Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
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Capitolo 1
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
Il Corso di laurea in tecniche di radiologia medica
per immagini e radioterapia in prospettiva europea
SEU
Paola Binetti
1. Premessa
Il sistema universitario italiano è stato attraversato in questi ultimi quindici anni da forti
spinte al cambiamento, spesso in contraddizione tra di loro, proprio perché caratterizzate
da un eccesso di centralismo, solo apparentemente mitigato dalla normativa 509/99
sulla autonomia didattica. Docenti e studenti si sono sentiti spiazzati da una rapida sollecitazione alla trasformazione di corsi di laurea, che spesso cominciavano in un modo
e si concludevano in un altro. Basta pensare all’introduzione delle lauree triennali, con
la loro successiva articolazione con le lauree magistrali, la semestralizzazione dei corsi,
la struttura tutt’altro che scontata dei corsi integrati, concetti come quello di tutorato e di
crediti formativi universitari, tutto ha contribuito a modificare il frame di riferimento a cui
docenti e personale amministrativo erano abituati ormai da decine di anni.
Lo sforzo reale in questi anni è stato quello di esplicitare sempre più e sempre meglio
questa esigenza di innovazione, evitando che si riducesse ad una babele di linguaggi
e di programmi, di norme e di processi amministrativi. Lo scopo era quello di tradurre il
cambiamento della vita universitaria, da alcuni voluto, ma da altri osteggiato, in canoni
comportamentali coerenti e concreti soprattutto sotto il profilo formativo. Molti atenei
hanno sentito il bisogno di affrontare scientificamente la formazione data agli studenti,
per migliorarne le prestazioni sia in termini di qualità che di durata degli studi1. Quel che
è certo è che questi cambiamenti hanno creato e creano sia nei docenti che negli studenti dell’ultima generazione un misto di disorientamento e di timido ottimismo. Di timore
e di speranza. A tutti è apparso chiaro fin dall’inizio dell’applicazione della riforma che
ridisegnare i percorsi formativi, alla luce della nuova normativa generale, ma anche alla
luce degli specifici Decreti d’area, era condizione necessaria ma del tutto insufficiente.
Il bisogno di novità esprime nello stesso tempo una sostanziale insoddisfazione per i
modelli disponibili, ma anche un’esigenza di studio, di riflessione, di confronto; di ricerca
applicata ai modelli della formazione non meno che ai modelli della cura. Sulla scia di
ROMA
1
Albanese O, Fiorilli C, Studiare all’Università. Nuovi contesti di apprendimento, Psicologia dell’educazione
e della formazione, 3 (3):323-336, 2001
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Dal Core competence al core curriculum
alcune Facoltà di Medicina più attente alla progettualità educativa si è fatta strada la
convinzione di doversi muovere secondo un approccio scientifico, che prenda le decisioni in campo didattico sulla base di una oggettiva efficacia: la Best Evidence Medical
Education.
La caratteristica essenziale di una progettualità educativa scientificamente fondata
è rappresentata dalla necessità di vincolare le singole scelte dei docenti ad un disegno
generale in cui la condivisione del progetto è frutto di una adesione personale al costrutto di valori caratterizzanti della facoltà e dello specifico corso di laurea, più che di una
negoziazione tra singole strategie didattiche. Ad esempio, una parte importante della
innovazione proposta nel Progetto didattico dell’Università Campus Bio-Medico di Roma
è rappresentata da due coordinate essenziali:
• da un lato la dimensione sistemica, che precede e coordina le diverse attività
didattiche, con una programmazione collegiale chiara e condivisa, trasmessa a
tutti, docenti e studenti, proprio nella sua visione d’insieme, per cercare di evitare
la frammentazione e la dispersione dei saperi;
• dall’altro l’approccio tutoriale, scelto per il suo impianto fortemente personalizzato, per cui assicura ad ogni studente l’individuazione di un progetto formativo
su misura per lui, attraverso l’acquisizione delle qualità indispensabili, sul piano
tecnico-scientifico, sociale ed etico.
La qualità formativa è molto di più della rigida architettura di un sistema e della stretta
contabilità di crediti. È qualcosa che tocca l’anima di un corso, il suo costrutto valoriale:
la sua missione e la sua vision, come dicono gli anglosassoni2.
SEU
1.1. Chi sono e dove vanno i nuovi professionisti con laurea
A 15 anni dalla creazione dei nuovi corsi di laurea delle professioni sanitarie, si sente
il bisogno di fare un bilancio e sono in molti a chiedersi se i risultati raggiunti dall’impianto
accademico del tre più due può essere considerato soddisfacente. I processi trasformativi attraverso i quali questi corsi sono passati prima di giungere all’assetto attuale è un
indicatore significativo delle problematiche con cui si sono dovuti confrontare sia rispetto
ai nuovi modelli organizzativi in sanità, sia rispetto ai medici specialisti delle aree affini
e soprattutto rispetto alle mutate esigenze dei pazienti.
Chi sono e cosa fanno i nuovi professionisti dell’area sanitaria con una laurea in tasca,
con uno o più master, con pubblicazioni scientifiche e soprattutto con un forte desiderio di
svolgere un ruolo professionale da protagonisti nei loro ambiti specifici. Nuove conoscenze
e nuove competenze, una più ampia visione dei processi decisionali e delle dinamiche
professionali, hanno ampliato l’orizzonte delle loro ambizioni e delle loro speranze. Hanno però creato anche non poche illusioni, che rendono necessaria la riflessione critica
sul rapporto tra curriculum di studi e sviluppo del profilo professionale nell’arco degli
ROMA
2
Federspil G, La natura del sapere medico e la clinica, Ann Ital Med Int, vol. 17, Suppl 1, 2002
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
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anni. Definire la competenza specificità del professionista laureato in una delle branche
dell’area sanitaria, rispetto a tutti gli altri laureati della Facoltà di medicina e chirurgia, a
cominciare dai medici laureati e specialisti, pone ancora oggi quesiti rilevanti sul piano
formativo. Cosa devono sapere e cosa devono saper fare questi professionisti di nuova
generazione per offrire al servizio sanitario nazionale un servizio di alta qualità professionale, evitando inutili sovrapposizioni di ruolo e rischiosi conflitti di competenze.
È in atto uno studio sulla collocazione professionale dei laureati triennali e di quanti
hanno ottenuto la laurea magistrale, con un confronto serio tra i precedenti piani di studio e quelli attualmente in corso. I nuovi laureati studiano troppo o troppo poco? Hanno
una formazione troppo teorica o troppo poco pratica? Come si inseriscono nelle equipe
multi-professionali che debbono fronteggiare i diversi obiettivi nelle Unità di cura semplici
e complesse? Sono prevalentemente collaborativi o rivendicativi? Tendono a sovrapporsi
alle competenze mediche o hanno individuato ambiti e contesti finora inesplorati in cui
concentrare la loro attenzione? Cosa è cambiato sul piano professionale nel rapporto
con gli specialisti medici ora che tutti i professionisti di area sanitaria possono vantare un
curriculum accademico che tra laurea e master non è mai inferiore ai 4-5 anni? Esiste un
problema di leadership nei modelli organizzativi che caratterizzano l’attività di diagnosi
e cura in una azienda sanitaria di medie o grandi dimensioni?
SEU
1.2. Il ruolo della Conferenza dei corsi di laurea delle professioni sanitarie
Sono domande a cui si è cercato di rispondere in vario modo nei quindici anni di
esperienza maturati nelle facoltà di medicina e nelle aziende sanitarie: con dibattiti pubblici promossi dalle Conferenze dei Presidenti di corso di laurea, con gruppi di studio più
ristretti tra professionisti specialisti ed esperti di organizzazione sanitaria, con i docenti e
gli esperti di pedagogia medica, ecc. La formazione universitaria costituisce una risorsa
troppo preziosa per rimodellare l’attuale organizzazione attraverso cambiamenti culturali
e manageriali coraggiosi. Ma per ottenere i professionisti di cui c’è bisogno occorre anche sapere cosa è necessario fare per formarli nel miglior modo possibile. È necessario
tornare sulla struttura accademica dei corsi prima e sull’aggiornamento continuo poi
per raggiungere risultati più efficaci e più efficienti, contraddistinti da una maggiore e
migliore equità e qualità.
Mentre i risultati della laurea triennale sembrano più soddisfacenti per gli studenti che
l’hanno conseguita, che non per i loro docenti, il rapporto si inverte nel caso della laurea
magistrale, in cui alla maggiore soddisfazione dei docenti non fa seguito la soddisfazione
degli studenti che, dopo un notevole impegno per compaginare studio e lavoro nei due
anni di corso, successivamente non trovano un adeguato riscontro tra il titolo conseguito
e la collocazione professionale ottenuta. Il rapporto tra qualità della formazione raggiunta
dagli studenti dei diversi corsi nei diversi livelli del loro percorso accademico e ricaduta
professionale attualmente possibile non è ancora adeguatamente chiarito e crea aspettative e frustrazioni, tra studenti e docenti, che non è facile fronteggiare.
ROMA
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Dal Core competence al core curriculum
Non sempre si riesce ad attivare in modo soddisfacente il circuito virtuoso che collega attività professionale iniziale e formazione universitaria, con gli sviluppi del percorso
professionale successivo e gli approfondimenti culturali legati all’aggiornamento della
competenza professionale, fatta di competenze tecniche, di competenze economiche
e organizzativo-gestionali, di capacità comunicative, di sensibilità etica. Se davvero
vogliamo progressivamente innalzare il livello delle conoscenze e delle competenze dei
professionisti sanitari dobbiamo riuscire ad offrire loro concrete possibilità di sviluppo di
carriera nel loro campo professionale. Il rapporto tra formazione e sviluppo professionale
definisce un volano di forte efficacia motivazionale e aiuta ad affrontare i processi, sia
quelli di natura cognitivo-relazionale, che quelli economico-manageriali3.
Tra i docenti universitari l’inserimento prima come docenti a contratto e poi come
docenti accademicamente strutturati, vincitori di concorso, di professionisti con lo stesso
profilo professionale degli studenti ha rappresentato un forte fattore di innovazione, soprattutto per quanto attiene ai tirocini, vera e propria sintesi teorico-pratica che impegna
oltre il 40% dei crediti formativi. Sono docenti che mostrano nei fatti di aver raggiunto un
livello di eccellenza, culturale oltre che professionale, non solo per il loro curriculum scientifico, ma anche per la determinazione con cui hanno saputo cogliere il valore delle pari
opportunità, che gli studi universitari offrivano loro. Docenti universitari, che provengono
direttamente dalla professione verso la quale vanno gli studenti da formare, si pongono
in una relazione di coaching che dà alle nuove leve la possibilità di immaginare un contesto lavorativo in cui il differenziale semantico tra i vari professionisti è rappresentato
solo dalla rispettiva competenza specifica. Per questo agli studenti universitari di questi
corsi di laurea occorre chiedere molto, senza fare sconti, tanto sul piano teorico-culturale
come su quello in cui il sapere pratico si applica alla conoscenza dei processi da gestire.
Programmi con giusta estensione e profondità, tirocini esigenti e responsabilizzanti.
SEU
1.3. Le lauree triennali: luci e ombre
ROMA
Solo una forte motivazione degli studenti permette di garantire ai corsi di laurea una
didattica con la necessaria categoria scientifica. I corsi decollano con maggiore difficoltà
quando debbono fare i conti con studenti disomogenei e demotivati, per cui accanto a
fasce di studenti particolarmente brillanti, ce ne sono altre che stentano a raggiungere
il livello di apprendimento programmato e a mantenere il ritmo degli esami. Ai docenti
tocca ridurre questo gap, differenziando le strategie didattiche, ma mantenendo sempre
alto il livello.
Attualmente nelle facoltà di medicina il numero degli studenti dei corsi di laurea delle
professioni sanitarie supera il numero di quelli che frequentano il corso di laurea specialistica in medicina e chirurgia. Ma non si può dire altrettanto del numero di docenti
incardinato nei corsi di laurea delle professioni sanitarie, che non supera certamente il
3
Tartaglini D, Binetti P, Organizzazione e salute, SEU, Roma, 2008
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numero dei docenti strutturati nel corso di laurea specialistica in medicina. Se si vuol far
crescere il livello scientifico di questi corsi di laurea, occorre ricreare un giusto anello di
congiunzione tra laurea triennale e laurea specialistica. Alla prima occorre riconoscere tutta
la sua valenza propedeutica sul piano culturale, insieme ad un effettivo raggiungimento dei
livelli di professionalità richiesti al momento dell’inserimento nel mondo del lavoro. Sarà la
successiva laurea specialistica a dare agli studenti competenze critiche che consentano
di affrontare aspetti innovativi della professione, sul piano della ricerca, della applicazione
tecnologica avanzata, della risoluzione di problemi complessi. Ma tutto ciò sarà possibile
solo in un contesto relazionale tra docenti e studenti particolarmente intenso, una sorta
di convivenza professionale ed accademica al tempo stesso, soprattutto con i docenti del
proprio profilo professionale, veri e propri maestri delle nuove generazioni.
Attualmente però il dibattito generale sulle lauree triennali è tutt’altro che ottimista:
professori e studenti hanno ripetutamente espresso con motivazioni diverse le loro perplessità. Recentemente la Conferenza dei Rettori ha compilato un lungo elenco di critiche
al sistema delle lauree triennali, ascrivendo a loro vantaggio solo - ma forse non è poco
- il maggior numero dei laureati, di cui però ha descritto un più basso livello di conoscenze
sotto il profilo culturale e di competenze sotto il profilo della spendibilità professionale.
La proliferazione dei corsi di laurea triennale, la semestralizzazione dei corsi, spesso
poco più che trimestrali, la frequenza delle sessioni di valutazione, il numero rilevante di
professori a contratto, accademicamente non strutturati, ha creato una frammentazione
delle conoscenze, che induce a definire il processo complessivo come una licealizzazione
del sistema universitario. Per questi corsi di laurea è in atto un processo di valutazione
continua che punta ad un miglioramento progressivo della loro qualità didattica, anche
attraverso un processo di revisione sistematica dei piani di studio, delle metodologie
didattiche, dei criteri di valutazione dei risultati raggiunti e soprattutto della formazione
dei docenti impegnati nei corsi.
SEU
1.4. I corsi di laurea triennale, come Laboratori di sperimentazione didattica
ROMA
Le due Conferenze dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea della Facoltà di
Medicina e Chirurgia: quella che coordina gli oltre venti corsi di laurea delle professioni
sanitarie e quella che coordina i corsi di laurea specialistica in medicina e chirurgia,
hanno rappresentato in questi ultimi quindici anni un laboratorio didattico innovativo di
prim’ordine. Molte riforme ministeriali sono state anticipate dalla loro creatività e dalla
sperimentazione didattica da loro promossa: dalla formazione professionalizzante alla
valutazione integrata, dalla istituzione dei crediti formativi al sistema tutoriale, dai corsi
interdisciplinari alla didattica per problemi, dalla forte valorizzazione delle scienze umane,
all’inserimento di corsi di etica e antropologia, in primo luogo, ma anche di epistemologia
e filosofia della scienza, di economia e di sociologia, ecc.4
4
Lenzi A, Manifesto di intenti, Medicina e Chirurgia, 2006, 31:1236-1241
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Dal Core competence al core curriculum
Si è trattato di una sperimentazione capace di coinvolgere di volta in volta un numero
sempre più elevato di Facoltà, perché pur prendendo le mosse da alcuni corsi di laurea
più orientati al cambiamento, più agili nella capacità di introdurre riforme di tipo sistemico, non ha mai trascurato né una attenta analisi dei bisogni formativi degli studenti, né
la riflessione sui cambiamenti del sistema socio-culturale di riferimento, compresa una
corretta interpretazione delle esigenze dei pazienti e delle loro famiglie. Le iniziative più
interessanti, quando venivano confermate da concreti risultati positivi, erano poi messe
a disposizione di tutti gli altri corsi di laurea, per creare un processo di osmosi prezioso
per tutti. Anche l’analisi delle resistenze al cambiamento diventava punto di innesco di
una successiva riflessione e di una più ampia elaborazione. Tra le sperimentazioni più
discusse ad esempio c’è stata quella relativa alla programmazione collegiale dei corsi
integrati e alla necessità della condivisione del momento valutativo; altra sperimentazione abbondantemente discussa è stata quella relativa al sistema tutoriale e alla
rete di servizi da predisporre per venire incontro ai bisogni formativi degli studenti; ma
certamente tra i più accesi, occorre annoverare il dibattito sul core curriculum: ossia sui
saperi minimi essenziali per considerare compiuto l’itinerario cultural-professionalizzante
dello studente.
La regola aurea delle due Conferenze è sempre stata quella di ragionare per risolvere
problemi, resistendo sia alla tentazione della mera denuncia di quanto non funziona nei
corsi, sia alla attesa magica di indicazioni o di soluzioni proposte dall’esterno. L’obiettivo
è sempre stato quello di anticipare i cambiamenti con un opportuno lavoro di riflessione
critica e di realismo didattico e pedagogico. La strategia individuata fin dall’inizio è quella
di una progettazione collegiale, condivisa tra docenti e professionisti che lavorano nelle
stesse aree o in aree affini, superando steccati che contrapponevano quasi ideologicamente ruoli, leadership, visioni culturali diverse, ecc. In questi anni di confronto intenso
promosso dalle due Conferenze è stato possibile superare molte tensioni tra docenti
universitari, considerati come una specie di casta, e professionisti esperti nel loro ambito
specifico. I concorsi universitari dei settori scientifico-disciplinari Med/45-50, vinti proprio
dai professionisti delle diverse aree, hanno contribuito non poco a ridurre questo gap:
tutti possono legittimamente aspirare a diventare docenti universitari, la sfida è tutta
scientifica e riguarda l’attività di ricerca svolta.
