le
Notizie
UNITRE Cesano Maderno - periodico a diffusione interna - aprile 2015
Ancora grazie professoressa Maderna
S
e è vero che il trascorrere del
tempo offusca la memoria è
altrettanto vero che gli aneddoti
la vivificano. Ricordare la professoressa Maderna per me significa
riscrivere attraverso gli aneddoti la
genesi della nostra Unitre.
Ottobre 1988. L’Unitrè della
mia città stava diventando realtà.
Ero stato sollecitato a programmare un incontro con il gruppo di
encomiabili persone di buona volontà che avevano accolto con entusiasmo l’iniziativa e desideravano
sottopormi il loro progetto organizzativo. Il gruppo era composto
da: Savina Crippa, Emma Ascari,
Francesco Disarò, Lucia Elli e Tina
Cerati Maggi. Volti a me tutti noti
per il loro impegno educativo nella
nostra città.
Avevamo a disposizione un
gruppo altamente qualificato tanto
che il coordinatore prof. Bolognini
si rese conto che avremmo potuto
attivare da subito la sede autonoma. In questo contesto la figura
della professoressa Maderna emerge in tutta la sua dimensione.
E’ il 1992, il professor Antonio
Silva, socio fondatore e direttore
dei corsi, a causa dei numerosi impegni scolastici ed extra scolastici
non era più in condizione di dedicarsi al coordinamento dei corsi di
fatto già organizzati dai nostri volontari. A sostituirlo occorreva una
persona dotata di esperienza acquisita durante numerosi anni di vita
scolastica.
Mi viene consigliata la professoressa Letizia Maderna già nostra
docente di Storia di Donne e Storia
contemporanea, oltre a Cattedra di
Poesia e Storia dell’arte.
I corsisti che frequentavano
le sue lezioni mi parlavano di lei
con grande entusiasmo. A loro dire
spiegava la storia dell’arte non solo
a livello storico-cognitivo, cioè risalendo alla nascita, ai retroscena,
all’evoluzione dei capolavori ma
anche concretamente suggerendo
le indicazioni utili per poterle visitare di persona. Le sue lezioni
erano affollatissime perché la ricchezza della sua cultura veniva trasmessa con semplicità di linguaggio e sempre finalizzata ad esaltare
il bello come perfezione sensibile.
Alcune volte avevo la fortuna
di incontrarla e ancora oggi ricordo
una lunga piacevole conversazione
sulla materia del suo insegnamento. La sua cultura era fondata sulla sensibilità quale manifestazione
poetica. Mi confidava che trasmettere al corsista l’amore per il bello
significava per lei esaltare le emozioni, nutrimento dello spirito e
dell’animo.
Argomentava con convinzione
sostenendo che se l’arte ha per scopo principale ed immediato il sentimento del piacere, essa è estetica
e come tale si sostanzia nel bello.
Per lo stesso motivo richiamandosi
a un concetto dell’Abbagnano sosteneva che la poesia intesa come
stimolo o partecipazione emotiva,
si identifica con l’empatia (intesa
quale attività estetica) nel senso di
proiezione delle emozioni del soggetto nell’oggetto estetico.
Era il 2008 quando ci comunicò di porre fine alla collaborazione.
Decidemmo di esternare pubblicamente il ringraziamento dell’Unitre durante l’abituale riunione di
presentazione dei corsi nella sala
Aurora del Palazzo Borromeo. Per
la sua preziosa dedizione al nostro
Ente si ritenne di testimoniare la
nostra grande riconoscenza offrendo una rara pubblicazione sui capolavori architettonici di Milano.
Sfogliando la pubblicazione ci
manifestò il suo grande entusiasmo
valutando il volume un prezioso
documento utile per le sue ricerche sull’architettura milanese: l’avevamo resa felice perché miglior
omaggio non potevamo fare.
Ora non è più! Recandomi alla
funzione religiosa per l’estremo
saluto mi ritrovai con i fedelissimi sempre presenti coniugi Ascari
e Disarò. Sull’altare il vessillo sociale testimoniava la nostra partecipazione alle onoranze funebri,
onoranze che la sua città volle in
forma solenne. La mistica compunta devozione dei presenti è stata un
commovente viatico per la nuova
vita verso la quale si era incamminata.
A noi rimane una eredità di
amore per l’arte e la poesia: amore
che la nostra Unitre onorerà continuando a privilegiarlo nell’insegnamento condividendo la Sua
convinzione che arte e poesia sono
fonte di arricchimento della mente
e dello spirito.
Ancora grazie professoressa
Maderna!
Annibale Sivelli
leNotizie
Sommario
Ancora grazie prof. Maderna
Pro-memoria per la chiusura
I carri armati della Teresina
Dall’Islam di Maometto
a quello d’oggi
L’Occidente e la verità
Diritti per i cristiani,
per i musulmani…
Domani vi ameremo
Rubrica dei nonni
La Sindone:
un mistero che non smette…
Il Crocifisso rotto
Fantastiche donne italiane… I compiti a casa sono
davvero una tortura?
A proposito dei compiti a casa
Momento di crescita educativa:
i compiti
Milano e la sua Expo
L’Expo e la nostra polenta
La storia dell’Expo
Soltanto donna, sei In ricordo di Giovanni
Perché tante persone intelligenti
perdono soldi?
I funghi nella storia
UNIVERSITÀ DELLE TRE ETÀ
Sede di Cesano Maderno
Via Federico Borromeo, 11
20811 Cesano Maderno
Tel. 0362 540 085
Fax 0362 585010
www.unitrecesano.it
[email protected]
Redazione
Giuseppe Ascari
Ferruccio Crenna
Luciano Nardi
Bruno Proserpio
Anny Rossi
[email protected]
Grafica e impaginazione
Giovanna Cesari
Maria Spotti
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Pro-memoria per la chiusura corsi
Ricordiamo che le lezioni termineranno venerdì 29
maggio 2015. Come di consueto, nelle settimane
precedenti si terranno tutti gli eventi che caratterizzano
la chiusura dell’anno accademico.
Mercoledì 20 maggio alle 20.30 presso il Cine Teatro
Excelsior di Cesano Maderno ci sarà lo spettacolo
teatrale offerto dai corsisti dei due corsi di Recitazione.
Giovedì 21 maggio alle 20.30, sempre presso il
Cine Teatro Excelsior, ci sarà invece lo spettacolo di
chiusura a cui tanti corsisti e docenti stanno lavorando
da mesi per la sua realizzazione.
Seguirà l’Open Day nei giorni di sabato 23 maggio
(ore 14.30 – 18.30) e domenica 24 maggio (ore 10.00
-12.00 e 14.30 – 18.30). La manifestazione avrà luogo
presso la sede Unitre, ove tutti potranno ammirare i
pregevoli manufatti realizzati dai corsisti dei vari corsi
durante l’anno accademico.
IL 5 PER MILLE PER L’UNITRE
Ricordiamo che nella prossima dichiarazione dei redditi
relativa all’anno 2014 è possibile dare il proprio contributo all’Unitre, devolvendo alla stessa il 5 per mille.
Allo scopo dovrete apporre la vostra firma nello
spazio riservato a Sostegno del volontariato e delle
altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale
(ONLUS), indicando il codice fiscale 9102 292 0150
Collaboratori di segreteria
Carla Arienti
Emma Ascari
Simona Bergo
Vera Ceoloni
Daniela Donadonibus
Marina Gasparotto
Loredana Orciari
Luciana Ramponi
Luciana Redaelli
Maria Luisa Sambruna
Giulia Spotti
Vincenzo Zucchi
Tecnici
Franco Alberti
Dino Baresi
Valter Canato
Mauro Domizioli
Maria Spotti
Orario di segreteria
Da lunedì a venerdì:
ore 10.00 – 11.30
ore 14.30 – 18.30
Consiglio direttivo
Presidente:
Ferruccio Crenna
Presidente onorario:
Annibale Sivelli
Vice presidenti:
Luca Ricci
Emma Ascari
Tesoriere:
Francesco Disarò
Direttrice dei corsi:
Giuliana Colombo
Consiglieri:
Roberta Sacchetto
Sergio Tognella
Segretaria:
Emma Ascari
Rappresentanti dei docenti:
Tiziano M. Galli
Luciano Nardi
Rappresentanti dei corsisti:
Flavio Basilico
Anny Rossi
leNotizie
I carri armati della Teresina
Q
uando la maestra ci dettò la
nota sul quaderno per i genitori, qualcuno già lo sospettava, ma
l’ufficialità della nota rese pubblica
la cosa.
Correva l’anno 1944 e nella nostra classe quasi tutti avevamo i pidocchi. Non era certo una novità per
quei tempi: metti una cinquantina
di scolari maschi e femmine in uno
stanzone riscaldato, si fa per dire, da
una povera anche se volonterosa stufa a legna, pigiati nei banchi in troppi
per difenderci dal freddo, ed il contagio era assicurato.
Scattarono subito i provvedimenti ad opera dello zio Gige, il fratello
del mio nonno materno. Lo zio possedeva una di quelle macchinette a
mano e tagliava i capelli a figli e nipoti a tempo perso. Per l’emergenza
ci convocò sotto il grande portico di
casa sua. Eravamo più di 20 ma in un
pomeriggio lo zio mutò le teste bionde e nere in zucche rapate. Il pronto
intervento serviva ad evitare il contagio alle altre classi. Dopo il taglio
si tentava di eliminare le ultime tracce dei parassiti con gli scarsi mezzi a
disposizione. Mentre la biancheria si
faceva bollire, non si poteva fare altrettanto con le teste. Non esistevano
allora le polveri insetticide per elimi-
nare del tutto gli indesiderati ospiti
e i rimedi conosciuti consistevano in
spennellature delle teste con petrolio
o con un olio di nonsisabenecosafosse venduto dal ciarlatano di passaggio. Mentre i maschi si sottomettevano senza particolari opposizioni
al taglio dei capelli, per le bambine si
trattava di privarsi delle trecce; le resistenze delle poverette erano tenaci
e i pianti lunghi e disperati. Comunque nel giro di pochi giorni anche
queste teste ebbero un nuovo look.
Tutte le teste meno quella della
Teresina, la ragazza aveva due anni
più di noi ed era dura di cervice,
grande, grossa e manesca. Luigino,
che una volta s’era azzardato a tirarle
una treccia, si trovò steso a terra con
una guancia in fiamme. La maestra
dettò un’altra nota sul quaderno per i
genitori della Teresina per sollecitarne il taglio. Il giorno dopo la ragazza
venne accompagnata dalla madre,
una specie di granatiere in gonnella,
che disse in malo modo alla maestra
che sua figlia i pidocchi non li aveva,
pertanto poteva risparmiarsi d’inviare altre note. Mentiva sapendo di
mentire e tutti lo sapevano perché
quelli della Teresina, per non essere da meno della… portatrice, erano
più grossi e numerosi dei nostri. Lu-
igino, ferito nel suo orgoglio di maschio, messo al tappeto dal sonoro
ceffone, trovò il modo di vendicarsi
e svelto di lingua com’era, sparse la
voce che gli animaletti della Teresina
erano grossi come “carri armati tedeschi” (eravamo in tempo di guerra).
