A Lorenzo,
che è stato con me tutto il tempo
e mi sorride ogni giorno.
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INDICE DEI CONTENUTI
Prefazione
CAPITOLO 1
Primi passi: dall’italiano all’inglese
senza soffrire troppo
PAG. 8
Perché questo testo?
L’inglese: come, perché e soprattutto... perché no?
Imparare una nuova lingua:
contesto generale e punti di riferimento
Che inglese vogliamo imparare?
Alcuni riferimenti internazionali:
il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (CEFR)
e gli esami Trinity GESE
La storia insegna:
l’albero genealogico dell’inglese
L’A, B, C…
Cerchiamo di capire meglio con cosa abbiamo a che fare
Prima di proseguire oltre...
un piccolo glossario di termini utili!
CAPITOLO 2
Fuoco alle polveri!
PAG. 35
I pronomi soggetto
Il verbo
Il Simple Present: significato
Morfologia: la strada del verbo essere
Aggettivi di nazionalità
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Question words
Aggettivi possessivi
Personal information
Numeri cardinali
Greetings – Forme di saluto
There is / there are
Colours
Summary (tabelle di riassunto)
Indicazioni generali
Tips (consigli)
CAPITOLO 3
Parole, parole, parole…
e anche qualche nuovo verbo!
PAG. 101
I sostantivi
Le maiuscole
Il plurale
Sostantivi numerabili e non numerabili
Sostantivi collettivi
Gli aggettivi (e simili…)
Posizione degli aggettivi/attributi di
un nome
Nomi composti
L’ordine degli attributi
Elementi determinativi
Gli articoli
THE (il, lo, la, i, gli, le)
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A / AN (un, uno, una)
I dimostrativi (this/that/these/those)
Simple Present dei verbi diversi da essere
Daily routine: vocabolario
Il modo imperativo dei verbi
TRINITY GESE GRADE 1
Quello che serve per passare l’esame
PAG. 132
L’esame: come e perchè
Animali
Parti del viso e del corpo
Capi d’abbigliamento
Oggetti di uso comune nell’ambiente che ci circonda
Come si svolgerà l’esame
Siti utili
Ringraziamenti
L’autrice
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Prefazione
Forza e coraggio!
Molti di noi pensano che imparare una lingua straniera equivalga ad una gran
faticaccia, una vera impresa... ma posso garantire che non è poi così dura e la
maggior parte delle volte il gioco vale la candela. Per essere sicuri di partire col piede
giusto e non farsi prendere dal panico ci sono alcune considerazioni che ci conviene
fare prima di accettare la sfida. In primo luogo è dimostrato che conoscere più di una
lingua oltre alla propria lingua madre (dialetti compresi) facilita l'apprendimento. Se
abbiamo già faticato per imparare una lingua seconda, la prossima volta che ci
troveremo a dover imparare un nuovo linguaggio sarà tutta in discesa! E diciamocelo,
chi di noi non mastica qualche parola di dialetto? Chi non ha studiacchiato i
rudimenti dell'inglese o del francese a scuola? Per capirci, prendiamo l’esempio di
un’auto e di un qualsiasi ciclomotore a marce. Chi ha già guidato in strada la propria
vespa farà meno fatica ad abituarsi all’auto, perché i meccanismi e le strategie di base
sono simili. Chi non ha mai nemmeno guidato una bicicletta o uno scooter sarà alle
prese con una realtà completamente nuova. Dovrà imparare il codice della strada,
imparare a valutare gli spazi e le velocità dei mezzi in movimento, infine dovrà
prendere confidenza con il traffico e con un voluminoso mezzo di trasporto. Forse
non ci sembrerà di fare meno fatica, perché la sfida è comunque impegnativa e
apparentemente nuova, ma perfino i nostri dialetti in realtà ci danno una marcia in
più!
