Roberto Vai Il sentiero del giorno di Roberto Vai Alzano Lombardo, 14 gennaio 2008 Nella copertina viene raffigurato un paradosso di Zenone, la freccia non può raggiungere il bersaglio: “Se un corpo si muove dal punto A al punto B, prima di giungere in B dovrà arrivare nel punto M, intermedio tra A e B; e prima di giungere in M dovrà arrivare in M1 intermedio tra A e M, e così via all’infinito. Pertanto, lo spostamento oltre il punto A è impossibile, per quanto piccolo possa essere”. Zenone scherzava, oppure no…? Se volessimo provare a dargli credito, dovremmo rivedere la nostra stessa concezione della realtà. Il tempo, lo spazio, la materia, l’Io, sono cose da tempo considerate ovvie, non è forse il momento di rimetterle in discussione? Il movimento è un fatto evidente (la freccia raggiunge il bersaglio), tuttavia nelle parole di Zenone v’é un qualcosa di vero, nonostante le apparenze contrarie… Il movimento avviene, eppure v’è qualcosa che non va… Non è che sia la nostra stessa idea di realtà a dover essere rivista? Che occorra cioè incominciare a supporre che non esista una freccia come cosa in sé, distinta dal resto del mondo, ma che essa sia solo un’espressione del continuo evolversi, dove nulla è isolato e distinto dal resto. Che non esistano pertanto “le cose in sé”, ma che quello che percepiamo siano solo eventi, avvenimenti. Chissà dove potrà portarci una critica radicale, anche alla luce delle moderne scoperte scientifiche, delle ovvietà che da tempo immemorabile siamo abituati a considerare vere? Finita l’epoca delle esplorazioni geografiche, questa è forse l’avventura più emozionante. Come dovemmo abbandonare il paradiso terrestre, a causa della razionalità acquisita, è forse l’ora d’abbandonare le rassicuranti costruzioni che essa ci ha regalato, per andare oltre, per conquistare il senso dell’Essere, dell’esistere. Nell’incerto chiarore dell’aurora, il sentiero della notte sta svanendo. Perché non inoltrarci lungo il sentiero del giorno? Il sentiero del giorno Un’Isola nel Mare del Nulla Un’Isola nel Mare del Nulla “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita…” - Dante La vita è meravigliosa… il mio cuore mormora. Quant’è sciocco! Non vede che il male è ovunque, fuori e dentro di me? Che pia illusione questo sentire. Eppure… se fosse invece la mente mia a ingannarsi, scambiando per reale ciò che non lo è affatto? Che sa lei, per certo, da permettersi di trascurare questo mio povero cuore? Forse è il caso che si dia una regolata e cominci a guardare il mondo con più attenzione. Giacché mi sa, che a volte si lascia prendere la mano… e finisce per scambiare quel ch’appare, per ciò che è. IL NICHILISMO Straordinario è il nostro momento. Molti i bisogni soddisfatti e nuove invenzioni si susseguono per appagarne di vecchi e di nuovi. Ciononostante… siamo ansiosi, preoccupati di perdere quel tanto che abbiamo. S’ode alla porta un bussare minaccioso… Quanti catenacci abbiamo messo! Ma a nulla sono serviti contro l’angoscia più grande: niente permane, tutto, prima o poi, finisce. Adamo mangiò il frutto e il tempo iniziò a fluire. Apparvero la vita e la morte, il bene e il male. Il ritorno non era però possibile, non restava che avanzare. A ogni passo si apriva un mondo fugace e molteplice. Una visione: la vita è un nascere dal nulla e la morte un ritornarvi, a cui abbiamo cercato in molti modi di porre rimedio. Anche oggi, con la tecnica, cerchiamo almeno di prolungare il più possibile questa nostra precaria vita. Continuamente assistiamo all’apparire di cose che prima non erano e allo svanire di cose che non saranno più. Sì, siamo per lo più convinti che questo apparire e svanire siano il frutto di una continua trasformazione, ma questa trasformazione