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Clinici ed infermieri, tecnici di laboratorio e biologi, fisioterapisti e fisiatri, logopedisti
e neurologi, tecnici di radiologia medica con radiologi e radioterapisti, ecc…, anche se
ovviamente permangono ancora alcune resistenze, hanno compreso che solo una solida
collaborazione permetterà loro di raggiungere gli obiettivi di una piena realizzazione personale e professionale. Hanno lavorato insieme per definire obiettivi specifici dei corsi di
laurea, con i rispettivi contenuti e le competenze da proporre agli studenti e da verificare
insieme, ma anche per presentare e realizzare progetti di ricerca, per cercare e gestire
insieme finanziamenti. La sperimentazione promossa dalle due Conferenze ha riunito
intorno ad uno stesso tavolo quanti desiderano assumersi in prima persona le sfide che
il mondo accademico e quello sanitario pongono a chi desidera occuparsi senza pregiu-
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dizi, sia di ricerca che di didattica e di processi di diagnosi e cura. La strategia appare
sempre più chiara: promuovere insieme la qualità nei diversi ambiti professionali, dalla
clinica ai laboratori, collaborare nei corsi di insegnamento: dalla programmazione alla
valutazione, pubblicare insieme i risultati della attività scientifica.
Sia la laurea triennale che la laurea magistrale debbono offrire agli studenti un corpo
docente in cui la qualità didattica è fortemente radicata nella competenza professionale dei
sui docenti, nella loro passione per la ricerca scientifica e nella oggettiva possibilità di tutti
di accedere ai rispettivi concorsi accademici. Per questo è necessario che tutti i docenti
siano animati non solo dal desiderio di partecipare alla attività di ricerca, ma sentano anche
l’esigenza di comunicare i risultati raggiunti, pubblicandoli sulle migliori riviste scientifiche
del settore5. È il nuovo salto di qualità che attende i corsi di laurea delle professioni sanitarie:
rielaborare continuamente il proprio sapere professionale, nato spesso dall’esperienza,
ma non sempre adeguatamente controllato e verificato con i canoni rigorosi della scienza, confrontando i propri risultati con la comunità scientifica di riferimento. Occorre quindi
promuovere al loro interno ricerca scientifica, facendo del sapere esperienziale un sapere
scientificamente fondato: è la nuova sfida culturale che si pone a quei professionisti che
svolgono al loro interno attività docente e aspirano ad un adeguato accreditamento accademico. Dopo aver insistito sulla acquisizione delle necessarie teaching skills durante la
fase fondativa di questi corsi, ora è chiaro che questa seconda fase non decollerà senza
lo sviluppo di adeguate research skills. Ciò vale non solo per la ricerca di base, riservata
ad un gruppo pur sempre limitato di docenti, ma anche per quella ricerca clinico-assistenziale che ha una ricaduta diretta sui pazienti, o per quella ricerca socio-economica che
permette di ipotizzare modelli capaci di contenere i costi sanitari in costante espansione,
e per quella etico-antropologica, che pone ogni giorno nuovi ed inquietanti interrogativi
al mondo sanitario. In un corso di laurea, a quindici anni di distanza dal suo inizio, la pari
dignità dei docenti deve potersi esprimere attraverso i rispettivi livelli di competenza didattica
e scientifica, ma anche attraverso una par condicio di accesso alla vita accademica.
L’istituzione dei corsi di laurea delle professioni sanitarie è ormai uscita dalla fase di
sperimentazione iniziale, in cui si è cercato di garantire ai diversi profili professionali una
adeguata formazione universitaria, oggi si punta a elaborare nuovi modelli organizzativi e nuovi paradigmi scientifici in sintonia con le nuove sfide del mondo sanitario. Per
questo servono docenti che sappiano fare dei corsi di laurea in cui sono impegnati dei
veri e propri laboratori di ricerca in cui analizzare collegialmente i modelli didattici fin qui
applicati. È sempre più necessario insegnare a valutare ogni tema e problema in modo
interdisciplinare, tenendo conto degli aspetti scientifici ed economici, etici e sociali, tecnici
e comunicativi. È solo da un corso di laurea così strutturato e fortemente integrato, che
gli studenti potranno gradatamente acquisire la forma mentis necessaria per affrontare
successivamente i problemi che si presenteranno sul piano professionale.
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ROMA
5
Binetti P, Etica della ricerca e ricerca in campo etico: una sfida della moderna scienza infermieristica,
International Nursing Perspectives, 2005, 5, 2:73-79
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Dal Core competence al core curriculum
2. Il Core Curriculum e l’approccio collegiale
2.1. Il Core Curriculum
Definire l’insieme delle conoscenze e delle competenze essenziali che deve possedere
ogni laureato con un determinato profilo professionale è stato un obiettivo perseguito fin
dall’inizio, con grande determinazione, da tutti i Consigli di corso di laurea, con la duplice
consulenza delle rispettive Conferenze nazionali e in molti casi delle Federazioni e degli
Ordini competenti. Il Core curriculum in senso proprio è il distillato delle conoscenze e
delle competenze che uno studente deve aver acquisito al termine dei suoi studi, per
dirsi a buon diritto laureato in…. Sono i livelli elementari della formazione accademica
previsti per un determinato corso di laurea, sempre in funzione di una concreta specificità
professionale. Il riferimento ad un livello elementare delle conoscenze e delle competenze
non va però inteso in senso minimalistico, ma in senso di essenziale, di strutturale. Vero
e proprio modello di una forma mentis, a cui concorrono aspetti cognitivi, relazionali,
tecnici ed organizzativi, oltre a quelli di natura etico-deontologica.
Puntualizzare cosa debba sapere un laureato in scienze infermieristiche o in scienze
dietetiche applicate, in fisioterapia o in tecniche di radiologia medica per immagini e radioterapia, è interesse sia del sistema accademico che del sistema sanitario nazionale.
La corretta definizione dei piani di studio dei diversi corsi di laurea, con una scansione
rigorosa degli obiettivi e dei contenuti corrispondenti, permette di definire meglio i criteri
di scelta dei docenti e la struttura organizzativa dei corsi. Con un opportuno lavoro di
incrocio tra i diversi piani di studio è possibile verificare le modalità di una didattica condivisa tra più corsi, necessaria per fare economia di risorse, umane oltre che materiali,
ma anche per offrire agli studenti l’opportunità di sperimentare fin dagli anni universitari
i vantaggi del lavoro in equipe multiprofessionali.
Ma come è facilmente intuibile definire il core curriculum nei suoi dettagli è cosa tutt’altro che ovvia e scontata. Si possono incontrare resistenze di vario tipo: a cominciare da
quelle che per l’appunto definiscono le funzioni dei neo-laureati e cercano di fare chiarezza
su di uno dei punti più controversi: al neolaureato tocca “semplicemente” svolgere nel
miglior modo possibile compiti già fissati dalla prassi e da una tradizione consolidata o si
aprono nuove prospettive che interfacciano con altri ruoli e altre funzioni? In altri termini
questa nuova generazione di professionisti dell’area sanitaria è fatta prevalentemente di
collaboratori o di competitori? È evidente che a seconda della risposta che si da a questa
domanda scatteranno i cambiamenti funzionali alla formazione del professionista che le
facoltà, ma anche le federazioni e gli ordini, hanno in mente.
La ri-definizione dei programmi di studio, affidata all’inizio a docenti universitari colti
e competenti nel proprio sapere disciplinare, ma poco al corrente delle specificità dei
corsi di laurea in cui erano stati chiamati ad insegnare, ha creato non poche difficoltà ai
rispettivi presidenti e ai loro coordinatori tecnico-pratici, ben più consapevoli del profilo
professionale che gli studenti avrebbero dovuto raggiungere al termine degli studi. Per
sapere cosa debba sapere e cosa debba saper fare il giovane laureato è necessario
SEU
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Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
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immaginarlo fin dal primo momento nelle vesti di un giovane professionista, perché le
lauree di area sanitaria pongono una ipoteca molto forte sul futuro professionale dei
loro studenti. Un dietista non farà mai l’infermiere, né l’infermiere farà il tecnico di radiologia medica, né quest’ultimo il tecnico di laboratorio; un fisioterapista non solo è geloso
delle sue prerogative e tenta di proteggerle dalle possibili incursioni di altri professionisti
nel suo campo, ma a sua volta non farà mai né il tecnico di neurofisiopatologia, né il
logopedista.
La responsabilità di chi coordina questi corsi di laurea è in gran parte impegnata proprio
su questo fronte: sono corsi di laurea che fin dalle loro basi hanno già un impianto specialistico fortemente professionalizzante. Nel contratto formativo con gli studenti l’università
si impegna a farne dei professionisti competenti, a tal punto che, contrariamente ad altri
corsi di laurea, il loro esame di laurea ha avuto fin dal primo momento carattere abilitante.
E’ quindi necessario nel trasmettere loro un certo patrimonio di conoscenze scientifiche
avere sempre presente che accanto ad un arricchimento culturale di più ampio respiro,
non si può mai perdere di vista la loro collocazione professionale. Il non farlo rende molto
difficile a questi professionisti poter sottoscrivere fin dal loro primo inserimento nel lavoro
un patto diagnostico e terapeutico efficace con i loro pazienti.
SEU
2.2. Patto formativo con lo studente e patto di fiducia con il paziente
Il patto formativo dei docenti con lo studente rimanda necessariamente al patto di
fiducia che lega un paziente ai professionisti che si prendono cura di lui, per questo la
docenza in questi corsi di laurea ha una valenza in più, una responsabilità che coinvolge
l’intero corpo docente a farsi garante del risultato finale che deve raggiungere lo studente
con un profondo lavoro collegiale6.
L’obiettivo è ancora oggi quello di rinnovare in profondità il modello formativo di ciascun corso di laurea, senza perdere di vista gli aspetti della tradizione culturale propria
di ogni profilo professionale, cercando però di individuare anche nuovi possibili ambiti
professionali. La ricerca dei nuovi modi di svolgere la propria professione deve diventare
una provocazione a cui non si sottraggono né i docenti, né i professionisti del settore,
né tanto meno gli studenti. Per questo è necessario definire in modo sempre più chiaro
lo specifico paradigma scientifico che supporta il profilo professionale in questione. La
mentalità di ricerca deve coinvolgere non solo gli aspetti tecnologici, ma anche i profili
sociali ed economici che rendono possibile l’esercizio di quella determinata professione.
In altri termini il salto di qualità previsto dalla normativa non si può limitare a cambiare
le etichette dei corsi, in modo puramente formale, è necessario che si rielabori la formazione universitaria dei corsi di laurea delle professioni sanitarie in modo sistematico. Il
Sistema Sanitario Nazionale va illustrato agli studenti da professionisti che si muovono al
suo interno con una mentalità a 360 gradi: si tratta di un sistema in cui limiti e risorse di
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6
Binetti P, Alloni R, Modi e modelli del tutorato, Magi, Roma, 2004
32
Dal Core competence al core curriculum
ogni area si intrecciano continuamente. E oggi c’è più bisogno che mai di professionisti
che sappiano stare nel proprio ambito professionale specifico con estrema sensibilità
per tutte le sue interfacce con gli altri contesti con cui entra in contatto.
C’è bisogno di studenti interessati a tutte le sollecitazioni del mondo sanitario, a cominciare dagli aspetti della prevenzione che tanto hanno a che vedere con motivazioni
di natura economica e politico-sociale. Il core curriculum deve guardare all’orizzonte
professionale in cui lo studente si inserirà, per sviluppare in lui tutti gli elementi chiave
che garantiranno una corretta ed efficace interazione con il sistema sanitario. Il nuovo
assetto formativo deve assicurare il raggiungimento di obiettivi ben selezionati, per
questo la programmazione didattica è uno dei parametri essenziali della valutazione
dei docenti. Il senso della riforma universitaria è quello di applicare alla valutazione del
lavoro didattico la stessa serietà scientifica con cui si analizzano ed interpretano i dati
della attività di ricerca, impostando una attività formativa basata su prove di evidenza
scientifica: la cosiddetta Best Evidence Medical Education.
Si tratta di un impegno che i nuovi corsi di laurea magistrale, previsti a livello di classe,
ripropongono con un livello di ulteriore complessità, perché il loro core curriculum deve
definire un profilo professionale nuovo di cui attualmente non è del tutto chiaro il modello
di professionista corrispondente, con l’ampiezza delle sue prerogative e dei suoi campi di
impegno. In parte sarà compito degli studenti che avranno ottenuto la laurea magistrale
disegnare la figura di un professionista che sappia fare da apripista a nuove modalità di
lavoro e di collaborazione con i laureati delle altre classi.
L’esperienza di questi anni permette di affermare che servono poco quei docenti totalmente concentrati sul proprio ambito disciplinare, da essere convinti che per formare
oggi uno studente che sia domani un buon professionista sia sufficiente trasmettere i
contenuti essenziali del proprio ambito disciplinare, senza chiedersi che tipo di professionista potrebbe diventare. Sono docenti che, qualunque cosa accada, insegnano sempre le
stesse cose, indipendentemente dai cambiamenti tecnico-scientifici e dalle trasformazioni
socio-economiche. Sono docenti che non sanno riconoscere ed apprezzare adeguatamente la motivazione professionale con cui gli studenti accedono ai corsi di laurea delle
professioni sanitarie. L’impronta pragmatica nelle aspirazioni degli studenti di questi nuovi
corsi pone in primo piano un quesito ricorrente: A che mi serve? L’approccio utilitaristico
rappresenta il punto di partenza di ogni loro scelta culturale, occorre partire da lì per far
scoprire allo studente il gusto per una maggiore curiosità, la libertà di coltivare interessi,
la possibilità di approfondire alcune tematiche, il vero e proprio valore aggiunto della
dimensione universitaria dei loro studi.
Studenti e docenti, almeno all’inizio, si sono trovati in una sorta di confusione magmatica, in cui era difficile venire a capo di quali fossero le cose essenziali da insegnare
e da apprendere e in che modo si dovessero valutare i risultati che progressivamente gli
studenti raggiungevano7. La normativa sull’autonomia didattica all’inizio ha aumentato i
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ROMA
7
Messick S, The interplay of evidence and consequences in the validation of performance assessment,
Educational Researcher , 1994, 23, 3: 13-23
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
33
livelli di confusione e di arbitrarietà, per la difficoltà di conciliare i nuovi orizzonti di libertà
dei docenti con gli standard formativi previsti dal profilo professionale. Il lavoro sul core
curriculum, ha contribuito a fare chiarezza, a dare ordine al lavoro didattico ordinario,
tracciando una pista che si può seguire con gradi diversi di libertà, ma da cui si possono
sempre ricavare elementi rassicuranti sulla meta da raggiungere.
Un lavoro complesso, in costante e continua revisione, realizzato in modo completo
solo da pochi corsi di laurea, che comunque lungi dal considerare compiuto il loro lavoro, lo
stanno continuamente rimaneggiando per farne uno strumento flessibile ed efficace8,
SEU
2.3. Pianificare il Core Curriculum
Se di fatto il core curriculum non è altro che l’insieme “minimo” dei contenuti (conoscenze, competenze, abilità e comportamenti) che ogni studente deve aver acquisito in
maniera adeguata al termine di un determinato Corso di Laurea, costituisce la garanzia
per cui tutti i neolaureati di uno specifico settore hanno la capacità di far fronte alle
stesse tipologie di richiesta delle aziende in cui lavorano e dei pazienti per cui lavorano9. La pianificazione del core curriculum è un ingrediente importante nel processo di
miglioramento della qualità didattica10; gli obiettivi a cui punta la definizione di un core
curriculum sono di tre ordini:
a.
Facilitare i livelli di apprendimento degli studenti attraverso una maggiore condivisione degli obiettivi e una migliore comunicazione tra i docenti impegnati in
uno stesso corso di laurea, sia a livello locale (stesso corso, stessa facoltà) che
nazionale (stesso corso, ma diversa facoltà).
Collegialità dei docenti
b.
Definire collegialmente, sul piano culturale e sul piano pratico: terminologie,
contenuti e obiettivi relativi alla attività didattica, includendo le metodologie di
insegnamento e di valutazione, per renderla più interessante ed efficace.
Chiarificazione e
classificazione dei concetti
c.
Trasmettere agli studenti la mappa delle esigenze didattiche, tradotte in obiettivi
di apprendimento, per facilitare sia l’auto-programmazione che l’auto-valutazione,
sottolineando la responsabilità personale degli adult learner.
Responsabilità
degli studenti
ROMA
Sono coinvolti a pieno titolo docenti e studenti da un lato e saperi disciplinari dall’altro,
perché non basta sapere cosa occorra insegnare, è necessario individuare correttamente
chi possa insegnarlo e non trascurare mai gli interlocutori: a chi si stia insegnando. Trascurare anche uno solo di questi parametri non può che esporre ai rischi dell’insuccesso,
perché non bastano programmi eccellenti per ottenere una buona qualità di insegnamento
e non bastano neppure docenti esperti per garantire un buon livello di apprendimento.
8
Binetti P, Valente D, Tradizione e innovazione nella formazione universitaria delle professioni sanitarie: il
core curriculum, dal core contents al core competence, SEU, Roma, 2003
9
Bowles LT, The evaluation of teaching, Medical Teacher, 2000, 22,3:221-225
10
Friedman Ben-David M, The role of assessment in expanding professional horizons, Medical Teacher,
2000, 22, 6: 472-478
34
Dal Core competence al core curriculum
Pianificare il core curriculum di un corso di laurea è impresa tutt’altro che facile e
richiede una solida consapevolezza dei motivi per cui lo si fa, con una attenta disamina
dei vantaggi che ne possono derivare, ma anche delle zone d’ombra in cui non sarà facile
penetrare. Definire su base nazionale gli obiettivi non rinunciabili di un certo corso di laurea non significa limitare le scelte e l’autonomia locale. Significa piuttosto distinguere con
chiarezza tra progetto comune a livello nazionale e progetto specifico di una determinata
facoltà, mettendo l’accento sul fatto che nel core curriculum si parla per definizione di
obiettivi minimi. Ogni facoltà può, infatti definire il proprio profilo di eccellenza, fissando
ai suoi docenti e ai suoi studenti un livello più alto di competenze da raggiungere, senza
trascurare gli obiettivi minimi previsti11.
