le Notizie UNITRE Cesano Maderno - periodico a diffusione interna - aprile 2015 Ancora grazie professoressa Maderna S e è vero che il trascorrere del tempo offusca la memoria è altrettanto vero che gli aneddoti la vivificano. Ricordare la professoressa Maderna per me significa riscrivere attraverso gli aneddoti la genesi della nostra Unitre. Ottobre 1988. L’Unitrè della mia città stava diventando realtà. Ero stato sollecitato a programmare un incontro con il gruppo di encomiabili persone di buona volontà che avevano accolto con entusiasmo l’iniziativa e desideravano sottopormi il loro progetto organizzativo. Il gruppo era composto da: Savina Crippa, Emma Ascari, Francesco Disarò, Lucia Elli e Tina Cerati Maggi. Volti a me tutti noti per il loro impegno educativo nella nostra città. Avevamo a disposizione un gruppo altamente qualificato tanto che il coordinatore prof. Bolognini si rese conto che avremmo potuto attivare da subito la sede autonoma. In questo contesto la figura della professoressa Maderna emerge in tutta la sua dimensione. E’ il 1992, il professor Antonio Silva, socio fondatore e direttore dei corsi, a causa dei numerosi impegni scolastici ed extra scolastici non era più in condizione di dedicarsi al coordinamento dei corsi di fatto già organizzati dai nostri volontari. A sostituirlo occorreva una persona dotata di esperienza acquisita durante numerosi anni di vita scolastica. Mi viene consigliata la professoressa Letizia Maderna già nostra docente di Storia di Donne e Storia contemporanea, oltre a Cattedra di Poesia e Storia dell’arte. I corsisti che frequentavano le sue lezioni mi parlavano di lei con grande entusiasmo. A loro dire spiegava la storia dell’arte non solo a livello storico-cognitivo, cioè risalendo alla nascita, ai retroscena, all’evoluzione dei capolavori ma anche concretamente suggerendo le indicazioni utili per poterle visitare di persona. Le sue lezioni erano affollatissime perché la ricchezza della sua cultura veniva trasmessa con semplicità di linguaggio e sempre finalizzata ad esaltare il bello come perfezione sensibile. Alcune volte avevo la fortuna di incontrarla e ancora oggi ricordo una lunga piacevole conversazione sulla materia del suo insegnamento. La sua cultura era fondata sulla sensibilità quale manifestazione poetica. Mi confidava che trasmettere al corsista l’amore per il bello significava per lei esaltare le emozioni, nutrimento dello spirito e dell’animo. Argomentava con convinzione sostenendo che se l’arte ha per scopo principale ed immediato il sentimento del piacere, essa è estetica e come tale si sostanzia nel bello. Per lo stesso motivo richiamandosi a un concetto dell’Abbagnano sosteneva che la poesia intesa come stimolo o partecipazione emotiva, si identifica con l’empatia (intesa quale attività estetica) nel senso di proiezione delle emozioni del soggetto nell’oggetto estetico. Era il 2008 quando ci comunicò di porre fine alla collaborazione. Decidemmo di esternare pubblicamente il ringraziamento dell’Unitre durante l’abituale riunione di presentazione dei corsi nella sala Aurora del Palazzo Borromeo. Per la sua preziosa dedizione al nostro Ente si ritenne di testimoniare la nostra grande riconoscenza offrendo una rara pubblicazione sui capolavori architettonici di Milano. Sfogliando la pubblicazione ci manifestò il suo grande entusiasmo valutando il volume un prezioso documento utile per le sue ricerche sull’architettura milanese: l’avevamo resa felice perché miglior omaggio non potevamo fare. Ora non è più! Recandomi alla funzione religiosa per l’estremo saluto mi ritrovai con i fedelissimi sempre presenti coniugi Ascari e Disarò. Sull’altare il vessillo sociale testimoniava la nostra partecipazione alle onoranze funebri, onoranze che la sua città volle in forma solenne. La mistica compunta devozione dei presenti è stata un commovente viatico per la nuova vita verso la quale si era incamminata. A noi rimane una eredità di amore per l’arte e la poesia: amore che la nostra Unitre onorerà continuando a privilegiarlo nell’insegnamento condividendo la Sua convinzione che arte e poesia sono fonte di arricchimento della mente e dello spirito. Ancora grazie professoressa Maderna! Annibale Sivelli leNotizie Sommario Ancora grazie prof. Maderna Pro-memoria per la chiusura I carri armati della Teresina Dall’Islam di Maometto a quello d’oggi L’Occidente e la verità Diritti per i cristiani, per i musulmani… Domani vi ameremo Rubrica dei nonni La Sindone: un mistero che non smette… Il Crocifisso rotto Fantastiche donne italiane… I compiti a casa sono davvero una tortura? A proposito dei compiti a casa Momento di crescita educativa: i compiti Milano e la sua Expo L’Expo e la nostra polenta La storia dell’Expo Soltanto donna, sei In ricordo di Giovanni Perché tante persone intelligenti perdono soldi? I funghi nella storia UNIVERSITÀ DELLE TRE ETÀ Sede di Cesano Maderno Via Federico Borromeo, 11 20811 Cesano Maderno Tel. 0362 540 085 Fax 0362 585010 www.unitrecesano.it [email protected] Redazione Giuseppe Ascari Ferruccio Crenna Luciano Nardi Bruno Proserpio Anny Rossi [email protected] Grafica e impaginazione Giovanna Cesari Maria Spotti 2 1 2 3 4 5 6-7 8-9 9 10 11 12 13 14 - 15 15 16 17 18 -19 20 21 22 - 23 23 - 24 Pro-memoria per la chiusura corsi Ricordiamo che le lezioni termineranno venerdì 29 maggio 2015. Come di consueto, nelle settimane precedenti si terranno tutti gli eventi che caratterizzano la chiusura dell’anno accademico. Mercoledì 20 maggio alle 20.30 presso il Cine Teatro Excelsior di Cesano Maderno ci sarà lo spettacolo teatrale offerto dai corsisti dei due corsi di Recitazione. Giovedì 21 maggio alle 20.30, sempre presso il Cine Teatro Excelsior, ci sarà invece lo spettacolo di chiusura a cui tanti corsisti e docenti stanno lavorando da mesi per la sua realizzazione. Seguirà l’Open Day nei giorni di sabato 23 maggio (ore 14.30 – 18.30) e domenica 24 maggio (ore 10.00 -12.00 e 14.30 – 18.30). La manifestazione avrà luogo presso la sede Unitre, ove tutti potranno ammirare i pregevoli manufatti realizzati dai corsisti dei vari corsi durante l’anno accademico. IL 5 PER MILLE PER L’UNITRE Ricordiamo che nella prossima dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2014 è possibile dare il proprio contributo all’Unitre, devolvendo alla stessa il 5 per mille. Allo scopo dovrete apporre la vostra firma nello spazio riservato a Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), indicando il codice fiscale 9102 292 0150 Collaboratori di segreteria Carla Arienti Emma Ascari Simona Bergo Vera Ceoloni Daniela Donadonibus Marina Gasparotto Loredana Orciari Luciana Ramponi Luciana Redaelli Maria Luisa Sambruna Giulia Spotti Vincenzo Zucchi Tecnici Franco Alberti Dino Baresi Valter Canato Mauro Domizioli Maria Spotti Orario di segreteria Da lunedì a venerdì: ore 10.00 – 11.30 ore 14.30 – 18.30 Consiglio direttivo Presidente: Ferruccio Crenna Presidente onorario: Annibale Sivelli Vice presidenti: Luca Ricci Emma Ascari Tesoriere: Francesco Disarò Direttrice dei corsi: Giuliana Colombo Consiglieri: Roberta Sacchetto Sergio Tognella Segretaria: Emma Ascari Rappresentanti dei docenti: Tiziano M. Galli Luciano Nardi Rappresentanti dei corsisti: Flavio Basilico Anny Rossi leNotizie I carri armati della Teresina Q uando la maestra ci dettò la nota sul quaderno per i genitori, qualcuno già lo sospettava, ma l’ufficialità della nota rese pubblica la cosa. Correva l’anno 1944 e nella nostra classe quasi tutti avevamo i pidocchi. Non era certo una novità per quei tempi: metti una cinquantina di scolari maschi e femmine in uno stanzone riscaldato, si fa per dire, da una povera anche se volonterosa stufa a legna, pigiati nei banchi in troppi per difenderci dal freddo, ed il contagio era assicurato. Scattarono subito i provvedimenti ad opera dello zio Gige, il fratello del mio nonno materno. Lo zio possedeva una di quelle macchinette a mano e tagliava i capelli a figli e nipoti a tempo perso. Per l’emergenza ci convocò sotto il grande portico di casa sua. Eravamo più di 20 ma in un pomeriggio lo zio mutò le teste bionde e nere in zucche rapate. Il pronto intervento serviva ad evitare il contagio alle altre classi. Dopo il taglio si tentava di eliminare le ultime tracce dei parassiti con gli scarsi mezzi a disposizione. Mentre la biancheria si faceva bollire, non si poteva fare altrettanto con le teste. Non esistevano allora le polveri insetticide per elimi- nare del tutto gli indesiderati ospiti e i rimedi conosciuti consistevano in spennellature delle teste con petrolio o con un olio di nonsisabenecosafosse venduto dal ciarlatano di passaggio. Mentre i maschi si sottomettevano senza particolari opposizioni al taglio dei capelli, per le bambine si trattava di privarsi delle trecce; le resistenze delle poverette erano tenaci e i pianti lunghi e disperati. Comunque nel giro di pochi giorni anche queste teste ebbero un nuovo look. Tutte le teste meno quella della Teresina, la ragazza aveva due anni più di noi ed era dura di cervice, grande, grossa e manesca. Luigino, che una volta s’era azzardato a tirarle una treccia, si trovò steso a terra con una guancia in fiamme. La maestra dettò un’altra nota sul quaderno per i genitori della Teresina per sollecitarne il taglio. Il giorno dopo la ragazza venne accompagnata dalla madre, una specie di granatiere in gonnella, che disse in malo modo alla maestra che sua figlia i pidocchi non li aveva, pertanto poteva risparmiarsi d’inviare altre note. Mentiva sapendo di mentire e tutti lo sapevano perché quelli della Teresina, per non essere da meno della… portatrice, erano più grossi e numerosi dei nostri. Lu- igino, ferito nel suo orgoglio di maschio, messo al tappeto dal sonoro ceffone, trovò il modo di vendicarsi e svelto di lingua com’era, sparse la voce che gli animaletti della Teresina erano grossi come “carri armati tedeschi” (eravamo in tempo di guerra). La fanciulla, imperterrita continuava ad entrare in classe con le sue treccione: evidentemente la sua testa era veramente insensibile ai morsi degli animaletti, per