La fanciulla, imperterrita continuava ad entrare in classe con le sue
treccione: evidentemente la sua testa
era veramente insensibile ai morsi
degli animaletti, per non esserne infastidita. Infastiditi e indispettiti erano invece i genitori degli altri scolari
che non intendevano tollerare ulteriormente questa cocciutaggine. La
maestra non aveva certo gradito la
sceneggiata della granatiera davanti a tutta la classe. Non mandò altre
note ma, aiutata dalla bidella, procedette al taglio coatto e spedì a casa la
Teresina in lacrime con un sacchetto
contenente le trecce ed un biglietto
“Signora guardi attentamente le trecce di sua figlia; i pidocchi ci sono,
grossi e numerosi”.
La ragazza a scuola non venne
più, l’anno dopo per motivi di lavoro
la famiglia si trasferì altrove e di loro
non si seppe più nulla. Alcuni anni
orsono in occasione di una rimpatriata con i coetanei, durante la cena
si parlò a lungo dei tempi andati,
molti avvenimenti erano sbiaditi dal
tempo, altri addirittura dimenticati e
riportati alla luce dalla buona memoria di qualcuno. Nessuno però aveva
dimenticato la Teresina dalle lunghe
trecce nere traboccanti di…. ospiti
indesiderati, grossi come “carri armati”.
Giorgio Isari
3
leNotizie
Dall’Islam di Maometto a quello di oggi
S
e vanno avanti così ci sgozzeranno tutti!... Più che massacri non fanno… E chi li ferma?...
Sono voci che corrono, vere
ma almeno molto parziali, troppo
dipendenti dal sentito dire o dal
visto in TV. Ascoltando invece
uno specialista la visuale si allarga e diventa più seria, riuscendo
a coinvolgere addirittura nonne
e nonni disarmati ma speranzosi.
E’ capitato il pomeriggio del 3
marzo ascoltando don Giampiero
Alberti, che sull’Islam studia da
anni e a Milano e altrove tiene
contatti con islamici di alto e basso livello.
Dapprima il relatore ha brevemente ricordato la storia di
Muhammad (che noi chiamiamo
Maometto), vissuto tra il 570 e
il 632 d.C. Ben presto orfano dei
genitori e cresciuto con uno zio e
poi con diverse donne (tra le quali la più importante la ricca Candija), verso il 610 “sente” la vocazione del “profeta” dell’unico
Dio-Allàh, di cui si fa portavoce.
Innanzitutto lo fa nella sua città
di La Mecca, dove si scontra con
i sacerdoti dei tanti dei colà venerati (e che ne sfruttavano il culto)
e con i ricchi, colpevoli di ingiustizie, soprusi, violenze specialmente contro poveri, vedove, orfani, prigionieri, schiavi. La loro
dura reazione costringe Muhammad a fuggire a Medina con un
pugno di seguaci. E’ il 622, anno
dell’”Egira”.
A Medina egli organizza la
gente che riesce a convincere,
la fa passare decisamente alla
fede in un unico Dio “clemente e
misericordioso-creatore-giudice
di buoni e cattivi”, la organizza,
anche militarmente, per poi ripartire alla conquista de La Mecca,
dove entra trionfatore nel 630.
4
Intanto comunica ai suoi,
oralmente, le “rivelazioni” ricevute, secondo lui,
dall’arcangelo Gabriele a
nome di Allàh e organizza
una forte comunità, chiamata Umma. I suoi seguaci ascoltano e a memoria
trasmettono quello che poi
diventerà il Corano.
Il Corano, per loro libro
sacro e intangibile, viene
redatto solo dopo la morte
di Muhammad (632) e trasmesso in varie redazioni
da 4 Califfi suoi successori, tra i quali spicca il genero e nipote Alì e marito
di Fàtima (Muhammad non ebbe
figli maschi). Ma tra i 4 sorsero
ben presto liti e divisioni, le più
importanti delle quali sono quelle
tra Shiiti (legati ad Alì e al Corano letto con lui) e Sunniti (legati
ad altri califfi e non solo al Corano ma anche a tradizioni a quello
aggiunte). Le differenze tra loro,
e poi anche con altri movimenti,
divennero anche aspre e bellicose, dipendenti non solo da motivi
religiosi. Queste durano tuttora,
anche perché l’Islam non ha un
unico capo.
I califfi moderni, come BinLaden e Al-Bagdadi (ma ce ne
sono altri meno noti e diversi),
vogliono conquistare il mondo sia
religiosamente che politicamente,
con metodi anche brutali, come
sappiamo. Ma essi sono contestati anche da movimenti “modernisti e riformisti” islamici, che li
ritengono addirittura traditori del
vero Islam (la parola Islam richiama sottomissione fiduciosa e
totale ad Allàh, ma anche “pacesalàam”).
Don Alberti richiamò anche
altri punti fondamentali della
dottrina e della prassi islamica,
attinta in gran parte dalla Bibbia
ebraica e un po’ (ma molto meno)
anche dai Vangeli.
Prospettive per il prossimo
futuro? C’è da sperare che le critiche interne all’Islam moderno
siano più ascoltate dai loro fratelli estremisti e fanatici. E che
la nostra carità (anche quella di
nonni e nonne, preti d’oratorio,
insegnanti nelle scuole, casalinghe al supermercato…) aiuti tutti
a crescere in quell’amore che Dio
insegna già un po’ nel Corano e
più ancora nel Vangelo.
Da ultimo: il musulmano, col
suo timor di Dio, ama prostrarsi
davanti ad Allàh fino a terra; noi
crediamo in un Figlio di Dio che
si è prostrato fino a lavare i piedi
anche a un Giuda!
Don Giovanni Giavini
PS: per saperne di più sarebbe
bene leggere il Corano… o almeno il libretto di M. Borrmans,
ABC per capire i musulmani, ed.
S. Paolo, che don Alberti ha mostrato e raccomandato.
leNotizie
L’Occidente e la verità
N
el colloquio tra Pilato e
Gesù, quando Gesù afferma
di rappresentare la verità, Pilato
chiede “Cos’è la verità?”
In realtà Pilato e Gesù si riferiscono a due verità diverse: Pilato a quella raggiungibile (almeno
nella illusione degli uomini) per
mezzo della attitudine razionalistica ed analitica dei filosofi, che
della realtà cercano di individuare i principi generali che la governano e la determinano; Gesù alla
verità trascendente di Dio, non
verificabile in alcun modo nella
immanente realtà umana.
L’incapacità o l’impossibilità
di determinare la verità da parte
della filosofia non hanno certo
fatto venir meno la ricerca di essa
da parte dell’uomo. Al contrario
hanno determinato il moltiplicarsi degli sforzi, sia della fantasia
sia della ragione. Il prodotto più
significativo di essi è stata la metafisica, cioè quella branca della
filosofia che indaga su ciò che, essendo al di là della realtà conoscibile da noi, può essere investigato
solo con la riflessione, col pensiero, senza la possibilità di verificare la validità delle “conoscenze”
così acquisite.
L’uomo, essendo (per sua disgrazia, come diceva Leopardi)
dotato di consapevolezza, è anche l’unico essere che si trova di
fronte al problema della morte,
l’unico che sa di essere venuto dal
nulla e di dover tornare al nulla.
Sono pochi gli esempi di uomini
che hanno mostrato di non temere la morte e di accettarla come
inevitabile e quindi con serenità e
fatalismo. Tutti gli altri, a livello
di massa, nella vita agiscono in
funzione della morte, della quale
hanno una inconsapevole consa-
pevolezza: vogliono avere figli,
per mezzo dei quali conquistare
una sorta di immortalità, e vogliono raggiungere obbiettivi nel
più breve tempo, perché sanno
che col trascorre degli anni e col
consumarsi della vita non sarà più
possibile. Soprattutto, procurano
a se stessi, con la fede, l’assicurazione che la loro anima sarà per
l’eternità, anche se il loro corpo è
destinato a perire.
In Occidente questa funzione
di rassicurazione è svolta dal Cristianesimo, espressione non solo
della predicazione di Gesù e degli
apostoli, ma soprattutto di Paolo, che, nutrito di filosofia greca,
ha impresso su di esso l’impronta della metafisica. Da allora la
verità religiosa ha improntato di
sé tutte la varie società dell’Occidente, almeno fino all’Illuminismo. Coloro che mettevano in
forse questa verità, proponendo visioni diverse del mondo e
dell’uomo, venivano fati tacere,
in modi più o meno cruenti, come
è accaduto a Galileo, a Giordano
Bruno, a Michele Serveto.
Quale differenza possiamo notare tra quanto è accaduto in Occidente e quanto accade ora nei
Paesi islamici, ad opera dell’ISIS? Analogo è l’agire in nome
di principi religiosi
ed analogo è il trattamento riservato
agli eretici o agli
apostati ( il pilota
giordano e Giordano Bruno hanno subito la stessa morte
atroce); l’Occidente ha dimenticato
o non vuole ricordare quante brutture sono state com-
piute in nome della religione e
della sua verità; quante stragi di
milioni di uomini sono state perpetrate in nome di verità non solo
religiose ma anche, nei tempi moderni (basti vedere il XX secolo!)
ideologiche.
La differenza è solo temporale,
nel senso che tre secoli fa, avendo
noi avuto l’Illuminismo, abbiamo elaborato la tolleranza ed il
rispetto delle idee altrui, e ciò è
divenuto un atteggiamento comune nelle democrazie occidentali.
Tutto ciò non appartiene in alcun
modo a quegli islamici, nutriti di
fanatismo e superstizione. Il loro
barbaro agire è anzitutto espressione della profonda paura che il
loro mondo di certezze sia destinato a scomparire, nel rapporto
con le libertà dell’Occidente. Si
capisce anche per quale motivo
alcuni dall’Occidente vanno a
militare nell’ISIS: trovano in esso
le certezze che cercano e che non
trovano nella civiltà e nella cultura occidentali, nutrite all’opposto
della attitudine al dubbio e della
necessità che ciascuno si formi e
si costruisca una sua propria visione del mondo e di sé.
Alberto Berardocco
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leNotizie
Diritti per i cristiani, per i musulmani e per gli altri
O
ggi, molti si battono per quei
diritti fondamentali che sono
messi a rischio e che, in alcuni
paesi, sono addirittura negati: il
diritto alla vita, il diritto alla istruzione, il diritto al lavoro, il diritto
alla libertà, il diritto alla salute.
Ma da dove originano tutti
questi diritti? Chi ha detto che
esistono? Chi li ha creati? A queste domande, per millenni, gli
uomini hanno risposto: “Dio li
ha creati”. Per millenni, solo il
comandamento divino si è eretto
contro Caino, contro l’uomo più
forte che potrebbe uccidere l’uomo più debole o derubarlo dei
suoi beni o ridurlo in schiavitù.
