PARTE DICIOTTESIMA
L'età della globalizzazione.
Ideologie e forme del Post-moderno
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SEZIONE PRIMA
LA STORIA
(Dal 1968 ai giorni nostri)
1.1 Il periodo storico
È ormai acquisito presso molti storici il giudizio secondo cui, in contrasto con
l'Ottocento (un “secolo lungo” protrattosi, con la belle époque, fino alla vigilia della
prima guerra mondiale), il Novecento sia stato un “secolo breve”, iniziato nel 1914 e
conclusosi nel 1991, con il crollo dell'Unione Sovietica.
Il periodo dall'ultimo quarto del Novecento ai primi anni del Duemila si può distinguere
in tre fasi. La prima fase (1968-1973) segna la prosecuzione (ma con i primi segni di
crisi) di quel periodo senza precedenti nella storia dell'umanità che registrò una così
straordinaria crescita economica e una così profonda trasformazione sociale da essere
definito l'Età dell'oro. Iniziata poco dopo la conclusione della seconda guerra mondiale,
l'Età dell'oro si è conclusa nel 1973, quando ha avuto inizio una crisi petrolifera, con
gravi ripercussioni nell'economia mondiale. Si è entrati da allora in una seconda fase, di
incertezza e di decomposizione degli equilibri internazionali, che è culminata, nel 19891991(il biennio conclusivo del “secolo breve”), con un evento di grande portata
simbolica come la caduta del muro di Berlino (1989) e con altri due eventi decisivi,
come la disintegrazione dell'impero sovietico e la guerra del Golfo (1991), con i quali è
finita un'epoca nella storia del mondo. La terza fase, dal 1991 ai giorni nostri, è tuttora
oggetto di dibattito politico, di fronte al quale è opportuno che la storia si arresti.
1.2 La crisi energetica e i problemi dell'economia mondiale
Lo "shock" petrolifero. Durante la quarta guerra arabo-israeliana, detta del Kippur (v.
Parte XVII, 1.9), gli stati arabi produttori di petrolio decisero di limitare la produzione
del greggio per punire i paesi sostenitori di Israele. L'aumento vertiginoso del prezzo del
petrolio colpì in particolare i paesi dell'Europa occidentale e il Giappone, costringendoli
a introdurre inconsuete misure di austerità (come le "domeniche a piedi o in bicicletta").
L'inflazione derivata dall'aumento dei prezzi toccò, nel 1974, punte del 15 % annuo,
determinando recessione e disoccupazione. Tra gli effetti del cosiddetto "shock
petrolifero" vi fu quell'intreccio inedito di stagnazione (cioè di rallentamento delle
attività produttive) e inflazione (due fenomeni considerati fino ad allora incompatibili)
che gli economisti definirono con il termine di stagflazione. Divenuti un soggetto forte
sul mercato dei capitali, i paesi petroliferi ammassarono una ingente quantità di
petrodollari (i dollari pagati in cambio di petrolio) che però, in seguito alla fine degli
accordi di Bretton Woods (vedi Parte XVII, 1.2), rimasero inconvertibili in oro e furono
tra i principali fattori dell'impennata inflazionistica degli anni Settanta.
Il problema energetico. Una importante conseguenza della crisi petrolifera fu la ricerca
di fonti energetiche alternative al petrolio: si intensificò la costruzione di centrali
termonucleari e acquistò rilievo l'uso dell'energia solare, mentre si manifestava un
rinnovato interesse per energie "pulite" e rinnovabili come quella eolica. Rimaneva però
molto forte la preoccupazione per il previsto esaurimento delle riserve energetiche, che
fin dal 1972 aveva indotto alcuni centri di ricerca, come il MIT (Massachusetts Institute
of Technology) e il Club di Roma, ad auspicare una limitazione dello sviluppo
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dell'industrializzazione fino a una “crescita zero”, per evitare il ripetersi di drammatiche
crisi energetiche. Si poneva a questo punto un problema di enorme portata: quello del
rapporto tra i paesi ricchi e le società più povere del Terzo Mondo.
Lo sviluppo ineguale. I due organismi istituiti con gli accordi di Bretton Woods per la
cooperazione internazionale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca
Mondiale (BM), ritengono tuttora che il risanamento nei paesi economicamente più
deboli si possa ottenere solo attraverso le privatizzazioni e una drastica riduzione delle
spese del welfare state (stato di benessere): pensioni, scuola, sanità. Si tratta però di
misure che, mentre favoriscono la penetrazione e il controllo dei capitali stranieri,
rafforzano nei paesi del Terzo Mondo una struttura a due livelli: gli ultraricchi e una
massa enorme di gente poverissima. La conferma di tale situazione viene da una fonte
attendibile, i Rapporti sullo sviluppo umano dell'ONU, che indicano una netta
divaricazione della popolazione mondiale: il 20%, coincidente con la popolazione dei
paesi più industrializzati, detiene l'80% della ricchezza mondiale, mentre, all'estremo
opposto, un altro 20% (corrispondente alla popolazione dei paesi più arretrati) si trova
al di sotto della cosiddetta «soglia di povertà»; infine, il restante 60% della popolazione
mondiale, situato tra il 20% dei paesi più ricchi e il 20% dei paesi più poveri, vede
restringersi progressivamente la propria partecipazione al reddito, in seguito alla
riduzione dei salari e alla scomposizione dei "ceti medi" (una parte dei quali si è
proletarizzata).
Il passaggio dal fordismo al post-fordismo. Una trasformazione epocale della
produzione industriale è il passaggio dal fordismo a un nuovo modello che viene
chiamato “post-fordista” o “toyotista” (dal nome della Toyota, la casa automobilistica
giapponese che ha sperimentato su larga scala i nuovi processi di produzione). Mentre il
fordismo puntava sulla crescita quantitativa, sul gigantismo degli impianti, sulla
centralità della fabbrica entro una dimensione prevalentemente nazionale, nel quadro
mondiale di mercati in continua espansione, il post-fordismo si fonda sul principio
opposto di uno sviluppo limitato, che non implica più una crescita occupazionale. Il
nuovo modo di produzione si inserisce nel quadro di una “de-territorializzazione”
dell'impresa e del ciclo produttivo: il prodotto industriale tende a standardizzarsi, a
perdere le sue caratteristiche nazionali per essere vendibile su ogni mercato: le
componenti diverse del prodotto finito, sia esso auto o computer o altro, sono prodotte
in nazioni dove il costo del lavoro è minore e poi assemblate dal produttore finale.
Dinanzi a questa situazione del mercato mondiale, occorre uno snellimento della
fabbrica post-fordista, se si vuole rimanere competitivi. È questo il senso della
"rivoluzione toyotista", che consiste nella drastica riduzione degli sprechi organizzativi,
nella tecnica del just in time (far giungere i pezzi esattamente nel luogo e nel momento
in cui devono essere impiegati) e soprattutto nello stimolare nei lavoratori un processo
di identificazione con l'azienda. L'aspetto più preoccupante del nuovo sistema di
produzione (Toyota production system) consiste nella tendenza a ridurre i costi
esclusivamente a prezzo dei livelli occupazionali.
La mondializzazione dell'economia. La trasformazione post-fordista si inserisce nel
quadro di una sempre crescente mondializzazione (o globalizzazione) dell'economia. Si
è formata una massa di ricchezza, priva di nazionalità e di localizzazione, di dimensioni
enormi, calcolate nell'ordine di 3-5 volte maggiore della somma di riserve monetarie di
tutte le banche centrali dei sette paesi più industrializzati del mondo. Tale nuova
ricchezza, grazie alle nuove tecnologie nel campo delle telecomunicazioni (le
“autostrade elettroniche dell'era informatica”, come sono state definite), si sposta
rapidamente da una nazione all'altra, a seconda delle nuove possibilità di investimenti
che si presentano volta per volta, ed è sostanzialmente incontrollabile sul piano fiscale
per la sua extra-territorialità. Ne discende un grave problema di diseguaglianza
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all'interno delle stesse nazioni sviluppate, che rende sempre più pressante l'esigenza di
una difesa della socialità contro una sfera economica sempre più autonoma da ogni
vincolo sociale.
1.3 Gli Stati Uniti: da Nixon a Clinton
La presidenza Nixon. Nel 1968 fu eletto alla presidenza degli Stati Uniti il
repubblicano Richard Nixon (1913-1994), un politico spregiudicato, che si era distinto
alla Camera per il suo intransigente anticomunismo. Sotto la sua presidenza, la guerra
nel Vietnam si intensificò, con massicci bombardamenti a tappeto e con l'estensione del
conflitto alla Cambogia e al Laos. In politica interna, l'atto più rilevante fu la
dichiarazione dell'inconvertibilità del dollaro (1971). Rieletto nel 1972, nell'anno
successivo Nixon pose fine alla guerra vietnamita, prendendo atto della sconfitta
militare (la prima nella storia degli Stati Uniti) subìta ad opera dell'esercito vietnamita
del generale Giap. Per iniziativa del segretario di stato Henry Kissinger, fu avviata dagli
Stati Uniti una politica di riavvicinamento verso la Repubblica popolare cinese.
Coinvolto nello scandalo Watergate (l'uso di intercettazioni telefoniche nel palazzo del
Watergate, quartier generale dei democratici a Washington, da parte
dell'amministrazione nel corso della campagna elettorale del 1972), Nixon fu costretto
(primo presidente nella storia statunitense) a dimettersi nel 1974.
La presidenza Carter. Dopo la presidenza di transizione (1974-1976) del repubblicano
Gerald Ford, nel 1976 fu eletto il democratico Jimmy Carter (nato nel 1924), che
lanciò una campagna per il rispetto dei diritti umani ed ebbe il merito, in politica estera,
di promuovere un incontro a Camp David tra Israele ed Egitto (1979), che portò a
negoziati di pace e alla restituzione del Sinai all'Egitto.
La presidenza Reagan. Nelle elezioni del 1980, Carter fu sconfitto dal repubblicano
Ronald Reagan (1911-2004), che si giovò della sua esperienza di ex attore per
assumere in televisione il ruolo di "grande comunicatore". Convinto sostenitore delle
posizioni neoliberiste, Reagan mise in atto una politica di deregulation (cioè di graduale
smantellamento del welfare state costruito dai democratici) e puntò, nella politica
economica (la cosiddetta reaganomics), all'abolizione dei vincoli posti a controllo
dell'iniziativa imprenditoriale privata. La pressione fiscale fu alleggerita, con una
conseguente ripresa dell'economia e una diminuzione dell'inflazione, a spese però di un
grave disavanzo della bilancia commerciale con l'estero e di un debito pubblico
appesantito da un ingente piano di riarmo (compresa la costruzione di uno "scudo
spaziale") per sconfiggere l'Unione Sovietica, definita da Reagan l'«impero del male».
In politica estera, Reagan attuò una politica di interventi nell'America centrale,
culminata nel 1983 con l'invasione di Grenada, un'isola dei Caraibi dove si era installato
un governo filo-cubano e dove fu imposto un governo filo-americano. Rieletto nel 1984,
Reagan modificò parzialmente la politica verso l'Unione Sovietica e si incontrò più
volte con Gorbaciov, creando le premesse per spazzar via gli ultimi residui della guerra
fredda. Nel novembre 1986 esplose il caso Irangate (così chiamato per analogia con lo
scandalo Watergate): si scoprì che la vendita di armi a gruppi moderati iraniani era stata
in parte utilizzata dall'amministrazione Reagan per finanziare i contras, guerriglieri
anti-sandinisti del Nicaragua, ai quali il Congresso aveva sospeso gli aiuti. La caduta di
prestigio di Reagan fu inevitabile e divenne ancora più grave dopo il "lunedì nero" (19
ottobre 1987), quando la Borsa di Wall Street registrò un crollo del 22,6 per cento
(quasi il doppio del crollo registrato nel 1929).
La presidenza Bush. L'eredità di Reagan fu raccolta, nel 1988, dal repubblicano
George Herbert Bush (nato nel 1924), che proseguì le trattative con l'URSS per la
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riduzione delle armi strategiche (firma del trattato START nel 1991); ma il suo nome in
politica estera è legato soprattutto alla Guerra del Golfo del 1991, della quale ci
occuperemo più avanti. Gravi furono, in politica interna, gli insuccessi di Bush, che si
trovò in difficoltà nel fronteggiare un deficit di 362 miliardi di dollari.
La presidenza Clinton. Nel 1992 i democratici tornarono alla Casa Bianca con Bill
Clinton (nato nel 1946) che fu rieletto nel 1996. Nel suo primo mandato, Clinton
affrontò le questioni dell'istruzione e della formazione e cercò di promuovere un
programma di aiuti sociali agli strati più poveri della popolazione e di realizzare una
riforma sanitaria; ma l'opposizione repubblicana, forte della maggioranza conquistata al
Congresso, lo costrinse a rinunciare in gran parte ai suoi progetti. Più positiva è stata la
politica estera di Clinton, specie per la mediazione svolta nel conflitto arabo-israeliano.
1.4 La disgregazione dell'impero sovietico e la fine del “socialismo reale”
La segreteria Breznev. Segretario del Partito comunista sovietico dal 1964, Leonid
Breznev (1906-1982) attuò, come si è già accennato (vedi Parte XVII, 1.10), una dura
repressione del dissenso degli intellettuali all'interno e una brutale invasione della
Cecoslovacchia (1968) nell'ambito dell'impero sovietico. Esponente delle tendenze più
conservatrici del partito, accentrò nelle sue mani tutto il potere, cumulando nel 1977
(per la prima volta nella storia dell'URSS) le cariche di capo del partito e di capo dello
Stato. In campo internazionale, Breznev perseguì una politica di potenza, imprimendo
all'URSS una spinta espansionistica in Africa e in Asia e installando in Europa i missili
SS20. Si trattò di una corsa insensata al riarmo, che non teneva conto dell'incalcolabile
superiorità tecnologica degli Stati Uniti e sanciva il primato dell'industria pesante a
scapito di quella leggera, che continuava a offrire prodotti scadenti ai consumatori. In
compenso, il sistema sovietico garantiva alla popolazione un tenore di vita minimo e la
sicurezza del posto di lavoro.
Le riforme di Gorbaciov. Dopo una fase transitoria seguita alla morte di Breznev
(1982), nel 1985 ascese al potere il capo del gruppo dei rinnovatori, Michail Gorbaciov
(nato nel 1931). Incontestabili sono i meriti di Gorbaciov nella politica estera: gli si
deve la fine della guerra fredda, raggiunta dopo i "vertici" con Reagan a Reykjavik
(1986) e a Washington (1987), che ebbero come conseguenza lo smantellamento degli
"euromissili" da parte delle due superpotenze. Salutare fu inoltre la decisione, presa da
Gorbaciov nel 1988, di ritirare l'Armata Rossa dall'Afghanistan, che era stato invaso nel
1979, per iniziativa di Breznev. All'interno, due furono i cardini della politica
riformistica di Gorbaciov: la perestrojka ("ristrutturazione"), sul piano economico, e la
glasnost ("trasparenza"), sul piano politico. Ma tra queste due riforme si aprì un
conflitto insolubile: la glasnost, malgrado i suoi innegabili meriti, finì con il decretare
l'insuccesso della perestrojka. Il sistema sovietico era infatti essenzialmente autoritario
e Gorbaciov tentò di riformarlo dall'alto, gettando le basi di uno Stato costituzionale e
democratico, basato sulla separazione tra partito e Stato e sul riconoscimento dei diritti
civili (non a caso, fu richiamato dall'esilio lo scienziato Andrej Sacharov, il leader più
prestigioso del movimento democratico). Ma il partito-Stato (la cosiddetta
nomenklatura) manteneva saldamente le redini del comando e non intendeva
rinunciarvi. Di conseguenza, il tentativo gorbacioviano di instaurare una democrazia
nelle fabbriche (obiettivo fondamentale della perestrojka) doveva apparire poco
credibile, se prima non si poneva fine al potere della nomenklatura. Inoltre, mentre la
glasnost minava l'autoritarismo del vecchio sistema, la perestojka distruggeva a sua
volta i vecchi meccanismi dell'economia sovietica, senza offrire una reale alternativa. Il
paese sprofondò così nell'anarchia economica: il tenore di vita dei cittadini crollò in
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seguito a un'inflazione sempre crescente, mentre (in seguito ai licenziamenti della
manodopera eccedente) si perdeva la sicurezza sociale. Il crollo economico divenne
irreversibile nel corso di pochi mesi, tra l'ottobre 1989 e il maggio 1990.
La fine dei partiti comunisti nei paesi dell'Est. Intanto, negli ultimi mesi del 1989,
crollavano i regimi comunisti nei paesi satelliti dell'Est. Ciò accadde in seguito
all'abbandono, da parte di Gorbaciov, della "dottrina Breznev" sulla sovranità limitata,
che prevedeva l'intervento militare dei paesi del Patto di Varsavia per reprimere ogni
insurrezione anti-comunista. Il paese del blocco comunista che anticipò tutti gli altri
nella via delle riforme fu l'Ungheria, che, sotto l'abile guida di János Kádár (19021989), riconobbe fin dal gennaio 1989 la libertà di associazione e di riunione;
nell'aprile, furono aperte le frontiere tra Ungheria e Austria, consentendo così l'esodo di
massa dei Tedeschi dell'Est verso l'Occidente; nell'ottobre, infine, il Partito comunista
ungherese si trasformò in Partito socialista e si gettarono le basi per libere elezioni. In
Polonia, il dissenso nei confronti dell'URSS si era espresso fin dal 1980 sotto forma di
lotta operaia, concretandosi nella fondazione di Solidarnosc, un sindacato indipendente
di impronta cattolica. Per prevenire il probabile intervento sovietico, il potere era stato
assunto nel 1981 dal generale Wojciech Jaruzelski, che aveva proclamato la legge
marziale. Divenuto capo dello Stato (1985-1989), Jaruzelski favorì la pacificazione,
traghettando il paese verso la democrazia. Nel 1989 si tennero le prime elezioni libere e
la Polonia divenne una repubblica democratica, di cui il primo presidente fu il leader di
Solidarnosc, Lec Walesa (1990). In seguito, mentre Solidarnosc si sfaldava per contrasti
interni, gli ex comunisti riconquistarono il potere nel 1993, facendo leva sul
malcontento della popolazione per il venir meno delle garanzie sociali assicurate dal
vecchio regime. L'unico paese del blocco comunista in cui dilagò la violenza al
momento del crollo del vecchio regime fu la Romania. Durante un comizio a Bucarest
(21 dicembre 1989) il dittatore romeno Nicolae Ceausescu fu interrotto da una protesta
spontanea della folla; pochi giorni dopo, accusato di genocidio, corruzione e distruzione
dell'economia nazionale, fu giustiziato. Nella Germania dell'Est, il segretario del Partito
comunista, Eric Honecker, fu costretto alle dimissioni nel 1989 dai movimenti di
massa che chiedevano la riunificazione delle due Germanie. Un avvenimento
memorabile, assunto come simbolo della svolta della storia mondiale, fu l'abbattimento,
nel corso di una grande manifestazione, del muro che divideva Berlino in due parti (9
novembre 1989).
La disintegrazione dell'URSS. Segni premonitori dell'imminente sfacelo dell'Unione
Sovietica furono nel 1988 le agitazioni in Armenia, che rivendicava l'indipendenza,
ottenuta nel 1991, e la secessione dell'Estonia, che nel 1988 si proclamò autonoma
(diventerà indipendente nel 1991 come gli altri due stati baltici, la Lettonia e la
Lituania). Gorbaciov cercò di correre ai ripari per frenare la disgregazione dello Stato:
nel 1989 creò il Congresso dei deputati dell'URSS, nel 1990 fu eletto presidente, e, alla
fine di quell'anno, propose un trattato tra le repubbliche dell'URSS per la costituzione di
una unione federativa. Ma, il 18 agosto 1991, la vecchia nomenklatura tentò contro di
lui un colpo di stato che fallì clamorosamente, aprendo la strada ai democratici radicali
e filo-occidentali seguaci di Boris Eltsin (nato nel 1931). Messosi alla testa della
resistenza contro i cospiratori, Eltsin costrinse Gorbaciov a dimettersi e sciolse il Partito
comunista. Nel dicembre 1991 nacque la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), cui
aderirono la Russia, l'Ucraina, la Bielorussia e altre repubbliche. La bandiera rossa fu
ammainata sulle torri del Cremlino: l'Unione Sovietica, nata con la rivoluzione d'ottobre
del 1917, era finita. Ma non erano finite le difficoltà della Russia. Nei tre anni
successivi allo smantellamento dell'URSS, la produzione cadde di circa il 50 per cento.
Si formarono compagnie per azioni di tipo occidentale, ma esenti da qualsiasi controllo,
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e si aprirono numerose banche, che guadagnarono somme colossali speculando sulla
debolezza del rublo e investendo capitali all'estero. Si diffuse su larga scala la
criminalità organizzata, mentre un potere mafioso si impadronì dell'industria
dell'alluminio, la seconda del paese dopo quella degli idrocarburi. La situazione in
Russia divenne presto esplosiva, in seguito ad una sempre più grave crisi economica.
1.5 L'Europa verso la riunificazione
La Germania: il cammino verso l'unità. Principale beneficiaria della disgregazione
dei paesi dell'Est fu la Germania, che poté raggiungere la sua unità nazionale.
Riassumiamo le tappe di questo cammino. A Willy Brandt (vedi Parte XVII, 1.7)
succedette alla guida del governo (1974) il socialdemocratico Helmut Schmidt (nato
nel 1918), un esperto di questioni economiche. Durante il cancellierato di Schmidt,
divenne più grave nel 1977 l'emergenza del terrorismo, con il rapimento e l'uccisione
del presidente della Confindustria tedesca, Hanns Martin Schleyer, e la morte in carcere
dei capi dell'organizzazione terroristica Rote Armee Fraktion ("Frazione armata rossa").
Sul piano della politica europea, Schmidt diede un importante contributo alla creazione
dello SME (Sistema Monetario Europeo). Nel 1982 fu eletto cancelliere il cristiano
democratico Helmut Kohl (nato nel 1930). Fautore di una politica liberistica all'interno
e attento ai problemi europeistici, Kohl rafforzò i legami con la Francia e fu tra i
protagonisti della riunificazione delle due Germanie (ottobre 1990). L'unità tedesca,
realizzata con gravi difficoltà sul piano economico, ha mutato profondamente gli
equilibri politici dell'Europa.
Il predominio dei conservatori in Inghilterra. Dopo il governo laburista di Harold
Wilson (vedi Parte XVII, 1.7), i conservatori tornarono al potere (1970-1974) con
Edward Heath che guidò l'ingresso inglese nella CEE (Comunità economica europea)
e dovette fronteggiare gravi crisi interne, come lo sciopero dei minatori e il conflitto
nord-irlandese. Dopo una nuova parentesi laburista (secondo governo Wilson, 1974-76,
governo di James Callaghan, 1976-1979), nelle elezioni del 1979 ascese al potere la
conservatrice Margaret Thatcher (nata nel 1925), che governò fino al 1990.
Soprannominata la “lady di ferro” per il suo intransigente liberismo in economia, la
Thatcher procedette alla privatizzazione di gran parte dell'industria di Stato e allo
smantellamento del welfare state, con forti tagli alle spese sociali: fu così sanata la crisi
della sterlina, ma al prezzo di un brusco aumento della disoccupazione. Durissimo fu
l'atteggiamento della Thatcher nei confronti dei sindacati, soprattutto in occasione dello
sciopero a oltranza dei minatori (ottobre 1984-marzo 1985). In politica estera, il
maggiore successo della Thatcher fu, nel 1982, l'intervento della flotta inglese nelle
isole Falkland (o Malvine), in possesso dell'Inghilterra fin dal 1833 e occupate dalla
dittatura militare argentina: decisamente anacronistica, tale impresa esaltò tuttavia
l'orgoglio nazionale degli inglesi e rinsaldò il governo conservatore. Il declino della
“signora di ferro” iniziò nel 1990 con la discussa poll tax (un'imposta che colpiva
inizialmente i soli proprietari di case, poi estesa a tutti i cittadini) e con l'inflazione
molto elevata (10,6 %). L'isolamento britannico, dovuto all'ostilità del governo a una
maggiore integrazione economica nella Comunità europea, costrinse la Thatcher alle
dimissioni.
L'era di Mitterrand in Francia. Nel 1969 succedette a De Gaulle, come presidente
della Repubblica francese, George Pompidou, che era già stato primo ministro dal
1962 al 1968. Alla morte di Pompidou, nel 1974, fu eletto alla presidenza Valéry
Giscard d'Estaing, leader dei repubblicani indipendenti e candidato del centro-destra,
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che vinse con un leggerissimo scarto di voti contro il candidato della sinistra, François
Mitterrand (1916-1996), un esponente della Resistenza che era stato più volte
ministro. Decisivo per la vittoria di Giscard d'Estaing fu l'appoggio del gollista Jacques
Chirac (nato nel 1932), che fu primo ministro fino al 1976 e, l'anno successivo, fu
eletto sindaco di Parigi, lasciando la carica di primo ministro all'economista Raymond
Barre. Il governo di centro-destra svolse una politica modernizzatrice, ma favorì
soprattutto i ceti medi, mentre l'aggravarsi dell'inflazione determinava forti tensioni
sociali nel paese. Nelle elezioni presidenziali del 1981 Mitterrand, segretario del Partito
socialista, riuscì a sconfiggere il presidente uscente Giscard d'Estaing grazie anche
all'appoggio dei comunisti, che fecero il loro ingresso nel governo, insieme con i
socialisti e i radicali di sinistra. Il nuovo governo procedette ad alcune nazionalizzazioni
e rafforzò il welfare state migliorando la legislazione sociale, ma risentì, al suo interno,
dell'antagonismo tra socialisti e comunisti, dal quale trassero vantaggio le destre, che
uscirono vincitrici dalle elezioni politiche del 1986. Non essendo ancora scaduto il
settennato di Mitterrand, si aprì un periodo di "coabitazione" tra il presidente di sinistra
e il governo di destra, affidato a Jacques Chirac; questi adottò una politica economica di
tipo thatcheriano, riprivatizzando le imprese nazionalizzate dal precedente governo e
iniziando lo smantellamento del welfare state. Nel 1988 Mitterrand (caso unico nella
storia francese) fu rieletto per la seconda volta alla presidenza della Repubblica e sciolse
il parlamento: le elezioni furono vinte dai socialisti, che non ottennero tuttavia la
maggioranza assoluta.
Il ritorno alla democrazia nella penisola iberica. Dopo la vittoria nella guerra civile
spagnola (vedi Parte XVII, 1.7), Francisco Franco instaurò un regime autoritario, basato
sul partito unico della Falange e, in economia, su una politica corporativa di tipo
fascista. Durante la seconda guerra mondiale, Franco riuscì a mantenere neutrale la
Spagna, pur non nascondendo le sue simpatie per la Germania hitleriana. Durante la
"guerra fredda", la Spagna uscì dall'isolamento politico, offrendo basi militari agli Stati
Uniti. Negli anni Sessanta, la Spagna si aprì ai capitali esteri e crebbe economicamente,
grazie anche al contributo dei tecnocrati dell'Opus Dei, una potente associazione
cattolica di tendenza integralista. Una ferma opposizione al regime franchista fu svolta
dall'ETA ("Patria basca e libertà"), una formazione militare clandestina che si batteva
per l'indipendenza della regione basca anche con metodi terroristici: clamoroso fu
l'assassinio del capo del governo, ammiraglio Luis Carrero Blanco (1973). Alla morte di
Franco, nel 1975, fu restaurata la monarchia nella persona di Juan Carlos di Borbone,
che concesse l'amnistia agli antifranchisti e promosse il referendum per la riforma
politica che segnò il ritorno della Spagna alla democrazia. Le elezioni politiche del 1977
(le prime dopo quarant'anni di dittatura) furono vinte dall'Unione del centro
democratico del primo ministro Adolfo Súarez, ma un buon risultato ottenne anche il
Partito socialista operaio spagnolo (PSOE) di Felipe Gonzáles, mentre ritornava alla
legalità il partito comunista, guidato da Santiago Carrillo, che si staccò dalle posizioni
sovietiche sostenendo con i comunisti italiani e francesi, il cosiddetto eurocomunismo.
Grazie al fermo atteggiamento del sovrano, fu scongiurato, nel 1981, un tentativo di
colpo di stato dell'estrema destra. Nelle elezioni del 1982, il partito socialista conquistò
la maggioranza assoluta e Gonzáles, divenuto primo ministro, guidò l'ingresso della
Spagna nella CEE.
In Portogallo, il dittatore Salazar (vedi Parte XVII, 1.7) dovette abbandonare il potere,
per malattia, nel 1968; ma il suo successore, Marcelo Caetano, ne proseguì la politica
repressiva e fascisteggiante. Isolato a livello internazionale, il Portogallo era stremato
dall'impegno militare contro i movimenti d'indipendenza delle colonie africane
dell'Angola e del Mozambico. Il regime salazariano fu abbattuto nel 1974 da un
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movimento militare, guidato soprattutto da capitani che usavano come distintivo i
garofani (di qui la definizione di «rivoluzione dei garofani»). Al governo andò un
triumvirato militare di sinistra, che promosse una politica di nazionalizzazioni e varò
una riforma agraria, avviando nel contempo negoziati per l'indipendenza delle colonie.
La situazione si normalizzò quando, nel 1976, fu eletto presidente della repubblica il
militare moderato Antonio Eanes, al quale succedette nel 1986 il socialista Mario
Soares, rieletto nel 1991.
La caduta del fascismo greco. Devastata da una sanguinosa guerra civile, la Grecia fu
governata da governi di destra fino alla vittoria elettorale (1963) di Geórgios
Papandréu, fondatore del Partito socialdemocratico. Nel 1967 un colpo di stato
militare, capeggiato da Geórgios Papadópulos, instaurò la dittatura dei colonnelli, di
matrice fascista, che liquidò la monarchia e attuò una dura repressione anticomunista,
distinguendosi atrocemente per l'uso sistematico della tortura contro gli oppositori. Le
agitazioni operaie e studentesche e l'isolamento internazionale posero fine, nel 1974, al
regime dei colonnelli. Divenuta, in seguito a un referendum, repubblica (1975), la
Grecia fu retta da governi di centro-destra, fino alla vittoria (1981) del socialista
Andréas Papandreu, figlio di Geórgios, che rimase al governo fino a 1989 e, rieletto
nel 1993, fino alla morte (1996).
Il caso iugoslavo. Dopo la morte (1980) del maresciallo Tito, il cui carisma aveva
mantenuto l'unità di un paese multietnico come la Iugoslavia, si avviò un processo di
devastante disgregazione del paese. Nel 1981 una rivolta della minoranza albanese nel
Kosovo scatenò il nazionalismo serbo. Si acuiva intanto la crisi economica (che, nel
1989, porterà l'inflazione al 1000%). Nel 1991 la regione più ricca e evoluta, la
Slovenia, dichiarò l'indipendenza, usufruendo dell'appoggio della Germania, che
perseguiva il proposito di un allargamento dell'area del marco. Anche la Croazia (di
lingua slava come la Serbia, ma di religione cattolica) dichiarò la secessione dalla
Federazione iugoslava, egemonizzata dalla Serbia (la cui religione prevalente era la
greco-ortodossa). Dalla Federazione si staccò infine la Macedonia, la cui indipendenza
fu però contrastata dalla Grecia. Mentre la reazione della Federazione contro la Slovenia
(etnicamente più omogenea) fu blanda, durissima fu invece la risposta dell'esercito
federale (guidato da generali serbi) contro la Croazia, sia a causa di antiche rivalità sia
per la presenza nel territorio croato di una forte minoranza serba. Iniziò una sanguinosa
guerriglia tra le milizie ausiliarie croate e le bande dei serbo-croati, sostenuti dal
governo serbo di Slobodan Milosevic, che puntava sulla formazione di una Grande
Serbia. La situazione divenne gravissima quando, nel 1992, la Bosnia-Erzegovina (a
maggioranza musulmana) si dichiarò indipendente, sotto la presidenza di Aliza
Izetbegovic: la Federazione comprendeva ormai solo Serbia e Montenegro.
L'unificazione europea: dalla SME a Maastricht. Una tappa decisiva nel cammino
verso l'unificazione europea si ebbe nel 1979 con la creazione dello SME (Sistema
monetario europeo), che prevedeva la fluttuazione delle valute intorno a un valore
medio fissato di comune accordo tra i membri. Inoltre, fu introdotta l'ECU (Europea
Crenici Unit), una unità monetaria formata da un "paniere" delle monete dei paesi
membri. Il 10 giugno 1979 i cittadini della Comunità europea elessero per la prima
volta, a suffragio universale, 410 loro rappresentanti al primo parlamento europeo. Di
fondamentale importanza è tuttora il Trattato di Maastricht (Olanda), stipulato l'11
dicembre 1991 dai dodici stati membri della CEE, che ha preso il nome di Unione
Europea. Il trattato ha fissato le condizioni per l'ammissione di singoli paesi nell'area
della moneta unica; ha posto le basi per la ricerca di comuni direttive nella politica
interna ed estera; ha rafforzato i poteri del Parlamento europeo e ha fissato le norme del
Consiglio d'Europa, formato dai ministri dei paesi membri e ha affidato il potere
9
esecutivo alla Commissione europea; infine ha stabilito la creazione di un mercato
unico europeo, di un Istituto monetario europeo e di una Banca centrale europea con
una moneta unica.
1.6 L'America Latina tra democrazia e colpi di stato
Il "golpe" in Cile. Rispetto agli altri paesi dell'America Latina, il Cile aveva goduto di
una maggiore stabilità politica e di una certa prosperità; ma il controllo dell'economia
era nelle mani dei latifondisti e delle grandi società minerarie statunitensi. A tale
situazione cercò di porre rimedio Salvador Allende (1908-1973), che nelle elezioni del
1970 fu eletto presidente con il sostegno di Unidad Popular (il partito di sinistra cileno).
Allende nazionalizzò le miniere di rame (la maggiore risorsa economica del paese),
espropriò la ITT (una grande multinazionale statunitense), promosse una riforma
agraria. Violenta fu la reazione degli Stati Uniti e degli strati più ricchi della
popolazione: la CIA (Central Intelligence Agency, l'ente federale statunitense con
funzioni di spionaggio e controspionaggio) stabilì rapporti con alcuni ufficiali
dell'esercito per preparare un colpo di Stato, mentre l'economia del paese fu messa in
seria difficoltà da uno sciopero degli autotrasportatori. L'11 settembre 1973 una giunta
militare, guidata dal generale Augusto Pinochet, rovesciò il governo di Unidad
Popular. Allende, asserragliato nel palazzo presidenziale della Moneda, morì con le
armi in pugno. Pinochet procedette a una sanguinosa repressione delle forze di sinistra,
mediante la tortura, i campi di concentramento, il totale controllo dei mezzi di
informazione. Nelle quarantotto ore successive al colpo di stato si verificarono circa
ventimila uccisioni e oltre cinquantamila arresti. In campo economico, Pinochet attuò
una politica ultraliberistica. Il potere di Pinochet ebbe termine nel 1989, quando fu
ripristinata la democrazia.
Il dramma dei “desaparecidos” in Argentina. Dopo la morte di Perón (vedi Parte
XVII, 1.9), i militari ripresero il potere in Argentina (1976) e procedettero a una
durissima repressione: molti oppositori o presunti tali furono imprigionati ed eliminati
clandestinamente dalla polizia e dall'esercito (per la loro improvvisa scomparsa, furono
chiamati desaparecidos). In seguito alla sconfitta subìta nella guerra delle isole Falkland
(vedi 1. 5) la giunta militare fu rovesciata e fu eletto presidente, nel 1983, il radicale
Raul Alfonsin. Nell'aprile 1983, per ammissione stessa dei generali della giunta, si
scoprì che il totale dei desaparecidos (tutti morti) era di circa trentamila persone. Nel
1989 fu eletto alla presidenza il peronista Carlos Menem e si confermò così il successo,
presso le masse popolari, del movimento giustizialista fondato da Perón.
Le contraddizioni del Brasile. Dopo il regime autoritario e populista di G. Vargas, un
tentativo di riforma economica fu compiuto in Brasile da João Goulart, che però suscitò
la reazione delle classi privilegiate e, dopo il golpe dell'aprile 1964, fu costretto
all'esilio. I successivi governi militari accentuarono la concentrazione del reddito nelle
mani dei grandi latifondisti e decisero lo sfruttamento su larga scala dell'Amazzonia (il
“polmone verde” del mondo) con devastanti conseguenze sull'ecosistema. Nel 1985 i
militari dovettero lasciare il potere e fu avviato un nuovo processo democratico, che
portò alla costituzione del 1988, nella quale si prevedeva una serie di vincoli per la
difesa ambientale (problema di vitale interesse per il futuro dell'umanità).
Le dittature militari dell'America centrale. Una feroce dittatura fu, in Nicaragua,
quella di Anastásio Somoza, che si lasciò coinvolgere perfino nel furto di aiuti
internazionali ai terremotati del suo paese; il suo regime crollò nel 1979, sotto i colpi
del Fronte sandinista di liberazione nazionale, che si richiamava al modello di A.
Sandino, il popolare rivoluzionario del primo Novecento. La giunta rivoluzionaria,
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presieduta da Daniel Ortega Saavedra, si adoperò per riparare alle ingiustizie del
latifondismo e per estendere l'assistenza sanitaria, l'istruzione e il sostegno alle famiglie
contadine più povere. Ma i Contras (membri della Guardia Nazionale, fedeli a Somoza)
scatenarono un terrorismo su larga scala, appoggiati anche illegalmente dal governo del
presidente statunitense Reagan, mentre l'embargo strangolava economicamente il paese.
Nelle elezioni del 1990, i sandinisti furono sconfitti dalle opposizioni, legate ai Contras.
Il Guatemala si è trasformato nel Novecento in una tipica "repubblica delle banane",
cioè in uno stato controllato dall'United Fruit, la potente multinazionale statunitense di
frutta tropicale. La storia del paese si è risolta in un succedersi di colpi di Stato militari
e di interventi diretti e indiretti degli Stati Uniti. All'inizio degli anni Ottanta, è stato
perpetrato un vero e proprio genocidio, che ha causato oltre 150.000 vittime (Amnesty
International lo ha definito «un programma governativo di omicidi politici»). Solo nel
1996, dopo un conflitto di quarant'anni, è stato raggiunto un accordo tra il governo e
l'Unione rivoluzionaria del Guatemala, la cui figura più illustre è Rigoberta Menchù,
premio Nobel per la pace. Anche nello stato di El Salvador il potere è stato a lungo nelle
mani dei militari, appoggiati dagli Stati Uniti e contrastati dalla guerriglia del Fronte
Farabundo Martí. Nel 1980 l'arcivescovo Romero fu ucciso dagli “squadroni della
morte” mentre celebrava la messa. Solo nel 1992 si giunse a un trattato tra le forze
opposte, che prevedeva un difficile processo di pacificazione e di democratizzazione.
Una dittatura di sinistra è, a Cuba, quella di Fidel Castro (vedi Parte XVII, 1.9), che ha
limitato i diritti civili e ha represso duramente ogni forma di opposizione interna, ma
che in compenso ha raggiunto notevoli risultati nei settori dell'istruzione e della sanità.
In politica estera, dopo la "crisi dei missili" (vedi Parte XVII, 1. 10), la Cuba di Castro
si è posta al centro del movimento dei paesi non allineati e ha inviato contingenti
militari in Etiopia e in Angola, per sostenere i locali movimenti socialisti. La crisi del
regime sovietico ha creato a Cuba, dipendente dall'aiuto dell'URSS, serie difficoltà
economiche, aggravate dall'embargo posto dagli Stati Uniti.
Nuovi conflitti in Messico. Il processo di rinnovamento democratico, avviato dopo la
rivoluzione messicana, presentò alla fine degli anni Sessanta segni di esaurimento,
drammaticamente rivelati dall'eccidio di piazza delle Tre Culture a Città del Messico
nel 1968 (vedi Parte XVII, 1.9). Nel 1982 il Messico fu costretto a dichiarare la
moratoria nel pagamento degli interessi del debito estero, gettando il panico nei mercati
finanziari internazionali. Il duro piano di risanamento economico, imposto dal Fondo
monetario internazionale, ebbe effetti devastanti sui settori più poveri della
popolazione.
Altri paesi dell'America Latina. In Colombia, il problema centrale degli ultimi anni è
stato quello della produzione e del commercio illegale di cocaina, concentrato nella
zona di Medellin. Contro i narcotrafficanti e contro il predominio del partito liberale, si
è sviluppato un vasto movimento di guerriglia, che ha avuto il suo esponente più illustre
nel religioso Camilo Torres, morto in combattimento nel 1966. Anche in Bolivia
l'economia illegale, basata sull'esportazione di cocaina, ha soppiantato l'economia
ufficiale, mentre si sono succeduti a ritmo intensissimo i colpi di stato militare (circa
190 in 150 anni). Il Venezuela (uno dei principali promotori dell'OPEC) fonda la sua
economia sulla produzione di petrolio; ma il suo sviluppo, basato sulla
monoproduzione, ha provocato all'inizio degli anni Novanta forti tensioni sociali.
Risorse petrolifere sono state scoperte negli anni Settanta anche in Ecuador, la cui
economia è stata condizionata da una forte dipendenza dall'estero. In Perù ha infuriato a
lungo la guerriglia, condotta dal movimento Sendero luminoso, di ispirazione maoista.
L'Uruguay, paese di antica tradizione democratica, è stato travagliato prima (negli anni
Sessanta) dalla guerriglia dei Tupamaros (così chiamati da Tupac Amaru, ultimo
11
imperatore inca), poi, dal 1973, da una feroce dittatura militare, che è stata abbattuta nel
1984.
1.7 L'Asia: un continente in espansione
Il Giappone, superpotenza economica. Fin dagli anni Settanta, il Giappone è emerso
come una superpotenza economica, all'avanguardia nei settori dell'elettronica e
dell'automobilismo, dove è stato introdotto un nuovo sistema di produzione, il
"toyotismo" (vedi 1.2). Facendo leva sulle limitazioni delle rivendicazioni salariali e su
un sistema educativo fondato sul nazionalismo e sullo spirito di competizione, il
Giappone ha conseguito un alto livello di benessere, con redditi individuali tra i più
elevati del mondo. Sul piano politico, il Partito liberal-democratico, al governo dal
1948, ha avviato negli anni Cinquanta la ricostruzione del paese e ha gettato le basi
della grande crescita degli anni successivi, ma è stato coinvolto periodicamente in gravi
scandali finanziari.
La strepitosa ascesa economica della Cina. Dopo la "rivoluzione culturale" (vedi
Parte XVII, 1.8), altre lotte politiche si svilupparono all'interno del Partito comunista
cinese, che portarono alla caduta di Lin Piao (l'ex ministro della Difesa, designato da
Mao come suo successore, accusato di colpo di stato e scomparso in circostanze
misteriose nel 1972). Primo ministro, fino alla sua morte nel 1976, Chou En-lai
promosse un riavvicinamento, in funzione antisovietica, della Cina agli Stati Uniti,
ottenendone così l'ingresso nell'ONU in luogo di Taiwan. In politica interna, Chou
lanciò le quattro "modernizzazioni" (in agricoltura, nell'industria, nella difesa, nella
ricerca scientifico-tecnologica) e si adoperò per la riabilitazione di Deng Xiao-ping, che
era stato epurato dai vertici del partito nel corso della "rivoluzione culturale". Nel 1976
morì Mao, il padre della Cina moderna, e si avviò un processo di "demaoizzazione".
Alla fine del 1978, Deng Xiao-ping riuscì a destituire Hua Guo-feng dal vertice del
partito e, concentrato il potere nelle sue mani, intraprese una serie di riforme radicali,
abbandonando l'egualitarismo e tornando ai criteri dell'efficientismo e del merito
professionale; l'economia fu decollettivizzata e furono introdotti elementi di mercato;
grande impulso fu dato all'agricoltura, consentendo ai contadini di vendere liberamente i
loro prodotti. Deng fu però risolutamente contrario a ogni prospettiva di pluralismo e di
liberalizzazione politica: in termini sovietici, la sua fu una perestrojka (riforma
economica) senza glasnost (riforma politica). Inevitabili furono le proteste degli
intellettuali e degli studenti, che chiedevano riforme democratiche: nel maggio 1989
ebbe inizio a Pechino, nella piazza Tien-An-Men, una serie di grandi manifestazioni,
che furono represse tra il 4 e il 5 giugno dall'esercito, responsabile di una vera e propria
strage (migliaia furono le vittime, cui si aggiunsero in seguito ondate di arresti e di
condanne a morte). Isolata, la Cina subì in tale occasione l'unanime condanna di tutto il
mondo. Intanto, l'economia procedeva a passi da gigante: negli anni Ottanta, il tasso di
crescita del prodotto interno lordo ammontava a quasi il 10% annuo, sorpassato solo da
quello della Corea del Sud, una delle quattro "tigri del Pacifico", con Hong Kong,
Singapore, Taiwan. Dopo il crollo dell'URSS, la Cina si è avviata a divenire una delle
più dinamiche potenze economiche del mondo, forte anche della sua popolazione, che
rappresenta un quinto dell'umanità.
L'India, grande nazione democratica. Esempio di uno Stato del Terzo Mondo che ha
mantenuto una ininterrotta tradizione democratica dal tempo della sua indipendenza,
l'India ha avuto una serie di governi scaturiti da libere elezioni politiche, mantenendo la
supremazia del potere civile su quello militare. Dopo la morte di Nehru (vedi Parte
XVII, 1.9) fu eletta primo ministro, nel 1966, la figlia Indira Gandhi, che attuò una
12
"rivoluzione verde", favorendo l'applicazione di nuove tecniche agricole. Alquanto
autoritaria in politica interna, anche in politica estera la Gandhi perseguì una politica
aggressiva: nel 1971 fece guerra al Pakistan, agevolando la nascita del Bangladesh (sul
delta del Gange), ribelle al governo pakistano; nel 1984 represse il sollevamento dei
sihk, una setta religiosa del Punjab. Nello stesso anno, fu assassinata da due sihk, che
facevano parte della sua guardia del corpo. Anche il figlio, Rajiv Gandhi, dopo aver
governato dal 1985 al 1989, fu ucciso nel 1991. Il Partito del Congresso mantenne
tuttavia il suo primato, anche se insidiato da un movimento integralista e nazionalista
indù, il Bharatiya Janata Party, divenuto il maggior partito di opposizione.
L'Indocina e l'Indonesia. Drammatica è stata la sorte dei paesi della penisola
indocinese dopo la vittoria del Vietnam contro gli Stati Uniti. In Cambogia, nel 1975, si
impadronirono del potere i khmer rossi, fanatici guerriglieri filo-maoisti guidati da PolPot, che instaurarono un regime di terrore: molti abitanti delle città furono deportati
nelle campagne e furono sterminati nel corso di un orribile genocidio di massa (si
calcola che un quinto della popolazione sia stata uccisa). Solo un'invasione vietnamita
(1979) pose fine al sanguinario regime di Pol-Pot, che era stato sostenuto dalla Cina in
funzione antisovietica. Si consumava intanto la tragedia del boat-people, cioè dei
profughi vietnamiti di origine cinese, espulsi dal governo di Hanoi: secondo l'agenzia
"Nuova Cina", mezzo milione di profughi sarebbe morto in mare.
In Indonesia, che con la conferenza di Bandung del 1955 era divenuta un punto di
riferimento dei paesi non allineati, si scatenò nel 1965 una sanguinosa guerra civile: il
governo di Sukarno fu rovesciato e furono massacrati circa 700.000 abitanti. Un nuovo
regime autoritario, guidato da Suharto, ha aperto il paese agli investimenti occidentali;
ma la situazione politica indonesiana è rimasta instabile, soprattutto dopo l'affermazione
del fondamentalismo islamico.
1.8 L'Africa: un continente alla deriva
Le più gravi questioni che affliggono l'Africa di oggi, rendendo più cha mai precario il
suo destino, sono il fondamentalismo islamico nell'Africa settentrionale e il tribalismo
nel cuore dell'Africa Nera. Ma il problema più drammatico del Continente Nero è quello
della fame, legata a condizioni di persistente sottosviluppo.
Il terrorismo in Algeria. Dopo aver raggiunto l'indipendenza, l'Algeria è stata
governata dal Fronte di liberazione nazionale; ma, in seguito a rivolte popolari
provocate dal carovita, è stata varata una nuova costituzione multipartitica (1989). Nel
1990 è stato fondato il Fronte di salvezza nazionale (FIS), di tendenza integralista. Per
impedire al Fronte di vincere le elezioni indette nel 1991, il governo ha proclamato lo
stato d'assedio. Si è scatenata da allora un'ondata terroristica, che ha preso di mira
intellettuali, funzionari, stranieri.
Il tribalismo in Africa. Un teatro di massacri etnici è stato il Biafra, regione orientale
della Nigeria, che nel 1967 proclamò la propria indipendenza dalla Federazione
nigeriana in seguito agli eccidi subìti dalla propria etnia, gli ibo; la guerra cessò con la
resa del Biafra, nel 1970, dopo una guerra che, insieme alla carestia, aveva mietuto
centinaia di migliaia di vittime.
In Somalia, nel 1992, una forza di occupazione degli Stati Uniti e di altre potenze (tra
cui l'Italia), sotto l'egida dell'ONU, tentò di riportare la pace tra le fazioni in lotta, ma
dovette ritirarsi, lasciandosi alle spalle una scia di lutti e di rappresaglie.
Gravissima è la situazione nel Sudan, dove infuria da tempo una sanguinosa guerra
civile, in seguito alla politica di islamizzazione forzata del paese in senso
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fondamentalista, imposta dal governo, in contrasto con le tendenze separatiste delle
regioni meridionali, mentre la popolazione civile è vittima delle malattie e della fame.
La fine dell'apartheid in Sudafrica. Nel Sudafrica, il regime di apartheid fu avviato al
superamento dal primo ministro Frederick De Klerk, eletto nel 1989: l'anno successivo,
De Klerk annunciò la fine della clandestinità per le forze di opposizione e la prossima
liberazione di Nelson Mandela, il prestigioso leader nero dell'African National
Congress, in carcere da più di venticinque anni. Nel 1992 fu indetto un referendum
popolare, che sancì l'abrogazione dell'apartheid. All'inizio del 1993 De Klerk e
Mandela raggiunsero un accordo e fissarono le elezioni per il 1994 (l'anno in cui a
entrambi fu conferito il premio Nobel per la pace). Le prime elezioni democratiche del
Sudafrica sancirono la vittoria di Mandela, che divenne presidente e chiamò al suo
fianco, come vicepresidente, De Klerk. Alla lotta contro l'apartheid ha dato un notevole
contributo anche Desmond Tutu, vescovo nero della Chiesa anglicana di Johannesburg,
premio Nobel per la pace nel 1984.
1.9 Il Medio Oriente e la Guerra del Golfo
Sede delle più antiche civiltà e religioni, crogiolo di culture diverse, ricco di giacimenti
petroliferi, il Medio Oriente (o Vicino Oriente) è divenuto (dalla fine degli anni
Sessanta) il crocevia della politica mondiale.
L'Egitto: da Sadat a Mubarak. Dopo la morte di Nasser (vedi Parte XVII, 1.9), ascese
al potere in Egitto, nel 1970, Anwar al-Sadat, che, forte del successo riportato nella
guerra del Kippur (1973) contro Israele, ruppe l'alleanza con l'URSS e si avvicinò agli
Stati Uniti: clamoroso fu il suo viaggio a Gerusalemme (1977), che segnò l'inizio di una
trattativa con Israele, sfociata negli accordi di Camp David (1979), raggiunti grazie alla
mediazione del presidente americano Carter. I paesi arabi condannarono gli accordi
come un tradimento della causa palestinese e Sadat fu ucciso (1981) nel corso di una
parata militare. Gli è succeduto Hosni Mubarak, che ha mantenuto le scelte di fondo di
Sadat, ma ha dovuto fronteggiare la crescente minaccia del terrorismo integralista
islamico.
La questione palestinese. Grande rilievo ha assunto, come leader del popolo
palestinese, la figura di Yassir Arafat (1929-2004): fondatore, nel 1965, di al-Fatah, la
maggiore organizzazione della resistenza palestinese, nel 1969 è divenuto presidente
dell'OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina); dopo la dura repressione
operata dal re Hussein di Giordania contro la guerriglia palestinese ("settembre nero",
1970), ha ottenuto, con abile diplomazia, dal mondo arabo il riconoscimento dell'OLP
come unico rappresentante del popolo palestinese. La sua apertura a una soluzione
diplomatica della questione palestinese, e quindi al riconoscimento dello Stato di
Israele, ha suscitato l'opposizione dell'ala palestinese più rivoluzionaria, sostenuta dalla
Siria. Dopo la strage di migliaia di palestinesi nei campi profughi di Sabra e Chatila
(1982), operata dai miliziani libanesi con l'appoggio del ministro israeliano della Difesa
Ariel Sharon, il conflitto arabo-israeliano ha coinvolto anche il Libano. Una svolta nel
conflitto si è avuta nel 1987, quando è nata l'Intifada (in arabo, "sollevazione", la lotta
dei ragazzi palestinesi, caratterizzata dal lancio di pietre contro i militari israeliani).
L'Intifada ha spianato la strada a un accordo, fondato sulla rinuncia, da parte del regno
di Giordania, al territorio della Cisgiordania, che, unito alla striscia di Gaza, ha
costituito la base territoriale del nuovo Stato palestinese. Il processo di pace è però stato
ostacolato da una parte dagli atti di terrorismo dei gruppi integralisti islamici e,
dall'altra, dall'intransigenza dei coloni israeliani, sostenuti dal partito del Likud.
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La rivoluzione islamica in Iran. Nel 1979, rovesciata la monarchia, fu istituita in Iran
la repubblica islamica, ispirata alla più stretta fedeltà ai precetti del Corano; ne divenne
guida religiosa e politica l'ayatollah Ruhollâh Khomeini (1900-1989), rientrato da un
lungo esilio. Khomeini incitò le masse diseredate a ribellarsi contro i governi corrotti
dall'influsso dell'Occidente e instaurò un regime teocratico, fortemente autoritario e
integralista, che non tollerava nessuna forma di contestazione interna. Della situazione
caotica dell'Iran in seguito alla rivoluzione cercò di trarre profitto l'Iraq di Saddam
Hussein, che scatenò nel 1980 una guerra allo scopo di controllare i ricchi giacimenti
petroliferi costieri e ampliare il proprio sbocco al mare. La guerra, che Saddam
(sostenuto dagli Stati Uniti) credeva rapida e facile, si protrasse fino al 1988 e costò
circa un milione di vittime. Dopo la morte di Khomeini, ha avuto inizio, in Iran, una
fase più moderata, con l'elezione alla presidenza di Hashemi Rafsanjani.
La Guerra del Golfo. Il 2 agosto 1990 le truppe irachene di Saddam Hussein invasero
improvvisamente il Kuwait, un piccolo emirato arabo, ricco di petrolio, su cui l'Iraq
avanzava da tempo rivendicazioni territoriali per uno sbocco al mare. Scattò allora
l'operazione "Scudo nel deserto": gli Stati Uniti inviarono un primo contingente militare
in Arabia Saudita. L'operazione fu resa possibile dall'impotenza dell'URSS, che, quale
principale fornitrice di armi all'Iraq, avrebbe certamente dissuaso (prima della sua crisi,
esplosa nel 1989) l'iniziativa spregiudicata del dittatore iracheno nell'area del Golfo
Persico. L'impresa bellica ricevette il sostegno dell'ONU e vi presero parte ventinove
paesi (compresa l'Italia). Nel gennaio 1991 fu messa in campo un'armata di oltre
500.000 uomini, mentre l'aviazione statunitense e alleata scaricò su Baghdad e
sull'intero Iraq una vera e propria pioggia di fuoco. Alla fine del conflitto (3 marzo
1991), si conteranno trecentomila morti iracheni, la maggior parte civili. Invano l'Iraq
aveva tentato di coinvolgere Israele nella guerra, per ottenere la solidarietà dei paesi
arabi; e molto gravi furono i danni ecologici provocati dall'incendio dei pozzi petroliferi
kuwaitiani da parte dell'esercito irakeno in fuga. Ma ancora più gravi furono le
conseguenze della Guerra del Golfo, contro la quale si era levata invano la voce
autorevole del papa Giovanni Paolo II: si conferì all'unica superpotenza rimasta sul
campo, gli Stati Uniti, il diritto di portare l'ordine nel mondo, segnando così la crisi e il
declino dell'ONU.
1.10 La Chiesa cattolica: da Paolo VI a Giovanni Paolo II
Paolo VI. Nel 1963 succedette a Giovanni XXIII, il cardinale Giovanni Battista
Montini, arcivescovo di Milano, che, assunto il nome di Paolo VI, portò a termine il
Concilio Vaticano II (1965) e ne promulgò le costituzioni più innovative, procedendo
però con maggiore prudenza rispetto al suo predecessore e svolgendo un'intensa e
sofferta attività di mediazione tra conservatori e progressisti nella Chiesa. Questa
duplice azione di rinnovamento, ma anche di moderazione, di papa Montini si
rispecchia in due tra le sue più importanti encicliche: la Populorum progressio (1967),
in cui si denunciavano le condizioni di povertà dei paesi sottosviluppati e si
giustificavano le insurrezioni rivoluzionarie «nel caso di una tirannia evidente e
prolungata»; e la Humanae vitae (1972), in cui si ribadiva la condanna dei mezzi
anticoncezionali (in particolare, della pillola antifecondativa), suscitando non poche
riserve e opposizioni in una parte consistente del mondo cattolico.
Giovanni Paolo I. Nel 1978, dopo la morte di Paolo VI, viene eletto papa il patriarca di
Venezia Albino Luciani, che assume il nome di Giovanni Paolo I, ma che muore
improvvisamente, a soli trentatré giorni dalla nomina. Dopo un breve conclave, viene
eletto papa il polacco Karol Wojtyła, arcivescovo di Cracovia, che sceglie il nome di
15
Giovanni Paolo II. Primo papa non italiano dal 1523, Giovanni Paolo II ha innovato
profondamente il modo di gestire il rapporto con le masse cattoliche, intraprendendo
viaggi in ogni parte del globo. Il suo pontificato è stato giudicato in modi divergenti:
all'impegno ecumenico, alla richiesta di perdono per le colpe storiche della Chiesa, al
dialogo con il mondo ebraico, si è contrapposta una battuta di arresto nel processo di
collegialità episcopale proclamata dal Concilio Vaticano II, con una accentuazione del
centralismo romano, che ha approfondito il solco tra la Chiesa Cattolica e le altre chiese
cristiane. Intransigente è stata la posizione del pontefice nell'ambito della morale
sessuale e nei confronti dei movimenti teologici di avanguardia, come la "teologia della
liberazione" dell'America Latina. Indubbiamente, Giovanni Paolo II ha contribuito al
crollo del blocco comunista dell'Est (anche se questo evento è dovuto in primo piano a
una "implosione" interna); ma fermo è stato anche il suo atteggiamento di condanna di
ogni forma di capitalismo "selvaggio", attento solo al profitto: nell'enciclica Centesimus
annus ha denunciato con forza i pericoli di diseguaglianza insiti nel sistema
capitalistico; ha poi sostenuto l'opportunità di azzerare il debito pubblico dei paesi
sottosviluppati. Di grande portata è stata la presa di posizione del papa per la pace e
contro le guerre in Iraq. Giovanni Paolo II è morto nel 2005.
1.11 L'Italia, dall'«autunno caldo» alla fine della Prima Repubblica
L'autunno caldo. Nel 1969 la tensione sociale si spostò in Italia dal movimento
studentesco alle lotte operaie: in occasione del rinnovo del contratto dei
metalmeccanici, ebbe luogo una campagna di agitazioni sindacali che, per la loro
asprezza (scaturita dal perdurante clima del Sessantotto), prese il nome di “autunno
caldo”. Come conseguenza di tale movimento, si ottenne il diritto di assemblea durante
le ore di lavoro e fu introdotto il nuovo sistema dei consigli di fabbrica, composti da
delegati di ogni reparto. Le conquiste delle lotte operaie furono sancite dallo Statuto dei
Lavoratori (1970), realizzato dal ministro socialista del Lavoro Giacomo Brodolini, con
l'aiuto di esperti guidati da Gino Giugni.
La strage di Piazza Fontana a Milano. Il nuovo contratto dei metalmeccanici fu
firmato in fretta e furia anche sotto l'impressione della strage di Piazza Fontana a
Milano (12 dicembre 1969), quando l'esplosione di una bomba nella Banca
dell'Agricoltura provocò la morte di sedici persone. Il ministro degli Interni e la polizia
attribuirono la responsabilità della strage all'anarchico Pietro Valpreda (che solo nel
1985 sarà prosciolto da ogni accusa), mentre ancor più tragica fu la sorte di un altro
anarchico, il ferroviere Giuseppe Pinelli, che morì il 15 dicembre in circostanze rimaste
misteriose, “cadendo” dalla finestra dell'ufficio della Questura milanese. Nel 1972, in
circostanze rimaste oscure, fu ucciso il commissario Luigi Calabresi.
La Nuova Sinistra. Fin dall'autunno 1968 era sorta la Nuova Sinistra, un cospicuo
numero di gruppi rivoluzionari, da Avanguardia Operaia, di tendenza leninista
ortodossa, al Movimento studentesco milanese, di orientamento neostalinista, da Potere
Operaio, radicato a Torino e a Porto Marghera, ai maoisti di Servire il Popolo, dal
gruppo del «Manifesto» (formato da intellettuali antistalinisti, estromessi nel 1969 dal
PCI, che dal 1971 diedero vita a un quotidiano dal medesimo titolo, tuttora pubblicato)
a Lotta Continua, di tendenza libertaria. La Nuova Sinistra promosse importanti
iniziative, come la lotta per il miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri e il
movimento per la casa, volto alla riduzione degli affitti e all'occupazione di stabili
disabitati; ma i suoi limiti furono soprattutto il settarismo ideologico e l'errata
convinzione che stesse maturando in Italia una situazione rivoluzionaria.
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I governi del triennio 1968-1971. Dal 1968 al 1971 si succedettero governi in
prevalenza di centro-sinistra. Tra le riforme introdotte nel triennio, le più importanti
furono l'istituzione delle regioni (1970) e l'introduzione del referendum (1970), con il
quale i cittadini potevano chiedere l'abrogazione di una legge. Fu inoltre approvata, nel
novembre 1969, la legge Fortuna-Baslini per l'introduzione del divorzio. Nel dicembre
1970 Junio Valerio Borghese, già esponente della Repubblica di Salò, tentò un colpo di
stato, il cui fallimento lo costrinse a rifugiarsi in Spagna. Nel corso del triennio, si
verificarono nel Mezzogiorno episodi di rivolta che erano il segno di un grave
malessere. La rivolta più grave fu quella di Reggio Calabria, dove, nel 1970, si verificò
una vera e propria insurrezione (guidata dal neofascista Ciccio Franco) contro la scelta
di Catanzaro come sede del nuovo governo regionale (scelta poi confermata, con la
concessione tuttavia a Reggio della sede dell'Assemblea Regionale).
La svolta a destra (1972-73). Nel dicembre 1971, scaduto il mandato del
socialdemocratico Giuseppe Saragat, fu eletto alla presidenza della Repubblica
Giovanni Leone, con l'appoggio determinante dei voti del Movimento sociale italiano.
Furono indette le elezioni anticipate, che nel maggio 1972 segnarono un netto successo
dei neofascisti del MSI, guidati da Giorgio Almirante, che si presentavano con
l'etichetta MSI-DN (Destra Nazionale). Giulio Andreotti, che governava dal febbraio
con un monocolore DC, formò un governo di centro-destra, composto dalla DC, dai
liberali e dai socialdemocratici, e detto governo Andreotti-Malagodi per la presenza, al
Tesoro, del liberale Giovanni Malagodi. La decisione presa dal governo di favorire
l'esodo degli statali con il pensionamento anticipato (e con trattamenti privilegiati ai
"superburocrati") aggravò il disavanzo pubblico e accrebbe la spinta inflazionistica.
Le origini del terrorismo. Tra il 1969 e il 1972 il terrorismo e le trame eversive ebbero
in Italia una prevalente matrice di destra: ne furono protagonisti gruppi neofascisti come
Ordine Nuovo, con la complicità di alcuni apparati dello Stato. Dopo l'uccisione, a
Milano, dell'agente Antonio Marino nel corso di una manifestazione del MSI, Ordine
Nuovo fu sciolto. Ma l'estremismo di destra divenne, negli anni successivi, vero e
proprio "stragismo", mirante a suscitare panico colpendo alla cieca tra la folla: a una
"manovalanza" di destra, manovrata dai servizi segreti deviati, si devono alcuni gravi
attentati terroristici (28 maggio 1974, bomba a Brescia, in Piazza della Loggia, nel
corso di una manifestazione sindacale; 4 agosto 1974, attentato al treno "Italicus"; 2
agosto 1980, strage alla stazione di Bologna, con la morte di ottantacinque persone). Se
lo scopo dei terroristi "neri" era quello di arrestare lo slittamento a sinistra della politica
italiana, il terrorismo "rosso" si proponeva invece (in forte polemica con il sindacato e il
PCI) un rovesciamento radicale del sistema politico, nell'illusione di far nascere la
rivoluzione dal fallimento della democrazia. Il 20 ottobre 1970 le Brigate Rosse
annunciarono la loro costituzione: tra i fondatori, alcuni, come Renato Curcio e Mara
Cagol, avevano studiato all'Università di Trento, altri provenivano da famiglie operaie
di tradizione comunista e da ambienti cattolici. I primi obiettivi delle BR furono
amministratori e capisquadra delle fabbriche del Nord. Nel 1974 le BR sequestrarono
un giudice di Genova, Mario Sossi; ma l'infiltrazione di poliziotti nell'organizzazione
brigatista portò alla decimazione del gruppo storico delle BR.
La DC e il referendum sul divorzio. Inadeguato ad affrontare i nuovi problemi
(terrorismo e crisi economica successiva allo "shock petrolifero"), il governo di centrodestra di Andreotti cedette il passo ad un nuovo centro-sinistra, mentre Amintore
Fanfani assunse la segreteria del partito democristiano. Ma la DC fu scossa da due
gravi scandali: finanziamento di personaggi politici da parte di alcune compagnie
petrolifere e coinvolgimento dei servizi segreti nel complotto terroristico
dell'organizzazione neofascista detto «Rosa dei venti». Tra l'uno e l'altro scandalo, un
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altro scacco per la segreteria Fanfani fu l'esito del referendum sul divorzio, voluto dal
segretario democristiano per rilanciare il suo partito, ma conclusosi, il 12 maggio 1974,
con una maggioranza del 59,1 % a favore della legge sul divorzio.
Berlinguer e il “compromesso storico”. Dopo la morte di Togliatti (1964), la
segreteria del PCI era stata assunta da Luigi Longo (1900-1980), che aveva reso il
partito più autonomo rispetto all'URSS e aveva mostrato comprensione nei riguardi
della contestazione studentesca. Nel 1972 Longo lasciò spontaneamente la segreteria del
partito a Enrico Berlinguer (1922-1984), assumendone la presidenza. Nel 1973, in una
serie di articoli apparsi sulla rivista comunista «Rinascita», Berlinguer lanciò l'idea di
un «compromesso storico» tra il PCI e la DC, per scongiurare il rischio di un colpo di
stato antidemocratico, come quello accaduto in Cile. Il segretario comunista muoveva
dalla convinzione che non era proponibile una politica di alternativa alla DC, fondata su
una maggioranza risicata di comunisti e socialisti, che avrebbe oscillato attorno al 51%
dei voti; e, d'altra parte, per garantire un più largo consenso a una politica di riforme, era
necessaria un'alleanza delle masse comuniste con quelle cattoliche. Berlinguer infine
sperava che il compromesso storico avrebbe introdotto «alcuni elementi di socialismo»
nella politica italiana; ma questa prospettiva "storica" del "compromesso" non teneva
adeguato conto del fatto che la DC del 1973 non era più quella del 1945: «essa aveva
man mano occupato e trasformato lo Stato divenendo il partito conservatore e capitalista
italiano, e come tale la vera antitesi del progetto di Berlinguer» (P. Ginsborg).
Riforme ed elezioni (1974-76). Nel novembre 1974 Aldo Moro formò un governo
bicolore con il Partito repubblicano di Ugo La Malfa (1903-1979), l'uomo politico più
aperto all'idea del compromesso storico (che era invece avversata dalla maggioranza
della DC). Il governo Moro-La Malfa introdusse, tra le altre riforme, l'abbassamento
della maggiore età ai 18 anni. Il 1975 si aprì nel cuore della più grave recessione
economica del dopoguerra: il PIL ("prodotto interno lordo") scese a -3,5%. Si
moltiplicavano intanto gli scontri di piazza tra neofascisti e gruppi di sinistra durante le
manifestazioni. In questo clima infuocato si svolsero le elezioni regionali del 15 giugno
1975, che segnarono una grande avanzata del PCI (33 % dei voti), mentre la DC calò al
35%. Nelle principali città italiane si formarono giunte di sinistra. La DC reagì alla
sconfitta dimissionando Fanfani da segretario del partito ed eleggendo al suo posto, con
l'appoggio di Moro, l'ex partigiano Benigno Zaccagnini. Divenuto il simbolo del
rinnovamento democristiano, Zaccagnini dovette però affrontare lo scandalo della
Lockheed, la compagnia aerospaziale statunitense che aveva pagato tangenti a uomini
politici di vari paesi per favorire l'acquisto di aerei di sua produzione. Nel febbraio 1976
Moro formò il suo quinto governo, un monocolore DC; ma i contrasti tra i partiti sulla
questione dell'aborto resero inevitabile lo scioglimento delle Camere. Le nuove elezioni
erano viste con preoccupazione dagli Stati Uniti, sospettosi nei confronti
dell'“eurocomunismo”, cioè dell'alleanza tra i partiti comunisti italiano, francese e
spagnolo. Per fugare ogni timore, Berlinguer dichiarò, in una clamorosa intervista al
«Corriere della Sera» (15 giugno 1976), che, se i comunisti avessero vinto le elezioni,
non avrebbero chiesto l'uscita dell'Italia dalla NATO, che offriva allo stesso PCI una
garanzia di sicurezza. Le elezioni del 20 giugno 1976 ebbero un esito sorprendente: il
PCI ottenne il 34,4 % dei voti, ma non riuscì a sorpassare la DC, che ebbe il 38,7 % dei
suffragi. Nel loro insieme, la DC e il PCI avevano ottenuto il consenso di più del 70%
dell'elettorato: si creava un «bipartitismo imperfetto» (G. Galli), perché solo uno dei due
partiti, la DC, era abilitato ad esercitare il governo.
I governi di solidarietà nazionale. Dalle elezioni del 1976 sia Moro sia Berlinguer
trassero una comune convinzione: avendo vinto sia la DC sia il PCI, un ulteriore
rafforzamento dei due grandi partiti avrebbe fatto correre al paese il rischio
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dell'ingovernabilità. Occorreva passare, secondo Moro, a una «terza fase» della politica
italiana: una espressione enigmatica, che sarà sigillata dalla tragica morte dello statista
pugliese. Probabilmente il «grande tessitore» (secondo la definizione data di Moro dai
commentatori politici) sperava di portare il PCI nel governo con il consenso di tutta la
DC, ripetendo così l'operazione attuata negli anni Sessanta con il PSI. Era pertanto
necessario che al governo andasse un uomo della destra DC: Andreotti. Nell'estate 1976
Andreotti formò il suo terzo governo, un monocolore DC, con l'astensione dei partiti di
opposizione (il cosiddetto “governo della non-fiducia”). Nasceva così il primo dei due
governi di “solidarietà nazionale”, sui quali è tuttora viva la polemica. Quel che appare
chiaro è, in questo periodo, il logoramento del PCI: arrivato a un passo dall'esercizio del
potere, il partito di Berlinguer doveva convincere l'opinione pubblica della propria
serietà e responsabilità; di qui l'appello di Berlinguer all' “austerità”, che era in sé nobile
e giusto per la sua opposizione al «consumismo più dissennato», ma che era destinato
all'incomprensione in un'Italia in cui il grado di benessere era misurato ormai in termini
materiali e consumistici. Da questo punto di vista, il PCI cominciava a perdere il
consenso di una parte del mondo operaio: una sfiducia che si estenderà in campo
sindacale, in conseguenza della “svolta dell'EUR” (1978), cioè della necessità, sostenuta
dal segretario della CGIL Luciano Lama, in un congresso sindacale all'EUR, di
contenere la politica salariale. Sul piano legislativo, l'impegno più qualificante del PCI
fu la lotta da esso sostenuta con successo per dare alle regioni poteri reali. Tra le altre
leggi approvate durante i governi di solidarietà nazionale, sono da ricordare la legge sui
manicomi (1978), che metteva a frutto la lotta sostenuta da Franco Basaglia per ridare
dignità agli ammalati psichici, l'istituzione del sistema sanitario nazionale (1978), con la
creazione della USL (Unità sanitaria locale), la legge sull'aborto. Sul piano politico,
quando lo scandalo Lockheed si aggravò (coinvolgendo anche il presidente Leone, che
nel 1978 si dimetterà), Moro difese gli uomini del suo partito compromessi nella
vicenda con il discorso durissimo del 9 marzo 1977. Dinanzi a posizioni intransigenti
come questa e alla politica sbiadita di Andreotti, il dubbio cominciava a serpeggiare nel
PCI; ma il rapimento di Moro (16 marzo 1978) da parte delle Brigate Rosse eliminò
ogni perplessità e il quarto governo Andreotti (un nuovo monocolore DC) ottenne una
larghissima fiducia, compreso il voto favorevole del PCI, che entrava nell'area di
governo, senza però ottenere alcun ministero.
Gli «anni di piombo». Negli anni dei governi di solidarietà nazionale si creò, a sinistra
del PCI, un nuovo movimento, che raccoglieva i fermenti di protesta dei giovani
socialmente emarginati e che, a differenza dei gruppi della Nuova Sinistra degli anni
Sessanta, insisteva sulla necessità di una violenza di massa. Si trattava di una gioventù
in crisi di certezze, delusa dalla caduta del mito della rivoluzione dopo la fine della
guerra nel Vietnam, e su posizioni di rifiuto della politica riformistica del PCI e dei
sindacati. Sul piano sociale, il nuovo movimento (detto del «'77») praticava
l'occupazione di edifici da trasformare in centri sociali, apriva servizi di consultorio per
i tossicodipendenti, incoraggiava l'autoriduzione dei biglietti per i concerti pop. A
Roma, nel febbraio 1977, gli studenti del movimento occuparono l'università per
protestare contro il progetto di riforma del ministero della Pubblica Istruzione, e
contestarono duramente un comizio di Luciano Lama. Profittando del clima
incandescente creato dal «movimento del '77», le Brigate Rosse si riorganizzarono sotto
la guida di Mario Moretti e svilupparono una nuova strategia, detta
dell'«annientamento»: si trattava ora di «colpire al cuore» lo Stato nelle persone dei suoi
servitori (poliziotti e magistrati). Tra le prime vittime fu a Torino Carlo Casalegno,
vicedirettore de «La Stampa». Ma l'azione più spettacolare e macabra ebbe luogo il 16
marzo 1978, quando la macchina di Moro e quella della sua scorta caddero in
un'imboscata in via Fani: l'autista e i poliziotti della scorta furono uccisi e Moro,
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rimasto incolume, fu trasportato su un'altra vettura che si dileguò nel traffico di Roma.
Per cinquantaquattro giorni Moro fu sequestrato. Si aprì un dibattito angoscioso tra le
forze politiche sull'opportunità o meno di mantenere un atteggiamento di fermezza,
respingendo ogni trattativa con i rapitori. In una serie di sofferte lettere, lo stesso Moro
sollecitava la trattativa, alla quale era favorevole il Partito socialista con Bettino Craxi,
suo segretario dal 1976; i comunisti erano invece convinti che un eventuale scambio di
prigionieri avrebbe legittimato e rafforzato i brigatisti; divisa e lacerata, la DC scelse
infine, con Andreotti, di non trattare. Il 9 maggio 1978 Aldo Moro fu ucciso dalle
Brigate Rosse. L'assassinio di Moro suscitò non pochi dissensi all'interno delle BR,
anche se continuarono gli assassinii (di Guido Rossa, un operaio genovese; del docente
universitario cattolico Vittorio Bachelet all'Università di Roma; del giornalista Walter
Tobagi a Milano). Efficace fu l'azione antiterroristica dei carabinieri, guidati dal
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, mentre la legge sui "pentiti" smantellò le colonne
brigatiste.
La fine della solidarietà nazionale. La politica del «compromesso storico» non
sopravvisse alla scomparsa di Moro. Il clima politico si era deteriorato: il governatore
della Banca d'Italia Paolo Baffi, uomo integerrimo, fu sottoposto a restrizioni di libertà
dalla Procura di Roma; Giorgio Ambrosoli, intransigente difensore della moralità
pubblica, liquidatore della sindoniana Banca privata italiana, fu assassinato; il
bancarottiere Michele Sindona, sospettato di collusione con la mafia, morì in carcere in
circostanze oscure. Il quinto governo Andreotti, con ministri socialdemocratici e
repubblicani, non ottenne la fiducia. Sandro Pertini, presidente della Repubblica dal
1978, sciolse le Camere. Le elezioni del 3 giugno 1979 segnarono una secca perdita di
voti del PCI (che passò dal 34,4 % al 30,4%), mentre la DC scese al 38,3 %. Berlinguer
trasse le conclusioni dalla sconfitta elettorale, annunciando, nel novembre 1979, la fine
del compromesso storico e l'inizio di una nuova strategia di «alternativa democratica».
Ma il PSI di Craxi seguiva ormai una linea diversa, che correva su un doppio binario: da
una parte, combattere la presenza comunista in Italia, riequilibrando il rapporto tra i due
partiti della sinistra; dall'altra parte, tornare alla collaborazione con la DC, ma
alzandone il prezzo in nome della insostituibilità socialista nella maggioranza di
governo (il cosiddetto “potere di coalizione”). Intanto gli imprenditori sfruttarono il
momento opportuno creato dalla sconfitta comunista: la Fiat, nell'ottobre 1979, licenziò
un gruppo di operai a Mirafiori; un anno dopo, annunciò che, in seguito alla caduta
della domanda di automobili sul mercato, avrebbe posto in cassa integrazione 24.000
operai e ne licenziò immediatamente 14.000. Gli operai risposero con la mobilitazione e
la lotta; ma, dopo 34 giorni di sciopero, una imponente manifestazione contro lo
sciopero stesso da parte di circa 40.000 persone tra dirigenti, impiegati, capisquadra e
operai attraversò le vie di Torino. La spaccatura nel movimento operaio torinese era
inevitabile. Non restò ai dirigenti sindacali che firmare un accordo-capitolazione con la
Fiat. Si chiudeva tutta una fase di lotte operaie, iniziata nel 1969 con l'«autunno caldo».
I difficili anni Ottanta. Dopo due governi di transizione (primo e secondo governo di
Francesco Cossiga, 1979-80), divenne presidente del Consiglio, nel 1980, Arnaldo
Forlani, esponente della nuova maggioranza della DC che, nel febbraio di quell'anno,
con un “preambolo” al documento finale del XIV Congresso democristiano, aveva
escluso future alleanze con il PCI: l'eredità di Moro era così liquidata e la DC tornava
all'alleanza con il Partito socialista. Il governo Forlani cadde nel clima incandescente
delle prime rivelazioni sulla Loggia P2, una loggia massonica segreta, fondata, con
finalità eversive di destra, da Licio Gelli, che fuggì all'estero. Nel 1981il presidente
della Repubblica Sandro Pertini prese l'iniziativa di chiamare alla presidenza del
Consiglio il repubblicano Giovanni Spadolini, spezzando così la tradizione ininterrotta
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dei governi a guida democristiana. Con i due governi Spadolini (1981-82) si inaugura la
lunga serie dei governi pentapartito (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI), destinati a durare fino
all'aprile 1991. Spadolini ottenne buoni risultati nella lotta contro il terrorismo; ma una
sconfitta, nella lotta contro la mafia, fu l'assassinio del generale Dalla Chiesa, divenuto
prefetto di Palermo (1982). Dopo il misterioso omicidio, a Londra, di un affiliato della
P 2, Roberto Calvi (direttore del Banco Ambrosiano), Spadolini sciolse la Loggia di
Gelli. Nel 1983 la DC (della quale era segretario, dall'anno precedente, Ciriaco De
Mita) ebbe il peggior risultato dal 1948 (dal 38,3% calò al 32,9%). La sconfitta
democristiana sgombrò la strada all'ascesa di Bettino Craxi alla presidenza del
Consiglio. Nei suoi due lunghi governi (1983-87), Craxi mostrò un indubbio intuito
politico (specie in riferimento ai temi della "modernizzazione" e della "governabilità") e
capacità di azione ("decisionismo"), ma anche spregiudicatezza nel gioco del potere. I
più importanti atti di governo di Craxi furono la fermezza dimostrata contro Reagan
nell'incidente della base americana di Sigonella, in Sicilia, e il “decreto di San
Valentino” (14 febbraio 1984), con cui fu tagliata la scala mobile (cioè, l'adeguamento
automatico dei salari dei lavoratori all'aumento del costo della vita). Molto dura fu la
reazione dei comunisti, che però persero il loro prestigioso segretario, Berlinguer, morto
improvvisamente nel 1984. Nel 1985 si svolse, per iniziativa comunista, il referendum
abrogativo del decreto di San Valentino, che non ottenne però la maggioranza dei voti.
Dopo la vittoria, Craxi perseguì il rafforzamento dell'esecutivo e fece del potere della
magistratura il bersaglio costante della sua polemica. Nel 1985 fu eletto presidente della
Repubblica Francesco Cossiga, che, negli ultimi mesi della sua presidenza, ruppe il suo
riserbo con numerose "esternazioni" contro i partiti, la classe politica, la magistratura.
Accusato dalle opposizioni di sinistra di attentato alla Costituzione e di alto tradimento,
Cossiga si dimise nel 1992, anno in cui fu eletto presidente della Repubblica Oscar
Luigi Scalfaro.
Nel 1987 divenne segretario del PCI Achille Occhetto, che nel 1989, sotto l'impulso
della caduta del muro di Berlino, propose al suo partito di avviare una nuova fase
costituente per costituire una nuova formazione politica. Dopo un lungo e difficile
dibattito interno, al ventesimo e ultimo congresso di Rimini (31 gennaio-3 febbraio
1991) il PCI si trasformò in PDS (Partito Democratico della Sinistra: assumerà poi il
nome di Democratici di Sinistra, DS). La sinistra dell'ex PCI si staccò dal nuovo partito:
nacque Rifondazione Comunista che, entro la fine dell'anno, si trasformò in partito.
I primi anni Novanta. Nel 1992 si abbatte sui partiti l'uragano di Tangentopoli, cioè
del sistema di corruzione politico-finanziaria, scoperto dalla magistratura, e così
chiamato dal termine "tangente", con cui si indicava la percentuale fissa che le imprese
dovevano pagare agli amministratori pubblici e ai loro partiti, per ottenere appalti. Nel
1993 esplode l'affare Enimont: tra le carte dell'inchiesta del "pool" dei magistrati
milanesi, soprannominata "Mani Pulite", finiscono i nomi di alcuni dei più importanti
politici della Repubblica, a cominciare dai cinque segretari del pentapartito (Craxi,
Forlani, La Malfa, Vizzini, Altissimo). Si verificano tragici suicidi: nel 1993 si uccide
in carcere l'ex presidente dell'ENI Gabriele Cagliari e, poco dopo, si suicida nella sua
abitazione il presidente della Montedison Raul Gardini. Entrato in crisi verticale, il PSI
si dissolve. La DC si sfalda, suddividendosi in vari tronconi. I partiti minori (PRI, PSDI,
PLI) si disperdono in numerosi rivoli. Intanto, continua e si fa più grave nel Sud il
fenomeno della criminalità organizzata. Il 12 marzo 1992 è assassinato a Palermo Salvo
Lima, che era stato per anni referente politico di Andreotti in Sicilia e che era stato
sospettato di essere in stretti legami con la mafia. Il 23 maggio, viene ucciso a Capaci
Giovanni Falcone, il giudice più in vista nella lotta contro la mafia. Poco dopo, il 19
luglio, è assassinato a Palermo Paolo Borsellino, anch'egli magistrato in prima linea
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contro la mafia. In questo clima arroventato e luttuoso finisce in Italia la «prima
repubblica».
1.12 Cronologia (1992-2004)
1.12.1 Nel mondo
1992 Ha inizio la guerra della Serbia contro la Croazia e la Bosnia, distaccatesi dalla Iugoslavia. Molto
complessa è la situazione della Bosnia, in cui convivono tre etnie (musulmana, serba, croata).
1993 In Francia, nelle elezioni politiche vincono le destre e si torna ad un sistema di "coabitazione" tra la
presidenza di Mitterrand e il nuovo governo. Accordi di Oslo tra Yasser Arafat e lo Stato di Israele: una
parte della Cisgiordania e la striscia di Gaza sono poste sotto l'amministrazione palestinese. Arafat e
Yitzhak Rabin, primo ministro laburista di Israele, dopo la storica stretta di mano del 1993 a Washington,
sono insigniti del premio Nobel per la pace. In Russia, per reprimere gli oppositori ultranazionalisti ed excomunisti, Eltsin fa bombardare il palazzo del Parlamento, provocando un massacro.
1994 In Germania, Kohl vince le elezioni, con il 41,5 % dei voti. In Gran Bretagna, alle elezioni europee,
vincono i laburisti guidati da Tony Blair. In Bosnia, (dove la minoranza serba fa capo al generale Mladic
e all'ex psichiatra Kardazic, sostenuti da Milosevic), la guerra civile raggiunge l'apice della violenza. La
capitale Sarajevo (una città civilissima, nella quale le tre etnie erano sempre convissute pacificamente) è
sottoposta dai serbo-bosniaci a un assedio spietato, riducendo la popolazione allo stremo. Fino al 1994, si
contano in Bosnia 150.000 morti e due milioni di profughi, vittime della “pulizia etnica”, su una
popolazione che nel 1991 contava in totale 4.350.000 abitanti. In Russia, Eltsin dichiara guerra agli
indipendentisti della Cecenia, la cui capitale, Grozny, viene bombardata. In Irlanda, dopo venticinque
anni di guerra civile, l'IRA (Irish Republican Army, Esercito repubblicano irlandese) decide di porre fine
alle ostilità. In Messico, esplode la rivolta del Chiapas, una delle regioni più povere del paese: alla testa
della guerriglia degli indios si pone l'Esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN), guidato dal
comandante Marcos. In Africa, le due ex colonie tedesche del Ruanda e del Burundi, divenute
indipendenti nel 1962, sono travagliate da una sanguinosa guerra etnica tra gli Hutu, prevalenti in Ruanda,
e i Tutsi, in maggioranza nel Burundi. I militanti hutu, in Ruanda, compiono un genocidio ai danni della
minoranza tutsi (circa mezzo milione di morti). Ma il Fronte patriottico dei ribelli tutsi si impadronisce
del potere, costringendo gli hutu a un esodo all'interno del vicino Zaire.
1995 In Francia, le elezioni presidenziali sono vinte da Jacques Chirac. La Croazia, guidata dal presidente
Tudjiman, riprende le armi. I profughi si contano a migliaia. Clinton decide di intervenire: viene inviata
una spedizione militare della NATO. Nel novembre viene firmata a Dayton la pace, garantita dai militari
della NATO. In Israele, un ebreo estremista uccide il primo ministro Yitzhak Rabin.
1996 Scoppia in Gran Bretagna la crisi della "mucca pazza" (encefalopatia spongiforme bovina). In
Russia, Eltsin è rieletto alla presidenza della Federazione russa. Negli Stati Uniti, Clinton viene rieletto
presidente.
1997 In Francia, Chirac scioglie il parlamento e convoca elezioni anticipate, che sono però vinte dal
socialista L. Jospin: si crea una nuova "coabitazione", questa volta tra un presidente di destra e un primo
ministro di sinistra. In Gran Bretagna, schiacciante vittoria, alle elezioni politiche, dei laburisti di T. Blair.
Il presidente russo Eltsin è invitato al vertice dei paesi industrializzati (G7), che diviene G8. In Spagna,
nelle elezioni politiche, prevale la nuova destra del Partito Popolare, guidata da J.M. Aznar, che conquista
il 38,85 dei voti, superando il PSOE di González. In Albania, dopo una bancarotta delle società
finanziarie, il paese è allo sbando: migliaia di profughi fuggono verso l'Italia. La sonda statunitense Mars
Pathfinder atterra su Marte. Desta scalpore, negli Sati Uniti, la condanna alla sedia elettrica di Joseph
O'Dell, colpevole di un omicidio commesso dodici anni prima: né l'intervento del papa né la
mobilitazione italiana salvano dalla morte O'Dell, che viene sepolto a Palermo, di cui era stato dichiarato
cittadino onorario. Muore a Parigi, in un incidente automobilistico, Lady Diana, ex moglie del principe
Carlo d'Inghilterra.
1998 In Germania, dopo 16 anni di potere, il cancelliere Kohl deve cedere il passo ai socialdemocratici di
Gerhard Schröder, che dà vita a un nuovo governo in alleanza con i verdi.
1999 Entra in vigore la revisione degli accordi europei di Maastricht, siglata ad Amsterdam nel 1997, che
pone le premesse per la riforma delle istituzioni dell'Unione Europea, in vista del suo allargamento ad
alcuni Paesi mediterranei (Malta, Cipro) e dell'Europa centro-orientale. Fallito il tentativo di risolvere il
conflitto in Kosovo tra serbi e albanesi, gli Stati Uniti sottopongono la Iugoslavia a pesanti
bombardamenti, costringendola ad accettare un piano di pace. La Cina ristabilisce la sua piena sovranità
su Hong-Kong, ex colonia della Gran Bretagna.
2000 In Russia Eltsin, coinvolto in uno scandalo economico, si dimette in cambio dell'immunità e lascia il
potere a Vladimir Putin. In Germania, travolto dalla vicenda dei fondi neri, Kohl è costretto ad uscire di
scena. In Austria, il neonazista Jörg Haider conquista il potere. In Messico, dopo 71 anni di ininterrotto
22
potere, il Partito rivoluzionario istituzionale perde le elezioni, a vantaggio della destra liberista. Negli
Stati Uniti, George Bush junior, governatore del Texas, fa eseguire numerose condanne a morte. Giovanni
Paolo II beatifica Pio IX; una decisione da cui prende le distanze un autorevole gruppo di credenti. Il
Parlamento europeo condanna la clonazione delle cellule staminali, anche se fatta a fini terapeutici.
Nell'ottobre, in Serbia, una rivoluzione popolare, guidata da Vojilslav Kostunica, caccia Milosevic dal
potere. Fallisce il vertice (voluto da Clinton) di Sharm el-Sheiikh tra il presidente palestinese Arafat e il
premier israeliano Barak; riesplode l'Intifada e Betlemme è assediata dall'esercito israeliano. Le elezioni
presidenziali del novembre vedono la vittoria, con uno scarto minimo di voti e dopo numerose
contestazioni, di George Walker Bush.
2001 Seconda vittoria di Tony Blair alle elezioni politiche inglesi. A Trieste, gli Otto Grandi cercano un
compromesso per salvare gli accordi ambientali di Kyoto, ma gli Stati Uniti si oppongono alla riduzione
delle immissioni di gas serra nell'atmosfera; l'Unione Europea approva tale accordo. In Serbia, viene
arrestato Milosevic. In Iran, il leader riformatore Khatami ottiene alle elezioni il 77 % dei voti. A Durban,
nel Sudafrica, la conferenza mondiale sul razzismo critica l'apartheid israeliano; Washington e Tel Aviv
ritirano le proprie delegazioni. L'11 settembre, gli Stati uniti sono sconvolti da gravissimi attentati
terroristici: tre aerei di linea, dirottati sulle Twin Towers di New York e sul Pentagono, a Washington,
causano la morte di migliaia di civili e di militari. Il mandante della strage è identificato nel miliardario
saudita Osama Bin Laden. Un mese dopo, gli USA, con l'appoggio della Gran Bretagna e dei Paesi della
NATO, danno inizio alla campagna militare chiamata Enduring Freedom (Libertà Duratura) contro
obiettivi militari dei Taleban e i campi di addestramento dei terroristi in Afghanistan. Incomincia la prima
guerra del ventunesimo secolo. Una rivolta popolare abbatte in Argentina il governo peronista.
2002 Forum sociale mondiale dei "no global" a Porto Alegre, in Brasile, e summit dei maggiori esponenti
dell'economia globale a New York. Ha inizio, all'Aja, il processo per crimini di guerra contro Milosevic.
Al vertice di Copenaghen dell'Unione Europea, si concludono i negoziati per l'adesione (prevista per il
2004) all'Unione di Lituania, Lettonia, Estonia, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca,
Slovenia, Malta e la parte dell'isola di Cipro controllata dalla Grecia. In Olanda, nelle elezioni politiche,
vincono i democristiani, e il partito xenofobo di Pim Fortuyn (che viene assassinato) è al secondo posto.
Al vertice sullo sviluppo dell'Onu, a Johannesburg, sono denunciati gli enormi aiuti ai coltivatori dei paesi
ricchi e si chiede un futuro più equilibrato per il pianeta. In Brasile, il leader di sinistra Luiz Inacio Da
Silva, detto Lula, supera nelle elezioni il rivale liberista Josè Serra. In Francia, nelle elezioni
presidenziali, il leader del Fronte nazionale Jean-Marie Le Pen si piazza a sorpresa al secondo posto dopo
Chirac, che viene eletto al secondo turno.
2003 La navetta spaziale statunitense Columbus si disintegra al momento dell'impatto con l'atmosfera:
muoiono sette astronauti. 15 febbraio: Milioni di persone invadono le capitali di tutto il mondo per dire
no alla guerra preventiva contro l'Iraq, voluta dagli Usa. Il Vaticano condanna la guerra unilaterale
annunciata da Bush. La Gran Bretagna di Blair si schiera con gli Stati Uniti. La guerra ha inizio con una
pioggia di missili a Baghdad, mentre i marines avanzano dal Sud. Imponenti manifestazioni nei paesi
belligeranti. Il papa: «È una guerra insensata che minaccia l'umanità». Gli americani entrano in Baghdad,
dove è abbattuta la statua-simbolo della dittatura di Saddam; ma si moltiplicano gli attacchi suicidi contro
i marines. Grande manifestazione sciita nella città santa di Kerbala, al grido: «No a Saddam, no a Bush».
In Cina si diffonde la Sars (polmonite atipica). In Argentina sono sottoposti a processo i torturatori delle
giunte militari. L'iraniana Shirin Ebadi è la prima donna musulmana a vincere i premio Nobel per la pace.
In Francia, viene proposta una legge che vieta il velo e gli altri simboli religiosi nelle scuole e negli uffici
pubblici. Il 14 dicembre è catturato Saddam Hussein.
2004 Il 6 febbraio esplode a Mosca, nell'ora di punta, un convoglio del metrò (39 morti): sotto accusa i
ceceni. A Seul, scienziati americani e sudcoreani annunciano di aver clonato il primo embrione umano a
solo scopo terapeutico. L'11 marzo, a Madrid, esplodono contemporaneamente dieci ordigni in tre
stazioni: 192 morti. Il governo accusa i separatisti baschi, ma il gesto è rivendicato dai terroristi di Al
Qaeda. Nel segno del lutto nazionale, si svolgono le elezioni: clamorosa vittoria dei socialisti di José
Zapatero, che decide il ritiro delle truppe dall'Iraq. Al primo turno delle elezioni regionali in Francia la
sinistra vince con il 40% dei voti contro il 34 % della destra di Raffarin; avanza, con il 17 % dei voti,
l'estrema destra di Le Pen. Una trasmissione televisiva americana mostra le prime immagini delle torture
che alcuni militari Usa hanno inflitto a prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib, presso Baghdad. In
India, Sonia Gandhi vince le elezioni politiche come leader del Partito del Congresso, ma, dopo le
proteste dei nazionalisti hindu per le sue origini italiane, rinuncia al ruolo di premier. In giugno, nasce il
governo provvisorio iracheno: il premier è Iyad Allawi. In luglio, il portoghese José Manuel Barroso è
eletto come successore di Romano Prodi alla Commissione Europea. La Gran Bretagna è il primo paese
europeo ad accogliere la clonazione umana a scopo terapeutico. Il Venezuela riconferma Chavez come
presidente. In settembre, un commando di terroristi ceceni irrompe in una scuola di Beslan, in Ossezia, e
sequestra un centinaio di scolari, insegnanti e genitori. Il governo risponde all'uccisione di alcuni ostaggi
con un blitz armato che finisce in un bagno di sangue (400 morti). Il 28 ottobre, con la firma in
23
Campidoglio dei 25 Paesi dell'UE, nasce ufficialmente la Costituzione europea. In novembre, gli Stati
Uniti riconfermano alla presidenza americana George W. Bush, che si aggiudica tre milioni e mezzo di
voti in più rispetto allo sfidante democratico John Kerry. In Iraq, viene sferrato l'attacco finale alla
roccaforte sunnita di Falluja: sono uccisi 1000 insorti; molte le vittime nella popolazione civile. L'11
ottobre Yasser Arafat muore all'ospedale francese di Clamart. In Ucraina esplode la "rivoluzione
arancione": il riformista Viktor Yushenko vince il ballottaggio contro il premier Yanukovich. Il 26
dicembre, un devastante tsunami di violenza mai vista colpisce il Sud-est asiatico: il bilancio
approssimativo della catastrofe è di circa 300.000 morti.
1.12.2 In Italia
1992 A causa dello straordinario aumento del debito pubblico (la cui cifra supera, nel 1991, quella del
prodotto interno lordo, mantenendosi poi, nel decennio 1990-1999, in media al 114, 4 per cento del PIL),
l'Italia è costretta ad uscire dal Sistema Monetario Europeo, al quale aveva aderito nel 1979. Il nuovo
governo, presieduto dal socialista Giuliano Amato, è costretto ad operare una manovra economica molto
onerosa, che determina un'ondata di scioperi. Travolto dall'inchiesta sulle tangenti, il segretario della DC
Forlani è sostituito da Mino Martinazzoli. Nel dicembre, Bettino Craxi riceve il primo di una lunga serie
di avvisi di garanzia.
1993 L'anno si apre con una notizia positiva: il 16 gennaio è arrestato Totò Riina, capo di Cosa nostra,
ricercato da 24 anni per strage e delitti. Con una raffica di provvedimenti giudiziari, emanati dal pool di
Mani Pulite della magistratura milanese (in particolare, da Antonio Di Pietro), viene rivoluzionata la
mappa della politica italiana. Il 18 e 19 aprile, passa con maggioranza schiacciante il referendum sul
sistema elettorale: 83 italiani su 100 scelgono di abolire il vecchio sistema proporzionale e di passare al
maggioritario: nasce così la Seconda Repubblica. Dopo le dimissioni del governo, il nuovo incarico è
affidato al governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi: nove dei 24 ministri sono "tecnici". Il
nuovo esecutivo (appoggiato inizialmente dal PDS e dai Verdi) punta sul risanamento economico e
introduce il sistema uninominale maggioritario con correzione proporzionale relativa al 25 % dei voti.
Nelle elezioni amministrative sono penalizzati i partiti di governo, soprattutto la DC e il PSI. Nell'Italia
settentrionale, si rafforza la Lega Nord, che fa leva sulle spinte anti-centraliste e anti-meridionaliste
presenti nella popolazione. Alla fine dell'anno, l'imprenditore Silvio Berlusconi promuove la costituzione
dei club di Forza Italia. Intanto, il Movimento sociale italiano, guidato da Gianfranco Fini, muta il suo
nome in Alleanza Nazionale, abbandonando (almeno ai vertici) le nostalgie neofasciste (ereditate dal
Movimento sociale-Fiamma tricolore, capeggiato da Pino Rauti).
1994 Martinazzoli scioglie la DC, facendo nascere il Partito Popolare Italiano (PPI). Alle elezioni
anticipate del 27-28 marzo 1994 si presentano tre schieramenti: quello dei Progressisti (PDS,
Rifondazione Comunista, Verdi, Rete, PSI, Cristiano-sociali, Alleanza Democratica, spezzoni del vecchio
PSI), il Patto per l'Italia (PPI, Patto di Mario Segni) e il Polo delle libertà, schieramento di centro-destra,
costituito da Forza Italia, Lega Nord, Alleanza Nazionale, Centro cristiano democratico di Casini (CCD),
Unione di centro, e sostenuto dai Riformatori di Marco Pannella. Il centro-destra vince le elezioni,
ottenendo la maggioranza assoluta alla Camera e sfiorandola al Senato. Il governo guidato da Berlusconi
si insedia nel maggio 1994: vice-presidenti sono Tatarella (AN) e Maroni (Lega). Un nuovo successo è
ottenuto, alle elezioni regionali, da Forza Italia, che diviene il primo partito con il 30,6 % dei voti. La
sconfitta elettorale porta alle dimissioni, nel PDS, di Achille Occhetto, sostituito da Massimo D'Alema. Il
governo Berlusconi deve rassegnare le dimissioni nel dicembre, in seguito ad uno sciopero dei sindacati
sulla riforma delle pensioni e al ritiro dell'appoggio della Lega Nord.
1995 Il presidente della Repubblica Scalfaro assegna l'incarico a Lamberto Dini, ministro del Tesoro nel
governo precedente. Dini vara un esecutivo composto da tecnici. Berlusconi, indagato dalla procura di
Milano, è rinviato a giudizio nell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di finanza. Anche D'Alema è
indagato per finanziamenti illeciti alle cooperative "rosse". L'economista cattolico Romano Prodi, ex
presidente dell'IRI, si candida a rappresentare la coalizione di centro-sinistra nelle prossime elezioni. IL
PSI si scioglie, dando luogo ad un nuovo gruppo, denominato Socialisti italiani e guidato da Enrico
Boselli; dal PPI si stacca Rocco Buttiglione, che dà vita ai Cristiani Democratici Uniti (CDU). Lo
schieramento progressista vince le elezioni amministrative; a sua volta, Berlusconi ottiene un successo nel
referendum sul sistema televisivo.
1996 Dopo le dimissioni di Dini, la coalizione di centro-sinistra, riunita sotto il simbolo dell'Ulivo, vince
le elezioni politiche del 21 aprile, ottenendo alla Camera 289 seggi contro i 246 del Polo delle libertà
(nella parte proporzionale, il PDS risultò il primo partito, con il 21,1 % dei voti). Il governo, presieduto
da Prodi (con vicepresidente Walter Veltroni del PDS), ha tra i suoi membri nove ministri della sinistra ex
comunista. Anche nelle elezioni amministrative prevale l'Ulivo, mentre la Lega si trova in difficoltà
presso l'elettorato per la sua scelta del secessionismo. Il governo Prodi rimane in carica per circa 28 mesi:
il suo scopo principale è quello di far rientrare la lira nell'ambito del Sistema Monetario Europeo e di
24
soddisfare i parametri del trattato di Maastricht. L'obiettivo è raggiunto a prezzo di severi sacrifici, grazie
ad una manovra finanziaria inferiore solo a quella del governo Amato del 1992. Emergono però contrasti
tra l'Ulivo e Rifondazione comunista, che denuncia la crescente disoccupazione, l'aggravarsi delle
condizioni economiche nel Sud, l'erosione del potere d'acquisto dei lavoratori.
1997 Occasione della rottura tra Ulivo e Rifondazione comunista è la presentazione di un progetto di
legge sulla riduzione, a partire dal 2001, della settimana lavorativa a 35 ore (già attuata in Francia). Il 26
settembre, due fortissime scosse di terremoto colpiscono Umbria e Marche, provocando 11 morti,
migliaia di senzatetto, la distruzione di alcuni affreschi di Cimabue e Giotto nella Basilica di San
Francesco ad Assisi. Nel dicembre, Berlusconi rinnova un accordo politico con l'ex alleato della Lega
Umberto Bossi.
1998 Il 3 febbraio, un jet americano, proveniente dalla base Nato di Aviano e volando al di sotto della
quota consentita, trancia i cavi della funivia del Cermis, presso Cavalese in Trentino: muoiono venti
persone. L'Italia chiede una adeguata riparazione; ma i responsabili, giudicati dalla corte marziale
statunitense, sono assolti. Un'altra grave sciagura si verifica a Sarno il 6 maggio: dopo piogge torrenziali,
una valanga si stacca dal monte Alvano e travolge interi paesi campani provocando 159 morti e migliaia
di senzatetto. Tra il febbraio 1997 e il giugno 1998 si svolgono i lavori di una commissione bicamerale,
presieduta da Massimo D'Alema, per elaborare alcune fondamentali riforme costituzionali; ma il tentativo
fallisce quando Berlusconi, insoddisfatto da quanto si era deciso in materia di giustizia, si ritira dalla
commissione. La crisi politica si verifica nell'ottobre: viene meno il sostegno dei parlamentari di
Rifondazione comunista (che paga però questa scelta con una scissione interna e la conseguente
formazione di un secondo partito comunista, guidato da Armando Cossutta); il governo Prodi è sfiduciato
in parlamento con un solo voto di scarto. Scalfaro chiama Massimo D'Alema a presiedere un nuovo
governo, sostenuto dal PDS, dai cossuttiani, dal CDU di Buttiglione e dall'UDR, una nuova formazione
politica guidata dall'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
1999 Nei primi mesi dell'anno, il governo D'Alema deve affrontare le difficoltà sorte nell'elettorato di
sinistra per la partecipazione alla guerra del Kosovo. La maggioranza che sostiene il governo è indebolita
inoltre dall'uscita dei cossighiani e del CDU di Buttiglione. Nelle elezioni europee del giugno, il Polo
delle Libertà consegue un buon successo (in particolare, Forza Italia si afferma come il primo partito). Si
afferma anche la Lista Bonino dei radicali. Un risultato sorprendente è, nelle elezioni amministrative dello
stesso mese, quello di Bologna, che viene sottratta, per la prima volta nel secondo dopoguerra, al governo
della sinistra.
2000 Il 19 gennaio muore Craxi ad Hammamet. Il Tribunale di Venezia conferma il verdetto di condanna
contro Sofri, Bompressi e Pietrostefani per l'omicidio del commissario Calabresi. Accordo della Fiat con
la General Motors di Detroit. Nelle elezioni regionali D'Alema cerca una verifica dell'appoggio
dell'opinione pubblica al suo governo; ma il Polo delle Libertà ha successo in otto regioni, tra le quali
quelle del Nord (grazie all'appoggio della Lega), mentre in sette regioni prevale la coalizione di centrosinistra. All'indomani delle elezioni D'Alema si dimette. L'incarico di formare un nuovo governo viene
attribuito a Giuliano Amato, che completerà il quinquennio del centro-sinistra con alcuni risultati positivi
(tenuta dell'economia, riduzione della disoccupazione, ripresa del Mezzogiorno). Con un'assoluzione e tre
prescrizioni Berlusconi si salva dal processo per le tangenti alla Guardia di Finanza; viene poi assolto
dall'accusa di concorso di corruzione in atti giudiziari nella vicenda del lodo Mondadori. Nel referendum
sulla legge elettorale e sui licenziamenti non si raggiunge il quorum. Secondo l'Inail, gli infortuni sul
lavoro in Italia sono quasi un milione all'anno. Secondo il rapporto della Svimez, sono bloccati nel Sud
investimenti e crescita ed è ripresa l'immigrazione verso il Nord. Nell'anno del Giubileo, arrivano a Roma
in agosto un milione di giovani (i "Papa-boys").
2001 Attacco del settimanale inglese The Economist contro Berlusconi, considerato non adatto a guidare
il governo italiano. Nelle elezioni politiche del 13 maggio, Forza Italia si consolida come primo partito
italiano e la Casa delle Libertà ottiene una netta maggioranza parlamentare (368 seggi alla Camera, contro
i 242 della coalizione dell'Ulivo e gli 11 di Rifondazione comunista). Buoni risultati raggiunge nell'Ulivo
la Margherita (PPI, Democratici, Udeur di Clemente Mastella e Rinnovamento italiano); deludente invece
è il risultato dei DS, che toccano il minimo storico con il 16,6 % di voti. Nelle elezioni amministrative,
l'Ulivo riconquista le grandi città (Roma, Napoli e Torino). La Corte d'Assise di Milano condanna
all'ergastolo i neofascisti Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, Delfo Zorzi (divenuto cittadino
giapponese) come responsabili della strage di Piazza Fontana del 1969. A Genova, il 20 luglio, durante la
manifestazione dei "no global" contro il G8, è ucciso il ventenne Carlo Giuliani. Il movimento denuncia
gravi abusi delle forze dell'ordine. Con una legge, la maggioranza blocca le rogatorie internazionali in
materia di giustizia. Viene varata un'altra legge (la "Bossi-Fini") che prevede, nei confronti degli
immigrati, espulsioni più facili. Il ministro dell'Istruzione Letizia Moratti annuncia finanziamenti alla
scuola privata e il "doppio canale" (scolastico o professionale) a partire dai 14 anni. Viene decisa la
partecipazione italiana all'attacco in Afghanistan.
25
2002 Il ministro degli Esteri Renato Ruggiero si dimette dal governo. Viene approvato il disegno di legge
Bossi sulla devolution, che rafforza il trasferimento delle competenze alle Regioni. La Camera approva un
disegno di legge secondo cui non costituisce motivo di incompatibilità, per chi miri a cariche pubbliche,
la proprietà di imprese o di quote e azioni societarie. 8 marzo: nel canale di Sicilia annegano oltre 50
immigrati. 19 marzo: l'economista Marco Biagi è assassinato a Bologna dalle Brigate Rosse (in
precedenza, a Roma, era stato ucciso il consulente del governo Massimo D'Antona). 23 marzo: a Roma,
imponente manifestazione di tre milioni di persone, chiamate dalla Cgil a difendere i diritti del lavoro e a
dire no al terrorismo. Crisi della Fiat: 8.100 persone in cassa integrazione per un anno. È approvata la
legge Cirami che sposta i processi per "legittimo sospetto". Nel novembre, si svolge a Firenze, senza
incidenti, il Social Forum.
2003 In gennaio, manifestazione a Firenze dei "girotondi", con N. Moretti e S. Cofferati. In aprile, Cesare
Previti è condannato a 11 anni per corruzione in atti giudiziari. In giugno, viene approvata l'immunità per
le alte cariche istituzionali; falliscono, per il mancato raggiungimento del quorum, i referendum per
l'estensione dell'art. 18 e contro l'elettrosmog; nelle elezioni amministrative, prevale il centro-sinistra. In
settembre, vertice dell'Organizzazione mondiale del commercio a Cancún (Messico); in Italia, sono
assegnati alle scuole private 30 milioni di euro all'anno. 12 novembre: muoiono a Nassiyria, in Iraq, 19
soldati del corpo di spedizione e due civili italiani. In dicembre: è approvata la legge Gasparri sulla
televisione, che abolisce i limiti anti-trust e permette l'incrocio giornali-tv; ma il presidente Ciampi non
firma la legge e la rimanda alle Camere; è approvata la legge sulla fecondazione assistita, alla quale sono
posti severi limiti, con divieto per la fecondazione eterologa.
2004 In gennaio: tracollo finanziario del gruppo Parmalat; la Corte Costituzionale dichiara illegittimo il
lodo Schifani, che prevede la sospensione dei procedimenti penali per le cariche più alte dello Stato. In
marzo: la maggioranza vota contro la proposta di legge Boato, che mirava a concedere il potere della
grazia solo al capo dello Stato; due milioni di persone sfilano a Roma, chiedendo il ritiro dei soldati
italiani dall'Iraq. In aprile: quattro vigilantes italiani sono rapiti in Iraq; uno di essi, Fabrizio Quattrocchi,
è ucciso, gli altri sono liberati; alla Camera, passa un emendamento della Lega che qualifica la tortura
come abuso solo se ripetuta; viene approvata definitivamente la legge Gasparri (lievemente modificata) su
editoria e sistema radiotelevisivo. In maggio: sciopero dei magistrati contro la riforma della giustizia:
aderisce l'86 % delle toghe. In giugno: nelle elezioni europee, è sconfitta Forza Italia, che ottiene il 21 %
dei voti, e vince il centrosinistra con il 46 % dei voti; nelle elezioni amministrative, il centrosinistra si
afferma in 63 province (vincendo al ballottaggio in 52 province), 4518 comuni e nella regione Sardegna;
il ministro Tremonti, sfiduciato da AN, è costretto a dimettersi: lo sostituisce Domenico Siniscalco. In
luglio: la Corte Costituzionale dichiara illegittimi l'arresto obbligatorio e l'espulsione dei clandestini senza
diritto alla difesa, previsti dalla legge Bossi-Fini; è abolito il servizio militare obbligatorio a partire dal
primo gennaio 2005. In agosto: viene rapito e ucciso in Iraq il giornalista Enzo Baldoni. In settembre:
sono rapite in Iraq le volontarie Simona Pari e Simona Torretta: saranno liberate dopo 21 giorni di
prigionia. In ottobre: l'Europarlamento boccia la candidatura di Rocco Buttiglione a commissario
europeo; il presidente Ciampi nomina senatore a vita il poeta Mario Luzi; la Cassazione assolve
definitivamente Giulio Andreotti, per insufficienza di prove, dall'accusa di associazione a delinquere di
stampo mafioso. In novembre: Gianfranco Fini diviene ministro degli Esteri; a Napoli, numerose sono le
vittime della guerra tra i clan della camorra; accordo nel governo sul taglio delle tasse: sono introdotte tre
aliquote (23, 33 e 39%) più un contributo di solidarietà. In dicembre: Marco Follini dell'UDC, diventa
vice-premier; Berlusconi è assolto al processo Sme; Marcello Dell'Utri è condannato a nove anni per
concorso esterno in associazione mafiosa; la riforma Castelli sulla giustizia diventa legge, ma il presidente
Ciampi la rinvia alle Camere.
Bibliografia essenziale
Sul secolo breve E. J. Hobsbawm, Il secolo breve, Rizzoli, Milano 1995.
Sulla globalizzazione: U. Beck, Che cos'è la globalizzazione, Carocci, Roma 1999; N. Klein,
No Logo, Badini & Castoldi, Milano 2002; F. Rampini, New Economy, Laterza, Roma-Bari
2002; M. R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione, Il Mulino, Bologna 2002.
Sugli Stati Uniti: G. Mammarella, L'America da Roosevelt a Reagan, Laterza, Roma-Bari
1984; C. Pinzani, Da Roosevelt a Gorbaciov. Storia delle relazioni fra Stati Uniti e Unione
sovietica nel dopoguerra, Ponte alle Grazie, Firenze 1990; G. Valdevit, Gli Stati Uniti e il
Mediterraneo da Truman a Reagan, Angeli, Milano 1992.
Sulla Russia: G. Boffa, Dall'Urss alla Russia. Storia di una crisi non finita, 1964-1994,
Laterza, Roma-Bari 1995; F. Benvenuto, Storia della Russia contemporanea. 1853-1996,
Laterza, Roma-Bari 1999.
26
Sull'Europa Orientale: F. Fejtö, La fine delle democrazie popolari. L'Europa Orientale dopo
la rivoluzione del 1989, Milano 1994.
Sull'America Latina: G. Urbani - F. Ricciu, Dalle armi alle urne: economia, società e politica
nell'America Latina degli anni '90, Il Mulino, Bologna 1991; T.S. Di Tella, Tra Caudillos e
partiti politici. La mobilitazione sociale in America Latina, Feltrinelli, Milano 1993.
Sulla Cina: E. Collotti Pischel (a cura di), Cina oggi, Laterza, Roma-Bari 1991.
Sui paesi arabi: P.G. Donini I paesi arabi. Dall'impero ottomano agli Stati attuali. La corsa al
petrolio. La questione palestinese, Roma 1983.
Sul conflitto arabo-israeliano: M. Rodison, Israele e il conflitto arabo. Settantacinque anni di
storia, Einaudi, Torino 1968.
Sulla Chiesa: G. Verucci, La Chiesa cattolica in Italia dall'Unità a oggi. 1861-1998, Laterza,
Roma-Bari 1999.
Sulla più recente storia d'Italia: P. Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi,
Torino 1989; P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia
(1945-1990), Il Mulino, Bologna 1991; M. L. Salvadori, La sinistra nella storia italiana,
Laterza, Roma-Bari 1999; G. Sabbaducci - V. Vidotto, Storia d'Italia, vol. VI, L'Italia
contemporanea dal 1963 a oggi, Laterza, Roma-Bari 1999.
27
SEZIONE SECONDA
LA CULTURA
2.1 Mentalità e civiltà
La «rivoluzione antropologica»
La Post-modernità. A cominciare dagli anni Cinquanta, si è verificato un profondo
mutamento nella mentalità e nel modo di vivere, che ha modificato radicalmente le
strutture della società e che, ad un acuto osservatore del costume come Pier Paolo
Pasolini, è apparso come una «rivoluzione antropologica». A tale fenomeno è stato dato
il termine di Post-modernità o di Post-moderno, che non va confuso con l'altro termine
di Post-modernismo. Mentre il Post-moderno indica neutralmente una nuova epoca
storica, alla quale si riconoscono caratteri specifici, il Post-modernismo è un insieme di
teorie e di ideologie di origine americana che fornisce una valutazione positiva del
fenomeno. Approfondiremo più avanti il Post-modernismo come movimento ideologico
e letterario (vedi 3.1). Per quanto concerne la Post-modernità, si tratta, secondo gli
studiosi più autorevoli, di un cambiamento storico ed epocale, avvenuto su scala
mondiale nei paesi a capitalismo avanzato. Lo studioso italiano che ha analizzato più
attentamente il fenomeno, Renzo Ceserani, è convinto che il Post-moderno segni un
cambiamento radicale, da paragonare a quello verificatosi tra Settecento e Ottocento.
Seguiamo nelle linee fondamentali il saggio dello studioso (Raccontare il postmoderno, Bollati Boringhieri, Torino 1997).
Una nuova cultura. Un aspetto complessivo della Post-modernità è il crollo della
distinzione fra cultura di élite e cultura di massa. L'enorme espansione dei media ha
rimescolato e allargato a dismisura il pubblico che consuma oggetti culturali: la
tendenza post-moderna è quella della manipolazione di tali nuovi prodotti, per
trasformarli in oggetti di culto. Una serie di novità investe, negli anni Sessanta, le
espressioni artistiche, il gusto il costume, soprattutto negli Stati Uniti: la pop art di
Robert Rauschenberg, la poesia beat di Allen Ginsberg, i libri-culto di J. Kerouac,
William S. Burroughs, Karl Vonnegut, Thomas Pynchon, gli esperimenti musicali di
John Cage, i film di Andy Warhol e di Woody Allen, sono tutti fenomeni che
convergono nella ribellione contro la cultura accademica e nell'assunzione di temi e
immagini della cultura popolare. Non c'è più spazio per l'avanguardia, dal momento che
l'innovazione è stata assunta dal mercato. La cultura diventa così un prodotto, imposto
sul mercato dalla pubblicità. Si diffonde il collezionismo di massa, che «lavora a ridurre
il passato a museo di fotografie e raccolta di ritagli di immagini e simulacri» (Ceserani,
p. 142). Declina la tematica "moderna" della memoria: il passato diventa un grande
serbatoio culturale di immagini. Lo spazio si dilata, diventa "iperspazio". I luoghi topici
dello spazio post-moderno sono l'autostrada, il supermercato, l'aeroporto. Soprattutto il
supermercato si afferma come il luogo di culto dell'adorazione post-moderna delle
merci. «A fare da pendant a questi luoghi topici dell'elencazione caotica stanno i luoghi
delle scorie e del rifiuto, i cumuli immensi della spazzatura, i relitti umani dei naufragi
di una società degradata che si raccolgono nelle metropolitane, attorno alle stazioni
ferroviarie, nei centri urbani svuotati di abitazioni e popolati soltanto da palazzi, per
uffici e banche, di notte vuoti e spettrali» (Ceserani, p. 143). La trasformazione investe
l'individuo: ad un mondo frammentato corrisponde un soggetto frammentato.
28
All'esperienza "moderna" dell'angoscia e dell'alienazione si contrappone la nuova
esperienza della frammentazione schizofrenica, della molteplicità dei punti di vista,
della perdita di fiducia nelle ideologie totalizzanti.
Complessità del Post-moderno. Del complesso fenomeno del Post-moderno, gli
studiosi hanno privilegiato volta per volta i fatti culturali o i fatti ideologici e politici o i
fatti economici e strutturali di base. È tuttavia difficile giudicare un fenomeno che ci
coinvolge come protagonisti e ci costringe a diventare osservatori di noi stessi. La
nostra situazione (come è stato ben detto) assomiglia molto a quella del barone di
Münchhausen, che doveva tirarsi fuori dallo stagno prendendosi per i propri capelli.
Un celebre articolo di Pasolini. Torniamo a Pier Paolo Pasolini. Si discute oggi
sull'autentica grandezza di Pasolini come poeta; ma unanime è il riconoscimento
dell'importanza del saggista, autore di libri come Passione e ideologia, Empirismo
eretico, Scritti corsari, di fondamentale rilievo per capire la storia del Novecento
italiano. Al tempo di Pasolini, non si parlava ancora di Post-moderno; ma nessuno come
l'intellettuale friulano seppe intuire la profondità della trasformazione verificatasi nelle
masse popolari, omologate dalla società dei consumi: una distruzione dei valori che
colpiva in particolare i giovani, ridotti al ruolo di cultori di un benessere materialistico e
nichilistico, e che lo scrittore visse come una tragedia personale. Del 1975 (l'anno stesso
della sua tragica morte) è il famoso articolo di Pasolini sulla "scomparsa delle lucciole":
una metafora sul mutamento antropologico del popolo italiano, in coincidenza con la
svolta segnata nel mondo dall'età post-moderna. Colpisce il giudizio pessimistico dello
scrittore sugli italiani, divenuti «un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale»:
in realtà, l'Italia del 1975 era un paese insanguinato dagli attentati, il paese dei servizi
segreti deviati e dei colpi di Stato annunciati, dei delitti politici e di una nuova ed
efferata criminalità che lo scrittore avrebbe sperimentato presto sul suo stesso corpo.
Ma colpisce ancora di più il lucido giudizio su «una nuova epoca della storia umana: di
quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche»: un giudizio davvero
profetico.
***
Documento
PIER PAOLO PASOLINI
La scomparsa delle lucciole
Riproduciamo alcuni passi dell'articolo che Pasolini pubblicò il 1° febbraio 1975 sul
«Corriere della Sera», con il titolo Il vuoto del potere in Italia.
(Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975)
Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa
dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge1 trasparenti) sono cominciate a
scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole
non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano
che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque
non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di
anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole".
1. rogge: piccoli canali o fosse di irrigazione.
29
Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono
confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura
storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre
insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle
lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. Osserviamole
una alla volta.
Prima della scomparsa delle lucciole. La continuità tra fascismo fascista e fascismo
democristiano è completa e assoluta. La democrazia che gli antifascisti democristiani
opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale. Si fondava su una maggioranza
assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine,
gestiti dal Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime
totalmente repressivo. In tale universo i "valori" che contavano erano gli stessi che per il
fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l'obbedienza, la disciplina, l'ordine, il risparmio, la
moralità. Tali "valori" (come del resto durante il fascismo) erano "anche reali": appartenevano
cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia arcaicamente agricola e
paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano assunti a "valori" nazionali non potevano
che perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato.
Dopo la scomparsa delle lucciole. I "valori" nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio
universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia,
obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. E non servono neanche più in quanto
falsi. Essi sopravvivono nel clerico-fascismo emarginato (anche il MSI2 in sostanza li ripudia).
A sostituirli sono i "valori" di un nuovo tipo di civiltà, totalmente "altra" rispetto alla civiltà
contadina e paleoindustriale. Il trauma italiano del contatto tra l'"arcaicità" pluralistica 3 e il
livellamento industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i
valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione
dell'industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse, non più antiche
(contadine, artigiane) e non ancor moderne (borghesi). In Italia sta succedendo qualcosa di
simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l'industrializzazione degli anni Settanta
costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non
siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della
storia umana, di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che
gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni
(specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto
uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna
amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana, l'avevo amata: sia al di fuori degli schemi del
potere (anzi, in opposizione disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e umanitari.
Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque "coi miei sensi"
il comportamento coatto4 del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo
italiani, fino a una irreversibile degradazione.
Tutti i miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei potenti democristiani: in
pochi mesi, essi sono diventati delle maschere funebri. È vero: essi continuano a sfoderare
radiosi sorrisi, di una sincerità incredibile. Nelle loro pupille si raggruma della vera, beata luce
di buon umore. Quando non si tratti dell'ammiccante luce dell'arguzia e della furberia. Cosa che
agli elettori piace, pare, quanto la piena felicità. Inoltre, i nostri potenti continuano imperterriti
i loro sproloqui incomprensibili; in cui galleggiano i "flatus vocis" delle solite promesse
stereotipe. In realtà essi sono appunto delle maschere. Son certo che, a sollevare quelle
maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d'ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il
vuoto. La spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c'è un drammatico vuoto di potere.
2. Msi: sigla del Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista fondato nel 1946 e confluito nel movimento di
Alleanza Nazionale nel 1995.
3. l'arcaicità pluralistica: allusione alla compresenza di diverse culture nell'Italia contadina dell'epoca preindustriale.
4. coatto: imposto con la forza.
30
Ma questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere
dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un
vuoto di potere in sé. Come siamo giunti, a questo vuoto? O, meglio, "come ci sono giunti gli
uomini di potere?". La spiegazione, ancora, è semplice: gli uomini di potere democristiani sono
passati dalla "fase delle lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole" senza accorgersene.
Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro inconsapevolezza su questo
punto è stata assoluta; non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e
gestivano, non stava semplicemente subendo una "normale" evoluzione, ma sta cambiando
radicalmente natura. E lo stesso si dica per la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità
dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi imponeva a essa
cambiamenti radicali nel senso della modernità, fino ad accettare il divorzio, e ormai,
potenzialmente, tutto il resto, senza più limiti (o almeno fino ai limiti consentiti dalla
permissività del nuovo potere, peggio che totalitario in quanto violentemente totalizzante). Gli
uomini del potere democristiani hanno subito tutto questo, credendo di amministrarselo e
soprattutto di manipolarselo. Non si sono accorti che esso era "altro": incommensurabile non
solo a loro ma a tutta una forma di civiltà. I potenti democristiani coprono con la loro manovra
da automi e i loro sorrisi, il vuoto. Il potere reale procede senza di loro: ed essi non hanno più
nelle mani che quegli inutili apparati che, di essi, rendono reale nient'altro che il luttuoso
doppiopetto. Tuttavia nella storia il "vuoto" non può sussistere: esso può essere predicato solo
in astratto e per assurdo. È probabile che in effetti il "vuoto" di cui parlo stia già riempiendosi,
attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l'intera nazione. Ne è un
indice ad esempio l'attesa "morbosa" del colpo di Stato. Quasi che si trattasse soltanto di
"sostituire" il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per trenta anni,
portando l'Italia al disastro economico, ecologico, urbanistico, antropologico. Il potere reale
che da una decina di anni le "teste di legno" hanno servito senza accorgersi della sua realtà:
ecco qualcosa che potrebbe aver già riempito il "vuoto". Di tale "potere reale" noi abbiamo
immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali "forme" esso
assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice
"modernizzazione" di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il
lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola.
2.2 Il pensiero
2.2.1 Lo strutturalismo
Durante gli anni Sessanta, si è sviluppato in Francia un movimento filosofico,
scientifico e letterario derivato dalla linguistica strutturale di Ferdinand de Saussure e
consistente nel considerare l'oggetto di una determinata ricerca come una struttura
definibile mediante la descrizione delle relazioni intercorrenti tra i suoi elementi. La
novità dello strutturalismo consiste nell'applicare alle scienze umane lo stesso metodo
delle scienze naturali, cioè nel considerare gli avvenimenti umani alla stessa stregua
degli eventi naturali, scoprendone dall'esterno i rapporti che li collegano in un insieme
di relazioni reciproche. In breve, la totalità (l'insieme in cui "tutto si tiene") e
l'interdipendenza sono i concetti costitutivi dello strutturalismo, la cui fortuna, a livello
letterario, è legata agli scritti di Roland Barthes (1951-1980), finissimo descrittore del
"piacere del testo" e acuto indagatore dei miti e dei riti dell'uomo. In senso più
accentuatamente filosofico hanno operato i cosiddetti "quattro moschettieri" dello
strutturalismo: Louis Althusser, Michel Foucault, Jacques Lacan, Claude Lévi-Strauss
(di questi ultimi due studiosi ci occuperemo più avanti, nell'ambito del discorso sulle
scienze umane).
Louis Althusser. Un'interpretazione in chiave strutturalistica del marxismo è quella di
Louis Althusser (1918-1990). Molto stimolanti, nel dibattito filosofico degli anni
31
Sessanta-Settanta, sono state due opere di Althusser, il saggio Per Marx (1965) e l'opera
collettiva Leggere il Capitale (1968): una rivisitazione del pensiero marxiano,
interpretato come frattura (a partire dalle Tesi su Feuerbach e dall'Ideologia tedesca)
nei riguardi dell'umanesimo di Feuerbach e dello storicismo idealistico di Hegel e come
fondazione di una nuova visione scientifica della realtà. Secondo Althusser, le opere
giovanili di Marx sono ancora influenzate dal pensiero di Feuerbach e non hanno
dunque carattere scientifico; nella sua fase più matura Marx ha abbandonato il concetto
hegeliano di "alienazione", sostituendolo con la contraddizione "strutturale" tra capitale
e lavoro come caratteristica essenziale della società capitalistica. Il marxismo non è
dunque, per il pensatore francese, il risultato di un capovolgimento della dialettica di
Hegel, ma un movimento originale, centrato su categorie nuove ("forze produttive",
"rapporti di produzione", ecc.); e la storia non è un processo continuo verso un fine, ma
un insieme discontinuo che procede per fratture successive, determinate dal variare dei
modi di produzione. In questo «processo senza soggetto», non si deve privilegiare
l'uomo astrattamente inteso, ma l'accento deve essere posto sulle strutture economiche
della società, che condizionano la vita degli individui. Compito della filosofia è quello
di distinguere tra analisi scientifica e "ideologia", intesa quest’ultima come «rapporto
immaginario degli individui e delle classi con le loro condizioni di esistenza»; «lotta di
classe nella teoria», la filosofia deve, secondo Althusser, combattere le mistificazioni
dell'ideologia nel nome della scienza, configurandosi come «pratica teorica».
Nell'ultimo Althusser si è attenuata la polemica anti-storicistica, ma si è anche
approfondita la riflessione sull'ideologia come sistema di istituzioni pubbliche (tra le
quali la scuola, intesa come «apparato ideologico» dello Stato) e private, che tendono a
riprodurre e mantenere inalterati i rapporti sociali nell'ambito della società capitalistica
(Sull'ideologia, 1976).
Michel Foucault. Considerato come una delle figure di maggior rilievo della filosofia
francese contemporanea, Michel Foucault (1926-1984) oltrepassa i confini dello
strutturalismo per affrontare la tematica attualissima del nesso tra "potere" e "sapere" e
delle coercizioni esercitate dalle istituzioni sull'individuo. Una tipica istituzione
repressiva, studiata da Foucault, è il manicomio, nato in piena epoca moderna dalla
paura del "diverso", che deve essere segregato in un luogo chiuso (Storia della follia
nell'età classica, 1961). Non diversamente da Althusser, Foucault respinge la
concezione della storia come risultato di un progetto cosciente dell'uomo in vista di un
determinato fine: non lineare, ma discontinuo è il processo storico, caratterizzato da
brusche fratture, a ciascuna delle quali corrisponde un determinato campo del sapere
(epistéme: in greco, "scienza"). Nella sua opera più celebre, Le parole e le cose (1966),
Foucault distingue tre "strutture epistemiche", che caratterizzano tre diverse epoche
culturali: l'episteme del Rinascimento, quella dell'«età classica» della Ragione (XVIIXVIII secolo), quella dell'età moderna. Poiché tali strutture operano a livello inconscio,
esse possono essere descritte, ma non spiegate: il filosofo si trasforma pertanto in
"archeologo" del sapere. Una svolta nel pensiero di Foucault si verifica dopo il 1968,
quando l'attenzione del filosofo si concentra sul tema del potere e sulle sue occulte
strategie (Microfisica del potere è il titolo di un saggio del 1977). Grande rilievo
assume in questa nuova prospettiva uno studio sulle origini del sistema carcerario,
Sorvegliare e punire (1975): Foucault dimostra che la prigione, concepita in vista della
riabilitazione del condannato, si trasforma in una "istituzione totale", volta a eliminare
dalla circolazione una parte della popolazione (povera o marginale) dedita all'illegalità.
Negli ultimi anni Foucault si è dedicato a una Storia della sessualità, un'imponente
opera concepita in sei volumi, dei quali solo i primi tre (La volontà di sapere, 1976;
L'uso dei piaceri, 1984; La cura di sé, 1984) sono stati pubblicati (la morte prematura
per Aids ha interrotto l'attività del filosofo). Si tratta di una valutazione positiva dell’età
32
classica greca, durante la quale la sessualità era libera costruzione della personalità,
priva di norme rigide e di divieti.
2.2.2 La filosofia della scienza
Nel Novecento, la filosofia della scienza o epistemologia (dalle parole greche epistéme,
"scienza", e lógos, discorso), che ha per oggetto la conoscenza scientifica, ha ricevuto
un rinnovato impulso dalla «seconda rivoluzione scientifica», determinatasi fin
dall'inizio del Novecento nell'ambito delle scienze della natura, e dallo sviluppo delle
scienze umane. Si deve soprattutto a due filosofi, il francese Gaston Bachelard e
l'austriaco Karl Popper, una rinnovata attenzione alla storia della scienza, in polemica
con il Neopositivismo, che, disinteressandosi del passato, aveva ridotto la scienza a un
insieme di verità definitive.
Bachelard. Il nome di Gaston Bachelard (1884-1962) è legato al concetto di "rottura
epistemologica", cioè della frattura rispetto al passato che si verifica in un determinato
momento nel campo della conoscenza scientifica (è il caso, ad esempio, della teoria
della relatività o della fisica quantistica rispetto alla meccanica di Newton). Secondo
Bachelard, il progresso scientifico non va dunque inteso come uno svolgimento lineare,
ma come una successione di smentite rispetto alle teorie precedenti: l'errore, però, ha
una funzione preziosa, perché proprio la correzione di quell’errore che è presente in una
fase anteriore della conoscenza permette di elaborare una teoria nuova, più vicina alla
verità scientifica. Un altro motivo di interesse nel pensiero di Bachelard è la persuasione
dei profondi legami che intercorrono tra conoscenza scientifica e conoscenza fantastica:
di qui gli studi del filosofo francese su temi ricorrenti nell'immaginario e nell'inconscio,
come l'acqua, l'aria, il fuoco.
Popper. Il più grande epistemologo e uno dei più grandi filosofi del Novecento è Karl
Popper, nato a Vienna nel 1902 e morto a Londra (dove aveva insegnato negli ultimi
anni) nel 1994. In giovinezza, Popper era entrato in contatto con il Circolo di Vienna,
senza però aderire alle tesi del Neopositivismo. Il dissenso di Popper riguardava il
principio neopositivista di verificazione, in base al quale una teoria può essere
considerata scientifica solo quando è confermata dall'esperienza. Nella sua prima opera,
La logica della ricerca scientifica (1934), Popper propone di sostituire al principio di
verificazione il principio di falsificabilità, in base al quale una teoria è scientifica solo
quando è in grado di indicare quali esperimenti potrebbero falsificarla. Ad esempio, la
teoria della relatività di Einstein è stata una teoria scientifica prima ancora di aver
ricevuto conferme sperimentali, perché enunciava chiaramente quali fatti avrebbero
dovuto accadere per smentirla: secondo tale teoria, la luce subisce una deviazione
passando accanto a grandi masse (il che è stato confermato solo più tardi). Proprio da
Einstein (a una cui conferenza il giovane Popper aveva assistito, rimanendone
entusiasta) il filosofo austriaco trae lo spunto per una critica radicale alla logica
induttiva, su cui si fondava il pensiero neopositivista: si tratta, per Popper, di una logica
irrazionale, dal momento che pretende di trarre da un numero finito di casi sperimentati
in passato (ad esempio: «alcuni corvi sono neri») una legge universale valida anche in
futuro («tutti i corvi sono neri»). Non è vero, secondo Popper, che la scienza proceda in
base a un metodo induttivo (dal singolare all’universale, dall'esperienza alla teoria);
viceversa, il procedimento della scienza parte da una ipotesi, dalla quale si deduce una
previsione controllabile: se questa non è confermata, la teoria risulta falsificata; in caso
contrario, essa viene "corroborata" (non "verificata", perché una verifica è sempre
impossibile) e pertanto assunta come valida, finché non sarà a sua volta confutata. Per
tornare al nostro esempio: noi non possiamo verificare se tutti i corvi sono neri, ma
possiamo falsificare tale credenza; basterà infatti un solo esempio contrario, del tipo «in
33
un determinato posto x c'è un corvo bianco», per confutare l'affermazione universale
«tutti i corvi sono neri». Con la sua teoria della falsificabilità, Popper indica una precisa
linea di demarcazione tra scienza e non-scienza: sono scientifiche le teorie che possono
essere confutate dall'esperienza, e metafisiche quelle che non prevedono tale possibilità.