non esserne infastidita. Infastiditi e indispettiti erano invece i genitori degli altri scolari che non intendevano tollerare ulteriormente questa cocciutaggine. La maestra non aveva certo gradito la sceneggiata della granatiera davanti a tutta la classe. Non mandò altre note ma, aiutata dalla bidella, procedette al taglio coatto e spedì a casa la Teresina in lacrime con un sacchetto contenente le trecce ed un biglietto “Signora guardi attentamente le trecce di sua figlia; i pidocchi ci sono, grossi e numerosi”. La ragazza a scuola non venne più, l’anno dopo per motivi di lavoro la famiglia si trasferì altrove e di loro non si seppe più nulla. Alcuni anni orsono in occasione di una rimpatriata con i coetanei, durante la cena si parlò a lungo dei tempi andati, molti avvenimenti erano sbiaditi dal tempo, altri addirittura dimenticati e riportati alla luce dalla buona memoria di qualcuno. Nessuno però aveva dimenticato la Teresina dalle lunghe trecce nere traboccanti di…. ospiti indesiderati, grossi come “carri armati”. Giorgio Isari 3 leNotizie Dall’Islam di Maometto a quello di oggi S e vanno avanti così ci sgozzeranno tutti!... Più che massacri non fanno… E chi li ferma?... Sono voci che corrono, vere ma almeno molto parziali, troppo dipendenti dal sentito dire o dal visto in TV. Ascoltando invece uno specialista la visuale si allarga e diventa più seria, riuscendo a coinvolgere addirittura nonne e nonni disarmati ma speranzosi. E’ capitato il pomeriggio del 3 marzo ascoltando don Giampiero Alberti, che sull’Islam studia da anni e a Milano e altrove tiene contatti con islamici di alto e basso livello. Dapprima il relatore ha brevemente ricordato la storia di Muhammad (che noi chiamiamo Maometto), vissuto tra il 570 e il 632 d.C. Ben presto orfano dei genitori e cresciuto con uno zio e poi con diverse donne (tra le quali la più importante la ricca Candija), verso il 610 “sente” la vocazione del “profeta” dell’unico Dio-Allàh, di cui si fa portavoce. Innanzitutto lo fa nella sua città di La Mecca, dove si scontra con i sacerdoti dei tanti dei colà venerati (e che ne sfruttavano il culto) e con i ricchi, colpevoli di ingiustizie, soprusi, violenze specialmente contro poveri, vedove, orfani, prigionieri, schiavi. La loro dura reazione costringe Muhammad a fuggire a Medina con un pugno di seguaci. E’ il 622, anno dell’”Egira”. A Medina egli organizza la gente che riesce a convincere, la fa passare decisamente alla fede in un unico Dio “clemente e misericordioso-creatore-giudice di buoni e cattivi”, la organizza, anche militarmente, per poi ripartire alla conquista de La Mecca, dove entra trionfatore nel 630. 4 Intanto comunica ai suoi, oralmente, le “rivelazioni” ricevute, secondo lui, dall’arcangelo Gabriele a nome di Allàh e organizza una forte comunità, chiamata Umma. I suoi seguaci ascoltano e a memoria trasmettono quello che poi diventerà il Corano. Il Corano, per loro libro sacro e intangibile, viene redatto solo dopo la morte di Muhammad (632) e trasmesso in varie redazioni da 4 Califfi suoi successori, tra i quali spicca il genero e nipote Alì e marito di Fàtima (Muhammad non ebbe figli maschi). Ma tra i 4 sorsero ben presto liti e divisioni, le più importanti delle quali sono quelle tra Shiiti (legati ad Alì e al Corano letto con lui) e Sunniti (legati ad altri califfi e non solo al Corano ma anche a tradizioni a quello aggiunte). Le differenze tra loro, e poi anche con altri movimenti, divennero anche aspre e bellicose, dipendenti non solo da motivi religiosi. Queste durano tuttora, anche perché l’Islam non ha un unico capo. I califfi moderni, come BinLaden e Al-Bagdadi (ma ce ne sono altri meno noti e diversi), vogliono conquistare il mondo sia religiosamente che politicamente, con metodi anche brutali, come sappiamo. Ma essi sono contestati anche da movimenti “modernisti e riformisti” islamici, che li ritengono addirittura traditori del vero Islam (la parola Islam richiama sottomissione fiduciosa e totale ad Allàh, ma anche “pacesalàam”). Don Alberti richiamò anche altri punti fondamentali della dottrina e della prassi islamica, attinta in gran parte dalla Bibbia ebraica e un po’ (ma molto meno) anche dai Vangeli. Prospettive per il prossimo futuro? C’è da sperare che le critiche interne all’Islam moderno siano più ascoltate dai loro fratelli estremisti e fanatici. E che la nostra carità (anche quella di nonni e nonne, preti d’oratorio, insegnanti nelle scuole, casalinghe al supermercato…) aiuti tutti a crescere in quell’amore che Dio insegna già un po’ nel Corano e più ancora nel Vangelo. Da ultimo: il musulmano, col suo timor di Dio, ama prostrarsi davanti ad Allàh fino a terra; noi crediamo in un Figlio di Dio che si è prostrato fino a lavare i piedi anche a un Giuda! Don Giovanni Giavini PS: per saperne di più sarebbe bene leggere il Corano… o almeno il libretto di M. Borrmans, ABC per capire i musulmani, ed. S. Paolo, che don Alberti ha mostrato e raccomandato. leNotizie L’Occidente e la verità N el colloquio tra Pilato e Gesù, quando Gesù afferma di rappresentare la verità, Pilato chiede “Cos’è la verità?” In realtà Pilato e Gesù si riferiscono a due verità diverse: Pilato a quella raggiungibile (almeno nella illusione degli uomini) per mezzo della attitudine razionalistica ed analitica dei filosofi, che della realtà cercano di individuare i principi generali che la governano e la determinano; Gesù alla verità trascendente di Dio, non verificabile in alcun modo nella immanente realtà umana. L’incapacità o l’impossibilità di determinare la verità da parte della filosofia non hanno certo fatto venir meno la ricerca di essa da parte dell’uomo. Al contrario hanno determinato il moltiplicarsi degli sforzi, sia della fantasia sia della ragione. Il prodotto più significativo di essi è stata la metafisica, cioè quella branca della filosofia che indaga su ciò che, essendo al di là della realtà conoscibile da noi, può essere investigato solo con la riflessione, col pensiero, senza la possibilità di verificare la validità delle “conoscenze” così acquisite. L’uomo, essendo (per sua disgrazia, come diceva Leopardi) dotato di consapevolezza, è anche l’unico essere che si trova di fronte al problema della morte, l’unico che sa di essere venuto dal nulla e di dover tornare al nulla. Sono pochi gli esempi di uomini che hanno mostrato di non temere la morte e di accettarla come inevitabile e quindi con serenità e fatalismo. Tutti gli altri, a livello di massa, nella vita agiscono in funzione della morte, della quale hanno una inconsapevole consa- pevolezza: vogliono avere figli, per mezzo dei quali conquistare una sorta di immortalità, e vogliono raggiungere obbiettivi nel più breve tempo, perché sanno che col trascorre degli anni e col consumarsi della vita non sarà più possibile. Soprattutto, procurano a se stessi, con la fede, l’assicurazione che la loro anima sarà per l’eternità, anche se il loro corpo è destinato a perire. In Occidente questa funzione di rassicurazione è svolta dal Cristianesimo, espressione non solo della predicazione di Gesù e degli apostoli, ma soprattutto di Paolo, che, nutrito di filosofia greca, ha impresso su di esso l’impronta della metafisica. Da allora la verità religiosa ha improntato di sé tutte la varie società dell’Occidente, almeno fino all’Illuminismo. Coloro che mettevano in forse questa verità, proponendo visioni diverse del mondo e dell’uomo, venivano fati tacere, in modi più o meno cruenti, come è accaduto a Galileo, a Giordano Bruno, a Michele Serveto. Quale differenza possiamo notare tra quanto è accaduto in Occidente e quanto accade ora nei Paesi islamici, ad opera dell’ISIS? Analogo è l’agire in nome di principi religiosi ed analogo è il trattamento riservato agli eretici o agli apostati ( il pilota giordano e Giordano Bruno hanno subito la stessa morte atroce); l’Occidente ha dimenticato o non vuole ricordare quante brutture sono state com- piute in nome della religione e della sua verità; quante stragi di milioni di uomini sono state perpetrate in nome di verità non solo religiose ma anche, nei tempi moderni (basti vedere il XX secolo!) ideologiche. La differenza è solo temporale, nel senso che tre secoli fa, avendo noi avuto l’Illuminismo, abbiamo elaborato la tolleranza ed il rispetto delle idee altrui, e ciò è divenuto un atteggiamento comune nelle democrazie occidentali. Tutto ciò non appartiene in alcun modo a quegli islamici, nutriti di fanatismo e superstizione. Il loro barbaro agire è anzitutto espressione della profonda paura che il loro mondo di certezze sia destinato a scomparire, nel rapporto con le libertà dell’Occidente. Si capisce anche per quale motivo alcuni dall’Occidente vanno a militare nell’ISIS: trovano in esso le certezze che cercano e che non trovano nella civiltà e nella cultura occidentali, nutrite all’opposto della attitudine al dubbio e della necessità che ciascuno si formi e si costruisca una sua propria visione del mondo e di sé. Alberto Berardocco 5 leNotizie Diritti per i cristiani, per i musulmani e per gli altri O ggi, molti si battono per quei diritti fondamentali che sono messi a rischio e che, in alcuni paesi, sono addirittura negati: il diritto alla vita, il diritto alla istruzione, il diritto al lavoro, il diritto alla libertà, il diritto alla salute. Ma da dove originano tutti questi diritti? Chi ha detto che esistono? Chi li ha creati? A queste domande, per millenni, gli uomini hanno risposto: “Dio li ha creati”. Per millenni, solo il comandamento divino si è eretto contro Caino, contro l’uomo più forte che potrebbe uccidere l’uomo più debole o derubarlo dei suoi beni o ridurlo in schiavitù. Per i credenti (cristiani, ebrei o musulmani), uccidere, rubare, mentire, etc. sono prima di tutto dei peccati, che vanno contro precisi imperativi morali e quindi sono vietati dalle leggi umane. La Bibbia afferma che, sul monte Sinai, Dio ha dato le Tavole della Legge a Mosè. Anche i musulmani sostengono la origine divina della “Sharia”, la legge coranica. Il grande teologo musulmano al Ghazali, è assolutamente certo che la ragione umana non è in grado di produrre principi morali universali ed afferma categoricamente:”Non c’è obbligazione morale che discenda dalla ragione. Tutte discendono dalla sharia”. 