Per i credenti (cristiani, ebrei
o musulmani), uccidere, rubare, mentire, etc.
sono prima di
tutto dei peccati, che vanno
contro precisi imperativi
morali e quindi
sono vietati dalle leggi umane.
La Bibbia afferma che, sul
monte Sinai, Dio
ha dato le Tavole della Legge a
Mosè. Anche i musulmani sostengono la origine divina della “Sharia”, la legge coranica. Il grande
teologo musulmano al Ghazali, è
assolutamente certo che la ragione
umana non è in grado di produrre
principi morali universali ed afferma categoricamente:”Non c’è
obbligazione morale che discenda dalla ragione. Tutte discendono dalla sharia”.
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Gli uomini hanno bisogno di
Dio per porre dei limiti morali
alle loro azioni.
Gli uomini hanno bisogno di
un Aldilà per razionalizzare le ingiustizie di questa vita e per dissuadere i malvagi. Questa, in Occidente, era la convinzione degli
uomini anche prima che comparissero Gesù o Maometto.
La conclusione di filosofi come Platone è chiarissima:
il timore degli dei è necessario.
Solo con uomini “religiosi” è
possibile formare una società civile e moralmente integra.
Per questo, il rabbino Giuseppe Telushkin ha scritto in un suo
libro del 1994 : “Finora da un
punto di vista filosofico non si è
potuto dare una risposta convincente alla domanda: perchè Hit-
ler aveva torto? Si può solo affermare che ha agito contro la legge
divina, contro i comandamenti di
Dio.
Quando il Volto di Dio si nasconde al mondo, la violenza e
l’arbitrio e la immoralità prevalgono.
Oggi, la nostra
umanità globale,
formata da miliardi di persone
di religioni diverse ed anche
da molti atei,
a quale fonte ed a quale
autorità può
fare riferimento per
definire un
comportamento etico e per costruire una società civile? Perchè
sbagliano coloro che vorrebbero
imporre una legge (di origine divina) a tutti gli uomini, altrimenti incapaci di un comportamento
etico?
Per trovare una risposta a queste domande, bisogna o rifarsi
alle religioni non teiste, come il
Buddismo oppure seguire il filo
della riflessione avviata dagli intellettuali europei, a partire dalla
seconda metà del XVII secolo.
Nel 1500 e nel 1600 l’Europa è
travagliata dalle guerre di religione: i cristiani, mossi da odii totali
proprio perchè teologici, commettono crimini e violenze inaudite
gli uni contro gli altri, in nome
dello stesso Dio. In Africa e nelle
Americhe, sia i cattolici sia i protestanti, colonizzano i “selvaggi”,
leNotizie
schiavizzano i negri, cui negano
perfino la piena umanità, ma promuovono la evangelizzazione. E’
così che matura, nel XVIII secolo,
“la crisi della coscienza europea”.
Molti intellettuali denunciano il
fallimento morale della cristianità
ed affermano la fine delle antiche
certezze: la convivenza civile non
può basarsi sulla religione e sul
“timor di Dio”.
Pierre Bayle, un francese perseguitato in patria per la fede
protestante (ma poi espulso dalla
Olanda, per aver difeso i diritti
dei cattolici), sostiene che bisogna accettare solo i principi basati
su dati empirici e razionalmente
sperimentati. Giunge, quindi, alla
conclusione che bisogna separare
l’etica dalla religione e porre la
tolleranza alla base della civile
convivenza. In un famoso trattato del 1682, Bayle afferma che
è possibile avere una “società di
atei”. E’ possibile cioè, costruire
una società umana morale e giusta anche con persone irreligiose,
anche con persone non “timorate
di Dio”, purchè siano “raziocinanti”.
Nel 1764, Cesare Beccaria
con il trattato “Dei delitti e delle
pene” sostiene la netta separazione tra reato e peccato. Il libro viene subito messo all’indice dalla
chiesa cattolica ma ha una grande
risonanza in tutta Europa, viene
tradotto e ripubblicato decine di
volte.
Sviluppando queste tesi, gli
intellettuali occidentali sono
giunti alle seguenti conclusioni:
1. I diritti non derivano da
Dio. Le diverse leggi “divine”,
infatti, non sono univoche e nessuna può pretendere di essere
considerata più “divina” delle altre.
2. I diritti non derivano neanche dalla Natura. La natura è
moralmente neutra e, da Darwin
in poi, è insensato qualificare
come più naturale una opzione rispetto ad una altra.
I diritti derivano quindi solo
dalla esperienza umana. Partendo
dagli errori commessi e dalle tragedie della storia, gli uomini hanno capito che un sistema basato
sui diritti è meglio di un sistema
basato sulla violenza. Inoltre, un
sistema basato sui diritti è necessario per non ripetere gli errori
del passato.
Non vi sono diritti assoluti,
pre-esistenti agli uomini ed inalienabili. Nessun diritto è conquistato per sempre. La tolleranza e
la ragione devono sempre guidare
le decisioni degli uomini.
Sulla base di queste considerazioni, e non delle convinzioni religiose, è possibile aprire il
confronto tra tutte le esperienze
umane e costruire un mondo di
“diritti” sempre più ampio ed inclusivo.
Silvio Mandelli
INVITO A COLLABORARE
Invitiamo tutti i partecipanti all'Unitre (docenti, corsisti, ecc.) a collaborare per il
periodico a diffusione interna leNotizie, fornendo articoli di interesse generale,
poesie, racconti, disegni od altro.
In linea di massima i pezzi non dovranno superare le 2.000 battute, spazi inclusi:
(Word 2007: Revisione, Conteggio Parole -Word 2003: Strumenti, Conteggio Parole).
Il materiale (possibilmente in formato elettronico) dovrà essere consegnato in
segreteria Unitre, oppure inviato per posta elettronica all'indirizzo:
[email protected]
La redazione si riserva la decisione di pubblicare, a suo insindacabile giudizio.
Il materiale, anche se non pubblicato, non verrà restituito.
La Redazione de leNotizie
7
leNotizie
Domani vi ameremo
N
oi proviamo, durante e subito dopo
aver vissuto momenti
di riflessione sulla sofferenza umana, magari
suggeriti dalla visione
di un film, di una trasmissione televisiva o
da letture, una fiammata
di solidarietà per quei
problemi sociali ed educativi che appaiono di
fronte all’esistenza delle persone allontanate,
abbandonate, estromesse come i diversamente
abili, gli anziani, tutti i
“diversi”, insomma gli
emarginati. Poi la fiammata si spegne presto, rimane
qualche proposito, qualche rigurgito di rincrescimento, poi si
ritorna alla routine della propria
vita giornaliera dimenticando anche i semplici elementi di un vero
rapporto solidale con l’emarginato che abbiamo vicino e che non
guardiamo.
Molto spesso anche la nostra
coerenza con il problema della persona emarginata si basa su
questa fugacità di percezioni, di
intuizioni e di tardivi ripensamenti su ciò che avremmo voluto
o dovuto fare per gli emarginati.
Nel tentativo di aiutare l’altro che
ha bisogno di solidarietà, spesso
ci troviamo di fronte a ciò che
il poeta David Maria Turoldo ha
ben identificato con queste parole: “Davanti ai veri problemi tutti
se ne stanno zitti, perché spesso
la gente ha paura di compromettersi, pronti a scandalizzarsi se tu,
per correre a salvezza di un uomo,
dovrai uscire dai conformismi,
superare le abitudini, scuotere la
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loro pigrizia, urtare le loro convinzioni.”
La solidarietà umana che noi
sentiamo, anche dopo un dibattito televisivo di esperti, deve sostenere il nostro desiderio di fare
qualcosa, di superare il giudizio
di valore con cui classifichiamo gli altri, ma deve soprattutto
partire dalla consapevolezza che
dobbiamo andare oltre la nostra
leggerezza e la nostra superficialità, che sono tra i peggiori difetti dell’uomo. Gli emarginati nel
mondo sono una folla immensa di
individui che chiedono comprensione e aiuto. Questa richiesta che
proviene da ogni angolo della terra, si unisce al rombo della folla
dell’umanità e insieme ci fanno
sentire un lamento. Sono migliaia
e milioni di lamenti e di richieste che sembrano pervenire da
un passato lontanissimo e anche
prossimo che rende visibile una
catastrofe: sono le inimmaginabili sofferenze e angosce dell’uomo
che conserva un inconscio ricordo
della paura di precipitare nel nul-
la o nel tutto. Ma non una
soltanto, bensì mille catastrofi si perdono nella notte dei tempi e nel cervello
dell’uomo e sono i terremoti, gli incendi, le inondazioni, le stragi, le guerre
che l’umanità ha sofferto.
E questi ricordi inconsci,
un maestro di nome Carl
Gustav Jung li ha collocati
all’origine delle paure, degli incubi e delle nevrosi
degli uomini. Ma da tutto
ciò nasce anche il fascino
delle grandi opere e intuizioni dell’uomo. Nasce il
rispetto per l’esistenza e
per il corpo, per il nostro
corpo e per quello dell’altro. Il
corpo, che è il luogo della relazione con sé e con l’altro, che è
anche il filtro tra il mondo interno e quello esterno. Ricordiamoci
del “Faust” di Marlowe, quando
Mefistofele, rispondendo a Faust
che gli chiede se esistono l’inferno e il paradiso, dice che la dannazione o la salvezza sono “hic et
nunc”. La salvezza può essere il
nostro modesto impegno di non
arrendersi, di uscire dai nostri
piccoli gesti quotidiani per usare
il nostro corpo come luogo di comunicazione per gli altri, mentre
la dannazione sono le violenze e
le droghe della società attuale.
Nel quadro qui tratteggiato, gli emarginati sono presenti
come problema della collettività. Soltanto un rapporto educativo fondato sulla consapevolezza
reciproca di rappresentare una
forza morale può recuperare le risorse umane e le forze spirituali
per aiutare significativamente gli
emarginati. Bisogna saper sce-
leNotizie
gliere ciò che è importante da ciò
che è superfluo e quando le persone vengono a trovarsi in un vuoto istituzionale allora gli impegni
personali diventano astorici, perdono di efficacia. Può così sorgere un Hitler pazzo paranoico che
può mandare allo sterminio gli
ebrei, i preti, i disabili, gli zingari,
gli omosessuali, i deboli che non
servono più a niente. Tutti noi
cerchiamo di esercitare il nostro
potere sull’altro, ma nessuno può
darci il vero potere che si chiama
autorevolezza e che è la capacità
di essere persone rassicuranti capaci di infondere fiducia nell’altro.
In Italia, ogni anno una certa
percentuale di studenti si ritira
dalla scuola anche “per incompatibilità con gli insegnanti”. Nel
rapporto educativo dobbiamo essere capaci di far entrare l’altro
nel nostro discorso, dobbiamo
credere a quello cui siamo tutti
chiamati a insegnare a noi stessi
e agli altri: educare trasmettendo
i valori in cui crediamo con l’esempio. Dobbiamo aderire al gesto dell’altro, essere presenti con
i nostri gesti per andare verso il
desiderio del nostro prossimo.
