Mobbing e
discriminazioni
bossing
Tra soluzioni giurisprudenziali e prospettive
di regolamentazione
straining
Ester Villa - Anna Rota
Trasferimento,
demansionamento
…
Alla ricerca di una
fattispecie
Parte I
Origine del termine
«mobbing»
Leymann
to
mob termine tratto dalla
etologia dove descrive un comportamento
aggressivo di uccelli contro altri volatili
intenzionati ad invadere il loro nido
Utilizzato in primis dagli psicologi del lavoro, dai
medici del lavoro per descrivere aggressioni
psicologiche sul luogo di lavoro
Fenomeno preso in considerazione da
altre discipline assurge a rilievo
giuridico?
Importanza dell’integrazione delle diverse forme di
sapere:
→ la psicologia del lavoro ha dato un nome
(mobbing) e, con l’ausilio di altre forme di sapere,
ha evidenziato la portata delle vessazioni e delle
violenze psicologiche perpetuate sul luogo di
lavoro;
→ come ha risposto l’ordinamento giuridico?
Esistevano già forme di tutela avverso queste
aggressioni?
Di cosa parliamo?
Atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo che ledono
l’equilibrio fisio-psichico della vittima → per escludere la
«vittima» dal gruppo.
Mobbing verticale: condotte poste in essere dai superiori
gerarchici o dal datore di lavoro;
Mobbing orizzontale: condotte dei colleghi.
Mobbing down-up: il mobber è in una posizione inferiore rispetto
alla vittima
Manca una nozione
legislativa di mobbing
«Prima del mobbing»: le pronunce
«apri-pista»
Nella giurisprudenza si parla di condotte che «ledono la dignità e la
personalità del lavoratore».
→ Condotte e azioni poste in essere prevalentemente dal datore di
lavoro:
- Molestie sessuali destinate a produrre umiliazione, disagio e
fastidio
- Trasferimento del lavoratore in assenza di ragioni giustificative
- Demansionamento
- Licenziamento offensivo
Norme di riferimento
a) art. 2087 c.c. «il datore di lavoro è obbligato a
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del
lavoratore, tenuto conto della particolarità del
lavoro, dell’esperienza e della tecnica»
b) Art. 2 Cost. : tutela della personalità degli individui
c) Art. 3, 1 e art. 41, c.2 cost.: dignità persona
d) Norme specifiche (es: art. 2103 c.c.)
e) Art. 1175 e 1375 c.c.: obblighi di correttezza e
buona fede
Tribunale di Milano 20 dicembre 1999
Caso: giornalista adibita a mansioni inferiori rispetto a
quelle di assunzione (capo redattore), mancato
riconoscimento scatti d’anzianità, di ferie e permessi.
Il giudice riconosce l’esistenza di una situazione lavorativa
di generale disagio che costituisce giusta causa di
dimissioni. Per non ledere la dignità del lavoratore non
basta retribuirlo e non vessarlo, ma metterlo in
condizioni di svolgere il suo lavoro.
(La sentenza esprime la crescente sensibilizzazione verso comportamenti
vessatori, persecutori nei luoghi di lavoro).
Tribunale di Torino 16 novembre 1999
Caso: Dipendente molestato dal diretto superiore con
frasi offensive ed incivili, con postazione di lavoro
angusta e negazione di contatti con i colleghi.
È mobbing quella situazione in cui si pongono in essere
pratiche che incidono gravemente sull’equilibrio
psichico del lavoratore, menomandone la capacità
lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando una
catastrofe emotiva allo scopo di isolarlo dall’ambiente
di lavoro e, nei casi più gravi, espellerlo.
Il caso più famoso: condannati 11 dirigenti
ILVA per mobbing nella palazzina LAF
Cassazione (31413/2006): impiegati più anziani
minacciati di trasferimento in una palazzina «LAF»,
totalmente fatiscente e svuotata di qualsiasi attività,
se non accettavano di essere demansionati e
inquadrati come operai.
«La destinazione alla Laf rappresentava una
minaccia per l' allontanamento dal mondo reale del
lavoro che comportava per le sue caratteristiche di
anticamera del licenziamento».
La giurisprudenza successiva
Attesa l’indeterminatezza della nozione di mobbing, la
giurisprudenza si è preoccupata di indicare elementi e/o
indizi del mobbing.
Rilevano gli atti e i comportamenti negativamente incidenti:
a) sulla reputazione del lavoratore;
b) sui suoi rapporti umani con l'ambiente di lavoro
c) sul contenuto stesso della prestazione lavorativa.
