono rappresentati lo stesso insieme di dati: gli elementi di cui si vogliono scoprire i legami, mentre nelle celle viene appunto mostrata l’esistenza o meno della relazione indagata. La trasposizione grafica della tabella sono i grafi 5 , un insieme di punti e linee, dove i primi rappresentano le righe e le colonne della matrice corrispondente e le seconde i legami tra essi. In questo capitolo affronteremo le due tipologie di rappresentazione. Per quanto riguarda i grafi, che rappresentano la forma più utilizzata per rappresentare le reti, ne ripercorreremo l’evoluzione dei modi di rappresentazione nel tempo, dai disegni manuali di Moreno alle moderne tecniche automatiche di visualizzazione e manipolazione delle stesse. Poi ci occuperemo della raffigurazione di network complessi, sia in termini di densità che di dinamicità, esaminando le varie strategie di visualizzazione a disposizione. 3.1) Rappresentazione matriciale dei dati relazionali L’organizzazione dei dati in forma matriciale predispone gli stessi ad essere trattati automaticamente, proprio per questo, a seconda degli scopi, i dati possono essere registrati in diverse tipologie di matrici. I dati utili alla comprensione delle caratteristiche di un reticolo sono: i legami, gli attributi dei legami e gli attributi dei soggetti. Operativamente si può procedere alla rilevazione dei legami in due modi: - accostando in tabella i nomi di coloro che hanno un legame; - costruendo una matrice di affiliazione. Nel primo caso avremo una matrice m x n, in cui m sono gli individui ordinati per riga e n le variabili ordinate per colonna, come nella tabella 1. Si noti che per 5 I termini grafo e sociogramma vengono utilizzati con lo stesso significato in questo campo di studi, poiché il secondo focalizza l’attenzione sul fatto che si tratta di un grafo che rappresenta relazioni sociali. 57 tener conto della direzione del legame il primo nome in riga è l’origine della relazione, il secondo è la persona verso la quale essa viene diretta.. Tabella 1 - Matrice dei legami e dei loro attributi 6 Numero della linea 1 2 3 4 5 Origine Destinazione Gianni Daniela Rosy Rosy Davide Rosy Rosy Daniela Davide Gigi Intensità del legame 2 2 1 1 3 Tipo di legame 1 1 2 1 2 Nella matrice di affiliazione, invece, la relazione rilevata riguarda la comune partecipazione o appartenenza ad un evento. Questo tipo di organizzazione dei dati viene utilizzato quando le informazioni non vengono rilevate direttamente sui soggetti, ma ricostruite attraverso dati di affiliazione. Tale matrice è di tipo rettangolare 7 , visto che le affiliazioni e i soggetti non è detto che siano dello stesso numero (vedi tab. 2). Tabella 2 - Matrice per incroci delle cariche direttive 8 Direttori Società A B C D E 1 1 1 1 1 0 2 1 1 1 0 1 3 0 1 1 1 0 4 0 0 1 0 1 I dati binari, all’interno della matrice, indicano la presenza o assenza di un dato soggetto ad un dato evento, nel nostro caso la partecipazione ad una o più delle 6 Fonte: adattato da Chiesi A. M., L'analisi dei reticoli, FrancoAngeli, Milano, 1999. La matrice di affiliazione viene anche chiamata matrice di incidenza. 8 Fonte: adattato da Scott J., L’analisi delle reti sociali, Carocci, Roma, 2003, p. 78. 7 58 quattro società in riga 9 . La rete corrispondente sarà di tipo bimodale, ossia mostrerà le relazioni tra due insiemi di elementi, gli eventi e i nodi. Nel linguaggio della Teoria dei grafi si parlerà di “ipergafo”. Da questa matrice è possibile cogliere le relazioni sia dirette che indirette fra gli attori, poiché da essa sono facilmente derivabili due matrici di adiacenza, quelle dei soggetti e quelle degli eventi, entrambe di tipo quadrato. La matrice caso-per-caso descrive le colonne della corrispondente matrice di incidenza, mentre quella affiliazioni-peraffiliazioni le righe. Sotto riportiamo la matrice di incidenza delle cariche direttive di figura 10 con le relative matrici di adiacenza e i grafi corrispondenti. Figura 11 – Matrici di adiacenza e rispettivi sociogrammi 10 Da queste raffigurazioni è bene notare una serie di cose: 9 La raffigurazione mostra gli incroci delle cariche direttive, poiché in questi studi l’accento viene posto sui legami tra le società, realizzati con la compartecipazione dei consiglieri in più consigli, queste vengono posizionate in riga. 10 Fonte: adattato da Scott J., ibidem, p. 71. 59 - le due matrici di adiacenza sono solo una trasformazione di quella rettangolare tanto che non è presente nessuna informazione aggiuntiva; - le matrici quadrate sono simmetriche rispetto alla diagonale, i valori al di sopra e al di sotto della stessa sono uguali, questo perché descrivono una rete non orientata; - i dati nelle matrici quadrate non sono binari, come in quella di incidenza, perché indicano la forza della relazione. Quando la rete è orientata, in una matrice di adiacenza, la convenzione vuole che il vettore riga indichi le preferenze espresse, mentre il vettore colonna le preferenze ricevute. Questo si ha per esempio con le cd. sociomatrici, che esprimono le scelte dirette di amicizia effettuate dai soggetti appartenenti ad un gruppo, che non devono per forza essere corrisposte. Per questo, un tale tipo di matrice è asimmetrica rispetto alla diagonale. In un caso di studio del genere i dati verranno organizzati direttamente nella matrice di adiacenza perché non esistono dati di affiliazione. Quando i dati rilevati non sono binari ma numerici, come in quello da noi considerato, per ragioni di studio si potrebbe pensare di “semplificarli” andando a considerare solo se c’è o meno la relazione, usando un valore soglia che tagli la matrice in due. I valori uguali o al di sotto della soglia possono essere sostituiti con 0 mentre quelli al di sopra con 1. Bisogna fare attenzione quando si sceglie di operare una tale riduzione poiché, oltre ad avere una perdita di informazione, si possono anche distorcere i dati. In sostanza i dati complessi possono essere sempre ridotti in dati semplici, non è possibile, invece, il contrario. 3.2) Rappresentazione attraverso i grafi La storia attribuisce il primo disegno di un grafo e la relativa teoria ad un matematico tedesco, Eulero, che li avrebbe concepiti nella prima metà del ‘700 nel tentativo di risolvere il problema dei ponti di Koenigsberg. La cittadina si trova alla confluenza di due fiumi, dai quali viene divisa in quattro parti (fig. 12). 60 Figura 12 – I ponti di Koenigsberg 11 I cittadini di Koenigsberg sottoposero al famoso matematico un problema che non erano riusciti a risolvere: tracciare un percorso che, partendo da una qualsiasi delle quattro zone della città, attraversava tutti i sette ponti, una ed una sola volta, ritornando, alla fine, al punto di partenza. Il matematico cercò di risolvere il problema rappresentandolo in forma grafica: le quattro zone della città furono rappresentate da un cerchio, e ciascun ponte da una linea. Questa rappresentazione del problema, mostrata in figura 13, è una struttura matematica ben definita che prende il nome di grafo. Figura 13 – Grafo dei ponti di Koenigsberg Grazie a questa metafora visiva Eulero dimostrò che il quesito non aveva soluzioni. Da sempre l’uomo si serve di metafore per poter descrivere e comunicare problemi, come cogliere il funzionamento di un oggetto o simulare un’azione. 11 Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:Konigsberg_bridges.png 61 Alcune volte capita che tale metafora diviene il framework usato per concettualizzare e risolvere il problema in questione. In questo senso, nel tempo, i grafi sono diventati un mezzo per rappresentare relazioni tra più entità e risolvere un vasto numero di problemi: trovare il percorso più breve tra due città, determinare come connettere nella maniera più economica un insieme di calcolatori in una rete telematica, mappare le relazioni informali di lavoro per capire come si svolge il suo flusso reale. Nella Social Network Analysis i grafi, producendo un immagine di rete, vengono utilizzati per descrivere le relazioni sociali tra gli elementi considerati. Il primo studioso che ha pensato di utilizzare un’immagine del genere per poter mostrare la struttura delle relazioni tra gli individui è stato Moreno. Successivamente, negli anni ‘50, Barnes iniziò a parlare esplicitamente di “rete” per le relazioni sociali, poiché potevano essere viste come insiemi di “punti e linee”. 12 Negli stessi anni, Cartwright, Festinger e Harary hanno avuto il merito di aver capito che rappresentare le relazioni interpersonali effettive di un gruppo sotto forma di grafo, significava poter applicare ad essi la matematica derivante da quella teoria 13 e descriverne, in tal modo, le proprietà. A tal proposito si ricordi che come per i grafi anche per i sociogrammi non ha importanza la posizione nello spazio dei nodi, bensì il modello delle relazioni tra gli stessi. 3.2.1) Tipologie ed elementi di un grafo Esistono varie tipologie di grafi che differiscono in base al tipo di legame mostrato, a seconda che sia diretto o indiretto, pesato o meno. La tabella 3 ne riassume queste tipologie. 12 Cfr capitolo I. “ La Teoria dei grafi consiste in un corpo di assiomi e formule matematiche che descrivono le proprietà dei modelli formati da linee.” Scott J., ibidem, p. 40. 13 62 Tabella 3– Relazione tra tipi di grafo e legami rappresentabili 14 Tipi di grafo Grafo semplice Grafo diretto Grafo segnato Grafo pesato Grafo multiplo Ipergrafo Tipi di legami bidirezionale tra coppie di nodi orientato da un nodo all’altro contrassegnato con segno positivo o negativo ne viene misurata l’intensità collegamenti plurimi tra coppie di nodi appartenenza o affiliazione Un ipergrafo rappresenta le righe e le colonne di una matrice di incidenza (come ad esempio quella in tabella 2), può, infatti, essere utilizzato per mostrare la compartecipazione dei dirigenti in più consigli di amministrazione. Con una sola immagine si riescono ad evidenziare le relazioni tra due gruppi di elementi, le aziende e i consiglieri. I nodi di intersezione tra le figure indicano la compresenza dei consiglieri in più aziende, la figura 14 ne è un esempio. Figura 14 - Ipergrafo 15 Un grafo può essere connesso o disconnesso, nel primo caso avremo che tutti i nodi hanno almeno un legame, non ci sono quindi nodi isolati (vedi fig. 15); nel secondo caso avremo un grafo formato da più sottografi come in figura 16. La scoperta di sottografi, e la loro tipologia, all’interno di una rete permette di capire da quanti gruppi è formata la stessa e di analizzare l’influenza sulle relazioni che tale struttura comporta. 14 15 Fonte: Chiesi A. M., ibidem, p.102. Fonte: Chiesi A. M., ibidem, p. 102. 63 Figura 15 - Grafo connesso 16 Figura 16 - Grafo disconnesso in due componenti 17 I gruppi possono avere la struttura di una componente, che è definita come il “massimo sottografo connesso”, e si ha quando tutti i nodi sono tra loro legati. Ad esempio i nodi del grafo in figura 16 costituiscono due componenti, la prima formata dai nodi n1,n2,n3,n4 e la seconda da quelli n6,n7,n8,n9,n10. In particolare quest’ultima forma anche una clique. La clique è il “massimo sottografo completo”, nel senso che tutti i nodi sono adiacenti. In un gruppo che necessita di una comunicazione continua e sicura, avere una struttura a clique è un prezioso vantaggio, poiché anche se un elemento dovesse venire a mancare non ne risentirebbe. L’analisi della connessione di un grafo mira proprio a questo: “all’individuazione di soggetti o tipi di legami che per la loro posizione strutturale permettono l’integrazione del gruppo o svolgono funzioni importanti di mediazione tra gruppi diversi” 18 . A tale scopo si individuano quanti nodi o legami è necessario eliminare per disconnettere il grafo. In questo caso, in riferimento ai nodi si parlerà di cutpoint (punto di separazione), mentre per i legami di bridge (ponte). 16 Fonte: adattato da ibidem, p. 93. Fonte: ibidem, p. 92. 18 Chiesi A., L'analisi dei reticoli, FrancoAngeli, Milano, 1999, p.93-94. 17 64 3.2.2) Convenzioni grafiche e variabili visive Non esiste un unico modo corretto per disegnare un grafo, da una stessa matrice di adiacenza, infatti, possono essere realizzati numerosi layout. I grafi derivanti vengono perciò chiamati isomorfi, perché anche se la posizione occupata dai nodi è diversa le relazioni mostrate sono le stesse (vedi fig. 17). Figura 17 - Grafi isomorfi 19 Vi sono, comunque, delle convenzioni che vengono di solito adottate: - disegnare, per quanto possibile, le linee di un’uguale lunghezza fisica; - cercare di non sovrapporle. L’approccio più utilizzato per mostrare le reti sociali è il layout statico a due dimensioni. Le variabili percettive chiamate in gioco per dare informazioni sul network rappresentato sono: - posizione spaziale dei nodi, - forma, - dimensione, - colore, - trama. Alcune volte vengono inseriti nell’immagine anche misure di statistica delle reti, quali il numero delle relazioni che partono o che arrivano ad un nodo. La posizione spaziale dei nodi è importante in quanto può dare delle informazioni aggiuntive riguardo al network che non sono immediatamente percepibili agli occhi dell’osservatore. Un esempio può essere quello di posizionare i nodi che 19 Fonte: ibidem, p. 83. 