Quando non c’è il vetro di una
porta o di una finestra cui credevamo di appoggiarci, proviamo
una sensazione di vuoto che si respira all’improvviso, si precipita
nel momento di un nulla impalpabile. La persona emarginata si appoggia a un vetro che non esiste
e molto spesso questo vetro è la
maschera di una nostra desolata
aridità. Infatti non è il potere materiale che dobbiamo cercare, né
i suoi segni esteriori, ma la forza
morale della libertà che è la poesia della vita che tutti abbiamo
nell’animo e che possiamo esprimere con l’atteggiamento comu-
nicativo del nostro corpo.
Cantava Joan Baez in una sua
accorata composizione:
Gesù d’oro e d’argento
senza stivali senza elmetto senza armi
senza la borsa dei documenti.
Che coraggio Gesù d’oro e d’argento
guardare intorno e sapere
che non c’è amore nel mondo.
Rivediamo dunque il nostro
rapporto con gli emarginati, ma
anche con il nostro prossimo in
generale. Il messaggio di Joan
Baez è chiaro e impegnativo:
dobbiamo far trovare un poco
di amore a tutti gli emarginati e
questo amore incomincia dall’ascoltare i loro bisogni primari che
sono il poter comunicare agli altri
il desiderio di essere riconosciuti
come persone. E non è forse questo un primo passo perché tutti
noi si possa migliorare il mondo?
Tiziano Maria Galli
Riportiamo qui a fianco un particolare del
presepe, allestito come tutti gli anni in occasione
del Natale dai corsisti di Creatività artistica.
Ringraziamo la docente Mariangela Romagnoni
ed i suoi corsisti per questa bella tradizione.
Rubrica dei nonni
Riservata a tutti i nonni e nonne che partecipano all’Unitre
Potete lasciare l'annuncio in segreteria Unitre,
oppure farcelo avere via e-mail ([email protected])
Arianna
Stefano
Emma
05.03.2015
03.03.2015
02.04.2015
ore 16.03
ore 23.31
ore 11.00
kg 3,570
kg 4,060
kg 3,400
nonna Anna Diana Tolve
nonna Marisa Parravicini
nonni Bruna Nalin e Italo Sartor
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leNotizie
La Sindone: un mistero che non smette di appassionare
L
a Sindone, in base alle più recenti informazioni storiche e
scientifiche acquisite, rappresenta
oggi uno dei documenti più problematici della storia e contiene informazioni singolari ed elementi suggestivi che non trovano riscontro in
altre importanti reliquie della fede
cristiana. Sono molti ormai gli studiosi ed esperti di varie discipline
che non hanno dubbi sul valore del
documento che ha destato e continua a destare il più vivo interesse
anche in quello scientifico moderno.
La Sindone fotografata per la
prima volta nel 1898 e lascia intravedere l’immagine frontale e dorsale di un corpo umano impresso in
negativo fotografico con evidenti
tracce di ferite riconducibili proprio a quelli di un uomo torturato
e morto dopo il supplizio della crocifissione, come ci viene riportato
dai Vangeli.
Chi di noi non l’ha mai vista?
Può essere il lenzuolo funerario
che avvolse il corpo del Cristo?
Chi mai fu quest’uomo il cui cadavere ebbe il potere prodigioso di
lasciare la propria immagine indelebile su questo sudario? In questo
sudario sarebbe stato deposto Gesù
Cristo dopo il supplizio della croce. Si tratterebbe del prezioso lino
donato da Giuseppe d’Arimatea
per la sepoltura di Gesù nel sepolcro. Ma se la fede non ha bisogno
di prove, la scienza chiede invece
delle certezze.
Molti ritenevano che quelle vaghe impronte incancellabili fossero
10
il risultato di un trucco – peraltro
inspiegabile – escogitato da qualche fantasioso artista medievale,
che consideravano la Sindone una
delle innumerevoli false reliquie
importate in Europa da ingenui pellegrini di ritorno dalla Terrasanta.
La Sindone mostra e quindi testimonia i molteplici segni di flagellazione visibili sul corpo dell’uomo,
l’esistenza di un casco di spine sul
capo, l’effusione di sangue e acqua, polsi e piedi trafitti da chiodi.
Ma dopo il risultato fotografico del 1898 sono stati effettuati da
famosi scienziati e sindonologi di
fama internazionale, una serie di
studi scientifici interdisciplinari
sulla Sindone, uno più affascinante
dell’altro, perché su questo lenzuolo sono state fatte svariate scoperte
in numerosi campi del sapere umano: patologia, ematologia (con il
rinvenimento di tracce di sangue
del gruppo AB sul corpo martoriato
dell’Uomo della Sindone), chimica
e biochimica, botanica e palinologia (che ha identificato la presenza
di pollini provenienti dalle diverse
località in cui la Sindone avrebbe
sostato nel corso del suo peregrinare dalla Palestina alla Francia, fino
all’arrivo a Torino nel 1578), storia
e archeologia.
La Sindone, in base alle più recenti informazioni storiche e scientifiche acquisite, rappresenta oggi
uno dei documenti più problematici
della storia e contiene informazioni
singolari ed elementi suggestivi che
non trovano riscontro in altre importanti reliquie della fede cristiana.
I dati scientifici, storici e archeologici riguardanti lo studio di
questa celeberrima reliquia, delle
discussioni che essa ha generato
nel corso dei secoli, e dei contrasti
che continuano tutt’ora, esperti sindonologi, hanno dato delle risposte e documentano che la Sindone
“non è un falso”. L’unica prova che
non si accorda con i risultati ottenuti dagli scienziati, è la fatidica
prova del radiocarbonio C 14 che
attesta la Sindone nel periodo compreso tra il 1260 e il 1390 che la
condannò come artefatto medievale. Queste analisi sono state però
condizionate da tanti trattamenti
che il reperto sottoposto all’esame
ha subito nel tempo; è stato esposto in visione pubblica in diverse
condizioni ambientali nelle varie
località: a Gerusalemme nel 570,
a Edessa arrivata nel 944 e viene
mostrata all’imperatore Lecapeno
I unicamente la parte frontale del
lenzuolo e il 16 agosto venne trasferita a Costantinopoli che rimane
fino 1204 dove fu deposta e venerata dai fedeli, con la figura del solo
volto del Cristo chiaramente visibile. Poi un silenzio fino all’arrivo
in Francia a Lirey nel 1353, quando il crociato Geoffroy de Charny
annuncia di essere in possesso del
telo che avvolse il corpo di Cristo
nel sepolcro e donò questa Sindone
alla collegiata di Lirey. Passò poi
a Chambèry, sempre in Francia nel
1452, e qui subisce i danni di un incendio nel 1532 ancora oggi visibili. E’ donata poi ai duchi di Savoia;
nel 1578 venne trasferita nel Duomo di Torino e in seguito collocata
nel 1694 nella sontuosa cappella
realizzata su disegno dell’abate
Guarino Guarini.
Ildefonso Valota
leNotizie
Il Crocifisso rotto
di Ada Negri
L’ho scoperto dentro un’ampia cassapanca
e subito me ne son fatta un amico.
Il Cristo di gesso patinato di un color
gialliccio sporco, era un umile Cristo
di nessuna bellezza anche prima d’esser
rotto.
Ha le gambe spezzate ai ginocchi,
le braccia ai gomiti.
Lì, nel punto delle fratture,
è visibile il rozzo filo di ferro
che serve da telaio.
La testa reclinata non ha più volto.
Nell’incavo che rimane al posto del volto,
m’è facile mettere con la fantasia
tutti i volti, gl’infiniti volti
che passano effimeri sulla terra,
che s’assomigliano
l’un l’altro anche se diversi…
Sì, perché qualunque sia l’uomo,
egli reca impresso sulla propria fronte
il segno del Salvatore: ed è per sempre
crocifisso al proprio tormento,
palese o nascosto, meritato o no.
ADA NEGRI
Poetessa e scrittrice, nasce a Lodi nel 1870 e
muore a Milano nel 1945.
Di umili origini, si dedica all’insegnamento,
prima come maestra elementare e poi come
professoressa di lettere.
Tra il 1890 e il 1910 richiama l’attenzione di
un pubblico sempre più vasto con fortunate
raccolte in versi ispirati a nobili idealità:
Fatalità, Tempesta, Maternità.
Nelle successive opere di poesia e di prosa, si
abbandona a confessioni tumultuose ed oscure
che affiorano anche nei suoi scritti migliori:
Le solitarie, libro di novelle; Stella mattutina,
romanzo autobiografico Infine nei suoi ultimi
volumi I canti dell’isola e Vespertina, esprime
l’umana solidarietà del dolore e la gioia verso il
prossimo.
11
leNotizie
Fantastiche donne italiane: in orbita e nel sotterraneo del Cern
SAMANTHA CRISTOFORETTI
È
un’aviatrice, ingegnere e astronauta,
prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale
Europea. E’ la
prima astronauta italiana a raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale (ISS)
che ruota interno alla terra ad una distanza di circa
km 400.
Samantha ha raggiunto la ISS dopo un viaggio
di circa sei ore a bordo della navicella Soyuz, insieme a due colleghi, lo statunitense Virtis e il russo
Shkaplerov. I tre astronauti hanno raggiunto altri tre
astronauti già da un po’ a bordo della ISS. Insieme
compiranno una serie di esperimenti sulla fisiologia
umana, analisi biologiche e la stampa 3D in assenza
di peso, per verificare anche la possibilità di stampare pezzi di ricambio per la stazione stessa senza dover dipendere dagli invii da terra. Alcuni esperimenti
serviranno anche per capire meglio come reagisce
l’organismo umano con la microgravità e le cause
che portano il sistema immunitario ad indebolirsi.
Dovranno occuparsi anche dei lavori di manutenzione e di mantenimento della ISS.
La permanenza di Samantha su questa Stazione
sarà di circa sei mesi durante i quali rimarrà in contatto sia con la stazione di controllo a terra presso il
cosmodromo di Baikonour in Kazakistan da dove è
partita, sia con i suoi fans tramite il sito Avamposto
42 dove potrà rispondere alle loro domande…
A soli 37 anni, Samantha ha raggiunto un traguardo eccezionale: le competenze da lei acquisite non
sono sicuramente alla portata di chiunque. E’ una ragazza umile che si definisce normale, ma sicuramente è un’eccezionale normalità.
FABIOLA GIANOTTI
È
una fisica
italiana e
sarà la prima
donna ad assumere il ruolo di
direttore generale del CERN a
Ginevra all’età
di cinquantadue
anni. La sua nomina è avvenuta, da parte del
consiglio del CERN, il 4 novembre 2014 ed il mandato inizierà il 1° gennaio 2016 e terminerà alla fine
del 2020.