consiste proprio nella distruzione di cose che non saranno più e nella creazione di cose che prima non erano. Noi stessi, con il nostro agire, partecipiamo alla costruzione e alla distruzione. E sempre più la nostra potenza si accresce che ormai il dominio del mondo pare a portata di mano. Ma ciò che costruiamo sono solo dei castelli di sabbia. La nostra esistenza è una sosta provvisoria su di un’isola che emerge dal mare del nulla. Da quel mare giungemmo e presto vi ritorneremo. Ciò che oscilla tra essere e nulla non è però esso stesso nulla? Forse non ce ne rendiamo conto, ma per noi il mondo è niente, la realtà delle cose è nulla. Questo sentire, di rado cosciente ma sempre sottinteso, è l’inevitabile conseguenza del nostro modo di vedere la realtà: l’incessante creazione e annichilimento di tutte cose. Quest’idea, che la realtà sia niente, è il nichilismo, un’erba maligna che avvinghia con i suoi tralci il nostro cuore e ci soffoca, c’impoverisce. Riteniamo di essere convinti che il mondo in cui viviamo sia esistente, reale. Ma cova in noi il dubbio feroce che invece sia niente. E abbiamo questo dubbio nascosto ma tenace, proprio 1 Il sentiero del giorno Un’Isola nel Mare del Nulla perché interpretiamo il mondo attraverso la razionalità, che ci fa vedere ogni cosa separata una dall’altra, disponibile a essere distrutta così come fu possibile generarla. Le cose sono nulla! Prima non esistevano, erano nulla, poi vengono generate, nascono dal nulla, sopravvivono per un poco fino alla loro inevitabile distruzione, quando infine saranno nuovamente nulla. Con questa visione della realtà, solo due possibili strade sono rimaste per darci una ragione della vita: • Sforzarsi di credere in un ente supremo creatore del mondo ed eterno, perciò non influenzato dall’implacabile legge del divenire. • Accettare stoicamente il fatto che l’esistenza è temporanea, un’occasione unica che non si ripeterà. La vita è quindi fine a sé stessa. RITORNO ALL’ESSERE È però proprio vero che ciò che è viene dal nulla e ritornerà nel nulla? Com’è possibile che ciò che esiste possa essere stato nulla? Che ciò che è possa ridiventare nulla? Non è assurdo questo pensiero, nonostante le innumerevoli prove fornite dalla razionalità? Vediamo dove ci può portare quest’irrazionale rifiuto dell’evidenza. In quale mondo inaudito una critica radicale ci può condurre, fiduciosi nell’esistenza della verità, confidenti in amici come Parmenide che cocciutamente affermava: “L’essere è, il non essere non è”. Tanti sono i frutti che la razionalità ci ha donato, e quante superstizioni e paure ancestrali ci ha fatto superare… ma ormai ci occorre dell’altro. Come lasciammo il paradiso terrestre1, a causa della razionalità acquisita, ora ci occorre abbandonare le costruzioni che essa ci ha regalato, per andare oltre, per conquistare il senso dell’Essere, dell’esistere. Non per questo la razionalità dovrà essere rigettata, anzi2, semplicemente non sarà più, come ora, “l’unico modo di comprendere” ma diventerà solo un aspetto, non marginale ma neanche prioritario, di una conoscenza più grande e più vera. Quello che occorre è quindi decidersi, mangiare un nuovo frutto proibito, un frutto che ci proietterà in un mondo diverso, il mondo dell’Essere. Il serpente del nichilismo ci suggerisce di coglierlo e gustarlo, occorre solo il coraggio di tentare. 1 2 Dove stavamo bene nella nostra incoscienza Come potrebbe essere altrimenti? 