n. 3 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 4 GENNAIO 2015 25 Progetto Articolo 9, ricordando Walter Santagata Vogliamo iniziare il 2015 ricordando le parole di Walter Santagata, economista della cultura scomparso nel 2013, che durante una lezione del Progetto Articolo 9 sottolineò l’importanza delle industrie creative e la necessità di fare della nostra cultura, della nostra creatività e del nostro paesaggio gli ambasciatori della capacità innovativa dell’Italia sui mercati globali. Rifletti su questa considerazione e scrivi a [email protected] Economia e società ulrich beck (1944-2014) roadmap Modello per le imprese Viesti e Di Vico partono dalla necessità di riqualificare il sistema industriale italiano, riducendo i freni alla mobilità delle risorse al fine di aumentare la capacità di innovare L a politica industriale è forse l’ambito più controverso della politicaeconomica.Nonèchiaro qualene sia l’obiettivo (qualeequantaindustria),qualisiano gli strumenti da utilizzare, né come utilizzarli. Forse proprio per lo stato confusionale della materia, il dibattito ha oscillatotralaposizioneliberistadelconducive environment (lo Stato deve limitarsi a garantire le condizioni di contesto in cui le imprese possano operare) e quella di un’economiaquasipianificata(loStato sceglieleindustrie e le sostiene con vari strumenti). Il pendolo nel decennio scorso è stato fermo sulle posizioni liberiste e nel menù proposto dai principali organismi internazionali e anche adottato dalla maggioranza dei Paesi occidentali ci si è limitati a misure che in nessun modo implicassero scelte e preferenze. Per cuibenemisureafavore ditutti(creditidi imposta alla ricerca e sviluppo) o misure che favorisseroilfunzionamentodelmercato(liberalizzazione dei servizi); ma male, malissimo,misurevolteapromuoverequestaoquella attività (investire nelle nanotecnologie o nella siderurgia). Il clima, con la crisi economica e la perdita di posizioni dell’industria in gran parte delle economie occidentali, è cambiato. La Commissione Europea ha varato dal 2012 una seriedidocumentisulrafforzamentodell’industria molto più interventista del passato. Gli Stati Uniti sono intervenuti a sostegno di industrieindifficoltà(vediautomobili)epersostenere l’innovazione in aree specifiche e diversi Paesi europei, come la Francia e la Gran Bretagna,hannoesplicitamenteadottatomisure di sostegno alle industrie strategiche. Il dibattito è ancor più complesso e paradossale nel nostro Paese. L’industria ha un ruolo preminente nell’economia e permette di mantenere una bilancia commerciale for- un libro in gocce di Giorgio Dell’Arti P escatore «Feci conoscenza con Adriano Olivetti, dagli occhi sognanti e dalla volontà di ferro, che pensava come un matematico e sentiva come un mistico. Anche lui era pescatore di uomini» (Altiero Spinelli). Bibbia Olivetti, che trascorreva serate a consultare l’I Ching e nei momenti di dubbio apriva la Bibbia a caso e prendeva ispirazione dai versetti. Ladro La volta che scoprì un dipendente a falsificare i conti. Fece condurre discretamente un’inchiesta sulla sua vita. Vedendo che aveva una situazione familiare intricata, lo convocò e gli comunicò l’aumento dello stipendio della quota che aveva rubato. Firma Olivetti s’era fatto da solo l’analisi grafologica della propria firma. Testimonia Ugo Galassi: «Vi scorgeva qualche segno di temente in attivo, ma allo stesso tempo dalla finedel2007 èstatoperso,forseormaiinmodo definitivo, un quarto dell’output industriale e continui focolai di crisi minacciano la definitiva scomparsa di attività strategiche (vedi la siderurgia). Se dunque sostenere e rilanciare l’industria è un proposito condiviso da tutti, l’incapacità dimostrata nel passato da parte di tutti i governi e istituzioni pubbliche di varare una strategia coerente di sostegno all’industria