Nonostante tanti possano già godere di questo vantaggio linguistico, è
comunque necessario applicarsi per ottenere buoni risultati. Imparare una lingua è un
po' come avvicinarsi ad un nuovo sport o ad un nuovo gioco di carte. Ogni pratica ha
le sue regole; sebbene due giochi possano sembrare simili, come per esempio la
pallavolo e la pallamano, oppure possano utilizzare le stesse carte, come il ramino ed
il bridge, le regole da seguire per vincere la partita sono differenti. Chi pretende di
giocare una partita di pallavolo applicando le regole della pallamano non potrà mai
vincere. Allo stesso modo non ci si può avvicinare all’inglese seguendo le regole
dell'italiano, sebbene l’alfabeto sia più o meno lo stesso e alcune parole siano simili
(immaginate di dover imparare il russo, che ha addirittura un alfabeto completamente
diverso!). In realtà è meglio pensare all'inglese come ad un nuovo gioco di cui non si
conoscono le regole. Solo in questo modo, senza lasciarci influenzare troppo dalla
nostra prima lingua, potremo diventare dei buoni giocatori ed ottenere risultati
soddisfacenti. Non dimentichiamo poi che i migliori giocatori sono generalmente
coloro che hanno molta esperienza e quindi si allenano spesso, facendo quanta più
pratica possibile. E' molto importante coltivare la propria determinazione ed esporsi il
più possibile all'inglese! Leggere, ascoltare, completare esercizi... tutto questo è
fondamentale.
Al giorno d'oggi è facile trovare materiale per fare pratica: la tv a pagamento
offre innumerevoli canali e programmi che possono essere visti in lingua originale,
internet è una fonte inesauribile di file video, audio e di esercitazioni e le librerie
sono piene di testi propedeutici. In questo panorama variopinto gli insegnanti
fungono da guida, indicando le direzione da seguire ed aiutando gli studenti a
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scegliere il materiale più appropriato per il proprio livello. Questa grande varietà di
stimoli è infatti una vera ricchezza! Fortunatamente stiamo parlando di apprendere
una lingua e le lingue sono fatte per descrivere ogni aspetto della vita, sia a livello
umano che sociale. Questo significa che con ogni probabilità qualcuno ha prodotto
materiale in lingua inglese che riguarda proprio il campo di studio che ci è più
congeniale. Se la nostra passione è il calcio allora sarà molto più facile e stimolante
cercare di leggere un articolo sportivo piuttosto che un trattato di grammatica. E
allora perché non tentare di leggerlo in inglese? All'inizio è piuttosto difficile, perché
quando ci si misura con le basi di una lingua gli strumenti a disposizione sono limitati
e così anche gli argomenti che si possono affrontare. Eppure un margine di scelta c'è
sempre, anche quando si è solo agli inizi... basta solo non perdersi d'animo. Per
l’inglese poi, una lingua parlata e insegnata da tantissime persone, c’è una grande
abbondanza di materiale semplificato e adatto ad ogni livello. Questa sfida, quindi,
non è affatto impossibile! Non è nemmeno una passeggiata, ma ci sono tanti fattori
che giocano a nostro vantaggio. Basta un poco d’interesse, impegno e buona volontà
per ottenere risultati. Insomma, se siete pronti a mettervi (o rimettervi) in gioco, vi
aspetto nelle prossime pagine...
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CAPITOLO 1
Primi passi: dall’italiano all’inglese
senza soffrire troppo.
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Perchè questo testo?
Il desiderio di scrivere per insegnare mi è venuto in seguito al confronto con
tanti studenti, di diverse età. Come insegnante, il mio cuore va a tutti coloro che
hanno sempre faticato con l’inglese, spesso per ragioni che non dipendono
interamente da loro. C’è una vasta categoria di persone là fuori che vorrebbe sapere
un po’ d’inglese, magari tenta qualche approccio alla materia e poi lascia perdere.
S’incagliano alle prime fasi dell’apprendimento, perdendo motivazione e
compromettendo le proprie possibilità di riuscita. Vi sentite tirati in causa? Ebbene,
come si fa a raggiungervi tutti e rimettervi in sesto? In realtà basta poco. Una mano
per rialzarsi, un buon paio di scarpe, uno zaino pieno di provviste e sarete, anzi,
saremo pronti per riprendere il cammino senza scoraggiarci, senza più sentirci da
meno e scegliendo liberamente sia i nostri compagni di viaggio che la direzione da
prendere. Una volta rotto il ghiaccio sarà tutto più facile; per scegliere con
entusiasmo una scuola, un gruppo, un insegnante e un percorso basta riuscire a
raggiungere la riva e toccare terra. Compiuto il primo, lungo passo sarete in grado di
trovare la vostra strada, se vorrete proseguire.