Per comprendere l’importanza di tale nomina, cerchiamo di capire cosa è il CERN. Questo è il laboratorio europeo per la fisica delle particelle, il centro
di ricerca sulla fisica delle particelle più grande del
mondo. Si occupa di scienza pura, in altre parole di
esplorare la natura per dare risposte alle domande
più fondamentali che essa ci pone.
Questo laboratorio si trova al confine tra Svizzera e Francia, alla periferia ovest della città di
Ginevra nel comune di Meyrin, e fu fondato il 29
settembre 1954 da dodici stati membri (oggi sono
12
21 e comprende stati anche non europei). E’ situato
ad una profondità media di 100 metri ed è un tunnel
sotterraneo circolare di km 27.
Fabiola è stata per due volte la coordinatrice del
progetto Atlas, considerato il più grosso esperimento scientifico mai realizzato. A seguito di questo incarico il 4 luglio 2012 ebbe l’onore di annunciare
al mondo la scoperta del Bosone di Higgs, cioè la
scoperta di una particella molto speciale grazie alla
quale ogni cosa ha una massa, cioè un peso, e quindi
la materia esiste così come la conosciamo.
Ciò che le sta a cuore è sottolineare la diversità di
etnia, di nazionalità, di religione, sesso, età, tradizioni delle persone che lavorano al CERN poiché sono
queste diversità il punto di forza del laboratorio. Il
CERN è quindi – come detto dalla stessa Fabiola - un
“esempio brillante e concreto di cooperazione scientifica e pacifica nel mondo” ed anche “un luogo dove
chiunque ami la conoscenza può sentirsi a casa”.
Queste parole ci danno la dimensione del clima
sereno all’interno del laboratorio e mi pare che possano essere un incentivo per tutti a credere nella possibilità di estendere anche intorno a noi, il seme della
speranza ed il desiderio di pace.
Santina Cairoli
leNotizie
I compiti a casa son davvero una tortura?
A
giudicare da quanto letto in
un recente articolo del nostro
giornale, si direbbe proprio di sì…
I famigerati compiti creerebbero
nientemeno “una catena di tensioni, ricatti, aggressività e malumori
in famiglia” a dir poco devastanti…
Molto meglio, prosegue l’articolista… ”arricchire il rapporto interfamiliare e fare attività educativa
assieme”, visto che quel che si doveva imparare, lo si sarebbe già imparato sui banchi, durante le ore di
lezione. Ma sarà sempre vero ? Tra
alunni disadattati e turbolenti che
disturbano in continuazione, quelli
detti “diversamente abili”, i ragazzi stranieri in gran numero che non
sanno due parole di italiano? Solo
chi lavora nella scuola queste realtà
le conosce. Non certo i vari soloni
di tendenza. Ignari della scuola così
com’é. E perfino della famiglia, che
non è quella del “Mulino Bianco”.
Gli abolizionisti dei compiti lo
farebbero per rispetto del “mondo
infantile” (ma fino a che età lo si
può considerare tale ?) Lo farebbero in nome di una scuola, cito l’autore, “che sia divertimento tramite
il gioco, la creatività, la distrazione…” e non già “una scuola punitiva, che inculca il terrore delle
punizioni”.
Tale maniera sadica piacerebbe
invece a maestri frustrati e succubi
di genitori-padroni, come potevano
esserlo forse certi antichi precettori
presso le nobili casate di un tempo.
Tale vantato rispetto per il mondo
infantile, non viene però esteso a
quello delle opinioni altrui. Infatti
l’autore chiama “imbecilli” quanti
la pensano diversamente. Egli si
sente certo in buona compagnia, visto che cita lo psichiatra Morelli, un
altro che detesta sdegnoso i compiti
a casa. Premesso che il dott. Morelli, forse mi sbaglierò, ha pratica
di salotti televisivi piuttosto che
di aule scolastiche, gli argomenti
esposti nell’articolo non presentano proprio niente di innovativo.
Corrispondono alla “vulgata” del
pedagogismo “politicamente corretto”, che si richiama in Italia
(assai approssimativamente), tra
gli altri, al famoso don Milani di
Barbiana.
Costui è vero che da un lato
criticava certi aspetti della scuola
tradizionale (ad esempio il nozionismo fine a se stesso, insieme a certe rigidità e certi carichi di lavoro
non sempre utili e stimolanti per il
cervello), ma è altrettanto vero che
cacciava a pedate via dai biliardini delle sale gioco i suoi allievi di
estrazione contadina, respinti dalla
scuola ufficiale, ricordando loro
che solo la FATICA DELL’APPRENDERE sarebbe stata strumento della loro promozione sociale e morale; la promozione vera,
che vale assai di più di quella scolastica, a base di voti!
Ecco qui la linea del Piave. La
parola “fatica”, cugina della parola “sacrificio”. Avremo finalmente
un’umanità libera, felice, creativa
e soddisfatta, una volta che questi
vocaboli (al di là del sano buonsenso sulla loro definizione ed
applicazione) saranno stati definitivamente banditi dall’orizzonte
educativo delle ultime generazioni? Ed ognuno potrà imparare… se
vuole… quando vuole… ciò che
vuole… a partire dalla primissima
infanzia? Istruzione come self-service ? Cultura come un anarchico e
tecnologico fast food? Però… con
la pretesa di promozione a fine
anno: quando certi genitori fanno
irruzione in presidenza con piglio
da sindacalisti e da tribuni, affrontando a muso duro i docenti meno
compiacenti! Talvolta rompendoglielo anche, il muso. In tal caso i
numeri contano, eccome, sotto forma di voti, e i “talenti” del bambino spariscono, ammesso che certi
genitori ne abbiano qualche vaga
idea…
Ma voglio spezzare una lancia a
favore dello spontaneismo, per non
sembrare del tutto retrogrado, capirete… Come suggerito nell’articolo, si potrebbero vedere insieme ai
propri scolari “dei film storici carichi di emozioni” e perché no? Ad
onor del vero, conobbi tre decenni
fa’ una scolaresca del triennio superiore che ciò lo fece spontaneamente. Mi dissero che erano andati
ad assistere da soli ad un film di
Storia Medievale. Quasi commosso e stupito,
gliene domandai il titolo. La
risposta fu ammirevole, nella sua onestà:
“Alle dame del
castello… piace molto fare
quello…”
Luigi Grossi
13
leNotizie
A proposito dei compiti a casa
A
ccolgo l’appello della redazione ad intervenire nel dibattito per dire che è assolutamente
vero che i compiti a casa sono stati
e sono l’incubo di molti genitori ma, tuttavia, sono convinta che
sono necessari perché, sulla base
di un detto, peraltro molto veritiero, servono sia la grammatica che
la pratica e più ci si esercita, più la
conoscenza si imprimerà nella memoria.
Alcune considerazioni si possono fare, invece, sulla quantità dei
compiti assegnati a casa, sul tempo
che devono investire i genitori per
vincere le resistenze dei bambini
a impegnarsi in questo lavoro, sul
tempo che gli stessi devono dedicare ai figli affiancandoli nello svolgimento dei compiti.
Riguardo alla quantità di compiti assegnati, mi sento di dire che
ciò, è dovuto soprattutto all’impostazione del nostro sistema scolastico. Se si prende come esempio la
scuola dell’obbligo, si può vedere
che, più alto è il numero di alunni per classe e meno sono le ore
dedicate al singolo insegnamento,
rispetto al numero di ore complessive di scuola, più scarsa risulta
la possibilità per l’insegnante di
incidere sull’apprendimento del singolo studente; compito, questo,
che sarà reso ancora più
difficile dalla presenza in classe di bambini
stranieri o di bambini
portatori di handicap
che, peraltro, hanno
anch’essi il diritto allo
studio. Ne risulta, quindi, che l’esercizio che si
potrebbe fare in classe è
sostituito con i compiti
a casa.
Rispetto poi alla
questione della svogliatezza del bambino
verso l’impegno dei
14
compiti, francamente non mi scandalizzo: da che mondo è mondo, se
un bambino deve scegliere tra fare i
compiti e giocare, sceglierà sempre
di giocare e, quindi, un certo grado
di svogliatezza è da considerarsi fisiologico e tollerabile.
Quando, invece, il bambino non
comprende che il gioco, che pure è
una parte importante nel processo
di crescita, non è più importante
dello studio, e che occorre imparare a distribuire equamente nell’arco della giornata le ore di studio e
di gioco, e affronta svogliatamente
e senza impegno il compito, qualcosa è sicuramente mancato, o per
colpa della scuola o per colpa della
famiglia. Si può e si deve insegnare
ad essere responsabili, ed è segno
di responsabilità dei genitori non
confondere che la scuola è tenuta
a responsabilizzare verso lo studio,
mentre la famiglia, il cui compito
formativo viene prima, è tenuta ad
insegnare l’importanza che assume
il senso di responsabilità nella vita
in generale.
Altra cosa ancora, è il tempo
che il genitore deve dedicare al
figlio affiancandolo nello svolgimento dei compiti quando dichiara
che non è in grado di farli da solo
dovendo, in questo modo, sostituirsi all’insegnante. E’ chiaro che se
il genitore deve supplire il ruolo di
qualcun altro, al di là del fatto che
non sempre ciò potrà dare risultati positivi, anche in questo caso
qualcosa è mancato: o è mancato
il tempo a scuola per verificare il
singolo apprendimento, o è mancato l’impegno della famiglia nella
formazione del bambino.
Il fatto che un bambino non è
in grado di fare i compiti da solo
potrebbe essere dovuto ad insicurezza: non si sente sicuro di ciò
che ha appreso e si dichiara incapace di svolgere il compito e cerca la presenza del genitore che gli
dà sicurezza e aiuto. L’insicurezza,
a volte, può banalmente derivare
dalla poca attenzione prestata allo
sviluppo psicofisico del bambino
all’inizio della scuola: è noto infatti
che a parità di età, non sempre corrisponde, in due individui, lo stesso
sviluppo psicofisico e pochi mesi
“fanno la differenza”.
Tenuto conto, però, che la scuola ha anche il grande compito di
fare formazione, cioè di contribuire
alla maturazione psicofisica e intellettuale degli studenti, è necessario creare le condizioni più idonee
perché ciò si realizzi, di
modo che tutti abbiano
le stesse opportunità e
nessuno rimanga indietro. L’eventuale ritardo
non scoperto e recuperato in tempo, costituirà
pena nella vita futura
di un individuo, senza contare, poi, che la
competizione, tanto decantata e voluta da qualcuno, se non consente
ai partecipanti di partire
dallo stesso punto sulla
linea di partenza, si rivelerà un falso criterio
per misurare le capacità
di ognuno.
leNotizie
Per ovviare a tutti questi inconvenienti potrebbe aiutare avere un
tempo scuola più largo, diverso da
quello attuale; con questo intendo
un orario più ampio in termini di
tempo lezione e di tempo scuola
di modo che, la scuola, con il personale adeguato, le strutture e le
strumentazioni adatte possa diventare un vero luogo di educazione e
formazione.