65 sono più popolari al centro della raffigurazione, così da formare una “stella sociometrica”, come quella mostrata in figura 18. Figura 18 - Rappresentazione di tre stelle sociometriche 20 La forma data ai nodi può indicare valori diversi di una stessa variabile-attributo, come ad esempio usare il cerchietto per i maschi e il triangolo per le femmine. La dimensione, invece, può indicare il numero di preferenze ricevute, quanto più queste sono numerose tanto più il nodo aumenta di dimensione rispetto agli altri (vedi fig. 19). Figura 19 - I blog più importanti della blogosfera 21 Nella figura 19 abbiamo la combinazione di due variabili visive: la dimensione e il colore dei nodi, che qui rappresentano i blog. Per evidenziare quelli più linkati, 20 Fonte: Scott, ibidem, p.125. Fonte: www.casaleggio.it, “Il social network dei blog italiani”, febbraio 2005. Il colore rosso e la dimensione più grande dei cerchi rappresentanti i blog indicano la loro maggiore importanza rispetto agli altri. Tale importanza è stata misurata sulla base dei link-in ricevuti da ogni blog. 21 66 gli autori hanno preferito aumentarne la dimensione e denotarli con un colore rosso molto acceso, così da farli emergere dalla cd. blogosfera.. Il colore, infatti, può essere utilizzato sia per caratterizzare i legami che i nodi. Per i primi, può indicare la natura della relazione, per i secondi può venire adottato anche per mostrare valori di una variabile-attributo, come la posizione lavorativa che viene così mostrata in figura 20. Figura 20 - Relazioni informali di un team di auditing di Halifax studiato da Krackhardt 22 . Il grafo mostra le relazioni di consiglio (advice network) di un team di lavoro, dove il colore blu indica il manager, il rosso i supervisori, il verde i contabili e il giallo le segretarie. L’ultima variabile visiva considerata è la trama. Questa viene utilizzata per indicare una qualche proprietà dei legami, di solito l’intensità e/o la corrispondenza o meno del legame. Ad esempio, Moreno, come mostrato in figura 21, soleva indicare un legame asimmetrico attraverso una linea continua dal lato del nodo che aveva espresso la preferenza e una linea tratteggiata verso l’altro che non aveva espresso tale corrispondenza. 22 Fonte: Brandes et al., “Exploratory Network Visualization: Simultaneous Display of Actor Status and Connections”, JoSS, vol 2. 67 Figura 21 - Sociogramma delle scelte tra gli scolari di una scuola elementare 23 Tale figura evidenzia gli enormi sforzi che un ricercatore, al tempo di Moreno e negli anni successivi, ha dovuto mettere in campo per poter far emergere qualche proprietà della rete, soprattutto quando il numero di nodi e relazioni iniziava ad essere numeroso. Non avendo ausili informatici, poteva accadere che solo dopo un lungo processo per prove ed errori si riuscisse a raggiungere una visualizzazione soddisfacente della rete. 3.2.3) Tipologie di layout Nel tempo molte tecniche di disegno dei sociogrammi sono state proposte per evidenziare qualche caratteristica della struttura di network e allo stesso tempo per conformarsi alle generali regole estetiche di leggibilità. Cinque, in generale, sono i layout che è possibile dare ad un grafo. 24 Layout circolare Se il numero di nodi è cospicuo, e non rivuole evidenziare una particolare caratteristica del network, si può costruire il sociogramma intorno alla 23 Fonte: Chiesi A. M., ibidem, p. 80. Cfr. Huang W., Hong S., Eades P., “Effects of sociogram drawing conventions and edge crossing in Social Network Visualization”, Journal of Graph Algorithms and Applications, vol. 11, n. 2, p. 397- 429. 24 68 circonferenza di un cerchio, cosicché i nodi abbiano tutti la stessa distanza fisica tra loro ( vedi fig. 22). Figura 22 - Sociogramma circolare 25 Layout radiale È una configurazione proposta da Brandes, nella quale i nodi vengono rappresentati sulla circonferenza di vari cerchi concentrici. La loro distanza dal centro indica il loro livello di centralità, mentre la loro posizione sul cerchio deve favorire la leggibilità del sociogramma ( vedi fig. 23). Figura 23 – Sociogramma radiale 26 25 26 Fonte: Huang W. et al., p. 428. Fonte: ibidem, p.428. 69 Layout gerarchico Tale tipologia di layout è stata creata sempre da Brandes ed altri 27 , per aiutare le persone ad esplorare le strutture di network e a comunicare informazioni circa lo status di un attore. Questa configurazione utilizza l’indice di status per posizionare i nodi verticalmente, mentre le coordinate orizzontali vengono computate algoritmicamente così da garantire la facilità di lettura. Un esempio è proposto in figura 24. Figura 24 – Sociogramma gerarchico 28 Layout di gruppo Questa configurazione viene utilizzata per visualizzare le informazioni circa i gruppi in un network. Questi vengono evidenziati separandoli spazialmente e posizionando i nodi appartenenti allo stesso gruppo gli uni vicino agli altri. Figura 25 – Sociogramma di gruppo 29 27 Cfr Brandes U. et al., “Exploratory Network Visualization: Simultaneous Display of Actor Status and Connections”, JoSS, vol 2. 28 Fonte: Huang W. et al., ibidem, p. 427. 29 Fonte: ibidem, p. 429. 70 Layout libero Questo layout non ha lo scopo di evidenziare qualche caratteristica particolare del network. In esso i principi estetici generali, come quello di ridurre al minimo la sovrapposizione di linee, possono o meno essere applicati. Molti metodi di layout automatico utilizzano tale metodo. Fig. 26 – Free layout 30 La scelta tra queste tipologie dipende esclusivamente dalle intenzioni del ricercatore, da ciò che vuole evidenziare. Il percorso che ha portato alla possibilità di generare automaticamente disegni di grafo attraverso algoritmi è stato lungo, nel prossimo paragrafo ne ripercorreremo le tappe. 3.3) L’evoluzione nella visualizzazione dei network Freeman, nell’ articolo 31 che ha inaugurato la nascita del giornale on line dedicato alle strutture sociali, appunto Journal of Social Structure (JoSS), spiega che sono state cinque le fasi che hanno portato agli attuali metodi di visualizzazione dei social network: 30 31 - anni ‘30, produzione manuale di grafi, - anni ‘50, uso di procedure computazionali per disporre i nodi sulla pagina, - anni ‘70, uso di grafica computerizzata per stampare le immagini di grafi, Fonte: Huang W. et al., ibidem, p. 428. Cfr. Freeman L. C., “Visualizing Social Network”, Journal of Social Structure, vol. I. 71 - anni ‘80, uso di personal computer per manipolare i grafi, - anni ‘90, uso del world wilde web. Le immagini prodotte a mano nei primi anni di sviluppo della Social Network Analisys variavano in base alle capacità artistiche e alle idee del creatore. Moreno è stato il primo che ha pensato di utilizzare la figura del grafo per rappresentare le relazioni tra gli individui, a lui si deve la regola valida ancora oggi: “The fewer the number of line crossing, the better the sociogram”. Sempre a lui si deve l’utilizzazione di variabili percettive per comunicare le proprietà del network. L’uso di grafi diretti per evidenziare relazioni direzionate, la variazione della forma dei punti, l’introduzione del colore delle linee per mostrare contemporaneamente più tipi di legami e la posizione dei punti, sono tutte variabili visive utilizzate ancora oggi. Quando, invece, i dati non fornivano nessuna informazione utile che desse un’idea su come posizionare i punti sulla pagina, proponeva di posizionarli in cerchio così da evidenziare i legami tra i nodi. Per tutti gli anni ‘30 molti autori hanno sperimentato nuovi modi di descrivere attributi dei nodi variandone la forma, altri si sono occupati più del modo di posizionare i punti nello spazio. A tal proposito Lundberg e Steele 32 proposero di posizionare quelli che loro chiamavano nuclei di un network al centro della pagina e con una dimensione maggiore rispetto agli altri. Fig. 27 - “Lady Bountiful” image 33 32 Cfr Lundberg, Steel, “Social attraction-patterns in a village”, Sociometry, 1, 1938 cit. in Freeman, ibidem. 33 Fonte: Freeman L. C., ibidem. 72 I nuclei sono rappresentati da coloro che hanno un alto status sociometrico, definito dal numero di scelte ricevute o dalla forza di queste scelte. Mentre all’interno dei nodi viene segnato un numero che rappresenta il punteggio del soggetto sull’indice di classe sociale. Sempre per rappresentare lo status sociometrico, la Northway inventò il target sociogram, una serie di cerchi concentrici dove posizionare i nodi. Al centro si posizionano quelli che hanno avuto più scelte, mentre in periferia i meno popolari. In questo modo i legami tra essi possono essere di lunghezza relativamente breve, e questa regola viene tutt’ora adottata. Un esempio di tale tipo di configurazione viene mostrato in figura 28, dove addirittura i nodi rappresentanti i bambini vengono raffigurati con delle faccette. Tale tipo di sociogramma viene ancora oggi utilizzato, soprattutto nella rappresentazione degli ego-network, in cui è convenzione posizionare ego al centro , la zona di primo grado 34 sul primo cerchio concentrico, la zona di secondo grado 35 sul secondo, e così via. Di solito si dividono i cerchi in spicchi così da dividere le persone citate anche in base a qualche loro caratteristica, tipo gli amici, i parenti, i colleghi di lavoro, etc. Figura 28 - Sociogramma di una classe di prima elementare 36 Negli anni ‘50 l’interesse era ancora focalizzato sul miglior modo per posizionare i punti sulla pagina e per far ciò i ricercatori iniziarono ad utilizzare procedure computazionali. Una di queste è l’analisi fattoriale, che attraverso una matrice di 34 Indica gli alters con cui ego è in contatto diretto. Considerando gli alters come egos, indica le persone a cui loro sono legate. 36 Fonte: Freeman, ibidem. 35 73 correlazione dei dati permette di trovare i fattori più rilevanti, in base ai quali, poi, vengono tracciati i punti sulla pagina. Un esempio di tale procedura è fornita dallo studio di Proctor 37 su alcune comunità della Turrialba Valley in Costa Rica. Venne chiesto ai capifamiglia di due comunità a chi avrebbero notificato per prima la notizia di una morte in famiglia, le concordanze nelle risposte vennero convertite in una matrice di correlazione sulla quale fu condotta l’analisi fattoriale. Da questa emersero sette fattori che permisero di dividere le famiglie in gruppi. I membri di una stessa “clique” furono disposti circolarmente, mentre la locazione nella pagina dell’intero network fu arbitraria. Figura 29 - “Clique” delle famiglie di Atirro 38 Senza l’ausilio dei computer è facile immaginare come per i ricercatori possa essere stata gravosa l’uso della factor analysis, gli sforzi, però, permisero di rendere riproducibili i risultati grazie alla sua procedura standardizzata. Solo negli anni ‘60 i computer divennero generalmente disponibili permettendo così analisi automatiche e più veloci. Risale a questi anni, infatti, la pratica di utilizzare il multidimensional scaling per capire dove locare i punti nella pagina, operazione condotta sempre a mano. Infatti, la stampa automatica dei grafi su plotter si inizia a diffondere solo un decennio più tardi, negli anni ’70, e uno dei primi programmi che lo permettevano 37 Cfr Proctor, “Informal social systems”, in Loomis et al. Turrialba, IL. Free Press, Glencoe, 1935, cit. in Freeman, ibidem. 38 Fonte: Freeman, ibidem. 74 è stato SOCK, elaborato da Alba, Guttman e Kadushin, che conduceva anche un’analisi generale del network. Fu solo negli anni ’80, con l’introduzione dei personal computer, che la visualizzazione di immagini divenne più flessibile e, per la prima volta da Moreno, a colori. Negli anni successivi molti software per la visualizzazione di network furono creati, tra cui Krackplot ad opera di Krackhardt, Blythe e McGrath. Questo programma del ‘95 contiene vari algoritmi per locare i punti, vari strumenti per muoverli e disegnarli cambiando loro forma e colore. Un esempio di ciò che può fare ci viene mostrato dallo stesso Freeman che ha rielaborato una vecchia immagine creata a mano da Mitchell utilizzando Krackplot. Figura 30 - Rete di supporto di una vagabonda 39 La figura 30 mostra la rete personale di una vagabonda disegnata a mano da Mitchell, il quale voleva focalizzare l’attenzione sul fatto che i legami di quest’ultima costituissero una struttura con tre sottogruppi, ma posizionando i nodi in una circonferenza questa suddivisione non è facilmente percepibile. 39 Fonte: Freeman, ibidem. 75 Figura 31 - Rielaborazione della fig. 28 fatta con Krackplot 40 La rielaborazione fatta da Freeman con l’algoritmo spring embedder, che permette di avvicinare i nodi con legami e allontanare quelli senza, incluso in Krackplot, invece, mostra chiaramente tale divisione. Per evidenziare ancora di più questa tripartizione ogni sottogruppo viene rappresentato con forma e colori dei nodi diversi. Si noti la differenza con la figura 32 rielaborazione della stessa figura 31 ma con il programma Pajek, creato nel ’96 da Batagelj e Mrvar. Figura 32 - Rielaborazione della fig. 30 fatta con Pajek 40 41 Fonte: Freeman L. C., ibidem. Fonte: ibidem. 41 76 Come si può notare, a differenza della figura precedente, qui non si è ritenuto necessario modificare il colore e la forma dei nodi poiché i tre sottogruppi sono chiaramente evidenti. Sempre negli stessi anni Kremprel crea NetVis, software che permette all’utente di modificare la locazione dei punti, la loro forma e colore e in aggiunta permette di visualizzare dati bimodali. Un esempio di layout è dato dalla figura 33 che mostra la presenza di 18 donne a 14 eventi sociali informali. I dati derivano da uno studio di Davis, Gardner e Gardner 42 , la loro elaborazione grafica mostra chiaramente come le donne possano essere divise in due gruppi, uno a destra e uno a sinistra, che partecipano a eventi diversi. La vicinanza delle donne e degli eventi indica una partecipazione delle stesse a questi ultimi. La dimensione più grande dei punti indica: per i nodi-evento una maggiore partecipazione avuta, per i nodi-donna l’essere partecipe a più eventi. Figura 33 - Network di dati bimodali 42 Cfr Davis et al., Deep South, The University of Chicago Press, Chicago, 1941; cit. in. Freeman, ibidem. 77 Freeman spiega che questi programmi, pur rappresentando dei grandi passi in avanti, erano comunque limitati poiché non erano fruibili su tutti i sistemi operativi, quindi anche se un ricercatore spediva tramite e-mail l’immagine per condividerla con altri, chi la riceveva poteva solo osservarla e non manipolarla nella speranza di poter scoprire cose nuove. Ma con l’avvento del World Wilde Web si supera anche questo problema. I programmi di visualizzazione sono, in genere, supportati da ogni browser, nei casi in cui ciò non accada sarà possibile visualizzare l’immagine semplicemente scaricando un’applicazione dal web. In particolare Freeman cita tre di questi strumenti: un programma Java creato da Michael Chan, uno studente dell’Università dell’Illinois, il Virtual Reality Modeling Language e il programma MAGE 43 . Tutti e tre danno la possibilità all’osservatore di poter interagire con la rappresentazione, ingrandendola, riducendola, selezionando una parte di questa, etc. Ma dei passi avanti possono ancora essere fatti: la vera conquista ci sarà quando verrà creato un unico programma in grado di immagazzinare una grande mole di dati, analizzarla e visualizzarla. 