11 FEBBRAIO 2015 Quale riordino territoriale per un inedito federalismo all'italiana? Primi appunti a partire dall'ottica funzionalista francese di Giuseppe Allegri Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate Sapienza – Università di Roma Quale riordino territoriale per un inedito federalismo all'italiana? Primi appunti a partire dall'ottica funzionalista francese* di Giuseppe Allegri Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate Sapienza – Università di Roma “Dapprincipio è una costituzione ad essere reclamata da ogni parte; in seguito sarà il decentramento. Aspettate ancora e vedrete sorgere l'idea di federazione” P.-J. Proudhon, Du principe fédératif, 1863 Sommario 1. Il federalismo all'italiana: andata e ritorno. 2. Il caso francese: l'ottica funzionalista tra unità e decentralizzazione, tra città e Stato. 3. Per una nuova pratica federativa territoriale, dalle città all'Europa. In questi che sono solo primi brevi appunti di una possibile ricerca si vorrebbe riannodare il filo interrotto del “federalismo all'italiana”, dinanzi al riordino territoriale prospettato dalle due riforme costituzionali attualmente incardinate in Parlamento. Con uno sguardo al profilo funzionalista innescato nei processi di decentralizzazione della storicamente unitaria Repubblica francese. Alla luce di ipotesi federative nella dimensione infra-regionale, che tengano conto del necessario bilanciamento di pluralismo e uniformità, cooperazione e perequazione, nei diversi livelli di governo che le cittadinanze possono sperimentare tra locale, statale e continentale. Il testo riproduce l’intervento al Seminario sul riordino territoriale organizzato da federalismi, tenutosi a Roma il 4 febbraio 2015. * 2 federalismi.it |n. 3/2015 1. Il federalismo all'italiana: andata e ritorno Era la metà degli anni Novanta del Novecento, nel mezzo dell'infinita transizione tra Prima e Seconda Repubblica, quando uno studio in itinere della Fondazione Giovanni Agnelli formalizzò la proposta politica e culturale di dare vita ad un accorpamento del regionalismo italiano in 12 macroregioni, approfittando di una più ampia ricerca e riflessione intorno a “un federalismo dei valori”1. In realtà quella proposta si proponeva di tenere insieme l'opzione federalistica con l'unità dell'assetto repubblicano, per arginare la spinta radicalmente autonomista introdotta proprio in quegli anni nel dibattito pubblico e istituzionale italiano dal successo elettorale della Lega Nord, movimento politico dichiaratamente federalista, con forti pulsioni all'indipendentismo (padano e veneto) e tendenze quasi-secessioniste2. Ma quello dei rapporti interregionali è un tema costituzionale da sempre all'attenzione del nostro ordinamento repubblicano, se si pensa alla proposta di Costantino Mortati già in sede di Assemblea Costituente riguardo all'ipotesi di «inserire nel progetto una disposizione che preveda la costituzione di consorzi interregionali per servizi che possono interessare più Regioni (quale, ad esempio, quello della manutenzione stradale, che comporta l’acquisto di macchine costose)»3. Per arrivare alle due recenti proposte di legge del 2013 e 2014. La proposta di legge costituzionale C. 758, presentata il 16 aprile 2013, con primo firmatario Giovanni Giorgetti, recante «modifiche agli articoli 116, 117 e 119 della Costituzione» 4 . Un disegno di legge costituzionale composto di quattro articoli «concernenti l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni e l’istituzione delle Macroregioni, attraverso referendum popolare, con attribuzione alle medesime di risorse in misura non inferiore al 75 per cento del gettito tributario prodotto nel loro territorio, nonché disposizione transitoria riguardante il trasferimento delle funzioni amministrative ai Comuni e alle Regioni». Quindi l'altra proposta di legge costituzionale C. 2749, presentata il 25 novembre 2014, con primo firmatario Roberto Morassut, riguardante la «modifica dell’articolo 131 della Costituzione, M. Pacini (a cura di), Un federalismo dei valori. Percorso e conclusioni di un programma della Fondazione Giovanni Agnelli (1992-1996), Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1996. La proposta era già stata formalizzata con una pubblicazione intermedia di quella ricerca dallo stesso M. Pacini, Scelta federale e unità nazionale, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994. 