2 Il sentiero del giorno Come Conosciamo il Mondo Come Conosciamo il Mondo “Noi non viviamo immediatamente nell’essere, perciò la verità non è in nostro possesso definitivo; noi viviamo nell’essere temporale, perciò la verità è la nostra via” - (Sulla Verità) K. Jaspers Come conosciamo il mondo? Come interpretiamo il divenire? Cos’è la realtà per noi? Quanto è affidabile questo nostro “conoscere”…? IL DUBBIO E LA CERTEZZA Ogni nostra azione si basa, in fondo in fondo, su delle certezze. Quando inizio a parlare sono certo che dalla mia bocca usciranno dei suoni, quando faccio un passo sono certo di non cadere, quando sommo 1 + 1 sono certo che il risultato sia 2. Senza certezze non potremmo fare nulla, nemmeno pensare. Si potrebbe obbiettare: “Ma noi abbiamo anche dubbi e molti!”. Beh, sì, ma anche quest’affermazione rivela come, per farla, occorra avere la certezza di dubitare… Il dubbio fa parte della nostra natura e, se scaviamo, in ogni nostra certezza troveremo sempre insito il tarlo del dubbio. La posizione che possiamo assumere è in effetti fra i due estremi: “Dubbio iperbolico” (dubito di tutto) e “Non dubito di nulla” (sono sempre certo di ogni cosa). Questi due estremi sono però irraggiungibili. Anche l’affermazione: “Dubito di tutto”, necessita come minimo di una certezza: quella di essere sicuri di dubitare! Nel secondo caso, l’essere sicuro di tutto, significa essere fuori del mondo. L’esperienza rimette inevitabilmente in discussione le mie certezze, e il non considerarla, restando aggrappato alla mia “verità”, mi pone fuori della realtà. Dobbiamo pertanto convivere con certezze e dubbi. Una certezza permane sin tanto che un dubbio non inizia a farla vacillare, fino, magari, a farla diventare certezza del contrario. La certezza e il dubbio sono intrecciati indissolubilmente. Certo, per vivere abbiamo bisogno di certezze. Certezze che sono però sempre provvisorie e instabili, ma sulla cui supposta stabilità ci affidiamo per scegliere una strada piuttosto che un’altra. Con queste certezze instabili noi affrontiamo il divenire. L’UOMO E IL MONDO Il divenire del mondo appare all’uomo come il bizzarro risultato di due cause distinte: 1. L’applicazione di leggi universali 2. Le scelte arbitrarie degli esseri viventi Le leggi universali sono le conclusioni, provvisorie e in continua evoluzione, a cui l’uomo è giunto interpretando la natura diveniente. Le scelte arbitrarie sembrano invece non sottostare (o comunque non essere relazionate) ad alcuna di queste leggi universali. Manifestano invece quella che per noi è la “libertà”. IL CORPO L’uomo è immerso nel mondo. Il suo corpo non è differente, come essenza, da qualsiasi altro corpo umano. Non è “unico”, se non nella forma e nell’aggregazione di alcuni composti chimici come il DNA. 3 Il sentiero del giorno Come Conosciamo il Mondo Se poi vado a indagare più a fondo, nel microcosmo degli organi, quest’equivalenza si espande fino ad abbracciare ogni altro essere, sia esso animale, vegetale o minerale. I mattoni che compongono il mio corpo (atomi e molecole) sono gli stessi di qualsiasi altro. Inoltre, il corpo diviene continuamente. Il ricambio è continuo, io assimilo nuovi materiali per la rigenerazione dei tessuti e nello stesso tempo ne scarto di vecchi. Che forse quell’atomo di carbonio, che era nella foglia d’insalata che ho gustato, ora che è nel mio sangue vale di più? Ha un significato diverso? E se invece che nel sangue fosse andato a comporre un mio prezioso neurone cerebrale? Non sarebbe più lo stesso atomo? E poi, quando lo scarto e finisce in immondo escremento, vale allora di meno? No. Non v’è differenza di sostanza tra il mio corpo e qualsiasi altra materia dell’universo. L’unica differenza sembra risiedere nel grado di complessità con la quale i componenti interagiscono tra loro. Noi esseri umani siamo più complessi degli altri esseri, almeno per quel che riguarda il cervello. E a ciò pare corrispondere un più alto livello di razionalità. IL CERVELLO Ma perché esiste il cervello? Qual é lo scopo, quale