3.4) Visualizzare network complessi: ampiezza e dinamicità. La capacità di visualizzazione di dati relazionali sembra non essere andata di pari passo con i grandi progressi avutisi nell’analisi dei network. Ormai anche grandi quantità di dati possono facilmente essere analizzate con l’ausilio di pc, ma non si può dire lo stesso per la grafica di rete. Vi è sempre un limite all’ammontare di informazioni che possono essere mostrate in un grafo statico. La complessità dei network è determinata soprattutto da tre fattori: l’ampiezza e la molteplicità delle relazioni (problema della densità), e i cambiamenti nel network. 43 Cfr Freeman, ibidem. 78 3.4.1) Strategie di visualizzazione per network altamente densi Per quanto riguarda i primi due fattori, i ricercatori hanno sviluppato delle strategie per riuscire a visualizzare questi grandi network in modo significativo. Le azioni immediate e più semplici sono quelle di eliminare i nodi isolati e i nodi pendenti (quelli che sono legati al network da una sola relazione). Naturalmente si deve avere sempre cura di mostrare questi nodi “eliminati” all’interno dell’immagine di grafo, anche se ad esso non appartenenti, come mostrato in figura 34 nella pagina seguente. Secondo McGrath, Krackhardt e Blythe 44 gli approcci che solitamente vengono usati sono tre: a) visualizzare sottoinsiemi di un grande grafo; b) partizionare un grande grafo e visualizzare le relazioni tra tali partizioni; c) usare il multi dimensional scaling e poi migliorare la visualizzazione attraverso la “simulated annealing” che è una routine di ottimizzazione. Quest’ultima strategia si discosta molto dalla teoria dei grafi poiché genera visualizzazioni trasformando la distanza relazionale in distanza fisica nello spazio, per questa ragione non viene da noi trattata. Per spiegare l’utilità di questi tre approcci gli autori utilizzano dati provenienti da una ricerca di Friedman e Krackhardt del ‘93 sulle relazioni di amicizia di 83 persone dello staff di supporto che lavorano in una banca d’investimento di Wall Street. 45 Per distinguere le nazionalità dei soggetti viene modificata la forma dei nodi: l’ellissi per lo staff proveniente dal nord-est asiatico, il rettangolo per gli indiani, il rombo gli europei, mentre non è stato data nessuna forma ai nodi provenienti da altri paesi. Rappresentando i dati con un layout circolare (vedi fig. 34) si evidenzia la forte connessione tra i nodi ma non emerge nessuna altra caratteristica strutturale. 44 Cfr McGrath et al., “Visualizing complexity in networks: seeing both the forest and the trees”, Connections, 25(1), 2003. 45 Cfr Friedman et al., “Social capital and career mobility”, Journal of Applied Behavioral Science, 33, 1997; cit in McGrath, ibidem. 79 Figura 34 - Layout circolare di un network amicale Con la strategia a) si può estrarre un insieme di dati dal network e visualizzare questo sottoinsieme, ad esempio le relazioni tra gli europei. Come mostra la figura 35, tra gli europei esistono solo due gruppi formati da più di tre persone, e molti soggetti isolati. Questo approccio più che incentivare la comprensione del network sembrerebbe limitarla, poiché i soggetti isolati nel network degli europei potrebbero essere dei nodi centrali in quelli di altri network. Quindi per avere il massimo vantaggio da questa strategia sarebbe più opportuno scegliere una serie di sottografi per comunicare le informazioni contenute nell’intero network. Figura 35 - Network amicale degli europei 80 Per facilitare la comprensione delle relazioni di un network complesso la strategia b) suggerisce di adottare un approccio posizionale, ricercando le posizioni strutturalmente equivalenti all’interno del grafo. Queste sono costituite da quegli attori che intrattengono le medesime relazioni. Così facendo il grafo iniziale può essere ridotto riproducendo solo le relazioni tra le diverse posizioni scoperte nella rete. Alcuni software per la visualizzazione, come KrackPlot, permettono di addensare i nodi equivalenti gli uni sugli altri, cliccando sull’accumulo le connessioni interne vengono mostrate con una configurazione circolare. Figura 36 - Grafo ridotto in funzione di ruoli equivalenti Questo approccio, a differenza dell’altro, preserva tutte le informazioni riguardanti il grafo, pur visualizzando solo una parte dello stesso. 3.4.2) Visualizzare network dinamici L’altro fattore di complessità, di cui si diceva all’inizio di questo paragrafo, è il dinamismo dei network. Tale problematica è stata affrontata da Bender-de Moll e McFarland in un articolo, che affronta le difficoltà di visualizzazione derivanti da network dinamici e pubblicato nel 2006 sulla rivista on line Journal of Social Structure 46 . Gli autori spiegano che nella realtà una relazione si mantiene difficilmente costante nel tempo, qualsiasi evento, interno o esterno al soggetto, può contribuire a modificarne l’intensità o la sua stessa esistenza. Nella maggior 46 Cfr Bender-de Moll, McFarland, “The art and science of dinamic network visualization”, JoSS, 7, 2006. 81 parte degli studi si ha, però, una concezione statica di network, e anche in quelli che prevedono una raccolta di dati relazionali nel tempo, la seconda rilevazione avviene molto tempo dopo la prima non permettendo di vedere ciò che accade nel frattempo. Inoltre la maggior parte dei network che i ricercatori studiano sono i cd. network cognitivi, che sono costituiti dal costrutto mentale che un gruppo o un individuo ha della struttura sociale circostante, che consiste in amici, nemici, persone che danno aiuto. Questa tipologia di network è molto diversa dai behavioral networks, che sono costituiti dalla registrazione di eventi, come invio di e-mail, conversazioni, citazioni, etc. La differenza tra i due è che i primi sono molto più dinamici dei secondi, e quindi il problema della rilevazione e della visualizzazione dei dati aumenta considerevolmente. Ad esempio il sentimento positivo che un’amica prova per un’altra può fluttuare nello stesso giorno o in un periodo di tempo, ma in generale la loro amicizia sembra crescere nel tempo. I cambiamenti nelle variabili osservate possono accadere più velocemente del periodo di campionamento, e quindi possono non essere registrati. Per non perdere nessuna informazione sarebbe utile condurre una rilevazione giornaliera, cosicché una fluttuazione negativa possa essere annullata con una media settimanale. Così facendo i dati daranno una visone più vicina alla realtà suggerendo una moderata profonda amicizia. Ma una rilevazione del genere costa tempo e denaro. Se si opta per una rilevazione settimanale, però, l’effetto di una fluttuazione negativa può essere perduto, considerato come outlier o semplicemente come un errore. Spesso, per evitare di incorrere in questi problemi, si ricorre ad una metodologia alternativa: la “media fatta dai rispondenti”. Chiedendo ai soggetti di dare un giudizio sulla loro relazione con una persona nella passata settimana è stato rilevato come i rispondenti tendono a considerare tutto il periodo di tempo in questione e a dare una risposta che costituisce una sorta di media del sentimento nel tempo. Anche se questa sembra essere un’utile strategia, vi sono comunque dei problemi metodologici di difficile risoluzione, uno per tutti la memoria dei rispondenti. Queste difficoltà sono meno forti quando vengono trattati dati-evento, ossia dati provenienti dall’osservazione diretta o da una registrazione automatica. Le modalità di registrazione di tali tipo di dati può avvenire in molteplici modi, di solito, però, la differenza tra scale temporali non 82 viene realmente fatta, e tutte le informazioni a disposizione vengono aggregate in un singolo network. Ad esempio se sono state scambiate tre e-mail tra un dipendente e il suo capo, viene data a questa relazione intensità uguale a tre, ma tale conteggio rappresenta davvero il miglior modo per rappresentare il network? o bisognerebbe considerare la media delle e-mail scambiate al giorno? o alla settimana?, o bisognerebbe considerare l’ammontare di testo in esse presente? Paradossalmente sia per network statici che per quelli dinamici la metodologia di campionamento delle variabili è discreta nel tempo, solo che per i secondi la rilevazione viene fatta a intervalli regolari, registrando i legami ad ogni punto di campionamento. Il software SoNIA (Social Network Image Animator), al cui sviluppo hanno partecipato Bender-de Moll e McFarland, autori dell’articolo che stiamo citando, è stato creato proprio per facilitare l’esplorazione dei network dinamici e per comparare le varie tecniche di layout possibili degli stessi. Ai fini del nostro studio ci basti sapere che il software permette di generare “slice network”, ossia nodi e relazioni che cadono in una determinata porzione temporale. A tale scopo si considerano due tipologie di slice : - la “thin slice”, una porzione istantanea, che è più appropriata quando abbiamo network dinamici, in quanto non si corre il rischio di fallire la registrazione di un evento discreto che però non cade nel tempo considerato, - la “thick slice”, che definisce un intervallo e include tutti gli eventi che in esso cadono o gli eventi che hanno la sua stessa durata. Per catturare i cambiamenti del network possono essere usate una serie di slice, il cui numero e la cui durata dipende dal network di interesse.47 In generale, quindi, la tecnica più usata per mostrare i cambiamenti nel tempo di un network è quella di posizionare fianco a fianco le varie configurazioni statiche, che hanno il vantaggio di essere facilmente stampabili e chiaramente confrontabili. Ma poiché i network dinamici vengono descritti come processi sviluppatisi nel tempo, un layout animato sembra essere il mezzo migliore per rappresentarli. Una tecnica semplice per comunicare il movimento è generare una serie di immagini con cambiamenti graduali nella posizione degli elementi, 47 Cfr Bender-de Moll, McFarland, ibidem. 83 presentando queste in rapida successione, gli elementi dell’immagine appaiono muoversi grazie all’effetto di persistenza della visione comunemente usato nell’animazione. In definitiva vi sono ancora molti passi in avanti da poter fare nel campo della visualizzazione di network, soprattutto perché c’è la necessità di ridurre lo scarto rispetto ai sempre continui avanzamenti nel campo dell’analisi. Inoltre vi sono dei problemi riguardanti l’utilizzo dei software di visualizzazione che solo col tempo e con la collaborazione degli studiosi potranno essere superati. Uno di questi riguarda il fatto che pur in presenza degli stessi dati, utilizzando algoritmi diversi, si arriva a configurazioni di network anche molto differenti, e non vi sono criteri generali condivisi per poter valutare un “buon layout”. È, inoltre, difficile dire se la visualizzazione generata è quella ottima o solo il frutto di un certo numero di iterazioni. Ma poiché il miglior layout è quello che riesce a comunicare la realtà dei dati, quello cioè che riesce a dare la percezione giusta delle caratteristiche di rete, è da quello che si dovrebbe giudicare un buon layout. Per questa ragione nel capitolo successivo affrontiamo proprio questa problematica, cercando di capire come le diverse tipologie di configurazioni possano influenzare, in maniera giusta o errata, la percezione del network da parte degli osservatori. 84 Capitolo IV Verso il “buon layout” Idealmente, la visualizzazione di network può ricoprire un ruolo simile alla cartografia, le cui tecniche sono così ampiamente usate da essere ben conosciute, permettendoci di focalizzarci sulle relazioni mostrate piuttosto che sullo strumento utilizzato per ottenerle. 1 La metafora cartografica può essere estesa per spiegare alcuni dei problemi della visualizzazione dei network. Le mappe servono per comunicare informazioni circa le relazioni e le distanze tra entità geografiche scartando alcune informazioni al fine di comunicare una più grande astrazione. Molti tipi di distorsioni vengono determinate da questo processo. Viene usato un cambiamento di scala per dare una visione d’insieme rispetto alla più ristretta prospettiva soggettiva. Viene rappresentato il mondo, avente tre dimensioni e sviluppato su una superficie curva, su una superficie piana a due dimensioni. Per rendere tale compressione possibile, occorre fare delle scelte in merito a quale relazione è necessario preservare e quale poter distorcere. Le mappe della metropolitana o dei sistemi di trasporto spesso distorcono drasticamente le relazioni per poter evidenziare la topologia e la connettività del sistema. I colori, le sfumature, le icone, i segni apposti sull’immagine, sono spesso usati per enfatizzare le caratteristiche strutturali o concettuali ritenute importanti dai disegnatori, o per mostrare elementi che potrebbero altrimenti essere soppressi dalla tecnica di layout selezionata. Molte di queste stesse decisioni devono essere prese quando si vuole visualizzare un network. Per la sua costruzione dobbiamo selezionare un principio organizzativo e scegliere quali relazioni e proprietà strutturali sono importanti, e soprattutto scegliere la modalità di configurazione più appropriata. Naturalmente questo dipende anche dalla finalità della ricerca, da quelli che sono i nostri 1 Cfr Bender-de Moll, McFarland, “The art and science of dinamic network visualization”, Journal of Social Structure, 7, 2006. 