2 Tra i molti studi sul fenomeno politico della Lega Nord si vedano: I. Diamanti, Il Male del nord. Lega, localismo, secessione, Donzelli, Roma, 1996 e R. Biorcio, La Padania promessa. La storia, le idee e la logica d’azione della Lega Nord, Il Saggiatore, Milano, 1997. 3 Come ricordato recentemente da A. Sterpa, Le premesse costituzionali di un “diritto delle regioni”, in S. Mangiameli (a cura di), Il regionalismo italiano dall'Unità alla Costituzione e alla sua riforma. Atti delle Giornate di studio (Roma, 20-22 ottobre 2011), Vol. 2, Giuffrè, Milano, 2013, pp. 113-135, spec. p. 116, cui si rinvia. 4 Si rinvia ai lavori preparatori della proposta di legge C. 758. 1 3 federalismi.it |n. 3/2015 concernente la determinazione delle regioni italiane», che dalle attuali 20 sono ridotte a 12, tra le quali solo Sicilia e Sardegna mantengono lo statuto speciale, mentre si crea la regione di Roma capitale, comprendente la ex provincia di Roma5. Dopo il ventennio del “federalismo all'italiana”, inaugurato con le cd. “leggi Bassanini” di metà anni Novanta, sembra di essere dinanzi a un processo in controtendenza, che tenta di raccordare a un livello intermedio – tra Stato ed enti locali – la frammentata, litigiosa e dispendiosa italica “Repubblica delle autonomie” successiva alla riforma del Titolo V del 2001, causa la necessaria riduzione dei costi della burocrazia e della politica, in tempi di spending review e di permanente stagnazione del quadro economico nazionale e continentale. L'unico punto in comune con il precedente processo, che approdò alla legge costituzionale n. 3/2001 di “riforma del Titolo V della Costituzione”, è di nuovo quello di proporre una “riforma istituzionale” calata dall'alto, nel solco di quel trentennio di “ingegneria costituzionale” che dalle diverse, e improduttive, Commissioni bicamerali per le riforme istituzionali (la prima fu istituita nella primavera del 1983, presieduta dall'Onorevole Aldo Bozzi) approda alle due proposte di ulteriore revisione costituzionale di parte del Titolo V. C'è quindi di nuovo uno faticoso sforzo di razionalizzazione normativa, di rango costituzionale, che si vorrebbe programmare dal centro politico-legislativo alle periferie amministrative del governo regionale. Quasi alla ricerca di un ennesimo progetto “illuministico” di riorganizzazione territoriale, semplificazione amministrativa e riduzione dei costi degli apparati burocratici e dell'erogazione di servizi pubblici. 2 Il caso francese: un'ottica funzionalista tra unità e decentralizzazione, tra città e Stato. Questo è in parte il processo che ha tentato il Paese storicamente più centralista dell'intera Europa continentale, cioè la Francia, nel corso degli ultimi trent'anni. A cominciare con le leggi dei primi anni Ottanta e poi Novanta del Novecento, passando per la legislazione sulla démocratie de proximité (l. n. 2002/276, del 27 febbraio 2002), fino alla revisione costituzionale con l. cost. n. 2003/276, del 28 marzo 2003, che è andata a modificare diversi articoli della Costituzione francese del 1958, a cominciare dalla parte finale del primo comma dell'articolo 1, dove si stabilisce che «la Francia è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale. […] La sua organizzazione è decentrata» (son organisation est décentralisée). È stata un'innovazione costituzionale che ha riempito di nuovi significati la tradizionale indivisibilità repubblicana francese: «uno dei 5 4 Anche in questo caso si vedano i lavori preparatori della proposta di legge C. 2749. federalismi.it |n. 3/2015 principi che gran parte della dottrina ritiene qualificante la cosiddetta tradition républicaine» 6 , fondata sulla visione di una Repubblica «une et indivisible», sancita con i decreti del 1792, quindi con le tendenze di ulteriore centralizzazione imposte da Napoleone Bonaparte già nel 1800 e poi con la nozione di service public codificata nell'esperienza della Terza Repubblica7. In realtà la Francia ha da sempre giocato il rapporto centro-periferia sul piano della modernizzazione dell'azione pubblica nello Stato territoriale, con l'oramai plurisecolare visione che fosse proprio lo Stato centrale, e centralizzato, il migliore soggetto promotore, e agente, del progresso civile, culturale e sociale per