La polemica di Popper è insomma rivolta contro i modelli scientifici dogmatici, che
cercano solo conferme e non smentite alle proprie teorie, mentre invece (come Popper
sostiene in Congetture e definizioni, 1962) la vera scienza è quella che parte non da
asserzioni di verità, ma da problemi, per approdare non a determinate certezze, ma a
nuovi problemi. In Conoscenza oggettiva (1972) Popper precisa ulteriormente il senso
del proprio «razionalismo critico», sostenendo una teoria della verità come
«approssimazione»: sulla base di tale teoria, il progresso del sapere scientifico si
configura come una marcia di avvicinamento alla verità, che procede mediante
«correzioni» e «integrazioni» successive. Molto nota è, in Conoscenza oggettiva, la
teoria popperiana dei «tre mondi»: il primo mondo è quello dei fatti materiali, il
secondo è quello delle esperienze soggettive e personali, il terzo è quello della cultura e
delle teorie (non solo quelle scientifiche, ma anche quelle metafisiche), che sono
oggettive e indipendenti dall'uomo e dal tempo, dal momento che «la verità è senza
tempo». Pur non essendo tra le opere maggiori di Popper, ha avuto grande risonanza
l'opera polemica La società aperta e i suoi nemici (1945), dove il filosofo austriaco
critica ogni forma di storicismo e indica come "nemici" della "società aperta" (cioè della
democrazia) quei pensatori, come Platone, Hegel e Marx, che hanno prospettato una
società perfetta, e, come tale, non riformabile. Un vivace dibattito ha suscitato anche il
breve saggio Una patente per fare tv (1994), dove il grande filosofo si scaglia contro la
televisione, considerandola, se usata male, uno strumento deleterio per l'educazione dei
bambini.
Il dibattito epistemologico dopo Popper. La teoria popperiana della falsificabilità è
stata sottoposta a severe critiche, anche da parte dei seguaci del filosofo austriaco. Uno
tra questi, l'ungherese Imre Lakatos (1922-1974), ha criticato, in particolare, la
concezione popperiana della storia della scienza come semplice scontro tra singole
teorie rivali, proponendo invece un confronto tra diversi programmi di ricerca, ognuno
dei quali è costituito di un nucleo centrale, che si mantiene inalterato, e da un insieme di
teorie ausiliarie, che sono sostituite man mano che vengono confutate dall'esperienza
(solo in casi eccezionali, dinanzi a nuove teorie e a nuovi problemi, si può cambiare
l'intero programma di ricerca). Una vera e propria alternativa alla concezione
popperiana è invece quella dell'americano Thomas S. Kuhn (1922-1996), autore di un
celebre saggio, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), in cui si sostiene che lo
scienziato osserva il mondo attraverso "paradigmi", cioè attraverso quelle conquiste
scientifiche che sono universalmente riconosciute in una determinata epoca; occorre
distinguere tra fasi normali della ricerca scientifica, caratterizzate dall'accettazione dei
paradigmi dominanti, e fasi rivoluzionarie, quando un determinato paradigma non è più
in grado di risolvere i nuovi problemi posti dall'esperienza, per risolvere i quali la
«comunità scientifica» (cioè l'insieme degli scienziati riconosciuti come tali dal proprio
tempo) decide di adottare un paradigma nuovo: si verifica allora una rivoluzione
scientifica, come quella, celeberrima, di Copernico. Con la teoria dei paradigmi, Kuhn
si allontana notevolmente da Popper: i paradigmi sono infatti imposti dogmaticamente
dalla comunità scientifica, le cui scelte sono legate anche ai fattori psicologici e sociali
del proprio tempo; e d'altra parte è arduo stabilire un confronto tra teorie diverse (non a
caso, quando un tolemaico e un copernicano osservano la luna, vedono cose differenti).
Le questioni sollevate da Kuhn sono state radicalizzate dal filosofo americano di origine
tedesca Paul K. Feyerabend (1924-1994), il cui saggio Contro il metodo (1975) ha
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suscitato un vasto dibattito. Secondo Feyerabend qualsiasi tentativo di definire un
metodo scientifico basato su norme rigide è destinato a fallire: la storia della scienza
dimostra infatti che non esiste alcuna norma che non sia stata intenzionalmente violata,
e proprio tali violazioni hanno rappresentato la condizione del progresso del sapere
scientifico. Non si deve pertanto imporre un singolo metodo di ricerca: «qualsiasi cosa
può andar bene» è la conclusione "anarchica" di Feyerabend, che ha provocato clamore
e dissensi, ma che è anche una coraggiosa riflessione sulla necessità di considerare la
scienza come un elemento essenziale della nostra vita senza tuttavia rendercene schiavi.
2.2.3 L'ermeneutica
Una teoria dell'interpretazione. Derivato dal greco (hermenèuein, "comunicare", "fare
da interprete"), il termine "ermeneutica" designa originariamente un complesso di
tecniche per interpretare correttamente testi sacri, giuridici, letterari. Il filosofo tedesco
Hans-Georg Gadamer (1900-2002), nella sua opera Verità e metodo (1960), ha
attribuito al termine il significato filosofico di "comprensione", intesa non come
semplice tecnica interpretativa, ma come dimensione costitutiva dell'intera situazione
esistenziale dell'uomo, quale si esprime attraverso il linguaggio.
Allievo di Heidegger, Gadamer è uno dei più grandi maestri del pensiero
contemporaneo. Centro della sua riflessione è il problema della verità, della quale si può
avere concreta esperienza non solo nell'ambito della scienza, ma anche in quelli
dell’arte, della storia e del linguaggio. L'arte costituisce un’“apertura di verità” che ci
coinvolge profondamente e ci trasforma: nell'incontro con essa noi sperimentiamo
fenomeni del tutto estranei al metodo scientifico. La storia, a sua volta, ci consente un
fecondo rapporto con la tradizione. A differenza del pensiero illuministico, che tendeva
a liberare l'uomo dal peso della tradizione e dai pregiudizi del passato, Gadamer pensa
che i pregiudizi abbiano una funzione positiva, perché la comprensione del rapporto tra
l'esistenza e il mondo prende necessariamente l'avvio dalla tradizione. L'esperienza
decisiva è quella del linguaggio. Il lavoro dell'interprete consiste in un progressivo
allargamento del proprio "orizzonte" di conoscenza a contatto con un testo del passato,
che ci pone delle domande e ci modifica. Tra l'interpretante e l'interpretato occorre
raggiungere una «fusione di orizzonti», cioè un'integrazione tra l'orizzonte di significato
del testo e l'orizzonte di comprensione dell'interprete, in modo che questi possa dare una
risposta alla parola del testo che lo interpella («Chi vuol comprendere un testo - scrive
Gadamer - deve essere disposto a lasciarsi dire qualcosa da esso»). Tale gioco di
domande e risposte costituisce il «circolo ermeneutico», il cui "mezzo" indispensabile è
il linguaggio, «orizzonte del mondo», dal momento che «l'essere che può venir
compreso è linguaggio»: in questa formula l'ermeneutica di Gadamer trova la sua più
alta espressione. In una intervista in occasione del compimento dei suoi cento anni,
Gadamer si è pronunciato in termini suggestivi sul futuro della filosofia: «È vero, i
filosofi non sono abbastanza presenti, sono anzi sempre più assenti. Fanno poche
domande sulla vita, non danno quasi risposte. E la filosofia, o meglio la logica formale,
si rinchiude sempre più nelle accademie e nelle università. Eppure, anche in questo
deserto, che durerà forse per due, tre generazioni, la filosofia continuerà a vivere, vivrà,
almeno, nell'esigenza di filosofia che c'è in ognuno di noi. Che lo si neghi o no, c'è una
disposizione naturale dell'uomo alla filosofia. Può essere assecondata oppure no. Certo
oggi non viene assecondata. Ma finché resta l'uomo, e l’umanità dell’uomo, resta anche
la filosofia. Ogni bambino, al più tardi a sei anni, si chiede che cos'è la morte. È questa
la forza enigmatica della filosofia».
Ricoeur. Un altro tra i maggiori esponenti dell'ermeneutica è il francese Paul Ricoeur
(1913-2005). Di formazione protestante, autore di fondamentali studi
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sull'esistenzialismo e sulla fenomenologia, Ricoeur si è poi orientato verso la filosofia
ermeneutica, considerando il linguaggio non solo come un insieme di segni, ma anche
nella sua dimensione simbolica. L'ermeneutica è inoltre intesa da Ricoeur come
conflitto di interpretazioni; di notevole rilievo è, in particolare, un saggio di Ricoeur su
Freud (Dell'interpretazione, 1967), dove la psicoanalisi è definita come una scuola del
sospetto», che aiuta a demistificare, mediante lo studio dell'inconscio, le false
costruzioni della coscienza. Con Freud, altri due "maestri del sospetto" sono, per
Ricoeur, Marx e Nietzsche, che, come il grande scienziato viennese, suggeriscono di
"sospettare" il vero senso dell'esistenza a un livello meno superficiale e più profondo
(coincidente, per Marx, con la liberazione dalle false ideologie, e, per Nietzsche, con
l'aumento dell'autentica potenza e libertà dell'uomo). Nell'opera Se stesso come un altro
(1990), Ricoeur ha sviluppato una "ermeneutica del sé", cioè dell'identità della persona,
da raggiungere in un difficile equilibrio tra l'autonomia individuale e la sollecitudine per
il prossimo. Del 2000 è La memoria, la storia, l'oblio (2000), che è l'ultima grande
opera filosofica del ventesimo secolo e, al tempo stesso, la prima del ventunesimo:
infatti, da un lato essa rielabora il sapere di una tradizione che risale a Platone e
Aristotele; dall'altro lato, si apre ai nuovi orizzonti della conoscenza, dischiusi dalle
scienze umane. Suggestive sono le riflessioni del filosofo francese sui grandi temi della
memoria individuale e collettiva, del rapporto dell'io con il tempo, della colpa e del
perdono.
2.2.4 Filosofia morale e filosofia politica
Jonas. Nell'ambito della filosofia morale, spicca la figura del filosofo tedesco Hans
Jonas (1903-1993), che ha posto al centro della sua riflessione i temi della tecnica e
della crisi ecologica. Nel suo saggio Il principio di responsabilità (1979), Jonas prende
le mosse non dall'idea del bene, come nella morale classica, e nemmeno dall'idea della
società futura, come nel marxismo, ma dall'esperienza del male, che, per un ebreo come
lui, si identifica anzitutto con la tragedia dell'Olocausto. Incombenti sull'umanità sono
oggi altre minacce, come quella di uno sfruttamento senza limiti delle risorse del
pianeta che porti alla distruzione della natura, o quella di manipolazioni incontrollate
conseguenti allo sviluppo dell'ingegneria genetica. Facendo leva sui sentimenti
dell'angoscia e della paura suscitate da tali prospettive, Jonas ha lanciato un appello al
senso di responsabilità, affinché l'umanità possa scongiurare il pericolo
dell'autodistruzione.
Arendt. Amica di Jonas e allieva di Heidegger, l'ebrea tedesca Hannah Arendt (19061975) ha svolto un'importante riflessione sull'origine del totalitarismo nella società
moderna e sul concetto di rivoluzione, ha studiato il problema della "differenza" e del
rapporto tra inclusione ed esclusione all'interno della comunità, ha riabilitato l'idea
dell'agire politico rispetto ad altre forme dell'attività umana come il "lavoro" e la
"produzione".
Rawls. Uno dei maggiori filosofi della politica è lo statunitense John Rawls (19212002), autore di un saggio fondamentale, Una teoria della giustizia (1971), dove viene
riformulata la teoria del contratto sociale. Rawls sostiene che nella società moderna
l'idea del giusto deve prevalere sull'idea del bene; un ordine politico-sociale giusto
dovrebbe coincidere con quello che i cittadini adotterebbero se imparzialmente
tenessero conto degli interessi e delle prospettive di tutti e in special modo dei meno
fortunati. I principî che Rawls deriva dalla sua teoria danno la priorità alle libertà
fondamentali e, nel quadro di una giusta eguaglianza delle opportunità, ammettono solo
quel tanto di diseguaglianza sociale ed economica necessaria a migliorare il più
possibile le prospettive dei cittadini più disagiati. Nell'opera successiva, Liberalismo
36
politico (1993), Rawls sviluppa la riflessione secondo cui «la politica in una società
democratica non può mai essere guidata da ciò che consideriamo come la verità
integrale» e pertanto i cittadini devono astenersi dall'insistere sulla verità delle proprie
opinioni, dal momento che non esiste una base pubblica per stabilire tale verità. È stato
opportunamente osservato che il liberalismo politico sostenuto da Rawls risulta più
adeguato alle democrazie dell'Europa occidentale che non alla società americana di
oggi, attraversata da laceranti conflitti etnici e culturali.
Apel e Habermas. Di grande rilievo è, nella filosofia contemporanea, l'“etica del
discorso” (o della “comunicazione”), sviluppata da Karl-Otto Apel (nato nel 1922) e da
Jürgen Habermas (nato nel 1929), entrambi docenti nell'università di Francoforte (il
termine "discorso" è inteso nel significato di "discussione razionale"). Apel muove dalla
necessità della formazione di un'opinione pubblica mondiale che consenta la
partecipazione di tutti ai grandi problemi che l’umanità ha di fronte: di qui l'esigenza di
stabilire le norme del discorso argomentativo, in modo da garantire ai dialoganti un
rapporto paritario e da renderli ugualmente responsabili della soluzione dei problemi.
Habermas, già assistente di Adorno, ha inizialmente aderito alla Scuola di Francoforte e
ha esordito con il saggio Storia e critica dell'opinione pubblica (1962), dove si sostiene
che, nella società tardo-capitalistica, la partecipazione dei cittadini alla vita politica è in
larga misura fittizia, in quanto la manipolazione del consenso, mediante i mass media,
non lascia altre alternative se non l'adesione plebiscitaria a scelte politiche decise
dall'alto. All'inizio degli anni Ottanta, Habermas propone una riforma radicale della
Scuola di Francoforte, passando dalla concezione "negativa" di Adorno a una visione
"positiva", fondata sulla nozione di "agire comunicativo", in cui si saldano insieme
teorie linguistiche, strategie dell'agire sociale, norme e valori universali: nasce così il
capolavoro del filosofo, Teoria dell'agire comunicativo (1981), con l'ormai famosa
distinzione tra "agire strategico", tipico dei sistemi orientati verso il successo e il
dominio in nome del "denaro" e del "potere", e "agire comunicativo", orientato all'intesa
e al consenso, in nome di quella comunicazione razionale in cui è l'essenza di una vera
democrazia. Il conseguimento di un'intesa tra interessi diversi si può raggiungere solo in
base al "principio di universalizzazione", così formulato dal filosofo: «Ogni norma
valida deve soddisfare alla condizione che le conseguenze e gli effetti che
presumibilmente risultano, se tutti la rispettano, per la soddisfazione degli interessi di
ogni individuo debbono essere accettati senza costrizioni da tutti coloro che ne sono
coinvolti». Si tratta di un'importante affermazione di universalità, che si muove
controcorrente rispetto alle tendenze relativistiche prevalenti nella cultura odierna, e
soprattutto non limitata al modo di pensare della borghesia illuminata europea (come
invece accade nel pensiero di Rawls), ma rivolta a tutti gli esseri razionali di ogni parte
del mondo. La formulazione dei princìpi universali spetta a coloro che si collocano da
un «punto di vista morale», cioè che ragionano imparzialmente, non legati a interessi
particolari.
In Fatti e norme (1992), Habermas ha affrontato il problema del rapporto tra liberalismo
e democrazia: a differenza di Rawls, che privilegia le libertà private rispetto ai diritti di
partecipazione politica, il filosofo tedesco sostiene il primato della democrazia,
affermando che i diritti individuali non precedono (come sostiene il liberalismo) la
sovranità popolare, ma sono ad essa complementari; occorre d'altra parte respingere le
pretese della "democrazia totalitaria", che pretende di disporre (ricorrendo alla violenza
di stato) dei diritti individuali in nome di una ingiustificata "volontà collettiva". Tuttora
valida è invece l'idea di socialismo, se esso è inteso come l'insieme delle condizioni
necessarie a garantire forme di vita emancipate e l'accesso degli strati più deboli della
società all'informazione e al potere. Habermas riconosce, infine, il diritto alla secessione
solo in condizioni di repressione e di dominio straniero, ma lo ritiene illegittimo in una
37
società democratica. Nel recente saggio L'Occidente diviso (2004), Habermas propone,
in alternativa all'egemonia planetaria degli Stati Uniti, una costituzione politica della
società mondiale, fortemente radicata nel diritto internazionale.
Savater. Alla fondazione di un'etica laica e universalistica, di ispirazione illuministica,
è volto il pensiero dello spagnolo Fernando Savater (nato nel 1947). Ricollegandosi a
Spinoza, ma anche a Nietzsche, Savater individua il motivo fondamentale dell'etica
nell'amor proprio, inteso come desiderio di potenziare la propria personalità,
respingendo ogni tesi di annullamento del sé. Tra le sue opere, ha avuto grande successo
Etica per un figlio (1991), un appello ai giovani affinché respingano i nazionalismi
esasperati e propugnino i valori della tolleranza e dell'amore per la natura. Tra le sue
opere più recenti: Il giardino dei dubbi (1993), Il coraggio di scegliere (2004).
2.2.5 La filosofia analitica
«Analitici e continentali». Verso la fine degli anni Cinquanta, ha origine la
consuetudine di distinguere i filosofi in analitici e continentali. Si tratta (osserva Franca
D'Agostini) di due aggettivi asimmetrici: una corrente filosofica, la filosofia analitica,
diffusa nei paesi anglosassoni, viene contrapposta a una determinazione territoriale, cioè
alla filosofia del continente europeo. Mentre gli analitici sono gli eredi del
Neopositivismo e di Wittgenstein, i continentali sono gli eredi della tradizione
fenomenologico-esistenziale e di Heidegger. Gli analitici tendono ad attribuire centralità
alla logica formale, che è invece posta in secondo piano dai continentali. Preminente è
negli analitici l'interesse per la scienza, mentre nei continentali prevalgono gli interessi
umanistici. Scrive Franca D'Agostini: «La dicotomia analitici/ continentali è il modo
specifico in cui la cultura filosofica degli ultimi decenni ha sintetizzato e riproposto
alcune classiche contrapposizioni: anzitutto quella tra scienza e filosofia, o tra le due
culture, scientifica e umanistica, ma anche quelle tra esprit de finesse e de géométrie, tra
platonismo e aristotelismo, tra Kant e Hegel...» (F. D'Agostini, Breve storia della
filosofia, Einaudi, Torino 1999, p. 195).
La filosofia del linguaggio. Una fase della filosofia analitica è la filosofia del
linguaggio che fa capo alla Oxford Cambridge Philosophy. Uno dei massimi esperti di
logica è l'inglese Michael Dummett (nato nel 1925), autore di fondamentali studi sul
matematico e logico tedesco Gottlob Frege, nella cui opera, secondo lo studioso, sono
da individuare le radici della filosofia analitica contemporanea. In Origini della filosofia
analitica (1988), scrive Dummett: «ciò che contraddistingue la filosofia analitica, nelle
sue diverse manifestazioni, da altre scuole è il convincimento che in primo luogo una
spiegazione filosofica del pensiero possa essere conseguita solo attraverso una
spiegazione filosofica del linguaggio».
Negli Stati Uniti. Un grande esponente della filosofia analitica negli Stati Uniti è stato
Willard Van Orman Quine (1908-2000), che ha americanizzato il positivismo logico
e ha rivalutato la tradizione americana del pragmatismo. Quine propende per l'olismo
(dal greco hòlon "intero"), cioè per l'idea di una globalità non frammentabile dei dati
dell'esperienza. Si tratta di un «empirismo senza dogmi», secondo il quale gli enunciati
di una teoria non si confrontano con i dati empirici considerati isolatamente, ma sono
presi in esame insieme a tutti gli enunciati del sistema di cui fanno parte. Non esiste,
secondo Quine, una separazione tra verità analitiche (ad esempio le verità logiche e le
verità matematiche) e verità sintetiche, dipendenti da dati di fatto. Una verità analitica
del tipo «tutti gli scapoli sono non sposati» non risulta da una semplice analisi del
significato dei termini: il concetto di scapolo non coincide infatti con quello di non
sposato, dal momento che anche un bambino non è sposato, ma non è scapolo. Anche
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nelle cosiddette verità analitiche è dunque presente un elemento sintetico, che ha
rapporto con l'esperienza. In sintesi, per Quine la verità non è mai un dogma.
Allievo di Quine, Hilary Putnam (nato nel 1926) si è opposto ad alcune delle più
importanti tesi dell'empirismo logico: a suo parere, non esistono proposizioni a priori
assolutamente valide sia nel campo delle scienze empiriche sia in quello delle scienze
formali (come la logica e la matematica). Nel 1995 un suo incontro decisivo con
Habermas ha mostrato la possibilità di una saldatura tra filosofia analitica e filosofia
continentale.
2.2.6 Il pensiero "post-filosofico"
Il «testualismo» di Rorty. Un pensiero "post-filosofico" è quello dello statunitense
Richard Rorty (nato nel 1931), che si è formato alla scuola analitica, ma negli anni
Settanta se ne è allontanato in modo clamoroso, aprendosi alla filosofia europea e in
particolare all'ermeneutica. Rorty si è imposto a livello internazionale con l'opera La
filosofia e lo specchio della natura (1979). Si tratta di una riflessione radicale sulla
tradizione filosofica, che prende congedo da un intero modo di fare filosofia. Secondo
Rorty, la mente umana è stata finora concepita come uno specchio mentale, che
rispecchia il mondo esterno; ma la funzione della mente è molto più limitata e consiste
nel gettare una "rete" nel mare della realtà per catturarne alcuni aspetti. Ciò implica
l'abbandono di una concezione della filosofia come sapere sistematico su cui si fondano
gli altri saperi; privata della sua posizione privilegiata, la filosofia si riduce a un genere
letterario e culturale accanto ad altri. Rorty auspica l'avvento di una società "postfilosofica", in cui non vi sia più distinzione tra il filosofo e l'uomo di cultura in senso
ampio. Nell'età dell'ermeneutica, secondo Rorty, «non c'è niente al di fuori del testo» (di
qui la definizione di "testualismo", data al pensiero del “filosofo” americano). In
Contingenza, ironia e solidarietà (1989), accogliendo alcune istanze di Dewey, Rorty
scrive che, nella società di oggi dove sono venuti meno i tradizionali vincoli filosoficoreligiosi e politico-sociali, è necessario rafforzare un atteggiamento etico si simpatia e di
solidarietà: in questo quadro, il compito della filosofia diviene quello di ricercare non la
verità, ma la felicità.
Il «decostruzionismo» di Derrida. Un altro pensatore che ha preso le distanze dalla
tradizione della filosofia occidentale, ma che, a differenza di Rorty, non intende
rinunciare al "profilo alto" del pensiero filosofico, è il francese Jacques Derrida (19302004), i cui scritti hanno avuto larga fortuna negli Stati Uniti. Secondo Derrida, il
pensiero occidentale ha privilegiato la parola come modo di conoscenza che rivela
l'essere nella sua identità originaria; ma, nella scia del pensiero di Heidegger, il filosofo
francese sostiene che l'essere è "differenza", e come tale è irriducibile a qualsiasi forma
di identificazione; dell'essere è possibile individuare solo "tracce", presenti nella
scrittura (La scrittura e la differenza, 1967). I testi vanno però "decostruiti", per far
emergere da essi, mediante un'accorta operazione di smontaggio, nuovi significati. Una
pratica decostruttiva deve anzitutto individuare la dualità concettuale che si nasconde in
ogni testo, per smascherare la contrapposizione gerarchica implicita nella dualità stessa.
Il caso esemplare scelto da Derrida è la contrapposizione tra phoné (voce) e grammé
(scrittura): la seconda è sempre stata subordinata alla prima, a partire dalla condanna
platonica pronunciata nel Fedro. Di qui la rivalutazione derridiana della scrittura, alla
quale deve essere assegnato il primato, contro ogni logocentrismo. Attraverso l'analisi
delle contraddizioni di ordine concettuale e linguistico, Derrida dimostra come il testo
sia una realtà plurale, basata su un continuo gioco di rinvii: ogni tentativo di ricostruire
il testo deve essere visto come ricostruzione necessariamente parziale e arbitraria, dal
momento che il testo si presta a infinite interpretazioni non riconducibili a un senso
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unitario. Di recente, l'interesse di Derrida si è spostato su temi etico-politici: in Spettri
di Marx (1993) viene riabilitato il pensiero di Marx malgrado la crisi del marxismo; in
Politiche dell'amicizia (1995) viene riscoperto il valore dell'amicizia in un'epoca che
esalta gli egoismi e la competizione; in La religione (1996), il ritorno del sacro è
interpretato come una rivolta contro lo sradicamento provocato dalla globalizzazione.
Lévinas. Un altro pensatore la cui opera, come quella di Derrida, ha avuto l'effetto di
una rottura polemica nei confronti della tradizione filosofica è Emmanuel Lévinas
(1905-1995), un ebreo di origine lituana, naturalizzato francese. Dopo essere stato
allievo, a Friburgo, di Husserl e di Heidegger, Lévinas fu chiamato alle armi e, come
ebreo, trascorse quasi tutto il periodo di guerra in un Lager. Tornato in Francia, ha
insegnato alla Sorbona fino al 1976. Il pensiero di Lévinas (condensato in due opere
fondamentali: Totalità e infinito, 1961, e Altrimenti che essere o al di là dell'essenza,
1974) muove dalla proposta di affermare il primato dell'etica su ogni altra parte della
filosofia, dell'infinito sul tempo, dell’”Altro" sull'identico, dello straniero sul cittadino.
Particolarmente suggestiva è la riflessione di Lévinas sul tema dell’Altro. Il pensiero
occidentale si è attestato sulla difesa dell'Io, dell'identità (politica e familiare), che
implica il rifiuto dell’Altro e quindi la persecuzione e l'esclusione degli stranieri.
Lévinas rovescia questa impostazione: il primato dell'etica si realizza, secondo lui,
come responsabilità nei confronti di chi «chiama dall'altra riva», nel cui volto si può
leggere una traccia del volto stesso di Dio. Di qui il richiamo di Lévinas all'ebraismo,
inteso come religione morale, sulla quale (e non sulle piccole patrie o sul primato
economico) si può fondare una autentica socialità.
2.2.7 Filosofi italiani del secondo Novecento
Occorre ricordare anzitutto due grandi filosofi italiani del Novecento: Norberto Bobbio
(1909-2004), studioso di filosofia del diritto e dei problemi della democrazia, al cui
pensiero ci riferiamo più avanti (vedi 3.4) e Eugenio Garin (1909-2005), studioso del
Rinascimento e della cultura italiana degli ultimi secoli. Tra i filosofi più conosciuti
anche a livello internazionale sono: Emanuele Severino (nato nel 1929), che rivisita la
storia della filosofia occidentale dal punto di vista del "nichilismo" e sostiene la
necessità di un ritorno a Parmenide; Umberto Eco (nato nel 1932), teorico della
semiotica (vedi 10.4); Gianni Vattimo (nato nel 1936), esponente della corrente
ermeneutica, interprete del nichilismo e del post-moderno e teorico del "pensiero
debole", che, nell'odierna frantumazione delle certezze, esprime una concezione
dell'essere come finitezza e della storia come progressiva emancipazione
dall'intolleranza e dalla violenza. Tra gli altri filosofi, ricordiamo: Massimo Cacciari
(nato nel 1944), studioso dell'idealismo tedesco, di Nietzsche, della crisi della
razionalità tra '800 e '900 (Krisis, 1976) e del pensiero religioso (Della cosa ultima,
2004); Carlo Sini (nato nel 1933), i cui temi principali di ricerca sono di ispirazione
fenomenologica; Giulio Giorello (nato nel 1945), filosofo della scienza; Remo Bodei
(nato nel 1938), storico della filosofia, critico della modernità, studioso della filosofia di
Spinoza (Geometria delle passioni, 1991); Sergio Givone (nato nel 1944), studioso di
estetica.
2.3 Le scienze
2.3.1 Le nuove frontiere della scienza
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La matematica. Un celebre matematico è l'inglese Andrew Wiles (nato nel 1953), che
si è dedicato per tutta la vita allo studio del teorema di Fermat (vedi Parte decima,
2.3.3). Dopo sette anni di studio ininterrotto, nel 1993 Wiles ha annunciato la soluzione
del teorema, ma, accortosi di un sottile errore, ha prodotto nel 1995 una nuova,
soddisfacente dimostrazione.
Matematico e cosmologo è l'inglese John Barrow (nato nel 1952), la cui ricerca si
muove tra modelli quantistici delle particelle e fisica delle particelle. Straordinario
divulgatore (Perché il mondo è matematico?, 1998), Barrow è noto in Italia per uno
spettacolo tratto dalle sue opere e allestito nel 2002 da Luca Ronconi per il Piccolo
Teatro di Milano: Infinities, un suggestivo viaggio nel passato e nel futuro, tra i
paradossi della logica e della matematica.
Al prestigioso Collège de France insegna Alain Connes (nato nel 1947), vincitore nel
1983 della medaglia Fields (l'analogo del premio Nobel per la matematica), del quale è
stato tradotto in italiano il saggio Triangolo di pensieri, sulla natura della matematica e
sulle sue applicazioni. Connes professa un estremo realismo filosofico, secondo cui gli
enti matematici non solo esistono, ma hanno addirittura una realtà maggiore degli
oggetti del mondo esterno.
Il premio Fields è stato assegnato anche all'italiano Enrico Bombieri (nato nel 1940),
che insegna all'Istituto degli Studi Avanzati di Princeton e che ha condotto ricerche
sulle superfici minime e sulle equazioni che controllano il fenomeno della tensione
superficiale.
Un premio Nobel per l'economia (dal momento che non esiste il premio Nobel per la
matematica) è stato dato nel 1994 all'americano John Nash (nato nel 1928) per i suoi
lavori di teoria dei giochi, un capitolo della matematica moderna creato da John von
Neumann, il padre dei moderni computer. Nash è noto al grande pubblico per il film A
Beatiful Mind, che ha evocato il periodo di depressione e di follia vissuto dallo
scienziato intorno ai trent'anni.
I frattali. Una avventura esaltante, nel campo della geometria, è l'introduzione
relativamente recente del concetto di "frattale", che configura una geometria
profondamente diversa dall'ordine euclideo. La caratteristica principale del frattale è
quella di avere una dimensione non intera (mentre, come è noto, gli oggetti euclidei
hanno dimensione intera: la linea ha una sola dimensione e il cerchio ne ha due).
L'inventore dei frattali è il matematico polacco Benoit B. Mandelbrot (nato nel 1924),
docente di matematica alla Harvard University degli Stati Uniti. Lavorando al computer,
lo schermo si riempie di immagini del tutto astratte, di incredibile complessità, scaturite
da algoritmi; tali figure sono simili tra di esse ma non uguali e si collocano a mezzo tra
l'ordine e il caos; esse si decompongono in parti sempre più piccole e sono dotate di
infinite frastagliature. A parte il valore estetico delle immagini, diverse e importanti
sono le applicazioni dei frattali: simulando il tempo atmosferico, si possono cogliere
sorprendenti oscillazioni tra caos e regolarità; in biomedicina, si possono studiare
geometrie irregolari, come quelle dell'albero bronchiale; in biochimica, si può studiare
meglio la superficie molecolare delle proteine, raccogliendo migliori informazioni sugli
enzimi.
La nuova cosmologia. La teoria della relatività e quella quantistica in fisica e la teoria
molecolare in biologia hanno gettato le basi di una nuova cosmologia, portando a una
nuova immagine dell'universo sulla quale discutono oggi scienziati e filosofi. I caratteri
di irreversibilità, propri dei fenomeni terrestri (specie di quelli di carattere biologico),
sono stati applicati all'intero universo, sottoposto anch'esso a una evoluzione che ha
preso il nome di «freccia del tempo». Si è scoperto che l'universo ha un'origine, mentre
sulla sua possibile fine molte sono le ipotesi e nessuna è soddisfacente. La maggior
41
parte degli studiosi concorda sulla teoria del Big Bang, una grande esplosione iniziale,
avvenuta circa 13 miliardi di anni fa; per le condizioni fisiche di temperatura e di
densità, la materia poteva esistere solo in forma di particelle elementari, unificate in una
"super-forza", che, a causa dell'esplosione e del successivo raffreddamento, ha
cominciato a separarsi, dando luogo alle quattro forze fondamentali oggi conosciute
(gravitazionale, elettromagnetica, nucleare debole, nucleare forte); ne è derivata una
fase di "super-espansione" ad altissima velocità, con violente fluttuazioni di densità.
Tutta questa fase è durata meno di un miliardesimo di secondo. Poi tutte le forze si sono
separate, ma la temperatura e la densità erano ancora troppo elevate per consentire il
formarsi di materia stabile. Trascorsi circa 100.000 anni di espansione, la materia ha
cominciato a condensarsi in immense nubi, in seno alle quali si sono formate le stelle e
le galassie.
Se è possibile tracciare oggi una storia credibile dell'universo, è emerso un nuovo
problema: come si possa conciliare la legge dell'entropia (cioè del passaggio dall'ordine
al disordine), valevole per l'intero universo, con il fatto che, negli organismi viventi, si
segue il processo inverso (dalla materia inorganica a forme più organizzate, cioè dal
disordine all'ordine). Un tentativo di soluzione è quello del fisico belga, di origine russa,
Ilya Prigogine (1917-2003), che ha elaborato la «teoria delle fluttuazioni», in base alla
quale gli organismi viventi sono in grado di scambiare energia e materia con l'ambiente,
producendo disordine (entropia), ma solo nell'ambiente esterno, mentre all'interno essi
producono un aumento di organizzazione (e quindi di ordine) grazie a fluttuazioni
continue che li mantengono lontani dal disordine totale previsto dal secondo principio
della termodinamica.
Esistono infine teorie cosmologiche che vedono il nostro universo come parte di un
universo più grande. Si tratta di un'ipotesi da verificare. E da verificare è anche l'ipotesi
delle Grandi Teorie Unificate (GUT), che prevedono l'unificazione delle teorie sulla
materia. Già Einstein cercò invano l'unificazione tra la forza elettromagnetica e la forza
gravitazionale. Un grande successo si è ottenuto in anni recenti in seguito
all'unificazione della forza elettromagnetica con la forza nucleare debole: tale teoria,
detta elettrodebole, è stata introdotta, agli inizi degli anni Settanta, dal fisico Steven
Weinberg, insignito del premio Nobel nel 1979. La Teoria Finale (che potrebbe dare
una spiegazione dei vari fenomeni della fisica, a cominciare dalla creazione e dal
decadimento della materia) prevede l'unificazione delle interazioni elettrodeboli con
l'interazione nucleare forte. L'ultimo grido della fisica moderna è la teoria delle stringhe
(dall'inglese string, corda), che è stata anticipata dagli studi dell'italiano Gabriele
Veneziano (nato nel 1942): secondo tale teoria, ogni tipo di particella elementare (come
elettroni e protoni) non è altro che un modo diverso di vibrare di una cordicella elastica,
che obbedisce alle leggi della relatività e della meccanica quantistica. Un altro studioso
della teoria delle stringhe è l'americano Edward Witten, mentre un grande divulgatore
è Blan Green, autore del saggio L'universo elegante (2000).
Tra i fisici più noti, ricordiamo: il tedesco Arno Penzias (nato nel 1933), premio Nobel
nel 1978 insieme a R. Wilson per la scoperta della radiazione cosmica di fondo, residuo
di quella prodotta durante le prime fasi di origine dell'universo; l'italiano Carlo Rubbia
(nato nel 1934), premio Nobel nel 1984, i cui studi sull’atomo hanno portato
all'individuazione del quark top, l'ultima particella scoperta tra quelle costituenti protoni
e neuroni; l'inglese Stephen Hawking (nato nel 1942), famoso per i suoi studi sulla
fase finale dell'evoluzione di una stella che portano alla formazione di buchi neri.
Biologia e bioetica. È impossibile, in questa sede, dare conto degli enormi progressi
realizzati dalla biologia nel secondo Novecento. Ci limitiamo a ricordare almeno tre
nomi: quelli di Ernst Mayr, noto per le sue esplorazioni ornitologiche su isole
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sperdute, autore di una monumentale Storia del pensiero biologico (1990); di James D.
Watson, cui si deve il modello a doppia elica del DNA (1953), autore dell'opera
fondamentale Biologia molecolare del gene (1975); di Rita Levi Montalcini, che ha
ottenuto nel 1986 il premio Nobel per la fisiologia e la medicina, in seguito alla scoperta
dell'NGF (nerve growth factor), un fattore che stimola la crescita e la differenziazione
delle cellule nervose. Ricordiamo inoltre alcune date recenti nelle ricerche sul DNA: nel
1980 Frederick Sanger vince il Nobel per la chimica, per la prima sequenziazione
delle basi di un genoma; nel 1985 Renato Dulbecco, premio Nobel per la medicina nel
1975, lancia il Progetto Genoma per la sequenziazione completa del genoma umano; nel
2001, Francis Collins e Craig Venter, impegnati nella decifrazione del genoma
umano, annunciano di aver completato il Progetto. È inoltre da ricordare lo statunitense
Edward O. Wilson (nato nel 1929), considerato il padre della sociobiologia e la
massima autorità mondiale nel campo della biodiversità. Un illustre genetista è infine
Luca Cavalli Sforza (nato nel 1922), promotore dal 1991 di un programma di ricerca
sul genoma umano (Geni, popoli e lingue, 1996). Cavalli Sforza è intervenuto
autorevolmente in una recente polemica sulle razze, la cui esistenza è stata sostenuta da
alcuni studiosi, sostenendo che l'idea stessa di "razza" è antiscientifica ed è contraddetta
dai risultati delle più avanzate ricerche genetiche.
Una nuova disciplina è oggi la bioetica, che, secondo la definizione dell'Encyclopedia of
Bioethics, è «lo studio sistematico della condotta umana nell'ambito delle scienze della
vita e della cura della salute quando tale condotta è esaminata alla luce di valori e di
principî morali». Nella bioetica, il medico e il biologo sono affiancati dal filosofo, dal
sociologo, dallo studioso di diritto, dallo psicologo, dal magistrato, dal teologo e così
via. Sembra così realizzarsi, nel campo della bioetica, quella "terza cultura" che è stata
auspicata da Prigogine. La bioetica nasce da contrastanti esigenze: da una parte,
l'esigenza di controllare le nascite, dall'altra il desiderio di avere figli, che richiede
complesse manipolazioni mediche e può legittimare indirettamente la sperimentazione
su embrioni. Altri problemi riguardanti la bioetica sono quelli dell'eutanasia attiva e
passiva, dell'accanimento terapeutico, della sterilizzazione coatta, della clonazione, ecc.
Sono anche da tutelare i "diritti degli animali", in riferimento agli esperimenti di
vivisezione. In Italia, il primo bioeticista è stato Giulio Maccacaro, che ha scritto
incisivamente: «La scienza e la medicina non hanno il diritto di scegliere i martiri della
società. Ma nemmeno la società ha diritto di scegliere i martiri della scienza e della
medicina».
2.3.2 Gli sviluppi delle scienze umane
La linguistica. Grande sviluppo, dopo Saussure, ha avuto la linguistica strutturale, i cui
centri di irradiazione sono stati due circoli: il Circolo linguistico di Praga, fondato nel
1926, che, nel 1929, pubblicò le Tesi, un celebre manifesto teorico collettivo; e il
Circolo linguistico di Copenhagen, fondato nel 1931 da Louis Hjelmslev (1899-1965),
il quale elaborò la "glossematica", una sorta di "algebra" del linguaggio, in grado di
applicarsi a qualsiasi testo e a qualsiasi lingua.
Il più illustre esponente del Circolo di Praga è stato lo statunitense di origine russa
Roman Jakobson (1896-1982), che ha identificato i fattori del processo linguistico (il
contesto, il mittente, il destinatario, il contatto, il codice, il messaggio) e le funzioni
linguistiche (referenziale, emotiva, conativa, fàtica, metalinguistica, poetica), mettendo
in luce come la funzione poetica del linguaggio sia caratterizzata dall'«accento posto sul
messaggio per se stesso».
43
Un importante contributo alla linguistica contemporanea è quello dato dallo statunitense
Noam Chomsky (nato nel 1928), teorico della "grammatica generativa". Una
rivoluzione nella scienza del linguaggio è un'opera pubblicata da Chomsky nel 1957, Le
strutture della sintassi (modificata nell'opera successiva, Aspetti della teoria della
sintassi, 1964): secondo lo studioso americano, ogni lingua risulta di due tipi di frasi, le
«frasi nucleari», che formano la struttura profonda della lingua, e le «frasi complesse»,
che formano invece la sua struttura superficiale; compito della grammatica è quello di
"generare" le frasi complesse in base alle "trasformazioni" delle frasi nucleari. Ma la
concezione più celebre di Chomsky è quella che implica l'esistenza nell'uomo di
strutture linguistiche innate e universali, parte essenziale del suo patrimonio genetico.
Del 2005 è il saggio di Chomsky Nuovi orizzonti nello studio del linguaggio e della
mente. Militante di sinistra, Chomsky è noto per le sue polemiche contro la politica
estera americana: nel suo libro più recente, Egemonia o sopravvivenza. I rischi del
dominio globale americano (2005), ha accusato gli Stati Uniti di avere attuato continue
aggressioni preventive.
L'antropologia. Lo strutturalismo linguistico ha avuto un notevole influsso
sull'antropologia: la nozione di "struttura" consente infatti di formulare in termini
logico-matematici le relazioni nel campo dei fenomeni umani. Decisivo, in particolare,
è stato l'influsso del pensiero di Roman Jakobson (e della sua teoria secondo cui la
struttura di una lingua è data dal sistema di differenze intercorrente tra i suoi termini)
sul maggiore esponente dello strutturalismo francese, Claude Lévi-Strauss (nato nel
1908), fondatore dell'antropologia strutturale. Un soggiorno in Brasile, tra il 1935 e il
1939, offrì a Lévi-Strauss l'occasione di spedizioni etnografiche nel Mato Grosso e in
Amazzonia, le cui esperienze saranno evocate in una suggestiva autobiografia: Tristi
tropici (1955). Ma già in Le strutture elementari della parentela (1949) lo studioso
francese aveva individuato le leggi costanti e universali presenti a livello inconscio in
ogni cultura e da lui definite «strutture dello spirito umano»: studiando, ad esempio, il
tabù dell'incesto, vi aveva individuato il momento del passaggio dalla natura alla
cultura, che induce allo scambio delle donne e quindi a una espansione delle relazioni
tra i diversi gruppi. In opere fondamentali, come Antropologia strutturale (1958) e Il
pensiero selvaggio (1962), Lévi-Strauss sostiene che non solo i fenomeni relativi al
mondo "primitivo", ma tutte le produzioni culturali dell'uomo possono essere studiate
secondo le procedure dello strutturalismo. In una imponente ricerca antropologica
dedicata ai miti, Mitologiche (1964-1971), che comprende una serie di saggi, da Il
crudo e il cotto (1964) a L'uomo nudo (1971), Lévi-Strauss ha dimostrato che anche i
miti, costruzioni mentali apparentemente libere e capricciose, sono organizzati secondo
strutture invarianti e universali. Un esempio suggestivo del metodo antropologico dello
studioso francese riguarda le cinque festività (6 dicembre, Santa Klaus; 13 dicembre,
Santa Lucia; 25 dicembre, Natale; 28 dicembre, Santi Innocenti; 6 gennaio, Epifania)
che si succedono intorno al solstizio d'inverno, ruotanti tutte intorno ai bambini e ai
doni che si usa far loro: si tratta, secondo Lévi-Strauss, del periodo in cui da tempo
immemorabile, accorciandosi le giornate, gli uomini hanno una tremenda paura della
morte del sole e fanno regali ai bambini (identificati con le anime dei morti) perché
l'astro che ci dà luce e calore risorga. Lévi-Strauss è pervenuto alla conclusione secondo
cui l'uomo "civile", non meno di quello "selvaggio", va guardato "da lontano", con gli
strumenti dell'analisi antropologica (L'uomo da lontano, 1983).
Un grande antropologo è il francese René Girard (nato nel 1923), che ha studiato il
rapporto tra la religione e la violenza in saggi famosi, come La violenza e il sacro
(1972) e Il capro espiatorio (1982).
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La psicoanalisi. Una riformulazione, in chiave strutturalistica, della psicoanalisi
freudiana è quella elaborata dal francese Jacques Lacan (1901-1981), figura geniale e
controversa, i cui Scritti (1966), malgrado la loro estrema difficoltà di lettura (lo stesso
autore li ha definiti «illeggibili»), gli hanno valso una fama internazionale. Il merito di
Lacan è stato quello di aver liberato l'opera freudiana da ogni residuo positivistico e di
aver interpretato l'inconscio (il «linguaggio del desiderio») come una struttura
linguistica nascosta, di ardua decifrazione. Celebre è Lo stadio dello specchio (una
comunicazione del 1936 a un congresso di psicoanalisi, poi rielaborata nel 1949), dove
Lacan descrive tre diversi comportamenti del bambino dinanzi alla propria immagine
riflessa nello specchio: in una prima fase, il bambino crede nella realtà dell'immagine
ma crede anche che essa appartenga ad un altro; nella seconda fase, si rende conto che si
tratta di un'immagine da non confondere con la realtà; solo nella terza fase, si identifica
con la propria immagine. Alle fasi dello specchio corrispondono le tre tappe dell'Edipo,
delineate da Freud e approfondite da Lacan. Secondo lo studioso francese, «il desiderio
dell'uomo è il desiderio dell'Altro», perché il primo oggetto del desiderio è di essere
riconosciuto dall'altro (a cominciare dalla madre, nello stadio infantile); ma la
condizione di tale riconoscimento deve passare necessariamente attraverso il linguaggio
(l'inconscio è pertanto il «discorso dell'Altro»).
In aperta polemica con il pensiero psicoanalitico si è posto Gilles Deleuze (1925-1995),
che, in collaborazione con Félix Guattari (1930-1996), ha scritto L'Anti-Edipo (1972) e
Mille Piani (1980): mentre nella psicoanalisi il mito di Edipo è interpretato come una
ripetizione alienata del desiderio originario della madre, secondo Deleuze (che si
richiama al tema nietzscheano dell’“eterno ritorno”) la ripetizione si risolve in una
positiva affermazione della potenza del desiderio.
Il più illustre esponente della psicoanalisi di matrice junghiana è lo statunitense James
Hillman (nato nel 1926), tra i cui libri spicca il recente La forza del carattere (2000),
rivendicazione della forza creativa della vecchiaia.
La sociologia. Nella sociologia contemporanea, è prevalso il concetto di complessità: si
è diffusa la convinzione che, nella crisi della "totalità" (cioè delle interpretazioni
generali della realtà), occorra un nuovo metodo di conoscenza, che tenga conto dei
nuovi problemi posti dalla sempre crescente complessità delle moderne società
industriali, dominate dai media elettronici.
La nozione di complessità è stata teorizzata, tra gli altri, dal sociologo ed epistemologo
francese Edgar Morin (nato nel 1921), autore di L'industria culturale (1962), un'opera
anticipatrice in questo campo, e da un'imponente serie di saggi raccolti con il titolo
complessivo Il metodo (1977-86).
Un metodo di analisi dei mezzi di comunicazione di massa è stato elaborato dal
sociologo canadese Herbert Marshall McLuhan (1911-1980), secondo il quale «il
mezzo è il messaggio», cioè la comunicazione si identifica con il mezzo che la trasmette
e ne è condizionata. Nella sua opera La galassia Gutenberg (1962), McLuhan distingue
due epoche nella storia dell'umanità: l'epoca moderna, che va dall'invenzione della
stampa alla metà dell'Ottocento, e l'epoca contemporanea, iniziata con l'uso dell'energia
elettrica e caratterizzata dalla restaurazione della voce (dal telefono alla televisione) e
quindi dalla costituzione di una cultura planetaria (il cosiddetto "villaggio globale").
Il sociologo tedesco Niklas Luhmann (nato nel 1927) ha elaborato una teoria generale
della società intesa come sistema in rapporto con l'ambiente. Lo sviluppo del sistema
sociale è affidato, secondo Luhmann, a quattro «mezzi di comunicazione»: il potere
(l'apparato burocratico-amministrativo), la verità (il sapere scientifico), il denaro
(l'economia), l'amore (la riproduzione). Il problema centrale, secondo Luhmann, è
quello di garantire la sopravvivenza del sistema in un ambiente sempre più complesso e
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difficile. Per i sistemi viventi (l'uomo) e per i sistemi sociali si pone l'esigenza di ridurre
la complessità mediante una adeguata elaborazione dei dati.
Al concetto di "sistema sociale" il sociologo tedesco Ralf Darhendorf (nato nel 1929)
oppone la teoria del conflitto sociale, considerato come fattore positivo per lo sviluppo
della società. Derivato dalla contrapposizione tra coloro che detengono il potere e
coloro che ne sono esclusi, il «conflitto di classe» provoca mutamenti strutturali, tanto
più radicali quanto più elevata è l'intensità del conflitto.
Tra i sociologi che hanno studiato il fenomeno della globalizzazione, sono da ricordare:
il polacco Zygmund Bauman, autore di La solitudine del cittadino globale (2000), La
società sotto assedio (2003) e il recente Amore liquido (2004), analisi critica dell'eclissi
della famiglia tradizionale; il tedesco Urich Beck, teorico della «società a rischio»,
autore di Che cos'è la globalizzazione (1999) e di La società cosmopolita (2003); lo
statunitense Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l'economia, autore di La
globalizzazione e i suoi oppositori (2002); lo statunitense Jeremy Rifkin, teorico della
fine del lavoro e studioso del biotech (Il secolo biotech, 1998), del conflitto tra globalità
e culture locali (L'era dell'accesso, 2000), dei problemi posti dall'Unione Europea (Il
sogno europeo, 2004).
Ha preso di recente la difesa della globalizzazione, purché sia accompagnata da un
allargamento della democrazia, il grande filosofo ed economista indiano Amartya Sen
(nato nel 1933), premio Nobel per l'economia nel 1998. Sen ha approfondito il tema del
benessere e ha studiato il fenomeno delle carestie, la misura dell'ineguaglianza, il
rapporto tra etica ed economia e tra sviluppo e libertà. Per Sen, il concetto di benessere
non significa solo disponibilità di beni e servizi, ma implica anche la capacità concreta
per gli individui di procurarseli. Anche il concetto di libertà deve essere ampliato:
l'individuo, che per la propria sopravvivenza deve dipendere dalle scelte altrui, non è di
fatto libero. Infine, la nozione di sviluppo, spesso legata al livello della ricchezza di un
Paese, va intesa, secondo Sen, come un processo di espansione delle libertà di cui
godono gli esseri umani. Tra le opere di Sen tradotte in italiano: Etica ed economia
(2000), La ricchezza della ragione. Denaro, valori, identità (2000), Lo sviluppo è
libertà. Perché non c'è crescita senza democrazia (2000).
2.3.3 Le scienze di confine
Nel quadro della «seconda rivoluzione scientifica» del Novecento si sono sviluppate
nuove scienze, chiamate “scienze di confine” perché vi si incontrano diverse discipline:
è il caso, nell'ambito delle scienze naturali, dell'astrofisica, della chimica-fisica, della
biochimica, della socio-biologia, ecc. Ci soffermiamo su tre di tali scienze, che aprono
nuovi orizzonti alla conoscenza umana e pongono nuovi problemi alla cultura filosofica
e scientifica.
La cibernetica. Il nome "cibernetica" è stato dato a questa nuova scienza da Norbert
Wiener (1894-1964), che lo ha derivato dal greco cübernetes, "timoniere". Si tratta
della scienza che studia la comunicazione negli animali e nelle macchine (in particolare,
negli automi), sulla base delle informazioni che ricevono dall'ambiente. Il concetto
centrale della cibernetica è quello di feedback (o "retroazione"), che indica la capacità,
da parte di un animale o di una macchina, di regolare o correggere il proprio
comportamento diretto a un determinato scopo.
L'etologia. Studio del comportamento degli esseri viventi, l'etologia (da ethos, "indole",
"comportamento", e logos, "discorso") ha avuto il suo atto di nascita nell'opera Il
compagno nell'ambiente degli uccelli (1935) dell'austriaco Konrad Lorenz (19031989). Il concetto centrale dell'etologia è quello di imprinting ("stampatura",
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"impronta"), cioè del fenomeno secondo cui i piccoli di numerose specie apprendono
rapidamente le caratteristiche del primo oggetto che incontrano, specie se l'oggetto è in
movimento. Il concetto di imprinting è stato esteso da alcuni etologi anche all'uomo (si
spiegherebbe così la reazione di sorriso di fronte al volto umano da parte del neonato).
L'intelligenza artificiale. Lo sviluppo rapidissimo dei calcolatori nel nostro tempo ha
sviluppato enormemente il settore dell'intelligenza artificiale, che coinvolge diverse
discipline, dall'informatica alla linguistica, dalla matematica alla logica,
dall'epistemologia alle scienze neurologiche. Dopo i calcolatori elettronici della prima
generazione (1946-1958), si sono avuti, in seguito all'invenzione dei transistors, i
calcolatori della seconda generazione; un salto qualitativo, in questa seconda fase, è
stato compiuto grazie a un'innovazione dell'ungherese Johann von Neumann (19031957), che ha introdotto la memorizzazione non solo dei dati, ma anche dei programmi.
Sono inoltre da ricordare due matematici statunitensi, che con i loro studi hanno
cambiato la nostra vita: Claude Shannon e Herbert Simon, entrambi nati nel 1916 e
scomparsi a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro nel 2001: il primo (inventore del
termine bit) ha insegnato il modo di misurare e quantificare l'informazione, il secondo
ha inaugurato l'era della programmazione dei computer. Dal 1964, con i «circuiti
integrati», ha avuto inizio la terza generazione dei calcolatori. Il «circuito altamente
integrato», che consente di concentrare l'unità di elaborazione centrale in un solo chip (il
"microprocessore"), ha dato inizio alla quarta generazione dei calcolatori, una vera e
propria rivoluzione nel campo dell'informatica, dal momento che la macchina
"intelligente" è ora in grado di simulare le più ardue funzioni cognitive dell'uomo, dalla
soluzione di problemi di logica e di algebra ai ragionamenti del senso comune. Intorno
alla metà degli anni Ottanta, si è cominciato a progettare calcolatori della «quinta
generazione», in grado di parlare. Si sono aperti a questo punto problemi di difficile
soluzione: ci si chiede se il cervello umano sia riducibile a un calcolatore o viceversa, e
se un calcolatore potrà compiere tutte le operazioni compiute dalla mente dell'uomo.
2.4 Le arti
2.4.1 Gli ultimi maestri delle arti figurative del Novecento
Un antesignano dell'iperrealismo è stato in America Edward Hopper (1882-1967), il
cui percorso artistico abbraccia oltre mezzo secolo. Nei suoi quadri, Hopper ha
privilegiato, con visione disincantata e lucida, il tema della solitudine dell'uomo nella
città moderna. Nelle sue ultime opere (come Gente al sole, 1960) prevale l'ossessione
per la luce solare, in atmosfere oppressive e struggenti e in ambienti immersi nel
silenzio. È uno dei pittori più popolari degli Stati Uniti negli ultimi decenni, anche
perché sa scoprire l'inattesa bellezza della vita quotidiana.
Un esteta raffinato, uno dei pochissimi pittori a esporre in vita al museo del Louvre, è
stato Balthus (pseudonimo del pittore francese di origine polacca Balthasar Klossowki,
1908-2001). Figurativo, di gusto neorinascimentale, è divenuto celebre per i suoi ritratti
delle adolescenti nella fase di passaggio dall'innocente mondo infantile (evocato dai
gatti, presenza persistente nei suoi quadri) a quello smaliziato e sensuale degli adulti.
Celebrato da alcuni (come Picasso, che lo ha definito «uno dei più grandi pittori del XX
secolo», e stroncato da altri (come G. Testori, che lo considera solo un «decoratore»),
Balthus è stato accusato di perversione sadomasochistica, ma si è difeso sostenendo che
nei suoi quadri ha voluto rappresentare il «risveglio della vita».
Uno dei più celebri artisti latino-americani è il colombiano Fernando Botero (nato nel
1932), che deve la sua fama all'abilità di cogliere gli aspetti bizzarri della vita ritraendo
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personaggi corpulenti e grotteschi. Uno dei soggetti preferiti di Botero è l'immagine
della Madonna (la figura religiosa più importante nell'America Latina), ritratta come
una enorme figura rotonda e monumentale (Nostra Signora di Caljica, 1972). Di
recente Botero, pur continuando a dipingere figure debordanti, ha rappresentato la
brutalità della guerriglia alimentata dalla droga che affligge la Colombia da circa un
quarantennio e che ha provocato circa 200.000 vittime (Massacro nella Cattedrale,
2002).
Lo statunitense Cy Twombly (nato nel 1929) è celebre per le sue «scritture» (come
chiama i suoi quadri), esplosioni sulla tela di linee, scritte e scarabocchi, che hanno la
spontaneità dei disegni infantili, ma sono in realtà espressione dell'inintelligibile e
dell'inspiegabile. Durante il suo soggiorno a Roma, ha rivisitato in modo originale
l'antichità classica. Bellissimi sono i suoi collages dedicati alla «Storia Naturale». Nel
2001 ha ottenuto alla Biennale di Venezia il Leone d'Oro alla carriera.
Il tedesco Gerhard Richter (nato nel 1932) è il maggiore esponente del realismo
fotografico: volgendo le spalle alle convenzioni pittoriche, ha eseguito ritratti che
sembrano fotografie (Betty, 1988). Alcuni suoi quadri evocano con impressionante
efficacia eventi drammatici del nostro tempo, dalla guerra del Vietnam al terrorismo in
Germania.
Uno «scultore di luci» si autodefinisce lo statunitense James Turrell (nato nel 1943),
che in un vulcano spento dell'Arizona ha realizzato l'opera d'arte più imponente del
mondo (e una delle più costose, avendo richiesto una ventina di miliardi). Il Roden
Crater è una delle leggende dell'arte contemporanea: comprato dall'artista, è stato da lui
osservato per molti anni con fotografie scattate da un aereo (definito da Turrell il suo
«atelier») e modificato con scavi di tunnel e altri accorgimenti. Dal vulcano si può
ammirare un cielo inedito e sorprendente, con effetti spettacolari di luce e di colori.
Un grande scultore è stato Luciano Minguzzi (1911-2004), che si è ispirato nelle sue
prime esperienze ad una rimeditazione dell'antica scultura etrusca, ma ha poi rinnovato
la maniera della sua produzione, rendendo con rigore e passione l'orrore del campo di
concentramento in un gruppo di opere raccolte sotto il titolo generale Uomo del lager.
Molto apprezzati sono i risultati narrativi da lui raggiunti con la Quinta porta del duomo
di Milano (1965) e con la porta di San Pietro (1978). Suggestive sono, tra le sue ultime
opere, Parche (1092-84), Dafne (1981-94) e il gruppo dei Nuotatori (1988-90).
Un protagonista delle avanguardie del Novecento è stato Enrico Baj (1924-2003),
fondatore nel 1952 del Movimento della pittura nucleare, cui aderirono, tra gli altri,
Klein, Fontana, i fratelli Pomodoro. Usando un linguaggio neo-dadaista e assemblando
materiali diversi (medaglie, frammenti di specchi, conchiglie, ecc.), ha creato in chiave
satirica, dal 1959, la serie dei Generali, cui è seguita la serie dell'Apocalisse (1978-82).
Nel 1972 ha eseguito i Funerali dell'anarchico Pinelli (che saranno esposti a Milano
solo nel 2000).
Tumultuoso è stato il percorso di Mario Schifano (1934-1998), un esponente del pop
italiano. Trasferitosi a Roma dalla Libia dove era nato, Schifano ha esordito con opere
informali. Del 1990 sono i suoi primi "monocromi", che lo avvicinano alla maniera
pittorica di Klein. I suoi soggetti riprendono particolari ingranditi delle scritte
pubblicitarie (Esso, Coca Cola), ma attribuiscono grande rilievo anche alla parola
(Grande dettaglio di paesaggio italiano a colori). Negli anni Ottanta ha rinnovato
profondamente la sua pittura, ricorrendo frequentemente alla citazione dei più diversi
passaggi della pittura moderna e assoggettandoli ad un processo di straniamento.
Suggestivi sono i suoi colori nella rappresentazione del paesaggio.
Non solo pittore, ma poeta e scrittore di talento è stato Emilio Tadini (1927-2002). Il
suo stile pittorico si ricollega, da un lato, a esperienze come la pittura di G. De Chirico e
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il surrealismo, e, dall'altro lato, alla pop art nella sua versione inglese. Dotato di sottile
ironia, Tadini ha preso di mira, nei suoi quadri, il consumismo e la pubblicità.
Testimonianza del suo gusto beffardo è il ciclo sul «ballo dei filosofi», dove si
schernisce l’io cartesiano che sa tutto e controlla tutto. Tra le sue opere: Vita di Voltaire
(1967), Le piccole sculture (1980), Un angelo a Milano (1986). Tra i suoi romanzi: La
lunga notte (1987), La tempesta (1993), Eccetera (post., 2002).
2.4.2 I movimenti dell'arte contemporanea
La Op Art. Abbreviazione di optical art ("arte ottica"), la Op Art è un movimento di
arte astratta, sorto in opposizione alla Pop-art e caratterizzato dall'interesse per gli effetti
ottici, che, con l'interazione di linee e colori, suscitano un'illusione di movimento. Le
sue radici affondano nella tradizione del Bauhaus. L'affermazione della Op Art si ebbe
in occasione di una mostra a New York nel 1965. Tra gli artisti che hanno aderito alla
Op Art, spicca il francese di origine ungherese Victor Vasarely (1908-1997), che
costruisce scientificamente i suoi quadri, basati in generale su due forme geometriche, il
quadrato e il cerchio. Tra le sue opere, si ricorda Pal-Ket (1973-74), un acrilico dove
sagome geometriche di vari colori, in una struttura a scacchiera, sembrano fluttuare
sulla tela. Un'altra esponente della Op Art è l'inglese Bridget Riley (nata nel 1931), che
però (a differenza di Vasarely) non è mossa da un interesse esclusivamente scientifico,
ma considera gli elementi della sua pittura come parte integrante della natura. Tra le sue
opere si segnala Cataract 3 (1967), una tela attraversata da curve di vari colori, che
simulano il movimento delle onde, creando effetti di abbagliante intensità.
L'Arte cinetica. Un movimento affine alla Op Art è l'Arte cinetica, che sperimenta le
possibilità di movimento (reale o virtuale) dell'oggetto artistico: suo precursore è
l'ungherese Laszló Moholy-Nagy (1895-1946), il cui Modulatore di luce-spazio è una
delle prime macchine cinetiche della storia dell'arte. Il maggiore esponente dell'Arte
cinetica è stato lo svizzero Jean Tinguely (1928-1991), che ha creato macchine
semoventi e ha organizzato eventi spettacolari, basati sulla creazione e la distruzione di
macchine. Il Trofeo di Chasse-Le-Gomem (1990) è una scultura composta dagli oggetti
più disparati, che un motore elettrico trasforma in opera d'arte animata, da cui emanano
gridolii e scricchiolii. All'Arte cinetica si è accostato in Italia il Gruppo di Ricerca di
Bruno Munari (1907-1998), volto a stimolare un rapporto tra l'opera e lo spettatore,
sottraendo quest'ultimo al suo ruolo passivo. Le Macchine inutili di Munari sono fragili
costruzioni in lamelle di legno, appese al soffitto e mosse dai soffi d'aria, che ricordano
i mobiles di Calder. Altre esperienze artistiche di Munari sono le Sculture da viaggio e
le Forchette parlanti, che uniscono la semplicità al rigore. Geniali sono, infine, i Libri
per bambini di Munari, libri preverbali che divertono il bambino con infinite scoperte.
La Minimal Art. Un movimento tipicamente statunitense è la Minimal Art ("arte
minima"), che vuole ridurre al minimo ogni aspetto decorativo o illustrativo dell'opera,
utilizzando materiali semplici e rozzi per costruire forme geometriche elementari, di
grandi proporzioni. Malgrado la sua essenzialità, la Minimal Art è in grado di procurare
agli osservatori grandi emozioni, suscitando il senso del sublime. Il più grande
esponente della Minimal Art è lo scultore statunitense Richard Serra (nato nel 1939),
che crea opere monumentali ottenute giustapponendo pesanti piani di metallo. Celebre è
Clara Clara (1983), due enormi fogli di alluminio, collocati a Parigi (Avenue de
Choisy), che sembrano attrarsi irresistibilmente l'uno con l'altro. Tra i minimalisti,
ricordiamo altri artisti statunitensi: Ellsworth Kelly (nato nel 1923), che ha eseguito
una serie chiamata Specific Objects, oscillante tra pittura e scultura; Sol Le Witt (nato
nel 1928), che invece associa la scultura all'architettura, creando strutture di cubi che
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aderiscono a rigide regole matematiche; Donald Judd (1928-1994), le cui sculture,
semplificate al massino e chiamate tutte Senza titolo, si risolvono nella figura
geometrica del cubo; Robert Ryman (nato nel 1930), che esegue composizioni vuote,
per eliminare ogni illusionismo pittorico e per concentrare l'attenzione dell'osservatore
sui materiali usati per la costruzione del quadro; Dan Flavin (nato nel 1933), del quale
si ricorda una scultura monumentale, Senza titolo. Ai cittadini della repubblica francese
(1989), luci fluorescenti che riproducono i colori della bandiera francese; Carl Andre
(nato nel 1935), che stende le sue lastre orizzontalmente sul pavimento, anziché
svilupparle in altezza come nella scultura tradizionale (Piano di zinco e magnesio,
1969); Frank Stella (nato nel 1936), che esegue opere monumentali impiegando
materiale da produzione di massa; Robert Mangold (nato nel 1937), che nelle sue tele
si è ispirato ai vasi greci del Metropolitan Museum di New York. In Italia si ricollega
alla Minimal Art, tra gli altri, il pittore Rodolfo Aricò (nato nel 1930).
L'arte concettuale. Intorno alla metà degli anni Sessanta, si sviluppa l'arte concettuale,
una tendenza artistica teorizzata dal gruppo inglese Art and Language, che intende
l'operazione artistica come una pura operazione mentale: l'arte è vista come idea, come
conoscenza attraverso il pensiero, togliendo importanza all'immagine. La personalità
artistica più rilevante dell'arte concettuale è il tedesco Joseph Beuys (1921-1986).
Polemica e dissacrante è la produzione di Beuys, fin dai titoli dei suoi quadri (uno di
essi è intitolato Come spiegare la pittura a una lepre morta, 1965). Pilota dell'aviazione
tedesca, abbattuto dalla contraerea russa in Crimea (1943), Beuys riuscì a salvarsi dal
freddo avvolgendosi in una coperta di feltro: di qui il frequente ricorrere del feltro nelle
sue opere (come in Infiltrazione omogenea per piano a coda, 1966, dove si vede un
pianoforte avvolto nel feltro con una croce rossa cucita sopra, o come in Abito di feltro,
1970, copia esatta di un vestito indossato dall'artista durante una manifestazione contro
la guerra in Vietnam). Convinto della necessità di allargare la definizione di arte al di là
dei suoi limiti consueti, Beuys ha dichiarato: «Bisogna rendersi conto che il pensiero è
una scultura e che si crea una scultura veramente fantastica quando si parla». Nel suo
paese d'origine, la Germania, Beuys è una figura di culto e molti dei suoi lavori sono
riprodotti in numerose copie.
Altri artisti concettuali sono: il francese Daniel Buren (nato nel 1938), secondo il quale
il significato di un'opera d'arte è determinato dal contesto: celebre è l'opera Due livelli
(1985-86), una colossale installazione di colonne costituite di strisce verticali di marmo
bianco e nero, collocate al centro del cortile d'onore del Palais Royal a Parigi; l'inglese
Richard Long (nato nel 1945), del quale è famosa la Striscia di ardesia della
Cornovaglia (1990, Anthony d'Offay Gallery, Londra), una scultura orizzontale di pezzi
di ardesia, che rappresenta l'idea del passeggiare (altre sculture di Long sono ricordi di
escursioni in vari luoghi del mondo, e alcune di esse sono permanenti, come una striscia
di roccia tra le cime impervie dell'Himalaya); lo statunitense Bruce Nauman (nato nel
1941), che si serve di lampeggianti scritte al neon in lettere maiuscole colorate, per
trasmettere enigmatici messaggi sul senso della vita; lo statunitense Joseph Kosuth
(nato nel 1945), che si richiama a Duchamp, padre riconosciuto dell'arte concettuale
(esemplare è, in tal senso, il quadro Una e tre sedie, 1965, che ricorda da vicino la
celebre bicicletta di Duchamp: l'opera risulta di una sedia con a fianco la foto di una
sedia e, sull'altro lato un pannello che reca la definizione della parola "sedia", tratta da
un vocabolario); lo statunitense Bill Viola (nato nel 1951), del quale è nota una videoinstallazione dal titolo Pregare senza sosta (1992), che condensa in cicli di 12 ore
ciascuno l'intero percorso della vita dalla nascita alla morte, dal Big Bang dell'universo
ad una totale oscurità, risolvendosi in una visionaria esplorazione dell'inconscio.
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Il maggiore esponente dell'arte concettuale in Italia è Giulio Paolini (nato nel 1940).
Paolini ha esordito con una mostra milanese del 1973, presentata da Italo Calvino.
L'artista ha raggiunto il massimo grado di intensità mentale nell'opera intitolata Giovane
che guarda Lorenzo Lotto (1967): su una grande tela è riprodotto fotograficamente un
dipinto del Lotto, eseguito nel 1505; la situazione è però ribaltata, perché non è il pittore
a osservare il modello ma viceversa. Per realizzare l’opera autentica, Paolini considera
parte integrante di essa il visitatore, lo spazio e l'ambiente. Nella serie iniziata nel 1975
e intitolata Mimesi, copie di busti classici sono disposte da Paolini una di fronte all'altra,
come se si riflettessero in uno specchio. A partire da Atto unico in tre quadri (1979),
che si riferisce a Mantegna, all'Alberti, a Lorrain, il lavoro artistico di Paolini si
avvicina sempre più al teatro. Nel 2000 Paolini ha ricevuto il premio internazionale
Koinè alla carriera.
La Land Art. Con il termine di Land Art ("arte del paesaggio") si indica una tendenza
artistica affine all'arte concettuale, ma che oltrepassa i limiti delle gallerie e dei musei,
per applicarsi direttamente al territorio naturale. Il tipico sfondo di questa tendenza sono
gli sterminati paesaggi degli Stati Uniti (deserti, laghi salati, canyons, ecc.). I "landartisti" usano materiali semplici (terra, sabbia, ghiaia, catrame) e si valgono di camion e
bulldozer per eseguire immensi scavi e accumulazioni di terra. Un famoso "land-artista"
è lo statunitense Walter De Maria (nato nel 1935), che ha creato i suoi lavori più noti
nel deserto del Nevada e dell'Arizona: una sua opera è Vertical Earth Kilometer (1977),
una barra di rame puro, lunga un chilometro, inserita in un foro di un chilometro
ricavato nel suolo. Del 1981 è 360° I Ching, 54 sculture lineari con le quali De Maria ha
tappezzato un grande spazio al Centre Pompidou di Parigi. Si ricollega alla Land Art lo
scultore statunitense di origine bulgara Christo (pseudonimo di Christo Javacheff, nato
nel 1935), famoso per i suoi "impacchettamenti", prima di piccoli oggetti, poi di
strutture architettoniche (a Roma, le Mura Aureliane; a Parigi, il Pont Neuf; a Berlino, il
Reichstag), di edifici, fino a luoghi naturali, come la scogliera di Little Bay in Australia
(che ha interamente ricoperto e legato con un tessuto in plastica e corde sintetiche).
L'opera più spettacolare di Christo è Gates (2005), un sentiero di porte con tele di nylon
arancioni, lungo 37 chilometri, realizzato al Central Park di New York.
L'Arte Povera. In Italia, si è sviluppata una tendenza artistica detta Arte Povera (così
definita nel 1966 dal critico Germano Celant), una forma di arte concettuale, intorno
alla quale si sono raccolti artisti che, rifacendosi alle esperienze della Minimal Art e
della Land Art, si servono di materiali "poveri", come carta, stoffa, paglia, terra, ecc.,
per contestare un mondo tecnologicamente "ricco". Tra i più significativi artisti
dell'Arte Povera, ricordiamo Mario Merz (nato nel 1925), che ha elevato a livello d'arte
oggetti dell'uso comune (celebri i suoi Igloo, realizzati con vari materiali e scritte);
Michelangelo Pistoletto (nato nel 1933), che ha realizzato inizialmente una serie di
lastre specchianti, coinvolgendo lo spettatore in situazioni enigmatiche; sono seguite
opere realizzate con materiali quotidiani e materiali poveri come gli stracci (La Venere
degli stracci, 1969; Il perimetro speculare, 1976; Metamorfosi, 1981; Il nuovo segno
dell'Infinito, 2003); Paolo Calzolari (nato nel 1944), che ha applicato nelle sue opere il
concetto della trasformazione delle materie, con esiti tendenti al sublime (Impazza
angelo artista; 1968); Pino Pascali (1935-1968), che nella sua breve parabola artistica,
prima della sua morte tragica, ha realizzato quattro cicli di opere (i pezzi anatomici, le
armi, le sculture bianche, gli elementi della natura), in bilico tra gioco e provocazione,
tra fantasia e dissacrazione, tra Pop-art e Arte Povera.
L'Iperrealismo. Con una mostra a New York nel 1970, si afferma l'Iperrealismo, una
tendenza artistica che sembra riproporre, in pittura e in scultura, il ritorno al figurativo.
Si tratta di una reazione all'arte concettuale: ogni interpretazione della realtà è
51
nettamente rifiutata dagli iperrealisti, che si limitano a riprodurre ciò che un obiettivo
fotografico coglierebbe; ma proprio l'insistenza sui dettagli finisce con l'ottenere un
forte effetto di irrealtà. A differenza della Pop-art, inoltre, gli iperrealisti si astengono da
ogni accentuazione satirica e sociologica della realtà.
Il passaggio dalla Pop-art all'Iperrealismo si può rintracciare nelle opere dell'artista di
origine inglese Malcom Morley (nato nel 1931), le cui immagini sono tratte da
fotografie di viaggi turistici (come ad esempio l'immagine di un transatlantico che solca
le acque di un azzurrissimo e improbabile oceano). Il maggiore esponente
dell'Iperrealismo statunitense è forse Richard Estes (nato nel 1936), i cui dipinti hanno
come soggetto privilegiato le strade di New York, dalle quali sembra che l'uomo sia
stato escluso, e sono dotati di una tale precisione e meticolosità di particolari da
ricordare i maestri olandesi del Seicento (come Vermeer e la sua celebre Veduta di
Delft). Un altro artista statunitense rappresentativo dell'arte iperrealista è Ralph Goings
(nato nel 1928), le cui immagini sono di una deliberata e sconvolgente banalità, come in
One-Eleven Diner (1977). Ma forse di maggior effetto sono le sculture iperrealiste di
Duane Hanson (nata nel 1925) e di John De Andrea (nato nel 1941): nelle sue
sculture (come in Donna con cane, 1977), la Hanson presenta numerosi "tipi" umani
identici al vero, realizzati in materiali plastici, che comunicano l'impressione di figure
vive, quasi fossero dei "replicanti", mentre De Andrea preferisce, come soggetti, nudi
maschili e femminili, che producono, nella loro immobilità, una suggestione quasi
luttuosa. All'Iperrealismo si ricollega, in Italia, un esponente della Nuova Figurazione,
Gianfranco Ferroni (nato nel 1927), che esprime nei suoi interni squallidi (Nello
studio, 1972) e nei suoi paesaggi deserti (Vendesi terreno industriale, 1972) la povertà
dell'esistenza umana.
La Body Art. Una tendenza degli anni Sessanta e Settanta è la Body Art, comprendente
le ricerche di quegli artisti che utilizzano il proprio corpo direttamente come "materia
espressiva". Ricordiamo lo statunitense Vito Acconci (nato nel 1940), autore di due
famose performances (Conversion e Opening, 1970), e la francese Gina Pane (19391990), che ha messo in scena esperienze violente sul proprio corpo, per attirare
l'attenzione su quelle sofferenze personali che i mass media riducono a informazione
asettica o spettacolare (fondamentale, sulla Body Art, è il saggio di Lea Vergine La
Body Art e storie simili Il corpo come linguaggio, Skira, Milano 2000).
La transavanguardia. All'inizio degli anni Ottanta si è diffusa in Italia la
transavanguardia (un termine coniato dal critico Achille Bonito Oliva). Si tratta di una
tendenza neofigurativa post-moderna, che rifiuta il collegamento alle avanguardie
storiche e alle esperienze minimaliste, concettuali, ecc., e propugna il ritorno al
"piacere" della pittura, al di fuori di qualsiasi impegno ideologico, e con un gusto
particolare per la "citazione" di quadri del passato. Si è parlato, per la transavanguardia,
di "nomadismo" stilistico, in una fase in cui il linguaggio dell'arte (scrive Bonito Oliva)
«è considerato mezzo di transizione da un'opera all'altra, da uno stile all'altro». Fa parte
della transavanguardia il Club dei Cinque, costituito da Sandro Chia (nato nel 1947),
Mimmo Paladino (nato nel 1948), Enzo Cucchi (nato nel 1950), Francesco Clemente
(nato nel 1952), Nicola De Maria (nato nel 1954). Il pittore più interessante è forse
Sandro Chia, che attinge a piene mani ai pittori degli anni Venti e Trenta, da Carrà a
Sironi e a De Chirico (considerato quest'ultimo, dai transavanguardisti, il primo grande
"antimodernista"). In Transavanguardia internazionale (1982), Bonito Oliva ha
ampliato l'ambito della transavanguardia, comprendendovi artisti internazionali di
sensibilità affine: è il caso dello statunitense Julian Schnabel (nato nel 1951), noto per
le sue enormi tele in cui si mescolano astrazione e figurazione; ed è anche il caso degli
artisti tedeschi definiti Nuovi Selvaggi (ma è da preferire per essi la definizione di Neo
52
Espressionismo). La figura di maggior rilievo, tra i neoespressionisti tedeschi, è quella
di Anselm Kiefer (nato nel 1945), la cui opera, influenzata dalla lezione di Beuys, ha
un'ispirazione tragica e cupa, angosciata per il passato del proprio paese (non a caso,
Kiefer si è ricollegato ai progetti architettonici elaborati da Albert Speer, architetto
ufficiale del nazismo).
2.4.3 Sviluppi dell'architettura
L'architettura post-moderna. Secondo un autorevole studioso del Post-moderno (vedi
sezione terza), Charles Jenks, non fanno parte in senso proprio dell'architettura postmoderna alcuni grandi architetti passati da una moda all'altra, come Philip Johnson
(anche se il grattacielo newyorkese della AT&T, da lui firmato nel 1982, è divenuto per
molti anni il simbolo del monumentalismo post-moderno) o quegli architetti tardomodernisti, come Richard Rogers e Renzo Piano, realizzatori nel 1977 del Centre
Pompidou a Parigi, o infine architetti ambiziosi come John Portman, che ha realizzato
a scopi spettacolarmente commerciali quella città in miniatura che è il Bonaventura
Hotel di Los Angeles (1976). Rientrano invece a pieno titolo nel Post-moderno altri
eventi: la presentazione a New Orleans (1978) della teatrale Piazza d'Italia di Charles
Moore; la realizzazione, a opera di Hans Hollein (1982), della postmoderna gioielleria
Deutsch nello storico Graben di Vienna; l'imponente ed eclettico Portland Public
Service Building, costruito nel 1982 da Michael Graves nell'Oregon; il centro civico di
Tsukuba realizzato dall'architetto giapponese Arata Isozachi nel 1983; l'inaugurazione
nel 1984 della straordinaria Neue Staatsgalerie, opera dell'architetto inglese Jones
Sterling; gli edifici della Fiera (1982) e del Museo dell'architettura tedesca (1985) e il
grande grattacielo (1985) di Oswald Matthias Ungers a Francoforte.
L'architettura italiana. Statura cosmopolita ha l'architetto italiano Renzo Piano (nato
nel 1937), tra le cui più importanti realizzazioni, oltre al Centre Pompidou sopra
ricordato, sono l'aeroporto nella baia giapponese di Osaka, la Postdamer Platz di
Berlino, l'Auditorium di Parma, l'Auditorium d'Europa a Roma, la Bolla del Porto
Antico di Genova. Altri noti architetti sono: Gio Ponti (1891-1979), tra le cui
realizzazioni più note sono l'Istituto di Matematica dell'Università di Roma, il Palazzo
degli uffici della Montecatini a Milano, il Grattacielo Pirelli a Milano; Bruno Zevi
(1918-2000), interprete del Movimento moderno e del pensiero di F. L. Wright,
progettista della Biblioteca Einaudi a Dogliani (1963) e del Padiglione italiano
all'esposizione di Bruxelles (1967); Gae Aulenti (nata nel 1927), cui si deve la
trasformazione in museo della Gare d'Orsay a Parigi; Vittorio Gregotti (nato nel 1927),
esponente della tendenza neoliberty, realizzatore del quartiere Zen a Palermo (1969),
delle università di Firenze (1971) e di Cosenza (1974), degli stadi di Barcellona,
Genova e Nîmes, della ristrutturazione dell'area Bicocca a Milano; Aldo Rossi (nato nel
1931), del quale sono da ricordare il Cimitero di San Cataldo a Modena e la
ricostruzione del teatro Carlo Felice di Genova; Paolo Portoghesi (nato nel 1931), cui
si deve la moschea e il centro culturale islamico a Roma; Gaetano Pesce (nato nel
1939), presentatore del Manifesto dell'Architettura classica (1965) e realizzatore della
Biblioteca Nazionale di Teheran (1977); il ticinese Mario Botta (nato nel 1943), che ha
realizzato importanti edifici a Lugano, a Trento, a Tokyo, a San Francisco e ha
progettato il rifacimento del Teatro alla Scala di Milano; Massimiliano Fuksas (nato
nel 1944), tra le cui realizzazioni sono il quartiere di abitazioni a Candle Saint-Bernard
(Parigi), la sistemazione del vecchio porto di Nagasaki, la sistemazione urbanistica della
Place des nations a Ginevra, il Centro della Pace a Jaffa (Israele).
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2.5 La musica
2.5.1 Quadro della musica contemporanea
Nuove tendenze. Nell'ambito della musica pura, entrato in crisi lo strutturalismo postweberiano, sorgono nuovi indirizzi musicali che rivalutano alcuni parametri sonori
(come la cantabilità, la melodia, il ritmo) che erano stati considerati obsoleti
dall'eccessivo rigore della scuola di Darmstadt.
In Germania. Particolarmente vivace è in Germania la reazione al serialismo integrale
da parte delle giovani generazioni, che danno vita a correnti musicali chiamate
significativamente con le espressioni di neoromanticismo e di nuova semplicità.
Un compositore che ha risentito in modo più sensibile dei mutamenti del clima
musicale è Hans Werner Henze (nato nel 1926) che ha iniziato la sua carriera
nell'ambito dell'avanguardia post-weberiana, ma si è poi rivelato musicista eclettico,
aperto agli indirizzi più disparati, compreso il jazz, per riaccostarsi infine, negli anni più
recenti al serialismo storico. Del 1952 è Boulevard Solitude, che segna la presa di
distanza del compositore dal radicalismo seriale, alla ricerca di un linguaggio dotato di
maggiore efficacia comunicativa. Sono seguite molte opere improntate ad un raffinato
sincretismo di tecniche musicali diverse. Spicca soprattutto la produzione teatrale di
Hense, che trascorre dal clima sognante e fiabesco del Principe di Homburg (1960) e di
Elegia per giovani amanti (1961) all'impegno politico-civile di La zattera della Medusa
(1968) e di Andiamo al fiume (1976), un'opera ispirata alla guerra del Vietnam. Tra le
sue ultime opere: Venus and Adonis (1996-97).
Un esponente della neoavanguardia musicale è Dieter Schnebel (nato nel 1930), che,
dopo aver preso le mosse dal serialismo, si è volto alle esperienze della «musica da
vedere» e ha realizzato Réactions per solista (1960-62), dove propone una musica
delegata alla visibilità del mero gesto esecutivo, non necessariamente sonoro.
Un compositore di origine argentina, operante in Germania, è Mauricio Kagel (nato nel
1931). Collaboratore dello Studio di musica elettronica di Colonia, ha diretto
l'Ensemble für Neue Musik e ha insegnato in varie università europee e americane.
Nella sua produzione, ha fatto ricorso alle tecnologie più avanzate, introducendo nei
suoi allestimenti teatrali effetti gestuali e visivi. Tra le sue opere: Heterophanie (1961),
Antithèse (1963), Sankt Bach Passion (1985), Konzertstück (1992).
In altri Paesi. In Inghilterra, un musicista della neoavanguardia è stato Cornelius
Cardew (1936-1981), che ha studiato musica elettronica con K. Stockhausen e, dopo
l'incontro con J. Cage, ha fatto ricorso a procedimenti aleatori e a forme di
improvvisazione collettiva, e si è infine dedicato ad opere di impegno politico
nell'ambito di un linguaggio melodico tradizionale.
Una delle punte avanzate della musica contemporanea è il belga Henry Pousseur (nato
nel 1929). Autodidatta, ha fondato lo studio di musica elettronica di Bruxelles e ha
insegnato ai corsi estivi di Darmstadt. Ha introdotto il principio aleatorio non solo nella
musica elettronica, ma anche nel teatro: un'«opera mobile», composta in collaborazione
con lo scrittore M. Butor, è Votre Faust (1963), parodia del Faust goethiano, dove il
pubblico è invitato a scegliere la successione delle scene. In occasione del primo
centenario della morte di A. Rimbaud (1991), ha composto l'opera da camera Leçons
d'enfer (1989-91). Un omaggio a Watteau è Don Juan à Gnide (1996), un'opera in cui
confluiscono teatro, canto, musica strumentale, effetti luministici. Un breviario sulla
musica contemporanea sono i sei volumi di Methodicare (1988-2001).
54
Un compositore francese di punta è stato Jean Barraqué (1928-1973), allievo di
Messiaen, divenuto famoso con la Sonata per pianoforte (1952). Ha lavorato alla radio
francese con il gruppo di ricerca sulla musica concreta Temperamento inquieto (ha
distrutto i suoi primi lavori), si è dedicato nelle sue composizioni ad un grandioso
progetto ispirato a La morte di Virgilio di H. Broch. Lacerato dal conflitto tra l'adesione
alla serialità e la tendenza ad una musicalità liberamente espressiva, è rimasto un isolato
nel quadro della musica contemporanea.
Capofila dei compositori iberici è lo spagnolo Luis De Pablo (nato nel 1930), che ha
rifiutato il filone nazionalistico e ha recuperato la cultura centroeuropea, aderendo al
post-weberismo della scuola di Darmstadt. Tra le sue opere: Radial (1960), Imaginario
(1967), Concerto per pianoforte e orchestra (1978-79), El sonido de la guerra (1980),
l'opera Kiü (1983).
Il più noto compositore polacco è Krzysztof Penderecki (nato nel 1933). Si è imposto
nel 1961 con Threnos, dedicato alle vititme di Hiroshima, che ha ottenuto il premio
dell'Unesco: attraverso una particolare tecnica d'impiego degli archi, Penderecki è
riuscito ad ottenere effetti simili a quelli della musica elettronica, simulando in modo
impressionante le esplosioni prodotte dal bombardamento. Per la prima volta un'opera
di avanguardia musicale ha conquistato il successo presso il grande pubblico.
Penderecki si è volto poi a monumentali forme oratoriali (Passio secundum Lucam,
1962-65; Dies irae, 1967). Più discussa è la sua opera I diavoli di Loudun (1968),
accusata dalla critica musicale d'avanguardia di eccessive concessioni alla
declamazione, nel solco della tradizione. Tra le altre opere: Te Deum, dedicato a
Giovanni Paolo II (1979-80), Polnisches Requiem (1984), Concerto grosso per tre
violoncelli e orchestra (2001), Concerto per pianoforte e orchestra (2002).
Negli Stati Uniti, un esponente della minimal music è Philip Glass (nato nel 1937),
sulla cui formazione musicale ha influito lo studio della musica indiana. Per il teatro,
Glass ha scritto The Voyage (1992), un'opera commissionata dal Metropolitan per
celebrare il 500° anniversario della scoperta dell'America. Ha inoltre composto
numerose colonne sonore cinematografiche.
In Italia. Musicista di estremo rigore è Aldo Clementi (nato nel 1925). Allievo di
Petrassi, ha lavorato allo Studio di fonologia della RAI di Milano. Dopo un'esperienza
strutturalista, ha enunciato, nei tre Informels (1961-63), la sua poetica "informale",
basata sul concetto di una musica che si pone come materia sempre uguale e sempre
diversa. La tecnica di Clementi si fonda sulla presenza di larghe fasce sonore,
apparentemente immobili, ma percorse da continue variazioni timbriche. Tra le altre
opere: le tre Varianti (1964), L'orologio di Acervia (1979), Es (1980), Cantabile (1988),
Berceuse (1989).
Franco Evangelisti (1926-1980) si è particolarmente soffermato sull'aspetto aleatorio
del linguaggio e ha fondato, nel 1961, il gruppo d'improvvisazione «Nuova
Consonanza». Tra le sue opere: Aleatoria per quartetto d'archi (1959), Random or not
Random per orchestra (1962).
Franco Donatoni (1927-2000) ha percorso le varie tappe dell'esperienza postweberiana, dallo strutturalismo integrale (Quartetto II, 1958) all'improvvisazione
aleatoria (For Grilly, 1960), ad una prassi compositiva regolata da meccanismi
automatici (Puppenspiele II, 1966) fino al recupero del contributo soggettivo nella
composizione (Atem, 1985; Puppenspiele III, 1995).
Un musicista di notevole originalità espressiva e stilistica è Sylvano Bussotti (nato nel
1931). Collaboratore del Living Theatre, si è dedicato alla regia e alla scenografia
teatrale e ha teorizzato un «teatro totale», denominato anche «Bussotti opera-ballet». La
sua concezione del suono come evento magico lo pone in netta antitesi rispetto al post55
webernismo di Darmstadt. Prevalgono nella sua produzione un esibito autobiografismo
e una forte carica erotica (l'eros è da lui avvertito come autentico momento
rivoluzionario). I suoi Tableaux vivants (1964) sono uno dei primi esempi di «musica
gestuale». La sua opera più significativa è Passion selon Sade (1968), dove gli influssi
del gestualismo, della body art e del Living Theatre si mescolano in un originale
«mistero da camera». Del 1969 è Rara Requiem per voci e strumenti, un'opera di ampio
respiro, in cui trova piena espressione la vena decadente del musicista fiorentino. Di
rilievo è ance il melodramma Lorenzaccio (1972), un «omaggio al dramma omonimo di
De Musset», in cui si sviluppano simultaneamente la coreografia, il canto, il mimo, la
recitazione. Mirabile è il balletto-pantomima Myro, uccello di luce (1981). Tra le ultime
opere: Fedra (1988), Intégrale Sade (1989), Bozzetto siciliano (1990).
Compositore e critico musicale, Giacomo Manzoni (nato nel 1932) ha seguito
nell'impegno ideologico le orme di Luigi Nono, dal quale è tuttavia indipendente sul
piano stilistico. Legato inizialmente ad una rigorosa serialità, se ne è gradatamente
svincolato per una più libera ricerca nell'ambito di un controllato "materismo". La sua
prima opera teatrale, La sentenza (1960), è «la prima opera dove una dodecafonia
marcatamente strutturalista diventa linguaggio teatrale» (L. Pestalozza). L'opera
successiva, Atomtod (1965), è imperniata sulla minaccia di una guerra nucleare. Altre
opere sono Per Massimiliano Robespierre (1975) e Doktor Faustus (1989). Sul piano
della musica strumentale, spiccano le Parole da Beckett (1971), che hanno ottenuto il
premio Unesco. Tra le composizioni più recenti: Allen (1996), Trame d'Ombre (1998).
Autodidatta, ammiratore di Stockhausen, Salvatore Sciarrino (nato nel 1947) si è
affermato giovanissimo con Sonata per due pianoforti (1966) e Berceuse per orchestra
(1967). Ha poi approfondito una originale ricerca sul timbro, inteso non tanto come
manifestazione di colore, ma come elemento fondamentale della composizione. Una
raffinata animazione timbrica pervade la sua prima opera teatrale, Amore e Psiche
(1973). Del 1979 è l'opera Cailles en sarcophage, che accoglie in un unico tessuto
verbale testi tratti da uno sterminato catalogo di scrittori. Sono seguite le opere
Lohengrin (1983) e Perseo e Andromeda (1991). Del 1997 è La bocca, i piedi, il suono,
per quattro sassofoni solisti e 150 sassofonisti in movimento, una performance di arte
povera trasposta in musica. Tra le opere più recenti: Cantare con silenzio (1999),
Septième Quatuor à cordes (2001).
Tra gli altri musicisti, si ricordano: Giuseppe Chiari (nato nel 1926), noto per la sua
«musica d'azione», di impronta provocatoria e libertaria; Niccolò Castiglioni (nato nel
1932), le cui opere si caratterizzano per un avanzato sperimentalismo e un gusto
particolare del preziosismo timbrico; Aldo Corghi (nato nel 1937), dotato di una
spiccata vocazione teatrale, autore di Gargantua (1984), da Rabelais, e di Blimunda
(1990), la cui fonte letteraria sono le opere di José Saramago; Giuseppe Sinopoli
(1946-2001), compositore di tendenza espressionista e grande direttore d'orchestra
(scomparso il 20 aprile 2001 mentre dirigeva la Berliner Philarmoniker nell'esecuzione
dell'Aida); Lorenzo Ferrero (nato nel 1951, esponente della musica neoromantica,
autore di fortunate opere teatrali, tra cui Marylin (1980); Marco Tutino (nato nel
1954), attratto dal mondo della fiaba, autore di Peter Uncino (2001), da un testo di
Michele Serra.
2.5 Tre maestri della musica contemporanea
Tra i maggiori musicisti d'avanguardia di oggi sono il francese Pierre Boulez (19252016), il tedesco Karlheinz Stockhausen (1928-2007), l'italiano Luciano Berio (19252003).
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Boulez. Allievo di Olivier Messiaen, Pierre Boulez si è imposto all'attenzione della
critica sia come alfiere della "nuova musica" sia come uno dei maggiori direttori
viventi. Al razionalismo geometrico tipicamente francese si affiancano, in Boulez, una
vivace immaginazione e un gusto quasi sensuale del suono. Tra razionalità e istinto, tra
rigore alla Webern e inclinazione verso le sonorità impressionistiche alla Debussy si
muove Boulez fin dalla Sonatina per flauto e pianoforte del 1946. Un intenso lirismo
pervade la cantata Le visage nuptial (1948-50), su testo del poeta surrealista René Char.
Lo studio di Webern ha poi spinto il compositore alla «serialità integrale» della prima
opera della maturità, Poliphonie X (1951), per orchestra da camera. Una fredda
oggettività presiede a un'opera "teorica" di Boulez, Structures (1951-52) per due
pianoforti; ma con Il martello senza padrone (1952-54) si attenua il rigore formalistico
del musicista, che lascia spazio alla sottigliezza coloristica di ascendenza debussyana.
Una scrittura musicale più libera e sensuale, con larghe concessioni all'immaginazione
sonora, caratterizza le Improvvisazioni su Mallarmé (1958). Intanto, nella Terza sonata
per pianoforte (1957), Boulez ha applicato, in forma più controllata rispetto a Cage
(vedi Parte XVII, 2.5), il principio dell’“alea”. Un raffinato gioco timbrico caratterizza
Éclat (1965) per 15 strumenti. Dopo Répons (1981), dove Boulez ha usato per la prima
volta il sistema digitale, il musicista francese ha presentato, nelle sue esibizioni come
direttore d'orchestra, alcune nuove composizioni come Dérive (1984), per sei esecutori,
e Memoriale (1985) per flauto solista e otto strumenti. Del 1992 è Composer in
residence, presentato al Festival di Salisburgo.
Stockhausen. Un altro protagonista dell'avanguardia musicale contemporanea è
Karlheinz Stockhausen, anch'egli allievo, come Boulez, di Messiaen. Nella produzione
di Stockhausen un astratto e quasi ascetico rigore si unisce a impulsi vitalistici, «in una
furia moralistica di distruzione animata dall'utopia di un ordine nuovo nell'universo
della tecnica e della scienza» (A. Lanza). Fin da Kreuzspiel (1951), per sei strumentisti,
appare la radicalità di Stockhausen nell'oltrepassare la lezione di Webern; ma la
«serialità integrale» post-weberniana è superata in Kontra-Punkte (1952-53), per dieci
strumenti. Una persuasiva composizione elettronica è Gesang der Jünglinge (1955-56),
mentre il principio dell'“alea” è introdotto in Klavierstücke XI (1956), per mezzo di
strutture intercambiabili a piacere dell'interprete. In Gruppen für 3 Orchester (1957), il
musicista tedesco ha tentato effetti stereofonici di musica spaziale. Il vagheggiamento di
un'armonia universale nel segno della tecnologia pervade Telemusik per nastro
magnetico (1966), mentre l'utopia politica anima Hymnen (1966-67), dove sono
agglomerati gli inni nazionali dei vari paesi del mondo. La vena mistica di Stockhausen
si accentua in Mantra (1969-70) e culmina nell'imponente ciclo dal titolo Licht (Luce),
che si è protratto per circa un ventennio, fino al Venerdì di Luce, eseguito nel 1996.
Berio. Allievo di Giorgio Federico Ghedini e di Luigi Dallapiccola, Luciano Berio è
stato tra i primi in Italia a occuparsi di musica elettronica (Mutazioni, 1955). Il nucleo
fondamentale della composizione consiste, secondo Berio, nella creazione di opere che
possano stabilire una comunicazione con l'ascoltatore attraverso un linguaggio efficace
e immediato. Di qui il volgersi del musicista alle esperienze più disparate, dalla musica
atonale a quella dodecafonica, dalla tecnica elettronica alla rielaborazione di musiche
del passato. Un posto centrale occupano, nella produzione di Berio, le Sequenze (195895) per voce e per diversi strumenti (flauto, arpa, pianoforte, trombone, viola, oboe,
violino). Tra le composizioni strumentali, sono da ricordare Variazioni (1954), il
Concerto per due pianoforti e orchestra (1972-73), Il ritorno degli Snovidenia per
violoncello e orchestra (1976-77), Voci (1984) per viola e due gruppi strumentali,
Requiem (1983-84) per orchestra, Concerto II (Echoing curves) del 1988. Tra le
composizioni degli anni Novanta, si ricordano: Epiphanies per voce femminile e
orchestra (1991-92), Chemins V per chitarra e gruppo strumentale, Notturno per
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quartetto d'archi (1993), Shofar per coro e orchestra (1995) e l'opera Cronaca del luogo
(1999). Tra le composizioni elettroniche, spiccano Omaggio a Joyce (1958), nato dalle
conversazioni con U. Eco sull'Ulisse joyciano, e Momenti (1960). Per il teatro Berio ha
collaborato con E. Sanguineti (Passaggio, 1963; Laborintus, 1965; A-Ronne,
documentario radiofonico, 1974) e con I. Calvino (Allez-hop!, 1958-59; La vera storia,
1976-79; Un re in ascolto, 1982-83). Tra le opere teatrali più recenti: Orfeo (1985),
Ophanim (1988).
2.6 Il cinema
I GRANDI REGISTI DEL CINEMA CONTEMPORANEO
2.6.1 Negli Stati Uniti
Kubrick. Il più geniale regista statunitense è Stanley Kubrick (1928-1999), che ha
girato pochi film, alcuni dei quali costituiscono tappe fondamentali nella storia del
cinema contemporaneo.
Dopo alcuni documentari, Kubrick esordisce con Paura e desiderio (1953), una storia di
guerra, in cui due soldati uccidono due nemici che hanno le loro stesse facce. Un
soggetto da "film nero" è quello di Il bacio dell'assassino (1955), storia di un boxeur in
un ambiente torvo e onirico. Dopo Rapina a mano armata (1956), che rinnova il genere
gangsteristico, Kubrick gira Orizzonti di gloria (1957), un film sulle fucilazioni
verificatesi sul fronte francese durante la Grande Guerra, che non è solo una protesta
antimilitarista, ma una metafora delle assurdità della vita. L'unico film in cui Kubrick si
è piegato a un progetto altrui è Spartacus (1960), un "kolossal" sulla famosa rivolta di
schiavi dell'antichità, rivisitata dal regista in chiave shakespeariana. Il film più discusso
di Kubrick è Lolita (1962), il cui vero tema non è l'infatuazione del protagonista per una
adolescente, come nel noto romanzo di V. Nabokov, ma l'ossessione mentale in se
stessa, causa di frustrazione e di rovina. La paura della bomba atomica porta alla
paranoia i politici e i generali di Il dottor Stranamore (1963), una scatenata farsa
politica, ma anche una satira, degna di Swift, sulle ciniche e maniacali perversioni della
natura umana.
Capolavoro di Kubrick e uno dei film memorabili della storia del cinema è 2001:
Odissea nello spazio (1968), che ha elevato di colpo a genere nobile, in campo
cinematografico, la fantascienza. Si tratta di un film affascinante e carico di enigmi, dal
misterioso monolito scoperto dalle scimmie in età preistorica al viaggio di un'astronave
verso Giove e al vertiginoso viaggio nel tempo del protagonista: l'unico senso certo è
quello dell'uomo che si interroga sul proprio futuro privo di certezze.
Verso un futuro abbastanza prossimo ci si muove invece in Arancia meccanica (1971),
una parabola (tratta da un romanzo di A. Burgess) sulla violenza, il cui eroe è Alex,
fanatico per la musica di Beethoven e capo di una banda di adolescenti depravati,
ridotto alla fine in strumento della politica repressiva del governo. Si tratta dunque di
una metafora dei rapporti tra violenza e potere.
Un tuffo nel passato si verifica in Barry Lyndon (1975), uno splendido film che narra le
peripezie di un giovane irlandese nell'Europa del Settecento: passando di duello in
duello, attraverso guerre, giochi d'azzardo, travestimenti, amori delusi e matrimoni di
convenienza, il protagonista impara a sue spese il cinismo che regge i rapporti sociali.
Un film sull'orrore esistenziale, tratto da un mediocre romanzo "horror" di Stephen
King, è Shining (1980), storia di un ex insegnante che accetta di fare il guardiano di un
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grande albergo dove, sconvolto dalla claustrofobia, tenta di uccidere la moglie e il
figlio, ma quest'ultimo, dotato di poteri extrasensoriali (il cosiddetto "shining"), ne
sventa il progetto criminoso, lasciandolo morire congelato in un giardino-labirinto.
Alla riflessione sul tema del Vietnam Kubrick ha contribuito con il film, Full Metal
Jacket (1987), il cui titolo (il nome di una cartuccia in dotazione nel corpo dei marines),
è la metafora della dura disciplina cui le reclute della famosa fanteria da sbarco
americana devono assoggettarsi per avere in guerra qualche speranza di sopravvivere.
Animato da uno spirito antimilitarista, il regista reinventa il conflitto vietnamita in un
clima da incubo allucinante.
Tratto dal romanzo Doppio sogno di A. Schnitzler, Eyes Wide Shut ("occhi bene
chiusi") è un film sull'opacità del desiderio: il matrimonio di due giovani coniugi
dell'alta borghesia entra in crisi per motivi futili e il protagonista vive una serie di
dolorose esperienze al confine tra normalità e follia, essere e apparire, vita e morte.
L'"occhio" del cinema di Kubrick esplora in questo film le abissali profondità della
coscienza.
Allen. Di origine ebraica, Woody Allen (nato nel 1935) è l'impareggiabile analista della
nevrosi e del disagio dell'intellettuale newyorkese, ma anche dei miti e dei riti
dell'America d'oggi. Nella sua prima maniera (Prendi i soldi e scappa, 1969; Il dittatore
dello stato libero di Bananas, 1971, Provaci ancora, Sam, 1972, Amore e guerra, 1975,
ecc.), Allen ha narrato le comiche vicende del piccolo ebreo che vuole fare carriera e si
caccia in situazioni disastrose. Un capolavoro è già Io e Annie (1977), un film sulle
nevrosi e le incomprensioni reciproche della coppia. Dopo aver realizzato, senza
parteciparvi come attore, Interiors (1978), una attenta analisi dei conflitti inestricabili
all'interno della famiglia, Allen ha girato in bianco e nero Manhattan (1979), un film
suggestivo sulla malinconia nella metropoli, accresciuta dalla fallita socializzazione del
protagonista, vittima delle proprie frustrazioni. Dopo l'autoanalisi di Stardust memories
(1980) e dopo il girotondo amoroso di Una commedia sexy di mezza estate (1982),
Allen ha proposto, in Zelig (1983), un memorabile ritratto del conformista, ripiegando
poi sul mondo dello spettacolo degli anni Cinquanta in Broadway Danny Rose (1984) e
sul mito del cinema in La rosa purpurea del Cairo (1985), vicenda di un attore che
scende dallo schermo per parlare con una sua adoratrice. Il mondo dello spettacolo si
intreccia con quello dei grovigli familiari in Hannah e le sue sorelle (1986), mentre la
nostalgia per la radio degli anni Trenta, cioè per il tempo della propria infanzia, anima
Radio days (1987). A partire da Settembre (1987), Allen si accredita anche come autore
drammatico, e fornisce in Un'altra donna (1988) un umoristico ma anche angoscioso
ritratto femminile. Più complesso è Crimini e misfatti (1989), amara denuncia dei
crimini impuniti, ma anche dei misfatti sentimentali che inducono al tradimento. Un
ritratto penetrante della donna americana ricca, ma vuota interiormente, è Alice (1990),
un film ottimamente interpretato da Mia Farrow. Un apologo sul clima di intolleranza
che grava sulla nostra società, ma anche una commedia surreale alla Kafka è Ombre e
nebbia (1991), storia di un piccolo impiegato ebreo che, buttato giù dal letto di notte,
vive un angoscioso incubo, esorcizzato alla fine dalla bontà umana. Dopo un nuovo
scandaglio nell'universo della coppia (Mariti e mogli, 1992), Allen è tornato al cinema
di intrattenimento con un brillante film giallo-rosa, Misterioso omicidio a Manhattan
(1993). Un film in cui il tema del gangsterismo si mescola con quello del teatro e della
creatività è Pallottole su Broadway (1994), cui ha fatto seguito La dea dell'amore
(1995), dove il tema dell'adozione si intreccia con quello della prostituzione. Dopo il
divertente Tutti dicono I love you (1996), Allen ha prodotto Harry a pezzi (1997), storia
di uno scrittore accusato di avere "vampirizzato" nei suoi libri le vite di amici e amanti.
A Celebrity (1998) è seguito Accordi e disaccordi (1999), storia di un egocentrico che
accumula in sé i peggiori difetti, ma che suona stupendamente la chitarra. La vicenda di
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un lestofante fallito e di una donna svampita che ha successo vendendo biscotti, sullo
sfondo di una bellissima New York, è descritta in Criminali da strapazzo (2000). La
frenesia del mutamento continuo è satireggiata in La maledizione dello scorpione di
Giada (2001), che è anche una rivisitazione degli anni Quaranta e dei romanzi di
Hammett. La vicenda esilarante di un regista costretto a girare un film mentre è colpito
da cecità psicosomatica è narrata in Hollywood Ending (2002). Le paure dell'America
dopo l'11 settembre sono rispecchiate in Anything Else (2003), storia di un ebreo
nevrotico costretto a reagire alla violenza altrui. In Melinda e Melinda (2004), Allen ha
descritto, nella vicenda di un personaggio dalla doppia vita, le ambiguità del
comportamento umano.
Altman. Forse nessun regista, come Robert Altman (nato nel 1925) ha saputo trasporre
nel cinema la nevrosi e il malessere di una società opulenta come quella americana.
Altman si impose con M.A.S.H. (1970), un film che mostra gli orrori della guerra
ricorrendo non alla denuncia, ma alla farsa: i medici e le infermiere di un ospedale
militare reagiscono alla carneficina e al massacro abbandonandosi a una prorompente e
beffarda vitalità. Con la stessa irriverente originalità Altmann rivisita gli altri generi del
cinema hollywoodiano, come il western (I compari, 1971), il poliziesco (Il lungo addio,
1973), il film gangsteristico (Gang, 1974), la commedia (California poker, 1974). Un
capolavoro è Nashville (1975), un film corale, ambientato in una città di provincia
considerata la capitale della musica country, nel cuore dell'America: il festival musicale
è tragicamente interrotto quando un reduce dal Vietnam, impazzito, spara su una
cantante, uccidendola; ma lo spettacolo deve continuare e la folla intona, insieme a una
nuova cantante, un inno alla grandezza dell'America. Altman ha poi continuato a
scavare, con esiti discontinui, nei miti della cultura di massa, dal divismo (Jimmy Dean,
Jimmy Dean, 1982) alla nevrosi della coppia (Follia d'amore, 1986); inoltre, ha preso di
mira il cinema stesso di Hollywood, dominato da industriali senza scrupoli e attenti solo
al mercato (I protagonisti, 1992), ha delineato, in America oggi (1993), un amarissimo
ritratto di una realtà americana troppo arrendevole verso la violenza e la stupidità
collettiva (con memorabili ritagli di esistenze consumate dalla nevrosi e dalla
frustrazione), e ha intrecciato ancora una volta spettacolo e politica in Kansas city
(1996), vicenda di intrighi, rapimenti, sparatorie, con il sottofondo struggente della
musica di Duke Ellington, nell'America dell'età roosveltiana. Dopo l'inquietante thriller
Conflitto di interessi (1998), Altman è tornato al ritratto corale e struggente della
provincia americana in La fortuna di Cookie (1999) e in Il dottor T. e le donne (2000).
Un capolavoro è Gosford Park (2001), ambientato in Inghilterra, analisi del micidiale
apparato di regole sociali, snobismo, nevrosi, guerra dei sessi, che movimenta la vita
dell'alta aristocrazia inglese. Al mondo dello spettacolo è dedicato The Company
(2003).
Coppola. Un geniale cineasta, che ha raccolto nella sua persona le più diverse carriere
(di artista, regista, produttore, sceneggiatore, industriale) è un figlio di immigrati
italiani, Francis Ford Coppola (nato nel 1939). Al successo Coppola è pervenuto con Il
padrino (1972) e con il suo seguito (Il padrino, parte seconda, 1974), interpretati da
Marlon Brando e da Al Pacino: tratti da un modesto romanzo di Mario Puzo, i due film
colpirono il pubblico per l'immagine di un clan di tipo patriarcale (in un'America dove
l'istituto familiare era profondamente in crisi) e per la magistrale evocazione di un'intera
epoca contrassegnata dai crimini della mafia, ma anche dal dramma dell'immigrazione,
vissuto sulla sua pelle dal regista. Dopo La conversazione (1974), un film
sull'ossessione del complotto politico negli anni del Watergate, Coppola ha realizzato il
suo film più grandioso e complesso, Apocalypse now (1979), imperniato sulla guerra del
Vietnam, seguendo come filo conduttore un grande romanzo di Conrad, Cuore di
tenebra: superba è l'interpretazione di Marlon Brando nei panni di un genio del male su
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uno sfondo di orrore, ma non meno impressionante è il colonnello Kilgore interpretato
da Robert Duvall, un sanguinario criminale che, con la scusa della guerra, distrugge
inermi villaggi con i suoi elicotteri al suono della Cavalcata delle valchirie. Dopo aver
affascinato il pubblico con lo spettacolo dell'orrore bellico, Coppola si rivolge agli
a
adolescenti con un film stroncato dalla critica, I ragazzi della 56 strada (1982), seguito
da Rusty il selvaggio (1983), apprezzato invece unanimemente per la struggente
malinconia con cui viene rappresentato il dramma dell'emarginazione sociale. Un
tentativo di super-spettacolo, Cotton Club (1984), in cui il fascino della musica jazz si
mescola al genere gangsteristico, fallisce per l'enormità dei costi; ma Coppola non
demorde e torna al successo con un film sentimentale, Peggy Sue si è sposata (1986),
parla ancora di Vietnam in Giardini di pietra (1987), realizza una terza parte di Il
padrino (1990), non senza riferimenti agli avvenimenti delittuosi verificatisi di recente
in Italia, riscrive per lo schermo un celebre romanzo di Bram Stoker, Dracula (1992),
intrecciando abilmente romanticismo e "fantasy", terrore e perversione in una sontuosa
messinscena. La disperata condizione dei perdenti in America è descritta in L'uomo
della pioggia (1997).
Scorsese. Italo-americano è anche Martin Scorsese (nato nel 1942), impostosi con Mean
street (1973), un film affettuoso e amaro sulla Little Italy, ma anche sul sottoproletariato
di New York. Con Taxi driver (1974), Scorsese traccia un ritratto lucido e impietoso
della follia omicida di un tassista (Robert De Niro), reduce dal Vietnam. Ritorna poi al
mondo italo-americano con Toro scatenato (1980), un film di boxe che è in realtà
(grazie anche alla magistrale interpretazione di De Niro) un efficace ritratto del
maschilismo italiano. Dopo un film di nobile provocazione ma molto letterario e di
modi tradizionali, L’ultima tentazione di Cristo (1988), Scorsese ha fornito, in Quei
bravi ragazzi (1990), un’immagine schizofrenica della mafia, divisa tra i rituali della
famiglia (con le sue feste, la sua buona cucina, i suoi affetti) e i delitti barbari e orrendi.
Un film di impeccabile suspense, fra il “giallo” e l’“horror”, è Cape Fear – Il
promontorio della paura (1991). Tratto da un romanzo di Edith Warthon, L’età
dell’innocenza (1993) è un affresco, dai colori smaglianti, dell’alta società newyorkese
di fine Ottocento. Dopo altri film di minore rilievo, Scorsese ha dedicato Kundum
(1997) alla figura del Dalai Lama, ha narrato, in Gangs of New York (2002) la storia e il
mito dei più perduti bassifondi della grande metropoli americana, e, in The Aviator
(2004), ha ricostruito la carriera di Howard Hughes, eccentrico magnate che amava il
cinema e gli aerei.
Spielberg. Complessa è la personalità di Steven Spielberg (nato nel 1947), che ha
esordito con Duel (1971), storia di uno strano duello sulle strade d’America tra un
automobilista e un camion guidato da un autista invisibile. Dopo i successi di pubblico
di Lo squalo (1974) e degli Incontri ravvicinati, del terzo tipo (1977), Spielberg ha
girato un film “fantasy” ambientato negli anni Quaranta, I predatori dell’arca perduta
(1981). Una favola moderna, che ha affascinato il pubblico piccolo e grande, è E.T.
(1982), storia di una tenera creatura extraterrestre. Dopo L’impero del sole (1987),
vicenda (tratta da un romanzo di J.G. Ballard) di un ragazzino inglese che assiste allo
scoppio dell’atomica su Nagasaki nel 1945, Spielberg ha deliziato il suo fedele pubblico
con gli effetti speciali di Jurassic Park (1993) e ha ottenuto il premio Oscar con
Schindler’s list (1994), un film sugli orrori dei campi di concentramento nazisti. Un
film sul colonialismo e la schiavitù è Amistad (1997), cui segue Salvate il soldato Ryan
(1998), cruda evocazione dello sbarco in Normandia. Si torna al futuro in Minority
Report (2002), in cui, sulla Terra del 2054, la prevenzione del crimine diventa uno
strumento totalitario del potere. Dopo un film sul mito del volo, Prova a prendermi
(2002), Spielberg ha narrato, in The Terminal (2004), la storia di un cittadino dell'Est
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bloccato in un aeroporto, metafora delle paure dell'America dopo i fatti dell'11
settembre 2001.
Eastwood. Affermatosi come attore, protagonista del «western all'italiana» di Sergio
Leone, Clint Eastwood (nato nel 1930), ha inoltre interpretato alcuni celebri film
polizieschi. Come regista, dopo aver diretto una serie di film western e polizieschi, si è
imposto con Bird (1988), intensa biografia del sassofonista Charlie Parker, cui sono
seguiti Gli spietati (1992), un western dai toni cupi e malinconici, e Un mondo perfetto
(1993). Tra i film successivi, spicca Mystic river (2003), sulla perdita d'innocenza di tre
amici, travolti da una violenta cultura di quartiere. Un capolavoro è Million Dollar Baby
(2004), storia di boxe, amicizia e eutanasia, i cui protagonisti sono tre persone che la
vita ha reso "perdenti": un allenatore malinconico, un pugile anziano e una giovane
donna piena di rabbia e di determinazione.
2.6.2 In Francia
Godard. Il maggiore esponente della nouvelle vague (vedi Parte XVII, 2.6.6) è JeanLuc Godard (nato nel 1930), da quarant'anni all'avanguardia del cinema francese. Il
primo film di Godard, Fino all'ultimo respiro (1959), storia di un avventuriero
simpatico e brillante (Jean Paul Belmondo), è incentrato sul tema anarchico del
disordine. Con Il piccolo soldato (1960) si passa dalla finzione all'attualità politica (la
guerra d'Algeria). A La donna è la donna (1962), dove Godard sperimenta alcune novità
tecniche (il cinemascope, il colore), segue il capolavoro di questa prima fase, Questa è
la mia vita (1962), dodici quadri della vita e della morte di una giovane prostituta,
intrecciati a discussioni filosofiche sul significato dell'esistenza. Un apologo sulla
guerra (nel corso della quale tutto sarebbe lecito) è I carabinieri (1963). Dal romanzo Il
disprezzo di A. Moravia Godard ha tratto il film omonimo, interpretato da Brigitte
Bardot e da Fritz Lang (che interpreta se stesso), attenta riflessione sulla vita di coppia e
sulle sorti del cinema. Il primo periodo godardiano si chiude con Pierrot le fou (1965,
uscito in Italia con l'infelice titolo di Il bandito delle ore 11), storia della rivolta
antiborghese e anarcoide di Ferdinand (un nome che rimanda a Céline), dove domina il
colore, sullo sfondo assolato del mezzogiorno. Un film sui giovani («figli di Marx e
della Coca-Cola») è Il maschio e la femmina (1966), imperniato sui riti di massa della
civiltà dei consumi. Dopo Una storia americana (1966), un film sullo spionaggio
politico, Godard gira La cinese (1967), forse il suo capolavoro, una vicenda di giovani
di sinistra, che preannuncia la rivolta del '68: dagli esperimenti di "cinema nel cinema"
agli effetti brechtiani di "straniamento", il film è un compendio del "godardismo". La
frenesia collettiva che coglie la gente alla fine della settimana è descritta nel film più
cupo di Godard, Week-end (1967), una agghiacciante visione di auto accartocciate e
capovolte, conclusa con la didascalia Fine del cinema. All'esperienza del "maggio"
francese Godard prende parte girando numerosi film, da La gaia scienza (1968) a Crepa
padrone, tutto va bene (1972). Dopo un lavoro sperimentale per la televisione, Godard
gira nuovi film, caratterizzati dal tentativo di ritrovare stabili punti di riferimento in un
mondo privo di valori: il film più interessante, in questo senso, è Prénom: Carmen
(1983), imperniato sulle opposizioni (tra uomo e donna, tra capitale e lavoro, tra
immagine e suono, ecc.). Sconcertante è il film successivo, Je vous salue, Marie (1984),
dove il culto mariano è recuperato in chiave di consolazione materna. Una rivisitazione
dell'Idiota di Dostoevskij è Cura la tua destra (1987). Tra i film più recenti è da
segnalare Nouvelle vague (1990), un ritorno nostalgico alle esperienze della giovinezza,
dove si conferma la maestria di Godard nell'uso delle immagini e dei suoni. Una amara
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riflessione sui limiti dell'arte di fronte alla violenza della guerra è Per sempre Mozart
(1996).
Truffaut. Mentre Godard appare sulla scena cinematografica francese all'insegna della
provocazione e dello scandalo, sommesso fin dall'inizio è il tono di François Truffaut
(1932-1984), i cui temi principali sono la crudeltà dell'infanzia, il carattere effimero
della felicità, l'instabilità della coppia, la fuga del tempo, l'ombra della morte. Il primo
film di Truffaut, I quattrocento colpi (1959, interpretato, come i film successivi, da
Jean-Pierre Léaud), è la vicenda autobiografica di un ragazzo poco amato, che fugge da
casa per raggiungere il mare che non ha mai visto: si tratta di un poema
sull'adolescenza, che sconta nell'angoscia e nella solitudine l'indifferenza e
l'incomprensione degli adulti. Dopo Tirate sul pianista (1960), storia della regressione
di un artista fallito, Truffaut gira uno dei suoi film più belli, Jules e Jim (1961), vicenda
di un impossibile amore a tre fra due grandi amici e una loro compagna (Jeanne
Moreau), più forte di loro e incapace di appartenere a un uomo solo. Da un romanzo di
R. Bradbury Truffaut ha tratto Fahrenheit 451 (1966), storia di un pompiere che,
incaricato di bruciare i libri, è affascinato dalla lettura di David Copperfield di Dickens
e fugge in una foresta dove uomini in esilio hanno imparato a memoria i classici per
salvare il passato: apologo fantascientifico di una società ostile alla cultura, il film
rappresenta vividamente l'orrore di un mondo in cui sarà proibito leggere. Lontano (a
differenza di Godard) dal '68, Truffaut, dopo il film poliziesco La sposa in nero (1967),
dirige Baci rubati (1968), vicenda di un romantico sognatore, costretto a condurre
un'esistenza banale e mediocre, e La mia droga si chiama Julie (1969), storia di due
folli amanti che si perdono perché il loro amore viva. Del 1969 è anche Il ragazzo
selvaggio, storia di un emarginato al quale è negato l'accesso al linguaggio e che la
società tenta invano di recuperare. Un omaggio all'epoca d'oro di Hollywood è il
delizioso Effetto notte (1973), magistrale esempio di "cinema nel cinema". In Adele H.,
una storia d'amore (1975), Truffaut racconta le tragiche vicende di Adele, figlia
misconosciuta di Victor Hugo, mettendo a fuoco un tema capitale come la lotta col
padre. Ancora un film sull'infanzia, dove la scuola è significativamente contrapposta al
cinema, è Gli anni in tasca (1976). La presenza della morte incombe in La camera
verde (1978), un film tratto da un racconto di Henry James. Un omaggio al teatro, sul
cupo sfondo della Francia occupata dai nazisti, è L'ultimo metrò (1980), dove spicca
l'interpretazione di Catherine Deneuve. A La signora della porta accanto (1981), storia
di un'ossessione amorosa conclusa da un suicidio-omicidio, segue Finalmente domenica
(1982), l'ultimo film di Truffaut, un "giallo" anomalo, surreale e onirico, sul tema di
amore e morte, polemicamente girato in bianco e nero, nel desiderio di un ideale
ricongiungimento con i classici, da Chaplin a Renoir.
Resnais. Si è già ricordata (vedi Parte XVII, 2.6.6) l'importanza, nel quadro della
nouvelle vague, di Hiroshima mon amour (1959) di Alain Resnais. La coincidenza, in
Hiroshima mon amour, tra dolore privato e orrore della storia ritorna in Muriel (1963),
in cui alla nostalgia di un amore del passato fa da controcanto la tragedia algerina. Un
film politico sulla guerra di Spagna è La guerra è finita (1966), storia di un
rivoluzionario (Yves Montand) che rischia la vita passando la frontiera tra Francia e
Spagna per mantenere i collegamenti tra i compagni in patria e gli esuli a Parigi. Storia
di un mancato suicida che fa da cavia a esperimenti scientifici, Je t'aime, je t'aime
(1968) è un film angoscioso, che ricorda certi racconti di Borges. Dopo Stavisky (1974),
film biografico su un avventuriero degli anni Trenta, Resnais ha girato Providence
(1977), uno dei suoi film più intensi, sulle fantasie e i ricordi di uno scrittore vicino alla
morte. Un film polemico contro la mediocrità della piccola borghesia è Mon oncle
d'Amérique (1980), mentre una fuga nell'utopia è La vita è un romanzo (1983). Di
raffinata eleganza è Melò (1986), vicenda di un amore viscerale che si conclude in
63
tragedia. Un piccolo gioiello è la commedia brillante Voglio tornare a casa (1989), cui
è seguito Smoking-No smoking (1993), dove i casi della protagonista sono legati al gesto
di accendere o meno una sigaretta. Del 1997 è Parole, parole, parole, dove il dialogo
tra i personaggi è ritmato dalla citazione di celebri canzoni francesi.
Malle. Più internazionale che francese è la figura di Louis Malle (1932-1995), che è
passato con disinvolta eleganza da un genere all'altro. Dopo la sua opera prima,
Ascensore per il patibolo (1957), ha tratto dal romanzo di Queneau Zazie nel metrò
(1960) e si è imposto con Fuoco fatuo (1963), sulle tendenze suicide di un intellettuale.
Sono seguiti Soffio al cuore (1971), storia di un amore incestuoso, e Lacombe Lucien
(1974), acuta indagine sulle compromissioni fasciste della Francia sotto l'occupazione
tedesca. Il primo film americano di Malle è Pretty Baby (1978), vicenda di una
prostituta bambina, cui è seguito Atlantic City (1980), interpretato da Burt Lancaster.
Sul tema dell'occupazione tedesca Malle ritorna con la struggente storia di Arrivederci
ragazzi (1987), cui sono seguiti la commedia Milou a maggio (1989) e il gelido e
raffinato Il danno (1992). L'ultimo film, che ha riscosso gli unanimi elogi della critica
internazionale, è Vanya sulla 42a strada (1994), tratto da Čechov.
Rohmer. Arrivato al cinema alquanto tardi, Eric Rohmer (nato nel 1920) ha realizzato
la serie di «Sei racconti morali», novelle cinematografiche intorno al tema della scelta di
un uomo di fronte a due donne, tra le quali spiccano La mia notte con Maud (1969) e Il
ginocchio di Claude (1970). Negli anni Ottanta, Rohmer ha girato un nuovo ciclo di
film, intitolato «Commedie e proverbi» (tra cui Le notti della luna piena, 1984, e Il
raggio verde, 1986): i personaggi sono ora più patetici e le figure femminili acquistano
maggiore rilievo. Un ultimo ciclo, dedicato alle stagioni, si è aperto con Racconto di
primavera (1990), dove intense sono le suggestioni musicali, ed è proseguito con
Racconto d’inverno (1992), dove è amabilmente rappresentata la piccola borghesia della
periferia parigina, con l'incantevole Un ragazzo e tre ragazze (Racconto d'estate) (1996)
e con Racconto d'autunno (1998), percorso dalla tristezza malinconica del tempo che
scorre. Una stupefacente stampa d'epoca, ottenuta con le risorse del digitale, è La
nobildonna e il duca (2000), un film ambientato al tempo della rivoluzione francese.
Chabrol. Un altro esponente della Nouvelle Vague è Claude Chabrol (nato nel 1930).
Specializzatosi nel cinema poliziesco, ha descritto i peccati segreti della provincia
francese (Stéphane, la moglie infedele, 1968; Ucciderò un uomo, 1969; Il tagliagole,
1970; All’ombra del delitto, 1970). Violette Nozière (1978) è un'abile ricostruzione di
un episodio di cronaca degli anni Trenta. Sono seguiti Maschere (1986), sulla doppiezza
di un presentatore televisivo, Un affare di donne (1988), storia di una perfida e
sventurata procuratrice di aborti (splendidamente interpretata da Isabelle Huppert),
Doctor M. (1990), un omaggio al Dottor Mabuse di F. Lang, Madame Bovary (1990),
film tratto dal capolavoro di Flaubert. Tra i suoi film più recenti: Grazie per la
cioccolata (2000) e I fiori del male (2002).
Tavernier. Il regista francese oggi più apprezzato dalla critica è Bertrand Tavernier
(nato nel 1941), che si è cimentato nel genere poliziesco con due ottimi film,
L'orologiaio di Saint-Paul (1970, tratto da Simenon) e Il giudice e l'assassino (1976),
entrambi interpretati da Philippe Noiret. Dopo La morte in diretta (1980) e Colpo di
spugna (1981), Tavernier ha girato uno dei suoi migliori film, Una domenica in
campagna (1984), dove si racconta la giornata di un vecchio pittore e dei suoi rapporti
con la famiglia, l'arte, la vita. Round Midnight ("A mezzanotte circa", 1986) è
considerato il più bel film mai girato sul jazz. Al film storico Quarto comandamento
(1987) è seguito La vita e niente altro (1989), che ha ricordato ai francesi il milione e
mezzo di morti della Grande Guerra (più di tutte le guerre napoleoniche). Daddy
nostalgie (1990) è un film di alta malinconia. I più recenti film di Tavernier sono La
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guerra senza nome (1991), Legge 627 (1992), L'esca (1994), La figlia di D'Artagnan
(1994), Capitan Conan (1996), Ricomincia oggi (1998), Laissez-Passer (2002).
Bresson. Occorre infine ricordare gli ultimi film del grande Bresson (vedi Parte XVII,
2.6.3): Il processo di Giovanna d'Arco (1963), girato come se fosse una vicenda
giudiziara del nostro tempo, Mouchette (1967), Lancillotto e Ginevra (1974), dove la
storia si riduce a perpetuo orrore, Il diavolo probabilmente (1978), storia di giovani
disorientati e disperati, L'argent (1983), un racconto dostoevskijano, che conferma la
visione austera di Bresson sul mondo odierno, retto dalle leggi del denaro e del caso.
2.6.3 In Italia
Fellini. Fino alla sua scomparsa, Federico Fellini (vedi Parte XVII, 2.6.7) ha proseguito
la sua straordinaria produzione di regista visionario e onirico, privilegiando i temi della
decadenza e della morte. Un affresco sbalorditivo di decadenza è Fellini-Satyricon
(1969), dove l'immagine di una Roma imperiale al suo tramonto (tratta dal famoso
romanzo di Petronio) è arricchita dalla fantasiosa magia felliniana, che conferisce al
film una bellezza funerea e notturna. Il circo, fonte inesauribile di ispirazione del regista
romagnolo, è al centro di I clowns (1970), rivisitato con lo sguardo dell'infanzia, che
vaga alla ricerca di un tempo scomparso. Anche Roma (1972) è un viaggio nel passato:
la Roma affascinante e decaduta della Dolce vita rivive, negli anni del fascismo, con le
sue trattorie, i suoi teatri da avanspettacolo e la sua allegra baraonda. La Rimini di
Amarcord (1973) è invece del tutto reinventata nella memoria, da una lirica nevicata
alle nebbie autunnali, dall'apparizione favolosa, di notte, del transatlantico Rex al Grand
Hotel popolato di bellissime donne. Il film biografico Casanova (1976), pur nella sua
sontuosità scenografica, è alquanto riduttivo: il libertinismo del celebre avventuriero si
restringe nei limiti di un dongiovannismo freddo e nevrotico. Ben altra risonanza ha un
film di tematica affine, La città delle donne (1980), dove rientrano in campo le
personali ossessioni del regista, che ricostruisce nel proprio inconscio l'incontro con
l'universo femminile, ma anche con il mondo del cinema. Era intanto apparso un film
singolare, Prova d'orchestra (1979), un amaro apologo sugli "anni di piombo", con
stralunati e rissosi orchestrali in rivolta contro il proprio direttore, ma domati da
un'enorme palla di pietra che provoca nel muro una crepa gigantesca. Anche nel film E
la nave va (1983), ambientato al tempo della prima guerra mondiale, incombe la
minaccia di una imminente catastrofe. Ginger e Fred (1986), vicenda di due attori
spaesati in uno studio televisivo, si risolve in un attacco all'involgarimento dello
spettacolo, ridotto a veicolo di pubblicità e a superficiale esibizione di "mostri". Un
Amarcord del mondo vivace e pittoresco di Cinecittà è Intervista (1987). L'ultimo film
di Fellini, La voce della luna (1989), tratto liberamente da un romanzo di Ermanno
Cavazzoni, è la rappresentazione grottesca della ricerca, da parte di personaggi lunatici
(Roberto Benigni e Paolo Villaggio), di un'introvabile chiave del mondo, mentre
esplode il chiasso di una sagra di paese, con le sue golosità, il suo cattivo gusto, le sue
gare insensate; perfino la luna finisce prigioniera della baraonda, ma poi, tornata al suo
ruolo leopardiano, invita a «fare un po' di silenzio», per ritrovare se stessi.
Antonioni. Una svolta "internazionale" alla propria produzione è stata impressa da
Michelangelo Antonioni (vedi Parte XVII, 2.6.7) a cominciare da Blow-up (nel
linguaggio fotografico, "ingrandimento", 1967), una sorta di vagabondaggio londinese
di un fotografo che, in un parco, riprende una coppia, ma si accorge, al momento dello
sviluppo, di trovarsi di fronte a un caso di omicidio, che resterà però misterioso: il
massimo dell'obiettività (una riproduzione fotografica) coincide così, paradossalmente,
con l'indecifrabilità del reale. Un viaggio nell'America della contestazione è Zabriskie
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Point (1970), vicenda di uno studente californiano che ruba un aereo per fuggire nel
deserto e trovarvi la libertà e l'amore; ma trova invece la morte, ucciso dalla polizia.
Alcune sequenze (lo spazio immenso, il dialogo tra l'aereo e l'automobile, l'esplosione
degli oggetti di consumo che conclude il film) sono tra gli esiti più alti del magistero
stilistico di Antonioni. Vicenda di una crisi di identità, Professione: reporter (1974) è il
racconto di un viaggio in Africa, un continente indecifrabile nei suoi segreti intrighi; il
malessere derivato da tale situazione spinge il protagonista a un tentativo disperato di
continuare a vivere assumendo l'identità e il destino di un morto. Lo stesso tema
dell'identità (dopo la fase sperimentale di Il mistero di Oberwald, 1980, un film girato
con l'uso di apparecchiature elettroniche) si ritrova in Identificazione di una donna
(1982), dove si ritorna al paesaggio italiano e al consueto tema della solitudine. Una
grave malattia, che a partire dal 1985 ha tolto al regista dell'incomunicabilità la
possibilità di comunicare, ha costretto Antonioni a interrompere il suo lavoro, che ha
ripreso di recente con stupendi documentari sulla Sicilia e con nuovi film: Al di là delle
nuvole (1995), diretto con Wim Wenders, dove si conferma la grande visionarietà di
Antonioni e la sua fedeltà al tema, ricorrente in tutta la sua produzione,
dell'impenetrabilità dei rapporti sentimentali tra uomo e donna; e Il filo pericoloso delle
cose, un episodio del film Eros (2004), girato da Antonioni con Steven Sodergbergh e
Wong Kar-wai.
Rosi. Dopo Salvatore Giuliano e Le mani sulla città, Francesco Rosi (vedi Parte XVII,
2.6.7) ha diretto altri due film nel filone del cinema-inchiesta: Il caso Mattei (1972),
dedicato al celebre costruttore dell'industria di stato in Italia e alla sua misteriosa morte,
e Lucky Luciano (1973), dove il regista, nel ricostruire la personalità del noto mafioso
italo-americano, guarda al modello di Quarto potere di O. Welles. Un discorso sul
potere e sulle sue trame segrete è Cadaveri eccellenti (1976), un "giallo" politico che,
sulle orme del romanzo Il contesto di L. Sciascia, affronta il tema della "strategia della
tensione". Da un altro classico del Novecento, Cristo si è fermato a Eboli di C. Levi, è
tratto il film omonimo (1979). Una cronaca familiare del nostro tempo è Tre fratelli
(1981), cui è seguito il film musicale Carmen (1984), adattamento dell'opera di Bizet.
Cronaca di una morte annunciata (1987), un film tratto dal romanzo di G. García
Márquez, si risolve in una storia di mafia, ricollegandosi a Salvatore Giuliano. In
Dimenticare Palermo (1990) Rosi affronta un nodo cruciale del problema mafioso, il
traffico degli stupefacenti. Nel 1997 Rosi ha adattato per lo schermo La tregua di Primo
Levi.
Bertolucci. Fama internazionale ha ottenuto Bernardo Bertolucci (nato nel 1941), che,
dopo aver esordito nel 1962 con il film pasoliniano La commare secca (come G.G. Belli
definisce la morte), ha girato Prima della rivoluzione (1964), stendhaliana vicenda del
giovane Fabrizio che dopo una fase di rivolta morale rientra nei ranghi della "normalità"
borghese. Un seguito è costituito da Partner (1968), il cui protagonista sostituisce alla
rivoluzione politica la rivoluzione artistica. Ma il film con cui Bertolucci si è imposto è
Strategia del ragno (1970), centrato sul tema edipico del conflitto tra padri e figli e
ambientato nello scenario suggestivo della pianura padana. Lo stesso tema ritorna,
proiettato nel passato fascista, in Il conformista (1970), tratto dal romanzo di A.