Cassazione 23/5/2013, n. 12725
Il datore di lavoro è contrattualmente obbligato ad assicurare, ai sensi
dell’art. 2087 cod. civ., l'integrità psico-fisica del lavoratore dipendente. Fra
le situazioni dannose e non normate rientra il mobbing inteso come
un complesso fenomeno consistente in:
a) una serie di atti o comportamenti vessatori, illeciti o anche
leciti se considerati singolarmente, protratti nel tempo;
b) posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte del
gruppo di lavoro in cui è inserito o dal capo;
c) caratterizzati da un intento persecutorio e d’emarginazione
d) finalizzato all'obiettivo di escludere la vittima dal gruppo.
Sussiste il mobbing se la vittima
dimostra:
1) Serie di comportamenti di carattere
persecutorio sistematici e protratti nel tempo
2) L’evento lesivo della salute, della personalità
o della dignità.
3) Nesso di causa tra condotta e pregiudizio
4) Intento persecutorio unificante di tutti gli
eventi lesivi.
Quali comportamenti?
Sia comportamenti illeciti che singolarmente
leciti, i quali, valutati in un’ottica complessiva,
denotano lo scopo di vessazione, persecuzione
ed emarginazione.
Esempio: isolamento, continue critiche, turni e
mansioni sgradevoli….
…Anche i dissidi lavorativi?
I dissidi lavorativi integrano il
mobbing?
Non si ravvisano gli estremi del mobbing negli screzi o
conflitti interpersonali nell'ambiente di lavoro che
non siano caratterizzati da volontà persecutoria.
Non si ha mobbing negli episodi collegati a fenomeni di
rivalità, ambizione o antipatie reciproche (che pure sono
frequenti nel mondo del lavoro).
Consiglio di Stato, sez. IV, 19/3/2013, n. 1609
Condotta sistematica e protratta
nel tempo
Rileva una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico
sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore
nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati
comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di
prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la
mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto
lesivo del suo equilibrio psico-fisico e del complesso della sua
personalità. (così Cassazione civile, 17/1/2014, n. 898)
Per quanto tempo?
Cass. Lavoro 9/9/2008, n. 22858
L'individuazione del tempo necessario dipende:
a) dall'ambiente socio-culturale in cui il conflitto si svolge
b) dal tipo di relazioni psicologiche del mobbizzato
c) dallo specifico lavoro svolto.
Alla valutazione di ogni singolo elemento in cui il comportamento si
manifesta, segue una valutazione complessiva e unitaria del fatto.
Un singolo episodio non è sufficiente.
Lo straining
Trib. Brescia 15/4/2011
In assenza di frequenti azioni ostili e della progressione dinamica della
vicenda, si configura lo straining, inteso come una situazione lavorativa
conflittuale in cui la vittima ha subito azioni ostili limitate nel numero
e/o distanziate nel tempo, tuttavia tali da provocarle una mortificazione
in negativo costante e permanente della sua condizione lavorativa.
La vittima subisce un tasso di stress ben superiore a quello normalmente
richiesto dalla sua mansione lavorativa, ovvero superiore a quello dei colleghi o
degli altri addetti alla sua stessa mansione o afferenti alla sua stessa qualifica;
tale stress viene provocato appositamente e deliberatamente ai suoi danni.
Occorre provare:
almeno un'azione ostile, che abbia una conseguenza duratura
e costante a livello lavorativo; la vittima di straining dunque
deve aver subito almeno un'azione negativa che non si è
esaurita ma che continua a far sentire i suoi effetti a livello
lavorativo a lungo termine e in modo costante.
Univocità dello scopo persecutorio
Cons. giust. ammin. Sicilia 25/2/2013, n. 274
La responsabilità datoriale per mobbing può essere esclusa fornendo «una
ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale».
Si considera mobbizzante il comportamento che, anche se in astratto lecito,
si riveli univocamente sorretto dall'illecita finalità di
emarginare progressivamente la vittima dall'ambiente
lavorativo.
Per escludere la responsabilità datoriale occorre dimostrare le situazioni e le
circostanze che di volta in volta giustificano l'esercizio del potere di controllo del
datore o l'adozione di misure organizzative finalizzate a garantire il buon
andamento dell'ufficio.
Un trasferimento illegittimo
configura il mobbing?
Non è sufficiente che l'interessato sia stato trasferito di sede e destinatario
di sanzioni disciplinari, o di un altro fatto soggettivamente avvertito come
ingiusto e dannoso; occorre la reiterazione di tali vicende per un
apprezzabile lasso di tempo ed un preciso intento del datore di
lavoro di vessare e perseguitare il dipendente con lo scopo di demolirne la
personalità e la professionalità.