85 obiettivi, e, non ultimo, da quelle che sappiamo essere le convenzione visive che influenzano gli osservatori nella “lettura” del network. Infatti, come qualsiasi rappresentazione schematica, essa può venire utilizzata sia semplicemente per descrivere il fenomeno studiato in forma grafica, sia per comprendere e prendere delle decisioni in merito al network. In questo senso diviene fondamentale avere un layout che riesca a rappresentare quelle che sono le caratteristiche reali del network e soprattutto che riesca a farle comprendere all’osservatore immediatamente e chiaramente. Ad esempio, l’analisi di network all’interno delle organizzazioni, chiamata organizational network analysis, ha lo scopo di comprendere quella che è l’organizzazione informale, ossia le relazioni reali all’interno dell’azienda che spesso differiscono da quelle prescritte dall’organigramma formale. Con essa è possibile individuare i ruoli chiave e i sottogruppi informali, è possibile capire come circolano le risorse e come ciò determina le prestazioni. Secondo Krackhardt, scoprire i network che esistono nell’organizzazione può aiutare i manager nel diagnosticare e successivamente introdurre cambiamenti organizzativi per poter migliorare le performance aziendali. Se la network visualization viene utilizzata per facilitare i cambiamenti nell’organizzazione è importante capire come le percezioni sono influenzate dalle strategie visive, altrimenti si corre il rischio di percepire cose erronee e di conseguenza di implementare decisioni sbagliate. A tal proposito, in questo capitolo finale, ci dedichiamo all’influenza del layout sulla percezione. Ripercorreremo alcuni studi in materia inerenti la percezione dei gruppi, della prominence, l’influenza dell’animazione sulla percezione del cambiamento del network, e l’influenza della sovrapposizione di linee e delle convenzioni raffigurative. Tenendo conto dei risultati di queste ricerche suggeriremo alcuni principi da ricordare quando si ci appresta alla visualizzazione dei network. Come conclusione del nostro lavoro proporremo il metodo dell’explanatory visualization, mediante la quale si integrano gli indici dell’analisi all’interno della visualizzazione, così da fornire un metodo “universale” per la rappresentazione dei network, aumentandone, allo stesso tempo, il potere esplicativo. 86 4.1) La percezione dei gruppi Uno dei primi studi sull’influenza del layout di un grafo “di dominio” 2 sulle percezioni dell’osservatore fu condotto da McGrath, Blythe e Krackhardt nel 1996 3 . Gli autori si focalizzarono sulla percezione dei cluster tra i nodi. I soggetti dell’esperimento furono 61 studenti che avevano appena completato un corso in teoria organizzativa. Per poter registrare immediatamente le risposte e i tempi in cui venivano date, venne utilizzato un sistema interattivo, KrackPlot 3.0, che è un pacchetto software per disegnare i grafi. Dopo un periodo di addestramento, veniva richiesto ai partecipanti di svolgere due esercizi per ogni layout: uno consisteva nell’individuare il numero di gruppi, e l’altro nell’assegnare i nodi al gruppo che si riteneva appartenessero. Nel caso in cui un nodo poteva appartenere a più di un gruppo, lo si posizionava in quello che ritenevano andasse meglio. La figura 37 mostra solo tre dei cinque layout con cui hanno interagito i soggetti. Figura 37 – Tipologie di layout 4 layout 1 layout 2 layout 3 La rete rappresenta le 93 interazioni di 26 impiegati di banca. Il primo tipo evidenzia due gruppi spaziali collegati da due legami, nel secondo il nodo N, facente parte del gruppo a destra viene posizionato nello spazio di quello di sinistra, formando sei linee di collegamento tra i due gruppi, di cui quattro, però, vengono attivate da N che non ha connessioni col suo gruppo spaziale. 2 Che aveva per oggetto un network reale, in contrapposizione con i grafi astratti. Cfr McGrath C., Blythe J., Krackhardt D., “Seeing groups in graph layouts”, Connections, 19(2), 1996, pp. 22-29. 4 Fonte: ibidem, p.24. 3 87 Mentre il terzo tipo di layout forma tre gruppi spaziali connessi da numerosi legami. Poiché lo scopo della presentazione grafica dei dati è comunicare informazioni velocemente in una forma corretta e chiara, gli autori considerano un “buon” layout quello che permette agli osservatori di trarre inferenze rapidamente e correttamente circa l’informazione presentata. 5 Dai risultati dell’analisi emerge che, per quanto riguarda il compito di individuare i gruppi, effettivamente un layout diverso dello stesso grafo influenza fortemente la percezione della loro individuazione, come evidenziato da figura 38. Figura 38 – Assegnazione di gruppi per ogni layout 6 Il layout che meglio riesce a comunicare la risposta esatta, cioè due, è il primo, nel quale la divisione spaziale aiuta molto. Mentre il terzo tipo, quello in cui si distinguono chiaramente tre gruppi spaziali, porta all’errata risposta di tre. “Questo suggerisce che il raggruppamento spaziale dei nodi, non semplicemente la struttura del grafo, influenza la percezione dei rispondenti sulla struttura del gruppo” 7 . 5 Cft McGrath C. et al., ibidem, 1996. Fonte: ibidem, p. 25. 7 Ibidem, p. 25. 6 88 Per quanto riguarda il secondo compito, l’assegnazione dei nodi al proprio gruppo, i ricercatori hanno valutato i grafi basandosi sull’ammontare del tempo impiegato per risolvere l’esercizio. La tabella 1 mostra il tempo per completare l’assegnazione considerando ogni layout. Tabella 1 – Tempo per completare l’assegnazione dei nodi al proprio gruppo Come si nota dalla tabella le performance migliori si ottengono quando viene mostrato il primo layout. Si noti che in esso il ruolo di ponti dei nodi B, G, X, O è chiaramente percepito dai rispondenti, mentre nel secondo layout questa chiarezza viene persa poiché lo spostamento del nodo N aumenta il sovrapporsi delle linee. In ultima analisi, gli autori hanno analizzato il tempo che i partecipanti impiegavano nell’assegnare due nodi allo stesso gruppo, e hanno rilevato che questo dipende sia dalla loro relazione spaziale che da quella strutturale. La prima viene misurata con la distanza euclidea tra i nodi, la seconda con l’adiacenza e la distanza di percorso. Quanto più è la distanza spaziale tra i nodi tanto più tempo i soggetti impiegano ad assegnarli allo stesso gruppo, e lo stesso avviene con un’alta distanza di percorso. Mentre sembra esserci una relazione positiva con la matrice di adiacenza. 8 Quindi le relazioni spaziali e quelle strutturali influenzano vicendevolmente la percezione. Da questa ricerca, spiegano gli autori, è possibile trarre un primo principio per il layout dei network: “I nodi adiacenti devono essere posizionati vicino per quanto è possibile, e la distanza euclidea dovrebbe essere correlata con la distanza di percorso.” 9 8 Cfr McGrath et al., ibidem, 1996, p. 27-28, per una descrizione più accurata dell’analisi e delle relative tabelle. 9 Ibidem, p. 28. 89 4.2) Prominance, bridging e grouping In un successivo lavoro McGrath, Blythe e Krackhardt hanno approfondito la questione dell’influenza del layout sulla percezione, questa volta, di comuni misure di rete, in particolare la prominence, il ruolo di ponte (bridging) e i gruppi. 10 Le prime due rappresentano le due facce della centralità di un nodo: la prominence ha a che fare con la popolarità e viene perciò calcolata attraverso il degree, l’essere ponte indica la posizione strategica di interposizione tra i nodi e viene calcolata con la betweenes centrality. Lo studio rileva che la percezione individuale dei grafi può dipendere sia dalla struttura del network, ossia dal modello di relazioni tra i nodi, sia dalla disposizione spaziale degli stessi, coerentemente con quanto trovato nello studio precedente. Quindi, i fattori che influenzano la percezione del grafo possono essere divisi in due gruppi: quelli che riguardano le proprietà spaziali e quelli che hanno a che fare con le proprietà teoriche del network stesso. In particolare le ipotesi riguardano l’influenza : 1. della prossimità del nodo verso il centro della configurazione sulla percezione della prominence; 2. della posizione dei nodi tra i cluster sulla percezione dei ponti; 3. del raggruppamento spaziale dei nodi sulla percezione dei gruppi. 4.2.1) Esperimento I partecipanti all’esperimento furono 80 soggetti volontari che avevano completato un corso di teoria organizzativa che enfatizzava l’importanza di capire i network nelle organizzazioni. Ad ognuno venivano mostrati tre dei cinque grafi di figura 39, che rappresentano lo stesso network in cui varia la prossimità dei nodi e la posizione degli stessi vicino al centro o nella periferia del grafo. 10 Cfr McGrath C., Blythe J., Krackhardt D., “The effect of spatial arrangement on judgements and errors in interpreting graphs”, Social Networks, 19, 1997, pp. 223-242. 90 Figura 39 – Cinque differenti configurazioni spaziali dello stesso grafo 11 Il network è simmetrico con 12 attori e 48 legami che indicano chi discute con chi di problemi di lavoro. È formato da quattro cliques. I nodi A e B sono equivalenti, così come D e E. In ogni display i nodi venivano rinominati, mentre per l’analisi 11 Fonte: McGrath C. et al., ibidem, 1997, p. 226. 91 e la discussione quelli più interessanti sono stati etichettati con le lettere da A ad E. Ai soggetti venivano fatte due domande circa questi cinque nodi focali: quanto prominente era ognuno di questi nodi nel grafo e quanto importante era il loro ruolo di ponte. Le risposta andava da 1 a 7 ( non prominente-molto prominente). Inoltre venne chiesto loro di individuare il numero dei gruppi per ogni layout visto. 4.2.2) Risultati dell’analisi I risultati dell’analisi in parte confermano le ipotesi degli studiosi e in parte no. Nella tabella 2 sono riportati i valori reali delle due centralità per ogni nodo focale. Tabella 2 – Misure di centralità 12 Degree centrality Freeman betweeness centrality A 5 8.67 B 5 8.67 C 4 4.67 D 3 0.00 E 3 0.00 Si noti che in questo studio i due tipi di centralità non sono empiricamente differenti, anche se nella realtà rimangono concettualmente distinti. Le etichette affidate ai nodi, le lettere da A ad E, rispecchiano l’ordine di grandezza dei valori della propria centralità. Riguardo alla percezione della prominence, si può dire che l’ordine dei valori rimane stabile, da A ad E, come si può vedere dalla tabella 3. Solo in un caso si inverte: quando nella disposizione 1 il nodo C ha un indice medio minore di D e E. Ma in generale tale nodo, come anche D e E, segue il modello aspettato. Quando ha una posizione periferica (arrangement 1 e 2) non è percepito come un 12 Fonte: McGrath C. et al., ibidem, 1997. 92 nodo molto prominente, mentre quando si avvicina al centro (arrangement 2 e 3) il suo coefficiente diventa positivo. Tabella 3 – Indice di centralità medio individuale per la prominence 13 Arrangement Arrangement Arrangement Arrangement Arrangement 1 2 3 4 5 A 0.96 1.46 1.11 1.08 0.36 B 0.64 1.30 1.00 1.06 0.29 C - 0.30 - 0.13 0.24 0.26 - 0.42 D - 0.12 - 0.96 - 1.15 - 0.24 - 0.93 E - 0.16 - 1.58 - 1.18 - 0.40 - 1.02 Un risultato inaspettato si ha, invece, per i nodi più prominenti, A e B. L’analisi, infatti, sembra contraddire la semplice teoria spaziale proposta dai ricercatori. Essi non risultano essere significativamente più prominenti nella prima configurazione quando sono membri di un cluster centrale, il punteggio è infatti rispettivamente 0.69 e 0.64, a confronto dei ben più alti punteggi (1.46 e 1.30) ricevuti sulla configurazione 2. “Questo risultato contraddice l’affermazione che posizionando il nodo al centro del grafo aumenta la percezione della sua prominence” 14 . Una spiegazione per gli autori è che probabilmente quando un nodo ha una prominence strutturale molto alta non risente della posizione spaziale così tanto quanto i nodi che invece ce l’hanno bassa. Per quanto riguarda la percezione dei ponti, anche questa sembra essere coerente con la realtà, in quanto A e B hanno sempre i punteggi più alti, a seguire C e infine D e E con quelli più bassi. Qui viene confermata l’asserzione degli autori secondo cui quanto più il nodo è tra due cluster tanto più è percepito come ponte. Infatti, A e B ricevono un punteggio più alto nella configurazione 1 e 2, rispetto a quello ricevuto nelle altre quando sono membri di una clique lontani dalle altre. Tali risultati sono visibili in tabella 4. 13 14 Fonte: cfr. McGrath et al., ibidem, 1997, p. 229. McGrath c. et al., ibidem, 1997, p. 203. 93 Tabella 4 – Indice di centralità media individuale per importanza come bridge 15 Arrangement Arrangement Arrangement Arrangement Arrangement 1 2 3 4 5 A 1.73 2.02 1.51 1.30 0.68 B 1.76 1.88 1.53 1.47 0.80 C 0.27 0.24 0.53 0.84 - 0.47 D - 1.74 - 2.06 - 1.75 - 1.35 - 0.86 E - 1.63 - 2.10 - 1.70 - 1.60 - 1.09 Nella percezione dei gruppi sembra essere soprattutto la struttura spaziale e non quella relazionale ad influenzare la percezione dei cluster. Come mostrato in figura 40, il layout che permette una migliore individuazione dei gruppi è il primo, dove 4 è la risposta più data. Figura 40 – Distribuzione delle risposte sul numero di gruppi per ogni layout 16 15 16 Fonte: cfr. ibidem, p. 230. Fonte: McGrath C. et al., ibidem, 1997, p. 232. 94 Si noti che la terza configurazione, che mostra due gruppi spaziali, uno più grande a sinistra e uno più piccolo a destra, viene percepito come formato da tre gruppi. Infine il layout circolare è quello che ha una distribuzione delle risposte più uniforme, ciò rispecchia il fatto che da esso è molto difficile percepire il numero di gruppi. In ultimo, per valutare quale sia il miglior layout per evidenziare le caratteristiche di prominence e di bridging dei nodi, gli studiosi hanno calcolato per ogni configurazione il numero di volte in cui i rispondenti hanno dato le risposte giuste. La figura 41 evidenzia che il secondo layout si è rivelato il più chiaro nel comunicare le due caratteristiche. Figura 41 – Proporzione di risposte con corretto ordine dei nodi per ogni layout 17 Gli autori affermano che “ un buon arrangiamento spaziale non dovrebbe lasciare l’osservatore l’impressione che tutti i nodi hanno lo stesso valore di prominence o di ponte quando in effetti essi variano su queste dimensioni”. 