Moravia. Un clamoroso successo ha accolto Ultimo tango a Parigi (1973), storia della
relazione tra un americano malinconico e anarchico (Marlon Brando) e una giovane
francese; per l'audacia di alcune scene, il film è stato condannato dalla magistratura, ma
nel 1987 il procedimento penale è stato archiviato. Un grande affresco epico è
Novecento (1976), vicenda parallela di un contadino e del suo padrone, nati in una
fattoria emiliana nello stesso giorno del 1900 e cresciuti tra amicizia personale e rivalità
di classe: per il gusto melodrammatico, l'interesse storico, le reminiscenze letterarie,
Bertolucci si mostra in questo film l'erede di Luchino Visconti. All'insegna del
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melodramma si svolge anche La luna (1979), storia dell'amore incestuoso tra madre e
figlio, che si risolve in realtà in un omaggio a Parma, la città delle memorie infantili del
regista. Dopo un film di transizione, La tragedia di un uomo ridicolo (1981), Bertolucci
ha girato il suo film più ambizioso, L'ultimo imperatore (1987), un kolossal sulla storia
cinese nel primo Novecento, di un cromatismo suggestivo, che ha ottenuto uno
straordinario successo internazionale. Una storia d'amore e d'avventura è Il tè nel
deserto (1990), vicenda (tratta da un romanzo di Paul Bowles) del viaggio di una coppia
americana nell'Africa del Nord. L'esperienza esotica di Bertolucci, iniziata con L'ultimo
imperatore, si chiude con Piccolo Buddha (1993), dove emozionante è il confronto tra
la civiltà tecnologica dell'Occidente e quella dell'Asia contemplativa, rispecchiata nel
fiabesco episodio di Siddharta, l'invenzione migliore del film. Con il recente Io ballo da
sola (1996), Bertolucci è tornato a girare in Italia, delineando la vicenda di una
adolescente alla conquista della propria identità, sullo sfondo di una bellissima
campagna toscana. Il conflitto tra un'Africa disperata e un Occidente ricco e infelice è al
centro del film L'assedio (1998). Un film sull'immaginario sessantottino, ambientato a
Parigi, è I sognatori (2003).
Olmi. Dopo essersi affermato nel cinema psicologico, Ermanno Olmi (vedi Parte XVII,
2.6.7) ha raggiunto grande fama con L'albero degli zoccoli (1977), rappresentazione del
mondo contadino bergamasco nei suoi costumi e nel suo linguaggio, un film apprezzato
soprattutto per lo splendore delle immagini. Un film profondamente religioso (ma anche
polemico verso l'istituzione ecclesiastica) è Cammina cammina (1983), rielaborazione
dell'episodio evangelico dei Re Magi. Una parabola sul potere è Lunga vita alla signora
(1987), dove il comportamento stizzoso di una vecchia padrona è osservato dal punto di
vista di alcuni giovani camerieri. Da un racconto di Joseph Roth è tratta La leggenda
del santo bevitore (1988), vicenda di un "barbone" alcolizzato e sognatore, che dilapida
in sbornie gli aiuti che riceve, ma che possiede un senso vivo del sacro. La religiosità di
Olmi ha avuto ulteriore conferma in Il segreto del Bosco vecchio (1993), tratto da un
racconto di D. Buzzati, dove suggestivo è lo sfondo delle Dolomiti. Uno splendido film
è Il mestiere delle armi (2001), biografia del capitano di ventura Giovanni de' Medici.
Una storia di una donna pirata cinese è Cantando dietro i paraventi (2003).
I fratelli Taviani. Vittorio e Paolo Taviani (vedi Parte XVII, 2.6.7) hanno ottenuto il
primo successo di pubblico con il film Padre padrone (1977), da un romanzo di G.
Ledda, dove la rivolta contro un padre oppressivo diviene metafora della necessaria
ribellione contro ogni potere iniquo. Un film molto felice è anche La notte di San
Lorenzo (1982), narrazione in chiave di favola sull'occupazione tedesca e la lotta di
liberazione. Dopo Kaos (1984), tratto da alcuni racconti di Pirandello, i Taviani hanno
girato Good Morning Babilonia (1987), un film sull'emigrazione italiana in America nei
primi anni del Novecento. Di ispirazione tolstojana è Il sole anche di notte (1990), una
riflessione laica sul tema della santità, di grande forza introspettiva. Fiorile (1993) è la
storia di una famiglia toscana dal Settecento a oggi e una metafora delle infinite tragedie
della storia. Una decorosa trascrizione di un celebre romanzo di Goethe è Le affinità
elettive (1996). Una serie di racconti, tratti da Pirandello e ambientati tra Roma e la
Sicilia, è il film Tu ridi (1998). Del 2002 è i film per la televisione Resurrezione, da un
romanzo di L. Tolstoj.
Scola. Un continuatore della commedia all'italiana è Ettore Scola (vedi Parte XVII,
2.6.7), il cui film più riuscito è Una giornata particolare (1977), dove il clima del
ventennio fascista è colto nell'incontro, in coincidenza con una grande adunata, tra due
emarginati, un intellettuale omosessuale (Marcello Mastroianni) e una popolana delusa
come moglie e carica di figli (Sophia Loren). Altri film notevoli di Scola sono:
Ballando ballando (1984), magistrale adattamento di uno spettacolo francese, La
famiglia (1987), cronaca della vita di una famiglia della media borghesia romana,
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Splendor (1988), un omaggio al vecchio cinema, Che ora è (1989), acuta indagine sul
rapporto tra un padre e un figlio, Mario, Maria e Mario (1993), dove un tema politico
(la trasformazione del Pci in Pds) è filtrato attraverso le vicende di un "triangolo"
sentimentale. Un film corale, interpretato da un Vittorio Gassman all'altezza delle sue
prove migliori, è La cena (1998). Le rivalità di due negozianti romani, al tempo delle
leggi razziali volute dal fascismo, sono evocate in Concorrenza sleale (2001).
Ferreri. Un filone particolare è quello del cinema della crudeltà, nel quale si è distinto
Marco Ferreri (vedi Parte XVII, 2.6.7). Una metafora del vorace consumismo del nostro
tempo è La grande abbuffata (1973), storia di quattro borghesi che muoiono per
eccesso di cibo. La fine del dominio maschile e patriarcale trova espressione in L’ultima
donna (1976). Un apologo tragicomico è Come sono buoni i bianchi (1988), dove viene
smascherata quella falsa carità che nasconde, in Africa, l’antica tendenza al dominio
coloniale. In La casa del sorriso (1990) è rappresentato, con un misto di tenerezza e
ironia, l’amore nella terza età. Un film surreale è La carne (1991), dove una storia
d’amore si conclude con un atto di cannibalismo. Il sarcasmo anarchico di Ferreri trova
conferma in Diario di un vizio (1993), ritratto di un maniaco sessuale, cui è seguito di
recente Nitrato d’argento (1996), un film provocatorio, ricco di energia e di vitalità, ma
anche pessimistico e luttuoso.
Leone. Geniale creatore del “western all’italiana”, Sergio Leone (vedi Parte XVII,
2.6.7) ha affrontato, in Giù la testa (1971), il tema dell’eroismo e del tradimento in una
fase rivoluzionaria. L’ultimo film di Leone, C’era una volta in America (1984), è un
sontuoso affresco del film gangsteristico e un commosso viaggio nell’universo del
cinema americano.
Moretti. Nato nel 1953, Nanni Moretti ha esordito nel 1976 con Io sono un autarchico,
che ha subito creato un caso nel mondo cinematografico italiano: storia di Michele
(interpretato, come tutti i film successivi, dallo stesso Moretti), un giovane in crisi
coniugale e dedito alla recitazione in teatrini sperimentali, il film sviluppa la satira di un
mondo giovanile in crisi e si risolve nell'elogio dell'autarchia come rifiuto dei "padri".
Un'analisi spietata dell'universo dei giovani è Ecce Bombo (1978), un film di una
fulminante comicità, i cui personaggi sembrano vivere in un acquario (il "bombo" è, nel
gergo del film, un personaggio senza modelli ideali). Segue Sogni d'oro (1981), storia di
un giovane dalla doppia personalità, alle prese con il suo lavoro di regista e con i suoi
sogni. Bianca (1984) è la storia di un insegnante che si innamora di una collega e si
caccia nei guai finendo in carcere; nel film sono prese di mira le istituzioni, dal preside
di una scuola privata simile a un circo al commissario paternalista e distratto; l'unica
figura autentica è quella di Bianca, magnificamente delineata sullo sfondo di una Roma
anonima e vitrea. Un nuovo capolavoro è La messa è finita (1985), il cui protagonista è
un prete alle prese con la crisi della propria famiglia: strepitoso è stato il successo del
film, che ha vinto l'Orso d'argento al festival di Berlino e ha furoreggiato in Francia.
Palombella rossa (1989) è la vicenda di un dirigente del Pci, che è anche un giocatore
di pallanuoto, in crisi di identità. Caro diario (1993) è un film diviso in tre episodi:
indimenticabile è il primo, il protagonista gira a bordo della sua Vespa per una Roma
deserta, si unisce a dei giovani che danzano e ballano, visita il luogo in cui è morto
Pasolini. Un nuovo capitolo dell'autobiografia personale e politica di Moretti, trasposta
sullo schermo, è Aprile (1998). Un racconto asciutto e struggente sugli effetti di
disgregazione provocati in una famiglia dalla morte di un adolescente è La stanza del
figlio (2001).
Troisi. Attore comico di straordinaria mimica e di inimitabile parlata napoletana,
Massimo Troisi (1953-1994) è considerato il degno erede di Eduardo De Filippo. Ha
esordito con Ricomincio da tre (1981), il cui protagonista, Gaetano, «è il primo
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personaggio maschile del cinema italiano che rivela la profondità del rivolgimento
antropologico portato dal femminismo, dal movimento delle donne» (G. Fofi). Troisi ha
poi diretto Scusate il ritardo (1983), Non ci resta che piangere (1985), Le vie del
Signore sono finite (1987), e ha ottenuto un nuovo, straordinario successo con Pensavo
fosse amore invece era un calesse (1991): dramma per voci e immagini
postdodecafoniche, su musica di Pino Daniele, il film narra, con impeto anarchico e con
umorismo non privo di fiele, la vicenda di un matrimonio eternamente rimandato,
perché, ogni volta che i fidanzati stanno per sposarsi, succede qualcosa e non si sposano
più (ma la verità è che il matrimonio interromperebbe il gioco delle piccole gelosie e
delle piccole liti che tiene vivo il rapporto amoroso): il tutto, sullo sfondo della Napoli
incantevole, ma non "da cartolina", di Borgo Marinaro. Come attore, oltre a Splendor
(1988) e a Che ora è? (1989), Troisi ha interpretato, poco prima della morte, Il postino
(1994), il film di Michail Radford, imperniato sulla figura di Pablo Neruda in esilio e
tratto da un romanzo del cileno Antonio Skàrmeta, che così ha definito Troisi: «È stato
il più speciale talento che abbia mai visto per il modo in cui seppe gestire la sua anima».
Bellocchio. Dopo il folgorante inizio di I pugni in tasca (1965), Marco Bellocchio (vedi
Parte XVII, 2.6.7) ha esteso il tema della contestazione dal mito della famiglia ai miti
della sinistra (La Cina è vicina, 1967), all’educazione cattolica (Nel nome del padre,
1972), alla stampa di informazione (Sbatti il mostro in prima pagina, 1972), ai
manicomi (Matti da slegare, 1975), all’esercito (Marcia trionfale, 1976). Si è poi
dedicato alla ricerca psicoanalitica nel cinema (Diavolo in corpo, 1985; La visione del
sabba, 1987; La condanna, 1991), raggiungendo un alto esito in Il sogno della farfalla
(1994), storia di un ragazzo che smette di parlare, limitandosi a comunicare attraverso le
parole dei classici. Del 1997 è Il principe di Homburg, dall'omonimo dramma di H. von
Kleist. Liberamente ispirato all'omonima novella di Pirandello è La balia (1999), dove è
esplorato il sentimento di paura della maternità e della vita. Un film molto intenso è
L'ora di religione (2002), dove la volontà d'amore e il desiderio della bellezza trionfano
sull'ipocrisia e sul dolore. Uno scavo impietoso nell'orrore del terrorismo e nelle
motivazioni di una generazione in rivolta è Buongiorno, notte (2003), dove il "caso
Moro" stimola ad una riflessione sul tema dell'"uccisone del padre".
Faenza. Nato nel 1943, Roberto Faenza ha frequentato diversi generi, dal cinema di
protesta politica (Forza Italia!, 1977, graffiante film sul “regime” della Democrazia
cristiana; Jona che visse nella balena, 1993, sulla spaventosa esperienza di un bambino
in un Lager nazista) al cinema letterario (Mio caro dottor Gräsler, 1990, da un racconto
di A. Schnitzler; Sostiene Pereira, 1995, dal romanzo di A. Tabucchi; Marianna Ucrìa,
1997, da un romanzo di D. Maraini). In Prendimi l'anima (2002), Faenza ha ricostruito
la relazione tra lo psicoanalista Jung e una sua paziente. In Alla luce del sole (2005), il
regista ha evocato la figura del sacerdote palermitano Pino Puglisi, che ha sottratto i
ragazzi del quartiere Brancaccio alla mafia, insegnando loro a dire di no, e per questo è
stato ucciso.
Amelio. A Gianni Amelio (nato nel 1945) si deve uno dei film migliori sul terrorismo,
Colpire al cuore (1982). Amelio ha poi diretto: I ragazzi di via Panisperna (1988), sulla
celebre comunità scientifica di cui fecero parte E. Fermi e E. Majorana; Porte aperte
(1990), un film contro la pena di morte, tratto da un romanzo di L. Sciascia; Il ladro di
bambini (1992), un film sull’affetto che lega un carabiniere a due bambini emarginati e
sul loro viaggio in un’Italia degradata e corrotta; Lamerica (1994), un film sull’Italia
come è vista e sognata dagli albanesi. Dopo Così ridevano (1998), Amelio ha girato Le
chiavi di casa (2004), storia di un ragazzo disabile ma vitale e di un genitore
inadeguato.
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Salvatores. Nato nel 1950, Gabriele Salvatores ha diretto: Marrakech Express (1988),
che racconta un viaggio di cinque personaggi per salvare un amico nei guai in Marocco
a causa della droga; Turnè (1990), ancora un film sul tema dell’amicizia; Mediterraneo
(1991), storia di una missione militare italiana in Grecia, che si trasforma in vacanza
all’insegna dell’amicizia tra italiani e greci; Puerto Escondido (1992), un film
ambientato in un villaggio messicano, lontano dal consumismo capitalistico; Sud
(1993), storia di una rivolta in Sicilia contro gli imbrogli di un politico locale. Dopo
Nirvana (1997), un film in chiave para-fantascientifica, Salvatores ha girato Denti
(2000), tratto da un romanzo di D. Starnone, e Io non ho paura (2003), un film sulla
perdita di innocenza di un bambino, tratto dall'omonimo romanzo di N. Ammaniti.
Benigni. Attore comico di straordinaria bravura, Roberto Benigni (nato nel 1952) ha
esordito nella regia con Il piccolo diavolo (1988), dove assume la parte di un diavoletto
infantile e appiccicoso, alle prese con un prete esorcista (Walter Matthau). Ha poi girato
Johnny Stecchino (1991), esilarante e surreale satira della mafia. Grande successo,
anche all'estero, ha ottenuto La vita è bella (1999), un film del quale è memorabile la
conclusione: quando si avvia verso la morte in un campo di concentramento nazista, il
protagonista, per non spaventare il figlio nascosto, assume giocosamente le movenze di
un pupazzo che cammina. Una lettura personale, di aerea leggerezza, della favola di
Collodi è Pinocchio (2002), che si conclude con un colpo d'ala: diventato bambino in
carne e ossa, il protagonista va a scuola, accompagnato dall'ombra del burattino.
Tornatore. Nato nel 1956, Giuseppe Tornatore ha ottenuto la fama a livello
internazionale con Nuovo Cinema Paradiso (1988), storia dell’amicizia, in un paese
siciliano, tra un ragazzino e un proiezionista, un film che guarda (con qualche eccesso
melodrammatico) al modello di Amarcord di Fellini. Tornatore ha poi diretto Stanno
tutti bene (1990), vicenda di un padre troppo ottimista (Marcello Mastroianni), deluso
poi dai fallimenti dei figli, e Una pura formalità (1994). Un ritratto di un piccolo
imbroglione, che ha fortuna promettendo mirabolanti carriere, è L'uomo delle stelle
(1995). Un indubbio senso dello spettacolo pervade La leggenda del pianista
sull'oceano (1998), tratto da Novecento, un monologo di A. Baricco: un film che però è
indebolito da un eccessivo virtuosismo. All'ambiente siciliano Tornatore è tornato con
Malena (2000).
2.6.4 In Inghilterra e in altri Paesi di lingua inglese
Losey. Anche se nato negli Stati Uniti, Joseph Losey (1909-1984) è considerato uno dei
più grandi registi inglesi del Novecento. Aveva esordito a Hollywood con film di
ispirazione politico-sociale, nel clima dell'impegno rooseveltiano, come Il ragazzo dai
capelli verdi (1948) e Linciaggio (1949), ma già con Sciacalli nell'ombra (1950) aveva
iniziato la sua ricerca sul tema della corruzione. Perseguitato dal maccarthismo, si
trasferì in Inghilterra e si impose con Giungla di cemento (1960), lucida analisi del male
in una società classista. Un'opera di severo rigore è Il servo (1963, sceneggiato da H.
Pinter), approfondita indagine sul rapporto servo-padrone e, in generale, sulla
condizione di servitù. Al film Per il re e per la patria (1964), che mostra come in
guerra il soldato sia vittima delle stesse leggi di classe dominanti nella vita civile,
seguirono due nuovi capolavori: L'incidente (1967), impietoso scandaglio nelle segrete
perfidie del mondo universitario, e Messaggero d'amore (1971), un film crudele, dove
la corruzione degli adulti coinvolge anche il mondo dell'infanzia. Nei film successivi,
Losey ha confermato la sua fama di acuto analista dell'animo femminile (Una
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romantica donna inglese, 1975; La trota, 1982) e ha descritto l'occupazione nazista
come un incubo kafkiano in Mr. Klein (1976).
Richardson. Capofila del Free Cinema (vedi Parte XVII, 2.6.6), Tony Richardson
(1928-1991) si è ispirato a J. Osborne nel suo primo film, I giovani arrabbiati (1959), e
ha poi diretto gli ottimi Sapore di miele (1961) e Gioventù, amore e rabbia (1962); ma
il più grande successo di Richardson è stato Tom Jones (1963), dal romanzo di H.
Fielding, un attacco in piena regola all’ipocrita rispettabilità del perbenismo inglese.
Dopo Il caro estinto (1964), tratto da E. Waugh, Richardson ha dissacrato, in I seicento
di Balaklava (1968), uno degli episodi più famosi della storia militare inglese. Nei film
successivi (Amleto, 1969; Le avventure di Joseph Andrews, 1977), Richardson ha
attinto largamente ai classici della letteratura.
Loach. Nato nel 1936, Kenneth Loach ha esordito con Poor cow (1967), sulle peripezie
di una giovane operaia, e si è imposto con Family life (1971), storia di una ragazza
schizofrenica, la cui malattia è dovuta all'autoritarismo imperante nella famiglia,
nell'ambiente medico, nella società. Dopo aver dedicato altri film ai problemi del
mondo operaio (Il guardacaccia, 1980; Sguardi e sorrisi, 1981; Da che parte stai?,
1984), e dopo Riff-Raff (1991), un film polemico sulla politica della signora Thatcher,
Loach ha diretto Terra e libertà (1995), un film memorabile sulla lotta armata degli
anarchici in Spagna contro il fascismo di Franco, e La canzone di Carla (1996), sulla
lotta dei sandinisti in Nicaragua. Una storia metropolitana di un ex alcoolizzato è My
Name is Joe (1998). Del 2000 è Il pane e le rose, una feroce critica del liberismo, e, del
2001, Paul Mick e gli altri, storia di una squadra di ferrovieri alle prese con i problemi
creati dalla privatizzazione della British Rail. Nel 2002 Loach ha diretto Sweet sixteen,
un film sulla drammatica solitudine dell'adolescenza. In Un bacio appassionato (2004),
il regista ha narrato la storia d'amore tra una donna irlandese e un pakistano, che sfidano
i pregiudizi delle rispettive comunità.
Scott. Tra i registi inglesi che hanno operato negli Stati Uniti, spicca Ridley Scott (nato
nel 1939). Autore in patria di I duellanti (1977), da un racconto di Conrad, è divenuto
famoso a Hollywood con Alien (1979), storia di un mostro extraterrestre che, infiltratosi
in un’astronave, terrorizza e uccide gli astronauti ed è infine vinto da una donna, e con
Blade runner (1982), altra vicenda di un mostro operante in una città fantastica, un film
di grande suggestione scenografica. Scott ha poi prodotto Black Rain, 1989, sulla
pioggia atomica, e Thelma & Louise, 1991, sull’avventuroso week-end, conclusosi
tragicamente, di due amiche. Lo straordinario talento visivo di Scott trionfa nel 2000
con Il gladiatore, ambientato nella Roma di Marco Aurelio e di Commodo, e con
Hannibal, séguito del film Il silenzio degli innocenti girato nel 1991 da J. Demme. Nel
2001 Scott ha realizzato Black Hawk Down, sulla sanguinosa missione Onu in Somalia.
Del 2003 è Il genio della truffa.
Frears. Divenuto celebre con My Beautiful Laundrette (1985), storia di una difficile
integrazione, Stephen Frears (nato nel 1941) ha poi diretto Le relazioni pericolose
(1988), un film di scintillante ironia, tratto dal romanzo di Choderlos de Laclos, e Eroe
per caso (1992), una deliziosa commedia satirica. Marc Reilly (1995) è una originale
rivisitazione della celebre vicenda stevensoniana del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde. Tra i film
più recenti: Alta fedeltà (2000), tratto dall'omonimo romanzo di N. Hornby; Liam
(2000), un film provocatorio nei confronti dei fanatismi di ogni genere; Piccoli affari
sporchi (2002), sulla vita degli immigrati clandestini a Londra.
Leigh. Nato nel 1943, Mike Leigh ha esordito con il lungometraggio Bleack Moments
(1971). Vincitori di numerosi premi sono i film successivi: Belle speranze (1988),
Dolce è la vita (1990), Naked (1992), Segreti e bugie (1996), Ragazze (1997), TopsyTurvy (1999). Grande successo internazionale hanno ottenuto i suoi film più recenti:
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Tutto o niente (2002), ritratto di una famiglia alla deriva, e La doppia vita di Vera
Drake (2004), storia di una mite donna che procura disinteressatamente aborti
clandestini.
Jordan. In Irlanda, il più noto regista è oggi Neil Jordan, che si è affermato con La
moglie del soldato (1992), un intreccio abilissimo di temi politici, razziali, sessuali,
sullo sfondo del terrorismo, e con Michael Collins (1996), un grande film epico sulla
figura di un eroe nazionale irlandese.
Cronenberg. Scalpore e perplessità, ma anche successo nel pubblico giovanile, hanno
suscitato i film del canadese David Cronenberg (nato nel 1943): La mosca (1986), sul
tema della mutazione; Il pasto nudo (1991), sul tema della droga, tratto dall’omonimo
romanzo di W. Burroughs; Madama Butterfly (1993), dove emerge la suggestione
visionaria del regista; Crash (1996), un inedito intreccio tra erotismo e scontri
automobilistici, film tipicamente post-moderno; Spider (2002), indagine sulle
allucinazioni prodotte dalla malattia mentale.
Weir. Molto vitale è il cinema australiano, che ha uno dei suoi maggiori esponenti in
Peter Weir (nato nel 1944): dopo aver esordito con Picnic a Hanging Rock (1975),
vicenda, in chiave magica e fantastica, della scomparsa di tre ragazze, Weir ha girato un
film storico sulla guerra del 1915 nei Dardanelli (Gli anni spezzati, 1981). La fama gli è
venuta dal film L’attimo fuggente (1989), che affronta i problemi della scuola
americana, proponendo la figura di un insegnante che si oppone ai vecchi metodi e
riesce a far sentire ai suoi allievi la bellezza della poesia.
Campion. Un’altra regista oggi molto nota è Jane Campion (nata nel 1955), una
neozelandese che vive in Australia, divenuta celebre con Lezioni di piano (1993), un
film centrato sull’incontro e lo scontro tra donna e uomo, uomo bianco e maori, donna
europea e donne locali, musica e parola, sentimenti e natura. Nel 1996 la Campion ha
realizzato Ritratto di signora, un film avvincente, capolavoro di intelligenza e di
sensibilità femminile, tratto dal romanzo omonimo di Henry James.
2.6.5 In Germania
Fassbinder. Autore prolifico (più di quaranta film in soli tredici anni di attività), morto
a soli trentasei anni per overdose di eroina, Rainer Werner Fassbinder (1946-1982) è
stato l'esponente più illustre del Nuovo Cinema Tedesco. I primi film di Fassbinder
(come L'amore è più freddo della morte, 1969) sono strutturati sul classico "triangolo"
tra due uomini e una donna, in situazioni di gelida disperazione. Terrone (1969,
traduzione italiana di Katzelmacher) è un film sul razzismo e sul fascismo
imperversanti nella periferia bavarese. Il mercante delle quattro stagioni (1971), storia
di un uomo che si suicida bevendo, apre la stagione dei grandi melodrammi, il più felice
dei quali è Le lacrime amare di Petra von Kant (1972), dove, nel complesso e ambiguo
rapporto fra donne, si dimostra che il soffrire è la condizione stessa dell'amore. Dopo La
paura mangia l'anima (1973), un melodramma proletario sulla figura del "diverso",
Fassbinder ritorna al mondo borghese con Martha (1973) e traspone sullo schermo Effi
Briest (1974), uno dei suoi film più suggestivi, tratto dal grande romanzo di T. Fontane.
In Il diritto del più forte (1974) il tema dell'omosessualità si intreccia con quello del
capitalismo. Paura della paura (1975), un titolo emblematico, chiude la fase dei "grandi
melodrammi". Nell'ultimo periodo della sua attività, Fassbinder si volge alla storia,
delineando un grande affresco della borghesia tedesca del dopoguerra e creando una
serie di memorabili ritratti femminili. Un capolavoro è Il matrimonio di Maria Braun
(1978), storia di una prostituta (interpretata da Hanna Schygulla) che personifica la
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Germania distrutta dalla guerra. Berlin Alexanderplatz (1980), storia di un ex
scaricatore che diventa nazista, è un monumentale sceneggiato televisivo, tratto da un
romanzo di A. Döblin. Seguono, in poco più di un anno, tre film: Lili Marleen (1980),
una sorta di fotoromanzo sulla vicenda della cantante di una celebre canzone del tempo
di guerra; Lola (1981), ambigua vicenda di una donna nel contempo perversa e
innocente; Veronika Voss (1982), storia del rapporto omosessuale tra l' inquieta e
affascinante Veronika (simbolo della Germania del passato) e una dottoressa, genio del
male (il nazismo), che riduce i suoi pazienti a tossicomani per costringerli a lasciarle in
eredità loro beni: si tratta di uno splendido esercizio di stile di un regista ormai
prossimo alla morte. Postumo è apparso Querelle (dall'omonimo romanzo di Genet),
storia di un amore omosessuale intrecciato a un omicidio, accolto da un clamore
scandalistico per alcune audaci sequenze, che svelano tuttavia, con devastante potenza,
alcune inconfessabili realtà dell'animo umano.
Wenders. Regista del "viaggio", inteso come fuga dalla paura e dall'angoscia, Wim
Wenders (nato nel 1945) è il cineasta tedesco che ha risentito maggiormente l'influsso
del cinema americano. Un film poliziesco, tratto da un romanzo di P. Handke, è Prima
del calcio di rigore (1971), dove emerge la tematica della schizofrenia. Una "trilogia
della strada" sono tre film di Wenders: Alice nelle città (1973),vicenda di una bambina
che, insieme a un giornalista, compie un lungo viaggio alla ricerca della nonna (ma il
viaggio è l'occasione per scoprire un vuoto interiore); Falso movimento ( 1974), storia
di un viaggio apparentemente liberatorio, dove in realtà si approfondisce la crisi di
identità del protagonista; Nel corso del tempo (1975), il più complesso della trilogia, un
vero e proprio catalogo dei mezzi di comunicazione, dalla strada all'automobile, dalla
radio al cinema, dalla stampa al juke-box. Dopo un ritorno al poliziesco (L'amico
americano, 1977, tratto da un romanzo di Patricia Highsmith) e dopo aver fatto di
Dashiell Hammett, celebre scrittore americano di "gialli", il protagonista di Hammett
(1978), Wenders ha realizzato Lo stato delle cose (1982), vicenda di un lungo viaggio
dal Portogallo a Los Angeles, il film più autobiografico del regista, diviso tra le proprie
radici europee e la cultura americana. Un commiato dagli Stati Uniti è Paris, Texas
(1984), ancora un viaggio, dal Texas alla California, di un uomo che, con il suo
bambino, ricerca la moglie e la trova in un luogo di mercificazione sessuale: un film
giocato sul contrasto tra spazi aperti e luoghi chiusi, che ha consacrato la fama
internazionale del suo autore. Dopo Tokyo-ga (1985), un omaggio al cinema
giapponese, il rientro di Wenders in Europa coincide con uno dei suoi film più
emblematici, Il cielo sopra Berlino (1987), dove la metropoli tedesca, cuore della
Germania e dell'Europa, è nel contempo la metafora di tutto ciò che nel mondo è
frantumato e l'omaggio a una città offesa dalla storia. In Fino alla fine del mondo
(1991), sullo scenario apocalittico dell'esplosione di un satellite nucleare, si vanifica
l'idea del viaggio come ricerca della propria identità e si denuncia il pericolo derivante
dal proliferare delle immagini nella nostra civiltà. Un seguito di Il cielo sopra Berlino è
Così vicino, così lontano (1993), dove un angelo, protagonista del film precedente,
sceglie di vivere tra gli uomini e ne sperimenta la solitudine e la disperazione: Wenders
esprime ora il proprio disagio dinanzi all'unificazione tedesca, che ha impoverito ancora
di più gli abitanti dell'est. Di qui la nuova fuga dalla Germania, con Lisbon Story
(1994), dove la città lusitana è eletta come capitale europea della cultura, e con Al di là
delle nuvole (1995), il film di Antonioni cui Wenders ha collaborato, straordinaria
esperienza comune di due tra i più grandi cineasti europei. Un film deliberatamente
privo di scene di violenza, contro la moda dominante nel cinema contemporaneo, è
Crimini invisibili (1997). Due film musicali sono Buena vista social club (1999),
dedicato alla musica cubana, e L'anima di un uomo (2003), dedicato alla musica blues.
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In La terra dell'abbondanza (2004), Wenders ha capovolto lo stereotipo dell'America
felice.
Herzog. Nato nel 1942, Werner Herzog ha esordito con Segni di vita (1967), storia di
un soldato che rifiuta il nazismo, cui è seguito un film surreale e visionario, Anche i
nani hanno cominciato da piccoli (1968). Un primo capolavoro è Fata Morgana
(1969), ambientato in un’Africa devastata dal colonialismo bianco. Di impeccabile
rigore critico, anche se viziati da una dose eccessiva di intellettualismo, sono i film
successivi: Paese del silenzio e dell’oscurità (1971) e Aguirre, furore di Dio (1972). Di
ampio respiro è il film L’enigma di Kaspar Hauser (1974), vicenda di un “ragazzo
selvaggio” che creò un “caso” nella Germania dell’Ottocento. Sono seguiti Cuore di
vetro (1976), un film in chiave magica e arcana, La ballata di Stroszek (1977),
ambientata in un’America allucinata e paurosa, Nosferatu, principe della notte (1978),
rilettura di un capolavoro del cinema “muto”, il grandioso Fitzcarraldo (1982), vicenda
di una audacissima impresa, ambientata nelle foreste dell’Amazzonia, Dove sognano le
formiche verdi (1984), un film sugli aborigeni, Cobra verde (1987), vicenda di un
mercante di schiavi, e i più recenti Cuore di pietra (1991), Invincible (2001),
Kalachakra (2003).
Trotta. Una cineasta tedesca che ha conquistato una larga notorietà è Margarethe von
Trotta (nata nel 1942), autrice di Anni di piombo (1981), vicenda di due sorelle nel
clima del terrorismo, cui ha fatto seguito Lucida follia (1983). Nel 1986 la von Trotta ha
diretto Rosa Luxemburg, ritratto della celebre rivoluzionaria che si batté per un
socialismo umano e democratico. Tra i film più recenti: Paura e amore (1988), vicenda,
in chiave femminista, di tre sorelle, L’Africana (1990), storia di una donna che, tradita
sentimentalmente, va a curare gli africani del Mali, Il lungo silenzio (1993),
sull’assassinio di due magistrati italiani, La promessa (1995), un film che racconta la
storia tedesca contemporanea, segnata dal Muro di Berlino. In Rosenstrasse (2003) la
Trotta ha rievocato un oscuro episodio di resistenza nella Berlino del 1943, quando un
gruppo di mogli "ariane" sfidò il regime nazista in difesa dei mariti ebrei.
2.6.6 Nei paesi dell’Europa dell’Est
In Polonia. I nomi più interessanti del cinema polacco sono quelli di Andrzej Wajda
(nato nel 1927), di Krzystof Zanussi (nato nel 1939), di Krzystof Kieslowski (19411996).
Memorabili sono i due film antistalinisti di Wajda: L’uomo di marmo (1976), vicenda di
una giovane regista che cerca notizie su un operaio stakanovista, prima celebrato come
eroe del lavoro, poi caduto in disgrazia, ma si scontra con un muro di omertà, eretto dal
regime stalinista; e L’uomo di ferro (1981), storia di un militante sindacale, figlio
dell’«uomo di marmo», che prende parte alla ribellione operaia di Danzica nel 1980. Un
film storico è Danton (1982), imperniato sul conflitto politico ed esistenziale tra Danton
e Robespierre. Tra i film più recenti, I demoni (1988) e il discusso Korczak (1990), per
il quale Wajda è stato accusato di antisemitismo.
Di lontana origine italiana, Zanussi ha esordito con un film di argomento scientifico, La
struttura di cristallo (1969); dopo aver dedicato Da un paese lontano (1981) al papa
Giovanni Paolo II, ha diretto L’imperativo (1982), storia di un giovane matematico
tormentato da problemi conoscitivi e religiosi, e ha ottenuto un grande successo con
L’anno del sole quieto (1984), vicenda della relazione di una donna polacca con un
soldato americano, un film molto apprezzato per lo splendore delle immagini. Il potere
del male (1985) è un film sui grandi problemi esistenziali dell’uomo d’oggi.
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Il più grande regista polacco è Krzysztof Kieslowski, scomparso a soli 55 anni. Autore
di numerosi film e documentari, Kieslowsky ha ottenuto fama internazionale con lo
straordinario Decalogo (trasmesso dalla televisione italiana nel 1990), una collana di
dieci film di grande forza espressiva, ispirati ai Dieci comandamenti. Un film intrigante
e affascinante è La doppia vita di Veronica (1992), vicenda parallela di due donne che
hanno in comune molte cose, a cominciare dal nome, ma il cui destino è diverso.
L’ultima opera di Kieslowski è un trittico, (1993-94), che trae ispirazione non più dalle
leggi religiose del Decalogo, ma dal grande trinomio della rivoluzione francese: il Film
Blu (come Libertà), il Film Bianco (come Fraternità), il Film Rosso (come
Uguaglianza).
Di tutt’altro genere è la produzione di Roman Polanski (nato nel 1933), attivo oggi nel
cinema internazionale. In patria aveva girato Il coltello nell’acqua (1962), vicenda
“gialla” dello scontro tra due uomini (due generazioni) su una barca (metafora della
Polonia), un film condannato dal regime. Per favore, non mordermi sul collo (1967),
dissacrante rivisitazione del mito di Dracula, ha segnato l’approdo di Polanski a
Hollywood. Dal grottesco al macabro trascorre Rosemary’s baby (1968), “spaccato” del
mondo americano delle sette sataniche, divenuto un classico dell’“horror”, come il
successivo Chinatown (1974) è divenuto un classico del “nero” (ma anche in questo
film ossessiva è la presenza diabolica del male). Dopo una rivisitazione in chiave
grottesca del mondo dei corsari (Pirati, 1986), Polanski ha girato un “giallo”
avvincente, Frantic (1988), un omaggio a Hitchcock, il cui intrigo si basa su una valigia
scambiata e su una donna scomparsa. Un film sulfureo e piccante è Luna di fiele (1992),
che esplora gli aspetti più oscuri della vita di coppia. Sull'orrore del totalitarismo
sudamericano è imperniato il film La morte e la fanciulla (1994). Dopo La nona porta
(1999), un film sul tema del demoniaco, Polanski ha girato un grande film, Il pianista
(2002), ambientato nel ghetto di Varsavia durante l'occupazione nazista: un film che
occorrerebbe «trasformare in lezione e portare nelle scuole» (T. Kezich).
In Slovacchia e nella Repubblica ceca. Il nuovo cinema cecoslovacco fu tenuto a
battesimo da Ján Kadár e Elmar Klos, autori del film Il negozio al corso (1965),
denuncia vibrante e amara di coloro che per viltà collaborarono con il nazismo. Tra i
nuovi registi cecoslovacchi, i più noti sono Milos Forman (nato nel 1932) e Jirí
Menzel (nato nel 1938). In patria Forman girò, tra gli altri film, Gli amori di una
bionda (1965) e Al fuoco, pompieri (1967), che per il loro graffiante umorismo non
piacquero al regime. Attivo negli Stati Uniti dal 1969, Forman ha conseguito un grande
successo con Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), vicenda di un matto esuberante
(Jack Nicholson) e delle sue imprese esilaranti in manicomio insieme a un amico
pellerossa, e Amadeus (1984), film biografico sulla vita di Mozart. Tra i film più
recenti: Larry Flint - Oltre lo scandalo (1996) e Man on the moon (2000). Di Menzel,
che ha trasposto sullo schermo la narrativa di B. Hrabal, si ricordano Treni strettamente
sorvegliati (1966), dove l’atteggiamento spregiudicato verso la sessualità si lega alla
lotta antinazista, e Ritagli (1981), un film di anarchica vitalità, ambientato nel mondo
rurale.
In Ungheria. Il regista ungherese più noto oggi è István Szabó (nato nel 1938), che si è
affermato con Via dei Pompieri 25 (1973) e ha ottenuto un successo internazionale con
Mephisto (1981). Nel 2001 Szabó ha diretto A torto o a ragione, un film ambientato a
Berlino al tempo della denazificazione.
In Russia. Il nuovo cinema sovietico del “disgelo” è legato al nome di Grigorij
Cuchraj, regista di Il quarantunesimo (1956), vicenda dell’amore impossibile tra una
rivoluzionaria e un ufficiale “bianco” nel periodo della guerra civile, di La ballata di un
soldato (1959), dove gli orrori della guerra sono narrati dal punto di vista di un
75
soldatino, e di Cieli puliti (1961), accorata protesta contro il “culto della personalità” e
le sue atroci conseguenze. Un regista isolato è stato Vasilij Suskin (1929-1974), autore
di film di grande intensità poetica, come Strana gente (1969), evocazione della vita
contadina, e Viburno rosso (1973), storia di un piccolo delinquente, ucciso subito dopo
l’uscita dal carcere.
Il più importante regista russo del nostro tempo è Andrej Tarkovskij (1932-1986):
rivelatosi con L’infanzia di Ivan (1962), storia di un ragazzo travolto dall’orrore e dalla
violenza della guerra, è divenuto famoso con Andrej Rublëv (1970), grandiosa biografia
di un famoso artista russo del passato, alla quale si intreccia la storia della costruzione
di una campana, nel cui suono possente si riconosce tutto un popolo. Un affascinante
film di fantascienza è Solaris (1972), tratto dal romanzo di S. Lem, percorso da una
dura polemica contro il facile ottimismo nei confronti del futuro della scienza. La
polemica continua in Stalker (1979), vicenda fantascientifica di una casa dove sono
esauditi i sogni degli uomini. In Italia Tarkovskij ha girato Nostàlghia (1983), un
mirabile canto di amore alla Russia lontana. Prima della morte, Tarkovskij ha realizzato
Sacrificio (1986), apologo sulla paura nucleare e sull’assenza del sacro nella cultura
occidentale.
Tra i registi viventi, il più noto è Nikita Michalkov (nato nel 1945), autore di Oci
ciornie (1987), ambientato tra un’Italia felliniana e una Russia cechoviana, e di Il sole
ingannatore (1994). Molti consensi ha ottenuto la produzione del georgiano Otar
Ioseliani (nato nel 1934), che si è affermato con Un incendio visto da lontano (1988);
tra i suoi film successivi, Caccia alle farfalle (1992), divertente e nostalgica storia di
due anziane signore russe che vivono in Francia di ricordi dell’epoca zarista, e Briganti
nel tempo (1996). Del 2002 è Lunedì mattina.
In Serbia. Il più noto regista serbo è Emir Kusturica (nato nel 1955) che ha esordito
con Ti ricordi di Dolly Bell? (1981), cronaca di un’educazione sentimentale nella
Sarajevo dei primi anni Sessanta, e si è affermato a livello internazionale con Papà è in
viaggio di affari (1985), un film su un caso di persecuzione politica negli anni dello
stalinismo; all’assurda guerra civile in Iugoslavia Kusturica ha dedicato Underground
(1995). Del 2004 è La vita è un miracolo, un film ambientato nella Bosnia del 1992, tra
guerra, amore e musica.
2.6.7 Negli altri paesi europei
In Spagna. Il clima sonnolento e conformista del cinema spagnolo fu rotto nel
dopoguerra da un film dei registi Juan Antonio Bardem e Luis Garcia Berlanga,
Benvenuto Mister Marshall (1952), satira delle speranze riposte in Spagna nel piano
americano di ricostruzione di George Marshall. Bardem realizzò poi un altro film felice,
Calle Mayor (1954), affresco della monotonia e del vuoto della vita di provincia.
Carlos Saura (nato nel 1932) ha diretto Cria cuervos (1975), radiografia della famiglia
spagnola e dei rapporti tra le generazioni, il film musicale Carmen story (1983) e il più
recente Spara che ti passa (1993).
Il più caustico regista spagnolo di commedie di costume è Pedro Almodóvar (nato nel
1949), autore di film di grande successo sulla nevrosi femminile (Che ho fatto io per
meritare questo?, 1984; Donne sull’orlo di una crisi di nervi, 1988); ha poi diretto film
in bilico tra erotismo e umorismo: Légami (1989), Tacchi a spillo (1991), Kika. Un
corpo in prestito (1994), Carne tremula (1997). Di forte impatto drammatico sono i
film più recenti di Almodóvar: Tutto su mia madre (1999), Parla con lei (2002), La
mala educación (2004).
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Il Portogallo. Il più prestigioso regista portoghese è Manuel de Oliveira (vedi Parte
XVII, 2.6.3), che ha descritto con feroce ironia la borghesia portoghese in Il passato e il
presente (1971); ha poi diretto un lunghissimo film, Amore di perdizione (1978),
vicenda di un amore folle, proseguita in Francisca (1981). Tra i suoi film più recenti:
La lettera (1999), Il principio dell'incertezza (2002), Un film parlato (2003).
In Grecia. Il più noto regista greco è Theo Angelopulos (nato nel 1936), autore di La
recita (1975), un grande film epico sulla storia greca dal 1939 al 1952, Alessandro il
grande (1980), sulla figura di un celebre bandito del Novecento, Il volo (1986), sulla
vicenda di un apicultore (Marcello Mastroianni), Il passo sospeso della cicogna (1991),
sulla tristezza e la solitudine dei profughi, Lo sguardo di Ulisse (1995), sulla guerra in
Bosnia e la crisi nei Balcani. Tra i film più recenti: L'eternità e un giorno (1998), La
sorgente del fiume (2004).
In Belgio e in Olanda. Un regista belga di statura internazionale è André Delvaux
(nato nel 1926), tra i cui film, improntati a un realismo magico, sono da ricordare Una
sera... un treno (1968), vicenda del viaggio verso la morte di un professore
universitario, e L’opera al nero (1988), trasposizione dal romanzo di M. Yourcenar con
l’interpretazione di Gian Maria Volonté, dove affascinanti sono i rimandi alla pittura
fiamminga del Cinquecento.
Il regista olandese più famoso è Joris Ivens (1898-1989), un grande documentarista, del
quale ricordiamo almeno l’ultimo film, Io e il vento (1988), elogio del vento come
elemento naturale e come simbolo.
Nei paesi scandinavi. Tra i registi danesi, ricordiamo Gabriel Axel, autore di Il pranzo
di Babette (1987), rivendicazione delle gioie del palato contro ogni fanatismo che
mortifica il corpo, e Lars von Trier, autore di Le onde del destino (1996), vicenda della
ribellione di una donna contro una comunità fanatica e maschilista. Di Trier è da
ricordare anche il recente Dogville (2003), dedicato alle ipocrisie e alle violenze di una
piccola città.
Tra i registi finlandesi, eccelle Aki Kaurismaki (nato nel 1957), autore di Nuvole in
viaggio (1996), sul dramma della disoccupazione, Julia (1999), una magica incursione
in mondi strani, e L'uomo senza passato (2002), un film di grade rigore stilistico.
Concludiamo la nostra rassegna del cinema europeo con il grande nome dello svedese
Ingmar Bergman, che, dopo Persona (vedi Parte XVII, 2.6.5) ha realizzato altri
capolavori: Sussurri e grida (1972), una nuova esplorazione nei territori dell’angoscia e
della solitudine, con quattro personaggi femminili come protagonisti; Scene da un
matrimonio (1973), analisi della nevrosi di coppia, che porta il matrimonio al
fallimento; L’uovo del serpente (1976), ambientato nella Germania di Weimar, nella
fase di incubazione del nazismo; Sinfonia d’autunno (1977), un film imperniato su un
tormentato rapporto tra madre e figlia; Fanny e Alexander (1983), saga di una famiglia,
una sintesi di quarant’anni di cinema, in cui si affrontano ancora una volta i grandi temi
della vita e della morte. Tra gli altri film di Bergman: Il flauto magico (fedele
trascrizione dell’opera di Mozart, 1974), un film osannato dai musicofili, Dopo la prova
(1984), tipico esempio di teatro filmato per la televisione, e Il segno (1986), il cui
messaggio è nella frase scritta alla lavagna dall’insegnante protagonista: «L’amore vince
tutto». Del 2003 è Saraband, il film-epilogo del grande maestro.
2.6.8 Negli altri continenti
In Giappone. Tra i film più recenti di Akira Kurosawa (vedi Parte XVII, 2.6.4), si
ricordano: La fortezza nascosta (1958), storia di un pugno di eroi in lotta contro gli
usurpatori del trono; Dersu Uzala (1975), vicenda delle avventure di un cacciatore
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mongolo in una natura incontaminata, uno splendido poema ecologico; Kagemusha
(1980), storia di un celebre condottiero del Cinquecento e di un suo sosia, brillante
gioco sul tema del “doppio”; Ran (1985), un film di impianto shakespeariano, in cui la
follia collettiva della guerra è evocata con eccezionale potenza visionaria; Sogni (1990),
dove memorabile è «Corvi», un omaggio a Van Gogh, il cui protagonista (grazie ai
prodigi dell’elettronica) attraversa i quadri stessi del grande pittore, tra cui l’inquietante
Campo di grano con corvi; Rapsodia d’agosto (1991), che, nel racconto di una nonna ai
suoi nipoti, fa rivivere l’orrore della bomba atomica; Madadayo (1993), un ritrattoomaggio degli ultimi anni di un grande educatore e originale antologia della produzione
di uno dei più grandi maestri del cinema.
Un regista di grande rigore stilistico è Nagisa Oshima (nato nel 1932), esponente della
rivolta contro il Giappone dei padri, già esplicita nel titolo del suo primo film, Notte e
nebbia del Giappone (1960). L’ossessione della morte, attraverso lo svolgersi dei riti di
una grande famiglia borghese, è il tema di La cerimonia (1971), considerato uno dei più
grandi capolavori del cinema giapponese. Nei due film Ecco l’impero dei sensi e
L’impero della passione (1978) la radicalità dell’esperienza sessuale è condotta fino
all’estremo, con il suicidio dei protagonisti. Tra gli altri registi si segnala Shôhei
Imamura (nato nel 1926) che ha realizzato La ballata di Narayama (1982), storia di
una spietata lotta per la sopravvivenza, che impone il sacrificio dei più vecchi, e ha poi
girato Pioggia nera (1989), dove si descrivono gli effetti della bomba atomica su
Hiroshima.
Il cinema cinese. Una novità degli ultimi anni è la rivelazione del nuovo cinema cinese,
il cui più noto esponente è Zhang Yimou (nato nel 1949). Ex “guardia rossa”, Zhang ha
esordito con Il sorgo rosso (1989), ambientato in Cina al tempo dell’occupazione
giapponese, e ha poi diretto Ju Dou (1989), allucinante vicenda di un ragazzo educato
all’odio. Un capolavoro è Lanterne rosse (1991), che rappresenta, con uno stile di
grande rigore formale, la tragica condizione delle donne cinesi negli anni Venti. La
storia di Qiu Ju (1992) è una “cronaca rurale” che ha come protagonista una contadina
analfabeta, ma decisa a ottenere la riparazione di una ingiustizia inflitta alla sua
famiglia. Tra i film più recenti: Vivere! (1994), storia di una famiglia cinese nel quadro
della rivoluzione maoista, Shangai Triad (1995), Keep Cool (1997), Non uno di meno
(1999), La strada verso casa (2000).
Un regista di Pechino è Chen Kaige (nato nel 1953), uno dei cineasti più originali della
“quinta generazione”, esule negli Stati Uniti: di lui è noto in Italia Addio mia concubina
(1993), un affresco sontuoso degli spettacoli dell’Opera di Pechino, intrecciato con le
tumultuose vicende politiche della Cina al tempo della rivoluzione culturale.
A Taiwan operano due importanti registi: Hou Xiaoxian (nato nel 1947), premiato a
Venezia con il Leone d’oro per il suo film Città dolente (1989) e a Cannes con il Gran
Premio della giuria per Il maestro di marionette (1994), ricostruzione della vita di una
nazione attraverso una drammatica esperienza individuale; e Tsai Ming-Liang (nato
nel 1957), che ha esordito con Ching Shaonien Nacha, vincitore al festival “Cinema
giovane” di Torino nel 1993, e ha poi diretto Vive l’amour (1994).
Wayne Wang (nato nel 1948), un regista di Hong Kong, emigrato negli Stati Uniti, ha
ottenuto grande successo al Festival di Berlino con Fumo (1995), un film dedicato al
vizio contemporaneo più bandito.
Il cinema indiano. L’India è il paese che produce il più alto numero di film ogni anno.
Il più famoso regista indiano è Satyajit Ray (1921-1992), il cui primo capolavoro è
L’invitto (1957), intensa riflessione sul dolore e sulla morte, proseguita in Il mondo di
Apu (1959). Tra gli altri film: Giorni e notti nella foresta (1970), La casa e il mondo
(1983), Agantuk (1991). Bengalese è Mrinal Sen (nato nel 1923), che ha affrontato
78
temi sociali, politici, psicologici: tra i suoi film, Il giorno delle nozze (1960), Calcutta
71 (1972), Anatomia di una carestia (1980), Le rovine (1984), Genesis (1986).
Una giovane regista è Mira Nair, che, segnalatasi con Salaam Bombay, ha diretto
Mississippi Masala (1991), una commedia romantica sull’amore tra una giovane
indiana e un nero d’America.
Il cinema africano. Tra i registi egiziani, si sono segnalati Tawfiq Saleh, autore di Gli
ingannati (1972), vicenda di un gruppo di palestinesi che attraversano il deserto per
giungere nel Kuwait, e Yusuf Shahin, che ha diretto Il passero (1972), ambientato al
tempo della guerra del Sinai (1967). In Mauritania, si è imposto Med Hondo, autore di
un film drammatico e violento, Sole O. (1969), cui sono seguiti Gli arabi-negri nostri
vicini (1974), Avremo tutta la notte per dormire (1977), e Storia delle Indie Occidentali
(1979); Sarraounia (1986) è la storia di una mitica regina guerriera di fine Ottocento.
Nel Mali, si è affermato Souleymane Cissé, autore di La luce (1987), epica vicenda di
uno scontro generazionale, che allude ai destini dell’Africa, ma che ci trasmette anche il
grande respiro delle savane e degli immensi spazi del continente nero. Un regista del
Burkina Faso è Idrissa Ouedraogo, autore di Yaaba (1989), dove sono splendidamente
tradotti in immagini gli antichi racconti, trasmessi oralmente di generazione in
generazione. Il tunisino Nouri Bouzid ha diretto il film L’uomo di cenere (1986), che è
piaciuto in Occidente per il suo linguaggio moderno.
Il cinema sud-americano. Il più grande regista brasiliano è Glauber Rocha (19381981), che, dopo Barravento (1961) ha prodotto tre capolavori sulla “geografia della
fame” nel Nordeste del Brasile, tutti del 1963-64: Vite aride, Il dio nero e il diavolo
biondo e I fucili. Sono seguiti altri film di grande potenza drammatica: Antonio das
Mortes (1969), Il leone a sette teste (1970), L’età della terra (1980). In Cile, un
“classico’ del cinema sud-americano è La tierra prometida (1973) di Miguel Littin
(nato nel 1942), un film su una rivolta contadina del 1932, che, girato poco prima del
colpo di stato di Pinochet, assume il valore di una lucida e tragica profezia.
In Argentina, il regista Fernando Ezequiel Solanas (nato nel 1936) è divenuto celebre
con il film L’ora dei forni (1968), imperniato sulle lotte rivoluzionarie sud-americane e
sulla figura del «Che» Guevara; ha poi diretto, tra gli altri film, Tangos (1985, Leone
d’oro alla Mostra di Venezia) e Sur (1988), che è nel contempo una storia d’amore, un
melodramma patriottico e una cronaca di quartiere; la dedica del film a Glauber Rocha è
un simbolo di fratellanza dei cineasti dell’America Latina.
Bibliografia essenziale
Sulla rivoluzione antropologica: R. Ceserani, Raccontare il post-moderno, Bollati
Boringhieri, Torino 1997.
Sul pensiero: F. D'Agostini, Breve storia della filosofia del Novecento, Einaudi, Torino 1999.
Sulle scienze: si veda la Bibliografia essenziale segnalata nella sezione dedicata alle scienze
(2.3) nella Parte XVII.
Sulle arti: Lara-Vinca Masini, L'arte del Novecento. Dall'Espressionismo al Multimediale, 12
voll., Giunti, Firenze 1989.
Sulla musica: La cultura dei musicisti italiani del Novecento, a cura di G. Salvetti e M. G. Sità,
Guerini Studio, Milano 2004.
Sul cinema: si veda la Bibliografia essenziale segnalata nella sezione dedicata al cinema (2.6)
della Parte XV.
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SEZIONE TERZA
LE CORRENTI
IL POST-MODERNO
3.1 Definizione e interpretazioni del Post-moderno
Post-moderno e Post-modernismo. A partire dagli anni Settanta si è imposto nel
linguaggio della cultura il termine di Post-moderno, il cui prefisso (post-) indica una
nuova condizione culturale "dopo l'età moderna", caratterizzata da un senso di
saturazione rispetto alle conquiste della modernità, dal venir meno della fiducia nel mito
del progresso illimitato, dalla consapevolezza della complessità del mondo odierno,
dominato dall'informatica e dalla cibernetica, dal senso del limite delle conoscenze
umane. Occorre distinguere il concetto di Post-moderno, che allude in modo neutrale ai
cambiamenti sopra elencati, dall'altro concetto di Post-modernismo, una particolare
ideologia e pratica artistica del nostro tempo, che valuta positivamente le trasformazioni
intervenute nella cultura e nella società, vedendo in esse l'inizio di una nuova epoca.
Una possibile definizione. Tra le tante definizioni che sono state date del Postmoderno, ci sembra più persuasiva quella che identifica, come base teorica del
movimento «tutto ciò che del passato è recuperabile come stile di vita, in contrasto al
progresso a ogni costo» (Dizionario di parole nuove di M. Cortelazzi e U. Cardinale,
1986). A differenza della Neoavanguardia, che rifiuta radicalmente il passato, il Postmoderno riconosce che il passato non può essere distrutto (perché una negazione totale
di esso porterebbe al silenzio della civiltà), ma deve essere rivisitato criticamente e
senza illusioni, rinunciando ad ogni pretesa di individuare il senso della storia in un
mondo sempre più labirintico.
Durante gli anni Settanta, il termine "post-moderno" è comparso in distinti campi
disciplinari, con particolare riferimento all'architettura (a partire dall'uscita, nel 1977, di
un saggio di Charles Jenks, The Language of Postmodern Architecture), alle arti visive
(con il succedersi di molteplici tendenze come la pop art, l'iperrealismo, la videoart),
alla musica (John Cage), al teatro (Hoh Asbery, Heiner Müller), al cinema
(emblematico il film di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio).
Le tesi di Lyotard e di Jameson. In sede filosofica, la fortuna del termine "postmoderno" è dovuta al saggio La condizione postmoderna (1979) del francese JeanFrançois Lyotard (1924-1998). Il titolo del saggio si riferisce alla situazione della
cultura nelle società industriali avanzate, che alcuni sociologici (il francese Alain
Touraine, l'americano Daniel Bell) definiscono “post-industriali”, perché caratterizzate
dal prevalere dell'informatica e del settore terziario. Lyotard indica come caratteristiche
dell'età post-moderna la perdita di credibilità delle «grandi narrazioni», cioè delle
ideologie che hanno celebrato il progresso della ragione e della scienza moderna, e
l'emergere di una molteplicità di linguaggi fra loro irriducibili. Uno dei più acuti
studiosi del Post-moderno è il filosofo statunitense Frederic Jameson (nato nel 1934),
che, nel saggio Il post-moderno o la logica culturale del tardo capitalismo (1984),
traccia una mappa generale del fenomeno, mettendolo in relazione con il capitalismo
nella sua ultima fase e con i mezzi di produzione oggi dominanti. Prendendo lo spunto
da un quadro di Andy Warhol, intitolato Diamond Dust Shoes ("Polvere di diamanti.
Scarpe"), Jameson si dichiara persuaso che si debba tornare, aggiornandola, alla teoria
marxiana della merce, per cogliere le forme della mercificazione attive nel nostro
80
tempo, quando la produzione intellettuale è dominata dai "media" e dal mercato. Da
questa analisi Jameson fa discendere gli aspetti essenziali del Post-moderno:
l'indebolimento del senso della storicità individuale e sociale, la ripresa delle teorie del
"sublime", i rapporti con le ultime tecnologie, e soprattutto, la cultura dell'immagine
(tipica di una «società in cui il valore di scambio si è talmente generalizzato da
cancellare la stessa memoria del valore d'uso»). Tutto ciò implica l'impossibilità di
ricomporre una visione d'insieme delle immagini frammentate e, pertanto, di dare di un
testo un'interpretazione unitaria. Sul piano stilistico, si assiste alla fine della ricerca di
uno stile individuale inimitabile, sostituito dalla dichiarata imitazione, in chiave
parodistica, degli stili del passato, manipolati secondo il gusto del pastiche e del
decorativismo più sontuoso, in stretto rapporto con altri mezzi espressivi (fotografia,
cinema, televisione). Pur non essendo un sostenitore del Post-moderno, Jameson è
convinto che occorra sfruttare le opportunità offerte dalla nuova condizione culturale
(ad esempio, il fatto che gli intellettuali sono in una «posizione migliore rispetto al
passato per il fatto che possono essere collegati e in rapporto tra loro»). Scrive
paradossalmente Jameson che bisogna imparare a pensare «il capitalismo come la cosa
migliore che sia mai capitata alla razza umana, e la peggiore» e l'evoluzione del tardo
capitalismo «come catastrofe e insieme come progresso».
3.2 Il Post-moderno nella letteratura americana
La critica letteraria. In sede letteraria, il termine "post-moderno" è messo in
circolazione, all'inizio degli anni Settanta, dal critico letterario egiziano, naturalizzato
statunitense, Ihab Hassan. Nel saggio Lo smembramento di Orfeo. Verso una
letteratura post-moderna (1971), Hassan definisce il Post-moderno come una forma di
"nuova sensibilità", legata al venir meno della distinzione tra i diversi generi di
linguaggio (filosofico, scientifico, narrativo, ecc.) e caratterizzata dalla combinazione
eclettica (quasi un collage) tra la scrittura dei teorici del post-strutturalismo francese
(Barthes, Foucault, Derrida) e quella di autori post-moderni creativi, come Barth,
Berthelme, Pynchon. Nelle teorizzazioni più recenti, Hassan considera il Post-moderno
come un periodo storico-culturale autonomo a base internazionale, fondato su precisi
elementi, come l'urbanesimo, la tecnologia, il primitivismo, l'erotizzazione, lo
sperimentalismo (The Postmodern Turn, 1987); Alan Wilde distingue gli scrittori
"moderni", volti alla ricerca dell'interiorità, della trascendenza, del mito e, comunque, di
forme di verità essenziale, dagli scrittori del Post-moderno, che rappresentano «la
percezione e l'accettazione di un mondo il cui disordine eccede e sfida ogni
ricomposizione» (Horizons of Assent, 1981); la studiosa canadese di origine italiana
Linda Hutcheon ricollega il fenomeno post-moderno alla "crisi dei fondamenti" della
fisica einsteiniana (The pastime of past time, 1989). Ad un altro studioso canadese di
origine italiana, Rocco Capozzi, si deve una tipologia in quattro punti del movimento
post-moderno: 1 - Le "letterarietà" consapevoli, cioè le strategie autoreferenziali,
narcisistiche, metanarrative e metalinguistiche del testo. 2 - L'operazione ludica di una
narrativa dominata da ironia e parodia. 3 - L'intertestualità illimitata di testi fatti di altri
testi che rimandano continuamente alla biblioteca enciclopedica borgesiana. 4 - La
coesistenza o fusione di cultura alta e di cultura media e bassa come rispecchiamento
della cultura enciclopedica e massificata che viene diffusa dai mass-media.
I protagonisti. Si deve allo scrittore statunitense John Barth (nato nel 1930) uno dei
primi "manifesti" del Post-moderno, Literature of Exhaustion (1967), dove, adoperando
un termine della fisica e della biologia, si parla di "esaurimento" dei valori, di esausto
sfinimento della letteratura, ma anche di una coraggiosa presa di coscienza di questa
nuova realtà. Come narratore, nei suoi primi romanzi (L'opera galleggiante, 1956; La
81
fine della strada, 1958), Barth ha riproposto la tematica dell'assurdo, cara a S. Beckett,
e quella del "labirinto", propria di J. Borges, accentuando i toni di uno scetticismo
radicale. Un romanzo in chiave picaresca è Il coltivatore del Maryland (1960), in cui i
problemi più gravi della condizione umana sono presentati con la disperata allegria di
un pirotecnico funambolismo. Una spietata demistificazione del superficiale ottimismo
tecnologico è Giles ragazzo-capra o il Nuovo Sillabo riveduto (1966), allegra
dissacrazione della civiltà del computer. Dopo Lettere (1979), una parodia del romanzo
settecentesco, la dissacrazione post-moderna delle tecniche narrative prosegue con
Romanzo sabbatico (1983), che vuole essere nel contempo una parodia del romanzo
sentimentale e una metafora della "morte" del romanzo. Tra le ultime opere: I racconti
di Tidewater (1987) e Coming Soon (2001).
Fondamentale è, nell'ambito del Post-moderno statunitense la produzione di Donald
Barthelme (1931-1989), che ricava dalla realtà, sovraffollata di messaggi e di stimoli,
l'impressione di una frammentazione del mondo, ridotto a un immenso accumulo di
rifiuti non solo urbani, ma anche ideologici e verbali: di qui la concezione della
letteratura come di un collage, in cui si passi dal mondo del fumetto a quello della
pubblicità o della politica. Maestro del racconto breve, Barthelme ha scritto anche due
romanzi di notevole rilievo: Biancaneve (1967), riscrittura della celebre fiaba che,
ambientata nella degradazione della metropoli, è debitrice più a Walt Disney e al mondo
dei fumetti che ai fratelli Grimm; e Il padre morto (1975), dove è adombrata la "morte
di Dio" nella società contemporanea.
La figura centrale della narrativa post-moderna statunitense è quella di Thomas
Pynchon (nato nel 1937), che si è guadagnato (come Salinger) la fama di scrittore
"invisibile" per la sua tenacia nel sottrarsi all'attenzione dei mass-media. Pynchon si è
rivelato come scrittore con il romanzo V. (1963), vicenda di una donna enigmatica,
misteriosa personificazione delle forze di distruzione e di morte del nostro secolo, sullo
sfondo di un mondo di emarginati e di falliti. Il senso angoscioso di una indefinibile
minaccia incombe anche in L'incanto del lotto 49 (1966), dove agli emarginati è offerto,
come strumento di salvezza, un ambiguo sistema postale segreto: l'interesse del libro sta
nel trasferimento del concetto di "entropia" (perdita) dalla termodinamica alla vita
dell'uomo, che tende all'inerzia, al disordine, allo spreco di energia (non a caso un
racconto giovanile, pubblicato nel 1984 in Un lento apprendistato, è intitolato
Entropia). Il capolavoro di Pynchon è L'arcobaleno della gravità (1973), ponderoso
collage di enciclopedismo, letteratura, scienza, cinema, ecc., fusi insieme in un totale e
deliberato disordine. In questo libro affascinante, sullo sfondo del paesaggio grigio e
inospitale dell'Inghilterra negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, incombe la
minaccia della V-2, l'arma della rappresaglia hitleriana, che, guidata dalla forza di
gravità, infrange il patto intercorso fra Dio e Noè (e simboleggiato dall'arcobaleno) sulla
fine delle distruzioni sulla Terra. Ma il tenente Tyrone Slothrop (nel cui nome si
nasconde l'anagramma di "entropia"), riesce (grazie a una anomalia sessuale che risale
all'infanzia) a individuare in anticipo i luoghi della caduta del micidiale razzo. Il
romanzo, per lo splendore delle immagini e il virtuosismo dello stile, è considerato
come l'opera più significativa del Post-moderno, alla stessa stregua dell'Ulisse di Joyce,
che è il modello esemplare della "modernità". Un grande romanzo picaresco è Vineland
(1989), vicenda di Zoyd, un relitto del '68, che a Vineland (una inesistente contea
californiana) si finge matto per prendere il sussidio federale e sfonda vetrine sotto gli
occhi delle telecamere: insieme con lui è una folla di personaggi pittoreschi e bizzarri,
tra i quali la ragazza Prairie (Prateria), personificazione della nostalgia dello spazio. Il
romanzo è una parodia dell'America della società di massa, che ha riassorbito la rivolta
del '68 contro l'establishment e che parla un linguaggio impastato di koiné televisiva:
82
contro questa America, che riduce gli esseri umani a «zeri matematici», Pynchon rivolge
i suoi sberleffi (proponendo tra l'altro l'istituzione di un "Fondo nazionale per la
riabilitazione dei video-dipendenti"); ma sul sarcasmo prevale la nostalgia, manifestata
dalla country music, che, per la prima volta nella narrativa americana, viene assunta
come parte integrante della narrazione. Nel 1997 Pynchon ha pubblicato, Mason &
Dixon, un romanzo ambientato nel Settecento, durante il conflitto tra la Pennsylvania
quacchera e il Maryland schiavista, il cui confine viene fissato dall'astronomo Mason e
dall'agronomo Dixon: una vicenda che si risolve in una celebrazione della tolleranza tra
i popoli. Nel 2003 Pynchon ha dedicato un saggio introduttivo a 1984, il capolavoro di
Orwell: si tratta di un vertiginoso gioco di specchi, dove i volti del Grande Fratello e di
George Orwell si riflettono nel "non-volto" di Thomas Pynchon.
Un altro grande scrittore, che è stato definito «lo sciamano della narrativa postmoderna», è Don DeLillo (nato nel 1936). Di genitori molisani, dopo un'infanzia
povera e scuole approssimative, DeLillo si è dedicato ad ogni genere di lavori. Ha
esordito nel 1971 con Americana, un romanzo in cui si racconta la scorribanda
attraverso l'America di David Bell, giovane manager di una rete televisiva, incarnazione
del mito del "sogno americano": disgustato da un'esistenza insulsa, Bell si butta in
un'avventura on the road e va verso il West, filmando scene di violenza e morte.
DeLillo ha poi analizzato la sottocultura del mondo sportivo (End zone, 1972) e ha
denunciato l'espansione nell'area dell'illegalità e del crimine da parte dello spionaggio
americano (Cane che scappa, 1978). Rumore bianco (1985) è un saporoso apologo sulla
civiltà supertecnologica. In Libra (1988), DeLillo ripropone la vicenda dell'assassinio di
J. F. Kennedy ad opera di L. H. Oswald, a sua volta assassinato, non per rivelare una
nuova verità sulla tragedia di Dallas, ma per dimostrare come la sindrome del complotto
avveleni la società americana. Un grande romanzo è Underworld (1997), catalogo dei
miti e delle ossessioni dell'America dai tempi della Guerra fredda agli anni Novanta:
prendendo lo spunto da una leggendaria partita di baseball del 1951, lo scrittore delinea
il suo grandioso affresco, utilizzando un avvincente montaggio narrativo e i più diversi
gerghi di una nazione multirazziale come gli Stati Uniti. In Body art (2001), DeLillo ha
tracciato uno spaccato di vita americana attraverso la vicenda di una giovane artista che,
sconvolta dal suicidio del marito, reagisce sottoponendo il proprio corpo a dure
"performance" e prendendosi cura di un individuo autistico, che parla con la voce del
marito defunto: una vicenda misteriosa, narrata in una prosa rarefatta alla Beckett. In
Cosmopolis (2003), DeLillo ha narrato la storia di un finanziere plurimiliardario,
padrone di una casa di quarantotto stanze nel centro di Manhattan, che decide di
attraversare tutta New York con la sua limousine per farsi tagliare i capelli dal barbiere
dal quale andava il padre: lungo il tragitto osserva spettacoli strabilianti, come il
funerale di un musicista rapper e una manifestazione giovanile «contro la forza del
cybercapitale», e apprende infine che, in una speculazione contro lo yen, ha perduto in
un giorno solo tutta la sua fortuna. Il motto del libro rovescia la profezia marxiana: «c'è
uno spettro che si aggira per il mondo, lo spettro del capitalismo».
3.3 Il Post-moderno nella letteratura italiana
La critica letteraria. In Italia, sostenuto in sede filosofica da Gianni Vattimo (vedi
2.2), il Post-moderno ha dato luogo ad un vivace dibattito, nel quale sono intervenuti
con diverse posizioni alcuni scrittori e critici letterari: Umberto Eco (vedi 11.4), che
considera il Post-moderno come una forma permanente di Modernismo; Remo
Ceserani, che giudica il Post-moderno come una grande svolta epocale, da paragonare
solo a quella verificatasi alla fine del Settecento; Franco Fortini, che vede nel Post83
moderno la fine dell'avanguardia, la cui azione di rottura è resa impossibile dalle
frenetiche trasformazioni del mercato; Renato Barilli, che studia l'origine del Postmoderno nelle tendenze dell'architettura e delle arti visive e individua i caratteri
essenziali del movimento nel gusto della citazione e nel gioco combinatorio; Romano
Luperini, che nega la portata epocale del Post-moderno e vede in esso una fase distinta,
ma interna alla storia economico-politica iniziata alla fine del Settecento.
I protagonisti. Il Post-moderno ha avuto in Italia i suoi esponenti più significativi in
Italo Calvino, autore di Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979) e delle postume
Lezioni americane (vedi sezione decima) e in Umberto Eco, autore del Nome della
Rosa (1980, vedi 10.4). Secondo Margherita Ganeri (Postmodernismo, 1998), si può
distinguere tra un post-modernismo critico e un post-modernismo limitato ad alcuni
fenomeni di moda e di costume. Del post-modernismo critico fanno parte «gli autori che
hanno risposto alle sollecitazioni in modo consapevole e brillante (Calvino, Eco), i
manieristi (Consolo, Vassalli), i post-surrealisti (Tabucchi), gli allegorici, che hanno
elaborato una scrittura ad alto tasso di figuralità (Malerba, Volponi), e i postavanguardisti del Gruppo 93». Il post-modernismo come fenomeno di costume
comprende la scrittura satirica di Stefano Benni, la prosa poetica di Alessandro Baricco,
la narrativa edulcorata di Susanna Tamaro, le provocazioni di Aldo Busi, le
sperimentazioni di Pier Vittorio Tondelli, e infine l'area giovanile della narrativa di
culto e quella dei cosiddetti "cannibali". Di Paolo Volponi e di Vincenzo Consolo
tratteremo a parte (vedi, rispettivamente, 11.2 e 11.3); per gli altri scrittori, si veda la
sezione quinta.
3.4 Le correnti ideologiche italiane nel secondo Novecento: «Destra e Sinistra»
Due parole-chiave. Tra le coppie di parole che esprimono concetti antitetici (in
filosofia, trascendenza-immanenza; in letteratura, classicismo-romanticismo; in diritto,
pubblico-privato, ecc.), singolare è, nel linguaggio politico, la sorte della coppia
«destra-sinistra», che abbiamo ereditato dal tempo della Rivoluzione francese, ma che è
oggi rimessa in discussione. Nel giudizio di alcuni politologi del nostro tempo, destra e
sinistra sono logore etichette (due «scatole vuote», aveva detto a suo tempo J.-P. Sartre).
Eppure, si tratta di due parole-chiave, che sono tornate alla ribalta nello scontro che ha
contrapposto in questi ultimi anni i maggiori schieramenti politici del nostro Paese.
Il quadro storico. Si deve a Giampiero Carocci una recente rilettura della storia d'Italia
sotto il punto di vista della dicotomia tra destra e sinistra. Osserva Carocci che in
passato i valori della destra erano il senso dello Stato e la difesa dei diritti individuali di
libertà (formalmente, quelli di tutti, di fatto soprattutto quelli della borghesia); i valori
della sinistra erano la difesa della collettività e la lotta per l'uguaglianza. Un giudizio
largamente diffuso e ancora accettabile è quello secondo cui la destra difende l'ordine,
l'autorità, la tradizione, mentre la sinistra promuove l'emancipazione. Se però, dal piano
delle definizioni teoriche si passa al campo della storia politica, ci accorgiamo che i due
termini di destra e di sinistra non solo si sono spesso intrecciati, ma talvolta si sono
addirittura sovrapposti. Carocci analizza le tre epoche (l'epoca liberale, quella fascista e
quella dei partiti di massa) che, tranne le dovute eccezioni, hanno tutte in comune un
duplice e reciproco processo di dissolvenza: quello della destra nella sinistra e quello
della sinistra nella destra.
Nell'epoca liberale (dall'unità italiana all'età giolittiana) la contrapposizione tra destra e
sinistra si è manifestata solo in pochi casi critici: nel conflitto tra Cavour e Garibaldi,
nella crisi di fine Ottocento, nel primo dopoguerra. Ma di norma la contrapposizione
non si verificò, perché i detentori liberali del potere vollero quasi sempre contenere o
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annullare la lotta politica. Quasi sempre destra e sinistra si sono confuse fra loro nella
maggioranza parlamentare: basti pensare al "trasformismo" di Depretis e alle sue
degenerazioni a livello di sottogoverno, o all'autoritarismo di un esponente della sinistra
come Crispi, che ha usato spregiudicatamente la tradizione garibaldina per fare una
politica di destra. Talora destra e sinistra si sono confuse nella stessa persona: è il caso
di Giolitti che, fra il 1903 e il 1909, fece una politica di sinistra (cioè l'allargamento
delle basi sociali dello Stato) usando strumenti di destra (e ricorrendo perfino, nel Sud,
a metodi repressivi).
La contrapposizione fra destra e sinistra è stata assai scarsa al tempo del fascismo.
Come Crispi, Mussolini ha usato la sua formazione di rivoluzionario per imporre
all'Italia la sua dittatura. Come hanno dimostrato gli studi di Renzo De Felice,
Mussolini non definì mai il fascismo né di destra né di sinistra, ma sempre e soltanto
rivoluzionario.
Dopo il 1945, si è acuito in Italia il conflitto tra destra e sinistra, all’insegna,
rispettivamente, dell'anticomunismo e dell'antifascismo. Tuttavia, nella figura di Alcide
De Gasperi (il massimo statista della Democrazia Cristiana) - come scrive Carocci «erano presenti aspetti di destra e di sinistra che si fondevano fra loro e lo
confermavano nel suo centrismo». Ma anche Palmiro Togliatti, segretario del Pci, tese a
«riallacciarsi all'esperimento fascista del regime di massa per costruire il "partito nuovo"
intrecciando leninismo e "democrazia progressiva"» (di qui la "svolta di Salerno" del
1944, il compromesso con la monarchia, il voto favorevole all'articolo 7 che
introduceva nella Costituzione il concordato con il Vaticano).
Gli anni Sessanta sono stati caratterizzati da un movimento generale verso sinistra,
grazie al centro-sinistra e poi al Sessantotto. La tendenza ha cominciato a invertirsi nei
primi anni Settanta, in seguito a due fattori: il terrorismo nero e rosso e la
ristrutturazione del capitalismo. Particolarmente incisivo sulla lotta politica è stato il
terrorismo. Nel dicembre 1969 è nato il terrorismo nero, con una manovalanza fornita
dai gruppuscoli eversivi sorti all'interno del Movimento Sociale Italiano, ma con menti
direttive che non si sono mai conosciute e con un ruolo di primo piano svolto dai servizi
segreti stranieri e italiani e dalla loggia massonica P2. Il terrorismo rosso è stato il
prodotto di una sottocultura di sinistra e della mancata risposta riformista del sistema
politico alle richieste avanzate dal Sessantotto. Nato in prevalenza da piccoli collettivi
autonomi, il terrorismo rosso ha mirato a rendere impossibile il funzionamento della
democrazia (non a caso ha ucciso prevalentemente personalità del riformismo
nell'illusione delirante di far nascere la rivoluzione dalla fine del regime democratico).
Alla fine degli anni Settanta si è delineata la crisi dei partiti di massa, resa visibile dal
calo della partecipazione popolare alle elezioni del 1979. Il distacco dalla società dei
due partiti maggiori, la Dc e il Pci, fu accentuato negli anni successivi: la Dc ebbe un
tracollo nelle lezioni del 1983, il Pci andò declinando dopo il 1976, fino al tracollo nelle
elezioni del 1987. Influiva sulla crisi della Dc l'atteggiamento di chiusura nei confronti
del divorzio e dell'aborto, e, nella crisi del Pci, la perdita di centralità della classe
operaia (emblematica, in questo senso, è la data del 14 ottobre 1980, quando a Torino si
svolse una riuscita marcia di protesta contro la conflittualità, organizzata dai quadri
intermedi della Fiat). Enrico Berlinguer, segretario del Pci dal 1972 al 1984, fu molto
sensibile alla crisi dei partiti, soprattutto nei suoi aspetti morali. Convinto che la
democrazia non fosse più una semplice fase di passaggio al socialismo, ma un valore in
sé, da realizzare nel socialismo, Berlinguer presentò l’“eurocomunismo” come una
“terza via”, che ripudiava ogni idea di dittatura e giudicava esaurita la «spinta
propulsiva» della rivoluzione russa. Ma l'invito all' “austerità” lanciato dal segretario
comunista non fu capito in una società tutta orientata verso il consumo.
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Il “compromesso storico” di Berlinguer si incontrò con la politica di “solidarietà
nazionale” perseguita da Aldo Moro: entrambe le strategie partivano da presupposti
comuni: la debolezza della democrazia italiana, la necessità di un'immissione del Pci
nella maggioranza di governo, l'aspirazione a creare una società organica, la cui
conflittualità fosse ridotta al minimo. Si trattò di una politica, durata dal 1976 al 1979,
ricca di ombre e di luci. Le ombre furono l'accentuazione e l'immissione a livello di
governo dei compromessi consociativi fino allora esistenti a livello di sottogoverno e,
inoltre, l'accentuata involuzione dei partiti e la loro chiusura ai fermenti che il
Sessantotto aveva immesso nella società. Le luci si riducono ad una sola, ma molto
forte: il contributo dato dal Pci alla difesa della legalità repubblicana nei giorni
drammatici del rapimento e dell'uccisione di Moro e della sua scorta. Diverso fu il
percorso seguito dal Psi, che in un primo tempo si aprì al problema delle riforme
istituzionali; ma Bettino Craxi, a partire dal 1979, accantonò ogni progetto di riforma e
perseguì l'obiettivo di fare del Psi il partito egemone della sinistra, rovesciando i
rapporti di forza numerica con il Pci. Come presidente del Consiglio, dal 1983 al 1987,
Craxi dimostrò capacità di decisione e ottenne qualche buon risultato, ma impresse nei
rapporti interni al partito una deriva di tipo plebiscitario e favorì ogni forma di
corruzione.
Durante gli anni Ottanta, si accentuò nella società la spinta verso destra, la negazione
dei valori collettivi, il ripiegamento in un "privato" sentito come antagonista del
"pubblico", l'affermazione straripante dei valori indirizzati all'individualismo, la paura
dell'emigrazione e il separatismo economico delle più ricche regioni italiane da quelle
più povere, motivi, questi ultimi, sui quali basava la sua propaganda il nuovo partito
della Lega Nord. A questa svolta contribuì, sul piano internazionale, l'influsso in
direzione conservatrice dei governi della Thatcher in Inghilterra e di Reagan negli Stati
Uniti. Determinante fu soprattutto la ripresa del capitalismo dopo la crisi del decennio
precedente. Intanto, fin dalla seconda metà degli anni Settanta si erano spenti i fermenti
che il Concilio Vaticano II aveva fatto nascere nel mondo cattolico, e si assisteva alla
nascita di un movimento integralista e combattivo come Comunione e Liberazione,
arroccato su posizioni di intransigenza ideologica. Un'altra novità era costituita dalla
trasformazione interna del Movimento sociale italiano, che prese le distanze dal suo
originario patrimonio ideale del fascismo assumendo il nome di Alleanza Nazionale
(nonostante la scarsa autocritica del passato fascista fatta dai dirigenti dell'ex Msi).
Stroncato dalla crisi ormai irreversibile del comunismo mondiale, il Pci fu sconfitto
nelle elezioni del 1987. Pochi anni dopo, l'offensiva di Mani pulite colpì non solo il
partito di Craxi, ma anche la Democrazia cristiana, che, dopo il tracollo elettorale del
1992, fu sciolta. Era finita la “prima repubblica”.
Destra e Sinistra oggi. Pe comprendere che cosa sia oggi la destra e che cosa sia la
sinistra, è di grande interesse un saggio di Norberto Bobbio (1909-2004), Destra e
Sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica (Donzelli, Roma 1994).
Bobbio affronta l'argomento con rigore scientifico, analizzando gli argomenti pro e
contro l'uno e l'altro schieramento e astenendosi da un giudizio valutativo, ma
conducendo l'analisi con la neutralità che si addice a una ricerca storica, senza d'altra
parte nascondere, a livello personale, la propria identità di «uomo di sinistra» (p. 86).
Seguiamo, con alcune integrazioni, questo saggio.
Bobbio osserva che, prima di diventare una metafora del linguaggio politico, la coppia
destra-sinistra ha avuto una connotazione univoca nel linguaggio religioso, «dove i
buoni sono seduti a destra, i cattivi a sinistra del Padre»; ma (aggiunge lo studioso) la
univocità non vale nel linguaggio politico, dove «i buoni e, rispettivamente, i cattivi
possono trovarsi tanto a destra quanto a sinistra». In termini molto generali, nei paesi a
regime parlamentare dell'Europa e dell'America, nella "destra" si identifica il partito
86
conservatore, e talvolta anche quello reazionario di estrema destra (fascismo, nazismo,
ecc.).
Efficace è la polemica dell'autore contro gli oppositori del binomio "destra-sinistra", i
quali sostengono che tale distinzione è inopportuna, in seguito alla crisi delle ideologie
e la conseguente inutilità di una simile contrapposizione. Scrive, molto lucidamente,
Bobbio: «si può tranquillamente obiettare, ed è stato di fatto obiettato, che le ideologie
non sono scomparse affatto, anzi sono più vive che mai. Alle ideologie del passato se ne
sono sostituite altre, nuove o che pretendono di essere nuove. L'albero delle ideologie è
sempre verde. Oltretutto, non vi è nulla di più ideologico, com'è stato più volte
dimostrato, che l'affermazione della crisi delle ideologie». Del resto, "destra" e "sinistra"
non indicano solo ideologie, ma anche contrasti ben precisi di interessi sociali. Un'altra
e più forte obiezione mossa alla coppia "destra-sinistra" è quella della sua
incompiutezza: si sostiene, da parte di alcuni studiosi, che non basta dividere il campo
politico in due "poli", dal momento che ne può esistere anche un terzo, il Centro, che
non è né di destra né di sinistra, ma intende esercitare una funzione di compromesso e
di mediazione tra la destra e la sinistra. Si è però visto che, con il sistema elettorale
maggioritario, il Centro è costretto a schierarsi e a stare o dalla parte della Destra
(formando con essa il Centro-Destra) o dalla parte della Sinistra (formando con essa il
Centro-Sinistra). Una diversa ipotesi di Centro è quella della cosiddetta Terza via, che
non si limita a stare in mezzo tra destra e sinistra, ma pretende di andare al di là,
superando sia la destra sia la sinistra: l'esempio più rilevante, in passato, è quello di
Hitler, che, in un articolo del 6 giugno 1936, si autodefinì «il più conservatore
rivoluzionario del mondo». Un caso a sé è stato quello dei Verdi, che si sono mossi
attraverso la destra e la sinistra e hanno imposto il tema ecologico a entrambi gli
schieramenti contrapposti, dividendosi però, al loro interno, in Verdi di destra e Verdi
di sinistra.
Estremisti e moderati. Non coincide con la coppia destra-sinistra l'altra coppia
«estremisti-moderati», nella quale viene in questione il metodo dell'agire politico, più
che i valori da difendere. Suddivisi a loro volta in estremisti di destra ed estremisti di
sinistra, gli estremisti hanno in comune l'avversione per il moderatismo in ogni sua
forma e la disponibilità a sacrificare, in determinate circostanze, la libertà in nome
dell'eguaglianza (estremisti di sinistra) o in nome dell'autorità di un capo (fascismo,
nazismo).
Egualitari e antiegualitari. Secondo Bobbio, il vero discrimine tra la destra e la
sinistra è costituito dall'idea di eguaglianza, che è l'elemento centrale dell'ideologia di
sinistra e che è invece considerata come sinonimo di appiattimento dall'ideologia di
destra. Occorre però distinguere l'eguaglianza (che tende a ridurre le disuguaglianze
naturali e sociali) dall'egualitarismo, inteso come "eguaglianza di tutti in tutto". Non si
può, in realtà, sostenere che gli uomini siano uguali in tutto: sono, ad esempio, uguali di
fronte alla morte, ma diversi nel modo di morire. Ed ecco la definizione di Bobbio: «si
possono chiamare correttamente egualitari coloro che, pur non ignorando che gli uomini
sono tanto eguali che diseguali, danno maggiore importanza, per giudicarli, e per
attribuir loro diritti e doveri, a ciò che li rende uguali piuttosto che a ciò che li rende
diseguali; inegualitari, coloro che, partendo dalla stessa constatazione, danno maggiore
importanza, per lo stesso scopo, a ciò che li rende diseguali piuttosto che a ciò che li
rende eguali». In breve, secondo Bobbio, è di sinistra «il popolo di chi ritiene che gli
uomini siano più eguali che diseguali», è di destra «il popolo di chi ritiene che siamo
più diseguali che uguali».
Occorre a questo punto ricordare che la Costituzione italiana ha preso netta posizione a
favore dell'ideale dell'eguaglianza, con una formulazione esemplare che, all'art.3,
dichiara: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
87
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali».
Due mappe politiche. Tenendo conto, da una parte, del diverso atteggiamento rispetto
all'ideale dell'eguaglianza (su cui si fonda la distinzione tra destra e sinistra) e, dall'altra
parte, del diverso atteggiamento rispetto alla libertà (si cui si fonda la distinzione tra
estremisti e moderati), Bobbio traccia questa mappa della politica odierna:
«a) all'estrema sinistra stanno i movimenti insieme egualitari e autoritari, di cui
l'esempio storico più importante, tanto da essere diventato un'astratta categoria
applicabile, ed effettivamente applicata, a periodi e situazioni storiche diverse, è il
giacobinismo;
b) al centro-sinistra, dottrine e movimenti insieme egualitari e libertari, per i quali
potremmo oggi usare l'espressione "socialismo liberale", per comprendervi tutti i partiti
socialdemocratici, pur nelle loro diverse prassi politiche;
c) al centro-destra, dottrine e movimenti insieme libertari e inegualitari, entro cui
rientrano i partiti conservatori, che si distinguono dalle destre reazionarie per la loro
fedeltà al metodo democratico, ma, rispetto all'ideale dell'eguaglianza, si attestano e si
arrestano sull'eguaglianza di fronte alla legge, che implica unicamente il dovere da parte
del giudice di applicare imparzialmente le leggi;
d) all'estrema destra, dottrine e movimenti antiliberali e antiegualitari, di cui credo sia
superfluo indicare esempi storici ben noti come il fascismo e il nazismo».
Una diversa mappa politica, in relazione alla situazione italiana, è stata recentemente
tracciata da Marco Revelli in Le due destre (Bollati Boringhieri, Torino 1996). Secondo
Revelli, «oggi, in Italia, non si assiste affatto a una "normale" competizione tra quelle
che si è soliti considerare una "destra" e una "sinistra"»; «lo spazio politico è occupato,
al contrario, in forma prevalente, da due destre: una destra populista e plebiscitaria
(fascistoide), da un lato, e una destra tecnocratica ed elitaria (liberale) dall'altro. Due
destre in conflitto tra loro sui mezzi, ma per molti versi unificate da un fine comune».
Questo fine è, secondo l'autore, lo smantellamento dello Stato sociale, a beneficio
dell'impresa. Di fronte a questo progetto, la sinistra, secondo Revelli, corre il rischio di
«oscillare tra la subalternità e la resistenza»: da un lato, la subalternità di quella parte
della maggioranza di sinistra che sembra aver fatte proprie le idee della liberaldemocrazia; dall'altro lato, la residualità della minoranza di sinistra che si vede isolata
in un ruolo di pura testimonianza e di "resistenza", nobile ma destinata alla sconfitta.
Non è questa la sede per discutere la tesi di Revelli; ma ci sembra incontestabile la
necessità, da lui sostenuta, di opporsi a un pericoloso modello di "democrazia
totalitaria" che è stato progettato in questi ultimi anni nel laboratorio italiano: «una
democrazia senza diritti, in cui il rapporto in tempo reale con i "gusti" della "gente"
(non più "cittadini" ma, appunto, "consumatori", "clienti") travolge ogni mediazione
giuridica, ogni richiamo a "norme" nell'occasionalismo di un potere plebiscitario {...}.
La "democrazia", in sostanza, propria di un "popolo di servi"».
Bibliografia essenziale
Opere di carattere generale: J.-F. Lyotard, La condizione post-moderna. Rapporto sul potere,
trad. di C. Formenti, Feltrinelli, Milano 1981; G. Vattimo, La fine della modernità, Garzanti,
Milano 1985; F. Jameson, Il postmoderno, o la logica del tardo capitalismo, trad. di S. Velotti,
Garzanti, Milano 1989; R. Ceserani, Raccontare il post-moderno, Bollati Boringhieri 1997.
Sul Post-moderno negli Stati Uniti: AA.VV., Postmoderno e letteratura, a cura di P.
Carravetta e P. Spedicato, Bompiani, Milano 1984; R. Cagliero, Thomas Pynchon e le
integrazioni negate, postfazione a: TH. Pynchon, Un lento apprendistato, Edizioni e/o, Roma
1988; Rocco Capozzi, Il dibattito critico in Nord-America. Il romanzo post-moderno: né
88
nostalgico né meccanico, in Teoria e critica letteraria oggi, a cura di R. Luperini, Franco
Angeli, Milano 1991.
Sul Post-moderno in Italia: M. Ganeri, Postmodernismo, Editrice Bibliografica, Milano 1998
(con bibliografia).
Su Destra e Sinistra in Italia: P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Profilo storico della
democrazia in Italia (1945-1990), Il Mulino, Bologna 1991; P. Ignazi, La politica italiana.
Dizionario critico 1945-1995, Laterza, Roma-Bari 1995; G. Sabbatucci – V. Vidotto (a cura
di), Storia d'Italia, vol. VI, L'Italia contemporanea dal 1963 ad oggi, Laterza, Roma-Bari
1999; M. L. Salvadori, La sinistra nella storia italiana, Laterza, Roma-Bari 1999.
89
SEZIONE QUARTA
LA LINGUA
4.1 Lo stato di salute della lingua italiana
Un dizionario innovativo. La secolare questione della lingua è stata riproposta nel
1999 dalla pubblicazione del Grande Dizionario Italiano dell'Uso, ideato e diretto da
Tullio De Mauro, con la collaborazione di Giulio Lepschy e Edoardo Sanguineti. Si
tratta di un'opera che può essere considerata complementare rispetto al Grande
Dizionario della Lingua Italiana, fondato da Salvatore Battaglia nel 1961 e diretto,
dopo la morte del fondatore, da Giorgio Bárberi Squarotti (nel 2002 è uscito il
ventunesimo e ultimo volume, che fa di quest'opera monumentale il più imponente
dizionario europeo, seguito dall'Oxford English Dictionary, in venti volumi). Mentre il
Battaglia registra quanto è stato vivo nella realtà linguistica dell'italiano del passato, il
De Mauro si riferisce a quanto è rimasto vivo nell'uso linguistico del Novecento
(l'«uso»: un termine caro ad Alessandro Manzoni, che, come è noto, era un accanito
lettore di dizionari).
Anche se esistevano già altri ottimi dizionari della lingua italiana (il glorioso Zingarelli,
il cui archetipo risale al 1922 e la cui più recente edizione, presso Zanichelli, è del
2001); il Devoto-Oli del 1967; il Sabatini-Coletti, del 1997), il Gradit (abbreviazione
dell'opera di De Mauro) è un dizionario fuori del comune, non solo perché è la prima
opera del genere nata su una base di dati tutta informatica, e non solo per il suo
lemmario (316.800 voci, più del triplo di quelle presenti nel Devoto-Oli, circa 102.000
voci), ma soprattutto per le informazioni che ci fornisce sullo stato attuale della lingua
italiana. Si legge nell'Introduzione che oggi «la nostra lingua è attivamente parlata non
più solo da un terzo (come all'alba dell'unità nazionale, per lo più toscani e romani), ma
dal 94 % della popolazione [...], da più del 40% è parlata in modo esclusivo». Non si
tratta solo di estensione dell'uso, ma anche di arricchimento dal punto di vista delle
diverse esigenze espressive: nella Postfazione, si legge infatti che «l'italiano è stato
messo in grado di parlare in modo univoco anche della quotidianità e anche [...] di
tecnologie e di scienze».
Le tabelle presentate nella Postfazione dimostrano che l'italiano si è fortemente
rinnovato nel Novecento («per metà le parole del lessico oggi in uso, una parola su ogni
due, sono figlie del "secolo breve"»); tuttavia, si è mantenuto un nucleo fondamentale
dalle origini molto antiche («quando Dante comincia a scrivere la Commedia il
vocabolario fondamentale è già costituito al 60%. [...] Alla fine del Trecento il
vocabolario fondamentale italiano è configurato e completo al 90 %»). Di grande
interesse è anche la gradazione dell'uso linguistico, registrata nel Gradit: fra i 261.000
lemmi principali, quelli ritenuti fondamentali sono poco più di duemila parole, che
formano da sole il 90 % di tutti i testi scritti e parlati in italiano; un altro 6 % è coperto
dalle parole di alto uso, che sono 2500, mentre altre 2000 parole sono di "alta
disponibilità" (cioè sono usate poco, ma sono capite da tutti). Nell'insieme, i tre gruppi
formano il vocabolario di base: meno di 7000 parole, con le quali si potrebbe dire quasi
tutto.
De Mauro usa parole molto significative e di grande portata quando scrive
nell'Introduzione: «Dopo due millenni si è effettivamente raggiunta la tendenziale
unificazione linguistica delle classi sociali e delle diverse regioni del paese in un grado
pari, anzi superiore a quello che si ebbe durante il pieno impero romano». Si può
dunque parlare dell'italiano come di una lingua unitaria moderna, sostanzialmente
90
interclassista: un italiano di massa, che Pier Paolo Pasolini aveva preannunciato (vedi
Parte XVII, 4.3), ma nella connotazione negativa di una nuova egemonia piccoloborghese sugli strati popolari e sui dialetti. In realtà, quella della riunificazione
linguistica italiana è stata una grande impresa, la cui realizzazione non può essere
attribuita solo alla radio-televisione (certamente un fattore propulsivo di primaria
importanza), ma anche alle possenti trasmigrazioni interne della popolazione e al
potenziale unitario derivato dalle lotte politiche e sindacali. Quanto ai dialetti, essi
continuano a far parte della nostra storia culturale e sociale e sono usati nell'ambito
familiare e nelle espressioni artistiche (poesia, canzoni, spettacolo), ma non possono
svolgere le funzioni ben più complesse di una lingua moderna.
Le conclusioni cui è approdato il dizionario di De Mauro sono state confermate da
recenti statistiche dell'ISTAT (2003), secondo le quali più di nove italiani su dieci
parlano italiano. Si tratta di una conquista di proporzioni storiche: la lingua italiana non
è più un privilegio derivante dall'essere fiorentini o laureati, ma molti altri (la stragrande
maggioranza della popolazione) ne sono divenuti depositari.
Lingua parlata e lingua scritta. Se, dalla lingua parlata, passiamo alla lingua scritta, la
situazione in Italia è molto meno entusiasmante. Nel 2000 alcuni noti intellettuali e
scrittori hanno firmato un manifesto contro l'imbarbarimento della lingua italiana: una
situazione della quale la scuola è in certo modo responsabile. Come osserva De Mauro,
siamo la nazione che a scuola è stata abituata più al "bello stile" che alla chiarezza e alla
proprietà; e sono duri a morire, nella scuola, certi pregiudizi linguistici smentiti dalla
pratica di grandi scrittori (come ad esempio l'uso del "ma" ad inizio di frase,
ingiustamente avversato dall'italiano scolastico). Il fatto è che si scrive male perché si
legge poco. Secondo una recente statistica, solo il 10 % delle famiglie spende in un
anno qualche euro in più per libri non scolastici; e solo il 6 % mette piede in una
biblioteca. Occorrono più libri, più giornali, più scuola secondaria superiore e più corsi
per adulti se vogliamo tenere il passo con i più evoluti Paesi europei. E occorre che gli
intellettuali italiani (politici compresi) evitino nella scrittura gli eccessi opposti dello
specialismo più complicato e della demagogia più sbracata, per farsi comprendere dalla
maggioranza dei loro concittadini. Raggiunta l'unificazione della lingua parlata, occorre
ora raggiungere la più ambiziosa meta dell'unificazione delle scritture, lasciando alle
spalle la tradizione secolare per cui gli intellettuali si rivolgevano, scrivendo, ad un
privilegiato e limitato gruppo sociale che possedeva la chiave del codice-lingua.
4.2 L'italiano nel mondo
Nelle classifiche delle lingue più studiate nel mondo, l'italiano ha occupato il quinto
posto, più del cinese, del giapponese, dell'arabo e, in Europa, più del portoghese o del
russo. Si tratta di un quinto posto che è una eredità del passato: da almeno quattro secoli
l'italiano è tra le cinque lingue europee (con l'inglese, il francese, il tedesco, lo
spagnolo) che hanno meglio rappresentato la civiltà europea nel resto del mondo. Ma da
qualche tempo il prestigio della lingua italiana è molto diminuito. L'italiano è sempre
meno studiato all'estero; e le cattedre dantesche nel mondo si sono ridotte al lumicino.
L'egemonia dell'inglese ha determinato l'arretramento del francese come lingua
privilegiata nei rapporti internazionali, ma una parte consistente dell'Africa è ancora
francofona; il tedesco torna a prevalere nel centro dell'Europa; lo spagnolo resiste e
avanza per la sua dimensione transoceanica e per la sua crescente diffusione anche negli
Stati Uniti. Oggi la popolazione europea che parla l'italiano come lingua straniera è
circa il due per cento, la metà rispetto allo spagnolo. Esiste, dal 1993, una Federazione
europea delle istituzioni linguistiche, con sede a Stoccolma, che raccoglie tutte le
accademie scientifiche della lingua, come in Italia la Crusca. Nell'ambito di questa
91
istituzione, si è dichiarata la necessità di possibili compensi a quelle lingue, tra le 20
parlate nell'Unione Europea, che non vengono usate nelle istituzioni europee. Facendosi
interprete di questa proposta, Francesco Sabatini, presidente dell'Accademia della
Crusca, ha rivolto di recente un invito agli studenti europei, perché imparino, oltre alla
lingua materna, altre due lingue: una per la comunicazione internazionale, come
l'inglese, e una «lingua del cuore», che risponda agli interessi di ciascuno. Un posto di
rilievo, tra le lingue del cuore, dovrebbe essere occupato dall'italiano, necessario per
padroneggiare discipline come l'archeologia, l'arte, la musica, settori come la moda e la
gastronomia, particolari rapporti internazionali (si ricordi che gran parte della classe
dirigente ecclesiastica di tutto il mondo conosce la lingua italiana). A loro volta, gli
Italiani, nell'epoca dell'Unione Europea, debbono conoscere meglio le lingue europee.
Vale la pena ricordare che, come insegnavano Manzoni e Leopardi, per essere buoni
italiani, occorre conoscere le lingue straniere, mantenendo nel contempo un saldo
legame con la lingua madre: il latino.
Bibliografia essenziale
Dizionari: Grande Dizionario Italiano dell'Uso, ideato e diretto da T. De Mauro, 6 voll., con
cd-rom, Utet, Torino 1999; Nuove parole italiane dell'uso del Grande Dizionario Italiano
dell'Uso, con cd-rom, Utet, Torino 2003; Il Sabatini Coletti, Dizionario della lingua italiana
2004, di F. Sabatini e V. Coletti, con cd-rom, Rizzoli-Larousse, Milano 2003; Giacomo
Devoto-Gian Carlo Oli, Il Dizionario della lingua italiana, a cura di L. Serianni e M. Trifone,
Le Monnier, Firenze 2004, con cd-rom; Grande Dizionario della Lingua Italiana, Supplemento
2004, diretto da E. Sanguineti, Utet, Torino 2004.
Saggi: P.V. Mengaldo, Il Novecento, nella collana Storia della lingua italiana, diretta da F.
Bruni, Il Mulino, Bologna 1994; AA.VV., Come parlano gli italiani, a cura di T. De Mauro, La
Nuova Italia, Firenze 1994; L. Serianni, Italiani scritti, Il Mulino, Bologna 2003.
92
SEZIONE QUINTA
I GENERI LETTERARI
5.1 La poesia
5.1.1 Poeti italiani
I maestri del secondo Novecento. I più grandi poeti del secondo Novecento sono,
secondo un consolidato giudizio critico, Mario Luzi (vedi Parte XVII) e Andrea
Zanzotto (vedi 7.4). Il più noto e discusso poeta-profeta del nostro tempo è Pier Paolo
Pasolini (vedi sezione sesta). Tra i poeti che hanno fatto parte della Neoavanguardia, i
più significativi sono Elio Pagliarani (vedi 7.1) e Edoardo Sanguineti (vedi 7.2). Una
grande poetessa è Amelia Rosselli (vedi 7.3). Tra i poeti che si ricollegano alla "linea
lombarda", i più importanti sono Giovanni Giudici (vedi 7.5) e Giovanni Raboni
(vedi 7.6).
I poeti della Neoavanguardia
I novissimi. Nel 1961 vede la luce la prima antologia dei poeti della Neoavanguardia, I
novissimi. Poesie per gli anni sessanta, con i testi di Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani,
Edoardo Sanguineti, Antonio Porta, Nanni Balestrini. Di Sanguineti è la definizione di
«novissimi», cioè degli "ultimi" poeti, che chiudono tutta un'epoca storica, attaccando
clamorosamente l'establishment letterario (cioè gli scrittori di successo del momento) e
aprendo alla letteratura «prospettive apocalittiche».
Antonio Porta. Con Sanguineti, il milanese Antonio Porta (1935-1989) è il poeta più
dotato dei Novissimi, apertosi poi a successive sperimentazioni. Come narratore, ha
pubblicato due romanzi: Partita (1967), storia di una tempestosa relazione coniugale, e
Il re del magazzino (1978), dove è rappresentata la catastrofe della civiltà tecnologica.
Nella poesia di Porta, l'attenzione agli oggetti, tipica della "linea lombarda", si
congiunge con una tensione espressionistica e con un surrealismo «insieme furente ed
elegante» (P. V. Mengaldo). Nel primo tempo della sua produzione (oltre a I rapporti,
Cara, 1969; Metropolis, 1971; Week-end, 1974; e la silloge complessiva Quanto ho da
dirvi. Poesie 1958-1975, 1977), Porta mira alla gelida osservazione di un mondo
crudele e dei suoi «orrori anatomici» (E. Sanguineti). Una svolta è segnata da Passi
passaggi (1980), dove le annotazioni diaristiche rimandano alla vita affettiva
dell'autore, che, in Invasioni (1984), trova espressioni nitide ed esemplari. L'ultima
raccolta, Il giardiniere contro il becchino (1988), è una grande metafora della vittoria
della poesia sul tempo e sulla morte (forse, un presagio della fine imminente). Dopo
Melusina (1988), Porta h pubblicato Il giardiniere contro il becchino (1988), che si
chiude con un autentico capolavoro, Airone. Testimonianza postuma dell'estrema
vitalità del poeta è Yellow (2002).
Alfredo Giuliani. Poeta e critico, nato a Mombaroccio (Pesaro) nel 1924, Alfredo
Giuliani si è imposto come teorico della Neoavanguardia con la presentazione
dell'antologia I Novissimi. Provenendo da un'esperienza post-ermetica (Il cuore zoppo,
1955), ha poi approfondito la lezione di Eliot, volgendosi a una poetica "oggettiva", che
registra impassibilmente la frattura insanabile tra l'individuo e il mondo e la perdita di
identità dell'intellettuale. Il tentativo di «far diventare i pensieri visibili come cose»
caratterizza la prima raccolta, Povera Juliet e altre poesie (1965). Sono seguite le
93
raccolte Il tautofono (1969) e Chi l'avrebbe detto (1973), oltre alla raccolta di prose Il
giovane Max (1972), caratterizzata dall'audace funambolismo della lingua. In Versi e
non versi (1986), Giuliani ha riannodato i suoi percorsi linguistici in prosa e in versi,
dagli anni Cinquanta alla produzione più recente.
Nanni Balestrini. Nato a Milano nel 1935, Nanni Balestrini ha avuto costanti rapporti
con l'industria editoriale ed è stato tra i promotori del Gruppo 63 e poi militante della
sinistra extra-parlamentare. I suoi primi versi (raccolti in Poesie pratiche 1954-1969,
1976) rivelano, nella fedeltà a una metrica dadaista, una provocatoria novità di tecniche,
fino all'uso straniante del computer, con un conseguente approdo al nonsense. La
celebrazione del vitalismo anarcoide caratterizza il romanzo Vogliamo tutto (1971),
imperniato sull'"autunno caldo" del 1969 alla Fiat. Una raccolta di collages,
confezionati con il linguaggio dei giornali, è La violenza illustrata (1976, nuova ed.
2001) e un'allegoria della rivoluzione, tra polemica e sberleffo, è Le ballate della
signorina Richmond (1978, nuova ed. 2001). Una spietata ironia caratterizza Il pubblico
del labirinto (1992). Una antologia è Tutto in una volta (2003). Di notevole rilievo è il
romanzo Gli invisibili (1987), ripensamento del movimento del 1977, testimonianza di
un irrazionalismo aggressivo e vitalistico, capovoltosi in masochismo autodistruttivo.
Balestrini ha pubblicato inoltre L'editore (1989), saggio-poesia-romanzo sulla tragica
morte (1971) di Giangiacomo Feltrinelli, I furiosi (1994), Una mattina mi son svegliato
(1996) e, di recente, Sandokan (2004), una storia di guerre tra malavitosi.
Altri poeti. Più o meno direttamente si collegano alla Neoavanguardia alcuni poeti. Il
bolognese Giuliano Gramigna (1920), critico letterario e studioso dei rapporti tra
letteratura e psicoanalisi, ha pubblicato raccolte di versi dominate dalle tematiche del
sogno (L'interpretazione di sogni, 1978); (Es-o-Es, 1980) e della vecchiaia (Coro,
1989). Tra i suoi romanzi, spicca La festa del centenario (1989), che, dietro il gioco
letterario di dotte citazioni e di raffinati crittogrammi, nasconde un grumo di angoscia
esistenziale.
Adriano Spatola, nato a Sapjane (Jugoslavia) nel 1941 e morto a Parma nel 1988, ha
esordito nella scia dei Novissimi con L'ebreo negro (1966) una raccolta di versi lunghi,
strutturati in ossessive sonorità ritmiche. Fondatore delle riviste «Tam Tam» e
«Boabab» (la prima audiorivista di poesia in Italia), si è imposto come uno dei più
rilevanti autori di poesia visiva (o visuale), cioè della poesia che si propone
l'ampliamento semantico del linguaggio poetico mediante la ricerca di nuovi materiali
espressivi, tipici delle altre arti. La novità di Spatola consiste nella trasposizione in
poesia delle tecniche della pop art e nella definizione di "apoesia" da lui data alla sua
produzione, dichiaratamente antilirica. Tra le sue raccolte: Diversi accorgimenti (1975),
La composizione del testo (1978), La piegatura del foglio (1983).
Ha fatto parte del Gruppo 63 e del Gruppo 70 il fiorentino Lamberto Pignotti (1920), il
cui nome è legato alle esperienze di poesia visiva, acustica, filmica. Si è affermato come
teorico della "poesia tecnologica", basato sull'utilizzazione del linguaggio dell'industria
della scienza, della pubblicità e dei mezzi di comunicazione. Tra le sue opere si segnala
il poemetto Il campo dei miracoli (1976), riscrittura di Pinocchio in chiave di satira
sociopolitica, e In principio (1986), gustosa parodia di celebri stilemi della tradizione
lirica.
Antesignano della Neoavanguardia, ma del tutto eccentrico è il milanese Emilio Villa
(1914-2003), una figura atipica della cultura italiana, protagonista di un'avventura
linguistica che forse non tollera termini di paragone nel Novecento italiano. Dotato di
una sterminata cultura, autore di versi in latino, in greco antico, in francese, cultore di
lingue morte come il sumero, l'assiro, l'ugaritico, il fenicio, si è dedicato alla versione
integrale della Bibbia, da lui considerata, senza filtri religiosi, come un grande
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repertorio letterario della cultura occidentale. Splendida è la sua traduzione dell'Odissea
(1954). Studioso di cose d'arte (Attributi dell'arte odierna, 1969), compagno di strada di
grandi artisti (i romani Mafai, Scialoja e Consagra, poi Burri e Fontana, Rothko e
Pollock), Villa ha rotto le divisioni tra le arti (di qui la difficoltà di collocazione della
sua produzione). Nel 1947 Villa pubblica la raccolta di versi Oramai, con il sottotitolo
Pezzi, composizioni, antifone; seguono lo straordinario poemetto Sì, ma lentamente
(1954) e le Diciassette variazioni (1955). Sceglie poi il latino e il francese come lingue
poetiche privilegiate. Del 2000 è l'antologia Zodiaco. In condizioni economiche
disagiate, Villa si è autoemarginato fino alla morte in solitudine nel 2003.
Se Villa è un precursore, il palermitano Edoardo Cacciatore (1912-1996) è un solitario
ispiratore della Neoavanguardia. Vissuto a Roma fin dall'infanzia, Cacciatore è rimasto
a lungo misconosciuto, fino alla rivalutazione della sua poesia e alla recente
pubblicazione di Tutte le poesie (2003). Poeta e filosofo, Cacciatore si è richiamato al
grande modello dantesco e alla tradizione della poesia filosofica meridionale, da
Giordano Bruno a Tommaso Campanella, celebrando, in versi di oscura e affascinante
tensione intellettuale, il tema dell'energia dell'universo, rispecchiata nel labirinto della
mente umana. L'unione dell'estremo rigore formale con una astrusità intellettuale ai
limiti dell'enigma caratterizza anche la raccolta Lo specchio e la trottola (1960), dove si
ripercorre l'itinerario dell'uomo dalla perdita dell'Essere alla scoperta dell'Esistere,
facendo ricorso allo specchio apollineo e alla trottola, emblema (come già in Clemente
Rèbora) della vorticosa inafferrabilità del reale. Cacciatore è anche autore di due opere
filosofiche, L'identificazione intera (1951) una sorta di saggio-romanzo, e Itto Itto
(1994), una magmatica indagine sui meccanismi del pensiero.
I poeti della «linea lombarda»
Definizione ed esponenti. Nel 1952 Luciano Anceschi riunisce sotto l'etichetta di
«linea lombarda» un gruppo di poeti, lombardi o operanti a Milano, tra i quali Vittorio
Sereni (vedi Parte XVII, 6.1.2), Giorgio Orelli, Luciano Erba, Nelo Risi. Elementi
comuni del gruppo sono, secondo Anceschi, la fedeltà alla poetica dell’“oggetto” in
luogo del culto ermetico della “parola”, il riferimento alla linea Pascoli-GozzanoMontale, il legame con la tradizione lombarda, rappresentata nel primo Novecento
soprattutto da Clemente Rebora. Di un secondo tempo della «linea lombarda» fanno
parte, tra gli altri, Giancarlo Majorino e Giovanni Raboni. Vicino ai poeti della linea
lombarda è il ligure Giovanni Giudici.
Lo svizzero Giorgio Orelli (nato ad Airolo, nell'Alto Ticino, nel 1921) è stato allievo,
a Friburgo, di Gianfranco Contini, che lo ha definito «il migliore poeta svizzero di
lingua italiana». Nei suoi versi si avverte la lezione del Montale dei Mottetti.
Coltissimo, Orelli ricorre spesso, nei propri testi, a citazioni dantesche, petrarchesche e
di altri classici. Ciò non gli impedisce di celebrare il fascino della sua piccola patria
ticinese: dal mondo montanaro delle origini egli ricava un ricco erbario e bestiario, cui
si aggiunge una folla di personaggi chiamati familiarmente per nome. Dopo L'ora del
tempo (1962), ha pubblicato Sinopie (1977). In Spiracoli (1989), l'adozione del verso
lungo diviene vera e propria inclinazione al racconto in versi.
Nato a Milano nel 1922, Luciano Erba è stato docente di letteratura francese. Si è
messo in luce come poeta negli anni Cinquanta, con versi di raffinata eleganza, in cui
cerca, sulle orme di un mondo perduto e delle memorie d'infanzia, un rifugio
dall'assurdità della civiltà consumistica. In Linea K (1951) la lettera assente nel nostro
alfabeto è il simbolo di una realtà inesistente, mentre Il bel paese (1955) allude
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ironicamente a una Lombardia perduta. Deliziose sono alcune poesie raccolte in Il male
minore (1960), dove i personaggi sono designati con i loro capi di vestiario. Poeta
disimpegnato ed evasivo, con atteggiamenti da "svagato" (in un componimento dice,
citando Rimbaud, di avere «la vita / perduta per disattenzione»), Erba ha rivelato nelle
raccolte più recenti (Il cerchio aperto, 1983; L'ippopotamo, 1989; L'ipotesi circense,
1995) una tensione religiosa di carattere cosmico e una grazia intensamente visionaria,
che cela la crisi dolorosa della nostra epoca. L'intera opera in versi di Erba è stata
raccolta in Poesie 1951-2001 (2002).
Nato a Milano nel 1920, Nelo Risi si è laureato in medicina, ma non ha mai esercitato la
professione per dedicarsi, oltre che alla letteratura, al cinema. In L'esperienza (1948), ha
rievocato la propria partecipazione alla campagna di Russia. Nelle raccolte successive
(Polso teso, 1956; Pensieri elementari, 1961; Dentro la sostanza, 1965; Di certe cose,
1970), l'impegno civile di Risi, volto alla demistificazione dei miti della civiltà
massificata, è espresso in un fraseggio montaliano, con un timbro morale che ha la sua
lontana matrice nelle ascendenze illuministiche e pariniane. Con Amica, mia nemica
(1975, un titolo che si riferisce alla vita), Risi ha abbandonato lo stile aforistico per una
poesia più colloquiale, tendente al racconto. Dopo I fabbricanti del bello (1983),
raccolta di ritratti di artisti e poeti, Risi ha pubblicato Le risonanze (1987): il titolo
allude non solo alle voci che risuonano nel clima convulso di oggi, ma anche all'eco
nostalgica del passato e alle altre "risonanze" fantasmatiche dell'interiorità del poeta.
Tra le sue raccolte più recenti, ricordiamo Mutazioni (1991).
Nato a Milano nel 1928, Giancarlo Majorino è stato impiegato di banca e si è poi
dedicato all'insegnamento. Ha esordito con un racconto in versi, La capitale del Nord
(1959), una "storia in versi", ispirata a un estroso neopopulismo, sullo sfondo della
Milano dell'incipiente "miracolo" economico. Dopo Lotte secondarie (1967), Majorino
ha pubblicato Equilibrio in pezzi (1971), la cui figura centrale è quella, tra grottesca e
comica, di un insegnante impegnato nella contestazione. Dopo Sirena (1976), un
canzoniere d'amore, e dopo Provvisorio (1984), dove la frantumazione del linguaggio
intende riprodurre la crisi degli anni Settanta, le ultime raccolte di Majorino (Testi
sparsi, 1988; La solitudine e gli altri, 1990) segnano un ritorno al privato, con una
preferenza accordata al corpo e all'eros come motivi privilegiati di poesia.
Voci poetiche femminili
Accanto ad Amelia Rosselli (vedi 7.1), sono da ricordare altre voci femminili tra le più
suggestive e forti del Novecento: Cristina Campo, Maria Luisa Spaziani, Alda Merini.
Scrittrice solitaria e ascetica, la bolognese Cristina Campo (pseudonimo di Vittoria
Guerrini, 1924-1977) ha dovuto attendere a lungo per trovare i suoi lettori e, dopo la
morte, è diventata un personaggio di culto. Folgorante fu per la Campo la scoperta della
pensatrice francese Simone Weil, che la indusse a passare dall'originaria inclinazione
estetizzante ai problemi della salvezza e del destino. Determinante fu anche il sodalizio
con Elémire Zolla, accanto al quale visse gli ultimi anni di vita, in uno scambio di
illuminazione reciproca. L'esiguità della sua produzione letteraria si spiega con
l'inesausta ricerca del sublime, cui la scrittrice si dedicò con mistica dedizione. Da tale
rigore nasce una scrittura caratterizzata dallo splendore abbagliante dello stile,
dall'esattezza geometrica della frase, dalla limpida concentrazione di concetti e di
immagini. Tra furia e dolcezza, tra ombrosa sensibilità e mistica sensualità oscillano i
versi della Campo, raccolti in Passo d'addio (1964) e nei postumi Diario bizantino
(1977) e Tigre Assenza (1991). La letteratura come energia dello spirito e la cultura
come sapere mistico-iniziatico informano le sue prose, da Fiaba e mistero (1962) a Il
flauto e il tappeto (1971) e al volume postumo Gli imperdonabili (1987).
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La torinese Maria Luisa Spaziani (1924-2014), studiosa di letteratura francese, ha
esordito come poetessa con Le acque del sabato (1954) e con Primavera a Parigi
(1954), dove la tematica ermetica e montaliana è riproposta alla luce di una personale
interpretazione delle tendenze della lirica europea d'avanguardia. Le raccolte successive
(Luna lombarda, 1959; Il gong, 1962; Utilità della memoria, 1966; L'occhio del
ciclone, 1970) sono meno condizionate dalle varie scuole letterarie e più dense di
metafore, tendendo a un onirismo visionario e a una lettura in chiave orfica della realtà
e del mondo interiore. In seguito (Transito con catene, 1977; Geometria del disordine,
1981), la Spaziani ha espresso la propria immediatezza emotiva in una poesia di
carattere diaristico, quasi narrativo. Un recupero di elementi narrativi caratterizza anche
la raccolta La stella del libero arbitrio (1986), dominata dalla dialettica tra necessità e
scelta, tra ironia critica e trasfigurazione fantastica. Del 1990 è Giovanna d'Arco, un
"romanzo popolare" in ottave, scritto in una lingua piana e scorrevole, con un ritmo
incalzante. Tra le ultime raccolte, si segnalano Donne in amore (1992), colloqui
immaginari con le poetesse predilette, e I fasti dell'ortica (1996), dal titolo ossimorico.
Appartata è la produzione poetica della milanese Alda Merini (1931-2009). La Merini
ha iniziato a comporre liriche fin dall'infanzia; intorno ai vent'anni, era già esperta dei
segreti dell'arte poetica, come testimonia la sua prima raccolta, Presenza di Orfeo
(1953). È poi intervenuta la dolorosa esperienza del manicomio, in cui la Merini è stata
più volte ricoverata: ma l'incontro con la follia e con i folli (prediletti da Dio secondo la
poetessa) non solo non ha estinto la voce del canto, ma l'ha resa ancora più intensa,
come risulta dai versi di La terra santa (1984): luogo biblico-simbolico, la "terra santa"
è il manicomio, inteso non solo come istituzione, ma come metafora della realtà
esistenziale; ed è proprio nelle metafore, di una straordinaria carica emotiva, che è da
ricercare la novità della poesia della Merini. Dopo Fogli bianchi (1987), la poetessa ha
pubblicato Testamento (1988), «uno dei più bei libri di poesia degli ultimi quarant'anni»
(G. Raboni), dove una scrittura istintiva e violenta si concilia con l'uso ricercato della
parola. Le raccolte più recenti sono Vuoto d'amore (1991), Ballate non pagate (1995) e
Corpo d'amore (2001). In prosa, la Merini ha pubblicato L'altra verità. Diario di una
diversa (1986), un diario mite e tremendo, dove la parola è impegnata «nella
ricognizione dell'inferno» (G. Manganelli). Altre pagine di diario sono raccolte in
Delirio amoroso (1989), racconto pacatamente ossessivo di un grande amore troncato
dalla follia e dalla morte, sullo sfondo di un Sud tra incubo e mito. Altre opere in prosa
sono La pazza della porta accanto (1995) e La vita facile (raccolta di aforismi, 1996).
La poesia in dialetto
Nel secondo Novecento si è verificato un rilancio della poesia in dialetto, cui hanno
contribuito anche Pier Paolo Pasolini (vedi sezione sesta) e Andrea Zanzotto. (vedi 7.4).
Alcuni poeti considerano il dialetto come la lingua poetica per eccellenza, ancora
immune dalla corrosione prodotta sulla lingua italiana dall'enorme diffusione dei mass
media; altri, invece, considerano più modestamente il dialetto come la migliore
espressione di una più concreta adesione ad una determinata realtà locale.
Poeti lombardi. Non solo un poeta in dialetto, ma «la personalità poetica più potente
degli ultimi anni» è, secondo P. V. Mengaldo, Franco Loi, milanese d'adozione. Nato a
Genova nel 1930 da padre sardo e madre emiliana, Loi si trasferì a Milano, con la
famiglia, quando aveva appena sette anni. Militante nelle file del Partito comunista, dal
1962 ha fatto parte della nuova sinistra. Dopo aver lavorato all'ufficio di pubblicità della
Rinascente, si è dedicato al lavoro editoriale. Vive a Milano.
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La poesia in dialetto di Loi nasce tardi, a partire dal 1965, e solo nel 1971 vedono la
luce, su «Nuovi Argomenti», le prime liriche in milanese. Si tratta di un dialetto molto
lontano dal meneghino di Carlo Porta: è un dialetto in cui si amalgamano le parlate dei
proletari milanesi e degli immigrati della campagna lombarda. Non mancano, inoltre,
contaminazioni dell'italiano più illustre, del latino e delle lingue straniere, e termini del
tutto inventati: ne esce una parlata veemente, di ricchezza strabiliante e di estrema
«violenza espressionistica» (D. Isella), percorsa da suggestioni anarchiche e da un gusto
del grottesco che rinvia a Delio Tessa.
Dopo I cart (Le carte, 1973) e Poesie d'amore (1974), Loi ha pubblicato il suo
capolavoro, Stròlegh (Astrologo, 1975). Si tratta di un poema definito dall'autore
«visione in quarantadue passaggi»: un poema visionario, dunque, ma volto nel
contempo a decifrare il passato in vista del futuro (vi è ripercorsa la storia
dell'Occidente nei suoi momenti centrali, dalla rivoluzione francese alla Comune e alla
rivoluzione russa). Tra le raccolte successive (Teater, 1978; L'aria, 1981; L'angel,
1981, completato nel 1994; Lünn {Il ponte}, 1982; Bach, 1986; Umber 1992), spicca
Liber (1988), nel cui titolo confluiscono due significati omologhi in milanese e in
dialetto, "libro" e "libero": la raccolta dà voce, infatti, al popolo milanese che imprecava
in dialetto e pregava in latino nelle cantine-rifugio al tempo dell'oppressione nazista.
Tra le raccolte successive: Arbur (1994), Verna (1997) Amur del temp (1999). In Isman
(2002), Loi ha evocato una Milano immersa in una nebbia bianca, che copre le strade e
«j òmen fent» (uomini finti), una versione milanese degli uomini impagliati di Eliot e un
simbolo della crisi del nostro tempo.
Un'altra voce della poesia dialettale lombarda è quella di Franca Grisoni (nata a
Sirmione), autodidatta, che ha scritto in sirmionese i libri di poesia La böba
(letteralmente "L'upupa", in senso figurato, "La stupida", 1986) e El so che té se te ("Lo
so che sei tu", 1988).
I poeti romagnoli. Il maggiore poeta in dialetto romagnolo è Antonio Guerra, nato a
Sant'Arcangelo di Romagna nel 1920. Il suo nome è legato anche al cinema: intensa è la
sua operosità di sceneggiatore, collaboratore di grandi registi, tra i quali Antonioni e
Fellini. La sua produzione letteraria è in prevalenza narrativa (La storia di Fortunato,
1952; Dopo i leoni, 1956; I cento uccelli, 1974; I guardatori della luna, 1981; La
pioggia tiepida, 1984 ; Il vecchio con un piede in Oriente, 1990); ma la fama maggiore
gli è venuta dalla produzione nel dialetto natìo: una poesia aderente alla materialità
della terra romagnola, gremita di oggetti, di animali, di personaggi piegati da un carico
di sofferenza e dalla ripetitività di una vita senza scopo e senza luce di speranza.
L'esordio poetico di Guerra è segnato da I scarabócc (1946), dove memorabile è
l'apparizione di uno dei tanti personaggi stralunati dell'autore, Silvio il matto. La prima
fase della produzione di Guerra è raccolta in I bu (I buoi, 1972, con presentazione di G.
Contini). Una nuova fase prende avvio nel 1981 con E' mél (Il miele), che forma una
trilogia con le raccolte successive, La capana (La capanna, 1985) e E' viàz (Il viaggio,
1986): quest'ultimo è un poema di struttura picaresca, che narra il viaggio di una coppia
di ottantenni verso il mare, metafora della vita e della morte. Frequenti spunti comici
insaporiscono la raccolta L' órt ad Liséo (L'orto d'Eliseo, 1989).
A Sant'Arcangelo di Romagna sono nati anche Raffaello Baldini e Nino Pedretti. Tema
dominante della produzione di Raffaello Baldini (1924-2005) è il destino di dolore ed
emarginazione di umili personaggi, che costituiscono «l'incarnazione in destini separati
di un'unica angoscia esistenziale a cui il poeta presta la sua voce» (D. Isella). Dopo
l'esordio di E' solitèri (Il solitario, 1976), Baldini ha pubblicato La nàiva (La neve,
1982). Uno spietato e amaro realismo prevale nella terza raccolta, Furistìr (Forestiero,
1988, premio Viareggio). Alla quarta raccolta, Ad nòta (Di notte, 1995) è stato
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assegnato il Premio Bagutta. Tre monologhi teatrali sono usciti nel 1998: Carta canta,
Zitti tutti!, In fondo a destra). Del 2003 è Intercity.
Nino Pedretti (1923-81) si è servito del dialetto come di una «lingua di sofferenza, di
dolore e di rabbia» per rappresentare il dramma quotidiano delle classi oppresse (Al
vòusi, Le voci, 1975; Te fugh de mi paèis, Nei fuochi del mio paese, 1977; La chèsa de
témp, La casa del tempo, 1981).
Poeti delle isole. Un poeta siciliano, le cui poesie dialettali sono state tradotte in diverse
lingue, è Ignazio Buttitta (1899-1997). Autodidatta, profondamente radicato nella
cultura popolare siciliana, ha affrontato in chiave epica il grave fenomeno della mafia
(La morti di Turiiddi Carnivali, 1956) e ha trasferito in versi una popolare leggenda
siciliana (Colapesce, 1986). Tra le altre raccolte: Lu pani si chiama pani (1954), La
peddi nova ("La pelle nuova", 1963), Pietre nere (1983).
Il sassarese Ignazio Delogu (nato nel 1928) ha insegnato letteratura spagnola
all'università di Bari. Traduttore e curatore di numerose opere di autori spagnoli e
ispano-americani, autore di versi in italiano (Specchio vegetale, 1980), compone poesie
in dialetto sardo, molto apprezzate dalla critica per la ricerca di valori fonici e iconici,
nella scia di un'illustre tradizione poetica del Novecento, dal dadaismo al surrealismo.
Poeti italiani d'oggi
Il ritorno alla poesia. Dopo la fine della Neoavanguardia, si verifica, a partire dagli
anni Settanta, un vistoso ritorno alla poesia, che coincide con un ritorno al privato. Si
tratta di un fenomeno ambiguo: da una parte la nuova poesia ha successo, essendo
accolta come una nuova forma di liberazione dell’io, ma, dall'altra parte, si acquista
consapevolezza della marginalità della poesia e, più in generale, della letteratura nella
società del nostro tempo. La poesia non è più intesa come una forma di contestazione
del linguaggio borghese, ma, più semplicemente, come linguaggio del vissuto. I giovani
poeti - scrive Alfonso Berardinelli - «non si sentono più né vittime né ribelli». La
definizione del nuovo "io poetico" è il tema centrale dei poeti post-sessantotteschi, che
si orientano verso due tendenze divergenti: una parte minoritaria di essi vuole
riaffermare la superiorità del linguaggio poetico, dando vita a una corrente "neo-orfica"
o "neo-ermetica"; in maggioranza, invece, i giovani poeti non intendono la poesia come
affermazione di valori superiori, ma come offerta di una comunicazione legata al
vissuto di chi scrive, al suo ambiente, al suo mondo emotivo.
Le antologie di poesia. Uno strumento fondamentale, sia in senso istituzionale
(stabilire volta per volta il canone dei poeti più significativi) sia in senso militante
(lanciare nuove poetiche e nuovi autori) è stato, nell'ultimo scorcio del Novecento,
l'antologia di poesia (un altro indispensabile strumento sono le riviste di poesia, la più
illustre delle quali è la milanese «Poesia», mensile internazionale fondato e diretto da
Nicola Crocetti). Nel 1975 appare Il pubblico della poesia (ripubblicata nel 2004 con il
sottotitolo dumasiano Trent'anni dopo), una antologia curata da Alfonso Berardinelli e
Franco Cordelli, dove confluiscono le tendenze più disparate, accomunate soltanto
dall'esigenza di nuove direzioni di ricerca dopo l'esperienza neoavanguardistica. Diversa
è la finalità dell’antologia pubblicata nel 1978, La parola innamorata, a cura di Enzo Di
Mauro e Giancarlo Pontiggia, che tende a rintracciare un comune denominatore poetico,
pur nella diversità di estrazione ideologica e di formazione letteraria dei diciassette
autori antologizzati.
Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, si verifica un nuovo
incremento nella ricerca poetica. Ne sono testimonianza diverse antologie: Poesia
italiana della contraddizione, a cura di Franco Cavallo e Mario Lunetta (1989), che
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indica appunto nella categoria della contraddizione l'impulso primario a scrivere versi;
il Quaderno di "Invenzioni" (1989), a cura di Giorgio Patrizi, di impianto decisamente
critico contro la tendenza "postmoderna"; Terza ondata (1993), a cura di Filippo Bettini
e Roberto di Marco, che si propone di promuovere una terza fase delle avanguardie
novecentesche dopo quelle storiche e quelle degli anni Sessanta; quest'ultima proposta
delinea un'area comune di discussione tra il Gruppo 93 (un titolo in assonanza con il
Gruppo 63 di trent'anni prima), nato nel 1990 per iniziativa di Filippo Bettini e
Francesco Muzzioli. L'intento è quello di affrontare criticamente, senza
demonizzazioni, le tematiche del postmoderno e di fare riferimento ad un materialismo
ideologico e alla categoria dell'allegoria elaborata da Walter Benjamin. Del 1995 è
l'antologia Poeti italiani del secondo Novecento, curata da Maurizio Cucchi e Stefano
Giovanardi.
Negli ultimi anni del Novecento appare, presso Bompiani, una nuova collana di poesia,
diretta da Aldo Nove, esponente dei cosiddetti “cannibali”. La più recente antologia è
La poesia italiana oggi (2004), a cura di Giorgio Manacorda, che antologizza
quarantuno poeti.
La linea neo-orfica. Il maggiore esponente della tendenza neo-orfica, che rivendica il
valore alto e sublime della poesia, è Giuseppe Conte (nato a Porto Maurizio, Imperia,
nel 1945). Conte si è imposto come poeta con L'ultimo aprile bianco (1979), una
raccolta pervasa dall'adorazione panica per la natura. In L'oceano e il ragazzo (1983),
Conte prende lo spunto dal mito per ricercare, con «lo stupore delle origini» (I.
Calvino), la presenza della preistoria nel mondo d'oggi, e per ripercorrere a ritroso il
cammino dalle proliferanti metropoli ai luoghi di un affascinante passato. Il recupero
della natura e del mito come temi costitutivi dell'arte è al centro anche delle raccolte Le
stagioni (1988) e Dialogo del poeta e del messaggero (1992).
Su posizioni affini a quelle di Conte è Roberto Mussapi (nato a Cuneo nel 1952),
studioso del romanticismo inglese e, in particolare, di Coleridge; tra le sue raccolte: La
gravità del cielo (1984), Luce frontale (1987), Gita meridiana (1990), Voci dal buio
(1992), La polvere e il fuoco (1997). Un poema è Antartide (2000).
Milo De Angelis (nato a Milano nel 1951) ha fondato e diretto dal 1977 al 1980
«Niebo» (in polacco, "cielo"), una rivista di tendenza neo-orfica. La sua prima raccolta,
Somiglianze (1976), per l'ispirazione visionaria che la pervade, rimanda alla poesia di
Campana e di Rimbaud. Ha poi pubblicato le raccolte Millimetri (1983), dove un
lacerante turbamento esistenziale si placa nel rigore dell'elaborazione formale, e Terra
del viso (1985), dove l'angoscia di assoluto si concretizza nel ricorrere di personaggi
mitico-familiari e di figure di "grandi amici", tra i quali Franco Fortini. Nella raccolta
Distante un padre (1989), frammenti di realtà si mescolano a evocazioni liriche e a
vertigini surreali, mentre, nei versi dedicati alla "madre monferrina", il dialetto si
affianca alla lingua come strumento di conoscenza.
I poeti milanesi. Il nucleo più folto dei nuovi poeti opera a Milano, dove ancora viva è
la lezione di Vittorio Sereni e dove ha operato Giovanni Raboni. Elenchiamo questi
poeti secondo l'ordine cronologico, a partire dalla data del loro libro d'esordio.
Tiziano Rossi, nato a Milano nel 1935, lavora come consulente di una casa editrice.
Nella sua produzione, si ricongiunge al "secondo tempo" della linea lombarda e alla
poesia di Sereni. Le sue prime raccolte (Il cominciamondo, 1964, La talpa imperfetta,
1968) si risolvono in una radiografia della vita quotidiana, descritta nella precarietà dei
suoi piccoli drammi. Nelle raccolte successive (Dallo sdrucciolare al rialzarsi, 1976;
Quasi costellazione, 1982, Miele e no, 1988), prevale la descrizione della metropoli
alienante e disumanizzata, contro la quale il poeta erige la barriera di una razionalità
illuministica non priva di punte mordaci e sarcastiche.