Non basta distaccare un lavoratore per incompatibilità ambientale, ma
occorre provare una preordinata finalità di emarginazione del lavoratore.
(Tar Calabria, sez. I, 15/3/2013, n. 578)
Quale responsabilità?
Alla base della responsabilità per mobbing lavorativo si pone
normalmente l'art. 2087 cod.civ., che obbliga il datore di
lavoro ad adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità
psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, per garantirne
la salute, la dignità e i diritti fondamentali, di cui agli artt. 2, 3
e 32 Cost. (così Cassazione civile 5/11/2012, n. 18927).
Art. 2087 c.c. rileva:
A) nel caso in cui il datore di lavoro abbia posto
in essere la condotta mobizzante;
B) nel caso in cui la condotta venga posta in
essere da un collaboratore o preposto del
datore di lavoro;
C) nel caso di mobbing posto in essere da un
collega del mobbizzato.
A. Le condotte mobbizzanti del
datore di lavoro
→ art. 2087 c.c. pone non solo un obbligo
positivo in capo al datore di lavoro (di
adottare tutte le misure necessarie), ma
anche un obbligo negativo: astenersi di
porre in essere azioni che possano ledere
la salute e la dignità dei lavoratori;
→ se viola tale norma il datore di lavoro
sarà tenuto a risarcire i danni subiti dal
lavoratore (che dovranno essere dimostrati)
B. Le condotte mobbizzanti dei
dirigenti e preposti
→ anche questi comportamenti sono
imputabili al datore di lavoro;
→ art. 1228 c.c. “il debitore che
nell’adempimento […] si vale dell’opera di
terzi risponde anche dei fatti dolosi o
colposi di costoro”;
→ la responsabilità del datore di lavoro in
questo caso è oggettiva: prescinde dalla
conoscenza e dalla conoscibilità condotte
preposti.
C. Le condotte mobbizzanti dei
colleghi
Più problematico: art. 2087 c.c. pone in capo al
datore di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure
che
secondo
la
particolarità
del
lavoro,
dell’esperienza e della tecnica sono necessarie per
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del
lavoratore.
per non essere chiamato a rispondere il
datore di lavoro deve attenersi agli standard di
sicurezza generalmente praticati.
Il datore di lavoro deve attivarsi per eliminare o
ridurre il rischio di aggressioni psicologiche da parte
dei colleghi della vittima.
Quando ravvisata la responsabilità
per mobbing orizzontale?
una volta che si era verificata una
condotta mobbizzante e che il datore di
lavoro ne era venuto a conoscenza non ha
adottato provvedimenti disciplinari contro
l’autore delle condotte (molestie sessuali)
(Trib. Milano, 28.12.2001; Trib. Pisa, 3.10.2001).
Sulla base di tali principi si
giustificano:
- Art. 55-quater, d.lgs. n. 165/2001
secondo il quale «si applica comunque la
sanzione disciplinare del licenziamento nei
seguenti
casi:
[…]
e)
reiterazione
nell'ambiente di lavoro di gravi condotte
aggressive o moleste o minacciose o
ingiuriose o comunque lesive dell'onore e
della dignità personale altrui […]».
dirigenti dovranno sanzionare gli autori di
tali condotte con il licenziamento.
Codice etico e di comportamento
UNIBO
Capo III «L’Università contrasta le molestie di natura sessuale e morale, anche
in considerazione del carattere discriminatorio e lesivo della dignità umana.
Rifiuta ogni comportamento con connotazioni aggressive, ostili, denigratorie,
persecutorie e vessatorie, assicurando la piena protezione delle vittima. Adotta
le misure idonee a prevenire tali comportamenti illeciti e promuove la cultura
del rispetto della persona anche attraverso iniziative formative ed educative.
Costituisce molestia sessuale o morale ogni comportamento indesiderato da
parte di chi lo subisce, come definito dalla normativa vigente. Rappresenta
circostanza aggravante l’esistenza d’una posizione di asimmetria o
subordinazione gerarchica tra la persona che molesta e la vittima, in particolare
quando tale condotta sia imposta come condizione per l’accesso all’impiego e la
progressione di carriera. Fatti salvi i doveri di denuncia all’Autorità giudiziaria,
l’Università incoraggia a segnalare ogni comportamento abusivo o vessatorio da
parte di chi ne abbia avuto diretta conoscenza».