la Francia intera e tutti i francesi, inquadrando il tutto in una visione particolarmente uniforme e monolitica dell'assetto istituzionale repubblicano. E al contempo si sono sempre affermati dei contropoteri locali, facendo leva su un ampio spazio di autogoverno territoriale sperimentato dalle città e dai Comuni, anche all'interno della stessa Terza Repubblica, come nel caso del cosiddetto «socialismo municipale»8. Per questo si sostiene che il caso francese potrebbe tornare utile non tanto nel progetto di razionalizzazione centralistica dell'apparato statale, quanto nella sua visione funzionalista di ridefinizione dei rapporti tra Stato e collettività territoriali, soprattutto dal punto di vista dell'azione amministrativa. Insomma non è l'aspetto tardo-illuministico di riforma costituzionale palingenetica ad essere interessante. Quanto la capacità di invenzione istituzionale che, seppure situata dentro una secolare tradizione centralistica, permette la sperimentazione di nuove istituzioni dove realizzare l'intervento più adatto per permettere alle cittadinanze di vivere assieme nel miglior modo possibile. In questo senso diventano sempre più interessanti i percorsi di raccordo tra i diversi livelli delle collettività territoriali – comuni e dipartimenti – per la più efficace ed efficiente gestione delle funzioni di servizio pubblico, tenendo fede ai princìpi di solidarietà sociale iscritti nella tradizione repubblicana francese. Come si notò in sede di primo commento di quella riforma: cfr. G. Allegri, La Francia è una Repubblica indivisibile: ''Son organisation est decentralisée'' (brevi note sul processo di decentralizzazione e sulla l. cost n. 2003-276, del 28 marzo 2003), in Federalismi.it, n. 3/2003, del 12/6/2003. Per la ricostruzione di questa revisione costituzionale nel dibattito dottrinario italiano si rinvia ai due classici studi di M. Calamo Specchia, Un nuovo regionalismo in Europa. Il decentramento territoriale della Repubblica francese, Giuffrè, Milano 2004 e di M. Mazza, Decentramento e riforma delle autonomie territoriali in Francia, Giappichelli, Torino, 2004. A proposito della Repubblica una e indivisibile nella tradizione repubblicana francese, in rapporto non solo con le diversità territoriali, ma anche con quelle culturali, linguistiche, religiose, etc. si veda J. Costa-Lascoux (Dossier réalisé par), République et particularismes, La documentation Française – problèmes politiques et sociaux, n. 909, février 2005. 7 Tra i molti studi sulla questione repubblicana francese si ricorda il celebre lavoro più volte ristampato di C. Nicolet, L'idée républicaine en France, Gallimard, Paris, 1982. 8 A questo proposito si veda lo studio di P. Dogliani,Un laboratorio di socialismo municipale. La Francia (18701920), Franco Angeli, Milano, 1992. 6 5 federalismi.it |n. 3/2015 Così sul finire degli anni zero in Francia si innesca una riforma dell'amministrazione territoriale dello Stato (la RéATE), inserita nella più ampia prospettiva di Revisione Generale delle Politiche Pubbliche (RGPP). Ma sono soprattutto gli strumenti della cooperazione locale e della cosiddetta intercommunalité quelli che permettono di raccordare i livelli di governo più prossimi alle cittadinanze, per una migliore organizzazione e gestione comune dei servizi pubblici locali, ma anche per una programmazione collettiva di progetti di sviluppo locale. In questi ambiti la cooperazione intercomunale si sviluppa partendo da legami più flessibili e associativi – finalizzati alla gestione di alcuni servizi pubblici appunto – per giungere a una sempre maggiore integrazione, con meccanismi federativi di progettazione condivisa, che permettono di godere di un proprio regime e favore fiscale. Sono le diverse tipologie di istituzioni pubbliche di cooperazione intercomunale (établissements publics de coopération intercommunale – EPCI) ulteriormente favorite dalle innovazioni introdotte con la legge di riforma territoriale del 16 dicembre 2010 che istituzionalizza la previsione di uno schema dipartimentale di cooperazione interdipartimentale (SDCI). Quindi giusto un anno fa è stata adottata la l. n. 2014-58 del 27 gennaio 2014, riguardante la modernizzazione dell'azione pubblica territoriale e l'affermazione delle metropoli (cosiddetta Loi MAPAM o MAPTAM)9, che porta a compimento un