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Cesare Viviani, nato a Siena nel 1947, a Milano dal 1972, si è dedicato a studi di
psicoanalisi. Dopo una fase sperimentale (L'ostrabismo cara, 1973; Piumana, 1977),
dove si avverte l'influsso dell'avanguardia dadaista nel proposito di demolizione della
tradizione linguistica, ha inaugurato una maniera più comunicativa con L'amore delle
parti (1981), il cui titolo teatrale annuncia l'immersione dell'io poetico nel gioco di
"maschere" diverse. In Merisi (1986), il cui titolo si riferisce al vero cognome del
Caravaggio, un'aspirazione alla naturalezza si mescola all'ambiguità e al mistero e la
situazione narrativa si intreccia con una tendenza onirica. In Preghiera del nome (1990),
Viviani esprime una vocazione al poema, inteso come mosaico descrittivo di frammenti
narrativi: tale aspirazione si realizza in L'opera lasciata sola (1993), poema in otto
parti. Nella raccolta Silenzio dell'universo (2000), alla "figurazione" si sostituisce la
"visione", nel quadro del triangolo mistico «Creatore-Amore-Cuore». Un romanzo in
versi è La forma della vita (2005).
Maurizio Cucchi è nato a Milano nel 1945. Si è rivelato con un libro di versi dal titolo
kafkiano, Il disperso (1976), centrato sulla figura di uno scomparso, evocato dall'io
lirico, tra gli oggetti lasciati prima della sparizione. Nella raccolta successiva, Le
meraviglie dell'acqua (1980), Cucchi conferma le sue doti di poeta dell'impercettibile, i
cui versi oscillano tra la minuta precisione del catalogo e un allucinato monologo
interiore. Nella terza raccolta, Donna del gioco (1987), che include anche il precedente
poemetto narrativo Glenn, (1982), si intensifica l'apertura al racconto che è propria della
poesia di Cucchi. In Poesia della fonte (1993), suggestiva è l'evocazione dei quartieri
della periferia milanese, che configurano un itinerario della memoria. Nel 1999 Cucchi
ha pubblicato L'ultimo viaggio di Glenn.
Giampiero Neri (pseudonimo di Giampiero Pontiggia), nato a Erba nel 1927, è stato
per anni impiegato di banca. Nella preferenza accordata al "poemetto in prosa", si è
ispirato al Rimbaud delle Illuminazioni. Una tendenza all'apologo caratterizza i suoi
versi, che colgono quasi al rallentatore i più minuziosi aspetti della vita reale,
ingenerando l'equivoco di una semplicità del testo, che invece nasconde, dietro la
precisione delle parole, risvolti ambigui e significati arcani. Il suo primo volume,
L'aspetto occidentale del vestito (1976), delinea un singolare bestiario, dove animali
domestici dal comportamento strano si alternano a insetti "intelligenti" e a uccelli
selvatici che sono insieme perseguitati e persecutori. Dopo Liceo (1986), ha pubblicato
Dallo stesso luogo (1992), un titolo leopardiano, che allude all'immobilità della storia e
al prevalere delle illusioni nella vita dell'uomo. Del 1998 è Teatro naturale.
Tomaso Kemeny, nato a Budapest nel 1939, insegna letteratura anglosassone
all'università di Pavia. Nel suo libro d'esordio, Il guanto del sicario (1976), la matrice
surrealista si mescola con l'ammirazione per i poeti della beat generation, con effetti
funambolici (l'io lirico è un idraulico di rubinetti in preda a visioni oniriche). Più
astratte e oscure, fino al limite del nonsense, sono le liriche di Qualità di tempo (1981) e
di Recitativi in rosso porpora (1989). Nella raccolta Libro dell'Angelo (1991)
l'immagine femminile è trascritta in simboli mistici, secondo un ideale di bellezza
"neoclassica". Del 1998 è Melody.
Angelo Lumelli, nato a Momperone (Alessandria) nel 1944, ha trascorso molti anni a
Milano. Ha esordito con Cosa bella cosa (1977), il cui protagonista ha «i piedi per terra
e la testa in fiamme»; lo stile è «fermo e discorsivo» (A. Porta) e vivissima è l'attenzione
verso gli oggetti. Più astratti sono gli esiti della raccolta Trattatello incostante (1980),
mentre un viaggio commosso e struggente nei trascorsi anni Settanta è Bambina teoria
(1990).
Rosita Copioli, nata a Riccione nel 1948, ha diretto negli anni Ottanta la rivista «L'altro
versante» e si è occupata di Leopardi e di Yeats. Ha esordito con una raccolta dal titolo
101
lucreziano, Splendida lumina solis (1979, «libro di immaginazioni fluenti, di giardini
rigogliosi e di favole antiche» (G. Pontiggia). Tra le altre raccolte: Furore delle rose
(1989), Elena (1996).
Vivien Lamarque, nata a Tesero (Trento) nel 1946, vive e insegna a Milano. Si è
imposta con il suo stile di fiabesca leggerezza e con il suo tono epigrammatico
nell'opera di esordio, Teresino (1981), un'elegia dell'infanzia, a proposito della quale
Vittorio Sereni ha parlato di «intelligenza del cuore». Idealmente legata a poeti come la
Dickinson e Sandro Penna, ha celebrato in versi l'amore per la vita in Il signore d'oro
(1986), dove un grumo di sofferenza esistenziale si cela in un discorso limpido e
sommesso, che ha spesso la cadenza della cantilena e l'incisività del proverbio. La storia
di una tenace resistenza alla terapia, già presente nella raccolta precedente, si trasforma
in serrato dialogo con uno psicoanalista in Poesie dando del lei (1989), che rivelano, nel
tono più dolente, il distacco dal mondo dell'infanzia e il tentativo di esorcizzare angosce
e incubi. Le sue raccolte più recenti sono: Il libro delle ninne nanne (1989), Il signore
degli spaventati (1992) e Una quieta polvere (1996). Un libro di fiabe è La bambina
che mangiava i lupi (1992).
Patrizia Valduga, nata a Castelfranco Veneto nel 1953, milanese di adozione, ha
diretto la rivista «Poesia». Nel suo libro d'esordio, Medicamenta (1982), ha riutilizzato
in modo personale le forme della tradizione (il sonetto, l'endecasillabo, la terza rima)
per dare voce a un erotismo barocco, con richiami alla poesia del Tasso, di G. B.
Marino, di G. Lubrano, di J. Donne, e con particolare accentuazione dei motivi della
notte e della morte. Il gusto della necrofilia si congiunge a una notevole forza visionaria
in Tentazione (1985), dieci canti in terzine dantesche dove le citazioni di versi altrui si
amalgamano con l'invenzione in proprio, in un linguaggio "alto", che non disdegna
tuttavia l'inserto colloquiale e l'infrazione plebea. In Donna di dolori (1991), l'erotismo
si attenua nell'estenuazione di un corpo incapace di sensazioni e nella percezione di una
realtà putrefatta e corrotta. Un diario di memorie dolorose dedicate al padre è Requiem
(1994). Un monologo teatrale in versi è Corsia degli incurabili (1996). Tra le ultime
raccolte: Cento quartine (1997), Quartine. Seconda centuria (2001).
Ermanno Krumm, nato a Somma Lombardo nel 1942, ha pubblicato Le cahier de
Monique Charmay (1987): una "poesia di pensiero", che ha i suoi modelli nel tedesco
Paul Celan, nel russo Osip E. Mandel'stam e negli italiani Montale, Fortini, Zanzotto.
Un'altra sua raccolta è Novecento (1992).
Tra i poeti dell'Alta Italia, va ricordato anche Gregorio Scalise (nato nel 1939),
residente a Bologna, autore di raccolte molto apprezzate, espressione significativa delle
tendenze della poesia italiana dopo la Neoavanguardia: A capo (1966), I segni ((1975),
La resistenza dell'aria (1982), Gli artisti (1986), Danny Rose (1989).
I poeti romani. L'altro centro di poesia, dopo Milano, è Roma, dove si guarda alla
lezione di maestri come Penna, Caproni e Bertolucci (romano di adozione); ma notevole
è anche l'influsso di Pier Paolo Pasolini e di Amelia Rosselli. Un evento di grande
risonanza spettacolare è stato il festival dei poeti tenutosi nella spiaggia di
Castelporziano nell'estate 1979.
Toti Scialoja (1914-1998), poeta e pittore, è stato direttore dell'Accademia di Belle Arti
di Roma. Come poeta, ha aderito al Gruppo 63. In bilico tra senso e nonsense, Scialoja
adopera la parola con virtuosismo senza limiti, sfidando le più ardue possibilità
combinatorie e riscoprendo la poesia come favola linguistica. Ha illustrato egli stesso i
suoi libri per l'infanzia. Tra le sue raccolte: I segni della corda (1952), Amato topino
caro (1971), La zanzara senza rete (1974); Una vespa! Che spavento! (1975), La stanza
la stizza l'astuzia (1976), Scarse serpi (1984), La mela d'Amleto (1984), Serracapriola
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(1985), Tre lievi levrieri (1985), Le sillabe della Sibilla (1987), Versi del senso perso
(1990), I violini del diluvio (1991).
Gianni Toti (nato a Roma nel 1924) ha esordito con il libro di versi L'uomo scritto
(1966), che muove dall'esigenza di ritrascrivere la storia dell'uomo nella misura di uno
spazio e di un tempo liberati. La tecnica del "metalinguaggio", consistente nell'isolare le
singole parole, riproducendole nella più ampia gamma delle loro combinazioni e dei
loro significati, è stata sperimentata da Toti in raccolte poetiche stimolanti fin dalla
novità dei titoli: Penultime dell'al di qua (1969), Tre ucronie della coscienza infelice
(1970), Chiamiamola poemetanoia (1974), Cuor di Telema (1984), Squeez-ZanghesiZaoom (1986). Un libro di racconti e apologhi è I meno lunghi o più corti racconti del
futuremoto (2004).
Dario Bellezza, nato a Roma nel 1944, è morto di Aids, a Roma, il 31 marzo 1996. Nel
libro di esordio di Bellezza, Invettive e licenze (1971), presentato da P. P. Pasolini, è
evidente quella volontà di autodistruzione che caratterizzerà anche i suoi romanzi
(Lettera da Sodoma, 1972; Il carnefice, 1973; Angelo, 1979; Turbamento, 1984;
L'amore felice, 1986; Patto col diavolo, 1995). In Morte segreta (1976), nel raccontare
la fine dell'adolescenza e la vocazione alla morte, il poeta mescola l'ingenuità e
l'artificio, il basso e il sublime, il masochismo e la violenza. Nella raccolta Io (1983),
Bellezza sostiene, con arroganza e candore, le ragioni della propria "diversità" di
omosessuale. Con Serpenta (1987), Bellezza si è confermato come il più baudelairiano
dei poeti italiani d'oggi. Del 1990 è Libro di poesia, una raccolta caratterizzata da un
discorso colloquiale, talora prosaico, ma percorso da un'alta tensione morale e dalla
lacerazione interiore tra il sublime e l'ignobile, tra eros e politica, tra corpo e anima. Le
ultime raccolte sono Testamento di sangue (1992), L'avversario (1994) e Proclama sul
fascino (1996). Da ricordare, infine, la biografia-saggio Morte di Pasolini (1981).
Mario Lunetta, nato a Roma nel 1934, è noto non solo come poeta, ma anche come
narratore e come critico letterario. Ha esordito con La tradizione di Jarry (1972), cui ha
fatto seguito Chez Giacometti (1979). Intensissima è stata la sua attività di poeta negli
anni Ottanta (Morsure, 1982; Flea Market, 1983; La torre dell'ammiragliato, 1985;
Cadavre exquis, 1985; Autoritratto con acrostici, 1987; In abisso, 1988; Panopticon,
1990).
Valentino Zeichen, nato a Fiume nel 1938, ha esordito con Area di rigore (1974), una
raccolta di poesie il cui tono provocatorio, fino ai limiti dello sberleffo e del calembour,
rimanda a Laforgue e a Palazzeschi. La sua vena gnomica ed epigrammatica, insaporita
da motivi comici e paradossali, tende a cogliere la banalità della vita quotidiana,
rivelandone gli aspetti più assurdi. L'amore e la guerra sono i principali motivi di
ispirazione delle raccolte successive: Ricreazione (1979), Pagine di gloria (1983),
Museo interiore (1987), Gibilterra (1991), Metafisica tascabile (1998), Ogni cosa a
ogni cosa ha detto addio (2000).
Patrizia Cavalli, nata a Todi nel 1947, vive a Roma. Nella sua produzione, si è ispirata
a una lunghissima tradizione romana, dal lontano Marziale al vicino Sandro Penna,
mettendo in risalto il proprio io lirico e il proprio spazio poetico, coincidente con «l'io
singolare proprio me». Eloquente e ironico è il titolo della sua prima raccolta, Le mie
poesie non cambieranno il mondo (1974), cui sono seguite le raccolte Il cielo (1981) e
Poesie 1974-1992 (1992).
Bianca Maria Frabotta, nata a Roma nel 1946, è una studiosa del movimento
femminista. Nella sua prima raccolta, Affeminta (1976), ha trasposto in un complesso
sistema di metafore la conflittualità con il mondo maschilista. Una gioiosa creatività
anima le poesie di Il rumore bianco (1982). Una celebrazione del nomadismo, come
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espressione di vitalità, pervade le raccolte Appunti di volo (1985) e La viandanza
(1995).
Iolanda Insana, nata a Messina nel 1937, vive a Roma. Ha esordito tardivamente con
Sciarra amara (1977), in cui spicca la ricerca lessicale, in direzione del parlato e del
dialetto siciliano, ma anche dell'antica poesia aulica. Dopo Fendenti fonici (1982), ha
pubblicato La clausura (1987), in cui si impone, fin dal titolo, un senso di limitazione e
di oppressione. Di poesia viscerale e labirintica, non senza una teatralità da "opera dei
pupi", si è parlato anche per la sua terza raccolta, Medicina carnale (1994).
Valerio Magrelli è nato a Roma nel 1957. Apprezzato francesista, ha tradotto Verlaine,
Mallarmé, Valéry. Si è affermato come poeta con Ora serrata retinae (1980), un libro
di ispirazione pacata e assorta, caratterizzato da un verseggiare geometrico, preciso,
ricco di metafore, di analogie, di similitudini (si è parlato, per questi versi, di luminosità
morandiana, limpida ed esatta). Domina, nella raccolta, la riflessione del poeta sul senso
della propria scrittura. Una maggiore tensione si avverte nella raccolta successiva,
Nature e venature (1987), dove il poeta ricerca tracce di bellezza nel mondo inanimato
e negli oggetti quotidiani, montalianamente contemplati come talismani. In Esercizi di
tipologia (1992), prevale la tendenza a inserti prosastici e diaristici. Una più spiccata
tendenza narrativa caratterizza la raccolta più recente, Poesie e altre poesie (1996).
Magrelli ha dedicato un saggio a Paul Valéry (Vedersi vedersi, 2002) e ha raccolto le
sue prose nel volume Nel condominio di carne (2003).
Pietro Ingrao, nato a Lenola (Latina) nel 1915, morto a Roma nel 2015, è stato un
carismatico dirigente del Partito Comunista Italiano; studioso dei problemi dello Stato,
ha ricoperto la carica di presidente della Camera dei deputati. In età avanzata, ha
raccolto le sue poesie nel volumetto Il dubbio dei vincitori (1986), nella cui poesia
eponima ha sintetizzato epigrammaticamente il senso della storia: L'indicibile dei vinti.
/ Il dubbio dei vincitori.
Beppe Salvia, nato a Roma nel 1954, è morto suicida nel 1985. Ha pubblicato alcune
sue poesie nella rivista «Braci» e in altre riviste letterarie. Il suo libro più importante,
apparso postumo, è Cuore, dove ha espresso una disperazione che non esclude la
felicità e il sereno apprezzamento della bellezza delle cose. Postume sono apparse anche
le altre due raccolte, Estate e Elemosine. L'antologia I begli occhi del ladro (2004) ha
rivelato «una voce poetica tra le più raffinate, inventive, sorprendenti degli ultimi
decenni» (E. Trevi).
Claudio Damiani, nato a San Giovanni Rotondo nel 1957, vive a Roma. Come Salvia,
ha collaborato alla rivista «Braci». Fa parte, con Gabriella Sica (nata nel 1950) e
Gisella Pontesilli (nata nel 1955), di una scuola poetica di ritorno ai classici, che guarda
in particolare ai poeti latini dell'età dell'oro (Virgilio, Orazio, Tibullo). Tra le sue
raccolte: Fraturno (1987), La via a Fraturno (1992), La mia casa (1994), La miniera
(1997), Eroi (2000).
Altri poeti. A Napoli è attivo Franco Cavallo (nato nel 1929), organizzatore culturale,
fondatore della rivista «Altri termini» e autore di numerosi volumi di versi (Rien ne va
plus, 1974; Zigurrat e Frammentazioni, 1978; L'anno del Capricorno, 1985: Blues del
Mar Rosso, 1998), nei quali «un surrealismo rivisitato con vena ironica e grottesca è
piegato alla polemica contro i luoghi comuni della cultura di massa» (G. Patrizi).
Collaboratori di «Altri termini», poi della rivista milanese «Baldus», sono i poeti
napoletani Mariano Baino (nato nel 1953), Lello Voce (nato nel 1957), Biagio
Cepollaro (nato nel 1959). Napoletano è anche Gabriele Frasca (nato nel 1957), che,
nelle raccolte Rame (1984) e Lime (1995), si è ricollegato ai modelli classici,
riproponendo una forma impervia come la sestina. Alla scuola napoletana si richiama
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infine Tommaso Ottonieri (nato nel 1958), poeta e critico, autore di Elegia sanremese
(1998), di tono tra espressionistico e surrealista, tra parodico e ludico.
A Genova, un altro gruppo poetico si è raccolto, dal 1989, intorno alla rivista «Altri
luoghi»: ne fanno parte, tra gli altri, Marco Berisso (nato nel 1964), dotato di un
singolare funambolismo metrico, Marcello Frixione (nato nel 1960), autore di Diottrie
(1991), dove si passa disinvoltamente dal linguaggio alto a quello kitsch, in una sorta di
stralunato barocco, e Paolo Gentiluomo (nato nel 1964), autore di Catalogo (1998),
che ruota ossessivamente intorno al tema corpo-cibo.
A Firenze è vissuto il pisano Gianfranco Ciabatti (1936-1995), autore di versi di
ispirazione politica, i cui modelli sono quelli di Brecht e di Fortini (Preavvisi al reo,
1985; Niente di personale, 1989; Prima persona plurale, 1998; In corpore vili, post.,
1998).
Un poeta marchigiano è Gianni D'Elia (nato a Pesaro nel 1953): animatore della rivista
«Lengua», si è imposto all'attenzione della critica con la raccolta di versi Febbraio
(1985), ritratto poetico di una generazione disillusa e frustrata. Nella raccolta
successiva, Segreta (1989), il bisogno di una chiarezza razionale si scontra con
l'oscurità della metafora poetica, nella quale si riflette l'indecifrabilità dell'esistenza.
Un'altra raccolta di D'Elia è Notte privata (1993).
Isolata è l'esperienza poetica di un altro poeta marchigiano, Eugenio De Signoribus,
nato a Cupra Marittima (Ascoli Piceno) nel 1947. Sensibile alla lezione di Zanzotto e di
Giudici, e, tra i poeti stranieri, di Celan, De Signoribus è stato indicato da Giorgio
Agamben come «forse il più grande poeta civile della sua generazione». Nelle sue
raccolte poetiche (Case perdute, 1985, Altre educazioni, 1989), De Signoribus unisce
una gentile malinconia a una vigorosa passione, in uno stile di alto livello, che mostra
attenzione ai linguaggi riemergenti, dai dialetti alle parlate extracomunitarie. Con Istmi
e chiuse (1996) si inaugura un nuovo percorso poetico di De Signoribus, che culmina in
Principio del giorno (2000): al centro è la figura dell'esiliato, del "senza casa". Agli
«spatriati», ai «tenenti nulla», «cacciati da sabbie non più nostre, / avanti come pietre, in
strette lingue e morte», il poeta marchigiano rivolge il suo appello («confiteor in te,
popolo futuro»). Accogliendo la lezione dell'ultimo Caproni, ma scegliendo anche come
modello la poesia di Paolo Volponi (vedi sezione nona), De Signoribus dà prova di una
«strepitosa creatività lessicale, prolifica di neologismi, mistioni lingua-dialetto, audaci
suffissazioni e desinenze incondite, figure etimologiche, ecc.» (A. Cortellessa). Il suo
Principio del giorno può essere considerato un intenso e splendido addio al Novecento.
Bibliografia essenziale
F. Brevini, Le parole perdute. Dialetti e poesia nel nostro secolo, Einaudi, Torino 1990; I.
Vincentini, Colloqui sulla poesia. Le ultime tendenze, Nuova ERI, Torino 1991; P. V.
Mengaldo, La tradizione del Novecento, III serie, Einaudi, Torino 1991; N. Lorenzini, Il
presente della poesia, 1960-1990, Il Mulino, Bologna 1991; Gruppo 93. Le tendenze attuali
della poesia e della narrativa, a cura di A. G. D'Oria, Manni, Lecce 1992; A. Berardinelli, La
poesia verso la prosa, Bollati Boringhieri, Torino 1994; V. Bagnoli, Contemporanea. La
nuova poesia italiana verso il Duemila, Esedra, Padova 1996 ; G. Patrizi, Vent'anni di poesia:
1960-1980, in Storia Generale della Letteratura Italiana, a cura di N. Borsellino e W. Pedullà,
vol. XV, Federico Motta Editore - Gruppo Editoriale L'Espresso, Milano 2004 ; Id., La ricerca
poetica negli anni Ottanta e Novanta, vol. XVI, ivi; Poeti italiani del secondo Novecento, a
cura di M. Cucchi e S. Giovanardi, Oscar Classici moderni Mondadori, Milano 2004;
Nuovissima poesia italiana, a cura di M. Cucchi e A. Riccardi, Piccola Biblioteca Oscar
Mondadori, Milano 2004.
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5.1.2 Poeti europei e americani
La produzione in lingua inglese
Alle tendenze "apocalittiche" diffusesi nella poesia inglese, sulla scìa della lirica di
Thomas (vedi Parte XVI, sezione quinta), reagì, negli anni Cinquanta-Sessanta, il
cosiddetto "Movement", che privilegiò il nitore formale e la chiarezza espressiva.
Caposcuola del movimento fu Philip Larkin (1922-1985), che rispecchiò nella sua
produzione, con tono dimesso e crepuscolare, l'atmosfera grigia e scialba delle periferie
industriali e la condizione disincantata dell'uomo contemporaneo. La desolazione della
vita urbana è contemplata da questo «maestro dell'ordinario» (come lo ha definito
Dereck Walcott), con amaro disincanto, in versi che, nel loro ritmo sincopato, risentono
della musica jazz (della quale Larkin è autorevole studioso). La sua più nota raccolta è
Alte finestre (1974), una riflessione poetica sulla vecchiaia, in cui Larkin tocca vertici di
assoluto lirismo.
Certe angustie provinciali del "Movement" sono superate da poeti come Thom Gunn
(nato nel 1929), che ha voluto riaccostare la poesia alla realtà, affermando la necessità e
la bellezza dello sforzo di volontà che conduce all'azione. Trasferitosi negli Stati Uniti,
Gunn ha scritto versi improntati ad una gioiosa vitalità, raccolti in Il passaggio della
gioia (1982). In L'uomo dai sudori notturni (1992), Gunn ha affrontato senza reticenze
il tema della propria omosessualità.
Un poeta tenebroso è Ted Hughes (1930-1998), la cui produzione è caratterizzata
dall'affollarsi di immagini cupe, espressione della brutalità dell'esistenza naturale e
sociale. Cantore degli istinti repressi dalla società tecnologica, ha descritto un universo
affollato di animali da preda (Lo sparviero nella pioggia, 1957); ha poi creato la figura
di Corvo, un personaggio intermedio tra uomini e animali, protagonista di una poesia
sospesa tra realtà e onirismo (Corvo, 1970). Nel 1984 è stato nominato "poeta laureato"
dalla regina Elisabetta II. Alla moglie Sylvia Plath, morta suicida dopo la rottura del
matrimonio, ha dedicato, dopo un lungo silenzio, il diario postumo Lettere di
compleanno (1999), una splendida e magistrale autobiografia in versi.
Nel gruppo dei poeti irlandesi spicca Seamus Heaney (nato nel 1939), una delle voci
più rappresentative della poesia contemporanea. Nel 1995 ha ottenuto il Premio Nobel
per la letteratura. Cresciuto in una piccola fattoria di campagna, ha trasposto nella sua
poesia il ricordo della dura fatica contadina, privilegiando, fin dal suo primo libro
(Morte di un naturalista, 1966), la metafora del digger (scavatore), cui si aggiungerà
poi quella del "fabbro". Influenzato dalla poesia di Hughes, Heaney ha scelto come tema
dominante della sua lirica l'attrazione della terra, considerata come deposito di memorie
e di tradizioni. Una bruegheliana galleria di figure legate a mestieri d'altri tempi sfila
nella produzione poetica di Heaney, che, negli scavi archeologici, trova il "correlativo
oggettivo" del suo "scavo" di poeta. Un altro tema privilegiato è quello del rapporto tra
arte e violenza, imposto dall'esplosione del conflitto nell'Ulster. Una caratteristica della
poesia di Heaney è il suo interesse verso espressioni letterarie lontane nel tempo e nello
spazio, come quelle della poesia russa del Novecento (da Pasternack alla Cvetaeva),
della poesia polacca contemporanea (specie di Milosz) e della poesia di Dante: la
raccolta Lavorare nel campo (1979) si conclude con il ricordo dell'episodio dantesco del
conte Ugolino, e la raccolta L'isola delle stazioni (1984) si configura come un
"Purgatorio" dell'uomo contemporaneo, che percorre le stazioni della Via Crucis. Tra le
sue raccolte più recenti, si ricorda Vedere le cose (1991).
Altri poeti irlandesi sono Thomas Kinsella (nato nel 1928) e John Montague (nato nel
1929). Kinsella si è imposto con la raccolta Un altro settembre (1958), in cui ha rivelato
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le sue doti di sperimentatore e di poeta visionario, dal linguaggio forte ed enigmatico.
Nel 1972, con la raccolta La dozzina del macellaio, ha preso posizione contro la politica
inglese in Irlanda del Nord. Una delle sue ultime raccolte è Luoghi personali (1990). Un
irlandese del Nord, direttamente impegnato nella lotta per l'indipendenza politica, è
Montague, che ha studiato negli Stati Uniti, dove è venuto a contatto con A. Ginsberg.
Le sue poesie si sono talmente imposte all'attenzione internazionale che il critico
statunitense Harold Bloom lo ha inserito fra gli autori del "canone occidentale".
Influenzato dal pensiero di Jung, Montague ha trasposto in una ideale mitologia le
proprie matrici irlandesi e ha accentuato la componente erotica della propria lirica. Tra
le sue raccolte: Forme dell'esilio (1958), Maree (1970), Il grande mantello (1978), Il
regno dei morti (1984), Sull'amore (1993), Fracassando il piano (1999).
La maggiore voce poetica australiana del Novecento è quella di Judith Wright (19152000). Discendente da un'antica famiglia di pionieri, ha rielaborato poeticamente il mito
del pionierismo, evocando intensamente gli immensi spazi australiani e le imprese dei
suoi antenati, ma impegnandosi anche in favore dei diritti degli aborigeni. Una
trasfigurazione lirica del paesaggio rurale pervade la sua prima raccolta, La toccante
immagine (1946). La celebrazione dell'amore in una audace prospettiva femminile
anima le poesie di Donna e Uomo (1949). Le successive raccolte sono dedicate al tema
del trascorrere del tempo (I due fuochi, 1953) e alla dura condanna degli aspetti più
brutali della vita quotidiana (Collected Poems, 1971). Tra le sue ultime raccolte:
Dimora fantasma (1985) e Un tracciato umano (1991).
Il poeta australiano contemporaneo più noto a livello internazionale è oggi Leslie A.
Murray (nato nel 1938). Celebratore del bush (il paesaggio rurale australiano), è autore
di Freddy Nettuno, uno sterminato romanzo in versi, grazie al quale ha vinto il Premio
Mondello 2004: è l'epopea di un marinaio-contadino che attraversa i grandi drammi
storici del Novecento, salvandosi infine nel ritorno all'intatta bellezza della natura
australiana. Della sua poesia sofisticata e complessa, paragonabile per facilità verbale
solo a quella di Auden, è testimonianza l'antologia Un arcobaleno perfettamente
normale, pubblicata di recente (2004), in traduzione italiana, da Adelphi.
Il Premio Nobel 1992 è stato assegnato al poeta caraibico di lingua inglese Derek
Walcott (nato nel 1930 nell'isola di St. Lucia), la cui produzione esprime, in versi di
solare energia e vitalità, la bellezza del paesaggio tropicale. Conseguita la laurea in
Giamaica, Walcott si è trasferito a Trinidad e ha poi studiato teatro a New York. È
autore di una trentina di drammi, due dei quali sono stati pubblicati in traduzione
italiana da Adelphi con i titoli Ti-Jean e i suoi fratelli - Sogno sul monte della scimmia.
Ha debuttato come poeta a 25 anni, ma ha rivelato il suo talento soprattutto con In una
verde notte (1962), cui sono seguite numerose raccolte, tra cui The Bounty (1997, Prima
luce nella traduzione italiana del 2001). Ma la sua opera più famosa è Omeros (1990,
trad. it. di A. Molesini, Adelphi 2003), un poema di 8000 versi, i cui protagonisti,
pescatori e contadini delle Antille dai nomi classici (Achille, Ettore, Elena, Filottete),
lottano e amano, vivono e muoiono come nei poemi omerici. Walcott trascorre nei suoi
versi dalla storia antica al colonialismo, da Melville a Joyce, dalla Troia antica alla
Londra di oggi. Il vero protagonista del poema di Walcott è il paesaggio dei Caraibi,
circondato dall'oceano infinito e illuminato da una luce abbagliante. La bellezza della
natura è contrapposta dal poeta alle violenze della storia; contrario al multiculturalismo
che divide, Walcott sostiene che la poesia deve appropriarsi della grande tradizione, da
Omero a Shakespeare, da Dante a Montale. Nel 2000 Walcott ha pubblicato Tiepolo's
Hound, un'opera in cui si combinano armonicamente distici e acquarelli, poesia e
pittura, nella splendida luce caraibica.
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Come si è già accennato, è morta suicida la poetessa statunitense Sylvia Plath (19321963). Al momento del suicidio, aveva pubblicato solo un libro di versi, Il colosso
(1960), ispirato alla figura del padre, morto quando la Plath aveva appena dieci anni, e
inoltre un romanzo destinato a divenire un "libro di culto" del femminismo negli anni
Settanta, La campana di vetro (1963), ritratto di una ragazza tesa al successo, vittima
dei pregiudizi della società americana. Attraverso le poesie raccolte postume in
Attraversando l'acqua e Alberi invernali, il verso della poetessa perde di aulicità a
favore di una maggiore colloquialità, che diventa vertiginosa nella raccolta più famosa,
Ariel (post., 1965): lo spiritello shakespeariano non è più per la Plath aria, ma fuoco
impetuoso, simbolo di una torva e splendente vendetta contro ogni forma di repressione
patriarcale e sociale. Il ritmo scattante, parlato, fitto di allusioni e richiami fonetici
interni e proiettato su orizzonti ampi di immagini, ha dato fama mondiale alla poesia
della Plath, per la quale si è parlato di riscoperta del gotico. I versi della Plath sono stati
tradotti in italiano con i titoli Lady Lazarus (1976) e Le muse inquietanti (1985).
Il più importante poeta statunitense del nostro tempo è John Ashbery (nato nel 1927),
esponente dei New York Poets. Sensibile all'influsso della poetica di Gertrude Stein, ma
anche all'eredità del surrealismo francese, Ashbery adotta un linguaggio oscuro, irto di
metafore e di ellissi, eversivo rispetto alle norme della sintassi, ma di grande
suggestione nella contrapposizione tra una natura vergine e incontaminata e un
distruttivo consumismo tecnologico. Dopo le prime opere, raccolte in Poesie scelte
(1967), Ashbery ha pubblicato due poemetti di straordinaria suggestione, Fantasia on
"The Nut-Brown Maid" (incluso in Houseboat Days, 1975), un incalzante dialogo tra un
uomo e una donna su avvenimenti che spaziano dal presente alla fine del mondo, e
Autoritratto in uno specchio convesso (1975), paradossale profilo autoironico
dell'autore, che si risolve in un itinerario metafisico della mente e in uno scandaglio dei
molteplici linguaggi della nostra epoca, con effetti polifonici che ricordano la poesia di
T. S. Eliot. Tra le altre raccolte: Treni d'ombra (1981), Galeone d'aprile (1987), Hotel
Lautréamont (1992), Chinese Whispers: poems (2002).
Un altro poeta della Scuola di New York è Kenneth Koch (1925-2002), che ha esordito
con Aria fresca (1955), contestazione dei più significativi poeti moderni, e si è imposto
con Ko, o una stagione sulla terra (1959), un titolo tratto da Rimbaud: si tratta di un
romanzo dell'assurdo in versi, i cui modelli parodiati sono Ariosto e Byron. Dell'arte
informale risente il poemetto Quando il sole cerca di continuare (1960). Delizioso è il
suo libro per bambini Desideri sogni bugie (1980).
Sono infine da ricordare i poeti della beat generation: Allen Ginsberg (vedi sezione
ottava), Lawrence Ferlinghetti (nato nel 1919) e Gregory Corso (1930-2001). Di
origine italiana, Ferlinghetti ha fondato a San Francisco la libreria-casa editrice City
Lights Book, punto di riferimento della "San Francisco Renaissance". La sua raccolta
Coney Island della mente (1958) ha avuto enorme successo tra le giovani generazioni.
Organizzatore di marce per la pace e di manifestazioni contro la bomba atomica,
Ferlinghetti, come poeta, sa evitare le insidie del facile populismo e della demagogia: la
polemica sociale è in lui sostenuta da una notevole intensità lirica, sulla quale hanno
esercitato un influsso sensibile la poesia francese da J. Prévert a R. Queneau e il grande
modello di W. Whitman. Tra le altre raccolte di versi, sono da ricordare Il senso segreto
delle cose (1969), Vite senza fine: poesie scelte (1981), in cui si è ispirato alla tradizione
indiana dei mantra (le forme rituali indiane), Questi sono i miei fiumi: nuove poesie
scelte (1993).
Figlio di immigrati italiani, Gregory Corso visse una giovinezza disordinata, passando
dalla clinica psichiatrica al carcere per furti. Grande giocoliere di parole, si affermò
come poeta con Benzina (1958), cui seguirono il poema La bomba (1958) e il romanzo
108
American Express (1961). Nella sua opera si alternano momenti di rivolta a improvvisi
e laceranti desideri di ritorno alle cose semplici, comuni.
In Francia e nell'area francofona
Il massimo poeta francese vivente è forse Yves Bonnefoy (nato nel 1923). Terminati gli
studi di matematica e filosofia a Parigi, ha soggiornato a lungo in America, in
Giappone, in India, oltre che in vari paesi europei. Le sue raccolte (Anti-Platone, 1947;
Movimento e immobilità di Douve, 1953; Ieri regnante deserto, 1958; Pietra scritta,
1965; Nell'illusione del sole, 1975) sono l'espressione di una concezione poetica
rigorosa ed essenziale, secondo cui è compito della poesia rappresentare le difficoltà e
gli sconvolgimenti della vita. Si tratta quindi di una poesia drammatica, in lacerante
conflitto con una realtà imperfetta e mutevole, frutto di un continuo impegno del poeta
per non estraniarsi dai problemi del proprio tempo. Nelle raccolte più recenti (Poesie,
1987; Racconti in sogno, 1992; La vita errante, 1993), Bonnefoy compie un importante
tentativo di conciliazione fra il sensibile e l'intelligibile. Poemetti in prosa sono
L'entroterra (1972), dove sono descritte le suggestioni liriche del paesaggio italiano, e
Strada trasversale (1977).
Nell'area francofona, una delle personalità di maggiore spicco sia sul piano politico sia
sul piano letterario è stata quella del senegalese Léopold Sédar Senghor (1906-2001).
Formatosi a Parigi, Senghor divenne professore di letteratura francese e poi Accademico
di Francia. Ministro di De Gaulle (1959), nel 1960, quando il Senegal divenne
indipendente, fu eletto presidente della repubblica, carica che lasciò volontariamente nel
1980. Negli anni Trenta Senghor aveva fondato il movimento della négritude, volto al
recupero dell'identità africana. Un'antologia di poesia nera e malgascia (1948), curata da
Senghor, fu resa celebre dalla prefazione di Sartre, dal titolo Orfeo Nero. Il sogno di
Senghor era l'incontro tra i grandi insiemi culturali: il filone giudaico-cristiano, quello
arabo-islamico e quello nero-africano. Tra le sue raccolte di poesia: Canti d'ombra
(1945), Ostie nere (1948), Etiopiche (1956), Notturni (1961).
L'altro poeta della négritude, con Senghor, è il martiricano Aimé Cesaire (nato nel
1913). Manifesto della negritudine (termine coniato da Cesaire) è il poemetto Diario di
un ritorno al paese natale (1943), d'ispirazione surrealista, che ha avuto grande
influenza nella poesia nera moderna. Tra le altre raccolte: La tragedia del re Cristophe
(1968), Una stagione al Congo (1966, ispirata alla tragica vicenda del leader congolese
Lumumba), Io lamierista (1982), La Poesia (1994).
Un poeta egiziano di espressione francese è Edmond Jabés (1912-1991), che
dall'esperienza del deserto egiziano ha tratto una serie di parole ossessive, come la
“ferita” (inferta all'umanità ad Auschwitz), l’“assenza” di Dio, l'“oceano” (il deserto che
si è fatto mare, nel quale noi siamo come un'isola). I suoi versi giovanili sono raccolti in
Costruisco la mia casa (1959). Le sue opere maggiori sono Il libro delle interrogazioni
(1985) e Il libro delle somiglianze (1976-90). Negli ultimi anni ha pubblicato Dal
deserto al libro (1990), Il suolo, la sabbia (1991), Il libro dell'ospitalità (1991).
Una delle grandi figure della poesia di lingua francese è lo svizzero Philippe Jaccottet
(nato nel 1925), al quale l'università di Milano ha dedicato nel 1996 un convegno
internazionale: i suoi versi presentano, sotto una forma classica e raffinata,
un'ispirazione tipicamente neo-romantica (immagini di paesaggi lunari, di distese
nevose, di case nascoste in fondo a boschi secolari ecc.), con una sensibilità finissima,
che richiama per taluni aspetti Rainer Maria Rilke (una delle sue raccolte più recenti è
intitolata Pensieri sulle nuvole, 1983).
109
In Germania
Nella poesia tedesca, spicca anzitutto il nome di Hans Magnus Enzensberger (nato nel
1929). Uno dei maggiori esponenti del Gruppo 47, Enzensberger ha fondato nel 1965
«Kursbuch» (Orario Ferroviario), una delle maggiori riviste letterarie europee, e, nel
1980, «Transatlantik». Le sue prime raccolte (Difesa dei lupi, 1957; Lingua del paese,
1961; Scrittura braille, 1964) risentono della lezione di Brecht: in esse, frasi della
lingua corrente, slogan pubblicitari, citazioni dotte e termini gergali sono mescolati in
un abilissimo impasto letterario, teso a smascherare pregiudizi e luoghi comuni. Voltosi
alla tematica politico-sociale, ha scritto numerosi saggi e il romanzo La breve estate
dell'anarchia (1973). Tornato alla poesia, ha pubblicato Mausoleum. Trentasette ballate
tratte dalla storia del progresso (1975). Il suo capolavoro è L'affondamento del Titanic
(1978), uno splendido poema di struttura dantesca (in 33 canti, col sottotitolo
"Commedia"), dove la vicenda di un manoscritto perduto a Cuba sulla tragedia del
"Titanic" è la metafora della fine delle grandi utopie liberatrici. Uno sconsolato e
sarcastico congedo dagli anni Settanta è la raccolta poetica La furia della caducità
(1980), ritratto lirico-satirico di una Germania del benessere angosciata dalla paura del
futuro. Del 1983 è una nuova raccolta di versi, Die Gedichte; e del 1988 è il libro di
viaggio Ah, Europa! Clamore e polemiche ha suscitato la raccolta di saggi Mediocrità e
follia (1989), soprattutto per la definizione della televisione come "mezzo zero",
strumento che nega la conoscenza autentica e crea una nuova mediocrità di massa. Nel
1997 Enzensberger ha pubblicato Il mago dei numeri, un libro di matematica per
bambini che è diventato un fortunato bestseller per adulti. Le sue opere più recenti sono
un libretto per i giovani, Se la poesia dà sui nervi, piccolo corso per lettori stressati
(2003), il cui intento è quello di «salvare la poesia dalla scuola», e Gli elisir della
scienza (2004), una serie di poesie e saggi che coprono l'intero arco delle discipline
scientifiche.
Del Gruppo 47 ha fatto parte anche l'austriaca Ingeborg Bachmann (1926-1973),
considerata la più significativa poetessa di lingua tedesca del secondo Novecento. Nelle
sue prime raccolte poetiche (Il tempo prorogato, 1953; Invocazione dell'Orsa
Maggiore, 1956) domina il contrasto tra luce e tenebre, tra ragione e mito, tra la
negatività del tempo e della morte e la positività dell’amore e della vita: lo stile è
improntato a una sobria compostezza, aliena da funambolismi verbali, ma vivacizzato
dall'uso sapiente e preciso della metafora. Un volume di splendidi racconti è Il
trentesimo anno (1961); e una trilogia sul problema della condizione della donna in una
società maschilista è Cause della morte, che comprende i romanzi Malina (1971), Il
caso Franza (post., 1978-79), Requiem per Fanny Goldmann (post., 1978-79). In
italiano sono state ripubblicate le Poesie (1987), arricchite dalla traduzione del
"Monologo del principe Myskin", cha la Bachmann scrisse per il balletto ispirato
dall'Idiota di Dostoevskij e musicato da H. W. Henze: vi trova conferma il "tormento
della lucidità" che pervade la lirica della grande poetessa. Sono stati pubblicati inoltre,
nel 1999, i folgoranti frammenti del Libro del deserto, scritti dalla Bachmann negli anni
1964-65.
Il poeta e cantautore Wolf Biermann (nato nel 1936) ha diffuso con le sue liriche e le
sue canzoni il messaggio di un marxismo anarchico e utopico, in bilico tra umorismo e
tenerezza, facendosi amare e odiare nella Germania dell'Est e in quella dell'Ovest per i
suoi attacchi contro il "grasso capitalismo" e contro il "socialismo rachitico"; erede di
Brecht, si ricollega alla tradizione della ballata popolare, che insaporisce con le sue doti
istrionesche di uomo di spettacolo. Il più recente album del cantautore, Brecht - quelli
che son venuti dopo di te, è stato pubblicato nel 1998.
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Un poeta sperimentale è stato Helmut Heissenbüttel (1921-1996). Ha esordito con
Combinazioni (1954) e Topografie (1956), dove, rifacendosi alla filosofia di
Wittgenstein, considera il linguaggio come unico veicolo per sottrarsi dal sistema
geometrizzato del nostro tempo, reprimendo la carica emozionale della parola in
un'espressione essenziale, basata sulla distruzione della sintassi tradizionale. Nei Libri
di testi (1960-67), il tentativo di uscire dall'immobilismo della "topografia politicosociale", cioè di una realtà incapace di progresso, si traduce nel recupero del linguaggio
del passato. Ha scritto anche romanzi, saggi, radiodrammi.
Di orientamento marxista, il poeta e scrittore Günter Kunert (nato nel 1929) è stato
una delle voci più rappresentative della Repubblica democratica tedesca. In poesia,
profetizzò liricamente la morte atomica (Ricordo di un pianeta, 1963) e, in prosa,
paragonò il destino dell'uomo a quello di una stella morente (Sogni diurni, 1984). Tra le
sue raccolte poetiche, caratterizzate da uno stile spigoloso e tagliente, ricordiamo: Il
cammino verso Utopia (1977), Processo di devitalizzazione (1980), Natura morta
(1983). In una delle sue raccolte più recenti, Berlino per tempo (1987) predomina una
visione apocalittica e disperata del mondo.
In Russia e nell'area slava
Un grande poeta russo, Premio Nobel per la letteratura nel 1987, è Iosif Brodskij
(1940-1996). Di famiglia ebraica, abbandonò la scuola a quindici anni e studiò da
autodidatta, esercitando nel contempo vari mestieri. Poco più che ventenne, affascinava
già i circoli intellettuali. La sua fama fu autorevolmente avallata da Anna Achmatova,
che lo definì "primo poeta" della nuova generazione e gli dedicò una delle sue raccolte
poetiche. Pubblicati in parte in almanacchi, i versi di Brodskij circolavano più
ampiamente attraverso i canali clandestini del samizdat. Accusato di "parassitismo"
dalla stampa ufficiale, nel 1964 fu condannato, in un processo di impronta kafkiana, a
cinque anni di lavoro coatto per "fannullaggine". Liberato nel 1965 in seguito alle
proteste di molti intellettuali, tornò a San Pietroburgo, dove si guadagnò da vivere
traducendo testi teatrali e poesie. Rinchiuso in un ospedale psichiatrico, nel 1972 fu
espulso dalla Russia e privato della cittadinanza sovietica. Recatosi negli Stati Uniti, il
poeta ottenne la cittadinanza americana.
La poesia di Brodskij risulta, in prima istanza, "tradizionalista": si tratta tuttavia di una
classicità semanticamente complessa, che attinge i suoi miti nella Bibbia e si sviluppa in
una riflessione metafisica, che avvicina il poeta alla lirica barocca di John Donne (al
quale è dedicata una delle prime composizioni di Brodskij, l'Elegia grande, del 1963).
La lezione dei metafisici inglesi e l'eredità della tradizione russa del Sette-Ottocento si
conciliano tuttavia, in Brodskij, con la nuova tradizione novecentesca che fa capo al
ramo "pietroburghese" di Anna Achmatova e di Osip Mandel'stam. Da questa fusione
tra le rime e i ritmi del classicismo e la severa architettura formale dell'acmeismo nasce
la lirica di Brodskij, che, pur costretta entro gli schemi metrici chiusi, unisce alla
cristallina purezza della forma un arduo impegno concettuale. A New York uscì, nel
1970, la raccolta Fermata nel deserto, comprendente le poesie scritte da Brodskij fino al
1969: vi domina la contemplazione ferma e desolata di un mondo sottoposto a un nuovo
processo di glaciazione, dove le creature e le cose galleggiano come relitto di un
naufragio. Nella raggelata geometria dell'incubo e del sogno si accumulano le schegge
di un mondo impazzito, che ha perduto il suo centro metafisico e che vede le case
trasformarsi in musei, le strade in acquari, gli uomini in freddi torsi statuari, «anonima
somma di muscoli». Mancando una sintesi, il poeta si deve necessariamente limitare al
frammento: di qui il titolo della raccolta Parti del discorso (1977); di qui la
contemplazione di Venezia (città di adozione del poeta), vista come un regno di nebbie
111
e di acque morte, o di una Roma ridotta ad un'imponente raccolta di frantumi (Elegie
Romane, 1982). Tra le ultime raccolte: Marmi (1983), Urania (1987). Nel 1986
Brodskij ha pubblicato una raccolta di prose, che è stata tradotta in italiano in due
volumi, con i titoli Fuga da Bisanzio e Il canto del pendolo: il primo volume è un
omaggio del poeta alle città amate, «al confine con l'acqua, dove si incontrano due
mondi», come la sua Pietroburgo e Bisanzio; il secondo volume contiene profili dei
poeti più amati (dalla Achmatova alla Cvetaeva, da Auden a Milosz, da Kavafis a
Montale), la cui produzione è scandagliata dall'autore con la curiosità e la precisione di
un viaggiatore del Settecento.
Tra i principali esponenti del rinnovamento poetico, verificatosi in Urss nel clima del
"disgelo", sono da ricordare Evgenij Evtušenko (nato nel 1933) e la sua prima moglie
Bella Achmadulina (nata nel 1937). Considerato l'enfant terrible della poesia sovietica
nell'epoca krušoviana, Evtušenko era in realtà tollerato dal regime come un comodo
"fiore all'occhiello". Dopo l'esordio declamatorio di Esploratori del futuro (1952),
seguirono altre raccolte allineate con i canoni del "realismo socialista", come La terza
neve (1955), La stazione di Zimà (1962), Viale degli entusiasti (1956), La mela (1966).
Un certo scandalo suscitò, nel "clima del disgelo", il poema Babij Jar (1961), dura
condanna dell'antisemitismo. I crimini dell'età staliniana furono rievocati dal poeta in
Gli eredi di Stalin (1963); ma poi Evtušenko rientrò nell'ortodossia con La centrale
idroelettrica di Bratsk (1965) e altre raccolte. Del 1981 è il romanzo Il posto delle
bacche, dedicato ad una misteriosa e incantata Siberia. I versi più recenti sono stati
raccolti dal poeta in Lacrime tardive (1995). Definita la «poetessa della perestrojka»,
cioè della politica di apertura democratica voluta da Gorbaciov, Bella Achmadulina
(nata nel 1937) ha subìto l'influsso della poesia di Pasternak e di Brodskij. Nella sua
lirica, caratterizzata da un elevato virtuosismo stilistico, i minuti fatti della vita
quotidiana si sublimano in un'atmosfera trasognata. Tra le sue raccolte: La corda
(1962), Lezione di musica (1969), Il mistero (1983).
Nell'area slava, sono ancora da ricordare altri grandi poeti, che hanno ottenuto il Premio
Nobel. Il ceco Jaroslav Seifert (1901-1986, Premio Nobel nel 1984) è stato il
celebratore della gioia di vivere e del piacere dei sensi, cantore di Praga, "città magica",
ma anche poeta della morte nei modi di una cupa e ossessiva visionarietà barocca.
Adottando il verso libero, Seifert ha contribuito ad un radicale rinnovamento della
lingua poetica ceca. Tra le sue raccolte: Canti su Praga (1968), Rondò amorosi (1969),
La colonna della peste (1977). Nominato nel 1964 "artista nazionale", Seifert ha aderito
alla "primavera di Praga", ma è stato poi costretto a ritirarsi da ogni attività pubblica.
Il polacco Czeslaw Milosz (1911-2004, Premio Nobel nel 1980), nato in Lituania, è
stato esule per quasi tutta la vita; solo nel 2002 è tornato in Polonia, dove è rimasto fino
alla morte. Addetto culturale all'ambasciata polacca di Parigi, nel 1951 ha chiesto asilo
politico e ha illustrato i meccanismi perversi del sistema totalitario staliniano nel saggio
La mente prigioniera (1953). Emigrato negli Stati Uniti, ha insegnato letteratura
polacca all'università di Berkeley (California). Le linee guida della sua poesia sono
enunciate in tre "trattati", che scandiscono i vari tempi della sua lunga produzione:
Trattato morale (1947), Trattato poetico (1957), Trattato teologico (2002). Come
poeta, Milosz è passato dal "catastrofismo" della prima produzione, pervasa da
immagini profetico-visionarie, a una più distesa riflessione sulla cultura, sulla storia, sul
senso stesso dell'esistenza, per approdare infine a posizioni decisamente cristiane. Nelle
prime raccolte di versi (Poema del tempo congelato, 1933; Tre inverni, 1936), la
riflessione del poeta sulla natura e sulla storia esprime il sentimento di una minaccia
incombente sulla civiltà. Questo catastrofismo si attenua in Salvezza (1945), che
raccoglie la produzione lirica degli anni di guerra, pervasa dall'anelito a una "speranza
112
disperata". Dopo una fase di crisi artistico-morale (rispecchiata nei versi di Luce del
giorno, 1953), Milosz è pervenuto all'ispirazione metafisica delle successive raccolte
(tra cui Città senza nome, 1969, e Dove sorge e dove tramonta il sole, 1974). L'approdo
più recente è quello delle poesie intitolate Davanti al fiume, scritte dopo il ritorno in
Lituania nel 1989, a mezzo secolo di distanza dall'anno in cui l'aveva lasciata. Un
capolavoro è infine Yokimura, contenuta nella raccolta di prose pubblicate in traduzione
italiana con il titolo Il cagnolino lungo la strada (2003). L'infanzia lituana è
meravigliosamente evocata nel romanzo La valle dell'Isso (1955); ma la lingua di
Milosz è il polacco, lingua dei suoi genitori. Soprattutto, Milosz è un poeta
orgogliosamente europeo (come dimostra il suo saggio Europa familiare, 1959). Il suo
canto ha la bellezza e il fascino dei classici; le sue parole, «taglienti come quelle di
Leopardi» (F. M. Cataluccio), esprimono una forma profonda di pensiero, fino allo
struggente dialogo con Dio della sua ultima poesia, Orfeo ed Euridice (2003).
Una grande poetessa è la polacca Wislawa Szymborska (nata nel 1923), che ha
ricevuto nel 1996 il premio Nobel - come dice la motivazione degli accademici svedesi
- per la «precisione ironica» e per la «ricchezza inventiva» che «fa pensare talvolta al
secolo dei Lumi, talvolta al Barocco». A sua volta, Milosz ha consacrato nel 1996 la
Szymborska quale «poetessa intellettuale, che usa di fatto forme quasi saggistiche». Al
di là delle formule, la Szymborska è essenzialmente una poetessa dell'amore, come
risulta fin dalle prime raccolte (Per questo viviamo, 1952, Domande poste a me stessa,
1954), anche se condizionate dai dettami del realismo socialista, per finire con il recente
Taccuino d'amore (trad. it., 2002). Il tema dell'amore è sviluppato in Appello allo Yeti
(1957) e raggiunge la sua massima espansione in Il sale (1962). Nel 1966 la
Szymborska esce dal Partito Comunista, perdendo il suo posto di lavoro come redattrice
letteraria. La sua lirica diviene sempre più complessa, non più limitata alla semplicità
del vivere quotidiano, ma estesa anche a temi di dolorosa portata storica. Numerose
sono le sue raccolte (da Uno spasso, 1972, a La fine e l'inizio, 1993). In Italia, dove era
stata introdotta con acume nel 1996 da Vanni Scheiwiller (Gente sul ponte), la
Szymborska è ora conosciuta grazie alla raccolta antologica Vista con granello di
sabbia (Adelphi, 1998) e alla silloge complessiva Discorso all'Ufficio oggetti smarriti.
Poesie 1945-2004 (ancora da Adelphi, 2004). Tra le liriche più recenti, si legge con
emozione la poesia intitolata Fotografia dell'11 settembre, che si sofferma sui corpi
ancora integri di chi in quel terribile giorno del 2001 si è gettato dalle finestre delle
Torri Gemelle di New York, e così si conclude: «Solo due cose posso fare per loro /
descrivere quel volo / senza aggiungere l'ultima frase».
In Spagna e nell'area ispano-americana
Sui più giovani poeti spagnoli, raccolti nel gruppo dei "Novísimos", ha esercitato un
grande influsso il più anziano Luis Rosales (1910-1992), autore di Abril, uno dei testi
di più alta densità lirica della letteratura spagnola.
Epigono della «generazione del '27», Rosales entrò in amicizia con F. García Lorca, che
accolse in casa prima che fosse arrestato. Nel secondo dopoguerra, è stato tra i fondatori
delle riviste «Escorial» e «Cuadernos Hispanoamericanos». La prima raccolta di versi,
Abril (1935), è un libro essenzialmente religioso, che canta la natura e l'amore nel
quadro di un mistero rischiarato dalla presenza di Dio. Una grazia andalusa avvicina la
lirica di Rosales a quella del suo grande amico García Lorca, del quale condivide anche
l'interesse per la tradizione popolare, come dimostra nella sua serie di romances e
villancicos, Retablo de Navidad (1940). La dittatura franchista spezza il fervore della
lirica di Rosales, che assume tonalità malinconiche e ripiega nella memoria e nella
purezza della parola, da lui considerata la «memoria dell'anima». Da questa profonda
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sensibilità nasce il nuovo capolavoro di Rosales, La casa encendida (La casa illuminata,
1949; nuova edizione 1967), dove il sentimento dell'amore fa tutt'uno con una fede
primigenia in Dio. Il rigore espressivo, unito al gioco scintillante delle metafore e a
squarci di onirismo, caratterizza anche le successive raccolte: Rime (1951), Canzoni
(1973), Diario di una risurrezione (1979).
Il più grande poeta dell'America Latina nel Novecento è il messicano Octavio Paz
(1914-1998, Premio Nobel nel 1990), che ha ricercato l'identità dell'anima messicana
nell'incontro tra la civiltà azteca e la civiltà spagnola. Nel 1937 Paz andò in Spagna, a
combattere per la repubblica contro i franchisti. Fu poi ambasciatore a Parigi, New
York, Ginevra e in India. Abbandonata la carriera diplomatica nel 1968, in segno di
protesta contro la sanguinosa repressione del movimento studentesco messicano, Paz si
è dedicato esclusivamente alla letteratura. Dopo l'esordio con poesie di intonazione
rivoluzionaria (Luna silvestre, 1933), si è orientato verso una poesia volta a
rappresentare l'alienazione dell'uomo contemporaneo, l'angoscia dell'incomunicabilità,
la ricerca di un'alternativa, dall'erotismo alle dottrine mistiche indiane. Segnata da Sulla
riva del mondo (1942), questa svolta verso una lirica più profonda è stata confermata
dal grande poema Pietra di sole (1957), pervaso da un erotismo mistico che ricorda
Góngora e Quevedo. Fondato sul calendario circolare azteco, che misurava il ciclo del
pianeta Venere in 584 giorni, il poema è composto da 584 versi, dei quali i primi sei
sono identici agli ultimi sei. Tra le numerose raccolte successive, citiamo: Libertà sulla
parola (1960), Salamandra (1962), Bianco (1966), Dischi visuali (1968), Versante Est
(1969), Ritorno (1978). Impressionante, in quest'ultima raccolta, è la visione del
fantasmagorico vitalismo di Città del Messico («Formicai come microscopiche fattorie /
Città della città / Vie principali di cicatrici / Viali di carne viva...»). Una antologia
italiana delle più recenti poesie di Paz è Vento cardinale e altre poesie (1984).
Parallelamente alla produzione poetica, Paz ha svolto una intensa produzione saggistica,
da Il labirinto della solitudine (1950), acuta analisi della "messicanità", a L'arco e la
lira (1956), penetrante indagine sull'essenza della creazione poetica. Paz ha inoltre
dedicato un'importante monografia a una grande poetessa messicana del Seicento: Suor
Juana Inés de la Cruz (1982).
Bibliografia essenziale
Per le letterature europee e americane si rimanda alle opere generali segnalate in calce alla
Parte XIII, sezione quinta.
5.2 La prosa
5.2.1 Scrittori italiani
Il romanzo sperimentale
La lezione di Carlo Emilio Gadda (assunto come modello dalla Neoavanguardia per il
suo sperimentalismo linguistico) ha esercitato un profondo influsso sulla narrativa
italiana del secondo Novecento, alimentando forme diverse di romanzo sperimentale.
Un altro modello è quello di Pier Paolo Pasolini, il cui sperimentalismo ha comportato
non solo un rinnovamento formale, ma anche una nuova concezione storica e critica
della lingua e della società italiana. Si può accostare a Pasolini per certi aspetti
Giovanni Testori, per il quale rimandiamo alla sezione del teatro.
114
Il maggiore narratore della Neoavanguardia è Giorgio Manganelli, cui dedichiamo una
analisi particolare (vedi 11.1).
Arbasino. Se Manganelli privilegia la figura retorica dell'ossimoro, l'altro maggiore
esponente del Gruppo '63 nell'ambito narrativo, Alberto Arbasino (nato a Voghera nel
1930), privilegia invece l'accumulo delle parole: il romanzo-conversazione arbasiniano
si risolve in una interminabile e scintillante chiacchiera, come accade nelle
conversazioni da salotto delle persone colte. L'indubbia componente snobistica,
presente nella produzione dello scrittore, è però solo apparentemente futile: tra un
cicaleccio e l'altro, Arbasino rivela il volto autentico di un'intera società, con l'occhio
rivolto a modelli stranieri come Proust o Musil, e italiani, come Gadda; mentre però il
pastiche gaddiano è l'espressione di un incontenibile furore, l'enumerazione di Arbasino
si risolve in compiaciuto e divertito gioco letterario, non sempre immune dal rischio
della ripetitività.
Arbasino ha esordito con gli eleganti racconti di Le piccole vacanze (1957), ma l'opera
che lo rivelò come scrittore d'avanguardia è L'Anonimo Lombardo (1959, riscritto nel
1973), un romanzo epistolare in cui l'autore demistifica la struttura della
comunicazione, mimando mediante i più diversi linguaggi i molteplici piani della realtà,
e inaugura il "romanzo-coacervo", in cui sono registrate le più diverse esperienze
culturali, mescolate alla chiacchiera mondana.
Il romanzo di tutta la vita di Arbasino è Fratelli d'Italia, pubblicato per la prima volta
nel 1963, riscritto nel 1976 e ancora, pressoché raddoppiato, nel 1993. Lo scrittore ha
dato prova, nel suo capolavoro, di una eccezionale abilità nella riproduzione della
lingua parlata della media e alta borghesia negli anni del "miracolo" economico. Al
romanzo-conversazione si unisce qui il romanzo-viaggio: i sei amici, protagonisti della
vicenda, corrono da un capo all'altro d'Italia per non mancare nemmeno un
appuntamento importante, riguardante mostre, festival, spettacoli teatrali, concerti; ma
la nevrosi degli anni del boom economico si personifica nel personaggio enigmatico di
Desideria, che finisce con il suicidarsi. Il fascino del libro è in questa miscela di
situazioni esilaranti o drammatiche e di affondi sociologici di straordinaria precisione
nel descrivere la sgangherata corsa al benessere di una società appena uscita
dall'arretratezza. Un aspetto particolare è l'irrisione, da parte dell'autore, di ogni forma
di provincialismo culturale: celebre è il suo invito ai letterati italiani perché si
aggiornino, facendo una «gita a Chiasso».
Tra le altre opere di Arbasino, sono da ricordare Super-Eliogabalo (1969, 1978, nuova
ed. 2001), ironica parabola sulla contestazione, che si riferisce fin dal titolo al "teatro
della crudeltà" di Antonin Artaud; La bella di Lodi (1972), finissima parodia della
narrativa popolare; Il principe costante (1972), in cui l'opera omonima di Calderón de la
Barca è sottoposta, con elegante disinvoltura, a un gioco di scomposizione; Specchio
delle mie brame (1974), rivisitazione, in chiave parodistica, della produzione verista e
dannunziana. Tra le opere saggistiche, spiccano anzitutto i saggi di Certi romanzi
(1964), una giocosa dissacrazione della tradizione narrativa. Un catalogo dello
"sciocchezzaio" pubblico è Fantasmi italiani (1977). Di notevole rilievo sono i saggi di
Un paese senza (1980 e 1990), dove efficaci sono le osservazioni su certi difetti del
costume nazionale: la violenza arrogante da una parte, i discorsi troppo teorici dall'altra.
Il degrado del "bel Paese" è narrato tra sdegno e ironia in Paesaggio italiano con zombi
(1998). Importanti sono gli scritti giornalistici di Arbasino, che, nel suo irrequieto
nomadismo, ha puntualmente registrato gli avvenimenti più importanti nell'ambito
musicale e teatrale (Grazie per le magnifiche rose, 1965), imponendosi come uno dei
più attenti osservatori della vicenda cosmopolita dello spettacolo. Di recente, Arbasino
ha pubblicato il libro di viaggi Le Muse a Los Angeles (2000), la raccolta di poesie Rap!
(2001) e le cronache musicali di Marescialle e libertini (2004).
115
Roversi e Leonetti. Uno sperimentalismo realistico è quello degli scrittori Roberto
Roversi (nato a Bologna nel 1923) e Francesco Leonetti (nato a Cosenza nel 1924),
redattori, con Pasolini, della rivista «Officina» (vedi Parte XVII, 3.2).
Roversi è noto anzitutto come poeta. Dopo le prime raccolte (Poesie, 1942; Poesie per
l'amatore di stampe, 1954; Il margine bianco della città, 1955), dove la nostalgica
evocazione di un rude mondo georgico è animata da un'epica popolare di derivazione
ideologica gramsciana, una svolta è segnata nella sua produzione dalle poesie di Dopo
Campoformio (1962), dove appare il tipico personaggio di Roversi, che è pervaso da
delusione e rabbia in conseguenza di una sconfitta politica, ma che oppone un lucido
rifiuto a una società disumana e corrotta. Ragione e furore si intrecciano, nella visione
dell'inferno neocapitalistico, in Descrizioni in atto (1969), poesie raccolte in ciclostilati,
in polemica verso l'industria editoriale. Del 1981 è la raccolta Trentuno poesie di Ulisse
dentro il cavallo di legno. Inoltre, per il cantante Lucio Dalla, Roversi ha scritto i testi
di alcune canzoni. Lo stesso itinerario è percorso da Roversi nelle opere narrative: da
Caccia all'uomo (1959), rappresentazione dell'uomo perpetuamente braccato nella
storia da una società oppressiva, a Registrazione di eventi (1964), romanzo di arduo
sperimentalismo, vicenda di un antiquario che non riesce a smascherare un ufficiale
nazista, perché muore in un incidente d'auto. Il romanzo più ambizioso di Roversi è I
diecimila cavalli (1976), sul movimento del Sessantotto. Del 1998 è Spaventoso rombo
e notturna devastazione nella grande città di Parigi.
Leonetti, con Pasolini e Roversi, ha fondato e diretto la rivista letteraria «Officina». Nel
1967 ha diretto, con Gianni Scalia e Roberto Di Marco, la rivista politico-culturale «Che
fare». Ha fatto parte del mensile d'informazione culturale «alfabeta». La produzione
poetica di Leonetti è volta alla ricerca di un nesso tra ideologia e linguaggio, tra politica
e cultura: l'esito più convincente è costituito da La cantica (1959), racconto in versi del
distacco da un mondo dimesso e provinciale. In Percorso logico del 1970-75 (1976),
Leonetti ha raccolto i suoi testi di poesia critica e politica. In Palla di filo (1986), il
"filo" del discorso poetico è ricercato nel senso di materialità della vita e nel suo
sviluppo biologico, unica risorsa contro le delusioni della storia. In prosa, Leonetti ha
scritto Conoscenza per errore (1961), che rispecchia l'involuzione politica seguita alla
Resistenza. La realtà neocapitalistica degli anni Sessanta si riflette in L'incompleto
(1964) e in Il tappeto volante (1967). Dopo aver trasposto in chiave utopica e simbolica
le lotte della "nuova sinistra" (Irati e sereni, 1974), Leonetti, nel romanzo-saggio
Campo di battaglia (1981), ha rappresentato l'ospedale come allegoria di ogni
istituzione coattiva. Nel romanzo successivo, Piedi in cerca di cibo (1995), narrando il
viaggio negli Stati Uniti di due fratelli, Leonetti ha descritto il mondo dell'informatica
come il tempio consacrato al Post-moderno. Poemetti in prosa sono Le scritte
sconfinate (1994). La più recente raccolta di poesie è La freccia (2001). Una
autobiografia è La voce del corvo (2001), che trae il suo titolo dall'esperienza di
Leonetti come attore (voce del "corvo marxista") nel film di Pasolini Uccellacci e
uccellini.
Il "caso Meneghello". Singolare e appartata è l'esperienza narrativa di Luigi
Meneghello (nato a Malo, Vicenza, nel 1922). Dopo aver preso parte alla Resistenza,
militando nelle file del Partito d'Azione, Meneghello si è trasferito in Inghilterra, dove
ha insegnato fino al 1980 nell'università di Reading. Meneghello è l'autore di una delle
opere più originali e innovative della letteratura italiana contemporanea, Libera nos a
Malo (1963, edizione riveduta 1975): si tratta di un romanzo fondato sul recupero delle
memorie dell'infanzia, ma anche di un'analisi antropologica su Malo, il paese nativo
dello scrittore (evocato nel titolo con un gioco di parole che si richiama all'espressione
liturgica libera nos a malo). La novità consiste soprattutto nell'intreccio tra la lingua
dell'adulto (una lingua colta, con citazioni dei grandi autori italiani, da Dante a Montale)
116
e il dialetto (ormai in estinzione) dei ricordi infantili, ingenuo ma anche trasgressivo,
per i suoi espliciti riferimenti agli aspetti più materiali e triviali dell'esistenza. Nel libro
successivo, I piccoli maestri (1964, edizione riveduta 1976), Meneghello ha rievocato,
in chiave antieroica, l'esperienza della lotta partigiana. L'opera di scavo nei ricordi e
nella cultura del paese natale è proseguita con Pomo Pero (1974), rivisitazione di luoghi
e personaggi del primo romanzo, arricchita da bellissime filastrocche. Un ironico
affresco della scuola italiana negli anni del fascismo è Fiori italiani (1976). In Bau-sète
(1988), un titolo tratto da un gioco di bambini, Meneghello ha rievocato la breve
stagione di impegno politico vissuta nel Partito d'Azione. In Il dispatrio (1993),
Meneghello ha narrato le vicende del suo trasferimento in Inghilterra. In Le carte (19992001) lo scrittore ha raccolto aforismi, ritratti, fantasie, abbozzi di racconti. Una
raccolta dei suoi interventi critici è Quaggiù nella biosfera (2004).
D'Arrigo. Un caso isolato è anche quello del siciliano Stefano D'Arrigo (1919-1992),
che ha lavorato per circa vent'anni al romanzo-poema Horcynus Orca (1975): il ritorno
a casa, nel 1943, di un pescatore di Cariddi vi assume un sapore di sontuosa e visionaria
favola allegorica, sullo sfondo di un paesaggio marino dominato dalla presenza delle
"fere" (delfini) e dell'orribile orca, un mostro del mare. Si tratta di un'opera eccezionale
sotto il profilo linguistico, per l'impasto sapiente di italiano colto e siciliano arcaico, e
per l'arduo impegno sperimentale, al di fuori delle mode letterarie. Dopo un lungo
silenzio, D'Arrigo ha pubblicato Cima delle nobildonne (1985), una vicenda che spazia
dall'antica mitologia egizia alle tecniche più moderne della medicina. La prima versione
del capolavoro di D'Arrigo è stata pubblicata postuma con il titolo I fatti della fera
(2000).
Malerba. Uno scrittore di straordinaria vitalità, tra i più interessanti della narrativa
sperimentale recente, è Luigi Malerba (nato a Berceto, Parma, nel 1927). L'originalità di
Malerba consiste nella creazione di personaggi «nevrotico-visionari» (M. Corti), gettati
allo sbaraglio in situazioni assurde e grottesche, che sfiorano il giallo (ma si tratta,
precisa ancora la Corti, di un «giallo esistenziale»). Entrato in contatto con il Gruppo
'63, Malerba ha esordito con La scoperta dell'alfabeto (1963), ventidue racconti
ambientati nella campagna padana, dove il rapporto tra parole e cose diventa
incomprensibile, svelando l'“alfabeto” assurdo su cui si regge il mondo. Una corrosiva
ironia percorre le storie grottesche e paradossali dei due libri più significativi di
Malerba: Il serpente (1966) e Salto mortale (1968). Protagonista del Serpente è un
commerciante di francobolli che, incapace di comunicare con gli altri, si chiude in un
delirante monologo, inventandosi di sana pianta una relazione con una donna, che
sostiene di avere ucciso, e di averne poi divorato il cadavere (ma dall'interrogatorio in
commissariato risulta che non è stato commesso nessun delitto). Si tratta di un romanzo
che offre un quadro preciso dell'Italia del boom economico degli anni Sessanta e che,
nel contempo, mostra una magistrale capacità di impianto narrativo nella costruzione di
una molteplicità di trame che si avvolgono su se stesse, proprio come il serpente del
titolo, che si morde la coda. Protagonista di Salto mortale è un certo «Giuseppe detto
Giuseppe», che si rivolge ad altri personaggi chiamati Giuseppe, e racconta le vicende
di innumerevoli Giuseppe; si parla, nel romanzo, di strani delitti e di morti misteriose,
ma non è possibile distinguere il vero dall'inventato in ciò che si racconta; pienamente
illuminata è tuttavia la realtà sociale delle invivibili metropoli moderne, funestate
dall'inquinamento e dalla criminalità. La trasgressione comica e l'invenzione capricciosa
caratterizzano Il protagonista (1973), mentre, nei racconti di Le rose imperiali (1974), il
tema centrale è quello della crudeltà oppressiva del potere (le rose del titolo sono quelle
che un imperatore cinese fa crescere col sangue dei sudditi decapitati). Dopo Le parole
abbandonate (1977), un saggio sulla necessità di recuperare la cultura contadina e i suoi
dialetti, Malerba pubblica una «storiaccia medievale», Il pataffio (1978), dove si
117
sperimenta un linguaggio maccheronico. Una galleria di personaggi stralunati e
paradossali sfila nella raccolta di racconti Dopo il pescecane (1979), cui segue una
raccolta di apologhi, Le galline pensierose (1980). Chiusa la fase del romanzo
sperimentale, Malerba ha ripristinato la trama e ha normalizzato la lingua. In Diario di
un sognatore (1981), lo scrittore emiliano ha trascritto i suoi sogni lungo il corso di un
anno, attribuendo al sogno la funzione di correggere la realtà. Un romanzo di notevole
interesse (il primo romanzo post-moderno dello scrittore) è Il pianeta azzurro (1986),
una vicenda allucinata e violenta (vi si narra l'assassinio per puro odio di un famoso
personaggio politico), che conferma l'insensatezza della nostra Terra (la quale, vista
dalla Luna, appare come un "pianeta azzurro", mentre in realtà è un "mondezzaio"). Il
romanzo successivo, Il fuoco greco (1990), è ambientato sullo sfondo della corte
bizantina dell'anno Mille: una Bisanzio che somiglia molto alla Roma parassitaria e
corrotta del nostro tempo. Protagonista del romanzo Le pietre volanti (1992) è un
pittore che cerca di capire se stesso confrontandosi con la figura paterna. Un singolare
thriller comico è La superficie di Eliane (1999), vicenda di un dirigente di una fabbrica
di colori, coinvolto in complotti, spionaggi, furti, delitti con cadaveri immaginari, e
innamorato (per le sue «superfici colorate») di Eliane, la quale però si sdoppia in due
donne diverse. Un romanzo picaresco è Il circolo di Granada (2002), storia, ambientata
in Spagna, di un merciaio, del suo asino, di una prostituta, di un frate: quando il
merciaio giunge alla sua meta, ha un pugnale piantato tra le costole; il surrealismo della
vicenda ha il suo inquietante segnale nei cani invisibili che latrano nella mente del
protagonista. Tra le altre opere: Testa d'argento (racconti, 1988), Le maschere (1994),
Itaca per sempre (1997), una rivisitazione dell'Odissea. Un ritorno al tema onirico è La
composizione del sogno (2002), indagine sui misteri dell'inconscio e sulle zone buie
delle nostre fantasie. Una nuova raccolta di racconti è Ti saluto filosofia (2004), storie
in bilico tra realtà e finzione, tra sorriso e dramma, nelle quali domina l'ambiguità (fin
dal titolo, che si può leggere come un punto di partenza dalla filosofia o come un
approdo ad essa). Malerba ha scritto infine vari libri per ragazzi, tra cui Storie dell'anno
Mille (1977), racconti imperniati sul personaggio di Millemosche. Particolarmente
interessante ci sembra una "riscrittura" del capolavoro di Collodi, Pinocchio con gli
stivali (1977), dove si immagina un burattino pieno di malumore, il quale, alla fine del
capitolo trentacinque, si rifiuta di entrare nel capitolo successivo e fa un viaggio
nell'immaginario infantile, incontrando Cappuccetto Rosso, Cenerentola e il Gatto con
gli stivali, ma anche due guardie che lo riportano al capitolo trentasei, da dove era
scappato.
Letteratura e industria
Già affrontato sulle pagine della rivista «Il menabò», il problema del rapporto tra
letteratura e industria ha ispirato numerose opere narrative: la cosiddetta "letteratura
industriale" ha introdotto per la prima volta il mondo della fabbrica nella letteratura.
Parise. Nato a Vicenza nel 1929, Goffredo Parise è stato inviato speciale del Corriere
della Sera (tra i suoi reportages più noti: Cara Cina, 1966; Guerre politiche, 1976, sul
Vietnam, sul Biafra, sul Laos, sul Cile; New York, 1977, sugli Stati Uniti; L'eleganza è
frigida, 1982, sul Giappone). Nel 1960 si è trasferito a Roma. È morto a Treviso nel
1986.
Nei suoi primi libri di narrativa, Il ragazzo morto e le comete (1951) e La grande
vacanza (1953), Parise piega a esiti surrealistici e fiabeschi la tematica neorealistica.
Grande successo ha avuto Il prete bello (1954), rappresentazione della vita di una
provincia pettegola e oziosa, improvvisamente scossa da un'ondata di sessualità; il
limite di questo libro (e di quelli che lo seguirono: Il fidanzamento, 1956; Amore e
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fervore, 1959) è un facile bozzettismo, che viene superato nella prova migliore di
Parise, Il padrone (1965): qui è felicemente analizzato il rapporto del dipendente verso
il padrone di una grande azienda, fondato su una supina acquiescenza che si trasforma
in gusto masochistico della propria alienazione. In L'assoluto naturale (1967),
l'asservimento della persona umana è colto all'interno del rapporto amoroso, mentre, in
Il crematorio di Vienna (1969), l'alienazione operata dal nazismo assume proporzioni
apocalittiche nel clima allucinato di un incubo kafkiano. Una riscoperta dei valori
elementari della vita, dopo le delusioni della storia, caratterizza il Sillabario n. 1 (1972)
e il Sillabario n. 2 (1982, ripubblicati presso Adelphi nel 2004): scritti con stile nitido e
leggero, i due Sillabari sono considerati da non pochi studiosi come il vertice della
produzione dello scrittore.
Ottieri. Nato a Roma nel 1924, morto a Milano nel 2002, Ottiero Ottieri è stato
operatore sociale nel mondo dell'industria. Della sua professione si è giovato per
descrivere, in Tempi stretti (1957), i ritmi alienanti del lavoro in fabbrica. Ha fatto
seguito Donnarumma all'assalto (1959), autoanalisi di uno psicotecnico sullo sfondo
della realtà drammatica e caotica di una fabbrica del Sud. Successivamente, Ottieri si è
rivolto ad altri temi. La linea gotica (1963) è un'acuta riflessione sulle diversità
psicologiche e sociali che spezzano in due il nostro paese. Con L'impagliatore di sedie
(1964), Ottieri ha iniziato lo scandaglio nel labirinto della nevrosi, collegando la
malattia mentale con le conseguenze della società consumistica: ricordiamo, tra gli altri
libri, L'irrealtà quotidiana (1966) e il diario Il campo di concentrazione (1972). Del
1987 è il romanzo Improvvisa la vita, dove sono descritte le frustrazioni e le velleità di
un intellettuale del nostro tempo. Del 1998 è il romanzo Una tragedia milanese,
disperata indagine sull’oscurità di una vita priva di ideali. In una clinica svizzera per
alcolisti nevrotici è ambientato il romanzo Cery (1999), che ricorda certe atmosfere di
Thomas Mann. L'ultimo romanzo di Ottieri porta un titolo dolorosamente eloquente:
Un'irata sensazione di peggioramento (2002). Come poeta, dopo aver raccolto le sue
liriche nella silloge Tutte le poesie (1986), Ottieri ha pubblicato Diario del seduttore
passivo (1995). Un volume di versi e prosa è Il poema osceno (1996).
Mastronardi. Nato a Vigevano nel 1930, Lucio Mastronardi è stato insegnante
elementare. Si è suicidato nel 1979. Esordì come scrittore con il romanzo Il calzolaio di
Vigevano (1962), cui fecero seguito Il maestro di Vigevano (1962) e Il meridionale di
Vigevano (1964). La trilogia, accolta con favore dalla critica, descrive con asprezza la
società artigiana della provincia lombarda nel trapasso al neocapitalismo industriale, ed
esprime una critica ironica verso il lavoro alienante nei calzaturifici, le carenze del
sistema scolastico e l'isolamento in cui si vengono a creare gli immigrati meridionali.
Particolarmente efficace è la lingua di Mastronardi, un curioso ibrido italo-lombardo,
che riproduce all'interno degli usuali schemi linguistici moduli e cadenze dialettali.
Successivamente, lo scrittore ha pubblicato il romanzo A casa tua ridono (1971), in cui
ha tentato di sviluppare una tecnica fondata sull'intreccio di diversi piani narrativi, e la
raccolta di racconti L'assicuratore (1975). Nel 1977 ha riunito le sue opere di ambiente
vigevanese nel volume Gente di Vigevano.
Bianciardi. Nato a Grosseto nel 1922, Luciano Bianciardi si trasferì a Milano e lavorò
nell'industria editoriale. Morì a Milano nel 1971. Nel 1957 Bianciardi pubblicò il
romanzo Il lavoro culturale, in cui è rappresentata la condizione dell'intellettuale
deluso, in procinto di essere fagocitato dalla società industriale: processo che si verifica
in L'integrazione (1970), un romanzo ambientato nella Milano del "miracolo
economico". Alla lezione di C.E. Gadda lo scrittore unisce, in queste prime prove,
un'ironia scanzonata, quasi goliardica, con impennate di tipo anarchico. L'esito migliore
della narrativa di Bianciardi è La vita agra (1962), in cui la carica protestataria esplode
in un impeto distruttivo, temperato da un'amarezza che si manifesta nel gusto tutto
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toscano del sarcasmo e della battuta mordace. Dopo La battaglia soda (1964), specchio
della delusione post-resistenziale, Bianciardi, in Aprire il fuoco (1969), sfoga il suo
impeto ribelle nell’immaginaria storia di un'insurrezione milanese, che mescola il 1859
ai giorni nostri. In L'alibi del progresso (2000) sono stati raccolti elzeviri, e scritti
giornalistici e d'occasione dello scrittore.
Volponi. Paolo Volponi (vedi 11.2) non è solo il maggiore esponente della "letteratura
industriale" (come autore del romanzo Memoriale, 1962), ma è in assoluto uno dei
maggiori scrittori del Novecento.
Camerana. Il romanzo industriale è stato reinventato di recente dal torinese Oddone
Camerana (nato nel 1937). Camerana ha esordito con il romanzo L'enigma del cavalier
Agnelli (1985), ambientato a Torino nel 1920. In parte autobiografica è la vicenda di La
notte dell'Arciduca (1988), dove, prendendo lo spunto da una famosa sonata di
Beethoven, l'autore svolge un'acuta indagine psicologica sullo sfondo di una Torino
schiva e riservata, in bilico tra il ritmo febbrile dell'industrializzazione e le ossessioni di
oscure presenze diaboliche. In Il centenario (1997), Camerana ha descritto un degradato
mondo post-industriale, abitato da fantasmi umani e invaso dalle scorie dei cicli
produttivi. In L'officina illuminata (2001), l'avaria di un'automobile acquista un
significato simbolico. Una campagna pubblicitaria della Fiat, per lanciare le sue auto
negli Stati Uniti, è il tema del romanzo L'imitazione di Carl (2002).
La narrativa al femminile
Tra le narratrici, ricordiamo anzitutto la milanese Maria Corti (1915-2002), nota, oltre
che per importanti saggi di critica letteraria, per i romanzi Voci del Nord Est (1986), un
affettuoso omaggio a Emily Dickinson (l'«allodola della poesia»), e di Cantare nel buio
(1991), suggestiva vicenda di operai bresciani nel secondo dopoguerra. Gina Lagorio
(nata nel 1922 a Bra, Cuneo, ma le cui radici culturali sono nelle Langhe e in Liguria) è
autrice di Approssimato per difetto (1971), sul tema dell'assistenza a una persona cara in
punto di morte, e di Tosca dei gatti (1983), vicenda di una solitudine nel grigiore della
vita quotidiana. Singolare e drammatica è l'esperienza di vita di Luce D'Eramo, nata a
Reims nel 1925 e morta a Roma nel 2001. Figlia di un uomo politico fascista, partì per
lavorare come volontaria in una fabbrica tedesca, ma finì a Dachau, dove scoprì l'orrore
del Lager nazista; evasa, nel 1945, restò paralizzata sotto un bombardamento, a
Magonza, mentre portava soccorso ai feriti. Da queste vicende è nato il suo libro di
maggiore successo, Deviazione (1979), «sconvolgente odissea di una giovane borghese
nel tragico universo hitleriano», come recita il sottotitolo. Ha poi affrontato il tema del
terrorismo in Nucleo zero (1981), un romanzo thriller, dove è messo a fuoco l'ambiguo
rapporto tra normalità e sovversione. Dopo un romanzo di fantascienza (Partiranno,
1986), la D'Eramo ha pubblicato uno struggente libro sugli anziani, Ultima luna (1993),
per scrivere il quale si è fatta ricoverare in un pensionato. Una strana fortuna (1997) è
un'indagine sull'universo della follia. Fondamentale è il suo saggio su Silone (1971). La
fiorentina Oriana Fallaci (nata nel 1930), giornalista e corrispondente di guerra, è
autrice di libri di successo, come Lettera a un bambino mai nato (1975), Un uomo
(1979, premio Viareggio) e Insciallah (1990); gli ultimi libri della scrittrice sono
improntati ad una violenta polemica contro il mondo musulmano. La romana Rosetta
Loy (nata nel 1931) è autrice del romanzo Le strade di polvere (1987), saga monferrina
di una famiglia di campagna, le cui vicende si svolgono dall'età napoleonica alla
battaglia di Lissa; di recente, la Loy ha pubblicato Nero è l'albero dei ricordi, azzurra
l'aria (2004), storia di guerra ambientata tra gli anni '40 e '50). La milanese Francesca
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Sanvitale (nata nel 1933) ha scritto Madre e figlia (1980), vicenda di un rapporto
traumatico e poi dello scambio del ruolo protettivo tra una madre e una figlia, e L'uomo
del parco (1984), metafora della situazione patologica della donna nella società; di
recente la Sanvitale ha pubblicato L'ultima casa prima del bosco (2000), storia di un
personaggio inquietante e misterioso, che si risolve in una discesa negli abissi della
psiche umana. La napoletana Fabrizia Ramondino (nata nel 1936) è autrice di Un
giorno e mezzo (1988), considerato uno dei migliori romanzi sul Sessantotto; ma
interessante è anche Passaggio a Trieste (2000), resoconto di una esperienza vissuta
dalla scrittrice in un Centro di salute mentale. Un caso letterario è quello della pugliese
Mariagrazia Di Lascia (1954-1994), autrice del romanzo Paesaggio in ombra (1995,
premio Strega), struggente storia di una famiglia meridionale, dove sono affrontati con
inconsueta autenticità i nodi più intricati della sofferenza umana. Tra le altre scrittrici,
sono ancora da ricordare: Marisa Volpi (nata nel 1928), nota studiosa d'arte, autrice di
racconti di raffinata eleganza (Nonamore, 1988; La casa di via Tolmino, 1994;
Cavaliere senza destino, 1993; Congedi, 1995); Grazia Livi (nata nel 1932), la cui
scrittura si muove tra narrativa d'invenzione e saggio (Vincoli segreti, 1993; La finestra
illuminata ,2000 ); Clara Sereni (nata nel 1946), che ha evocato con una intensissima
scrittura la vita del ghetto romano e la figura del padre Emilio, grande studioso di
problemi agrari, morto a Dachau nel 1977; Nadia Fusini (nata nel 1946), descrittrice di
inquietanti microcosmi familiari (La bocca più di tutto mi piaceva, 1996; Due volte la
stessa carezza, 1997; Lo specchio di Elisabetta, 2001; I volti dell'amore, 2003);
Elisabetta Rasy (nata nel 1947), cui si deve una penetrante e appassionata ricostruzione
della vita dell'eroina illuminista Mary Wollstonecraft (L'ombra della luna, 1999);
Sandra Petrignani (nata nel 1952), i cui racconti descrivono con misura espressiva
vicende drammatiche di protagoniste femminili (Navigazioni di Circe, 1987; Poche
storie , 1993).
Un posto a sé occupa la fiorentina Dacia Maraini (nata nel 1936), affermatasi con L'età
del malessere (1963), autrice del romanzo storico La lunga vita di Marianna Ucria
(1990), ispirato alla vita di una gentildonna sordomuta del Settecento, la cui
menomazione è la metafora della condizione femminile di subalternità, e di Bagheria
(1993), suggestiva riscoperta, in una villa materna, delle luci, dei colori e dei mali
antichi e nuovi della Sicilia. Dopo Buio (1999, premio Strega), la Maraini ha pubblicato
Colomba (2004), una storia corale, di cui è protagonista una donna povera e ostinata
nella ricerca di una nipote sparita nel nulla. Al compagno di vita Alberto Moravia, per i
dieci anni della sua morte, la scrittrice ha dedicato il volume Il bambino Alberto (2000).
Un diario di ricordi dell'infanzia trascorsa in un campo di prigionia giapponese è La
nave per Kobe (2002). La Maraini è anche scrittrice di teatro: tra le sue commedie, si
ricorda La terza moglie del Signor Mayer (1994); per l'attrice teatrale Piera Degli
Esposti, ha scritto Storia di Piera (1997) e Piera e gli assassini (2003).
Scrittori già attivi negli anni Cinquanta e Sessanta
Tra i numerosi narratori rivelatisi tra la fine degli anni Cinquanta e la fase anteriore al
Sessantotto, spiccano alcuni autori molto importanti, che tratteremo nella parte
antologica: Paolo Volponi (vedi 11.2), Vincenzo Consolo (vedi 11.3), Umberto Eco
(vedi 11.4).
Anche in altri narratori (e, in particolare, in alcune delle loro opere) sono tuttavia
presenti parecchi motivi di interesse; vale pertanto la pena soffermarsi sui nomi e sui
titoli di maggior rilievo.
121
In Piemonte. Hanno scritto in coppia Carlo Fruttero (nato nel 1926) e Franco
Lucentini (1920-2002), autori di La donna della domenica (1972), un raffinato giallo,
ambientato in una Torino labirintica; il clamoroso successo del romanzo si è ripetuto
con il libro successivo, A che punto è la notte (1979). In La verità sul caso D. (1989), i
due autori si sono misurati con Il mistero di Edwin Drood, il romanzo incompiuto di
Dickens, immaginando un convegno dei più grandi detectives letterari per dare una
soluzione al misterioso caso. Sempre a quattro mani Fruttero e Lucentini hanno scritto
una raccolta di articoli satirici, La prevalenza del cretino (1985). Lucentini aveva
firmato da solo i racconti di I compagni sconosciuti (1951) e Notizie dagli scavi (1964).
Un classico della letteratura per l'infanzia, di fama internazionale, è Gianni Rodari
(nato a Omegna, Novara, nel 1920 - morto a Roma nel 1980), che si è affermato
pienamente con Filastrocche in cielo e in terra (1960), dove una surreale comicità si
unisce a uno straordinario virtuosismo linguistico. Di grande rilievo è, tra i libri di
Rodari, la Grammatica della fantasia (1973), che codifica il ruolo insostituibile
dell'immaginazione fantastica nella vita del fanciullo.
Scrittore raffinatissimo, Guido Ceronetti (nato nel 1927), dopo aver tradotto dalla
Bibbia e dai classici latini, si è imposto con libri di sferzante ironia, in cui polemizza
contro ogni forma di degradazione della cultura e della vita morale (Difesa della luna e
altri argomenti di miseria terrestre, 1971; La carta è stanca, 1976; La musa ulcerosa,
1978; L'occhiale malinconico, 1988; Cara Incertezza, 1997). Ceronetti è autore del
romanzo Aquilegia (1973) e dei Pensieri del tè (1987), un libro desolato per
l'invivibilità del mondo moderno; ha pubblicato libri di viaggio di immaginazione
allucinata (Un viaggio in Italia 1981-1983, 1983; Albergo Italia, 1985); ha scritto le
favole surreali di Deliri disarmati (1993); ha raccolto le sue poesie di un cinquantennio
in La distanza (1996); allestisce spettacoli di burattini.
Nato a Pola nel 1927, morto a Torino nel 1987, Giovanni Arpino esordì con il
romanzo picaresco Sei stato felice, Giovanni (1952). Dopo Gli anni del giudizio (1958),
raggiunse il suo esito migliore con La suora giovane (1959), un racconto che
rappresenta la solitudine dell'individuo e la sua difficoltà di inserimento nella vita
sociale. Con Un delitto d'onore (1959), Arpino volge il suo sguardo alla società
meridionale, limitando però il suo interesse al fatto di costume. La Torino industriale
del dopoguerra è al centro di Una nuvola d'ira (1962), che riflette i conflitti tra
individuo e classe sociale. Dopo L'ombra delle colline (1964), romanzo memorialistico
sulla Resistenza, Arpino ha insistito nelle opere successive sulla tematica della
sopravvivenza individuale (è da ricordare almeno Un'anima persa, 1966). Tra le ultime
opere, si distingue Passo d'addio (1986), una vicenda imperniata sull'eutanasia, narrata
sullo sfondo di una Torino surreale e favolosa.
Antonio De Benedetti (nato nel 1937) si è orizzontato verso una scrittura
stilisticamente elaborata, che utilizza ironicamente modelli e schemi tradizionali (In
assenza del signor Plot,1976; Spavaldi e strambi, racconti, 1987; Se la vita è vita, 1990;
Giacomino, 1994; Un giovedì dopo le cinque, 2000).
In Lombardia. Tra gli scrittori lombardi, ricordiamo: Piero Chiara (1913-1986),
brillante creatore di figure irregolari e bizzarre sullo sfondo del mondo lombardo di
provincia (Il piatto piange, 1962; La spartizione, 1964; Il pretore di Cuvio, 1973; La
stanza del vescovo, 1976; Il capostazione di Casalino, racconti, 1986; Saluti notturni
dal Passo della Cisa, post., 1987); Mario Spinella (1918-1994), autore di Lettera da
Kupjansk (1987), uno dei migliori romanzi sulla Resistenza, vista come un’epopea
senza eroi, metafora dell'esistenza e dei suoi eterni valori; Emilio Tadini ( 1927-2002),
scrittore espressionista e pittore, autore di Le armi, gli amori (1963, un romanzo
sull'utopia rivoluzionaria di Carlo Pisacane), del romanzo comico-grottesco L'opera
122
(1980), di La lunga notte (1987), amara e divertente storia di un gerarca fascista, del
romanzo postumo Eccetera (2002), una allegoria della fine della giovinezza; Raffaele
Crovi (nato nel 1934), che ha espresso nella sua produzione in versi e in prosa una vena
autentica attinta alla sapienza contadina e popolare; tra i suoi romanzi, si ricorda Il
franco tiratore (1968), dove ha scandagliato il groviglio di ipocrisie di certi cattolici
impegnati nella politica (del 2003 sono le sue microstorie di Appennino. Avventure in
un paesaggio); Ferruccio Parazzoli (nato nel 1935), di formazione cattolica, autore di
O città o Milano (1976), quadro stralunato della metropoli, di Vigilia di Natale (1987),
vicenda di un ex-prete assillato da dubbi di fede, e di Per queste strade familiari e
feroci (risorgerò) (2004), indagine sul rapporto tra religione e sessualità sullo sfondo di
una credibilissima Milano.
Due importanti scrittori lombardi sono Pontiggia e Celati. Giuseppe Pontiggia (19342003) ha esordito con La morte in banca (1959), che anticipa i modi dell'imminente
Neoavanguardia. Un romanzo sperimentale è L'arte della fuga (1968), vero e proprio
repertorio delle tematiche del Gruppo 63. Un romanzo sulle meschinità del mondo
accademico è Il giocatore invisibile (1978), vicenda di un supponente docente
universitario affannato nel tentativo di scoprire l'identità di un misterioso rivale che ha
denunciato su una rivista letteraria un suo svarione filologico. In Il raggio d'ombra
(1983) il protagonista decide di scomparire per sottrarsi all'ipocrisia del mondo che lo
circonda. La grande sera (1989) è una vicenda “gialla” ambientata nel mondo della
finanza. Una delle migliori riuscite di Pontiggia sono le Vite di uomini non illustri
(1993), geniale miniaturizzazione di diciotto romanzi possibili su persone comuni,
molto lontane dal modello plutarchiano, ma molto umane. Un capolavoro è Nati due
volte (2000), storia del rapporto di un padre intellettuale con un figlio disabile, che
modificherà radicalmente entrambi: il figlio impara a nascere una seconda volta,
muovendosi in un mondo che sembrava rifiutarlo sulla spinta del pregiudizio; anche il
padre, dopo aver polemizzato con i «disabili normali», nasce una seconda volta quando
smette di desiderare che il figlio diventi normale, dal momento che la sua disabilità è
molto più reale ed autentica di qualsiasi normalità ideale e perfetta. Moralista e
bibliomane, Pontiggia è anche un grande saggista, che si ispira alla saggezza di
Montaigne: tra i suoi volumi di saggi, ricordiamo L'isola volante (1996), I
contemporanei del futuro (1998) e il "diario in pubblico" Prima persona (2002).
Gianni Celati (nato nel 1937) ha inizialmente creato figure di emarginati, con effetti di
stralunata comicità, in Le avventure di Guizzardi (1973), un libro che colpisce per la
straordinaria vitalità linguistica, lontana dalla scrittura della Neoavanguardia e ispirata
al grande modello di Céline. Nella stessa linea si collocano le opere successive, La
banda dei sospiri (1976) e Lunario del paradiso (1978). Dopo un lungo silenzio, Celati
è tornato alla narrativa rinunciando ai suo personaggi picareschi e orientandosi verso
una narrativa più dimessa ed essenziale (Narratori delle pianure, 1985; Quattro novelle
sulle apparenze, 1987), la cui poetica è enunciata nella prefazione a Narratori delle
riserve (1993), una antologia di racconti di vari autori da lui curata. Un diario di viaggio
è Verso la foce (1989). Di recente, Celati ha pubblicato una nuova serie di racconti,
Cinema naturale (2001), i cui protagonisti sono dominati dalla paura del futuro, ma
anche da una inesausta aspirazione alla felicità, e il romanzo filosofico Fata Morgana
(2005).
In Liguria. Tra gli scrittori liguri, è da ricordare anzitutto Germano Lombardi (19251992), esponente del Gruppo 63, che ha assimilato la tecnica del nouveau roman,
immergendo le vicende narrate in un'atmosferica onirica quasi al limite
dell'allucinazione (Barcelona, 1963; L'occhio di Heinrich, 1965) e si è poi cimentato
nei generi più diversi, dall'avventura (Cercando Beatrix, 1977) al romanzo esotico
123
(China il vecchio, 1987). Un forte scrittore è il savonese Sergio Quinzio (1927-1996),
che ha dedicato tutta la sua attività di studioso e di teologo ai fondamentali temi
cristiani e al nichilismo che ha invaso la cultura occidentale. Tra le sue opere: La croce
e il nulla (1984), Il silenzio di Dio (1993), Mysterium iniquitatis (1995). Francesco
Biamonti (1933-2001) è autore di L'angelo di Avrigue (1983) e di altre storie di vita
marinara (Attesa sul mare, 1994; Le parole la notte, 1998).
Nelle regioni venete. Un caso letterario è quello di Enrico Morovich (1907-1994), uno
scrittore veneto riscoperto di recente, di vena fantasiosa e ironica, passato dalla
rappresentazione di una civiltà contadina e montanara (Contadini sui monti, 1942) a una
tematica marinara (I giganti marini, 1984). Alquanto dimenticato è invece lo scrittore
trevisano Giuseppe Berto (1914-1978), che esordì con Il cielo è rosso (1946), una delle
opere più significative del Neorealismo, e si affermò con Il male oscuro (1964),
trascrizione di una nevrosi (il cui titolo è entrato nel linguaggio comune) e con un
romanzo ironico-grottesco, La cosa buffa (1966). Carlo Sgorlon (nato nel 1930) è
autore di romanzi di ambiente friulano, che oscillano tra il recupero di moduli
populistici nella rappresentazione del mondo contadino e la deformazione della realtà
quotidiana in chiave onirica. Si è affermato con un romanzo picaresco, La luna color
ametista (1972) e soprattutto con Il trono di legno (1973), che alterna il tono realistico a
quello fiabesco e magico. Rivisitazioni delle superstizioni e leggende di un mondo
arcaico sono La regina di Saba (1975) e Gli dei torneranno (1977). Di più ampio
respiro storico è La carrozza di rame (1979), imperniata sulle vicende di una famiglia
patriarcale. In seguito Sgorlon ha pubblicato i romanzi La contrada (1981), La
conchiglia di Anataj (1983), L'armata dei fiumi perduti (1985), L'ultima valle (1986), Il
Colderas (1988), Malga di Sir (1997), L'uomo di Praga (2003), Le sorelle boreali
(2004).
Il padovano Ferdinando Camon (nato nel 1935) è autore del "ciclo degli ultimi", sulla
vita degli emarginati (Il quinto stato, 1970; Un altare per la madre, 1978), di Occidente
(1975), un romanzo sulle "trame nere", di Storia di Sirio (1984, sul dramma della droga,
di La donna dei fili (1986), vicenda di una cura psicoanalitica. Una nostalgica
rievocazione della civiltà contadina è Dal silenzio delle campagne (1998). L'istriano
Fulvio Tomizza (1935-1999) ha rappresentato coralmente il mondo contadino (Trilogia
istriana, 1960-1966; La miglior vita, 1977). Il triestino Claudio Magris (nato nel
1939), insigne germanista, saggista del mito asburgico, è autore del romanzo storico
Illazioni su una sciabola (1984) e di un libro di viaggio di grande successo, Danubio
(1986), che offre l'occasione per evocare la splendida civiltà letteraria della
Mitteleuropa. Tra le altre sue opere: Stadelmann (commedia, 1988), Microcosmi (1999),
La mostra (2001) e il recente Alla cieca (2005), vicenda di un comunista che ricerca in
una clinica l'origine perversa di tante vite malamente sprecate.
Nell'Emilia-Romagna. Bolognese è Manlio Cancogni (nato nel 1916), che analizza
sentimenti elementari e profondi (La linea del Tomori, 1966; Quella strana felicità,
1985). Uno scrittore di culto, del quale sono state ripubblicate le Opere (2004) è Silvio
D'Arzo (1920-1952), di Reggio Emilia, morto di leucemia a soli 32 anni. Dopo
l'esordio di Essi pensano ad altro (post., 1976), storia di un'adolescenza tra
crepuscolarismo e surrealismo, D'Arzo scrisse All'insegna del "Buon Corsiero" (1942),
romanzo ambientato nell'atmosfera magica e spettrale di una locanda settecentesca, il
cui demonismo è riscattato dalla rarefatta purezza dello stile. Il capolavoro di D'Arzo,
definito da Montale un «racconto perfetto», è Casa d'altri (post., 1953), romanzo
percorso da una forte tensione esistenziale, amara rappresentazione della solitudine e
della pena di vivere. Il piacentino Piergiorgio Bellocchio (nato nel 1931), fondatore
delle riviste «Quaderni piacentini» e «Diario», ha raccolto i suoi racconti in I piacevoli
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servi (1966) e ha descritto nei folgoranti aforismi di Dalla parte del torto (1985)
un'Italia degradata e corrotta. Il parmigiano Alberto Bevilacqua (nato nel 1934), ha
ottenuto grande successo con La califfa (1964), ma ha raggiunto esiti più felici in La
festa parmigiana (1980), La donna delle meraviglie (1984) e Una misteriosa felicità
(1988). Il bolognese Giorgio Celli (nato nel 1935), insigne entomologo, esponente del
Gruppo 63, è autore di varie opere, tra le quali La zattera di Vesalio (1977), La scienza
del comico (1982), Bestiario postmoderno (1990), Come le vespe d'autunno (1995).
In Toscana. Un narratore toscano di razza è Oreste Del Buono (1923-2003), i cui libri
(raccolti in La parte difficile, 2003) stanno tra l'autobiografia romanzata e il bilancio
generazionale (particolarmente interessante è La nostra classe dirigente, 1986, un
notevole tentativo di raccontare la storia del fascismo nella realtà della vita quotidiana).
Genio editoriale, direttore di «Linus», Del Buono ha promosso la pubblicazione di
fumetti, gialli, romanzi popolari. Toscani sono anche Raffaele Brignetti (1921-78),
autore di romanzi di mare (Il gabbiano azzurro, 1967; La spiaggia d'oro, 1971) e
Franco Ferrucci (nato nel 1936), cui si devono Lettera ad un ragazzo sulla felicità
(1982), libro sorretto da una felice intuizione della psicologia giovanile, e Il mondo
creato (1986), originalissima autobiografia di Dio, «uno dei più bei libri apparsi in Italia
in questi decenni» (U. Eco).
A Roma. Uno scrittore di culto è il pescarese Ennio Flaiano (1910-1972), vissuto a
Roma. Si è imposto come narratore con Tempo di uccidere (1947), un romanzo sulla
guerra d'Etiopia (cui lo scrittore aveva preso parte), bilanciato tra l'assurdo della storia e
l'assurdo della condizione umana. Una raccolta degli articoli apparsi su «Il Mondo» è
Diario notturno (1956): questi scritti rivelano un Flaiano illuminista, che alterna
sorridenti sberleffi alle acutezze dell'intelligenza, polemizzando con feroce sarcasmo
contro la mentalità provinciale e ipocrita e contro l'arroganza del potere. I racconti di
Flaiano sono raccolti in Una e una notte (1959) e in Il gioco e il massacro (1970).
Capolavoro teatrale dello scrittore è Un marziano a Roma (1971), vicenda paradossale
di un extraterrestre, capitato a Roma. Numerosi sono gli scritti di Flaiano, pubblicati
postumi: eccelle in essi uno scrittore dotato di un'eleganza raffinata nell'arte del
paradosso. Flaiano è stato inoltre sceneggiatore di numerosi film, tra cui i capolavori di
F. Fellini.
Romano è il latinista Luca Canali (nato nel 1925), autore di I delatori (1986), il cui
protagonista demolisce con sinistra e torbida determinazione la propria personalità, fino
all'ultima abiezione del tradimento. Tra gli altri romanzi: Autobiografia di un baro
(1984), Diario segreto di Giulio Cesare (1994). Romano è anche Carlo Villa (nato nel
1931), che nei suoi romanzi polemizza contro i pregiudizi e i miti della società
borghese, pervenendo spesso a esiti di céliniana ferocia. Tra le sue opere: Deposito
celeste (1967), I sensi lunghi (1970), L'isola in bottiglia (1972).
Un altro scrittore romano è Enzo Siciliano (nato nel 1934), che ha esordito con i
Racconti ambigui (1963), iniziando un discorso sull'ambiguità della vita che si è poi
sviluppato nel romanzo La coppia (1966), nei racconti di Dietro di me (1971) e in Rosa
pazza e disperata (1973). La raffinata letterarietà del suo stile ha raggiunto gli esiti più
persuasivi nel romanzo La notte matrigna (1975) e soprattutto in La principessa e
l'antiquario (1980), un romanzo ambientato alla fine del Settecento, in una Roma
sciroccosa e allucinata. In Diamante (1984), lo scrittore ha adottato una pluralità di stili,
dal romanzo epistolare alla narrazione oggettiva. Tra i romanzi successivi: Carta blu
(1992), Mia madre amava il mare (1994), Diario italiano (1996). Un romanzo intenso e
dolente, ambientato in Calabria, è Non entrare nel campo degli orfani (2002). Di
recente, Siciliano ha pubblicato un romanzo di vita coniugale, Il risveglio della bionda
sirena (2004).
125
Ricordiamo infine, tra gli scrittori romani, il giornalista e uomo politico Luigi Pintor
(1925-2003), di origine sarda, radiato dal PCI per il suo atteggiamento critico nei
confronti del "socialismo reale", fondatore nel 1969 della rivista di sinistra «il
manifesto» (divenuta quotidiano nel 1971). Pintor ha scritto Servabo. Memorie di fine
secolo (1991), dove sono narrati i fatti dell'esistenza dell'autore degni di essere
"conservati"; La signora Kirchgessner (1998), dove, prendendo lo spunto dalla figura di
una virtuosa nata cieca che suonò per tutta la vita uno strumento di cristallo, l'autore
esprime il suo momentaneo e sofferto distacco dalla politica; Il nespolo (2000), diario di
un periodo difficile, durante il quale Pintor ha perduto i figli Giaime e Roberta; i luoghi
del delitto (2003), sulle cui pagine si incontrano la cognizione del dolore leopardiana e
l'austera severità di Gramsci.
In Campania. Folta è la schiera degli scrittori napoletani, a cominciare da Luigi
Compagnone (1915-1998), autore di L'amara scienza (1965), un libro pervaso da un
furore illuministico, di romanzi picareschi e di una brillante riscrittura, La vita nuova di
Pinocchio (1971). Lo scrittore campano Domenico Rea (1921-1994) si è affermato con
i racconti di Spaccanapoli (1947), dove la realtà di miseria e di dolore della metropoli
meridionale è descritta con uno stile sulfureo, al "lampo di magnesio", e con uno stile
accesamente barocco. L'equilibrio narrativo è raggiunto da Rea in Gesù, fate luce
(1950), racconti bilanciati tra realtà e fantasia. Il passaggio dal bozzetto al racconto
lungo è segnato da Ritratto di maggio (1953) e soprattutto da Quel che vide Cummeo
(1955), storia di un'emarginazione sociale, forse l'esito più felice dello scrittore. Un
clima di disfacimento e di morte pervade il romanzo Una vampata di rossore (1959).
Una mordente indagine sulla Napoli del benessere è il racconto La signora è una
vagabonda (1968), mentre un ritorno all'epopea della plebe napoletana è segnato dal
romanzo-saggio Fate bene alle anime del Purgatorio (1977). Una raccolta di racconti è
Il fondaco nudo (1985). Tra le opere più recenti dello scrittore è il vivacissimo romanzo
Ninfa plebea (1993).
Michele Prisco (1920-2003) è un narratore che ha interpretato la categoria della
"napoletanità" in senso radicalmente nuovo, facendo dell'«incantata provincia vesuviana
sfatta di luce» lo sfondo di aggrovigliate vicende familiari. Rivelatosi con i racconti di
La provincia addormentata (1949), ha scritto, tra gli altri, i romanzi Una spirale di
nebbia (1966), Gli eredi del vento (1950), Figli difficili (1954).
Il più noto scrittore napoletano è oggi Raffaele La Capria (nato nel 1922), autore di
Ferito a morte (1961), pungente ritratto di una borghesia parassitaria, che vive alla
giornata, di Amore e psiche (1973), che ripropone il tema della frantumazione della
personalità sullo sfondo dei grandi agglomerati urbani, e di La neve sul Vesuvio (1988),
rievocazione della propria infanzia napoletana. La Capria ha pubblicato inoltre prose
saggistiche (La mosca nella bottiglia, 1996; Lo stile dell'anatra, 2001), interviste (Me
visto da lui stesso, 2002), conversazioni (Letteratura e libertà, 2002) e il diario L'estro
quotidiano (2005). Un mirabile ritratto dell'amico Goffredo Parise è Caro Goffredo
(2005).
Giampaolo Rugarli (nato nel 1932) ha esordito con il romanzo Il superlativo assoluto
(1987), una metafora delle frustrazioni dello scrittore alle prese con l'editoria (sullo
stesso tema l'autore tornerà in Andromeda e la notte, 1989). Una rivisitazione in chiave
espressionistica e grottesca del dramma del terrorismo è La troga (1988), il cui titolo è
la denominazione di una associazione segreta. Molto apprezzato dalla critica è Il nido di
ghiaccio (1989), doloroso apologo sulla morte ("nido di ghiaccio", secondo la nitida e
straziata metafora di Emily Dickinson). Tra le altre opere: Il punto di vista del mostro
(1991), L'infinito, forse (1995), Una gardenia nei capelli (1998).
126
Un posto a sé occupa Mario Pomilio (1921-1990), il cui capolavoro è Il Quinto
Evangelio (1975), storia della scoperta di un ipotetico vangelo e del suo messaggio di
speranza non solo per i credenti, ma per tutti. Pomilio ha scritto anche un romanzosaggio, Il Natale del 1833 (1983), che prende lo spunto da una lirica scritta da Manzoni
dopo la morte della moglie Enrichetta. Una dolente meditazione sulla morte è anche il
libro postumo Una lapide in via del Babuino (2002).
Di recente si è affermato lo scrittore Ermanno Rea (nato nel 1927), vincitore del
premio Campiello con il romanzo Fuochi fiammanti a un'ora di notte (1999). Rea ha
pubblicato Mistero napoletano (2002), storia del suicidio di un comunista "irregolare"
negli anni della guerra fredda, e La dismissione (2002), un romanzo che ha come
protagonista un operaio dell'Ilva, la grande acciaieria di Bagnoli che è stata dismessa.
Altri scrittori dell'Italia meridionale. Tra gli altri scrittori dell'Italia meridionale, sono
da ricordare: l'irpino Dante Troisi (1920-89), magistrato, rivelatosi come scrittore con
il Diario di un giudice (1955); il pugliese Giuseppe Cassieri (nato nel 1926), che
prende di mira, nei suoi libri, le mode futili, le chiacchiere inutili, la pseudo-cultura dei
mass-media (La cocuzza,1960; Le trombe, 1965; Andare a Liverpool, 1968; Diario di
un convertito, 1986); e gli scrittori calabresi Mario La Cava (1908-1988), autore di
libri dove sono descritte, con tecnica naturalistica, le minute vicende del piccolo mondo
provinciale calabrese (Memorie del vecchio maresciallo,1958; Vita di Stefano, 1962; La
ragazza del vicolo scuro, 1977); Saverio Strati (nato nel 1924), figlio di contadini,
autore di romanzi-cronaca che esprimono il dramma del sottoproletariato meridionale,
assillato da un'antica povertà (La marchesina, 1956; Noi lazzaroni, 1972); evocatore
delle tradizioni calabresi (Miti, racconti e leggende, 1986), Strati ha narrato, in L'uomo
in fondo al pozzo (1989), la vicenda di uno stralunato e visionario personaggio, animato
da un furore utopistico che ricorda i grandi calabresi Gioacchino da Fiore e Tommaso
Campanella; Antonio Altomonte (1934-1987), i cui romanzi, di carattere metaforicosimbolico, sono ispirati alla tematica kafkiana dell' “uomo in trappola” (Dopo il
Presidente, 1978) e al motivo pirandelliano del sosia e delle "maschere" (Il fratello
orientale, 1984).
In Sicilia. La rassegna degli scrittori siciliani può cominciare con Angelo Fiore (19061986), vissuto nel più assoluto isolamento e riscoperto dopo la morte: nei suoi libri, che
rimandano per la violenza espressionistica a Federigo Tozzi, ha rappresentato un mondo
allucinato e doloroso di piccoli burocrati, di sognatori, di falliti (Un caso di coscienza,
1963; Il supplente, 1964; L'erede del beato, 1981). Un altro scrittore siciliano
meritevole di un ricordo è Ercole Patti (1905-1976), che, all'ironico affresco della
borghesia romana sotto il fascismo (Quartieri alti, 1940; Un amore a Roma, 1956) ha
contrapposto i valori della società rurale, sullo sfondo di una Sicilia sensuale e luttuosa
(Un bellissimo novembre, 1967). Il palermitano Carmelo Samonà (1926-1990), noto
come ispanista, è autore di uno dei libri più intensi e sorprendenti della letteratura
italiana più recente, Fratelli (1978), profonda riflessione sul dramma della malattia
mentale. Sono seguiti altri due romanzi: Il custode (1983), vicenda kafkiana di un uomo
prigioniero in una stanza e angosciato dalla solitudine, e Casa Landau, uscito postumo
nel 1990, l'anno della morte dello scrittore. Tutta l'opera narrativa di Samonà è stata di
recente riproposta in un «Oscar» Mondadori (2002), con una introduzione di Francesco
Orlando. Non solo scrittore, ma anche operatore artistico è Emilio Isgrò (nato a
Barcellona Pozzo di Gotto, Messina, nel 1937), che si è affermato come uno dei
maggiori esponenti italiani della poesia visuale, volta a fondere manifestazione poetica
e arti spazio-visive. In quest'ambito Isgrò opera con ricerche sull'intrasmissibilità dei
messaggi, realizzate tramite "cancellature" (Il Cristo cancellatore, 1968; L'Enciclopedia
Treccani cancellata, 1970), fino a L'avventurosa vita di Emilio Isgrò (1974),
127
autobiografia in cui l'autore "cancella" se stesso. Poeta e autore di testi teatrali, Isgrò ha
riscritto, in un dialetto siciliano illustre alcune grandi tragedie di Eschilo. Tra le sue
ultime opere: Polifemo (1989), L'asta delle ceneri (1994), Oratorio dei ladri (1996).
Tra gli scrittori siciliani, spiccano oggi Bonaviri, Bufalino, Consolo, Camilleri.
Giuseppe Bonaviri (nato a Mineo nel 1924), cardiologo di professione, fu scoperto
come scrittore da E. Vittorini, che pubblicò nella collana einaudiana dei Gettoni il suo
primo romanzo, Il sarto della stradalunga (1954), dove il microcosmo paesano di
Mineo è rappresentato con effetti di coralità che ricordano i Malavoglia di Verga. La
Sicilia rurale e arcaica fa da sfondo ai romanzi successivi (La contrada degli ulivi,
1958; I fiumi di pietra, 1964); ma poi Bonaviri imprime una svolta decisa in direzione
fantastica e onirica alla sua scrittura, liberandola da ogni residuo di neorealismo. L'esito
più alto di questa nuova fase è La divina foresta (1969), un'opera nella quale la
letteratura italiana ritrova «la sua vocazione specifica nei suoi primi secoli: letteratura
come filosofia naturale» (I. Calvino). Un afflato cosmico pervade le Notti sull'altura
(1971) e L'isola amorosa (1973), itinerari a ritroso in una Sicilia atemporale, evocata
nelle sue dimensioni irreali e magiche. La mimesi dei suoni del mondo tecnologico è al
centro di La beffaria (1975) e di L'enorme tempo (1976), dove affiorano gli interessi
scientifici dello scrittore. Un altro vertice della produzione di Bonaviri è Dolcissimo
(1978), un libro in prosa e in versi dominato da una affabulazione domestica e, insieme,
straniata, e dall'osservazione stupefatta di spazi cosmici che, con la loro abissale densità
di "buchi neri", sono metafore della «grande malinconia del mondo». Dopo le Novelle
saracene (1980), una nuova esplorazione nei regni dell'arcano, descritti con geometrica
esattezza e con barocco stupore, si compie in L'incominciamento (1983). Una favola
ironica e allegorica, ambientata in India, è il romanzo È un rosseggiare di peschi e
albicocchi (1986), vicenda di follia e di morte su uno sfondo rutilante di colori. Un
viaggio nelle zone inesplorate dei pre-sogni che antecedono il sonno è Il dormiveglia
(1986), scandaglio di quel "prototempo" che è legato alla pura vita biologica. Un ritorno
memoriale all'infanzia nella favolosa Mineo è Il vicolo blu (2003), evocazione del vico
Baldanza, cuore del paese, che ogni sera si tinge di un surreale colore azzurro in cui
risaltano corpi di ragazze dal profumo di “mandorlo fiorito”. Più volte candidato al
premio Nobel, Bonaviri è uno degli scrittori italiani più conosciuti all'estero, molto letto
in Francia e tradotto in tutto il mondo.
Ben poco accomuna due scrittori così diversi come Consolo e Bufalino: forse,
l'attrazione, nell'uno e nell'altro, verso il barocco siciliano, con il quale consuona
spontaneamente la scrittura di Consolo, ma caro anche a Bufalino, che si esprime (come
ha dichiarato) con parole «febbricitanti, tenere, barocche, a gara con il barocco di una
terra che ama l'iperbole e l'eccesso». Ma il registro stilistico di Bufalino è sempre alto,
caratterizzato (come egli dice ancora) dallo «scialo degli aggettivi» e dall'«oltranza dei
colori», mentre Consolo mescola la lingua della Sicilia aristocratica con quella della
Sicilia popolare. Diversi, infine, i modelli culturali: Bufalino è legato alla tradizione del
Decadentismo, che ha in Thomas Mann uno dei suoi ultimi maestri, mentre Consolo
guarda a Sciascia (dal quale eredita la curiosità intellettuale verso la storia e la cronaca)
e a Gadda (del quale riprende il ricorso al pastiche linguistico).
Nato a Comiso (Ragusa) nel 1920, morto in un incidente automobilistico nel 1996,
Gesualdo Bufalino ha avuto una giovinezza movimentata: catturato dai tedeschi nel
1943, riuscì a fuggire e si nascose in un ospedale a Scandiano, in Emilia; tornato in
Sicilia, si dedicò all'insegnamento (fu anche preside nell'istituto magistrale di Comiso),
finché, a sessant'anni, si lasciò persuadere a pubblicare Diceria dell'untore (1981),
«sontuoso arazzo funebre», a metà tra la fiaba e l'orrore. Così l'autore stesso riassume la
trama: «Si racconta la convivenza di alcuni reduci di guerra moribondi in un sanatorio
della Conca d'Oro, nel '46. Fra il protagonista e una paziente dagli ambigui trascorsi
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(Marta) nasce un amore, puerile e condannato in partenza, più di parole che d'atti, il cui
sbocco è una fuga a due senza senso e, subito dopo, la morte di lei in un alberghetto sul
mare. Egli, invece, guarisce inaspettatamente, e rientrando nella vita di tutti, vi porta
un'educazione alla catastrofe di cui probabilmente non saprà servirsi, ma anche la
ricchezza di un noviziato indimenticabile nel reame delle ombre». La "diceria" del titolo
è un termine ricercato per indicare il racconto del protagonista sulla sua esperienza;
quanto all' “untore” (un indiretto omaggio ad Alessandro Manzoni e ai suoi Promessi
Sposi), il termine va messo in riferimento all'«educazione alla catastrofe» di cui parla lo
scrittore, allude cioè a un salutare "contagio" diffuso dal protagonista «nella vita di
tutti»: il pensiero della morte, che ci aiuta a vivere. Memorabile è, nel romanzo,
l'episodio della morte di Marta, dal quale citiamo questa frase, folgorante nella sua
drammatica brevità: «Era morta, questo era ora il suo stato naturale e pacifico. Come se
non fosse stata mai altro: di botto impietrita, uccisa e neutra, una cosa».
Dopo aver dedicato al paese natio le prose di Museo d'ombre (1982) e dopo una raccolta
di liriche dal titolo significativo, L'amaro miele (1982), Bufalino ha pubblicato Argo il
cieco ovvero I segni della memoria (1985), un romanzo in bilico tra ironia e nostalgia:
in un albergo romano, un anziano scrittore rievoca una luminosa e calda estate del
dopoguerra, vissuta in una splendida località siciliana. In Cere perse (1985) Bufalino
intreccia un dialogo con i suoi scrittori prediletti. I racconti di L'uomo invaso (1986)
sono, in realtà, "invenzioni", fantasticherie, fiabe, che si dipanano, come in un teatrino
barocco, configurandosi come dialoghi lunatici e malinconici. Uno degli esiti più alti
della narrativa di Bufalino è il romanzo Le menzogne della notte (1988): quattro
condannati a morte di uno stravolto Risorgimento vi raccontano, in una lugubre fortezza
borbonica, le loro storie, che trapassano dalla fantasia al "giallo" e alla moralità
leggendaria, nel contesto della consueta prosa sontuosa, pervasa ora da uno sconsolato
nichilismo. Nelle prose di La luce e il lutto (1988) è evocata una Sicilia luminosa e
funerea, immersa in una dimensione teatrale del vivere. Le ultime opere di Bufalino
sono: Qui pro quo (1991), una parodia del "giallo", condotta fino a far deflagrare le
regole codificate di quel genere narrativo; Calende greche (1992), una antologia
intertestuale dell'autore; e il romanzo claustrofilo Tommaso e il fotografo cieco (1996).
Romanziere di grande successo, affermatosi solo nel 1995 (con Il birraio di Preston)
quando era sulla soglia dei settant'anni, Andrea Camilleri (nato a Porto Empedocle nel
1925) si è dedicato a lungo alla professione di regista teatrale e televisivo, di
sceneggiatore e di docente presso l'Accademia nazionale di arte drammatica. Ha
esordito nel 1978 con Il corso delle cose, un titolo che riprende una citazione del
filosofo francese Maurice Merleau-Ponty sull'insensatezza degli eventi umani. La
produzione narrativa di Camilleri si sviluppa lungo due versanti: la serie dei romanzi
storici e quella dei romanzi polizieschi. I capolavori dello scrittore sono da identificare
nella prima serie, alla quale però ha fatto da traino la popolarità del ciclo del
commissario Montalbano (La forma dell'acqua, 1994; Il cane di terracotta, 1996; Il
ladro di merendine, 1996; La voce del violino, 1997, Un mese con Montalbano,
racconti, 1998; Gli arancini di Montalbano, 1999; La gita a Tindari, 2000; L'odore
della notte, 2001; Il giro di boa, 2003; La prima indagine di Montalbano, 2004).
Sull'ideazione del ciclo di Montalbano ha influito l'attività di Camilleri come
sceneggiatore della serie televisiva sul commissario Maigret di Simenon, interpretata da
Gino Cervi; ma l'idea di chiamare Salvo Montalbano il suo eroe è stata suggerita
all'autore dal nome dello scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán, creatore del
celebre segugio Pepe Carvalho: nulla però, al di là delle intemperanze alimentari, hanno
in comune i due personaggi. La novità di Camilleri è soprattutto l'uso di una lingua
fortemente dialettizzata: un inimitabile idioletto (ma sarebbe più opportuno il
neologismo "idialetto"). Nella serie (la cui fortuna è stata decretata anche dalla fiction
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televisiva, seguita da milioni di spettatori) spicca Il cane di terracotta, un ambizioso
romanzo a incastro in cui solo i consigli di un inquietante vecchio spretato gettano luce
sull'enigmatica sepoltura di due amanti assassinati: è questo l'unico romanzo del ciclo
che si avvicina al gioco della memoria, caro allo scrittore siciliano. Di notevole rilievo è
anche Il giro di boa, un romanzo che affronta i problemi più scottanti dell'Italia
contemporanea, dal razzismo strisciante nei confronti degli immigrati (incrementato da
una legge che l'autore chiama Cozzi-Pini) alla corruzione dilagante, dall'arroganza del
potere allo scandalo dell'abusivismo condonato: fenomeni, tutti, che scandalizzano
talmente il famoso commissario da indurlo a pensare seriamente alle dimissioni. I
romanzi storici (Un filo di fumo, 1980; La strage dimenticata, 1984; La stagione della
caccia, 1992; La bolla di componenda, 1993; Il birraio di Preston, 1995; La
concessione del telefono, 1998; La scomparsa di Patò, 2001; Il re di Girgenti, 2001;
Privo di titolo, 2005) sono tutti romanzi corali e polifonici, nei quali gioca un ruolo
decisivo non un singolo personaggio ma un'intera folla. Il capolavoro è forse Il re di
Girgenti, storia di un contadino che nel 1718 si impadronì del potere e riuscì per breve
tempo (prima di finire sulla forca) a regalare ai suoi affamati sudditi un "sogno" di
dignità. Quasi interamente scritto in dialetto, il romanzo costituisce una straordinaria
scommessa stilistica: «il personalissimo siciliano di Camilleri scorre fluido e leggero ed
è lingua capace di stabilire il rapporto giusto con le cose narrate, di affettuosa ironia, di
disincantata lontananza, di partecipe solidarietà» (V. Coletti). Si veda, come campione,
questo passo esilarante: «I giurati che governavano Montelusa, a parte il sindaco e
consultore don Tìndaro Dedomini, erano don Alterio La Seta, don Filiberto Giardina,
don Occaso Barbèra, don Silvestro Cozzo e din Tinino Titò. Proprio accussì la genti lo
chiamava 'din' per farlo sonare a parte da tutto quello scampanìo di 'don', pirchì quanno
parlava, caminava, taliava, pariva priciso una fìmmina e non un omo». Il punto di
contatto tra i due mondi narrativi di Camilleri è il paese immaginario di Vigata, in cui si
riconosce Porto Empedocle (come Montelusa è Agrigento); e il punto di riferimento
costante è il grande agrigentino Pirandello, al quale Camilleri ha dedicato il saggio
Biografia del figlio cambiato (2000).
In Sardegna. Uno scrittore sardo, scoperto postumo, è un insigne giurista, Salvatore
Satta (nato a Nuoro nel 1902, morto a Roma nel 1975). Solo dopo la sua morte, esplose
il suo caso letterario con la pubblicazione di Il giorno del giudizio (1977), un romanzo
vigoroso, sospeso tra la storia naturalistica di una famiglia di notabili in decadenza, la
rappresentazione corale di un'intera città, Nuoro, e il funereo lirismo del protagonista.
La capacità più rilevante di Satta è quella di saper descrivere, in una mescolanza di
amara comicità e di lugubre orrore, un mondo insensato e corrotto. Nel 1980 ha visto la
luce un accorato diario sulla guerra, De Profundis, e, nel 1981, un romanzo giovanile,
La veranda, che descrive le allucinanti condizioni di vita in un sanatorio.
Nato a Villacidro (Cagliari) nel 1909 e morto a Roma nel 1977, Giuseppe Dessì si
rivelò come scrittore con i racconti di La sposa in città (1938), dove la rievocazione del
mondo sardo è proustianamente filtrata nella luce della memoria. Il primo romanzo, San
Silvano (1939), è la storia di un intellettuale che ritorna alla Sardegna, "paese
dell'anima". Uno degli esiti più alti della narratissima di Dessì è Michele Boschino
(1942), splendido ritratto di un contadino chiuso in una disperata solitudine. Tra i libri
successivi sono da ricordare: Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo (1959), Il
disertore (1961), Paese d'ombre (1972).
Il più noto scrittore sardo di oggi è il sassarese Salvatore Mannuzzu (nato nel 1930),
magistrato, che delinea nei suoi romanzi (Procedura, 1987; Un morso di formica, 1988;
Alice, 2001; Le fate dell'inverno, 2004) un'intricata mappa dei sentimenti, con il rovello
di un'indagine mai conclusa e con un linguaggio frastagliato e inquieto.
130
Ricordiamo infine un altro scrittore sardo, Gavino Ledda (nato nel 1938), pastore
analfabeta fino a vent' anni, poi autodidatta e autore di Padre padrone (1938), storia
della rivolta contro un padre taciturno e inflessibile.
Scrittori nati negli anni Quaranta e Cinquanta
Un'ampia nebulosa narrativa. Sarebbe impresa assai ardua delineare una mappa della
narrativa degli ultimi trentacinque anni dopo il Sessantotto, nell'epoca del Postmoderno, in cui il predominio dell'immagine e l'espansione dei mass-media hanno reso
sempre più marginale il ruolo della letteratura. In compenso, si è assistito a forme
diffuse di letteratura "selvaggia", in presa diretta sulla realtà, espressione di protesta
individuale e di sfogo di sentimenti intimi e privati, di cui ovviamente non è possibile
tracciare un profilo storico. Si può soltanto delimitare due campi generazionali: quello
degli scrittori nati nel decennio degli anni Quaranta, che hanno vissuto direttamente
l'esperienza del Sessantotto, e quello degli scrittori più giovani, nati nel corso degli anni
Cinquanta, che da quell'esperienza sono stati solo sfiorati e sono maturati in piena epoca
post-moderna.
In Piemonte. La torinese Lidia Ravera (nata nel 1951) ha scritto, con Marco
Lombardo Radice, Porci con le ali (1976), un romanzo sulla liberazione sessuale nel
quadro della contestazione del ’68; ha poi pubblicato Voi grandi (1990), evocazione dei
fantasmi del terrorismo negli "anni di piombo".
Torinese è anche Paola Mastrocola (nata nel 1956), insegnante nelle scuole medie
superiori, che si è affermata con La gallina volante (2000), la cui protagonista, una
professoressa di Lettere, coltiva il sogno di riuscire, nella sua "scuola-pollaio", a far
volare una gallina, cioè ad insegnare ai suoi allievi a usare le ali della fantasia. Sono
seguiti i romanzi Palline di pane (2001) e Una barca nel bosco (2004). Un pamphlet
contro il decadimento dell'istruzione nei licei italiani è La scuola raccontata al mio
cane (2004).
Il torinese Alessandro Baricco (nato nel 1958) è un tipico esponente del "Postmoderno d'autore" per la contaminazione letteraria, nei suoi libri, di modelli che variano
da Céline a Perec e da Conrad a Calvino. Critico e studioso musicale, animatore di
programmi televisivi dedicati ai libri, Baricco si è imposto con Castelli di rabbia
(1991), un romanzo intrigante, ricco di storie stralunate, con personaggi visionari e
ribelli. La capacità di affabulazione dello scrittore è confermata da Oceano mare (1993),
che trabocca di scene-madri, tra pathos e ironia. Dopo Seta (1996), che ha ottenuto un
lusinghiero successo di pubblico, Baricco ha pubblicato City (1999), la cui vicenda si
risolve in uno scialo di trame improbabili sullo sfondo di un irriconoscibile ambiente
urbano. Molto discussa è la riscrittura, tentata da Baricco, dell'Iliade omerica (Omero,
Iliade, 2004), ridotta alla descrizione di alcune battaglie, in un mondo privo di dèi, allo
scopo (come sostiene l'autore) di comprendere meglio il rapporto dell'uomo con tutte le
guerre della sua storia.
In Lombardia. Il mantovano Antonio Moresco (nato nel 1947) ha esordito nel 1993
con Clandestinità. Ispirata ad un desolato nichilismo è il racconto La cipolla (1994). Le
delusioni di una generazione trovano espressione in Lettere a nessuno (1997), mentre
un tentativo di più ampio affresco narrativo è Gli esordi (1998). Con Canti del caos
(prima parte, 2001; seconda parte 2003), l'autore tenta di risalire alle origini del caos
contemporaneo con una scrittura estremamente ardua, caratterizzata dalla violenza
verbale, che oscilla dall'ironia al disgusto nella rappresentazione delle perversioni
umane.
131
Il bresciano Aldo Busi (nato nel 1948) si è imposto con Seminario sulla gioventù
(1984; nuova ed. riscritta, 2003), vicenda picaresca di un omosessuale e, insieme,
"seminario" sulla scrittura, intesa come unica risorsa di salvezza individuale. Con uno
stile torrenziale e neobarocco, in cui si mescolano ironia e dissacrazione, l'autore mette
in campo il suo sfrenato narcisismo, volto a sorprendere e a sedurre il lettore. Sono
seguiti altri romanzi di tono anticonformista e provocatorio: Vita standard di un
venditore provvisorio di collant (1985), La Delfina Bizantina (1986), Sodomie in corpo
11 (1988), Altri abusi (1989). Dalla rappresentazione della trasgressione, Busi passa, in
Le persone normali (la dieta di Uscio) (1992) alla rappresentazione della normalità.
Il milanese Andrea De Carlo (nato nel 1952) ha esordito con un romanzo dotato di
fresca inventività, Treno di panna (1981), vicenda di un ragazzo italiano affascinato da
Los Angeles, che è descritta con una tecnica fotografica (l'occhio "grandangolare") e
con una visività assai simile a quella dell'iperrealismo americano. In questa opera prima,
pervasa dal mito del nomadismo, si è riconosciuta tutta una generazione, all'inizio degli
anni Ottanta. Il secondo romanzo, Uccelli da gabbia e da voliera (1982), è la storia di
un giovane ribelle che si lascia irretire nella "gabbia" del terrorismo: ancora una volta il
racconto coincide con lo sguardo del narratore, che si muove come l'obiettivo di una
macchina da presa. Più discussi in sede critica sono i due romanzi successivi: Macno
(1984), storia d'amore tra una giornalista e un misterioso dittatore sudamericano, e
Yucatan (1986), una vicenda bilanciata tra il fascino dell'antico Messico e l'inquietudine
tecnologica moderna. Due di due (1989) è la storia di un'amicizia sullo sfondo della
realtà italiana dal '68 a oggi. In Tecniche di seduzione (1991), il tema centrale è quello
dell'antitesi tra il combattivo protagonista e il mondo corrotto che lo circonda, sullo
sfondo di una Milano immersa in una «nebbia gelata e velenosa». Dopo altre prove
narrative meno convincenti, De Carlo ha ritrovato la freschezza narrativa degli esordi in
I veri nomi (2002), fine satira sul modo di fabbricare best-seller, e in Giro di vento
(2004), un ritorno al tema dell'amicizia.
Una scrittrice lombarda è Laura Pariani (nata nel 1951), che ha esordito con racconti
ambientati nelle cascine ticinesi di fine Ottocento. Una biografia romanzata di Garcilaso
de la Vega è La spada e la luna (1995). Una storia ambientata nel contado milanese del
Cinquecento, con sapienti montaggi di voci dialettali, è La Signora dei porci (1999). La
foto di Orta (2001 è una rievocazione dell'amore romanzesco di Nietzsche per Louise
Salomé. Tra i libri più recenti: Quando Dio ballava il tango (2002), L'uovo di
Gertrudina (2003), La straduzione (2004).
Milanese è anche Marco Bacci (nato nel 1954), che ha esordito con Il pattinatore
(1986), vicenda, narrata in chiave surrealistica, di un "diverso" che scivola abilmente tra
le insidie della vita; è seguito Settimo cielo (1988), storia stralunata di una coppia di
giovani sposi che, nell'attesa di un figlio, raggiungono il "settimo cielo" della felicità.