6 Gli uomini hanno bisogno di Dio per porre dei limiti morali alle loro azioni. Gli uomini hanno bisogno di un Aldilà per razionalizzare le ingiustizie di questa vita e per dissuadere i malvagi. Questa, in Occidente, era la convinzione degli uomini anche prima che comparissero Gesù o Maometto. La conclusione di filosofi come Platone è chiarissima: il timore degli dei è necessario. Solo con uomini “religiosi” è possibile formare una società civile e moralmente integra. Per questo, il rabbino Giuseppe Telushkin ha scritto in un suo libro del 1994 : “Finora da un punto di vista filosofico non si è potuto dare una risposta convincente alla domanda: perchè Hit- ler aveva torto? Si può solo affermare che ha agito contro la legge divina, contro i comandamenti di Dio. Quando il Volto di Dio si nasconde al mondo, la violenza e l’arbitrio e la immoralità prevalgono. Oggi, la nostra umanità globale, formata da miliardi di persone di religioni diverse ed anche da molti atei, a quale fonte ed a quale autorità può fare riferimento per definire un comportamento etico e per costruire una società civile? Perchè sbagliano coloro che vorrebbero imporre una legge (di origine divina) a tutti gli uomini, altrimenti incapaci di un comportamento etico? Per trovare una risposta a queste domande, bisogna o rifarsi alle religioni non teiste, come il Buddismo oppure seguire il filo della riflessione avviata dagli intellettuali europei, a partire dalla seconda metà del XVII secolo. Nel 1500 e nel 1600 l’Europa è travagliata dalle guerre di religione: i cristiani, mossi da odii totali proprio perchè teologici, commettono crimini e violenze inaudite gli uni contro gli altri, in nome dello stesso Dio. In Africa e nelle Americhe, sia i cattolici sia i protestanti, colonizzano i “selvaggi”, leNotizie schiavizzano i negri, cui negano perfino la piena umanità, ma promuovono la evangelizzazione. E’ così che matura, nel XVIII secolo, “la crisi della coscienza europea”. Molti intellettuali denunciano il fallimento morale della cristianità ed affermano la fine delle antiche certezze: la convivenza civile non può basarsi sulla religione e sul “timor di Dio”. Pierre Bayle, un francese perseguitato in patria per la fede protestante (ma poi espulso dalla Olanda, per aver difeso i diritti dei cattolici), sostiene che bisogna accettare solo i principi basati su dati empirici e razionalmente sperimentati. Giunge, quindi, alla conclusione che bisogna separare l’etica dalla religione e porre la tolleranza alla base della civile convivenza. In un famoso trattato del 1682, Bayle afferma che è possibile avere una “società di atei”. E’ possibile cioè, costruire una società umana morale e giusta anche con persone irreligiose, anche con persone non “timorate di Dio”, purchè siano “raziocinanti”. Nel 1764, Cesare Beccaria con il trattato “Dei delitti e delle pene” sostiene la netta separazione tra reato e peccato. Il libro viene subito messo all’indice dalla chiesa cattolica ma ha una grande risonanza in tutta Europa, viene tradotto e ripubblicato decine di volte. Sviluppando queste tesi, gli intellettuali occidentali sono giunti alle seguenti conclusioni: 1. I diritti non derivano da Dio. Le diverse leggi “divine”, infatti, non sono univoche e nessuna può pretendere di essere considerata più “divina” delle altre. 2. I diritti non derivano neanche dalla Natura. La natura è moralmente neutra e, da Darwin in poi, è insensato qualificare come più naturale una opzione rispetto ad una altra. I diritti derivano quindi solo dalla esperienza umana. Partendo dagli errori commessi e dalle tragedie della storia, gli uomini hanno capito che un sistema basato sui diritti è meglio di un sistema basato sulla violenza. Inoltre, un sistema basato sui diritti è necessario per non ripetere gli errori del passato. Non vi sono diritti assoluti, pre-esistenti agli uomini ed inalienabili. Nessun diritto è conquistato per sempre. La tolleranza e la ragione devono sempre guidare le decisioni degli uomini. Sulla base di queste considerazioni, e non delle convinzioni religiose, è possibile aprire il confronto tra tutte le esperienze umane e costruire un mondo di “diritti” sempre più ampio ed inclusivo. Silvio Mandelli INVITO A COLLABORARE Invitiamo tutti i partecipanti all'Unitre (docenti, corsisti, ecc.) a collaborare per il periodico a diffusione interna leNotizie, fornendo articoli di interesse generale, poesie, racconti, disegni od altro. In linea di massima i pezzi non dovranno superare le 2.000 battute, spazi inclusi: (Word 2007: Revisione, Conteggio Parole -Word 2003: Strumenti, Conteggio Parole). Il materiale (possibilmente in formato elettronico) dovrà essere consegnato in segreteria Unitre, oppure inviato per posta elettronica all'indirizzo: [email protected] La redazione si riserva la decisione di pubblicare, a suo insindacabile giudizio. Il materiale, anche se non pubblicato, non verrà restituito. La Redazione de leNotizie 7 leNotizie Domani vi ameremo N oi proviamo, durante e subito dopo aver vissuto momenti di riflessione sulla sofferenza umana, magari suggeriti dalla visione di un film, di una trasmissione televisiva o da letture, una fiammata di solidarietà per quei problemi sociali ed educativi che appaiono di fronte all’esistenza delle persone allontanate, abbandonate, estromesse come i diversamente abili, gli anziani, tutti i “diversi”, insomma gli emarginati. Poi la fiammata si spegne presto, rimane qualche proposito, qualche rigurgito di rincrescimento, poi si ritorna alla routine della propria vita giornaliera dimenticando anche i semplici elementi di un vero rapporto solidale con l’emarginato che abbiamo vicino e che non guardiamo. Molto spesso anche la nostra coerenza con il problema della persona emarginata si basa su questa fugacità di percezioni, di intuizioni e di tardivi ripensamenti su ciò che avremmo voluto o dovuto fare per gli emarginati. Nel tentativo di aiutare l’altro che ha bisogno di solidarietà, spesso ci troviamo di fronte a ciò che il poeta David Maria Turoldo ha ben identificato con queste parole: “Davanti ai veri problemi tutti se ne stanno zitti, perché spesso la gente ha paura di compromettersi, pronti a scandalizzarsi se tu, per correre a salvezza di un uomo, dovrai uscire dai conformismi, superare le abitudini, scuotere la 8 loro pigrizia, urtare le loro convinzioni.” La solidarietà umana che noi sentiamo, anche dopo un dibattito televisivo di esperti, deve sostenere il nostro desiderio di fare qualcosa, di superare il giudizio di valore con cui classifichiamo gli altri, ma deve soprattutto partire dalla consapevolezza che dobbiamo andare oltre la nostra leggerezza e la nostra superficialità, che sono tra i peggiori difetti dell’uomo. Gli emarginati nel mondo sono una folla immensa di individui che chiedono comprensione e aiuto. Questa richiesta che proviene da ogni angolo della terra, si unisce al rombo della folla dell’umanità e insieme ci fanno sentire un lamento. Sono migliaia e milioni di lamenti e di richieste che sembrano pervenire da un passato lontanissimo e anche prossimo che rende visibile una catastrofe: sono le inimmaginabili sofferenze e angosce dell’uomo che conserva un inconscio ricordo della paura di precipitare nel nul- la o nel tutto. Ma non una soltanto, bensì mille catastrofi si perdono nella notte dei tempi e nel cervello dell’uomo e sono i terremoti, gli incendi, le inondazioni, le stragi, le guerre che l’umanità ha sofferto. E questi ricordi inconsci, un maestro di nome Carl Gustav Jung li ha collocati all’origine delle paure, degli incubi e delle nevrosi degli uomini. Ma da tutto ciò nasce anche il fascino delle grandi opere e intuizioni dell’uomo. Nasce il rispetto per l’esistenza e per il corpo, per il nostro corpo e per quello dell’altro. Il corpo, che è il luogo della relazione con sé e con l’altro, che è anche il filtro tra il mondo interno e quello esterno. Ricordiamoci del “Faust” di Marlowe, quando Mefistofele, rispondendo a Faust che gli chiede se esistono l’inferno e il paradiso, dice che la dannazione o la salvezza sono “hic et nunc”. La salvezza può essere il nostro modesto impegno di non arrendersi, di uscire dai nostri piccoli gesti quotidiani per usare il nostro corpo come luogo di comunicazione per gli altri, mentre la dannazione sono le violenze e le droghe della società attuale. Nel quadro qui tratteggiato, gli emarginati sono presenti come problema della collettività. Soltanto un rapporto educativo fondato sulla consapevolezza reciproca di rappresentare una forza morale può recuperare le risorse umane e le forze spirituali per aiutare significativamente gli emarginati. Bisogna saper sce- leNotizie gliere ciò che è importante da ciò che è superfluo e quando le persone vengono a trovarsi in un vuoto istituzionale allora gli impegni personali diventano astorici, perdono di efficacia. Può così sorgere un Hitler pazzo paranoico che può mandare allo sterminio gli ebrei, i preti, i disabili, gli zingari, gli omosessuali, i deboli che non servono più a niente. Tutti noi cerchiamo di esercitare il nostro potere sull’altro, ma nessuno può darci il vero potere che si chiama autorevolezza e che è la capacità di essere persone rassicuranti capaci di infondere fiducia nell’altro. In Italia, ogni anno una certa percentuale di studenti si ritira dalla scuola anche “per incompatibilità con gli insegnanti”. Nel rapporto educativo dobbiamo essere capaci di far entrare l’altro nel nostro discorso, dobbiamo credere a quello cui siamo tutti chiamati a insegnare a noi stessi e agli altri: educare trasmettendo i valori in cui crediamo con l’esempio. Dobbiamo aderire al gesto dell’altro, essere presenti con i nostri gesti per andare verso il desiderio del nostro prossimo. Quando non c’è il vetro di una porta o di una finestra cui credevamo di appoggiarci, proviamo una sensazione di vuoto che si respira all’improvviso, si