ulteriore atto di decentralizzazione territoriale, assegnando una clausola generale di competenza ai dipartimenti e alle regioni, oltre a riformare le metropoli Île-de-France, Lyon e Métropole d'AixMarseille-Provence, prevedendo la creazione di altre nove metropoli. Il tutto con una progressiva attenzione alla centralità del «droit à la ville/droit de la ville» vero punto di incontro tra l'ottica costituzionalistica del diritto pubblico, la pianificazione urbana e territoriale tipica dei geografi e degli urbanisti, la progettazione di politiche locali di soluzione delle criticità individuate dalla nuova sociologia urbana10. Questo continuo tentativo del legislatore francese di ridefinire i processi di decentralizzazione si muove nel senso di raccordare le diverse collettività territoriali, a partire dalle varie forme associative e federative degli oltre 36 mila Comuni, anche per adeguare l'azione amministrativa e di governo alle diversità economico-sociali delle comunità rurali e di quelle urbane. Sono i processi di aménagement du territoire 11 , di gestione e pianificazione territoriale che mettono in relazione i molteplici livelli di governo e sfidano anche la tradizionale articolazione tra pubblico e Il testo normativo è rintracciabile in rete su questa banca dati di leggi francesi. Per un approccio sensibile al profilo giuspubblicistico si rinvia all'ampia e concreta ricostruzione proposta da J.-B. Auby, Droit de la Ville. Du fonctionnement juridique des ville au droit à la ville, LexisNexis, Paris, 2013. Per una prima formulazione sistemica del droit à la ville si ricorda il classico e illuminante lavoro di H. Lefebvre, Droit à la ville, Éditions du Seuil, Paris, 1968, recentemente ripubblicato in italiano con il titolo Diritto alla città, traduzione di G. Morosato, Ombre Corte, Verona, 2015. 11 P. Merlin, L'aménagement du territoire en France, La documentation Française, Paris, 2007. 9 10 6 federalismi.it |n. 3/2015 privato, efficacia ed equità, tutela ambientale e interventi invasivi, tenendo conto della tensione tra sviluppo economico, diseguaglianze territoriali, princìpi di eguaglianza e ottica equilibratrice. Proprio i meccanismi di creazione di reti e consorzi di comuni, sistemi misti pubblico-privati e imprese miste, tramite accordi e contratti, permettono di innescare processi di razionalizzazione che, sfidando la mentalità centralistica della tradizione politica francese, provano a realizzare processi di gestione, amministrazione e governo al livello più adeguato per le istanze di buon vivere in comune delle cittadinanze. È su questa tendenza funzionalista a raccordare i diversi livelli di governo che varrà la pena insistere, non per creare un altro polo di centralizzazione, ma per realizzare azioni e pratiche federative per una gestione innovativa dei territori. 3. Per una nuova pratica federativa territoriale, dalle città all'Europa. Per il caso italiano è proprio quest'ottica che permetterebbe di tenere insieme il dettato costituzionale con la sperimentazione di azioni e pratiche federative che recuperino il meglio della tradizione civica, federale, repubblicana e autonomistica della nostra storia costituzionale, anche dell'epoca pre-repubblicana. Da una parte le disposizioni dell'ottavo comma dell'art. 117 Cost. disegnano la prospettiva delle intese tra regioni «per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni», lasciando aperte le ipotesi di un vero e proprio diritto interregionale12, ma anche immaginando il protagonismo delle aree metropolitane, delle aree vaste e delle cosiddette metropoli diffuse. Dall'altra è forse venuto il momento di recuperare una tradizione costituzionale minoritaria nel solco del processo di integrazione statale italiana. Quella che dagli studi di Gian Domenico Romagnosi passa a Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari, che non a caso sono stati definiti i «dissidenti del Risorgimento»13. È una linea che, dallo studio dei territori, del ciclo delle acque, dei processi di inurbamento, del rapporto tra città e zone rurali, dei sistemi di produzione, delle forme di autogoverno e partecipazione democratica, formula una prima scienza statistica, intesa come scienza della cosa pubblica, per affermare l'urgenza di una organizzazione federale dell'assetto istituzionale della penisola. È un federalismo radicale, sensibile alle istanze di giustizia sociale, autogoverno democratico, progresso economico e civile, redistribuzione delle ricchezze, Per una ricostruzione sistematica si rinvia a A. Sterpa, Le intese tra le regioni, Giuffrè editore, Milano, 2011, specialmente pp. 331 e ss., con il capitolo cinque interamente dedicato alle «opportunità di impiego delle intese tra le regioni». 