18 Tra tutti i tipi di layout dello studio, quello circolare risulta essere il peggiore da questo punto di vista, poiché impedisce agli osservatori di percepire tali differenze. Infatti, tra tutti 17 18 Fonte: McGrath C. et al., ibidem, 1997, p. 234. Ibidem, p. 235. 95 è quello in cui maggiormente ai nodi vengono attribuiti gli stessi valori di prominence e di bridging. 19 4.2.3) Conclusioni Il “miglior” layout per un social network può spesso dipendere dalle informazioni che la configurazione riesce a comunicare. Infatti, in questo studio quello che permette una più accurata percezione dei gruppi (layout 1) è risultato differente da quello che permette di comprendere chiaramente la prominence dei nodi (layout 2). In conclusione gli autori affermano che non è possibile dire quale sia il layout migliore di un particolare network. Spesso è quello che evidenzia le caratteristiche della rete che si sta discutendo, e può non essere l’unico. Quindi, dallo studio appena citato si rileva che: - la percezione della prominence dei nodi tende ad aumentare quando il nodo è più centrale nella configurazione, - la percezione dei nodi più prominenti non è significativamente influenzata dalle disposizioni spaziali usate in questo studio. Gli autori suppongono che quando un nodo ha un’alta prominence strutturale sia meno affetto dal posizionamento spaziale rispetto agli altri, sebbene tale distinzione possa divenire meno marcata in più grandi e complessi grafi, - la percezione dei gruppi cambia quando i nodi sono spazialmente raggruppati per nasconderli o evidenziarli, - il layout circolare, in cui i nodi hanno tutti la stessa distanza spaziale gli uni dagli altri, risulta essere il peggiore poiché nasconde le differenze strutturali degli stessi. In sostanza, non sono solo le relazioni strutturali ad influenzare la percezione ma anche le relazioni spaziali. 19 Cft McGrath C. et al., ibidem, 1997, tabella 10, p. 236. 96 4.3) L’effetto del movimento e del layout spaziale sulla percezione La complessità della visualizzazione può essere un’arma a doppio taglio, poiché se da un lato riesce a veicolare le caratteristiche del grafo, dall’altro può introdurre nuove informazioni non previste dal ricercatore. A tal proposito, sono relativamente pochi i lavori fatti per verificare se la percezione dell’osservatore di un network è quella che voleva far intendere il creatore dello stesso. Un lavoro in tal senso è stato svolto da McGrath e Blythe 20 nel 2004, che aveva un duplice scopo: - il primo era quello di capire se il movimento potesse meglio evidenziare i cambiamenti relazionali rispetto ad un layout statico, - il secondo era quello di capire il modo in cui gli osservatori percepivano l’intero network e come questa comprensione poteva influenzarli in un contesto reale. Lo studio utilizza dei dati provenienti da un caso organizzativo analizzato da Krackhardt 21 che riguardava i 14 impiegati dello staff di revisione contabile di una grande azienda, che stava modificando le sue procedure di contabilità. L’organizzazione formale del gruppo viene comparata con le relazioni informali di consiglio (advice network), rilevate attraverso domande tipo: “a chi chiederesti aiuto o un consiglio circa domande o problemi correlate al lavoro?” Nella prima parte dello studio, gli autori volevano verificare tre ipotesi riguardanti l’efficacia del movimento nella rappresentazione e le varie modalità di layout. Queste erano: Hp1) il movimento è più efficace della rappresentazione “prima e dopo” per evidenziare cambiamenti lungo le relazioni del network; Hp2) il layout gerarchico è più efficace rispetto al layout centralizzato per evidenziare il potere degli attori; Hp3) l’accuratezza del layout gerarchico per indicare lo status degli attori sarà esaltato dal movimento quando il primo e il secondo grafo usano lo stesso significato per l’asse verticale. 20 Cfr McGrath, Blythe, “Do you see what I whant you to see? The effect of motion and spatial layout on viewer’s perceptions of graph structure”, JoSS, 5, 2004. 21 Cfr Krackhardt, “Social networks and liability of newness for manager”, in Cooper e Rousseau, Trends in organizational Behavior, vol.3, John Wiley & Sons Ltd., 1996, cit in MacGrath, ibidem, 2004. 97 In merito alla prima ipotesi bisogna specificare che in questa ricerca il movimento non veniva utilizzato come mezzo per mostrare un network dinamico, ma come strumento per evidenziare differenze nei grafi. Per quanto riguarda il layout, invece, per mostrare il potere di un soggetto sono state scelte due possibili configurazioni derivanti da due studi differenti. Uno condotto da McGrath et al. 22 , di cui si è parlato sopra, nel quale testando l’influenza del layout sulla percezione della prominence da parte degli osservatori, si è trovato sperimentalmente che gli attori posizionati al centro del grafo erano visti come aventi più prominence rispetto a quelli posizionati in periferia. Un altro condotto da Brandes e al. 23 , i quali suggeriscono un modello di layout che usa il posizionamento verticale per comunicare l’informazione dello status 24 . Infatti la coordinata y del nodo è esattamente il punteggio che esso riceve dall’analisi dell’indice di Katz, mentre la posizione orizzontale viene determinata algoritmicamente in modo tale che tutte le relazioni siano facilmente visibili. In questo modo è possibile integrare indici derivanti dall’analisi del network direttamente nella figura, , dando vita a quello che questi autori hanno chiamato explanatory visualization. 4.3.1) Esperimento L’esperimento fu condotto su 133 studenti di economia che furono divisi in quattro gruppi. I dati sulla struttura formale relazionale e quella informale furono manipolati in due modi: per passare dalla rappresentazione formale a quella informale venne usato il movimento o una rappresentazione “prima e dopo”; mentre per mostrare il network informale vennero utilizzate le due modalità di layout di cui si è discusso prima, quella gerarchica e quella centralizzata. L’impianto dello studio è sintetizzato nella tabella 5. 22 Cfr McGrath, Blythe, Krackhardt, “The effect of spatial arrangement on judgements and errors in interpretino graphs”, Social Networks, 19, 3, 1997, cit in McGrath, ibidem, 2004. 23 Cfr Brandes, Raab, Wagner, “Exploratory network visualization: simultaneous display of actor status and connections”, JoSS, 2, 2001. 24 Lo studio di Brandes et al. lo vedremo nell’ultimo paragrafo di questo capitolo. 98 Tabella 5 – Disegno dell’esperimento 25 Group First Viewing Model of Change Second viewing 1 (n=40) Informal=Spatial centrality No Motion Informal=Spatial hierarchy 2 (n=30) Informal= Spatial hierarchy Motion Informal= Spatial centrality 3 (n=32) Informal= Spatial centrality Motion Informal= Spatial hierarchy 4 (n=31) Informal= Spatial hierarchy No Motion Informal= Spatial centrality Agli studenti veniva mostrato prima il network formale, che aveva per tutti la stessa configurazione (figura 42), e poi quello informale, gerarchico o centralizzato, attraverso un passaggio animato o con una semplice rappresentazione “prima e dopo”. Le figure successive mostrano le varie tipologie di layout utilizzate per raffigurare i network. Figura 42 - Network formale 26 Sia in quello formale che in quelli informali la forma dei nodi indica la tipologia di ruolo ricoperto dal soggetto all’interno del team: il rombo per il manager, l’ellisse per i supervisori, il rettangolo per i contabili e nessuna forma per le segretarie. 25 26 Fonte: McGrath, Blythe, ibidem, 2004. Fonte: ibidem. 99 Figura 43 - Network informale con layout centralizzato 27 Figura 44 - Network informale con layout gerarchico 28 27 28 Fonte: McGrath, Blythe, ibidem, 2004. Ibidem. 100 Per poter verificare le ipotesi che hanno mosso il lavoro, i partecipanti sono stati chiamati a rispondere a molte domande. In primis, hanno dovuto identificare le quattro persone che secondo loro avevano più potere nel network formale e in quello informale, hanno dovuto attribuire loro un punteggio in base al cambiamento nel loro potere. Questo andava da 1(molto diminuito) a 5 (molto aumentato). Hanno poi risposto alla domanda “Basandoti su tutte le informazioni disponibili, chi credi sia la chiave del cambiamento? Con chi il top management dovrebbe spendere le sue forze per promuovere il cambiamento nel sistema di auditing?”. Alle stesse domande, i partecipanti, hanno risposto quando gli è stato presentato il secondo layout del network informale. 4.3.2) Risultati dell’analisi Per capire quanto accurata possa essere la percezione dell’osservatore e quanto possa essere influenzata dalle varie modalità di layout, i ricercatori hanno misurato il cambiamento reale nello status di ogni nodo attraverso l’indice di Katz, nel passaggio da network formale a quello informale (tab. 6), e poi hanno confrontato tali misure con quelle percepite dagli osservatori (tab. 7). Tabella 6 - Katz Status Index Score for Formal and Informal Network 29 Name Formal Informal Difference Manuel Lost 1 0.57 -0.43 Charles Lost 0.37 0.17 -0.2 Stuart 0.37 0.19 -0.18 Donna Gained 0.5 0.66 0.16 Wynn Same 0 0 0 Carol Same 0 0 0 Harold Same 0 0 0 Gained 0 0.02 0.02 Sharon Gained 0 0.02 0.02 Bob Same 0 0 Kathy Gained 0 0.08 0.08 Nancy Gained 0 1 1 Susan Same 0 0 Tanya Gained 0 0.08 0.08 Fred 29 Lost Fonte: McGrath, Blythe, ibidem, 2004. 0 0 101 Tabella 7 - Overall Accuracy of Reported Change from Formal to Informal Networks Means, Standard Deviations, and Number of Responses 30 Spatial Hierarchy Spatial Centrality Both Layouts Motion .75 (.20) n=30 .61 (.14) n=32 .68 (.18) n=62 No Motion .50 (.24) n=31 .58 (.25) n=40 .54 (.24) n=71 .62 With and Without Motion (.24) n=61 .59 (.21) n=72 .61 (.23) n=133 L’accuratezza sembra essere più alta quando il passaggio da un network all’altro si ha con movimento (0.68) e soprattutto quando con esso si combina un particolare layout, quello gerarchico (0.75). Mentre in assenza di movimento sembra dare percezioni migliori il layout centralizzato, anche se la differenza è di poco. Per una valutazione immediata si veda la figura 45 . Figura 45 - Accuratezza della percezione del cambiamento dello status 31 Per quanto riguarda la seconda questione a cui si voleva rispondere con questo studio, inerente l’influenza della percezione dell’intero network sulle scelte reali, anche qui emergono interessanti risultati. A questo proposito venne chiesto ai partecipanti di predire quale auditing team sarebbe riuscito più facilmente ad implementare il cambiamento delle procedure di auditing e di spiegare brevemente la scelta. 30 31 Fonte: McGrath, Blythe, ibidem, 2004. Fonte: ibidem. 102 Dall’esame delle risposte è emerso che quando i soggetti indicavano di successo la struttura gerarchica informale davano come spiegazione il fatto che sembrasse una struttura più efficiente, in cui era necessaria meno comunicazione e dove sia Manuel che Nancy venivano visti come ruoli chiave (ricordiamo invece che Nancy, segretaria, ha un potere ben più forte rispetto a Manuel che è il manager). Mentre quando sceglievano il layout centralizzato la spiegazione era che lo vedevano più connesso, più comunicativo e molto diverso dalla struttura formale. Nel primo caso la percezione era più vicina ad una struttura organizzativa gerarchica mentre la seconda ad una struttura organica. Questo dimostra come la percezione totale del network possa essere molto influenzata dalla visualizzazione grafica, visto che, a dispetto del layout, le relazioni in entrata e in uscita dai nodi erano gli stessi per entrambe le configurazioni informali. 4.3.3) Conclusioni I risultati dell’analisi confermano le tre ipotesi iniziali sostenute dagli autori. Il layout gerarchico è più efficace nel comunicare lo status di un attore, il movimento induce una comprensione migliore del cambiamento delle relazioni, soprattutto se queste hanno una configurazione gerarchica. Lo studio ha però mostrato anche che mappare lo status su una dimensione verticale produce due tipi di problemi: 1. si fa apparire il network gerarchico e quindi si fa inferire una gerarchia. A tal proposito gli autori propongono di studiare una mappatura dello status basato sulla misura di Katz che ponga al centro il nodo con più potere e nei raggi quelli con meno potere, la distanza dal centro indicherà la diminuzione di status; 2. una visualizzazione gerarchica può limitare l’abilità dell’osservatore di esplorare le proprietà del network, infatti viola il principio generale di disegnare le linee di uguale lunghezza, che permette di percepire immediatamente la vicinanza delle persone che sono legate da una relazione. 103 4.4) Effetti della sovrapposizione di linee e delle convenzioni rappresentative L’ultimo studio che proponiamo è stato condotto nel 2007 da Huang, Hong e Eades. 32 Gli autori partono dalla consapevolezza che in un sociogramma, pur essendo importante il modello di relazioni tra gli attori piuttosto che la posizione fisica degli stessi, in effetti è quest’ultima che influenza la percezione delle caratteristiche del network. Come dimostrato dagli studi precedentemente visti. Inoltre, uno dei fattori da sempre ritenuto influente sulla leggibilità del network è la sovrapposizione di linee, ma non è chiaro come essa possa incidere su alcuni compiti specifici di social network. È proprio questo l’obiettivo dello studio: - comparare l’efficacia comunicativa di cinque layout convenzionali (radiale, gerarchico, per gruppi, circolare, libero, vedi figure 22-26 di cap.3), - esaminare gli effetti del sovrapporsi di linee per ogni layout, - proporre un insieme di raccomandazioni preliminari per il disegno di sociogrammi. 