precipita nel momento di un nulla impalpabile. La persona emarginata si appoggia a un vetro che non esiste e molto spesso questo vetro è la maschera di una nostra desolata aridità. Infatti non è il potere materiale che dobbiamo cercare, né i suoi segni esteriori, ma la forza morale della libertà che è la poesia della vita che tutti abbiamo nell’animo e che possiamo esprimere con l’atteggiamento comu- nicativo del nostro corpo. Cantava Joan Baez in una sua accorata composizione: Gesù d’oro e d’argento senza stivali senza elmetto senza armi senza la borsa dei documenti. Che coraggio Gesù d’oro e d’argento guardare intorno e sapere che non c’è amore nel mondo. Rivediamo dunque il nostro rapporto con gli emarginati, ma anche con il nostro prossimo in generale. Il messaggio di Joan Baez è chiaro e impegnativo: dobbiamo far trovare un poco di amore a tutti gli emarginati e questo amore incomincia dall’ascoltare i loro bisogni primari che sono il poter comunicare agli altri il desiderio di essere riconosciuti come persone. E non è forse questo un primo passo perché tutti noi si possa migliorare il mondo? Tiziano Maria Galli Riportiamo qui a fianco un particolare del presepe, allestito come tutti gli anni in occasione del Natale dai corsisti di Creatività artistica. Ringraziamo la docente Mariangela Romagnoni ed i suoi corsisti per questa bella tradizione. Rubrica dei nonni Riservata a tutti i nonni e nonne che partecipano all’Unitre Potete lasciare l'annuncio in segreteria Unitre, oppure farcelo avere via e-mail ([email protected]) Arianna Stefano Emma 05.03.2015 03.03.2015 02.04.2015 ore 16.03 ore 23.31 ore 11.00 kg 3,570 kg 4,060 kg 3,400 nonna Anna Diana Tolve nonna Marisa Parravicini nonni Bruna Nalin e Italo Sartor 9 leNotizie La Sindone: un mistero che non smette di appassionare L a Sindone, in base alle più recenti informazioni storiche e scientifiche acquisite, rappresenta oggi uno dei documenti più problematici della storia e contiene informazioni singolari ed elementi suggestivi che non trovano riscontro in altre importanti reliquie della fede cristiana. Sono molti ormai gli studiosi ed esperti di varie discipline che non hanno dubbi sul valore del documento che ha destato e continua a destare il più vivo interesse anche in quello scientifico moderno. La Sindone fotografata per la prima volta nel 1898 e lascia intravedere l’immagine frontale e dorsale di un corpo umano impresso in negativo fotografico con evidenti tracce di ferite riconducibili proprio a quelli di un uomo torturato e morto dopo il supplizio della crocifissione, come ci viene riportato dai Vangeli. Chi di noi non l’ha mai vista? Può essere il lenzuolo funerario che avvolse il corpo del Cristo? Chi mai fu quest’uomo il cui cadavere ebbe il potere prodigioso di lasciare la propria immagine indelebile su questo sudario? In questo sudario sarebbe stato deposto Gesù Cristo dopo il supplizio della croce. Si tratterebbe del prezioso lino donato da Giuseppe d’Arimatea per la sepoltura di Gesù nel sepolcro. Ma se la fede non ha bisogno di prove, la scienza chiede invece delle certezze. Molti ritenevano che quelle vaghe impronte incancellabili fossero 10 il risultato di un trucco – peraltro inspiegabile – escogitato da qualche fantasioso artista medievale, che consideravano la Sindone una delle innumerevoli false reliquie importate in Europa da ingenui pellegrini di ritorno dalla Terrasanta. La Sindone mostra e quindi testimonia i molteplici segni di flagellazione visibili sul corpo dell’uomo, l’esistenza di un casco di spine sul capo, l’effusione di sangue e acqua, polsi e piedi trafitti da chiodi. Ma dopo il risultato fotografico del 1898 sono stati effettuati da famosi scienziati e sindonologi di fama internazionale, una serie di studi scientifici interdisciplinari sulla Sindone, uno più affascinante dell’altro, perché su questo lenzuolo sono state fatte svariate scoperte in numerosi campi del sapere umano: patologia, ematologia (con il rinvenimento di tracce di sangue del gruppo AB sul corpo martoriato dell’Uomo della Sindone), chimica e biochimica, botanica e palinologia (che ha identificato la presenza di pollini provenienti dalle diverse località in cui la Sindone avrebbe sostato nel corso del suo peregrinare dalla Palestina alla Francia, fino all’arrivo a Torino nel 1578), storia e archeologia. La Sindone, in base alle più recenti informazioni storiche e scientifiche acquisite, rappresenta oggi uno dei documenti più problematici della storia e contiene informazioni singolari ed elementi suggestivi che non trovano riscontro in altre importanti reliquie della fede cristiana. I dati scientifici, storici e archeologici riguardanti lo studio di questa celeberrima reliquia, delle discussioni che essa ha generato nel corso dei secoli, e dei contrasti che continuano tutt’ora, esperti sindonologi, hanno dato delle risposte e documentano che la Sindone “non è un falso”. L’unica prova che non si accorda con i risultati ottenuti dagli scienziati, è la fatidica prova del radiocarbonio C 14 che attesta la Sindone nel periodo compreso tra il 1260 e il 1390 che la condannò come artefatto medievale. Queste analisi sono state però condizionate da tanti trattamenti che il reperto sottoposto all’esame ha subito nel tempo; è stato esposto in visione pubblica in diverse condizioni ambientali nelle varie località: a Gerusalemme nel 570, a Edessa arrivata nel 944 e viene mostrata all’imperatore Lecapeno I unicamente la parte frontale del lenzuolo e il 16 agosto venne trasferita a Costantinopoli che rimane fino 1204 dove fu deposta e venerata dai fedeli, con la figura del solo volto del Cristo chiaramente visibile. Poi un silenzio fino all’arrivo in Francia a Lirey nel 1353, quando il crociato Geoffroy de Charny annuncia di essere in possesso del telo che avvolse il corpo di Cristo nel sepolcro e donò questa Sindone alla collegiata di Lirey. Passò poi a Chambèry, sempre in Francia nel 1452, e qui subisce i danni di un incendio nel 1532 ancora oggi visibili. E’ donata poi ai duchi di Savoia; nel 1578 venne trasferita nel Duomo di Torino e in seguito collocata nel 1694 nella sontuosa cappella realizzata su disegno dell’abate Guarino Guarini. Ildefonso Valota leNotizie Il Crocifisso rotto di Ada Negri L’ho scoperto dentro un’ampia cassapanca e subito me ne son fatta un amico. Il Cristo di gesso patinato di un color gialliccio sporco, era un umile Cristo di nessuna bellezza anche prima d’esser rotto. Ha le gambe spezzate ai ginocchi, le braccia ai gomiti. Lì, nel punto delle fratture, è visibile il rozzo filo di ferro che serve da telaio. La testa reclinata non ha più volto. Nell’incavo che rimane al posto del volto, m’è facile mettere con la fantasia tutti i volti, gl’infiniti volti che passano effimeri sulla terra, che s’assomigliano l’un l’altro anche se diversi… Sì, perché qualunque sia l’uomo, egli reca impresso sulla propria fronte il segno del Salvatore: ed è per sempre crocifisso al proprio tormento, palese o nascosto, meritato o no. ADA NEGRI Poetessa e scrittrice, nasce a Lodi nel 1870 e muore a Milano nel 1945. Di umili origini, si dedica all’insegnamento, prima come maestra elementare e poi come professoressa di lettere. Tra il 1890 e il 1910 richiama l’attenzione di un pubblico sempre più vasto con fortunate raccolte in versi ispirati a nobili idealità: Fatalità, Tempesta, Maternità. Nelle successive opere di poesia e di prosa, si abbandona a confessioni tumultuose ed oscure che affiorano anche nei suoi scritti migliori: Le solitarie, libro di novelle; Stella mattutina, romanzo autobiografico Infine nei suoi ultimi volumi I canti dell’isola e Vespertina, esprime l’umana solidarietà del dolore e la gioia verso il prossimo. 11 leNotizie Fantastiche donne italiane: in orbita e nel sotterraneo del Cern SAMANTHA CRISTOFORETTI È un’aviatrice, ingegnere e astronauta, prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea. E’ la prima astronauta italiana a raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) che ruota interno alla terra ad una distanza di circa km 400. Samantha ha raggiunto la ISS dopo un viaggio di circa sei ore a bordo della navicella Soyuz, insieme a due colleghi, lo statunitense Virtis e il russo Shkaplerov. I tre astronauti hanno raggiunto altri tre astronauti già da un po’ a bordo della ISS. Insieme compiranno una serie di esperimenti sulla fisiologia umana, analisi biologiche e la stampa 3D in assenza di peso, per verificare anche la possibilità di stampare pezzi di ricambio per la stazione stessa senza dover dipendere dagli invii da terra. Alcuni esperimenti serviranno anche per capire meglio come reagisce l’organismo umano con la microgravità e le cause che portano il sistema immunitario ad indebolirsi. Dovranno occuparsi anche dei lavori di manutenzione e di mantenimento della ISS. La permanenza di Samantha su questa Stazione sarà di circa sei mesi durante i quali rimarrà in contatto sia con la stazione di controllo a terra presso il cosmodromo di Baikonour in Kazakistan da dove è partita, sia con i suoi fans tramite il sito Avamposto 42 dove potrà rispondere alle loro domande… A soli 37 anni, Samantha ha raggiunto un traguardo eccezionale: le competenze da lei acquisite non sono sicuramente alla portata di chiunque. E’ una ragazza umile che si definisce normale, ma sicuramente è un’eccezionale normalità. FABIOLA GIANOTTI È una fisica italiana e sarà la prima donna ad assumere il ruolo di direttore generale del CERN a Ginevra all’età di cinquantadue anni. La sua nomina è avvenuta, da parte del consiglio del CERN, il 4 novembre 2014 ed il mandato inizierà il 1° gennaio 2016 e terminerà alla fine del 2020. Per comprendere l’importanza di tale nomina, cerchiamo di capire cosa è il CERN. Questo è il laboratorio europeo per la fisica delle particelle, il centro di ricerca sulla fisica delle particelle più grande del mondo. Si occupa di scienza pura, in altre parole di esplorare la natura per dare risposte alle domande più fondamentali che essa ci pone. Questo laboratorio si trova al confine tra Svizzera e Francia, alla