13 Insieme con Carlo Pisacane, nell'aureo libretto di U. Dotti, I dissidenti del Risorgimento. Cattaneo, Ferrari, Pisacane, Letteratura Italiana Laterza, vol. 48, Laterza, Roma-Bari, 1975. 12 7 federalismi.it |n. 3/2015 riduzione degli apparati burocratici e inclusione delle differenze. Verrà non solo sconfitto, ma anche presto dimenticato e solo occasionalmente e parzialmente rievocato, come, da ultimo, nel testo della succitata recente proposta di legge costituzionale C. 758, presentata il 16 aprile 2013, ricordando anche un grande e controverso studioso federalista come Gianfranco Miglio. Eppure bisognerebbe ripartire proprio dalla sperimentazione di un federalismo inteso come processo di redistribuzione dei poteri ai livelli più adeguati per permettere alle persone di vivere in condizioni migliori per autogovernarsi. Un federalismo sociale, che si fondi sulla pretesa che le differenze e le pluralità possano intendersi in un accordo condiviso tra parti diverse. È lo spirito di Ventotene contro l'eterna guerra civile degli Stati nazione d'Europa14. Ed è l'idea di città e territori di quella corrente minoritaria del Risorgimento italiano. Del resto nello studio delle scienze sociali dell'ultimo quarantennio si è ulteriormente affermato lo spatial turn che da tempo influenza anche le scienze giuridico-poliche e l'azione di governo, nel ripensare il federalismo tra collettività locali e aree macro-regionali/continentali. Nel contesto istituzionale italiano si potrebbe riprendere tutta l'analisi sulla cosiddetta Terza Italia e sugli effetti del post-fordismo all'italiana, per far sì che il riordino territoriale parta dal basso delle istanze di nuova convivenza sociale, economica, culturale delle cittadinanze e non dall'astratta imposizione di riforme dall'alto 15 . E allora ci sarebbe bisogno di diffondere spazi pubblici di confronto tra soggetti che si incarichino di riaprire il cantiere federalista, come Federalismi.it fa lodevolmente da tempo, quindi di una classe dirigente e di gruppi di ricerca che tornino ad attraversare i territori affaticati dalle attuali fratture sociali, con l'idea che il federalismo possa essere inteso come un nuovo modo di pensare il rapporto tra l'individuo, le sfere sociali nelle quali vive e le forme istituzionali che è possibile immaginare. Un federalismo inedito, nuova categoria nelle trasformazioni costituzionali che verranno16. L'attualità de Il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi è testimoniata da una sua recente ripubblicazione, accompagnata da diversi saggi che lo contestualizzano nell'odierna crisi europea, in Aa. Vv., Ventotene. Un manifesto per il futuro, manifestolibri, Roma, 2014. 15 In prima battuta: A. Bagnasco, Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano, Il Mulino, Bologna, 1977, A. Zanini , U. Fadini (a cura di), Lessico postfordista. Dizionario di idee della mutazione, Feltrinelli, Milano, 2001. Quindi i più recenti studi e inchieste dello stesso Arnaldo Bagnasco e poi di Sergio Bologna, Aldo Bonomi, Giuseppe De Rita, Massimo Paci, riguardo i quali sia concesso un rinvio a quanto da noi ricostruito in G. Allegri, R. Ciccarelli, Il quinto stato. Perché il lavoro indipendente è il nostro futuro. Precari, autonomi, free lance per una nuova società, Ponte alle Grazie, Milano, 2013. 16 G. Duso, A. Scalone (a cura di), Come pensare il federalismo? Nuove categorie e trasformazioni costituzionali, Polimetrica, Monza, 2010 affrontano la questione federale come occasione per ripensare i fondamenti di un costituzionalismo oltre la dogmatica della sovranità statuale. 14 8 federalismi.it |n. 3/2015 Perché, per riprendere la frase di Proudhon che apre questi appunti, sembra inverarsi la tendenza che dalla rivendicazione di una Costituzione, porta alla richiesta di decentramento e poi all'affermazione di una prospettiva federata: per le città che viviamo, per l'Europa che vorremo. 9 federalismi.it |n. 3/2015