4.4.1) Esperimento Basandosi sia su dati quantitativi che qualitativi, gli autori hanno voluto investigare l’efficacia della comunicazione visiva, che viene misurata in termini di tempo di risposta e di accuratezza. I partecipanti sono stati 27, studenti volontari provenienti dalla popolazione della Computer Science, che non avevano mai avuto a che fare con i social network. Le ragioni di questa scelta risiedono nel fatto che nella realtà gli osservatori di social network sono spesso principianti e che se i partecipanti avessero avuto tale esperienza, il loro giudizio avrebbe potuto essere influenzato dalle loro conoscenze pregresse. Due network sono stati usati. Uno era l’advice network di Krackhardt, visto nel terzo studio, presentato per tutte le cinque convenzioni secondo la modalità 32 Cfr Huang W., Hong S., Eades P., “Effects of sociogram drawing conventions and edge crossing in social network visualization”, Journal of graph algorithms and applications, 11(2), 2007,pp. 397-429. 104 “molte sovrapposizioni” (many-crossing) e “poche sovrapposizioni” (minimumcrossing), come si può vedere dalla figura 46(a-b). Figura 46(a) – Tipologie di layout con molte e poche sovrapposizioni 33 33 Fonte: cfr Huang W., Hong S., Eades P., “Effects of sociogram drawing conventions and edge crossing in social network visualization”, Journal of graph algorithms and applications, 11(2), 2007, pp. 427 e ss. 105 Figura 46(b) – Group layout 34 Il secondo era un collaborative network derivato dal primo considerando i legami simmetrici. Quest’ultimo è stato utilizzato per trovare le prime possibili differenze tra network diretti e indiretti. È bene precisare che in ogni visualizzazione ai nodi venivano cambiati i nomi e che i soggetti non erano a conoscenza del fatto che si trattasse sempre dello stesso network. L’importanza o la status sociale di un attore è stato calcolato con l’indice di Katz; mentre la presenza di gruppi è stata individuata attraverso la densità relativa. I soggetti dovevano risolvere tre tipi di compiti: 1. Compiti on line: (a) Importance task: trovare i tre attori più importanti e attribuire loro un punteggio. (b) Group task: determinare da quanti gruppi era formato il network e separare i quattro nodi evidenziati in modo che ognuno fosse vicino al proprio gruppo. 2. Compiti di attribuzione di punteggi: ad ogni layout in base alla capacità degli stessi di aiutare a risolvere i due compiti principali. I partecipanti dovevano dare anche una breve spiegazione delle risposte. (a) Usability acceptance rating: il punteggio da -3 (inaccettabile) a +3 (accettabile) veniva dato per ogni configurazione di rete, con e senza sovrapposizione di linee, presentate in due pagine differenti. 34 Fonte: Huang W. et al., ibidem, p.429. 106 (b) Crossing preference rating: il punteggio di [-2; +2] doveva essere attribuito ad ogni coppia di layout, dove l’intervallo negativo significava preferire fortemente la configurazione con più sovrapposizione di linee, mentre dal lato positivo il contrario. (c) Overall usability rating: con tutte le dieci tipologie di layout mostrate su una pagina, i soggetti dovevano scegliere tra le tre che più preferivano e le tre che meno preferivano. 3. Questionari: i partecipanti dovevano rispondere a due questionari. Il primo mirava ad avere informazioni circa il background dell’osservatore, se aveva esperienza con i diagrammi nodi-linee, i sociogrammi, come li interpretavano e come pensassero potessero influenzare la percezione. Un secondo in cui si facevano domande sulle convenzioni di disegno e la sovrapposizione di linee. La procedura dell’esperimento seguì questo iter: dopo aver fatto un breve addestramento, i soggetti procedettero con il primo compito on line, seguì il compito di attribuzione di punteggi, e poi il primo questionario. Nella fase di debriefing fu dato ai partecipanti un documento in cui si spiegava la natura dello studio, la sovrapposizione di linee e le convenzioni rappresentative, dopo il quale dovettero di nuovo rispondere ai compiti di attribuzione di punteggio (a) e (b). Infine fu sottoposto loro il secondo questionario. Le ipotesi che i ricercatori volevano testare erano le seguenti: H1) La convenzione del layout di gruppo è più efficace delle altre per comunicare informazioni riguardanti i gruppi. Il layout gerarchico è più efficace nel comunicare informazioni riguardanti l’importanza. H2) Per ogni convenzione, i disegni con minori linee sovrapposte sono preferiti. 4.4.2) Risultati dell’analisi Volendo valutare quale layout consentiva una rapidità nello svolgimento dei compiti, furono analizzati i tempi di risposta dei test on line. Per il compito di individuazione dei nodi più importanti non sembrano esserci differenze di velocità di risposta a seconda dei diversi layout, come mostrato in 107 figura 47(a). Mentre per il compito di individuazione dei gruppi, il layout a gruppi sembra indurre performance più veloci. Il contrario si può dire per la configurazione circolare (vedi figura 47(b)). Ciò sembra confermare parte dell’ipotesi 1. Figura 47 – Tempo di risoluzione dei compiti 35 Per quanto riguarda l’accuratezza nelle risposte, nel compito di individuazione dell’attore più importante, con sorpresa lo studio rileva che è il free layout a determinare performance migliori, come si evince dalla figura 48, e non la configurazione gerarchica, come ci saremmo aspettati. Questo risultato è totalmente opposto alla nostra ipotesi iniziale. Figura 48 – Valori pesati di accuratezza della risposta nell’identificare gli attori importanti 36 35 Fonte: Huang et al., ibidem, 2007, p. 410. Ibidem, p. 412. Si rimanda al testo per la spiegazione di come sono stati ottenuti questi valori pesati. Si noti che la C e la P dopo l’iniziale del tipo di layout indicano la sovrapposizione o meno di linee, informazione deducibile anche dalla differenza di colore delle barre dell’istogramma. 36 108 Per quanto riguarda l’individuazione del numero di gruppi, più dell’80% dei soggetti riporta la risposta corretta, tre, quando vede il layout per gruppi. Inoltre, come si vede da figura 49, la distribuzione delle risposte per le configurazioni con maggiore sovrapposizione di linee ( la seconda riga) è più uniforme, ciò significa che rende più difficile l’individuazione della risposta corretta. Figura 49 – Distribuzione del numero di gruppi riportati 37 Risultati simili si hanno anche per il tasso di correttezza di assegnazione dei nodi ai gruppi. La performance maggiore è indotta dal layout per gruppi e, in generale, il layout con meno sovrapposizione di linee riesce a dare risultati migliori, tranne che per la configurazione libera, come si evince dalla figura 50. Figura 50 – Tasso di correttezza per l’assegnazione ai gruppi 38 37 38 Fonte: Huang W. et al., ibidem, p. 411. Ibidem. 109 I risultati del compito di attribuzione di punteggi, che mirava a scoprire quale tipologia di layout era ritenuta più utile dall’osservatore per poter risolvere i compiti, ci dicono che le configurazioni con minore sovrapposizione di linee sono quelle preferite per entrambi ( si veda figura 51). Figura 51 – Indice di utilità medio 39 In particolare, il layout gerarchico è quello che riceve punteggi più alti sia prima che dopo il debriefing 40 , suggerendo che l’estetica della sovrapposizione di linee viene considerata come meno importante rispetto alla posizione dei nodi. Mentre per il compito di individuazione dei gruppi sembra che tale principio estetico abbia maggiore importanza, come dimostrano le valutazioni negative in figura 51(b). Nella valutazione della sovrapposizione di linee, espressa dagli utenti per ogni coppia di layout, si evince che le configurazioni con minore sovrapposizione sono quelle preferite, anche se, dopo il debriefing tale preferenza cala (si veda figura 52 a e b). In particolare, per un solo caso si registra addirittura una diminuzione molto ampia della preferenza, è il caso del layout per gruppi; probabilmente tale scelta è dovuta al fatto che aumentando l’intersezione dei legami fra un gruppo, questo viene visto come più denso e quindi come più legato. In generale, comunque, la preferenza viene mantenuta per il layout gerarchico per quanto riguarda la facilità di individuare l’importanza di un nodo, mentre per il layout a gruppi, per i compiti di individuazione degli stessi. 39 40 Fonte: Huang W. et al., ibidem, p. 407. Cft ibidem, p. 408, tabella 2. 110 Figura 52 – Indici di preferenza media 41 Per quanto riguarda l’ultima tipologia di preferenze che i partecipanti dovevano dare, la overall usability rating, in cui erano chiamati a decidere tra le tre configurazioni migliori e le tre peggiori, vediamo da figura 53 che i layout con sovrapposizione di linee occupano le posizioni peggiori, tranne per quello a gruppi che i soggetti riconfermano come migliore. Figura 53 – Valori pesati delle valutazioni per l’usabilità totale 42 4.4.3) Conclusioni Quindi, per quanto riguarda i risultati dell’analisi quantitativa, le ipotesi degli autori sono solo in parte confermate: vengono preferiti il layout gerarchico, per compiti di importanza, e quello per gruppi, nei compiti di individuazione del numero di cluster, grazie al quale danno anche risposte più accurate. 41 42 Fonte: Huang W. et al., ibidem, p. 409. Ibidem. 111 Spostandoci sul piano dell’influenza del layout sulla percezione delle caratteristiche di rete, possiamo dire che il primo tipo di compito sembra risentire di meno dell’influenza della sovrapposizione di linee o delle convenzioni. Infatti, i valori di accuratezza e del tempo medio per risolvere un test si attestano su valori che non differiscono molto tra layout. Probabilmente perché la “sovrapposizione” è influente solo in compiti dove è implicato il tracciamento dei legami o del percorso, come nel trovare i gruppi appunto. Questo test, però, non conferma le ipotesi fatte, in quanto la configurazione gerarchica sembra non permettere l’accuratezza ipotizzata. Una migliore performance, infatti, è registrata con il layout libero (v. fig. 48), con il quale però occorre più tempo per risolvere il compito (v. fig. 47(a)). Un’analisi più approfondita ha rilevato che la risoluzione angolare dei nodi interferiva con il compito non facendo percepire chiaramente le frecce delle relazioni, cosa del tutto inaspettata. Gli autori spiegano che vi sono molti modi per migliorarla, uno semplice è quello di modificare l’ampiezza del nodo in base al numero di relazioni incidenti sullo stesso. Quindi, in ultima analisi, si può dire che per comunicare informazioni circa l’importanza è la posizione dei nodi e la risoluzione angolare che influenzano la percezione. L’analisi dei dati qualitativi provenienti dai questionari 43 ha rilevato che i soggetti seguono delle convenzioni nelle percezioni. Essi hanno una forte preferenza nel posizionare i nodi in alto o al centro per evidenziare importanza, e una preferenza nel raggruppare i nodi dello stesso gruppo e separarli per evidenziare i cluster. Inoltre hanno la tendenza a credere che i nodi posizionati in alto o al centro sono più importanti, e che i nodi vicini appartengono allo stesso gruppo. È da notare che le tecniche di visualizzazione che risultano essere preferite dagli osservatori non sempre permettono loro di raggiungere migliori performance. 43 Cfr per un approfondimento Huag W. et al., ibidem, pp. 413-414, e appendice 1 e 2, pp. 424425. 112 4.5) Criteri estetici per la visualizzazione dei network Da sempre gli autori di social network hanno cercato di rappresentare i grafi secondo regole estetiche che si ritenevano essere generali, seguendo spesso il proprio intuito. Noi abbiamo voluto ripercorrere, in ordine temporale, alcuni studi sulla percezione del layout dei network, in modo tale da andare a considerare quelle che sono le reali influenze e preferenze degli osservatori. Dagli esperimenti considerati è emerso che per i compiti inerenti i gruppi il group layout è quello preferito in assoluto dagli osservatori, ed è anche quello che conduce a performance migliori; questo suggerisce la sua superiorità nel comunicare informazioni sui cluster. Mentre per i compiti inerenti l’individuazione di nodi importanti, l’efficacia del layout radiale è opinabile. In realtà è il layout gerarchico ad avere il più elevato punteggio in termini di preferenza e anche quello che produce risposte più veloci. Ma l’accuratezza delle stesse non è sempre ottimale. La sovrapposizione di linee sembra non essere incidente su questo tipo di compiti, mentre lo è su quello di ricerca dei gruppi, anche se le persone sembrano comunque preferire anche layout per gruppi più densi. Sulla scorta di ciò che è emerso dalla carrellata di studi che abbiamo consultato, si possono evincere una serie di regole utili per il disegno dei grafi. Queste sono state proposte da Huang et al. 44 nell’ultimo studio da noi citato, alle quali però aggiungiamo le regole per evidenziare il cambiamento nelle relazioni del network emerse dallo studio di McGrath et al. 45 che dagli autori non è stato considerato. Le regole sono ordinate in ordine di priorità sia tra i cinque gruppi che all’interno degli stessi: 1. Regole non (a) Non distribuire i nodi a caso. (b) Non trattare i nodi (e i legami) in modo simile e non posizionarli come se fossero uguali . (c) Non accavallare i legami a caso. 44 45 cfr Huang W. et al., ibidem, pp. 414-415. Cfr McGrath et al., ibidem, 2004. 113 (d) Non utilizzare il layout circolare se vuoi comunicare qualcosa. 2. Regole indipendenti dal compito (a) Riduci il numero di sovrapposizioni. (b) Mantieni i legami brevi e i nodi adiacenti quando vi è una relazione. (c) Disponi le frecce in modo che puntino nella stessa direzione o secondo lo stesso modello. (d) Aggiungi delle indicazioni visuali quando è necessario. 3. Regole per evidenziare i gruppi (a) Aggrega i nodi che appartengono allo stesso gruppo. (b) Separa i gruppi spazialmente o dividili con confini. (c) Incrocia i legami in un gruppo per evidenziarne la forte relazione. 4. Regole per evidenziare l’importanza (a) Evidenzia l’importanza usando il layout gerarchico o radiale. (b) Aumenta la risoluzione angolare di un nodo. (c) Posiziona i nodi importanti in alto o al centro. (d) Separa i nodi importanti dagli altri. 