Un tempo diverso potrebbe consentire la possibilità di fare quell’esercizio che oggi si fa a casa, oltre
a ricomprendere attività quali l’educazione civica, l’educazione allo
sport, alla musica, all’immagine,
le attività di approfondimento che
sono, invece, scarsamente considerate dai programmi ministeriali se
non del tutto trascurate e lasciate,
ahimè, alla cosiddetta “proposta
formativa” della singola scuola a
volte con il contributo finanziario
degli Enti Locali.
La scuola non deve offrire qualcosa ma dispensare Conoscenza
e Sapere a tutti indistintamente.
Oggi, tutto ciò che può contribuire alla formazione complessiva, è
previsto extra programmi e lasciato
totalmente ai privati. Al di là del
dubbio che può generare un tale
modo di procedere rispetto a finalità, obiettivi, qualità e controllo
dei risultati, è evidente che venendo a mancare un indirizzo generale
dello Stato rispetto all’istruzione e
alla formazione e i relativi finanziamenti, ciò fa cadere l’opportunità per tutti di partire dallo stesso
punto, avere le stesse conoscenze,
arrivare agli stessi obiettivi con lo
stesso risultato.
Forse un sistema scuola diverso, preparerebbe meglio lo studente nell’affrontare, prima la scuola
superiore e poi l’Università. Ordini
di scuola, peraltro, non privi di carenze, disfunzioni e parcellizzati in
una miriade di indirizzi, assolutamente inutili rispetto alle esigenze
reali della società e non formativi,
proprio a causa dello scollamento
del sistema che manca di continuità logico- pedagogica.
Nadia Marmonti
Momento di crescita educativa: i compiti
I
nteressante trovare e
leggere articoli come
quello apparso sull’ultimo
numero del nostro giornale. Finalmente l’articolo
permette una certa riflessione e mi ha positivamente stimolato, per cui mi
soffermo e appunto.
Le cose non stanno
così; la pedagogia che
per vent’anni ha fatto
di tutto per eliminare il
valore delle parole: impegno, serietà, ascolto,
precisione,
sacrificio,
ordine, ha creato una gioventù
smarrita, sempre in cerca di…
qualcosa, una gioventù senza
argini, senza capacità di crearsi
questi argini, questi paletti, queste
conoscenze, dentro cui muoversi.
Ultimamente, sempre la pedagogia, ha capito che la scuola
che vuol essere tale, una scuola
che metta al primo posto l’educazione, il giovane, la persona,
deve essere continuativa cioè
non deve terminare alle 13:40 ma
occupare spazi più ampi, avere
orizzonti più lontani.
Ed è a questo punto, a mio avviso, che si inseriscono i compiti,
gli impegni, le attività. Il compito
non è un tormento, non
è una tortura, un’inutile
perdita di tempo, bensì
un momento, uno strumento, assieme a tanti
altri quali sport, dialogo, internet, amicizie
attraverso cui il giovane si forma e struttura
la propria personalità
proiettante nella società.
Sono i giovani stessi che chiedono più attenzione, più tempo da
condividere, più impegno, più
conoscenze vissute, più relazioni
umane da creare, fare e consolidare.
Dentro questa grande bellezza creativa, che è l’educazione,
è da porsi anche quella valoriale dei compiti.
Luciano Nardi
15
leNotizie
Milano e la sua Expo
N
ei vari logo rappresentati,
uno in particolare ha attirato la mia attenzione: rappresenta una figura grottesca composta
da diversi tipi di frutta e qualche
ortaggio. Sicuramente è stato preso a riferimento il più eccentrico
pittore italiano del ‘500, unico
nel suo genere senza paragoni, il
milanese Giuseppe Arcimboldo
(1526-1593). Nato in una modesta famiglia di pittori, suo padre
Biagio è decoratore e disegnatore di vetrate presso la veneranda
fabbrica del Duomo dove gravitano moltissimi artisti. La sua educazione artistica avvenne presso
la bottega dell’importante
pittore leonardesco Bernardino Luini, ma soprattutto influenzato dall’eredità lasciata da Leonardo
da Vinci attraverso il suo
trattato sulla pittura, nel
quale spiegava come creare la testa di un animale
fantastico assemblando
varie fattezze di animali
diversi, metodo affine alla
pratica del nostro protagonista.
Arcimboldo,
pittore poliedrico, passava
dall’affresco (possiamo
vedere i suoi lavori nella
cattedrale di Monza, nella chiesa di S.Maurizio a Milano, o cartoni per arazzi a Como)
alla decorazione. Artista adatto a
qualsiasi tecnica tanto rinomato
al punto da essere chiamato nel
1562 a Vienna da Massimiliano
secondo d’Asburgo, come ritrattista di corte, ma anche come organizzatore di feste, giochi, cose
talmente ingegnose da lasciare
sbalorditi i principi e i sudditi dei
regni asburgici. Artista studioso
della natura, unica maestra e palestra dei pittori, studiò in tutti i
particolari gli animali a sua disposizione dallo zoo privato di
Massimiliano e per sua fortuna
veniva a contatto con i più grandi
botanici, medici del tempo da cui
apprendeva i trucchi del mestiere.
Per studiare gli animali che non
conosceva si avvaleva di copiare
le riproduzioni di altri disegnatori
naturalisti, soprattutto per alcuni
animali marini. Ad esempio in un
suo dipinto che raffigura l’acqua
ci sono 62 specie di animali tra
cui molti sconosciuti, portando a
conoscenza animali mai visti da
nessuno prima.
Un vanto per Milano avere
avuto una così celebre illustre
persona che porta e mette in evidenza la cultura della nostra città ad altre nazioni, in una società
divenuta molto virtuale. Auguriamoci che questa Expo sia l’occasione di fare conoscere al mondo
l’ingegno che questa terra produce da sempre e la manualità del
nostro Arcimboldo, che sapeva
concretizzare con impegno e fantasia, di andare oltre le mode dei
tempi, lavorando per permetterci
il benessere con onestà e moralità.
Aria fresca in una società sempre più inquinata.
Franco Galimberti
Errata Corrige
Nello scorso numero di dicembre 2014 nel pubblicare l’articolo Una possibile verità sulla
Gioconda siamo incorsi in un errore. Abbiamo infatti scritto “…i ritratti di quel periodo sono
presentati senza sopracciglia”, mentre la frase originale era “…i ritratti di quel periodo sono
presentati con sopracciglia”. Ci scusiamo con l’autore Franco Galimberti e con i lettori.
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leNotizie
L’Expo e la nostra polenta
I
n questi nostri tempi di
crisi economiche ed esistenziali, parlare di cibo,
come appunto fa il nostro
“Expò”, è molto importante. Oggi più che mai
ognuno di noi è più attento a quello che mangia,
alla provenienza dei cibi,
al comportamento del produttore, al benessere degli
altri.
“Noi siamo quello che
mangiamo” asseriva il filosofo
Feurbach e io aggiungerei anche
“quello che abbiamo mangiato”,
infatti chi non ha ricordi dei
racconti dei nonni sulla
miseria della loro tavola,
dove la regina era la
polenta?
A volte più mesta, altre
più allegra, non c'è dubbio
che intorno alla polenta
si consumi un rito, fatto
di paiolo di rame, di filo
per tagliarla, di intingoli,
di attese fameliche, di
intimità familiare, di rustica
ghiottoneria.
La comparsa nella letteratura
italiana moderna della Polenta
si deve soprattutto al Manzoni
che nel capitolo VI dei Promessi
Sposi descrive l'attesa di tutta
la famiglia della polenta grigia
che in periodo di grande
povertà
rappresentava
la salvezza dalla fame
estrema.
“...lo trovò in cucina,
che , con un ginocchio
sullo scalino del focolare,
e tenendo, con una mano,
l’orlo d’un paiolo, messo
sulle ceneri calde, dimenava, col mattarello ricurvo, una piccola polenta
bigia, di gran saraceno. La madre, un fratello, la moglie di Tonio, erano a tavola; tre o quattro
ragazzetti, ritti accanto al babbo,
stavano aspettando, con gli occhi
fissi al paiolo, che venisse il momento di scodellare. Ma non c’era quell’allegria che la vista del
desinare suol pur dare a chi se l’è
meritato con fatica. La mole della
polenta era in ragion dell’annata,
e non del numero e della
buona voglia de’ commensali...
...Tonio scodellò la polenta sulla tafferìa di faggio, che stava apparecchiata a riceverla: e parve una
piccola luna, in gran cerchio di vapori.”
Mario Rigoni Stern
usa la polenta come piatto
della memoria e ricorda,
attorno ad una tavola dove
troneggia una radiosa polenta
gialla, i tempi e i luoghi delle
battaglie sull'Altipiano di Asiago
e l'amico Teròn.
“...Lo chiamavano Teròn, anche come nome di
battaglia, perché era del
Sud. “Il Teròn,” esclamò il
casaro, “ ci faceva ridere
quando voleva parlare in
dialetto. Mi diceva sempre:
“Bocia, polenta e farmaio
zè bon, ma zè bon anche
spaghetti con la pommarola ‘n coppa”.
Ecco l'unità d'Italia
in due piatti: Polenta e
Spaghetti.
La civiltà della tavola è
per i popoli europei molto
importante e per noi italiani lo è
particolarmente. L'associazione
“Accademia Italiana della Cucina”
è chiamata “culturale” ed è
posta sotto l'egida del Capo
dello Stato, con lo scopo di
diffondere e di preservare
il nostro modo di nutrirci
“alla mediterranea”.
Maria Rosa Bozzato
(informazioni tratte da La
polenta letteraria di Andrea
Severi)
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leNotizie
La storia dell’EXPO
F
inalmente ci siamo!
Si comincia il count down
finale.
A Milano è tutto un fiorire
d’iniziative e manifestazioni per
promuovere l’evento dell’anno,
EXPO 2015… Adesso, dopo tanto parlare potremo giudicare con i
nostri occhi.
La storia dell’Esposizione universale o mondiale incomincia nel
1851e continua ancora oggi.
Inizialmente si trattò di un fenomeno europeo, esteso poi nella prima metà del Novecento agli Stati
Uniti, fino ad allargarsi all’Oriente
dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Tali manifestazioni sono nate per
distinguersi dalle fiere locali e per
promuovere il progresso dell’industria, delle manifatture e della
tecnologia dei paesi che le ospitavano, fino a diventare strumento
di un paese per lanciare la propria
economia e la propria immagine di
potenza politica e sociale.
Da qui, visto gli enormi interessi in gioco e la portata mondiale del fenomeno, ne scaturì la
necessità di creare un regolamento
a cui attenersi. Venne così redatta
nel 1928, a Parigi, la Convenzione che sanciva la nascita del B.I.E.