la differenza rispetto a un altro organo qualsiasi? Se differenza ve n’è. Lo scopo di molti organi pare evidente: il cuore per far scorrere il sangue, lo stomaco per digerire il cibo, le gambe per muoversi. Ma il cervello, che scopo ha? Quello di dirigere le attività volontarie del corpo. Come ogni funzione necessaria trova nel corpo il suo organo corrispondente, così la funzione di comando viene svolta dal cervello. Cosa significa però funzione di comando? Far fare al corpo le azioni utili, scegliere ciò che è bene per la sua sopravvivenza. Ogni organo lavora per il bene di tutto il corpo, quindi anche il cervello lavora per il suo benessere. Come fa a discriminare quale azione è utile e quale invece è dannosa? Il cervello comunica con il resto del mondo. Tramite i cinque sensi le informazioni raggiungono il cervello ed esso decide il comportamento da adottare. Le elaborazioni che si svolgono nel cervello sono utilitaristiche: lo scopo dell’elaborazione ha come fine il bene del corpo. Per soddisfare questo obiettivo l’elaborazione segue una logica (come il cuore segue una sua logica per pompare il sangue) che tratta le informazioni considerandone la relazione: causa – effetto. Dato un certo evento e una certa situazione si studiano quali sono, o potrebbero essere, gli effetti. Certo la razionalità può specializzarsi sempre più, e realizzare pensieri sempre più complessi. Ma la sua matrice è sempre quella: analizzare relazioni. Questa descrizione del cervello lascia invero non poco insoddisfatti. Ma gli ideali, la giustizia, l’amore, sono dunque solo un derivato dell’analisi di relazioni, un’analisi poi con un fine esclusivamente utilitaristico? E gli istinti? I sentimenti? LA MENTE La mente non appare così evidente come il mondo fisico, è perciò ancor più soggetta a interpretazioni. Noi desideriamo però solo focalizzare quegli aspetti che maggiormente determinano la nostra visione il mondo: 4 Il sentiero del giorno Come Conosciamo il Mondo • Razionalità • Istinto • Intuito LA RAZIONALITÀ La razionalità guarda le cose del mondo valutandone la composizione, ma non riesce a penetrarne l’essenza. La comprensione razionale si sofferma sulle “relazioni” presenti tra gli enti. Ogni ente acquista così significato esclusivamente in funzione: • delle relazioni che si manifestano con gli altri enti • delle interrelazioni tra i suoi componenti3. La razionalità è l’espressione dell’uomo “costruttore”, che guarda ciò che lo circonda cercando di comprenderne il funzionamento, ovvero le interazioni tra le parti. Queste relazioni sono considerate statiche, se non appaiono mutare nel tempo (es.: la palla poggia sul terreno), oppure dinamiche se variano (es.: a causa di un calcio la palla si sta allontanando dal terreno). Le relazioni statiche sembrano prescindere, almeno per un certo periodo temporale, dal divenire. Le relazioni dinamiche sono quelle che appaiono legate al divenire, anzi, ne sono la manifestazione. La razionalità identifica l’essere con le relazioni statiche e il divenire con le relazioni dinamiche. L’analisi del mondo, dal punto di vista della razionalità, è pertanto ridotta all’interpretazione di tali relazioni4. Es.: “Un bullone è composto da una vite e da un dado che vi sta avvitato”. L’analisi del divenire guarda invece le relazioni dinamiche: “Sto svitando il dado, la sua relazione con la vite è pertanto dinamica (il bullone sta anch’esso mutando). Completata la mia azione separo il dado dalla vite e il bullone non esiste più (relazione statica tra dado e vite)”. Mentre per comprendere le relazioni statiche, alla razionalità è sufficiente distinguere le parti in gioco, per comprendere le relazioni dinamiche essa necessita pure di stabilire un prima e un