Del 1991 è Fidanzata cinese, la cui trama complessa, imperniata su presenze spettrali in
un'antica dimora, è disegnata con matematica precisione.
Il milanese Michele Mari (nato nel 1955) si è affermato per il suo stile rigoroso e per il
suo ampio lessico (ricco di arcaismi) fin dal suo primo libro, Di Bestia in Bestia (1989),
popolato di mostri, emblematici degli elementi più ferini dell'uomo, e dominato dalla
presenza di due fratelli, Osmoc e Osac (rispettivamente, anagrammi di Cosmo e Caos).
Il libro piacque molto a Manganelli, che lo definì come «uno scontro non risolto tra un
elemento ferino, fondo e torvo, lacerante, e un elemento sublime, astratto, incorporeo».
Una struggente storia di un Leopardi licantropo, scritta sulla falsariga dello Zibaldone, è
Io venìa pien d'angoscia a rimirarti (1990). Il tema della segregazione, dominante nel
libro leopardiano di Mari, continua nei libri successivi, assumendo l'aspetto di una nave
ferma nell'oceano (La stiva e l'abisso, 1992) o della vita in una squallida caserma
132
(Filologia dell'anfibio, 1995). Il tema autobiografico prevale in Euridice aveva un cane
(1993) e in Tu, sanguinosa infanzia (1997). Un'opera complessa, che risente del
modello di Céline, è Rondini sul filo (1999), dominata dal tema della gelosia più
ossessiva e della sensualità più esasperata. Un tipico romanzo post-moderno è Tutto il
ferro della Torre Eiffel (2002): vi si incontrano i più disparati feticci della letteratura,
come l'imitazione in plastica della madeleine di Proust, il vaso con i fiori del male di
Baudelaire, il ferro salvifico della Torre Eiffel, ecc.; tra i personaggi del romanzo,
incontriamo Walter Benjamin vagabondo per le vie di Parigi, Marc Bloch che scopre un
oscuro complotto, Heidegger che si fa vedere in pubblico con la svastica all'occhiello.
La divagazione post-moderna sulla letteratura comprende altre pagine affascinanti,
come quella di Thomas Mann che conversa di notte con l'ombra del figlio suicida
Klaus, o le righe memorabili dedicate alla morte di Pirandello.
Il bresciano Luca Doninelli (nato nel 1956), di formazione cattolica, ha esordito con I
due fratelli (1992), un romanzo pervaso da un'atmosfera allucinata e morbosa. Una vera
e propria fenomenologia del male è descritta in Le decorose memorie (1994). Nei libri
successivi (La verità futile, 1995; Talk Show, 1996; La nuova era, 1999) Doninelli
analizza gli orrori quotidiani con uno stile che si riconduce alla lezione di Giovanni
Testori.
In Liguria. Il genovese Sebastiano Vassalli (nato nel 1941) ha esordito come
esponente della Neoavanguardia. Provocatorio, fin dal titolo, è il suo romanzo Tempo di
màssacro (1970), dove lo stravolgimento del nome piano "massacro" in sdrucciolo
vuole esprimere la condizione stravolta e allucinata del singolo nella società moderna.
Un ritorno alla tradizione si verifica con Abitare il vento (1980), storia di un terrorista
balordo, che crede di cambiare il mondo e finisce suicida. La notte della cometa (1984)
è una biografia vivida e toccante, sotto forma di romanzo, di Dino Campana. Un
romanzo divertente e beffardo è L'oro del mondo (1987), un racconto di "formazione"
che è anche un irriverente resoconto di alcuni momenti della storia italiana del secondo
dopoguerra. Un grande romanzo storico è La chimera (1990), una sorta di discesa nel
secolo dei Promessi Sposi (si tratta infatti della vicenda di una trovatella del Seicento
che viene condannata al rogo come strega). Dopo Il cigno (1993) e dopo Marco e
Mattio (1993), Vassalli ha pubblicato una favola fantastorica, 3012 (1995), che ha fatto
discutere per un elogio della guerra che vi è contenuto. Quasi un "controcorso" sulla
storia italiana dall'unità ai nostri giorni è Cuore di pietra (1996), il cui filo conduttore è
costituito dalle speranze e dai sogni di riscatto della povera gente. Un infinito numero
(1999) è un viaggio a ritroso con Virgilio e Mecenate che cercano il mistero delle
origini di Roma. L'ultimo trentennio del millennio da poco trascorso è riepilogato dallo
scrittore, con uno sguardo distaccato, in Archeologia del presente (2001). Un ritorno al
romanzo storico è segnato da Stella avvelenata (2003), viaggio tra utopia e violenza di
un chierico del Quattrocento. Del 2005 è Amore lontano.
Nato a Torino nel 1944, ma ligure di adozione Nico Orengo è stato un esponente della
Neoavanguardia. Poeta dotato di levità e ironia, ha riprodotto, in Collier per Margherita
(1977), le filastrocche infantili, e ha recuperato, in Cartoline di mare, il significato di un
mondo imprevedibile, suggestivo e arcano come quello del mare. Come prosatore, ha
tracciato, in La misura del ritratto (1980) il quadro di un'intera generazione e ha
descritto affascinanti paesaggi liguri (Dogana d'amore, 1986; Ribes, 1988; La curva del
Latte, 2002).
Il ligure Roberto Pazzi (nato nel 1946) ha scritto libri di poesia e romanzi dominati da
una tendenza visionaria, dal sentimento del tempo, dall'ossessione della morte:
Cercando l'imperatore (1985), La principessa e il drago (1986), La malattia del tempo
(1987), Vangelo di Giuda (1989), La stanza sull'acqua (1991).
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Il genovese Mario Maggiani (nato nel 1951) ha esordito con il romanzo màuri màuri
(1989), ricco di una favolosa inventiva, confermata da Il coraggio del pettirosso (1995),
un romanzo di corposa struttura, pieno di felici situazioni. Una storia d'amore, rivestita
di favole e di leggende e ambientata nei carrugi di Genova, è La regina disadorna
(1998). Di recente Maggiani ha pubblicato Il viaggiatore notturno (2005), storia di un
etologo che si reca in Africa per studiare la migrazione delle rondini e insegue nella
memoria vicende lontane, vissute nei luoghi più disparati, dai Balcani al Caucaso.
Nelle regioni venete. Il goriziano Paolo Maurensig (nato nel 1943) si è affermato con
La variante di Lüneburg (1993), una storia agghiacciante di persecuzioni e di Lager, cui
è seguito Canone inverso (1996), vicenda di un musicista viennese e della sua diabolica
perizia.
Giovanni Pascutto (nato a Pordenone nel 1948) ha esordito con il romanzo Milite
ignoto (1976), un sarcastico resoconto sulla inutilità del servizio militare di leva. Non
meno dissacrante è il libro successivo, La famiglia è sacra (1977), nelle cui pagine di
analizzano le implicazioni psicoanalitiche della vita familiare. Dopo altri romanzi, ha
pubblicato Strana la vita (1986), storia di un intellettuale incerto e frustrato, che viene
aiutato dal caso a risolvere i suoi complessi problemi. Ambientato nel Friuli del
terremoto è I colori dell'acqua (1988), vicenda tenera e crudele di personaggi sbandati.
Del 1994 è Veramente non mi chiamo Silvia (1994), i cui personaggi disadattati, inetti a
vivere, rimandano al modello di Svevo.
Il veneziano Enrico Palandri (nato nel 1956) ha esordito con Boccalone (1979), un
romanzo di sorprendente freschezza narrativa sul burrascoso movimento del 1977,
«traboccante, contagioso racconto di amore e di felicità adolescente e di sole
primaverile» (F. La Porta). Una più matura consapevolezza del dibattito ideologico
pervade i libri successivi, da Le pietre e il sale (1986) fino a Le colpevoli ambiguità di
Herbert Markus (1997). Un romanzo di formazione, imperniato sul difficile rapporto tra
le generazioni e sull'ossessione del tempo, è Angela prende il volo (2000).
Un caso particolare è quello della triestina Susanna Tamaro (nata nel 1957) che si è
affermata con i racconti di La testa fra le nuvole (1989) e di Per voce sola (1991), di
genere fantastico-picaresco, nei quali mostra una apprezzabile capacità di penetrazione
nella psicologia infantile. Ha poi ottenuto un clamoroso successo di pubblico (il più
rilevante dopo Il nome della rosa di U. Eco) con il romanzo Va' dove ti porta il cuore
(1994), vistosa concessione ai moduli del romanzo borghese-familiare. Non si tratta
però di un romanzo sentimentale, dal momento che i sentimenti analizzati risalgono al
passato. La vicenda è quella di una donna anziana, che, dopo la morte della figlia, del
marito e dell'amante, vive solitaria in una villa dell'altopiano carsico e decide di tenere
un diario in forma di dialogo epistolare con la nipote che è partita per l'America e non si
è fatta più viva. La protagonista parla di sé senza autocensure, del suo carattere
eccentrico, del suo amore per gli animali (il cane Buck è uno dei protagonisti del
romanzo), soprattutto del suo senso panico della natura. Più che per l'oggettivo
patetismo della vicenda, il romanzo ha avuto successo come «manuale di saggezza
pratica» (F. La Porta) e per la sua prosa semplice, paratattica, di grande accessibilità. La
Tamaro ha poi pubblicato un romanzo più ambizioso, Anima mundi (1997), un
«magazzino di luoghi comuni» (C. Segre), altro best-seller che, difeso da alcuni critici,
è stato considerato dalla maggioranza di essi (anche per la disinvoltura stilistica)
un'espressione di paraletteratura, il cui successo si spiega proprio perché si dice ai lettori
quello che essi amano sentirsi dire.
In Emilia-Romagna. Nato a Reggio Emilia nel 1947, Ermanno Cavazzoni ha
pubblicato Il poema dei lunatici (1987), un romanzo caratterizzato da un'ilare
visionarietà, uno degli esiti più originali della narrativa italiana del secondo Novecento.
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Sullo sfondo della Bassa padana si muove il protagonista, attratto dalle voci misteriose
che vengono su dai pozzi, e nel suo vagabondare incontra personaggi stralunati e
divertenti, come il becchino Pigafetta, persuaso che l'inferno sia nelle tubature sotto
terra, o il prefetto in pensione Gonnella, che ha la strana mania di schedare e catalogare
tutti. Scritto in una prosa volutamente dimessa, non senza reminiscenze del linguaggio
maccheronico di Teofilo Folengo, con un'immaginazione lunare che ricorda Ariosto, il
romanzo ha ispirato F. Fellini, che ne ha tratto il film La voce della Luna. Dopo Le
tentazioni di Girolamo (1991), un sogno-incubo ambientato in una biblioteca
sotterranea, Cavazzoni ha pubblicato una raccolta di racconti, Vite brevi di idioti (1994),
in cui si dimostra che l'idiozia (una malattia terribilmente contagiosa) è la veste che
assume di solito la normalità umana: essa consiste nella fissazione su un aspetto del
mondo, che rivela il meccanismo più profondo della psiche. Paradossale è anche la
trama del romanzo Gli scrittori inutili (2002), descrizione dell'inferno degli scrittori (e,
con essi, di editori e critici) che comprende di tutto: scrittori d'avanguardia invecchiati,
che si eccitano nel tagliare a metà le pagine dei volumi, scrittori di bestèseller che
devono rinunciare al proprio nome per essere meglio spendibili sul mercato, scrittori
morti giovani, ai cui parenti gli editori chiedono inutilmente inesistenti inediti.
Bolognese è Stefano Benni (nato nel 1947), che ha esordito come giornalista,
pubblicando divertenti e graffianti articoli di satira politica e di costume. Grande
successo, anche a livello internazionale, ha ottenuto la sua prima opera narrativa, Terra!
(1983), un romanzo di fantascienza e di fantapolitica, narrato con il rimo velocissimo
dei cartoni animati e con un irresistibile brio comico. Un singolare "giallo" è Comici
spaventati guerrieri (1986), la cui trama si scioglie non con la rassicurante scoperta del
colpevole, ma con lo smascheramento dell'orrore metropolitano, nel cui irrespirabile
clima matura il delitto. Del 1992 è La compagnia dei Celestini, allegoria in chiave postmoderna dei misteri del Potere. Negli ultimi anni Benni ha pubblicato, tra le altre opere:
Spiriti (2000), allegoria satirica della catastrofe universale; Saltatempo (2001),
felicissimo romanzo autobiografico; Achille piè veloce (2003), rivisitazione del mito
come rimedio contro l'inciviltà; Baldanders (2004), autoantologia di suoni, testi e voce
recitante. Del 2005 è Margherit Dolcevita, storia di una Pippi Calzelunghe del nostro
tempo, che attraversa la favola nera delle inquietudini contemporanee.
Il modenese Walter Siti (nato nel 1947), studioso di psicoanalisi e letteratura, ha
esordito come narratore con Scuola di nudo (1994), un'autobiografia che si risolve in
una spietata voluttà di autodenigrazione, con una descrizione non meno cruda delle
beghe e dei rituali del mondo accademico. Una drammatica e ambigua storia di un
rapporto omosessuale è Un dolore normale (1999). L'interesse per il culturismo anima
La magnifica merce (2004), che contiene un'immagine di Pasolini (di cui Siti è il
massimo studioso), ormai vicino alla sua tragica morte.
L'emiliano Pier Vittorio Tondelli (1955-1991) ha esordito con i racconti di Altri
libertini (1980), un libro apprezzato dalla critica (malgrado il processo per oscenità cui
è stato sottoposto) per la fresca disinvoltura della narrazione e per l'immediatezza del
"parlato": un vero e proprio catalogo dell'immaginario giovanile degli anni Settanta e un
documento esuberante di un'intera generazione («siamo un gran bella tribù»). Più
discusso è il secondo libro, Pao Pao (1982), rievocazione in chiave goliardica di un
anno di servizio militare (la sigla del titolo è abbreviazione di "Picchetto armato
ordinario"). Un romanzo di consumo è Rimini (1985), immagine violenta e abbagliante
della città romagnola, assordata nel fuoco dell'estate dalla musica rock. Tondelli supera
il proprio narcisismo in Camere separate (1989), un romanzo intimistico e malinconico,
che rivela la fragilità di una generazione considerata apatica e indifferente. Sintesi di un
decennio è infine Un weekend postmoderno. Cronache degli anni Ottanta (1990), che
illustra una delle manifestazioni più rilevanti dell'epoca post-modernista: «una
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superficialità capace però di una intelligenza delle cose» (F. La Porta). Nel libro, cultura
alta e cultura di massa si mescolano in un pittoresco disordine e ogni avvenimento,
rimanda puntualmente a qualche citazione (soprattutto di Delfini o D'Arzo, gli scrittori
più amati dall'autore) o frase di una canzone o sequenza cinematografica.
Il Toscana. Il fiorentino Roberto Calasso (nato nel 1941) ha esordito con L'impuro
folle (1974), accurata ricostruzione del clima in cui maturò la pazzia del magistrato
tedesco Daniel Paul Schreber. Del 1983 è La rovina di Kasch, un singolare romanzosaggio, imperniato sulla figura del principe di Talleyrand, che è però solo un pretesto
per una ben più ampia narrazione, quasi una traversata nel tempo e nello spazio,
sovraccarica di riferimenti culturali e di rimandi all'attualità. Il passaggio dall'erudizione
alla pura gioia del racconto è segnata da Le nozze di Cadmo e Armonia (1988), un
limpido e trasparente libro di miti greci, magistralmente narrati nelle loro innumerevoli
epifanie e nella loro sacralità archetipica. Sui miti è imperniato anche il saggio La
letteratura e gli dei (2001). Del 2002 è K., dedicato a Kafka e alla sua opera.
Il pisano Antonio Tabucchi (nato nel 1943), noto per aver introdotto in Italia la
conoscenza dell'opera di F. Pessoa, ha esordito come narratore con Piazza d'Italia
(1975), cui è seguito Il piccolo naviglio (1978), dove si manifesta il gusto dell'autore per
il pastiche letterario, in un denso tessuto di citazioni, tipico del gusto post-moderno. Nei
racconti di Il gioco del rovescio (1982) è ripresa la tematica identitaria di Pirandello: un
piccolo capolavoro è, nella raccolta, Lettera da Casablanca. Dopo Donna di Porto Pim
(1983), Tabucchi ha dato piena misura delle sue doti narrative in Notturno indiano
(1984), viaggio alla ricerca del proprio "doppio", e in Piccoli equivoci senza importanza
(1985), dove il racconto appare come affascinante enigma e come felice reinvenzione di
stereotipi letterari (un piccolo gioiello è il racconto Rebus). Dopo Il filo dell'orizzonte
(1986), vicenda "gialla" di un impiegato dell'obitorio alla ricerca della propria identità, e
dopo L'angelo nero (1991) e Requiem (1992), Tabucchi ha pubblicato un grande
romanzo storico, Sostiene Pereira (1994), ambientato a Lisbona, al tempo della spietata
dittatura di Salazar. Vi si narra la vicenda di Pereira, un vecchio giornalista antifascista
perseguitato dal regime, che trova una ragione di speranza nel giovane Monteiro Rossi e
nella sua ragazza Marta, ma finisce con l'essere coinvolto in un complotto; Monteiro è
arrestato in casa di Pereira e poi assassinato, ma il delitto è denunciato in un coraggioso
articolo da Pereira. Si tratta di un romanzo visionario di malinconica musicalità
(scandita dall'intercalare «sostiene Pereira»), trasposto sullo schermo da Roberto Faenza
con l'interpretazione di Marcello Mastroianni. Un romanzo giallo è La testa perduta di
Damasceno Monteiro (1997), altra vicenda di un giornalista, che scopre la
responsabilità di un poliziotto ex salazarista nell'assassinio di un giovane colpevole di
averne svelato i traffici di droga; una controfigura di Pereira è, nel romanzo, l'obeso e
goloso avvocato Loton, uno dei personaggi principali, che, malgrado il suo nichilismo,
si schiera dalla parte dei diseredati. Un romanzo epistolare è Si sta facendo sempre più
tardi (2001), una serie di lettere spedite ad una donna amata e lontana, pervase da
un'angoscia esistenziale e dall'incombere (suggerito nel titolo) dell'idea della fine e del
nulla. Pirandelliani personaggi in cerca d'autore sono i protagonisti dei racconti di
Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori (2003). Un grande romanzo (il più disperato
e il più commosso dell'autore) è Tristano muore. Una vita (2004), che è stato salutato
dalla critica come un capolavoro. Ambientato in Toscana, in un caldo agosto di cicale,
nell'ultimo anno del Novecento che muore, è la storia di Tristano, un eroe che ha
combattuto in Grecia e poi nella guerra partigiana in Italia, uccidendo da solo un intero
drappello di tedeschi, ed è infine tornato nella sua casa di campagna per morirvi; nella
sua mente, tra deliri e sogni, si succedono i brani della sua vita, da lui raccontati ad uno
scrittore accorso al suo capezzale e centrati non solo sulle guerre, ma anche sugli amori
per due donne, la musicista greca Daphne, amata mentre suonava la Rosamunda di
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Schubert, e l'americana Marylin, da lui chiamata Rosamunda; un altro ricordo straziante
è quello del figlio adottivo che morirà in Spagna facendosi esplodere tra le gambe una
borsa di esplosivo con cui preparava un attentato anarchico. Sullo sfondo sono tre Paesi
(Italia, Spagna e Grecia) nei quali ha imperversato la dittatura. Il protagonista evoca,
nella memoria del lettore, la protesta morale di un altro Tristano, il disperato e intrepido
protagonista del Dialogo di Tristano e di un amico di Giacomo Leopardi.
Sandro Veronesi (nato a Prato nel 1959) ha esordito con Per dove parte questo treno
allegro (1988), parodia della commedia all'italiana (in particolare, del film Il sorpasso
di Dino Risi) ed espressione di una spavalderia vitalistica, unita ad un senso orgoglioso
di fallimento. Gli sfiorati (1990) è un tipico romanzo postmoderno dell'Italia degli anni
Ottanta, il cui modello è la produzione di Thomas Pynchon, ma anche il D'Annunzio del
Piacere: scritto con una prosa immaginosa e fiorita, il romanzo rispecchia la
dissipazione giovanile del nostro tempo. In seguito (Cronache italiane, 1992; Occhio
per occhio. La pena di morte in quattro storie, 1992), Veronesi si è volto alla
rappresentazione diretta, di taglio giornalistico, della realtà, mescolando la
testimonianza alla fiction. Tra le sue opere più recenti: Venite venite B-52 (1995), che
risente ancora una volta dell'influsso di Pynchon, La forza del passato (2000), vicenda
di un tranquillo quarantenne terrorizzato da un taxista abusivo, e Superalbo (2002),
raccolta di storie minime e surreali.
A Roma. Scoperto da Pier Paolo Pasolini, il romano Vincenzo Cerami (nato nel 1940)
si è affermato con Un borghese piccolo piccolo (1976), storia di comportamenti
mostruosi, maturati nella normalità della vita borghese. Dopo il poema narrativo Addio
Lenin (1981), Cerami ha pubblicato Ragazzo di vetro (1983), un romanzo in cui,
rovesciando la prospettiva di Morte a Venezia di Thomas Mann, è un ragazzo a lasciarsi
morire, per sottrarsi ai miti e ai riti di una piccola borghesia consumistica. La lepre
(1988) è la vicenda (di impianto manzoniano) dell'amore tragico di un patrizio del
Seicento per una fanciulla selvatica, sfuggente come una lepre. Un romanzo che ha il
ritmo di una sonata in quattro movimenti è Fantasmi (2001), indagine sull'identità che
ci è attribuita, a torto o a ragione, dagli altri. In Pensieri così (2002), Cerami assume il
ruolo di ironico maestro di vita. Nei racconti di La sindrome di Tourette (2005) si
mescolano i generi più disparati (vicende da romanzo, da giornale, da film, ecc.). Come
sceneggiatore, Cerami ha collaborato con Benigni, Bellocchio, Amelio e altri registi
cinematografici.
Il romano Franco Cordelli (nato nel 1943), noto anche come poeta, si è affermato
come narratore con i romanzi Le forze in campo (1979), vicenda della degradazione
quotidiana sullo sfondo di una Roma cinica e corrotta, e Pinkerton (1986), nella cui
trama si intrecciano l'intrigo poliziesco e un'atmosfera melodrammatica. Dopo Guerre
lontane (1990), congedo da una stagione di lotte politiche, Cordelli ha pubblicato un
impegnativo romanzo sul tema dell'intreccio irrisolto tra etica e politica, Un inchino a
terra (1999). I contributi critici dello scrittore sono raccolti in due volumi del 2002: La
religione del romanzo e Lontano dal romanzo.
Il romano Giorgio Montefoschi (nato nel 1946) ha indagato nei suoi romanzi (L'amore
borghese, 1978, La felicità coniugale, 1982) sulla vita della borghesia romana. Ha poi
pubblicato Lo sguardo del cacciatore (1987), incentrato sul tema del trascorrere del
tempo, che diviene memoria ossessiva e affascinante del passato. Ha ottenuto il premio
Strega con La casa del padre (1994). Tra le altre opere: Non desiderare la donna d'altri
(1999), La sposa (2003).
Il romano Daniele Del Giudice (nato nel 1949) si è imposto all'attenzione della critica
con il romanzo Lo stadio di Wimbledon (1983), il cui schema narrativo è il viaggio alla
ricerca di notizie sulla figura emblematica dello scrittore Roberto Bazlen: lo scrittore ne
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prende lo spunto per delineare un quadro di protagonisti carismatici del Novecento
letterario, da Montale a Saba. Legato stilisticamente alla lezione di Italo Calvino e alla
visività del nouveau roman, Del Giudice ha poi pubblicato Atlante occidentale (1986),
storia dell'amicizia tra un anziano scrittore e un giovane fisico, che cercano entrambi, in
forme diverse, i segni di un universo nascosto. Dopo Dillon Bay, un racconto militare
(1985), Del Giudice ha pubblicato: Nel Museo di Reims (1988), centrato sul tema della
cecità, che diviene metafora della pienezza dello sguardo propria della letteratura;
Staccando l'ombra da terra (1994), un romanzo sulle sensazioni esaltanti del volo; e i
racconti di Manìa (1997), alcuni dei quali raggiungono esiti efficaci e inquietanti.
Il romano Sandro Onofri (1955-1999) ha insegnato nelle scuole della periferia di
Roma, battendosi contro il condizionamento delle famiglie piccolo-borghesi, che si
vergognano delle loro origini proletarie come di una malattia innominabile, e contro il
conformismo didattico degli insegnanti, volti all'inseguimento affannoso della
modernità. Nei suoi libri (Luce del nord, 1991; Colpa di nessuno, 1995; L'amico
d'infanzia, 1999), è rimasto fedele alla lezione di Pasolini, alla sua tensione utopica e
struggente verso la salvaguardia dell'innocenza. Una testimonianza elevata del suo
amore per la scuola è il postumo Registro di classe (2000). In Vite di riserva (1993),
diario di viaggio negli Stati Uniti, ha dato prova di un’ammirevole capacità di conciliare
il resoconto oggettivo con una reinvenzione della realtà. Una raccolta postuma di
articoli pubblicati su vari giornali è Cose che succedono (2002), dove acuta è l'analisi
delle periferie romane, soffocate dal cemento e divenute palestre di aggressività.
Il romano Edoardo Albinati (nato nel 1956), dopo la raccolta di racconti Arabeschi
della vita morale (1988), ha pubblicato il romanzo Il polacco lavatore di vetri (1989),
storia, in chiave di stralunato realismo, di una famiglia di esuli polacchi, emarginata a
Roma e costretta al martirio per infondere il senso del sacro in un mondo ormai
putrefatto. In Maggio selvaggio (1999), Albinati ha narrato la sua sofferta esperienza di
insegnante nel carcere di Rebibbia. In Svanimenti (2004) lo scrittore indaga sui momenti
di incoscienza, alternando resoconti drammatici e visionari all'analisi in chiave
freudiana di casi clinici. È anche poeta: del 1989 è la raccolta Elegie e proverbi, e, del
1995, il poema prosastico La comunione dei beni.
A Roma è ambientato il romanzo Il nemico negli occhi (2001) di Eraldo Affinati (nato
nel 1956): una Roma fantascientifica in un'età post-atomica, ridotta a cimitero e
discarica, dove esplodono rivolte giovanili per evitare l'omologazione voluta dal potere
dominante. In precedenza, Affinati aveva pubblicato Cuore di carne (1997), in bilico tra
aforisma e racconto.
Il romano Marco Lodoli (nato nel 1956), insegnante nelle scuole medie superiori, ha
esordito con Diario di un millennio che fugge (1986), ritratto di una generazione
inquieta e insoddisfatta, che consuma la propria degradazione negli inferni
metropolitani. Una raccolta di racconti è Grande raccordo (1989), ancora storie di
emarginazione di personaggi disperati e grotteschi, spinti dal vuoto interiore ad azioni
aberranti (il titolo del libro allude al grande anello stradale che circonda Roma, simbolo
di quel '"raccordo", punto d'incrocio delle più varie esperienze, che è l'esistenza umana).
All'immagine del "raccordo" subentra quella del "circo" in Grande Circo Invalido
(1993), dove l'eccellente mestiere dello scrittore si rivela nelle descrizioni del paesaggio
romano (come in questa immagine della cupola michelangiolesca: «il cupolone stava
gonfio in mezzo a un cielo azzurrissimo e lucido di tramontana»). Nelle opere
successive, il realismo si coniuga con il visionarismo: ricordiamo Cani e lupi (1995),
dove si racconta la metamorfosi dell'uomo in cane, Il vento (1996), una storia picaresca
imperniata sulla figura di un extraterrestre, I fiori (1999), vicenda di un ragazzo che
sogna di diventare un poeta, La notte (2001), il cui protagonista è un ladruncolo
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trasfigurato dall'amore per una donna-sirena. Dalla propria esperienza di insegnante
Lodoli ha tratto il materiale della raccolta di racconti Professori e altri professori
(2003), dedicata non solo ai professori istituzionalmente riconosciuti come tali, ma
anche a tutti coloro che esercitano altri mestieri, ma hanno anch'essi qualcosa da
insegnare.
In Campania. Il napoletano Domenico Starnone (nato nel 1943), docente nelle scuole
medie superiori, ha ricavato dalla sua esperienza Ex cathedra, esilarante diario di un
insegnante ex sessantottino alle prese con la burocrazia scolastica e con il disimpegno
degli allievi. Il salto con le aste (1989) è la storia di un grafomane che rispecchia il
"salto" da un mondo semianalfabetizzato all'acculturazione di massa. Del 1990 è Segni
d'oro, un libro dominato da una passione divorante per i libri e la lettura. Il capolavoro
dello scrittore è forse Via Gemito (2000), romanzo di un personaggio memorabile, il
napoletano Federì, ferroviere per necessità e pittore per vocazione, prepotente, manesco,
sbruffone, ma anche divorato dalla passione per la pittura, che si esprime in un
napoletano brusco e oltraggioso, del tutto privo di effetti pittoreschi. Starnone ha
pubblicato di recente Labilità (2005), una parabola sul difficile mestiere dello scrittore.
Erri De Luca, nato a Napoli nel 1950, proviene da esperienze sociali della sinistra
extraparlamentare. Ha lavorato come operaio edile. Dopo Non ora, non qui (1989), ha
pubblicato Aceto, arcobaleno (1992), un libro in cui, al ricordo delle generose, ma
anche torbide esperienze politiche della giovinezza, si uniscono profonde riflessione sul
senso della vita e della morte. Al racconto lungo Tre cavalli (1999) è seguito il romanzo
Montedidio (2001), ambientato in un quartiere del centro storico di Napoli e dedicato
alle vittime della miseria e dello sfruttamento. Cultore dell'Antico Testamento, De Luca
si è giovato delle sue traduzioni bibliche per inserire in una sua raccolta di versi (Opera
sull'acqua e altre poesie, 2002) parole e frasi in lingua ebraica. In Il contrario di uno
(2003), ha raccolto racconti di impronta autobiografica, dal ribellismo movimentista al
lavoro da muratore e al volontariato in Africa.
Altri scrittori dell'Italia meridionale. Il calabrese Vincenzo Guerrazzi (nato nel
1941), operaio metalmeccanico, si è affermato come scrittore con Nord e Sud uniti nella
lotta (1974), un libro che si colloca nell'ambito della cosiddetta "letteratura selvaggia",
fiorita nel periodo successivo alla contestazione giovanile del '68. Più controverso è il
giudizio sui libri successivi, da La fabbrica del sogno (1977) a La festa dell'Unità
(1982). Di recente, ha pubblicato L'aiutante di S.B. presidente operaio (2004), la cui
vera protagonista è la Kollmann, una mastodontica fresatrice, oggetto di attenzioni e
timori da parte degli operai di una officina genovese all'inizio degli anni Sessanta.
L'abruzzese Renzo Paris (nato nel 1944), noto anche come poeta, ha scritto alcuni dei
romanzi letterariamente più validi sulla contestazione giovanile del Sessantotto: Cani
sciolti (1973), La cosa in comune (1978), Cattivi soggetti (1989).
Il lucano Raffaele Nigro (nato nel 1947) si è affermato con il romanzo I fuochi del
Basento (1987), il cui vero protagonista è il Mezzogiorno dei contadini e dei briganti,
mentre il ceto aristocratico meridionale è al centro di La baronessa dell'Olivento
(1990). Tra le opere successive: Ombre sull'Ofanto (1992), Adriatico (1998), Viaggio a
Salamanca (2001).
I narratori delle più recenti generazioni
Agli inizi degli anni Ottanta, si comincia a parlare di nuova narrativa italiana: una
narrativa molto varia e differenziata, le cui componenti comuni sono così riassunte dal
critico militante Filippo La Porta: assenza di manifesti e di poetiche; insofferenza per
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etichette generazionali; gusto della catalogazione; attitudine post-moderna a eludere il
tragico e a spettacolarizzare il racconto; assenza di padri e rapporto manipolatorio con
la tradizione; assenza di particolari sperimentazioni sul piano linguistico.
Il fenomeno più vistoso della nuova narrativa è quello degli scrittori "cannibali", così
detti dal titolo di una fortunata antologia, Gioventù cannibale (1996), con testi di autori
come Niccolò Ammanniti, Aldo Nove e altri, accomunati dalla tendenza alla voracità
contaminatoria con cui vengono conglobate le più diverse esperienze narrative. Ai
giovani "cannibali" di quell'antologia si uniscono in seguito altri scrittori, come Tiziano
Scarpa, Isabella Santacroce (autrice di Destroy, 1996), Simona Vinci (Dei bambini non
si sa niente, 1997); inoltre, l'accezione del termine "cannibale" si estende, oltre il suo
originario senso linguistico, per designare la predilezione per trame e scene forti e
crudeli, dilagata in seguito alla moda della letteratura pulp (da un film del 1994, Pulp
Fiction di Quentin Tarantino).
Ci soffermiamo su alcuni autori che ci sembrano più significativi.
Giulio Mozzi (nato nel 1960), di formazione cattolica, si ispira al modello di Piovene
nella rappresentazione di complessi casi patologici e delle ambiguità affettive. Tra i suoi
libri: Questo è il giardino (1993), La felicità terrena (1996), Il male naturale (1998),
Fantasmi e fughe (1999), Il culto dei morti nell'Italia contemporanea (2000), Fiction
(2001).
Margaret Mazzantini (nata nel 1961) è pervenuta al successo con il romanzo Non ti
muovere (2002), storia di una quindicenne in coma e di altre vicende drammatiche, che
risente del modello di Elsa Morante. Per il teatro, la Mazzantini ha scritto: Zorro. Un
eremita sul marciapiede (2004).
Paola Capriolo (nata nel 1962) ha esordito con i racconti di La grande Eulalia (1988),
di tono favoloso e di alta qualità stilistica, e ha confermato le sue notevoli doti narrative
con Il nocchiero (1989), conradiana vicenda di un pilota che si muove fino alla tragica
fine in un mondo di enigmi e di fantasmi. Un raffinato manierismo domina nelle opere
successive: Il doppio regno (1991), La spettatrice (1995), Un uomo di carattere (1996),
Il sogno dell'agnello (1999). Il topos degli alberghi di lusso, caro alla scrittrice (sulle
orme di Thomas Mann), torna, rovesciato di senso, in Una di loro (2001), un romanzo
ambientato in un ex Grand Hotel, dove, al posto di granduchi e banchieri, trova rifugio
una comunità di reietti.
Tiziano Scarpa (nato nel 1963) ha esordito con Occhi sulla graticola (1996), una storia
di amori ambientata a Venezia e narrata in chiave di paradossale comicità: «il romanzo
più interessante e più bello che sia uscito in Italia da qualche decennio [...] con qualità
di scrittura che, per un esordiente, risulta assolutamente eccezionale» (E. Sanguineti).
Nel 1997 la sua commedia Popcorn, scritta per la RAI, ha vinto il Prix Italia. Una
divertente guida letteraria è In gita a Venezia con Tiziano Scarpa (1998). Tra le altre
opere: Cosa voglio da te (2003), Kamikaze d'Occidente (2003), Corpo (2004).
Rossana Campo (nata nel 1963) narra con estro comico e beffardo le futili
conversazioni di ragazze sbandate, in una lingua abilmente modulata sul parlato. Tra i
suoi libri: In principio erano le mutande (1992), Un pieno di super (1993), Mai sentita
così bene (1995), L'attore americano (1997), Sono pazza di te (2001).
Emanuele Trevi (nato nel 1964), noto come critico letterario, è anche narratore, autore
di I cani del nulla (2003), dove, prendendo lo spunto dalla sua cagnetta Gina, passa in
rassegna i poeti che hanno avuto coscienza dei propri limiti, da Jacopone da Todi («che
vuole le sue reliquie ridotte in cacatura») a Beckett, che tenta di rinchiudere il nulla in
parole, fino ad un vecchio e sorprendente D'Annunzio, che scrive una poesia sui suoi
cani mentre guardano a lui come ad un uomo da nulla. Molto originale è anche la trama
di Senza verso. Un'estate a Roma (2004), descrizione di una passeggiata nel perimetro
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romano tra via Merulana e San Clemente e struggente ricordo di un amico poeta
scomparso, Pietro Tripodo, che ad una raccolta di versi aveva dato il titolo strepitoso
Poesie senza versi: il libro su Roma diventa così un libro sull'insostituibilità della
poesia nel mondo contemporaneo.
Giuseppe Culicchia (nato nel 1965) si è rivelato come narratore con Tutti giù per terra
(1994), esilarante vicenda di un giovane obiettore di coscienza alle prese con l'inferno
metropolitano. Ha poi pubblicato: Paso doble (1995), Bla bla bla (1997), Amabarabà
(2000).
Melania Mazzucco (nata nel 1966) si è affermata con Vita (2003), storia di due ragazzi
italiani emigrati a New York all'inizio del Novecento. In precedenza, la Mazzucco
aveva pubblicato: Il bacio della Medusa (1996), La camera di Balthus (1998), Lei così
amata (2000).
Niccolò Ammanniti (nato nel 1966), figlio dello psicoanalista Massimo, ha acquistato
fama a livello internazionale con il romanzo Io non ho paura (2003), da cui G.
Salvatores ha tratto un film di grande successo. Si tratta della storia di un ragazzo del
Sud che scopre in una buca un bambino rapito al Nord e lo libera. Sospeso tra orrore e
stupore, il romanzo penetra nel mondo infantile, con le sue paure e i suoi incanti,
riprendendo da Stephen King il tema della guerra perpetua tra bambini e adulti e da
Italo Calvino lo stile fiabesco. In precedenza, Ammanniti aveva pubblicato Branchie, un
romanzo tra biologia e poesia, i racconti di Fango, dove sono attraversati i generi della
cultura di massa (horror, noir, fantascienza, ecc.) e Ti prendo e ti porto via, un romanzo
d'amore e di morte.
Aldo Nove (nato nel 1967) ha esordito nel 1996 con i racconti di Woobinda (il ragazzo
svizzero perso nella savana della serie televisiva), in cui viene data voce a personaggi
letterariamente inediti: giovani pienamente integrati nel sistema di vita dominante, ma
anche vittime senza difesa dell'ambiente socio-culturale in cui vivono, capaci di
commettere crimini nella persuasione di aver agito secondo motivazioni plausibili
(memorabile, in questo senso, l'attacco del primo racconto: «Ho ammazzato i miei
genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal»). Analfabeti
mentali, questi personaggi si esprimono in un linguaggio televisivo, sanno tutto degli
oggetti di consumo più banali, sfoggiano grandi competenze nel descrivere l'andamento
delle partite di calcio. Il primo romanzo di Nove è Puerto Plata Market (1997), storia di
un trentenne brianzolo che va a cercar moglie a Santo Domingo e vive in un
immaginario ricavato dai fumetti, dai cartoni animati e dalle telenovelas alla Beautiful:
un universo standardizzato, dove anche l'amore è paragonato a un "gratta e vinci". Dopo
una nuova edizione dei suoi primi racconti (Superwoobinda, 1998), Nove ha pubblicato
Amore mio infinito (2000), un romanzo di grande intensità lirica, in cui sono
mirabilmente tenuti insieme i contrari: l'Amore e la Morte. Una evocazione dell'infanzia
è La più grande balena morta della Lombardia (2004), dove sono messe in scena le
ossessioni e le paure di un bambino (nel racconto eponimo, la carcassa di un cetaceo
esposto in uno zoo prende vita nell'immaginazione infantile e si divora l'intero universo;
in I Ricchi e i Poveri, i quattro del noto gruppo, trasformatisi in mostri, ingurgitano e
risucchiano tutti gli spettatori): dovrà intervenire la mamma per spiegare al piccolo
Anto che i dinosauri sono definitivamente scomparsi. Pienamente riuscita è questa
regressione all'infanzia, della quale sono restituiti odori e sapori, sensazioni e
frustrazioni, fantasticherie e malinconie.
Silvia Ballestra (nata nel 1969) ha esordito con Compleanno dell'iguana (1991),
rappresentazione vivace e autoironica dei sogni e delle ribellioni della giovinezza.
Dall'ammirazione della scrittrice per Arbasino e per Tondelli (ma anche per il Salinger
del Giovane Holden) sono nati i racconti de Gli orsi (1994), una raccolta che deriva il
141
suo titolo dagli orsi di peluche dell'infanzia: l'ultimo di questi racconti, La fidanzata di
Hendrix, è un piccolo gioiello di finezza psicologica. Una svolta è costituita da La
giovinezza della signorina N.N. (1998), dove la scrittrice prende lo spunto da una
novella di Cechov per congedarsi dalla sua inquieta adolescenza e dai giovani sbandati,
compagni della sua giovinezza. Un romanzo sul parto come evento decisivo nella vita
della donna è Nina (2001), dove il venire alla luce del bambino è stupendamente
descritto in questo passo: «Il piccolo emergeva attraverso l'anello osseo, mite come la
neve quando cade, celeste, protetto di fontanelle, tiepido scivolatore dentro un destino
che s'accresca d'aperte strade in maestosi domini d'acqua, in terre distese e sconfinate».
Un ritorno della memoria all'età dei diciassette anni, agli studi liceali, alle amicizie e
alle delusioni di quel momento magico, è Il compagno di mezzanotte (2002).
Enrico Brizzi (nato nel 1974) è l'autore del fortunato romanzo Jack frusciante è uscito
dal gruppo (1994), che racconta «l'educazione sentimentale dei diciottenni bolognesi,
spavaldi e ultraromantici, introversi e verbosi» (F. La Porta). Si tratta di una piccola
enciclopedia dei gusti e dei tic delle nuove generazioni, soprattutto nell'ambito della
musica: non a caso, il protagonista è il bassista di un gruppo rock, da cui però decide di
uscire nel momento del successo.
Bibliografia essenziale
G. Ferroni, Storia della letteratura italiana, vol. IV, Il Novecento, Einaudi, Torino 1991; S.
Pautasso, Gli anni Ottanta e la letteratura, Rizzoli, Milano 1991; W. Pedullà, Le caramelle di
Musil, Milano 1993; F. La Porta, La nuova narrativa italiana. travestimenti e stili di fine
secolo, Bollati Boringhieri, Torino 1995; M. Sinibaldi, Pulp, Roma 1997; Narrative invaders, a
cura di N. Balestrini e R. Barilli, numero monografico della rivista «La Bestia», Genova 1997;
Parola di scrittore. La lingua della narrativa italiana dagli anni settanta a oggi, a cura di V.
Della Valle, Roma 1997; Tirature '98. Una modernità da raccontare: la narrativa italiana
degli anni novanta, a cura di V. Spinazzola, Milano 1997; Un alfabeto della narrativa italiana
contemporanea, in «Inchiesta letteraria», XXVIII, 1998, 119.
5.2.2 Scrittori europei e americani
Scrittori di lingua inglese
In Inghilterra e in Irlanda. Un posto di rilievo occupa, nella letteratura inglese del
secondo dopoguerra, la narrativa femminile, che ha le sue più significative
rappresentanti in M. Spark, D. Lessing, I. Murdoch, A. Carter., A. S. Byatt.
Muriel Spark (nata nel 1918), scrittrice scozzese convertitasi al cattolicesimo, ha
scritto una nutrita serie di novelle e romanzi, caratterizzati da una caustica ironia, sullo
sfondo di una Gran Bretagna piccolo-borghese. Ricordiamo i romanzi Memento mori
(1959), La ballata di Peckham Rye (1960), Gli anni fulgenti di Miss Brodie (1961), Le
ragazze di pochi mezzi (1965), Identikit (1971), Diana maligna (1976), Simposio
(1990), Il settimo conte di Lucan (2002).
Doris Lessing (nata in Iran nel 1919, vissuta fino ai trent'anni in Rhodesia, oggi
Zimbabwe), è autrice di un celebre romanzo, Il taccuino d'oro (1962), diario della crisi
ideologica e morale degli anni Sessanta. Del 1969 è La città dalle quattro porte, visione
apocalittica di un continente africano che diviene l'ultimo rifugio dei sopravvissuti ad
una catastrofe nucleare. Una acuta indagine sulla follia è Memorie di una sopravvissuta
(1974). Nel romanzo Shikasta (1980), la Lessing ha utilizzato, in funzione antirealistica,
i moduli della fantascienza, iniziando la saga Canopo ad Argo. In La buona terrorista
(1985), la drammatica realtà del terrorismo è scandagliata da un punto di vista
femminile. Il romanzo Amare ancora (1996) mette in scena la sensualità matura (è la
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storia di una "vecchia" invaghita di un ventenne). Tra le opere più recenti: Mara e Denn
(1999), Il sogno più dolce (2002).
La scrittrice anglo-irlandese Iris Murdoch (1919-1999), dotata di un abilissimo
mestiere, concentra nei suoi romanzi l'attenzione sulla problematica esistenziale,
creando personaggi demoniaci e sadici, ossessionati dal potere ed egocentrici. Ha
esordito con Sotto la rete (1954), dove la polemica antiborghese è attenuata da una
brillante vena umoristica. Tra i romanzi successivi: Il castello di sabbia (1957), Una
testa tagliata (1961), Il rosso e il verde (1965), I belli e i buoni (1968), Il sogno di
Bruno (1969), Il principe nero (1973), Il mare, il mare (1978). Del 1986 è
L'apprendista, una vicenda fitta di intrighi, in una prosa tentacolare ed emblematica,
densa di allusioni e di simboli.
Angela Carter (1940-1992), esponente del romanzo post-moderno, si è ispirata alle
tematiche del femminismo e della ricerca psicoanalitica. In La passione della nuova
Eva (1978), ha evocato il mondo degli istinti primordiali. Una rivisitazione delle fiabe
classiche in chiave di sessualità e di sadismo è La camera di sangue (1979). Grande
successo internazionale ha ottenuto il romanzo Notti al circo (1984), storia picaresca di
una trapezista con le ali, la cui tematica femminista è espressa con divertita fantasia.
Atmosfere cariche di sensualità, di carnalità e di morte pervade la raccolta di racconti
Venere nera (1985).
Antonia Susan Byatt (nata nel 1936) ha ottenuto fama internazionale con il romanzo
Possessione. Una storia romantica (1990), che è stato tradotto in tutto il mondo con un
successo simile a quello di Il nome della rosa di Umberto Eco: si tratta di una
appassionante detective-story, ma anche di un coltissimo pastiche letterario, incentrato
sul mondo accademico. Una grande saga familiare, imperniata sull'educazione
sentimentale e intellettuale di una donna negli anni Cinquanta, è la serie dei romanzi La
vergine in giardino (1978), Natura morta (1990), La torre di Babele (1996). Il mondo
vittoriano è alla base di Angeli e insetti (1992). Sono da ricordare anche i racconti
esotici e fantastici raccolti in Il genio nell'occhio d'usignolo (1993) e Zucchero ghiaccio
vetro filato (1998).
Anthony Burgess (1917-1993) si è imposto con Il dottore è ammalato (1960), storia di
una malattia su una cupa Londra notturna, e ha ottenuto fama internazionale con
Un'arancia a orologeria (1962), un romanzo sulla violenza metropolitana di bande di
teppisti adolescenti, trasposto in film, con il titolo Arancia meccanica, Da Stanley
Kubrick. Del 1962 è anche Il seme inquieto, sull'esplosione demografica, e, del 1963,
La dolce bestia. Una biografia non convenzionale di Cristo è L'uomo di Nazareth
(1977); e un rifacimento ironico del celebre 1984 di Orwell è 1985 (1978). Un romanzo
apocalittico è La fine della storia (1982), tradotto di recente (2003) in italiano con il
titolo Notizie dalla fine del mondo. Un best-seller di grande successo è Gli strumenti
umani (1983). L'ultimo romanzo dello scrittore è Un cadavere a Deptford (1993).
James Graham Ballard (nato nel 1931), influenzato dalla psicoanalisi di matrice
junghiana, ha rifondato la letteratura di fantascienza, riconducendola dalle
ambientazioni esteriori allo spazio interiore dell'uomo, e ha rappresentato
pessimisticamente gli effetti devastanti della civiltà tecnologica e metropolitana,
dominata dall'ossessiva presenza dei media. Spiccano, nella sua produzione, L'impero
del sole (1984), evocazione delle atroci esperienze in un campo di internamento
giapponese (S. Spielberg ne ha tratto l'omonimo film), e Il giorno della creazione
(1987), dove il conradiano itinerario verso una sorgente misteriosa si trasforma nella
grande metafora della ricerca, da parte dell'uomo "civile", di un'identità perduta tra
incubi e fantasie primordiali. Tra gli altri libri: Foresta di cristallo (1966), Il paradiso
del diavolo (1994), Supercannes (2000). Di recente (2004) sono stati tradotti in italiano
143
Tutti i racconti (1963-1968), una magistrale contemplazione del futuro come una
apocalittica rovina.
Nell'ambito del genere poliziesco, maestro riconosciuto della spy-story è John Le
Carré (nato nel 1931), che, nella scia della tradizione risalente a J. Conrad e a G.
Greene, ha dato vita all'antieroico personaggio George Smiley. Nel clima della guerra
fredda sono ambientati i suoi più noti romanzi: Chiamata per il morto (1961), La spia
che venne dal freddo (1963), La talpa (1974), Tutti gli uomini di Smiley (1979), La
Casa Russia (1989). Dopo la fine della guerra fredda, ha allargato il quadro della sua
narrativa ad altri continenti, come l'America Latina (Il sarto di Panama, 1996).
Non solo scrittore, ma anche antropologo e paleontologo è Bruce Chatwin (19411989), che ha viaggiato instancabilmente dalla Patagonia all'Australia ed è stato definito
il «maggior narratore di viaggi di questa generazione» (Peter Levi). Tra i suoi libri: In
Patagonia (1977), Il vicerè di Ouida (1980), dal quale il regista W. Herzog ha tratto il
film Cobra verde, Le vie dei canti (1988), Utz (1989).
Dermot Healy (nato nel 1947) è considerato uno dei più grandi scrittori irlandesi
viventi: il suo capolavoro, Tempi improvvisi (1999), è un'implacabile introspezione,
degna di Beckett, in un universo sordo e allucinato.
Ian McEwan (nato nel 1948), genio precoce della letteratura inglese, è stato tenuto a
battesimo come scrittore da A. Wilson e d M. Bradbury. La sua raccolta di racconti
Primo amore, ultimi riti (1975) è stata accolta con favore unanime dalla critica. È
seguita un'altra silloge di racconti, Fra le lenzuola (1978), che, come la precedente,
tratta temi sgradevoli, dalla pedofilia all'incesto, da un punto di vista di totale
straniamento. Ispirandosi a H. Miller e a N. Mailer, McEwan ha narrato nel suo primo
romanzo, Il giardino di cemento (1978), la vicenda di adolescenti che la morte dei
genitori libera dal tabù dell'incesto, simbolicamente rappresentato da un giardino di
pietra che si sgretola. Del 1981 è Cortesie per gli ospiti, ancora una storia crudele che
termina con la morte violenta del protagonista. Una svolta nella narrativa di McEwan è
segnata dal romanzo Bambini nel tempo (1987), vicenda di una nevrosi provocata nel
protagonista dal rapimento della sua bambina, che vuole essere nel contempo un
apologo sull'importanza dell'infanzia nel mondo d'oggi e un'acre satira dell'Inghilterra
thatcheriana (il romanzo è stato adottato nelle scuole superiori inglesi). Nel 1989
McEwan ha scritto il romanzo The Innocent, storia di un ritorno a Berlino che coincide
con la fine della guerra fredda: per una singolare coincidenza, il romanzo anticipa con la
fantasia il crollo del muro di Berlino tre mesi prima del suo verificarsi nella realtà.
Amore fatale (1997) è la vicenda di un omosessuale psicopatico che vive un'estrema
situazione psicologica. In Espiazione (2002), le vicende di mezzo secolo sono narrate
con gli occhi di una scrittrice (memorabili sono le pagine dedicate alla seconda guerra
mondiale). Saturday (2005) è il racconto di un solo giorno (sabato 15 febbraio 2003),
alla maniera dell'Ulisse di Joyce.
Patrick McGrath (nato nel 1950, divenuto cittadino statunitense) è autore di thriller
psicologici di culto, di intensità allucinatoria, che fanno di lui uno scrittore neogotico,
affascinato dalla decadenza e dalla trasgressione. Sono stati tradotti in italiano: Follia
(1998), Il morbo di Haggard (1999), Grottesco (2000), Spider (2002). Di recente,
McGrath ha pubblicato Port Mungo (2004) un nuovo scavo negli abissi più oscuri della
mente.
Nell'area anglofona. I più importanti scrittori dell'area anglofona sono N. Gordimer,
V.S. Naipaul, P. Coetzee, S. Rushdie.
Scrittrice sudafricana, bianca di lingua inglese, Nadine Gordimer (nata nel 1923,
premio Nobel nel 1991) ha incentrato la sua produzione sulla lotta contro l'apartheid:
alcuni suoi romanzi (Un mondo di stranieri, 1958; La figlia di Burger, 1979) furono a
144
lungo proibiti in Sudafrica. Tra i libri della Gordimer, caratterizzati da una
lussureggiante capacità metaforica e da una rigogliosa proliferazione lessicale, si
segnalano inoltre I giorni della menzogna (1953), Occasione d'amore (1963), Un ospite
d'onore (1970), Il conservatore (1974), Luglio (1982), Una forza della natura (1987),
Nessuno al mio fianco (1994). Di recente, la Gordimer ha pubblicato L'aggancio
(2002), storia dell'incontro tra un immigrato di colore e una agiata donna bianca e del
loro difficile amore.
Di origine indiana, ma residente nell'isola caraibica di Trinidad, è lo scrittore
Vidiadhar Surajprasad Naipaul (nato nel 1932, premio Nobel nel 2001), la cui
scrittura, intrisa di pessimismo e di malinconia, si impone per finezza psicologica e
rigore di stile. Naipaul esordì con un arguto e umoristico affresco della vita a Trinidad,
Il massaggio mistico (1957), che Vittorini, entusiasta, fece tradurre per la collezione
«La Medusa». Il conflitto fra le tradizioni dell'ambiente di Trinidad e l'incalzare della
civiltà tecnologica è il tema di Una casa per il signor Biswas (1961). Di ambiente
inglese è invece Mr Stone (1963). In Gli uomini mimetici (1967), si manifesta lo
scetticismo dello scrittore nei confronti degli ideali indipendentistici dei Caraibi.
Un'amara riflessione sull'alienazione dell'uomo contemporaneo è In uno stato libero
(1971). Un romanzo pervaso da un radicale pessimismo verso i tentativi rivoluzionari è
Guerriglieri (1975). Nel romanzo-reportage Alla curva del fiume (1979), Naipaul ha
descritto con convincente efficacia i caotici tentativi dell'Africa per uscire dal
sottosviluppo. Una svolta nella produzione dello scrittore è segnata da L'enigma
dell'arrivo (1987), il cui titolo è ispirato a un inquietante quadro di G. De Chirico:
palesemente autobiografico, il libro è dominato dalla volontà di esorcizzare il passato e
di sancire il distacco dalle proprie origini. Una via nel mondo (1994) è un'opera che
colpisce per finezza stilistica e originalità di struttura, in bilico tra autobiografia, saggio
storico e fiction. Un ritorno alla forma romanzo è segnato da La metà di una vita
(2001), opera imperniata sul difficile destino dell'esule. Nei suoi grandi reportages,
Naipaul ha descritto la crisi del Terzo Mondo, sottolineando la perdita delle radici
culturali in seguito all'impatto della modernità. Ricordiamo: India (1991), Fedeli a
oltranza (1998), analisi del fondamentalismo islamico, Lo scrittore e il mondo (2002),
resoconto dei viaggi dello scrittore in India, Africa, America, I coccodrilli di
Yamoussoukro (2004), appunti di viaggio in Costa d'Avorio.
Una scrittrice anglo-indiana è Anita Desai (nata nel 1937). Ha esordito con Grida,
pavone (1964), storia di una donna bramina ipersensibile che precipita nell'abisso della
follia. Un quadro allucinante di Calcutta, con i suoi quartieri fatiscenti e con la sua
degradante miseria, è tracciato in Voci nella città (1965). In Dove andremo questa
estate? (1975), l'influsso della Woolf di Gita al faro si mescola con il fascino della
figura di Gandhi. Le esperienze di tre personaggi femminili sullo sfondo suggestivo
delle pendici dell'Himalaya sono al centro di Fuoco sulla montagna (1977), che ha
pagine mirabili sulla vecchiaia. Il capolavoro della scrittrice è forse La chiara luce del
giorno (1980), ambientato in una Delhi stupenda e malinconica. Il confronto tra Oriente
e Occidente è approfondito in Viaggio ad Itaca (1995); e una difesa dei valori induisti è
sostenuta in Digiunare, divorare (2001). Tra i suoi racconti: In custodia (1984), Notte e
nebbia a Bombay (1988), Polvere di diamante (2002).
John M. Coetzee (nato nel 1940, premio Nobel nel 2003, l'unico ad avere ricevuto per
due volte il prestigioso premio inglese Booker) è uno scrittore sudafricano bianco di
discendenza afrikaaner e di lingua inglese. Ha esordito con Terre nella nebbia (1974),
che comprende due racconti di estrema durezza: il primo è un finto rapporto dal
Vietnam, elaborato da un esperto americano in guerre psicologiche, che impazzisce; il
secondo è la storia fittizia di un antenato dello scrittore, che partecipa allo sterminio di
una tribù di Ottentotti all'epoca della colonizzazione. Ha fatto seguito il romanzo
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Deserto (1977), delirante diario di una ragazza bianca violentata e omicida, che si
abbandona alle sue farneticazioni e ai suoi incubi. Del 1977 è anche Infanzia, un
romanzo autobiografico di formazione. Il successo internazionale di Coetzee è stato
consacrato da Aspettando i barbari (1980): è la storia di un giudice integerrimo che, in
un fittizio impero coloniale, si sforza di salvaguardare la legge e la dignità umana, ma
non riesce a difendere la popolazione nomade da una soldataglia che tortura e uccide i
pretesi "barbari", poi destituisce e imprigiona il giudice stesso (trasparente è l'allusione
a Steve Biko, militante nero per i diritti civili, trovato morto nel 1977 in un carcere
sudafricano). Uno dei romanzi più impressionanti di Coetzee è La vita e il tempo di
Michael K., (1983), storia di un nero dal labbro leporino, che perde il suo lavoro e viene
emarginato come un elemento asociale. Un sofisticato gioco letterario è Foe (1986),
rivisitazione della celebre storia di Robinson Crusoe: Coetzee inventa una donna
naufraga in un'isola, dove incontra un certo Cruso, divorato dall'indolenza e dall'accidia,
e lo assiste fino alla morte; tornata a Londra con il nero Venerdì (a cui è stata mozzata
la lingua), racconta a Daniel Foe (il vero nome di Defoe) la sua vicenda e chiede di
trasformarla in libro, ma non accetta la mistificazione dello scrittore, che, indifferente
alla tragedia di Venerdì, vuole ridurre la donna a personaggio romanzesco. Un'altra
rivisitazione post-moderna è Il maestro di Pietroburgo (1994), dove Dostoevskij entra
nel libro e diventa personaggio. Ma il romanzo più forte di Coetzee è forse Età del ferro
(1990), una straziante lettera che una professoressa in pensione, malata di cancro, scrive
alla propria figlia residente negli Stati Uniti: si tratta di «uno dei più potenti ed efficaci
atti d'accusa contro l'apartheid che siano stati mai scritti» (L. Sampietro). Molto forte
fin dal titolo è anche Vergogna (2000), cupa storia dello stupro di una ragazza bianca ad
opera di tre ragazzi neri, accecati da un odio razziale alla rovescia. In Elizabeth Costello
(2003), Coetzee immagina che una scrittrice australiana debba affrontare nelle sue
lezioni due ardui quesiti: che cosa vuol dire scrivere? si deve raccontare il male? La
risposta dell’autore è memorabile: gli scrittori sono i «segretari dell'invisibile».
Salman Rushdie (nato nel 1947), scrittore indiano di lingua inglese, ha esordito con
Grimus (1979), un romanzo di fantascienza che non ha avuto successo. Grande
risonanza a livello internazionale ha invece avuto I figli della mezzanotte (1980), il cui
titolo allude ai bambini nati in India il 15 agosto 1947, allo scoccare della mezzanotte,
momento in cui l'India ottenne l’indipendenza: è un'epopea comico-grottesca dell'India
di oggi con suoi colori, i suoi sapori, la sua ancestrale saggezza, ma è anche una dolente
riflessione su trent'anni di vita indiana. Una storia del Pakistan è Vergogna (1983), che
traspone in una struttura narrativa tra sterniana e joyciana una dimensione da Mille e
una notte. Nel 1988 Rushdie ha pubblicato I versetti satanici, un libro che ha suscitato
un caso clamoroso: condannato a morte dall'ayatollah Khomeini per offese arrecate
all'Islamismo, l'autore è stato costretto a nascondersi a Londra mentre contro di lui è
stata spiccata una taglia di quattro miliardi. In realtà, si tratta di un grande romanzo
onirico, dove influssi dickensiani e joyciani si mescolano alla tradizione indiana del
racconto orale. Il romanzo narra la storia di un attore di cinema indiano e di un attore
teatrale anglo-indiano che precipitano dall'aereo in mare, in seguito a un attentato
terroristico, e risorgono trasformati rispettivamente in un angelo e in un diavolo.
L'angelo è dedito ai sogni, che s'intrecciano con quelli di Mahound (un Maometto in
versione perversa): questi, secondo una tradizione non accolta nel Corano ma presente
in altre fonti canoniche, avrebbe accettato e poi rifiutato di ammettere nel suo libro
sacro due versetti, suggeriti da Satana, che riconoscevano la legittimità di tre figure
femminili. Di qui gli accenni ai rapporti con le donne da parte del Profeta, che hanno
suscitato lo scandalo dei musulmani intransigenti e la curiosità dei lettori non
musulmani. Caratterizzato dal gusto dell'accumulo e più giocoso che aggressivo, il libro
vuole essere una metafora sull'impossibilità di discriminare il bene dal male: i più
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sconcertanti problemi politici (dal razzismo alla tragedia dell'emigrazione e al fanatismo
religioso) sono inquadrati in una grandiosa visione fantastica, dove i miti del passato si
mescolano ai sogni più inquietanti del mondo attuale. Tra le ultime opere di Rushdie:
Harun e il mar delle storie (1990), L'ultimo sospiro del moro (1995), Furia (2002).
Il maggiore scrittore africano nero di lingua inglese è il nigeriano Chinua Achebe (nato
nel 1930), che ha evocato il passato storico della sua terra, contrapponendo la moralità
atavica alla corruzione introdotta dal colonialismo bianco. Tra i suoi libri: La freccia di
Dio (1964), Dove batte la pioggia (trilogia, 1977), Termitai della savana (1987),
Viandanti della storia (1991).
Dall'area caraibica proviene uno dei maggiori scrittori di lingua inglese, Wilson Harris
(nato nella Guyana britannica nel 1921), divenuto famoso come autore di Il palazzo del
pavone (1960), un viaggio metaforico, di sapore conradiano, nella storia della Guyana,
che racchiude il duplice aspetto, di tradizione e di rinascita, della tradizione caraibica.
In Canada, la maggiore scrittrice di lingua inglese è Margaret Atwood (nata nel 1939).
Ha esordito nella narrativa con La donna da mangiare (1969), una sorta di commedia
grottesca la cui protagonista si scopre oggetto di consumo, alla stessa stregua della carne
da divorare, e si vendica con un massacro e un banchetto cannibalesco. La prova più
alta della Atwood è Tornare a galla (1972), vicenda del ritorno di una donna nella
wilderness, cioè nel vuoto della distesa disabitata del Canada, alla ricerca del genitore
scomparso e delle proprie radici. Il racconto dell'ancella (1985) è una sottile analisi
psicologica della condizione della donna, imprigionata nell'orrore di una società
misogina e sessuofoba. L'assassino cieco (2000, vincitore del Booker Prize) è una
sinistra storia di perversioni domestiche che distruggono una famiglia. Un romanzo
futuribile è L'ultimo degli uomini (2003). La Atwood è anche una apprezzata poetessa:
una raccolta dei suoi versi, scarni e incisivi, è stata tradotta in italiano con il titolo
Poesie (1986). Una maestra del racconto breve è la canadese Alice Munro (nata nel
1931). Nella sua produzione trova un seguito la grande tradizione anglosassone della
short story, da Nathaniel Hawthorne a Henry James e a Katherine Mansfield. Tra le sue
raccolte, tradotte in italiano: Danza delle ombre felici (1968), Chi ti credi di essere?
(1978), Segreti svelati (1994), Il sogno di mia madre (1998), Nemico, amico, amante...
(2001), In fuga (2004).
Nella seconda metà degli anni Cinquanta è esploso negli Stati Uniti il movimento della
beat generation, che ha avuto tra i suoi maggiori esponenti, oltre ad Allen Ginsberg
(vedi 8.1) e a Jack Kerouac (vedi 11.2.2), anche William Burroughs (1914-1997).
Burroughs ha esordito con La scimmia sulla schiena (1953), un racconto autobiografico
sulle drammatiche esperienze di un eroinomane. Il capolavoro di Burroughs, a lungo
proibito negli Stati Uniti, è Il pasto nudo (1959), feroce descrizione dei "mostri" dell'età
tecnologica, di grande forza visionaria e onirica, dove il sadismo si mescola al
surrealismo e l'influsso di Joyce a quello dell'avanguardia storica europea. In La
macchina morbida (1961) Burroughs introduce la tecnica del cutting-up, che
giustappone ritagli di letture casuali, di brani di conversazione, di citazioni di scrittori.
In Nova Express (1964) l'autore si dichiara «profeta di galassie ferite» e annuncia una
congiura planetaria. La tetralogia aperta da Il pasto nudo si conclude con Il biglietto che
è esploso (1967), che si apre con la rivelazione di una terribile arma biologica e si
conclude con la dimostrazione degli effetti nocivi della parola. Dopo Ragazzi selvaggi
(1971), Burroughs ha pubblicato Le città della notte rossa (1981), rappresentazione di
un mondo in bilico sull’abisso dell'assurdo, che forma una trilogia con Strade morte
(1984), reinvenzione della fantascienza con la tecnica del monologo interiore joyciano,
e Terre occidentali (1987), visionario affresco di un mondo in trasformazione.
147
Pubblicato nel 1985, ma scritto nel 1952 è Checca, storia di un drogato in fase di
astinenza acuta.
Uno dei filoni più ricchi e interessanti della letteratura statunitense è la narrativa
ebraico-americana, il cui maggiore esponente è Saul Bellow (1915-2005, premio Nobel
nel 1976). Nel suo primo romanzo, L'uomo in bilico (1944), Bellow rappresenta la
condizione dell'intellettuale isolato ed estraneo alla società consumistica. Anche il
protagonista del romanzo successivo, La vittima (1947), è "in bilico" fra la tradizione
ebraica e una società fortemente antisemita. Dopo il romanzo Le avventure di Augie
March (1953), ambientato negli slums di Chicago, e dopo la favola morale Il re della
pioggia (1959), Bellow ha pubblicato il suo capolavoro, Herzog (1964): vicenda di un
uomo lacerato intellettualmente e sentimentalmente, impegnato in interminabili
monologhi e in lettere a vivi e morti, a filosofi e politici e perfino a Dio, è un'opera che
attesta la cultura sterminata di Bellow e che fornisce un'acutissima analisi della civiltà
metropolitana statunitense. Un altro grande romanzo è Il pianeta di Mr. Sammler
(1968), duro attacco alla società post-industriale americana. Del 1975 è Il dono di
Humboldt, ispirato all'esperienza di un poeta newyorchese geniale e "maledetto",
Delmore Schwartz. Il dicembre del professor Corde (1982), vicenda di un anziano
docente universitario, è una rappresentazione lucida della solitudine della vecchiaia.
Quello col piede in bocca (1984) è una raccolta di graffianti racconti sulle assurdità
della moderna Babele statunitense. Il romanzo Ne muoiono più di crepacuore (1988)
racconta le vicende di un botanico di fama mondiale, uomo "vero" fra tanta gente
prefabbricata. Sono seguiti i romanzi La sparizione (1989) e Una domanda di
matrimonio (1997). Il recente Ravelstein (2000) è una conversazione di stampo
platonico sul senso profondo dell'esistenza tra un anziano scrittore e un geniale amico,
in procinto di morire di Aids.
Altri esponenti del filone ebreo-americano sono Malamud, Salinger, Mailer, Roth.
Bernard Malamud (1914-1986), di origine russa, ha interpretato il dolore ebraico
come l'espressione di un'angoscia storica e di un'aspra condizione umana. Ha esordito
con Il migliore (1952), storia di un campione del baseball, dove è attaccato duramente il
mito americano del successo. Un romanzo che risente dell'influsso di Dostoevskij è Il
commesso (1957), storia di un droghiere ebreo e del suo commesso italiano sullo sfondo
del quartiere povero di una grande città americana. Dopo splendide raccolte di racconti,
come Il barile magico (1958) e Prima gli idioti (1963), Malamud ha descritto il mondo
della Russia zarista dei suoi padri in L'uomo di Kiev (1966, premio Pulitzer), storia di
un errore giudiziario. Gli inquilini (1971) è la singolare vicenda di un sodalizio tra uno
scrittore ebreo e uno scrittore nero. In Le vite di Dubin (1979) le esistenze ricostruite da
un celebre biografo finiscono con il condizionare la sua stessa vita. Dopo Dio mio,
grazie (1982), un romanzo ambientato in un mondo post-apocalittico, Malamud ha
pubblicato Una tomba smarrita (1985), toccante vicenda di un uomo che non riesce a
ritrovare il luogo di sepoltura della moglie.
Jerome David Salinger (nato nel 1919) è il celebre autore de Il giovane Holden (1951),
un "libro di culto" e un simbolo del malessere giovanile, che ha esercitato un enorme
influsso sulla gioventù statunitense del secondo dopoguerra. The Catcher in the Rye
(questo è il titolo originale, preso dal baseball) è la storia, raccontata in prima persona,
di due giornate nella vita di un adolescente che è stato cacciato da scuola. Tenero e
difficile, il giovane Holden va alla scoperta del mondo e si scontra con gli adulti, che gli
appaiono tutti falsi e convenzionali. Falsa si rivela anche Sally, la ragazza newyorchese
di cui Holden si è invaghito. L'unica persona che Holden ama incondizionatamente è la
sorellina Phoebe, che lo convince a tornare a casa. Salinger è uno scrittore non facile,
per le asperità stilistiche e per l'uso singolarissimo del linguaggio parlato.
L'incomprensione verso i più giovani da parte di un mondo di adulti inariditi è il tema
148
dominante anche della raccolta Nove racconti (1953), esempi straordinari di short story:
splendido è in particolare Un giorno ideale per i pescibanana, storia di Seymour, il
fratello meraviglioso della famiglia Glass, che muore suicida. Orientatosi verso il
buddhismo zen, Salinger ha poi pubblicato Franny e Zooney (1961), due racconti
dedicati alle più giovani dei sette fratelli della famiglia Glass, modelli di perfezione
spirituale e sentimentale. L'ultima puntata della saga dei Glass è Alzate l'architrave,
carpentieri e Seymour. Introduzione (1963), dove Buddy, secondogenito della celebre
famiglia, si fa portavoce del messaggio di profetica saggezza e di rifiuto della normalità
del fratello maggiore Seymour. Divenuto un mito, Salinger si è isolato in una casa di
campagna e non ha più pubblicato nulla, ad eccezione del racconto Hapworth 16, 1924,
apparso nel 1965 sulle pagine del «New Yorker» (solo nel 1997 l'autore ne ha
consentito la pubblicazione in volume). La ragione di questo lunghissimo esilio
volontario dalla letteratura si può forse spiegare con una battuta di Zooney a sua sorella
Franny; «E smettila di dirmi di avere solo dieci anni. La tua età non c'entra niente con
quello di cui sto parlando. Non ci sono grandi cambiamenti tra dieci e venti, o tra dieci e
ottanta se è per quello».
Norman Mailer (nato nel 1923) è uno scrittore polemico e provocatorio fin dal primo
romanzo, Il nudo e il morto (1948), denuncia delle assurdità della guerra in stile
crudamente realistico. In seguito ha pubblicato: La costa dei barbari (1951), un
romanzo simbolico-espressionista sulla crisi degli ideali della sinistra statunitense; Il
parco dei cervi (1955), un ritratto a fosche tinte del cinema hollywoodiano visto come
simbolo di un mondo privo di valori morali; Il negro bianco (1957), manifesto del
movimento beat. La sua vena di polemista si è accentuata negli anni seguenti, sia nella
folta saggistica, sia nelle opere di narrativa: Un sogno americano (1965), Perché siamo
nel Vietnam? (1967), Le armate della notte (1968, cronaca di una marcia pacifista sul
Pentagono), Il canto del boia (1979, sulla vicenda dell'assassino G. Gilmore, giustiziato
dopo molto tempo), Antiche sere (1983), dove le vicende dell'antico Egitto configurano
un inquietante futuro), I duri non ballano (1985, un giallo metafisico), Il racconto di
Oswald: un mistero americano (1995, ricostruzione romanzata dei retroscena
dell'assassinio di J. F. Kennedy), Il Vangelo secondo il Figlio (1997). Di recente ha
pubblicato L'arte che fa paura (2003), sul mestiere di scrivere, e Perché siamo in
guerra (2003), un pamphlet contro l'intervento militare americano in Iraq.
Philip Roth (nato nel 1933) si è imposto all'attenzione della critica con i racconti di
Addio, Columbus (1959), centrati sulla condizione dell'ebreo negli Stati Uniti. L'opera
successiva, Lasciarsi andare (1962), per la sua polemica contro le tradizioni ebraiche,
ha attirato su Roth l'accusa di antisemitismo. Al romanzo di ambiente non ebreo
Quando Lucy era buona (1967) ha fatto seguito il libro più noto di Roth: Il lamento di
Portnoy (1969), narrazione in chiave comica delle trasgressioni sessuali del
protagonista, personificazione di un'America disorientata. Dopo una serie di romanzi
polemici contro i miti e la realtà della società americana (Cosa bianca nostra, 1972; La
mammella, 1972; Il grande romanzo americano, 1973) e dopo La mia vita di uomo
(1974), in cui Roth riveste il doppio ruolo di narratore e di critico letterario, lo scrittore
è tornato alla tematica erotica del Lamento di Portnoy con Professore di desiderio
(1977) e con una trilogia imperniata sul personaggio di Zuckermann (Zuckermann
scatenato, 1981; La lezione di anatomia, 1983; Zuckermann incatenato, 1985). Un'altra
saga ha inizio con Lo scrittore fantasma (1979) e prosegue con L'orgia di Praga (1985,
una ricerca delle radici mitteleuropee in una Praga kafkiana) e con La controvita (1987),
un romanzo pirandelliano sul rapporto tra vita e arte. Le ultime prove narrative di Roth
sono: Pastorale americana (1997), in cui l'autore si mostra severo sia verso il sogno
conservatore di ricompattare i valori tradizionali, sia verso il sogno rivoluzionario di chi
vuole abbattere quei valori; Ho sposato un comunista (1998), storia di un amore
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sbagliato nell'America della «caccia alle streghe»; La macchia umana (2001); L'animale
morente (2001), dove il tema della morte prevale su quello della sessualità; Il piano
contro l'America (2004), una controstoria in cui si immagina che Charles Lindberg,
l'eroe della prima trasvolata oceanica, vinca nel 1940 le elezioni contro F.D. Roosevelt e
inauguri negli Stati Uniti un regime filonazista.
Classici della fantascienza americana sono Isaac Asimov (1920-1992), di origine russa,
e Ray Bradbury (nato nel 1920), autore di Fahrenheit 451 (1953), mentre della
fantascienza Kurt Vonnegut (nato nel 1922) si serve per esprimere l'angoscia di una
imminente catastrofe: un classico è il suo romanzo Mattatoio n. 5 (1969), macabra e
allucinante testimonianza del bombardamento di Dresda del 1945. Un classico del
genere cyberpunk è William Gibson (nato nel 1948), che deve il suo successo ai
romanzi Neuromante (1984), Count Zero (1986), Giù nel cyberspazio (1990), La
macchina della realtà (1992), ma che di recente ha abbandonato la fantascienza per
scrivere il romanzo L'accademia dei sogni (2004), imperniato sulla tragedia delle Torri
Gemelle.
La formula del romanzo-verità è usata da Truman Capote (1924-1984) in A sangue
freddo (1966), narrazione di un truculento fatto di cronaca. Scrittori trasgressivi sono
Henry Miller (1891-1980), che ha demistificato con un linguaggio eversivo e
deliberatamente osceno i tabù di una borghesia ipocrita e conformistica (Tropico del
cancro, 1934; Tropico del capricorno, 1939), e Charles Bukowski (1920-1994), che,
narrando le vicende della propria vita di libertino e di alcolizzato, ha descritto con stile
grottesco e corrosivo l'altra faccia del sogno americano (Storie di ordinaria follia,
1972).
Bukowski fu fra i primi a intuire la grandezza dell'italo-americano John Fante (19111983), la cui fortuna postuma è stata consacrata dalla pubblicazione di un Meridiano
Mondadori a lui dedicato (Romanzi e racconti, 2003). Figlio di contadini abruzzesi
emigrati negli Stati Uniti, Fante subì la struggente condizione della propria doppia
identità etnica, del conflitto tra le proprie radici italiane e il sogno di una piena
integrazione in America. Dotato di una scrittura irriverente e blasfema, Fante fu un
inconsapevole beat in anticipo. Esordì con Aspetta primavera (1938) e scrisse uno dei
più grandi romanzi del secondo Novecento, Chiedi alla polvere (1941), storia di un
ragazzo che sogna di diventare scrittore e di uscire dalla sua condizione di emarginato.
Un umorismo sarcastico e dolente pervade l'altro capolavoro di Fante, I sogni di Bunker
Hill (1982), esilarante atto d'accusa contro il mondo hollywoodiano, che aveva sfruttato
il talento dello scrittore, misconoscendo il suo lavoro di sceneggiatore. Postumo è
apparso Un anno terribile (1996).
Un beffardo cantore della provincia americana è John Updike (nato nel 1932), che
mette alla berlina la nevrosi della classe media, personificata in Robbit, patetico
antieroe di tutto un ciclo di romanzi. Ma lo scrittore che ha meglio rappresentato
l'America profonda di chi crede solo in Dio e nelle pistole è Cormac McCarthy (nato
nel 1933), che un autorevole critico americano, Harold Bloom, considera un erede di
Melville e di Faulkner. McCarthy ha esordito con Il giardino segreto (1965), storia di
un atroce omicidio commesso nel Tennessee da un contrabbandiere ubriaco; è seguito
Figlio di Dio (1970), vicenda di un guardone che spia gli amanti e poi li fa fuori a colpi
di fucile. In McCarthy non c'è però un'estetica della violenza e c'è invece una
straordinaria poesia della natura: il bosco, la roccia, il canyon acquistano nei suoi libri
una valenza simbolica di eccezionale potenza. Il più grande personaggio creato dalla
fantasia dello scrittore è il giudice Holden di Meridiano di sangue (1985), una figura
profetica e primordiale, che vive in compagnia del fucile. Una grande trilogia è formata
dai romanzi Cavalli selvaggi (1992), Oltre il confine (1994) e Città della pianura
150
(1999): vi si legge il destino del cow boy americano, che vive inizialmente in simbiosi
con i suoi cavalli, ma poi si smarrisce nella cavalcata di cemento della metropoli e
finisce con il dormire sotto un cavalcavia, senza un soldo in tasca.
Figura emblematica della fase post-moderna è Edgar Laurence Doctorov (nato nel
1931), la cui produzione ha attraversato tutti i generi tipici della narrativa americana,
raggiungendo il vertice in Ragtime (1975), grandioso affresco dell'America prima della
Grande Guerra (per Thomas Pynchon, Don DeLillo e gli altri scrittori americani postmoderni, si veda la sezione terza).
In antitesi con la narrativa post-moderna, Gore Vidal (nato nel 1925) ha fatto della
trasgressione il proprio modello di scrittura, tracciando l'impietosa cronaca di
un'America decadente, resa schiava dall'immagine e dalla pubblicità. Dopo l'esordio di
L'uragano (1946, sulle esperienze di Vidal nella marina), destò scandalo La città
perversa (1948), dove è affrontato il tema dell'omosessualità nella vita militare (una
nuova versione del romanzo, con il titolo La statua di sale, è stata proposta dall'autore
nel 1998). Nella sua produzione successiva Vidal si è affermato come il fustigatore
della società americana, aggredendo con straordinaria forza caricaturale il linguaggio e i
miti dei mass-media, da Myra Breckinridge (1968) a Duluth (1983), fino al più recente
Hollywood (1990), dove l'industria cinematografica è accusata di manipolazione
dell'opinione pubblica e di connubio con la politica, fino all'elezione di un ex attore,
Ronald Reagan, alla presidenza degli Stati Uniti. Un altro filone della produzione di
Vidal è la rivisitazione della storia americana in chiave dissacrante, come avviene nella
trilogia Washington D.C. (1967), Burr (1973), 1876 (1976) e in Lincoln (1984), dove il
famoso presidente americano perde il suo mitico alone per divenire solo l'uomo politico
di fronte al problema del potere. Un grande romanzo sui giochi del potere è L'età
dell'oro (2000), rappresentazione degli splendori e delle miserie dell'impero americano
dal disastro di Pearl Harbour alla guerra contro Hitler. Ma è soprattutto l'impegno di
evocazione delle civiltà più remote che stimola il talento di Vidal, come appare da
Giuliano (1964), rivalutazione della figura dell'Apostata, e soprattutto da Creazione
(1981), uno dei romanzi più felici di Vidal, demitizzazione della Grecia dell'età di
Pericle nel quadro di quello straordinario crogiolo di civiltà che fu il Medio Oriente del
quinto secolo avanti Cristo. A questo filone appartiene il più tardo In diretta dal
Golgota (1992), che proietta la tragedia della cristianità in un futuro ipertecnologico e
disumano. Tra le opere più recenti di Vidal si segnalano: Palinsesto (autobiografia,
1995), Impero (2001), e La fine della libertà (2001), spietata analisi sul destino
dell'America dopo il crollo delle due torri.
Al problema del potere, come Vidal, guarda anche, ma in chiave comico-grottesca,
Joseph Heller, autore di Comma 22 (1961), mordente satira della megalomania e
dell'autoritarismo della vita militare. All'eredità di Faulkner si ricollega William Styron
(nato nel 1925), autore di La scelta di Sophie (1979), storia drammatica di una
sopravvissuta del campo di concentramento di Auschwitz.
Tra le scrittrici, spiccano le figure di Mary McCarthy (1912-1989), autrice di Il gruppo
(1963) evocazione della vita in un college americano; di Susan Sontag (1933-2004),
nota per il suo impegno politico-sociale, autrice tra le altre opere di L'Aids e le sue
metafore (1989), forte denuncia dell'uso strumentale e demagogico dell'allarme
suscitato dalla malattia; di Patricia Highsmith (1921-95), che, con le atmosfere
inquietanti dei suoi romanzi, valica i confini del giallo tradizionale. Una celebre
scrittrice è Flannery O'Connor (1925-1964), che è stata definita «una delle più grandi
e implacabili scrittrici di racconti della seconda metà del Novecento» (M. Lavagetto).
Di origini irlandesi, cattolica ma con venature morali di impronta calvinistica, ha
ambientato tutta la propria narrativa nel "profondo Sud" degli Stati Uniti, arricchendo i
151
temi e i motivi della letteratura sudista di stampo faulkneriano con una accesa
sensibilità cristiana al problema del male. Ne deriva l'angosciosa atmosfera che
caratterizza tutte le sue opere, popolate di personaggi grotteschi, al limite del surreale.
Vere pietre miliari della sua produzione sono il romanzo Il cielo è dei violenti (1960) e i
racconti di La vita che salvi può essere la tua (1968). Nel 2001 è stato pubblicato il suo
epistolario (Sola a presidiare la fortezza). Una scrittrice più volte candidata al premio
Nobel è Joyce Carol Oates (nata nel 1938), che concilia, nella sua vasta produzione, le
più diverse anime del romanzo statunitense, dalla descrizione del malessere e della
nevrosi metropolitana all'indagine minuziosa nei meandri del cuore umano. I temi
prevalenti della sua narrativa sono la violenza, la condizione delle classi povere, le
difficoltà incontrate dai giovani nella ricerca di un lavoro. Tra le opere tradotte in
italiano, segnaliamo: Quelli (1973), Sulla boxe (1987), Acqua nera (1992), Zombie
(1995), Blonde (2000), dedicato a Marilyn Monroe, incarnazione del "sogno
americano", Misfatti. Racconti di trasgressione (2003), Un giorno ti porterò laggiù
(2004), Stupro (2004).
Una delle voci più alte della letteratura nera statunitense è Toni Morrison (nata nel
1931, premio Nobel nel 1993). Di umili origini, dopo aver esercitato i mestieri di attrice
e di ballerina, ha poi lavorato nelle case editrici e ha insegnato all'università "scrittura
creativa". Nei suoi romanzi, la Morrison svolge un'indagine sulla perdita di identità da
parte dei neri americani, sopraffatti dalla civiltà consumistica. L'occhio più azzurro
(1969) è la vicenda di una bambina nera che impazzisce dopo aver desiderato di avere
occhi alla Shirley Temple (una giovane attrice del tempo). In Sula (1973) sono
contrapposte le vite parallele di due donne, una conformista e una ribelle. Il Canto di
Salomone (1977) è la storia di un ragazzo nero al tempo delle lotte per i diritti civili.
Alla condizione dei neri americani negli anni Ottanta è dedicato il romanzo L 'isola
delle illusioni (1981). Amatissima (1987), un romanzo ambientato nell'Ohio dopo la
guerra di secessione, ha come protagonista una giovane donna nera che, liberata
finalmente dalla schiavitù, si accorge di essere ancora schiava dei suoi ricordi del
passato. Paradiso (1998) è la storia di un gruppo di uomini armati che penetra in un
rifugio di donne e le stermina. Nel recente Amore (2004), la Morrison ha esplorato tutte
le sfumature del sentimento amoroso: innamoramento, lussuria, passione.
Una recente tendenza della narrativa americana è il minimalismo, volto a scardinare le
consuete tecniche narrative per privilegiare gli atti minimi dell'incoerente vita
quotidiana. Tra i maestri del minimalismo sono Grace Paley (nata nel 1922), ironica
osservatrice dell'esistenza della gente comune, e Raymond Carver (1938-1988),
visionario descrittore della precaria vita degli emarginati (memorabile è la sua raccolta
di racconti Di cosa parliamo quando parliamo d'amore?, 1981). Figure di primo piano
del minimalismo sono quelle di Jay McInerney (nato nel 1955), autore di Le mille luci
di New York (1984), storia dei vagabondaggi notturni di uno yuppie nella giungla
metropolitana, di Bret Easton Ellis (nato nel 1966), che, in Meno di zero (1985), ha
descritto le esperienze di adolescenti cinici e annoiati, di David Leavitt (nato nel 1962),
che, in Ballo di famiglia (1985), osserva con sguardo straniato e ironico le cerimonie
prive di senso del costume contemporaneo.
Il nome di maggior prestigio, tra i narratori più recenti, è oggi quello di Paul Auster
(nato nel 1947), divenuto famoso con la Trilogia di New York (Città di vetro, 1985:
Spettri, 1986; La stanza chiusa a chiave, 1987), in cui ha raccontato, con stile
incalzante e ricco di citazioni, la vita della Grande Mela (alcune scene della trilogia
sono state riprese nel film Smoke, del quale Auster ha scritto la sceneggiatura insieme al
regista Wayne Wang). Il caso e il caos sono i temi dominanti dei suoi libri successivi,
tra i quali Il paese delle ultime cose (1987), Leviatano (1993), Sbarcare il lunario
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(1997). Tra i suoi ultimi libri: Ho pensato che mio padre fosse Dio (2002), Il libro delle
illusioni (2003), biografia immaginaria di un divo del cinema muto, La notte
dell'oracolo (2003), storia di un uomo che fugge dal passato.
Altri scrittori delle più recenti generazioni sono: Richard Ford (nato nel 1944),
divenuto un autore di culto dopo aver vinto il premio Pulitzer con Il giorno
dell'indipendenza, affermatosi come maestro di relazioni sentimentali (Donne e uomini,
2001; Infiniti peccati, 2002); Jonathan Franzen (nato nel 1959), che ha debuttato con
La ventisettesima città (1988) e si è imposto con Forte movimento (1992), una contorta
storia d'amore sullo sfondo di una originalissima Boston, e soprattutto con Le correzioni
(2002, una saga familiare che è anche un affresco di un'America malata), accolta con
unanime consenso dalla critica; David Foster Wallace (nato nel 1962), un folgorante
talento letterario, che ha descritto la violenza e la pietà, la nevrosi e la noia dell'America
degli ultimi anni: dopo aver esordito con La scopa del sistema (1987) e dopo aver
pubblicato La ragazza con i capelli strani (1989), racconti sospesi tra ironia e
trasgressione, Wallace ha scritto un ponderoso romanzo, Infinite Jest (1996), che lo ha
imposto come scrittore di culto, e ha poi pubblicato le Brevi interviste con uomini
schifosi (1999), la sua opera più inventiva e più inquietante, ricca di humour nero; del
2004 è Oblio, una indagine iperrealista nel mondo della menzogna e della depressione.
Un settore privilegiato dell'editoria statunitense è quello del bestseller, che si giova sia
di regole precise di confezionamento del prodotto, sia di un numero altissimo di punti di
vendita, dai supermercati agli empori di paese. Tra i nomi innumerevoli, ricordiamo
quelli di Harold Robbins, straordinariamente prolifico, di Stephen King, re dell'orrore, e
inoltre di Erich Segal, Judith Krantz, Erica Jong, Scott Turow, Robert Ludlum, Mario
Puzo, Michel Crichton, James Ellroy, ecc.
In Francia e nell'area francofona
Un rinnovamento profondo si verifica nella narrativa francese con il nouveau roman o
école du regard (scuola dello sguardo), un movimento di ricerca sperimentale, volto a
rendere le tecniche della narrativa più consone alle continue trasformazioni del mondo
attuale. Anticipato dalle sperimentazioni di Nathalie Sarraute (1902-1999), che rifiuta
il "personaggio" e indaga le sensazioni allo "stato nascente", in luogo dei sentimenti
definiti e precisi della narrativa tradizionale (tra i suoi libri: Tropismi, 1932; Ritratto
d'ignoto, 1949; L'età del sospetto, 1956; Infanzia, 1983), il nouveau roman ha i suoi
maggiori esponenti in Robbe-Grillet e in Butor.
Alain Robbe-Grillet (nato nel 1922), di professione ingegnere agronomo, ha
conservato, come scrittore, il lucido geometrismo della sua preparazione scientifica,
applicandolo ad un'oggettiva descrizione della realtà, senza intrusioni psicologiche da
parte dell'autore. Nei romanzi di Robbe-Grillet, i personaggi sfuggono al controllo del
narratore, gli strappano la parola, lo smentiscono, ma non hanno una identità certa e
indossano maschere sempre mutevoli. Il primo esito di tale poetica dell'oggettività è il
romanzo Le gomme (1953), vicenda di un delitto che mette in scena la vicenda di Edipo
(l'uccisione del padre, la relazione erotica con la madre, la ricerca di un assassino in
fondo alla quale colui che indaga trova se stesso). Anche in Il voyeur (1955) la tecnica
del romanzo poliziesco è usata in funzione di una sperimentazione narrativa che riduce
il personaggio ad una semplice identità grammaticale e scompone la realtà in una
meccanica successione di presenze e di gesti: il risultato, al di là delle intenzioni
razionalistiche e antiromantiche dell'autore, è quello di una celebrazione dell'irrazionale,
che concede largo spazio all'onirismo e all'allucinazione, immergendo le labili figure
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umane nel «mare dell'oggettività», in una realtà livida e incolore, dominata
dall'enigmatica e inquietante presenza delle cose. Divenuto caposcuola del nouveau
roman con una serie di scritti teorici (raccolti poi in Per un nuovo romanzo, 1965),
Robbe-Grillet ha fornito le più convincenti e rigorose esemplificazioni della sua tecnica
narrativa in La gelosia (1957), un romanzo che sembra raccontarsi da solo, attraverso
una serie di impalpabili percezioni e una ossessiva, quasi maniacale descrizione degli
oggetti, e in Nel labirinto (1959), pervaso da un profondo sentimento d'angoscia che
ricorda Kafka. Dopo aver arricchito la sua tematica con componenti di tipo erotico e
sadico in Casa d'appuntamenti (1965, parodia del romanzo giallo), Robbe-Grillet ha
impresso una svolta nella sua produzione, assumendo come materia del racconto i miti
sottoculturali della società dei consumi: esito di tale nuovo orientamento è Progetto per
una rivoluzione a New York (1970), il cui protagonista è un misterioso "dottor M.", che
gestisce un laboratorio di psicoterapia nelle gallerie sotterranee della metropoli
americana, compiendo sinistri esperimenti su una donna prigioniera. Dopo Ricordi di un
triangolo d'oro (1978), Robbe-Grillet ha affrontato, in Dijinn (1980), il problema del
terrorismo in chiave enigmatica e con straordinario virtuosismo linguistico, secondo i
criteri dello strutturalismo. Il minuzioso, ossessivo descrittivismo che sembra abolire la
psicologia dei personaggi, dando loro una sfuggente identità (con una tecnica che a
volte richiama J. Joyce), ha trovato poi una nuova espressione nel cinema, dapprima con
la sceneggiatura di L'anno scorso a Marienbad (1961), diretto da Alain Resnais, poi
nella regia di L'immortale (1963), Trans-Europ-Express (1967), L'uomo che mente
(1968), Oltre l'Eden (1970), Slittamenti progressivi del piacere (1974), Giochi di fuoco
(1974), La bella prigioniera (1983), Un rumore che rende folli (1995). Nel 1985
Robbe-Grillet ha intrapreso (sotto il titolo generale di Romanesques) una trilogia tra
autobiografia e finzione, tra realtà e immaginazione, formata da: Lo specchio che
ritorna (1985), Angelica o l'incanto (1989), Gli ultimi giorni di Corinto (1993). Dopo
otto anni di silenzio, lo scrittore ha pubblicato La ripresa (2001), un romanzo
ambientato in una Berlino livida e sventrata, appena uscita dalla seconda guerra
mondiale, con personaggi ripresi dalle opere precedenti (di qui il titolo): si tratta di una
riscrittura del primo romanzo, Le gomme, di nuovo la storia di un delitto a sfondo
edipico, questa volta però con un clamoroso lieto fine.
Teorico, come Robbe-Grillet, del nouveau roman (e autore di numerosi saggi
sull'argomento) è Michel Butor (nato nel 1926). Docente di filosofia, Butor ha esordito
nella narrativa con Il passaggio (1954), un romanzo di struttura spaziale, dove si
ricollega alla grande lezione di Joyce; segue poi L'impiego del tempo (1956), dove una
dimensione temporale è assunta a elemento centrale dell'opera. Ma il libro che lo ha
imposto all'attenzione di un più vasto pubblico di lettori è La modificazione (1957),
caratterizzata da una nuova tecnica narrativa, il racconto in seconda persona plurale;
non meno innovativo è Gradi (1969), dove la dissoluzione dell'unità di spazio e di
tempo consente di concentrare l'attenzione sugli "spazi mentali" dei personaggi. In
Mobile (1962) e in Descrizione di San Marco (1963) è adottata la tecnica del collage.
Altre opere di rilievo sono le prose varie di Ritratto dell'artista come scimmiotto (1967),
I piccoli specchi (1972), Exprès (1983). Un posto sempre più cospicuo ha, nella sua più
recente produzione, la poesia.
Fortemente influenzata dalle ricerche del nouveau roman è Marguerite Duras (19141996), scrittrice e regista cinematografica. Nata nel Vietnam, la Duras si trasferì in
Francia nel 1932, prese parte attiva alla resistenza e militò nel partito comunista, dal
quale però fu espulsa nel 1950 come dissidente. Conseguì il successo con Una diga sul
Pacifico (1950), il cui stile robusto appare influenzato dagli scrittori americani
(Steinbeck, Caldwell, Hemingway), ma anche da Cesare Pavese: la vicenda è
ambientata in Indocina e narra una dura lotta contro una natura avversa e contro la
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corruzione dei funzionari. Avvicinatasi alla "scuola dello sguardo", la Duras ha trattato i
temi dell'incomunicabilità, della solitudine, dell'assurdità dell'esistenza. Tra le opere di
questa fase sono da ricordare Il piccolo giardino (1955), Moderato cantabile (1958), Il
pomeriggio del signor Andesmas (1962), Il Vice-Console (1966), L'amante inglese
(1967). Il romanzo più conosciuto è L'amante (1984). Dopo Il dolore (1985), la Duras
ha pubblicato il romanzo Occhi blu capelli neri (1986), storia di un crudele e
drammatico rapporto tra una donna e un omosessuale. Un nuovo libro autobiografico è
La vita materiale (1987), dove, al di là dei particolari scabrosi della propria vita (rivelati
dall'autrice con il consueto narcisismo), toccanti e sincere sono le pagine dedicate alle
donne, eroine quotidiane della "vita materiale". Più che un romanzo, un poema in prosa
fiabesco e tragico è La pioggia d'estate (1990), dove colpisce la rappresentazione della
periferia parigina, squallida e tentacolare. Come cineasta, la Duras ha realizzato alcuni
cortometraggi e ha curato i dialoghi del film Hiroshima, mon amour (1960).
Un altro esponente del nouveau roman è Claude Simon (nato nel 1913, premio Nobel
nel 1985), che, con una scrittura "sensoriale", cerca di restituire il passato alternandolo
al presente nella memoria. Ha esordito con Il baro (1945), incompiuto a causa della
guerra. Sotto il segno di Proust si collocano le opere successive: La corda tesa (1947) e
Gulliver (1952). Ma è solo con Il vento (1957) che ha inizio l'avventura sperimentale di
Simon, all'insegna della "scuola dello sguardo". In La strada delle Fiandre (1960)
continua il processo di eliminazione del personaggio, designato ora con la prima, ora
con la terza persona. Un'evocazione della guerra di Spagna è Il Palace (1962), in cui
l'autore dichiara di non nutrire più fiducia alcuna nella rivoluzione. Lo sperimentalismo
raggiunge il suo vertice in La bataille de Pharsale (1966), il cui titolo è un anagramma
di "La battaglia della Frase": ora il protagonista è indicato con la lettera O, che
graficamente equivale a zero. Un dialogo fra un libro, un film e una stampa è
l'argomento di Trittico (1973). Dopo Il senso delle cose (1975), in cui irrompe il tema
della storia, gli ultimi libri di Simon, da Georgiche (1981) a La chioma di Berenice
(1984) si riconducono ad una tematica classica. L'acacia (1989) è un romanzo salutato
dalla critica come un capolavoro: storia di due famiglie, sullo sfondo delle due guerre
mondiali, è un grandioso affresco che sottolinea l'assurdità della morte in guerra.
Alle ricerche del nouveau roman può essere accostato, per il suo rigoroso
sperimentalismo, Georges Perec (1936-1982), la cui fama è andata crescendo negli
ultimi anni per l'esemplarità della sua scrittura, fondata sulla gratuità del gioco
linguistico e sul gusto iper-realista e allucinatorio della catalogazione e
dell'enumerazione (per esemplificare: in La sparizione, 1969, non è mai usata la lettera
"e"; in Les revenentes, 1972, ritorna la "e", ma scompaiono tutte le altre vocali; La vita:
istruzioni per l'uso, 1978, è la storia di cento stanze di un immobile parigino, ruotante
intorno alla patetica follia di un appassionato di puzzles). Il gusto della sperimentazione
linguistica e stilistica aveva già caratterizzato la produzione di Raymond Queneau
(1903-1976), che aveva fatto parte del movimento surrealista e aveva fondato l'Oulipo
(Ouvroir de littérature potentielle, " Laboratorio di letteratura potenziale"); i suoi libri
più noti sono Esercizi di stile (1947, riscritti da Umberto Eco nel 1983), in cui una
notizia di cronaca è riferita in 99 modi diversi; Zazie nel metro (1959), una parodia
satirica del mondo degli adulti; I fiori blu (1965), una storia freudiana di interpretazione
dei sogni.
Uno dei più grandi scrittori francesi contemporanei è Michel Tournier (nato nel 1924).
Dopo studi di filosofia e di etnologia, si è dedicato alla letteratura. Ha esordito con un
capolavoro, Venerdì o il limbo del Pacifico (1967), rivisitazione del celebre romanzo di
D. De Foe, ma con un capovolgimento di situazione: è Robinson a porsi alla scuola del
"buon selvaggio" Venerdì (che si giova della sua conoscenza delle forze segrete della
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natura), rinunciando all'inautenticità della vita occidentale, condizionata dal
consumismo; ma nel finale la situazione si ribalta nuovamente: quando arriva nell'isola
una nave di mercanti schiavisti, Venerdì si lascia attirare e finirà schiavo, mentre
Robinson rimane libero, accettando per sempre una vita primitiva a contatto con la
natura. In Il re degli ontani (1970), un orco del nostro tempo rapisce e alleva ragazzi per
la grandezza de Terzo Reich hitleriano. Altre riscritture affascinanti di Tournier sono
quelle di motivi biblico-teologici, da Le meteore (1975), romanzo sullo Spirito Santo,
dove Tournier appare affascinato dal tema del "doppio", a Il Vento Paracleto (1977,
raccolta di saggi) e a Gaspare, Melchiorre e Baldassarre (1983), dove i tre Re Magi
diventano il simbolo dell'arte, della politica e dell'amore, radicalmente rinnovati dalla
natività cristiana. Dopo i racconti di Il gallo di brughiera (1978), Tournier ha
pubblicato un altro splendido racconto, Gilles e Jeanne (1983), dove rivisita la leggenda
di Giovanna d'Arco, attribuendo alla condanna al rogo della "pulzella" i misfatti di cui
si macchiò il suo compagno d'armi, Gilles de Rais. Nel romanzo La goccia d'oro
(1985), storia di un giovane berbero emigrato a Parigi in cerca di fortuna, Tournier
affronta il tema esistenzialista della ricerca dell'identità con una analisi psicologica così
sottile da far pensare al Camus dello Straniero. Nel 1989 Tournier ha pubblicato una
raccolta di novelle, Mezzanotte d'amore, che ha diviso la critica, ma che ha riscosso il
consenso del pubblico. Tra le ultime opere: Eleazar (1996), Celebrazioni (2001).
Una grande scrittrice franco-belga, dallo stile nitido, di una vibrante classicità, è
Marguerite Yourcenar (1903-1987), la prima donna che è stata accolta (1980)
nell'Académie Française. Vissuta sempre in disparte, ha viaggiato a lungo e ha
insegnato negli Stati Uniti. La sua fama è legata soprattutto a due grandi romanzi
storici: Memorie di Adriano (1951), autobiografia apocrifa dell'imperatore romano, che
dalla riflessione sulla morte trae spunto per giudicare con sereno distacco la propria
vita, sullo sfondo smagliante della Roma del II secolo; e L'opera al nero (1968), dove la
meditazione sul destino umano è riproposta nel quadro di un affascinante Cinquecento e
attribuita a Zenone, un enigmatico alchimista alla ricerca della propria identità. Punto di
partenza della scrittrice era stato, in Alexis o il trattato della lotta vana (1929), il tema
gidiano dell'omosessualità, significativamente collegata con il problema della libertà di
espressione, mediante l'elevazione di un androgino a simbolo della "diversità"
dell'artista. Unico romanzo di argomento italiano nella produzione della Yourcenar è
Moneta del sogno (1934, ma più volte riscritto), narrazione "semirealista e
semisimbolica", tra saggio e romanzo, di un attentato antifascista a Roma. Esotismo ed
erotismo si intrecciano nelle eleganti Novelle orientali (1938), mentre Il colpo di grazia
(1939), più che un romanzo di guerra, è la vicenda kierkegaardiana di una seduzione.
Autobiografica (ma di un'autobiografia lucidamente trasfigurata dal distacco
memorialistico) è la trilogia dal titolo generale Il labirinto del mondo: Care memorie
(1974), che, attraverso la genealogia materna, si spinge fino a disseppellire lontane
radici medievali; Archivi del Nord (1977), che viceversa scava nella storia del
Cinquecento per ritrovare un lontano progenitore dal quale discende il corso della
genealogia paterna; e Davvero, l'eternità (1980), che conclude il ciclo; l'ultima parte di
quest'ultima opera è uscita nel 1988: la morte ha impedito all'autrice di scrivere l'ultimo
capitolo sulla morte di Michel e di Jeanne, i personaggi più affascinanti delle sue
memorie. Un'altra opera autobiografica, caratterizzata da un estremo pudore dei
sentimenti, è Ad occhi aperti (1980). Di notevole rilievo è la produzione saggistica della
Yourcenar, che è anche una studiosa del mondo indiano e della spiritualità nera. Sono
anche da segnalare le raccolte di poesie (Fuochi, 1936; La carità di Alcippo, 1956-74), i
testi teatrali. Postumo è stato pubblicato il volume En pélerin et en étranger (1989),
raccolta di saggi inediti o disseminati in riviste introvabili: si tratta di saggi dedicati in
gran parte ai viaggi compiuti negli anni Trenta in Europa, che si trasformano per la
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Yourcenar in viaggi interiori, veri e propri pellegrinaggi d'amore (di qui il titolo); vi
sono compresi due testi eccezionali: il primo è il testo dell'ultima conferenza tenuta il
14 ottobre 1987 all'università di Harvard, dove la Yourcenar rievoca la figura di Borges,
cieco e veggente come Omero; il secondo è un delizioso poema in prosa, scritto da una
Yourcenar ancora ventiquattrenne, in occasione della morte del suo amatissimo
cagnolino pechinese.
Un singolare caso letterario è quello di Héctor Bianciotti (nato nel 1930), uno scrittore
di origine argentina, che ha pubblicato libri in spagnolo e in francese: narratore sottile e
rigoroso, i cui modelli stilistici possono essere riconosciuti in Flaubert, Virginia Woolf,
Henry James, è stato d'altronde considerato «l'unico e autentico erede di Borges» («Le
Monde») per la sua riflessione assidua sul tempo, sullo spazio, sul destino dell'uomo.
Tra i suoi libri tradotti in italiano, segnaliamo La notte delle stelle azzurre (1989), un
romanzo ambientato nell'angosciante microcosmo di un ospedale e dedicato alle madri
che, morendo, "fingono di andarsene", ma si insinuano di nascosto nei sogni dei figli;
inoltre: Ciò che la notte racconta al giorno (1992), Il passo lento dell'amore (1995).
Uno scrittore che oscilla tra sperimentazione e tradizione è Philippe Sollers (nato nel
1936). Fondatore, nel 1960, della rivista «Tel Quel», organo dell'avanguardia letteraria
francese, propugnatore di una "scrittura testuale" in grado di utilizzare i risultati più
avanzati della linguistica e della psicoanalisi, dopo romanzi di impianto tradizionale ha
scritto una serie di libri improntati ad un arduo sperimentalismo (Dramma, 1965;
Numeri, 1968; Leggi, 1972; H., 1973). Interesse e discussioni ha suscitato il suo
romanzo Paradiso (1980), dove è eleminata la punteggiatura e dove si accolgono le più
varie forme di comunicazione, dalla pubblicità alle filastrocche. In Donne (1983), diario
di un intellettuale libertino, ha restaurato tutte le regole della tradizione. Tra le altre
opere: Il cuore assoluto (1987), La festa a Venezia (1991), La stella degli amanti
(2002).
Uno scrittore di culto in Francia è Jean-Marie Le Clézio (nato nel 1940). Esponente
dell'avanguardia letteraria, ha esordito con Il verbale (1963), sorta di happening privo di
pause, il cui protagonista rinuncia alle convenzioni sociali per stabilire un rapporto
immediato con le cose, registrandone, con la sensibilità di un sismografo, ogni minima
variazione. Tale procedimento si colloca oltre la scrittura testuale del nouveau roman,
inaugurando una tendenza che ha ricevuto dalla critica la definizione di nouveau
réalisme. Nelle opere successive, Le Clézio ha decisamente rinunciato alla trama e ai
personaggi per rispecchiare il farsi dell'esperienza umana nelle sue strutture essenziali,
al di fuori della storia: di qui il suo interesse per le civiltà primitive, come quella dei
Maya o quella degli "uomini blu" (i nomadi del deserto del Maghreb). Tra le sue opere
tradotte in italiano: Estasi e materia (1967), Deserto (1985), Stella errante (1992).
La narrativa di Patrick Modiano (nato nel 1945) è caratterizzata da un tono elegiaco e
nostalgico, che raggiunge momenti di intensità quasi ossessiva nella descrizione della
toponomastica parigina. Si è affermato poco più che ventenne con La place d'Étoile
(1968), primo libro di una trilogia sulla Francia occupata dai nazisti (gli altri due libri
sono La ronda di notte, 1969, e I viali della circonvallazione, 1972, premio
dell'Académie Française). Sono seguiti i romanzi Villa Triste (1975) e Via delle
Botteghe Oscure (1978, premio Goncourt). Questo ciclo narrativo ha trovato un
provvisorio scioglimento nella sceneggiatura, da parte dello scrittore, del film Cognome
e nome: Lacombe Lucien di Louis Malle (1974). Dopo Domeniche d'agosto (1986) e
Viaggio di nozze (1990), Modiano ha pubblicato un piccolo capolavoro, Dora Bruder
(1997), storia di una ragazza ebrea scomparsa a Parigi e ritrovata dai suoi aguzzini, che
la mandano ad Auschwitz. Molto intensa è anche la raccolta di racconti Sconosciute
(1999). Del 2001 è Bijou.
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Uno scrittore molto popolare è Daniel Pennac (nato nel 1944), noto in tutto il mondo
per la sua celebre saga di Belleville. Insegnante di liceo per alcuni anni, dopo romanzi
per ragazzi ha raggiunto la fama con Il paradiso degli orchi (1985) e La fata Carabina
(1987), dove, nella struttura del romanzo giallo, sono introdotti personaggi bizzarri e
stralunati, come Benjamin Malaussène e la sua famiglia, sullo sfondo del quartiere
parigino di Belleville. Un adattamento per la televisione di La fata Carabina ha
confermato e ampliato la popolarità della serie narrativa, che è continuata con La
prosivendola (1989), Signor Malaussène (1995), La passione secondo Thérèse (1998).
Nel saggio Come un romanzo (1992), Pennac ha sostenuto che il suo scopo è quello di
restituire agli adulti il piacere di leggere. Una svolta è segnata dal recente Ecco la storia
(2001), vicenda di un dittatore agorafobico che si fa sostituire da un sosia, il quale però
decide a sua volta di farsi sostituire da un altro sosia, e così via. Si tratta di un romanzo
sull'illusione di diventare diversi da quelli che siamo.
Un'autrice di culto delle femministe è stata Marie Cardinal (1929-2001). Il suo
romanzo d'esordio, Ascolta il mare (1962), omaggio alle affascinanti e struggenti
visioni dell'Algeria dell'infanzia, ottenne il premio internazionale René Julliard. I
romanzi successivi della Cardinal analizzano la condizione della donna, la sua crisi
d'identità, la sua capacità di reagire alle insidie della vita quotidiana. Particolarmente
apprezzato dalla critica è il romanzo Le parole per dirlo (1976), dove l'abusato tema
della nevrosi acquista nuova credibilità, rivelando l'abisso di frustrazione e di angoscia
nascosto dietro la facciata della donna moderna, libera e spregiudicata. Tra gli altri
romanzi: La chiave nella porta (1972), Una vita per due (1978), I grandi disordini
(1988).
Un clamoroso caso letterario è stato quello della scrittrice François Sagan (1935-2004),
che si affermò non ancora ventenne con la pubblicazione del romanzo Bon jour tristezze
(1954), sconcertante e provocatoria raffigurazione della gioventù francese dei primi
anni Cinquanta, divenuta il simbolo del cinismo e della spregiudicatezza della nuova
generazione. Le aspettative suscitate da questo esordio andarono però deluse dalla
produzione successiva, che non si discostò dagli schemi convenzionali della letteratura
di consumo.
Il più grande romanziere belga di lingua francese è Georges Simenon (1903-1989).
Considerato da A. Gide come uno dei maggiori scrittori francesi del Novecento, erede
di F. Mauriac e di J. Green nella descrizione esemplare della "storia minore" del mondo
della provincia, ha goduto, nel contempo, di un'immensa fortuna popolare per la serie
dei "gialli" centrati sulla figura del commissario Maigret. Simenon è maestro nella
rappresentazione dei tetri sfondi della periferia parigina e nel risalto dato al tema della
solitudine e dell'impotenza di fronte al male.
Un caso editoriale è quello della giovane scrittrice belga, Amélie Nothomb (nata nel
1967), che si è imposta con la sua fantasia esplosiva sulla scena letteraria francese. Con
il romanzo Stupore e tremori (2000) ha ottenuto il Grand Prix dell'Académie Française.
Uno dei suoi libri più noti è Mercurio (2000), un racconto "a porte chiuse", che racconta
una vicenda di amore e di follia in un'atmosfera cupa e inquietante. Tra gli altri libri,
tradotti in Italia: Igiene dell'assassino (1997), Le catilinarie (1998), Attentato (1998),
Ritorno a Pompei (1999).
Uno scrittore marocchino di lingua francese è Tahar Ben Jelloun (nato nel 1944), la
cui fama a livello internazionale è stata consacrata dai romanzi Creatura di sabbia
(1985) e Notte fatale (1987), in cui la ricchissima tradizione orale del Marocco si
congiunge con il fascino sottile e perverso dell'ambiguità, che ha sempre alimentato la
tradizione della letteratura europea. Un romanzo visionario è L'albergo dei Poveri
(1999), ambientato a Napoli, in un ospizio borbonico settecentesco. In Il libro del buio
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(2001), Ben Jelloun ha raccontato la vicenda raccapricciante di alcuni militari, rinchiusi
e torturati in un carcere marocchino dal 1973 al 1992. Un saggio che ha raggiunto
grande diffusione è Il razzismo spiegato a mia figlia (1998).
Scrittori di lingua tedesca
Tra gli scrittori di maggior rilievo emersi nel secondo dopoguerra e riuniti nel Gruppo
47 (vedi 11.1.1), spiccano Gunther Grass (vedi 11.1.2), Heinrich Böll (vedi Parte
XVII, sezione quinta), e Hans Magnus Enzensberger, già ricordato come poeta (vedi
5.1.2). Un altro scrittore del Gruppo 47 è Uwe Johnson (1934-1984). Il romanzo che
rivela Johnson come narratore è Congetture su Jakob (1959), ricostruzione della figura
di un ferroviere, Jakob Abs, travolto da una locomotiva, e resoconto delle diverse
versioni di quel tragico incidente. In Il terzo libro su Achim (1961) Johnson affronta il
tema della Germania divisa e i traumi che ne sono derivati, con un'indagine psicologica
molto attenta e un'osservazione minuta, addirittura implacabile. Un libro di Johnson,
che piacque a Vittorini per la sua problematicità, è Due punti di vista (1965). Una
tetralogia sulla Germania di Weimar è Anniversari (1970-1983).
Dal Gruppo 47 proviene anche Martin Walser (nato nel 1927). Di formazione
cattolica, ma orientato poi verso il marxismo, Walser ha ottenuto grande fama con la
novella Un cavallo in fuga (1978), modellata sulle Affinità elettive di Goethe e rivolta
contro l'ideologia della giovinezza vitalistica. Nel romanzo La casa dei cigni (1980)
l'unica possibilità di salvezza è indicata nella comunanza del dolore. Un romanzo sulla
riunificazione tedesca è La difesa dell'infanzia (1991). Come drammaturgo, Walser ha
affrontato, in Il cigno nero (1964), lo scottante problema della rimozione storica delle
colpe naziste.
Una grande scrittrice è Christa Wolf (nata nel 1929), che si è imposta con il romanzo Il
cielo diviso (1963), vicenda d'amore sullo sfondo della Germania divisa, dove è
sostenuta la tesi dell'impossibilità, malgrado le lacerazioni politiche, di dividere i
sentimenti umani. Del 1968 è il romanzo Riflessioni su Christa T., storia di una donna
precocemente strappata alla vita dalla malattia e riflessione profonda sul tema della
personalità incompiuta. Su questo tema è incentrato il romanzo Nessun luogo. Da
nessuna parte (1979), vicenda di un ipotetico incontro tra il poeta H. von Kleist e la
poetessa Karoline von Günderrode, entrambi candidati al suicidio: è qui rappresentata
compiutamente l'incompatibilità esistenziale tra l'artista e il mondo. Una nuova eroina
dell'incompiutezza è la protagonista di Cassandra (1983), un racconto che si muove tra
Eschilo e la Pentesilea di Kleist in un'ottica antimilitarista e pacifista. Un'evasione nel
mondo della natura è Recita estiva (1989), cui segue, in Che cosa resta (1990), l'amara
riflessione della scrittrice, che si accorge di essere sorvegliata dal regime. La Wolf ha
poi affrontato, con stile impeccabile ed essenziale, i problemi posti dalla fine dello
stalinismo (Congedo dai fantasmi,1994) e ha riproposto, in chiave di ricerca
dell'autenticità, il mito greco di Medea (1996). Una constatazione dolorosa della fine
dell'utopia è In carne e ossa (2002).
Un grande scrittore, immaturamente scomparso in un incidente automobilistico, è
Winfried Georg Sebald (1944-2001). Era nato in Baviera e, a venticinque anni, aveva
lasciato la Germania per non essere complice del processo di rimozione con cui la
"generazione dei padri" tentava di dimenticare i crimini nazisti. In Inghilterra, Sebald ha
insegnato Letteratura tedesca all'università di Norwich. Il suo libro d'esordio è Vertigini
(1990), in cui si descrive un viaggio notturno in Italia settentrionale, Austria e
Germania, tra deliri allucinatori, malinconia esistenziale e improvvisi squarci di
memoria storica. Negli Emigrati (1993), Sebald ricostruisce i percorsi di quattro esuli,
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fuggiti dalle loro patrie per fame o per sottrarsi alla persecuzione; memorabile è la
frase-chiave del libro: «Distruggete anche l'ultima cosa, ma non il ricordo». Un
«pellegrinaggio inglese» è Gli anelli di Saturno (1995), dove è ribadita la tensione che
spinge l'uomo malinconico ad un movimento continuo. Un fortissimo senso del lutto
pervade Austerlitz (2001), il cui protagonista, Jacques Austerlitz, ha perso la memoria e
solo a fatica riesce a scoprire il luogo in cui è nato: una Praga tragica, in cui si raccoglie
il dolore del mondo.
Uno dei massimi scrittori della letteratura austriaca contemporanea è Thomas
Bernhard (1931-1989). Dopo Gelo (1963), dove si delinea il tema ossessivo del
suicidio, Bernhard scrisse il suo libro più importante, Perturbamento (1967), storia di
un giovane studente che accompagna il padre medico condotto in un giro di visite nella
campagna stiriana, dove gli si rivela la miseria materiale e morale del mondo contadino;
il personaggio più sconvolgente del romanzo è un vecchio principe, residente in un
castello fatiscente, il cui ossessivo monologo è l'espressione rigorosa di un nichilismo
disperato e totale. Un altro vertice della narrativa di Bernhard è La fornace (1970),
storia di un delitto in cui una trama di ossessioni e di manie si dipana in una spirale
perversa. Dedicatosi al teatro, Bernhard ha scritto forti drammi (Una festa per Boris,
1970; La forza dell'abitudine, 1974), che hanno fatto di lui uno dei drammaturghi più
acclamati del nostro tempo. Del 1975, con L'origine, ha dato inizio ad una serie di testi
autobiografici, proseguita con La cantina (1976), Il respiro (1978), Il freddo (1978), Un
bambino (1982): anche in questi libri l'autore ha filtrato il suo orrore per l'insensatezza
della vita attraverso uno stile lucido e ironico. Sul tema del suicidio Bernhard è tornato
in Il soccombente (1983), storia di un giovane virtuoso di pianoforte che, deluso nella
sua maniacale passione, si uccide. Un capolavoro della maturità dello scrittore è
Estinzione (1987), vicenda di uno scrittore che fugge da un'Austria inquinata dal
nazionalsocialismo e da un cattolicesimo retrivo: il libro ha destato scandalo, e così è
accaduto anche per il dramma Piazza degli Eroi (1988), violenta requisitoria contro i
residui odierni, in Austria, del nazismo e dell'antisemitismo. Lo scandalo è continuato
anche dopo la morte dello scrittore, che nel suo testamento ha imposto il divieto di
utilizzazione in patria delle sue opere.
Anche Peter Handke (nato nel 1942) ha iniziato la sua produzione con opere
fortemente polemiche contro i cardini della tradizione letteraria austriaca: il romanzo I
calabroni (1966) e il dramma Insulti al pubblico (1966). Dopo il romanzo
autobiografico La breve lettera del lungo addio (1969), Handke ha pubblicato quello
che è forse il suo capolavoro, Infelicità senza desideri (1972), diario di un figlio che
scopre e approva le ragioni del suicidio della madre. Un ritorno alla tradizione dopo la
fase provocatoria dei primi libri è costituito da La donna mancina (1976), storia di una
donna che attraverso la separazione coniugale recupera la propria identità. Di una
cristallina classicità è il romanzo Il cinese del dolore (1984), storia di un delitto sullo
sfondo di una idillica Salisburgo. In Pomeriggio di uno scrittore (1987), Handke
ricostruisce al rallentatore una giornata trascorsa in una città semideserta. Il rischio della
perdita dell'immagine in un mondo dominato dal denaro e dal computer è messo in
rilievo nel romanzo Le immagini perdute (2002). Un reportage della guerra del Kossovo
è Un disinvolto mondo di criminali (2002). Con W. Wenders, Handke ha scritto i
dialoghi per il film Un cielo sopra Berlino (1987).
Una grande scrittrice è Elfriede Jelinek (nata nel 1946, premio Nobel nel 2004), che sa
coniugare scrittura femminista e critica dei mass-media, sperimentalismo linguistico e
critica sociale. Figlia di un ebreo di origine slava, iscritta al partito comunista dal 1974
al 1991, la Jelinek si è rivelata come narratrice con un romanzo pop, Noi siamo i baby
zimbelli (1970), intessuto di luoghi comuni e frasi tipiche del gergo giovanile del tempo.
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Una dissacrante satira della letteratura di consumo e dei serial televisivi è Michael. Un
libro per giovani destinato alla società infantile (1972), dove sono messi in rilievo i
meccanismi di identificazione che spiegano il successo di massa di tale produzione. Una
scelta di campo in difesa delle donne, oppresse dagli spietati meccanismi di una società
maschilista, è dichiarata nel romanzo Le amanti (1975), dove si smantella il mito
dell'amore e del matrimonio. Un romanzo realistico è anche Gli esclusi (1980), che
mostra come il fascismo sopravviva a livello di costume nella vicenda di un gruppo di
giovani imbevuti di violenza, fanatismo, odio verso la donna. Un grande romanzo è La
pianista (1983), storia dei rapporti morbosi, impregnati di sadomasochismo, tra una
insegnante di pianoforte, i suoi allievi e la madre: il romanzo è divenuto celebre
attraverso la trasposizione cinematografica di Michael Haneke, con l'interpretazione di
Isabelle Huppert (2001). Dopo una provocatoria prosa poetica nei confronti della natura
(Oh natura selvaggia, oh proteggersi da lei, 1985), la Jelinek ha attaccato il perbenismo
austriaco e l'ipocrisia borghese con La voglia (1989), vicenda di un marito-padrone, un
romanzo che è stato considerato erroneamente una mescolanza di femminismo e
pornografia, mentre è in realtà un'opera di antipornografia femminile. La stessa tematica
è presente nel teatro, con alcuni drammi dove la denuncia spietata si unisce ad una satira
graffiante: Ciò che accadde dopo che Nora ebbe lasciato il marito ovvero I pilastri
della società, 1979; Clara S., 1982, dedicata alla figura di Clara Schumann. Tra le altre
opere della Jelinek, si ricordano: Totenauberg (1991), ricostruzione del complesso
rapporto tra Martin Heidegger e la sua allieva Hannah Arendt; I figli dei morti (1996),
critica radicale della tanatofilia austriaca e delle passate complicità con il nazismo;
Bramosia (2000), un romanzo noir; Gli addii (2001), pièce teatrale in cui la xenofobia
del leader austriaco Haider è messa alla gogna con citazioni dello stesso personaggio,
alla maniera del grande Karl Kraus.
Scrittori della Russia e dell'area slava
Il più grande scrittore russo del secondo Novecento è Aleksandr Isaaevič Solženicyn
(nato nel 1918, premio Nobel nel 1970). Laureato in matematica e fisica a Rostov,
conseguì anche, per corrispondenza, un'altra laurea in lettere e filosofia all'università di
Mosca. Arruolato nell'Armata rossa nel 1941, ottenne due onorificenze al valor militare.
Arrestato (1945) a causa di una lettera che riportava dichiarazioni negative su Stalin, fu
condannato a otto anni di carcere e deportato nel Kazakistan. Riabilitato nel 1957,
ottenne una grande fama internazionale con il racconto Una giornata di Ivan Desinovič,
pubblicato sulla rivista «Novyi mir» (Mondo nuovo), diretta da A. Tvardoskij, nel
quadro del processo di destalinizzazione e di "disgelo" promosso da N. S. Kruscëv. Non
più gradito alle autorità sovietiche dopo la caduta di Kruscëv, e considerato un capofila
del "dissenso", fu escluso dall'Unione degli scrittori nel 1969 e, malgrado il premio
Nobel attribuitogli nel 1970 (che gli fu impedito di ritirare), fu espulso dall'Unione
Sovietica (1974). Stabilitosi nel Vermont, una regione degli Stati Uniti, si alienò le
simpatie del governo americano per le sue critiche al capitalismo occidentale. Nel
quadro della glasnost ("trasparenza", un termine da lui inventato), promossa da
Gorbaciov, nel 1991 gli fu consentito di tornare in Russia. Solo nel 1994 Solženicyn è
ritornato in patria, ma, per la sua posizione di nazionalista neoslavofilo, contrario
all'occidentalizzazione della Russia, è rimasto privo di un largo seguito.
Il testo-rivelazione di Solženicyn, Una giornata di Ivan Desinovič, è la cronaca di un
giorno d'inizio del 1951 di un deportato politico e della sua tenace lotta per la
sopravvivenza fisica e morale in un campo di lavoro siberiano: di un realismo asciutto e
vigoroso e di uno stile disadorno, l'opera si ricollega direttamente, nella sua materia
narrativa, alle Memorie di una casa di morti di Dostoevskji e costituisce la prima,
161
implacabile denuncia letteraria degli orrori concentrazionari dell'epoca staliniana. Un
possente racconto è anche La casa di Matrjona (1963), ritratto di una vecchia
contadina, che ancora una volta autorizza il paragone con Dostoevskji, creatore di miti
figure femminili. Di respiro più ampio sono i due romanzi Il primo cerchio (1968) e
Reparto C (1969). Il titolo di Il primo cerchio è dichiaratamente dantesco: vi è descritta
la vita di alcuni prigionieri politici, selezionati nei campi di lavoro in quanto tecnici e
concentrati in laboratori segreti per realizzare un progetto scientifico; vigilati da un
sistema che si identifica in un onnipresente "cannibale" (Stalin), essi lottano per evitare
di essere stritolati e per salvare la propria dignità umana. In Reparto C, l'azione si
svolge nella corsia di un ospedale oncologico: ancora un universo concentrazionario,
abitato questa volta non da deportati, ma da un'umanità sofferente, accomunata dalla
paura della morte ma scissa pur sempre tra oppressori e oppressi, e quindi "spaccato"
della società sovietica. Uno spostamento di interessi dalla realtà contemporanea alla
storia si verifica con Agosto 1914 (1971; la seconda parte è stata pubblicata in francese
nel 1985), indagine sulla Russia di Nicola II e sulle possibilità di una sua evoluzione
democratica, troncata dalla guerra e dalla rivoluzione. In Arcipelago Gulag (1973-80),
Solženicyn rinunzia a ogni finzione narrativa per svolgere un'inchiesta storica sugli
orrori perpetrati dallo stalinismo in una Russia trasformata in un grande Lager ("Gulag"
è la sigla formata dalle iniziali russe di "Direzione Generale dei Lager"). Iniziata già
(secondo l'autore) fin dal 1918, la deportazione di massa si accentuò dagli anni Trenta
fino allo scoppio della seconda guerra mondiale e si protrasse fino alla fine degli anni
Ottanta. Impressionanti sono le pagine dedicate alle torture (in piedi per giorni e notti
senza dormire, luce elettrica negli occhi per ore e ore, interrogatori a metà notte, ecc.).
Di argomento affine è La quercia e il vitello (1975), schiacciante documentazione di un
ventennio di repressione della libertà di pensiero in URSS. Un ritorno alla narrativa è
segnato da Lenin a Zurigo (1975), dove la figura del grande rivoluzionario è analizzata
con profondità di penetrazione psicologica e con un atteggiamento diviso tra
l'ammirazione verso l'uomo e la condanna della sua linea politica. Nelle ultime opere, la
vena narrativa si è appannata per lasciare spazio al polemista; un immenso affresco di
difficile lettura, dedicato all'avvento del regime sovietico è La ruota rossa (1985-1990);
una storia (non sempre affidabile) dell'ebraismo in Russia è Duecento anni insieme
(1795-1885), (2002); una raccolta degli scritti pubblicati fra il 1967 e il 2003 è Al
ritorno del respiro (2005).
Negli ultimi anni dell'Unione Sovietica (prima della sua dissoluzione nel 1991) si è
verificato un secondo "disgelo", all'insegna della "perestroijka" di Gorbaciov. Il
fenomeno più rilevante è stato la pubblicazione in Urss di grandi opere prima censurate,
come il Dottor Zivago di Boris Pasternak, che era stato pubblicato per la prima volta in
Italia nel 1957.
Il più noto esponente del realismo tradizionale è Anatolij Rybakov (1911-1998), autore
di I figli dell'Arbat (1987), dove l'affresco della vecchia Mosca si mescola con la storia
di un'intera generazione vissuta all'ombra di Stalin. Il filone tradizionale della "prosa
contadina" è rappresentata da Valentin Rasputin (nato nel 1937), autore dei celebri
romanzi Vivi e ricorda (1974) e Il villaggio sommerso (1976), dove si avvertono
venature slavofile che risalgono a Solženicyn. Un vero e proprio catastrofismo morale
ispira la produzione dello scrittore kirghizo Cingiz Ajtmatov (nato nel 1928), noto
anche in Occidente per i romanzi Il battello bianco (1970), una fiaba moderna, e Il
patibolo (1986), dove si racconta di droga, di alcolizzati e di omosessuali, ma si pone
anche (nella scia dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij e del Maestro e Margherita di
Bulgakov) il problema del rapporto tra spiritualità e potere. Tra gli altri scrittori, si
ricordano Sergej Kaledin (nato nel 1949), autore di L'umile cimitero, storia di becchini
162
alcolizzati sullo sfondo di una Mosca tetra e violenta, e Vladimir Makanin (nato nel
1937), matematico di formazione, descrittore di microcosmi cittadini, schiacciati dalle
ansie e dalle preoccupazioni della vita quotidiana. Un caso letterario è stato quello di
Viktor Erofeev (1948-90), impostosi, per l'originalità del linguaggio, come maestro dei
giovani scrittori, autore di Mosca sulla vodka (1973). Un maestro della prosa russa è
Saša Sokolov (nato nel 1943, oggi cittadino canadese), autore di affascinanti romanzi,
come Scuola di scena (1976), Un po' cane, un po' lupo (1980), Palissandreide (1985).
Molto popolari sono oggi in Russia gli scrittori che adottano tecniche post-mderne,
come Vladimir Sorokin e Viktor Pelevin (i cui libri sono tradotti anche in italiano).
Sono inoltre da ricordare i numerosi scrittori dell'emigrazione (alcuni dei quali sono
tornati in patria), la cui produzione ha però perduto la sua attualità dopo la fine
dell'Urss: Andrej Sinjavskij, Vladimir Maksimov, Alexander Ginzburg, Vasilij
Aksionov (del quale si ricorda L'ustione, 1980, affresco di una generazione "ustionata"
dallo stalinismo), Aleksandr Zinov'ev ecc.
In Polonia, gli scrittori più noti sono: Kazimierz Brandys (1916-2000), autore di
Rondò (1982), un romanzo sulla resistenza polacca al nazismo; Stanislaw Lem (nato
nel 1921), autore del romanzo di fantascienza Solaris (1961); Tadeusz Konwicki (nato
nel 1926), che, nei romanzi Piccola apocalissi (1981) e Fiume sotterraneo, uccelli
sotterranei (1984), ha offerto un quadro drammatico e grottesco del marasma in cui è
precipitato di recente il suo paese; Gustave Herling (1919-2000), autore di Un mondo a
parte (1951), libro-denuncia sui gulag, che fa di lui, insieme con Solženicyn, uno dei
grandi testimoni degli orrori stalinisti.
Il maggiore narratore bulgaro di oggi è Jordan Radickov (nato nel 1929), autore di un
romanzo accorato e struggente sulla condizione umana, L'Arca di Noè (1988), in cui la
profondità della riflessione si unisce alla suggestione delle immagini. Un grande
saggista bulgaro, attivo in Francia, è Tzvetan Todorov (nato nel 1939), studioso del
formalismo russo e dello strutturalismo, la cui opera più recente è Memoria del male,
tentazione del bene (2002).
Uno dei più grandi scrittori del Novecento è il ceco Milan Kundera (nato nel 1929).
Figlio di un musicista, insegnò all'Istituto di cinematografia di Praga, incarico che gli fu
tolto nel 1969 per la sua partecipazione alla "Primavera di Praga". Dal 1975 vive in
Francia, dove ha insegnato letteratura ceca all'università di Parigi. Esordì come poeta
anticonvenzionale col volume di versi Uomo, giardino vasto (1953), cui seguirono
L'ultimo maggio (1955) e Monologhi (1957). Ma la vera vocazione di Kundera era
quella narrativa; come mostrarono i racconti aneddotico-umoristici raccolti nelle tre
serie di Amori ridicoli (1963, 1965 e 1969). Una magistrale strumentazione polifonica
presiede al primo romanzo di Kundera, Lo scherzo (1967), cronaca di sedici anni di vita
cecoslovacca (1948-1964), dove i destini individuali si intrecciano e si vanificano, come
prodotti dal medesimo terribile scherzo della storia. Il romanzo successivo, La vita è
altrove (1972), storia di un giovane megalomane e nevrotico, che finisce per collaborare
con la polizia segreta, è stato considerato dalla critica occidentale come uno dei migliori
romanzi politici contemporanei. La trilogia iniziata con Lo scherzo si chiude con Il
valzer degli addii (1976). Un amaro e ironico ritratto della Cecoslovacchia moderna è Il
libro del riso e dell'oblio (1978). Capolavoro di Kundera è il romanzo L'insostenibile
leggerezza dell'essere (1984), elogio della "leggerezza" del vivere contro le pesanti
costrizioni pubbliche e private e metafora della storia della Boemia, leggera come
polvere e travolta in una insostenibile agonia. Stupefacente è la capacità dell'autore di
coniugare, in questo romanzo, il piacere della lettura con l'impegno etico. Un grande
romanzo è anche L'immortalità (1990), dove eventi puramente romanzeschi si alternano
a evocazioni di figure letterarie del passato e del presente e con divagazioni filosofiche,
163
concentrate soprattutto sul concetto di immortalità, che viene identificata con il
desiderio di posterità. Un elogio della lentezza, contro l'eccessiva velocità del modo
moderno, è il romanzo La leggerezza (1995), scritto in francese, come il successivo
L'identità (1997). In spagnolo prima che in francese è stato pubblicato il romanzo
L'ignoranza (2000), storia di una giovane esule, rifugiatasi in Francia e tormentata
dall'incubo del ritorno in patria. Alla nuova Repubblica Ceca è dedicato il romanzo Il
sipario strappato (2005). Kundera è anche saggista (L'arte del romanzo, 1960; I
testamenti traditi, 1993) e drammaturgo (Possessori delle chiavi, 1962; Jacques e il suo
padrone, 1970).
Tra i protagonisti della primavera di Praga, spicca in primo piano Ludvík Vaculík
(nato nel 1926), che nel romanzo Le cavie (1977) ha sostenuto il nesso indissolubile tra
socialismo e umanitarismo.
Il massimo scrittore croato del Novecento è stato Miroslav Krleza (1893-1981), autore,
tra le altre opere, di Il dio croato Marte (1922), aspra condanna della guerra in chiave
espressionistica. È precocemente scomparso Danilo Kis (1935-89), astro nascente della
letteratura serbo-croata, autore di Giardino, cenere (1986), ispirato alla figura del padre
ebreo, morto ad Auschwitz. Nato a Mostar (Bosnia-Erzegovina) nel 1932, Predrag
Matvejevic è noto soprattutto per il Breviario del Mediterraneo (1988).