La mia intenzione è proprio quella di fornire uno strumento di facile
consultazione per tutti coloro che vorrebbero compiere quel primo passo, colmando il
vuoto che li separa dal comprendere, imparare ed apprezzare l’inglese. Mi rivolgo
quindi a tutti voi, che siete rimasti a guardare dall’altra sponda, e vi offro un
passaggio al di là della Manica. Non ho la bacchetta magica e non sono
un'enciclopedia vivente, quindi non posso garantirvi nulla... ma posso condividere
quello che so ed il frutto delle mie esperienze in classe, nella ferma convinzione che a
qualcosina serviranno di certo! In effetti insegnare è un bellissimo mestiere, quasi una
missione, e se le cose vanno per il verso giusto chi impara di più è quasi sempre
l'insegnante. La parte più interessante dell'intero processo è lo studente, maestro
inconsapevole e prezioso. Giovane o maturo, estremamente competente o appena agli
inizi, lo studente è sempre un mondo da scoprire. Bisogna capire quanto e cosa sa,
fino a che punto è cosciente delle proprie capacità o competenze acquisite e
soprattutto cosa pensa dell’inglese. Per alcuni è tutto semplice e divertente, per altri
esattamente il contrario. Un insegnante poco azzeccato, una classe appesantita dalla
presenza di studenti con abilità troppo diverse tra loro, una piccola difficoltà iniziale
mai guarita… basta poco per corazzare lo studente, che reagisce alle situazioni
spiacevoli a seconda della propria personalità. Alcuni vivono l’ostacolo come una
sfida e si applicano duramente, altri si chiudono in se stessi o cedono le armi,
sentenziando di non essere portati per le lingue o addirittura di averle odiate fin dal
principio. E voi, che studenti siete? Come avete reagito all'inglese finora?
In realtà imparare una lingua straniera è un percorso di crescita e di apertura
mentale, uno slancio verso nuove forme e nuovi modi di pensare. Sembra una
banalità e quelli tra voi che hanno già voltato le spalle all’inglese (o che lottano anno
dopo anno accontentandosi della sufficienza) inarcheranno a questo punto le
sopracciglia, pensando di aver già sentito questa bella favola, che non si è mai
tradotta in realtà. Lo scopo di questo testo però è convincere tutti voi studenti, spesso
scettici e sfiduciati, a fare un ultimo tentativo… a concedere alle lingue straniere, e in
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particolare all’inglese, un’ultima chance.
Prima di entrare nel vivo ci tengo a precisare che questo libro non ha nessuna
pretesa di onniscenza. Il frutto delle mie riflessioni ed esperienze vuole essere
condiviso con un po’ di leggerezza, senza per forza essere esaustivo, definitivo e
soprattutto scientifico: questo testo generalizza di proposito per semplificare la vita ai
non addetti ai lavori che non hanno mai saputo fare amicizia con l’inglese. Qualche
competenza è stata messa in campo (spesso entrando nel dettaglio, per cercare di
essere precisi) ma il libro si basa sulle mie conoscenze, che sono e mi auguro saranno
sempre in continuo miglioramento. Io stessa in realtà sono uno studente ed intendo
continuare ad esserlo per lungo tempo. Sono qui per condividere il mio bagaglio, ma
là fuori ci sono molte persone più ricche di me e sarei ben felice di ricevere appunti,
correzioni e precisazioni in merito ad ogni aspetto del testo che necessitasse revisione
o suscitasse un dibattito.
L’inglese: come, perchè e soprattutto... perchè no?
Il succo di tutto quello che c’è da sapere sull’inglese è che pare sia ormai
parlato da circa un miliardo di persone nel mondo. Lo parlano in tanti, lo capiscono in
tanti, può salvarci da un disastro in terra straniera oppure rendere le nostre ferie
indimenticabili. Al giorno d’oggi l’inglese è capire cosa succede anche quando non si
ha a che fare con il mondo che si conosce, venire assunti più facilmente, poter
studiare o lavorare anche all’estero e soprattutto conoscere cose, persone e culture
nuove. Suona così male?