con l’apparato necessariodi selezioneevalutazione deiprogrammi rende assai scetticisulla capacità di rifondare una politica industriale contemporanea. Il Governo ha rilanciato una riflessione in questo campo con il varo dell’Industrial Compact (di cui chi scrive fa parte), l’adozione di misure di sostegno alla ricerca e agli investimenti e infine la gestione di crisi di aziende chiave, come le acciaierie di Terni o l’Electrolux. Ma fino a dove e in che modo debbaspingersil’azionedipoliticaindustriale è ancora questione più che aperta. Perorientarsiinquestacomplessaquestione ci aiuta un agile libretto della bella collana de Il Mulino, Bianco e Nero, scritto a quattro mani da un economista (Gianfranco Viesti) e un giornalista economico (Dario Di Vico), checidanno unaprospettivasoloapparentementecontrapposta(presuppostodellacollana)einvece articolataecoerente sulpossibile dellapoliticaindustrialenelnostroPaese.Entrambi infatti partono dalla stessa diagnosi. La necessità di riqualificare il nostro sistema industriale,attraversolacrescitadelladimensione delle imprese, la transizione verso modelli di governance più avanzati, il miglioramentodellastrutturapatrimonialeel’immissionedinuove competenze,alfinediaumentarelacapacitàdiinnovareeinternazionalizzarsi.E favorire unmodello fluido, unavisione dell’industria dinamica in continuo progresso e cambiamento dove si deve lavorare di Sabino Cassese U ars construens | «L’isola dei giocattoli» di Alberto Savinio, 1930, olio su tela , 80x110 cm, collezione privata. Opera esposta ad Aosta, al Centro Saint-Bénin, nella mostra «Alessandro Mendini. Empatie Un viaggio da Proust a Cattelan» fino al prossimo 26 aprile per ridurre i freni alla mobilità delle risorse, alla possibilità che denaro uomini e macchine vadano verso progetti nuovi e virtuosi. Viesti flirta con l’idea del grand plan. Per raggiungere questi obiettivi sostiene, lo Stato può darsi una strategia chiara ed esplicita, non deve insomma avere paura di prendere posizione.Di Vico invece propone un modello di economia industriale on the road, ossia fondata sullecose che già si sono fatte nel più o meno normale corso degli eventi fino ad ora e che coinvolga diversi soggetti privati e pubblici. Vedi le banche, che diventino partnerstrategicienonsolocreditoridelleimprese; o il Fondo Strategico Italiano, un esperimento molto importante di intervento pubblicoincoerenzaconilmercato;oinuovimodelli di distribuzione alla Eataly, che sostengono e si portano dietro filiere complesse e articolatedipiccoliproduttorisparsisulterri- torio. E infine i distretti, che hanno saputo in molti casi reinventarsi senza scomparire. Leduericettenonsonoincompatibili,siintegranoinunapropostadipoliticaindustriale di Stato e di Mercato. Ci danno un affresco di idee su quel che già si è fatto e si potrebbe ragionevolmentefare.IlGovernosistainparte muovendo in questa direzione, ma ancora manca un disegno complessivo coerente ed esplicito. Non è facile in sistemi economici che si trasformano continuamente e sempre più fluidi capire dove andare. Ma disegnare una roadmap per il futuro sarà inevitabile. [email protected] ©RIPRODUZIONE RISERVATA Dario Di Vico e Gianfranco Viesti, Cacciavite, Robot e Tablet. Come far ripartire le imprese, il Mulino, Bologna, pagg. 140, € 12,00 Olivetti, «pescatore di uomini» debolezza, interpretava quello svolazzo che dalla "v" avvolge il cognome come un elemento volontaristico, uno slancio rivolto verso il futuro. In definitiva, si riteneva persona portata all’immaginazione, all’arte, che guarda avanti». Biblioteca Prima azione di Geno Pampaloni assunto da Olivetti come direttore della biblioteca di fabbrica: togliere le griglie che proteggono gli scaffali pieni di libri. Subito spariscono alcuni testi. Olivetti se ne rallegra: «Allora vuol dire che li leggono». Malizia