Scrittori di altri paesi europei
In Svezia. Nella letteratura svedese contemporanea, spicca la figura di Pet Olov
Enquist (nato nel 1934), autore di romanzi storici fondati su rigorose indagini, ma
anche su una libera interpretazione degli eventi (La partenza dei musicanti, 1978; Il
medico di corte ,2001). Uno scrittore di punta è Lars Gustafsson (nato nel 1936), del
quale è noto in Italia il romanzo Morte di un apicultore, analisi del potere devastante
della malattia, conclusa con un commosso appello ai «proletari del dolore».
In Belgio e in Olanda. Il massimo scrittore in lingua neerlandese è il belga Hugo
Claus (nato nel 1929), autore del romanzo Il dolore del Belgio (1983), un possente
affresco delle Fiandre occupate dai nazisti. Un'opera chiave per la comprensione della
letteratura olandese contemporanea è L'attentato (1987) di Harry Mulisch (nato nel
1927), storia di un uomo privato della famiglia e della casa a seguito di una rappresaglia
nazista.
In Ungheria. Nella narrativa ungherese, i nomi di maggiore rilievo sono oggi quelli di
György Konrád (nato nel 1933) e di Imre Kertész (nato nel 1929, premio Nobel nel
2002). Di famiglia ebrea, allievo di G. Lukács, Konrád ha preso parte alla rivoluzione
del 1956, ma si è rifiutato di lasciare il suo paese dopo la sconfitta dell'insurrezione,
rimanendo fedele agli ideali di un socialismo dal volto umano. Ha esordito con Il
visitatore (1969), seguito da Il costruttore della città (1973): si tratta di romanzi
caratterizzati da scene oniriche, di forte suggestione. Il terzo romanzo è Il complice
(1989), storia di un intellettuale di sinistra, finito in prigione nel 1956 e rifugiatosi
infine in un istituto per malattie mentali, dove ricorda il suo passato di comunista
eterodosso. Di recente, Konrád ha pubblicato Fortuna (2003), storia dello sterminio
degli ebrei ungheresi, operato dai «crocefrecciati», gli sgherri magiari del nazismo. Di
origine ebrea è anche Kertész, che, nel 1944, fu deportato ad Auschwitz e a
Buchenwald. Le memorie della sua drammatica esperienza sono raccolte nel suo primo
libro, Essere senza destino (1975), storia di un bambino che osserva con stupore e poi
con orrore quello che accade nel Lager. Essere senza destino forma una trilogia con i
successivi romanzi: Fiasco (1988) e Kaddish per un bambino mai nato (1990). Il primo
164
romanzo scritto da Kertész dopo il premio Nobel è Liquidazione (2004), storia del
suicidio di un uomo di quarant'anni dopo Auschwitz.
Un altro nome di punta è quello di Péter Esterházy (nato nel 1950), matematico e
narratore, che si avvale della sua esperienza artistica multimediale (teatro, cinema) e
della sua vasta cultura per compiere beffarde rivisitazioni della vita della società
ungherese, con uno stile grottesco e umoristico di singolare efficacia. Tra i suoi libri:
Non fare il pirata nelle acque del papa (1977), Romanzo di produzione (1979), I verbi
ausiliari del cuore (1985), I diciassette cigni (1987). Di recente, Esterházy ha
pubblicato Harmonia caelestis (2003), storia della sua famiglia attraverso i secoli,
coincidente con la storia stessa della Mitteleuropa.
In Romania, di grande prestigio ha goduto lo scrittore autodidatta Marin Preda (19221980), dai cui romanzi, d'impronta faulkneriana, emerge un sentimento tragico della vita
(fu tra i primi a smascherare le nefandezze di Ceausescu). Un destino di esule è stato
quello di Paul Goma (nato nel 1935), che, nel suo libro più famoso e terribile, La
Passione secondo Pitesti (1978-7199), ha evocato l'esperienza drammatica dell'universo
carcerario romeno. Il più grande scrittore romeno è oggi Norman Manea (nato nel
1936), autore di un romanzo forte e allucinato sulla Romania di Ceausescu, La busta
nera (1985), cui sono seguiti Ottobre ore otto (1989), forse il suo capolavoro, Clown. Il
dittatore e l'artista (1992), contro l'antisemitismo, e Il ritorno dell'huligano (2003),
autobiografia dello scrittore, esule in America dal 1988.
In Albania. Il maggiore narratore albanese è Ismail Kadaré (nato nel 1936): tra i suoi
romanzi, spicca Il generale dell'armata sepolta (1963), dove l'Albania appare come il
paese delle vicende ancestrali e dei misteri impenetrabili.
In Grecia. Il narratore greco di maggiore respiro del Novecento è Nikos Kazantzàkis
(1883-1957), autore del famoso romanzo Zorba il greco (1946). Grande successo ha
ottenuto Vailis Vasilikòs (nato nel 1934), autore di Z., l'orgia del potere (1966).
In Portogallo. Un maestro della narrativa portoghese e uno degli autori lusitani più
tradotti all'estero è José Saramago (nato nel 1922, premio Nobel nel 1998). Figlio di
braccianti, autodidatta, si è dedicato nell'adolescenza a sterminate letture nelle
biblioteche pubbliche, svolgendo nel contempo i mestieri più disparati. Emarginato dal
salazarismo, nel 1975 (dopo la "rivoluzione dei garofani") è stato condirettore del
«Diário de Notìcias», ma, per la sua militanza nel partito comunista, è stato licenziato.
Si è poi dedicato esclusivamente alla letteratura. Ha esordito nel 1947 con un romanzo
di tendenza neorealista, Terra di peccato, che considera ora un "peccato di gioventù".
Dopo una esperienza poetica, ha pubblicato il Manuale di pittura e calligrafia (1981),
storia di un mediocre pittore che decide di scrivere per esprimere in bella calligrafia ciò
che sfugge alla sua tavolozza. La piena misura del suo talento narrativo si rivela in
Alzato da terra (1980), un romanzo di respiro epico sulla povertà e la ribellione dei
contadini dell'Alentejo, la cui novità consiste nell'introduzione del discorso orale, che
infrange i codici della scrittura tradizionale e supera definitivamente il neorealismo. Ma
il libro che ha dato fama mondiale a Saramago è Memoriale del convento (1982): alla
vicenda della costruzione del mastodontico convento di Mafra (cupo simbolo del
potere), si intreccia nel romanzo la vicenda parallela del gesuita illuminista Bartolomeu
de Gusmão, inventore del primo aerostato (1709) e perseguitato dall'Inquisizione, che
considera quell'esperimento come una blasfema imitazione dell'ascensione di Cristo; per
lo scenario dei macabri rituali degli "autos-da-fé" e per le tinte livide e fosche, che
ricordano la pittura di Goya, il romanzo è stilisticamente un superbo esempio di
barocchismo. Il libro successivo, L'anno della morte di Ricardo Reis (1985), segna il
passaggio dal barocco al neoclassicismo: il suo protagonista è infatti un medico-poeta di
ispirazione oraziana, Ricardo Reis (uno degli eteronimi creati dal grande poeta
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portoghese Fernando Pessoa), che torna in Portogallo dall'esilio in Brasile e, da
personaggio di Pessoa, diventa personaggio storico, non senza tuttavia ricevere le visite
del fantasma del suo creatore: ambientato in una Lisbona malinconica e piovosa, ma
bellissima, negli anni Trenta (che videro il trionfo dei fascismi in Europa), il romanzo
mescola splendidamente letteratura e storia, tradizione e modernità. Seguono i romanzi:
La zattera di pietra (1986), un romanzo allegorico, dove si immagina che la penisola
iberica, trasformata in un'enorme zattera, si stacchi dall'Europa per navigare verso
l'America Latina; Storia dell'assedio di Lisbona (1989), dove la conquista di Lisbona
contro i Mori, nel 1147, è evocata nell'ottica moderna dell'ineluttabile ribellione dei
popoli sottomessi; Il Vangelo secondo Gesù (1991), che viene accusato di vilipendio
della religione. Dopo una pausa, l'attività narrativa riprende con la trilogia di Cecità
(1995), un romanzo immerso in un'atmosfera dolorosa e irreale, Tutti i nomi (1998),
storia di un archivista che vuole trasformare in persone i nomi da catalogare, e La
caverna (2000), reinterpretazione in chiave di antiglobalizzazione del celebre mito
platonico. Le opere più recenti sono: L'uomo duplicato (2003), conturbante vicenda, in
tempi di clonazione, di un uomo che incontra un sosia del tutto simile a se stesso, e il
Saggio sulla lucidità (2004), dove si immagina che, in una capitale innominata, il
settanta per cento degli elettori voti scheda bianca: un severo ammonimento sulla
degenerazione della politica.
L'altro grande protagonista della narrativa portoghese è António Lobo Antunes (nato
nel 1942), psichiatra di professione, che ha esordito con Memoria da elefante (1979), ha
descritto l'inferno dei manicomi (Conoscenza dell'inferno, 1980), e, già famoso in molti
paesi, è stato tradotto solo nel 1996 in Italia, con il romanzo In culo al mondo, che narra
la "sporca guerra" portoghese in Angola. Da ricordare è anche José Cardoso Pires
(nato nel 1925), che si ricollega alla tradizione satirica della letteratura lusitana del
Settecento: il suo romanzo La ballata della spiaggia dei cani (1982), vicenda
dell'assassinio di un ufficiale durante la dittatura di Salazar, è un’acuta indagine sugli
anni più oscuri della storia portoghese del Novecento.
Nella letteratura brasiliana in lingua portoghese, un narratore che si è imposto a livello
internazionale è Ignácio de Loyola Brandão (nato nel 1936), autore di Zero (1974),
storia amara e grottesca delle violenze e delle torture inflitte al popolo dalla dittatura
militare brasiliana. Tra le scrittrici, si continuano a leggere e a tradurre in tutto il mondo
le opere di Clarice Lispector (1925-1977), che è pervenuta alla creazione di un nuovo
linguaggio, di fondamentale rilievo nella storia della letteratura brasiliana
contemporanea. Uno scrittore di best-seller è Paulo Coehlo (nato nel 1947), che, grazie
ai temi della New Age (come l'eterna lotta tra il bene e il male) ha venduto milioni di
copie dei suoi libri in tutto il mondo.
Scrittori spagnoli e ispano-americani
In Spagna. Il più rilevante sforzo di rinnovamento della narrativa contemporanea in
castigliano si deve a Juan Benet Goitia (nato nel 1927), di professione ingegnere (non
a caso, chiamato il «Gadda castigliano»), autore di Tornerai a Regione (1967), che ha
come sfondo un paese immaginario, Región, perfettamente descritto nella sua
topografia e, nel contempo, allegoria della Spagna moderna. Nella penombra (1989),
uno dei romanzi più recenti di Benet Goitia, è una favola post-moderna immersa in un
clima rarefatto di "realismo magico", che rinvia a Conrad e a Joyce. Il maggiore
esponente del realismo critico è Juan Goytisolo (nato nel 1931), che, nella trilogia Il
domani effimero (1957-58), ha delineato il passaggio dalla Spagna franchista, fanatica e
bigotta, alla realtà di un popolo misero e arretrato, e, nelle opere successive, ha
166
manifestato simpatia per i popoli islamici, da lui considerati più spontanei e autentici
rispetto al mondo occidentale. Con Goytisolo sono da ricordare Rafael Sánchez
Ferlosio (nato nel 1927), uno dei padri della letteratura spagnola contemporanea e
coscienza critica della Spagna democratica, e Jésus Fernández Santos (nato nel 1926),
il cui realismo intimista ha trovato un nuovo canale nella narrativa storica (El Griego,
1985). Popolarissimo come scrittore di gialli è Manuel Vazquez Montalban (19392003), autore di Assassinio nel comitato centrale (1981), uno dei romanzi più riusciti di
questo scorcio di secolo, e di Il centravanti fu assassinato all'imbrunire (1989),
ambientato nel mondo del calcio di Barcellona e metafora del destino della metropoli
catalana. Protagonista di questi e di altri numerosi romanzi è il detective galiziano Pepe
Carvalho, felicissima invenzione del romanziere catalano. L'ultima avventura del
popolare investigatore è apparsa postuma con il titolo Millennio (2004). Astro nascente
della narrativa spagnola è Javier Marías (nato nel 1951), che si è aperto all'influsso
della narrativa anglosassone, da H. James a Conrad. Alla base della narrativa di Marías
è il tema della congettura, che non scarta nessuna ipotesi, essendo la vita il risultato non
solo di quello che si è realizzato, ma anche di tutto quello che è solo desiderio,
aspirazione, vana attesa. Il suo El siglo (1983) è una storia di nobili passioni e di
ignominiose grettezze, percorsa da un austero senso di morte. Un affascinante romanzo
è L'uomo sentimentale (1986), «una storia d'amore in cui l'amore non si vede né si vive,
ma si annuncia e si ricorda». In Tutte le anime (1989), lo scrittore ha rievocato la sua
esperienza di docente a Oxford (un tema ripreso in Nera schiena del tempo, 2000). Un
capolavoro è forse Domani nella battaglia pensa a me (1994), in cui Marías, sulle orme
di Henry James, racconta insieme il reale e il possibile (altrettanto avviene in un altro
celebre romanzo, Un cuore così bianco). Un ampio e ambizioso romanzo è Il tuo volto
domani, del quale è uscita la prima parte con il titolo Febbre e lancia (2002): vi si
rivive il clima della guerra civile spagnola e vi si rievoca un atroce assassinio politico.
Tra gli scrittori più giovani, spicca l'andaluso Antonio Muñoz Molina (nato nel 1956),
divenuto membro dell'Accademia Reale di Spagna. Ha esordito con Beatus ille (1986),
un fascinoso romanzo ambientato al tempo della dittatura franchista, e ha raggiunto la
fama con Beltenebros (1989). Dopo Il cavaliere polacco (1991), ha pubblicato nel 1998
due magistrali romanzi tra franchismo e post-franchismo, tra Madrid e Andalusia: Il
custode segreto e Plenilunio.
In America Latina. Accanto a Borges (vedi Parte XVII), e a García Márquez (vedi
11.4), l'altro massimo narratore della letteratura ispano-americana è il peruviano Mario
Vargas Llosa (nato nel 1936), autore di famosi romanzi: La città e i cani (1963),
ambientato in un collegio militare, dove si consumano violenze e ricatti (il romanzo è
stato bruciato nelle piazze per ordine dei militari); La casa verde (1966), un romanzo
imperniato sulle vicende di una casa di prostituzione; Conversazione nella cattedrale
(1969), potente affresco della corruzione della vita politica peruviana; Pantaleón e le
visitatrici (1973), il cui umorismo salace si riscatta nella mordente satira della
burocrazia; La zia Julia e lo scribacchino (1977), dove l'autore ripercorre le tappe della
propria educazione sentimentale; La guerra della fine del mondo (1981), ambientato in
Brasile al tempo del passaggio dalla monarchia alla repubblica; Storia di Mayta (1984),
vicenda di un rivoluzionario fallito e metafora del mito della lotta armata, rifiutata
dall'autore; Il narratore ambulante (1987), suggestivo confronto tra la civiltà europea
più avanzata e la cultura primordiale dell'area del sottosviluppo. Nel 1994, Vargas Llosa
ha assunto la cittadinanza spagnola. Tra le sue opere più recenti: I quaderni di don
Rigoberto (1997); La festa del caprone (1000); Il paradiso è altrove (2003).
La ricerca dell'identità nazionale è il motivo ricorrente e quasi ossessivo del messicano
Carlos Fuentes (nato nel 1928), autore di L'ombelico della luna (1958), Aura (1962),
167
La morte di Artemio Cruz (1962), una trilogia sulla società messicana
postrivoluzionaria. Sono seguiti i romanzi Terra nostra (1975), Una famiglia lontana
(1980), Il gringo vecchio (1986), Cristoforo e il suo uovo (1987), Diana o la cacciatrice
solitaria (1994). Dopo il saggio Tutti i soli del Messico (1999), un inno alla civiltà
multietnica, Fuentes ha pubblicato Gli anni di Laura Diaz (2001), una grande saga
familiare sullo sfondo di continue rivoluzioni, e L'istinto di Inez (2002), che conferma la
sua lunga fedeltà ad un realismo visionario.
Un grande scrittore cubano è Guillermo Cabrera Infante (1929-2005), che prese parte
alla rivoluzione castrista contro il regime di Batista, ma prese posizione contro la
censura imposta da Castro e fu costretto a rifugiarsi a Londra, dove prese la cittadinanza
inglese. Il nome di Cabrera Infante è legato a un grande romanzo, Tre tristi tigri (1967):
si tratta di un'“opera aperta”, strutturata con la tecnica di un montaggio cinematografico,
che evoca la vita notturna dell'Avana precastrista, in un intreccio di microstorie, che
costituiscono nel loro insieme uno splendido pastiche linguistico (l'episodio
dell'assassinio di Trotzkij, per esempio, è narrato in sette versioni diverse).
In Colombia, si è imposto come grande narratore Àlvaro Mutis (nato nel 1923), che
racconta storie picaresche di viaggiatori nomadi, nel cui vagabondare si rispecchia il
metaforico viaggio alla ricerca di se stessi (La nave dell'Ammiraglio, 1986; L'ultimo
scalo del Tramp Steamer,1990; Abdúl Bashur sognatore di navi, 1991).
Famoso a livello internazionale è l’argentino Manuel Puig (1932-1990), autore di Il
bacio della donna ragno (1976), che ha come protagonista un carcerato omosessuale, e
di Sangue di amor corrisposto (1982), storia struggente dell'amore, più sognato che
vissuto, di due adolescenti sullo sfondo desolato della povertà e dell'emarginazione.
Un grande scrittore argentino è Julio Cortázar (1914-1984), detto il «Che Guevara
della letteratura». Già nella sua prima opera, I re (1949), ma soprattutto nei racconti di
Bestiario (1951), di Finale del gioco (1956) e di Le armi segrete (1959), appaiono
quelle atmosfere misteriose e allucinate con cui l'autore esprime lo smarrimento e
l'angoscia dell'uomo contemporaneo. Maestro della narrativa fantastica, Cortázar trovò
nel racconto la sua misura più autentica (da uno dei suoi racconti, La bava del diavolo,
M. Antonioni ha tratto ispirazione per il film Blow Up). Tra le sillogi di racconti
spiccano le Storie di Cronotopo e di Fama, 1963), in cui l'originalità
dell'immaginazione dell'autore raggiunge risultati straordinariamente felici. Non meno
famosi (ma più elaborati e talora macchinosi) sono i romanzi di Cortázar: Il viaggio
premio (1960), Rayuela (1963), Libro di Manuel (1977).
Un altro scrittore argentino, Osvando Soriano (1944-1997), ha affrontato
vigorosamente la tematica della violenza politica in Argentina, coniugando l'impegno
civile con un ironico umorismo (Quartieri d'inverno, 1981; La resa del leone, 1986;
Futbol. Storie di calcio, post., 1998).
Uruguayano è Eduardo Galeano (nato nel 1940), raffinato interprete delle mille voci
dell'America Latina. Scrittore dalla vena leggera e ironica, predilige la forma breve del
racconto. Tra le sue opere, disponibili in traduzione italiana, ricordiamo: Memoria del
fuoco (1982-86), La conquista che non scoprì l'America (1992), Parole in cammino
(1996), Splendori e miserie del gioco del calcio (1997), Giorni e notti d'amore e di
guerra (1998), A testa in giù (1999), Le labbra del tempo (2004).
Una personalità rilevante nella narrativa cilena è quella di José Donoso (1924-96), nella
cui produzione (da Incoronazione, 1957, a La disperazione, 1987) l'audace
sperimentazione linguistica diviene veicolo di un messaggio ideologico, incarnato in
personaggi patetici e grotteschi, sui quali grava un destino di disfacimento e di morte.
Molto noto in Italia è Antonio Skármeta (nato nel 1940), come autore di Il postino di
Neruda (1986), dal quale è stato tratto un film interpretato da M. Troisi. Tra le altre
168
opere: La sposa del poeta (1999), Il ballo della Vittoria (2005). Una scrittrice di
notevole successo è Isabel Allende (nata nel 1942), nipote del presidente cileno
Salvador Allende, che ha esordito con La casa degli spiriti (1982), saga della sua
famiglia, e ha poi pubblicato L'amore e l'ombra (1985), una storia d'amore sullo sfondo
cupo e drammatico della dittatura di Pinochet, Eva Luna (1988), un romanzo di
formazione, che si colloca nella tradizione picaresca e l'autobiografia Il mio paese
inventato (2003). Lo scrittore cileno oggi più noto è Luis Sepúlveda (nato nel 1949).
Imprigionato durante il regime di Pinochet, ha scelto l'esilio in Europa. Si è imposto con
Il vecchio che leggeva romanzi d'amore (1989), una sorta di Il vecchio e il mare
hemingwayano in versione amazzonica. Un romanzo ecologista è Il mondo alla fine del
mondo (1992). Una avventurosa vicenda di spionaggio è invece Un nome da torero
(1993). Un fortunatissimo libro per ragazzi è Storia di una gabbianella e del gatto che
le insegnò a volare (1996). Tra le opere più recenti: Incontro d'amore in un paese in
guerra (1997), Le rose di Atacama (2000), Il generale e il giudice (2003).
Bibliografia essenziale
Per le letterature europee e americane si rimanda alle opere generali segnalate in calce
alla Parte XIII, sezione quinta.
5.3 Il teatro
5.3.1 Il teatro europeo e americano
La produzione in lingua inglese. Vivacissimo e stimolante è il teatro inglese del
secondo Novecento, fin dal memorabile dramma dell'“arrabbiato” John Osborne
(1929-1994), Ricorda con rabbia (1956). Nella scia di Osborne si sono posti Arnold
Wesker (nato nel 1932), secondo il quale il mondo si riduce a una grande cucina
(Patatine di contorno, 1961), John Arden (nato nel 1930), autore di La danza del
sergente Musgrave (1959), opera violentemente anticonformista sul tema della guerra, e
soprattutto Harold Pinter (nato nel 1930). Influenzato più da Kafka che da Beckett,
Pinter ha rappresentato, nei suoi primi drammi, situazioni di persone chiuse in uno
spazio delimitato (generalmente una stanza) e minacciate da una imprecisata forza
esterna. Il suo primo capolavoro è Il guardiano (1959), i cui protagonisti, due fratelli e
un vagabondo, parlano un linguaggio stereotipato, banale, ma fortemente ambiguo. A
cominciare da Il ritorno a casa (1964), si accentua in Pinter la tendenza a rovesciare in
tragedia situazioni comiche o grottesche, facendo leva su un linguaggio sconnesso e
incoerente, ai limiti dell'acrobazia verbale: di qui la definizione di "teatro della
minaccia", coniato dalla critica per i drammi pinteriani. Una delle più grandi commedie
di Pinter è Terra di nessuno (imperniata sul conflitto psicologico tra un grande critico e
un poeta vagabondo. In questa opera, come in quella successiva, Tradimenti (1978),
Pinter si è scrollato di dosso l'accusa, spesso rivoltagli, di rimanere estraneo al dibattito
ideologico, coinvolgendo nelle situazioni rappresentate non più i poveri inetti o
emarginati dei suoi primi drammi, ma il mondo stesso della borghesia più elevata che
va a teatro. Più di recente, il drammaturgo è passato ad un teatro esplicitamente politico,
con frequenti riferimenti alla violenza poliziesca e al terrore degli stati autoritari (Il
bicchiere della staffa, 1985; Lingua montanara, 1988), e ha rappresentato il dramma
della disgregazione della famiglia (Chiaro di luna, 1993). Tra le opere più recenti:
169
Ceneri alle ceneri (1995), Anniversario (1999). Nel 2000 Pinter ha messo in scena una
trasposizione teatrale di Alla ricerca del tempo perduto di M. Proust.
Uno dei maggiori esponenti del teatro inglese è oggi Alan Bennett (nato nel 1934), il
cui dramma più celebre è La follia di Giorgio III (1992), una sorta di "tragedia buffa",
shakespeariana e insieme post-moderna, dove il tragico si mescola con il comico. È
inoltre da ricordare Tom Stoppard (nato nel 1937), autore di Rosenkratz e
Guildenstern sono morti (1966), brillante rivisitazione dell'Amleto shakespeariano. Tra i
registi teatrali spicca Peter Brook (nato nel 1925), che ha messo in scena, tra l'altro, un
Re Lear in chiave beckettiana (1962), un inquietante Marat-Sade (1965) e un
monumentale Mahabharata, il celebre poema indiano presentato in tre serate nel 1985.
Di recente, Brook ha messo in scena Tierno Bokar (2005), un dramma sull'intolleranza
nell'Africa islamica.
Lo scrittore nigeriano di lingua inglese Wole Soyinka (nato nel 1935, premio Nobel nel
1986, il primo africano ad ottenere tale premio) si è imposto come grande drammaturgo
(ma è anche poeta e narratore), in grado di esprimere nei modi della più raffinata
tradizione del teatro europeo (da Shakespeare al teatro dell'assurdo, da Euripide a
Brecht) miti e leggende della letteratura nigeriana. La più recente pièce teatrale di
Soyinka è King Baabu (2002), una protesta creativa contro il potere, la corruzione e la
disumanità delle dittature subentrate in Africa al regime post-coloniale.
Negli Stati Uniti, un grande drammaturgo, recentemente scomparso, è Arthur Miller
(vedi 12.1). Tra gli altri drammaturghi, sono da ricordare: Neil Simon (nato nel 1927),
il commediografo di maggior successo nella storia del teatro americano degli ultimi
anni: tra le sue opere, A piedi nudi nel parco (1962), La strana coppia (1965), Il
prigioniero della seconda strada (1971), Perduto a Yonkers (1991); Edward Albee
(nato nel 1928), autore di Chi ha paura di Virginia Woolf? (1962), che svela la violenza
nascosta, dietro le pieghe di un facile e superficiale ottimismo, nelle istituzioni e nei
miti della società statunitense; Sam Shepard (nato nel 1943), prolifico autore di una
quarantina di drammi, tra cui Il bambino sepolto (1979), cupa storia di un padre che
uccide un figlio, frutto di un incesto, e invecchia con gli altri due, disperati e
handicappati, e Vero West (1981), dove sono in scena due fratelli, l'uno sceneggiatore di
successo e l'altro sradicato, che alla fine si scambiano le parti; David Mamet (nato nel
1947), considerato l'odierno capofila del teatro americano, autore, tra gli altri drammi,
di American Buffalo (1975), storia di un piccolo furto che rompe la monotonia di una
vita banale e vuota, e Glengarry Glen Ross (1983), vicenda di cinque agenti immobiliari
che, oppressi dalla paura di essere licenziati, vendono ai loro malcapitati clienti terreni
paludosi e malsani in Florida, spacciandoli per paradisi terrestri.
Negli anni della contestazione giovanile, ha avuto grande sviluppo negli Stati Uniti il
teatro underground, di cui può considerarsi un precursore il Living Theatre, fondato nel
1947 da Julian Beck (1925-85) e da Judith Malina (nato nel 1926), che misero in
scena spettacoli fortemente trasgressivi.
In Francia. Seguace di un modo tradizionale di fare teatro è Jean Anouilh (19101987), le cui opere (tra cui Becket e il suo re, 1959) sono tuttavia sorrette da una tecnica
impeccabile e da un dialogo graffiante. Un commediografo di origine spagnola è
Fernando Arrabal (nato nel 1932), che è passato dal "teatro dell'assurdo", dove si
descrive un mondo rigidamente diviso in vittime e carnefici, a un "teatro panico",
caratterizzato da visioni oniriche, deliri erotici, scatenamenti blasfemi.
In Germania e nei paesi di lingua tedesca. Determinante è stato in Germania,
l'influsso esercitato dal Berliner Ensemble, la compagnia stabile berlinese fondata da
Brecht. Un grande drammaturgo è lo scrittore svizzero di lingua tedesca Friedrich
Dürrenmatt (1921-1990), impostosi con Romolo il Grande (1949), in cui,
170
rappresentando la vicenda dell'ultimo imperatore romano, annuncia già i suoi temi
maggiori: il potere come fonte di corruzione e l'assurdità dell'esistenza umana. L'opera
più famosa di Dürrenmatt è la commedia La visita della vecchia signora (1956),
violento attacco al culto del denaro e alle fragili basi di una comunità nominalmente
democratica. Le responsabilità morali dello scienziato sono enunciate in un'altra
commedia, I fisici (1962). Postumo è il dramma Mida o lo schermo nero (1991).
Dürrenmatt è anche autore di romanzi polizieschi, racconti, saggi.
Altri drammaturghi da ricordare sono: Rolf Hochhuth (nato nel 1931), del quale ha
destato scalpore il dramma Il vicario (1963), in cui si accusa il papa Pio XII di
corresponsabilità morale nel massacro degli ebrei da parte dei nazisti; Heinar
Kipphardt (1922-1982), i cui drammi hanno come tema centrale quello dei rapporti tra
giustizia e umanità (celebre è Sul caso di Robert Oppenheimer, 1964, rappresentazione
del processo intentato all'illustre fisico); lo svizzero di lingua tedesca Max Frisch
(1911-1991), del quale è famoso il dramma Andorra (1961), storia di un presunto ebreo
che non riesce ad accettare se stesso. Tra i drammaturghi del nostro tempo, spiccano:
Botho Strauss (nato nel 1944), definito il «Camus tedesco» perché il suo teatro ha
come tema privilegiato la frustrazione dell'uomo contemporaneo, isolato nella sua
nevrosi; e Heiner Müller (1929-1996), drammaturgo "scomodo", nemico del
"socialismo reale" a est e critico feroce della falsa "società del benessere" capitalista a
ovest, protagonista di un teatro militante (in continuazione di quello di Brecht) e
sperimentale (che riduce l'intreccio a semplice canovaccio): sua è la messa in scena nel
1989, di un Amleto, dove l'eroe shakespeariano diviene un intellettuale impotente e
cinico del nostro tempo.
In Russia e nell'area slava. Per circa quarant'anni, a partire dallo scoppio della seconda
guerra mondiale, i drammaturghi sovietici furono sottomessi alle imposizioni di una
burocrazia che fece del teatro un'arma di propaganda. Solo con il "disgelo" il teatro in
Russia ha ritrovato la sua autentica vocazione di fermento culturale. Tra i più noti
drammaturghi, sono da ricordare Edvard Radzinskij (nato nel 1936), che è passato
dalla commedia (Si gira, 1965) a favole tragicomiche ambientate nel mondo antico
(Conversazioni con Socrate, 1976, Il teatro al tempo di Nerone e Seneca, 1982);
Ljudmila Petrusevskaja (nata nel 1938), che, in Tre fanciulle in azzurro (1985), ha
rappresentato la vita quotidiana di tre giovani donne dominate da un mostruoso
egoismo; Aleksey Kazancev (nato nel 1945), che ha messo in scena conflitti tra le
generazioni (La vecchia casa, 1979).
In Polonia, l'opera di Gombrowicz è stata continuata da Slawomir Mrozek (nato nel
1930), che ha affrontato i grandi temi morali e filosofici del nostro tempo attraverso
vicende assurde, personaggi velleitari e frustrati, situazioni grottesche. Accanto a
Mrozek, i maggiori drammaturghi polacchi, famosi a livello internazionale, sono
Tadeusz Kantor (1915-1990) e Jerzy Marian Grotowski (1933-1999). Kantor, nel
suo Teatro della morte (1975), ha ricostruito i frammenti allucinati di una "ricerca del
tempo perduto", coincidente con la storia della Polonia. I capolavori di Kantor sono: La
classe morta (1975), dove si esprime la nostalgia degli anziani, che vorrebbero tornare
tra i banchi di scuola; Wielopole (1980), struggente ricordo del villaggio dell'infanzia;
Crepino gli artisti (1985), messinscena della "morte dell'arte". Grotowski è stato il
teorico di un "teatro povero" e il regista di memorabili rappresentazioni, dove si
mescolano misticismo ed erotismo, ebbrezza dionisiaca e disperazione religiosa.
Memorabile è Apocalypsis cum Figuris (1968), su testi della Bibbia, di Dostoevskij,
Eliot, S. Weil: è un "mistero laico", dove si rappresenta il ritorno sulla terra di Cristo,
che, accolto con indifferenza ed ostilità dagli uomini del Novecento, è costretto ad un
definitivo distacco.
171
Nel teatro ceco, spicca il nome di Vaclav Havel (nato nel 1936), presidente della
Repubblica Ceca dal 1989 al 2003, dopo essere stato protagonista della "rivoluzione di
velluto" di Praga dell'autunno 1989 (tra le sue opere: Festa agreste, 1963;
Interrogatorio a distanza, 1983). Erede di Havel è Karel Steigerwald, direttore di
"Alla Ringhiera" (il più famoso teatro praghese), considerato uno dei maggiori autori
del teatro ceco contemporaneo.
5.2.2 Il teatro italiano
Nel teatro italiano del secondo Novecento, mentre si conclude la grande stagione di un
geniale regista come Luchino Visconti (1906-1976), sono i teatri pubblici (come il
Piccolo di Milano, lo Stabile di Genova, lo Stabile di Torino, ecc.) a mettere in scena gli
spettacoli di maggiore rilievo. Il 14 marzo 1947 si apre il Piccolo Teatro della Città di
Milano, fondato da Giorgio Strelher (1921-1997) insieme a Paolo Grassi (19191981): il primo spettacolo è L'albergo dei poveri di M. Gorkij. Nel periodo tra il 1955 e
il 1962, dall'Opera da tre soldi alla Vita di Galileo, Strehler assegna al teatro di Brecht
una centralità assoluta sul palcoscenico del Piccolo; gli altri grandi autori, rappresentati
negli anni Settanta, sono Goldoni, Cechov e lo Shakespeare del Re Lear. Luigi
Squarzina (nato nel 1922) si mantiene fedele allo spettacolo come tradizione,
privilegiando il tema (già caro a Visconti) della famiglia borghese in crisi: tra le sue più
felici rappresentazioni sono da ricordare Tre quarti di luna (1952) e Il diavolo e il buon
Dio di Sartre (1962). Negli anni Sessanta, mentre il più grande autore italiano dopo
Pirandello, Eduardo De Filippo (vedi Parte XVII), rappresenta Il sindaco del rione
Sanità (1960), si intensificano le sperimentazioni teatrali: Vittorio Gassman (19222000) crea a Roma il Teatro popolare italiano e mette in scena un classico come
l'Adelchi di Manzoni e una novità contemporanea come Un marziano a Roma di Ennio
Flaiano; sorgono intanto nuove compagnie private, come la Morelli-Stoppa, i Giovani
(Giorgio De Lullo, Rossella Falk, Romolo Valli); il regista Aldo Trionfo (1921-1989)
mette in scena Tamburi nella notte di Brecht; Pier Paolo Pasolini dà inizio al suo teatro;
Luca Ronconi (nato nel 1933) mette in scena in piazza, a Milano, il celebre Orlando
Furioso (1968), con la collaborazione di Edoardo Sanguineti; il Living Theatre è attivo
in Italia con frequenti tournées; e giunge in Italia anche l'Open Theatre diretto da
Joseph Chaikin (1935-2003), un attore di origine russa, staccatosi dal Living Theatre.
Una esperienza molto interessante è quella del "teatro povero" di Eugenio Barba (nato
nel 1936), che, recatosi in Polonia, conobbe J. Grotowski, di cui divenne assistente, e
che nel 1964 ha fondato a Oslo l'Odin Teatret, poi trasferito in Danimarca: la novità
dell'esperimento teatrale di Barba consiste nello stimolare al massimo la partecipazione
emotiva del pubblico. Nel 1976 Barba ha lanciato il manifesto del Terzo Teatro
(metafora drammaturgica del Terzo Mondo), che vuole sostituire al teatro consumistico
(un teatro da vendere agli spettatori acquirenti) il libero confronto tra autentiche
esperienze teatrali.
Non solo drammaturgo, ma anche regista teatrale, narratore, attore, e soprattutto grande
dissacratore e grande affabulatore è Carmelo Bene (1937-2002). Dopo l'esordio come
attore nel Caligola di Camus (1959), Bene ha intrapreso la sua attività di regista con
Spettacolo Majakovskij (1960), che rielaborerà nel 1968 e che trasformerà infine in
"concerto per voce e percussione". I suoi primi spettacoli teatrali sono rivisitazioni in
chiave provocatoria di temi e personaggi celebri della letteratura e del dramma, da
Amleto (1961) a Pinocchio (1961) e a Salomè (1964). Il suo rifiuto di un teatro inteso
come pura mimesi e la sua tendenza a ristabilire un rapporto emotivo e creativo con i
capolavori del passato hanno il banco di prova nella messinscena dei testi
172
shakespeariani, ridotti a frammenti e liberamente ristrutturati e inseriti in un contesto
originale: non più, dunque, i "testi si Shakespeare", ma "di Bene da Shakespeare".
Come scrittore, Bene ha esordito con il romanzo Nostra Signora dei Turchi (1965), da
lui stesso portato sulle scene (1966) e ridotto in film (1968): ma ciascuna delle tre
versioni (letteraria, teatrale e cinematografica) ha, secondo Bene, una propria
autonomia, fondata sulla specificità dei rispettivi linguaggi. Come attore, memore della
grande lezione di Petrolini, Bene mira a un virtuosismo vocale capace di creare vere e
proprie polifonie: di qui la suggestione di alcune sue letture poetiche (Dante, Leopardi)
e di qui l'idea dello spettacolo come "concerto" giocato su contrappunto di voce e
musica, come nel Manfred (1980) di Byron-Schumann e nell'Adelchi di Manzoni.
Ci soffermiamo, nella parte antologica, su due autori teatrali del nostro tempo:
Giovanni Testori (vedi 12.2) e Dario Fo (vedi 12.3).
Bibliografia essenziale
Per il teatro europeo e americano si rimanda alle opere generali segnalate in calce alla Parte
XIII, sezione quinta.
Sul teatro italiano: F. Angelini, Il teatro del Novecento da Pirandello a Fo, Laterza, RomaBari 1976; G. Antonucci, Storia del teatro italiano del Novecento, Studium, Roma 1986; G.
Livio, La scena italiana. Materiali per una storia dello spettacolo dell'Otto e Novecento,
Mursia, Milano 1989; P. Puppa, Teatro e spettacolo nel secondo Novecento, Laterza, RomaBari 1990.
173
LA POESIA
SEZIONE SESTA
PIER PAOLO PASOLINI
6.1 Pasolini, intellettuale "eretico" e poeta della contraddizione
Un poeta tra profezia e nostalgia. Molto vivo è tuttora, ad un trentennio dal suo
assassinio, il dibattito su Pier Paolo Pasolini: un dibattito centrato ancora su un quesito
posto nel 1954 da Gianfranco Contini, che si chiedeva se il posto del poeta friulano era
«di profeta o di ritardatario». Manca una risposta persuasiva a tale interrogativo;
possiamo solo dire che Pasolini fu, nel contempo, un profeta del futuro e un nostalgico
del passato. Una formula frequentemente usata per definire Pasolini è quella di poeta
civile: ma lo scrittore stesso aveva respinto tale etichetta, quando, nel corso di
un'intervista, aveva dichiarato: «Non credo che la mia poesia si possa chiamare “civile”.
Non lo è per definizione in quanto è poesia di opposizione, continua, quasi aprioristica.
Mentre la poesia civile, come si è intesa e fatta finora, è sempre stata poesia
consenziente alle istituzioni». Che Pasolini si sia continuamente scontrato con le
istituzioni, non c'è alcun dubbio: bastano a dimostrarlo la trentina di processi che
collezionò nel corso della sua vita (una volta, fu persino accusato di rapina a mano
armata). Odiato dai benpensanti borghesi a causa della sua dichiarata omosessualità,
Pasolini dava scandalo e cercava lo scandalo, in coerenza con la sua vocazione alla
trasgressione; ma i mass-media, da lui detestati, sfrutteranno largamente lo «scandalo
Pasolini».
In realtà, Pasolini non può essere definito neppure (come egli avrebbe voluto) poeta di
opposizione: troppo laceranti sono le sue contraddizioni, che riflettono anche le
contraddizioni del suo tempo. La sua produzione si regge su una serie di inconciliabili
antinomie: tra la “passione” e l’“ideologia”, tra la natura e la storia, tra l'innocenza e il
vizio, tra cattolicesimo e marxismo. Un autentico scrittore d'opposizione, Franco
Fortini, notò la compresenza, in Pasolini, di «razionalità e irrazionalità, progresso e
regresso, sentimento e rivoluzione». Il poeta stesso, in Frammento alla morte, ammette:
«Sono stato razionale e sono stato / irrazionale: fino in fondo». Persuasiva è la
definizione di intellettuale «impolitico», proposta di recente, per Pasolini, da Alberto
Asor Rosa: una categoria, quella di impolitico, che implica un rifiuto drastico e
doloroso dello stato di cose esistente e che produce, nel poeta delle Ceneri di Gramsci,
una brusca separazione tra la componente "reazionaria" e nostalgica del suo pensiero e
l'adesione razionale alla linea politica progressista. Come leggiamo nelle Ceneri, il vero
"scandalo" di Pasolini è stato infatti quello della perenne contraddizione tra un'ideologia
politica, volta al futuro, e una concezione estetica radicata nel passato. Ma forse la
contraddizione più grande, in Pasolini, è stata quella tra la parola e il corpo: grande
artista della corporeità, il poeta buttò il proprio corpo nella battaglia delle idee e mirò
ambiziosamente a fare delle proprie parole e del proprio corpo un insieme inscindibile,
contro le false parole e i falsi usi del corpo da parte dei mass-media. In breve, Pasolini
non è stato grande poeta (come molti pensano) nonostante le proprie nevrosi, ma grazie
alle proprie nevrosi: è l'unico poeta del Novecento italiano che ha imposto la corporeità
come nuova forma del rappresentare e del conoscere.
174
Le ceneri di Pasolini. Tale complessa problematica è stata ignorata dall'industria
culturale, che ha appiattito riduttivamente la poesia pasoliniana sul piano della politica:
le spoglie di Pasolini sono state contese tra destra e sinistra e si è verificato, in tempi
recentissimi, il tentativo di annettere Pasolini al pensiero fascista. Si tratta di
strumentalizzazioni che disconoscono una verità elementare: la figura del poeta prevale,
in Pasolini, sulla figura dell'intellettuale (che fu un "eretico" rispetto a tutte le fedi, dal
cattolicesimo al marxismo). Pasolini è poeta non solo quando scrive poesie, ma anche
quando scrive romanzi o saggi, scatena polemiche (come quelle, celebri, dei suoi
articoli sul «Corriere della Sera») e, soprattutto, quando gira i suoi film più belli, come
lo stupendo Accattone.
6.2 Una vita, tra "passione" e "ideologia"
La vita. Nato a Bologna il 5 marzo 1922, Pier Paolo Pasolini era figlio di Carlo Alberto
Pasolini (di antica famiglia ravennate, dedicatosi alla carriera militare) e di Susanna
Colussi, maestra elementare di origine contadina (era nata a Casarsa, nel Friuli, dove
Pier Paolo trascorrerà le vacanze estive presso i nonni). A Bologna Pasolini frequenta il
liceo, poi l'università, appassionandosi alle lezioni del grande critico d'arte Roberto
Longhi e coltivando l'interesse per la poesia: con gli amici Roberto Roversi, Francesco
Leonetti e Luciano Serra fonda la rivista «Eredi», che dichiarava fin dal titolo il
proposito di raccogliere l'eredità degli amati Ungaretti, Montale e Sereni. Nel 1941 il
padre fu richiamato in guerra e fu fatto prigioniero dagli inglesi in Africa Orientale. Nel
settembre 1943, dopo l'armistizio, Pasolini, che era militare a Pisa, si rifiutò di
consegnare le armi ai tedeschi e fuggì a Casarsa, dove organizzò una scuola privata per i
figli dei contadini e fondò un'accademia di lingua friulana. Nel 1945 giunse a Casarsa la
notizia della morte del fratello di Pasolini, Guido, partigiano della brigata Osoppo,
ucciso in uno scontro con i partigiani garibaldini italiani filo-jugoslavi. Laureatosi, nello
stesso anno, a Bologna con una tesi sulla poesia pascoliana, Pasolini tornò in Friuli e
militò dal 1947 al 1949 nelle file del Partito comunista; insegnava intanto in una scuola
media. Nel 1949 scoppiò il primo di una lunga serie di scandali: incriminato, in seguito
a una denuncia anonima, per corruzione di minorenne e atti osceni in luogo pubblico, fu
processato (sarà assolto, in appello, solo nel 1952). Drammatiche furono le conseguenze
dello scandalo: sospeso dall'insegnamento, espulso dal Pci «per indegnità morale e
politica», dovette fuggire con la madre a Roma, dove visse inizialmente in condizioni di
estrema povertà. Decisivo fu per il poeta l'incontro con il giovane romano Sergio Citti,
che lo introdusse alla conoscenza del linguaggio parlato nelle borgate della capitale.
Ottenuto un incarico di insegnamento in una scuola media parificata, Pasolini entrò in
contatto con poeti e scrittori residenti a Roma (C.E. Gadda, S. Penna, A. Bertolucci, G.
Caproni, G. Bassani) e poi con Alberto Moravia ed Elsa Morante (con Moravia, dirigerà
la rivista «Nuovi Argomenti»). Affermatosi con Ragazzi di vita (1955), dovette subire
un nuovo processo in seguito all'accusa di pornografia, ma fu assolto (testimoniò tra gli
altri, in favore del romanzo, G. Ungaretti). Nel 1955 fondò con Roversi e Leonetti la
rivista «Officina». La sua attività cinematografica, molto intensa negli anni Sessanta,
diede a Pasolini notorietà internazionale: nei suoi film, il regista fece recitare, tra gli
altri, l'attrice Laura Betti, il ragazzo di borgata Ninetto Davoli, la grande cantante lirica
Maria Callas e il grande attore comico Totò. Da un viaggio in India con Moravia ed
Elsa Morante trasse un resoconto da titolo L'odore dell'India (1962). Grande clamore
sollevarono alcuni articoli pubblicati dallo scrittore sul Corriere della Sera: personalità
intrigante e inquietante, temuta e detestata per il suo ostinato anticonformismo, Pasolini
continuò ad essere una presenza scomoda, come dimostra il sequestro dell'ultimo suo
film, Salò, nel 1975. In quell'anno, nella notte tra l'1 e il 2 novembre, lo scrittore fu
175
assassinato all'Idroscalo di Ostia, dove si era recato con un "ragazzo di vita". Le
circostanze del delitto non sono state mai chiarite.
L'ideologia. Il giovane Pasolini assorbe la religiosità arcaica e contadina del materno
Friuli, esprimendola nei modi di un cattolicesimo "eretico", che trae dalla figura di
Cristo emozioni estetiche e sensuali: un erotismo sacrilego, mescolato a un angoscioso
senso del peccato. Anche l'adesione al comunismo si configura in termini "eretici": pur
facendo propria la carica rivoluzionaria del pensiero marxista, Pasolini lo interpreta in
senso "religioso" e "populista" (nel senso che lo scrittore ama il popolo di un amore
preesistente al marxismo stesso, espressione di elementi sentimentali e privati). Un'altra
fonte dell'ideologia pasolinana è il "continismo", cioè la concezione della lingua e dello
stile che lo scrittore ha assorbito da Gianfranco Contini, il primo scopritore della sua
poesia in dialetto friulano. Dal grande filologo Pasolini ricava sia il modello
plurilinguistico (cioè il pastiche di linguaggi diversi, magistralmente usato da Carlo
Emilio Gadda) sia il termine di "sperimentalismo", l'orientamento critico sostenuto dalla
rivista pasoliniana «Officina». Dalla combinazione di uno sviscerato amore per la vita
del popolo e di un freddo atteggiamento filologico nasce il primo romanzo di Pasolini,
Ragazzi di vita. Dall'incontro con il pensiero di Gramsci (e dalla concezione gramsciana
di una letteratura vitalmente collegata con i valori nazional-popolari) scaturisce il suo
capolavoro poetico, Le ceneri di Gramsci.
Convinto di poter svolgere un discorso nuovo pur adottando modi stilistici tradizionali,
Pasolini rifiuta drasticamente il metodo dell'avanguardia letteraria e si scontra con
Sanguineti. Ma lo scontro più clamoroso riguarda il Sessantotto: all'indomani degli
scontri tra gli studenti e la polizia a Valle Giulia, presso la Facoltà di Architettura di
Roma, Pasolini scrive la poesia Il PCI ai giovani!!, schierandosi a favore dei poliziotti,
figli di poveri, contro gli studenti, figli di borghesi (Quando ieri avete fatto a botte / coi
poliziotti, / io simpatizzavo coi poliziotti! / Perché i poliziotti sono figli di poveri. /
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. {...}/ Hanno vent'anni, la vostra
età, cari e care. {...} A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento / di lotta di
classe; e voi, amici (benché dalla parte/ della ragione)/ eravate i ricchi, mentre i
poliziotti (che erano dalla parte/ del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,/ la
vostra!). Comprensibile è la difesa pasoliniana dei poliziotti strumentalizzati dal potere
e ridotti a oggetto di odio; lo scrittore tuttavia riduce la lotta di classe a lotta dei poveri
contro i ricchi, dimenticando che i "poveri" si schierano spesso a fianco dei loro
oppressori, e misconosce quel desiderio di radicale rinnovamento della società che,
provenendo dalle università nel '68, si estenderà, l'anno successivo, anche alle
fabbriche. Ma sarà proprio il Pasolini detrattore della contestazione studentesca del '68
ad anticipare, con gli Scritti corsari e le Lettere luterane, il dissenso degli intellettuali
degli ultimi anni Settanta e a ottenere la fama e il successo anche tra i giovani.
6.3 La poesia
La meglio gioventù. L'esordio poetico di Pasolini è dialettale: del 1942 sono le Poesie a
Casarsa, poi ripubblicate, insieme con altre poesie in dialetto friulano, nella raccolta La
meglio gioventù (1954). La scelta del mondo friulano nasce in Pasolini dalla nostalgia
per una civiltà incorrotta e patriarcale, cui il poeta aderisce visceralmente, tentando di
recuperare la perduta innocenza della parola nella freschezza del dialetto, lingua
materna e lingua per eccellenza poetica. Alla scelta del dialetto si accompagna
l'adozione del Friuli come patria ideale, «Provenza dello spirito», evocata con la
nostalgia di un mondo perduto, fuori del tempo e della storia. All'idea della giovinezza
si congiunge indissolubilmente l'idea della morte, sottolineata già nel titolo dall'eco
lugubre di un canto alpino della prima guerra mondiale: la megio zoventù la va soto tera
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(la migliore gioventù va sotto terra). Si veda, come campione di questa lirica sorgiva e
suggestiva, Il nini muàrt, (Il fanciullo morto), una poesia affascinante per gli splendidi
colori e le risonanze musicali.
L'usignolo della Chiesa cattolica. Accanto alle poesie in friulano, Pasolini scrive versi
in lingua, pubblicati molto più tardi nella raccolta L'usignolo della Chiesa cattolica
(1958). Vi si avverte la presenza di problemi oggettivi: da quello religioso, che Pasolini
risolve nei termini di una religione-passione, scandalosa ed eretica, in antitesi con la
religione ufficiale, a quello politico-sociale, che trova la sua soluzione, alla fine della
raccolta, nella "scoperta di Marx". Tra le immagini della liturgia cristiana Pasolini
privilegia quella del Cristo crocifisso, nella quale si libera una duplice tensione: «eretica
e dissacrante sul versante del sacro, religiosa e mitizzante su quello del profano» (G.
Santato). Il tema della corporeità si rivela nel simbolo della carne sanguinante, della
ferita esposta alla luce, sotto gli occhi della madre e di tutti: una voluttà esibizionistica e
una violenza di confessione domina la raccolta, che eredita dalla poesia provenzale il
simbolo dell'usignolo, il cui canto però suona sacrilego, come espressione di innocenza
e di peccato, di attrazione e di rimorso nei confronti del male. Quanto a La scoperta di
Marx, che chiude il volume, essa si limita alla presa di coscienza che «c'è nell'esistenza /
qualcos'altro che amore / per il proprio destino»: è un primo tentativo di riscatto
dall'esibizionismo narcisistico di impronta autobiografica.
Le ceneri di Gramsci. La religione e la ragione, la "passione" e l'"ideologia" informano
in una sintesi felice l'opera poetica migliore di Pasolini, Le ceneri di Gramsci (1957),
raccolta di undici poemetti epico-lirici in terzine di endecasillabi (che spesso si
chiudono con un verso isolato). Si tratta di una restaurazione tecnica: la ripresa di forme
metrico-strofiche prenovecentesche si accompagna ad una accentuata presenza della
rima. Siamo in presenza di una poesia volutamente tradizionale, che costituisce una
sfida alla poesia trasgressiva della neoavanguardia. Le ceneri di Gramsci segna il
culmine delle suggestioni visionarie care a Pasolini: Gramsci, e con lui la Storia, sono
come dei fantasmi sui quali il poeta fissa il suo sguardo allucinato. Come scrive Rinaldo
Rinaldi, «le Ceneri sono proprio il contrario di una poesia civile», essendo dominate
dalla fuga nell'immaginario e dalla rinuncia ad agire nella realtà.
I primi tre poemetti (L'Appennino, Il canto popolare, Picasso) sono scritti in terza
persona. In Comizio entra nella raccolta la prima persona. Si torna alla terza persona in
L'umile Italia; ma, in tutti i rimanenti poemetti, la prima persona domina incontrastata.
L'Appennino. Il poemetto è costituito di una sequenza di sette sezioni, che
compongono un vasto affresco dei paesaggi appenninici e delle antiche città che
sorgono nelle loro vicinanze. Le prime due sezioni presentano paesaggi immobili e
petrosi, con squarci di luce lunare su un mondo desolato (Non vi accende / la luna che
grigiore, dove azzurri / gli etruschi dormono). Domina la figura dell'ossimoro (centrale
in tutte le Ceneri): «Umana la luna da queste pietre / raggelate trae un calore / di alte
passioni»). Centro simbolico del poemetto è la terza sezione, dove appare l'immagine di
Ilaria del Carretto, sul cui volto marmoreo la mano dello scultore Jacopo Della Quercia
ha fermato il sonno: è questo il simbolo del sonno storico dell'Italia contemporanea
(«Jacopo con Ilaria scolpì l'Italia»). Come i "ragazzi di vita", pasoliniani, Ilaria è la
creatura di un mondo favoloso, il cui sguardo assorto ha qualcosa delle felici immagini
leonardesche. Il tema di Ilaria è presente anche nella quarta sezione, dedicata a Roma.
La Roma di Pasolini appare nel segno dell'ossimoro, cioè nel contrasto tra la Roma del
potere e quella degli emarginati, tra la Roma delle splendide basiliche e quella delle
fatiscenti baracche. Ma proprio alla scoperta del sottoproletariato sono dedicati i versi
della "passione" pasoliniana. Si tratta di un mondo arcaico e selvaggio, per il quale non
è ancora suonata l'ora del tempo storico («si sentono supine / suonare le ore / del mille /
novecento cinquantuno»). Pasolini si immerge nella descrizione di questo mondo di
177
emarginati, trovandovi il proprio oggetto d'amore. Si disfrenano, da un capo all'altro
dell'antico Appennino, le energie adolescenziali, in una festa di energie vitali che
affascina il poeta («... grida di giovanotti / caldi, ironici e sanguinari... odori / di stracci
caldi, ora bagnati...motti // di vecchie voci meridionali...cori / emiliani leggeri tra borghi
e maceri...»). Nelle sezioni successive si descrivono altri paesaggi, fino a Napoli
(«nazione / nel ventre della nazione»). La conclusione è amara: «Quaggiù / tutto è
preumano, e umanamente gioisce, // contro il riso del volgare fu / ed è inutile ogni
parola di redenzione...»).
Il canto popolare. L'ideologia di Pasolini si rivela in modo esplicito nel secondo
poemetto, Il canto popolare, di contenuto storico: nella tradizione dei canti popolari, il
poeta vede l'espressione dell'estraneità del mondo proletario rispetto alla cultura
borghese impostasi con l'unità nazionale, e auspica l'alleanza tra la parte più
progressista della borghesia e l'irrazionalità vitale del popolo. Rivolgendosi a un
ragazzo incarcerato a Rebibbia, scrive: «Ragazzo del popolo che canti, / {...} Nella tua
incoscienza è la coscienza / che in te la storia vuole». Siamo al di fuori di ogni categoria
sociologica: questo «ragazzo del popolo» è l'iconografia di un angelo-fanciullo, di un
immaginario mitico e fascinatorio, del tutto lontano dal linguaggio della realtà.
L'ideologia marxista sfuma nel mito: il marxiano «sogno di una cosa» è tutto dalla parte
del sogno anziché della cosa.
Picasso. Lo scontro tra la limpida chiarezza dell'ideologia e il furore vitale della
passione si verifica in Picasso, dove, pur ammirando il grande pittore, Pasolini ne
respinge l'arte più estremistica: «nel restare / dentro l'inferno con marmorea // volontà di
capirlo, è da cercare la salvezza». Netto è il rifiuto, da parte dell'autore, dell'arte
d'avanguardia; e appare sempre più chiaro che l'ideologia è per il poeta l'aspetto
pubblico di una privata passione.
Comizio. Anche il fascismo ha un'oscura vitalità: è questo il significato di Comizio, un
poemetto scritto in occasione di un comizio neofascista. Ma il poeta distingue tra
l'«oscura allegria» del popolo e la «triste oscurità» della «falange» neofascista. Tra le
righe, si legge la pietà di Pasolini per il destino conformista e reazionario del proprio
stesso padre. Il poeta evoca inoltre la figura del fratello Guido, che diventa lo spettro del
fanciullo salvatore e guida verso la luce.
L'umile Italia. Il paesaggio idillico dell'Appennino ritorna al centro di L'umile Italia, un
titolo virgiliano. Il poeta contrappone i dolci cieli padani del Nord alle assolate terre
meridionali. L'attacco è decisamente leopardiano: «Qui, nella campagna romana, / tra le
mozze, allegre case arabe / e i tuguri {...}. Cupa è qui la tristezza». Elegiaco è l'attacco
della seconda parte: «Ah, rondini, umilissima voce dell'umile Italia!...». Il poemetto si
conclude con l'abbandono nostalgico dell'ultima strofa, in cui il poeta rievoca il tempo
mitico trascorso nel Nord («...al tempo che vive il suo incanto, / con le rondini, nel
solatio / paese padano, nel fianco / dei freschi colli, e che di schianto / voi volgete,
rondini, all'addio»).
Quadri friulani. La nostalgica rievocazione della giovinezza continua in Quadri
friulani, dove struggente è il ricordo di «quel Friuli / che solo il vento tocca, ch'è un
profumo!». Si tratta però di un componimento iperletterario, come dimostra questa
reminiscenza foscoliana: «Felice te, a cui il vento primaverile / sa di vita». Il poeta si
rivolge all'amico pittore Zigaina, i cui quadri però, nell'evocazione pasoliniana,
risentono più della follia di Van Gogh che della pittura realista.
Le ceneri di Gramsci. Il poemetto che dà il titolo alla raccolta si apre su uno sfondo
sepolcrale, assunto a simbolo di una desolazione privata e storica (Non è di maggio
questa impura aria / che il buio giardino straniero / fa ancora più buio...). In questa
atmosfera mortuaria c'è «il grigiore del mondo / la fine del decennio in cui ci appare //
tra le macerie finito il profondo / e ingenuo sforzo di rifare la vita». Rivivono, in questi
178
versi, i primi dieci anni dell'Italia democristiana, che hanno segnato, secondo il poeta, la
delusione delle speranze suscitate dalla Resistenza. Alquanto enfatico risulta l'incontro
con l'ombra di Gramsci: «quella mano con cui il morto addita, a guisa di una Silvia
marxistizzata, l'ideale che illumina questo silenzio, ha la freddezza di un bassorilievo da
cimitero degli eroi patrî» (A. Asor Rosa). Ma ben presto, sulla figura del Gramsci
ideologo e politico, emerge l'immagine di un Gramsci «umile fratello», confinato nella
solitudine della prigionia e nell'attesa della morte. Incide in questa immagine
gramsciana il ricordo del fratello di Pasolini (Uno straccetto rosso, come quello /
arrotolato al collo ai partigiani...). Nella quarta strofa, la più celebre del componimento,
il discorso si sposta sulla figura del poeta, sulla sua lacerante contraddizione tra
passione e ideologia, che, nell'ultima terzina della quinta strofa, si risolve a vantaggio
della passione (Mi chiederai tu, morto disadorno, / d'abbandonare questa disperata /
passione di essere nel mondo?). L'ultima strofa si apre con un congedo da Gramsci: il
poeta si immerge nel brulicante quartiere del Testaccio, e si dichiara infine, senza
riserve, dalla parte della prorompente vitalità del popolo, dopo la "fine della storia":
«Ma io, con il cuore cosciente / di chi soltanto nella storia ha vita, / potrò mai più con
pura passione operare, / se so che la nostra storia è finita?».
Récit. Un componimento minore è Récit (un titolo baudelairiano). Occasione del
poemetto è la notizia, recata da Attilio Bertolussi, della denuncia di oscenità di Ragazzi
di vita. Di tono diaristico, il poemetto cede vistosamente a toni patetici e vittimistici.
Il pianto della scavatrice. Al tono alto delle Ceneri di Gramsci si ritorna con Il pianto
della scavatrice. La prima parte del poemetto procede lentamente nella descrizione
minuta e compiaciuta del mondo delle borgate romane, che sfocia in un'appassionata
apostrofe a Roma, «stupenda e misera città». Narcisistico è il ritratto che il poeta
fornisce di se stesso e della sua maturazione poetica in quella "nuova Casarsa" che è per
lui Roma («Povero come un gatto del Colosseo...», «... mite, violento, rivoluzionario /
nel cuore e nella lingua. Un uomo fioriva...»). Ma qualcosa è sfiorito: nell'urlo della
scavatrice il poeta riconosce il pianto di un tempo finito per sempre.
Una polemica in versi. Discorsivo e ragionativo, privo di particolari intonazioni
emotive e quasi saggistico è il poemetto Una polemica in versi, che si accende solo
nella violenta accusa, mossa ai dirigenti del partito comunista, di dogmatismo
ideologico e di dirigismo burocratico: il poeta esorta i suoi «compagni di strada» a
sperimentare con audacia, senza timore di sbagliare (È all'errore / che io vi spingo, al
religioso / errore). Splendida e non più polemica è la conclusione del poemetto: la «festa
dell'Unità» è descritta come un edenico giardino, in cui un vecchio sventola la "bella
bandiera" (Ed ecco, incerto, un vecchio si leva / dalla testa bianca il berretto, // afferra
nella nuova ventata di passione / una bandiera retta sulle spalle / da uno che gli è
davanti, al petto // se la stringe, e poi mentre cantano / tutti, affratellati intorno alle
gialle trombe paesane).
La Terra di Lavoro. L'atmosfera cupa del 1956 (l'anno della rivolta d'Ungheria), che
gravava già nella Polemica in versi, torna a circolare in La Terra di Lavoro, che però si
riduce ad un'appendice diaristica, alquanto enfatica e retorica, della raccolta. Il poeta
descrive il suo viaggio in una delle regioni più povere d'Italia, ma trasfigura nella luce
magica di un paesaggio preistorico un mondo di sfruttamento e di oppressione sociale.
La religione del mio tempo. Una svolta nella produzione poetica pasoliniana è segnata
dalla raccolta La religione del mio tempo (1961), dove si apre una crisi, determinata
dalla consapevolezza che la civiltà popolare è uscita distrutta dal "boom" economico.
Nel poemetto La ricchezza (dove suggestivi sono i versi dedicati agli affreschi di Piero
della Francesca ad Arezzo) perdura ancora una tematica storico-civile, specie nel
rimpianto della «pura luce» della Resistenza, che assume nel ricordo i contorni di un
sogno tristemente concluso; memorabili sono inoltre, nel poemetto, alcuni squarci di
179
paesaggio, come nella sezione «Riapparizione poetica di Roma», dove la città appare
immobile all'orizzonte come un'isola di luce (Dio, cos'è quella coltre silenziosa / che
fiammeggia sopra l'orizzonte?); ma, nella descrizione della miseria del sottoproletariato,
il poeta non riesce a evitare certi scadimenti di tono. La violenza dell'invettiva è il
sintomo della caduta delle speranze politiche di rinnovamento; e l'epigramma diviene la
misura metrica più efficace per esprimere la propria indignazione, come nel famoso
epigramma A un papa (Pio XII). Unica alternativa appare al poeta la fede nel popolo
degli esclusi che è ora il popolo del Terzo Mondo (Africa! Unica mia / alternativa...,
esclama Pasolini concludendo quel disperato consuntivo autobiografico che è il
Frammento alla morte). Ma i toni più genuini e autentici di poesia vanno ricercati in
liriche come Il glicine, dove Pasolini si scopre fratello della pianta, «gemello vegetale»,
che rinasce «in un mondo prenatale».
Poesia in forma di rosa. Una raccolta molto eterogenea, di carattere prevalentemente
diaristico, è Poesia in forma di rosa (1964), dove si accentua la crisi di Pasolini, che
esibisce le sue frustrazioni con una ironia spietata e patetica. Un motivo nuovo è quello
della "negritudine", assunta a simbolo di un'umanità vergine e primitiva, lontana dallo
sfrenato consumismo della civiltà neocapitalistica. Una drammatica intensità pervade
una delle Poesie mondane, in cui il poeta riconosce di essere un sopravvissuto di un
mondo ormai estinto (Io sono una forza del Passato. / Solo nella tradizione è il mio
amore. / Vengo dai ruderi, dalle chiese, / dalle pale d'altare, dia borghi / abbandonati
sugli Appennini o le Prealpi, / dove sono vissuti i fratelli. / Giro per la Tusculana come
un pazzo, / per l'Appia come un cane senza padrone...). Nell'età dello sviluppo
industriale - dice Pasolini - l'Italia dei borghi medievali abbandonati e delle pale d'altare
non interessa più a nessuno, e anche il senso della fraternità si estingue. Ma il ritorno al
passato coincide con una fuga nell'utopia, che ha il volto di un giovane algerino, Alì
dagli occhi azzurri (a lui sarà intitolata una raccolta di prose poetiche del 1965): in
Profezia, una lirica del Libro delle croci (dove ogni poesia assume l'aspetto tipografico
di una croce), dedicata a Jean-Paul Sartre, il poeta si augura una riscossa del Sud del
mondo contro il Nord neocapitalistico: sarà una rivoluzione di tanti Alì, guidati da
Trotzky, simbolo di un socialismo non burocratico. Con enfasi il poeta pronuncia, in
Poema per un verso di Shakespeare, la sua abiura (Nessuno dei problemi degli anni
cinquanta / mi importa più{...}. Abiuro dal ridicolo decennio!); ma rimangono i sogni
del tempo della Resistenza, quando la speranza di una società nuova era affidata allo
sventolio delle «belle bandiere» della poesia omonima (E, su tutto, lo sventolio, /
l'umile, pigro sventolio / delle bandiere rosse. Dio!, belle bandiere / degli Anni
Quaranta! / A sventolare una sull'altra, in una folla di tela / povera, rosseggiante, di un
rosso vero, / che traspariva con la fulgida miseria / delle coperte di seta, dei bucati delle
famiglie operaie / {...} ardente rosso affastellato e tremante, / nella tenerezza eroica
d'un'immortale stagione!). E rimane (dice la lirica successiva) la «disperata vitalità»,
anche se il poeta deve constatare che «la morte non è nel non poter comunicare», ma
«nel non poter più essere compresi».
Trasumanar e organizzar. La crisi della poesia pasoliniana raggiunge il suo esito
estremo in Trasumanar e organizzar (1971), un titolo ossimorico, che pone in antitesi il
verbo dantesco "trasumanar" (l'impossibilità di Dante di esprimere con parole umane il
significato del suo innalzarsi dalla terra al cielo) con l'altro verbo "organizzar", tipico
del linguaggio burocratico e aziendale, ma anche dei movimenti della sinistra
extraparlamentare. Libero da ogni impegno militante, il poeta ripiega sul privato e legge
in chiave privata anche i fatti pubblici; solo raramente, nel discorso cronachistico in
versi, egli sa trovare accenti di autentica poesia, come in La poesia della tradizione,
struggente compianto di una sfortunata generazione (oh ragazzi sfortunati che avete
visto a portata di mano / una meravigliosa vittoria che non esisteva!).
180
La nuova gioventù. L'ultima raccolta, La nuova gioventù (1975), chiude l'esperienza
poetica pasoliniana con una riscrittura delle liriche della Meglio gioventù, che si risolve
in un doloroso "controcanto" e in una spietata rappresentazione di un «universo
orrendo», che ha impresso sui volti dei giovani il segno di una mutazione antropologica
e di un vero e proprio genocidio morale. Si tratta (come scrive Franco Fortini) del «libro
atroce di un morto vivente».
Tutta l'opera poetica (edita e inedita) di Pasolini è oggi raccolta nelle più di duemila
pagine di Bestemmia (1993), il titolo che Pasolini stesso aveva immaginato per una
raccolta di tutti i suoi versi.
6.4 La narrativa
Amado mio. Sull'amicizia amorosa tra ragazzi sono imperniati i due giovanili racconti
autobiografici Atti impuri e Amado mio (pubblicati postumi, sotto il titolo Amado mio,
nel 1982). I protagonisti dei due racconti sono "ragazzi di vita" friulani, che scoprono,
tra languori e sensi di colpa, il mondo della bellezza e dell'amore, sullo sfondo magico
del Friuli delle osterie e delle sagre paesane.
Il sogno di una cosa. Un romanzo corale, che risente del clima neorealistico del
secondo dopoguerra, è Il sogno di una cosa, scritto nel 1949-50 e pubblicato solo nel
1962: vi si evoca il tempo delle lotte dei braccianti friulani, che alla fine della guerra
marciavano con le bandiere rosse per occupare le terre dei ricchi possidenti. Il titolo
deriva da una citazione di Karl Marx, che, in una lettera ad Arnold Ruge, definisce il
socialismo come il "sogno di una cosa" («Apparirà allora che il mondo ha da lungo
tempo il sogno di una cosa...»). I giovani protagonisti vivono la loro avventura politica
mescolando malinconia e allegria, sfrontatezza e serietà, nella confusa intuizione che un
giorno una "cosa" potrà realizzarsi, come dice sul letto di morte uno di loro, Eligio.
Ragazzi di vita. Una nuova immersione di Pasolini nel dialetto (dopo l'esperienza
giovanile della Meglio gioventù) si verifica con il romanzo Ragazzi di vita (1955), dove
si attua una duplice contaminazione: tra lingua e dialetto nella voce narrante, tra dialetto
e gergo nei dialoghi. Il gergo è quello romanesco della malavita, usato dall'autore con
gelida precisione scientifica per descrivere un mondo, come quello del sottoproletariato
delle borgate, oggettivamente diverso da quello borghese e non riducibile ad esso
(tranne in alcuni episodi di carattere sentimentale e melodrammatico, come quello dalla
rondinella salvata dal Riccetto mentre sta per affogare nelle acque del Tevere). Il mondo
di Ragazzi di vita è quello della più squallida periferia di Roma: un universo selvaggio,
dominato dal trinomio spietato della fame, della violenza, del sesso. Più che di un vero
e proprio romanzo, si tratta di una serie di racconti, che hanno i medesimi protagonisti,
tra i quali spicca il Riccetto, un ragazzo ossessionato dal bisogno del denaro («la grana,
che è la fonte di ogni piacere e ogni soddisfazione in questo zozzo mondo»). Ma
indimenticabile è anche Amerigo, un "bravaccio" forte e violento («...con una faccia
così cattiva che in qualsiasi parte del corpo uno lo toccava, pareva che dovesse farsi
male»): perfino da morto, egli fa ancora paura («Finita la pennichella, quello avrebbe
certamente finito di pazientare e avrebbe spaccato il grugno a quelli che s'erano
permessi di conciarlo a quel modo»). Il motivo della morte (tema dominante di tutta
l'opera pasoliniana) pervade tutto il romanzo, dalla struggente esclamazione di Marcello
morente («Ah, ma allora {...} me ne devo proprio annà! {...} Ma allora {...} devo
proprio morì») all'episodio finale di Genesio, che muore annegato nell'Aniene, senza
chiedere aiuto, perché sa che nessuno rischierà la vita per lui. Specchio fedele di questa
umanità misera e degradata è la ricorrente immagine animale: perfino i cani, in un
famoso episodio, usano il turpiloquio romanesco. Malgrado certe cadute stilistiche
(come le inserzioni di termini dotti e di citazioni letterarie nel contesto di un linguaggio
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essenzialmente popolare), Ragazzi di vita costituisce la più alta prova di Pasolini
narratore e una delle riuscite migliori della narrativa italiana del secondo dopoguerra.
Una vita violenta. Romanzo più complesso del precedente sul piano narrativo, Una vita
violenta (1959) costituisce però un ritorno ai canoni del romanzo ottocentesco e
naturalista ed è inoltre indebolito dal proposito, ormai esplicito nell'autore, di narrare la
vicenda di un eroe "positivo" secondo gli schemi "nazional- popolari", di derivazione
gramsciana, e del realismo socialista. Il protagonista, Tommasino Puzzilli, è un
"ragazzo di vita" cinico e opportunista (volta per volta, fascista, democristiano e infine
comunista, ma in realtà, sostanzialmente anarchico), che riscatta alla fine la sua vita di
sbandato salvando una prostituta da una baracca inondata dall'Aniene in piena; tale
gesto causerà al suo fisico, già minato dalla tubercolosi, una ricaduta che lo porterà alla
morte. È però significativo che, accanto a Tommasino agonizzante, restino i "ragazzi di
vita", da lui esortati ad andarsene a godere la giornata festiva, in nome di quella vitalità
che, al di là delle ideologie, è il vero segno di riconoscimento del mondo sottoproletario
(«...qui se c'è uno che deve piagne, so' io {...} Che? Morite voi? {...} Ma annatevene!
{...} Invece che stamme a fà compagnia a me, annate a romperve le corna de fora, che è
domenica!»). Pregevoli inoltre sono le scene di massa, come quelle della battaglia di
Pietralata o della rivolta del Forlanini, in cui Pasolini, dimenticando il suo bagaglio
ideologico, dà voce alla rabbia sorda e indomabile del sottoproletariato.
Teorema. Una svolta nella narrativa pasoliniana è costituita da Teorema (1968): finora
esclusa dall'immaginario poetico dell'autore, la borghesia diviene ora protagonista,
anche se continua a essere oggetto di una durissima polemica. La vita di una ricca
famiglia della borghesia industriale milanese è sconvolta, nel romanzo, dall'apparizione
di un bellissimo ospite, che, dopo aver fatto innamorare di sé tutti i membri della
famiglia, scompare misteriosamente; solo la serva Emilia si salva dallo squilibrio in cui
cadono i quattro componenti della famiglia, incapaci di comprendere la sacralità
dell'ospite-angelo, e diviene santa. Il limite del romanzo consiste nella tendenza a
mescolare ibridamente l'ispirazione religiosa con una tensione erotica spinta fino ai
limiti dell'ossessione.
La Divina Mimesis. Un incompiuto poema autobiografico in prosa è La Divina
Mimesis, una serie di frammenti narrativi stesi tra il 1963 e il 1965, ma pubblicati solo
nel 1975. Si tratta di un rifacimento della Divina Commedia, in cui Pasolini-Dante
viaggia attraverso l'Inferno neocapitalistico e borghese e si scontra con l'«universo
orrendo» del Potere, registrando con orrore la fine delle tradizioni e dei miti del mondo
popolare, travolti dalla civiltà dei consumi. Grande impressione destò, dopo la morte
tragica dello scrittore, il frammento quasi profetico in cui si accenna al cadavere del
protagonista, ucciso a colpi di bastone, presso la sua automobile (Pasolini si riferiva
all'uccisione metaforica consumata contro di lui, come scrittore, al convegno
palermitano della Neoavanguardia, tenuto a Palermo nel 1963; ma il frammento è stato
letto come un'agghiacciante premonizione).
Petrolio. Nel 1972 Pasolini cominciò a scrivere un romanzo che avrebbe dovuto
raccogliere tutte le sue esperienze e le sue memorie: delle duemila pagine progettate, ce
ne sono pervenute circa cinquecento, che sono state pubblicate, con la supervisione del
filologo Aurelio Roncaglia, nel 1992. Il protagonista è scisso in due diverse personalità,
quelle di Carlo Polis e di Carlo Tetis, che corrispondono alle due dimensioni dell'opera,
quella pubblica e politica e quella intima e sessuale. Industriale del petrolio, Carlo è un
androgino che condensa in sé il borghese di mentalità aperta e l'essere orgiastico, il cui
erotismo omosessuale diviene testimonianza di una disperata vitalità e di una straziata
esperienza umana. Si tratta di un'opera pervasa da una tremenda infelicità e dal senso di
una catastrofe incombente, cui si unisce la sensazione di una totale impotenza.
Un'oscura pulsione di morte è, in questo libro sconcertante, il contrappeso di una
182
implacabile lucidità profetica. Il titolo dell'opera è stato probabilmente suggerito
all'autore dall'embargo del petrolio, che durante la guerra arabo-israeliana del 1973 gli
stati petroliferi arabi si autoimposero per punire i paesi sostenitori di Israele. Ma i
riferimenti politici del romanzo riguardano soprattutto le vicende interne del nostro
Paese, in particolare la "strategia della tensione", culminata con le stragi di Piazza
Fontana a Milano (1969) e di Piazza della Loggia a Brescia (1974) e con l'attentato al
treno Italicus (1974): stupefacente è la premonizione con cui Pasolini parla di una
strage con un centinaio di vittime alla stazione di Roma («... i loro cadaveri restano
sparsi e ammucchiati in un mare di sangue, che inonda, tra brandelli di carne, banchine
e binari») e di quella provocata da una bomba fascista alla stazione di Bologna,
immaginata e descritta alcuni anni prima che ne esplodesse davvero una, il 2 agosto
1980.
6.5 La saggistica e il giornalismo
Gli scritti critici. L'intensa attività saggistico-critica svolta da Pasolini nel corso degli
anni Cinquanta è raccolta in Passione e ideologia (1960): un titolo che rimanda alla
duplice prospettiva della ricerca critica pasoliniana, il vitalismo (la “passione”) e il
gramscismo (l'“ideologia”). Gli interventi di maggior rilievo riguardano la rivisitazione
della poesia pascoliana e la teorizzazione del neo-sperimentalismo.
In Empirismo eretico (1972) Pasolini raccoglie numerosi saggi e interventi pubblicati
negli anni Sessanta e dedicati soprattutto alla questione linguistica e al linguaggio del
cinema. Particolarmente importanti sono le Nuove questioni linguistiche, dove l'autore
perviene alla conclusione che «è nato l'italiano come lingua nazionale», in seguito al
contributo determinante della televisione, che ha raggiunto un obiettivo mancato sia in
sede storica sia in sede letteraria; ma si tratta di un linguaggio tecnologico, che ha
sostituito sia l'italiano letterario sia l'italiano dei dialetti. Di qui la necessità di un
impegno degli scrittori, che devono battersi per difendere la libertà espressiva dell'uomo
contro la sua meccanizzazione.
Descrizioni di descrizioni (1979) è una raccolta di recensioni di grande acume,
pubblicate da Pasolini sul settimanale «Tempo» tra il 1972 e il 1974 e collegate tra di
loro dal filo di una forte tensione intellettuale: l'autore definisce i suoi scritti critici con
il termine di "descrizioni" di altre "descrizioni" (tali essendo, per Pasolini, le opere di
letteratura).
Postumo è apparso il volume Il portico della morte (1988), raccolta, a cura di C. Segre,
di testi critici inediti, scritti tra il 1942 e il 1971, che testimoniano la forza innovativa
della critica pasoliniana, svoltasi in polemica con l'ermetismo e il novecentismo e sotto
il segno di Gramsci.
Gli scritti giornalistici. Una scelta di testi della rubrica di corrispondenza tenuta da
Pasolini sulla rivista «Vie nuove» (1960-65) è stata pubblicata con il titolo Le belle
bandiere (1977), che allude alle speranze del 1945, cadute in seguito alla
trasformazione del "popolo gramsciano" in "massa neo-capitalistica".
Dal 1968 al 1970 Pasolini collaborò alla rivista «Tempo» con una rubrica, i cui testi
furono raccolti nel volume Il caos (1979): tema centrale della raccolta è l'impatto con il
Sessantotto, un'esperienza traumatizzante (come si è già accennato) per lo scrittore.
Il vertice degli scritti giornalistici di Pasolini è costituito dai due volumi Scritti corsari
(1975) e Lettere luterane (postumo, 1976), raccolte di articoli pubblicati sul Corriere
della Sera e su altri giornali dal 1973 al 1975. Gli argomenti ricorrenti in questi articoli
sono la “mutazione antropologica di massa” e l' “omologazione culturale” al più basso
livello, operate dal consumismo e dagli spettacoli televisivi («venticinque milioni di
italiani che assistono a Canzonissima», annota con amarezza lo scrittore), la scomparsa
183
del sottoproletariato e delle culture popolari (che, in un articolo famoso, Pasolini fa
coincidere con la scomparsa delle lucciole: vedi 2.1), la strategia della tensione, lo
sfacelo dell'Italia. Il Pasolini "corsaro" e "luterano" è uno scrittore imprevedibile, che
prende posizioni controcorrente, come risulta dai titoli di alcuni suoi articoli: «Contro i
capelli lunghi» («È giunto il momento di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi
è orribile, perché servile e volgare»), «Sono contro l'aborto», «Il folle slogan dei jeans
Jesus», ecc. Ma le metafore più famose, coniate da Pasolini nei suoi articoli ed entrate
nel linguaggio comune, sono quelle del "Palazzo" del potere, dove si muovono «atroci,
ridicoli, pupazzeschi idoli mortuari» (Corriere della Sera, 1 agosto 1975) e del
"Processo" alla classe dirigente democristiana (Corriere della Sera, 24 agosto 1975),
accusata di violenza poliziesca, di corruzione, di rozzo provincialismo, di connivenza
con la mafia, di silenzio sulle stragi, e pertanto da sottoporre a un pubblico processo.
6.6 Il teatro
Una vocazione precoce. La vocazione di Pasolini per il teatro si manifestò
precocemente a Casarsa, quando il giovane poeta recuperava per alcune sue poesie in
dialetto la struttura della sacra rappresentazione. La prima opera teatrale, I turcs tal
Friúl (scritta nel 1944, pubblicata nel 1976), è un dramma corale ambientato a Casarsa,
in una piccola comunità contadina, sconvolta da un'invasione turca (metafora
dell'occupazione nazista e della lotta della Resistenza).
Il «nuovo teatro» di Pasolini. Negli anni Sessanta Pasolini ritorna al teatro, prima
come traduttore (sono rispettivamente del 1960 e del 1963 le traduzioni dell'Orestiade
di Eschilo e del Miles gloriosus di Plauto, quest'ultima in romanesco con il titolo Il
Vantone), poi come autore in proprio, con le sei tragedie scritte nel 1966: Calderón,
Affabulazione, Pilade, Porcile, Orgia, Bestia da stile. Nel 1968 Pasolini pubblica su
«Nuovi Argomenti» il Manifesto per il nuovo teatro: un «teatro di Parola», che intende
contrapporsi sia al teatro accademico e tradizionale (il «teatro della Chiacchiera») sia al
teatro d'avanguardia e di contestazione (il «teatro del Gesto e dell'Urlo»); e un teatro di
idee, che rinuncia alle suggestioni visive della scenografia e delle luci.
Calderón. Ispirato al grande tragediografo spagnolo Pedro Calderón de la Barca (16001681), Calderón è una tragedia politica che mette in scena il conflitto tra l'individuo e il
Potere: la protagonista, Rosaura, sogna impossibili amori (verso il padre, verso il figlio,
verso uno studente rivoluzionario), mentre esplode la contestazione studentesca,
destinata al fallimento, perché anche la rivoluzione è, ormai, soltanto un sogno.
Affabulazione. Il tema del sogno è al centro anche di Affabulazione, che si ispira
all'Edipo re di Sofocle, rovesciandone la vicenda (è ora il padre a uccidere il figlio, e
non viceversa). Nel dramma di un industriale lombardo, che prova un'oscura attrazione
per il figlio e, quando questi gli si ribella, lo uccide, rivive l'eterno conflitto tra le
generazioni, complicato dalla nevrosi della "diversità" e reso angoscioso
dall'ambivalenza, nel rapporto padre/figlio, tra l'amore e l'odio, tra l'uccidere e l'essere
uccisi.
Gli altri drammi. L'opposizione uomo/donna è al centro del dramma Orgia, vicenda di
una coppia il cui desiderio di sottrarsi, nella trasgressione sessuale, alla monotonia della
vita borghese si risolve in un duplice suicidio. Il tema centrale di Porcile è, ancora una
volta, un conflitto generazionale: il giovane Julian cerca un'evasione dal mondo
affaristico del padre nel mondo della campagna, ma finirà sbranato dai maiali (una
metafora del cannibalismo del Potere contro chi gli si ribella). Gli ultimi due drammi
formano un'ideale autobiografia: in Pilade, Pasolini delinea il profilo dell'intellettuale
che si scontra con l'ideologia consumistica ed edonistica del Neocapitalismo; in Bestia
184
da stile, egli si identifica idealmente con Jan Palach, che nel 1968 arse vivo per
protestare contro l'invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche: il
suo sacrificio è un simbolo dello scacco della poesia e del suo sogno stilistico di
bellezza, travolto inesorabilmente dalla forza brutale del Potere.
Valutazione del teatro pasoliniano. Il teatro di Pasolini, accusato di antiteatralità per il
suo deliberato rifiuto di ogni elemento spettacolare e per la centralità attribuita alla
parola, è stato escluso per un certo tempo dai palcoscenici. Attori e registi prestigiosi,
da Vittorio Gassman a Luca Ronconi, hanno tuttavia messo in scena, dopo la morte
dello scrittore, i suoi principali drammi. La riscoperta, alla fine del secolo, del tragico e
del mito ha giovato al teatro pasoliniano, che, anche se scritto di getto, ha superato la
prova del tempo e rivela tuttora una forte carica profetica e una viva attualità,
soprattutto per la scelta dell'emarginazione come tema privilegiato della situazione
drammatica e per la messa in scena delle lacerazioni e degli sdoppiamenti della
coscienza.
6.7 Il cinema
Un cinema di poesia e di arte. L'attività cinematografica di Pasolini costituisce un
prolungamento della sua produzione poetica: come regista, Pasolini fa poesia in forma
di cinema. Il «cinema di poesia» pasoliniano è anche «cinema d'arte», che risente della
lezione di Roberto Longhi (il grande critico d'arte i cui corsi universitari il giovane
Pasolini aveva seguito con interesse a Bologna). Studioso del linguaggio
cinematografico, Pasolini non è stato solo regista, ma anche soggettista e sceneggiatore
dei suoi film, per la cui interpretazione ha scelto di preferenza attori non professionisti.
La fase realistica e romana. In diretta continuità con la tematica di Ragazzi di vita e di
Una vita violenta sono i primi film di Pasolini, Accattone (1961) e Mamma Roma
(1962): nel primo, la predilezione per i primi piani mostra l'influsso su Pasolini di
registi come Dreyer e Rossellini, mentre la colonna sonora, che riproduce la Passione
secondo San Matteo di Bach, sottolinea la condizione di povero Cristo del protagonista,
che solo nella morte trova pace, dopo una vita disperata; nel secondo, la "romanità" del
tema (l'aspirazione di una ex-prostituta a inserirsi nel mondo piccolo-borghese romano)
trova un'ideale interprete in Anna Magnani, mentre la suggestione pittorica è molto
intensa nella scena dell'agonia e della morte di Ettore sul letto di contenzione, ripresa
dal Cristo del Mantegna. Un capolavoro è infine La ricotta (1963), in cui si narra la
vicenda di un film da girarsi sulla vita di Cristo: nella scena finale della crocifissione
del povero Stracci, che muore di indigestione dopo aver ingurgitato un gigantesco pezzo
di ricotta, è emblematicamente rappresentata la "crocifissione" quotidiana dell'umanità
sottoproletaria, condannata alla miseria e alla fame.
Due film ideologici. La ricotta anticipa la tematica di un film di ispirazione religiosa, Il
Vangelo secondo Matteo (1964), dove molto forte è la polemica contro un cristianesimo
lontano dal primitivo messaggio evangelico (non a caso, il film è dedicato alla memoria
del papa Giovanni XXIII); improntato a una drammaticità senza parole, che ricorda
l'espressionismo del film muto (in particolare, la Passione di Giovanna d'Arco di
Dreyer), il film accoglie elementi della cultura letteraria, pittorica, musicale, fondendoli
in uno stile di straordinaria forza espressiva. Una amara comicità pervade un altro film
ideologico di Pasolini, Uccellacci e uccellini (1966), dove spicca l'eccezionale
interpretazione di Totò: si tratta di un inquietante apologo sul potere, affidato alla
simbologia dei falchi che uccidono i passeri e alla memorabile scena dei due
protagonisti, il padre (Totò) e il figlio (Ninetto Davoli), che ammazzano un corvo
(l'ideologia) e se lo mangiano (liberandosi così da ogni ossessione ideologica).
185
Il ritorno al mito. Un film scopertamente autobiografico è Edipo re (1967), dove,
recuperando in chiave moderna e freudiana l'omonima tragedia di Sofocle, Pasolini
ripercorre il cammino dell'umanità alla ricerca delle ragioni della vita, scoprendo nel
dramma di Edipo il simbolo della torbida oscurità della storia. Più accademico e di
minore intensità espressiva è il film Medea (1969), rifacimento dell'omonima tragedia
di Euripide, imperniato sul conflitto tra il mondo arcaico delle emozioni e quello
moderno della razionalità e sul recupero della sacralità dei riti primitivi.
La polemica antiborghese. Un dittico polemico sulla crisi dei valori della società
borghese è formato dai film Teorema (1968) e Porcile (1969), i cui soggetti sono
ricavati, rispettivamente, dall'omonimo romanzo e dall'omonima tragedia in versi. In
entrambi i film, Pasolini reagisce all'eclissi del sacro nel mondo neocapitalistico,
proponendo una nuova sacralità nella mitizzazione del corpo e nella sessualità intesa
come valore religioso.
La «trilogia della vita». La fase più festosa del cinema pasoliniano è costituita dai film
Decamerón (1971), I racconti di Canterbury (1972), Il fiore delle Mille e una notte
(1974), che formano la cosiddetta trilogia della vita. Il regista ora si abbandona
gioiosamente alla rappresentazione della corporalità popolare, tornando al passato
medievale e leggendario, per ritrovarvi le tracce di un'innocenza perduta, di una
sessualità vissuta come gioco e come sogno. Il fiore delle Mille e una notte, in
particolare, è un film onirico, dominato dalla contemplazione estatica della bellezza dei
corpi adolescenti, sullo sfondo di un paesaggio fiabesco, musicalmente evocato dalla
melodia dei canti popolari dell'Oriente.
Salò. Nell'ultima fase, si acuisce il pessimismo di Pasolini, sempre più convinto
dell'omologazione del sottoproletariato ai modelli di vita consumistici e piccoloborghesi da lui detestati: di qui l'Abiura dalla "Trilogia della vita (giugno 1975), un
testo amarissimo, in cui l'autore scrive tra l'altro: «I giovani e i ragazzi del
sottoproletariato romano - che son quelli che io ho proiettato, nella vecchia e resistente
Napoli e poi nei paesi poveri del Terzo Mondo - se ora sono immondizia umana, vuol
dire che anche allora potenzialmente lo erano {...}. Il crollo del presente implica anche
il crollo del passato». Da questo stato d'animo nasce l'ultimo film tratto da Sade, Salò o
Le 120 giornate di Sodoma (1975): nella vicenda di ragazzi e ragazze, brutalmente
seviziati e sottoposti ad efferate torture, rivivono gli orrori del morente regime fascista
di Salò, assunto come metafora del genocidio dei giovani, operato dalla società
neocapitalistica. A questa sinfonia lugubre, che anticipa l'ultimo viaggio dell'autore
nella morte, Pasolini ha affidato il suo testamento morale e artistico.
***
Da La meglio gioventù
Il nini muàrt (Il fanciullo morto)
La lirica fa parte delle Poesie a Casarsa, scritte dal 1941 al 1943 e poi accolte in La meglio
gioventù (1954); si può considerare la prima della raccolta, essendo collocata subito dopo la
Dedica, ingenua dichiarazione d'amore al paese friulano: Fontana di aga dal me paìs. / A no è
aga pì fres-cia che tal me paìs./ Fontana di rustic amòur. (Fontana d'acqua del mio paese. Non
c'è acqua più fresca che nel mio paese. Fontana di rustico amore). Le versioni in italiano, a
piè di pagina, sono di Pasolini.
(Bestemmia, Garzanti, Milano 1993)
186
Sera imbarlumida, tal fossàl
a cres l'aga, na fèmina plena
a ciamina pal ciamp.
Jo ti recuardi, Narcìs, ti vèvis il colòur
da la sera, quand li ciampanis
a sùnin di muàrt.
(Sera luminosa, nel fosso cresce l'acqua, una donna incinta cammina per il campo.
Io ti ricordo, Narciso, avevi il colore della sera, quando le campane suonano a morto.)
Metro: due terzine di versi liberi.
4. Narciso: personaggio mitico: bellissimo giovane, rifiutò l'amore della ninfa Eco; punito dagli dei, morì tentando di
afferrare la propria immagine riflessa nell'acqua di una fonte e fu mutato nel fiore omonimo.
DENTRO IL TESTO
Le due terzine rappresentano, rispettivamente, la contemplazione della vita (in una fase ancora
pre-natale) e la contemplazione della morte (che si preannuncia nel pallore del volto del
fanciullo). Il tono contemplativo è reso attraverso la lentezza del ritmo: si noti la frequenza
degli enjambements e dell'interpunzione. La sera, nella prima terzina, è idillica, quasi
leopardiana; nella seconda terzina, invece, è una sera funebre, scandita dal rintocco delle
campane a morto.
Riportiamo il commento di Alberto Asor Rosa:
«Sera imbarlumida apre il primo terzetto di questo componimento, introducendo il lettore con
immediatezza sorprendente, in una atmosfera piena di echi e di risonanze: " tal fossàl / a cres
l'aga" è già un atto di vita, di cui sembra possibile intendere, proprio per la suggestione
perdurante delle prime due parole, il suono e il movimento. Ma l'immagine successiva: na
fèmina plena / a ciamina pal ciamp, è come il tocco finale di questa lirica intuizione: il senso
misterioso della procreazione trascorre lento attraverso il quadro, come quella femmina
incinta che cammina nel campo fra le ombre incipienti della sera. Il procedimento analogico si
chiarisce splendidamente nel rapporto tra il primo e il secondo terzetto: il motivo del Narciso
{...} rimbalza dal quadro finora descritto, come un'immagine di intima malinconia (ti vèvis il
colòur / da la sera) riflessa in uno specchio nero e profondo. {...} Sul fondo risuona l'eco cupa
(ma anche dolcissima) delle campane che chiude in una sensazione musicale il componimento
aperto dai colori tenui della sera ancora bagnata di luce».
(A. Asor Rosa, Scrittori e popolo, Einaudi, Torino 1988, p. 290).
Da Le ceneri di Gramsci
Riportiamo due frammenti delle più celebri liriche delle Ceneri di Gramsci: il primo
frammento è la quarta parte del poemetto in sei parti Le ceneri di Gramsci, che dà il titolo alla
raccolta; il secondo frammento è il discorso conclusivo della sesta e ultima parte del poemetto
in sei parti Il pianto della scavatrice.
(Bestemmia, cit.)
a. Lo scandalo del contraddirmi...
Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere
con te e contro te; con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere;
Metro: terzine di endecasillabi, a rima incatenata (ma alle rime si sostituiscono spesso le assonanze).
2. con te e contro te: con Gramsci e contro Gramsci.
3. in luce: nella luce della ragione e della coscienza storica; nelle buie viscere: nell'irrazionalità dell'istinto.
187
del mio paterno stato traditore
5 - nel pensiero, in un'ombra di azione mi so ad essa attaccato nel calore
degli istinti, dell'estetica passione:
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, è per me religione
10 la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza; è la forza originaria
dell'uomo, che nell'atto s'è perduta,
a darle l'ebbrezza della nostalgia,
15 una luce poetica: ed altro più
io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia...
Come i poveri povero, mi attacco
20 come loro a umilianti speranze,
come loro per vivere mi batto
ogni giorno. Ma nella desolante
mia condizione di diseredato,
io possiedo: ed è il più esaltante
25 dei possessi borghesi, lo stato
più assoluto. Ma come io possiedo la storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:
ma a che serve la luce?
4. del mio...traditore: traditore della classe borghese (cui il poeta appartiene per nascita).
5-7. -nel pensiero... passione: il poeta dichiara di aver tradito la classe borghese di appartenenza solo nel pensiero,
riducendosi a ben poco (un'ombra) la sua militanza politica nelle file di un partito antiborghese come quello
comunista; ma di essere ancora legato al paterno stato borghese (ad esso) per ragioni istintive (nel calore degli
istinti) o per il culto del bello (dell'estetica passione). Ma si sente ancor più legato alla vita proletaria, come dice
subito dopo.
9. a te anteriore: anteriore, nella sua istintiva irrazionalità, alla razionalità e alla coscienza politica simboleggiate da
Gramsci.
9-10. è per me...allegria: il poeta ha fatto oggetto di culto quasi religioso la primitiva e spontanea vitalità del
sottoproletariato romano.
11-12. la sua natura...coscienza: non la coscienza politica, che si esprime nella lotta di classe, ma l'istintività
naturale del popolo attira il poeta.
12-15. è la forza ...una luce poetica: è la vitalità naturale (forza originaria), che si smarrisce nell'agire storico
(nell'atto), a conferire alla vita proletaria (v. 8) il fascino nostalgico di una felicità istintiva che la borghesia ha
perduto e in cui brilla la luce della poesia.
15-18. ed altro... simpatia...: il poeta ammette che la sua ammirazione per il popolo è viscerale, non razionale, ma
dichiara che, se celebrasse la lotta di classe del proletariato, il suo discorso sarebbe giusto sul piano razionale, ma
non sincero, e il suo amore sarebbe astratto, non scaturirebbe dal cuore (non accorante simpatia).
19. Come i poveri povero: se la cultura borghese allontana il poeta dal proletariato, la condizione sociale di
intellettuale proletarizzato, emarginato dal potere, lo avvicina ad esso fino all'identificazione.
20. umilianti speranze: non le luminose speranze di una mancata rivoluzione politico-sociale, ma le piccole e misere
speranze del riuscire a sopravvivere ogni giorno. - 24. possiedo: la storia (v. 26).
25-26. lo stato più assoluto: la condizione più privilegiata (quella di capire il corso della storia, grazie alla propria
formazione culturale).
26-28. Ma come... la luce?: a che serve il possesso della storia, se si è posseduti dalla storia, se cioè non è possibile
un'azione concreta per modificare il corso della storia? Non è forse preferibile, allora, l'oscura ignoranza del popolo a
una luce della conoscenza del tutto inutile dinanzi a una realtà immodificabile?
188
b. A gridare è... la vecchia scavatrice
A gridare è, straziata
da mesi e anni di mattutini
sudori - accompagnata
dal muto stuolo dei suoi scalpellini,
5 la vecchia scavatrice: ma, insieme, il fresco
sterro sconvolto, o, nel breve confine
dell'orizzonte novecentesco,
tutto il quartiere... È la città,
sprofondata in un chiarore di festa,
10 - è il mondo. Piange ciò che ha
fine e ricomincia. Ciò che era
area erbosa, aperto spiazzo, e si fa
cortile, bianco come cera,
chiuso in un decoro ch'è rancore;
15 ciò che era quasi una vecchia fiera
di freschi intonachi sghembi al sole,
e si fa nuovo isolato, brulicante
in un ordine ch'è spento dolore.
Piange ciò che muta, anche
20 per farsi migliore. La luce
del futuro non cessa un solo istante
di ferirci: è qui, che brucia
in ogni nostro atto quotidiano,
angoscia anche nella fiducia
25 che ci dà vita, nell'impeto gobettiano
verso questi operai, che muti innalzano,
nel rione dell'altro fronte umano,
il loro roso straccio di speranza.
Metro: terzine di endecasillabi a rima incatenata.
1-5. A gridare... la vecchia scavatrice: mentre, nella terza parte del poemetto, la scavatrice giaceva immobile nella
notte, in quest'ultima parte, alle prime luci del giorno, essa riprende il suo lavoro quotidiano e sembra che gridi,
come una persona umana, logorata dall'uso continuo (straziata da mesi e anni di sudori, simili a quelli degli operai, i
cui indumenti sono perennemente impregnati di sudore) e accompagnata nel suo stridore dal monotono lavoro degli
scalpellini.
6. sterro: il terreno rimosso dallo scavo della macchina.
7. orizzonte novecentesco: quello dei quartieri romani appena costruiti.
14. chiuso... rancore: delimitato da una costruzione che aspira a un decoro borghese, ma che in realtà toglie spazio
all'area erbosa (v.11), e quindi pieno di rancore quasi umano per la libertà perduta.
15. fiera: esposizione. - 16. di freschi ... sghembi: di case appena intonacate, cadenti.
17. e si fa ... brulicante: e diventa un nuovo complesso edilizio, affollato (brulicante) di gente.
18. in un ordine...dolore: l'ordine apparente del nuovo edificio è in realtà squallido per la monotonia della sua
costruzione, simile a quella di tanti altri edifici, e fa dunque rimpiangere le vecchie case abbattute.
25. nell'impeto gobettiano: nell'impegno verso la classe operaia, che ricorda quello di Piero Gobetti (1901-1926),
illustre esponente del pensiero liberalsocialista, aperto verso i problemi del mondo operaio.
27. nel rione... umano: nel quartiere popolare, chiamato altro fronte perché si contrappone al quartiere borghese.
28. il loro...speranza: lo straccio rosso, che i muratori innalzano su una casa quando è finita, si identifica
simbolicamente con la bandiera rossa del proletariato.
189
DENTRO IL TESTO
Riportiamo, sui due testi, il commento di Guido Santato:
«Nella tensione autoanalitica di questi versi (testo a) si condensa un po' tutto l'atteggiamento
di Pasolini in questi centrali anni '50 {...}. Il rapporto di odio-amore con il mondo borghese
porta il segno di una contraddizione esistenziale ed ideologica irrisolvibile, che si complica
ben oltre i termini classici e rituali della crisi dell'intellettuale borghese; Tra l'autore e la
borghesia c'è insieme un rapporto di appartenenza - essa è oggettivamente la sua classe, cui è
legato da un'inerzia storica e psicologica - e di rifiuto sentimentale e ideologico. Tale
atteggiamento contraddittorio viene sostanzialmente accettato da Pasolini senza operare
rimozione alcuna, costituendo oltretutto scandalo, e rientrando quindi perfettamente nel suo
codice morale. {...} Lo scandalo è dunque nella coesistenza degli opposti, nell'essere insieme
con e contro Gramsci, traditore del paterno stato, della propria classe, ma inscindibilmente
legato ad essi, per l'inerzia suddetta, nel calore // degli istinti, dell'estetica passione, attratto
dal mondo popolare in forza di una fascinazione di tipo vichiano-rousseauiano del tutto preideologica: il popolo, non la classe. Anche l'amore per il popolo è dunque, di fronte
all'ortodossia marxista, "eretico", perché fondamentalmente borghese, estraniato da
un'interpretazione politicamente finalizzata dei processi storici: nella desolante / mia
condizione di diseredato, / io possiedo: ed è il più esaltante // dei possessi borghesi, lo stato/
più assoluto. Ma come io possiedo la storia, / essa mi possiede. Pasolini possiede dunque una
condizione assoluta, perché ha rifiutato una condizione "storica": si è in parte liberato di
un'ossessione interna, che però gli rimane come oggettivo condizionamento esterno; quella
condizione assoluta è un possesso (sentimentale) che deriva da una rinuncia (al rigore
ideologico, al "principio di realtà" storico). {...}
Nella sezione conclusiva l'immagine centrale del poemetto (testo b) svela il suo significato
simbolico acquisendo sembianze fortemente umanizzate. Gli sforzi della scavatrice, volti a
scavare, a distruggere per poter poi costruire e rinnovare sono descritti come sofferenze
umane: A gridare è, straziata / {...} la vecchia scavatrice. L'armonioso giro allegorico infine si
chiude, riprendendo e portando a conclusione la tensione riflessiva con cui s'era aperto il
poemetto: Piange ciò che ha / fine e ricomincia. Ciò che era / area erbosa, aperto spiazzo, e si
fa // cortile, bianco come cera, // {...} Piange ciò che muta, anche / per farsi migliore. La luce /
del futuro non cessa un solo istante // di ferirci: è qui, che brucia / in ogni nostro atto
quotidiano, {...}.
Sono versi fra i più intensi scritti da Pasolini {...}: piange tutto ciò che si straforma, ciò che
subisce nel proprio corpo, perché si realizzi, il passaggio natura/civiltà, passato /presente,
mito /storia. Piange ciò che diviene storia, ciò che era (passato) ed ora si fa (presente):
passato e presente sono in Pasolini, prima che due tempi storici e poetici, due forme
dell'essere. Questo distacco drammatico coinvolge innanzitutto l'autore, teso anch'egli a
"mutare", a farsi migliore: il futuro è luce, ma anche dolore, sradicamento incessante dal
grembo del passato, immagine e compimento del bruciarsi della vita. L'esistenza viene così a
coincidere con un continuo processo di perdita, riproducendo incessantemente l'esperienza del
lutto, e quindi il rimpianto. Nell'urlo della vecchia scavatrice c'è tutta la drammatica
condizione pasoliniana, lacerata tra le tensioni opposte del rinnovamento e del rimpianto {...}.
L'immagine del rosso straccio di speranza su cui si chiude il poemetto rappresenta, all'interno
della vicenda pasoliniana, un momento culminante ed irripetibile: il momento di massima esposizione all'alterità storica, di più disperata apertura alla "speranza" ideologica».
(G. Santato, Pier Paolo Pasolini. L'opera, Neri Pozza Editore, Vicenza 1980, pp. 169-171 e
178-179).
Da La religione del mio tempo
Il glicine
Riportiamo la parte conclusiva del poemetto Il glicine (1960), con cui si chiude anche la
raccolta La religione del mio tempo (1961).
190
(Bestemmia, cit.)
E ora eccomi qui: ricopre il glicine
le rosee superfici
d'un quartiere ch'è tomba d'ogni passione,
agiato e anonimo, caldo
5 al sole d'aprile che lo decompone.
Il mondo mi sfugge, ancora, non so dominarlo
più, mi sfugge, ah, un'altra volta è un altro...
Altre mode, altri idoli,
la massa, non il popolo, la massa
10 decisa a farsi corrompere
al mondo ora si affaccia,
e lo trasforma, a ogni schermo, a ogni video
si abbevera, orda pura che irrompe
con pura avidità, informe
15 desiderio di partecipare alla festa.
E s'assesta là dove il Nuovo Capitale vuole.
Muta il senso delle parole:
chi finora ha parlato, con speranza, resta
indietro, invecchiato.
20 Non serve, per ringiovanire, questo
offeso angosciarsi, questo disperato
arrendersi! Chi non parla, è dimenticato.
Tu che brutale ritorni,
non ringiovanito, ma addirittura rinato,
25 furia della natura, dolcissima,
mi stronchi perché stroncato
da una serie di miserabili giorni,
ti porgi sopra i miei riaperti abissi,
profumi vergine sul mio eclissi,
30 antica sensualità, disgregata, pietà
spaurita, desiderio di morte...
Metro: versi liberi.
3. d'un quartiere: il Vascello, a Roma, sul Gianicolo.
12. e lo trasforma: in peggio.
13-14. orda pura... avidità: la massa irrompe nel nuovo mondo dei mass-media con la furia di un'orda primitiva
(pura), dominata da una essenziale (pura) avidità di immagini (si noti il chiasmo: orda pura / pura avidità).
15. alla festa: degli spettacoli televisivi.
16. s'assesta: si sistema.
17. Muta... parole: allusione alle mistificazioni operate da una troppo affrettata e settaria informazione fornita dai
programmi televisivi.
18-19. chi finora ... invecchiato: coloro che (come il poeta) hanno espresso finora idee e speranze per un
rinnovamento della società sono considerati "vecchi" e messi da parte.
20-22. Non serve... dimenticato: il poeta comprende tutta la sterilità di un atteggiamento di rinuncia e di resa:
occorre invece continuare a parlare, per dimostrare chi è veramente "giovane" (nelle idee) e per non essere
dimenticati.
23. Tu: il glicine; brutale: con selvaggia vitalità.
28. sopra... abissi: sui meandri più oscuri e segreti dell'inconscio.
29. sul mio eclissi: sull'eclissarsi della razionalità.
30. antica... disgregata: la sensualità del poeta è antica, perché risale ai tempi della giovinezza trascorsa a Casarsa,
ed è ora disgregata, frantumata in esperienze dispersive.
Ho perduto le forze;
non so più il senso della razionalità;
191
decaduta si insabbia
35 - nella tua religiosa caducità la mia vita, disperata che abbia
sola ferocia il mondo, la mia anima, rabbia.
35. religiosa caducità: ossimoro efficacissimo, che sottolinea il senso di una irrimediabile caducità, di una perdita
della capacità di resistere; ma anche in questa caduta morale si conserva un valore religioso, legato a quel processo
vitale del fiorire e del morire che accomuna il destino del poeta a quello del glicine.
36-37. la mia vita... rabbia: si costruisca e si intenda: la mia vita è disperata per il fatto che il mondo sia dominato
solo dalla ferocia e che il mio animo sia dominato solo da una rabbia senza speranza.
DENTRO IL TESTO
La lirica ha una matrice leopardiana: il glicine di Pasolini ricorda la Ginestra di Leopardi;
ma il significato è capovolto: l'umile pianta del poeta di Recanati era il simbolo di una
resistenza razionale al male di vivere, mentre il glicine suscita, con la sua prorompente
vitalità, una sensazione di sconfitta nel "decadente" Pasolini (che, non a caso, al v. 34 dichiara
decaduta la sua vita). Duplice è questa sconfitta: sul piano dei sensi (il quartiere in cui abita
sembra al poeta la tomba d'ogni passione) e sul piano della conoscenza (il poeta non riesce più
a comprendere un mondo brutalmente trasformato dal Neocapitalismo).
Di sconcertante attualità sono i versi della strofa centrale: vi sono anticipati i temi che
forniranno la materia alle violente polemiche dell'ultimo Pasolini (dagli Scritti corsari alle
Lettere luterane). Il popolo, tanto amato dal poeta, si è trasformato in massa e ha perduto la
sua spontaneità, diventando succubo dei mass-media, soprattutto della televisione, ai cui
programmi si abbevera (espressione durissima ed efficacissima), con l'avidità e l'ansia di chi
non vuole rimanere escluso dalla festa delle immagini. Ma il dominio delle immagini significa
la sconfitta della parola poetica: ben altre sono ora le parole del linguaggio televisivo, parole
prive di idee e di speranza, scelte solo in funzione di una spinta ai consumi o di una
strumentalizzazione dei cervelli, del modo di pensare e giudicare; con inciviltà epigrafica, il
poeta sancisce il nuovo ruolo assegnato dal potere neocapitalistico alla massa: E s'assesta là
dove il Nuovo Capitale vuole. L'alternativa è ora quella o di rinnovarsi o di finire dimenticati;
ma il poeta si sente incapace di un rinnovamento simile a quello del glicine, che torna
trionfalmente a fiorire, in un'orgia di colori e di profumi; prigioniero della sua nevrosi,
l'autore si affaccia smarrito sull'orlo degli abissi del suo inconscio, sente disgregarsi la sua
personalità, è pervaso da un malsano desiderio di morte. Gli ultimi versi sono memorabili,
come sintesi di un'esistenza tumultuosa, che sta per chiudersi nel segno della disperazione, di
una rabbia impotente dinanzi alla ferocia dominante nel mondo. «Si direbbe - commenta
Alberto Asor Rosa in Scrittori e popolo (1965) - che, arrivato al punto di non saper più cosa
esprimere, Pasolini abbia trovato la sobrietà e la ferocia, che gli fecero difetto, quando era
premuto dalla volontà di dire cose grandi quanto il mondo». Ma, nel corso di un convegno su
Pasolini, tenutosi a Milano nel 1993, Asor Rosa ha riconosciuto che il discorso di Pasolini ci
tocca ancora, tocca un nostro profondo senso di colpa («Ha detto cose che non abbiamo
ascoltato»). Ci sembra che, tra queste "cose" rimaste inascoltate, ci sia anche la premonizione
pasoliniana sul conformismo di massa indotto dallo strumento televisivo. Occorre allora
rileggere Pasolini e continuare a dire le cose che egli diceva più di vent'anni fa, con la
profetica lucidità che hanno spesso i poeti.
Bibliografia essenziale
Edizioni
Bestemmia. Tutte le poesie, a cura di G. Chiarcossi e W. Siti, 2 voll., Garzanti, Milano 1993;
Tutte le poesie, a cura di W. Siti, introd. di F. Baldini, Meridiani Mondadori, Milano 2003; Le
ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano 1957, poi Einaudi, Torino 1981. Lettere, 2 voll., a cura di
192
N. Naldini, Einaudi, Torino 1986 e 1988; Romanzi e racconti, a cura di W. Siti e S. De Laude,
2 voll., Meridiani Mondadori, Milano 1998; Saggi, 2 voll., Meridiani Mondadori, Milano 1999.
Antologie: Poesie, antologia curata dall'autore, Garzanti, Milano 1970 e 1975; Poesie scelte, a
cura di N. Naldini e F. Zambon, TEA, Milano 1997.
Biografie: Pasolini, cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, a cura di L. Betti e con
prefazione di A. Moravia, Milano 1977; E. Siciliano, Vita di Pasolini, Garzanti, Milano 1978
(poi Firenze 1995); N. Naldini, Pasolini, una vita, Einaudi, Torino 1989; Omicidio nella
persona di P. P. Pasolini, con prefazione di G. Galli, Milano 1992; B. D. Schwartz, Pasolini
requiem, Venezia 1995.
Bibliografie: si veda l'elenco dei contributi critici, in Bestemmia, cit., I, pp. XXXV-LI.
Un'ampia bibliografia sul cinema di Pasolini è Le regole di un'illusione, a cura di L. Betti e M.
Gulinucci, Roma 1991.
Storia della critica: G. Borghello, Interpretazioni di Pasolini, Savelli, Roma 1985; P. Voza,
Tra continuità e diversità: Pasolini e la critica. Storia e antologia, Liguori, Napoli 1990.
Profili introduttivi: F. Brevini, Per conoscere Pasolini, Mondadori, Milano 1981; L.
Martellini in Introduzione a Pasolini, Laterza, Roma-Bari 1989.
Monografie: G. C. Ferretti, Pasolini: l'universo orrendo, Editori Riuniti, Roma 1976; G.
Santato, Pier Paolo Pasolini. L'opera, Neri Pozza, Vicenza 1980; R. Rinaldi, P.P.Pasolini,
Mursia, Milano 1982; E. Golino, Pasolini: il sogno di una cosa, Il Mulino, Bologna 1985;
M.A. Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, Milano 1998.
Saggi e studi: W. Siti, Oltre il nostro accanito difenderla, in Le ceneri di Gramsci, 1981, cit.;
Id., Il sole vero e il sole della pellicola, o sull'espressionismo di Pasolini, in «Rivista di
letteratura italiana», 7, 1989; G. Giudici, Pasolini: l'inespresso esistente, pref. a Bestemmia,
1993, cit.; P. V. Mengaldo, Lettura di una poesia di Pasolini, in Id., La tradizione del
Novecento, Terza serie, Einaudi, Torino 1993; F. Fortini, Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino
1993; A. Zanzotto, Pasolini poeta, in Id., Aure e disincanti nel Novecento letterario,
Mondadori, Milano 1994; V. Cerami, Le ceneri di Gramsci di P.P. Pasolini, in LIE, Le Opere,
IV, Einaudi, Torino 1996; G. Ferroni, P.P. Pasolini. Lo scandalo di Petrolio, Roma 1999; F.
La Porta, Pasolini. Uno gnostico innamorato della realtà, Le Lettere, Firenze 2003; A. Asor
Rosa, Verso l'Apocalisse (L'ultimo Pasolini) in Id., Novecento primo, secondo e terzo, Sansoni,
Firenze 2004.
193
SEZIONE SETTIMA
ALTRI POETI ITALIANI
7.1 Elio Pagliarani
7.1.1 Tra sperimentalismo e Neoavanguardia
A mezzo tra lo sperimentalismo realistico di «Officina» (vedi Parte XVII) e la
Neoavanguardia si colloca la poesia di Elio Pagliarani. Allo sperimentalismo si
riconduce l'impegno narrativo di Pagliarani, che predilige non a caso la forma del
poemetto, nel quadro di una poesia risolutamente antiermetica e antilirica; della
Neoavanguardia (da lui genialmente anticipata), Pagliarani condivide il concetto di
opposizione alle istituzioni e il primato della ricerca linguistica. La formula più corretta,
per il poeta romagnolo, è forse quella di «realismo nell'avanguardia», proposta da
Walter Siti.
Le ascendenze culturali. Formatosi a Milano, Pagliarani si ricollega alla Scapigliatura
lombarda, e, ancora più indietro nel tempo, a Carlo Porta e alla ballata romantica,
reinventata in una accezione deformata e grottesca. I maestri novecenteschi di
Pagliarani sono Majakovskij, Brecht e, in Italia, i poeti crepuscolari, Delio Tessa con il
suo violento espressionismo, e Clemente Rèbora, con la sua severa austerità.
7.1.2 La vita
Nato a Viserba di Rimini nel 1927 da famiglia operaia, Elio Pagliarani, all'età di
diciotto anni, si è trasferito a Milano, dove ha avuto il primo impiego in una società di
import-export. Laureatosi in Scienze Politiche all'università di Padova, si è dedicato
all'insegnamento in scuole private e professionali serali. Dal 1956 è stato redattore
dell'«Avanti!», prima a Milano, poi a Roma, dove è stato anche critico teatrale del
quotidiano «Paese sera». Ha poi lavorato come consulente editoriale. Ha fatto parte del
«Gruppo 63» (vedi Parte XVI) ed è stato uno dei fondatori della Cooperativa nazionale
scrittori. Vive a Roma.
7.1.3 Le opere
Cronache e altre poesie. Del clima neorealistico, ma senza condividerne il dogma
oggettivistico e storicistico, risente la prima raccolta di versi di Pagliarani, Cronache e
altre poesie (1954), dove l' “epica quotidiana” della vita proletaria e piccolo-borghese è
narrata con una vena populistica, congiunta a un'ironia oggettiva con punte di impietosa
crudeltà, come appare dal primo dei due testi intitolati Due temi svolti: «Adesso studio
nelle commerciali / ma da grande farò lo spazzino / all'aperto, perché ci voglio bene, a
Milano / e le strade le voglio pulire / e mi piacciono tanto le tute / e darò una mano
all'agente / se una coppia calpesta il giardino / e picchierò i bambini che saltano /
perché mi ricordo mio nonno / che non voleva vedermi giocare / contento: "i bambini
devono piangere / gli uomini lavorare"». In un'altra poesia, I goliardi delle serali in
questa nebbia, Pagliarani evoca le bravate degli studenti lavoratori in uscita dalla scuola
serale, con toni assai vicini a quelli di Rèbora nei Frammenti lirici («Erra, tra polvere e
péste, / il gozzo pecurume / dei ragazzi di scuola», Nell'avvampato sfasciume, 13-15).
194
Inventario poetico. Un ripiegamento intimistico è segnato da Inventario privato (1959),
dove l'incontro con una «milanese signorina» diventa l'occasione per una
sperimentazione linguistica, tra accenti lirici e toni prosastici.
La ragazza Carla. Nel 1960 Pagliarani pubblica un "romanzo in versi", La ragazza
Carla (composto tra il 1954 e il 1957 e riproposto in volume con altre poesie nel 1962),
«uno dei risultati più notevoli e originali della poesia degli anni cinquanta» (P. V.
Mengaldo). Originale, appunto, è, nella raccolta, la combinazione di lingua letteraria e
di linguaggio comune, con effetti di dissonante prosasticità, in un ritmo di ballata
popolare.
La situazione della Ragazza Carla è quella di un caso di alienazione cittadina, come risulta dalla
dichiarazione introduttiva: «Un amico psichiatra mi riferisce di una giovane impiegata tanto poco allenata
alle domeniche cittadine che, spesso, il sabato, si prende un sonnifero, opportunamente dosato, che la
faccia dormire fino al lunedì. Ha un senso dedicare a quella ragazza questa Ragazza Carla»?
Il poemetto (diviso in tre sezioni) è ambientato sullo sfondo grigio e nebbioso della periferia milanese,
dove abita la protagonista, Carla Dondi, con la madre, che fa la pantofolaia, la sorella maggiore Nerina e
il cognato Angelo. La convivenza di queste persone in una piccola casa determina un forte disagio in
Carla, che, quando c'è il dolce («e tre piatti da dolce e quattro bocche») deve «pigliarsi la sua parte / in
cucina, nel fondo del tegame»). Appena diciassettenne, Carla trova lavoro in una ditta di importazioneesportazione, nel cuore commerciale di Milano, e viene introdotta al ritmo alienante del lavoro d'ufficio
dalle parole ammonitrici del suo capufficio, come si legge in apertura della prima sezione della seconda
parte: «Carla Dondi fu Ambrogio di anni / diciassette primo impiego di stenodattilo / all'ombra del
Duomo // Sollecitudine e amore, amore ci vuole al lavoro / sia svelta, sorrida e impari le lingue / le
lingue qui dentro le lingue oggigiorno / capisce dove si trova? TRANSOCEAN LIMITED / qui tutto il
mondo... è certo che sarà orgogliosa...». Il destino della povera Carla, curva tutto il giorno sulla sua
macchina per scrivere, si consumerà sotto uno spietato «cielo d'acciaio». Quando il principale tenta di
metterle le mani addosso, Carla fugge dall'ufficio; ma la madre, nel timore che la sua ragazza perda
l'impiego, manda dei fiori alla moglie del signor Praték. Anche l'amore delude Carla, essendo Aldo, il suo
fidanzato, un tipo abulico, privo di vivacità e di interessi. Nel corso di una passeggiata, Carla scopre la
"grande Milano", una Milano reboriana, che non scade mai a colore locale: in questo episodio Pagliarani
coglie lucidamente «il rapporto che passa fra una quantità di esistenze individuali ingrigite nel quotidiano
e la natura riassuntiva e sintetica, superumana, della grande città» (Asor Rosa). Di tono alto è la
conclusione, in versi endecasillabi, dove una componente lirica («Quanto di morte noi circonda e quanto /
tocca mutarne in vita per esistere / è diamante sul vetro...») si associa ad una componente ideologica
(«non c'è risoluzione nel conflitto / storia esistenza fuori dell'amare / altri») e dove soprattutto le parole
conclusive («orgoglio con dolore») esprimono un atteggiamento di resistenza contro quel mondo cittadino
che tenta di umiliare e di alienare l'immagine della persona umana.
Lezioni di fisica e Fecaloro. Di tipo ormai nettamente neoavanguardistico sono i
procedimenti formali di Lezione di fisica e Fecaloro (1968), dove Pagliarani ricorre al
collage di espressioni letterarie e di linguaggi speciali. Il poeta prende lo spunto
dall'universo fisico e biologico per approdare ai singoli individui, alla storia, alla
società. Vistosa è la novità metrica: versi lunghissimi (vere e proprie sequenze, che
richiedono una lettura ad alta voce) si alternano a quartine di ottonari o a strofette di
endecasillabi: «l'oscillazione fra questi due estremi di un respiro lunghissimo e
profondo e di un respiro contratto ed affannato, più che avere un valore simbolico,
corrisponde all'esigenza di ricostruire letteralmente gli "spazi" di un'esperienza poetica»
(Asor Rosa). Il poeta assume ad oggetto del discorso poetico alcuni dati della cultura e
della scienza: nel pezzo che reca il titolo del volumetto, egli ripete alla sua donna una
serie di dati di fisica nucleare e ne ricava conseguenze da applicare al rapporto tra uomo
e donna. In un altro pezzo, dedicato ad Alfredo Giuliani, Pagliarani dichiara la sua
vergogna "crepuscolare" di essere poeta («Poeta è una parola che non uso / di solito»),
ma continua ad attendere al lavoro poetico, occupandosi dei significanti, dal momento
che i significati sono ormai tutti inquinati dai condizionamenti imposti dal sistema,
entro un orizzonte dominato dal denaro, dal sesso, dagli escrementi. Evidente è in
195
quest'opera il tentativo, compiuto dal poeta, di abolire il privilegio della parola poetica
per rivendicare la capacità di poesia di qualsiasi termine lessicale, compresi i termini
specialistici della scienza.
Rosso corpo lingua... Ancor più ambiziosa è l'intenzione poetica che anima la raccolta
Rosso corpo lingua oro pope-papa scienza. Doppio ritratto di Nandi (1977): la tecnica
combinatoria, evidente già nel titolo (dove il "rosso" della rivoluzione è contrapposto
all'"oro" del capitale, il "corpo" al "pope-papa" (la religione), la "lingua" della poesia
alla "scienza" economica), vuole qui esprimere il caos esistenziale nelle sue insanabili
contraddizioni, congiungendo la corposità delle immagini con il rigore del linguaggio.
La ballata di Rudy. Dopo gli Esercizi platonici (1985), una serie di puntuali citazioni
da Platone, trascritte e rimontate in uno squisito gioco linguistico, e gli Epigrammi
ferraresi (1987), una serie di variazioni sui testi più duri e polemici di Girolamo
Savonarola, Pagliarani ha pubblicato La ballata di Rudi (1995), parzialmente anticipata
in Rosso corpo lingua. Si tratta di una continuazione della Ragazza Carla, in una
Milano in pieno "boom" economico, dove l'unica ossessione è ormai quella di far soldi.
La struttura della ballata è quella di 27 pezzi di varia misura, tutti formati da versi
lunghi (che costringono a disporre il testo in orizzontale sul tradizionale asse verticale
della pagina).
Il Rudi che dà il titolo all'opera è un animatore di balli, che dirige una balera in Romagna d'estate e un
night club per malavitosi d'inverno a Milano. Rudi è solo un elemento unificatore, mentre un racconto
vero e proprio è la vicenda di Armando, un tassista clandestino dominato dall'ansia del denaro, che lo
seduce e lo distrugge. Una passione, quella del denaro, che contagia anche la vecchia Camilla, convinta
dal nipote a giocare in borsa. Un personaggio patetico, preso dal vero, è infine Nandi, un pescatore
dell'Adriatico (dice di lui il poeta in un'intervista: «Mattina e sera passava in rivista il mare, facendo sette
otto chilometri, lungo la spiaggia, come un generale reduce, perché trascinava una gamba»). Quando
Nandi compra una barca e comincia a guadagnare, è colto anche lui dall'ossessione del denaro, unita
all'amarezza per le sofferenze fino ad allora patite. Forse a Nandi pensa soprattutto Pagliarani, quando
conclude il suo poemetto con il travolgente Rap dell'anoressia o bulimia che sia.
Da La ragazza Carla
Riproduciamo, dalla parte seconda del poemetto, il secondo paragrafo.
(La ragazza Carla e nuove poesie, a cura di Alberto Asor Rosa, Oscar Mondadori, Milano
1978)
All’ombra del Duomo, di un fianco del Duomo
i segni colorati dei semafori le polveri idriz elettriche
mobili sulle facciate del vecchio casermone d’angolo
fra l’infelice corso Vittorio Emanuele e Camposanto,
Santa Radegonda, Odeon bar cinema e teatro
un casermone sinistrato e cadente che sarà la Rinascente
cento targhe d’ottone come quella
transocean limited import export company
le nove di mattina al 3 febbraio.
5
Metro: verso libero, con prevalenza di endecasillabi.
2. le polveri idriz elettriche: «polveri litiche utilizzate in quegli anni per rendere gassata l'acqua (una marca assai
nota era l'«Idrolitina»); qui rimandano metaforicamente ai cartelloni pubblicitari a luminosità intermittente, che
vestivano [...] le facciate di alcuni casermoni di piazza Duomo» (S. Tomassini).
6. la Rinascente: società milanese operante nel settore della grande distribuzione; costruito a Milano nel 1917,
l'edificio della società fu distrutto da un incendio e, l'anno successivo, fu ricostruito (di qui il nome, inventato da G.
D'Annunzio, di Rinascente).
196
La civiltà si è trasferita al nord
come è nata nel sud, per via del clima,
quante energie distilla alla mattina
il tempo di febbraio, qui in città?
10
Carla spiuma i mobili
Aldo Lavagnino coi codici traduce telegrammi night letters
una signora bianca ha cominciato i calcoli
sulla calcolatrice svedese.
Sono momenti belli: c’è silenzio
e il ritmo d’un polmone, se guardi dai cristalli
quella gente che marcia al suo lavoro
diritta interessata necessaria
che ha tanto fiato caldo nella bocca
quando dice buongiorno
è questa che decide
e son dei loro
non c’è altro da dire.
15
20
25
E questo cielo contemporaneo
in alto, tira su la schiena, in alto ma non tanto
questo cielo colore di lamiera
sulla piazza a Sesto a Cinisello alla Bovisa
sopra tutti i tranvieri ai capolinea
30
non prolunga all’infinito
i fianchi le guglie i grattacieli i capannoni Pirelli
coperti di lamiera?
È nostro questo cielo d’acciaio che non finge
Eden e non concede smarrimenti,
è nostro ed è morale il cielo
che non promette scampo dalla terra,
proprio perché sulla terra non c’è
scampo da noi nella vita.
35
40
12. distilla: scioglie, consuma.
14. spiuma: spolvera con il piumino.
15. Aldo Lavagnino: un giovane collega di Carla. - coi codici... night letters: «I telegrammi "night letters"
viaggiano la notte a una tariffa ridotta; le società commerciali li fanno in codice» (A. Giuliani).
16. bianca: con il camice bianco.
19. e il ritmo...cristalli: vedi C. Rèbora, Frammenti lirici, LI, Sibila scivola livido il treno, vv. 11-12: «Erra dai vetri
lo sguardo, / E s'amplia nel ritmo un gran senso».
22. tanto fiato caldo: vedi C. Rèbora, Frammenti lirici, XIV, Con me in persi indicibili moti, v. 9 sgg.: «L'ansiosa
città [...] s'intesse in un vaporare di fiati».
24. e son dei loro: vedi V. Sereni Canzone Lombarda, v. 12: «E noi ci si sente lombardi».
28. tira su la schiena: tipica espressione milanese. Un'immagine simile, per indicare la classe operaia, ricorre in B.
Brecht, Il Grande Ottobre, vv. 2-3, nella versione di F. Fortini: «...si sono finalmente levati / quelli che da tanto
tempo erano curvi!».
30. a Sesto... Bovisa: Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo sono piccoli centri della cintura milanese; la Bovisa è
un quartiere popolare della periferia di Milano.
35. cielo d'acciaio: espressione cara a Majakovskij (Il ponte di Brooklyn, trad. di A. M. Ripellino: «un piede
d'acciaio / su Manhattan»).
36. smarrimenti: cedimenti sentimentali.
39-40. non c'è... vita: «non esiste un passaggio alla vita, ossia all'immediatezza, che non debba passare, nella società
moderna, attraverso noi, ossia il lavoro anche monotono e umile degli impiegati» (F. Fortini).
197
DENTRO IL TESTO
I precisi riferimenti topografici alla città di Milano (i suoi grandi centri commerciali, i suoi
"casermoni", le sue vie, perfino le targhette d'ottone degli uffici) creano il clima della grande
città sullo sfondo dell'età neocapitalistica: una “civiltà” che consuma immense energie in
vista di un processo produttivo che non può mai fermarsi. Inserita in questo ingranaggio, la
diciassettenne Carla si vede ridotta da impiegata a serva, costretta a spolverare con piumino i
mobili prima di iniziare il suo lavoro (perché - come è stato spiegato alla ragazza dal suo
capufficio nel paragrafo precedente, il proprietario, signor Praték, «è molto / esigente - amore
al lavoro e amore all'ambiente - cosí / nello sgabuzzino lei trova la scopa e il piumino / sarà la
sua prima cura la mattina»). Accanto a Carla, c'è il collega Aldo Lavagnino, che diventerà il
suo ragazzo (si noti l'evocazione in rima di Renzo Tramaglino, il protagonista del grande
romanzo manzoniano); e c'è una signora in camice bianco, anche lei bianca (una metonimia
che indica la spersonalizzazione nel lavoro e l'identificazione della persona nel colore
simbolico di un raggelante bianco). Dai vetri si vede giungere al posto di lavoro la massa
degli impiegati, consapevoli - dice ironicamente, ma anche affettuosamente il poeta - della
funzione necessaria del loro lavoro e orgogliosi della loro efficienza tipicamente lombarda. A
questo clima di operosità produttiva sembra partecipare perfino il cielo, un cielo color
lamiera, che sembra prolungare in alto - dice il poeta con un lungo verso asindetico - i fianchi
le guglie i grattacieli i capannoni Pirelli. Il brano si conclude con un coro epico rivolto al cielo
d'acciaio che copre la città industriale, priva ormai della mitica campagna attorno alle mura e
orizzontalmente prolungata fino alla Bovisa e ai centri periferici. Non è possibile, in questa
realtà di fatica, alcuna fuga nell' Eden e non sono concessi smarrimenti: occorre che la classe
subalterna pieghi la schiena (non a caso evocata al v. 26), sottoponendosi allo sfruttamento e
alla frustrazione. I versi finali, che sembrano rivendicare la necessità storica della classe
operaia, assumono in realtà ben altro significato: il cielo d'acciaio non promette scampo, non
c'è scampo da noi nella vita (ma, sottintende il poeta, non c'è scampo neppure per noi). Anche
la ragazza Carla ormai non ha più scampo.
Da La ballata di Rudi
Rap dell'anoressia o bulimia che sia
Riportiamo alcuni versi della parte conclusiva del poemetto.
(La ballata di Rudi, Marsilio, Venezia 1995)
Non bastava la droga, adesso c'è anche questa anoressia,
o bulimia che sia
No, non è la stessa cosa? anzi è l'opposto?, uno s'ammazza
e l'altro s'ingrassa
Anoressia non significa non aver fame ma dire di non
aver fame
avendone moltissima sotto pancia, e brividi d'orgoglio per
non essere
come gli altri, ma come i nibelunghi anzi le nibelunghe
5
Metro: versi molto lunghi, che riproducono il ritmo uniforme e cadenzato del rap, un genere musicale nato alla fine
degli anni Settanta come espressione di protesta dei giovani neri americani.
1. anoressia: mancanza patologica di appetito, accompagnata talora da disgusto per i cibi. - bulimia: persistente
avidità di cibo.
5. come ...le nibelunghe: riferimento metaforico al fisico atletico dei giovani del Nord Europa.
198
perché colpisce specialmente
le ragazze e quanti hanno imparato con diligenza dai
crapuloni dell'antica Roma
l'arte di vomitare per distruggersi: qui è come la droga,
quelli ricchi
con spese e fatica più spesso se la cavano, quelli poveri
finiscono tutti male.
(Fra parentesi?: all'inizio di questo rendiconto se c'era una
ragazza
stramba, senza ragione apparente, si trattava di reduci quasi
sempre da campi
di concentramento, da quali campi sono reduci ora?)
10
6-7. e quanti...distruggersi: riferimento alla pratica degli smodati mangiatori e bevitori dell'antica Roma, che
provocavano la peristalsi (il movimento del tubo digerente) per eliminare cibi e bevande ingurgitati e ricominciare a
mangiare e a bere.
DENTRO IL TESTO
La Ballata si conclude con una rassegna dei mali connessi alla civiltà industriale e al
benessere, dalla droga all'ossessione del cibo nelle due opposte versioni dell'anoressia e della
bulimia (che colpiscono soprattutto le figure femminili): mali sociali, e non solo individuali,
perché i ricchi possono cavarsela con spese e fatica, mentre i poveri finiscono tutti male.
Intervistato sul significato dell'anoressia e della bulimia in chiusura del poema, Pagliarani ha
così risposto: «Nei primi anni del dopoguerra, quando si parlava di qualche ragazza
"stramba", si pensava ai campi di concentramento o a qualche altra ragione spiegabile, ma in
anni più vicini a noi siamo stati costretti ad assumere l'assurdità di questa angoscia
rinunciando ad ogni spiegazione». È però possibile rintracciare una possibile spiegazione nel
pezzo IX del poemetto, in cui si rappresentava una scena di pesca nell'Adriatico, che suggeriva
un confronto tra l'antico mondo della povertà al tempo del primo dopoguerra e quello attuale
dell'abbondanza e del consumo: un tempo si credeva del tutto insensata la possibilità che il
mare potesse "appassire", ma l'incombente minaccia ecologica ha reso drammaticamente
sensata tale possibilità. L'aumento della follia sociale, con tutti quei reduci da campi di
concentramento non più identificabili, sembra indurre ad una conclusione pessimistica e
disperata, alla quale tuttavia il poeta reagisce con i versi conclusivi della Ballata («Ma
dobbiamo continuare / come se / non avesse senso pensare / che s'appassisse il mare»). Solo la
fede nella "resistenza" della poesia può salvare i contemporanei reduci del benessere.