Capo III: Merito, equità, non discriminazione
e pari opportunità (artt. 8-13)
L’Università favorisce condizioni di benessere psicofisico e un
sereno clima organizzativo negli ambienti di lavoro. Predispone
strumenti d’indagine tesi a comprendere i bisogni delle persone, a
valutare l’impatto dei cambiamenti organizzativi ed avviare, ove
necessario, processi di miglioramento, di ausilio, d’integrazione
lavorativa, di accompagnamento e sostegno per le persone in
situazioni di disagio e vulnerabilità, al fine di favorire la loro piena
inclusione nella comunità universitaria.
Ai componenti della comunità universitaria è richiesto d’improntare
i rapporti interpersonali secondo i principi di correttezza, lealtà e
rispetto reciproco che sono propri del rapporto di colleganza, (…)
nonché di astenersi da ogni comportamento potenzialmente
lesivo dell’onore, della reputazione, della libertà e dignità della
persona.
Possibilità di ricorrere all’art. 2049
c.c. (responsabilità extracontrattuale)
→ norma pone in capo al datore di lavoro la
responsabilità (oggettiva) per fatti posti in essere
da “domestici e commessi” “nell’esercizio delle
incombenze cui sono adibiti”.
serve “nesso di occasionalità necessaria”
con l’attività lavorativa. È sufficiente che la
condotta mobbizzante sia stata resa possibile o
agevolata dall’esercizio delle mansioni? O è
richiesto un quid pluris?
lavoratore potrà scegliere se agire a tale
titolo o ai sensi art. 2087 c.c.
Mobbing e diritto
anti-discriminatorio
Parte II
«Fenomeni intrecciati o differenti?»
La vittima delle condotte mobizzanti è spesso
anche vittima di discriminazioni
Aggressioni alla sfera psichica prendono sovente
di mira soggetti particolarmente deboli tutelati
dalle norme antidiscriminatorie (es. portatori di
handicap fisici o psichici, appartenenti a
minoranze etniche o a un determinato sesso…).
Risoluzione Parlamento Europeo
20.09.2001
• Mobbing si manifesta in quelle forme di lavoro
esercitate più frequentemente da donne e
caratterizzate da maggiore precarietà
Preoccupante coincidenza fra
vittime di mobbing e di
discriminazioni
Diritto anti-discriminatorio può
rappresentare una risposta adeguata in
assenza di normativa specifica sul mobbing?
1. Condotte
vessatorie
possono
essere
equiparate dal punto di vista della fattispecie
al mobbing?
2. Le tecniche di tutela contro le discriminazioni
sono adatte a combattere il mobbing?
Art. 15, St. lav.
Sancisce la nullità di qualsiasi patto od atto diretto a:
subordinare l'occupazione, licenziare un lavoratore, discriminarlo
nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei
provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa
della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua
partecipazione ad uno sciopero.
Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai
patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale,
di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull'orientamento
sessuale o sulle convinzioni personali.
ANALOGIE
Mobbing e discriminazioni sono avvicinabili
perché riferibili ad:
a) atti esercizio di poteri datoriali (assegnazione
mansioni, trasferimenti ecc.);
b) motivi di discriminazione (affiliazione
sindacale, motivi politici, religiosi ecc.).
Inadeguatezze per la repressione del
mobbing
- art. 15 non considera comportamenti materiali
(es. molestie verbali) e i comportamenti
omissivi (es. comportamenti finalizzati ad
isolare il lavoratore);
- inadeguata sanzione della nullità → riferibile
solo agli atti negoziali;
- rilevano solo i comportamenti datoriali, non
quelli dei colleghi (mobbing orizzontale).
DIRITTO ANTIDISCRIMINATORIO
altre norme di riferimento
• D. lgs. n. 198/2006: TU pari opportunità;
• d. lgs. n. 215/2003: divieti di discriminazioni
per ragioni di razze e origine etnica;
• d. lgs. n. 216/2003: divieti di discriminazione
per motivi di religione, convinzioni personali,
handicap, età e orientamento sessuale.
Art. 25, comma 1, d.lgs. n. 198/2006
DISCRIMINAZIONE DIRETTA
Costituisce discriminazione diretta, ai sensi
del presente titolo, qualsiasi atto, patto o
comportamento che produca un effetto
pregiudizievole discriminando le lavoratrici o
i lavoratori in ragione del loro sesso e,
comunque, il trattamento meno favorevole
rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un
altro lavoratore in situazione analoga.