Adriano Olivetti non sopportava i sottintesi maliziosi, gli ammiccamenti al sesso, la volgarità dei doppi sensi. Giornata La giornata tipo di Adriano Olivetti negli anni 50. Sveglia alle 8.30, veloce colazione. Poi in fabbrica, portato dall’autista Luigi Perotti che gli ha già Il teorico Per uno Stato della società più piccolo del rischio ed efficiente di Alberto Mingardi di Giorgio Barba Navaretti consegnato il pacco di giornali da sfogliare. Li legge in ufficio e consegna pagine sottolineate alla segretaria perché le distribuisca ai vari collaboratori. Alle 13.30 torna a casa per il pranzo. Segue breve riposo e consultazione della rivista e le proposte per le Edizioni di Comunità. Ritorno in fabbrica alle 15.30. Verso la fine della giornata, quando gli uffici sono vuoti, i colloqui con urbanisti e architetti. Fine del lavoro alle 20/20.30. Fini «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi fini semplicemente nell’indice dei profitti? O non vi è al di là del ritmo apparente, qualcosa di più affascinante, una trama ideale, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?». (Olivetti il 23 aprile 1955 all’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli). Extra Olivetti, che a Carlo Corbisiero, assunto nella biblioteca del quartiere Ina, riconobbe una voce extra nello stipendio come indennità sociale perché riconosciuto innocente dopo aver scontato diciotto anni di carcere. Stipendio Nel 1957 un lavoratore Olivetti guadagnava 60mila lire al mese. Media del settore metallurgico: 40mila (anche in Fiat si guadagnava meno). Aggiungendo i benefit dell’assistenza e dei servizi sociali, la qualità di vita di un operaio Olivetti risultava dell’80% superiore a quella di operai e impiegati di altre industrie comparabili. lrich Beck, morto la sera di Capodanno, è stato fra i più noti sociologi contemporanei. La sua fama è legata in larga misura a un’analisi fortemente critica della globalizzazione, della quale ha più volte sottolineato gli aspetti problematici. È noto per aver teorizzato una "società del rischio" nella quale discontinuità di vario genere (dal cambiamento climatico al terrorismo internazionale) rendono obsolete visioni del mondo e prassi consolidate. Il suo libro sulla Risikogesellschaft vide la luce nel 1986, appena prima dell’incidente di Chernobyl, e si caratterizza per una riflessione circa la natura dei rischi fronteggiati dall’umanità, in misura sempre maggiore legati al progresso tecnologico. Per questo il ventunesimo secolo ha visto Beck fra i protagonisti del grande show del dibattito pubblico internazionale. Quanto più il mondo è interconnesso, tanto più ci confrontiamo con incognite onnipresenti e difficili da padroneggiare. La risposta a questa esplosione del rischio e alla minaccia di "crisi globali sincronizzate" risiederebbe per Beck in forme di cooperazione internazionale, nel segno di un superamento dello Stato nazionale. "Dopo" la statualità non vi sarebbe pertanto qualcosa di tutt’ora imprevedibile e necessariamente diverso, semmai una sorta di riproposizione, su più vasta scala, di meccanismi non dissimili da quelli che ne hanno decretato il successo. Non a caso, Beck stesso immaginava che nuove istituzioni internazionali potessero essere la risposta a nuove paure, generate da eventi sconvolgenti quali l’11 settembre. In un suo libro recente, scritto assieme alla moglie Elisabeth Beck-Gernsheim, L’amore a distanza. Il caos globale degli affetti (Laterza, 2012), Beck è tornato a occuparsi del tema dell’evoluzione della famiglia. Se agli albori della nostra storia «il legame geografico rappresentava il connotato decisivo della famiglia», oggi tale legame è messo in crisi nel quotidiano vivere di persone di ogni ceto sociale, dalle classi dirigenti agli immigrati: si tratti di rapporti allacciati via social network o di coppie