periferia ovest della città di Ginevra nel comune di Meyrin, e fu fondato il 29 settembre 1954 da dodici stati membri (oggi sono 12 21 e comprende stati anche non europei). E’ situato ad una profondità media di 100 metri ed è un tunnel sotterraneo circolare di km 27. Fabiola è stata per due volte la coordinatrice del progetto Atlas, considerato il più grosso esperimento scientifico mai realizzato. A seguito di questo incarico il 4 luglio 2012 ebbe l’onore di annunciare al mondo la scoperta del Bosone di Higgs, cioè la scoperta di una particella molto speciale grazie alla quale ogni cosa ha una massa, cioè un peso, e quindi la materia esiste così come la conosciamo. Ciò che le sta a cuore è sottolineare la diversità di etnia, di nazionalità, di religione, sesso, età, tradizioni delle persone che lavorano al CERN poiché sono queste diversità il punto di forza del laboratorio. Il CERN è quindi – come detto dalla stessa Fabiola - un “esempio brillante e concreto di cooperazione scientifica e pacifica nel mondo” ed anche “un luogo dove chiunque ami la conoscenza può sentirsi a casa”. Queste parole ci danno la dimensione del clima sereno all’interno del laboratorio e mi pare che possano essere un incentivo per tutti a credere nella possibilità di estendere anche intorno a noi, il seme della speranza ed il desiderio di pace. Santina Cairoli leNotizie I compiti a casa son davvero una tortura? A giudicare da quanto letto in un recente articolo del nostro giornale, si direbbe proprio di sì… I famigerati compiti creerebbero nientemeno “una catena di tensioni, ricatti, aggressività e malumori in famiglia” a dir poco devastanti… Molto meglio, prosegue l’articolista… ”arricchire il rapporto interfamiliare e fare attività educativa assieme”, visto che quel che si doveva imparare, lo si sarebbe già imparato sui banchi, durante le ore di lezione. Ma sarà sempre vero ? Tra alunni disadattati e turbolenti che disturbano in continuazione, quelli detti “diversamente abili”, i ragazzi stranieri in gran numero che non sanno due parole di italiano? Solo chi lavora nella scuola queste realtà le conosce. Non certo i vari soloni di tendenza. Ignari della scuola così com’é. E perfino della famiglia, che non è quella del “Mulino Bianco”. Gli abolizionisti dei compiti lo farebbero per rispetto del “mondo infantile” (ma fino a che età lo si può considerare tale ?) Lo farebbero in nome di una scuola, cito l’autore, “che sia divertimento tramite il gioco, la creatività, la distrazione…” e non già “una scuola punitiva, che inculca il terrore delle punizioni”. Tale maniera sadica piacerebbe invece a maestri frustrati e succubi di genitori-padroni, come potevano esserlo forse certi antichi precettori presso le nobili casate di un tempo. Tale vantato rispetto per il mondo infantile, non viene però esteso a quello delle opinioni altrui. Infatti l’autore chiama “imbecilli” quanti la pensano diversamente. Egli si sente certo in buona compagnia, visto che cita lo psichiatra Morelli, un altro che detesta sdegnoso i compiti a casa. Premesso che il dott. Morelli, forse mi sbaglierò, ha pratica di salotti televisivi piuttosto che di aule scolastiche, gli argomenti esposti nell’articolo non presentano proprio niente di innovativo. Corrispondono alla “vulgata” del pedagogismo “politicamente corretto”, che si richiama in Italia (assai approssimativamente), tra gli altri, al famoso don Milani di Barbiana. Costui è vero che da un lato criticava certi aspetti della scuola tradizionale (ad esempio il nozionismo fine a se stesso, insieme a certe rigidità e certi carichi di lavoro non sempre utili e stimolanti per il cervello), ma è altrettanto vero che cacciava a pedate via dai biliardini delle sale gioco i suoi allievi di estrazione contadina, respinti dalla scuola ufficiale, ricordando loro che solo la FATICA DELL’APPRENDERE sarebbe stata strumento della loro promozione sociale e morale; la promozione vera, che vale assai di più di quella scolastica, a base di voti! Ecco qui la linea del Piave. La parola “fatica”, cugina della parola “sacrificio”. Avremo finalmente un’umanità libera, felice, creativa e soddisfatta, una volta che questi vocaboli (al di là del sano buonsenso sulla loro definizione ed applicazione) saranno stati definitivamente banditi dall’orizzonte educativo delle ultime generazioni? Ed ognuno potrà imparare… se vuole… quando vuole… ciò che vuole… a partire dalla primissima infanzia? Istruzione come self-service ? Cultura come un anarchico e tecnologico fast food? Però… con la pretesa di promozione a fine anno: quando certi genitori fanno irruzione in presidenza con piglio da sindacalisti e da tribuni, affrontando a muso duro i docenti meno compiacenti! Talvolta rompendoglielo anche, il muso. In tal caso i numeri contano, eccome, sotto forma di voti, e i “talenti” del bambino spariscono, ammesso che certi genitori ne abbiano qualche vaga idea… Ma voglio spezzare una lancia a favore dello spontaneismo, per non sembrare del tutto retrogrado, capirete… Come suggerito nell’articolo, si potrebbero vedere insieme ai propri scolari “dei film storici carichi di emozioni” e perché no? Ad onor del vero, conobbi tre decenni fa’ una scolaresca del triennio superiore che ciò lo fece spontaneamente. Mi dissero che erano andati ad assistere da soli ad un film di Storia Medievale. Quasi commosso e stupito, gliene domandai il titolo. La risposta fu ammirevole, nella sua onestà: “Alle dame del castello… piace molto fare quello…” Luigi Grossi 13 leNotizie A proposito dei compiti a casa A ccolgo l’appello della redazione ad intervenire nel dibattito per dire che è assolutamente vero che i compiti a casa sono stati e sono l’incubo di molti genitori ma, tuttavia, sono convinta che sono necessari perché, sulla base di un detto, peraltro molto veritiero, servono sia la grammatica che la pratica e più ci si esercita, più la conoscenza si imprimerà nella memoria. Alcune considerazioni si possono fare, invece, sulla quantità dei compiti assegnati a casa, sul tempo che devono investire i genitori per vincere le resistenze dei bambini a impegnarsi in questo lavoro, sul tempo che gli stessi devono dedicare ai figli affiancandoli nello svolgimento dei compiti. Riguardo alla quantità di compiti assegnati, mi sento di dire che ciò, è dovuto soprattutto all’impostazione del nostro sistema scolastico. Se si prende come esempio la scuola dell’obbligo, si può vedere che, più alto è il numero di alunni per classe e meno sono le ore dedicate al singolo insegnamento, rispetto al numero di ore complessive di scuola, più scarsa risulta la possibilità per l’insegnante di incidere sull’apprendimento del singolo studente; compito, questo, che sarà reso ancora più difficile dalla presenza in classe di bambini stranieri o di bambini portatori di handicap che, peraltro, hanno anch’essi il diritto allo studio. Ne risulta, quindi, che l’esercizio che si potrebbe fare in classe è sostituito con i compiti a casa. Rispetto poi alla questione della svogliatezza del bambino verso l’impegno dei 14 compiti, francamente non mi scandalizzo: da che mondo è mondo, se un bambino deve scegliere tra fare i compiti e giocare, sceglierà sempre di giocare e, quindi, un certo grado di svogliatezza è da considerarsi fisiologico e tollerabile. Quando, invece, il bambino non comprende che il gioco, che pure è una parte importante nel processo di crescita, non è più importante dello studio, e che occorre imparare a distribuire equamente nell’arco della giornata le ore di studio e di gioco, e affronta svogliatamente e senza impegno il compito, qualcosa è sicuramente mancato, o per colpa della scuola o per colpa della famiglia. Si può e si deve insegnare ad essere responsabili, ed è segno di responsabilità dei genitori non confondere che la scuola è tenuta a responsabilizzare verso lo studio, mentre la famiglia, il cui compito formativo viene prima, è tenuta ad insegnare l’importanza che assume il senso di responsabilità nella vita in generale. Altra cosa ancora, è il tempo che il genitore deve dedicare al figlio affiancandolo nello svolgimento dei compiti quando dichiara che non è in grado di farli da solo dovendo, in questo modo, sostituirsi all’insegnante. E’ chiaro che se il genitore deve supplire il ruolo di qualcun altro, al di là del fatto che non sempre ciò potrà dare risultati positivi, anche in questo caso qualcosa è mancato: o è mancato il tempo a scuola per verificare il singolo apprendimento, o è mancato l’impegno della famiglia nella formazione del bambino. Il fatto che un bambino non è in grado di fare i compiti da solo potrebbe essere dovuto ad insicurezza: non si sente sicuro di ciò che ha appreso e si dichiara incapace di svolgere il compito e cerca la presenza del genitore che gli dà sicurezza e aiuto. L’insicurezza, a volte, può banalmente derivare dalla poca attenzione prestata allo sviluppo psicofisico del bambino all’inizio della scuola: è noto infatti che a parità di età, non sempre corrisponde, in due individui, lo stesso sviluppo psicofisico e pochi mesi “fanno la differenza”. Tenuto conto, però, che la scuola ha anche il grande compito di fare formazione, cioè di contribuire alla maturazione psicofisica e intellettuale degli studenti, è necessario creare le condizioni più idonee perché ciò si realizzi, di modo che tutti abbiano le stesse opportunità e nessuno rimanga indietro. L’eventuale ritardo non scoperto e recuperato in tempo, costituirà pena nella vita futura di un individuo, senza contare, poi, che la competizione, tanto decantata e voluta da qualcuno, se non consente ai partecipanti di partire dallo stesso punto sulla linea di partenza, si rivelerà un falso criterio per misurare le capacità di ognuno. leNotizie Per ovviare a tutti questi inconvenienti potrebbe aiutare avere un tempo scuola più largo, diverso da quello attuale; con questo intendo un orario più ampio in termini di tempo lezione e di tempo scuola di modo che, la scuola, con il personale adeguato, le strutture e le strumentazioni adatte possa diventare un vero luogo di educazione e formazione. Un tempo diverso