La stessa normativa fissa un tetto agli obiettivi codificabili e quantificabili sul piano nazionale e ripartisce quelli destinati alle attività formative di base (una ventina in
media), quelli a disposizione delle attività formative caratterizzanti (una cinquantina) e
delle attività di tirocinio con un più spiccato carattere professionalizzante (mediamente
60 CFU), lasciando a ciascun consiglio di corso di laurea la libertà di spendere gli altri
CFU in modo coerente con la propria visione scientifica, conservandone una decina per
la prova finale. Restano un certo numero di CFU, su cui il core curriculum nazionale non
può porre ipoteche, perché sarebbe in contrasto con la 509/99, che non a caso si chiama
legge sulla autonomia didattica. Il core curriculum nazionale non riduce i margini di libertà,
ma aiuta a controllare il numero di crediti impegnati nelle diverse aree per verificare in
modo obiettivo, se c’è una opportuna distribuzione dei crediti e una loro coerente organizzazione in corsi integrati. La autonomia didattica prevista dalla normativa ha il suo
riscontro in una maggiore e migliore qualità dei risultati ottenuti dai corsi di laurea, che
necessitano di indicatori molto precisi per una valutazione efficace del lavoro formativo
svolto al loro interno.
Non a caso la pianificazione di un core curriculum rappresenta per vari motivi uno
sforzo rilevante, che vale la pena sintetizzare in tre punti chiave12:
A. Sul piano
culturale
SEU
ROMA
Adattare di volta in volta le conoscenze selezionate, perché ritenute particolarmente importanti in
ciascun ambito scientifico, alle effettive necessità e alle reali possibilità dello studente, privilegiando
sempre da parte loro lo sviluppo di learning skills, che consentano di continuare ad apprendere per
tutta la vita:
a) coerenza pedagogica: trasmettere e sviluppare ciò che serve per comprendere concetti nuovi,
per affrontare studi successivi o per migliorare continuamente l’esercizio della professione;
b) realismo pedagogico: concentrarsi su ciò che di fatto si può apprendere nei diversi ambiti con
i limiti previsti dalla assegnazione dei crediti, evitare la sindrome della completite che crea un
inutile forma di obesità didattica.
(segue)
11
Benor DE, Faculty development, teacher training and teacher accreditation in medical education: twenty
years from now, Medical Teacher, 2000, 22, 5: 503-511
12
White PT, Stephenson A, Supervised teaching practice: a system for teacher support and quality assurance, Medical Teacher, 2000, 22, 6:604-607
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
B. Sul piano
didattico
35
Assumere un’ottica collegiale per passare dalla specificità dei contenuti affidati al singolo docente ad
una visione d’insieme condivisa dell’intero progetto formativo. Per questo occorre prendere in modo
costruttivo decisioni che abbiano una concreta ricaduta sulla formazione globale dello studente:
a) definizione dei segmenti di tirocinio in un percorso organicamente strutturato in vista della futura
attività professionale;
b) costruzione di corsi integrati con un efficace processo di organizzazione dei contenuti in problemi
o in aree tematiche;
c) progettazione di modelli di esame, finale e in itinere, che tengano conto dell’insieme delle competenze maturate attraverso un mix di prove: scritto (DSM), pratiche (OSCE), colloquio orale,
ecc.
SEU
C. Sul piano
Affrontare la programmazione del corso in modo sistemico, definendo contestualmente:
programma- a) obiettivi e contenuti del programma;
tico
b) metodologie didattiche con cui verranno trattati;
c) crediti disponibili per ciascun obiettivo e per ciascun nodo tematico;
d) metodologie di valutazione, rapportate agli obiettivi da raggiungere in ognuno dei domini previsti:
cognitivo, relazionale e gestuale.
In altri termini un buon core curriculum è frutto di solide conoscenze scientifiche, di
adeguate conoscenze didattiche, ma soprattutto di un effettivo approccio pedagogico
che permetta di non perdere mai di vista che il fine dell’operazione è la formazione reale
dello studente e quindi va commisurata sulle sue necessità e sulle sue possibilità13.
2.4. L’importanza del setting nella pianificazione del Core Curriculum
Una buona pianificazione del core curriculum richiede che gli obiettivi didattici rispondano ai bisogni formativi degli studenti, commisurati su due parametri: da un lato lo
specifico profilo professionale da acquisire e dall’altro sul patrimonio scientifico maturato
nei diversi ambiti di ricerca. Per chiunque intende accingersi a questo lavoro i parametri
entro cui muoversi sono definiti infatti: dal profilo professionale con le sue naturali evoluzioni, dallo specifico Decreto della Classe di Laurea di appartenenza, con i sui progressivi
cambiamenti, dal contesto sociale nel quale vengono espresse le effettive esigenze dei
pazienti, e più in generale dei cittadini per meglio garantire la qualità della salute o il suo
massimo recupero possibile.
Per questo il setting su cui va calato il core curriculum ha una sua interessante articolazione in cerchi concentrici, che iniziano:
• nel contesto accademico, con le sue aule, la sua biblioteca, i laboratori, primo tra
tutti quello di simulazione, con le sue specifiche attività di communication skills,
clinical e technical skills, ecc.
• nel contesto clinico: nei laboratori di analisi e di diagnostica radiologica, nei reparti
clinici, nei day hospital e nella aree ad alta specializzazione, come la rianimazione,
i servizi di neurofisiologia, di medicina nucleare, ecc.
ROMA
13
Tomasi A, Risultati del lavoro di revisione della Commissione core curriculum, Medicina e Chirurgia,
2002, 17:610-613
36
Dal Core competence al core curriculum
• nel contesto sociale: nelle scuole, accanto ai medici di famiglia, nella assistenza
domiciliare, nei SERT, nei centri per anziani, nei servizi di prevenzione con tutta
la problematica relativa alle vaccinazioni, nei centri per immigrati, ecc….
Un merito non indifferente di un core curriculum ben strutturato è quello di fare del setting,
soprattutto di quello clinico, non solo il luogo privilegiato della formazione, ma anche un vero
e proprio laboratorio scientifico, con una intersezione culturale, che crei una atmosfera di
curiosità intellettuale vivace, aperta al confronto dialettico con tutte le altre aree di confine.
L’apprendimento attraverso l’esperienza crea un coinvolgimento molto più forte della pura
partecipazione alle lezioni e mantiene un impatto sul piano cognitivo e su quello emotivo
che ne moltiplica l’efficacia. Lo studente ha bisogno di fare, sia per vincere la naturale paura
di non essere all’altezza della situazione e quindi di poter fare del danno al paziente con la
sua goffaggine, sia per moderare quella irruenza curiosa che induce a voler provare tutto,
senza chiedersi quali conseguenze possono scaturire dalla sua inesperienza. Un setting
ben studiato permette a tutti gli studenti di fare i conti con se stessi: ansie e paure, presunzione e incoscienza, trovano un contesto naturale in cui perdere quanto rappresenta un
ostacolo all’esercizio corretto della propria professione e acquisire di conseguenza quella
maturità propria dell’esperienza. Per questo è necessario che in ogni setting lo studente
trovi la giusta presenza del docente, del tutore, a volte di un vero e proprio personal trainer,
qualcuno che guida la sua mano, che ripercorre con lui tutti i passaggi di una operazione,
che cerca di convertire in bilancio positivo anche gli eventuali, inevitabili, errori.
Docenti universitari di larga esperienza e professionisti delle diverse aree trovano
lo spazio di una collaborazione efficace se si muovono in un’ottica Problem oriented e
Problem centered. Questo è l’approccio che permette di volta in volta di superare il riduzionismo accattivante della schematizzazione facile, tipica dei testi di studio in formato
ridotto che spesso vengono proposti agli studenti dei nuovi corsi di laurea. Docente e
studente in questo modo sono impegnati a recuperare il senso della complessità di un
problema, la cui soluzione punta ad essere il più completa possibile e per questo interpella
discipline diverse ed esperienze pratiche in alternativa tra di loro. Il che significa che fare
ricerca... & documentare la ricerca fatta non è né ovvio né scontato e quasi certamente
ogni Università fa più università di quanta non riesca a documentare14.
Accanto ai parametri strutturali di cui un core curriculum deve tener conto (profilo
professionale, decreto della classe di appartenenza e attribuzione dei crediti alle diverse
attività formative), ci sono altri aspetti essenziali che ne condizionano il modello operativo
e appartengono al contesto culturale in cui ogni corso si muove15. Sono i docenti che di
fatto si prendono cura del corso e ne interpretano le esigenze declinandole sul piano
concreto, selezionando i problemi prioritari intorno ai quali organizzare le unità didattiche,
anche alla luce delle risorse disponibili. I docenti esperti riconoscono l’importanza delle
SEU
ROMA
14
Miller GE, The assessment of Clinical skills/Competence/Performance, Academic Medicine, 1990, 65,
9: 63-67
15
Vettore L, Come preparare un core curriculum, L’infermieristica basata sulle evidenze, 2, 2001
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
37
risorse immateriali, così difficilmente quantificabili, attraverso cui si esprimono i modelli
funzionali delle diverse aree di tirocinio: vanno dalla competenza e dalla disponibilità dei
tutori nei diversi servizi, al modo consolidato con cui si trattano le patologie più frequenti
dei pazienti, alla capacità di gestire gli incidenti critici, prevedendo e controllando i fattori
di rischio16.
In altri termini anche in questo tipo di lavoro occorre tener conto dei vincoli strutturali,
tangibili, come ad esempio il carattere precettivo dei decreti d’area, e dei vincoli funzionali - apparentemente immateriali - legati alle possibilità espresse dai modelli operativi
disponibili, spesso più difficili da modificare di quanto non si creda in un primo momento,
ma nello stesso tempo più flessibili ed efficaci nelle circostanze critiche.
SEU
3. Il Core Curriculum delle lauree delle professioni sanitarie: un’esperienza
condotta in seno alla Conferenza permanente
3.1. La fase preparatoria dell’esperienza
Nel 2005, partendo dal modello di core curriculum disegnato da Tomasi, Gaddi e Vettore per il corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, in seno alla Conferenza permanente dei
Corsi di Laurea per le professioni sanitarie, si è costituito con obiettivi analoghi un gruppo
di studio coordinato da Binetti e Valente17. Tracciare gli elementi essenziali dei 20 corsi di
laurea delle professioni sanitarie attraverso una mappatura dei rispettivi core curriculum
non era certamente un obiettivo facile, anche perché era indispensabile coinvolgere tutti
i corsi di laurea. Il team di lavoro ha lavorato seguendo tre grandi linee:
1. coinvolgere attraverso le giunte nazionali il più ampio numero possibile di presidenti
e vicepresidenti dei diversi corsi di laurea per sollecitare una ampia riflessione sul
razionale del proprio corso di laurea. Il lavoro inizialmente è stato condotto sotto
forma di brain storming, con incontri informali, orientati a dibattere, approfondire,
studiare i problemi e chiarire il senso e il significato del lavoro da fare;
2. fornire ai presidenti e ai vicepresidenti dei diversi corsi di laurea una griglia che
nella sua semplicità rappresentasse un modello di pianificazione didattica, attento contestualmente agli obiettivi, ai contenuti, alle metodologie didattiche e di
valutazione, e alla rilevanza professionale dei contenuti proposti, con particolare
attenzione alle skills di tipo professionalizzante;
3. attivare un circuito virtuoso di costante controllo della qualità del prodotto, facendolo
circolare in via cartacea e in via informatica, accogliendo proposte e suggerimenti
ROMA
Newble DI, et Al, Guidelines for assessing clinical competence, Teaching and Learning in Medicine,
1994, 6:213-220
17
Binetti P, Valente D, op. citata
16
38
Dal Core competence al core curriculum
con la massima apertura possibile, prima di ri-organizzarli in un tessuto unitario,
eliminando ridondanze e unificando la formulazione degli obiettivi.
Si è puntato ad uno stile di lavoro molto flessibile, aperto ai suggerimenti in itinere,
stimolante nella presentazione dei problemi, ma disponibile nel verificare anche le proposte più audaci: in parte a distanza e in parte in compresenza. Un gruppo di volontari
fortemente motivato e senza alcuna altra ricompensa che quella del proprio lavoro e del
piacere di renderlo disponibile anche ad altri colleghi.
SEU
Nel lavoro di preparazione della commissione si è cercato di individuare correttamente
gli elementi comuni di ogni classe e gli elementi specifici di ogni corso di laurea, con
l’obiettivo di mettere le basi di una solida formazione interdisciplinare e multiprofessionale. Nel lavoro in comune, soprattutto tra i docenti delle discipline professionalizzanti,
è emerso il timore che una formazione condivisa non permettesse ai giovani di comprendere a pieno la propria identità professionale specifica. Quanto maggiori sono le
affinità e quanto più necessario è il rapporto di collaborazione, tanto più difficile appariva
in alcuni momenti mettere bene a fuoco la specificità del proprio lavoro. Ogni corso di
laurea deve poter mantenere un equilibrio tra le capacità di rafforzare il proprio profilo
professionale ed il poter far sorgere sinergie con gli altri profili, garantendo nello stesso
tempo identità e relazionalità.
In questi dibattiti è emersa vistosamente la vera e propria rivoluzione a cui è andata
incontro la Facoltà di Medicina negli ultimi dieci anni. Non soltanto per l’aumento dei corsi
di laurea che ne caratterizzano la complessità, ma anche per il rapido succedersi dei
diversi ordinamenti che si sono accavallati, spesso senza lasciare il tempo di analizzare
e valutare i risultati ottenuti. È profondamente mutata al suo interno l’utenza degli studenti
che si è andata fortemente diversificando. Le esigenze e i diritti di tutti vanno armonizzati con quelli dei colleghi degli altri corsi, con cui sono chiamati a condividere risorse
materiali e tecnologiche, ma soprattutto le risorse umane: i docenti e i pazienti, e quel
complesso mix di strategie didattiche rappresentato dai modelli organizzativo-gestionali
delle aziende in cui lavorano e si formano18.
La fase previa dell’esperienza ha richiesto la elaborazione di un medesimo linguaggio, la condivisione delle basi culturali, la definizione di un approccio sicuro nel lavoro in
equipe e soprattutto ha permesso di imparare a rispettare i colleghi di altri corsi paralleli.
Solo allora è stato possibile usare una griglia di riferimento comune, che consentisse di
dialogare con uno stesso strumento e con uno stesso linguaggio.
In definitiva si è creata una piccola comunità di appassionati di didattica medica, che si
sono dati obiettivi comuni, un linguaggio facilmente comprensibile da tutti e una mentalità
di ricerca, che trasformava le tensioni e le possibili conflittualità in specifici interrogativi
scientifici e metodologici.
ROMA
18
Van der Vleuten CPM, et al, Clerkship assessment assessed, Medical Teacher, 2000, 22, 6: 592-600
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
39
3.2. La scelta della griglia come schema concreto per la confezione del Core
Curriculum
Quando si sceglie una griglia confezionata da altri esperti, per quanto competenti, è
facile cadere nella tentazione di voler migliorare lo strumento prima ancora di aver imparato
ad utilizzarlo. Ad ogni difficoltà che sorge inevitabilmente, si preferisce aggirare l’ostacolo
cambiando, sia pur lievemente di direzione, piuttosto che entrare in uno di quei dialoghi
da cui si teme di uscire sottomessi, ma non convinti. Però nel nostro caso il desiderio
di attivare un dialogo interdisciplinare ed interprofessionale ha fatto da obiettivo cardine
dell’intero progetto. La visione d’insieme nel trattamento dei dati ha sempre prevalso sulla
visione analitica, che avrebbe forse comportato un maggiore margine di attenzione ai
dettagli, ma anche una minore capacità di gestione complessiva.
La griglia riflette un modello didattico, forte ed integrato, spiccatamente pragmatico,
costruito con un’ottica di tipo cognitivistico, che lascia poco spazio ad altri modelli pedagogici orientati in senso più motivazionale. La teoria che sottende il modello, e che di
fatto non è mai esplicitata, sembra costruita secondo il criterio if… then…., se fai in un
certo modo, allora necessariamente otterrai che… L’esperienza di chi insegna da molti
anni sa che le cose non stanno precisamente in questo modo e che le variabili in un
processo formativo sono molte e non basta la definizione dei parametri per assicurare
l’acquisizione dei risultati19. Si è comunque utilizzata la medesima griglia per l’organizzazione dei dati, avendo cura di trattare contestualmente tutti i descrittori precedentemente
selezionati per il modello scelto. Per ognuno dei concetti essenziali presi in esame si è
tenuto conto: dell’ambito disciplinare di appartenenza, della sua definizione, precisa e
puntuale sotto il profilo scientifico (il tema o problema), metodologico (obiettivi, livelli di
complessità, tempi necessari per un buon livello di apprendimento, ecc.), didattico (dalle
tecniche di insegnamento alle modalità d’esame) e professionale (pertinenza specifica
per il raggiungimento del profilo professionale preso in considerazione).
Il merito principale della griglia è quello di aver messo la maggior parte dei docenti
universitari, esperti nel proprio ambito scientifico, ma non altrettanto nella didattica e nei
processi di apprendimento, in condizione di riflettere sulla valenza sistemica dei processi
di insegnamento e sulla necessità di non accontentarsi di definire il proprio programma.
Molti degli insuccessi a cui l’Università va incontro dipendono anche dalla insufficiente
consapevolezza della complessità dei processi di programmazione e di pianificazione dei
corsi. Soprattutto dall’ingenuità di credere che si possa ottenere un Piano di formazione
organico sommando le singole parti programmate da docenti che non si confrontano, che
non verificano le premesse e che non si accordano sui modi e i tempi della valutazione.