A mio parere l’inglese dovrebbe essere imparato soprattutto per usarlo, per
parlarlo e per farsi capire. Una volta fuori dalla classe, che sia una classe serale per
adulti o una classe di scuola superiore, cosa serve agli studenti? Conoscere a memoria
tutte le eccezioni di una regola? Sapere cos’è un gerundio? Non tanto, no. Quello che
serve è poter avere una conversazione, di lavoro o piacere, poter prenotare un hotel
per le vacanze, capire cosa mangiare e dove trovare una banca o un ufficio postale
quando ci si reca all’estero. Come molti insegnanti credo fermamente nella precisione
e nell’accuratezza grammaticale; più a fondo si conosce una lingua, meglio ci si
esprime e le possibilità, siano esse lavorative o di altro genere, aumentano
proporzionalmente. Non dico che la grammatica sia inutile, anzi. Dico solo che
bisognerebbe concentrarsi sulla grammatica come aiuto per imparare a parlare e
capire la lingua, non come fine ultimo dello studio! Non aboliamo la grammatica…
rimettiamola solo al suo posto.
Di sola grammatica non si vive (e certamente di grammatica non è mai morto
nessuno!) ma purtroppo lo stereotipo dell’italiano “sbruffone” e sgrammaticato che si
compiace del proprio inglese, magari pronunciato con un perfetto accento italiano, in
tanti casi è una realtà. Molti stranieri mi hanno confermato, nel tempo, di aver
incontrato numerosi italiani che rispondono a questa descrizione poco lusinghiera.
Insomma, se siamo poco preparati e abbiamo una pronuncia perlopiù zoppicante
almeno cerchiamo di essere umili: non contribuiamo a consolidare stereotipi che non
ci rendono onore. Non c'è ragione di buttarsi giù, basta rendersi conto dei propri
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limiti (è sufficiente fare qualche confronto tra il nostro inglese e l’inglese parlato, per
esempio, al nord Europa ed in varie zone del continente africano). Non dico di
confrontare noi stessi con una persona madrelingua; basta uno svedese che abbia
finito la scuola dell’obbligo per farci capire cosa significa parlare bene l’inglese come
seconda lingua. A quel punto, consci dei propri limiti, non bisogna fare altro che
dedicarsi di buon grado a colmare le proprie lacune, perchè l'italiano un po’ sbruffone
non è mica tutto da buttare...
Infatti l’italiano che risponde al cliché di parlante un poco arrogante e poco
comprensibile ha anche un grosso pregio: si lancia a capofitto, incurante dei pericoli.
Non sarà umile, il suo bagaglio comprende pochissima grammatica, ma almeno ci
prova ed in qualche modo se la cava. Che meraviglia, per un insegnante! Ecco che la
comunicazione, seppur imprecisa e un po’ sconnessa, viene resa possibile dalla
spavalderia. Un poco di competenze in più, allora, sommate al coraggio linguistico,
possono fare il miracolo. Uno studente di questo tipo non ha bisogno di essere
incoraggiato, ma solo di essere guidato nella direzione migliore. Tuttavia questa
situazione così favorevole, in cui uno studente spavaldo va solo ripulito ben bene e
dotato di maggiori conoscenze ed umiltà, non mi pare sia la regola. Ci sono tante
persone che non capiscono, non vengono aiutate a capire e che quindi non si lanciano
per niente.