Bibliografia essenziale
Edizioni: La ragazza Carla e nuove poesie, a cura di A. Asor Rosa, con bibliografia e
antologia della critica, Oscar Mondadori, Milano 1978; Poesie da recita, a cura di A. Briganti
(contiene La ragazza Carla, Lezioni di fisica e Fecaloro, parti della Ballata di Rudi e un'ottima
antologia della critica), Bulzoni, Roma 1985.
Saggi e studi: F. Fortini, Le poesie italiane di questi anni, in Menabò, 2, 1960; A. Giuliani, in I
Novissimi, Rusconi e Paolazzi, Milano 1961; F. Curi, Metodi storia strutture, Paravia, Torino
1971; W. Siti, Il realismo dell'avanguardia, Einaudi, Torino 1975; S. Turconi, La poesia
neorealista italiana, Mursia, Milano 1977; G. Sica, La lettera analitica: Rosso corpo lingua,
Cooperativa Scrittori, Roma 1977; A. Asor Rosa, I due tempi della poesia di Elio Pagliarani,
introd. all'Oscar antologico cit.; G. Di Paola, La ragazza Carla: linguaggio e figure, Bulzoni,
Roma 1987; R. Luperini, Ma l'elegia no...intervista a Elio Pagliarani, in «Allegoria» 8 (1996);
G. Pianigiani, La ballata di Rudi di Elio Pagliarani: romanzo-partitura e drammaturgia
antilirica, in «Allegoria», 1996, 23.
199
7.2 Edoardo Sanguineti
7.2.1 Ideologia e linguaggio
Esponente di punta della Neoavanguardia, Edoardo Sanguineti associa alla creatività di
poeta e scrittore una lucidità critica e una consapevolezza teorica che hanno fatto di lui
una delle figure centrali della cultura italiana a partire dagli anni Sessanta.
Alle radici della teoria elaborata da Sanguineti è il pensiero della Scuola di Francoforte
(Walter Benjamin e Theodor W. Adorno), ma anche il contatto con le espressioni più
significative dell'avanguardia musicale e artistica contemporanea: di grande interesse è,
in particolare, la collaborazione del poeta con il musicista Luciano Berio; e stupefacente
è l'Alfabeto apocalittico, 21 ottave composte per la grande Apocalisse del pittore Enrico
Baj.
Convinto della sostanziale identità tra ideologia e linguaggio, Sanguineti (come capofila
della Neoavanguardia) si è proposto di contrapporre l'“anormalità” del linguaggio
poetico alla “normalità” borghese: di qui il «ritorno al disordine», proclamato
provocatoriamente dai poeti “novissimi”, per condurre fino al limite estremo la
dissoluzione del linguaggio. La prospettiva di Sanguineti è però (come ha ben visto
Tibor Wlassics) quella del ritorno ad un nuovo ordine, cioè di opporre all'
irrazionalismo avanguardistico un impegno ideologico positivo. A differenza, infatti, di
altri esponenti del Gruppo 63, Sanguineti ha mantenuto un saldo legame con la
tradizione del marxismo, che ha cercato di conciliare con le conquiste delle moderne
scienze umane, e, in particolare, con la psicoanalisi. In un intervento accolto
nell'antologia I Novissimi (1961), Sanguineti ha precisato la propria posizione all'interno
della Neoavanguardia: il disagio dello scrittore consiste nel conflitto tra l'autonomia
dell'attività artistica (che ha il suo simbolo nel Museo) e la mercificazione dei propri
prodotti, destinati al consumo di massa. Il Museo e il Mercato - scrive Sanguineti nella
scia di Benjamin - «sono assolutamente contigui e comunicanti». L'identità di arte e
merce può essere elusa solo ancorando il linguaggio al progresso reale della ragione,
contro ogni illusione di neutralità. Il problema è quello di cogliere l'azione dell'ideologia
all'interno del linguaggio. Come scrive memorabilmente Sanguineti, si tratta di «gettare
se stessi, e a testa prima, nel labirinto del formalismo e dell'irrazionalismo [...], con la
speranza, che mi ostino a non ritenere illusoria, di uscirne poi veramente, attraverso il
tutto, con le mani sporche, ma con il fango, anche, lasciato davvero alle spalle».
Conclusasi l'avventura della Neoavanguardia, Sanguineti ha raggiunto un nuovo
equilibrio, fondato sull'adesione al vissuto quotidiano e sulla tendenza a una
conversazione disincantata e dimessa, ma senza alcuna rinuncia alla passione politica,
che costituisce l'elemento connettivo della sua vasta produzione di critico e di poeta.
7.2.2 La vita. La critica, la narrativa, il teatro
Vita. Nato a Genova nel 1930 da padre ligure e madre torinese, Edoardo Sanguineti si è
laureato a Torino in Lettere con Giovanni Getto, discutendo una tesi su Dante, e ha
intrapreso la carriera universitaria come docente di letteratura italiana, prima a Salerno,
poi a Genova. Entrato a far parte del gruppo dei «novissimi», diviene il più lucido
teorico del Gruppo 63 (vedi Parte XVII). Dal 1979 al 1983 è stato deputato al
Parlamento come indipendente per il Partito comunista italiano. Lasciata l'università,
Sanguineti è vissuto e ha lavorato a Genova fino all’anno della morte (2010).
La critica. Tra i numerosi libri di critica di Sanguineti spiccano in primo piano gli studi
su Dante (Interpretazione di Malebolge, 1961; Il realismo di Dante, 1966). Nella poesia
del Novecento, Sanguineti ha individuato una "linea crepuscolare", da Gozzano a
200
Montale (Tra liberty e crepuscolarismo, 1961): di fondamentale rilievo è il suo saggio
su Gozzano (Guido Gozzano. Indagini e letture, 1966), che assume una collocazione
centrale nell'innovativa antologia Poesia italiana del Novecento (1969), dove inoltre
viene rivalutato G.P. Lucini. Una particolare attenzione Sanguineti ha dedicato al primo
Moravia, come figura emblematica della crisi borghese (Alberto Moravia, 1962). Uno
dei saggi decisivi del secondo Novecento è Ideologia e linguaggio (1965, vedi Parte
XVII), che è stato riproposto in edizione ampliata nel 2001. In Il chierico organico
(2000), Sanguineti ha tracciato una sorta di storia degli intellettuali del Novecento,
confermando la sua fedeltà al materialismo storico come valido metodo di decifrazione
della realtà e indicando i suoi punti di riferimento in Gramsci e in Benjamin, che, «di
fronte a una sconfitta storica, reagiscono gettando il loro sguardo critico oltre la
contemporaneità». L'operosità di Sanguineti come critico "militante" e come elzevirista
è continuata con Giornalino 1973-1976 (1976), Giornalino secondo, 1976-1977 (1979),
Scribilli (1985), La missione del critico (1987), Gazzettini (1993), Atlante del
Novecento italiano (2001).
La narrativa. Legata allo sperimentalismo degli anni Sessanta, la narrativa di
Sanguineti è costituita da due romanzi (Capriccio italiano, 1963; Il giuoco dell'Oca,
1967) e da una riscrittura (Il giuoco del Satyricon, 1970), cui è seguita la traduzione del
famoso romanzo di Petronio (Petronio Satyricon, 1993). Accolto come il romanzo più
significativo della giovane narrativa in Italia, Capriccio italiano è un romanzo
coniugale, che narra, in chiave onirico-parodistica, la crisi di una coppia nell'attesa di un
nuovo figlio, intrecciando gli aspetti biologici con quelli affettivi della vita della
famiglia. Un romanzo "pop" è Il giuoco dell'Oca, il cui protagonista, indossati i panni di
un cadavere, sbeffeggia oggetti e figure della società capitalistica, ricorrendo
all'infantile gioco dell'oca.
Opere teatrali e libretti musicali. Sensibile è l'influsso di S. Beckett nelle opere
teatrali di Sanguineti, raccolte in K. e altre cose (1962), Teatro (1969), Storie naturali
(1971). Per un fortunato spettacolo diretto dal regista teatrale Luca Ronconi, lo scrittore
ha ridotto e adattato l'Orlando furioso di L. Ariosto (1969). Oltre a Faust. Un
travestimento (1985), ha scritto La commedia dell'Inferno, un "travestimento dantesco"
in chiave beckettiana, andato in scena a Prato nel 1989.
Per il compositore Luciano Berio, Sanguineti ha scritto libretti musicali (Passaggio,
1961-62; Laborintus II, 1963; A-Ronne, 1974). Più recenti i lavori per Andrea
Liberovici: Rap (1996) e Sonetto. Un travestimento shakespeariano (1998).
7.2.3 Le opere poetiche
Laborintus. Poco più che ventenne, Sanguineti inizia nel 1951 la sua prima opera,
Laborintus, cha sarà pubblicata nel 1956. Il titolo allude a una "fatica interiore" (laborintus), cioè a una nevrosi, ma rimanda anche all'idea del "labirinto" del mondo
contemporaneo: l'opera, quindi, è (come dice l'autore) la «sincera trascrizione di un
esaurimento nervoso», che è anche un «esaurimento storico».
La raccolta si risolve nella proposta di una poesia informale, che ha una matrice
dadaista, ma anche la frenesia futurista delle "parole in libertà", e tiene conto
dell'esperienza della più grande poesia anglosassone, da Eliot a Pound; ma un lontano
modello è anche Dante, del quale è ripresa la tematica della "discesa agli inferi" della
realtà contemporanea, sotto la forma di un itinerario onirico, le cui tappe coincidono
con le fasi di un trattamento psicoanalitico di tipo junghiano. L'opera di Jung è assunta
da Sanguineti come un repertorio di simboli, di "archetipi" dell'inconscio collettivo.
Protagonisti di Laborintus sono infatti i simboli astratti di Ellie (l'"anima" nel senso
junghiano), archetipo femminile dell'inconscio, e di Laszo, principio maschile della
201
coscienza; un terzo personaggio è Ruben, lo psicoanalista, che favorisce l'unione di
Ellie e Laszo, cioè l'integrazione (destinata al fallimento) tra l'inconscio e la coscienza.
Il poemetto, in ventisette "lasse" o sequenze, si apre con la visione desolata della
"palude" (Palus Putredinis, "palude del putridume"), che ricorda la "morta gora"
dantesca e rappresenta il caos della società capitalistica e delle sue ideologie, ma anche
l'acqua da cui ha origine la vita, e dunque Ellie, l'eterna madre: «composte terre in
strutturali complessioni sono Palus Putredinis / riposa tenue Ellie e tu mio corpo tu
infatti tenue Ellie eri il mio corpo / immaginoso quasi conclusione di una estatica
dialettica spirituale...». L'innovazione linguistica più clamorosa è l'inserzione, nel
poemetto, di stralci in lingua francese, inglese, tedesca, greca, e soprattutto di spezzoni
di latino medievale; particolare significato assumono gli inserti di lingue morte (il
latino, il greco, il francese antico), che riducono la tradizione culturale a una «galleria di
mummie». I segni di interpunzione (come si può constatare dai tre versi sopra citati)
sono pressoché assenti; solo esclamativi e interrogativi (insieme con le parentesi)
ritornano con ossessiva frequenza per rendere il procedimento ipnotico e nevrotico del
racconto, mentre l'inizio con la minuscola e la mancanza, alla fine di ogni sequenza, di
un punto fermo intendono rappresentare un discorso ininterrotto, quasi un "flusso di
coscienza" alla Joyce. Ogni componimento si conclude con il segno dei due punti, un
paradosso tipografico, che invece di chiudere apre un nuovo discorso.
Da Erotopaegnia a Purgatorio de l'Inferno. Alla violenza anarchica e dissacratoria di
Laborintus subentra, in Erotopaegnia (scherzi d'amore), la giocosa esibizione di un
erotismo abbassato deliberatamente a corporeità pura: in questa «bolgia erotica», il
latino perde la connotazione funerea che aveva nella raccolta precedente e viene
rivisitato come lingua della tradizione goliardica medievale (si veda la brevissima
sezione quindicesima: «e adesso, amore, saltami in groppa! una buona cavalcata,
finalmente! / oh portami, in questa nebbia! il mattino, ancora, si allarga! / divertiamoci
un poco! fischia, oh galoppa! scuotimi! / (e non farmi cadere!)»).
La terza raccolta, Purgatorio de l'Inferno (pubblicata, insieme con i testi precedenti, nel
volume dal titolo folenghiano Triperuno, 1964), segna l'uscita dalla "palude", cioè una
riappropriazione della realtà e una riconquista del linguaggio della ragione. Vi si
leggono alcune tra le poesie più persuasive di Sanguineti, come piangi, piangi... o come
questo è il gatto con gli stivali. Molto felice è anche la sezione conclusiva del poemetto,
che riproduce il momento dantesco del «riveder le stelle»: il poeta ora si lascia alle
spalle il fango della palude e contempla i simboli della vita, il sole e i bambini («...ma
vedi il fango che ci sta alle spalle, / e il sole in mezzo agli alberi, e i bambini che
dormono: i bambini / che sognano (che parlano, sognando); (ma i bambini, li vedi, così
inquieti): / (dormendo, i bambini); (sognando, adesso)»).
Da Wirwarr a Senza titolo. Dopo alcuni anni di silenzio poetico, Sanguineti torna alla
poesia con Wirwarr (in tedesco, "guazzabuglio", 1972), la cui sezione più ampia è
costituita dai Reisebilder (immagini di viaggio), un titolo ricavato dagli omonimi
Reisebilder di Heine: vi si descrive un viaggio in Germania, Olanda e Danimarca e vi si
apre un nuovo ciclo poetico, caratterizzato da una dimensione diaristica e da un
linguaggio prosaico e quotidiano («piccole prose in poema» è la definizione data dal
poeta ai suoi testi). Protagonisti ora non sono più esseri astratti e simbolici, come in
Laborintus, ma personaggi del mondo reale, sia privato sia pubblico («uomini
borghesemente limitati», come li definisce l'autore).
Una puntuale indicazione diaristica di nomi e date caratterizza anche le raccolte
successive, Postkarten (1978) e Stracciafoglio (1980), dove, mediante l'assunzione di
modi neocrepuscolari di gusto gozzaniano, Sanguineti concentra la sua attenzione, tra
divertita e ironica, sugli anonimi reperti della vita quotidiana; ma, che l'attenzione del
poeta verso l'ideologia sia sempre vigile, è dimostrato dalle poesie n. 34 («mi è spuntato
202
uno slogan, qui in bocca, l'altro giorno, nel cuore di un dibattito:/ è fatto così: marxisti
di tutta Italia, unitevi: ...») e n. 36 («...volevo dire (dirti) che il marxismo mi sta/
diventando molto raro, intorno, e che c'è qualcuno che si annacqua ogni giorno,/ e si
contamina, e si ripiega, e si perde...»).
Nel 1982, Sanguineti raccoglie tutti i suoi versi in Segnalibro, includendovi anche
Cataletto e Scartabello (1981); in quest'ultima sezione sono importanti le poesie
dedicate a Pasolini: la prima (Una polemica in prosa) è una presa di distanza dalle
"certezze" storiche del suo interlocutore (...Felice Lei, / Pasolini felice, se la storia, / e
la sua Storia, sempre, si capisce, / lavora proprio per Lei, regalandoLe, / garanzie
tanto certe e confortevoli!); la seconda (Le ceneri di Pasolini), scritta per ricordare il
poeta assassinato, è viceversa larga di riconoscimenti e di apprezzamenti verso colui
che era stato un rivale in poesia (Sono con te, nel cuore e nelle viscere,/ che mi ritorni
come fratello infelice...). In altre poesie di Scartabello (si veda: mi sono riadattato gli
occhiali...), è stata riscontrata una involontaria somiglianza con un poeta del tutto
estraneo a Sanguineti, il Montale di Satura.
Novissimum Testamentum (1986), il cui titolo è una mediazione tra il riferimento
biblico e l'allusione al celebre Testamento (1462) del poeta francese F. Villon, è un
racconto in ottave di vita quotidiana, caratterizzato da un "comico" di ascendenza
dantesca, che è parodia del tragico: si riprendono nella raccolta forme metriche desuete,
come la ballata (Ballata della guerra), la canzonetta, il poema in ottave. Si tratta,
secondo più di uno studioso, di uno dei punti più alti dell'intera poesia di fine
Novecento: un vibrante e patetico congedo dalla vita e dai suoi affetti. In Bisbidis
(espressione latina che significa "cicaleccio", 1988), Sanguineti esprime il proprio
risentimento etico-politico sotto forma di sberleffo e di gioco. Ciò accade anche in
Senza titolo (1992), dove (nella poesia Glosse), l'autore definisce il proprio
atteggiamento verso la politica: «siamo tutti politici (e animali): premesso questo, posso
dirti che/ odio i politici odiosi: (e ti risparmio anche soltanto un parco abbozzo di
catalogo/ esemplificativo e ragionato): (puoi sceglierti da te cognomi e nomi, e
sparare/ nel mucchio): (e sceglierti i perché, caso per caso): ma, per semplificare,/ ti
aggiungo che, se è vero che, per me (come dico e ridico) è politica tutto,/ a questo
mondo, non è poi tutto, invece, la politica: (e questo mi definisce,/ sempre per me, i
politici odiosi, e il mio perché): amo, così, quella grande politica/ che è viva nei gesti
della vita quotidiana, nella parole quotidiane...».
La raccolta Senzatitolo (1992), oltre a Novissimum Testamentum, comprende anche
Glosse, Mauritshuis, Ballate, Fanerografie, Omaggio a Catullo. Del 1997 è Corollario,
che riunisce la raccolta omonima e Stravaganze. Una raccolta di raccolte è Il gatto
lupesco (2002), che raduna vent'anni di poesia (1982-2001), con l'aggiunta di Poesie
fuggitive e di Cose (parzialmente pubblicate nel 1999). Il titolo dell'ultima raccolta
deriva da un poemetto del Duecento, il Detto del gatto lupesco, dove si parla di un
animale fantastico, che convoglia in sé due animali antitetici, il gatto e il lupo: una
figura ossimorica, nella quale l'autore identifica la sua poesia domestica e furiosa,
affabile e spudorata, allegra e beffarda; ma una figura piena di grazia musicale, che
traversa la pagina a passo di danza.
Da Purgatorio de l'Inferno
Riportiamo la decima poesia di Purgatorio de l'Inferno: si tratta di una lezione che il poeta
tiene al piccolo Alessandro, di cinque anni, servendosi di illustrazioni in forma di cartellone o
di alfabetiere.
203
(Segnalibro. Poesie 1951-1981, Feltrinelli, Milano 1982)
questo è il gatto con gli stivali, questa è la pace di Barcellona
fra Carlo V e Clemente VII, è la locomotiva, è il pesco
fiorito, è il cavalluccio marino; ma se volti il foglio, Alessandro,
ci vedi il denaro:
questi sono i satelliti di Giove, questa è l'autostrada
del Sole, è la lavagna quadrettata, è il primo volume dei Poetae
Latini Aevi Carolini, sono le scarpe, sono le bugie, è la
[Scuola d'Atene, è il burro,
è una cartolina che mi è arrivata oggi dalla Finlandia, è il
[muscolo massetere,
è il parto: m se volti il foglio, Alessandro, ci vedi
il denaro:
5
10
e questo è il denaro,
e questi sono i generali con le loro mitragliatrici, e sono i cimiteri
con le loro tombe, e sono le casse di risparmio con le loro cassette
di sicurezza, e sono i libri di storia con le loro storie:
ma se volti il foglio, Alessandro, non ci vedi niente:
15
Metro: tre strofe irregolari di versi liberi lunghi.
1. questo: l'inizio con la minuscola indica l'esordio del tutto causale dell'enumerazione che segue. - il gatto con gli
stivali: allusione alla celebre favola di Charles Perrault Le chat botté (1697). - la pace di Barcellona: firmata nel
1529 dall'imperatore Carlo V e dal papa Clemente VII della famiglia dei Medici, allo scopo di reprimere la Riforma
luterana in Germania e la restaurazione dei Medici a Firenze.
3-4. se volti ...denaro: se guardi al di là delle apparenze, scopri la realtà della mercificazione universale.
5. i satelliti di Giove: scoperti da Galilei nel 1610.
5-6. l'autostrada del Sole: unisce Milano a Napoli.
6-7. Poetae...Carolini: «Poeti Latini dell'Età Carolingia», raccolta di testi poetici scritti al tempo di Carlo Magno,
conservata nella sezione Antiquitates della collezione Monumenta Germaniae Historica.
7. le bugie: un'illustrazione che rappresenta concretamente le bugie infantili (ad esempio, il naso lungo di
Pinocchio). - la Scuola d'Atene: riproduzione del celebre affresco di Raffaello nella Stanza della Segnatura del
Vaticano. - il burro: forse messo sul tavolo per la colazione del bambino.
8. il muscolo massetere: illustrazione del muscolo masticatorio che muove la mandibola.
9-14. e questo è il denaro ...storie: «due aspetti esemplari del sistema sociale capitalistico: la potenza economica,
rappresentata dal denaro (soprattutto dalle banche come luogo simbolico della sua conservazione e riproduzione) e la
potenza distruttiva della tecnica militare, forse suggerita dai giocattoli che il bambino predilige e che forse ha portato
sul tavolo; il tutto accostato all'immagine dei luoghi destinati a tramandare un passato spento: i cimiteri di guerra e i
libri di storia (così pieni di storie!)» (P. Bonfiglioli).
15. ma...niente: al di là del denaro, nella logica capitalistica, non c'è nulla. I due punti conclusivi suggeriscono la
possibilità di ampliare il discorso apportando altri esempi.
DENTRO IL TESTO
La lezione che il poeta tiene al suo bambino si propone due scopi: il primo è pedagogico, e
consiste nell'insegnare al piccolo Alessandro come, dietro all'apparenza delle cose, ci sia un
significato nascosto, non rivelato dagli adulti per il suo valore politico, ritenuto non adatto
all'infanzia; il secondo è parodistico, e tende a dimostrare come la realtà rappresentata nei
cartelloni didattici sia una pura finzione e non abbia alcun senso, dal momento che tutto si
riduce a merce, e la merce, considerata come valore esclusivo, si risolve a sua volta
nell'annullamento della civiltà.
La lezione si svolge in due tempi: nelle prime due strofe, il poeta enumera al figlioletto tutto
ciò che si trova, in pittoresco disordine, sul tavolo di lavoro (libri, posta, fiabe, giocattoli,
avanzi della colazione del bimbo, tavole scientifiche ecc.). L'enumerazione si avvale
204
dell’anafora (questo è ...questa è...questi sono...), che asseconda la curiosità del bambino,
attirato volta per volta da immagini accostate in modo caotico e divertente (la favola del gatto
con gli stivali con un trattato di pace, la locomotiva con figure della natura come il pesco
fiorito e il cavalluccio marino, i satelliti di Giove in cielo e l'autostrada in terra, la lavagna di
scuola e una grande opera storiografica, un celebre affresco e il burro, la cartolina dalla
Finlandia e il muscolo per masticare ...); ma forse l'accostamento più geniale è quello delle
scarpe con le bugie, cioè di un nome concreto con un nome astratto: ma, nella logica infantile,
le bugie (rappresentate probabilmente dal naso di Pinocchio) sono non meno concrete delle
scarpe che il bambino porta ai piedi. La realtà più concreta di ogni altra (taciuta e rimossa in
tutte le illustrazioni) è però il denaro. Il poeta tenta di spiegare al piccolo Alessandro una
teoria marxiana molto complessa, secondo la quale, nel sistema capitalistico, il valore di ogni
cosa sia il denaro, che riduce a merce tutta la realtà. Nell'ultima strofa, si verifica un
rovesciamento del discorso: al centro è ora direttamente il denaro che però annulla il valore
delle cose (nel linguaggio marxiano, il "valore d'uso" è cancellato dal "valore di scambio").
Anche se permane la struttura retorica basata sull'anafora, si nota un intensificarsi quasi
affannoso dell'anafora stessa, con una ripetizione ravvicinata e ossessiva dei suoi elementi (e
questo è...e questi sono...e sono...e sono...e sono... e sono...) e con un martellante riferimento
alle conseguenze catastrofiche di una logica basata esclusivamente sul profitto: le guerre e i
cimiteri di guerra, le banche asservite al sistema e i libri di storia che raccontano "storie"
mistificate; ma, se il denaro annulla tutti gli altri valori, anche il denaro alla fine si risolve, sul
piano morale, in uno squallido niente.
Da Novissimum Testamentum
Ballata della guerra
La poesia riecheggia una celebre ballata del poeta francese François Villon (1431-1463
circa): la Ballade des dames du temps jadis (Ballata delle dame del tempo che fu).
dove stanno i vichinghi e gli aztechi,
e gli uomini e le donne di Cro-Magnon?
dove stanno le vecchie e nuove Atlantidi,
la Grande Porta e la Invincibile Armata,
5 la Legge Salica e i Libri Sibillini,
Pipino il Breve e Ivan il Terribile?
tutto è finito, lì a pezzi e a bocconi,
dentro le molli mascelle del tempo:
qui, se a una cosa non ci pensa una guerra,
10 un'altra guerra ci ha lì pronto il rimedio:
Metro: versi liberi.
1-2. dove ...Cro-Magnon?: interrogazione retorica, per dire che non esistono più i popoli del passato (i vichinghi e
gli aztechi), come non esistono gli uomini preistorici (Cro-Magnon è una località della Francia in cui, nel 1868,
furono scoperti resti umani dell'età preistorica).
3. Atlantidi: l'Atlantide è il continente perduto, di cui si è fantasticato in passato (si pensava che congiungesse Africa
e America).
4. Grande Porta: detta anche Sublime Porta, designava il governo dell'impero ottomano. - Invincibile Armata:
flotta spagnola del re Filippo II, affondata dagli Inglesi nelle acque del canale della Manica (1588).
5. Legge Salica: raccolta delle leggi dei Franchi (VIII secolo): regolava la successione al trono, escludendo le figlie
dall'eredità paterna. - Libri Sibillini: raccolta di profezie attribuite alla sibilla di Cuma, custodita a Roma antica, nel
tempio di Giove capitolino.
6. Pipino il Breve: maggiordomo franco (741-751), poi re dei Franchi (751-768) - Ivan il Terribile: Ivan IV, zar di
Russia dal 1547 al 1584.
8. le molli mascelle: il tempo sembra avere mascelle molli, perché scorre lentamente, ma finisce con l'annientare
tutto.
205
dove stanno le Triplici e le Quadruplici,
la Belle Epoque e le Guardie di Ferro?
dove stanno Tom Mix e Tom Pouce,
il Celeste Impero, gli Zeppelin, il New Deal,
15 l'Orient Express, l'elettroshock, il situazionismo,
il twist, l'O.A.S., i capelli all'umberta?
tutto è finito, lì, a pezzi e a bocconi,
dentro la pancia piena della storia:
qui, se a una cosa non ci pensa una guerra,
20 un'altra guerra ci ha lì pronto il rimedio:
oh, dove siete, guerre di porci e di rose,
guerre di secessione e successione?
oh, dove siete, guerre sante e fredde,
guerre di trenta, guerre di cento anni,
25 di sei giorni, e di sette settimane,
voi, grandi guerre lampo senza fine?
finite siete, lì a pezzi e bocconi,
dentro il niente del niente di ogni niente:
qui, se a una guerra non ci pensa una pace,
30 un'altra pace ci ha lì pronta la guerra:
principi, presidenti, eminenti militesenti potenti,
erigenti esigenti monumenti indecenti,
guerra alle guerre è una guerra da andare,
lotta di classe è la guerra da fare.
11. Triplici e Quadruplici: alleanze militari: famosa la Triplice Alleanza (1882-1915), firmata nel 1882 a Vienna da
Germania, Austria-Ungheria e Italia.
12. Belle Epoque: periodo di pace e di sviluppo europeo, tra il 1870 e il 1914. - Guardie di ferro: movimento
fascista delle Camicie azzurre romene, costituito nel 1930.
13. Tom Mix: divo cinematografico del film western. - Tom Pouce: famoso nano ("pouce" = pulce), personaggio del
circo.
14. il Celeste Impero: l'impero cinese. - Zeppelin: dirigibili progettati dal generale tedesco Ferdinand von Zeppelin
(1838-1917). - il New Deal: il Nuovo Corso (1933-1938), insieme di riforme promosso dal presidente degli Stati
Uniti F.D. Roosevelt.
15. l'Orient Express: celebre treno internazionale Parigi-Istanbul. - l'elettroshock: cura delle malattie mentali
mediante l'elettricità. - il situazionismo: teoria filosofico-politica di derivazione surrealistica, enunciata dal francese
G. Debord e basata sul superamento dell'arte individualistica e sulla rivoluzione sociale.
16. il twist: ballo americano, in voga in Italia negli anni Sessanta. -l'O.A.S.: Organisation de l'armée secréte,
organizzazione militare segreta fondata dal generale Raoul Sadan nel 1961, per ostacolare la concessione
dell'indipendenza all'Algeria. - i capelli all'umberta: capelli tagliati corti, sul modello della pettinatura del re
Umberto I.
21. guerra ...di rose: allusione alla guerra delle due rose, combattuta in Inghilterra, nel sec. XV, tra le famiglie di
York e di Lancaster.
22. guerre ... successione: la guerra di secessione fu una guerra civile, combattuta negli Stati Uniti in seguito alla
tentata secessione degli Stati del Sud (1861-65); le principali guerre di successione furono: la guerra di successione
spagnola (1702-1714); la guerra di successione polacca (1733-1738); la guerra di successione austriaca (1740-1748).
23. guerre sante e fredde: "sante" furono le guerre di religione; "guerra fredda" è stato detto il conflitto politico e
ideologico tra i blocchi occidentale e orientale, guidati rispettivamente dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica, dal
1945 al 1962.
24-25. guerre...sei giorni: la guerra dei Trent'anni fu un conflitto che coinvolse l'Europa centrale dal 1618 al 1648;
la guerra dei Cento Anni fu combattuta tra Francia e Inghilterra dal 1337 al 1453; la guerra dei sei giorni è la terza
delle guerre arabo-israeliane, combattuta dal 5 al 10 giugno 1967.
26. guerre lampo: allusione al binomio forze meccanizzate-aviazione d'assalto (Blitzkrieg), applicato con successo
dai Tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale (1940-41).
31. militesenti: esonerati dal servizio militare.
33. da andare: da promuovere.
206
DENTRO IL TESTO
Quella di Sanguineti, in Ballata della guerra, è una grande carrellata storica, che parte dalla
preistoria per concludersi con le guerre a noi più vicine nel tempo (la seconda guerra
mondiale, la "guerra fredda", la guerra d'Algeria, la guerra dei "sei giorni" tra arabi e
israeliani). Si tratta di un ininterrotto e assurdo macello, che non ha mai risolto alcun
problema storico, dal momento che ogni guerra ne ha preparata un'altra, e così via,
all'infinito. L'enumerazione del poeta, mescolando ai più atroci conflitti i fatti più disparati e
perfino futili (come il ballo o la pettinatura alla moda) suggerisce un'idea precisa del caos del
mondo. Impressionante è, nella terza strofa, la serie di denominazioni, riferite agli anni, alle
settimane e ai giorni, con cui sono state indicate le guerre, finite poi nella spazzatura del
tempo. Negli ultimi versi, il poeta ricorre all'associazione di parole sulla base della loro
somiglianza fonica (vv. 31-32), per concludere marxianamente che la vera guerra, destinata a
non passare mai di moda nella storia umana e l'unica che vale la pena combattere, è la lotta di
classe.
Da Corollario
tutto sommato (scrisse)...
Dalla raccolta Corollario, riproduciamo la nona poesia, scritta nell'ottobre 1993. Si tratta di
un commento ad un celebre passo dello Zibaldone di Giacomo Leopardi (4174, 22 aprile
1826): «Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male, che ciascuna cosa esista è un male,
ciascuna cosa esiste per fin di male; l'esistenza è un male e ordinata al male [...]. Non v'è altro
bene che il non essere [...]. Il tutto esistente; il complesso dei tanti mondi che esistono;
l'universo; non è che un neo, un bruscolo in metafisica. L'esistenza, per sua natura ed essenza
propria e generale, è un'imperfezione, un'irregolarità, una mostruosità. Ma questa
imperfezione è una piccolissima cosa, un vero neo, perché tutti i mondi che esistono [...] sono
[...] infinitamente piccoli a paragone di ciò che l'universo potrebbe essere se fosse infinito; e il
tutto esistente è infinitamente piccolo a paragone dell'infinità vera, p[er] dir così, del non
esistente, del nulla».
tutto sommato (scrisse), l'esistente, in generale (siamo nel '26):
siamo nel mese di aprile), è una modesta imperfezione: modesta,
certo, a paragone dell'immenso non esistente, del puro e semplice
niente): è un'irregolarità, una mostruosità: la voce mia, così, la mia
scrittura, orribilmente deturpano, lo so (per poco, ancora, la suprema
armonia dell'agrafia, dell'afasia: (già rinuncio, dislessico, a rileggermi):
1. (scrisse): sottinteso: Leopardi. - siamo nel '26: vedi, per la sanguinetiana «poesia delle date», l'incipit di
Novissimum Testamentum, vv. 1-2: «nell'anno novecento e ottanta e due, / sul principio del mese di novembre...»).
6. agrafia: perdita della capacità di formulare per iscritto il pensiero. -afasia: incapacità di esprimersi per mezzo
della parola. - dislessico: affetto da dislessia, cioè dall'incapacità di riconoscere o ricordare le parole scritte, in
seguito ad una malattia nervosa o ad una lesione cerebrale.
DENTRO IL TESTO
Coerente con la sua prospettiva materialistica, Sanguineti commenta un vertiginoso passo
dello Zibaldone leopardiano che punta alla coincidenza tra "tutto" e "nulla". Nella prima
parte (vv. 1-4), il commento si limita ad una corretta parafrasi del pensiero del grande
recanatese, con la sola aggiunta personale della precisazione dell'anno e del mese di aprile in
cui quella riflessione fu messa sulla carta: una «poesia delle date» che il poeta genovese ha
ereditato dall'amato Gozzano. Nella seconda parte (vv. 4-6), Sanguineti applica a se stesso
l'antifrastico elogio leopardiano dell'imperfetto esistente: anche la propria voce e la propria
scrittura - dice il poeta - rientrano nell'imperfezione, nell'irregolarità, nella mostruosità
dell'esistente di cui parla Leopardi, in quanto deturpano l'armonia del "nulla" universale;
207
voce e scrittura si cancelleranno presto nell'agrafia e nell'afasia; ma il poeta non aspetterà il
momento della morte per autocancellarsi; fin da ora (conclude ironicamente) si dichiara
affetto da dislessia e rinuncia pertanto a rileggersi (anche se i due punti annunciano, come di
solito, che il discorso poetico non è ancora chiuso).
Bibliografia essenziale
Edizioni: le opere di Sanguineti sono state pubblicate in gran parte presso Feltrinelli (Milano).
Profilo introduttivo: AA. VV., Edoardo Sanguineti. Opera e introduzione critica, Anterem,
Verona 1993.
Monografie: G. Sica, Sanguineti, La Nuova Italia, Firenze 1974.
Saggi e studi: L. De Maria, Ricognizione sui testi, in Avanguardia e neoavanguardia, Sugarco,
Milano 1966; F. Bettini, Direzioni linguistiche e dinamismo ideologico nella poetica di
Laborintus, in «Quaderni di critica», 1973, 1; T. Wlassics, Edoardo Sanguineti, in Letteratura
Italiana. I contemporanei, VI, Marzorati, Milano 1974; W. Siti, Il realismo dell'avanguardia,
Torino 1975; A. Giuliani, Le droghe di Marsiglie, Milano 1977; F. Bettini, La scrittura
materialistica di Edoardo Sanguineti, in «L'ombra d'Argo», 1983, 1-2; F. Curi, Struttura del
risveglio. Sade, Sanguineti, la modernità letteraria, Il Mulino, Bologna 1991; A. Pietropaoli,
Unità e trinità di Edoardo Sanguineti. Poesia e poetica, E.S.I., Napoli 1991; L. Vetri,
Letteratura e caos. Poetiche della neoavanguardia italiana degli anni Sessanta, Milano 1992;
Id., Sanguineti Angelus Novissimus, in «Lingua e stile», 30 (1995); S. Fava, Intervista a
Edoardo Sanguineti, in «Filologia antica e moderna», 12 (1997).
7.3 Amelia Rosselli
7.3.1 Una poetessa cosmopolita
Di formazione cosmopolita (la più cosmopolita dei poeti italiani), Amelia Rosselli è una
presenza eccentrica nel Novecento poetico italiano: priva di una lingua madre, ha scritto
in italiano, inglese e francese; in italiano, ha adoperato una lingua straniata, in parte
svincolata dalle norme grammaticali, l'“oltrelingua” di un'esperienza sonora che, come
ha dichiarato la stessa Rosselli nel saggio Spazi metrici, è «quella di molti popoli e
riflettibile in molte lingue».
Caratterizzata da un «abbandono al flusso buio e labirintico della vita psichica e
dell'immaginario» (P. V. Mengaldo), la poesia della Rosselli rispecchia una realtà di
stupori, di dolori, di malattie, sullo sfondo di un mondo borghese che non è più quello
montaliano, con i suoi spiragli verso l'Altrove, ma è solo un «non-dove», un mondo
sull'orlo del precipizio, desolatamente immerso nel vuoto di una vita informe. Sarebbe
vana la ricerca, nei versi talora molto oscuri della Rosselli, di un significato preciso;
occorre invece lasciarsi catturare dal ritmo della sua scrittura informale, in cui (scrive
ancora Mengaldo) «per la prima volta si realizza quella spinta alla riduzione assoluta
della poesia a lingua del privato, che si ritrova quindi in non pochi poeti postsessantotteschi». Si tratta di una scrittura pervasa da immagini ossessive che hanno,
nella lirica italiana, un unico precedente nella poesia di Dino Campana. Nei versi della
Rosselli, la favola e il gioco si alternano a un tono oracolare e allucinato, con una
visionarietà che sfiora la "scrittura automatica" del Surrealismo. Considerate tra le più
alte espressioni della lirica italiana del secondo Novecento, le poesie della Rosselli sono
state suggestivamente definite i «blues dell'anima».
208
7.3.2 La vita
Nata nel 1930 a Parigi da madre inglese e da Carlo (l'esule antifascista assassinato nel
1937, insieme con il fratello Nello, dai sicari di Mussolini), Amelia Rosselli si
trasferisce con la madre e i fratelli a Londra e poi negli Stati Uniti: studia a New York e
d'estate, nel Vermont, frequenta gli ambienti quaccheri e lavora in campagna. Nel 1946,
dopo la Liberazione, trascorre alcuni mesi a Firenze, ma poi decide di tornare a Londra,
dove studia musica e composizione e frequenta gli ambienti del laburismo inglese. Nel
1948 è di nuovo a Firenze, presso la nonna paterna, e qui apprende la notizia della
morte della madre, rimasta a Londra. Trasferitasi a Roma, lavora come traduttrice
presso le edizioni di Comunità e si dedica alla ricerca musicologica, studiando in
particolare la dodecafonia, frequentando i corsi estivi di composizione a Darmstadt e
pubblicando saggi su «Diapason», «Civiltà delle macchine», «Il Verri». Stringe intanto
amicizia con artisti e musicisti (Guttuso, Dallapiccola e altri). Nel 1950 conosce Rocco
Scotellaro, del quale condivide le scelte politiche e sociali. Sconvolta dalla morte
precoce di Scotellaro, che si aggiunge ai precedenti lutti familiari, compie anni di lavoro
politico di base nel Partito comunista italiano (dirà più avanti: «Sotto sotto scoprii di
avere l'ansia di mio padre»). Nel corso degli anni Sessanta, si avvicina agli ambienti
della Neoavanguardia, ma rimane ai margini del Gruppo 63, apprezzando solo la poesia
di Antonio Porta. Per tutta la vita soffre di gravi disturbi psichici ed è tormentata dal
morbo di Parkinson. Nel 1996 si suicida gettandosi dalla finestra della sua casa romana:
è l'11 febbraio, lo stesso giorno e mese in cui si era tolta la vita Sylvia Plath, la poetessa
statunitense da lei tradotta.
7.3 Le opere
Cantilena. La prima testimonianza della vena visionaria e tragica della Rosselli sono i
versi di Cantilena, composti nel 1953 dopo la morte di Rocco Scotellaro. Vi si legge,
tra l'altro: «Rocco morto / terra straniera, l'avete avvolto male / i vostri lenzuoli sono
senza ricami / Lo dovevate fare, il merletto della gentilezza!».
L'elaborazione teorica. Negli anni Cinquanta la Rosselli elabora con perseveranza e
passione un linguaggio universale della poesia, mescolando il francese dei primi anni
parigini, l'inglese materno e l'italiano recuperato a diciotto anni. Di ogni lingua Amelia
coglie l'aspetto specialistico, riprendendo dall'inglese il linguaggio dei metafisici e la
novità dirompente della poesia di Eliot e Pound, dal francese il linguaggio di Rimbaud e
del Surrealismo, dall'italiano il linguaggio della tradizione del Novecento da Campana a
Montale. Sul piano ritmico, si avvale della sua esperienza musicologica, aspirando a
produrre in poesia la regolazione del tempo propria della musica e mettendo a confronto
la durata del tempo fra una nota e l'altra e quella fra una sillaba e l'altra. Testimonianza
di questa elaborazione teorica è il Diario di tre lingue (1955-56).
La libellula. Del 1958 è il poemetto lungo La libellula, che sarà pubblicato solo nel
1985 dallo Studio Editoriale di Milano. Il sottotitolo del poemetto è Panegirico della
libertà, ma nelle Note aggiunte nell'edizione del 1985, l'autrice spiega di avere voluto
nel titolo «evocare il movimento quasi rotatorio delle ali della libellula», ma anche le
parole «libello» e «libertà».
L'esordio sul «Menabò». Nel 1963, ventiquattro poesie della Rosselli sono pubblicate
sul «Menabò» di Vittorini, accompagnate da una nota di Pasolini, che mette in evidenza
l'uso, nei versi della poetessa, del lapsus linguistico come "errore" creativo ed
espressione diretta dell'inconscio. La presentazione di Pasolini contribuisce a segnalare
l'originalità di una scrittura poetica ancora conosciuta da pochi.
209
Variazioni belliche. Nel 1964 vede la luce la raccolta Variazioni belliche, che deriva il
suo titolo da una guerra senza quartiere condotta dall'autrice contro una realtà estranea e
nemica e dalla tecnica musicale della "variazione". La raccolta è caratterizzata
dall'adozione di versi molto lunghi, nei quali si esprime «una voce estrema,
sconvolgente, di cieca e lacerata bellezza» (A. Berardinelli). Chiusa in una tristezza
senza scampo («Io contemplo gli uccelli che cantano ma la mia anima è / triste come il
soldato in guerra», scrive in Se l'anima perde il suo dono...), la Rosselli, sulle orme del
suo amato Pound, risale fino a Guido Cavalcanti, per riprenderne la celebre ballata
dell'esilio («Perché non spero giammai tornare nella città delle bellezze / eccomi di
ritorno in me stessa. Perché non spero mai ritrovare / me stessa, eccomi di ritorno fra
delle mura. Le mura pesanti / e ignare rinchiudono il prigioniero»). Struggente è, in Il
soggiorno in inferno era di natura divina, la contemplazione di un giardino fiorito: «Se
sfioravo il giardino / esso mi penetrava con la sua dolcezza nelle ossa / se cantavo
improvvisamente il sole cadeva. Non / era dunque la natura divina delle cose che
scuoteva / il mio vigoroso animo ma la malinconia». Stupenda è la lirica dedicata
all'alba: «L'alba si presentò sbracciata e impudica; io / la cinsi di alloro da poeta: ella
si risvegliò / lattante, latitante. // L'amore era un gioco instabile; un gioco di /
fonosillabe». Liriche come questa sono esemplari - secondo Pier Vincenzo Mengaldo de modo in cui «la Rosselli sente e lascia agire la lingua, letteralmente, in quanto corpo,
organismo biologico, le cui cellule proliferano incontrollatamente». Una straordinaria
poesia d'amore è Per un incontro casualmente inteso... (testo a)
Serie ospedaliera. Nella raccolta successiva, Serie ospedaliera (1969), la Rosselli
rinuncia al tono bellicoso delle Variazioni (e anche al verso lungo) e cerca nel
linguaggio una terapia alla sofferenza: la sua è ora una poesia di difesa dal male del
mondo. Secondo una tradizione poetica che risale a Leopardi, la malattia è assunta dalla
poetessa come un fondamentale strumento di conoscenza.
Documento. La più alta testimonianza della grandezza poetica della Rosselli è, forse, la
raccolta Documento 1966-73 (1976), dove si legge una lirica di ossessiva potenza, come
La passione (testo b). La poetessa acquisisce ora la persuasione che è vano cercare una
difesa nella poesia, considerato il mare di ottusità in cui è immersa la vita: lo dice nella
chiusa della poesia I fiori vengono in dono e poi si dilatano: «Mi truccai a prete della
poesia / ma ero morta alla vita / le viscere che si perdono / in un tafferuglio / ne muori
spazzato via dalla scienza. // Il mondo è sottile e piano: / pochi elefanti vi girano,
ottusi». In Documento, la poesia della Rosselli si risolve in una disperata lirica
dell'amore, che (come si legge in Una tua faccia) «non fa altro che ritardare l'orrore / di
un giorno».
Le ultime opere. Dopo la pubblicazione del poemetto Impromptu (1981) e
dell'Antologia poetica (1987), si è conclusa la parabola creativa della Rosselli (le cui
poesie in inglese sono state tradotte nel 1992 con il titolo shakespeariano Sleep, da un
passo del famoso soliloquio di Amleto). In prosa, la Rosselli ha lasciato il Diario ottuso
(1990), in cui si legge, tra l'altro, questa frase che è quasi un congedo dalla vita: «Partì
senza dire a nessuno che partiva; partiva ed era obbediente ad altri nel partire».
Giudizio conclusivo. Un giudizio felicemente riassuntivo della novità e della grandezza
della Rosselli è quello di Laura Barile: «Se la sua limpida tensione all'astrazione la
avvicina agli esperimenti di Mondrian e Kandinskij, tuttavia la poesia di Amelia
Rosselli è una delle più inquietanti del secolo: per lei lo straniamento è un dato di
partenza anche esistenziale, insuperabile, e la sua lingua è, essa stessa, déréglement,
fragile Rimbaud femmina piovuto a Roma dal cielo, umile e altero albatros con l'ala
ferita» (L. Barile, Amelia Rosselli, in Antologia della poesia italiana, diretta da C. Segre
e C. Ossola, vol III, Ottocento e Novecento, Einaudi, Torino 1999, p. 1633).
210
Da Antologia poetica
Riportiamo, da Antologia poetica, due liriche: la prima è tratta dalla raccolta Variazioni
(1960-1961); la seconda è tratta da Documento (1966-1973).
(Antologia poetica, Garzanti, Milano 1987)
a. Per un incontro...
Per un incontro casualmente inteso mi innamorai
dell'uomo più furbo della terra. O maestra che
mi batti il legno sulle mani tremanti, amore è
allora gioia con desolazione. Determinazione di
ogni mio atto fu ed era ed è ancora la mia furbizia
vigliacca vacca innamorata! O amore uomo più furbo
della terra candida di verde profumo i tuoi cespugli
si sono infittiti di terra di lacrime e di canzoni
puerilmente intese. O terra promessa lasci un
sentiero obliquo come la serpe per i miei piedi
le mie gambe la mia anima obliqua e vetrata, chiesa abituale.
5
10
Metro: versi liberi lunghi.
2. che: monosillabo in fine di verso, che si ripete ai vv. 4 e 9.
4. Determinazione: il lemma nasce, per germinazione, dal precedente desolazione.
6. vigliacca vacca: vigliacca contiene in anagramma vacca.
7. candida...profumo: «candida nasce in attrazione a vacca e genera la sinestesia verde profumo» (L. Barile).
DENTRO IL TESTO
Riproduciamo il commento di Laura Barile:
«I vv.1-2 pongono la premessa fonica e semantica da cui si sviluppa la poesia, per
aggiustamenti progressivi e slittamenti di senso. [...] All'apertura dei vasti campi di libertà
promessi dall'amore si sostituisce (v. 10) il SEntiero tortuoso come la SErpe, sul quale si
introduce di sbieco, Eva cacciata dal Paradiso, il corpo fisico del poeta, e la sua anima
vetrata, cosparsa di vetri rotti, o trasparente come il vetro. Vetrata genera la chiesa / abituale
della solitudine.
Il tradimento legato alla furbizia ha il suo rovescio nell'errore di amarlo, un destino che da
subito mescola gioia con desolazione: la furbizia si rovescia anche sull'io lirico, la vicenda si
infittisce di dolore (i cespugli pieni di terra, le lacrime, le canzoni puerilmente intese)
sfiorando con leggerezza e ironia il melodramma e coinvolgendo tutti nella colpa, senza
residui di risentimento, verso la solitudine finale nella chiesa dell'anima vulnerata».
(L. Barile, Amelia Rosselli, cit., p. 1638)
b. La passione...
La passione mi divorò giustamente
la passione mi divise fortemente
la passione mi ricondusse saggiamente
io saggiamente mi ricondussi.
alla passione saggistica, principiante
nell’oscuro bosco d’un noioso
211
dovere, e la passione che bruciava
nel sedere a tavola con i grandi
senza passione o volendola dimenticare
io che bruciavo di passione
estinta la passione nel bruciare
io che bruciavo nel dolore, nel
vedere la passione così estinta.
Estinguere la passione bramosa!
Distinguere la passione dal
vero bramare la passione estinta
estinguere tutto quel che è
estinguere tutto ciò che rima
con è: estinguere me, la passione.
la passione fortemente bruciante
che si estinse da sé.
Estinguere la passione del sé!
estinguere il verso che rima
da sé: estinguere perfino me
estinguere tutte le rime in
«e»: forse vinse la passione
estinguendo la rima in «e».
Metro: strofe che variano fra i due e i quattro versi liberi lunghi. incatenati con la tecnica delle variazioni.
DENTRO IL TESTO
Scrive Laura Barile: «È un manifesto di poetica sulla funzione di contenimento e di
trasformazione operato dal rigore formale sulla passione esistenziale, amorosa, erotica,
travolgente: il paradossale climax ascendente culmina nell'autolesionistico, ma pur sempre
ironico, v.24: estinguere perfino me, ribaltato nella terzina finale nell'ipotesi opposta e
compresente (forse vinse la passione)». (L. Barile, Amelia Rosselli, cit., p. 1642).
Bibliografia essenziale
Edizioni: Le poesie, a cura di E. Tandello, prefaz. di G. Giudici, Garzanti, Milano 1997.
Traduzioni da S. Plath in Le muse inquietanti, a cura e con trad. di G. Morisco, Milano 1985;
altra selezione in «Poesia», 44, con il saggio Istinto di morte e istinto di piacere (risposta a R.
Rossanda su S. Plath). Sleep. Poesie in inglese, trad. it; di E. Tandello, Garzanti, Milano 1992.
Dieci poesie tradotte in E. Dickinson, Tutte le poesie, a cura di M. Bulgheroni, Milano 1997.
Saggi e studi: P.P. Pasolini, Notizia, in «Il Menabò», 6, 1963; G. Giudici, Per Amelia Rosselli,
saggio premesso a: A. Rosselli, Antologia poetica, cit.; N. Lorenzini, Gli enigmi della poesia,
in «il Verri», 3-4, 1987; C. Milanini, Antologia poetica, in «Belfagor», marzo 1988; A.
Zanzotto, Aure e disincanti, Milano 1994; A. Berardinelli, «Il mio canto solitario». Per Amelia
Rosselli, in «Linea d'ombra», giugno 1996: «Galleria», numero doppio dedicato ad A. Rosselli,
48 (1997), n. 1/2.
212
7.4 Andrea Zanzotto
7.4.1 Da Pieve di Soligo all'universo
L'«arcadia eroica» di Zanzotto. Considerato da Gianfranco Contini «il più importante
poeta italiano dopo Montale», Andrea Zanzotto non è certo un poeta di agevole lettura,
poiché il suo linguaggio riflette con asprezza e rigore i traumi contemporanei.
L'«arcadia eroica» (F. Bandini) di Zanzotto, apparentemente chiusa nel perimetro
geografico di una piccola "isola" trevigiana, tra la vallata del Piave e il Montello, si apre
in realtà alla dimensione cosmica dell'astrofisica: come era già accaduto per la Recanati
di Leopardi, la Pieve di Soligo di Zanzotto diviene il modello di una condizione umana
universale. Poeta terragno («ctonio», come lo definì Contini), Zanzotto ha sempre
mantenuto un rapporto stretto con il paesaggio del suo paese, nel quale è sempre
vissuto. Il paesaggio non è solo, per il poeta, il contatto fisico con le rocce, l'erba, le
piante della propria terra, ma è anche uno spazio mentale e un mezzo di conoscenza: la
ragione dell'attaccamento di Zanzotto a Pieve di Soligo è infatti da cercare nel suo
terrore della storia, che, a partire dall'esplosione della prima bomba atomica, si presenta
come minaccia incombente di distruzione dell'uomo.
La deformazione della parola. Terrorizzato dalla storia, il poeta si nasconde «dietro il
paesaggio» (come suona il titolo della sua prima raccolta di versi): un paesaggio
arcadico, agreste, sul quale incombe però l'incubo di un disastro ecologico, provocato
dalla nevrosi del mondo tecnologico e consumistico. Di qui l'uso nevrotico del
linguaggio da parte dell'autore, che, deformando e frantumando la parola, traduce
poeticamente la disgregazione della società del benessere.
Zanzotto e la Neoavanguardia. Siamo dinanzi a un processo di disgregazione del
linguaggio, che sembra avvicinare Zanzotto ai poeti della Neoavanguardia; mentre però
Sanguineti e gli altri «novissimi» intendono sabotare il linguaggio "borghese", lo scopo
di Zanzotto è quello della ricomposizione di un rapporto autentico con la realtà, che
nasca dalla dissoluzione del linguaggio tradizionale. In altre parole, mentre la
Neoavanguardia parte da istanze sociologiche, ignorando la natura, è proprio la natura la
matrice della poesia di Zanzotto. Si tratta allora, da una parte, di sconvolgere le strutture
tradizionali del linguaggio, scoprendo nuovi significati nelle suggestioni foniche della
parola; e, dall'altra parte, di risalire al linguaggio dell'infanzia, inteso come espressione
dell'inconscio, per aggrapparsi a quei pochi barlumi di significato che ancora
sopravvivono, per ricondurre cioè il linguaggio alle sue origini biologiche.
Il plurilinguismo di Zanzotto. Poeta coltissimo, conoscitore del pensiero filosofico
(soprattutto da Nietzsche a Heidegger) e dotato di una formidabile apparecchiatura
retorica, Zanzotto si appella al sapere scientifico più autentico, come difesa contro gli
stravolgimenti operati da un distorto sviluppo di scienza e tecnica, e mantiene un saldo
legame con le scienze umane, in particolare la psicoanalisi e la linguistica: di qui la
complessità del suo linguaggio, colmo di lessico scientifico, di termini tecnici, di segni
grafici, ma anche di parole greche e latine, alternate alle espressioni dei mass-media e ai
termini dialettali e del linguaggio infantile. Per questa sua capacità di passare dal
sublime al primitivo, da espressioni vertiginosamente liriche alla lingua primordiale
della culla (il suo celebre "petèl"), Zanzotto si è affermato non solo come innovatore del
linguaggio poetico, ma anche come il poeta dei "fili d'erba" della speranza che nascono
in un paesaggio di rovine.
213
7.4.2 La vita. Le opere in prosa
Vita. Nato nel 1921 a Pieve di Soligo (Treviso), dove (tranne i soggiorni di alcuni anni
in Francia e in Svizzera) è sempre vissuto fino alla morte (2011), Andrea Zanzotto ha
conseguito nel 1937 il diploma di maestro. Laureatosi in Lettere all'università di Padova
(dove ha avuto come maestri Concetto Marchesi e Diego Valeri), ha partecipato alla
Resistenza nelle file di Giustizia e Libertà, occupandosi della stampa clandestina. Nel
1950 ha ottenuto il premio San Babila di poesia, da una giuria di cui facevano parte
Montale, Ungaretti, Quasimodo, Sereni, Sinisgalli. L'esperienza bellica ha acutizzato in
lui la nevrosi di cui soffriva dall'infanzia. Ha insegnato nella scuola media del suo paese
fino all'età della pensione. Collabora con numerosi giornali e riviste.
Le prose. All'amato paesaggio veneto è dedicato il primo libro in prosa di Zanzotto,
Sull'Altopiano (1964), serie di divagazioni sul tema della solitudine, cui è seguita la
pubblicazione in volume di alcuni racconti (Racconti e prose, 1990). Del 1995 è il
saggio Europa melograno di lingue. Nel Meridiano Mondadori del 1999 è stata
pubblicata, con il titolo Prospezioni e consuntivi, una serie inedita di saggi teorici,
interviste, interventi.
Gli scritti critici. Molto acuti sono gli scritti critici di Zanzotto, raccolti in Fantasie di
avvicinamento (1991) e in Aure e disincanti del Novecento letterario (1994).
7.4.3 Le opere poetiche
Dietro il paesaggio. Dopo i versi adolescenziali e giovanili (raccolti solo nel 1972 con il
titolo emblematico A che valse?), il primo libro di Zanzotto, Dietro il paesaggio, esce
nel 1951. Di folgorante novità, il titolo è archetipico dell'intera produzione zanzottiana.
Si tratta di una sorta di viaggio "dentro" un paesaggio veneto gelido e astratto, evocato,
nei modi di un tardo ermetismo (che risente soprattutto della lezione di Ungaretti),
come rifugio contro la minaccia di una catastrofe incombente. Nella disgregazione della
realtà, il paesaggio è l'unica certezza: è la "terra nativa" di Hölderlin, la piccola patria (o
"matria", come dice Contini) che ha un volto materno e consolatorio; ma "dietro" di
esso c'è un paesaggio latente, un mitico "altrove", che rinvia a una oscura e sgomentante
presenza cosmica: si rinnova così, all'insegna della più alta tradizione letteraria, il
motivo pascoliano del rapporto tra il "cantuccio" e gli astri. Esplicito è, nella penultima
sezione della raccolta («Sponda al sole»), il riferimento a Hölderlin, del quale si
riproduce in exergo un verso: «Ihr teuern Ufer, die mich erzogen einst ...» (O care rive
che un giorno mi cresceste, da Die Heimat, "Paese natale"). Tra le liriche della raccolta,
sono da ricordare Ormai, con la sua memorabile conclusione (Qui non resta che cingersi
intorno il paesaggio / qui volgere le spalle) e Elegia pasquale, con il suo bellissimo
attacco: Pasqua ventosa che sali ai crocifissi / con tutto il tuo pallore disperato, / dov'è il
crudo preludio del sole?
Dalla linea poetica di Dietro il paesaggio non si discosta la raccolta successiva, Elegia e
altri versi (1954), dove però si accentua, in chiave leopardiana, il tema dell'angoscia,
mentre il paesaggio assume una connotazione sempre più negativa. Emblematica è, in
questo senso, la prima delle Storie dell'arsura, dove il poeta così si rivolge al Soligo (un
affluente del Piave): Vuoto d'acque, misero scheletro / lungo le case del mio paese, /
Soligo io ti guardo e non mi basta / la Pasqua dell'Angelo, non piove da mesi. / Hai sete,
piccolo fiume imbavagliato / nudo nudo e senza parola...
Da Vocativo alle Ecloghe. In Vocativo (1957) si consuma la frattura tra l'io nevrotico e
il mondo, e, nel contempo, il linguaggio comincia a disgregarsi; la presenza della natura
non vale ad allontanare i fantasmi della mente, e le promesse della primavera sono
214
effimere e scarsamente credibili (Fiume all'alba). Invano l'io si aggrappa alle cose,
chiamandole per nome, nel tentativo di ristabilire un rapporto con la realtà e di sfuggire
alla nevrosi. Il poeta ha ormai preso le distanze dall'Ermetismo: nella sua lirica prevale
«una tematica di titanismo esistenziale e cosmico» (F. Fortini). Una minaccia cosmica è
quella che insidia il dolce paesaggio di Dolle (una località di Pieve di Soligo), come si
legge nella chiusa di Caso vocativo (Vedo felci / avanzare e sciuparsi nelle nere /
correnti, e tra vaganti / inferni, gorghi atomici, il pudore d'ortica / e il vino e il dolce
lavoro di Dolle / deprimere il suo lume, / la vite inclinarsi disossata / sventurata sulle
case, l'uva / chiudere il vento e il giorno). In I compagni corsi avanti, la tragedia della
guerra (personificata nel nome di Hitler) irrompe nella campagna, atrocemente
illuminata dal fosforo dei bengala (Strugge la mite / notte Hitler, di fosforo...). Il poeta,
atterrito e confuso, dubita della propria identità e non riesce a realizzare una totalità con
l'universo (si veda l'attacco di Prima persona: -Io- in termini continui, -io- disperso / e
presente: mi giunge / l'ora tua, / mai suona il cielo del tuo vero nascere). La raccolta si
chiude con Fuisse ("essere stato", in latino): una dolente elegia, in cui il poeta
compiange le tombe della gente semplice, priva ormai del dialetto, delle grandini, delle
vendemmie, di tutte le cose che riempivano la loro povera vita (Pace per voi, per me /
buona gente senza più dialetto, / senza pallide grandini / di ieri, senza luce di
vendemmie...) e alla fine si proietta in un futuro apocalittico, che renderà vana tutta la
sua esperienza (Futura età, urto di pietra / sulfureo sangue che escludi / che
inintelligibili fai questi / fiori e gridi ed amori, / non-uomo mi depongo / ad attenderti
senza nulla attendere, / già domani con me nel mio fuisse, / pieghe tra pieghe della terra
/ cieca ad ogni tentazione d'alba).
Si apre così la strada alle IX Ecloghe (1962), che segnano una netta rottura con la
tradizione novecentesca. Il genere classico dell'ecloga (componimento poetico di
carattere pastorale) è rivisitato con un preciso riferimento alle dieci ecloghe che
compongono le Bucoliche di Virgilio, ridotte però a nove, quasi per sottolineare la
distanza dal mondo classico. Ciascuna delle nove ecloghe è accompagnata da una lirica,
a eccezione della quarta ecloga, alla quale segue un intermezzo di otto liriche: di grande
rilievo, tra queste, Così siamo, dove, paradossalmente, solo il nulla è considerato come
veramente esistente. Si sviluppa, nelle IX Ecloghe, il plurilinguismo del poeta, che
mescola il più alto linguaggio lirico con i termini tecnici e le espressioni più banali del
linguaggio quotidiano; parallelamente, sul piano tematico, il mondo arcaico della
campagna entra in contatto con l'universo tecnologico. Ha inizio inoltre, nella raccolta,
il predominio del significante (cioè dell'elemento formale, fonico e grafico, della
parola). Si veda la lirica di accompagnamento alla prima ecloga, 13 settembre 1959 (la
data in cui uno sputnik sovietico toccava per la prima volta la superficie lunare): in
forma di litania, rivolgendosi alla luna con il "tu" leopardiano, il poeta registra una serie
di attributi lunari generati dall'accostamento dei significanti (Luna puella pallidula...
Luna neve nevissima novissima...), che, nel loro insieme, sottolineano la perdita di
connotazioni simboliche della luna, con il conseguente impoverimento dell'animo
umano. Ma, nella lirica d'accompagnamento alla seconda ecloga, Nautita celeste, il
poeta reagisce all'espropriazione di significato poetico subìta dalla luna, opponendo una
resistenza sentimentale, celata a malapena dal titolo ironico (Vorrei renderti visita / nei
tuoi regni longinqui / o tu che sempre / fida ritorni alla mia stanza / dai cieli, luna...).
Spiccano, tra le ecloghe, l'Ecloga V, con la lode della località di Lorna, «gemma delle
colline» (dove nulla poteva distrarre il poeta dalla contemplazione della natura, «non il
Baffetto non il Baffone non il Crapone», cioè Hitler, Stalin, Mussolini) e l'Ecloga IX,
Scolastica, dove mirabile è la contrapposizione tra l'ingenua freschezza dei bambini e la
menzogna in cui si risolve spesso l'insegnamento (Ma che dirai a quelle anime di brina,
/ di arnia, a quel festante grappolo [...]. Sorgono i bimbi da lane e stupori / d'autunno
215
[...]. Vengono i bimbi, ma nessuna parola / troveranno, nessun segno del vero. //
Mentiremo? Mentirà il mondo in noi ...).
La Beltà. Espressione della piena maturità di Zanzotto e uno dei libri più innovativi
della poesia italiana del secondo Novecento è La Beltà (1968), il cui titolo desueto
sostituisce quello ormai impraticabile di "bellezza", degradata a oggetto commerciale.
Con La Beltà «il rapporto significante/significato si rompe» (S. Agosti): il significante,
cioè, si riduce a puro suono, senza alcuna relazione con gli oggetti, e diviene talora
balbettìo infantile, mediante la ripetizione della sillaba iniziale della parola («fa-favola»,
«ser-sereno», ecc.). Di qui la centralità, nella raccolta, dell'Elegia in petèl, che segna la
riscoperta di un linguaggio inusitato e atavico (appunto il petèl), usato dalle madri
venete per vezzeggiare i loro bambini. Nell'illustrare il gioco linguistico tra significante
e significato, per il quale Zanzotto deve molto allo psicoanalista francese Jacques
Lacan, si è forse insistito eccessivamente, da parte della critica, sul significante, mentre
quella del poeta di Soligo è in realtà una disperata ricerca di senso, da cogliere negli
affioramenti dell'inconscio: come è stato ben detto, «Zanzotto nel fondo oscuro del
significante intende rintracciare il fondo oscuro del significato, e cioè della vita» (R.
Luperini). In una recente intervista, Zanzotto ha così chiarito il rapporto tra significante
e significato: «Ho sempre creduto che il significante sia una fonte infinita di significati.
Basti pensare alla Divina Commedia: l'obbligo di costruire delle terzine libera delle
immagini straordinarie, guida a creazioni che vengono per la pura spinta del
significante, del suono».
Memore di Hölderlin e della sua tremenda sentenza secondo cui «siamo un segno senza
significato», Zanzotto scrive uno dei suoi testi più esemplari, Sì, ancora la neve. La
lirica è introdotta da un exergo che ne anticipa il senso: «Ti piace essere venuto a questo
mondo?» -Bamb.: «Sì, perché c'è la STANDA». Nella piccola cittadina di montagna, il
bambino, interrogato sul piacere di vivere, risponde di preferire alla bianca maestà della
natura i colori di un grande magazzino. La risposta sconcerta il poeta, che, da bambino,
rimaneva incantato dalla neve, dai pini, dalle acque della natura, sostituita ora, nelle
preferenze di un bambino d'oggi, da un centro di vendita. Si veda con quale feroce
ironia il poeta, ricorrendo ad espressioni bamboleggianti e ad una catena di significanti
che riproducono il linguaggio dei fumetti, rappresenti la mercificazione della società,
estesa al tema religioso dell'umbra fuimus ("siamo stati ombra") e agli splendidi colori
della natura, soppiantati dai «colorini più o meno truffaldini» delle merci esposte (Ma
presto i bambucci-ucci / vanno al grande magazzino / -ai piedi della grande selva- /
dove c'è pappa bonissima e a maraviglia / per voi bimbi bambi con diritto / e
programma di pappa, per tutti / ferocemente tutti, voi (sniff sniff / gnam gnam yum yum
slurp slurp: / perché sempre si continui l'«umbra fuimus fumo e fumetto»): / ma qui / ahi
colorini più o meno truffaldini / plasmon nipiol auxol lustrine e figurine / più o meno
truffaldine...). La conclusione è un'accorata invocazione alla neve: (Detto alla neve:
«Non mi abbandonerai mai, vero?»). Il mondo intero, del resto, si comporta come un
bambino dispettoso, dice il poeta in Al mondo, un ironico invito agli uomini perché,
imitando Münchhausen, si tolgano dalla palude tirandosi per i capelli.
Due serie di liriche si succedono in La Beltà. La prima serie, di dieci componimenti, è
raccolta sotto il titolo Possibili prefazi o riprese o conclusioni: le congiunzioni
disgiuntive mostrano la coincidenza, nella ricerca poetica, dell'inizio, della replica e
della fine e pertanto «alludono già con moderata ironia all'instabilità-oscillazione che è
caratteristica fondamentale e tematica e linguistica della raccolta» (H. Grosser). Più
costruttiva è la seconda serie di diciotto liriche, dal titolo Profezie o memorie o giornali
murali, dove prevale una ricerca di stabilità, identificata nella memoria del passato e
nell'anticipazione del futuro, che il poeta raccoglie in un personale "tazebao".
Personificazione del mito arcadico è, in Le profezie di Nino, il contadino Nino Mura,
216
«fantasioso agricoltore» che conosce «gli arcani del tempo e della natura >> e rifiuta
tutto ciò che non è naturale, a cominciare dal vino sofisticato. Nino, alter ego del poeta,
è rappresentato mentre pedala «tra i settanta e ottanta anni» e continuerà ad andare in
bicicletta anche a novant'anni (come ci informa una lirica di Idioma, Nino degli anni
ottanta, morirà a novantasei anni nel 1988). L'ultima lirica della raccolta, E la madre norma, dedicata a Franco Fortini, si risolve in un imperativo, rivolto petrarchescamente
alle proprie «dolenti...parole estreme», a continuare a poetare ad ogni costo (... torno a
capo ogni volta ogni volta poemizzo / e mi poemizzo a ogni cosa e insieme / dolenti
mie parole estreme / sempre ogni volta parole estreme / insieme esercito in pugna folla
cattiva o angelica: state).
Gli Sguardi i Fatti e Senhal. Nel poemetto Gli Sguardi i Fatti e Senhal (1969), scritto e
pubblicato nell'anno stesso in cui ebbe luogo lo sbarco americano sulla luna, si prolunga
la denuncia (presente nella raccolta precedente) della violenza perpetrata dai massmedia su uomini trattati come bambini, incapaci (nel diluvio dei fumetti e dei prodotti
di un deteriore erotismo) di riconoscere la vera «beltà». L'industria dei nuovi sogni del
consumismo prende il posto del mito sublime della luna, dissacrato dagli astronauti.
Pasque. Nel 1973 Zanzotto pubblica Pasque, dove l'occasione religiosa della Pasqua è
assunta come fonte di simboli, come quello prenatale dell'uovo, luogo della regressione
e fonte della vita. Vertice di tutto il libro è La Pasqua a Pieve di Soligo, un poemetto in
distici, con tredici personaggi corrispondenti ad altrettante lettere dell'alfabeto ebraico:
un componimento stupefacente, che potrebbe essere definito, con Franco Fortini, «per
orchestra tradizionale e insieme per strumenti elettronici».
Filò. Già annunciato dall'Elegia in petèl di La Beltà, il dialetto assume la parte di
protagonista della poesia zanzottiana in Filò (1976), un titolo che significa, secondo la
definizione dell'autore, «veglia di contadini, nelle stalle durante l'inverno, ma anche
interminabile discorso che serve a far passare il tempo e a nient'altro». La raccolta è
articolata in due parti: la prima contiene due componimenti in dialetto veneto
(Recitativo veneziano e Cantilena londinese), scritti per essere inseriti in un film di
Federico Fellini, Casanova; la seconda, in solighese (un dialetto trevigiano arcaico,
parlato nella valle del fiume Soligo), costituisce il vero e proprio Filò. Il momento
centrale della raccolta è la rievocazione del terribile terremoto che, nel 1976, portò
distruzione e morte nel Friuli: il poeta ne prende spunto per dar ragione a Leopardi,
autore della Ginestra, nella deprecazione delle guerre fratricide, che costringono gli
uomini «a cavarse i oci un co l'altro» e «a sbudelarse par tre o quatro pèrteghe», invece
di unirsi per combattere contro la Natura, che però, con una significativa correzione,
non è più solo «matrigna», ma «mare da maledir e da adorar» («madre da maledire e da
adorare»).
Una trilogia di suggestione dantesca. Un disegno architettonico, che risente della
suggestione della Commedia dantesca, unisce tre raccolte di Zanzotto (Il Galateo in
Bosco, 1978; Fosfeni, 1983; Idioma, 1986): anche se l'autore parla di «una assai
improbabile trilogia», è infatti impossibile sottrarsi al ricordo dello schema dantesco,
nel passaggio dal Galateo in Bosco (dove il "bosco" rimanda all'allegoria della «selva
oscura», dominante nel primo canto dell'Inferno) ai Fosfeni, una sorta di poesia
visionaria, immersa in una tenue luce purgatoriale, fino all'umano "paradiso" della
quotidianità di Idioma, un tentativo di ricongiungere l'io con l'universo nell'incontro di
tutti gli idiomi umani.
Il Galateo in Bosco. Sfondo di questa raccolta è il bosco del Montello, dove Giovanni
della Casa elaborò il celebre Galateo e dove si svolse una sanguinosa battaglia nel
1918; il titolo costituisce quindi un ossimoro: da una parte, le «buone maniere»
celebrate da un illustre esponente della letteratura cinquecentesca, e, dall'altra, il teatro
di una spaventosa carneficina, ricordata dalla "linea degli ossarî", «il cui terriccio è
217
saturo di resti di tanti caduti restituiti nel disfacimento a una vita elementare» (G.
Contini). L'antitesi Galateo/Bosco rimanda all'opposizione eterna tra civiltà e barbarie,
tra vita e morte.
Il Galateo in Bosco è il più geometrico dei libri di Zanzotto: esso è infatti tripartito:
all'inizio, diciotto componimenti (suddivisi a loro volta nelle due sezioni di «Cliché» e
del vero e proprio «Galateo in Bosco»); al centro, un «Ipersonetto», formato da una
premessa, quattordici sonetti, una postilla; nella parte conclusiva, altri diciotto
componimenti. Di grande rilievo, con echi da Foscolo e da Heidegger, è il Sonetto di
Ugo, Martino e Pollicino. Tra le altre liriche, si segnala la serie dal titolo Sotto l'alta
guida, che riprende un'espressione del «Bollettino della Vittoria» del 1918: la prima
lirica ricorda che nel carnaio della Grande Guerra, morirono come mosche seicentomila
soldati italiani; in una nota, Zanzotto spiega di essersi ispirato ad una canzone popolare
proibita il cui tema era: «noi come le mosche dobbiam morir». È anche da ricordare,
nella stessa serie, la lirica dedicata a Giovanni Comisso che, in piena battaglia, sale sul
ciliegio per gustarne i frutti e affermare così il principio di piacere insopprimibile
nell''uomo. Sorta di "poema geografico", che riporta perfino mappe, segnali e cartelli
stradali, la raccolta è un fitto intreccio di parole e segni, lingue e dialetti, impennate
liriche e momenti di poesia didascalica.
Fosfeni. Il termine clinico di "fosfeni" indica (come avverte l'autore) «vortici di segni e
punti luminosi che si avvertono tenendo gli occhi chiusi e comprimendoli o anche in
situazioni patologiche». Si tratta di una metafora che allude alla fosforescente oscurità
della poesia. Fosfeni, scrive G.L. Beccaria, è «il nord mentale, l'arido limite
dell'indicibile»: una luce di gelo filtra in effetti, nei versi della raccolta, su un paesaggio
dolomitico, che sembra irraggiungibile nel suo abbagliante candore. Una serie di
personaggi femminili (che ricordano le grandi apparizioni di donne del Purgatorio
dantesco) pervade Fosfeni: assistito da queste presenze consolatrici, il poeta intraprende
la sua ascensione mentale verso le vette gelide della contemplazione, fino a un
vertiginoso annullamento nel silenzio cosmico. Tra le liriche della raccolta è da
ricordare Vocabilità, fotoni, dove compaiono due sante popolari: Eurosia, da invocare
contro la grandine, e Lùcia (con l'accento del nome latino e di quello dialettale,
"Lùssia"), la santa orbata degli occhi, la cui celebrazione era posta ai limiti dell'antico
solstizio invernale, quando la notte prevale sulla luce. Un'altra presenza femminile è
quella della maestra Morchet, medaglia d'oro del Ministero della Pubblica Istruzione,
già bonariamente presa in giro in una lirica di Pasque, ora rappresentata ottantenne
nell'atto di attraversare la strada come un porcospino in balìa delle automobili (La
maestra Morchet vive).
Idioma. Un rinnovato rapporto di confidenza tra l'io e il mondo pervade Idioma, la
raccolta più "corale" di Zanzotto, nella quale ritornano insistentemente memorie ed
espressioni del Paradiso dantesco. Nella prima parte prevale il tono commemorativo,
specie nei componimenti dove la memoria privata si unisce a quella collettiva. Altre
volte, come in Tato padovano, la morte appare più che mai inspiegabile, nella sua
assurda violenza.
La seconda parte di Idioma ha di nuovo come protagonista il dialetto (ed è significativo
che proprio in dialetto Zanzotto rivolga il suo omaggio a Montale in occasione del suo
ottantesimo compleanno). Particolare rilievo ha la serie dei «mistieròi», dedicata ai
"piccoli mestieri" scomparsi, quali l'ombrellaio, il lattoniere, l'arrotino ecc.,
testimonianze di un rapporto non ancora "impazzito" tra uomo e mondo: si tratta di una
«epopea minima» che, come scrive D. M. Turoldo, si risolve in una «battaglia, in ultima
istanza, rivolta contro la lingua del padrone, in difesa delle minoranze», e in questo
senso costituisce un «avvenimento che è insieme letterario e politico». Esplicitamente
politiche sono alcune liriche di Idioma: Verso il 25 aprile, commosso ricordo dei
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partigiani caduti (Il vostro perire -nel sacro della primavera- / mi sembrava la radice
stessa di ogni sacro) e Il nome di Maria Fresu, una vittima dell'attentato terroristico alla
stazione di Bologna (molto significativa, nella sua essenzialità, la nota del poeta che
spiega il titolo: «Maria Fresu è rimasta letteralmente polverizzata dalla bomba alla
stazione di Bologna, tanto che si dubitò a lungo se fosse realmente stata tra le vittime.
Ridotta unicamente al suo nome»). Uno squarcio cosmico si apre in una delle ultime
liriche della raccolta, Nix Olympica: percorrendo in auto una pianura che va verso un
«instancabile nord», il poeta evoca «nubi impennate su come al monte di Marte / Nix
Olympica / quello alto 24000 metri».
Meteo. Dopo dieci anni di silenzio, Zanzotto pubblica Meteo (1996), venti
componimenti che anticipano un'opera molto più ampia in elaborazione. Il titolo del
libro (preso dalla parola che annuncia il servizio quotidiano televisivo sulle previsioni
del tempo) allude alla parola poetica soffocata da quel mezzo di comunicazione
invadente e pervasivo che è appunto la televisione. Il poeta si pone in ascolto della
natura e ne contempla la flora: il regno vegetale domina incontrastato con le sue vitalbe
e i suoi papaveri, i suoi «pappi» e i «topinambúr» (piante erbacee perenni), in un
lussureggiante trionfo di colori (verde, rosso, giallo), ossessivamente presenti in ogni
testo. Il colore privilegiato è il rosso dei papaveri, che diventa, in Altri papaveri,
l'emblema delle stragi perpetrate in Jugoslavia: impressionante è l'immagine (rimasta
nella memoria di tutti) delle vittime dei cecchini cetnici che corrono disperatamente
(Correre correre / coprendosi in affanno teste e braccia e corpi orbi / correre correre per
chi / corre e corre sotto calabroni e cecchini / e in orridi papaveri finì»). Un'altra
tragedia, evocata in Ticchettio, è quella dell'esplosione della centrale atomica di
Chernobyl: il drammatico "ticchettio" è quello dei contatori Geiger che rilevano la
radioattività. Scrive Gian Luigi Beccaria che la forza di Meteo risiede nell'«ambiguità
tra vita e morte, tra apocalissi e bellezza», tra «indizi, inizi di vita [...] e preannunci
della fine, ora che la sera del secolo è giunta».
Sovrimpressioni. Nel 2001 Zanzotto ha pubblicato una nuova raccolta di poesie,
Sovrimpressioni. Fanno parte della raccolta le «canzonette ispide», scritte in parte nel
dialetto di Pieve di Soligo; in una di esse, il poeta dice amaramente di non sentire più il
senso profondo e rasserenante che sale dalla natura: piovono invece matasse d'acqua che
ci rincorrono «fin drento 'l nostro gnent» (fin dentro il nostro niente). A questo punto il
poeta passa dal dialetto all'italiano, prorompendo in un grido: Alza, alza, natura / il tuo
stereo, moltiplica i tuoi cupi / cavernosi altoparlanti, / tòn e sciantìs [tuoni e saette] /
fischi, grattamenti / di microfoni già spenti. L'urlo del temporale paragonato al gracidare
di uno stereo è un drammatico emblema dell'attuale condizione dell'uomo, non più in
grado di ascoltare la voce della natura. Allo stesso modo, in una lirica dal titolo Sera del
dì di festa, straziante è la parodia dell'omonima lirica leopardiana: «Sera, immensa ti fai
di suoni nani / di tossici juke-box». Infine, rivolgendosi ad una sua coetanea afflitta da
una grave malattia, il poeta scrive: Carissima coetanea, / già brillante beltà, / eri nitida
anziana / fin poco tempo fa. / È giunto poi l'alzaimer / a trasformarti in smalto (si ricordi
che smalto è pietra in Dante). Ritroviamo in questi versi quella «beltà» che è stata il
mito centrale della poesia di Zanzotto e che ora è minacciata dall' “alzaimer”
tecnologico che ha devastato il paesaggio e ha pietrificato la possibilità stessa di fare
poesia. Ma il poeta non si arrende e “sovrimpone” i suoi versi (come vuole il titolo) ad
un paesaggio devastato, che però gli è ancora caro.
219
Da Vocativo
La lirica fa parte di Vocativo, una raccolta di testi composti tra il 1949 e il 1956, che trae il
titolo dalla struttura delle poesie, rivolte verso qualcuno o qualcosa (qui, verso il fiume).
(Le Poesie e Prose scelte, a cura di S. Del Bianco e G.M. Villalta, con due saggi di S. Agosti e
F. Bandini, Meridiani Mondadori, Milano 1999)
Fiume all'alba
acqua infeconda tenebrosa e lieve
non rapirmi la vista
non le cose che temo
e per cui vivo
5
Acqua inconsistente acqua incompiuta
che odori di larva e trapassi
che odori di menta e già t'ignoro
acqua lucciola inquieta ai miei piedi
da digitate logge
da fiori troppo amati ti disancori
t'inclini e voli
oltre il Montello e il caro acerbo volto
perch'io dispero della primavera.
10
Metro: versi liberi
7. di larva: di fantasmi. - trapassi: trascorri (in senso metaforico, "muori").
10. da digitate logge: riferimento alle splendide ville del Veneto, ornate di logge, che le mani di incivili visitatori
deturpano con scritte vandaliche.
11. ti disancori: ti distacchi.
12. il Montello: colle del Veneto, a destra del Piave: nel 1918 fu teatro di una delle più aspre battaglie della prima
guerra mondiale.
DENTRO IL TESTO
La lirica è organizzata sulla base del "principio di ripetizione", che ha la sua espressione
retorica nell'anafora: acqua infeconda (v.2)... Acqua inconsistente (v.6)... acqua incompiuta (v.
6)... acqua lucciola inquieta (v.9); non rapirmi (v.3)... non le cose (v.4); che odori di larva
(v.7)... che odori di menta (v.8); da digitate logge (v.10)... da fiori troppo amati (v.11: si noti, in
quest'ultima coppia, la posizione incrociata del chiasmo). La funzione dell'anafora non è
accumulativa, come sembrerebbe, ma limitativa (il fiume perde, da un enunciato all'altro, le
sue qualità positive e riflette le inquietudini del poeta). La partitura verbale è sapientissima:
per accorgersene, basta scomporre le parole e isolare quei "monemi" (cioè quelle unità
minime provviste di senso) che vi sono incapsulati e che si riferiscono al pronome di seconda
persona: tenebrosa (v. 2), temo (v.4), inconsistente (v.6), t'ignoro (v. 8), digitate (v.10), amati
(v. 11), t'inclini (v. 12), Montello (v. 13). Il discorso, che, nelle prime due strofe, sembrava
dilatarsi (Fiume... acqua... che), in realtà si restringe al vocativo (che fornisce il titolo
all'intera raccolta) e si risolve in un'invocazione disperata, scaturita dal trauma interiore del
poeta, che si rivela pienamente nell'ultimo, memorabile verso.
Da IX Ecloghe
Così siamo
La lirica è una delle otto poesie che formano l'Intermezzo, appendice alla IV Ecloga.
220
Dicevano, a Padova, «anch'io»
gli amici «l'ho conosciuto».
E c'era il romorio d'un'acqua sporca
prossima, e d'una sporca fabbrica:
stupende nel silenzio.
Perché era notte. «Anch'io
l'ho conosciuto.»
Vitalmente ho pensato
a te che ora
non sei né soggetto né oggetto
né lingua usuale né gergo
né quiete né movimento
neppure il né che negava
e che per quanto s'affondino
gli occhi miei dentro la sua cruna
mai ti nega abbastanza
5
10
15
E così sia: ma io
credo con altrettanta
forza in tutto il mio nulla,
perciò non ti ho perduto
o, più ti perdo e più ti perdi,
più mi sei simile, più m'avvicini.
20
Metro: due strofe irregolari di versi liberi.
1-2. anch'io ...l'ho conosciuto: si tratta della morte di un amico del poeta.
3. romorio: rumore.
4. vicina: prossima.
5. stupende: che destavano stupore.
6-7. Anch'io l'ho conosciuto: è il poeta che parla, ripetendo la frase dei suoi amici.
10. né soggetto né oggetto: perché, con la morte, si è sottratto alle leggi della conoscenza.
14. s'affondino: penetrino.
18-19. con altrettanta forza: rispetto a quella della negazione della vita.
22. m'avvicini: mi sei vicino.
DENTRO IL TESTO
Riportiamo il commento di Franco Fortini: «A partire da un episodio notturno, di persone che
ricordano uno scomparso (vv. 1-7), la lirica procede per una serie di negazioni, pronunciate
vitalmente (v. 8), ossia con intensità appassionata: la persona scomparsa è assolutamente
inesistente, non c'è nessuna sopravvivenza; anzi neanche la negazione (v.13) nega con
sufficiente forza. Ma il non-esistere è l'altra faccia dell'esistere, e la forza che nega la
sopravvivenza (affermata dalla tradizione religiosa) del defunto è la stessa che sostiene in vita
la voce poetante, pur persuasa della propria nullità. Come nel linguaggio dei mistici, la verità
è nella contraddizione: più lo scomparso è scomparso (e tuttavia lo si chiama tu), più esso ci si
fa vicino - come dicono di Cristo i religiosi: perciò non ti ho perduto (v. 20)».
Da La Beltà
Al mondo
Il componimento (uno dei più significativi della poesia di Zanzotto) fa parte della raccolta La
Beltà, pubblicata nel 1968.
221
Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su, bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso
5
Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato
10
15
Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.
20
Su münchausen.
Metro: versi liberi di varia lunghezza, con alcune rime baciate.
1. Mondo: non è solo sostantivo, ma anche aggettivo (con il significato di "puro", non macchiato dal peccato). - sii, e
buono: esisti, e sii buono.
2. buonamente: neologismo.
3. fa' che ... tutto: «azioni verbali che indicano una generica ma autonoma capacità di iniziativa» (P. Bonfiglioli).
4. ribaltavo eludevo: mi ponevo al centro della realtà (ribaltando il rapporto tra io e mondo) e, nel contempo,
sfuggivo al confronto con la realtà.
5-6. ogni inclusione ... esclusione: ogni inclusione di valori era produttiva (fattiva), allo stesso modo (dice
ironicamente il poeta) di ogni esclusione dei valori stessi.
8. non accartocciarti... me stesso: è un invito al mondo e a se stesso perché non si separino l'uno dall'altro, non si
ripieghino ciascuno in se stesso, perché, in tal caso, il loro comune destino sarebbe quello di accartocciarsi e di
avvizzire come foglie morte.
10. super ... morire: il prefisso rinvia ironicamente al linguaggio pubblicitario.
11. fatturato: artificiale (ma anche stregato, vittima di una "fattura").
12. male sbozzolato: malamente uscito dal bozzolo, non sviluppato.
13. indigesto: incapace di assimilare la realtà.
13-14. male fantasticante... mal pagato: ostinato a fantasticare un impossibile inserimento nel mondo, ma ripagato
della stessa moneta dal mondo, che rispecchia un'immagine illusoria dell'io.
15. «santo» e «santificato»: «Le virgolette citano ironicamente formule comuni dell'umanesimo idealistico, che
esalta la vita come buona-bella-santa» (P. Bonfiglioli).
16. un po' ... da lato: «Potrebbe quasi alludere ad una foto-ricordo per una festività o una celebrazione: forse una
surreale cresima di questo mondo bambino un po' irrequieto» (Cicognani-Giordano).
17. ex-de-ob: «prefissi latini indicanti origine o provenienza. Il verbo (sistere) significa, qui, "stare in piedi", "star
saldo"» (nota dell'autore).
19. chance: «non esiste equivalente in italiano; approssimativamente: "probabilità", "fortuna" (dovuta anche al
caso)» (nota dell'autore).
20. fa' ... un po': fa' come puoi, alla bell'e meglio (buonamente).
21. gioco: in senso tecnico (il movimento consentito a un congegno meccanico).
22. münchhausen: «Il barone di Münchhausen si liberò dalla palude tirandosi per i capelli...» (nota dell'autore). Le
Avventure di Münchhausen è un celebre romanzo del tedesco Rudolph Erich Raspe, che lo scrisse in inglese e lo
pubblicò nel 1785.
222
DENTRO IL TESTO
Il testo si apre con un'invocazione ironica al mondo, perché non si comporti come un bambino
dispettoso, smetta cioè di essere una realtà minacciosa. L'ironia si accentua nel terzo verso: la
serie degli imperativi (fa'... cerca... tendi... dimmi) suppone una capacità autonoma del mondo
a esistere e quindi ad agire e a esprimersi. Ma ecco un brusco capovolgimento: dopo il terzo
verso (con la semplice pausa di una virgola e di un a capo) il tempo verbale passa dal presente
(sii) all'imperfetto (io ribaltavo eludevo). L'ironia ora colpisce la pretesa idealistica di
concepire il mondo come creazione del pensiero: una pretesa destinata ad avvolgersi in
contraddizioni senza via d'uscita (indicate dalla coppia oppositiva inclusione/esclusione): di
qui la rinnovata supplica al mondo (e a se stesso) affinché sia evitata ogni lacerante
opposizione tra io e mondo, che porterebbe alla fine dell'esistenza sia dell'uno sia dell'altro
(paragonata alla morte della foglia). Nella strofa successiva, si torna all'imperfetto, tempo del
ricordo (Io pensavo): e ritorna l'ironia beffarda nei confronti di un pensiero che si credeva
onnipotente (bollato, nel suo illusorio protagonismo, con il prefisso super, tipico del
linguaggio pubblicitario). Un mondo che non riusciva ad esistere come realtà indipendente
dall'io non era nient'altro che un io male sbozzolato, un io non cresciuto, immaturo, che non
riusciva a digerire le proprie fantasticherie e che se le vedeva riflesse nello specchio del
mondo. Di qui l'invito al mondo affinché si sposti un po' più in là rispetto alle malsane
fantasticherie dell'uomo, che si è creduto per troppo tempo al centro dell'universo (si tratta di
un tema chiaramente leopardiano). Nell'ultima strofa, il poeta ripete il suo ironico appello al
mondo affinché si decida finalmente ad esistere, consentendo così anche all'io di esistere. La
radice etimologica del verbo "esistere" (ex-sistere), con le connesse preposizioni (de-ob etc.),
ma anche con quelle ancora ignote, relative a spazi ancora sconosciuti, suggerisce la
divertente, ma anche profonda, immagine finale: occorre sollevarsi fuori dalla palude con le
proprie mani, come fece il barone di Münchhausen, che ne uscì da solo, tirandosi per i capelli.
Solo il linguaggio della poesia può salvarci da una realtà incomprensibile, aiutandoci a
decifrarla da una prospettiva distaccata (un po' più in là, da lato). L'impresa è ardua e si corre
il rischio di cadere nel ridicolo, come accadde al barone di Münchhausen; ma (ha osservato
Zanzotto) «noi siamo Münchhausen, lo è la realtà». Nell'assenza di certezze, dobbiamo
aiutarci da soli a uscire dalla palude della vita.
Da Il Galateo in Bosco
Sonetto di Ugo, Martino e Pollicino
Il sonetto è il tredicesimo della serie dell'Ipersonetto e ha il sottotitolo Sonetto di Ugo, Martino
e Pollicino. 1778-1978: Ugo è Ugo Foscolo, del quale nel 1978 (anno dell'edizione di Il
Galateo in Bosco) ricorreva il bicentenario della nascita, indicato nelle date); Martino è il
grande filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976); Pollicino è il protagonista di una
celebre fiaba di Charles Perrault (1613-88).
Qual fia ristoro a' dì perduti un sasso:
ma qual sasso tra erratiche macerie,
quale scaglia da cumuli e congerie
identificherò nel bosco, ahi lasso?
Metro: sonetto di endecasillabi rimati secondo lo schema ABBA, ABBA, CCD, EED.
1. Qual ... sasso: citazione foscoliana, dai Sepolcri (v. 13).
2. erratiche macerie: i blocchi di materie rocciose, trasportati dai ghiacciai lontano dal luogo di origine.
3. congerie: ammassi confusi.
4. lasso: infelice.
223
Ché se pur m'aggirassi passo passo
per Holzwege sbiadenti in mille serie,
quale a conferir nome alle miserie
mie pietra svilirei, carierei masso?
5
Nel buio-orco che si maciulla in rupi,
dell'orbe a rupi dentro i covi cupi,
quali mai galatei cemeteriali
10
rasoterra e rasoombra noteranno
almen la traccia in che l'affanno e il danno
dei dì, persi lapilli, è vivo; quali?
6. Holzwege: Sentieri interrotti (1950), titolo di un'opera del filosofo tedesco Martin Heidegger (letteralmente, il
titolo significa "Sentieri nel bosco").
7-8. quale ... masso?: si costruisca: quale pietra svilirei, quale masso carierei (deteriorerei, come avviene nel
processo distruttivo della carie) per conferire un nome alle mie miserie?
10. dell'orbe ... cupi: si costruisca: dentro i covi cupi, a rupi, del mondo (orbe).
11. galatei cemeteriali: riti che si tengono nei cimiteri, in onore dei defunti.
12. rasoterra e rasoombra: presso le tombe e presso gli alberi del cimitero.
14. lapilli: pietruzze.
DENTRO IL TESTO
Il sonetto è suddiviso in tre blocchi tematici (ciascuna delle due quartine e l'insieme delle due
terzine), ognuno dei quali è caratterizzato dalla martellante presenza dell'aggettivo/pronome
"quale" (Qual fia..., v. 1; qual sasso..., v. 2; quale scaglia..., v. 3; quale a conferir..., v.6; quali
mai..., v. 11; quali?..., v. 14). Si tratta di un'espansione della celebre interrogazione retorica
dei Sepolcri foscoliani (quale sollievo può essere costituito da una pietra sepolcrale che
distingua le mie ossa da tutte le altre, disseminate dalla morte in terra e in mare?), della quale
viene citato in apertura un verso. Ma non si tratta di un omaggio a Foscolo in occasione del
bicentenario della sua nascita: Zanzotto non è poeta di celebrazioni rituali. Del "galateo"
letterario rimangono solo certi stilemi come ahi, lasso (v. 4), non a caso molto usato
dall'autore del Galateo nelle sue liriche, e certe figure retoriche, come l'iperbato dei vv. 7-8 e
il chiasmo del v. 8 (pietra svilirei, carierei masso), nonché vari enjambements.
Ma il significato del sonetto è molto lontano dalla poesia foscoliana, ancorata all'unica
certezza delle illusioni; qui, invece, non c'è spazio per le illusioni, neppure per quella di
sublime pietà che affida a una pietra sepolcrale il ricordo dei vivi. Nell'erratica deriva delle
macerie del bosco è ben difficile identificare una pietra che serva allo scopo. Siamo in un
orizzonte esistenziale privo di certezze, percorriamo "sentieri interrotti", come quelli cui
allude Martin Heidegger nel titolo di una sua opera: sentieri che, allegoricamente,
rappresentano la «pretesa da parte dell'uomo di essere padrone dell'essere, pretesa che causa
l'errore e l'errare dell'uomo, il suo errare nei sentieri senza via d'uscita del bosco» (E. Paci).
Ed ecco che nel solenne discorso della filosofia irrompe la fiaba: l'uomo contemporaneo è
come il Pollicino di Perrault, che, per sfuggire all'orco (il buio-orco dell'esistenza) e per
tornare a casa, lascia dietro di sé la traccia di pietruzze, che però andranno perdute (persi
lapilli), proprio come ormai perdute sono le "illusioni" foscoliane (e inutili allora sono i
galatei cemeteriali, così cari al poeta zacinzio). Rimane solo il linguaggio, unica «casa
dell'essere», come sostiene Heidegger nella Lettera sull'«umanismo». L'uomo del nostro tempo
è un viandante in cammino lungo "sentieri interrotti", senza alcuna certezza di raggiungere
una meta, ma con l'unico sollievo che gli deriva dai semplici "segnavia" del linguaggio
poetico.
224
Da Idioma
«Tato» padovano
La lirica fa parte della prima parte di Idioma: vi si rievoca la morte, in un incidente stradale,
di un giovane militante comunista.
«Tato» padovano
nella tua epigrafe-manifesto
gettata per la città
dicono della tua
«voglia di comunismo»
e invece sei morto così in
un incidente di motociclismo
.............................................
5
E forse anche tu
hai un'anima meravigliosa e immortale
come quella dei gattini
che vengono soppressi appena
appena semmai respirino
- anime alquanto repellenti
anzi, e perché, insostituibili come quelle dei gattini
che soffochiamo o perdiamo
nei campi o anneghiamo
e di esse, del loro niente malandrini - serenamente
ci nutriamo
10
15
20
anime fuori fuori
dai vincoli terreni e iniziarsi ad esse
diventa grande
atto di natura – scavalcamento
di ogni incidente o altroatto di firmamento.
25
Metro: versi liberi di varia lunghezza.
1-5. «Tato» ... comunismo»: in occasione della morte di un certo «Tato», erano stati affissi a Padova dei manifesti
dove si celebrava la «voglia di comunismo» del giovane.
13-14. - anime ... insostituibili -: i due versi, estremamente complessi, si possono così interpretare: i gattini, per il
loro numero eccessivo, vengono soppressi appena nati; eppure (anzi) anche i gattini hanno un'anima (cioè una
dignità di esseri viventi) insostituibile; ma proprio questa loro insostituibilità li rende repellenti a coloro che li
sopprimono (e che rimuovono il loro senso di colpa con un sentimento di repulsione verso le loro piccole vittime).
18-20. e di esse ... ci nutriamo: e di tutte le anime "meravigliose e immortali" (come quella del «Tato» padovano e
quelle dei gattini soppressi), noi serenamente (perché fanno parte della nostra vita quotidiana) ci nutriamo, anche se,
con la nostra cattiva coscienza di malandrini, le consideriamo un niente.
21-27. anime ... firmamento: quando le anime degli scomparsi sono ormai sottratte ai vincoli terreni, cioè ai
meccanismi fisici della vita, allora l'aprirsi alla comprensione della loro dignità (iniziarsi ad esse) diventa adesione al
ritmo grandioso della vita della natura (grande / atto di natura), al di là dei piccoli incidenti quotidiani, e tensione
verso la più vasta dimensione del cosmo (atto di firmamento). Si noti il rientro grafico dei vv. 25-27, che mette in
risalto anche sul piano visivo l'elevatezza del discorso conclusivo.
225
DENTRO IL TESTO
Il testo è articolato in tre strofe, ciascuna delle quali ha un tema dominante: la quotidianità
nella prima strofa, la tenerezza nella seconda, il sublime nella terza.
L'attacco è caratterizzato da un andamento prosastico (il nomignolo familiare dello
scomparso, il testo del manifestino stampato e "gettato" nelle vie cittadine per ricordarne la
figura, l'incidente motociclistico in cui ha trovato la morte); ma spicca il contrasto tra la
«voglia di comunismo» (un'espressione enfatica, in cui la profonda serietà della scelta politica
del giovane è contraddetta dalla formula "voglia di...", tipica del linguaggio pubblicitario) e la
banalità dell'incidente che è costato la vita al povero «Tato»: un contrasto sottolineato dal
drammatico enjambement dei vv. 6-7 e dall'amara ironia della rima comunismo:
motociclismo.
La fine ingloriosa del «Tato» padovano è assimilata, nella seconda strofa, a quella dei gattini
... soppressi appena nati: un accostamento che può apparire, a prima vista, sorprendente, ma
che è improntato a una intensa tenerezza verso la vita in ogni sua manifestazione, umana o
animale. Il contrasto è ora tra l'anima meravigliosa e immortale degli esseri viventi e il niente
cui essi si riducono, a causa della nostra indifferenza e del nostro cinismo di malandrini
morali.
Ed ecco il colpo d'ala della terza strofa: quelle anime che consideriamo un niente, non appena
sono fuori delle leggi meccaniche di ordine biologico (si noti la ripetizione fuori fuori, che
richiama, per contrasto, quella di appena/ appena dei vv. 11-12) ci introducono, con la loro
stessa scomparsa, a un "altrove" che, più che religioso, è cosmico: il grande/ atto di natura
coincide con l'atto di firmamento, il microcosmo si identifica con il macrocosmo; e in questa
dimensione universale trova riscatto la morte violenta delle più modeste creature e il
quotidiano acquista un senso di eternità.
Bibliografia essenziale
Edizioni: le raccolte poetiche di Zanzotto, fino a Meteo e con alcuni inediti, si leggono ora in:
Le poesie e prose scelte, a cura di S. Del Bianco e G.M. Villalta, Meridiani Mondadori, Milano
1999; Sovrimpressioni, Mondadori, Milano 2001.
Antologie: Poesie, a cura di S. Agosti, Mondadori, Milano 1993; Poesie, a cura di G. Luzzi,
Torino 1987.
Bibliografia: V. Abati, Andrea Zanzotto. Bibliografia 1951-1993, Giunti, Firenze 1995.
Monografie: G. Nuvoli, Zanzotto, La Nuova Italia, Firenze 1979; L. Conti Bertini, Andrea
Zanzotto, Marsilio, Venezia 1984; V. Abati, L'impossibilità della parola. Per una lettura della
poesia di Andrea Zanzotto, (con storia della critica), Bagatto, Roma 1992; G.M. Villalta, La
costanza del vocativo. Lettura della "trilogia" di Andrea Zanzotto, Guerini e Associati, Milano
1992; S. Dal Bianco, Tradire per amore. La metrica del primo Zanzotto 1938-1957, Fazzi,
Lucca 1997.
Saggi e studi: F. Fortini, Zanzotto. Dietro il paesaggio, «Comunità», VI, 14 giugno 1952; G.
Raboni, La difficile attualità di Zanzotto, in «Aut Aut» 73, gennaio 1963; E. Montale, La
poesia di Zanzotto, Corriere della Sera, 1 giugno 1968; P.P. Pasolini, La beltà (appunti),
«Nuovi Argomenti», n.s., 21, gennaio-marzo 1971; P. V. Mengaldo, Andrea Zanzotto, in Poeti
italiani del Novecento, Mondadori, Milano 1978; H. Grosser, Contributo all'analisi di due
raccolte zanzottiane, «Acme», vol. XXXII, 2, maggio-agosto 1979; R. Luperini , Zanzotto,
ovvero il destino di Münchhausen, in Il Novecento, tomo II, Loescher, Torino 1981; E.
Gioanola, Andrea Zanzotto, in Poesia italiana del Novecento. Testi e commenti, Librex, Milano
1986; P. V. Mengaldo, Grande stile e lirica moderna, in La tradizione del Novecento. Nuova
serie, Vallecchi, Firenze 1987; «L'Immaginazione», IV, 37-38, gennaio - febbraio 1987,
dedicato interamente a Zanzotto; C. Ossola, Figurato e rimosso, Zanichelli, Bologna 1988; G.
Ferroni, La resistenza della letteratura, in Storia della letteratura italiana, vol. IV, Einaudi
Scuola, Torino 1991; N. Lorenzini, La beltà di Zanzotto e Una trilogia tra senso e suono, in Il
presente della poesia 1960-1990, Il Mulino, Bologna 1991; A. Berardinelli, Poesia della
lingua e del luogo. Su Andrea Zanzotto, «Linea d'Ombra», X, 67, gennaio 1992; N. Gardini,
226
Lingua e pensiero nel primo Zanzotto, in «Otto-Novecento», 1995, 2; S. Agosti, Introduzione
all'antologia Poesie, cit.; saggi introduttivi di S. Agosti e F. Bandini, in Le poesie e prose
scelte, Mondadori, Milano 1999; sezioni monografiche dedicate a Zanzotto, in occasione dei
suoi ottanta anni, dalle riviste «L'immaginazione» e «Nuova Corrente» nel 2001.
7.5 Giovanni Giudici
7.5.1 Una antieroica «vita in versi»
Apparsa nel 1965, La vita in versi di Giovanni Giudici ha rivelato uno dei poeti più
originali del nostro tempo. Creatore di «un verso assolutamente post-ermetico,
colloquiale e teatrale, cantabile e ripetibile, privo di enfasi» (A. Belardinelli), Giudici
accantona, nella sua prima raccolta, l'armamentario lirico del sublime, con un'ironia che
ricorda Gozzano e con una colloquialità degna di Saba. Si è parlato a lungo, per Giudici,
di Neocrepuscolarismo; ma la produzione successiva del poeta, fino a I versi della vita
(2000), rende troppo limitativa una simile definizione: le opere più recenti pongono
Giudici (con Zanzotto) ai primi posti tra gli autori di poesia, dopo i maestri della
generazione degli anni Dieci (Sereni, Luzi, Caproni, Bertolucci, Fortini). Dotato di «un
senso dell'oggetto, dei personaggi e della realtà quotidiana quasi unico fra i poeti
d'oggi» (F. Fortini), Giudici, grazie al suo magistrale artigianato poetico, è in grado di
padroneggiare ogni linguaggio, da quello quotidiano del mondo piccolo-borghese a
quello della più alta tradizione amorosa, come in Salutz. Inventore di una lingua della
quotidianità (che può apparire grigia e dimessa, ma che è in realtà raffinata e profonda),
Giudici ha saputo narrare, nelle sue microstorie, l'avventura di un tipico "antieroe" nella
soffocante civiltà del "benessere".
7.5.2 La vita. I saggi e le traduzioni
Nato a Le Grazie (La Spezia) nel 1924, Giovanni Giudici perde precocemente la madre
e, a nove anni, entra in un collegio religioso a Roma. Dopo la laurea in letteratura
francese, lavora dal 1958 per la Olivetti, a Ivrea e poi a Milano; svolge intanto
un'intensa attività letteraria (come giornalista culturale) e politica (nell'area della
sinistra). Si dedica nel contempo ad un'intensa attività di saggista e di traduttore. Tra i
suoi libri di prose e saggi: La letteratura verso Hiroshima (1976), La dama non cercata
(1985), Frau Doktor (1989), Andare in Cina a piedi. Racconto sulla poesia (1992), Per
forza e per amore (1996). Le sue traduzioni sono raccolte in Addio, proibito piangere
(1982) e in A una casa non sua. Nuovi versi tradotti 1955-1995, (1997); memorabile è
soprattutto la sua traduzione dell'Evgenij Onegin di Puskin (1973). Nel 1991 ha
pubblicato Perché mi vinse il lume d'esta stella, riscrittura drammaturgica del Paradiso
di Dante. È vissuto tra Milano e La Serra (La Spezia), fino alla morte (2011).
7.5.3 La vita in versi
Dopo alcuni volumetti di versi, la prima raccolta di rilievo di Giudici è La vita in versi
(1965). Un elemento di particolare interesse della raccolta è la bipolarità cattolicomarxista: l'autore vuole liberarsi dal peso di una rigida educazione religiosa («mi
distrusse ragazzo l'educazione dei preti») e aderisce al marxismo, pur conservando,
della precedente formazione, l'aspirazione al riscatto e alla salvezza; ma deve subire gli
attacchi da due fronti opposti («Anch'io come un errore pago la verità: / amo due chiese
che sono diverse / - e per l'una mi condanna l'altra o estraneo / mi dimentica o mi soffre
227
avverso», Come un errore). Ma il tema centrale è quello della condizione sociale
dell'intellettuale piccolo-borghese (un "doppio" dell'autore), ridotto al ruolo di
impiegato salariato e smarrito nel labirinto della metropoli: una figura tragica e
grottesca, cavia della civiltà neocapitalistica, che ricorda da una parte la tragicità di certi
personaggi kafkiani e, dall'altra, la caricaturale comicità di certi attori del cinema (non a
caso, l'"antieroe" di Giudici è stato spesso accostato a Charlot). La Milano di Giudici è
una città invivibile, in cui la prospettiva è quella di «morire nel benessere» proprio nel
«cuore del miracolo». Il fumo dell'inquinamento corrode i polmoni, costringendo a
cambiare casa («Fumo, non nebbia padana, ma fumo / di fabbriche si sfiocca /
clandestino nel maltempo e marcisce / le cellule del sangue appena uno // che credeva di
respirare aria ne imbocca / una spira - fumo che annerisce gli armadi gli argenti e i lini
umidi / per troppo poco sole...», Lasciando un luogo di residenza). Ma è difficile
trovare casa a Milano: di qui il legittimo sfogo della consorte (“tutta la vita in 'sto buco
di casa” / mi roderanno le tue querele, Una casa a Milano). Frustranti sono le sere in un
piccolo appartamento del settimo piano (Una sera come tante, e nuovamente / noi qui,
chissà per quanto ancora, al nostro / settimo piano, dopo i soliti urli / i bambini si sono
addormentati, / e dorme anche il cucciolo i cui escrementi / un'altra volta nello studio
abbiamo trovati..., Una sera come tante). I lavori domestici assorbono le «ore migliori»
della compagna del protagonista (Le ore migliori), al quale non resta che l'alienazione
dei discorsi sportivi. Nessuno, come Giudici, ha forse rappresentato con altrettanto
puntiglio la tetra condizione dell'«uomo impiegatizio» (Zanzotto) nella metropoli.
7.5.3 Le altre raccolte
Autobiologia. La persona fisica dell'autore, mimetizzata nella prima raccolta, emerge in
primo piano in Autobiologia (1969), il cui titolo è un'invenzione dell'autore per indicare
un'autobiografia che affonda le sue radici nella biologia stessa di chi scrive. Anche la
contestazione giovanile del Sessantotto è ricondotta dal poeta ad una transitoria fase
biologica (Lascialo fare - è l'età. / Lascialo - non andrà / lontano... Lascialo gridare tacerà. / Lascialo gemere - gli fa / bene. / Lascialo finché ha fiato. / Lascialo credere»,
Biologia). Di grande intensità lirica è Madame Bovary c'est moi, dove il poeta proietta
le sue frustrazioni in una figura femminile, eternamente in attesa (Ho guardato l'ora
all'orologio sul muro. / Ho aspettato lo squillo già / scusato come e perché non hai
potuto chiamarmi, / ho pensato: e pensare che ero qui sola. / Brevi minuti ancora mi
restano per supporre / il tempo che tu raggiunga la strada della mia casa / e un suono di
citofono a questi miei inferi emerga / definitivo come un lieto annuncio di morte.../ Ti
scambieranno per uno come un altro - ho scherzato. / Arriverai domani se oggi non sei
arrivato). Biologiche sono le radici della lingua per Giudici, che scrive nella scintillante
Ballata della lingua (Mia lingua – italiana / variante colta milanese-romanese / lingua
del mio bel paese / cantata in amabili suoni / di ricche clausole / e di elette
commozioni... // Mia lingua - italiana / variante umile toscogenovese/ guastata nei futili
suoni / di vacue clausole / e perfide commozioni). Anche i grandi avvenimenti storici
sono ridimensionati da Giudici in una poesia brevissima, ma fortemente corrosiva: La
storia.
La fase centrale. In una serie di raccolte (O beatrice, 1972; Il male dei creditori, 1977;
Il ristorante dei morti, 1981; Lume dei tuoi misteri, 1984), che costituiscono la fase
centrale della produzione di Giudici, non è più riconoscibile un unico protagonista, ma
l'attenzione si sposta su diverse "maschere", che moltiplicano a dismisura la figura
dell'antieroe. Ironia e leggerezza caratterizzano i versi di O beatrice, dove la salvifica
creatura di Dante (ma anche di Montale) assume aspetti tra erotici e casalinghi:
228
(Beatrice sui tuoi seni io ci sto alla finestra / arrampicato su una scala di corda...
Beatrice-costruttrice / della mia beatitudine infelice... Beatrice - dal verbo beare: nome
comune singolare, Alla beatrice). Un capolavoro di ironia è Ciao, Sublime (Ciao,
Sublime / Ciao, Essere Umano semplicemente / E io che passeggio con te. / Io che
posso prenderti per mano. / Io che mi brucio di te / nel corpo, nella mente). E un
capolavoro di onirismo è Descrizione della mia morte. In Il male dei creditori, il poeta
immagina ironicamente di sparire, per sottrarsi ai debiti da lui dovuti alla società a al
mondo. Il tema del travestimento trionfa in Il ristorante dei morti fin dalla poesia
d'apertura (Credo che fosse la sola scappatoia - travestirsi. / Perché, nessun dubbio, non
ero dei loro. / Identificabile a vista, basta / Che passassi per via - eccolo / Dicevano
subito...). Definendosi un «ometto così grigio», inetto ad esprimere in versi pose da
superuomo, Giudici si autoumilia, scrivendo godibilmente: “E non so inventarmi vizi /
Da far scandalo abbastanza / La droga non la conosco / Di Sade non ho la costanza /
Non posso render servizi / Non so procacciare un posto / Non sparo nemmeno a un
mostro / Nel male resto agli inizi” (Da un banco in fondo alla classe). Molto intense
sono le liriche conclusive: la poesia eponima Il ristorante dei morti, dove è evocata la
figura di don Lorenzo Milani, e Temporis acti, dove è ricordata la terribile stagione del
terrorismo. In Lume dei tuoi misteri (un titolo dantesco), Giudici ripercorre luoghi e
momenti della sua vita, tornando sui disagi della vita milanese (Via Stilicone è a Milano
una / Fra le vie più tristi che io conosca - / Una fila di case e quasi niente / A confortarle
dalla parte opposta ... Via Stilicone è a Milano la via / Più vulnerabile che io conosca - /
Una fila di case con paura / Del buio dalla fronte opposta, Via Stilicone) o rievocando la
figura di Giacomo Noventa, che contò molto sulla sua formazione (...A Lei che mi gridò
- Cerchi il Sublime! - Nella sera di anguste trattorie / Un anno ancora in qua dalla Sua
fine, Se fosse qui).
Salutz. La più clamorosa dimostrazione della perizia tecnica di Giudici è il poemetto
Salutz (1986), che si richiama fin dal titolo (il "saluto d'amore" in stile epistolare della
poesia provenzale) alla tradizione pre-petrarchesca dell'amore cortese. La raccolta è
strutturata geometricamente: sette sezioni, ciascuna di dieci sonetti, cui si aggiungono
nel congedo (Lais), venti versi, cosicché l'intero libro raggiunge il totale di mille versi.
In Salutz, il poeta esprime una tensione spasmodica verso l'amore, come metafora
totalizzante, come via di salvezza dal caos frenetico dell'esistenza. Non a caso il
simbolo centrale è quello di Minne (l'amore cortese della letteratura medievale tedesca)
o di Midons (la "madonna" dei trovatori francesi), un emblema femminile in cui si
sintetizzano poesia e vita, amore e conoscenza, piacere e dolore. Il linguaggio di Salutz
accoglie termini e idiomi inconsueti, arcaismi illustri e neologismi arditi; ma dietro le
novità dell'invenzione linguistica si nasconde una materia autobiografica densa di
inquietudine e di angoscia. Secondo Costanzo Di Girolamo, Salutz costituisce un «passo
decisivo {...} non soltanto per la storia poetica dell'autore, ma per tutta la poesia italiana
di questi ultimi decenni».
Le ultime opere. Un ritorno ai modi della poesia che precede Salutz si verifica in
Fortezza (1990): un titolo ambiguo, che allude sia al carcere-fortezza militare (quello in
cui fu rinchiuso Tommaso Campanella, cui è dedicata la sezione conclusiva della
raccolta) sia alla «virtù cardinale» della fortezza, necessaria per resistere nel "carcere"
della vita.
Di elegante fattura è la raccolta Quanto spera di campare Giovanni (1993): nella poesia
che dà il titolo al volume, il tema è quello dell'acquisto di una casa nuova con vista sul
mare («Mettere su una casa/ Alla sua età - quanto spera di campare Giovanni»); si tratta
dunque di un libro sulla senilità, quella privata, ma anche quella comune di un
Occidente sempre più decrepito: non a caso sono presenti anche i Distici bosniaci,
raggelati referti di una civiltà in dissoluzione.
229
Le poesie degli ultimi anni sono state raccolte da Giudici in Empie stelle (1996), un
libro dominato da un colloquio tenero e malinconico con un amato fantasma femminile,
e in Eresia della sera (1999), dove il poeta claudicante si paragona a Ignazio di Loyola
(da lui tradotto), ma senza glorie guerriere e finalmente libero da ogni condizionamento
esterno: «Da vecchio zoppicava come Ignazio / Ma senza gloria di una sua Pamplona /
Peregrinante per amaro dazio / Sulla diversa via presa per buona» (Da vecchio).
Da Poesie
Riportiamo dalla raccolta Poesie 1953-1990 quattro poesie: la prima è tratta da La vita in
versi (si tratta della seconda parte della poesia Le ore migliori, divisa in tre parti); la seconda
è tratta da Autobiologia; la terza, da O beatrice; la quarta da Salutz.
(Poesie 1953-1990, Garzanti, Milano 1991).
a. Da Le ore migliori
Dice decoro la tavola apparecchiata...
Dice decoro la tavola apparecchiata,
possiamo avere tutto quel che vogliamo:
all’opulenza mancano forse i fiori.
Il buon cibo conforta dopo l’onesta fatica.
Ma già si ammucchiano stoviglie mentre mangiamo
troppo avidamente, per fare presto.
E ricominci: i necessari rifiuti
in un solo piatto raccogli, riempi
il lavandino ove galleggiano sughi;
affondano fili di pasta, bucce. Adempi
la tua virtù necessaria, riordini
ancora una volta la casa. Io ad altro
5
10
lavoro attendo, al mio ufficio, sperando
di fornir l’opra e non me, anzi che giunga la sera,
per godermi la luce residua e, di me
stesso padrone, qualche ora d’avanzo.
Ma non sarà quella la vita vera:
sono queste ore migliori e non ci appartengono.
Eccoci ancora intorno alla mensa serale,
tra le risse dei figli allegramente spietate:
e nuovamente si guasta la linda cucina,
la tovaglia è chiazzata di vino. «Lascia
così – suggerisco – penserai domattina
a tutto. Adesso resta un poco con me».
15
20
Metro: quattro strofe di sei versi ciascuna. I versi sono di varia lunghezza e variamente rimati.
7. E ricominci: il discorso è rivolto dal protagonista alla moglie.
13-14. sperando ... sera: citazione ironica da Il sabato del villaggio di Leopardi (il celebre riferimento al falegname
che, di notte, «...s'adopra/ di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba»).
230
b. La storia
Lo spazio di ogni vita di uomo dura la storia - non
è vero che dura millenni.
Metro: distico di versi liberi.
c. Descrizione della mia morte
Poiché era ormai una questione di ore
Ed era nuova legge che la morte non desse ingombro,
Era arrivato l’avviso di presentarmi
Al luogo direttamente dove mi avrebbero interrato.
L’avvenimento era importante ma non grave.
Così che fu mia moglie a dirmi lei stessa: prepàrati.
Ero il bambino che si accompagna dal dentista
E che si esorta: sii uomo, non è niente.
Perciò conforme al modello mi apparecchiai virilmente,
Con un vestito decente, lo sguardo atteggiato a sereno,
Appena un po’ deglutendo nel domandare: c’è altro?
Ero io come sono ma un po’ più grigio un po’ più alto.
Andammo a piedi sul posto che non era
Quello che normalmente penso che dovrà essere,
Ma nel paese vicino al mio paese
Su due terrazze di costa guardanti a ponente.
C’era un bel sole non caldo, poca gente,
L’ufficio di una signora che sembrava già aspettarmi.
Ci fece accomodare, sorrise un po’ burocratica,
Disse: prego di là – dove la cassa era pronta,
Deposta a terra su un fianco, di sontuosissimo legno,
E nel suo vano in penombra io misurai la mia altezza.
Pensai per un legno così chi mai l’avrebbe pagato,
Forse in segno di stima la mia Città o lo Stato.
Di quel legno rossiccio era anche l’apparecchio
Da incorporarsi alla cassa che avrebbe dovuto finirmi.
Sarà meno d’un attimo – mi assicurò la signora.
Mia moglie stava attenta come chi fa un acquisto.
Era una specie di garrotta o altro patibolo.
Mi avrebbe rotto il collo sul crac della chiusura.
5
10
15
20
25
30
Metro: sette strofe di cinque versi lunghi ciascuna, con scarse rime.
2. nuova legge: l'ultima regolamentazione burocratica sulla sepoltura. Vedi U. Foscolo, Dei sepolcri, vv. 51-52:
«Pur nuova legge impone oggi i sepolcri / fuor de' guardi pietosi...».
9. conforme al modello: di uomo adulto e coraggioso.
12. Ero ...più alto: il grigio è il colore simbolico della mediocrità; il poeta inoltre si immagina più alto rispetto alla
sua statura bassa.
16. Su due terrazze: tipico paesaggio della riviera ligure.
24. in segno di stima: per il rispetto mostrato dal poeta verso le istituzioni.
25. l'apparecchio: lo strumento di tortura.
29. garrotta: (o garrota) strumento usato in Spagna, dal 1882 al 1976, per le esecuzioni capitali.
231
Sapevo che ero obbligato a non avere paura.
E allora dopo il prezzo trovai la scusa dei capelli
Domandando se mi avrebbero rasato
Come uno che vidi operato inutilmente.
La donna scosse la testa: non sarà niente,
Non è un problema, non faccia il bambino.
35
Forse perché piangevo. Ma a quel punto dissi: basta,
Paghi chi deve, io chiedo scusa del disturbo.
Uscii dal luogo e ridiscesi nella strada,
Che importa anche se era questione solo di ore.
C’era un bel sole, volevo vivere la mia morte.
Morire la mia vita non era naturale.
40
d. Lais
E mentre guardo alle reliquie
Che lascio – occhiali dal fodero rosso
E astuccio del tabacco con amore rilustrato
E diario sul verde del panno sottovetro –
Al mio azzardo di esse
Sola eleggendo la fida dupont
Penelope a capo del letto vegliante
Nel buio del silenzio le trame
Pronta a fissarvi in segni spettri che volitate
Nel non sopito cèrebro e parlate
5
10
Ora che mi apparecchio al distacco quotidiano
E con due dita mi sfilo dal cuore
E la conficco nella lana del cuscino
Una spina compagna di dolore –
Se si troncasse il filo di futile bava
Che tiene appesa questa vita di ragno
Cosa sarete voi
Oggetti che sapevate il caldo della mia mano?
Rifanno ordine vi scoprono inutili
Commentano – erano suoi
15
20
Metro: due stanze di dieci versi di varia lunghezza, variamente rimati.
1. reliquie: gli oggetti più cari.
2. Che lascio: il protagonista si prepara alla morte.
3. rilustrato: ripetutamente lucidato.
6. dupont: la stilografica del poeta.
7-10. Penelope ... parlate: la stilografica ha la stessa funzione di Penelope che vigila sul sonno di Ulisse, a capo del
suo letto: essa sorveglia le trame dei pensieri del poeta, pronta a fissare sulla carta (fissarvi in segni) le fantasie che si
agitano (spettri che volitate) e parlano nel suo cervello (cèrebro) non ancora spento.
18. sapevate: conoscevate.
19-20. Rifanno ... erano suoi: quando il poeta sarà morto, si farà ordine nella sua camera e si considereranno inutili
quegli oggetti che lo scomparso considerava reliquie (v. 1).
DENTRO IL TESTO
Evidente è, in Le ore migliori (testo a), il rimando a Gozzano, sia nel metro della sestina, sia
nella rappresentazione dei personaggi in un interno, con relativo rumore di stoviglie (si
ricordi, in La signorina Felicita ovvero la felicità, come il protagonista ami starsene in cucina,
«tra le stoviglie di vividi colori», per accordare «le sillabe dei versi/ sul ritmo eguale
232
dell'acciottolio»). Qui, la parodia è ancor più dissacrante e non risparmia neppure il Sabato
del villaggio di Leopardi. La poesia si regge sulla figura della ripetizione. Nella prima strofa,
il decoro della tavola, il buon cibo, tutto ciò che si riferisce all'ostentato benessere di una
famiglia piccolo-borghese, viene posto in secondo piano dall'avidità con cui si consuma il cibo
e poi dal pensiero avvilente dei piatti da rigovernare. La ripetitività del lavoro femminile è
resa dall'accumulo dei verbi nei vv. 7-12 (ricominci... raccogli... riempi... Adempi... riordini...).
Ironico è il riferimento all'alienante lavoro d'ufficio, in cui il protagonista cerca
disperatamente di tutelare la propria incolumità psicologica (cerca di fornir l'opra e non se
stesso...) e pensa alle ore migliori della sera, che puntualmente lo deluderanno, tra rissa di
bambini e stanchezza mortale della moglie, non più in grado di fare un po' di compagnia al
marito. Nessuno, come Giudici, ha saputo osservare il grigiore di questo interno domestico,
dove regna lo stesso forzato efficientismo del posto di lavoro, e dove il tempo libero si dilegua
nella mortale noia delle azioni ripetitive.
Così Ottavio Cecchi commenta la brevissima poesia La storia (testo b): «Giudici affida un
punto d'approdo provvisorio a una delle sue poesie più sibilline e più ambigue, quella sul
tempo e sulla storia. {...} Solitamente il significato di questa poesia viene rovesciato. Si crede
di scorgervi un modo di privilegiare un tempo vuoto e inerte rispetto a una storia ricca di
avvenimenti e dinamica. A noi pare che questa poesia voglia invece significare che nella vita,
nel tempo della vita di ogni uomo, si affolla e si ripete, sempre di nuovo, tutta la storia; sicché
ogni uomo sconta in sé, sempre di nuovo, tutta la storia fino agli esiti più drammatici e
tragici».
La Descrizione della mia morte (testo c) è un racconto fantastico, che ricorda certi incubi
kafkiani, ma che è narrato dal poeta in chiave di pungente ironia (come dimostra la citazione
foscoliana del v. 2). L'obiettivo polemico dell'autore è quello di dichiarare il proprio orrore
per la morte burocratica e anonima gestita dalle istituzioni; ma è anche quello di emanciparsi
finalmente, nell'evasione onirica, dalle frustrazioni che il ruolo impiegatizio gli ha imposto
nella vita. Scrive Romano Luperini: «Rispetto alla possibilità di continuare a fare il "bambino
buono", che diligentemente segue la madre o la moglie sulla strada della morte (di una vita
come morte), a causa del timore nevrotico della disubbidienza o dell'imprevisto [...], almeno in
sogno il personaggio dell'autore (nell'immaginazione onirica lo sdoppiamento, infatti, si
assottiglia sin quasi a sparire) sa dire basta all'immagine femminile che lo guida (la "beatrice"
femmina e madre emblematizzata anche nel titolo [O beatrice]), cessa di fare il bambino (e, per
uno che è stato troppo presto adulto, ciò significa poter fare finalmente il bambino,
disobbedendo a quanti l'hanno ricattato chiedendogli di "non fare il bambino" ed esortandolo
a non ribellarsi e a rassegnarsi alla vita-morte), sceglie d'aver paura, di trasgredire e di
vivere» (R. Luperini, Il Novecento, Loescher, Torino 1981, p. 828). Davvero emblematica è la
conclusione della lirica: con un rovesciamento verbale, il poeta afferma il suo diritto a vivere
la sua vita e la sua morte secondo natura, e non sotto la gestione burocratica dall'alto.
Il Lais (testo d) rimanda nel titolo a un famoso componimento medievale: il Lascito o Legato
di François Villon agli amici, prima della sua morte. Come suggerisce l'autore, anche il
"salutz" è «una specie di consuntivo a cui la prematura morte del Poeta avrebbe poi conferito
un valore quasi pretestamentario». Ne è dimostrazione questo struggente congedo del poeta
dagli oggetti più cari, specie dalla stilografica con cui ha fissato sulla carta le sue
fantasticherie poetiche. La metafora classica di Penelope che veglia sul sonno di Ulisse
nobilita la fedele dupont, l'unico oggetto scelto tra le cose più care, a rischio del poeta stesso,
che fin sul letto di morte sarà tentato di dare corpo poetico ai fantasmi della mente. Segue la
metafora religiosa della spina compagna di dolore che il poeta si sfila dal cuore. Infine, ecco la
metafora più struggente: la vita umana è simile a una vita di ragno e, quando si approssima la
morte, solo un filo di futile bava ci tiene attaccati all'ultimo residuo di vita. La considerazione
finale è la più triste: l'ordine che i sopravvissuti fanno nella camera dello scomparso
consisterà nel buttar via, come inutili cianfrusaglie, le reliquie (v. 1) del poeta. Giudici
condivide qui l'amara persuasione di un suo grande amico, Franco Fortini, che, nella lirica
Traducendo Brecht, pur ritenendo inutile a fini pratici la poesia, rivolgeva a se stesso
l'imperativo di continuare a scrivere: «...La poesia / non muta nulla. Nulla è sicuro, ma
scrivi».
233
Bibliografia essenziale
Edizioni: tutte le poesie di Giudici sono ora raccolte in I versi della vita, a cura di R. Zucco,
introd. di C. Ossola, Meridiani Mondadori, Milano 2000.
Antologie: Poesie scelte (1957-1964), a cura di F. Bandini, Milano 1975.
Bibliografia: una prima bibliografia è stata raccolta da F. Bandini nell'antologia cit.; una
antologia della critica è quella in appendice ai due volumi delle Poesie 1953-1990, Garzanti,
Milano 1991.
Contributi critici: G. Giudici: ovvero la costruzione dell'opera, a cura di E. De Signoribus, in
«Hortus», 18 (1995), con bibliografia della critica; Scritture contemporanee: G. Giudici, in
«Nuova Corrente», 44 (1997).
7.6 Giovanni Raboni
7.6.1 Il poeta delle ombre, della malinconia, della passione civile
È ormai troppo riduttivo considerare Giovanni Raboni come un esponente della «linea
lombarda»: si tratta in realtà di uno degli ultimi grandi protagonisti della poesia
novecentesca. Si può parlare piuttosto di realismo lombardo, nel senso in cui questa
espressione è stata usata per Vittorio Sereni (il poeta più vicino a Raboni): una
decifrazione della "parola nascosta" nell'enigma della realtà. E si può risalire alle
ascendenze più illustri della poesia raboniana, da Parini (una cui celebre lirica è ripresa
da Raboni con il titolo rovesciato L'insalubrità dell'aria) a Manzoni, la cui presenza
circola insistentemente nella prima raccolta del poeta milanese, Le case della Vetra. Ma
la vena più profonda della lirica di Raboni è l'esplorazione d'ombra che lo lega ai cari
scomparsi (soprattutto al padre, protagonista di alcune tra le sue liriche più suggestive).
Poeta delle ombre, evocate con una tenera e straziata elegia, Raboni è anche il poeta
dell'esperienza erotica, vissuta nell'ambivalenza di amore e morte, di sensualità e
malinconia. Forse, la corda più segreta dell'ispirazione di Raboni è l'«alta e ironica
malinconia» di cui egli parla in una delle sue ultime opere, Rappresentazione della
Croce. Accanto al poeta, occorre ricordare anche Raboni come critico letterario, teatrale
e di costume, che ha applicato il suo rigore morale ai temi più scottanti dell'attualità,
con interventi giornalistici risolti in taglienti sguardi sul mondo e sulla realtà politicosociale. E occorre infine ricordare l''instancabile traduttore, che ha dedicato dodici anni
per tradurre il capolavoro letterario più alto del Novecento, la Ricerca del tempo
perduto di Marcel Proust.
7.6.2 La vita. Il critico e il traduttore
Nato a Milano nel 1932, Giovanni Raboni si è laureato in giurisprudenza. Dedicatosi al
lavoro editoriale, è stato funzionario e consulente di diverse case editrici e ha
collaborato con numerosi giornali e riviste. Dal 1987 al 1998 è stato critico teatrale del
Corriere della Sera, al quale ha continuato a collaborare come firma culturale di primo
piano. È morto a Milano nel 2004.
L'attività di critico militante di Raboni è documentata da Poesia degli anni sessanta
(1976), dall'antologia di Poesia italiana contemporanea (1980) e il capitolo Poeti del
secondo Novecento per la Storia della Letteratura Italiana, diretta da N. Sapegno, Il
Novecento, ed. accresciuta e aggiornata, Garzanti, Milano 1987. Altri suoi saggi sono
raccolti in Quaderno in prosa (1981). Molto ampia è la sua attività di traduttore dal
234
francese, che comprende il Bestiario di G. Apollinaire (1977), I fiori del male di
Baudelaire (1973 e 1987), Fedra di J. Racine (1984) e la versione integrale della
Ricerca del tempo perduto di M. Proust (1983-1993).
7.6.3 Le opere poetiche
Le prime plaquettes. Raboni ha esordito con una plaquette (piccolo opuscolo) dal titolo
mozartiano, Il catalogo è questo (1963). Più tardi, il poeta tornerà ad ispirarsi a Mozart
in La fossa di Cherubino (1980), il suo unico libro di prosa narrativa. Una plaquette è
anche L'insalubrità dell'aria (1963), omaggio all'illuminismo pariniano rivisitato in
chiave di attualità.
Le case della Vetra. Le poesie giovanili di Raboni sono raccolte in Le case della Vetra
(1966), dedicate al quartiere reso celebre dalla manzoniana Storia della colonna infame.
Il poeta anatomizza frantumi di realtà della vecchia Milano, in stridente contrasto con la
realtà neocapitalistica. La città appare sperduta in un paesaggio disumano, in cui l'uomo
appare un ingranaggio. La lirica più celebre della raccolta è Risanamento. Ma è
opportuno ricordare anche La discussione sul ponte, che si riferisce, come Risanamento,
alla copertura del Naviglio e alla cancellazione delle memorie, che induce il poeta a
chiedere pietà per i morti: «oltre i portoni / sembra che il verde sollevi la sua groppa /
consunta, i giardini fatti a pezzi / dal notaio, spianati dal bulldozer / dei monopoli ...
Forse è questo / che dovrebbe sapere: da che parte / ci tirano le ombre, se bisogna /
vivere con i vivi o con i morti».
Cadenze d'inganno. La compresenza di privato e pubblico, di quotidiano e fantastico,
caratterizza Cadenza d'inganno (1975), dove assume rilievo il tema politico, in una
Milano colpita e attonita fra la strage di piazza Fontana e la morte di Giangiacomo
Feltrinelli. Un forte impegno etico e civile pervade, in particolare, L'alibi del morto, una
poesia dedicata all'anarchico Giuseppe Pinelli, morto in circostanze oscure nel 1969,
precipitando dalla finestra della questura milanese: memorabile, per il suo gelido
sarcasmo, è soprattutto la seconda quartina (Il perito settore dice che le ferite / non sono
incompatibili con la meccanica di / una caduta dall'alto. Il giornale conclude / che
dunque il morto si è suicidato). Tra le altre liriche, molto intensa è Creditori, dedicata
alla morte della madre (... Sempre c'è / poco tempo quando dobbiamo fare / i conti con i
morti. E così dico / a mia madre di aver pazienza - a lei / che vicina a morire, ancora /
vuol sapere com'era la mia cena...).
Nel grave sogno. La tematica politica si attenua nella raccolta del 1982, Nel grave
sogno, dove emerge con particolare intensità il tema di amore e morte, nel quadro di
una indagine visionaria sui confini tra la vita e la morte, la realtà e il sogno.
Canzonette mortali. Il romanzo autobiografico in versi di Raboni ha una nuova sua
tappa nelle Canzonette mortali (1986), dove la bipolarità amore/morte è rivisitata in una
forma epigrammatica, di esplicita sensualità, e in un linguaggio alto, che si ricollega alla
tradizione della lirica cortese: non a caso, nella sezione Sestina e sette temi da Arnaut
Daniel, Raboni si esercita in una serie di variazioni sui temi e sulle forme della poesia
trobadorica. Spicca, nella raccolta, la poesia Un giorno o l'altro ti lascio, un giorno.