5. Regole per la rappresentazione dinamica dei cambiamenti nel network (a) Utilizza il movimento invece della rappresentazione “prima e dopo”. (b) Migliora l’accuratezza utilizzando movimento e layout gerarchico per indicare lo status. Si ricordi inoltre che: - nell’individuare l’importanza di un nodo l’influenza della sovrapposizione di linee è minore rispetto all’individuazione di gruppi, almeno per network non molto estesi, - quando un nodo ha una prominence molto alta risente meno dell’influenza della posizione spaziale. 114 4.6) The explanatory visualization Nella visualizzazione di dati di network i risultati quantitativi dell’analisi sono dati, in genere, in forma tabellare. D’altro canto, gli indici aggregati sono insufficienti nel comunicare le informazioni strutturali contenute nel network. Sarebbe in tal senso desiderabile integrare la presentazione grafica con i risultati provenienti dall’analisi quantitativa. Questa è quella che alcuni autori, Brandes, Raab e Wagner 46 , chiamano explanatory visualization. Il loro approccio consiste nel contestualizzare i risultati provenienti dall’analisi parametrizzando il disegno grafico con proprietà strutturali. Si evince immediatamente l’utilità di un tale approccio, in quanto, essendo il grafo slegato da coordinate spaziali, trovare il modo di posizionare significativamente i nodi sulla pagina aumenta sia il potere esplicativo della visualizzazione sia la possibilità di replicarla. Da tempo, infatti, gli studiosi lamentano il fatto che pur in presenza degli stessi dati, utilizzando algoritmi diversi, si arriva a configurazioni di network anche molto differenti. Questa tecnica consentirebbe, appunto, di evitare tali diversità e con esse evitare che la percezione sia influenzata dalle diverse tipologie di layout dello stesso grafo. Un semplice esempio di explanatory visualization è quello di mostrare la media di una distribuzione di dati attributo che attraversa il diagramma a barre dei suoi valori costituenti., come in figura 54. In questo modo sia l’indice che i valori singoli sono più esplicativi. Figura 54 – Simultanea visualizzazione ella media e dei suoi valori costituenti 47 46 Cfr Brandes U., Raab J, Wagner D., “Exploratory network visualization: simultaneous display of actor status and connections”, Journal of Social Structure, 2, 2001. 47 Fonte: ibidem. 115 Il tentativo di un’explanatory visualization di un indice di un attore è stata proposta per la prima volta da Brandes et al. 48 quando hanno mappato la centralità strutturale di un nodo attraverso una centralità geometrica. Quella che noi ora proponiamo è il corrispondente metodo per visualizzare gli indici di status proposta successivamente dagli stessi autori. 49 Il primo studioso che ha cercato di mostrare simultaneamente lo status strutturalmente definito e le connessioni che lo determinano è stata la Northway. 50 Questa ha utilizzato righe orizzontali per indicare i quartili nei quali cadeva lo status sociometrico di un attore, come mostrato in figura 55. Figura 55 – Status delle scelte sociometriche di un attore focale 51 48 Cfr Brandes U., Kenis P., Wagner D., “Centrality in policy network drawings”, in Procedings of 7th International Symposium on Graph Drawing, 1999. 49 Cft Brandes U. et al., ibidem, 2001. 50 Cft Northway M. L., “A plan for sociometric studies in a longitudinal programme of research in child development”, Sociometry, 17(3), 1954, pp. 272-281. 51 Fonte: ibidem. 116 In questa figura viene però mostrato solo un attore focale con i suoi alters, forse perché la visualizzazione di un intero network in questo modo risultava essere molto difficoltosa. Negli stessi anni ’50, Katz sviluppò un indice di status che teneva conto delle scelte dirette fatte dagli alters ad un attore e anche la loro popolarità. Questo, spiegano gli autori, fu anche il momento in cui analisi formale ed esplorazione grafica iniziarono a divergere, e inevitabilmente Katz si schierò per la prima, promuovendo la rappresentazione dei network attraverso le matrici piuttosto che attraverso i sociogrammi. In generale, poiché i comuni algoritmi di layout non tengono conto dello status di un attore, per poterlo mostrare si usavano, e si continuano ad usare, stratagemmi, come: aumentare la dimensione dei nodi, inserire segni numerici sul network, o posizionarli al fianco di una figura, come in quella sottostante. Essa rappresenta il network informale di consiglio studiato da Krackhardt e utilizzato in alcuni dei precedenti studi empirici sulla percezione da noi prima citati. Figura 56 – Non explanatory visualization di un advice network 52 Indice di status di Katz 1.00 Nancy (secretary) 0.66 Donna (supervisor) 0.57 Manuel (manager) 0.19 Stuart (supervisor) 0.17 Charles (supervisor) 0.08 Kathy (secretary) Tanya (secretary) 0.02 Fred (auditor) Sharon (auditor) 0.0 Bob (auditor) Carol (auditor) Harold (auditor) Wynn (auditor) Susan (secretary) 52 Fonte: cfr Brandes U. et al., ibidem, 2001. 117 I colori dei nodi informano del diverso ruolo ricoperto dagli attori: blu per il manager, rosso per i supervisori, verde per i contabili, e giallo per le segretarie. Sebbene la figura sia molto leggibile, non comunica le interessanti informazioni di fondo. Non c’è alcun legame tra l’informazione a destra e ciò che è mostrato nell’immagine. Infatti, se provassimo ad invertire la direzione dei legami o se scambiassimo gli indici tra gli attori non vi sarebbe alcuna diversità nel disegno e tanto meno potremmo accorgerci dell’errore. Questo è molto in contrasto con le conclusione a cui siamo giunti dopo aver valutato gli studi empirici sull’influenza del layout sulla percezione dell’osservatore. In un ipotesi del genere il layout non sarebbe in grado di comunicare alcunché sulle caratteristiche sostantive del network che vuole rappresentare. Quindi non è un “buon layout”. Per migliorarne la percezione Krackhardt 53 dispose i nodi più nominati in alto, così da creare una gerarchia di consiglio informale che producesse un’implicita nozione di status. Il disegno di network così prodotto, manualmente dall’autore, è mostrato in figura 57. Figura 57 – Advice network con i nodi più nominati in alto 54 53 Cft Krackhardt D., “Social networks and the liability of newness for managers”, in Trends in organizational behaviour di Cooper C. L., Rousseau D. M., vol. 3, ed. Wiley & Sons, 1996, pp. 159-173. 54 Fonte: ibidem. 118 Secondo Brandes et al. tale approccio ha però delle limitazioni. La prima è che mappare lo status su una dimensione verticale è piuttosto arbitrario poiché non ci sono regole che stabiliscano quale debba essere l’esatta posizione dei nodi e il loro relativo ordine. Se avessimo avuto un network di attori la cui struttura relazionale era un ciclo direzionato, su che base avremmo scelto il nodo che doveva essere posizionato più in alto? La seconda limitazione riguarda il fatto che l’arrangiamento orizzontale dei nodi, che determina la leggibilità della configurazione, con questo metodo viene fatta a mano. Per superare tali limiti, gli autori propongono un’explanatory visualization, così da farsi guidare nella presentazione grafica dagli indici individuati nell’analisi. A tal proposito, essi suggeriscono di collocare gli attori su una posizione verticale che esattamente rappresenta il loro indice di status, e determinare la loro posizione orizzontale algoritmicamente in modo tale che l’intera visualizzazione sia leggibile. Attraverso questo approccio l’advice network di figura 57 viene così modificato (v. fig. 58). Figura 58 – Explanatory visualization dell’advice network di fig. 54 55 Fonte: Brandes U. et al., ibidem, 2001. 55 119 Alcune informazioni aggiuntive sono fornite mostrando gli attori con l’ellisse piuttosto che con il cerchio, infatti il raggio orizzontale e verticale della stessa sono determinati, rispettivamente, dall’indegree e dall’outdegree. Si noti che in tale rappresentazione di network, rispetto alla figura 54, Donna occupa una posizione verticale più alta rispetto al manager Manuel, infatti ha un indice di status più alto rispetto a quest’ultimo, poiché riceve l’unica citazione fatta da Nancy, il nodo con status più elevato. 56 In definitiva si può dire che questo approccio non solo migliora la comunicazione dei risultati dell’analisi, ma rende la pratica della visualizzazione uno strumento che facilita l’esplorazione delle caratteristiche strutturali del network e la scoperta di nuovi elementi prima non considerati. Risulta, quindi, esser utile per svariati motivi: - permette la visione chiara di un’intera struttura gerarchica, - rende più intuitiva la comprensione del differente status degli attori, se questo è determinato dalla scelta avuta da un singolo attore con un alto indice, o da più attori con un basso indice, - rende possibile l’analisi di chi causa la “gerarchizzazione” del sistema, - il ricercatore ha più velocemente accesso sia ai dati grezzi che a quelli aggregati, e quindi può facilmente controllare l’accuratezza degli stessi se ha dubbi sulla posizione di un attore, - evidenzia quelle che sono le caratteristiche fondamentali del grafo da comunicare. Un ultimo motivo, forse quello più auspicato dagli studiosi, è che permette di generare visualizzazioni uniformi dello stesso grafo, permettendo così la replicazione degli studi in toto, dall’analisi alla visualizzazione. Tali caratteristiche positive ci inducono a pensare che questo metodo di visualizzazione rappresenti un caso di quella che Tufte chiama “eccellenza grafica”, la quale consiste nel “comunicare idee complesse in modo chiaro ed efficiente”. 57 Egli spiega che, per essere considerate tali, le visualizzazioni 56 L’approccio descritto è implementato nel software Visone che è uno strumento per l’analisi e la visualizzazione dei network creato nel 2001 da Bauer et al.. 57 Tufte E. R., The visual display of quantitative information, Graphics Press LLc, Cheshire, Connecticut, 2001 ( 1983, I ed.), p. 13. 120 grafiche dovrebbero: mostrare i dati, indurre il lettore a riflettere sulla sostanza piuttosto che sulla metodologia, evitare distorsioni su ciò che i dati dicono, essere strettamente integrate con le descrizioni statistiche e verbali di un dataset, incoraggiare il confronto tra le diverse parti del testo, rilevare i dati a svariati livelli di dettaglio. 58 Tali peculiarità grafiche sembrano essere possedute dall’explanatory visualization, o almeno da quella dello status appena vista. Ci auguriamo, quindi, che gli sviluppi futuri nell’ambito della rappresentazione di network riguarderanno l’explanatory visualization di altri tipi di caratteristiche della rete, come le diverse tipologie di centralità, lo status, il clustering, che non hanno ancora un’immediata connotazione geometrica. 58 Cfr Tufte E. R., ibidem. 121 Conclusioni Di solito gli studi scientifici seguono uno specifico modello di diffusione: “una nuova prospettiva emerge in una determinata università, gli studenti di quella università sono formati secondo quella prospettiva e, al completamento dei loro studi, andando a lavorare in altre università indirizzano altri studenti verso questa nuova prospettiva e, in tal modo, essa si diffonde.” 1 L’analisi di rete sembra, invece, essere stata avulsa da questo modello. Essa, infatti, nel tempo, si è sviluppata in discipline differenti e in numerose università situate in paesi diversi. Il nostro interesse per questo tipo di analisi, alternativa o complementare rispetto a quella utilizzata nella ricerca sociale standard, è scaturito dalla tipologia di rappresentazioni che utilizza per mostrare i risultati di ricerca. Ma prima di arrivare al nostro interesse primario, abbiamo voluto ripercorrere quelle che sono state le tappe fondamentali dell’evoluzione della Social Network Analysis, anche per capire cosa si può indagare con questo metodo e, quindi, che tipo di dati vengono mostrati nelle visualizzazioni che comunicano i risultati di ricerca. L’analisi di rete si fa risalire agli anni ’30, quando Moreno disegna i primi sociogrammi, inerenti le interazioni di gruppi e successivamente le scelte sociometriche fatte da questi. Nello stesso periodo anche un altro gruppo di ricercatori iniziò a pensare alla società in termini relazionali. Questi erano legati attorno alla figura di Warner, il quale viene ricordato per il prezioso contributo dato all’ormai famoso progetto Hawthorne, durante il quale si scoprì che sono le relazioni informali, diverse da quelle prescritte dall’organigramma aziendale, che influenzano i comportamenti degli individui e quindi la loro produttività. Negli anni ’40 e ’50 si ricordano i contributi di Lewin e dei suoi allievi, in particolare Cartwright, Festinger e Harary, il cui merito è quello di aver capito che rappresentare le relazioni interpersonali effettive di un gruppo sotto forma di grafo, significava poter applicare ad essi la matematica derivante da quella Teoria e descriverne, in tal modo, le proprietà. Questo collegamento ha permesso lo sviluppo in termini matematici dell’analisi di rete, spingendo la sua affermazione 1 Cft Mullins N., Mullins C., Theories and theory groups in contemporary American sociology, Harper & Row, NY, 1973, cit. in Freeman L. C., Lo sviluppo dell’analisi delle reti sociali. Uno studio di sociologia della scienza, Franco Angeli, Milano, 2007, p.165. 