Purtroppo, almeno da questo punto di vista, l’Italia sembra aiutarci poco. Il
nostro sistema educativo non pare granché studiato per incoraggiare gli studenti a
portare le lingue straniere nella loro vita quotidiana, a vederle più come un regalo e
un vantaggio piuttosto che come un peso inutile. Io stessa sono quasi caduta vittima
del sistema. Ero al secondo anno di università italiana, lingue e letterature straniere,
con buoni voti e una discreta fiducia nei miei mezzi. Mi sono ritrovata negli USA, a
tentare una conversazione con alcuni studenti, anch’essi stranieri (turchi e indiani), e
mi sono vergognata di me stessa. Questi ragazzi erano più giovani di me, di almeno
4-5 anni, e parlavano l’inglese che avevano imparato nel loro paese (neanche
all’università, ma alla scuola superiore!). Tra noi studenti italiani e questi ragazzi
c’era un vero abisso. Non è un ricordo piacevole. Non dico che fossero perfetti, ma
esprimevano i propri pensieri in un tempo più che accettabile per mantenere viva la
conversazione, non erano mai a corto di parole e capivano bene tutto quello che
veniva detto, anche quando erano alle prese con accenti molto diversi. Al di là delle
classiche frasi standard, che comunque dicevo con timidezza per via della mia
pronuncia (in cui avevo perso ogni fiducia appena sbarcata dall’aereo), la mia
capacità di comunicare s’incagliava nella ricerca delle parole, nel dubbio che fossero
o meno corrette, nella scelta di un tempo verbale che non fosse atrocemente fuori
luogo… per ogni mia frase, incerta e ridotta all’osso, loro ne avevano pronunciate
dieci. Quando ero pronta a ribattere, avendo finalmente formulato una
risposta/intervento accettabile, la conversazione si era in genere già spostata su
argomenti differenti. Che potevo fare? Sommergerli di casi, definizioni grammaticali,
spiegazioni ed eccezioni? Erano le uniche cose che forse conoscevo meglio di loro.
Eppure ho sempre avuto buoni insegnanti ed ottimi voti! Quello che mi è successo
succede a tanti. Penso che sia dovuto al fatto che molti di noi per lunghi anni hanno
imparato la grammatica inglese, ripetuta in italiano da insegnanti italiani, con
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pronunce per larga parte Italian-friendly. Abbiamo letto tanta letteratura e testi in
inglese, senza capirci gran che, per poi imparare a memoria qualche frase per
l’interrogazione. Conosciamo per filo e per segno le parole del testo di grammatica,
che ci descrivono con profusione di dettagli quando si usa il Present Perfect, e ci
occorrono almeno dieci minuti per decidere di usarlo in conversazione (ovvio…
prima bisogna ricordarsi tutta la lista dei casi in cui si usa ed essere sicuri che la
situazione attuale rientri in uno dei suddetti casi. E’ un lavoro che richiede un po’ di
sforzo…).
E’ però anche vero che gli studenti portati, quelli che si distinguono sempre
dalla media, non si fanno certo scoraggiare e ci arrivano lo stesso. I veri cervelli,
quelli fortunati e che hanno talento da vendere, imparano le lingue perfettamente e
alle volte fuggono dall’Italia per trovare la loro strada all’estero, dove ci sono più
possibilità e risorse. Questi ottimi cervelli difficilmente rientrano. Si è mai sentito
parlare di un’Italia che attira cervelloni stranieri o si riprende i propri? E dire che gli
studenti stranieri, così come accade in altri paesi, sarebbero una ricchezza per l’Italia
ed i suoi atenei e rappresenterebbero anche una fonte di guadagno. Perché allora
l’Italia non stabilisce protocolli e convenzioni internazionali che semplifichino le
procedure e favoriscano davvero la mobilità studentesca e lavorativa? Se l’hanno
fatto il Regno Unito e gli Usa, così come tanti altri paesi, perché non possiamo farlo
noi?
Insomma, il sistema educativo italiano secondo me non ci aiuta, e questo ve lo
concedo. E’ però doveroso aggiungere che in questi ultimi anni qualche tentativo di
revisione del sistema scolastico è stato effettuato, sebbene con esiti discutibili.
Vedremo poi che cosa ci porteranno le recenti riforme in campo educativo volute dal
governo. Speriamo che si rivelino un aiuto, anche se è ormai tardi per chi è già uscito
dalla scuola dell’obbligo oppure sta per uscirne. Qualunque sia la situazione, le
condizioni più o meno spiacevoli in cui versa il nostro ambiente educativo non sono
una valida scusa. L’Italia è piena di problemi, come tanti altri paesi, ma questo non
deve impedirci di allargare i nostri orizzonti e fare il meglio che possiamo, per noi
stessi!