potrebbe consentire la possibilità di fare quell’esercizio che oggi si fa a casa, oltre a ricomprendere attività quali l’educazione civica, l’educazione allo sport, alla musica, all’immagine, le attività di approfondimento che sono, invece, scarsamente considerate dai programmi ministeriali se non del tutto trascurate e lasciate, ahimè, alla cosiddetta “proposta formativa” della singola scuola a volte con il contributo finanziario degli Enti Locali. La scuola non deve offrire qualcosa ma dispensare Conoscenza e Sapere a tutti indistintamente. Oggi, tutto ciò che può contribuire alla formazione complessiva, è previsto extra programmi e lasciato totalmente ai privati. Al di là del dubbio che può generare un tale modo di procedere rispetto a finalità, obiettivi, qualità e controllo dei risultati, è evidente che venendo a mancare un indirizzo generale dello Stato rispetto all’istruzione e alla formazione e i relativi finanziamenti, ciò fa cadere l’opportunità per tutti di partire dallo stesso punto, avere le stesse conoscenze, arrivare agli stessi obiettivi con lo stesso risultato. Forse un sistema scuola diverso, preparerebbe meglio lo studente nell’affrontare, prima la scuola superiore e poi l’Università. Ordini di scuola, peraltro, non privi di carenze, disfunzioni e parcellizzati in una miriade di indirizzi, assolutamente inutili rispetto alle esigenze reali della società e non formativi, proprio a causa dello scollamento del sistema che manca di continuità logico- pedagogica. Nadia Marmonti Momento di crescita educativa: i compiti I nteressante trovare e leggere articoli come quello apparso sull’ultimo numero del nostro giornale. Finalmente l’articolo permette una certa riflessione e mi ha positivamente stimolato, per cui mi soffermo e appunto. Le cose non stanno così; la pedagogia che per vent’anni ha fatto di tutto per eliminare il valore delle parole: impegno, serietà, ascolto, precisione, sacrificio, ordine, ha creato una gioventù smarrita, sempre in cerca di… qualcosa, una gioventù senza argini, senza capacità di crearsi questi argini, questi paletti, queste conoscenze, dentro cui muoversi. Ultimamente, sempre la pedagogia, ha capito che la scuola che vuol essere tale, una scuola che metta al primo posto l’educazione, il giovane, la persona, deve essere continuativa cioè non deve terminare alle 13:40 ma occupare spazi più ampi, avere orizzonti più lontani. Ed è a questo punto, a mio avviso, che si inseriscono i compiti, gli impegni, le attività. Il compito non è un tormento, non è una tortura, un’inutile perdita di tempo, bensì un momento, uno strumento, assieme a tanti altri quali sport, dialogo, internet, amicizie attraverso cui il giovane si forma e struttura la propria personalità proiettante nella società. Sono i giovani stessi che chiedono più attenzione, più tempo da condividere, più impegno, più conoscenze vissute, più relazioni umane da creare, fare e consolidare. Dentro questa grande bellezza creativa, che è l’educazione, è da porsi anche quella valoriale dei compiti. Luciano Nardi 15 leNotizie Milano e la sua Expo N ei vari logo rappresentati, uno in particolare ha attirato la mia attenzione: rappresenta una figura grottesca composta da diversi tipi di frutta e qualche ortaggio. Sicuramente è stato preso a riferimento il più eccentrico pittore italiano del ‘500, unico nel suo genere senza paragoni, il milanese Giuseppe Arcimboldo (1526-1593). Nato in una modesta famiglia di pittori, suo padre Biagio è decoratore e disegnatore di vetrate presso la veneranda fabbrica del Duomo dove gravitano moltissimi artisti. La sua educazione artistica avvenne presso la bottega dell’importante pittore leonardesco Bernardino Luini, ma soprattutto influenzato dall’eredità lasciata da Leonardo da Vinci attraverso il suo trattato sulla pittura, nel quale spiegava come creare la testa di un animale fantastico assemblando varie fattezze di animali diversi, metodo affine alla pratica del nostro protagonista. Arcimboldo, pittore poliedrico, passava dall’affresco (possiamo vedere i suoi lavori nella cattedrale di Monza, nella chiesa di S.Maurizio a Milano, o cartoni per arazzi a Como) alla decorazione. Artista adatto a qualsiasi tecnica tanto rinomato al punto da essere chiamato nel 1562 a Vienna da Massimiliano secondo d’Asburgo, come ritrattista di corte, ma anche come organizzatore di feste, giochi, cose talmente ingegnose da lasciare sbalorditi i principi e i sudditi dei regni asburgici. Artista studioso della natura, unica maestra e palestra dei pittori, studiò in tutti i particolari gli animali a sua disposizione dallo zoo privato di Massimiliano e per sua fortuna veniva a contatto con i più grandi botanici, medici del tempo da cui apprendeva i trucchi del mestiere. Per studiare gli animali che non conosceva si avvaleva di copiare le riproduzioni di altri disegnatori naturalisti, soprattutto per alcuni animali marini. Ad esempio in un suo dipinto che raffigura l’acqua ci sono 62 specie di animali tra cui molti sconosciuti, portando a conoscenza animali mai visti da nessuno prima. Un vanto per Milano avere avuto una così celebre illustre persona che porta e mette in evidenza la cultura della nostra città ad altre nazioni, in una società divenuta molto virtuale. Auguriamoci che questa Expo sia l’occasione di fare conoscere al mondo l’ingegno che questa terra produce da sempre e la manualità del nostro Arcimboldo, che sapeva concretizzare con impegno e fantasia, di andare oltre le mode dei tempi, lavorando per permetterci il benessere con onestà e moralità. Aria fresca in una società sempre più inquinata. Franco Galimberti Errata Corrige Nello scorso numero di dicembre 2014 nel pubblicare l’articolo Una possibile verità sulla Gioconda siamo incorsi in un errore. Abbiamo infatti scritto “…i ritratti di quel periodo sono presentati senza sopracciglia”, mentre la frase originale era “…i ritratti di quel periodo sono presentati con sopracciglia”. Ci scusiamo con l’autore Franco Galimberti e con i lettori. 16 leNotizie L’Expo e la nostra polenta I n questi nostri tempi di crisi economiche ed esistenziali, parlare di cibo, come appunto fa il nostro “Expò”, è molto importante. Oggi più che mai ognuno di noi è più attento a quello che mangia, alla provenienza dei cibi, al comportamento del produttore, al benessere degli altri. “Noi siamo quello che mangiamo” asseriva il filosofo Feurbach e io aggiungerei anche “quello che abbiamo mangiato”, infatti chi non ha ricordi dei racconti dei nonni sulla miseria della loro tavola, dove la regina era la polenta? A volte più mesta, altre più allegra, non c'è dubbio che intorno alla polenta si consumi un rito, fatto di paiolo di rame, di filo per tagliarla, di intingoli, di attese fameliche, di intimità familiare, di rustica ghiottoneria. La comparsa nella letteratura italiana moderna della Polenta si deve soprattutto al Manzoni che nel capitolo VI dei Promessi Sposi descrive l'attesa di tutta la famiglia della polenta grigia che in periodo di grande povertà rappresentava la salvezza dalla fame estrema. “...lo trovò in cucina, che , con un ginocchio sullo scalino del focolare, e tenendo, con una mano, l’orlo d’un paiolo, messo sulle ceneri calde, dimenava, col mattarello ricurvo, una piccola polenta bigia, di gran saraceno. La madre, un fratello, la moglie di Tonio, erano a tavola; tre o quattro ragazzetti, ritti accanto al babbo, stavano aspettando, con gli occhi fissi al paiolo, che venisse il momento di scodellare. Ma non c’era quell’allegria che la vista del desinare suol pur dare a chi se l’è meritato con fatica. La mole della polenta era in ragion dell’annata, e non del numero e della buona voglia de’ commensali... ...Tonio scodellò la polenta sulla tafferìa di faggio, che stava apparecchiata a riceverla: e parve una piccola luna, in gran cerchio di vapori.” Mario Rigoni Stern usa la polenta come piatto della memoria e ricorda, attorno ad una tavola dove troneggia una radiosa polenta gialla, i tempi e i luoghi delle battaglie sull'Altipiano di Asiago e l'amico Teròn. “...Lo chiamavano Teròn, anche come nome di battaglia, perché era del Sud. “Il Teròn,” esclamò il casaro, “ ci faceva ridere quando voleva parlare in dialetto. Mi diceva sempre: “Bocia, polenta e farmaio zè bon, ma zè bon anche spaghetti con la pommarola ‘n coppa”. Ecco l'unità d'Italia in due piatti: Polenta e Spaghetti. La civiltà della tavola è per i popoli europei molto importante e per noi italiani lo è particolarmente. L'associazione “Accademia Italiana della Cucina” è chiamata “culturale” ed è posta sotto l'egida del Capo dello Stato, con lo scopo di diffondere e di preservare il nostro modo di nutrirci “alla mediterranea”. Maria Rosa Bozzato (informazioni tratte da La polenta letteraria di Andrea Severi) 17 leNotizie La storia dell’EXPO F inalmente ci siamo! Si comincia il count down finale. A Milano è tutto un fiorire d’iniziative e manifestazioni per promuovere l’evento dell’anno, EXPO 2015… Adesso, dopo tanto parlare potremo giudicare con i nostri occhi. La storia dell’Esposizione universale o mondiale incomincia nel 1851e continua ancora oggi. Inizialmente si trattò di un fenomeno europeo, esteso poi nella prima metà del Novecento agli Stati Uniti, fino ad allargarsi all’Oriente dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tali manifestazioni sono nate per distinguersi dalle fiere locali e per promuovere il progresso dell’industria, delle manifatture e della tecnologia dei paesi che le ospitavano, fino a diventare strumento di un paese per lanciare la propria economia e la propria immagine di potenza politica e sociale. Da qui, visto gli enormi interessi in gioco e la portata mondiale del fenomeno, ne scaturì la necessità di creare un regolamento a cui attenersi. Venne così redatta nel 1928, a Parigi, la Convenzione che sanciva la nascita del B.I.E. (Bureau International des Exposition) che regolava l’organizzazione di questi eventi. Frequenza ogni 5 anni, durata massima 6 mesi, costruzione dei padiglioni da parte dei partecipanti, dimensione dell’area non definita e tema generale