Da questa indeterminatezza iniziale non può nascere un progetto organico e ben lo spe-
SEU
ROMA
19
Messick S, The interplay of evidence and consequences in the validation of performance assessments,
Educational Researcher, 1994, 23, 3:13-23
40
Dal Core competence al core curriculum
rimentano gli studenti per i quali il disorientamento universitario rappresenta un ostacolo
non indifferente con cui fare i conti di giorno in giorno, di semestre in semestre20.
Finché i docenti universitari non riconosceranno alla didattica la stessa valenza altamente professionale che riconoscono alla ricerca e alla loro attività clinica, diagnostica
o terapeutica che sia, non sarà possibile attivare un processo di rinnovamento efficace
nei nostri Atenei. Non basta sapere una cosa per saperla insegnare e non basta sapere
insegnare una cosa per formare uno studente. Occorre riconoscere che i piani formativi,
in tutti gli ordini di scuola: dalle elementari all’università, hanno efficacia solo se sono
coerentemente integrati tra di loro, senza buchi neri, che disorientano lo studente e lo
sollecitano ad improvvisare soluzioni di emergenza. È necessario che si intreccino e
rinforzino reciprocante la loro valenza formativa specifica, fino a costituire una sorta di
filo di Arianna che permette allo studente di non smarrirsi nel labirinto delle proposte
didattiche, frammentate e contraddittorie in cui è immerso.
La griglia è un modello in cui i diversi obiettivi, contenuti, modi didattici e di valutazione, descrivono degli spazi all’interno dei quali ci si può muovere senza smarrirsi, con la
consapevolezza che il percorso tracciato, ancorché discutibile e certamente migliorabile,
offre una garanzia strutturata che permette di raggiungere l’obiettivo finale: la formazione
iniziale di un buon professionista dell’area della salute.
SEU
3.3. Le Unità Didattiche Elementari (UDE)
Il punto centrale del sistema proposto dal core curriculum sono le Unità Didattiche
Elementari (UDE), costituite da uno o più obiettivi didattici integrati o complementari. Si
parla di unità didattiche perché a ciascuna corrisponde un concetto semplice, anche
se rispettando la dovuta propedeuticità, attraverso di loro è possibile risalire a concetti
sempre più complessi ed articolati. Uno degli errori ricorrenti in cui si sono imbattuti molti
dei docenti che hanno partecipato alla definizione del core curriculum è stato quello di
identificare le UDE con i capitoli del libro di testo o con i titoli delle lezioni.
Una unità didattica elementare corrisponde spesso ad un concetto forte, ossia allo
strumento cognitivo indispensabile per affrontare una serie di problemi diversi tra di loro
e pertanto riconoscibile in aree culturali altrettanto diverse. Il Paradigma del Nursing offre
in questo caso una tetralogia di concetti chiave, irriducibili l’uno all’altro e pur tuttavia
tutti ugualmente necessari per comprendere cosa sia il nursing e come sia strutturato
il paradigma che definisce il sapere infermieristico. I quattro concetti chiave sono: la
persona, l’ambiente, la salute e la relazione di cura. A seconda di come si definisca il
concetto di persona si comprenderà la rilevanza applicativa della affermazione condivisa
dai più che immagina ogni percorso terapeutico orientato alla centralità della persona.
Ma anche il concetto di ambiente, inteso come il contesto in cui una persona vive, fatto di
ROMA
20
Szenas P, The role of faculty observation in assessing students’ clinical skills, Contemporary Issues in
Medical Education, 1997, 1, 1:1-2
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
41
oggetti e di relazioni con altre persone, di idee e di affetti, di valori e di leggi, è un potente
organizzatore dei processi decisionali. Oggi siamo tutti alla ricerca di una ecologia della
mente, del cuore, ma anche della nostra fisicità che reclama una pulcritudine degli spazi
e delle procedure essenziale per avere salute e benessere. Ed ecco che il concetto di
salute, una volta definito adeguatamente, orienterà anche la valutazione dello stato di
malattia: non è sempre semplice capire cosa sia una malattia, come si produca e come
vada curata… Ma certamente non basta definire il concetto di causalità in medicina per
comprendere fino in fondo cosa significhi la relazione di cura, come si possa curare
solo un uomo, nella sua integrità e nella sua unitarietà. Tutto ciò riconduce necessariamente al concetto di persona e permette di chiudere il cerchio di alcune unità didattiche
elementari, ciascuna delle quali fa da pietra angolare al sistema del Nursing e al suo
paradigma, ma nello stesso tempo offre per analogia implicazioni ed analogie utili a tutti
i core curriculum degli altri corsi di laurea.
Utilizzando come modello la tassonomia di Bloom, è possibile distinguere gli obiettivi nelle tre sfere di competenza: cognitiva (C=conoscere), relazionale (E=essere) e
gestuale (F=fare). È chiaro che in molti casi si tratta di distinzioni logiche, perché sul
piano operativo può essere perfino improbabile riuscire a distinguere nell’ambito di una
competenza pratica quanto giochino le conoscenze specifiche dello studente e quanto
pesi il relativo addestramento specifico. Ad esempio tra le clinical skills non è semplice
distinguere quanto la soluzione di un problema dipenda dalla capacità di analisi e quanto
invece dalla capacità di riconoscere il problema in cui ci si è imbattuti altre volte. Eppure
si tratta di livelli tassonomici diversi, che nel tempo riveleranno la diversa competenza
clinica del soggetto e la sua capacità di misurarsi con problemi nuovi, cercando soluzioni
adeguate.
Il riconoscere in un problema nuovo la stessa struttura concettuale di un problema già
affrontato fa prevalentemente riferimento alla memoria, alla attenzione, al ragionamento
di tipo analogico, ad una sorta di intelligenza digitale che semplifica i problemi riconducendoli alla alternativa: se… allora. In questo caso l’esperienza aiuta moltissimo, perché
il reiterarsi di situazioni omogenee crea dei percorsi facilitati nella nostra mente e tra i
nostri neuroni che offrono la soluzione del problema in modo agile e rapido.
Ma a volte la realtà ci presenta un problema nuovo, non riconducibile alle esperienze
già fatte, non incasellabile negli schemi precostituiti di cui la nostra mente si è dotata per
muoversi più rapidamente e più sicuramente. Allora l’insistenza nel rafforzare analogie
improbabili, l’ostinazione ad escludere i dati che non sono riconducibili allo schema
individuato, una sorta di pregiudizio che contrasta anche i dati di realtà, tutto ciò non
consente alcuna soluzione del problema. La nostra mente ha bisogno di andare oltre
la memoria: l’apprendimento di tipo mnemonico o conservativo sono insufficienti e perfino controproducenti. È necessario impegnare la propria creatività per tracciare nuovi
percorsi di analisi con nuovi punti di riferimento: prima ancora di analizzare il problema
occorre fare un passo indietro per chiedersi come, con quali criteri, con quali indicatori
analizzo questo problema. La prima ricerca riguarda proprio il processo di analisi da
SEU
ROMA
42
Dal Core competence al core curriculum
mettere a punto, solo successivamente si potrà analizzare il problema con criteri nuovi,
più adatti. Beniamino Bloom fissa dei livelli tassonomici ben distinti tra questi due tipi di
apprendimento che consentono la soluzione di problemi diversi in modo diverso21. Solo
il secondo permette di essere davvero innovativi, non convenzionali, aiuta a muoversi
fuori dagli schemi per procedere con maggiore speditezza verso la soluzione.
In base al principio del realismo pedagogico, per ciascun obiettivo la griglia fissa il
livello di profondità con cui lo studente deve assimilarlo e il livello di competenza con
cui deve maneggiarlo. Sono livelli tassonomicamente diversi tra di loro, efficaci solo se
applicati ai problemi specifici. L’arco di possibilità è definito da una finestra molto stretta,
che oscilla tra 0 e 2 (cfr Tab. 1).
SEU
Tabella 1. I Livelli di competenza
A)
La conoscenza teorica dell’argomento (con): generale (1) o approfondita (2)
B)
La competenza (com) che lo studente deve acquisire: capacità di risolvere il problema solo mnemonica (0),
indirettamente (1), direttamente (2)
C)
L’abilità (abi) cognitiva, relazionale o gestuale: aver visto fare (1), saper fare (2)
Nell’ambito di tale score, prendere in considerazione le competenze e conoscenze
essenziali, mirando al ricordo del contenuto equivale ad un livello di competenze uguale
a zero: il com= 0. Se invece deve acquisire la capacità di analizzare, interpretare, valutare i problemi la competenza da acquisire dovrà essere uguale a 1, perché si tratta di
un’abilità metodologicamente rilevante anche in funzione di successivi apprendimenti
(problem solving). Se poi si tratta di una competenza personale che conferisce autonomia decisionale in quell’ambito il livello di competenza sarà pari a 2, e lo studente dovrà
esercitare quella abilità fino al punto di diventare capace di risolvere autonomamente
quel tipo di problemi.
Evidentemente a seconda della competenza o dell’abilità richiesta da ogni UDE è
necessario prevedere il tempo necessario per raggiungere il livello di competenza proposto. È su questa base che vanno assegnati i Crediti formativi disponibili, includendo
l’attività didattica a carico del docente nelle sue diverse forme e il tempo di lavoro e
studio personale dello studente. Dalla rilevanza dell’obiettivo selezionato, dalla competenza che lo studente deve raggiungere per la sua acquisizione e dal numero di crediti
assegnati, dipenderanno anche le prove di valutazione programmate22. La griglia aiuta
a calcolare i parametri temporali mantenendo sempre sotto stretto controllo il tempo
del docente nella sua funzione didattica formale ed informale, ma riservando la sua
attenzione privilegiata al tempo di apprendimento dello studente. È lui il filo conduttore
ROMA
Bloom B, La tassonomia degli obiettivi educativi, Giunti & Lisciani editori, Firenze, 1986
Simons PRJ, Transfer of learning: paradoxes for learners, International Journal of Educational Research,
1999, 31, 7: 577-581
21
22
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
43
del core curriculum, perché è lui che alla fine del processo formativo previsto dall’intero
corso di laurea dovrà dire se si sente preparato a misurarsi con le sfide professionali ed
è sempre lui che a laurea ottenuta sarà valutato sul campo dai colleghi e dai suoi coordinatori. Il tempo avrà la sua misura di valore effettivo solo se lo studente sarà diventato
un professionista competente e responsabile. Altrimenti ci vorranno altri crediti formativi:
tanti quanti ne servono, perché 180 CFU per una laurea triennale sono solo una convenzione mediamente rispettabile e la griglia offre un percorso per facilitare al maggior
numero possibile di studenti questo risultato, sempre che loro lo vogliano e in questo si
impegnino personalmente. Nessuna grigia sostituisce la motivazione e la passione degli
studenti, né il loro senso di responsabilità.
SEU
4. Ruolo delle scienze professionalizzanti nella confezione del Core Curriculum
Nella confezione del core curriculum la cultura legata all’esercizio professionale è
cruciale nei tre momenti più qualificanti della progettazione didattica: la scelta dei contenuti
che permettono di raggiungere gli obiettivi programmati, l’organizzazione delle attività di
tirocinio, la valutazione obiettiva dei risultati. Decidere cosa insegnare, come insegnarlo
e come valutarlo è il banco di prova di ogni docente, sia per quanto deve fare lui in prima
persona, sia per quanto deve sapersi armonizzare collegialmente con gli altri. Nei corsi
di laurea delle professioni sanitarie si intrecciano due prospettive complementari anche
se diverse tra di loro. Quella dei professionisti con lo stesso profilo professionale dello
studente da formare: infermieri per gli infermieri, fisioterapisti per fisioterapisti, tecnici
di radiologia medica per i tecnici, e quella rispettiva dei medici con profilo professionale
affine: ginecologi ed ostetriche, fisiatri e fisioterapisti, radiologi e tecnici di radiologia. I
profili professionali vanno coordinati nel miglior modo possibile perché ognuno ottenga
dalla sua professioni le migliori soddisfazioni sul piano personale e offra la migliore
qualità sul piano professionale, senza inutili tensioni e conflittualità e senza dispute di
leadership incomprensibili per i malati. La crescita e lo sviluppo delle rispettive scienze
professionalizzanti deve diventare una risorsa condivisa che consente di ottenere risultati
più brillanti per tutti, anche sul piano della produzione scientifica, oltre che su quello dei
modelli organizzativi di servizio.
ROMA
4.1. Gli outcomes come indicatori di qualità nella valutazione della formazione
Il punto di partenza di ogni core curriculum sono le scienze professionalizzanti e il
primo obiettivo di ogni corso di laurea è definire correttamente quali siano le scienze di
base necessarie per rendere la preparazione professionale degli studenti matura e consapevole. I rischi da evitare, come sempre, sono quelli di una formazione professionale
prevalentemente centrata sul saper fare e quelli di una formazione culturale attenta solo
44
Dal Core competence al core curriculum
al sapere accademicamente inteso. In un buon core curriculum al centro dell’attenzione ci
sono i problemi prioritari di salute che si incontrano nella professione e da ogni problema
vanno ricavate le conoscenze indispensabili per inquadrarlo e per risolverlo. Il fatto che
siano le scienze di base a doversi adattare alle esigenze delle scienze professionalizzanti e
non viceversa, a molti docenti sembra ancora un concetto provocatorio, che ancora stenta
ad affermarsi nella sostanza dei fatti. Nella formazione professionalizzante agli obiettivi
individuati e ai contenuti proposti dalle tabelle ministeriali che definiscono l’ordinamento
tipo di ogni classe di laurea, devono corrispondere degli outcomes altrettanto ben identificati, comunicati e condivisi. Se ad ogni obiettivo non corrisponde la descrizione di un
comportamento concreto, che confermi o meno il suo raggiungimento, anche la migliore
programmazione per obiettivi corre il rischio di rimanere del tutto inefficace.
L’interrogativo costante con cui si confrontano continuamente docenti e studenti è
molto concreto: “Come fa il docente o lo studente a capire se ha raggiunto o meno questo
obiettivo, se conosce o meno questo tema, se sa risolvere o meno questo problema…”. In
base a quali comportamenti si può dimostrare che uno studente ha raggiunto determinate
competenze e quindi in base a quali criteri è possibile valutarlo e fargli comprendere il
senso della valutazione ricevuta23.
Nel modello formativo ipotizzato nella griglia la descrizione degli outcomes rappresenta una strada efficace per innescare i fenomeni innovativi di cui si sente l’esigenza24.
Costituiscono una piattaforma in cui si iscrivono i risultati che si ottengono realmente e
non solo i risultati attesi e programmati. Una volta che gli outcomes sono stati identificati
e strutturati, essendo basati su comportamenti esterni e osservabili, sono misurabili e
valutabili25. Si può di fatto parlare di Outcome-based Education per descrivere l’oggettività dei risultati effettivamente ottenuti e su questi tentare di confrontare le esperienze,
valutarle e poi decidere in che misura possano essere riprodotte in altre circostanze ed
in altri contesti.
A titolo di esempio si può dire che gli outcomes possono essere valutati in tre modi
diversi:
SEU
ROMA
a) Attraverso una griglia di osservazione usata dal tutore clinico che è presente nel
momento in cui lo studente effettivamente esegue alcun compiti, prende delle decisioni,
si relaziona con un paziente, gestisce alcune situazioni a complessità crescente. Molte
facoltà hanno preparato dei libretti corredati da check list in cui per ogni attività svolta
dallo studente è previsto un indice di valutazione. Il libretto può essere compilato insieme
dallo studente e dal tutore, in modo da registrare anche la valutazione soggettiva dello
23
Szenas P, The role of faculty observation in assessing students’ clinical skills, Contemporary Issues in
Medical Education, 1997, 1, 1:1-2
24
Binetti P, Alla ricerca della Best Evidence Medical Education, Medicina e Chirurgia, 2000, 14: 487-493
25
Harden RM, Crosby JR, Davis MH, Friedman M, AMEE Guide No. 14: Outcome-based Education: Part
5. From competency to metacompetency: a model for the specification of learning outcomes, Medical Teacher,
1999, 21, 6: 546-552
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
45
studente stesso, il suo grado di sicurezza, i suoi pre-giudizi, e le sue pre-visioni rispetto
alla possibilità di raggiungere uno standard di autonomia soddisfacente nel fare una determinata cosa. In ogni caso si tratta di una valutazione di tipo formativo, che NON incide
nella valutazione finale, ma che aiuta con discrezione un monitoraggio consapevole del
percorso di apprendimento dello studente. Si colloca nello spirito del contratto formativo
che studente e tutore stipulano tra di loro.
SEU
b) Attraverso un esame a stazioni, come l’OSCE (Objective structured clinical examination) in cui al termine del corso di studi una serie di microcommissioni fortemente
integrate tra di loro, valutano competenza per competenza cosa lo studente sa fare e fino
a che punto si rende conto del come e del perché fa una certa cosa. L’OSCE si avvale
di griglie di osservazione analitica molto precise, coinvolge docenti e tutori per offrire
loro una valutazione di tipo comparativo tra gli studenti: il più oggettiva possibile tutti
debbono passare per le stesse stazioni e mostrare di saper fare le stesse cose, e offre
ai docenti un feed back complessivo molto efficace, per verificare quali e quante sono le
competenze effettivamente acquisite a livello di classe di studenti.