122 in quanto paradigma. Degli stessi anni sono anche i lavori fatti dagli antropologi britannici, uno di essi, Barnes, è stato il primo che ha parlato di rete per spiegare la fitta rete di relazioni della vita sociale, di cui, però, quelle informali ne costituiscono solo una piccola parte. È solo alla fine degli anni ‘60 che si ha la cd. “svolta”, i sociologi di Harvard, con i loro numerosissimi lavori, riescono a far comprendere alla società scientifica che l’analisi delle reti sociali permette lo studio delle proprietà globali della rete in tutti i campi della vita sociale. È vero anche, però, che con essi si arriva ad un elevato formalismo matematico, che secondo alcuni rischia di slegare i rapporti studiati dalla realtà sociale che rappresentano. Per una completezza dello studio, prima di arrivare a quello che era il nostro specifico oggetto di indagine, la visualizzazione delle reti, abbiamo affrontato, nel secondo capitolo, quello che è il metodo della Social Network Analysis. Rifacendoci al “circuito della ricerca” proposto da Bailey, ne abbiamo ripercorso le tappe. In ciò si deduce come la ricerca di rete non si discosti molto dalle ricerche standard, se non fosse per il fatto che alcuni elementi si complicano. In particolare abbiamo affrontato il problema della determinazione dell’oggetto d’analisi, le relazioni sociali, e di quella dei confini. Seguendo il percorso determinato dalle fasi di ricerca, abbiamo mostrato brevemente la modalità di raccolta dei dati e quella di analisi, presentando alcune misure di rete. L’ultima fase della ricerca, quella della visualizzazione dei risultati, l’abbiamo affrontata nel capitolo terzo. Attraverso i sociogrammi è possibile far emergere la fitta rete di relazioni in cui siamo immersi, che influenza le nostre decisioni, ma che allo stesso tempo, può essere utilizzata per raggiungere gli scopi prefissati. La configurazione di rete, il grafo, permette di mostrare, contemporaneamente, sia il network nella sua totalità sia una parte dello stesso, o addirittura le relazioni di uno specifico individuo. Oltre ad avere un potere descrittivo, questo tipo particolare di rappresentazione grafica, ha anche un forte potere esplicativo. Dall’osservazione della rete è possibile scoprire dei collegamenti che dall’analisi potrebbero non emergere. Nel capitolo, abbiamo ripercorso quelle che sono state le varie fasi di sviluppo della visualizzazione di sociogrammi, dai primi disegni fatti a mano all’utilizzo dei più moderni software per l’analisi e la raffigurazione 123 di dati relazionali. Abbiamo affrontato brevemente quella che è la questione della rappresentazione di network complessi, proponendo delle soluzioni per ridurre tale complessità. Abbiamo, infine, discusso di quelle che sono le convenzioni grafiche e delle variabili visive più usate. La modalità di layout più diffusa è quella a due dimensioni, nella quale le caratteristiche di rete vengono evidenziate attraverso determinate variabili visive, come il colore, la dimensione e la forma dei nodi, lo spessore delle relazioni, etc. A differenza delle altre tipologie di rappresentazioni, per la visualizzazione dei grafi non è necessario stabilire le coordinate spaziali, perché ciò che importa è il modello delle relazioni tra i nodi anziché la loro disposizione sulla pagina. Questa caratteristica determina il fatto che uno stesso insieme di dati può essere rappresentato anche da grafi tra loro molto differenti, ognuno con la propria capacità di comunicare, più o meno bene, le informazioni importanti sul network. Non ci sono, quindi, delle regole che stabiliscono quando una configurazione può essere definita un “buon layout”, molti autori, però, concordano col dire che la bontà di una rappresentazione di rete si vede con la capacità che ha la stessa di far percepire, chiaramente e immediatamente, le cose giuste sul network mostrato. La necessità di una rappresentazione che mostri il reale, si sente soprattutto quando l’analisi di rete viene utilizzata per poter prendere delle decisioni riguardo al network, come si fa quando la si applica allo studio delle relazioni intra-organizzative. Da una percezione errata può derivare una decisione errata, con conseguenze che possono comportare la riduzione delle performance aziendali. Nell’ultimo capitolo, il quarto, sono state suggerite, quindi, delle regole per poter generare un buon layout di rete. Tenendo conto di quelli che sono stati i risultati degli studi sull’influenza del layout sulla percezione delle caratteristiche dei network, abbiamo proposto cinque tipi di regole: le cose da non fare, le regole generali, quelle per rappresentare i gruppi, quelle per rappresentare l’importanza di un nodo, e infine, quelle per mostrare i cambiamenti nel network. In ultimo, abbiamo mostrato un esempio di ciò che Tufte chiama “eccellenza grafica”: l’explanatory visualization dello status degli attori. Questa è una modalità di visualizzazione che permette di contestualizzare i risultati provenienti dall’analisi parametrizzando il disegno grafico con proprietà strutturali. Nel caso specifico da 124 noi considerato, questa visualizzazione veniva prodotta posizionando verticalmente i nodi in base al proprio indice di status, mentre l’arrangiamento orizzontale era determinato algoritmicamente in modo da renderla il più leggibile possibile. Questa modalità di visualizzazione riesce a mostrare i dati reali, induce il lettore a riflettere sulla sostanza piuttosto che sulla metodologia, evita distorsioni su ciò che i dati dicono, è strettamente integrata con le descrizioni statistiche e verbali di un dataset, incoraggia il confronto tra le diverse parti del testo, e rileva i dati a svariati livelli di dettaglio. Tutte queste caratteristiche le conferiscono, secondo noi, lo status di “eccellenza grafica”. In conclusione possiamo dire che la Social Network Analysis ha come merito quello di aver operativizzato una metafora, permettendo di uscire dalla prosa evocativa e di affrontare il tema dell’esistenza delle reti sociali e della loro possibile rilevazione e descrizione. Inoltre ha permesso l’utilizzo di indici capaci di analizzare contemporaneamente la dimensione macro e micro dell’analisi senza cambiare logica di ricerca. I limiti consistono, invece, nel fatto che alcune volte c’è un rapporto troppo debole tra concetti operativi e teorie sottostanti, e inoltre quelli più grandi, per alcuni, riguardano la questione dell’impossibilità dell’inferenza statistica. In ogni caso gli sviluppi futuri riguarderanno, probabilmente, l’utilizzo più strettamente complementare tra metodi di ricerca standard e metodo dell’analisi di rete, lo sviluppo di metodi di raccolta che migliorino le possibilità di studiare i network in maniera dinamica, la creazione di software unici che permettano l’analisi e la visualizzazione di grandi moli di dati, e, in ultimo, l’applicazione dell’explanatory visualization come metodo per rappresentare le reti in modo che le caratteristiche principali siano immediatamente percepibili. Bibliografia Almack, “The influence of intelligence on the selection of associates”, in School and Society 16, 1922. Amaturo E., Capitale sociale e analisi di rete: un rompicapo metodologico, in “Inchiesta”, XXXIII, n. 139, gennaio-marzo, 2003. Anceschi G., L’oggetto della raffigurazione, EtasLibri, Milano, 1992. Barabasi, Linked, Einaudi, 2004. Barbieri P., “Non c’è rete senza nodi. Il ruolo del capitale sociale nel mercato del lavoro”, in Stato e mercato, n. 49, 1997. Id., “Il tesoro nascosto. La mappa del capitale sociale in un’area metropolitana”, in Rassegna Italiana di Sociologia, 38, 1997. Id., “Capitale sociale e lavoro autonomo: un esperimento di network analysis e alcune considerazioni”, in Inchiesta, XXXIII, gennaio-marzo, 2003. Barnes J.A., “Class and Committees in a Norvegian Island Parish”, in Human Relations, 7, 1954. Bailey K.D., Metodi di ricerca empirica, Il Mulino, Bologna, 1982. Bender-de Moll S., McFarland D.A., “The art and science of dinamic network visualization”, JoSS, 7, 2006. Bianco M. L., Classi e reti sociali, Il Mulino, Bologna, 1996. Bott H., “Observation of play activities in a nursery school”, in Genetic Psycology Monographs 4, 1928. Brandes U., Kenis P., Wagner D., “Centrality in policy network drawings”, in Procedings of 7th International Symposium on Graph Drawing, 1999. Brandes U., Raab J., Wagner D., “Exploratory network visualization: simultaneous display of actor status and connections”, Journal of Social Structure, 2, 2001. Buchanan M., Nexus, Mondatori, 2003. Cartwright D., Harary F., “Structural Balance: a Generalisation of Heider’s Theory”, Psychological Review, 63, 1956. Chiesi A. M., L'analisi dei reticoli, FrancoAngeli, Milano, 1999. Collins R., Theoretical Sociology, Hancourt Brace Jovanivich, Orlando, 1988; trad. It. Teorie sociologiche, Il Mulino, Bologna, 1992. Davis A. et al., Deep South, The University of Chicago Press, Chicago, 1941. Diani, “I movimenti come reti”, in Rassegna Italiana di Sociologia, 36, 1995. Di Nicola P., L’uomo non è un’isola, FrancoAngeli, Milano, 1986.; Id., (a cura di) “Analisi ed intervento di rete: il caso della famiglia”, in La ricerca sociale, 45, 1991. Id., La rete: metafora dell'appartenenza. Analisi strutturale e paradigma di rete, FrancoAngeli, Milano, 1998. Follis M., “Introduzione” a M. Granovetter, La forza dei legami deboli e altri saggi, Liguori, Napoli, 1998. Freeman L. C., The Development of Social Network Analysis. A Study in the Sociology of Science, Empirical Press, Vancouver, BC Canada, 2004; trad. It. a cura di Memoli, Lo sviluppo dell’analisi delle reti sociali. Uno studio di sociologia della scienza, Franco Angeli, Milano, 2007. Id., “Visualizing Social Network”, Journal of Social Structure, vol.1(1), 2000. Friedman R. et al., “Social capital and career mobility”, Journal of Applied Behavioral Science, 33, 1997. Hilferding R., Il capitale finanziario, Feltrinelli, Milano, 1961. Hobson J. A., The evolution of Modern Capitalism; A Study of Machine Production, Allen & Unwin, Macmillan, London, New York, 1884/1954. Homans G. C., The Human Group, Routledge and Kegan Paul, London, 1951. Huang W., Hong S., Eades P., “Effects of sociogram drawing conventions and edge crossing in Social Network Visualization”, Journal of Graph Algorithms and Applications, vol. 11, n. 2, p. 397- 429. Kapferer B. , Norms and the Manipulation of Relationships in a Work Context, in Mitchell, Social Networks in Urban Situations, Manchester University Press, Manchester, 1969. Krackhardt D., “Social networks and liability of newness for manager”, in Cooper e Rousseau, Trends in organizational Behavior, vol. 3, John Wiley & Sons Ltd., 1996. Laumann E.O., Prestige and Association in a Urban Community, Bobbs-Merril, Indianapolis, 1966. Leavitt H. J., “ Some effects of communication patterns on group performance”, in Journal of Abnormal and Social Psycology, 46, 1951. Lomi A. Reti organizzative: teoria, tecnica e applicazioni, il Mulino, Bologna, 1991. Id., (a cura di) L’analisi relazionale delle organizzazioni: riflessioni teoriche ed esperienze empiriche, il Mulino, Bologna, 1997. Lundberg G. A., Steel M., “Social attraction-patterns in a village”, Sociometry, 1, 1938. Marmo R., Valle M., “Visualizzazione scientifica: un aiuto per capire”, Mondo digitale, n. 4, dicembre 2005, pp. 45-58. Mattioli , Sociometria delle reti sociali, relazione presentata al Convegno “Analisi di rete e disuguaglianze sociali”, Bertinoro, 27-28 settembre 1996. Mazza R., La rappresentazione grafica dell’informazione, ApogeoEbook, 2007. McGrath C., Blythe J., Krackhardt D., “Seeing groups in graph layouts”, Connections, 19(2), 1996, pp. 22-29. Id., “The effect of spatial arrangement on judgements and errors in interpreting graphs”, Social Networks, 19(3), 1997, pp. 223-242. Id., “Visualizing complexity in networks: seeing both the forest and the trees”, Connections, 25(1), 2003. McGrath C., Blythe J., “Do you see what I whant you to see? The effect of motion and spatial layout on viewer’s perceptions of graph structure”, JoSS, 5, 2004. Milgram S., “The Small World Problem”, in Psychology Today, 22, 61-7, 1967. Mitchell J. C., Social Networks in Urban Situations, Manchester University Press, Manchester, 1969. Moreno J. L., Who Shall Survive?, Nervous and Mental, Disease Publishing Company, Washington, DC, 1934; trad. it. Principi di psicoterapia di gruppo e sociodramma, Etas Kompass, Milano, 1964. Morgan L.H., League of Ho-dé-no-sau-nee or Iroquois, Sage, Rochester, NY, 1851. Id., Systems of Consanguinity and Affinità of Human Family, University of Nebraska, Lincoln, NE, 1985/1997. Mullins N., Mullins C., Theories and theory groups in contemporary American sociology, Harper & Row, NY, 1973. Mutti A., Il buon vicino, Il Mulino, Bologna, 1992. Id., Reti sociali: tra metafore e programmi teorici, in “Rassegna Italiana di Sociologia”, n. 1, Anno XXXVII, 1996. Northway M. L., “A plan for sociometric studies in a longitudinal programme of research in child development”, Sociometry, 17(3), 1954, pp. 272-281. Piselli F., (a cura di), Reti. L’analisi di network nelle scienze sociali, Donzelli, Roma, 1995. Id., “Esercizi di network analysis a Napoli”, in Rassegna Italiana di Sociologia, 37,1996. Id., “ Il network sociale nell’analisi del potere e dei processi politici”, in Stato e Mercato, 50,1997. Proctor C., “Informal social systems”, in Loomis et al. Turrialba, IL. Free Press, Glencoe, 1935. Roethlisberger F. J., Dickson W. J., Managment and the worker, Harvard University, Cambridge, MA, 1939. Salvini A.," Progettare in rete", in Toscano, M. A. (a cura di), Introduzione al servizio sociale, Laterza, Bari, 1996 Id., L’analisi delle reti sociali. Risorse e meccanismi, PLUS, Pisa, 2005 Id., (a cura di), Analisi delle reti sociali. Teorie, metodi, applicazioni, Franco Angeli, Milano, 2007. Scott J., Social Network Analysis. A Handbook, Sage Publications Ltd, London, 1991, trad. it. (Amaturo) L’analisi delle reti sociali, Carocci, Roma, 2003. Simmel G., Sozologie. Untersuchungen uber die Former der Vergesellschaftung, Duncker & Humblot, Leipzig,1908; ed. it. Sociologia, Einaudi, edizioni di Comunità, Milano, 1998. Sprenger C. J. A., Stockman F. N. ( a cura di ), Gradap. Graph Definition and Analysis Package. User’s Manual, ProGramma, Groningen, 1989. Tufte E. R., The visual display of quantitative information, Graphics Press LLc, Cheshire, Connecticut, 2001 ( 1983, I ed.). Vargiu A., Il nodo mancante. Guida pratica all’analisi delle reti per l’operatore sociale, FrancoAngeli, Milano, 2001. Id., Analisi di rete. Opzioni metodologiche e strumenti per la ricerca sociale, Quaderni di ricerca, 5°-s, Dipartimento di Economia Istituzioni Società, Università di Sassari, Sassari, 1998. www.casaleggio.it, “Il social network dei blog italiani”, febbraio 2005.