(Bureau International des Exposition) che regolava l’organizzazione di questi eventi. Frequenza
ogni 5 anni, durata massima 6
mesi, costruzione dei padiglioni
da parte dei partecipanti, dimensione dell’area non definita e tema
generale a cui attenersi.
Ad oggi la convenzione del
B.I.E. conta 154 stati membri tutti
consapevoli della forza politica e
comunicativa di questo tipo di manifestazione, vetrina mondiale dei
progressi scientifici e tecnologici
di una nazione.
L’attrazione principale delle
18
Esposizioni sono i padiglioni nazionali, gestiti e
realizzati dai Paesi partecipanti, che si aggiungono ai padiglioni tematici.
Storicamente
ogni
esposizione è sempre
stata caratterizzata da
particolari strutture che
nonostante dovessero rimanere temporanee, effimere e smantellate a fine
evento, sono divenute
simbolo dell’esposizione,
nonché talvolta della città organizzatrice o del Paese organizzatore stesso. In tempi moderni
molte delle infrastrutture sono state riconvertite.
La prima Esposizione Universale della storia, così come la intendiamo noi oggi, risale a quella di Londra nel 1851”the Great
Exibition of the Works of Industry
of all Nation” con i suoi 25 paesi
ospiti e 6 milioni di visitatori, ha
rappresentato un evento unico nel
suo genere che ha segnato profondamente la storia di questo tipo di
manifestazioni garantendo il successo proprio e delle future Esposizioni Universali.
Voluta fortemente dal principe
Alberto, consorte della regina Vittoria, per attirare a Londra tutte le
ricchezze industriali del mondo e
soprattutto per mostrare la grandezza tecnologica delle industrie
britanniche, fu quasi sul punto
di fallire per l’irrealizzabilità dei
progetti presentati. La soluzione
ideale la fornì John Paxton, famoso costruttore e giardiniere, il
cui progetto di struttura modulare,
il Crystal Palace, riproduceva la
forma di una serra.
In pochi mesi fu montato nel
prato di Hyde Park, sede della
manifestazione, un edificio di tre
livelli con l’intelaiatura in ferro e
la copertura in vetro. Era l’emblema della vittoria del ferro, ossia
dell’industria, ma però nello stesso
tempo la forma della serra ricordava quanto ancora la produzione
manifatturiera fosse legata alla natura. Il palazzo venne smontato al
termine dell’expo.
Rimontato in altra zona di Londra fu ampliato e arricchito architettonicamente per ospitare altre
importanti manifestazioni, fino
alla definitiva distruzione in un
rogo il 30 novembre 1936.
Dopo Londra fu la volta di
Parigi, Vienna 1873 (ci resta la
ruota panoramica del Prater), Philadelphia, Melbourne e ancora Parigi.
Nel 1889 Parigi ospitò una
straordinaria edizione il cui tema
espositivo era la celebrazione del
centenario della rivoluzione francese. Questa edizione ci ha lasciato la Tour Eiffel, la torre di ferro
alta 300 metri, costruita per l’occasione al Champs de Mars, mai
smantellata e divenuta simbolo di
una città e di una nazione.
Il grande tornado delle esposizioni investì anche Milano, che
esordì nello scenario economico
mondiale con l’Esposizione Internazionale del Sempione del 1906,
leNotizie
con 25 paesi partecipanti e 10 milioni di visitatori provenienti da
tutto il mondo.
Si festeggiò il traforo del Sempione che significava commercio,
ferrovia e apertura all’Europa.
Si era in piena Belle Epoque e il
mondo guardava con fiducia al
nuovo secolo. Tutti i padiglioni
furono costruiti per non durare
oltre il tempo dell’Expo, tranne
l’Acquario realizzato su progetto
dell’architetto Sebastiano Locati
e situato accanto all’Arena di cui
riproduceva l’architettura ellittica.
Allora era il padiglione dedicato
alla piscicoltura, oggi è uno dei
più significativi edifici liberty di
Milano.
L’Expo fu sistemato in due luoghi distinti: il primo fu il Parco
situato tra il castello e l’Arena, il
secondo la piazza d’Armi, collegati da un treno elettrico. Fu una mostra ferroviaria importantissima,
apparvero le automobili di varie
case costruttrici con i loro primi
modelli e la Daimler Benz. Dietro
al petrolio e al motore a scoppio
avanzava anche l’elettricità, la
fonte energetica che aveva consentito e stava consentendo, con
le dighe che si stavano realizzando in Valtellina e nel Bergamasco,
il processo di industrializzazione
della Lombardia.
Di grande rilievo anche il padiglione dell’industria serica, importantissima per l’economia lombarda che diede spettacolo con la
riproduzione, perfettamente funzionante, di una filanda e l’esposizione di una grande varietà di
tessuti.
Dall’Europa si torna agli Stati
Uniti a San Francisco che nel 1915
celebra l’apertura del Canale di
Panama.
Solo la guerra ha fermato Expo.
In Italia, a Roma nel 1941 si voleva
realizzare il primato della vastità e
un’esposizione non effimera ma
stabile con edifici che potessero
durare nel tempo. Nonostante il
ritmo forsennato dei lavori non
si riuscì a terminare in tempo e
l’edizione fu spostata nel 1942 e
infine sospesa per la guerra. L’area interessata prese il nome di
EUR, oggi zona residenziale e
sede di uffici pubblici.
Sorte simile toccò all’edizione del 1955 a Bruxelles rimandata al 1958 a causa della Guer-
ra di Corea e delle prime fasi della
Guerra Fredda, visto che la tematica trattata riguardava l’energia
atomica che da strumento di guerra e distruzione avrebbe potuto
trasformarsi in energia di pace. A
ricordo, sul luogo dell’esposizione
ci rimane l’Atomium.
Anche Walt Disney partecipò
alla costruzione di attrazioni per la
New York World’s Fair del 1965,
rimontandole poi a Disneyland in
Florida dove tuttora sono un parco
a tema.
Solo nel 1975 con l’expo di
Okinawa s’incomincerà a parlare
di temi ambientali.
Bisognerà aspettare il 1992 perché l’Italia ospiti un altro Expo. Si
terrà a Genova. Tema il cinquecentenario della scoperta dell’America e il messaggio ambientale della
protezione delle acque nel mondo.
Si svolse al Porto antico e permise la ristrutturazione della zona e
della parte retrostante, i magazzini
del cotone, su progetto dell’architetto genovese Renzo Piano. Fu
costruito un acquario, tra i più belli in Europa e il Grande Bigo (termine genovese con cui i camalli,
scaricatori del porto, chiamavano
le gru di carico) immagine simbolo, con ascensore panoramico tuttora in funzione.
Si sono tenute in Oriente le ultime due edizioni, a Aichi (Giappone) nel 2005 con tema legato alla
saggezza della natura e a Shangai
nel 2010 con “ better city better
life” ovvero migliorare la qualità
della vita in ambiente urbano.
Ora tocca a Milano 2015 con
un tema duplice e molto complesso “Nutrire il pianeta - Energia per
la vita”. Simbolo di questa edizione è l’Albero di luce.
Anny Rossi
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leNotizie
SOLTANTO DONNA, SEI
Il Risorto a Maria di Magdala
l’Annuncio svelò sublime
che vinse la morte
e i secoli venturi redense. Non fu creduta:
era soltanto una donna.
Sul rogo a Rouen mandarono Giovanna
che gli eserciti inglesi sott’Orleans sconfisse
e il re di Francia rimise in trono
ma infranse le categorie del femminile:
era soltanto una donna.
I Fenici in baratri profondi
le piccole inutili figlie gettavano
agli dei immolando
con rito sacro:
erano soltanto donne.
Nell’Aulide remota Agamennone
sciolse verso Troia le vele
ad Artemide sacrificando
la figlia Ifigenia, la bella sbocciata nell’anno:
era una donna.
Teresa d’Avila che nuovi carmeli
eresse e nuovi statuti, gli eccelsi suoi scritti ascetici
vide riarsi nel fuoco: ella stessa
si riteneva soltanto una donna.
Solo da loro non fu tradito
sul Calvario, le pie donne fedeli.
I soldati non le degnaron d’uno sguardo:
erano soltanto donne.
La fanciulletta morta nell’Evangelo di Matteo
col lieve tocco della Sua mano
Gesù surrexit
… era una piccola Donna
Letizia Maderna
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leNotizie
IN RICORDO DI GIOVANNI
Te ne sei andato così... come sei venuto, in silenzio,
senza darci il tempo di dirti “addio”, ai tuoi amici del teatro hai
lasciato la tua simpatia mescolata ad una dolce melanconia.
Giovanni, piccolo, grande verace attore, dietro ogni tuo
sorriso, maestralmente nascondevi il dolore che affliggeva il
tuo cuore, ogni venerdì, coltivavi con noi la tua passione
recitando con magistrale abnegazione, qual balsamo alle tue
sofferenze!
Giovanni tu inseguivi un sogno... sognavi di parlare un
linguaggio universale, sognavi la gente che sapeva amare, e
sulla scena “fermavi” il tempo.... portavi tutto te stesso
interpretando gioia e dolori di chi tenevi nel cuore.
La vita è sempre un’opera di teatro, ma il sipario mai
scenderà, se ciascuno di noi imparerà a vivere ... imparerà a
sperare... imparerà a seminare amore, grazie Giovanni il
ricordo di te è vivo in mezzo noi e non
si cancellerà giammai.
I tuoi amici del venerdì
(Clara Vanosi)
MATERNITÀ
Il tuo sguardo velato,
madre, cela la trepida ansia
dell’abbandono in un dolore
che solo tu sai
di poter comprendere.
Tiziano Maria Galli
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leNotizie
D
Perché tante persone intelligenti perdono soldi ?
opo diversi anni di attività
come consulente indipendente e in stretta collaborazione
con associazioni di consumatori
ho avuto modo di vedere molti
casi di persone molto intelligenti perdere una parte molto consistente dei loro risparmi. Ho potuto verificare che la principale
ragione di queste perdite non ha
niente a che vedere con l’andamento dei mercati finanziari.
Infatti, l’andamento dei mercati finanziari, ai quali si attribuisce tanta importanza, costituisce
sempre una scusa alla quale ci si
attacca per tentare di giustificare
determinati risultati, mai la vera
ragione per la quale si sono persi
i soldi.
Fondamentalmente, le ragioni
per le quali tante persone perdono
soldi si possono riassumere in tre
gruppi:
1. Errori in fase di scelta.
Sappiamo che il mondo degli investimenti finanziari è caratterizzato dalla “asimmetria informativa”. Accade spessissimo, quindi,
che i risparmiatori scelgano gli
strumenti nei quali investire senza avere una chiara idea di quello che potrà accadere nelle varie
situazioni di mercato. Quando
accadono gli eventi che loro non
avevano previsto (perché il venditore si è guardato bene dall’indicarli, altrimenti non avrebbero
mai investito) allora scatta un
riflesso psicologico che li porta a
fuggire da quell’investimento.