E' in quest'ottica che mi rivolgo a tutti voi studenti sfiduciati, che mi leggete
guardinghi e poco convinti, voi, che non vedete l’ora di scoprire dov’è la fregatura.
Quante buone ragioni avete per non aver mai davvero imparato o voluto imparare
l’inglese (o un’altra lingua straniera)? Ognuno di voi ha le sue… non potrei mai
riuscire ad individuarle e controbatterle tutte. Una missione di questo genere
richiederebbe un libro a se! Facciamo così, allora. Fate una lista di tutte queste buone
ragioni, scritte su un bel foglietto in ordine d'importanza, ed usate la lista come
segnalibro. Se il valore ed il significato di ognuna delle vostre ragioni non saranno in
qualche modo diminuiti d’importanza entro la fine di questo libretto mettemi pure da
parte oppure regalate le mie parole a qualcun altro, perché vuol dire che come
insegnante non faccio al caso vostro!
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Imparare una nuova lingua:
contesto generale e punti di riferimento
E' ormai chiaro che il mio scopo è scrivere per gettare una ciambella a quegli
studenti italiani, rigorosamente principianti assoluti o quasi, che rischiano
l’annegamento in acque straniere. In realtà esistono molte strade per raggiungere chi
è alle prime armi; per coinvolgere queste persone, studenti arricchiti da un variopinto
background di esperienze sociali e scolastiche tipicamente italiane, occorre
gentilezza: bisogna prenderli rispettosamente per mano e condurli il più serenamente
possibile nel magico mondo della lingua inglese -. Tantissimi linguisti, studiosi ed
insegnanti si sono applicati per formulare, analizzare e codificare metodologie
efficaci, alcune anche molto diverse tra loro. Negli anni si sono modificati ed evoluti
anche gli obiettivi da raggiungere. In questo senso l’Unione Europea ha fatto grandi
cose, cercando di unificarci tutti nel perseguire obiettivi linguistici comuni e che
siano i migliori possibile. Ormai sono tutti d’accordo nel dire che lo studente va
compreso e rispettato, aiutato a formarsi in modo autonomo e costruttivo; la
motivazione e l’interesse sono fondamentali e bisogna assolutamente insegnare agli
studenti di lingua straniera ad usare la nuova lingua per comunicare.
In questo senso non credo che la maggior parte dei veri principianti italiani (o
almeno la maggior parte degli studenti principianti che ho conosciuto, soprattutto
quelli già sottoposti a qualche anno di scuola superiore) traggano immediati benefici
da metodi marcatamente grammaticali, che si concentrano principalmente sulle
strutture della lingua, tralasciando in genere la gentile arte della conversazione. Allo
stesso tempo, non credo nemmeno che molti di questi studenti siano del tutto pronti
per il puro approccio comunicativo. Questo ottimo metodo (o meglio gamma di
metodi) varia a seconda delle scuole di pensiero, ma in genere prevede lezioni con
insegnanti madrelingua o quasi che spiegano relativamente poca grammatica e invece
chiacchierano quasi esclusivamente in inglese. Con l’aiuto di vignette, dialoghi ed
esercitazioni interattive, questi insegnanti introducono in effetti intere frasi ed
espressioni che servono in molte situazioni quotidiane.
Nelle scuole private si tende a preferire e caldeggiare questo approccio, che è
certamente più simile all’apprendimento spontaneo che si verificherebbe se fossimo
costretti a (o avessimo l'opportunità di) vivere in un paese di lingua straniera (questo
approccio viene quindi contrapposto a quello tendenzialmente più grammaticale che
si preferisce nella scuola pubblica). Anche nei casi in cui l’approccio comunicativo è
un poco più concentrato sulla grammatica, avvicinandosi quindi a ciò che
conosciamo dai tempi della scuola dell’obbligo, è in realtà una metodologia fruttuosa
e divertente per chi qualcosina già la sa. Il vero principiante, quello che voleva partire
dall’Abc o che si porta dietro lacune fin dalle scuole medie, in genere si mette le mani
nei capelli e cede alla disperazione.