In questo caso si tratta di una valutazione di tipo certificativo.
c) Attraverso una valutazione a distanza sia delle competenze che gli studenti ritenevano di aver acquisito con una certa autonomia e sicurezza sia di quelle competenze che
i docenti avevano certificato come realmente possedute dagli studenti. A distanza di sei
mesi, un anno o più, dopo un primo impatto dei giovani professionisti con il mondo del
lavoro la nuova valutazione coinvolge sul piano soggettivo gli stessi professionisti, invitandoli ad autovalutarsi per testimoniare se la formazione a suo tempo ricevuta consente
una effettiva spendibilità professionale. E pone domande sostanzialmente analoghe ai
coordinatori dei servizi in cui stanno lavorando perché, sempre sulla base di una griglia
predisposta, dicano cosa effettivamente questi neo-laureati sanno fare, quale livello di
affidabilità offrono anche sotto il profilo della responsabilizzazione, e in che misura sono
aperti a nuove forme di apprendimento: tecnico, relazionale, organizzativo, ecc., che
facilitino un pieno inserimento nelle strutture professionali.
Puntare sulle scienze professionalizzanti nei curriculum di studio significa assumere il punto di vista della professione come elemento cruciale della valutazione. Nello
stesso tempo significa avere ben chiaro che le prestazioni in un contesto protetto qual
è il tirocinio possono differire dalle prestazioni successivamente offerte in un contesto
professionale reale. Capire perché studenti che sono apparsi appena sufficienti, a volte
perfino scarsamente motivati, possano invece rivelarsi professionisti affidabili e in breve
tempo competenti e collaborativi, mentre studenti più brillanti si rivelano goffi ed impacciati, a volte arroganti e presuntuosi può essere molto utile ai fini di una progettazione
didattica sempre più efficace e costruttiva. A questo serve assumere gli outcomes come
indicatori di qualità della formazione offerta e recepita.
ROMA
46
Dal Core competence al core curriculum
Ma gli outcomes occupano un posto privilegiato nella prospettiva di una formazione
personalizzata che abbia come obiettivo di fondo la ricerca dell’eccellenza, a cui ogni
studente deve puntare. Per questo la dimensione tutoriale aiuta a valutare il singolo
studente anche alla luce del Personal and Professional Development (PPD), vero e proprio contratto formativo che tutore e studente stipulano tra di loro, in modo più o meno
esplicito. Nel PPD lo sviluppo professionale si identifica con la capacità di realizzare
compiti che presentano livelli di difficoltà crescenti. Attraverso un buon PPD lo studente
impara a riflettere sui propri processi cognitivi e sui suoi processi decisionali. Impara a
capire come strutturare un apprendimento sempre più autonomo e significativo: quello
che in definitiva sarà il proprio stile di pensiero e il proprio stile di vita26. Il tutore cerca di
far comprendere in che modo le conoscenze, progressivamente assimilate, migliorano
la capacità di regolare i processi cognitivi, le dinamiche motivazionali, gli stati d’animo,
ecc. La formazione intellettuale e la formazione emotiva possono e debbono intrecciarsi
saldamente, perché la complessità intrinseca di un processo decisionale aumenta quando
il coinvolgimento emozionale, legato al problema, non consente facilmente di esplorare le
diverse alternative possibili. Tra gli outcomes più importanti da prendere in considerazione
per stabilire una sorta di ponte ideale tra le prestazioni dello studente e quelle del professionista c’è proprio la capacità di prendere decisioni efficaci in un contesto di incertezza.
Si può perdere la capacità di prevedere con chiarezza le conseguenze delle decisioni che
si stanno per prendere, si finisce col subire la pressione che l’ambiente esercita, entrando
in rotta di collisione con la propria professionalità che ne risulta mortificata.
SEU
4.2. La valorizzazione degli ambiti culturali a carattere professionalizzante:
MED/45 – MED/50 nella confezione del Core Curriculum
Un aspetto di cui anche il legislatore ha tenuto conto nella elaborazione dei modelli
ministeriali di core curriculum è quello della valorizzazione delle competenze culturali e
didattiche specifiche per ogni corso di laurea. Tutte le volte che è possibile, i contenuti
selezionati vanno attribuiti all’ambito scientifico-disciplinare specifico della classe in
esame (MED/45- MED/50) per tre importanti ragioni:
ROMA
rafforzare la struttura scientifico-culturale che definisce il profilo professionale in
questione (approfondire la dimensione scientifica del Nursing, ma anche delle
Scienze della alimentazione, della riabilitazione, ecc.);
evitare la medicalizzazione dei percorsi formativi, con la relativa tentazione di
considerare i programmi di studio di questi corsi di laurea delle miniaturizzazioni
di quelli del Corso di Laurea in Medicina;
rafforzare nei docenti di questi ambiti scientifico-disciplinari MED/45-MED/50 la
responsabilità di raggiungere nel tempo più breve possibile una competenza acca-
26
Viglietti M, La presa di decisione, Orientamento scolastico e professionale, XXXVIII, 1-2:27-40, 1998
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
47
demico-culturale di livello universitario, pari a quella degli altri docenti strutturati,
in modo da abbattere qualsiasi tipo di steccato tra le docenze professionalizzanti
e le “altre”.
Probabilmente nei prossimi anni accadrà ancora che corsi a carattere prevalentemente
professionalizzante siano tenuti da Medici, Biologi, Psicologi, ecc… perché il Consiglio
di Facoltà non trova sufficienti docenti dei SSD MED/45-MED/50, con un adeguato
curriculum accademico. Ma questo va considerato una anomalia, da superare con un
piano strategico che metta molti professionisti con compiti di docenza in condizione di
accedere ai rispettivi concorsi, proprio grazie alla loro produzione scientifica nei rispettivi
settori. Il Core Curriculum di ogni corso di laurea raggiungerà la sua forma compiuta solo
quando sarà progettato stando all’interno della professione, partendo dai problemi che
realmente costituiscono il Core problem di ogni profilo professionale. Il divario tra scienze
di base e scienze professionalizzanti perderà molto del suo aspetto polemico quando gli
insegnamenti professionalizzanti saranno affidati a docenti universitari provenienti dalle
file della professione. La diversità delle conoscenze e delle competenze deve esprimere
la ricchezza e la complessità del mondo scientifico, ma non il diverso livello dei docenti
che se ne fanno carico. Per questo però è necessario che nei diversi CCL non ci siano
docenti di serie A o docenti di serie B.
Attualmente la situazione dei docenti strutturati nei Settori scientifico disciplinari
MED/45-MED/50 è quella illustrata dalla tabella, tenendo conto che sono stati inclusi sia gli
ordinari che gli straordinari, gli associati confermati e non confermati, i ricercatori tutti:
SEU
Settori scientifico disciplinari
O, A, R
MED/45, Scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche
30
MED/46, Scienze tecniche di medicina e di laboratorio
86
MED/47, Scienze infermieristiche ostetrico-ginecologiche
10
MED/48, Scienze infermieristiche e tecniche neuropsichiatriche e riabilitative
11
MED/49, Scienze tecniche dietetiche applicate
40
ROMA
MED/50, Scienze tecniche mediche applicate
78
Totale
255
Fonte: Ministero dell’Università e della Ricerca
Si tratta di 255 docenti inquadrati nei SSD considerati come professionalizzanti: non
sono pochi, tenendo conto che almeno una cinquantina sono ordinari o straordinari, ossia
hanno raggiunto il massimo livello della carriera accademica. Il punto chiave però è che
in molti di questi SSD, soprattutto nei MED/46, 49 e 50 si tratta soprattutto di docenti di
provenienza medica o biologica. Ossia di docenti con un curriculum scientifico degno del
massimo rispetto, non a caso vincitori di regolari concorsi, ma con provenienze diverse
rispetto al profilo professionale che si intende formare. E questo spiega anche perché
sono così numerosi i docenti incardinati proprio in questi settori. Nel caso specifico del
48
Dal Core competence al core curriculum
MED/50, i docenti provenienti dal mondo degli odontoiatri, i classici dentisti, costituiscono
di gran lunga la maggioranza.
Per quanto riguarda il corso di laurea in tecniche di radiologia medica per immagini
e radioterapia, tra i docenti incardinati nel MED/50 per esempio ci sono: un docente ordinario, uno straordinario e due associati di Scienze radiologiche, più uno straordinario
e un associato di Biopatologia e Diagnostica per immagini. Tutti provenienti dall’area
degli specialisti in Radiologia e in Radioterapia. Evidentemente tra i docenti a contratto
provenienti dagli ambiti professionali specifici dei tecnici di radiologia medica ancora
nessuno ha un curriculum scientifico che lo metta in condizione di partecipare e di vincere a pieno titolo un concorso universitario. Eppure questa è una delle sfide in cui le
facoltà di Medicina debbono mostrare la propria capacità di formazione all’eccellenza: a
cominciare dall’eccellenza raggiunta dai suoi docenti. La prima eccellenza da mostrare
nei fatti è quella che si apprezza dal curriculum scientifico dei professionisti esperti delle
varie professioni sanitarie, quando hanno saputo integrare in poco più di dieci anni la
competenza professionale con la competenza didattica e scientifica.
Formare questi professionisti alla attività di ricerca è la scommessa che debbono
vincere le facoltà, senza temere che possano sorgere possibili margini di competitività
e di conflittualità. Se infermieri, tecnici, fisioterapisti, ecc… docenti a contratto investiti
della massima responsabilità formativa nei confronti dei colleghi più giovani, non hanno
imparato nell’arco di questi 10-15 anni di attività universitaria a fare ricerca, non potranno
certamente dirigere le tesi dei loro colleghi più giovani né a livello di laurea triennale, né
tanto meno al livello della laurea magistrale.
Le lauree hanno come esigenza intrinseca quella di mettere i propri docenti, soprattutto
quelli degli ambiti culturali fortemente professionalizzanti, in condizione di elaborare la
propria esperienza professionale, spesso di primissimo piano, in un sapere esperto frutto
di una elaborazione rigorosa sia sotto il profilo scientifico che metodologico. L’attribuzione
di compiti docenti e quindi l’identificazione del Chi insegna Cosa va supportata da una
importante operazione di ricerca innovativa, nei campi di loro competenza, per consentire
una solida elaborazione culturale, e una adeguata produzione di testi. È necessario che
nascano Società scientifiche per i diversi ambiti che ancora ne sono sprovvisti e conviene
che quelle già presenti ed operative rafforzino la consapevolezza della scientificità del
loro sapere e mettano in evidenza la loro peculiare epistemologia.
Le domande chiave a cui rispondere sono sempre di natura complessa, anche quando
toccano problemi molto concreti che sembrano appartenere alla nostra quotidianità. Ad
esempio non è così ovvio dire cosa contraddistingue in termini di contenuti, di metodologie,
di risultati attesi, le scienze radiologiche ri-comprese nel settore Scienze tecniche mediche
applicate –Med/50. I quattro termini: Scienze (1) tecniche (2) mediche (3) applicate (4),
meriterebbero un approfondimento sia per analizzarli uno ad uno, sia per analizzarli nel
loro insieme, immaginando poi che all’interno della dizione Scienze tecniche mediche
applicate, c’è veramente di tutto: dalle scienze fisiologiche alla fisiopatologia clinica, dalla
medicina pubblica alle scienze mediche preventive, dalle scienze odontostomatologiche
alle scienze maxillo-facciali, dalle scienze chirurgiche alle scienze anestesiologiche,
SEU
ROMA
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
49
dalla emergenza ed urgenza alle scienze dell’invecchiamento, dalle scienze chirurgiche
alle scienze radiologiche, dalle scienze medico-forensi alle neuroscienze e tecnologie
biomediche. Tutto in un unico SSD, che nella sua genericità però non consente agevolmente l’accesso dei professionisti di area sanitaria, in questo caso concreto i tecnici di
radiologia medica, al concorso accademico.
SEU
Eppure per fare un buon lavoro sul core curriculum di un determinato corso di laurea
occorre sapere cosa insegnare, come e perché, chi deve insegnare e come si deve valutare il suo lavoro, quello degli allievi e l’impianto complessivo del corso. E solo un forte
sviluppo della scienza delle tecniche radiologiche, ad esempio, potrà aiutare a scremare
tra conoscenze essenziali e conoscenze di supporto, tra scienze di base funzionali al
progetto didattico in quanto funzionali all’esercizio della professione, e ogni altro tipo di
conoscenza utile ed interessante, ma non altrettanto essenziale. Occorre implementare
l’attività scientifica in questo ambito, per ottenere quegli elementi fondamentali a supporto di una Educazione evidence based. Serve, ad esempio, una riflessione culturale
complessiva delle scienze radiologiche per definire il frame in cui collocare tutte le altre
conoscenze presenti nel piano di studio del Tecnico di radiologia medica, per immagini
e radioterapia, per giungere a quella visione d’insieme che questi professionisti possano
giudicare efficace per il loro lavoro anche a distanza di tempo.
Il lavoro sui Core curriculum è solo all’inizio e necessita di una ampia e continua
revisione. Ci vogliono diversi anni di sperimentazione attenta e controllata per poter
raggiungere risultati accettabili, perché solo l’esperienza potrà dire se le scelte fatte
sono tali da garantire:
• un miglior risultato sul piano didattico: più laureati nei tempi previsti dall’ordinamento, con una buona media e un discreto livello di soddisfazione personale per
la scelta professionale fatta;
• un miglior risultato sul piano scientifico: docenti che hanno delle esplicite linee di
ricerca, che pubblicano i loro lavori, coinvolgendo colleghi più giovani e colleghi
più esperti, con il contributo specifico degli studenti con le loro tesi;
• ma anche - e soprattutto - un miglior risultato sul piano professionale, testimoniato: dai giudizi dei diversi dirigenti, dei pazienti e dei loro familiari, ma anche dalla
autovalutazione dei neoprofessionisti.
ROMA
Non bisogna dimenticare infatti che queste sono lauree abilitanti, il che certifica che il
neolaureato deve essere in grado di assumersi la piena responsabilità dei suoi atti, non
appena entra in servizio.27 La responsabilità etica di confezionare un buon core curriculum
sta anche in questo: predisporre un sistema di attenzione al paziente, con una adeguata
relazione di cura, che risulti soddisfacente anche per quanti dovessero imbattersi in un
professionista alle prime armi.
27
Norman G, Reflections on BEME, Medical Teacher, 2000, 22, 2: 141-145
50
Dal Core competence al core curriculum
4.3. Il Core Curriculum come Working Progress
Fin dalle prime esperienze nella confezione dei core curriculum è stato attivato un
processo di riflessione critica, tendente a verificare e a valutare le modalità di lavoro
seguite nella sua elaborazione, per una migliore realizzazione dell’intero piano di formazione di ciascun profilo professionale. Il lavoro nasce dal desiderio di venire incontro
alle esigenze di molti docenti che avevano trovato alcune difficoltà per costruire il Core
curriculum nel segmento di sua competenza. Non sempre infatti è facile passare da una
visione parziale specifica: il mio corso, ad una visione generale complessiva: l’intero
corso di studi. Eppure è necessario ricomporre la sequenza delle UDE (Unità didattiche
elementari) previste nell’impianto didattico dei singoli corsi articolandole in un percorso
unitario complessivo, in cui i corsi integrati rappresentano le tappe ordinate e coordinate
a cui corrispondono gli esami con la loro specifica valutazione certificativa.
Sono stati evidenziati alcuni aspetti critici, così sintetizzati:
SEU
1) definire sotto forma di problemi concreti i nodi epistemici delle diverse scienze professionalizzanti28, per strutturare il core contents essenziale in ogni professione;
Profilo culturale
Learning skills
2) fare ipotesi, controllate e selettive, per capire come affrontare i problemi individuati e
scegliere le migliori soluzioni possibili29, cercando di integrare la pluralità dei saperi nella
unitarietà dei giudizi e delle decisioni;
Profilo didattico
Teaching skills
3) individuare nei due step della laurea triennale e della laurea magistrale contenuti culturali Profilo motivazionale
e professionali innovativi, per dare agli studi una motivazione il più alta possibile30;
Life skills
4) esplicitare le possibili aree di interesse condivise tra i vari profili professionali per rendere
sempre più efficace il lavoro delle equipe multiprofessionali31.
Profilo professionale
Managing skills
Ognuno di questi quattro punti va analizzato per la valutazione dei core curriculum.
Ciò che dà forza e credibilità ad ogni core curriculum è la certezza che si sia evidenziato
correttamente il nucleo essenziale delle conoscenze, competenze e abilità indispensabili
per realizzare quella professione. Il lavoro collegiale sul core curriculum cerca di creare
una forte relazione tra due termini: da un lato i livelli minimi essenziali di apprendimento
complessivo che lo studente deve raggiungere (il core curriculum in senso proprio) e dall’altro la necessità di offrire alla società un livello adeguato di garanzia sulle competenze
raggiunte dai neo-professionisti (core competence in senso proprio). Ma ciò nonostante
resta una certa ambiguità, proprio per la problematica specifica che il core curriculum
presenta: come va strutturato il livello minimo di esigenza richiesto a tutti gli studenti e
con quale autonomia i corsi di laurea possono definire i loro standard di esigenza.
ROMA
28
29
30
31
Di Fabio AM, Psicologia dell’orientamento, Giunti, Firenze, 1998
Boscolo P, Psicologia dell’apprendimento, aspetti cognitivi e motivazionali, UTET, Torino, 1997
Arcuri L, Che cosa farò da grande, Il Mulino, Bologna, 1999
Bandura A, Self Efficacy in changing Society, University Press, Cambridge, 1995
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
51
a) Il rispetto e la valorizzazione degli stili di apprendimento e di insegnamento
Tra le critiche ricevute dai docenti, coordinatori ed esperti ai vari core curriculum ce
n’è una particolarmente interessante perché mette in evidenza il tema della specificità
degli stili di insegnamento-apprendimento. C’è infatti chi lamenta un eccesso di analiticità
dei core curriculum, valutandolo come una sorta di pedanteria didattico-pedagogica, che
assorbe nella sua elaborazione più tempo del dovuto. Ma c’è anche chi lamenta nel core
curriculum proposto una serie di salti logici, per cui vorrebbe un approccio più preciso e
puntuale, che risolvesse ogni ragionevole dubbio, offrendo risposte per tutti i problemi32.