A tanto caro sangue. Non solo un'antologia riassuntiva della produzione precedente,
ma una singolare riscrittura, con modifiche anche profonde ad alcuni testi, è A tanto
caro sangue (1988), dove si legge una delle liriche più intense di Raboni, La guerra,
evocazione del padre che si prodigava per la famiglia in tempo di guerra: ora che il
poeta ha raggiunto l'età del padre quando morì, si sente suo fratello (Adesso, dopo tanto
/ che lui è entrato nel niente e gli divento / giorno dopo giorno fratello, fra non molto /
fratello più grande...).
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Versi guerrieri e amorosi (1990). Una prosecuzione delle Canzonette mortali è la breve
raccolta Versi guerrieri e amorosi (1990), poesie scritte nel vivo della passione amorosa
per la poetessa Patrizia Valduga, ma anche per rievocare le durissime esperienze del
tempo di guerra.
Ogni terzo pensiero. Il tema della morte domina in Ogni terzo pensiero (1993), un
titolo shakespeariano, tratto dalla Tempesta, in cui Prospero dichiara: «ogni terzo
pensiero sarà per la mia morte». Notevole è, in quest'ultima raccolta, la riscoperta della
metrica chiusa e, in particolare, del sonetto: specie nei sonetti della terza sezione, il
rigore morale (di derivazione manzoniana) di Raboni si cala nella forma inattuale del
sonetto per esprimere un'attualissima disperazione lirica («Nessuno può rovinarmela la
festa / del mattino, quando il sole che dà / fiato alla sua raucedine ridesta / a dolori e
crimini la città // che amo»).
Quare tristis. Un capolavoro della raboniana "poesia delle ombre" è Quare tristis
(1998), dove la religiosa interrogazione alla propria anima sulle ragioni della propria
tristezza ha la sua spiegazione nel ricordo assillante dei cari morti. Una folla di
scomparsi preme sulla coscienza infelice del poeta e degli altri sopravvissuti,
«risucchiati all'indietro da un'immensa moviola», perché «chi si sogna / vivo coi suoi
morti forse non è / vivo che lì, nel sogno, e non bisogna / svegliarlo - non ancora, non
finché // fuori, nella luce, c'è quella macina / che stride, quella lamiera che abbacina». In
questo clima luttuoso, dove anche la storia sembra «sprofondata» tra macine stridenti e
lamiere abbacinanti, e «nessuna storia si può scrivere se non nella cenere», il poeta fa
una esplicita e inattuale dichiarazione: «Orribile a dirsi, in un certo modo, / io sono
comunista»; questa impronunciabile parola suona come «talismano/ passato, perduto di
mano in mano, / cruenta, arrugginita reliquia, chiodo // storto nel muro della storia».
Rappresentazione della Croce. Nel 2000, sulla soglia della morte e della rinascita di un
millennio, Raboni pubblica la sua prima opera teatrale, Rappresentazione della Croce,
44 scene in versi, ciascuna delle quali è affidata ad uno o più personaggi, testimoni
diretti della Passione di Cristo. Spicca su tutti la figura della Maddalena, alla quale il
poeta attribuisce un mirabile discorso.
Alcesti. Del 2002 è la seconda opera teatrale di Raboni, Alcesti, una riscrittura della
tragedia di Euripide. Come nel mito, una giovane donna sceglie di sacrificarsi al posto
dello sposo e dell'anziano padre di lui. Ritorna, nell'assiduo dialogo del poeta con i
morti, la figura del padre, un uomo stanco, carico d'anni e di saggezza, che esprime così
il suo struggente desiderio di continuare a vivere: Io ci tengo / ancora, ci tengo forse di
più / ci tengo forsennatamente / a quel po' d'albe e di tramonti / che, chissà, potrei
ancora vedere …
Barlumi di storia. L'ultima raccolta di Raboni, Barlumi di storia (2002), è scritta sotto
il segno del grande amico del poeta, Vittorio Sereni. Rievocando una lontana riunione
di letterati, Raboni ricorda l'arrivo improvviso di Sereni, che reca una luttuosa notizia:
«hanno sparato a Kennedy». Quando un’“altra” storia sembrava a portata di mano, si
verifica la «vittoria del peggio sul peggio». Desolata è la conclusione: Sì, tutto in bianco
e nero, se Dio vuole. / E tutto, anche le foglie che crescono, / anche i figli che nascono, /
tutto, finalmente, senza futuro. Ma nel risvolto di copertina della raccolta si legge una
parola consolante: «perseveriamo».
Da A tanto caro sangue
Riproduciamo, dalla raccolta antologica A tanto caro sangue, due liriche di Raboni:
Risanamento, una poesia di Le case della Vetra riscritta con sostanziali modifiche; e Un
giorno o l'altro ti lascio, un giorno, una delle Canzonette mortali.
236
(A tanto caro sangue, «Lo Specchio», Mondadori, Milano 1987)
a. Risanamento
Di tutto questo
non c’è più niente (o forse qualcosa
s’indovina, c’è ancora qualche strada
acciottolata a mezzo, un’osteria).
Qui, diceva mio padre, conveniva
5
venirci col coltello … Eh sì, il Naviglio
e a due passi, la nebbia era più forte
prima che lo coprissero … Ma quello
che hanno fatto, distruggere le case,
distruggere quartieri, qui e altrove,
10
a cosa serve? Il male non era
lì dentro, nelle scale, nei cortili,
nei ballatoi, lì semmai c’era umido
da prendersi un malanno. Se mio padre
fosse vivo, chiederei anche a lui: ti sembra
15
che serva? e il modo? A me sembra che il male
non è mai nelle cose, gli direi.
Metro: versi liberi.
1-2. Di tutto...niente: nel corso di una visita al vecchio quartiere della Vetra, il poeta constata che, del passato, non
c'è quasi più traccia.
5-6. conveniva...coltello: l'espressione del padre morto si riferiva alla pericolosità del luogo, dove era facile
incontrare dei malviventi.
6. Eh sí: ha inizio una serie di considerazioni del poeta.
7. prima che lo coprissero: il Naviglio fu interrato negli anni Trenta, nel quadro di un "risanamento" del quartiere,
che portò all'abbattimento di tante povere case.
14-17. Se mio padre...gli direi: dopo le sue riflessioni, il poeta riprende il suo immaginario colloquio con il padre
morto.
b. Un giorno o l'altro ti lascio, un giorno
Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
dopo l’altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti – o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m’incanto…
5
Metro: raggruppamento strofico di otto versi, comprendenti cinque endecasillabi e tre settenari, con qualche rima.
1-5. Un giorno... soltanto: il poeta ama una donna molto più giovane, e teme che la morte interrompa bruscamente
la sua relazione amorosa.
8. m'incanto: sottinteso: a guardarti.
DENTRO IL TESTO
Il testo a è esemplare dello stile quasi prosastico del primo Raboni: uno stile colloquiale,
disadorno, che predilige i toni bassi del "parlato" quotidiano. Avvertiamo, tra le righe, la forte
commozione del poeta nel rivedere i luoghi della sua infanzia, contenuta tuttavia
dall'intervento di una riflessione pacata. Eppure, nell'enumerazione dei luoghi cari alla
memoria (la strada acciottolata a mezzo, l'osteria, il Naviglio, le scale, i cortili, i ballatoi...),
237
circola una pungente nostalgia, che diventa, nei versi conclusivi, desiderio struggente di
riprendere quel "colloquio" con il padre che è stato interrotto dalla morte.
Il testo b mostra l'evoluzione del linguaggio poetico di Raboni: un linguaggio alto, che
riprende uno dei temi più elevati della tradizione poetica, la bipolarità tra l'amore e la morte.
In un fitto tessuto di ripetizioni e nel gioco musicale delle rime, il poeta esprime, nei primi
versi, uno stato d'animo inquieto, dominato dalla paura della morte e del distacco dalla donna
amata, ma poi, negli ultimi tre versi, si autoimpone la calma, l'immobilità più assoluta, e si
appaga nella contemplazione della bellezza, smemorandosi in un atteggiamento che Pier
Vincenzo Mengaldo ha felicemente definito «automatismo sonnambulo». Colpisce soprattutto
il sentimento del tempo, affidato alla sequenza iniziale (Un giorno o l'altro... un giorno / dopo
l'altro...): una tematica costante nella più recente produzione del poeta, fino ai bellissimi versi
di Barlumi di storia, dove, a «corrompere le cose», sono «gli spifferi / dei giorni che cadono a
pezzi, / delle settimane uscite dai cardini, / dei mesi, degli anni che tremano / alle spallate d'un
vento invisibile».
Bibliografia essenziale
Edizioni: Tutte le poesie (1951-1993), Garzanti, Milano 1997; Rappresentazione della Croce,
Garzanti, Milano 2000; Alcesti o la recita dell'esilio, Garzanti, Milano 2002; Barlumi di storia,
Mondadori, Milano 2002.
Saggi e studi: T. Kemeny, C. Viviani (a cura di), La poesia italiana degli anni Settanta,
Dedalo, Bari 1979; R. Barilli (a cura di), Viaggio al termine della parola. La ricerca
intraverbale, Feltrinelli, Milano 1981; G. Luzzi, Poeti della linea lombarda (1952-1985),
CENS, Liscate-Milano 1987; N. Lorenzini, Il presente della poesia, 1960-1990, Il Mulino,
Bologna 1991; P.V. Mengaldo, La tradizione del Novecento, III serie, Einaudi, Torino 1991.
238
SEZIONE OTTAVA
ALLEN GINSBERG
8.1 Il poeta-profeta della Beat generation
La beat generation. Movimento di protesta della gioventù post-bellica statunitense, la
beat generation (generazione frustrata) nacque all'inizio degli anni Cinquanta intorno ai
centri di San Francisco e New York. I beatniks (così autodefinitisi dalla fusione del
termine inglese beat, "battuto", con la desinenza della parola russa sputnik, "satellite")
opposero un netto rifiuto all'ipocrisia e al conformismo della società consumistica
statunitense, esaltando tutto ciò che essa aveva messo al bando: vagabondaggio, libertà
sessuale, alcol, droga. Pacifisti, attratti dalle filosofie orientali e dal buddhismo zen (che
valorizzava la contemplazione rispetto all'azione), gli intellettuali e gli artisti del
movimento tentarono di gettare le basi di un nuovo concetto di cultura e di letteratura,
basato sul disprezzo del razionale, sull'evasione dalla realtà e sul rifiuto del
consumismo, per salvare l'uomo come "essere umano libero". Romanzo esemplare dei
beatniks fu Sulla strada (1957) di Jack Kerouac (vedi 11. 2), che rinnovò con enorme
successo il mito americano del "viaggio", radicato nell'esperienza leggendaria dei
pionieri del West. Altro romanzo famoso del movimento fu Il pasto nudo (1959) di
William Burroughs (vedi sezione quinta). All'inizio degli anni Sessanta, il movimento
si esaurì, confluendo in altri movimenti (gli studenti, le lotte dei neri, ecc.) di carattere
più nettamente politico.
Ginsberg, il poeta dell'Urlo. Massimo esponente della Beat generation, Allen
Ginsberg è stato il poeta più originale e avvincente della più recente storia letteraria
americana: con il suo celebre Urlo, egli ha dato il via alla rivoluzione giovanile degli
anni Sessanta e Settanta. La sua voce è stata la più ascoltata dai giovani, che hanno visto
in lui un leggendario profeta della liberazione da ogni tipo di oppressione (politica,
sessuale, economica, religiosa) e un modello di comportamento negli anni della
contestazione. Ginsberg infatti non è stato solo «la massima voce della poesia
americana dai tempi di Whitman», come lo ha definito il suo discepolo Bob Dylan, ma è
stato anche l'uomo che forse ha più influito sulla musica, la politica e il costume degli
Stati Uniti nel secondo Novecento. Nella sua opera allucinata e frenetica, vicina alla
tradizione del jazz e del folk, talvolta ampia e fluida secondo un modello whitmaniano,
Ginsberg espone drammaticamente la realtà statunitense, le contraddizioni
dell'individuo in una società che non lascia spazio all'evasione, l'angoscia della
solitudine di una generazione, la speranza di un recupero dell'innocenza, della
fratellanza e della pietà fra gli uomini. Gli "eroi" della rivoluzione beat sono stati
appunto Ginsberg, con i suoi versi lampeggianti, e Jack Kerouac, prosatore stupendo.
Non è un caso che nel 1957 siano stati pubblicati Urlo, il manifesto poetico di Ginsberg,
e Sulla strada di Kerouac, la Bibbia dei giovani nomadi, ribelli contro l'intolleranza
ideologica e il moralismo rigido dell'America perbenista.
8.2 La vita
Allen Ginsberg nacque il 3 giugno 1926 a Newark (New Jersey) da Louis, un poeta
ebreo, docente di liceo a Paterson, e da Naomi Levy, di origine russa. L'infanzia di
Allen fu segnata dalla malattia mentale della madre, che mori a New York nel 1956.
Entrato a diciassette anni alla Columbia University, vi incontrò William Burroughs
(vedi sezione quinta) e Jack Kerouac, con i quali elaborò un nuovo movimento di
239
pensiero chiamato «new vision», che sarà alla base della beat generation. Un altro
incontro decisivo fu quello con Neal Cassady, che sarà l'unico "eroe" non scrittore del
gruppo beat. Dopo la laurea fu coinvolto da un drogato in una storia di piccola
criminalità e, per evitare la prigione, acconsentì a farsi ricoverare in un istituto
psichiatrico della Columbia University, dove incontrò il poeta Carl Salomon, futuro
dedicatario di Urlo. Dimesso, entrò in contatto con Gregory Corso e con il poeta
William Carlos Williams ed ebbe relazioni omosessuali prima con Burroughs e poi con
Peter Orlovsky. Tra il 1955 e il 1956 eseguì pubblicamente a San Francisco la lettura
del suo poema Howl (Urlo), che suscitò deliranti entusiasmi e fu pubblicato dalla casa
editrice City Lights, diretta da Lawrence Ferlinghetti. Il libro fu sequestrato e Ginsberg,
insieme con il suo editore Ferlinghetti, fu processato per oscenità. Numerosi intellettuali
si schierarono in difesa del poeta, che venne assolto dal giudice Clayton Horn, secondo
il quale Urlo era una denuncia contro il materialismo, il conformismo e la
meccanizzazione dell'America moderna. Negli anni Sessanta Ginsberg viaggiò per tutto
il mondo. Nel corso di un concerto a Berkeley, conobbe Bob Dylan, che gli insegnò gli
accordi della chitarra (ma lo strumento preferito del poeta era l'armonium). Un altro suo
amico fu Trungpa Rimpoche, che lo chiamò a insegnare all'università buddhista a
Boulder, nel Colorado, dove Ginsberg fondò la Jack Kerouac Disembodied School. Nel
1986 fu nominato Distinguished Professor al Brooklyn College. Divenuto un buddhista
credente dopo un viaggio in India, il poeta praticò con coerenza il nuovo credo, fino alla
morte, avvenuta a New York il 5 aprile 1997.
8.3 Le opere
Urlo. La prima e più famosa opera di Ginsberg, Howl (Urlo, (1957) fu scritta a San
Francisco e fu letta dal poeta nelle strade e nei circoli beats di quella città. Riprendendo
lo stile dei cataloghi di Whitman (vedi Parte XIV), Ginsberg adotta il verso lungo, che
risente della suggestione dei ritornelli di sassofono da lui ascoltati nei club di jazz e, in
particolare, del ritmo sincopato del be-bop di Charlie Parker. Sensibile è anche
l'influsso sul poeta dell'automatismo dei «pittori di gesto» (Pollock, Klein, De
Kooning). Ma più remote suggestioni sono presenti nella sua poesia, quelle del versetto
biblico e della salmodia ebraica: di qui il tono oracolare e profetico del poemetto.
Al centro di Urlo è la figura di Carl Salomon, internato in un ospedale psichiatrico, con
il quale il poeta si identifica, avendo ben conosciuto la tragedia della follia attraverso la
malattia della madre. Sullo sfondo del poemetto sono drammatici avvenimenti
contemporanei, come l'arma atomica, le guerre in Corea, l'escalation della "guerra
fredda". Ma, nonostante le immagini violente, Howl non è un'opera aggressiva e si
conclude con un appassionato appello alla pace e alla non violenza.
Urlo comprende tre parti, più il Sanctus della Nota conclusiva. («Tutto è santo! tutti
sono santi! dappertutto è santo! tutti i giorni sono nell'eternità! Ognuno è un angelo!»).
Così il poeta riassume il suo poemetto: «La prima parte tratta con partecipazione alcuni
casi individuali. La seconda parte descrive e rifiuta la società di Moloch [il dio fenicio
del fuoco, cui venivano sacrificati i bambini] che confonde e distrugge l'esperienza e le
forze individuali e costringe l'individuo a considerarsi pazzo se non respinge le proprie
tentazioni più profonde. La terza parte è un'espressione di partecipazione e
identificazione con Carl Salomon che è in manicomio, e dice che la sua follia è
fondamentalmente una ribellione contro Moloch, e io sono con lui e gli tendo la mano».
Alle tre parti corrispondono tre movimenti musicali: la prima parte evoca i ritornelli di
sassofono del jazz di Charlie Parker e Lester Young; la seconda parte ricorda la musica
di Miles Davis; e la terza parte ha l'andamento lirico dei blues di John Coltrane.
240
L'Urlo è stato pubblicato in Italia (1965) nella versione di Fernanda Pivano, con il titolo
Juke-box all'idrogeno suggerito alla traduttrice dallo stesso autore. Fanno parte della
raccolta altre liriche, tra le quali spicca Un supermarket in California, una poesia
dedicata a Whitman («Ah, caro padre, grigio di barba, vecchio solitario maestro di
coraggio...».
Kaddish e altre poesie. Un addio alla madre Naomi è Kaddish (1960), la preghiera dei
morti nel culto ebraico. Definito da Robert Lowell «un terribile capolavoro», il
poemetto rievoca la madre di Ginsberg in una serie di immagini lampeggianti e
struggenti: «Naomi giovane, bella e sorridente, una corona di fiori nei capelli, Naomi
cicatrizzata per la chirurgia, ingrassata per le cure, spaventata da suoni che soltanto lei
sentiva, Naomi ormai vecchia, paralizzata in parte da un ictus, i capelli diventati
bianchi» (Pivano). Si tratta non solo di una madre e di una famiglia, ma soprattutto di
una storia archetipica di una donna che vuole realizzarsi in una società maschilista e che
diviene il simbolo eroico di un intero genere distrutto dalla pazzia.
Il poemetto ha un folgorante inizio: «Strano ora pensare a te, andata senza busti &
occhi, mentre cammino al sole sull'asfalto del Greenwich Village / downtown
Manhattan, limpido meriggio d'inverno, e sono stato su tutta la notte, a parlare, parlare,
leggere forte il Kaddish, ascoltare al grammofono gli urlati blues di Ray Charles cieco».
Viene rievocato poi il primo collasso nervoso della madre nel 1919 («rimase a casa
sdraiata in una stanza buia - qualcosa che non andava - mai detto che cosa - qualsiasi
rumore le faceva male»). Drammatica è la rievocazione delle visioni terribili della
donna impazzita (gli «insetti di Mussolini» sul letto, «Hitler nella stanza, lei vedeva i
suoi baffi nel lavandino», «Trotzky che mescola batteri di topo nel retrobottega»...).
Tragica, infine, è l'ultima visita del figlio alla madre morente in ospedale («L'Orrore» io
piangente – rivederla - «L'Orrore» - come se fosse morta in un funerale di muffa «L'Orrore!» / Ritornai gridò di più - la portarono via - «Non sei Allen» - la fissai in
faccia - ma mi passò accanto, senza guardare - »). Due giorni dopo la sua morte, Allen
riceve l'ultima lettera della madre: «Strane Profezie rinnovate! Scriveva: La chiave è
nella finestra - Io ho la chiave - Sposati Allen non prendere droghe - la chiave è tra le
sbarre, nel sole nella finestra. / Con affetto, / tua madre / che è Naomi - »).
Tra le altre poesie della raccolta, si segnala Poesia razzo, con un bellissimo ricordo di
Einstein («Solo lo scienziato è vero poeta egli ci regala la luna / ci promette le stelle ci
farà un nuovo universo se sarà necessario / O Einstein avrei dovuto mandarti i miei
manoscritti fiammeggianti. / O Einstein avrei dovuto venire in pellegrinaggio ai tuoi
capelli bianchi!»). Intensissima è la rievocazione di una visita alla tomba di Apollinaire
a Parigi: il poeta posa il suo «temporaneo Urlo americano» sul «silenzioso
Calligramme» del poeta francese e immagina di essere sepolto accanto a lui («sono
sepolto qui e siedo accanto alla mia tomba sotto un albero»). In un'altra lirica, Ginsberg
rimprovera all'America le sue persecuzioni contro grandi uomini e contro vittime
innocenti («Einstein da vivo è stato schernito per la sua politica angelica / Bertrand
Russell scacciato da New York per i suoi amori / e l'immortale Chaplin è stato scacciato
dalle nostre sponde con la rosa tra i denti»... «Il monumento a Sacco & Vanzetti non
ancora finanziato...») e conclude in tono profetico: «Denaro! Denaro! Denaro!... Denaro
fatto di nulla, di fame, di suicidio! Denaro di fallimento! Denaro di morte! / Denaro
contro l'Eternità! e le forti macchine dell'eternità triturano la vasta carta dell'Illusione!».
La caduta dell'America. In una delle sue ultime raccolte, The fall of America (La
caduta dell'America, 1972, trad. it. 1996), Ginsberg ha denunciato la guerra del
Vietnam, immaginando di elencare, nella Litania del profitto di guerra, le corporazioni,
i militari, le banche, i giornali, coinvolti tutti per ragioni di profitto in quell'impresa di
distruzione e di morte. Impressionante è il catalogo delle categorie responsabili del
massacro: «Ecco i nomi delle compagnie che hanno fatto soldi con questa guerra /
241
novecentosessantotto Annodomini quattromilaottanta Ebraico / Ecco le corporazioni
che hanno profittato vendendo fosforo bruciapelle o bombe / [...] ecco i nomi dei padri
in carica di queste industrie, telefoni che dirigono la finanza, / nomi di direttori, creatori
di destini ... / [...] ed ecco i nomi dei generali & comandanti militari, che adesso così
lavorano per i produttori di materiale di guerra; / e su questi, elencati, i nomi delle
banche, consorzi, trusts di investimenti che controllano queste industrie: / ed ecco i
nomi dei giornali posseduti da queste banche / [...] e l'inizio di questo conto è il 1958 e
la fine il 1968, statistica che sia contenuta in mente ordinata, coerente & precisa ...».
Primi blues. Dall'incontro con Bob Dylan sono nati i First blues (Primi blues, 1975),
nei quali Ginsberg recita salmodiando i blakiani canti dell'innocenza e dell'esperienza,
accompagnato dalla stregata chitarra del grande musicista. Riportiamo nel testo
originale e in traduzione le prime due stanze:
Ho when yiu gonna
lie down by my side
When the spirit hits you
please lie down by my side
Three nights you didnt come home
I slept by myself & sighed
O' wehn you gonna
look me in the eyes
Wehn the spirit hits you
look me in the eyes
Oh honey come hug me
take me by surprise.
(«Oh ma quand'è che / ti stenderai accanto a me / Quando ti prende il desiderio / ti prego
stenditi accanto a me / Non torni a casa da tre notti / ho dormito da solo e ho sospirato//
Oh ma quand'è che / mi guarderai negli occhi / Quando ti prende il desiderio / guardami
negli occhi / Oh tesoro vieni tra le mie braccia / prendimi di sorpresa»).
Commenta un poeta italiano, Attilio Bertolucci: «Vi sembra una canzonetta un po'
sentimentale? Ma ha, nell'originale, una levità argentea che fa pensare a certi songs
elisabettiani, una presa diretta che richiama la Saffo di «...l'ora trascorre - io dormo
sola».
Da Urlo e altre poesie
Lamento per l'Agnello d'America
Riportiamo alcuni passi della prima parte di Urlo (che Ginsberg definisce «Lamento
per l'Agnello d'America con esempi di notevoli giovani agnelli»).
(Jukebox all'idrogeno, a cura di Fernanda Pivano, La grande poesia, Corriere della
Sera, Milano 2004)
Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate della
mia, nude, isteriche, trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa,
242
hipsters dal capo d'angelo ardenti per l'antico contatto celeste con la dinamo stellata nel
macchinario della notte1,
che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio
soprannaturale di soffitte a acqua fredda fluttuando sulle cime delle città contemplando
jazz2,
che mostravano il cervello al Cielo sotto la Elevated e vedevano angeli Maomettani
illuminati barcollanti su tetti di casermette3
che passavano per le università con freddi occhi radiosi allucinati di Arkansas e tragedie
blakiane fra gli eruditi della guerra4,
che affondavano tutta la notte nella luce sottomarina di Bickford fluttuavano fuori e
passavano un pomeriggio di birra svanita nel desolato Fugazzi ascoltando lo spacco del
destino al jukebox all'idrogeno5,
che parlavano settanta ore di seguito dal parco alla stanza al bar a Bellevue al museo al
ponte di Brooklyn6,
schiera perduta di conversatori platonici precipiti dai gradini d'ingresso dalle scale di
sicurezza dai davanzali dall'Empire State giù dalla luna7,
farfugliando strillando vomitando sussurrando fatti e ricordi e aneddoti e sensazioni
ottiche e shocks di ospedali e carceri e guerre8,
che accendevano sigarette in carri merci carri mercicarri merci strepitanti nella neve
verso fattorie solitarie nella notte dei nonni9,
che studiavano Plotino Poe Sangiovanni della Crocetelepatia e cabala del bop perché il
cosmos vibrava istintivamente ai loro piedi nel Kansas10,
che stavano soli per le strade dello Idaho in cerca di
visionari angeli indiani che erano visionari angeli indiani11,
Metro: versetti biblico-whitmaniani, «una parlata-ritmo» (secondo la definizione di Ginsberg) che tende a riprodurre
la convulsione musicale del be-bop.
1. hipsters: «Nel linguaggio beat, hipster significa intenditore, uno che sa, che appartiene al gruppo. Chi è hip è il
contrario di chi è square, cioè un quadrato, non iniziato» (Pivano). - contatto: «Nell'originale: connection. Termine
di slang che designa colui che procura la droga. Normalmente la parola indica il contatto elettrico» (Pivano). di qui
l'allucinata associazione dinamo-notte.
2. che: «Mi appoggiai alla parola che per tenere il ritmo, come base per tenere la misura, a cui ritornare e da cui
ripartire per un altro filone di invenzione» (Ginsberg). - contemplando: allude all'audizione visionaria di jazz sotto
l'effetto di stupefacenti, come attestano la sensazione del buio illimitato e l'immagine del galleggiamento
(fluttuando).
3. che...Cielo: è la sensazione di un cervello dilatato dalla droga e identificato con la volta celeste. -Elevated: «Era la
ferrovia sopraelevata di New York, nota anche come Third Avenue Elevated». (Pivano). - angeli... casermette: «Si
allude a una visione del poeta Philiph Lamantia, intento in quei giorni alla lettura del Corano» (Pivano).
4. Arkansas: Stato del sud degli Stati Uniti, sulla riva destra del Mississippi. - tragedie blakiane: «Anni prima
avevo avuto una illuminazione beatificante durante la quale avevo udito l'antica voce di Blake e avevo visto
l'universo aprirsi nel mio cervello» (Ginsberg). - fra gli eruditi della guerra: esponenti della cultura accademica,
complici della politica militarista degli Stati Uniti.
5. Bickford: «Catena di cafeterias e ristoranti» (Pivano). - Fugazzi: «Bar del Greenwich Village» (Pivano). all'idrogeno: esplosivo, ad altissimo potenziale, come la bomba all'idrogeno.
6. Bellevue: «Il più grande ospedale comunale di New York. Comprende anche una vasta sezione per i malati di
mente» (Pivano).
7. platonici: contemplativi. - Empire State: il famoso grattacielo di New York, a Manhattan, nella Quinta Strada.
8. shocks: elettroshocks, applicati ai malati mentali negli ospedali psichiatrici.
9. nella notte dei nonni: nella storia dei pionieri.
10. Plotino... della Croce: i testi dell'idealismo neoplatonico (Plotino), visionario (Poe), mistico (San Giovanni della
Croce). - telepatia ...bop: riferimento al jazz di Charlie Parker e Dizzie Gillespie, i più famosi esponenti del be-bop
tra gli anni Quaranta e Cinquanta; la telepatia allude alla comunità mediatica creata dalla musica bop; la cabala
allude alla complessa struttura ritmica di quel genere musicale. - Kansas: stato centrale degli Stati Uniti, tra le
Montagne Rocciose e il Missouri.
11. Idaho: regione montuosa, a nord del Gran Lago Salato. - visionari angeli indiani: anche gli indiani, in quanto
minoranza, fanno parte degli «angeli», cioè dei diversi della «notte americana».
243
che credevano di essere soltanto matti quando Baltimore luccicava in un'estasi
soprannaturale12,
che sobbalzavano in limousine col Cinese dell'OkIaho-ma sotto l'impulso di inverno
mezzanotte luce stradale provincia pioggia13,
che indugiavano affamati e soli a Houston in cerca di jazz o sesso o minestra, e
seguivano il brillante Spagnolo per chiacchierare sull'America e l'Eternità, causa persa,
e così si imbarcavano per l'Africa14,
che scomparivano nei vulcani del Messico non lasciando che l'ombra dei jeans e la lava
e ceneri di poesia sparse nella Chicago caminetto15,
che riapparivano sulla West Coast indagando sul f.b.i. barbuti e in calzoncini con grandi
occhi pacifisti sexy nella pelle scura distribuendo volantini incomprensibili16,
che si bucavano le braccia con sigarette protestando contro la nebbia di tabacco
narcotico del Capitalismo17,
che diffondevano manifesti Supercomunisti in Union Square piangendo e spogliandosi
mentre le sirene di Los Alamos li zittivano col loro grido, e gridavano giù per Wall e
anche il ferry di Staten Island gridava18,
che si buttavano dal ponte di Brooklyn questo è successo davvero e se ne andavano
sconosciuti e dimenticati tra la foschia spettrale di Chinatown minestra vicoli &
autopompe, neanche una birra gratis19,
che cantavano disperati dalle finestre, cadevano dal finestrino del subway, si buttavano
nello sporco Passaic, saltavano su negri, piangevano lungo tutta la strada, ballavano
scalzi su bicchieri rotti spaccavano nostalgici dischi Europei di jazz tedesco del ‘30
finivano il whisky e vomitavano rantolando nel cesso insanguinato, nelle loro orecchie
gemiti e l'esplosione di colossali sirene20,
che rotolavano giù per le autostrade del passato andando l'un l'altro verso l'hotrodGolgotha di veglia solitudine-prigione o l'incarnazione del jazz di Birmingham21,
che guidavano est - ovest settantadue ore per sapere se io avevo una visione o tu avevi
una visione o lui aveva una visione per scoprire l'Eternità,
12. Baltimora: la più grande città del Maryland.
13. col Cinese dell'Oklaoma: tipica figura di cinese americanizzato, che accoglie nella sua automobile
l'autostoppista beat, in segno di solidarietà fra esclusi. - inverno...pioggia: «Corrente di associazioni di singole
parole che si assommano» (Ginsberg).
14. Houston: la più grande città del Texas. - il brillante Spagnolo: come il Cinese, è un altro esponente della società
americana plurietnica.
15. che...Messico: «Allusione al suicidio del giovane poeta John Hoffman, amico di Ginzburg e Lamantia, che
scomparve in un vulcano del Messico. Altri poeti seguirono il suo esempio» (Pivano). -non lasciando...caminetto:
«Il poeta allude alle numerose poesie brucite dai poeti di Chicago nei loro caminetti sotto lo stimolo della
disperazione in cui li avevano gettati i rifiuti degli editori di pubblicarle» (Pivano).
16. West Coast: la costa del Pacifico. - F.B.I.: Federal Bureu of Investigation, corpo di polizia statunitense, che ha
funzioni investigative in materie di interesse federale.
17. che si bucavano...del Capitalismo: i fumatori di droghe leggere esprimono la loro protesta contro l'uso dannoso
del tabacco, favorito dal sistema capitalistico.
18. Union Square: «Piazza di New York nella quale un tempo si svolgevano riunioni politiche e negli anni in cui
venne scritto Urlo si tenevano riunioni occasionali di beats del Greenwich Village» (Pivano). - Los Alamos: città del
New Mexico, centro statunitense delle ricerche nucleari. - Wall: Wall Street, il quartiere degli affari di New York. Staten Island: «Isola residenziale nella baia di New York, alla quale si accede per mezzo di un ferry-boat» (Pivano).
19. che si buttavano...e autopompe: «Nei vicoli adiacenti a Chinatown - un quartiere di New York confinante con la
Bobvery - vi sono centri assistenziali che distribuiscono minestra ai poveri. L'episodio della fuga di Ginsberg è
narrato nel romanzo Go di John Clellon Holmes» (Pivano).
20. subway: ferrovia sotterranea. - Passaic: fiume del New Jersey. -jazz tedesco: «Allusione alla musica di Kurt
Weill» (Pivano).
21. l'hotrod-Golgotha: «La parola hotrod indica le vecchie automobili riadattate e trasformate in macchine da corsa.
Golgotha, il monte dell'agonia di Cristo, simboleggia l'angoscia umana» (Pivano). - Birmingham: città dell'Alabama,
centro del jazz originario.
244
intrappolavano l'arcangelo dell'anima tra immagini visive e univano i verbi elementali e
sistemavano insieme il sostantivo e il trattino della coscienza sobbalzando alla
sensazione del Pater Omnipotens Aeterni Deus22
per ricreare la sintassi e la misura della povera prosa umana e fermarvisi di fronte muti e
intelligenti e tremanti di vergogna, ripudiati ma con anima confessa per conformarsi al
ritmo del pensiero nella sua testa nuda e infinita23,
il pazzo vagabondo e angelo battuto nel Tempo, sconosciuto, ma dicendo qui ciò che si
potrebbe lasciar da dire nel tempo dopo la morte24,
e si alzavano reincarnati nei vestiti spettrali del jazz all'ombra tromba d'oro della banda
e suonavano la sofferenza per amore della nuda mente d'America in un urlo di
sassofono elai elai lamma lamma sabacthani che faceva tremare le città fino all'ultima
radio25
col cuore assoluto della poesia della vita macellato dai loro corpi buono da
mangiare per mille anni26.
22. facevano...: contrapposte: mediante associazioni oniriche di immagini contrapposte rendevano concreti nel
tempo e nello spazio gli astratti abissi dell'anima. - i verbi elementali: i verbi degli elementi primi. - Pater ...Deus:
Padre Onnipotente Dio dell'Eterno.
23. per ricreare...umana: per ritrascrivere nella povera prosa umana il ritmo della Mente infinita. - ripudiati
...confessa: esclusi per la propria diversità dai benpensanti, ma con anima sincera.
24. il pazzo ...Tempo: «Il paria, battuto dalla società, che sta sotto e sopra la società, come i vagabondi, i pazzi e gli
angeli» (Pivano). Si noti la parola battuto, uno dei significati del termine beat. -ma dicendo... morte: ma dicendo
subito (anche a costo di destare scandalo) ciò che sarebbe prudente lasciar dire agli altri dopo la propria morte.
25. e si alzavano...spettrali: «Spettri sperduti che gemono bramando il corpo cercano di inserirsi nei corpi di uomini
viventi» (Ginsberg). - eli ...sabactani: vedi Matteo, XXVII, 46: «Verso le tre Gesù gridò a gran voce: Elì Elì lamà
sabactàni? che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
26. dai loro corpi: dalla violenza fisica di coloro che, secondo il Vangelo, non sanno quello che fanno. buono...anni: allusione al sacramento dell'Eucarestia.
DENTRO IL TESTO
Al lettore dell'Urlo si impone anzitutto la sua forma metrica, il versetto biblico congiunto al
verso lungo di Whitman. Scrive Ginsberg: «Avevo capito in quel momento che la forma di
Whitman era stata di rado esplorata più a fondo. Nessuno ha fatto il tentativo di usarla alla
luce di una nuova prosodia parlata-ritmo per erigere larghe strutture organiche». Spiega a
sua volta Fernanda Pivano, la migliore interprete italiana della poesia di Ginsberg: «Il suo
passaggio da una prosodia basata sull'accento a una prosodia basata sulla parlata, sul ritmo e
sulle prese di respiro, ha segnato il passaggio da una poesia accademica a una poesia
moderna». Non c'è nulla di meno accademico, infatti, di questo poemetto, che dà profondità
infernali si solleva (in un crescendo segnato dall'anafora del che) fino alle altezze mistiche
della possente parte conclusiva, che ha l'afflato di una preghiera corale.
L'attacco è celeberrimo: Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla
pazzia... Si tratta di una poesia parlata, che si rivolge a tutti, con particolare riferimento agli
hipsters, gli «angeli della notte americana», i diversi, siano essi omosessuali o drogati o
appartenenti a minoranze razziali. La novità della poesia di Ginsberg è colta subito
dall'amico-editore del poeta, Lawrence Ferlinghetti, che scrive: «La poesia che si è fatta udire
qui di recente potrebbe venir definita poesia della strada. Il suo intento è di riportare la poesia
nella strada dove si trovava una volta, fuori dell'aula scolastica, fuori del corso di eloquenza e
fuori della pagina stampata. La parola stampata ha reso la poesia silenziosa. Ma la poesia di
cui parlo è poesia parlata, poesia immaginata come messaggio orale». È significativo che uno
dei primi estimatori dell'Urlo sia stato Jack Kerouac, l'autore di Sulla strada, che si è
certamente riconosciuto nelle parole dei versetti 24 e 25 (che rotolavano giù per le autostrade
... che guidavano est-ovest settantadue ore...). Poesia della strada, l'Urlo è anche il poema
dell'allucinazione visionaria: non a caso, al versetto 6, sono ricordate le tragedie blackiane.
William Blake è stato uno dei modelli del capolavoro di Ginsberg, che ha coniugato la poesia
profetica e visionaria del poeta inglese con la matrice culturale ebraica e con il misticismo
245
orientale. Ma determinante sul ritmo del poemetto è l'influsso del be-bop di Charlie Parker: i
versi si snodano in lunghe sequenze, come le frasi musicali di un sassofono. È il ritmo musicale
ad imporre il corto circuito associativo di espressioni come inverno mezzanotte luce stradale
provincia pioggia o l'aggettivazione del nome proprio come in Chicago caminetto. Tutta una
cultura musicale si esprime così in questa poesia beat, che alterna l'angoscia della solitudine
(che stavano soli per le strade dello Idaho ...) a momenti di gioioso divertimento, come accade
quando i giovani in jeans indagano sui poliziotti dell'F.B.I., invertendo il rapporto tra inquisiti
e inquisitori. Nella parte finale il tono si innalza, svelando lo scopo dell'inquietudine della
generazione beat: quella di pervenire ad una visione per scoprire l'Eternità. Quelle corse
spericolate in vecchie auto trasformate in macchine da corsa (versetti 24-25) rimandano alla
figura di un attore-mito come James Dean, protagonista del film Gioventù bruciata (1955),
morto giovanissimo in un incidente stradale e divenuto il simbolo del ribelle inquieto e
malinconico.
Sul misticismo degli ultimi versetti (dove non a caso si leggono le parole-chiave urlo e battuto)
si è soffermato un critico finissimo come Pietro Bonfiglioli, che scrive: «Il poeta abbandona
negli ultimi versetti la sequenza del pronome relativo e conclude questa prima parte di Urlo in
un crescendo dove si celebra la consacrazione dell'Agnello: Ostia in cui corpo e anima si
identificano; Vittima che simboleggia l'universo degli hipsters, dolci fumatori di marijuana
misticamente innamorati dell'umanità, offerti alla violenza degli squares; Corpo Mistico che si
dà in comunione, in una sorta di sacro pasto cannibalico, per salvare la nuda mente
dell’America. Il martirio realizza la comunicabilità del diverso, diviene poesia di tutti e per
tutti. Così l'inno religioso alla Mente divina, al pensiero nudo e infinito, che trionfa solo se si
fa energia corporea, fisicità senza residui nel paesaggio della civiltà industriale, è nello stesso
tempo interpretazione religiosa della tecnica poetica come procedimento dell'incarnazione:
associazioni oniriche (sognavano...) di immagini contrapposte determinano nel tempo e nello
spazio gli astratti abissi della mente; accostamenti di immagini visive producono la
materialità visionaria dell'anima; i verbi degli elementi primi (verbi elementi) si uniscono a
ricomporre l'unità biologica dell'uomo (gli elementi del corpo e del sangue come nella messa,
a cui allude l'invocazione latina a Dio padre onnipotente ed eterno che accompagna il mistero
della transustanziazione): sostantivi eterogenei accostati mediante un trattino comunicano la
presenza del divino nell'improvviso trasalimento in cui si manifesta la coscienza».
Geniale è infine l'accostamento dell'ultimo grido di Cristo sulla croce ad un urlo di sassofono,
che fa tremare le città fino all'ultima radio. I «mostri della coscienza» sono sempre pronti ad
uccidere l'Agnello della poesia, che però risorge sempre per alimentare la vita dell'uomo.
Bibliografia essenziale
Edizioni: le edizioni più diffuse sono le Collected e Selected Poems (1984 e 1996).
Un'edizione annotata di Howl è quella pubblicata da Harper (New York, 1986). Fondamentale è
l'edizione in italiano Jukebox all'idrogeno, a cura di F. Pivano, con i testi completi di Howl e di
2
Kaddish, Mondadori, Milano 1965, ristampa Guanda, Parma 1992, 2001 . Altre opere: La
caduta dell'America, Mondadori, Milano 1972; Testimonianza a Chicago, Einaudi, Torino
1972, rist. Il Saggiatore, Milano 1996; Mantra del Re di Maggio, Mondadori, Milano 1973;
Giornale indiano, Arcana, Roma 1974. Di recente Luca Fontana ha ritradotto gran parte delle
opere di Ginsberg per Il Saggiatore di Milano: Saluti cosmopoliti-, Poesie 1986-1992 (1996),
Urlo & Kaddish (1997), Papà respiro addio - Poesie 1947-1995 - Scelta d'autore (1997).
Antologie: The Beat Book - Poesie e prose della beat generation, a cura di A. Waldman
(premessa di A. Ginsberg, 1996); Battuti & beati - I beat raccontati dai beat, a cura di E.
Bevilacqua, Einaudi, Torino 1996.
Biografie: B. Miles, Allen Ginsberg - A Biography, Simon & Schuster, 1989; M. Schumacher,
Dharma Lion - The Biography of Allan Ginsberg, St; Martin's Press, New York 1992; C.
Felver, The Late Great Allen Ginsberg - A Photo Biography, Thunder's Mouth Press, New
York 2002.
246
Saggi e studi in italiano: si segnalano i contributi di F. Pivano: La balena bianca e altri miti,
Mondadori, Milano 1961; America rossa e nera, Vallecchi, Firenze 1964; L'altra America
negli anni Sessanta, Arcana, Roma 1972; Amici scrittori, Mondadori Milano 1995.
247
LA PROSA
SEZIONE NONA
ITALO CALVINO
9.1 Un classico della contemporaneità
Da «scoiattolo della penna» a «scrutatore» del mondo. Con felice intuizione, Cesare
Pavese vide nel giovanissimo Italo Calvino uno «scoiattolo della penna», abilissimo
nell'intrecciare realtà e fantasia. Lo scrittore ligure sarà poi, per un quarantennio, un
punto di riferimento indispensabile nel panorama della nostra letteratura, passando dal
neorealismo al post-moderno, dall'esistenzialismo allo strutturalismo e alla semiologia,
ma rimanendo sempre fedele alla natura morale della sua ispirazione. La critica più
avvertita ha infatti notato in Calvino una sostanziale coerenza (pur nel succedersi, da un
libro all'altro, di vari modi di scrittura) nel perseguire una lucida razionalità, che affonda
le sue radici nella tradizione illuministica, e un rigore morale nell'osservazione del
mondo, che unisce opere distanti nel tempo, come La giornata di uno scrutatore e
Palomar. La discontinuità, che si è voluta vedere in Calvino, tra il senso della
razionalità e la predilezione per la favola è solo apparente: la ragione, in lui, «non si
pone in alternativa, ma in sodalizio con la fantasia» (G. Pampaloni); e l'elemento
connettivo, il "filo rosso", è «un'idea di morale», che (come lo scrittore dichiarò in
un'intervista concessa poco prima della morte) è l'impronta originaria del suo stile. In
questa capacità di essere uguale a se stesso, pur nella diversità dei codici stilistici di
volta in volta adottati, è la ragione della grandezza di Calvino, classico della
contemporaneità anche sul piano linguistico: la modernità dei contenuti si unisce infatti,
nella sua scrittura, a una prosa limpida ed elegante, «la più ricca e perfetta che penna di
narratore italiano abbia modulato nell'ultimo quarantennio» (Mengaldo 1988, p. 224).
Calvino e il post-moderno. Negli studi critici più recenti, si è ormai consolidata la tesi
secondo cui Calvino è il primo scrittore italiano post-moderno. È stato notato che il
romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore, che ha dato a Calvino notorietà
internazionale, vince nettamente il confronto con un altro romanzo tipicamente postmoderno, Il nome della rosa di Umberto Eco, «per la forza delle immagini che si
sprigionano da una penna che sa trasformare anche una teoria in un esercizio di stile»
(Benussi 1989, p. 142). Anche Alfonso Berardinelli, un critico che esprime molte
riserve sulla produzione calviniana, giudica lo scrittore ligure «uno dei precursori e dei
più autentici maestri del post-moderno» a causa della propensione al metaromanzo e al
gioco ironico dello stile. Anticipatore europeo del post-moderno, insieme al russoamericano Nabokov e all'argentino Borges, Calvino è oggi, negli Stati Uniti, uno dei
padri riconosciuti del post-moderno, spesso affiancato a Thomas Pynchon (l'autore del
celebre romanzo L'arcobaleno della gravità,1974); parlando dei «destini incrociati» dei
due scrittori, Alessia Ricciardi scrive significativamente: «Se Pynchon e Calvino sono
da annoverare tra gli scrittori postmoderni più rilevanti, è perché seguendo strade e
tonalità diverse, benché sensibili al richiamo di significanti opposti (leggerezza, gravità)
entrambi cercano di salvare il mondo postmoderno da se stesso» (Ricciardi 2002, p.
162). Il libro forse più innovativo di Calvino, Le città invisibili, è considerato dalla
critica come l'ideale spartiacque poetico tra moderno e postmoderno. Inserendo Calvino
tra i cento scrittori ai vertici della letteratura mondiale, il grande critico statunitense
248
Harold Bloom definisce Le città invisibili il capolavoro dello scrittore ligure e il vero
«lascito umano del suo genio per la fantasia» (Bloom 2002, p. 784). Lo stesso Calvino
ha in fondo accettato per se stesso la definizione di scrittore postmoderno: intervistato
da Paul Fournel nel 1985 (poco prima della morte), ha dichiarato: «Negli Stati Uniti il
mio nome viene sempre associato a quello degli autori "postmoderni". Non saprei dire il
perché, ma alla fin fine, perché no?».
9.2 La vita
«Sono figlio di scienziati: mio padre era un agronomo, mia madre una botanica;
entrambi professori universitari. Tra i miei familiari solo gli studi scientifici erano in
onore; un mio zio materno era un chimico, professore universitario, sposato a una
chimica (anzi ho avuto due zii chimici sposati a due zie chimiche); mio fratello è un
geologo, professore universitario. Io sono la pecora nera, l'unico letterato della
famiglia». Nel delineare, con amabile ironia, la propria vicenda autobiografica, Italo
Calvino ha sottolineato, significativamente, le ascendenze scientifiche della famiglia,
che già prefigurano gli interessi del futuro narratore delle Cosmicomiche e di Ti con
zero.
Nato a Santiago di Las Vegas, nell'isola di Cuba (dove i genitori risiedevano per
lavoro), il 15 ottobre 1923, Italo Calvino crebbe, fin dal 1925, a San Remo. Dopo l'8
settembre 1943, prese parte alla Resistenza in una formazione delle brigate comuniste
Garibaldi. Conseguita la laurea in Lettere con una tesi su Joseph Conrad, si dedicò a
un'intensa attività giornalistica ed editoriale (la casa editrice Einaudi fu da lui definita
«la mia università»). Collaborò al «Politecnico» di Elio Vittorini, con il quale strinse un
lungo sodalizio intellettuale; con lui, dal 1959, diresse il «Menabò» (vedi Parte XVII,
sezione 3). Militante nel PCI, nel 1956 (dopo i fatti d'Ungheria) uscì dal partito, pur
ribadendo la sua volontà di restare dalla parte del movimento operaio. Tra il 1959 e il
1960 soggiornò negli Stati Uniti e si dichiarò entusiasta di New York, la «città con il
cielo più bello del mondo». Nel 1964, dopo il matrimonio con l'argentina Esther Judith
Singer, si trasferì a Roma, poi a Parigi, dove venne a contatto con Roland Barthes e gli
altri strutturalisti francesi e con Raymond Queneau e il gruppo dell'Oulipo (Ouvroir de
Littérature Potentielle, "Laboratorio di letteratura potenziale"). Tornato in Italia, nel
1980 scelse Roma come residenza definitiva e intensificò la propria collaborazione con
il quotidiano La Repubblica, diretto dal suo vecchio compagno di liceo Eugenio
Scalfari. Colpito da emorragia cerebrale, si spense a Siena il 19 settembre 1985, alla
vigilia di un nuovo viaggio negli Stati Uniti, dove avrebbe dovuto tenere una serie di
conferenze nell'Università di Harvard.
9.3 La cultura di Calvino
Il lettore delle Lezioni americane di Calvino si rende subito conto della vastità e della
complessità dei riferimenti culturali dello scrittore, che abbracciano - si può dire - tutti i
campi dello scibile umano, privilegiando soprattutto le discipline umane («linguistica,
teoria dell'informazione, filosofia analitica, sociologia, antropologia, un rinnovato uso
della psicoanalisi, un rinnovato uso del marxismo», come Calvino scrive nel saggio Per
chi si scrive? (Lo scaffale ipotetico), riportato in Una pietra sopra). Soprattutto lo
strutturalismo e la semiologia affascinano Calvino, sensibile alle nuove mode
intellettuali, ma non disposto mai a seguirle pedissequamente. Ha scritto di recente, in
proposito, Alberto Asor Rosa: «Io credo che a Italo Calvino si debba il più colossale e
intrepido sforzo, in Italia senza alcun dubbio, ma anche nel resto del mondo altri esempi
possibili si contano sulle dita di una mano, per adattare la letteratura alle nuove realtà,
249
senza abdicare in nulla alle tradizioni e ai costumi della classicità» (Asor Rosa 2001, p.
X). Non è un caso che lo scrittore ligure abbia collocato l'insieme della propria
produzione sotto il duplice patronato del De rerum natura di Lucrezio e delle
Metamorfosi di Ovidio, congiungendo la sistematica esplorazione della realtà del primo
poeta con il ricorso al mito e all'immaginario del secondo. E non è nemmeno un caso
che egli abbia individuato un modello della "leggerezza" (la prima qualità celebrata
nelle Lezioni americane) in Guido Cavalcanti, aggiungendo però che «quando Dante
vuole esprimere leggerezza, anche nella Divina Commedia, nessuno sa farlo meglio di
lui». Ma il classico per eccellenza è per Calvino Ludovico Ariosto, del quale egli
ammira gli straordinari meccanismi narrativi (basati sul metodo combinatorio con cui si
intrecciano i "destini incrociati" dei personaggi) e la sconfinata libertà di fantasia. Nelle
Lezioni americane, Calvino mette Ariosto in relazione con Galilei e con Leopardi,
accomunati dalla profondità del loro sguardo sul mondo. I modelli italiani più vicini nel
tempo sono per lo scrittore sanremese Pavese e Vittorini, maestri e interlocutori
privilegiati della sua attività editoriale, con i quali condivide l'interesse per la letteratura
americana, in particolare per Hemingway. Tra i classici di lingua inglese, Calvino (lo
scrittore italiano più anglofilo del Novecento) ha un vero e proprio culto per Conrad, sul
quale si è laureato (e del quale conserva la coscienza della "linea d'ombra" che corre
lungo i confini del regno della ragione); a Conrad egli associa Defoe ed Hemingway, in
una "triade" che esercita un influsso fondamentale sulla sua produzione degli anni
Cinquanta; ma l'influenza più duratura è esercitata su di lui dallo scozzese Stevenson
(«il mio amato Stevenson»), del quale ammira la «vena visionaria e spettacolare».
Nell'ambito della letteratura francese, il posto d'onore è assegnato dal neoilluminista
Calvino a Diderot (al cui Jacques le fataliste dedica un saggio); inoltre egli riconosce in
Stendhal lo scrittore-modello della sua giovinezza; ma il Calvino di Palomar nutrirà
grande ammirazione per il Valéry pensatore e saggista, creatore del personaggio-mito di
Monsieur Teste. Autore del celebre saggio La sfida al labirinto, Calvino trae dall'amato
Borges la suggestione dell'immagine del "labirinto". Della sterminata cultura dello
scrittore un'altra prova è offerta da due passi delle Lezioni americane: due citazioni
manipolate, tratte rispettivamente da Beckett e da Wittgenstein e finemente analizzate di
recente, in Dovuto a Calvino (2001), da Mario Lavagetto. L'ultimo Calvino, infine,
prova una fortissima suggestione per gli scrittori del gruppo dell'Oulipo, soprattutto per
Raymond Queneau e Georges Perec, che lo introducono ai segreti della letteratura come
arte combinatoria, da lui reinventata mirabilmente in Le città invisibili e in Se in una
notte d'inverno un viaggiatore. Davvero possiamo dire, con Jean Starobinski che
Calvino «seppe sempre arrivare in anticipo sugli avvenimenti».
9.4 Le opere della stagione neorealistica
Il sentiero dei nidi di ragno. «Il più bel racconto che abbiamo finora sull'esperienza
partigiana», narrata come «una favola di bosco, clamorosa, variopinta, diversa»: è il
giudizio di Cesare Pavese su Il sentiero dei nidi di ragno (1947), libro d'esordio di
Calvino, scritto in venti giorni nel dicembre 1946 e pubblicato da Einaudi nel 1947.
Rivive indirettamente nell'opera, in chiave fantastica e picaresca, l'esperienza del
giovane Calvino, arruolatosi a vent'anni nelle Brigate Garibaldi sui monti della Liguria,
nell'entroterra di Sanremo. La vicenda si svolge nella Riviera di Ponente, non lontano
dal confine con la Francia, fra la primavera e l'estate del 1944.
Protagonista della vicenda è Pin (palese diminutivo di Pinocchio), un ragazzo selvatico, orfano di madre e
il cui padre è scomparso: garzone di bottega presso il ciabattino Pietromagro (che passa buona parte
dell'anno in prigione), trascorre il suo tempo libero all'osteria, dove diverte gli avventori cantando canzoni
250
oscene. La sorella, detta la Nera del Carrugio («una giovane con la faccia equina e i capelli da negra»), fa
la prostituta e si concede a Frick, un marinaio tedesco dalla «faccia senza contorno», che cerca, nell'amore
venale, di dimenticare la sua Amburgo, distrutta nel '44 dai bombardamenti. Miscèl il Francese, uno dei
vagabondi dell'osteria, suggerisce a Pin di rubare al marinaio tedesco la pistola, per riscattarsi dalla
vergognosa attività della sorella. Così avviene; ma Pin tiene per sé la pistola, che lo fa sentire adulto e
forte, e va a nasconderla in un sentiero noto solo a lui, dove i ragni fanno il nido. Sorpreso da una
pattuglia tedesca con il cinturone rubato a Frick, finisce in carcere, dove incontra Lupo Rosso, un giovane
partigiano, già diventato un mito in città per aver fatto saltare un ponte. In carcere ritrova anche il suo
padrone Pietromagro, ormai vicino alla morte, che si dichiara pentito dei suoi piccoli furti («a fare i reati
comuni non si risolve niente e chi ruba poco va in galera e chi ruba tanto ha le ville e i palazzi») e fa
giurare a Pin che si batterà «perché non ci siano più prigioni e perché sia rifatto il codice penale». Evaso
dal carcere insieme a Lupo Rosso, che però lo abbandona, Pin si sente disperatamente solo («solo su tutto
il mondo») e cammina per i campi piangendo; ma lo consola un omone detto Cugino, che lo prende per
mano («una mano grandissima, calda e soffice») e lo fa entrare in una banda di partigiani. Pittoreschi e
favolistici sono i nomi dei membri della brigata: il capo è il Dritto, un uomo strano e inquieto; c'è poi un
vecchio cuoco, Mancino, di idee politiche estremiste, che porta sulla spalla un falchetto, chiamato Babeuf,
come il rivoluzionario francese; ci sono inoltre quattro cognati calabresi, Duca, Marchese, Conte e
Barone, che conducono una guerra personale contro le brigate nere per compiere le loro vendette private;
e c'è Zena il Lungo, un pigro genovese innamorato della lettura, capace di portare i suoi libri anche nelle
azioni di combattimento; c'è infine Pelle, un adolescente violento, che ama fare collezione di armi.
Nell'insieme, i partigiani del Dritto sembrano «una compagnia di soldati che si sia smarrita durante una
guerra di tanti anni fa, e sia rimasta a vagare per le foreste senza più trovare la via del ritorno, con le
divise a brandelli, le scarpe a pezzi, i capelli e le barbe incolti, con le armi che ormai servono solo a
uccidere gli animali selvatici». Un giorno, Marchese è ucciso dalle brigate nere e i tre cognati superstiti
costringono due prigionieri fascisti a scavare una fossa, dove saranno seppelliti insieme al morto. Intanto
il Dritto si è invaghito di Giglia, la donna di Mancino, e, mentre è intento ad amoreggiare con lei, fa
mettere troppa legna al fuoco, provocando un disastroso incendio. I partigiani nutrono ora un sordo
rancore contro il loro capo, il quale sa che, presto o tardi, sarà fucilato per l'imprudenza commessa.
Arrivano sul posto due dirigenti partigiani, il comandante Ferriera (un operaio) e il commissario politico
Kim, uno studente di medicina. I due annunciano alla brigata che Pelle li ha traditi, passando alle brigate
nere, e che è imminente un durissimo scontro con il nemico; poi discutono animatamente tra di loro.
Viene il giorno della grande battaglia, ma il Dritto, convinto che la sua sorte è segnata, rimane nel
casolare a fare l'amore con Giglia. Testimone di questo rapporto amoroso, mentre infuria lo scontro, ed
esasperato per aver appreso che la sorella è diventata una spia dei tedeschi, Pin si sfoga cantando canzoni
oscene con le quali canzona i due amanti e Mancino, ma il Dritto gli torce un braccio. Pin si sente di
nuovo solo, «un bambino nel mondo dei grandi, sempre un bambino, trattato dai grandi come qualcosa di
divertente e di noioso; e non poter usare quelle loro cose misteriose ed eccitanti, armi e donne, non potere
mai fare parte dei loro giochi». Allontanatosi dalla banda, Pin va a cercare la pistola nel suo sentiero, ma
non la trova, perché Pelle l'ha sottratta e l'ha regalata alla sorella del ragazzo, in cambio di una
prestazione amorosa. Ritrovata l'arma in casa della Nera, Pin scappa e si ritrova nel bosco, più che mai
solo. Ma incontra Cugino, che finge di aver voglia di una donna, mentre in realtà vuole giustiziare la spia
Nera. Pin, all'oscuro di questo progetto, presta a Cugino la sua pistola. Poco dopo si sente uno sparo.
Cugino ritorna, affermando che, preso dallo schifo, non ha combinato nulla con la Nera. Poi l'omone e il
bambino si avviano, «nella notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi per mano».
Il migliore commento al Sentiero dei nidi di ragno (oltre alla fondamentale recensione
di Cesare Pavese) è quello dello stesso Calvino, che, nella Prefazione alla ristampa del
romanzo (1964), considerò il suo libro, nato da una «tradizione orale» di storie
partigiane, un «catalogo rappresentativo» delle qualità e dei difetti del neorealismo
(«inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e
sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l'aspro sapore, il ritmo...») e
dichiarò che l'intenzione con cui aveva scritto il romanzo era quella di una «sfida ai
detrattori della Resistenza e nello stesso tempo ai sacerdoti d'una Resistenza agiografica
ed edulcorata». Sul primo intento (alquanto trascurato dalla critica) è esemplare la
pagina sul commissario Kim. Quanto al secondo proposito (quello di rappresentare una
Resistenza reale e non idealizzata), basti ricordare come nel romanzo il confine tra
positivo e negativo si riveli quanto mai sottile. Si veda il personaggio di Pelle, che passa
con disinvoltura dalle brigate nere a quelle rosse e poi ancora a quelle nere; e si veda
251
l'orrenda vendetta dei cognati calabresi contro i due prigionieri, nonostante che essi
abbiano spiegato di essere stati costretti ad arruolarsi nella milizia fascista. Ambigue
sono le figure più significative dei partigiani: il Dritto preferisce l'amore alla guerra fino
a danneggiare i suoi compagni e perde, in occasione della grande battaglia, l'ultima
occasione di riscattarsi; Lupo Rosso è un eroe disumano, che per la guerra trascura
l'amore e l'amicizia; Cugino, che ha patito una delusione amorosa, odia le donne e
uccide la sorella del suo piccolo amico Pin. Tragico è l'isolamento del protagonista, che
non riesce ad integrarsi nel mondo degli adulti, dei quali lo spaventano sia le armi sia il
sesso: effimero è il suo entusiasmo per la pistola rubata, che si affretta a seppellire e che
cede alla fine a Cugino; e morboso è il suo atteggiamento da voyeur nell'osservare gli
amori venali della sorella e l'amplesso fra il Dritto e la Giglia, un atteggiamento che
conferma in lui l'idea infantile del sesso come qualcosa di eccitante e di osceno.
L'aggressività di Pin contro il mondo degli adulti si trasforma in crudeltà verso gli
animali: i ragni sotterranei tanto ammirati dal ragazzo per l'abilità con cui costruiscono i
loro nidi, si rivelano «schifosi come gli uomini» nel momento in cui si accoppiano
emettendo fili di bava; e perfino le lucciole (che presto Pasolini celebrerà come poetici
simboli di una civiltà contadina in via di sparizione), a «vederle da vicino» (dice Pin a
Cugino nella conclusione del romanzo) «sono bestie schifose anche loro, rossicce».
Pronta è la replica di Cugino: «ma viste così sono belle». Sono parole di speranza nella
bellezza della vita, accompagnate dal gesto di prendere per mano il ragazzo, che
finalmente non è più solo: ora Cugino è per Pin il «Grande Amico».
Ultimo viene il corvo. Di tono più pessimistico (che risente della delusione postresistenziale) sono i trenta racconti raccolti in Ultimo viene il corvo (1949), dove la
Resistenza «si colora ormai di una luce nuova e minacciosa che è il colore di un sangue
che si teme sparso invano» (C. Calligaris); tuttavia, il tono favoloso riscatta la crudeltà
della guerra, trasponendola nel clima rarefatto di una fiaba nordica, sullo sfondo di
paesaggi liguri tersi e ariosi.
Il neorealismo di Calvino. Se di neorealismo è lecito parlare per queste prime prove di
Calvino, si tratta comunque di un personalissimo neorealismo, che, pur risentendo di
certe crudezze alla Pavese, rifiuta il modello dell'“eroe positivo” e la tematica dell'
“impegno” politico; non a caso, quando Calvino nel 1950 scrive un romanzo
"impegnato", I giovani del Po, incarnando le speranze della Resistenza in un
protagonista proletario, il tentativo fallisce (e l'opera, apparsa tra il 1957 e il 1958 sulla
rivista «Officina», non sarà pubblicata in volume).
9.5 La trilogia dei nostri antenati
Le due strade di Calvino. Dopo la fase " neorealistica", l'itinerario di Calvino si biforca:
da una parte, con Il visconte dimezzato (1952), lo scrittore intraprende la strada del
conte philosophique ("racconto filosofico") di modello illuministico e di significato
allegorico; dall'altra parte, con il racconto La formica argentina (1952) e con la raccolta
di racconti L'entrata in guerra (1954), tenta la strada di un realismo esistenziale, fuori
dagli schemi precostituiti della tematica neorealistica. La formica argentina prende lo
spunto da un'invasione di formiche nelle coltivazioni di Sanremo per delineare il tema
del difficile rapporto tra l'intellettuale e la collettività. Nell'Entrata in guerra, Calvino
rivisita il periodo della sua formazione giovanile sotto il fascismo: di particolare rilievo,
come documento di alto spessore culturale nella storia del costume politico, è il
racconto Gli avanguardisti a Mentone, rievocazione di una gita vandalica di giovani
fascisti nella città francese, effimera conquista dell'entrata in guerra dell'Italia, e della
252
polemica dissociazione da parte dell'autore («Ero un sabotatore del fascismo nelle terre
conquistate»).
Il visconte dimezzato. Il primo libro della trilogia araldica di Calvino, Il visconte
dimezzato, segna l'esordio dello scrittore nella narrativa fantastica. Ma l'aggancio con la
realtà è molto forte: il tema del ritorno a casa di un reduce è molto diffuso nella
letteratura dell'immediato secondo dopoguerra, mentre la violenza del protagonista
dimezzato sul paese di Terralba rispecchia la condizione di un'Italia lacerata nel clima
della guerra fredda e della caduta delle speranze resistenziali. Dedichiamo a questo
romanzo una analisi particolare.
Il Barone rampante. Dopo l'esordio nella narrativa fantastica, segnato da Il visconte
dimezzato, Calvino pubblica uno dei suoi romanzi più felici, Il Barone rampante
(1957). Si tratta di un "romanzo di formazione", ambientato nel Settecento, che Calvino
scrive tra il 1956 e il 1957, in seguito ad eventi drammatici come il "rapporto segreto"
di Krusciov, che denunciava i crimini di Stalin, e come la repressione della rivoluzione
ungherese da parte delle truppe sovietiche. Nella favola del barone che si stacca da terra
per vivere tra gli alberi, si riflette allegoricamente la decisione di Calvino e di molti altri
intellettuali di uscire dal Partito Comunista.
Il 15 giugno 1767, nella villa di Ombrosa, il dodicenne Cosimo Piovasco di Rondò siede per l'ultima volta
a tavola con i suoi familiari: il Barone Arminio (un «uomo noioso», con il pensiero fisso alle genealogie e
alle rivalità con gli altri nobili), la madre Corradina (detta la Generalessa perché figlia di un generale
austriaco, ma anche per i suoi modi militareschi), la sorella Battista, monaca di casa, il fratello minore
Biagio (il narratore della vicenda). Ribelle al culto degli antenati del padre, Cosimo è insofferente anche
della cucina cui sovrintende la sorella, una cucina a base di fegato di topo, zampe di cavalletta, lumache
decapitate e altri cibi dai sapori raccapriccianti. Quando viene portata a tavola una zuppa di lumache,
Cosimo si rifiuta di mangiarla. Il padre minaccia di rinchiuderlo nello stanzino, ma, per tutta risposta,
Cosimo prende tricorno e spadino e si arrampica sull'elce del giardino, dichiarando che non scenderà mai
più dagli alberi. Passando dall'elce ad un olmo, da questo a un carrubo e così via, Cosimo può finalmente
esplorare dall'alto il giardino dei Marchesi d'Ondariva, rivali del padre; nel gran silenzio, si leva solo una
vocina che canta: appesa al ramo di un albero dondola un'altalena, su cui è seduta una bambina bionda sui
dieci anni. La Marchesina Viola (questo è il nome della bimba) deride il ragazzo rampante per il suo
maldestro tentativo di farsi credere un ladro. Ma anche il tentativo della bambina di far scendere a terra
Cosimo, per farne un suo schiavo, fallisce: l'orgoglioso ragazzo sparisce tra il fogliame. Scende la sera:
per la prima volta la famiglia dei Rondò è seduta a tavola senza Cosimo, del quale si vedono solo le
gambe ciondoloni a cavallo di un ramo dell'elce. Biagio va a letto, ma non vuole spegnere la candela, per
tener compagnia al fratello maggiore, accucciato tra gli alberi. Il mattino seguente, Cosimo si sveglia
intirizzito ma felice e incomincia le sue scorribande arboree, spostandosi di parecchie miglia nel
passaggio da un ramo all'altro. I suoi spostamenti sono seguiti da casa dalla madre Generalessa, munita di
un cannocchiale da campagna. Arrivato in un bosco di ciliegi, vede sugli alberi vicini un gran numero di
ragazzi appollaiati: è una banda di ladruncoli di frutta, che deridono Cosimo per il suo spadino («Il
battichiappe!»); poi lo informano che una nobile bambina, da essi chiamata Sinforosa, li aiuta nelle loro
razzie. Cosimo capisce subito che Sinforosa è Viola, la bambina dell'altalena. Appare la fanciulla, alla
quale il ragazzo annuncia trionfalmente di non aver più toccato suolo dopo il primo incontro; ma la
risposta impertinente di Viola («Bravo merlo!») e le risate della banda dei «pidocchiosi» lo riempiono di
rabbia. Il Barone Arminio decide di organizzare una spedizione nel giardino dei d'Ondariva per catturare
Cosimo: ne sarà capo il Cavalier Enea Silvio Carrega, fratello illegittimo di Arminio, che fa appoggiare
una scala ad un castagno. Ma, prima che il Cavaliere giunga a metà scala, Cosimo è già in cima ad un'altra
pianta, lesto come un gatto. Grande è però lo spavento del ragazzo quando, nel folto degli alberi, si vede
scrutato dagli occhi gialli di un gatto selvatico spaventoso: l'animale gli salta addosso per artigliarlo, ma
Cosimo riesce ad infilzarlo con il suo spadino. Graffiato, ma esultante, Cosimo vuole esibire il suo trofeo
a Viola, ma la trova in procinto di partire per il collegio. Il Barone Arminio decide infine di parlare col
figlio, al quale chiede se vuole vivere per sempre come un selvaggio delle Americhe; Cosimo conferma la
sua decisione e non resta allora al padre che ordinare al vecchio e grinzoso Abate giansenista
Fauchelafleur di continuare a curare l'educazione del figlio tra gli alberi. Passa il tempo e Cosimo diviene
amico dei contadini: trascorre ore a vederli lavorare e scambia con loro pareri sui modi migliori di semina
e di coltivazione. Va inoltre a caccia tra gli alberi, seguito a terra da un cane bassotto, appartenente un
tempo a Viola, al quale impone il nome di Ottimo Massimo. Ad un certo punto Cosimo scopre che lo zio
Enea Silvio alleva api in segreto ed ha una grande passione per l'idraulica: con lui Cosimo progetta un
253
acquedotto pensile. Avventurosa è un'altra amicizia del baronetto rampante: quella con il leggendario
brigante Gian dei Brughi, al quale presta dei libri di narrativa, convertendolo dai furti alla lettura. Due
briganti, ex compagni di Gian dei Brughi, lo costringono però a prendere parte ad un colpo,
minacciandolo, se rifiuta, di non restituirgli la Clarissa di Richardson che gli hanno rubato. Ormai
rammollito, il famoso brigante viene catturato e condannato a morte. Prima dell'esecuzione, Cosimo gli
legge ogni sera, dai rami che lambiscono il carcere, un romanzo di Fielding. Quando Gian dei Brughi ha
già il cappio al collo, prega il suo giovane amico di dirgli come finisce il romanzo. Con dispiacere,
Cosimo gli dice che il protagonista «finisce appeso per la gola». Dopo l'esecuzione, il giovane veglia
dall'alto il cadavere dell'impiccato. Continuano le lezioni dell'Abate, che però si trasforma da maestro ad
allievo: Cosimo gli legge i libri degli illuministi. Quando le opere di Bayle sono trovate in camera
dell'Abate, questi è imprigionato e passa il resto dei suoi giorni, «senza aver capito, dopo una vita intera
dedicata alla fede, in che cosa mai credesse, ma cercando di credervi fermamente fino all'ultimo». La
Biblioteca arborea di Cosimo si infittisce di volumi, tra i quali spiccano in primo piano i tomi
dell'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert. Oltre a leggere accanitamente, il giovane rampante aiuta i
contadini nella potatura e riesce a spegnere uno spaventoso incendio. Compiuto il diciottesimo anno di
età, riceve dal padre la spada di Barone e si impegna a farne buon uso. Dolorosa è per Cosimo la scoperta
che lo zio Enea Silvio se la intende con i pirati mori. Decide allora di svelare ai suoi amici carbonari
affamati il luogo dove è stata nascosta la refurtiva e balza da un pino sull'albero della barca dei pirati,
trafiggendoli tutti con la spada paterna; infine, scorge con dolore nell'acqua la testa di Enea Silvio,
mozzata dai pirati con un colpo si scimitarra. Muore il padre e Cosimo, ormai Barone di Rondò, assiste da
un albero al suo seppellimento (anche la madre ammalata sarà curata fino alla morte da lui, che le
somministrerà le medicine porgendogliele da un ramo). Avendo appreso che nella città di Olivabassa
vivono appesi tra gli alberi altri esseri umani, Cosimo vi si reca e vi incontra l'amore nella persona di
Ursula, la figlia di un nobile ribelle al re Carlos III; quando però il re revoca il bando contro i nobili esuli,
Cosimo si rifiuta di mettere piede a terra e saluta dall'alto la disperata Ursula. Di ritorno ad Ombrosa, si
dedica alle avventure galanti e, di notte, il fratello Biagio lo sente sospirare d'amore come un gatto. Ma
non rinuncia ai suoi studi e comincia a scrivere un suo utopistico Progetto, diventando famoso in Europa
e noto anche al grande Voltaire. Un giorno, seguendo le tracce del suo cane Ottimo Massimo, Cosimo
ritrova Viola, che gli rivela di averlo sempre amato. Inizia così per il Barone la più bella stagione degli
amori («S'amavano sospesi nel vuoto, puntellandosi o aggrappandosi ai rami, lei gettandosi su di lui quasi
volando»). Tra un incontro amoroso e l'altro, frequenti sono però le liti. A Cosimo sembra di impazzire
quando si accorge della corte che fanno a Viola due ufficiali, un inglese e un napoletano; ma la donna si
vuole solo divertire alle loro spalle. Alla fine, i due amanti hanno un moto di reciproca stanchezza:
raccolti i suoi bagagli, Viola parte per sempre. Per reazione, il Barone distrugge gli alberi,
rimproverandosi per il suo stolto orgoglio, e vive come un uccello. Poi si ravvede, si dedica alla politica
ed entra nella Massoneria. In questa nuova veste gli tocca sfidare a duello un gesuita, suo antico nemico,
che uccide. Esplode la Rivoluzione francese, ma in Italia viene importato solo l'albero della libertà e non
c'è nessuna rivoluzione («Viviamo in un paese dove si verificano sempre le cause e non gli effetti»). Dalla
cima di un albero, con la coccarda tricolore, Cosimo tiene una conferenza su Rousseau e su Voltaire. Poi
ostacola i soldati austriaci e favorisce invece i francesi. Viene l'ora dell'arrivo delle armate napoleoniche,
che si distinguono non solo in battaglia, ma anche nel furto di galline, capre e maiali. Anche Napoleone
viene in visita ad Ombrosa, ma il colloquio con Cosimo è impacciato, anche perché il grande imperatore è
infastidito dal sole di mezzogiorno, che gli impedisce di vedere bene l'arboreo "cittadino". Cosimo è
ormai un vecchietto rattrappito e un po' svanito: gli capita perfino di colloquiare con il tolstoiano principe
Andrea, senza capire con chi parla. Quando ormai è moribondo, profitta del passaggio di una mongolfiera
per sparire nel cielo.
In un saggio scritto subito dopo l'uscita del Barone rampante (Calvino e il pathos della
distanza), Cesare Cases prende lo spunto da un'espressione di Nietzsche (il «pathos
della distanza», appunto per illustrare il senso della decisione di Cosimo di Rondò di
vivere tra gli alberi: «Col Barone rampante Calvino [...] ha insediato il suo eroe sulle
piante, a una distanza tale da poter essere in rapporto con gli uomini e giovar loro senza
essere offeso dalla sana, ma un po' maleodorante natura del popolo e da quella arida e
crudele dei suoi nobili familiari». La prima presa di distanza riguarda la famiglia
nobiliare di Cosimo, dove domina un'educazione repressiva e ottusa, con un padre
fossilizzato nelle genealogie, una madre che ben merita il suo nomignolo di
Generalessa, una sorella sadica con la sua orrenda cucina. Fuggendo sugli alberi,
Cosimo non solo si isola fisicamente dai suoi familiari, ma rompe ogni rapporto con una
cultura esclusivamente umanistica, acquisendo il sapere d'avanguardia dell'età dei
254
"lumi". Non trascura però la cultura letteraria: è anzi grazie ai più grandi narratori del
suo tempo (Richardson, Fielding) che riesce a rieducare il brigante Gian dei Brughi. E
non trascura nemmeno le applicazioni pratiche: inventa strumenti come il Robinson di
Defoe, spegne incendi, costruisce perfino un acquedotto pensile. Diventa così (pur non
mettendo mai piede a terra) l'autorità più prestigiosa del bosco («aveva un pubblico che
stava a sentire a bocca aperta tutto quel che lui diceva»). Il suo interlocutore ideale è
Diderot e i suoi avversari sono i gesuiti. Non trascura l'amore: ma deve troncare la
relazione con Viola, una donna emancipata ma egoista, per non compromettere la
propria autonomia. Come scrive Cristina Benussi, «l'intellettuale quanto più si eleva
sugli altri allontanandosi dalle consuetudini di chi sta con i piedi ben piantati a terra,
tanto più capisce il senso della vita e la direzione verso cui muoversi» (Benussi 1989, p.
47). Appollaiatosi sull'albero della libertà, nutre speranze rivoluzionarie, discute con
Napoleone, è considerato un oracolo vivente. Vecchio e malato, si aggrappa a una
mongolfiera e scompare. Preciso è il messaggio della splendida favola: l'unica
alternativa per chi non vuole lasciarsi integrare nella società corrotta è quella di
rifiutarne le norme e le convenzioni, difendendo con ogni mezzo la propria
individualità.
Il cavaliere inesistente. Il terzo romanzo della «trilogia araldica», Il cavaliere
inesistente (1959), è ambientato nel Medioevo carolingio, al tempo della guerra tra
cristiani e infedeli, ma allude palesemente alla fase di trapasso della fine degli anni
Cinquanta, quando è iniziato il "miracolo economico" e, con esso, il processo di
disintegrazione della persona, operato dalla società massificata.
Sotto le mura di Parigi, in un caldo pomeriggio estivo, è schierato l'esercito dei Franchi, in attesa
dell'ispezione imperiale. Giunge finalmente Carlo Magno, che è ormai vecchio e un po' svanito, ed inizia
la rassegna dei guerrieri. A ciascuno dei paladini l'imperatore rivolge la domanda: «Ecchisietevòi?».
L'interrogato alza la celata e si presenta. Solo l'ultimo cavaliere, che indossa un'armatura bianca, non
mostra la faccia e, con voce metallica, dice il suo nome: è Agilulfo. Quando Carlo gli chiede per quale
motivo non faccia vedere il suo volto, ottiene una risposta sconcertante: «Perché io non esisto, sire». Il
sovrano, che alla sua età non ama le questioni complicate, si limita ad osservare che quel paladino, per
essere uno che non esiste, è decisamente in gamba. Soldato modello, Agilulfo è però antipatico a tutti per
il suo zelo puntiglioso. Di notte, non avendo corpo, non dorme e ispeziona il campo, osservando con
sdegnosa superiorità, ma anche con una punta di invidia, i corpi che russano e sognano. Un giovane
giunto da poco al campo, Rambaldo di Rossiglione, vorrebbe sapere il nome del candido cavaliere, ma gli
dicono che si tratta di una "vuota ferraglia" senza corpo. In una notte insonne, il giovane vede Agilulfo
che passa il suo tempo nel disporre delle pigne in perfette forme geometriche e rimane così turbato da
scoppiare in pianto; ma la mano di ferro dell'armatura bianca passa sui suoi capelli per confortarlo.
L'esercito dei Franchi è in marcia, con alla testa Carlo Magno. All'improvviso il sovrano avvista in mezzo
a un branco di anatre un uomo che cammina accoccolato come un palmipede, imitando il verso delle
anatre; poi, entrato in uno stagno, comincia a gracidare come una rana; infine, in mezzo ai peri, si mette a
fare il pero. Divertito come un bambino, Carlo fa portare alla sua presenza lo strano personaggio, che si
chiama Gundulù. Si tratta (dicono i contadini) di «uno che c'è ma non sa d'esserci». Carlo decide di
assegnare Gundulù come scudiero ad Agilulfo, il suo esatto contrario, che «sa d'esserci e invece non c'è».
Solo al quarto capitolo apprendiamo che chi racconta la storia è Suor Teodora, una ex ragazza di
campagna, che dichiara il suo imbarazzo nel dover descrivere delle battaglie, dal momento che quel che
conosce sono solo «funzioni religiose, tridui, novene, lavori dei campi, trebbiature, vendemmie,
fustigazioni di servi, incesti, impiccagioni, invasioni d'eserciti, saccheggi, stupri, pestilenze». Siamo ora
sul campo di battaglia. Cristiani e infedeli si scambiano insulti sanguinosi, puntualmente tradotti dagli
interpreti:
- Khar as-Sus!
- Escremento di verme!
- Mushrik! Sozo! Mozo! Escalvao! Marrano! Hijo de puta! Zabalkan! Merde!
Rambaldo cerca di uccidere l'argali Isoarre, uccisore di suo padre, ma combatte per sbaglio con il portaocchiali del suo nemico, che si fa infilzare da un anonimo soldato cristiano. Due saraceni aggrediscono
Rambaldo, che è salvato da un cavaliere sconosciuto. Rambaldo vorrebbe ringraziare il suo salvatore, ma
questi si allontana al galoppo. Poco dopo, il giovane vede presso un torrente il cavaliere misterioso,
intento a fare pipì, e si accorge che si tratta di una donna guerriera: Bradamante. Furibonda per essere
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stata spiata, l'amazzone lancia un pugnale che manca d'un soffio il bersaglio, poi scompare col proprio
cavallo. Agilulfo, con il suo scudiero Gundulù e con Rambaldo, va a seppellire i morti. Diverse sono le
reazioni dei tre personaggi dinanzi alla morte e alla decomposizione dei corpi: il cavaliere inesistente si
considera fortunato perché non ha corpo che possa imputridire; Gundulù considera un corpo morto più
utile di uno vivo per far crescere l'erba dei prati; Rambaldo infine preferisce l'ansia della vita alla pace
della morte. Si torna a suor Teodora, che, accingendosi a narrare storie d'amore, dichiara di non saper
nulla di quella «follia dei mortali» che è la passione amorosa. Bradamante invece sa tutto sull'amore: dopo
essere stata un'amante «tenera e furiosa», ora non trova nessun paladino capace di risvegliare in lei
appetiti amorosi. Quando però Agilulfo dà prova della sua abilità nel tiro con l'arco, Bradamante si
innamora all'istante di lui. Ma i guerrieri ridono di lei, perché ama solo una corazza vuota. Al gran
banchetto dei cavalieri c'è una grande baldoria. Arrivato prima degli altri, Carlo si mette a piluccare
golosamente tutte le pietanze. Agilulfo invece, non avendo né bocca né stomaco, taglia la carne in pezzi
minuti, trasferisce il vino da un bicchiere all'altro, spezza il pane in briciole. In pieno banchetto il giovane
Torrismondo sfida Agilulfo, mettendo in dubbio l'autenticità di un'impresa, il soccorso di una vergine, che
è valsa all'inesistente guerriero il titolo di cavaliere. Sofronia, la principessa di Scozia salvata da Agilulfo,
non poteva essere vergine, per il semplice fatto (dice Torrismondo) che era sua madre: ancora ragazza,
aveva avuto un rapporto con uno dei cavalieri del San Graal, e aveva dato alla luce lui, Torrismondo. Se
questo racconto è vero - dice Carlo - né Agilulfo né Torrismondo (nato fuori del matrimonio) possono
continuare ad essere cavalieri. I due paladini chiedono di lasciare il campo alla ricerca di prove delle loro
rispettive verità e partono. Parte anche Bradamante per seguire il cavaliere inesistente; e parte anche
Rambaldo per seguire Bradamante. Nel corso del viaggio, Agilulfo è irretito in una trappola amorosa
dalla vedova Priscilla. Il cavaliere impartisce alla donna una lezione sull'arte di rincalzare le lenzuola e di
pettinarsi i capelli, poi lascia che Priscilla abbracci la sua candida e fredda armatura. Intanto Gundulù se
la spassa con le fantesche. Giunti in Inghilterra, Agilulfo e Gundulù trovano il monastero di Sofronia
ridotto ad un ammasso di rovine: la donna è stata rapita dai pirati moreschi e si trova in Marocco.
Agilulfo ritrova Sofronia in un harem: avendo 365 mogli, il sultano le visita una per notte e quindi ogni
moglie è visitata una sola volta all'anno. Prima che ciò avvenga, Agilulfo libera Sofronia e la fa
nascondere in una grotta marina; poi torna da Carlo per annunciargli che Sofronia è rimasta vergine.
Torrismondo intanto si è recato presso i Cavalieri del Graal, dai quali egli vuole farsi riconoscere come
figlio del Sacro Ordine nel suo complesso: solo così potrà rimanere cavaliere. Ma, con suo imbarazzo, si
accorge che i Cavalieri sono dediti ad ogni forma di lussuria; non solo, ma opprimono i contadini con
pesanti tributi. Scoppia una rivolta e Torrismondo si mette alla testa degli insorti. Poi, deluso, riprende a
vagabondare e giunge ad una grotta marina, dove giace una fanciulla addormentata: se ne innamora
perdutamente e anche Sofronia si innamora di lui, sperando che il cavaliere bianco non venga di nuovo a
salvarla. Sopraggiungono Carlo, Agilulfo e altri ufficiali per verificare la verginità di Sofronia: entrati
nella grotta, sorprendono la fanciulla abbracciata a Torrismondo. Solo allora i due amanti apprendono la
loro reciproca identità. Si viene a sapere che Torrismondo è fratellastro di Sofronia: lo ha dato alla luce la
madre, regina di Scozia, dopo un incontro con un cavaliere del Graal, e per discolparsi, l'ha fatto passare
per il figlio di Sofronia. Ma poi si viene a sapere che Sofronia non è nata dalla regina di Scozia, ma da
una relazione del re con la moglie di un castaldo. Ora i due giovani possono legittimamente consumare la
loro unione. Agilulfo intanto è scomparso nel bosco, dove si è suicidato. Di lui si ritrovano solo i pezzi
dell'armatura, disposti come a formare una piramide. In un messaggio appuntato all'elsa della spada si
legge: «Lascio questa armatura al cavaliere Rambaldo di Rossiglione». Con indosso la candida armatura,
Rambaldo affronta i saraceni e si comporta valorosamente. Bradamante riconosce l'amata armatura e,
raggiunta da Rambaldo, si unisce con lui, credendolo il cavaliere inesistente. Quando si accorge
dell'identità di Rambaldo, cerca di ucciderlo, poi si allontana al galoppo. Torrismondo e Sofronia intanto
si sono uniti in matrimonio e tornano presso i contadini di Curvaldia, dei quali il giovane è stato nominato
duca da Carlo; ma i contadini hanno imparato a governarsi da soli e il nuovo duca accetta di vivere con
loro alla pari. Nell'ultimo capitolo si scopre che suor Teodora altri non è che Bradamante. Giunta in
convento disperata, dopo il suicidio del cavaliere inesistente, ora invece è innamorata del giovane
Rambaldo e attende impaziente che egli giunga per galoppare insieme con lui verso il futuro.
Il terzo romanzo araldico di Calvino coincide con una fase di confusione nell'Italia del
"miracolo economico", quando si sperava nella prospettiva di uno sviluppo illimitato, in
grado di superare gli squilibri economici e l'arretratezza del passato. Parallelamente, si
indeboliva la tensione morale e politica del periodo post-resistenziale, che aveva
animato i primi libri di Calvino. Nelle pagine del Cavaliere inesistente si avverte che
l'euforia gioiosa del raccontare, tipica dei romanzi dal Sentiero al Barone, è venuta
meno e che il narratore ha perso la fiducia nella sua vena fantastica, giunta ormai al suo
esaurimento. Quando l'autore descrive l'insensatezza del conflitto tra cristiani e saraceni,
256
con il cumulo di morti e di macerie che reca con sé, e quando si sofferma sul terrorismo
fanatico dei Cavalieri del Gral o sull'ottusità burocratica dominante negli eserciti e nella
politica o sull'asprezza delle ribellioni nelle campagne, è trasparente l'allusione alle
contraddizioni, alle mistificazioni e al caos sociale dell'Italia del 1959. Come reagiscono
gli intellettuali davanti a questo marasma? Da una parte, essi si rifugiano nell'astrattezza
di una teoria che ha perso ogni contatto con la realtà; dall'altra parte, sostengono il
primato della volontà e dell'azione. Abbiamo così i due personaggi centrali del
Cavaliere: Agilulfo, che nel maniacale perfezionismo dei suoi gesti cerca un antidoto
all'offuscamento della coscienza (simboleggiato dal suo scudiero Gurdulù), e
Rambaldo, tutto passione e ardire, dominato da un generoso slancio attivistico. La
bianca armatura di Agilulfo è il simbolo di una razionalità che non vuole
compromettersi con il caos del mondo: una posizione troppo rigida, che si conclude non
a caso con il suicidio del protagonista. Rambaldo, che eredita l'armatura del cavaliere
inesistente, ha invece il coraggio di lasciare che quelle armi immacolate si macchino di
sangue e si coprano di ammaccature, dimostrando così che l'ordine della ragione non
può sussistere senza il disordine della vita. Occorre -sembra dire Calvino- uscire
dall'armatura artificiale che la società massificata ha imposto all'individuo, aiutandolo a
ritrovare la propria essenza umana.
Il personaggio più complesso della vicenda è quello di Suor Teodora, una narratrice
reticente e scarsamente attendibile finché rimane isolata in convento, illudendosi di
poter rispecchiare nella scrittura il flusso della vita. Alla fine però la monaca depone la
penna e, con essa, il suo travestimento, per entrare nella vita e ridiventare Bradamante.
Si apre, così, nella produzione calviniana, una fase di crisi della narrativa fantastica,
determinata da un più accentuato pessimismo dello scrittore nella possibilità, da parte
della letteratura, di rispecchiare la vita. Eppure, malgrado la concezione pessimistica
che lo pervade, Il cavaliere inesistente ha momenti di schietta comicità, che hanno
indotto il critico statunitense Harold Bloom a definirlo «un romanzo di vero genio, il cui
centinaio di pagine è stato capace di divertirmi nei miei giorni più tristi» (Bloom 2002,
p. 786).
I nostri antenati. Nel 1960 Calvino raccoglie i suoi tre romanzi araldici, pubblicandoli
come una trilogia nel volume I nostri antenati. Evidente è, nel titolo, la volontà
dell'autore di ricercare nel passato i modelli di comportamento dominanti nella realtà
presente. È chiaro insomma che i lineamenti del Visconte, del Barone, del Cavaliere si
fondono in un unico ritratto: il nostro ritratto.
Fiabe italiane. La dimensione favolosa, centrale nella trilogia araldica, pervade anche
le Fiabe italiane (1956), una raccolta di fiabe popolari, risultato di un biennio di
scrupoloso lavoro filologico. Le fiabe italiane -scrive Calvino al grande etnologo
Giuseppe Cocchiara- non hanno ancora avuto «il loro Grimm o il loro Afanasiev».
Proprio ai fratelli Grimm guarda in particolare lo scrittore ligure: in conformità alla loro
raccolta, le fiabe italiane sono duecento. L'opera non merita solo una dignitosa
collocazione accanto ai grandi libri di fiabe popolari straniere, ma è anche considerata
da molti studiosi il più bel libro per l'infanzia apparso in Italia dopo Pinocchio.
Da Il Barone rampante
Riportiamo, dal Barone rampante, due brani: il primo è costituito dalla conclusione del
capitolo XIX e dall'inizio del capitolo XX; il secondo brano è la parte conclusiva del capitolo
XXX e l'epilogo del romanzo.
257
a. Cosimo scrive a Diderot ed è apprezzato da Voltaire
Convalescente, immobile sul noce, si ritemprava nei suoi studi più severi. Cominciò in quel
tempo a scrivere un Progetto di Costituzione d'uno Stato ideale fondato sopra gli alberi, in cui
descriveva l'immaginaria Repubblica d'Arbòrea, abitata da uomini giusti. Lo cominciò come un
trattato sulle leggi e i governi ma scrivendo la sua inclinazione d'inventore di storie complicate
1
ebbe il sopravvento e ne uscì uno zibaldone d'avventure, duelli e storie erotiche, inscritte,
quest'ultime, in un capitolo sul diritto matrimoniale. L'epilogo del libro avrebbe dovuto essere
questo: l'autore, fondato lo Stato perfetto in cima agli alberi e convinta tutta l'umanità a
stabilirvisi e a vivere felice, scendeva ad abitare sulla terra rimasta deserta. Avrebbe dovuto
essere, ma l'opera restò incompiuta. Ne mandò un riassunto al Diderot, firmando
semplicemente: Cosimo Rondò, lettore dell'Enciclopedia. Il Diderot ringraziò con un biglietto.
Di quell’epoca io2 non posso dire molto, perché rimonta ad allora il mio primo viaggio per
l’Europa. Avevo compiuto i ventun anni e potevo godere del patrimonio familiare come meglio
m’aggradiva, perché a mio fratello bastava poco, e non di più bastava a nostra madre, che
poverina era andata negli ultimi tempi molto invecchiando. Mio fratello voleva firmarmi una
carta d’usufruttuario di tutti i beni, purché gli passassi un mensile, gli pagassi le tasse e tenessi
un po’ in ordine gli affari. Non avevo che da prendermi la direzione dei poderi, scegliermi una
sposa e già mi vedevo davanti quella vita regolata e pacifica, che nonostante i gran trambusti
del trapasso del secolo3, mi riuscì di vivere davvero.
Però, prima di cominciare, mi concessi un periodo di viaggi. Fui anche a Parigi, proprio in
tempo per vedere le trionfali accoglienze tributate al Voltaire che vi tornava dopo molti anni
per la rappresentazione di una sua tragedia. Ma queste non sono le memorie della mia vita…
volevo solo dire come in tutto questo viaggio fui colpito dalla fama che s’era sparsa dell’uomo
rampante di Ombrosa, anche nelle nazioni straniere. Persino su di un almanacco vidi una figura
con sotto scritto: «L’homme sauvage d’Ombreuse (Rèp. Gènoise) vit seulement sur les
arbres»4.
Io di solito mi guardavo bene dal rivelare che l’uomo selvatico era mio fratello. Ma lo
proclamai ben forte quando a Parigi fui invitato a un ricevimento in onore di Voltaire. Il
vecchio filosofo se ne stava sulla sua poltrona, coccolato da uno stuolo di dame, allegro come
una pasqua e maligno come un istrice. Quando seppe che venivo da Ombrosa, m’apostrofò: C’est chez vous, mon cher Chevalier, qu’il y a ce fameux philosophe qui vit sur les arbres
comme un singe?5
E io, lusingato, non potei trattenermi dal rispondergli: - C’est mon frère, la Baron de Rondeau6.
Voltaire fu molto sorpreso, fors’anche perché il fratello di quel fenomeno appariva persona
così normale, e si mise a farmi domande come: - Mais c’est pour approcher du ciel, que votre
frère reste là-haut?6
Mio fratello sostiene, - risposi, - che chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza
necessaria, - e il Voltaire apprezzò molto la risposta.
- Jadis, c’ètait seulement la Nature qui crèait des phenomènes vivants, - concluse; - maintenant
c’est la Raison8 -. E il vecchio sapiente si rituffò nel chiacchiericcio delle sue pinzochere
teiste9.
1. zibaldone: quaderno di appunti e abbozzi annotati senza un ordine preciso.
2. io: chi racconta è Biagio, il fratello minore di Cosimo.
3. i gran trambusti...secolo: riferimento alla Rivoluzione francese.
4. L'homme...sur les arbres: L'uomo selvaggio di Ombrosa (Repubblica genovese). Vive solo sugli alberi).
5. C'est chez vous...un singe?: È al vostro paese, mio caro Cavaliere, che c'è quel famoso filosofo che vive sugli
alberi come una scimmia?
6. C'est mon frère...Rondeau: È mio fratello, Signore, il Barone di Rondò.
7. Mais ...-là-haut?: Ma è per avvicinarsi al cielo, che vostro fratello resta lassù?
8. Jadis ...Raison: Un tempo era solo la Natura che creava fenomeni viventi, ora è la Ragione.
9. pinzochere teiste: bacchettone, fanatiche seguaci del teismo (la dottrina filosofica che consiste nell'affermare
l'esistenza di Dio al di fuori di ogni dogma religioso.
258
b. Cosimo scompare su una mongolfiera
Gli uomini che tenevano il lenzuolo1 erano stanchi. Cosimo stava lassù e non si muoveva. Si
levò il vento, era libeccio, la vetta dell’albero ondeggiava, noi stavamo pronti. In quella, in
cielo apparve una mongolfiera.
Certi aeronauti inglesi facevano esperienze di volo in mongolfiera sulla costa Era un bel
pallone, ornato di frange e gale e fiocchi, con appesa una navicella di vimini: e dentro due
ufficiali con le spalline d’oro e le aguzze feluche 2 guardavano col cannocchiale il paesaggio
sottostante. Puntarono i cannocchiali sulla piazza, osservando l’uomo sull’albero, il lenzuolo
teso, la folla, aspetti strani del mondo. Anche Cosimo aveva alzato il capo, e guardava attento il
pallone.
Quand’ecco, la mongolfiera fu presa da una girata di libeccio; cominciò a correre nel vento
vorticando come una trottola, e andava verso il mare. Gli aeronauti, senza perdersi d’animo, si
adoperavano a ridurre – credo – la pressione del pallone e nello stesso tempo srotolarono giù
l’ancora per cercare di afferrarsi a qualche appiglio. L’ancora volava argentea nel cielo appesa
a una lunga fune, e seguendo obliqua la corsa del pallone, ora passava sopra la piazza, ed era
pressappoco all’altezza della cima del noce, tanto che temevamo colpisse Cosimo. Ma non
potevamo supporre quello che dopo un attimo avrebbero visto i nostri occhi.
L’agonizzante Cosimo, nel momento in cui la fune dell’ancora gli passò vicino, spiccò un balzo
di quelli che gli erano consueti nella sua gioventù, s’aggrappò alla corda, coi piedi sull’ancora e
il corpo raggomitolato, e così lo vedemmo volar via, trascinato nel vento, frenando appena la
corsa del pallone, e sparire verso il mare…
La mongolfiera, attraversato il golfo, riuscì ad atterrare poi sull’altra riva. Appesa alla corda
c’era solo l’ancora. Gli aeronauti, troppo affannati a cercar di mantenere una rotta, non s’erano
accorti di nulla. Si suppose che il vecchio fosse sparito mentre volava in mezzo al golfo.
Così scomparve Cosimo, e non ci diede neppure la soddisfazione di vederlo tornare sulla terra
da morto. Nella tomba di famiglia c’è una stele3 che lo ricorda con scritto: «Cosimo Piovasco
di Rondò – Visse sugli alberi – Amò sempre la terra – Salì in cielo».
Ogni tanto scrivendo m’interrompo e vado alla finestra. Il cielo è vuoto, e a noi vecchi
d’Ombrosa, abituati a vivere sotto quelle verdi cupole, fa male agli occhi guardarlo. Si direbbe
che gli alberi non hanno retto, dopo che mio fratello se n’è andato, o che gli uomini sono stati
presi dalla furia della scure. Poi, la vegetazione è cambiata: non più i lecci, gli olmi, le roveri:
ora l’Africa, l’Australia, le Americhe, le Indie allungano fin qui rami e radici. Le pinete antiche
sono arretrate in alto: sopra le colline gli olivi e nei boschi dei monti pini e castagni; in giù la
costa è un’Australia rossa d’eucalipti, elefantesca di ficus, piante da giardino enorme e
solitarie, e tutto il resto è palme, coi loro ciuffi scarmigliati, alberi inospitali del deserto.
Ombrosa non c’è più. Guardando il cielo sgombro, mi domando se davvero è esistita. Quel
frastaglio di rami e foglie, e biforcazioni, lobi4, spiumii, minuto e senza fine, e il cielo solo a
sprazzi irregolari e ritagli, forse c’era solo perché ci passasse mio fratello col suo leggero passo
di codibugnolo5, era un ricamo fatto sul nulla che assomiglia a questo filo d’inchiostro, come
l’ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di
macchie, di lacune, che a momenti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti s’infittisce […] e
corre e corre e si dipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di parole idee sogni ed è finito.
1. il lenzuolo: il lenzuolo che dovrebbe accogliere Cosimo moribondo qualora cadesse dall'albero.
2. feluche: cappelli a due punte, di origine settecentesca.
3. stele: lastra di marmo con iscrizioni funebri.
4. lobi: archetti.
5. codibugnolo: uccello simile alla cincia.
DENTRO IL TESTO
Il testo a. mostra esemplarmente il fallimento del progetto utopico di Cosimo. Il Barone
rampante si è prodigato con energia infaticabile per migliorare le condizioni di vita degli
abitanti di Ombrosa ed è riuscito a far fronte alle avversità temporanee; ma il suo tentativo di
dare vita ad un'organizzazione stabile, l'immaginaria Repubblica d'Arbòrea, non può riuscire.
259
Non a caso, il Progetto di Costituzione da lui immaginato si disperde nei mille rivoli di storie
complicate, di uno zibaldone d'avventure, duelli e storie erotiche che sembra una definizione
autoironica del Barone rampante. Non esistono Stati abitati da uomini giusti e non esiste lo
Stato perfetto, in grado di assicurare la felicità agli uomini. La felicità non è un grazioso dono
elargito dall'alto: lo sapeva Diderot che, tracciando il cammino per la liberazione dell'uomo,
aveva invitato a chiare lettere a diffidare dei dittatori di ogni tempo («nessun uomo ha ricevuto
dalla natura il diritto di comandare agli altri»). Non sorprende dunque che il grande
illuminista ringrazi con un biglietto chi, come Cosimo si è firmato lettore dell'Enciclopedia.
Dopo Diderot, entra in scena l'altro grande filosofo dei "lumi", Voltaire (un Voltaire
stupendamente effigiato in un saporoso ritratto). Dice Biagio a Voltaire che, per conoscere
meglio il mondo occorre tenersi alla distanza necessaria, cioè non ci si deve integrare in
nessuna organizzazione (politica, ma anche familiare) fino al punto di perdere la propria
autonomia intellettuale. La battuta finale del filosofo ribadisce la necessità di procedere
ponendo la Ragione al di sopra di tutto. Gli fa eco lo stesso Calvino, che, nella Nota
all'edizione del 1960 della sua trilogia, scrive che, per il suo personaggio la sola via per
essere con gli altri è quella «d'essere separato dagli altri, d'imporre testardamente a sé e agli
altri quella sua incomoda singolarità e solitudine in tutte le ore e in tutti i momenti della vita,
così come è vocazione del poeta, dell'esploratore, del rivoluzionario».
Il testo b conclude il romanzo con l'aerea invenzione della mongolfiera che trasporta con sé il
protagonista, in modo che nemmeno il suo corpo sia restituito al mondo da lui rifiutato.
Quando il narratore termina il suo racconto, Ombrosa non esiste più: la deforestazione ha
cancellato il regno arboreo di Cosimo. Sul significato dell'ultima pagina del romanzo scrive
Cristina Benussi:
«Fedele a se stesso fino alla fine, scompare l'uomo ma resta il suo esempio. Fuori di metafora,
può morire l'intellettuale ma durare in quella meraviglia che è il suo racconto. Il mestiere di
scrivere può coincidere con quello di vivere: “Visse sugli alberi -Amò sempre la terra- Salì in
cielo” [...] è la sua epigrafe scolpita sulla tomba di famiglia. Ma un finale così ottimista è
troppo anche per Calvino, che sente il bisogno di chiudere il suo romanzo aprendolo a un
problema non da poco, quello, centrale, della scrittura. Il narratore, mentre finisce di scrivere
questo racconto, si affaccia alla finestra e constata dolorosamente il degrado di quella foresta
dove suo fratello aveva potuto vivere; istintivamente stabilisce una, non nuova, corrispondenza
tra l'antica vegetazione e i ghirigori della sua scrittura. [...] Il finale getta una luce inquietante
su tutto il resto, mettendo in discussione proprio l'appello alla ragione che era stato il motivo
unificante dell'intera condotta di Cosimo» (Benussi 1989, pp. 49-50).
9.6 La «trilogia della modernità»
Abbandonato il racconto fantastico, Calvino porta a compimento, nel 1963, La giornata
di uno scrutatore, che, insieme ai precedenti racconti La speculazione edilizia (1957) e
La nuvola di smog (1958), forma una nuova trilogia di romanzi brevi definita (in
speculare analogia al precedente trittico araldico) la "trilogia della modernità". Si tratta
di narrazioni di impianto realistico, che rispecchiano il disagio e la frustrazione
dell'intellettuale, incapace di sottrarsi all'invadente consumismo del capitalismo
avanzato.
La speculazione edilizia. Ritratto impietoso di una Sanremo sconvolta da una sordida
realtà di affari e di intrighi, nel quadro del "boom" economico, La speculazione edilizia
ha come protagonista Quinto Anfossi, un intellettuale di sinistra, che finisce con l'essere
attirato dalla logica borghese del guadagno. Associatosi a Caisotti, un imprenditore di
pochi scrupoli che ha fatto il partigiano, Quinto decide di intraprendere una
speculazione edilizia, ma va incontro ad un rovinoso fallimento. Il racconto ha momenti
di grande efficacia nella descrizione di una borghesia arricchita, che invade la riviera
ligure con una ottusità stupida e godereccia, che imbarbarisce e devasta il paesaggio. Si
veda questo breve campione del libro, che fissa sulla carta, con un furore degno di
260
Gadda, i miti e i riti dei nuovi benestanti: «Intruppato in questa folla civile, realizzatrice,
adultera, soddisfatta, cordiale, filistea, familiare, benportante, ingurgitante gelati, tutti in
calzoncini e maglietta, donne uomini bambini giovanetti nell'assoluta parità delle età e
dei sessi, in questo fiume pingue e superficiale sull'accidentata realtà italiana, Quinto si
disponeva a passare l'estate a *** ».
La nuvola di smog. Racconto ambientato in una città industriale del nord, infestata
dall'inquinamento, La nuvola di smog è la vicenda di un anonimo redattore di un
periodico ecologista, che giunge ad una scoperta sconvolgente: il suo direttore e
finanziatore del giornale è anche il proprietario di una delle maggiori industrie
inquinatrici della città. Nessuno bada agli articoli sempre più preoccupati dedicati dal
protagonista ai pericoli del degrado ambientale: lo smog non solo ammorba uomini,
animali e piante, ma ottunde anche i cervelli sotto una coltre di «nuvole» e di «nebbia».
Molto significativa è questa descrizione di un veglione della classe dirigente, obnubilato
dalla minaccia di una prossima decomposizione dell'ambiente: «Le trombette ululavano
scompigliando le loro frange spioventi, manciate di coriandoli picchiettavano come uno
sbriciolìo di calcinacci le spalle delle marsine e quelle nude delle donne, s'infilavano
nell'orlo dei décolletés e dei colletti, e dai lampadari al pavimento dove
s'ammucchiavano in molli grovigli spinti dallo scalpiccìo dei ballerini si tendevano le
stelle filanti come fasci di fibre ormai spoglie di materia o come fili rimasti penzolanti
tra i muri crollati d'una distruzione generale».
La giornata di uno scrutatore. Una svolta nella narrativa calviniana è segnata da La
giornata di uno scrutatore, vicenda di un intellettuale di sinistra, Amerigo Ormea (il
nome richiama la nascita di Calvino in America), che, nelle elezioni del 1953, va a fare
lo scrutatore in un seggio del Cottolengo e avverte la propria impotenza di fronte alle
deformazioni fisiche e morali dei ricoverati.
All'alba di un'importante giornata elettorale, in una domenica del 1953, Amerigo Ormea si reca al seggio
del Cottolengo di Torino, un ospizio religioso per minorati, deficienti, deformi. La posta in gioco è molto
alta: si deve decidere sulle sorti della cosiddetta '"legge truffa", in base alla quale saranno assegnati i due
terzi dei seggi parlamentari alla coalizione che otterrà alle urne un maggior numero di voti. Compito degli
scrutatori di sinistra come Ormea è quello di impedire che le persone incapaci di intendere e volere siano
condotte dai religiosi (preti e suore) a votare per il partito democristiano. Amerigo guarda i muri da cui
pendono i manifesti elettorali, ormai stinti dalla pioggia e collosi, sovrapposti a strati come le foglie di un
carciofo. Ormea si sente come un ostaggio nelle mani di un nemico, nella «città che tenne Giannone in
ceppi». I cameroni e le corsie, in cui si raccoglie una umanità sofferente e degradata, lo inducono a
riflettere sul senso dell'esistenza e sul male di vivere. All'improvviso giunge al Cottolengo un'auto nera:
un onorevole democristiano visita l'ospizio e si intrattiene con le suore compiacenti, informandosi sulla
percentuale dei votanti. Amerigo guarda con diffidenza il personaggio politico del partito avverso, ma poi
si accorge di un nano che guarda anche lui verso l'onorevole e batte la mano sul vetro come per
chiamarlo. Amerigo riflette su quel nano, che rappresenta il mondo chiuso e incomunicabile della
deformità e dell'esclusione: un comunista come Ormea dovrebbe stare dalla parte del nano e dei minorati;
ma poi si convince amaramente che il nano, con la sua incoscienza, starà dalla parte dell'onorevole e
l'estraneo sarà solo lui, Amerigo. Tornato a casa per il pranzo, il protagonista sfoglia i Manoscritti
giovanili di Marx, per rileggere le pagine sulla natura come "corpo inorganico" dell'uomo, le cui
menomazioni potranno essere sanate dal progetto comunista. Ma, dopo quello che ha visto al Cottolengo,
il protagonista è in preda ad un forte scetticismo. Ad aumentare il suo malumore contribuisce anche una
lite al telefono con la sua ragazza, Lia, che lo informa di essere incinta e rifiuta la soluzione dell'aborto.
Torna al Cottolengo, dove si è costituito un seggio distaccato per far votare gli ammalati che non possono
muoversi dai letti. Lo accoglie una sorta di latrato, emesso da due "mostri" umani. Ma lo spettacolo che
colpisce maggiormente lo scrutatore è quello di un vecchio contadino, che schiaccia le mandorle e le
passa al figlio deforme, guardandolo poi masticare («Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono,
sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d'essere è l'amore. E poi l'umano arriva dove
arriva l'amore; non ha confini se non quelli che gli diamo»). Sconvolgente è anche la vista di un omone
senza mani, che, con i suoi moncherini cilindrici, riesce a fare tutti i lavori. Estremamente significativa è
l'ultima riflessione di Amerigo: «Anche l'ultima città dell'imperfezione ha la sua ora perfetta, pensò lo
scrutatore, l'ora, l'attimo, in cui in ogni città c'è la Città».
261
Il romanzo di Calvino ha come sfondo le elezioni del giugno 1953, movimentate dalla
questione della "legge truffa" (che poi non scattò, essendo i partiti di governo rimasti al
d sotto della soglia del 50 % dei voti); ma rispecchia la situazione di dieci anni dopo,
quando fu pubblicato: le elezioni politiche del 1963, che divisero il fronte delle sinistre,
dopo lo spostamento a destra del PSI e la formazione di un governo di centro-sinistra.
Calvino interviene nel dibattito interno alla sinistra attraverso le riflessioni di Amerigo
Ormea, attratto dalla simbolicità di un luogo di dolore e di orrore come il Cottolengo,
molto più che dalle operazioni di voto. L'ideologia progressista di Ormea entra in crisi,
dinanzi al pesante condizionamento operato dalla Natura sulla Storia. Scrive Alberto
Asor Rosa: «Il risultato è che lo sforzo di conoscenza, dopo lungo girovagare, si ripiega
su se stesso sconfitto. Dopo aver tutto visto e tutto compreso, Amerigo Ormea ne sa
quanto prima. Ha in più, almeno apparentemente, l'illusione della saggezza (virtù, com'è
noto, eminentemente borghese). Ma in realtà perviene ad un profondo scetticismo
conoscitivo» (Asor Rosa 2001, p. 35). Ormea (e con lui Calvino) comprende che il
senso della vita non può essere ridotto alla dimensione politico-sociale: «Certo, essere
nel giusto è troppo poco», egli dice, superando la posizione assunta da Kim nel Sentiero
dei nidi di ragno. L'ideologia progressista è impotente dinanzi al caos della condizione
umana, soggetta al potere della natura (come aveva capito Leopardi). Non a caso, da ora
in avanti, Calvino concentrerà la propria attenzione sull'antropologia, anziché sulla
politica.
Marcovaldo. L'accentuarsi, in Calvino, di un pessimismo che da storico si fa
esistenziale immerge nella malinconia anche il protagonista dei racconti raccolti
Marcovaldo (1963), un manovale che, in mezzo alla città di cemento e asfalto,
sinistramente illuminata dal neon delle insegne pubblicitarie, insegue pateticamente i
ricordi di una natura lontana.
9.7 La scrittura «cosmogonica»
Letteratura e scienza. A metà degli anni Sessanta, stabilitosi a Parigi, Calvino entra in
contatto con la cultura francese d'avanguardia, orientata verso le nuove scienze umane
(dallo strutturalismo all'antropologia) ed imprime una svolta radicale alla propria
produzione, centrata ora sui rapporti tra letteratura e scienza. Nasce così una serie di
racconti che mescolano ipotesi scientifiche sull'origine e sul destino del cosmo con
situazioni comiche di tipo fantascientifico. Si tratta però di avventure fantascientifiche
alla rovescia, proiettate non nel futuro, ma nella preistoria del mondo. Le storie
«cosmicomiche» di Calvino sono raccolte in quattro sillogi: Le Cosmicomiche (1965),
Ti con zero (1967), La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche (1968),
Cosmicomiche vecchie e nuove (1984).
Le Cosmicomiche. Il protagonista dei dodici racconti raccolti nelle Cosmicomiche ha un
nome impronunciabile, qfwfq: una sigla palindroma, dove si annulla la differenza tra
direzione destra e direzione sinistra, quasi a significare, nell'accozzaglia delle lettere
alfabetiche, il caos del mondo. Si tratta di un tipo di scrittura sperimentale, volta a dare
evidenza narrativa alle categorie astratte dello spazio e del tempo. Le incursioni nei
territori della geologia, della biologia, della fisica relativistica, della cibernetica,
dell'astronoma, assumono valenze comiche e ironiche, grazie alle immagini
antropomorfiche e casalinghe («La Luna è vecchia, [...] bucherellata, consumata.
Rotolando nuda per il cielo si logora e si spolpa, come un osso rosicchiato»; «La
Galassia si voltava come una frittata nella sua padella infuocata...»). La nascita di nuove
stelle suscita battibecchi tra anziani coniugi che si apprestano al trasloco, mentre i
262
bambini fanno correre nei loro giochi gli atomi come se fossero biglie. Se i
comportamenti degli strani ed eccentrici personaggi delle Cosmicomiche sono
antropomorfici, le metafore casalinghe denunciano l'inadeguatezza del linguaggio
umano dinanzi alla grandiosità dei fenomeni naturali e contribuiscono a segnalare i
limiti dell'antropocentrismo e la crisi che corrode le tradizionali certezze.
Ti con zero. Una serie di avventure mentali, narrate con geometrico rigore, è Ti con
zero (1967). Il collegamento con Le Cosmicomiche consiste non solo nella persistenza,
in alcuni testi, del narratore Qfwfq, ma anche nel fatto che il processo evolutivo del
cosmo si è ormai concluso, dando vita ad un mondo come il nostro, pieno di dissonanze
e di disarmonie.
Le altre cosmicomiche. Gran parte delle prime Cosmicomiche e di Ti con zero
confluiscono, insieme ad altri nuovi racconti, nel volume La memoria del mondo e altre
storie cosmicomiche (1968), dove i testi sono disposti in una nuova struttura: cinque
gruppi di quattro testi ciascuno (Quattro storie sulla Luna, Quattro storie sul Sole, le
Stelle e le Galassie, Quattro storie sull'evoluzione, Quattro storie sul tempo e sullo
spazio). Splendido, tra i racconti nuovi, è Le figlie della Luna, una storia ambientata in
una futuristica New York, dove i cittadini, trasformati in mammuth, si aggirano smarriti
tra i grattacieli della grande metropoli.
Non presenta novità significative l'ultima raccolta, Cosmicomiche vecchie e nuove
(1984), che è articolata in tre parti: La memoria dei mondi, Inseguendo le galassie, Le
biochimiche.
9.8 Le città invisibili
Un capolavoro visionario. Nel 1972 Calvino pubblica Le città invisibili, l'opera che è
considerata il suo capolavoro assoluto e uno dei più grandi libri di letteratura visionaria.
Si tratta di un libro letterario-filosofico che può reggere il confronto con altre grandi
opere consimili del Novecento italiano come Le occasioni di E. Montale e La
cognizione del dolore di C. E. Gadda.
Il titolo e le fonti. Nelle Lezioni americane, Calvino così definisce Le città invisibili:
«Il mio libro in cui credo di aver detto più cose [...] perché ho potuto concentrare su un
unico simbolo tutte le mie riflessioni, le mie esperienze, le mie congetture». L'«unico
simbolo» è quello delle città. Nella Presentazione del suo libro, Calvino scrive «Penso
d'aver scritto qualcosa come un ultimo poema d'amore alle città, nel momento in cui
diventa sempre più difficile viverle come città. Le città invisibili sono un sogno che
nasce dal cuore delle "città invivibili"». Come sempre in Calvino, la realtà si congiunge
con il sogno e la ragione si intreccia con la fantasia.
Le fonti dichiarate di Le città invisibili sono Il Milione di Marco Polo e Le Mille e una
notte. La prima idea dell'opera è venuta allo scrittore da un progetto di rifacimento del
Milione, in relazione a un trattamento cinematografico sul viaggio di Marco Polo,
scritto da Calvino nel 1960 per il regista Mario Monicelli. Fin da allora, il segreto del
Milione era stato identificato da Calvino nella sua carica visionaria: di qui lo spunto
iniziale di Le città invisibili, e cioè i dialoghi immaginari tra il grande esploratore e
Kublai Kan: «A questo imperatore melanconico, scrive l'autore nella Presentazione, che
ha capito che il suo sterminato potere conta ben poco perché tanto il mondo sta andando
in rovina, un viaggiatore visionario racconta di città impossibili». Lo scenario dell'opera
è fiabesco-orientale (carovane, deserti, pastori, ecc.), come nelle Mille e una notte;
risonanze orientali si avvertono soprattutto nei nomi delle città, che sono, tutti, nomi di
donne: si tratta di nomi di invenzione, che si richiamano spesso alla tradizione delle
263
fiabe o del teatro dell'opera o delle maschere (Smeraldina, Aglaura, Leandra, Isaura,
ecc.).
Un altro modello immaginario si intravede in filigrana nella geografia fantastica delle
Città invisibili: l’Utopia (1516) di Thomas More, l'archetipo utopico per eccellenza.
Calvino tuttavia ribalta lo schema di quell'illustre modello: mentre More si limita a
descrivere solo la capitale dell'isola di Utopia, tralasciando le altre 54 città, Calvino
descrive invece le 54 città, quasi tacendo della capitale (che potrebbe essere Bauci).
La struttura. Nell'Indice, posto in apertura, è subito messo in rilievo lo sdoppiamento
del libro in due sottotesti (uno in corsivo, l'altro in tondo), il primo dei quali (in corsivo)
costituisce la "cornice", in stile saggistico, dell'opera, e il secondo (in tondo) forma il
vero e proprio "racconto", in stile poetico.
Per comprendere la struttura dell'opera, è indispensabile osservare l'Indice, che
riproduciamo (i cinque puntini di sospensione si riferiscono ai pezzi in corsivo, le cifre
arabe indicano il numero progressivo di ogni serie di cinque città ciascuna):
CAP. I A
 ….. [cornice I]
 Le città e la memoria. 1. Diomira
 Le città e la memoria. 2. Isidora
 Le città e il desiderio. 1. Dorotea
 Le città e la memoria. 3. Zaira
 Le città e il desiderio. 2. Anastasia
 Le città e i segni. 1. Tamara
 Le città e la memoria. 4. Zora
 Le città e il desiderio. 3. Despina
 Le città e i segni. 2. Zirma
 Le città sottili. 1. Isaura
 ….. [cornice II]
CAP. I B
 ….. [cornice II A]
 Le città e la memoria. 5. Maurilia
 Le città e il desiderio. 4. Fedora
 Le città e i segni. 3. Zoe
 Le città sottili. 2. Zenobia
 Le città e gli scambi. 1. Eufemia
 ….. [cornice II B]
CAP. III
 ….. [cornice III A]
 Le città e il desiderio. 5. Zobeide
 Le città e i segni. 4. Ipazia
 Le città sottili. 3. Armilla
 Le città e gli scambi. 2. Cloe
 Le città e gli occhi. 1. Valdrada
 ….. [cornice III B]
CAP. IV
 ….. [cornice IV A]
 Le città e i segni. 5. Olivia
 Le città sottili. 4. Sofronia
 Le città e gli scambi. 3. Eutropia
 Le città e gli occhi. 2. Zemrude
 Le città e il nome. 1. Aglaura
 ….. [cornice IV B]
CAP. V
 ….. [cornice V A]
 Le città sottili. 5. Ottavia
264
 Le città e gli scambi. 4. Ersilia
 Le città e gli occhi. 3. Bauci
 Le città e il nome. 2. Leandra
 Le città e i morti. 1. Melania
 ….. [cornice V B]
CAP. VI
 .…. [cornice VI A]
 Le città e gli scambi. 5. Smeraldina
 Le città e gli occhi. 4. Fillide
 Le città e il nome. 3. Pirra
 Le città e i morti. 2. Adelma
 Le città e il cielo. 1. Eudossia
 …. [cornice VI B]
CAP. VII
 .…. [cornice VII A]
 Le città e gli occhi. 5. Moriana
 Le città e il nome. 4. Clarice
 Le città e i morti. 3. Eusapia
 Le città e il cielo. 2. Bersabea
 Le città continue. 1. Leonia
 ….. [cornice VII B]
CAP. VIII
 .…. [cornice VIII A]
 Le città e il nome. 5. Irene
 Le città e i morti. 4. Argia
 Le città e il cielo. 3. Tecla
 Le città continue. 2. Trude
 Le città nascoste. 1. Olinda
 ….. [cornice VIII B]
CAP. IX
 .…. [cornice IX A]
 Le città e i morti. 5. Laudomia
 Le città e il cielo. 4. Perinzia
 Le città continue. 3. Procopia
 Le città nascoste. 2. Raissa
 Le città e il cielo. 5. Andria
 Le città continue. 4. Cecilia
 Le città nascoste. 3. Marozia
 Le città continue. 5. Pentesilea
 Le città nascoste. 4. Teodora
 Le città nascoste. 5. Berenice
 ….. [cornice IX B]
Così Marina Zancan spiega la struttura di Le città invisibili: «L'Indice descrive un libro
diviso in nove capitoli numerati progressivamente in cifre romane, ognuno introdotto e
concluso da pezzi senza titolo [...]: i capitoli I e IX contengono ognuno dieci medaglioni
titolati; i capitoli intermedi (II-VIII) ne contengono ognuno cinque. I cinquantacinque
medaglioni presentano undici titoli - ognuno ripetuto cinque volte - che definiscono
altrettante serie, al cui interno le cinquantacinque città si suddividono in undici tipi;
ogni serie raggruppa cinque città numerate progressivamente in cifre arabe. Ogni città è
quindi definita da tre parametri: il capitolo, la serie, il numero d'ordine. I capitoli II-VIII
contengono ognuno cinque città di una serie diversa, i cui numeri d'ordine decrescono
da cinque a uno: la prima città, dunque, esaurisce; l'ultima invece apre una serie. Il
primo capitolo innesca questo meccanismo in base al quale le serie si avvicendano
secondo un criterio di alternanza scalare e porta la prima (Le città e la memoria) a
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livello di quattro; la seconda (Le città e il desiderio) a tre; la terza (Le città e i segni) a
due; la quarta (Le città sottili) a uno: il dieci è dato da 4+3+2+1. L'ultimo capitolo,
speculare al primo, completa tutte le serie portando al livello di cinque l'ottava (Le città
e i morti) con una occorrenza; la nona (Le città e il cielo) con due; la decima (Le città
continue) con tre; l'undicesima (Le città nascoste) con quattro: il dieci è dato da
1+2+3+4.[...] Di tutte le città possibili Marco nel sottotesto in tondo racconta di
cinquantacinque città immaginarie, che i microtitoli delle serie definiscono secondo un
duplice procedimento: individuando un rapporto negli otto casi in cui nel titolo il
sostantivo città è congiunto a otto diversi sostantivi (memoria, desiderio, segni, scambi,
occhi, nome, morti, cielo); indicando una caratteristica nei tre casi in cui il sostantivo
città è seguito da tre diversi attributi (sottili, continue, nascoste)» (Zancan 1996, pp. 890
e 897).
Nelle carte di Calvino è stato ritrovato il seguente diagramma che chiarisce
ulteriormente la struttura del testo:
Capitolo I
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
1
21
321
4321
54321
54321
54321
54321
54321
54321
54321
5432
543
54
5
Commenta Mario Barenghi: «Negli appunti di Calvino la disposizione delle città è
raffigurata da una griglia obliqua, leggibile in tre sensi. L'ordine normale (da sinistra a
destra e dall'alto in basso) corrisponde alla successione dei capitoli (il cap. I comprende
il triangolo superiore, il cap. IX quello inferiore, i capp. II-VIII una riga ciascuno). La
serie delle colonne verticali corrisponde alla successione delle rubriche; le linee
diagonali riproducono l'ordine numerico» (Barenghi 1992, p. 1360).
Si noti infine che le categorie logiche adoperate da Calvino sono l'alternativa binaria (1
o 2, A o B), lo zero, l'infinito: quasi le stesse categorie del calcolatore elettronico. «Il
favoloso Calvino è contemporaneo alla civiltà dei computer» (G. Pampaloni).
L'immagine della scacchiera. I diciotto pezzi in corsivo (distribuiti a due a due, il
primo all'apertura di ogni capitolo, il secondo alla sua conclusione) costituiscono,
sommati alle cinquantacinque città descritte in tondo, il numero di sessantaquattro, cioè
l'immagine di una scacchiera; e una vera e propria partita a scacchi è quella che si gioca
tra la razionalità classificatoria (rappresentata da Kublai Kan) e la sensibilità inventiva
(rappresentata da Marco Polo). Come accade in una partita a scacchi, i singoli pezzi
possono combinarsi in diversi percorsi. La scacchiera, a sua volta, diviene una grande
metafora del testo letterario.
Il sottotesto in tondo. I tondi, scrive Calvino a C. Varese, vanno letti «uno per uno, perché così sono
nati, e poi ognuno nelle varie serie che il libro suggerisce». Seguendo il secondo consiglio dell'autore,
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passiamo in rassegna i racconti, inquadrandoli nelle varie serie. (il numero romano indica il capitolo, la
cifra araba indica la collocazione nella serie).
Le città e la memoria. Diomira (I, 1) non ha bellezze particolari, ma piace in una sera di settembre al
viaggiatore, che ricorda di essere stato felice in una sera simile. Isidora (I,2) è la città dei sogni: quando il
viaggiatore vi giunge, tuttavia, scopre che essa è differente dalla città del suo sogno: quando l'ha sognata,
era giovane; nella realtà, ora, vi arriva da vecchio. Zaira (I, 3) è una città fatta di relazioni tra le misure
del suo spazio e gli avvenimenti della sua storia; essa contiene il suo passato «come le linee di una mano».
Zora (I, 4) è una città che rimane punto per punto nella memoria di chi l'ha visitata; ciò malgrado, ha
scelto di scomparire. Maurilia (II,5) è ormai una metropoli: il viaggiatore è invitato a visitare la grande
città del presente e a osservare, nel contempo, certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano come
era nel passato; ma, per non deludere gli abitanti, occorre che il viaggiatore lodi la città delle cartoline,
preferendola a quella presente; in realtà, tra la Maurilia provinciale del passato e la Maurilia-metropoli
non esiste alcun rapporto (viene posto così in discussione il ruolo della memoria come tramite tra il
presente e il passato).
Le città e il desiderio. Dorotea (I,1) è una città della quale si può contare ogni oggetto fino a
comprenderne tutta la storia; ma, nel racconto di un cammelliere, è una città che ha costituito per lui,
quando era giovane, il luogo delle possibilità, mentre prima conosceva solo il deserto. Anastasia (I, 2) è
una città che risveglia tutti i desideri a coloro che vi abitano; ma è anche una città ingannatrice: quello che
essa possiede di prezioso fa schiavo chi lo produce nell'illusione di possederlo. Despina (I, 3) si presenta
differente a chi viene da terra o a chi viene dal mare. Per il cammelliere, si profila come una nave, con le
vele spiegate verso porti lontani; per il marinaio invece la città assume forma di cammello, che si dirige
verso un'oasi. Fedora (II,4) è una metropoli di pietra grigia, al cui centro sta un palazzo di metallo con
una sfera di vetro in ogni stanza: guardando in ogni sfera si vede la forma che la città avrebbe potuto
prendere se non fosse diventata come oggi la vediamo; in conclusione, sia la grande Fedora in pietra sia le
piccole Fedora di vetro sono «tutte solo presunte». Zobeide (III, 5) è una città-trappola, formata da un
intreccio di vie che si aggomitolano senza lasciare punti di fuga: è stata concepita per togliere ogni via di
scampo alla donna, inseguita dai numerosi amanti che l'hanno sognata.
Le città e i segni. Tamara (I, 1) è una città che deve essere attraversata con lo sguardo per leggerne i
segni, che però rimandano sempre a cose diverse: il viaggiatore esce da essa con la testa piena di nomi,
ma le cose gli rimangono sconosciute. Zirma (I, 2) moltiplica i suoi segni per farsi ricordare, ma al
ricordo di uno corrispondono molti fatti simili: c'è chi rammenta un negro cieco, ma a Zirma i negri del
genere sono tanti. Marco Polo ricorda di aver visto a Zirma tanti dirigibili, ma i suoi compagni
sostengono di averne scorto uno solo. Zoe (II,3) è il luogo dell'esistenza indivisibile: non è possibile
riconoscere in essa la reggia, la caserma, la prigione, il teatro, il tempio, ecc.: tutto è mescolato e in questa
mescolanza è l'ordine della città. Ipazia (III,4) è una città dove nulla sta al suo posto consueto: i ragazzi
alloggiano nelle biblioteche, inebetiti dall'oppio, mentre i filosofi giocano nei giardini. Olivia (IV,5) è una
splendida città, piena di palazzi, di zampilli, di pavoni bianchi, ma è anche un luogo di fuliggine e d'unto
(chiara allusione alle metropoli inquinate); enigmatica è la conclusione: «La menzogna non è nel discorso,
è nelle cose», così interpretata da P. V. Mengaldo: «la menzogna del linguaggio può rovesciare in verità,
svelandolo, l'inganno della realtà».
Le città sottili. Isaura (I,1) è una città duplice, che discende nelle profondità dell'abisso e, nel contempo,
«si muove tutta verso l'alto» (ogni verità ha dunque un'antitesi e la verità assoluta è inconoscibile); Isaura
è inoltre la prima città che introduce il tema della "leggerezza", molto caro a Calvino. Zenobia (II, 2) è
una città che sorge su alte palafitte e ha case di bambù e di zinco; i suoi abitanti la amano perché riesce a
realizzare i loro desideri ed è inutile chiedere se si tratti di una città felice o infelice. Armilla (III,3) è una
città fatta solo di tubature idrauliche e abitata da ninfe e naiadi, che «al mattino si sentono cantare».
Sofronia (IV, 4) è una città dimidiata: la metà di essa contiene giocattoli e attrezzi per il divertimento,
l'altra metà racchiude le istituzioni e i luoghi dello studio e del lavoro. Questa seconda città non mette
radici ed è continuamente smontata e rimontata di piazza in piazza dai manovali. Ottavia (V,5) è una
città-ragnatela, sospesa sopra un precipizio, la cui base è una rete tesa tra due montagne (ironica e
paradossale la conclusione: «Sospesa sull'abisso, la vita degli abitanti d'Ottavia è meno incerta che in altre
città. Sanno che più di tanto la rete non regge»).
Le città e gli scambi. Eufemia (II, 1) è un grande bazar, dove si scambiano, oltre alle consuete mercanzie,
anche i racconti intorno ai fuochi nelle notti di equinozio e solstizio. Cloe (III,2) è in apparenza «la più
casta delle città», i cui abitanti non si conoscono e non comunicano, eppure si consumano tra di loro
«incontri, seduzioni, amplessi, orge». Eutropia (IV,3) è la città della mobilità e della volubilità: i suoi
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abitanti, quando sono assaliti dalla stanchezza, si spostano in massa nella città vicina per vivere una nuova
vita. Ersilia (V, 4) è la città per eccellenza dei rapporti interpersonali: ad ogni tipo di relazione
corrispondono fili di colore diverso, stesi tra le pareti delle case; quando i fili sono troppi, gli abitanti
sono costretti a traslocare altrove. Smeraldina (VI, 5) è una città acquatica, dove convivono i topi nel
buio delle cloache e le rondini, che «sovrastano da ogni punto dei loro sentieri d'aria tutti i punti della
città». La pluralità delle sue vie serve a scacciare la noia.
Le città e gli occhi. Prima di questa serie è Valdrada (III,1), alla quale dedichiamo una analisi particolare.
Zemrude (IV, 2) è una città la cui forma dipende dall'umore con cui la si osserva. Chi passa fischiettando
ne conoscerà le parti alte (davanzali, tende, zampilli). Chi invece la attraversa con malumore, vede solo
rigagnoli, tombini, resche di pesce, cartaccia. Un'altra città degli "occhi", cui dedichiamo un'analisi
particolare, è Bauci (V,3). Fillide (VI, 4) è una città che si sottrae agli sguardi, anche se milioni di occhi ti
guardano da finestre, ponti, cespugli di capperi. Tra le sue vie, si cammina dentro la memoria: se, ad
esempio, un portico appare più gaio di un altro, è perché ci si ricorda che una volta, trent'anni prima, vi è
passata una ragazza dalle larghe maniche ricamate. Moriana (VII, 5) non ha spessore e, in essa, ogni cosa
ha il suo rovescio. A ogni porta di alabastro, colonna di corallo o villa di vetro, corrisponde, nella faccia
nascosta della città, una distesa di lamiera arrugginita, mucchi di barattoli, muri scrostati, corde buone
solo per impiccarsi a un trave marcio.
Le città e il nome. Aglaura (IV, 1) è «una città sbiadita, senza carattere, messa lì come vien viene», ma i
suoi abitanti sostengono di abitare ancora in un'altra Aglaura, città nobile e antica, puntigliosamente
ossequiosa delle regole. Leandra (V,2) è protetta da due specie di dei: i Penati, che se ne stanno sulle
porte delle case e nei traslochi seguono le famiglie, e i Lari, che se ne stanno in cucina e, quando una
famiglia va via, rimangono con i nuovi inquilini (ma gli uni e gli altri si fanno buona compagnia: «di
notte, nelle case di Leandra, li senti parlottare fitto fitto, darsi sulla voce, rimandarsi motteggi, sbuffi,
risatine ironiche»). Pirra (VI,3) è una città immaginaria, alta sulle pendici di un golfo; ma quando vi
giunge Marco Polo, trova una città bassa, tutta depositi di legno e segherie. Clarice (VII, 4) è una città
gloriosa, che è stata devastata. Non c'è un solo oggetto che conservi lo stesso posto di prima e nelle urne
cinerarie ora si pianta il basilico. Irene (VIII, 5) è guardata dall'alto dai viaggiatori, che ne ascoltano i
rumori, siano essi di festa o di guerra; ma nessuno l'ha visitata. È una città da vedere da lontano, e se ci si
avvicina cambia.
Le città e i morti. Melania (V,1) è una città teatrale: ciascuno recita la sua parte (di millantatore,
meretrice, mezzana, avaro, scroccone, ecc.) La popolazione si rinnova con la morte dei cittadini, ma i
ruoli rimangono inalterati. Grande rilievo ha, in questa serie, Adelma (VI, 2), cui dedichiamo un'analisi
particolare. Eusapia (VII,3) è formata da due città gemelle, la città dei vivi e quella dei morti; questi
ultimi si dedicano alle medesime occupazioni dei vivi, fino al punto che è impossibile «sapere quali sono i
vivi e quali i morti». Argia (VIII, 4) è una città che ha la terra al posto dell'aria. Gli abitanti si spostano al
buio. «Di notte, accostando l'orecchio al suolo, alle volte si sente una por
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