a cui attenersi. Ad oggi la convenzione del B.I.E. conta 154 stati membri tutti consapevoli della forza politica e comunicativa di questo tipo di manifestazione, vetrina mondiale dei progressi scientifici e tecnologici di una nazione. L’attrazione principale delle 18 Esposizioni sono i padiglioni nazionali, gestiti e realizzati dai Paesi partecipanti, che si aggiungono ai padiglioni tematici. Storicamente ogni esposizione è sempre stata caratterizzata da particolari strutture che nonostante dovessero rimanere temporanee, effimere e smantellate a fine evento, sono divenute simbolo dell’esposizione, nonché talvolta della città organizzatrice o del Paese organizzatore stesso. In tempi moderni molte delle infrastrutture sono state riconvertite. La prima Esposizione Universale della storia, così come la intendiamo noi oggi, risale a quella di Londra nel 1851”the Great Exibition of the Works of Industry of all Nation” con i suoi 25 paesi ospiti e 6 milioni di visitatori, ha rappresentato un evento unico nel suo genere che ha segnato profondamente la storia di questo tipo di manifestazioni garantendo il successo proprio e delle future Esposizioni Universali. Voluta fortemente dal principe Alberto, consorte della regina Vittoria, per attirare a Londra tutte le ricchezze industriali del mondo e soprattutto per mostrare la grandezza tecnologica delle industrie britanniche, fu quasi sul punto di fallire per l’irrealizzabilità dei progetti presentati. La soluzione ideale la fornì John Paxton, famoso costruttore e giardiniere, il cui progetto di struttura modulare, il Crystal Palace, riproduceva la forma di una serra. In pochi mesi fu montato nel prato di Hyde Park, sede della manifestazione, un edificio di tre livelli con l’intelaiatura in ferro e la copertura in vetro. Era l’emblema della vittoria del ferro, ossia dell’industria, ma però nello stesso tempo la forma della serra ricordava quanto ancora la produzione manifatturiera fosse legata alla natura. Il palazzo venne smontato al termine dell’expo. Rimontato in altra zona di Londra fu ampliato e arricchito architettonicamente per ospitare altre importanti manifestazioni, fino alla definitiva distruzione in un rogo il 30 novembre 1936. Dopo Londra fu la volta di Parigi, Vienna 1873 (ci resta la ruota panoramica del Prater), Philadelphia, Melbourne e ancora Parigi. Nel 1889 Parigi ospitò una straordinaria edizione il cui tema espositivo era la celebrazione del centenario della rivoluzione francese. Questa edizione ci ha lasciato la Tour Eiffel, la torre di ferro alta 300 metri, costruita per l’occasione al Champs de Mars, mai smantellata e divenuta simbolo di una città e di una nazione. Il grande tornado delle esposizioni investì anche Milano, che esordì nello scenario economico mondiale con l’Esposizione Internazionale del Sempione del 1906, leNotizie con 25 paesi partecipanti e 10 milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo. Si festeggiò il traforo del Sempione che significava commercio, ferrovia e apertura all’Europa. Si era in piena Belle Epoque e il mondo guardava con fiducia al nuovo secolo. Tutti i padiglioni furono costruiti per non durare oltre il tempo dell’Expo, tranne l’Acquario realizzato su progetto dell’architetto Sebastiano Locati e situato accanto all’Arena di cui riproduceva l’architettura ellittica. Allora era il padiglione dedicato alla piscicoltura, oggi è uno dei più significativi edifici liberty di Milano. L’Expo fu sistemato in due luoghi distinti: il primo fu il Parco situato tra il castello e l’Arena, il secondo la piazza d’Armi, collegati da un treno elettrico. Fu una mostra ferroviaria importantissima, apparvero le automobili di varie case costruttrici con i loro primi modelli e la Daimler Benz. Dietro al petrolio e al motore a scoppio avanzava anche l’elettricità, la fonte energetica che aveva consentito e stava consentendo, con le dighe che si stavano realizzando in Valtellina e nel Bergamasco, il processo di industrializzazione della Lombardia. Di grande rilievo anche il padiglione dell’industria serica, importantissima per l’economia lombarda che diede spettacolo con la riproduzione, perfettamente funzionante, di una filanda e l’esposizione di una grande varietà di tessuti. Dall’Europa si torna agli Stati Uniti a San Francisco che nel 1915 celebra l’apertura del Canale di Panama. Solo la guerra ha fermato Expo. In Italia, a Roma nel 1941 si voleva realizzare il primato della vastità e un’esposizione non effimera ma stabile con edifici che potessero durare nel tempo. Nonostante il ritmo forsennato dei lavori non si riuscì a terminare in tempo e l’edizione fu spostata nel 1942 e infine sospesa per la guerra. L’area interessata prese il nome di EUR, oggi zona residenziale e sede di uffici pubblici. Sorte simile toccò all’edizione del 1955 a Bruxelles rimandata al 1958 a causa della Guer- ra di Corea e delle prime fasi della Guerra Fredda, visto che la tematica trattata riguardava l’energia atomica che da strumento di guerra e distruzione avrebbe potuto trasformarsi in energia di pace. A ricordo, sul luogo dell’esposizione ci rimane l’Atomium. Anche Walt Disney partecipò alla costruzione di attrazioni per la New York World’s Fair del 1965, rimontandole poi a Disneyland in Florida dove tuttora sono un parco a tema. Solo nel 1975 con l’expo di Okinawa s’incomincerà a parlare di temi ambientali. Bisognerà aspettare il 1992 perché l’Italia ospiti un altro Expo. Si terrà a Genova. Tema il cinquecentenario della scoperta dell’America e il messaggio ambientale della protezione delle acque nel mondo. Si svolse al Porto antico e permise la ristrutturazione della zona e della parte retrostante, i magazzini del cotone, su progetto dell’architetto genovese Renzo Piano. Fu costruito un acquario, tra i più belli in Europa e il Grande Bigo (termine genovese con cui i camalli, scaricatori del porto, chiamavano le gru di carico) immagine simbolo, con ascensore panoramico tuttora in funzione. Si sono tenute in Oriente le ultime due edizioni, a Aichi (Giappone) nel 2005 con tema legato alla saggezza della natura e a Shangai nel 2010 con “ better city better life” ovvero migliorare la qualità della vita in ambiente urbano. Ora tocca a Milano 2015 con un tema duplice e molto complesso “Nutrire il pianeta - Energia per la vita”. Simbolo di questa edizione è l’Albero di luce. Anny Rossi 19 leNotizie SOLTANTO DONNA, SEI Il Risorto a Maria di Magdala l’Annuncio svelò sublime che vinse la morte e i secoli venturi redense. Non fu creduta: era soltanto una donna. Sul rogo a Rouen mandarono Giovanna che gli eserciti inglesi sott’Orleans sconfisse e il re di Francia rimise in trono ma infranse le categorie del femminile: era soltanto una donna. I Fenici in baratri profondi le piccole inutili figlie gettavano agli dei immolando con rito sacro: erano soltanto donne. Nell’Aulide remota Agamennone sciolse verso Troia le vele ad Artemide sacrificando la figlia Ifigenia, la bella sbocciata nell’anno: era una donna. Teresa d’Avila che nuovi carmeli eresse e nuovi statuti, gli eccelsi suoi scritti ascetici vide riarsi nel fuoco: ella stessa si riteneva soltanto una donna. Solo da loro non fu tradito sul Calvario, le pie donne fedeli. I soldati non le degnaron d’uno sguardo: erano soltanto donne. La fanciulletta morta nell’Evangelo di Matteo col lieve tocco della Sua mano Gesù surrexit … era una piccola Donna Letizia Maderna 20 leNotizie IN RICORDO DI GIOVANNI Te ne sei andato così... come sei venuto, in silenzio, senza darci il tempo di dirti “addio”, ai tuoi amici del teatro hai lasciato la tua simpatia mescolata ad una dolce melanconia. Giovanni, piccolo, grande verace attore, dietro ogni tuo sorriso, maestralmente nascondevi il dolore che affliggeva il tuo cuore, ogni venerdì, coltivavi con noi la tua passione recitando con magistrale abnegazione, qual balsamo alle tue sofferenze! Giovanni tu inseguivi un sogno... sognavi di parlare un linguaggio universale, sognavi la gente che sapeva amare, e sulla scena “fermavi” il tempo.... portavi tutto te stesso interpretando gioia e dolori di chi tenevi nel cuore. La vita è sempre un’opera di teatro, ma il sipario mai scenderà, se ciascuno di noi imparerà a vivere ... imparerà a sperare... imparerà a seminare amore, grazie Giovanni il ricordo di te è vivo in mezzo noi e non si cancellerà giammai. I tuoi amici del venerdì (Clara Vanosi) MATERNITÀ Il tuo sguardo velato, madre, cela la trepida ansia dell’abbandono in un dolore che solo tu sai di poter comprendere. Tiziano Maria Galli 21 leNotizie D Perché tante persone intelligenti perdono soldi ? opo diversi anni di attività come consulente indipendente e in stretta collaborazione con associazioni di consumatori ho avuto modo di vedere molti casi di persone molto intelligenti perdere una parte molto consistente dei loro risparmi. Ho potuto verificare che la principale ragione di queste perdite non ha niente a che vedere con l’andamento dei mercati finanziari. Infatti, l’andamento dei mercati finanziari, ai quali si attribuisce tanta importanza, costituisce sempre una scusa alla quale ci si attacca per tentare di giustificare determinati risultati, mai la vera ragione per la quale si sono persi i soldi. Fondamentalmente, le ragioni per le quali tante persone perdono soldi si possono riassumere in tre gruppi: 1. Errori in fase di scelta. Sappiamo che il mondo degli investimenti finanziari è caratterizzato dalla “asimmetria informativa”. Accade spessissimo, quindi, che i risparmiatori scelgano gli strumenti nei quali investire senza avere una chiara idea di quello che potrà accadere nelle varie situazioni di mercato. Quando accadono gli eventi che loro non avevano previsto (perché il venditore si è guardato bene dall’indicarli, altrimenti non avrebbero mai investito) allora scatta un riflesso psicologico che li porta a fuggire da quell’investimento. E’ un dato di fatto, inoltre, che il 90% dei prodotti dell’industria del risparmio gestito non ha alcuna ragione di esistere perché l’unico servizio che realmente offrono, la diversificazione, può essere agevolmente acquistato 22 ad un decimo del costo di questi prodotti. Sfruttando l’asimmetria informativa uno degli ultimi che stanno riscontrando un successo ingiustificato sono i “fondi a cedola”. Quando l’investitore si rende conto, grazie ad un andamento negativo dei mercati, che i presupposti per i quali aveva investito in quel prodotto non sono veri, allora scatta la fuga dal prodotto. Di solito, però, alla fuga dal prodotto (cosa positiva) si associa la fuga dal mercato nel quale il prodotto investiva (cosa negativa) e questo avviene sempre nel periodo peggiore. Secondo la mia esperienza, questo meccanismo è alla base almeno dell’80% dello sperpero di risparmi degli investitori. 