Per alcuni è troppo analitico, per altri troppo poco…
In realtà ci saranno sempre docenti e studenti con uno stile di insegnamento e di
apprendimento più analitico o più sintetico, più conservativo o più innovativo, più creativo o più tradizionale. Il core curriculum va strutturato in modo da venire incontro alle
esigenze di tutti, come una griglia che ha un valore orientativo, necessario per facilitare
i processi di insegnamento e di apprendimento, senza sostituirsi al lavoro personale di
ognuno, rispettando gli stili personali e sollecitando il senso di responsabilità di ognuno.
Analitico quel tanto che basta, sintetico quel tanto che serve.
Il calcolo dei tempi previsti per un effettivo ed efficace apprendimento sono misurati
dal core curriculum in termini di crediti formativi. I CFU, sessanta per ogni anno di corso, non sono la misura del lavoro del docente, come è stato ripetutamente sottolineato,
ma la misura media del lavoro dello studente. È lo studente il centro organizzativo della
vita del corso di laurea, nel suo complesso e nella concretezza con cui tutte le iniziative
didattiche vengono promosse. I CFU infatti includono infatti accanto al tempo previsto
dalla organizzazione dei corsi per la partecipazione alle lezioni e alle esercitazioni, il
lavoro personalissimo di studio. Tanto tempo quanto è necessario perché lui sappia
davvero le cose e le sappia fare nel miglior modo possibile. Evidentemente si tratta di
una cifra strettamente legata alle capacità, intellettuali e pratiche, dello studente, al suo
livello di competenza precedente, alle sue motivazioni e ai suoi interessi. Ma anche alla
sua storia personale: alla sua salute, agli impegni che la sua famiglia e il suo contesto
sociale gli propongono, ecc… I CFU non possono essere calcolati in senso assoluto e
non possono mai prescindere dalla capacità di autovalutazione e dal senso di responsabilità personale dello studente.
Le modalità attraverso le quali le persone processano ed elaborano le loro informazioni sono legate allo stile di apprendimento personale, ma anche ai modelli formativi
proposti, ai programmi di studio offerti, alle esperienze possibili e al clima educativo in
cui si svolgono i loro studi33.
SEU
ROMA
32
Van der Vleuten CPM, Dolmans DHJM, Scherpbier AJJA, The need for evidence in education, Medical
teacher, 2000, 22, 3: 246-251
33
Friedman BD, AMEE Guide n. 18, Standard setting in student assessment, Medical teacher, 2000, 22,
2: 120-131
52
Dal Core competence al core curriculum
b) Autonomia didattica e garanzia di standard di apprendimento globali
La formazione (core contents, core competence & core values), ipotizzata dal core
curriculum deve mantenere la flessibilità necessaria per integrare le proposte prospettate
a livello nazionale con l’autonomia dei corsi di laurea e con l’autonomia didattica dei docenti. I modelli professionali con cui lo studente si incontrerà soprattutto nel suo tirocinio
possono marcare una evidente differenza qualitativa tra i risultati formativi di un corso o
di un altro, ma c’è un denominatore comune che tutti i corsi devono garantire. Uno degli
scogli chiave da evitare nella programmazione dei tirocini è quello di trasformare il tirocinio
in un inserimento precoce nel mondo professionale, chiedendo allo studente di coprire
le necessità che di volta in volta si presentano nel reparto clinico o nel servizio. Detto in
altro modo: non è lo studente in funzione del servizio, per fare ciò che è necessario, ma
è il servizio che va visto anche (ovviamente non solo…) in funzione dello studente per
dargli ciò che serve a completare la sua formazione.
La trasformazione dei corsi di formazione professionale in corsi di laurea ha compiuto questa piccola ma concreta rivoluzione copernicana. E l’autonomia didattica in
questo caso va intesa come autonomia della facoltà, del corso di laurea, rispetto alle
logiche aziendali. Al docente interessa la formazione dello studente più dell’efficienza
del servizio, anche se in ultima istanza solo una adeguata qualità formativa consente di
rendere realmente efficace ed efficiente un servizio. E, reciprocamente, solo un servizio
improntato a criteri di alta professionalità in termini di efficacia e di efficienza garantisce
allo studente standard formativi di qualità.
L’apparente contraddizione che si crea è quella per cui non appena uno studente
ha davvero imparato a fare una serie di cose con abilità e con autonomia è pronto per
essere spostato in un altro servizio o in un’altra area, dove dovrà ricominciare quasi da
capo a misurarsi con nuove sfide. Esattamente ciò che non vorrebbero i responsabili di
un reparto, perché è precisamente quello il momento in cui lo studente inizia ad essere
davvero utile e a restituire in termini di qualità di prestazione, ciò che ha ricevuto in termini di qualità didattica.
Questo livello di valutazione della qualità didattica offerta dai docenti e richiesta dagli
studenti va assunto responsabilmente dagli uni e dagli altri e in questo spirito va preso in
considerazione il core curriculum. Se il core curriculum è una proposta, gli uni e gli altri
dovranno assumerla con la propria responsabilità: lo studente con il desiderio di diventare
un buon professionista e il docente con l’ambizione di formare un buon professionista.
SEU
ROMA
4.4. I nodi epistemici delle scienze professionalizzanti
La necessità di definire meglio i problemi relativi ai nodi epistemici delle scienze
professionalizzanti caratteristiche di ciascun profilo professionale è stato in parte sottovalutato nei modelli iniziali di core curriculum. In realtà costituisce uno dei parametri più
importanti, di cui il legislatore ha tenuto conto sia quando ha definito il profilo professio-
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
53
nale specifico di ciascun corso di laurea, sia quando ha individuato un settore scientifico
disciplinare specifico in cui ricomprendere il sapere proprio di quella professione. Attività
professionale, specificità del sapere professionale necessario per svolgerla e attività di
ricerca necessaria per affrontare e risolvere i problemi specifici, costituiscono nella loro
profonda interazione il nodo epistemico che ogni corso di laurea deve affrontare nel
momento della progettazione didattica, della organizzazione dei tirocini e della attività
di ricerca a cui avvia i suoi studenti con il lavoro di tesi.
Dalla capacità di individuare con chiarezza e di condividere con convinzione le scelte
relative al modo di affrontare la dimensione epistemologica del proprio corso di laurea,
docenti e studenti ricaveranno uno dei profondi livelli di soddisfazione personale e professionale. Perché è da questo tipo di risposta che scaturisce la capacità di distinguere
ciò che è essenziale da ciò che è accessorio, ciò che è specifico da ciò che può essere
condiviso con altri corsi di laurea e con altri profili professionali. In altri termini la consapevolezza della propria identità professionale che permetterà di sentirsi più o meno
a proprio agio nei diversi contesti professionali, davanti alla pluralità delle richieste che
scaturiscono dai processi di cambiamento continuo.
SEU
Nella maggioranza dei casi la definizione dei temi generali che definiscono ciascun
core curriculum, è stata fatta a partire dall’esperienza professionale caratteristica di
ciascun profilo, con un occhio volto più alla tradizione che all’innovazione. Ci si è preoccupati di garantire:
• tutto ciò che ci si aspettava da quel determinato professionista negli ambiti professionali tradizionali (saperi esperti consolidati dalla pratica);
• tutto quanto era previsto dai precedenti piani di studio, per evitare sbilanciamenti
pericolosi nell’esercizio professionale (saperi esperti consolidati dalla tradizione).
Ma è mancato lo sguardo aperto all’innovazione, per cui la difesa dello status quo
ha fatto da freno alle nuove prospettive che l’impianto universitario poteva offrire ai neolaureati, ancora una volta sia sul piano degli studi che degli sbocchi professionali. Questa
sorta di miopia didattico-organizzativa ha le sue radici nel mancato sforzo di definire
meglio il costrutto epistemico delle nuove scienze entrate a far parte del novero dei SSD
codificati da una vasta tradizione culturale. Anche la collocazione di questi SSD aggiunti
tutti insieme in coda a quelli medici tradizionali: i famosi MED/45-MED/50, non ha facilitato
una comprensione chiara del problema. Anche perché infermieri ed ostetriche, con un
sapere stratificato da lungo tempo, ma anche con una consapevolezza che si potrebbe
definire sindacalizzata di lungo corso, hanno chiesto ed ottenuto un SSD specifico,
mentre gli altri 20 profili professionali si sono ridistribuiti sugli altri tre SSD, tutti definiti
come scienze tecniche: di laboratorio, mediche applicate, dietetiche, ecc… . La macrodivisione infatti è tra scienze infermieristiche (2 SSD) e scienze tecniche (quattro SSD).
Il fatto che si parli genericamente di sciente mediche applicate ha avuto buon gioco nel
momento in cui si sono banditi i concorsi universitari per creare una forte concentrazione
ROMA
54
Dal Core competence al core curriculum
di medici vincitori in questi stessi SSD. D’altra parte se la questione sta in questi termini,
chi più di un medico si può considerare esperto sul piano della ricerca scientifica anche
della applicazione tecnica del sapere medico in un determinato SSD?
Ad esempio le Scienze infermieristiche, che tra le neo-scienze sono quelle che vantano
la tradizione più antica, stanno ancora indagando in che modo definire il loro costrutto
specifico, la loro epistemologia34. È uno sforzo necessario sia per un approfondimento
culturale di ampio respiro che per tutelarsi il più possibile da incursioni accademico-culturali improprie, ma soprattutto per impegnarsi in una attività di ricerca rigorosa sotto il
profilo della metodologia specifica. Quali sono infatti i lavori scientifici che possono essere
a buon diritto considerati come appartenenti al settore scientifico disciplinare MED/45
e dalla risposta a questa domanda scaturisce uno dei criteri più oggettivi per valutare
l’idoneità dei potenziali vincitori di un concorso bandito per ricoprire un ruolo nel settore
MED/45. Analogamente dovrebbero muoversi anche gli altri ricercatori, spesso docenti-esperti, per capire da dove le scienze tecniche specifiche della radiologia biomedica
ricavino gli elementi specifici del loro paradigma culturale, quello su cui si fonda la loro
dimensione epistemica specifica.
Cosa significa scienza tecnica applicata alla medicina, al laboratorio, alla dietetica… In
che misura la componente tecnica e tecnologica influisce in questo SSD: è un contenuto
del sapere o è essa stessa una condizione del sapere scientifico, che merita una esplorazione scientifica a tutto campo. Verificare in che misura, ad esempio, il corso di laurea
per tecnici di radiologia biomedica sia debitore di contenuti e metodologie che afferiscono
sia al corso di laurea in Medicina che a quello di Ingegneria Biomedica, di Fisica e di
Informatica, ma probabilmente anche di Economia e commercio, ecc. contribuirà a definire i contenti culturali del corso ma anche gli spazi di professionalità successiva35. Non è
facile decidere se la specificità di un corso di laurea, di un SSD, deriva solo dall’oggetto
di studio o anche dal metodo di ricerca, che presidia lo sviluppo culturale e ne assicura
la specificità nel panorama dei diversi saperi. È da questa risposta che questo, e molti
altri corsi di laurea, ricaveranno gli imput decisivi per definire il loro core curriculum.
Nel 2003 il Premio Nobel per la Medicina è stato assegnato a Paul Lauterbur e a
Peter Mansfield per i loro lavori di ricerca che hanno permesso una svolta importantissima nella ricerca della diagnostica per immagini: il primo è un chimico, il secondo un
fisico: nessuno di loro è medico radiologo né tecnico di radiologia medica, però sono
stati proprio loro ad offrire a medici radiologi e a tecnici di radiologia medica uno degli
strumenti oggi più efficaci e più diffusi nel campo della diagnostica. Non c’è dubbio che
avrebbero potuto facilmente vincere, se lo avessero desiderato, un concorso accademico
nel SSD MED/50, per accedere all’insegnamento universitario in questo campo, grazie
SEU
ROMA
34
Binetti P, La ricerca qualitativa in Nursing Education, una opportunità per migliorare contestualmente la
qualità della formazione e la qualità dell’assistenza, International Nursing Perspectives, 2004, 4(3):133-142
35
Antonietti S, Ignazi S, Perego P, Metacognitive knowledge about problem-solving methods, British Journal
of Educational Psychology, 2000, 70, 1: 1-15
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
55
al livello delle loro conoscenze scientifiche. Laterbur dirige attualmente il Laboratorio
di Risonanza magnetica nell’Illinois, ha insegnato chimica e radiologia all’Università di
New York dal 1969 al 1985, ed è qui che ha fatto le sue scoperte fondamentali sui campi
magnetici. Nel suo gruppo di ricerca ci sono chimici, biofisici, ingegneri computazionali
e bio-ingegneri… un gruppo fortemente interdisciplinare, orientato agli studi tecnologici
avanzati, che ha fatto “per caso” la scoperta della RMN, osservando alcune anomalie
prodotte dai campi magnetici.
Parlare di nucleo epistemico significa individuare modalità specifiche di incrocio tra
conoscenze tradizionalmente di tipo medico e conoscenze e competenze di tipo altrettanto tradizionalmente tecnico, coniugando entrambe nelle nuove opportunità raggiunte
a livello tecnico scientifico della scienza delle immagini. TAC, RMN, PET rappresentano
alcune tra le più brillanti applicazioni dell’informatica alla medicina, e trovano il loro significato proprio nell’ottica della cura tecnologicamente avanzata o se si preferisce del
volto umano della tecnologia, quello in cui è la tecnologia stessa a farsi cura. Se per di
più si pensa alla radiologia interventista si comprende fino a che punto il nucleo epistemico di queste scienze nuove richieda uno sforzo di elaborazione innovativo e si debba
caratterizzare per un approccio di tipo anticipatorio, che va ben oltre l’atteggiamento di
chi desidera conservare un patrimonio tecnico-scientifico acquisito finora. Si tratta di
un evento nuovo sia sul piano scientifico che diagnostico-assistenziale e come tale va
pensato con categorie nuove. Va sperimentato senza pregiudizi culturali, con la massima
apertura al dialogo con i saperi confinanti, in modo da generare gradatamente una area
di intersezione scientifica che definisca il suo contenuto specifico, il suo metodo, i suoi
obiettivi e i suoi strumenti di valutazione.
Se il core finora definito bloccasse questa apertura, limitandosi a codificare quanto
già sancito nei precedenti corsi di laurea per poterlo trasmettere alle generazioni future,
commetterebbe un grave errore di prospettiva e negherebbe nei fatti il diritto appena
acquisito di far parte del mondo universitario. Mondo definito prima di tutto dalla sperimentazione scientifica e dalla creazione di nuovo sapere e solo successivamente dalla
sua trasmissione36.
SEU
ROMA
4.5. Chiarezza nei criteri e flessibilità nella soluzione delle criticità individuate
Mentre matura nei coordinatori dei corsi di laurea la conoscenza dei pregi e dei limiti
del core curriculum, si pone anche la necessità di individuare soluzioni diverse per la
sua struttura, per garantire nei fatti l’autonomia didattica ai corsi di laurea nelle diverse
sedi universitarie. Si tratta di un lavoro essenziale anche per altri motivi37:
Hart IR, Harden RM, Best Evidence Medical Education (BEME), Medical Teacher, 2000, 22, 2: 131-136
Eraut M, Non-formal learning and tacit knowledge in professional work, British Journal of Educational
Psychology, 2000, 70, 1: 113-118
36
37
56
Dal Core competence al core curriculum
• stimolare lo spirito di ricerca sia sotto il profilo culturale che didattico per creare
sia dei gruppi di ricerca interdisciplinari che dei veri e propri modelli di corsi integrati. Negli uni e negli altri, nella ricerca e nella didattica, occorre essere capaci di
esprimere al meglio quei nuclei tematici forti che definiscono il costrutto culturale
del corso di laurea;
• evitare nei colleghi-docenti la creazione di quegli anticorpi, che nascono dal timore
della novità, dalla paura di essere scavalcati nell’esercizio della professione, nel
possibile raggiungimento della leadership. Questa profonda insicurezza davanti al
cambiamento ha già indotto molti di loro ad arroccarsi in una critica negativa, senza
aver cercato prima di calarsi nello spirito del problema e nei vantaggi, discutibili,
ma pur sempre utili, della proposta fatta.
SEU
La necessità di disporre di modelli condivisi in questa fase complessivamente nuova
dei corsi di laurea delle professioni sanitarie non deve portare ad ingessare lo spirito
creativo in formule stereotipate, che facciano dei corsi di laurea che sono l’uno la copia
light dell’altro. È necessario che i responsabili del corso si sentano sollecitati a ripensare
in modo originale contenuti e metodologie, coinvolgendo i colleghi in un lavoro in cui non
possono adagiarsi su formule pensate da altri in contesti diversi.
In molti docenti c’è la tendenza a proporre attività già sperimentate piuttosto che
riflessioni di ricerca in ambito didattico. L’attenzione è più orientata alla trasmissione
del sapere di cui si sentono esperti che non all’analisi dei nuovi problemi che stanno
emergendo. I tirocini vengono affrontati dando per scontate le prassi abituali nei diversi
servizi, senza sentire l’urgenza del cambiamento che rispecchia l’ondata innovativa di
questi corsi. C’è ancora un prevalere dell’azione sulla riflessione, come se si potessero
distinguere radicalmente i due aforismi cari alla prassi pedagogica anglosassone: learning by doing and reflecting in action. È vero che si impara facendo, ma se si rinuncia
alla riflessione critica si finisce con l’addestrare le persone senza che si innesti un vero
e proprio processo di formazione.
Solo un atteggiamento volto a stimolare, a confrontare e a sostenere più soluzioni
possibili permette di attivare un’analisi rigorosa e un controllo puntuale dei processi, per
innestarvi quel miglioramento della qualità didattica che richiede capacità di sperimentazione e di valutazione continua dei risultati ottenuti.