Questo succede, a mio parere, per varie ragioni. In primo luogo, il metodo
comunicativo è divertente e attuale, ma mette un sacco di carne al fuoco. Per poter
comunicare da subito occorre che le frasi siano semplici ma almeno intere e corrette!
Questo significa che una persona che voleva dapprima imparare le letterine
dell’alfabeto e poi (solo quando si sarebbe sentita pronta) come si dice buongiorno e
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buonasera, si ritrova invece a gestire nomi, pronomi, aggettivi, verbi, avverbi,
ausiliari, ecc… (ossia la maggior parte degli elementi grammaticali che compongono
una lingua, tutti insieme appassionatamente!). Il povero studente rischia di restare
spiazzato e fatica a gestire ed interiorizzare tutti questi contenuti; quando finalmente
gli pare di aver capito qualcosa si rende conto che l’insegnante è già passato all’unità
successiva. Questo, ne converrete, è deprimente e in genere ha come unico effetto
quello di scoraggiare lo studente (diverso sarebbe avere l’occasione di vivere in terra
straniera, dove l’esperienza quotidiana è totale e l’immersione linguistica è obbligata,
continua, necessaria ed associata a situazioni concrete che aiutano ad incidere termini
ed espressioni nella memoria…)
Ne consegue che un aspetto da non sottovalutare è la quantità di cose nuove
che un principiante si trova ad affrontare. Il livello principianti è in effetti un gradino
che mi pare molto più alto e difficoltoso dei successivi. Questo è rispecchiato anche
nel contenuto di tutti quegli esami che vengono sostenuti per ottenere certificazioni di
competenza della lingua inglese. Da quando la UE ha stabilito una scala unitaria che
classifica i vari livelli di padronanza delle lingue straniere, il programma dei corsi di
inglese per principianti è più o meno standard per tutti e comprende una lunga lista di
cose. Il programma A1, che costituisce appunto il primo livello, consente allo
studente che lo padroneggia di cavarsela in tante situazioni, ma proprio per questo
prevede tutta la fase di iniziale introduzione alla nuova lingua e a molti degli elementi
fondamentali che formano ogni frase. Per intenderci, imparare a scrivere richiede
molto più tempo e fatica di quanto sia poi necessario per imparare a scrivere una
poesia piuttosto che un tema. Con l’inglese è la stessa cosa: imparare ad orientarsi e
prendere confidenza con le parti e le regole della nuova lingua è più impegnativo di
quanto non sia aggiungere parole o elementi nuovi quando si hanno già solide basi.
La fatica più grossa è gettare queste basi e diventare padroni del mezzo; una volta che
si hanno i rudimenti, perfezionarsi e aggiungere conoscenza è un lavoro certamente
lungo, ma meno spaventoso. All’inizio è tutto nuovo, ma al termine del livello A1 le
cose cominciano poco a poco ad avere più senso, anche perché le lingue tendono ad
essere coerenti: le regole che valgono a livello base continuano spesso a valere anche
a livelli più alti.
Lo scompenso e la difficoltà rappresentati dalla conquista del primo grande
gradino introduttivo assumono un significato particolare per chi non ha mai davvero
studiato l’inglese. Se non si è mai studiata una lingua straniera o non si è mai andati
oltre un primissimo e timido approccio, la strada sembra tutta in salita. Veniamo
travolti da un mare di parole strane e regole che ci sembrano senza senso. Fatichiamo
a trovare una corrispondenza con l’unica cosa che conosciamo e che rientra nella
stessa categoria dell’inglese: l’italiano. E infatti, l’inglese e l’italiano sono due lingue
diverse. Ci sono punti in comune, ma ci sono anche molte differenze. Inoltre, come se
tutto questo non bastasse, ogni studente è un caso a se. La velocità di apprendimento
e la capacità di processare informazioni nuove in modo efficiente dipendono da
tantissimi fattori. L’età dello studente, il suo percorso scolastico e formativo in
genere, le sue esperienze passate, la sua personalità… tutto influenza
l’apprendimento. Se ci si trova ad affrontare un percorso in gruppo, come accade a
tante persone che si avvicinano all’inglese in età adulta e ai ragazzi che vanno a
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