E’ un dato di fatto, inoltre, che
il 90% dei prodotti dell’industria
del risparmio gestito non ha alcuna ragione di esistere perché
l’unico servizio che realmente
offrono, la diversificazione, può
essere agevolmente acquistato
22
ad un decimo del costo di questi
prodotti. Sfruttando l’asimmetria
informativa uno degli ultimi che
stanno riscontrando un successo ingiustificato sono i “fondi a
cedola”. Quando l’investitore si
rende conto, grazie ad un andamento negativo dei mercati, che i
presupposti per i quali aveva investito in quel prodotto non sono
veri, allora scatta la fuga dal prodotto. Di solito, però, alla fuga dal
prodotto (cosa positiva) si associa
la fuga dal mercato nel quale il
prodotto investiva (cosa negativa) e questo avviene sempre nel
periodo peggiore. Secondo la mia
esperienza, questo meccanismo è
alla base almeno dell’80% dello
sperpero di risparmi degli investitori.
2. Strategia: assente o sbagliata.
Una volta eliminato/attenuato
il problema precedente, rimangono tutti i problemi di carattere
psicologico legati agli investimenti finanziari. La mancanza
di una corretta Pianificazione Finanziaria porta molti investitori
a definire ad es. l’arco temporale
dei propri investimenti in modo
superficiale. Molto spesso viene
detto dagli investitori “mah 3-4
anni”, quando in realtà una parte
preponderante potrebbe rimanere
investita per molti più anni perché
l’investitore non ne ha bisogno. Il
compito di chi fa Consulenza Finanziaria deve essere innanzitutto
focalizzato a “far uscire” prima di
tutto gli obiettivi nascosti, fondamentali per la definizione di una
corretta strategia. Senza questo il
risparmiatore sarà sempre in balia
dei propri errori mentali e portato a compiere, inesorabilmente,
sempre la scelta sub-ottimale.
3. Eventi imprevedibili (nella vita dell’investitore)
La risposta di prima “3-4 anni” è
sempre motivata con il “non si sa
mai quello che può succedere”.
Questo denota la mancanza di Pianificazione Finanziaria. In qualsiasi strategia devo considerare di
tenere una parte dei risparmi in
prodotti facilmente liquidabili in
cui l’obiettivo non dovrà essere
massimizzare il rendimento, ma
conservare il capitale pronto per
gli eventi imprevisti. Nella fase
di individuazione degli obiettivi
non deve mancare la valutazione
dell’impatto ad eventi imprevisti
tanto improbabili, ma altrettanto
devastanti se si presentano; ad
es. nel caso di una famiglia monoreddito con moglie e diversi
figli a carico, senza un capitale consistente alle spalle, non si
dovrebbe escludere la possibilità
di valutare “eventuali” coperture
assicurative che in caso di premorienza consentano alla famiglia di
proseguire in modo dignitoso la
crescita dei figli.
Soluzioni punto 1) rifiutare
qualunque proposta provenga da
un soggetto che ha interesse a
vendere prodotti finanziari. Seb-
leNotizie
bene esista una remota possibilità
che la proposta che viene sottoposta sia valida, il fatto stesso di
aderire ad una proposta che non
è frutto di una specifica analisi
dell’investitore, crea i presupposti affinché quell’investimento
non sia vissuto in maniera del
tutto consapevole. In altre parole,
è necessario che l’investitore (seguito da un consulente indipen-
dente) scelga direttamente gli
strumenti nei quali investire;vedi
anche l’articolo su Plus24 IlSole24ore di sabato 14/02/15.
Per utilizzare strumenti finanziari diversi da quelli più semplici, è indispensabile avere in
proprio le conoscenze di base
necessarie. Non bisogna essere
necessariamente squali della finanza, basta avere la pazienza di
studiarsi alcuni elementi di base
per poter fare scelte consapevoli.
Se non si ha la possibilità di crearsi queste conoscenze, bisogna
avere l’umiltà di non investire in
strumenti più complessi; chiedetevi “sarei sicuro della qualità di
un servizio che non pago?”
Roberto Anselmini
I funghi nella storia
I
funghi da sempre sono stati
considerati “oggetti misteriosi”; non sono vegetali, non possiedono radici e neppure foglie
e fiori e nemmeno clorofilla, che
è presente in tutte le piante e che
per mezzo della luce permette al
vegetale l’assimilazione di anidride carbonica dall’atmosfera,
ma appartengono al “Regno Funghi”.
La misteriosa biologia del fungo ha attirato l’interesse dell’uomo fin dai tempi più remoti. La
prima informazione documentata
è stata ritrovata nel deserto del Sahara e risale a 7000-9000 anni fa.
Per i padri della moderna micologia, questa testimonianza dimostra che l’uso di funghi allucinogeni risale al periodo Paleolitico e
che avveniva in contesti e rituali
di natura mistico-religiosa. Nel
settembre del 1991 alcuni scalatori trovarono nelle Alpi tirolesi a
3.500 m slm una “mummia” datata 5300 anni che chiamarono “the
iceman” Oetzi la Mummia del
Similaun. Questo uomo primitivo aveva con sé un kit medicinale
contenente un fungo Piptoporus
betulinus, importante per le sue
attività antibiotiche e vermifughe
e una massa lanuginosa ottenu-
ta dal fungo Fomes fomentarius
usata probabilmente come esca
per accendere il fuoco. Studi hanno dimostrato che era infettato
da vermi intestinali e che quindi
si stava probabilmente curando
con i funghi. Geroglifici egiziani di 4600 anni fa attestano che
i Faraoni pensavano che i funghi
fossero “erbe dell’immortalità”.
Gli antichi egiziani credevano
che in funghi selvatici fossero i
“figli degli dei” mandati sulla terra attraverso i fulmini e per questo solo ai Faraoni era permesso
mangiarli. Nella lontana civiltà
greca i funghi erano particolarmente temuti e guardati con sospetto perché ritenuti velenosi. In
seguito poi, nei secoli, entrarono
nel folclore popolare con versioni
poetiche e leggende fantastiche.
I funghi, proprio per il fatto che
sembra spuntino dal nulla, sul terreno o su tronchi di piante, per la
velenosità di alcuni e per gli effetti allucinogeni di altri, hanno, sin
dai tempi antichi, suscitato la fantasia degli uomini, che li hanno
avvolti in un alone di magia e li
hanno fatti diventare protagonisti
di credenze e leggende popolari.
Oggetti che ricordano i funghi, in
particolare le statuette riconosciu-
te universalmente con l’espressione anglosassone di mashroom
stones “pietre-fungo”, sono stati
ritrovati negli scavi archeologici di diversi siti del Guatemala
e del Messico meridionale. Gli
Atzechi e i Maya consideravano
i funghi allucinogeni (es. Psilocybe spp), “carne divina” per
la loro proprietà allucinogene e
per le capacità che conferivano
agli sciamani. Tra le popolazioni siberiane l’Amanita muscaria
era ed è usata collettivamente, in
occasione di cerimonie e di feste,
oppure impiegata dagli sciamani
per favorire la trance durante le
pratiche curative o per contattare
gli spiriti dei morti, nelle pratiche
divinatorie e nell’interpretazione
dei sogni, oltre ad essere impiegata come fortificante nel corso dei
lunghi spostamenti della caccia.
Le popolazioni siberiane scoprirono che l’urina di chi mangiava l’Amanita muscaria era
anch’essa dotata di proprietà psicoattive e adottarono il bizzarro
costume di bere la propria urina o
quella di altri individui dopo l’assunzione del fungo per prolungarne gli effetti. Probabilmente
queste popolazioni scoprirono le
proprietà psicoattive del fungo e
23
leNotizie
dell’urina di chi mangiava il fungo, osservando il comportamento delle renne, che ne andavano
ghiotte e si inebriavano intenzionalmente sia con Amanita muscaria che con l’urina delle altre
renne che lo avevano consumato.
In Europa occidentale nella storia
si riporta un’avversione per i funghi, particolarmente accentuata in
Inghilterra e Irlanda, ma che parte già dagli antichi romani. Nella
civiltà Romana infatti, il fungo,
pur apprezzato per le qualità culinarie, diventò anche simbolo
di morte; infatti, il termine fungus significherebbe “portatore di
morte” (dal latino funus = morte
e ago = porto, portare).
Sono vari gli episodi, tra leggenda e realtà, legati alla concezione funesta dei funghi. Si narra ad esempio che l’imperatore
Claudio era così ghiotto di funghi
che morì proprio a causa di questi: la moglie Agrippina, conoscendo il suo debole culinario e
desiderando mettere sul trono, al
suo posto, il figlio di primo letto
Nerone, lo avrebbe fatto avvelenare proprio con funghi velenosi. “All’amico povero, funghi di
dubbia qualità, e al padrone invece un magnifico boleto (Amanita
casearia); come quelli che mangiava Claudio, prima di mangiar
quell’ ultimo della moglie dopo il
quale non mangiò più.” (Giovenale, 55-135 d. C, Satira). Questa
micofobia non si applica tuttavia
a paesi dell’Europa dell’est dove
i funghi costituiscono una parte
importante della dieta.
Ma la vera tradizione dell’uso dei funghi medicinali viene
dall’Oriente, dalla Medicina Cinese di tradizione Taoista. La
terminologia della Micoterapia
Cinese è difficilmente comprensibile per la medicina occidentale,
24
ma è una vera e propria medicina
con una storia di oltre 4000 anni,
diversa, ma non necessariamente
inferiore alla medicina occidentale. I funghi sono stati usati nella
medicina tradizionale cinese per
millenni sia come nutrizione che
come fitoterapia, per benessere e
longevità. Sono le erbe dell’imperatore. Controllano il mantenimento della vita... L’assunzione
anche di grandi quantità per lunghi periodi di tempo non è dannosa (secondo la medicina cinese).
Se uno vuole tonificare e prolungare la vita senza invecchiare,
deve prendere le erbe appartenenti a questa classe. Assieme al
Ginseng e all’Astragalo, anche
funghi come Ling Zhi (Reishi o
Ganoderma lucidum), Zhu Ling
(Polyporus umbellatus), Dong
Chong Xia Cao (Cordyceps sinensis), Shiitake (Lentinus Edodes). La Micoterapia Cinese
riconosce vari tipi di funghi medicinali e li inserisce in terapia
come corrispondenze naturali a
varie patologie, per tonificare e
riequilibrare lo yin e lo yang che
viene alterato dalle malattie. Una
tradizione storica così importante
può essere una valida testimonianza di quelle culture popolari
e medicine antiche il cui patrimonio va oggi riscoperto e recuperato. Gli studi sulle proprietà dei
funghi sono in forte crescita, ma,
mentre si diffonde l’azione per
una conoscenza più approfondita, rimane l’accompagnamento
di vecchie tradizioni, miti e leggende che ancora considerano il
fungo come qualcosa appartenente ad un mondo misterioso legato
a fenomeni ultraterreni e a forze
sovraumane.
Carlo Piuri
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