La flessibilità dei processi richiesti dalla ricerca di più soluzioni possibili esprime un
grande rispetto per la creatività pedagogica dei docenti e ne rafforza l’identità sul piano
didattico, mettendoli in condizione di confrontarsi gli uni con gli altri con maggiore sicurezza
e consapevolezza. Il Team Teaching assume in questo clima le caratteristiche proprie
di una learning organization, per cui il sapere degli uni diventa diffusivo a contatto col
sapere degli altri. Nel dibattito che scaturisce ci si arricchisce di una consapevolezza,
che filtra molti pregiudizi e molte affermazioni aprioristiche, quando non reggono alla
prova del confronto intellettuale onesto ed appassionato.
La discussione dei nodi concettuali affrontata da ottiche diverse, presupposto indispensabile quando si ipotizza la liceità di soluzioni alternative, favorisce l’analisi delle
ROMA
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
57
difficoltà di apprendimento degli studenti e stimola la discussione delle diverse strategie
proposte dalla ricerca didattica, fino a poter esprimere dei veri e propri protocolli di sperimentazione didattica38.
4.6. Apertura ai nuovi contenuti professionali
SEU
La scoperta dei contenuti professionali innovativi, specifici di ciascun corso di laurea,
è la vera sfida della nuova dimensione universitaria acquisita dalla formazione nelle
professioni sanitarie. Sfida che acquisisce una ulteriore forza quando si pensa all’attivazione delle lauree magistrali e dei corrispondenti dottorati di ricerca. Si è detto più volte
che questi corsi di laurea per risultare credibili ed efficaci debbono prevedere delle vere
e proprie strategie di empowerment per i professionisti che vi si formano, per quelli che
vi si sono formati e soprattutto per i formatori. Sarebbe deprimente, per i docenti e per
gli studenti, ma anche per i pazienti e per i direttori generali, applicare soluzioni vecchie e superate a problemi arcinoti, per la semplice inerzia a cambiare, quali che siano
le ragioni di ostilità verso i processi di riforma: tecnologica, organizzativo-gestionale,
socio-economica. L’innovazione che innerva la struttura didattica di questi corsi può riguardare il modo nuovo con cui affrontare e risolvere problemi già identificati, attraverso
un razionale che semplifica e ottimizza le risorse disponibili. Ma può riguardare anche
quella capacità di trasferimento delle conoscenze, per cui si applicano a problemi nuovi
strategie di soluzione già sperimentate ed accreditate. Oggi però ci si deve preparare a
confrontarsi con una quarta alternativa, quella che applica soluzioni nuove a problemi di
nuova generazione: si richiede una sorta di full immersion nella innovazione, audace e
competente, creativa e prudente.
È da questa quarta opzione che scaturiscono quei fenomeni di innovazione capaci
di aprire panorami diversi sotto il profilo culturale e di offrire opportunità professionali
probabilmente impreviste fino a quel momento. La dimensione universitaria dei corsi di
laurea deve alimentare questo circuito virtuoso della innovazione che parte dal già noto
per spingersi oltre e che comunque non teme di sfidare luoghi apparentemente impervi,
almeno finora. In tutte le professioni accanto ad una logica componente di tipo ripetitivo,
che non deve però essere mai banalizzata o routinaria, occorre innestare una mentalità
che ri-cerca come cambiare le cose, le prassi, le procedure e i protocolli, per migliorarli
continuamente. Ed è compito di chi dirige rafforzare questo approccio innovativo nelle
persone più creative, evitando di assumere quegli atteggiamenti disfattisti, propri di chi
crede che la novità possa essere foriera solo di complicazioni e di disagi. Chi governa i
processi deve essere in grado di accogliere la spinta innovativa che nasce dai collaboratori, a cominciare dagli stessi studenti e deve favorire il gusto per l’esplorazione delle
nuove soluzioni .
ROMA
38
Tortolani AJ, Leitman IM, Rusicci DA, Student perceptions of skills acquisition during the surgical clerkship, Teaching and learning in Medicine, 1997, 9, 3: 186-191
58
Dal Core competence al core curriculum
C’è un clima stantio, annoiato, privo di nerbo, che ogni tanto si nota in certi ambienti
formativi, ma anche in alcuni ambienti professionali, in cui si è perduto l’entusiasmo,
e sembra prevalere un certo rassegnato conformismo. È come se qua e là ci fosse un
cartello che recita: Proibito cambiare… oppure più semplicemente: Non si può fare…
con mille spiegazioni di vario genere, ma sempre volte a scoraggiare chi si azzarda a
proporre la benedetta fatica del cambiamento.
Il core curriculum, soprattutto nei passaggi in cui si struttura come core competence
permette di aggirare questo rischio, perché si colloca sul piano di una duplice sfida: avere
sempre presenti i problemi prioritari di salute, e le priorità possono cambiare, e avere
sempre presente la necessità di ottimizzare le risorse disponibili, per fronteggiare le criticità. Trasformare le frequenti cause di disagio e di lamento in opportunità di cambiamento
è una bella spinta innovativa. Il riferimento costante è alla creatività con responsabilità,
allo spirito di iniziativa con la capacità di valutazione.
Occorre attivare una vera e propria dinamica di implementazione delle caratteristiche
proprie dei rispettivi profili professionali, considerati sempre in modo dinamico, in progress. Non si tratta di una pedagogia minore, ma dello sforzo di ridurre la distanza tra
adult learner e giovani ricercatori di ogni ambito culturale. Una strategia autenticamente
innovativa che pone i giovani professionisti nella condizione di pensare modi nuovi per
svolgere funzioni consolidate e nello stesso tempo chiede loro di spingere la loro immaginazione verso i confini di un’area tutta da conquistare e da riempire di contenuti
significanti e significativi39.
Occorre superare proprio grazie allo spirito universitario il gap storico tra l’evolversi
delle prassi reali e le conoscenze disponibili in un determinato contesto e creare dei
profili di competenza alti che soddisfano richieste di professionalità avanzata. Per questo
è necessario uno spirito nuovo, così spesso presente negli studenti giovani, intelligenti
e motivati, orgogliosi delle scelte accademiche fatte e disposti a spendersi non solo per
una crescita personale, ma per lo sviluppo di tutta la loro professione. Ciò è più facile se i
docenti sanno stimolare negli studenti un pensiero di tipo divergente, che non si accontenti
delle risposte standard e delle prassi acquisite, ma che sia capace di porsi costanti e
continui perchè. Un gruppo di studenti che non si accontenti di fare il minimo, riducendo
la percezione dell’università ad una sorta di esamificio: ragazzi disposti a misurarsi con
problemi e con procedure nuove, grazie ad una competenza tecnico-scientifica di alto
profilo, ma grazie anche a specifiche doti di carattere e di curiosità intellettuale.
Si sa che non basta una riforma codificata a livello normativo per riformare l’università.
I rapporti tra l’apertura alla formazione dei docenti e i processi di cambiamento nell’Università risentono di schematismi di corto respiro. Se i docenti per primi non vogliono
confrontarsi con il cambiamento, questo avrà un carattere puramente superficiale e
riproporrà i modelli precedenti dopo una banale operazione di maquillage. La resisten-
SEU
ROMA
39
McGinn NF, What is required for successful educational reform? Learning from errors, Educational
Practice and Theory, 1999, 21, 1: 7-15
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
59
za passiva al cambiamento didattico e metodologico non può indurre un cambiamento
efficace e crea una atmosfera annoiata e annoiante. Se gli studenti nei diversi tirocini
non si incontreranno con professionisti competenti ed ambiziosi non potranno neppure
desiderare di sviluppare un profilo professionale più ampio, perché mancheranno di
punti di riferimento40.
Se non c’è una classe di professionisti motivati a sviluppare la propria attività, portando le rispettive competenze fino al massimo livello possibile di sviluppo è difficile
che le nuove generazioni individuino nei professori dei modelli, dei tutori disposti a far
loro da Personal trainer o perfino da Coach se necessario. Servono oggi veri e propri
allenatori di una nuova squadra di professionisti, impegnati a sognare e a realizzare un
lavoro professionale declinato fino all’eccellenza dei risultati. Non solo dei risultati esterni,
riconosciuti a livello di opinione pubblica, con le necessarie implicazioni sul piano della
carriera professionale ed economica, ma soprattutto a livello di risultati interni, con il
massimo sviluppo delle proprie capacità e competenze.
Un core curriculum che ignorasse il potere di sviluppo che ha la capacità di sognare
professionalmente tradirebbe se stesso e si trasformerebbe in una sorta di camicia di
forza. Il core, come è noto, deve partire dalle scienze professionalizzanti e dalla competenza professionale proprio perchè questa è in relazione dinamica con lo sviluppo della
professione e con la sua capacità di conquistarsi nuovi spazi innovativi. Il dialogo tra il
sapere che l’università diffonde nei suoi corsi accademici e il sapere che appartiene come
patrimonio specifico alle professioni deve essere in equilibrio costante per un reciproco
rinforzo, secondo una triplice accezione41:
• La conoscenza in funzione della prassi professionale: l’università deve mantenere
un flusso comunicativo costante con il contesto sociale e con il mondo professionale, perché è da questo che ricava i suoi stimoli più significativi, necessari per
attivare una ricerca con un’ampia ricaduta sulla qualità di vita delle persone.
• La conoscenza nella pratica professionale implica che il flusso comunicativo tra
università e mondo professionale proceda nella duplice direzione che arricchisce
entrambi, per cui dall’università deve derivare alle professioni un continuo slancio
di aggiornamento e di diffusione del sapere progressivamente conquistato nei
laboratori e nelle aree di eccellenza.
• La conoscenza della pratica professionale rappresenta un sapere che si elabora
soprattutto quando il docente fa dell’ambito professionale specifico a cui sono
destinati i suoi studenti un laboratorio di ricerca e di sperimentazione, attivando
procedure di indagine e di riflessione che affrontano interrogativi specifici e tentano
una interpretazione dei loro problemi.
SEU
ROMA
40
Martens FMJG, et altri, Educational objectives and requirements of an undergraduate clerkship in general
practice: the outcome of a consensus procedure, Family Practice, 1997, 14: 153-159
41
Curtain R, Hayton G, The use and abuse of a competency standard framework in Australia: a comparative perspective, Assessment in Education, 2 (2), 1995
60
Dal Core competence al core curriculum
Solo una stretta collaborazione tra docenti e professionisti di un determinato settore
può creare le premesse per un processo di rinnovamento efficace che riguardi sia i modelli concettuali che i modelli operativi e i rispettivi ambiti. Altrimenti si innesta un circolo
vizioso in cui le conoscenze si standardizzano su schematismi ripetitivi e vanno incontro
ad un processo di obsolescenza e le competenze specifiche: clinical and technical skills
degenerano in un processo che è stato definito di deskilling. Il deskilling si crea per una
perdita di competenze a livello individuale e di gruppo, con un impoverimento dell’intera
classe di professionisti. L’integrazione delle conoscenze e delle competenze tra docenti
universitari e professionisti del settore, dove è stata organizzata in modo adeguato, ha
dato vita a quella che è stata definita la democratizing research, che rappresenta il più
elevato indice prognostico di sviluppo della professione sul duplice piano della qualità
professionale e della qualità scientifica42.
SEU
4.7. Interdisciplinarietà e multiprofessionalità
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (1988) ha definito la formazione multiprofessionale come “il processo grazie al quale un gruppo di studenti o di professionisti
legati alla sanità, con diversi background alle spalle, durante un certo periodo della loro
formazione imparano insieme, considerando l’interazione un obiettivo importante per
fornire prevenzione, assistenza, riabilitazione ed altri servizi sanitari”43. L’esplicitazione
delle possibili aree di interesse confinanti tra i diversi profili professionali costituisce la
spinta più efficace nel processo di formazione interdisciplinare e multi-professionale,
auspicato da molti in risposta al crescente livello di qualità richiesta al mondo sanitario. Il
rinnovamento dell’attività didattica, il miglioramento dell’attività organizzativa delle aziende
sanitarie, l’individuazione di nuove aree di ricerca sul piano clinico ed assistenziale, sono
tutti obiettivi che passano attraverso una riscoperta e una rivalutazione del lavoro in equipe di tipo multiprofessionale. Lo sviluppo di ipotesi strategiche per il rinnovamento della
facoltà di Medicina, considerata nella complessità di tutti i suoi corsi di laurea, richiede
nuovi modelli di ricerca in campo didattico che ne costituiscano l’ossatura e assicurino
all’intero processo coerenza e rigore scientifico. Uno dei possibili modelli di ricerca in
campo didattico è rappresentato dal corso integrato, in cui confluiscono contributi scientifici propri di diversi SSD, Unità didattiche elementari (UDE) collocate in aree tematiche
diverse, professionisti con esperienze diverse sul piano clinico e con approcci diversi sul
piano delle metodologie didattiche.
Il corso integrato è un vero e proprio laboratorio, in cui le parole chiave sono proprio
interdisciplinarietà e multiprofessionalità. Uno spaccato di vita professionale tutt’altro che
ROMA
42
Ellis P, Standards and the outcomes approach, in Burke J (Ed), Outcomes Learning and the Curriculum:
Implications for NVQs, GNVQs, Falmer Press, London, 1995, p. 83
43
World health organization, Learning together to Work together for health, Technical Report series number
769, Geneva, WHO, 1988
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
61
facile e proprio per questo interessantissimo nella esperienza universitaria degli studenti.
I risultati ottenuti in questi primi dieci (sic!) anni di sperimentazione ci dicono però che ad
ogni tentativo di integrare più e meglio un corso da parte di chi lo coordina corrisponde
spesso un tentativo altrettanto deciso di sottrarsi alla integrazione da parte dei docenti.
Per motivi di tempo, per motivi di sintonia culturale, per motivi di identità professionale,
per motivi di leadership… Le ragioni sono tante e tutte ragionevoli, peccato però che chi
le proclama, sia pure a gran voce, non ha mai veramente ragione. Il Core curriculum,
nella sua analiticità minuziosa, dovrebbe garantire a tutti i propri margini di autonomia,
ma poi nella ricomposizione e ri-organizzazione in corsi dovrebbe poter sollecitare tutti
a non perdere di vista la visione d’insieme del corso, come unica garanzia di efficacia
da offrire allo studente.
La collegialità dei docenti, a cominciare dal semplice Corso integrato, è uno degli
obiettivi più difficili da raggiungere nella pianificazione didattica, eppure è uno degli elementi che più e meglio garantiscono efficacia ad un corso, anche sotto il profilo dello stile
e dei modelli comportamentali che si possono offrire agli studenti. La stima reciproca tra
docenti e l’attenzione al punto di vista dell’altro, alle sue proposte, incide nella percezione
degli studenti come un valore essenziale e come uno stimolo importante per la qualità
relazionale, che fonda ogni tipo di lavoro in equipe.
Un buon Corso integrato presenta il vantaggio di un collegamento tra le conoscenze,
che possono essere comprese e ricordate perché se ne coglie meglio il senso e il significato. Ma un cattivo corso integrato può creare una “disintegrazione” dell’apprendimento, per eccesso di frazionamento dei contenuti e delle metodologie. Il disorientamento
personale e culturale, ma anche quello logistico-organizzativo, creano vere e proprie
barriere all’apprendimento. Un buon Coordinatore di Corso, oltre a garantire l’indispensabile processo di integrazione umana e culturale attraverso l’attenzione ai rapporti tra
i vari docenti e tra docenti e programmi, si preoccupa di stimolare al massimo anche
l’integrazione tra gli studenti. Un clima collaborativo tra gli studenti lascia ben sperare
per l’efficacia di successive forme di lavoro in equipe e stimola lo sviluppo di capacità
organizzative più autonome.
Molto dipende dal Coordinatore del Corso integrato, che ha una funzione preziosa,
perché indipendentemente dalla sua competenza culturale specifica, con il suo ruolo
cerca di garantire costantemente unità al corso. Unità che non va mai confusa con una
sorta di riduzionismo culturale o con l’atteggiamento autoritativo di uno dei docenti, che
impone il suo punto di vista sul piano delle scelte culturali e metodologiche. L’unità che
il coordinatore deve garantire comincia nel momento della programmazione del corso,
per assicurare che i docenti abbiano davvero confrontato le loro programmazioni e siano giunti a scelte concordate su ciò che caratterizza il core del corso: dagli obiettivi alle
attività didattiche, fino alle modalità della valutazione finale.
Non è facile far dialogare professionisti diversi, con le proprie tradizioni e con le proprie
aspettative, con le proprie ansie e le proprie regole. È necessario un vasto e profondo
lavoro di mediazione e di negoziazione, che deve coinvolgere sia la facoltà che il poli-
SEU
ROMA
62
Dal Core competence al core curriculum
clinico, a tutti i livelli. I vantaggi di questo approccio alla formazione possono schiudere
anche prospettive molto interessanti sul piano della ricerca scientifica, ponendo nuovi
problemi e stimolando a cercare nuove soluzioni.
Per questo è necessario costruire, ove mancassero, degli ambienti integrati di apprendimento professionale, per permettere agli studenti di diversi corsi di laurea di sperimentare forme diverse di collaborazione da cui possano evincere come la soddisfazione
dei bisogni del paziente è possibile solo in un’ottica di lavoro in equipe. Per questo il
contesto dei tirocini deve configurarsi come un ambiente in cui possano muoversi studenti
di corsi di laurea diversi, ciascuno assorbito nelle proprie competenze, ma aperto all’osservazione del lavoro altrui e disponibile alla collaborazione concreta. Senza dimenticare
che la prima forma di collaborazione è proprio la comprensione del lavoro altrui, delle
sue complessità specifiche, dei contenuti e delle procedure, delle aspettative di chi lo
realizza44. Nella costruzione del core curriculum questa esplicitazione può portare a due
forme di collaborazione virtuosa:
SEU
a) da un lato la formalizzazione a livello culturale dei problemi comuni e delle diverse
chiavi di accesso alla sua soluzione; imparare a formulare con chiarezza i problemi con
cui gli studenti si debbono misurare, aiuta ad individuare i diversi piani della responsabilità personale, ma permette anche di scoprire nuove forme di coinvolgimento, che si
traducono in nuove forme di collaborazione e di convergenza.
b) dall’altro la razionalizzazione nella distribuzione delle risorse che può indurre
ad identificare segmenti di corsi da realizzare insieme, con una indubbia economia di
risorse sul piano logistico ed economico, anche se la complessità organizzativa di un
corso cresce in modo esponenziale a seconda della numerosità dei profili formativi impegnati.