biculturali. La "globalizzazione" degli affetti è un fenomeno ancora tutto da esplorare. Senza tacerne i problemi, i Beck coltivavano una speranza: che «quante più identità una persona ospita dentro di sé, tanto più semplice diventa comprendere la prospettiva degli Altri esclusi». Le famiglie internazionali, fragili ma anche forti in virtù delle molteplici appartenenze, potrebbero rivelarsi scuola di tolleranza. © RIPRODUZIONE RISERVATA S econdo l’ufficio statistico britannico, la produttività nel settore dei servizi privati è aumentata del 14 per centotrail1999 eil2013, mentrequella del settore pubblico è diminuita dell’1 per centonelperiododal1999 al2010. Nonostante questoimportanteindicedellacrisi delsettore pubblico,i politicisicomportano neisuoi confronti come architetti che si preoccupano di unafinestrache nonfunziona, mentre l’intera casa crolla. Questo libro, scritto da due collaboratori dell’«Economist» nello stesso stile diretto, semplice e pieno di esempi concreti proprio del settimanale, auspica una quarta rivoluzione dello Stato, sostenendo la tesi che quanto si va facendo da qualche decennio per lariforma della pubblica amministrazione è insufficiente. Secondo gli autori, la prima rivoluzione fu quella rappresentata dal Leviatano di Hobbes (1651), che pose le basi dello Stato garante del "law and order". La seconda quella liberale di cui fu interprete John Stuart Mill, che permise l’introduzione del principio del merito nella pubblicaamministrazione.LaterzaquellaimpersonatadaBeatriceWebb,cheportòallosviluppodelloStatodelbenessere. Ora,infine,c’è bisogno di una razionalizzazione e riduzione dell’areaoccupatadalloStato,laquartarivoluzione.Dal1930 -osservanogliautori-leimprese private hanno radicalmente cambiato i loro tipiemoduliorganizzativi: hanno sostituitole gerarchierigideconretifluide;hannoesternalizzato le loro attività, salvo quelle essenziali; si sono specializzate; si valgono di personale esterno per l’innovazione; hanno personale checambiacontinuamente.Alcontrario,leorganizzazioni pubbliche svolgono tutte le loro funzioniall’interno,sonocentralizzate,temono l’innovazione, sono rigidamente fedeli al principio di uniformità. Bisognerebbe, quindi,re-ingegnerizzareloStato,vendere igioiellidifamiglia,sforbiciareglientitlements (idiritti che spettanoin forma automatica ai privati). Uno Stato più razionale e di minori dimensioni potrebbe funzionare meglio. Gli autori illustrano le loro tesi con dovizia di esempi, dalla sanitàaBangalore(inIndia), allaSvezia,aSingapore,alleamministrazionilocalidimoltiPaesi. E misuranola distanza percorsa negli ultimi due secoli. Basti dire che nel 1748 gli uffici del Tesoro inglese segnalavano che un impiegato con funzioni importanti da quarant’anni non si presentava in ufficio. Illibrosiapreconladescrizionedell’Accademiaperlaformazionedellaéliteamministrativa cinese, che deve formare lafutura classedirigente di quel Paese, con sede principale nei pressi di Shanghai. Vi passano diecimila funzionari per anno, ciascuno dei quali deve poi ritornarvi almeno una volta nei cinque anni successivi. Vi si formano dirigenti attraverso lezioni, ma principalmente con lavori "sul campo" (ad esempio, come costruire infrastruttureocomeridisegnareilsistemapensionistico). La preferenza è data a tecniche applicate, piuttosto che alla teoria. Insomma, lì si formano i "mandarini" del futuro, quelli che potranno razionalizzare lo Stato. A quando una scuola di questo tipo in Italia? © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA Fatti tratti da: Valerio Occhetto, Adriano Olivetti. La biografia, Edizioni di Comunità, Roma, pagg. 314, € 16,50 la quarta rivoluzione studioso | Ulrich Beck John Mickletwait and Adrian Wooldridge, The Fourth Revolution, The Global Race to Reinvent the State, New York, The Penguin Press, pagg. 304, $ 27,95