2. Strategia: assente o sbagliata. Una volta eliminato/attenuato il problema precedente, rimangono tutti i problemi di carattere psicologico legati agli investimenti finanziari. La mancanza di una corretta Pianificazione Finanziaria porta molti investitori a definire ad es. l’arco temporale dei propri investimenti in modo superficiale. Molto spesso viene detto dagli investitori “mah 3-4 anni”, quando in realtà una parte preponderante potrebbe rimanere investita per molti più anni perché l’investitore non ne ha bisogno. Il compito di chi fa Consulenza Finanziaria deve essere innanzitutto focalizzato a “far uscire” prima di tutto gli obiettivi nascosti, fondamentali per la definizione di una corretta strategia. Senza questo il risparmiatore sarà sempre in balia dei propri errori mentali e portato a compiere, inesorabilmente, sempre la scelta sub-ottimale. 3. Eventi imprevedibili (nella vita dell’investitore) La risposta di prima “3-4 anni” è sempre motivata con il “non si sa mai quello che può succedere”. Questo denota la mancanza di Pianificazione Finanziaria. In qualsiasi strategia devo considerare di tenere una parte dei risparmi in prodotti facilmente liquidabili in cui l’obiettivo non dovrà essere massimizzare il rendimento, ma conservare il capitale pronto per gli eventi imprevisti. Nella fase di individuazione degli obiettivi non deve mancare la valutazione dell’impatto ad eventi imprevisti tanto improbabili, ma altrettanto devastanti se si presentano; ad es. nel caso di una famiglia monoreddito con moglie e diversi figli a carico, senza un capitale consistente alle spalle, non si dovrebbe escludere la possibilità di valutare “eventuali” coperture assicurative che in caso di premorienza consentano alla famiglia di proseguire in modo dignitoso la crescita dei figli. Soluzioni punto 1) rifiutare qualunque proposta provenga da un soggetto che ha interesse a vendere prodotti finanziari. Seb- leNotizie bene esista una remota possibilità che la proposta che viene sottoposta sia valida, il fatto stesso di aderire ad una proposta che non è frutto di una specifica analisi dell’investitore, crea i presupposti affinché quell’investimento non sia vissuto in maniera del tutto consapevole. In altre parole, è necessario che l’investitore (seguito da un consulente indipen- dente) scelga direttamente gli strumenti nei quali investire;vedi anche l’articolo su Plus24 IlSole24ore di sabato 14/02/15. Per utilizzare strumenti finanziari diversi da quelli più semplici, è indispensabile avere in proprio le conoscenze di base necessarie. Non bisogna essere necessariamente squali della finanza, basta avere la pazienza di studiarsi alcuni elementi di base per poter fare scelte consapevoli. Se non si ha la possibilità di crearsi queste conoscenze, bisogna avere l’umiltà di non investire in strumenti più complessi; chiedetevi “sarei sicuro della qualità di un servizio che non pago?” Roberto Anselmini I funghi nella storia I funghi da sempre sono stati considerati “oggetti misteriosi”; non sono vegetali, non possiedono radici e neppure foglie e fiori e nemmeno clorofilla, che è presente in tutte le piante e che per mezzo della luce permette al vegetale l’assimilazione di anidride carbonica dall’atmosfera, ma appartengono al “Regno Funghi”. La misteriosa biologia del fungo ha attirato l’interesse dell’uomo fin dai tempi più remoti. La prima informazione documentata è stata ritrovata nel deserto del Sahara e risale a 7000-9000 anni fa. Per i padri della moderna micologia, questa testimonianza dimostra che l’uso di funghi allucinogeni risale al periodo Paleolitico e che avveniva in contesti e rituali di natura mistico-religiosa. Nel settembre del 1991 alcuni scalatori trovarono nelle Alpi tirolesi a 3.500 m slm una “mummia” datata 5300 anni che chiamarono “the iceman” Oetzi la Mummia del Similaun. Questo uomo primitivo aveva con sé un kit medicinale contenente un fungo Piptoporus betulinus, importante per le sue attività antibiotiche e vermifughe e una massa lanuginosa ottenu- ta dal fungo Fomes fomentarius usata probabilmente come esca per accendere il fuoco. Studi hanno dimostrato che era infettato da vermi intestinali e che quindi si stava probabilmente curando con i funghi. Geroglifici egiziani di 4600 anni fa attestano che i Faraoni pensavano che i funghi fossero “erbe dell’immortalità”. Gli antichi egiziani credevano che in funghi selvatici fossero i “figli degli dei” mandati sulla terra attraverso i fulmini e per questo solo ai Faraoni era permesso mangiarli. Nella lontana civiltà greca i funghi erano particolarmente temuti e guardati con sospetto perché ritenuti velenosi. In seguito poi, nei secoli, entrarono nel folclore popolare con versioni poetiche e leggende fantastiche. I funghi, proprio per il fatto che sembra spuntino dal nulla, sul terreno o su tronchi di piante, per la velenosità di alcuni e per gli effetti allucinogeni di altri, hanno, sin dai tempi antichi, suscitato la fantasia degli uomini, che li hanno avvolti in un alone di magia e li hanno fatti diventare protagonisti di credenze e leggende popolari. Oggetti che ricordano i funghi, in particolare le statuette riconosciu- te universalmente con l’espressione anglosassone di mashroom stones “pietre-fungo”, sono stati ritrovati negli scavi archeologici di diversi siti del Guatemala e del Messico meridionale. Gli Atzechi e i Maya consideravano i funghi allucinogeni (es. Psilocybe spp), “carne divina” per la loro proprietà allucinogene e per le capacità che conferivano agli sciamani. Tra le popolazioni siberiane l’Amanita muscaria era ed è usata collettivamente, in occasione di cerimonie e di feste, oppure impiegata dagli sciamani per favorire la trance durante le pratiche curative o per contattare gli spiriti dei morti, nelle pratiche divinatorie e nell’interpretazione dei sogni, oltre ad essere impiegata come fortificante nel corso dei lunghi spostamenti della caccia. Le popolazioni siberiane scoprirono che l’urina di chi mangiava l’Amanita muscaria era anch’essa dotata di proprietà psicoattive e adottarono il bizzarro costume di bere la propria urina o quella di altri individui dopo l’assunzione del fungo per prolungarne gli effetti. Probabilmente queste popolazioni scoprirono le proprietà psicoattive del fungo e 23 leNotizie dell’urina di chi mangiava il fungo, osservando il comportamento delle renne, che ne andavano ghiotte e si inebriavano intenzionalmente sia con Amanita muscaria che con l’urina delle altre renne che lo avevano consumato. In Europa occidentale nella storia si riporta un’avversione per i funghi, particolarmente accentuata in Inghilterra e Irlanda, ma che parte già dagli antichi romani. Nella civiltà Romana infatti, il fungo, pur apprezzato per le qualità culinarie, diventò anche simbolo di morte; infatti, il termine fungus significherebbe “portatore di morte” (dal latino funus = morte e ago = porto, portare). Sono vari gli episodi, tra leggenda e realtà, legati alla concezione funesta dei funghi. Si narra ad esempio che l’imperatore Claudio era così ghiotto di funghi che morì proprio a causa di questi: la moglie Agrippina, conoscendo il suo debole culinario e desiderando mettere sul trono, al suo posto, il figlio di primo letto Nerone, lo avrebbe fatto avvelenare proprio con funghi velenosi. “All’amico povero, funghi di dubbia qualità, e al padrone invece un magnifico boleto (Amanita casearia); come quelli che mangiava Claudio, prima di mangiar quell’ ultimo della moglie dopo il quale non mangiò più.” (Giovenale, 55-135 d. C, Satira). Questa micofobia non si applica tuttavia a paesi dell’Europa dell’est dove i funghi costituiscono una parte importante della dieta. Ma la vera tradizione dell’uso dei funghi medicinali viene dall’Oriente, dalla Medicina Cinese di tradizione Taoista. La terminologia della Micoterapia Cinese è difficilmente comprensibile per la medicina occidentale, 24 ma è una vera e propria medicina con una storia di oltre 4000 anni, diversa, ma non necessariamente inferiore alla medicina occidentale. I funghi sono stati usati nella medicina tradizionale cinese per millenni sia come nutrizione che come fitoterapia, per benessere e longevità. Sono le erbe dell’imperatore. Controllano il mantenimento della vita... L’assunzione anche di grandi quantità per lunghi periodi di tempo non è dannosa (secondo la medicina cinese). Se uno vuole tonificare e prolungare la vita senza invecchiare, deve prendere le erbe appartenenti a questa classe. Assieme al Ginseng e all’Astragalo, anche funghi come Ling Zhi (Reishi o Ganoderma lucidum), Zhu Ling (Polyporus umbellatus), Dong Chong Xia Cao (Cordyceps sinensis), Shiitake (Lentinus Edodes). La Micoterapia Cinese riconosce vari tipi di funghi medicinali e li inserisce in terapia come corrispondenze naturali a varie patologie, per tonificare e riequilibrare lo yin e lo yang che viene alterato dalle malattie. Una tradizione storica così importante può essere una valida testimonianza di quelle culture popolari e medicine antiche il cui patrimonio va oggi riscoperto e recuperato. Gli studi sulle proprietà dei funghi sono in forte crescita, ma, mentre si diffonde l’azione per una conoscenza più approfondita, rimane l’accompagnamento di vecchie tradizioni, miti e leggende che ancora considerano il fungo come qualcosa appartenente ad un mondo misterioso legato a fenomeni ultraterreni e a forze sovraumane. Carlo Piuri