L’ottica interdisciplinare trova già un suo momento di sperimentazione nella organizzazione di un corso integrato in cui ci sono docenti di più ambiti disciplinari che collaborano
per aiutare gli studenti ad individuare meglio i problemi prioritari del proprio contesto e le
soluzioni più appropriate. Ma è nel modello professionale di assistenza al malato dove
l’integrazione rivela la sua interfaccia più preziosa, perché mostra la sua immediata
ricaduta nella relazione di cura. Spesso gli studenti esposti a questo tipo di formazione
riescono a smascherare una serie di alibi che giustificano, sia pur solo apparentemente
gli insuccessi, gli sprechi, lo stress di natura professionale, e comprendono che queste
difficoltà nascono dalla reciproca incomprensione e creano inefficacia ed inefficienza nel
sistema sanitario a livello locale e globale45.
ROMA
44
Edmonds T, Teh M, Personal Competence: Where does it fit in?, Competence and Assessment, 13,
1990
45
Winter R, Griffiths M & Green K, The academic qualities of practice: what are the criteria for a practice
based PhD, Studies in Higher Education, 2000, 25, 1: 25-31
Dal CORE COMPETENCE al CORE CURRICULUM
63
Per ottenere risultati significativi però sono indispensabili specifiche esemplificazioni
di esperienze, che vanno adeguatamente contestualizzate, in modo da poter essere
riprodotte anche a distanza. La difficile e spesso improponibile generalizzazione delle
esperienze formative è uno dei punti deboli più critici nella sperimentazione pedagogica. Si possono fotocopiare appunti e protocolli, esperienze e schemi di valutazione, ma
non si potrà mai fotocopiare un ambiente, un clima relazionale improntato alla fiducia e
all’ottimismo, stimolante e costruttivo. Eppure è proprio il clima che fa la differenza sul
piano della efficacia didattico-formativa. L’apparente irriproducibilità delle esperienze
didattiche che in ambienti diversi funzionano in modo molto diverso, con risultati diversi,
anche se partono da strumenti pressoché analoghi, induce a prendere in considerazione
tre parametri diversi, ma di pari importanza:
SEU
– La dimensione metaculturale. Occorre che i docenti impegnati nell’esperienza
della formazione interdisciplinare siano capaci di aver sempre presente la dimensione
metaculturale del loro insegnamento, per facilitare il trasferimento di conoscenze e di
competenze da un contesto all’altro. Il trasferimento delle conoscenze appare oggi uno dei
fattori che meglio garantiscono l’avvenuta comprensione del problema e delle strategie di
soluzione e quindi la possibilità di riconoscerlo e di poterlo risolvere in altre circostanze
in modo autonomo.
– La dimensione esperienziale. I docenti devono poter mettersi nella situazione
di protagonisti diretti del processo di cambiamento, non si tratta di affrontare i problemi
nuovi con una cultura mediata a livello testuale. Occorre impegnarsi in un processo
di osservazione partecipante, compromettersi in prima persona per sentire e vivere i
problemi come propri. Non limitarsi ad orecchiarli nella descrizione fatta da altri, che
inevitabilmente porterebbe ad innescare processi ripetitivi di interpretazione e di soluzione.
– La dimensione situata. Importante poter analizzare sempre la relazione che
c’è tra testo e contesto, tra fatti e condizioni al contorno. Tra core problems e effetto di
alone, tra concretezza dell’evento e vissuti di chi vi partecipa, tra soluzione ottimale e
soluzione possibile, tra vincoli e risorse disponibili. Si tratta di quel realismo che porta
a fare i conti con le situazioni concrete, evitando di rifugiarsi nella mistica del magari.
Magari disponessi di questo strumento, magari ci fosse tizio, magari fossi capace di….
ROMA
5. In conclusione: alcune riflessioni sull’etica della formazione
Il core curriculum appare una sfida aperta che va raccolta in modo collegiale, coinvolgendo tutti i docenti impegnati nel corso di laurea insieme ai migliori professionisti del
settore, ma senza mai rinunciare ad interpellare il contesto sociale, in cui si realizza la
propria professione e il contesto scientifico in cui si elaborano le premesse indispensabili
per spiegare adeguatamente il costrutto su cui si fonda ogni profilo professionale.
64
Dal Core competence al core curriculum
È un lavoro che ricava la sua forza dalla sua complessità e rifugge dalle soluzioni facili
e a buon mercato, come quelle che si possono realizzare in poco tempo in un piccolo
gruppo di esperti. In realtà un buon curriculum si riconosce dalla gestazione sofferta e
faticosa che ha avuto e dall’etica del dialogo che ne caratterizza le scelte. L’etica del
dialogo presuppone un ascolto attento al punto di vista dell’altro, la disponibilità ad accogliere il suo contributo e la capacità di mettere in discussione le proprie certezze per
aprirsi a nuove prospettive.
Attraverso la relazione personale con il tutore, gli studenti vanno assorbendo gli insegnamenti più significativi, sia che si tratti di abilità pratiche, che di abilità intellettuali. Grazie
al tutoring del proprio profilo professionale, lo studente riesce ad entrare nello spirito del
ragionamento clinico indispensabile per identificare un problema, per stabilire una scala
di priorità e maturare un corretto algoritmo decisionale per prendere la decisione giusta
nel momento giusto, raggiungendo il numero di crediti previsti 46. Ora che sono passati
diversi anni ci si può soffermare a riflettere seriamente su questo punto, denunciando
certi tentativi surrettizi di banalizzare una operazione di elevato profilo culturale, in una
operazione di maquillage dal sapore rivendicatorio47.
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L’etica del dialogo conferisce una particolare sfumatura alla comunicazione persuasiva con cui il core curriculum va presentato nei diversi contesti culturali, ai docenti e
agli studenti. Non si tratta di imporre dogmaticamente delle scelte, che hanno un elevato
grado di fluidità per le diverse ragioni esposte, ma di mostrare la convenienza delle stesse
scelte nel preciso contesto socio-culturale in cui ci si muove. Si tratta delle migliori scelte
possibili, non di scelte che hanno un carattere definitorio ed irrevocabile.
Un buon core curriculum media tra l’esperienza dei professionisti e il sapere accademico formalizzato, senza cedere in nessuno dei casi al rischio della prassi consolidata
o alla dimensione avveniristica di conoscenze che non hanno ancora una ricaduta applicativa sul piano professionale. È un delicato gioco di equilibri, che integra dimensione
professionale, dimensione scientifica e capacità di disegnare un percorso concettuale
coerente, in cui sia sempre possibile ritrovare sia i fondamenti che le conclusioni operative. Richiede pertanto una specifica professionalità docente da parte di tutti gli attori,
per scegliere consapevolmente le metodologie didattiche e le metodologie valutative
indicando i criteri di fondo, ma non imponendo soluzioni.
È una ginnastica intellettuale non facile perché esige un frequente cambio di prospettiva, con passaggi Top-Down che richiedono un approccio alternativamente analitico e
sintetico, student centered e cultural centered. Questo è uno degli aspetti più interessanti
della filosofia del core curriculum, proprio perché senza avere la pretesa di mettere punti
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Calman KC, Postgraduate specialist training and continuing professional development, Medical Teacher,
2000, 22, 5: 448-452
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Harden RM, Evolution or revolution and the future of medical education: replacing the oak tree, Medical
Teacher, 2000, 22, 5: 435-442
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fermi, rende disponibile per tutti, docenti e studenti, il patrimonio di considerazioni fin
qui maturate, lasciando che sia l’esperienza scientifica e pedagogica dei prossimi anni
a valutare le scelte fatte. Il sapere specifico delle nuove scienze della salute, in continua
interazione con le altre scienze, appare alla ricerca di una sua identità specifica, come
si addice ai saperi di nuova generazione, che necessitano di una adeguata produzione
scientifica per mostrare ad un più vasto pubblico le proprie potenzialità. La continua attenzione allo studente e ai contenuti interdisciplinari, non esclude che si mantenga una
forte sensibilità verso il contesto socio-culturale in modo da apportare tempestivamente
tutti i cambiamenti che di volta in volta si rendano necessari. Senza però mai perdere di
vista che questi cambiamenti vanno documentati e vanno argomentati, per conservare
la consapevolezza che inizialmente ha indotto a fare alcune scelte e non altre. Senza
neppure perdere di vista che non si può provvedere con una logica di tipo sommatorio,
aggiungendo di volta in volta nuove UDE o nuovi temi generali, dal momento che il
sistema dei crediti forza a dover fare sempre delle scelte di tipo comparativo: questo e
non quello, questo a questo livello di profondità e non questo. La misura del tempo è un
indicatore importante del carico di lavoro che si può richiedere allo studente e questo
ha pur sempre dei limiti che vanno rispettati.
Il core curriculum si configura quindi come una struttura aperta e flessibile, disposta
ad alzare il tiro delle sue proposte se i professionisti del settore maturano un più elevato
livello di competenza professionale, ma anche se il mondo scientifico elabora teorie capaci di dar conto in modo più chiaro e completo dei fatti che abitualmente si presentano
all’esperienza dei pazienti, degli studenti e dei docenti.
Non a caso si tratta di un Working progress disposto a mettersi in discussione e
a sottostare ad un processo di valutazione continua. Ogni anno i docenti dovrebbero
procedere alla revisione del Core curriculum, anche sulla base delle osservazioni fatte
dagli studenti, i cui ritmi di apprendimento, seri e responsabili, costituiscono un elemento
irrinunciabile per fissare i CFU necessari al conseguimento di determinati obiettivi e all’acquisizione di determinate competenze. Ma un Core curriculum, proprio perché scelto
collegialmente da tutti i docenti di un determinato corso di laurea, deve tener conto anche
dei cambiamenti che vengono suggeriti dalla evoluzione del mondo professionale. Tanto
più quando si tratta di corsi di laurea a forte impatto tecnologico. L’evoluzione tecnica ha
oggi ritmi fortemente accelerati e l’inserimento professionale dei neo-laureati dipende
anche dalla loro capacità di dominare le nuove tecnologie.
La formazione di un neo-laureato come può essere ad esempio quella di un tecnico
di radiologia medica per immagini e radioterapia inizia nel 2009 e completa il suo iter nel
2015: chi si occupa della sua formazione deve aver presente quello scenario, guardando
sufficientemente in avanti per non creare figure professionali obsolete. Tra i costi che le
aziende sanitarie lamentano ci sono anche quelli relativi all’inserimento professionale dei
giovani, i cui profili di competenza iniziali non sono giudicati adeguati alle nuove richieste
tecnico-scientifiche. Ma è vero anche il contrario, per cui giovani formati in modo eccellente nelle loro facoltà, si trovano a lavorare in contesti obsoleti sia per la qualità delle
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Dal Core competence al core curriculum
tecnologie disponibili che per la rigidità delle procedure applicate. Tocca a loro essere
fattori di innovazione, di cambiamento e di progresso.
Per questo non basta possedere le competenze tecniche necessarie, occorre possedere anche quell’insieme di life skills che permette di essere convincenti, senza apparire
supponenti; creativi senza essere imprudenti; attenti alle logiche di bilancio senza rincorrere un cambiamento fine a se stesso… Ma sempre e soprattutto capaci di lavorare
in equipe in cui i livelli di conoscenze e di competenza possono anche essere diversi,
ma a tutti è dato di esprimere le proprie capacità. Un team in cui è prevalente la dimensione etica del lavoro professionale che spinge a cercare sempre le migliori soluzioni
possibili, con spirito di collaborazione e con desiderio di emulazione ma rifuggendo da
sterili forme di conflittualità.
Per questo nel core curriculum ci sono anche diverse UDE che sono ricomprese sotto
la dizione Medical Humanites, per stimolare nello studente la riflessione e l’acquisizione
di specifiche qualità professionali, quelle che una volta si chiamavano virtù48, considerate soprattutto nella loro dimensione comportamentale, osservabile e in quanto tale
valutabile49.
La prima qualità da proporre agli studenti è quella della prudenza, che in ogni lavoro
professionale costituisce la cifra dell’efficacia, della decisione presa ponderatamente,
anche quando la scelta è difficile e mantiene in sé un margine di rischio. Aiutare lo studente ad acquisire uno stile di agire prudente significa stimolarlo a studiare, a riflettere,
a consultarsi se necessario, prima di prendere una decisione; a mantenere una attenzione costante durante tutto il processo applicativo e a valutarne i risultati subito dopo,
al termine dell’azione intrapresa. Una decisione prudente si fonda su di una conoscenza
certa. Nel core curriculum sono molti i passaggi che mettono in evidenza il valore della
prudenza, a cominciare dalla definizione dei livelli di apprendimento e di approfondimento
per ciascuno degli obiettivi proposti in base alla loro rilevanza sul piano professionale.
Ma è proprio nel concetto di Core curriculum che è implicito il valore della prudenza del
docente, perché offra agli studenti un panorama ragionato di tutte le cose essenziali che
dovrà sapere e saper fare al termine dei suoi studi. Una sorta di conditio sine qua non,
che lo stesso studente potrà e dovrà verificare prima di inserirsi professionalmente: è un
appello alla sua prudenza, perché verifichi bene la sua attrezzatura intellettuale prima
di interagire con i malati e con i colleghi. Non basta aver fatto gli esami e magari aver
avuto anche dei buoni voti, ciò che ora conta è quanto davvero sa e sa fare, per potersi
assumere le giuste responsabilità professionali.
La griglia del core curriculum confezionata su base nazionale e costantemente rivisitata
dai docenti di tutti i corsi di laurea, per lo meno da quelli più sensibili alla responsabilità
didattica, rappresenta per lo studente uno strumento discreto ed efficace perché possa
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Carr D, Educating the virtues, Routledge, Londres, 1991
Putnam D, The primacy of virtue in children’s moral development, Journal of moral Education, 24,
2:175-183, 1995
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costantemente verificare, come se fosse un progress test, quanto davvero sa, cosa gli
manca e cosa può fare per acquisire le competenze mancanti. È un appello alla dimensione virtuosa della sua prudenza, perché sia sempre responsabilmente efficace nelle
sue risposte.
Il lungo dibattito sulla EBM acquista una prospettiva nuova se lo si colloca nel contesto della prudenza come qualità professionale, per cui lo studente oggi, il professionista
domani, prende una decisione alla luce di una conoscenza scientifica suffragata da un
adeguato apparato di prove scientifiche. Sarà la prudenza a decidere la applicabilità concreta di un principio generale a questo caso singolare. La conoscenza della situazione,
tipica dell’agire prudente che agisce in coscienza, in realtà altro non è che la scienza
della situazione stessa, come la stessa etimologia suggerisce: con-scientia, corrisponde
a coscienza.
Il docente prudente nella formazione dello studente non dà risposte facili, pone problemi, stimola la fatica intellettuale che permette allo studente di sentirsi padrone delle sue
scelte, sicuro delle sue competenze, e quindi più libero e disponibile alla responsabilità.
La prudenza genera anche la consapevolezza che davanti ai fenomeni biologici non ci
potrà mai essere quella certezza assoluta che rende impossibile l’errore. Un eccessivo
timore di sbagliare non può che produrre irrisolutezza, per cui l’accettazione del rischio
è parte essenziale della virtù della prudenza, che riconosce di aver sbagliato nei suoi
risultati, anche quando nelle intenzioni c’era solo il desiderio di far bene il bene. Ma la
persona prudente conta su questo e quindi conta anche sulle possibili critiche al suo
operato. Con le stesse premesse un altro avrebbe potuto trarre delle conseguenze diverse
e quindi ottenere risultati diversi.
Nella revisione del core curriculum occorre quindi tener presente una pluralità di
dimensioni, che possono essere così sintetizzate:
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• la dimensione tecno-scientifica
La competenza culturale e professionale che deve possedere il neo-laureato di uno specifico profilo professionale
• la dimensione antropologica
La visione dell’uomo posto al centro del sistema formativo e del sistema
diagnostico-assistenziale
• la dimensione epistemologica
Una riflessione sul problema della conoscenza, sul ragionamento clinico,
sulla formazione delle diverse ipotesi, ecc
• la dimensione bio-etica
La capacità di individuare la giustificazione razionale delle soluzioni etiche
dei problemi
• la dimensione psicopedagogia
Attenzione allo studente per aiutarlo a comprendere se stesso e le proprie
scelte, ad interiorizzare il core values professionale50
• la dimensione didattica
Verifica delle metodologie didattiche e della loro specificità, per poterle
selezionare e applicare
• la dimensione organizzativa
Verifica delle managing skills necessarie per ottenere la massima efficacia
ed efficienza nel lavoro professionale
• la dimensione sociale
Verificare l’impatto sociale del proprio lavoro per rispondere in modo
adeguato alle attese della società nel suo continuo mutare
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Donati PP, Colozzi I, Giovani e generazioni, Il Mulino, Bologna, 1997.pp. 275-304
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È sempre un lavoro collegiale in cui i contributi manifestano una pluralità di provenienze e reclamano un costante e continuo lavoro di amalgama e di selezione per garantire
che il risultato formativo finale sia quello che risponde alle attese dei pazienti e delle loro
famiglie, della società e dei suoi cittadini, delle aziende sanitarie e di tutti i professionisti
che le abitano e le fanno vivere al servizio di tutti, con una valorizzazione delle risorse
disponibili e con un drastico contenimento degli sprechi sul piano economico, umano e
culturale.
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