- La definizione comprende anche meri
comportamenti materiali;
- La nozione di discriminazione richiede la
comparazione tra due situazioni
è richiesta anche nel mobbing?
(le due fattispecie potrebbero coincidere qualora il mobbing fosse
diretto verso una donna proprio per la sua appartenenza al
genere femminile)
Art. 25, comma 2, d.lgs. n. 198/2006
DISCRIMINAZIONE INDIRETTA
Si ha discriminazione indiretta quando una disposizione,
un criterio, una prassi, un atto, un patto o un
comportamento
apparentemente
neutri mettono o
possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in
una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori
dell'altro sesso.
per abbattere ostacoli che, nonostante
apparente neutralità, si frappongono alla piena
eguaglianza → Poca rilevanza con il mobbing
Art. 26, d.lgs. n. 198/2006
Molestie e molestie sessuali
Sono considerate come discriminazioni anche le
molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati,
posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo
scopo o l'effetto di violare la dignità di una
lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima
intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Le molestie sessuali sono quei comportamenti
indesiderati a connotazione sessuale, espressi in
forma fisica, verbale o non verbale.
Elementi identificativi
A) indesideratezza del comportamento del
molestatore;
B) scopo o effetto di violare la dignità di una
persona (rileva la violazione della dignità della
persona non serve prova dell’intenzione);
C) creazione di un clima degradante e offensivo
(comprese anche azioni poste in essere da altri
lavoratori).
Quale relazione tra molestie e
mobbing?
Differenze:
a) il mobbing richiede la reiterazione del
comportamento e la continuità nel tempo, mentre la
molestia si realizza anche con condotte isolate;
b) le molestie non sembrano comprendere
comportamenti omissivi a differenza del mobbing. (es:
mancata assegnazione di mansioni);
c) molestie devono essere riconducibili ad uno dei
fattori di discriminazione previsto dalla legge;
Quale relazione tra molestie e
mobbing?
Differenze:
d) nel mobbing è necessario dimostrare un
intento persecutorio del mobber, a differenza
delle molestie che prescindono da tale
valutazione.
Ci sono tuttavia analogie non
trascurabili: lesione della dignità
Le due fattispecie configurano due cerchi che si
sovrappongono per una rilevante parte delle
relative superfici.
MOBBING
MOLESTIE
Posta la parziale sovrapponibilità, si possono
adottare i modelli di tutela delle discriminazioni
anche per le vittime di mobbing?
a) Parziale inversione dell’onere della prova nel
caso delle discriminazioni può operare a
favore del lavoratore vittima di mobbing? (art.
40, d.lgs. n. 198/2006)
Rilevanza a dati statistici che implicano una comparazione. Nei
casi di mobbing condotta è difficilmente soggetta ad un
giudizio di comparazione sicché difficile immaginare
utilizzabilità prova statistica.
Tutela inibitoria (art. 38, d.lgs. n. 198/2006): il
giudice ordina: a. cessazione del comportamento;
b. rimozione degli effetti.
Vero effetto dissuasivo:
- sanzione penale se datore di lavoro non
ottempera all’ordine del giudice;
- esclusione da appalti e revoca benefici
pubblici;
- pagamento di una somma per ogni
giorno
di
ritardo
nell’ottemperare
all’ordine del giudice (solo per le
discriminazioni di genere).
Azione collettiva (art. 37, d.lgs. n.
198/2006)
esperibile quando non sono individuabili in
modo immediato e diretto le vittime delle
discriminazioni
Il
mobbing
ha
una
dimensione
tendenzialmente individuale per cui azione
collettiva non si presta ad essere utilizzata
mobbing «strategico»
Intervento organismi pubblici
(sindacati e consiglieri della parità)
possono agire su delega del
lavoratore (art. 38, d.lgs. n. 198/2006);
possono agire in giudizio con azione
collettiva
Equiparazione delle molestie e molestie
sessuali alle discriminazioni consente
ricorso a tali strumenti
Conclusioni
difficoltà di dimostrare mobbing (intento);
parziale diversità mobbing e molestie e non
piena utilizzabilità nel primo caso dei rimedi posti a
tutela delle discriminazioni;
agire facendo valere, laddove possibile,
esercizio
illegittimo
dei
poteri
datoriali:
demansionamenti, svuotamenti di mansioni,
trasferimenti illegittimi, esercizio esorbitante del
potere disciplinare ecc. chiedendo il risarcimento
dei danni subiti per i provvedimenti illegittimi.
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Discriminazioni e mobbing []