dopo. Suddivide perciò il tempo in stati successivi. Ogni stato rappresenta il mondo come congelato in un certo istante. La sequenza degli stati è, per la razionalità, una rappresentazione del divenire. Anzi, diciamo pure che per essa questo è il divenire. Analizzando le cause e gli effetti tra uno stato e l’altro la razionalità dà un senso al divenire delle cose. L’uomo razionale, perciò, per comprendere il divenire ha bisogno di intendere la realtà divisa sia in parti fisiche sia in stati temporali. Di queste parti, valutate nei vari stati, ne può così studiare le relazioni causali, cause ed effetti che intercorrono tra le parti passando da uno stato all’altro. A questa rappresentazione del divenire l’uomo razionale non sa rinunciare. Può certo intendere il tempo come un fluire continuo, ma appena cerca di analizzare un fenomeno temporale subito fissa degli istanti (istante d’inizio, di fine, ecc…). che corrispondono a degli stati nei quali la realtà è congelata. 3 4 Che, a loro volta, sono anch’essi enti Vedremo nel successivo capitolo come tutte le relazioni esistenti siano, in realtà, dinamiche 5 Il sentiero del giorno Come Conosciamo il Mondo Se muovo la mia mano, la razionalità cercherà di descrivere questo fenomeno stabilendo l’istante d’inizio del movimento, la traiettoria seguita, e di questa, in ogni punto (P1, P2, P3, …) i tempi (T1, T2, T3, …) nei quali la mia mano era presente, e transitante con una certa velocità.5 L’approssimazione è tanto meno vaga quanto più numerosi sono gli stati con i quali ricostruisco il movimento. Non c’è limite, infatti, alla breve durata ipotizzabile tra uno stato e l’altro. A seconda delle esigenze potrà essere ridotta a piacere. Se intervalli di un secondo, possono essere sufficienti per descrivere gli eventi della vita quotidiana, richiederemo invece i microsecondi per rappresentare i movimenti di un motore o i nanosecondi per descrivere le transizioni in un computer. Non c’è limite, basta dividere ancora l’intervallo temporale e, per ogni divisione, definirne lo stato corrispondente. In funzione dell’esigenza, la mente razionale stabilisce il livello d’approssimazione necessario e postulerà così una sufficiente equivalenza tra il tempo reale e quella sequenza di stati. Da queste considerazioni mi pare pertanto impossibile sostenere che la razionalità sia un’esclusiva proprietà dell’uomo. Pare soltanto manifestarsi in lui più compiutamente. L’uomo si differenzia dall’animale in quanto egli è “costruttore”, usa della sua razionalità per cambiare il mondo che lo circonda. Nell’animale la razionalità non giunge a questo livello (tranne in casi molto particolari e limitati) ma rimane utilizzata ancora solo per la gestione ottimale del corpo e le sue interazioni con il mondo. Se si ammette l’ipotesi che la razionalità derivi dalla complessità funzionale con la quale la materia è organizzata, occorre accettare anche la possibilità che ovunque vi sia una tale organizzazione (quindi anche in una semplice molecola) là si manifesti una qual forma di razionalità. Una razionalità che in molti casi può risultare paradossalmente semplice, ma che non è affatto “qualitativamente” differente da quella che si manifesta nell’uomo più evoluto. L’ISTINTO L’istinto è il modo con cui il corpo ha cercato, nel passato, di governarsi per sopravvivere al meglio. Così come il cuore è nato per far fluire il sangue nelle vene e lo stomaco per digerire il cibo, anche il cervello s’è sviluppato per scegliere il meglio per il benessere della creatura. L’aggressività, la paura, … sono il risultato delle scelte comportamentali dei nostri antenati. Alcuni nostri istinti ora possono stupirci e magari disgustarci, ma non sono che il retaggio di esperienze di vita ancestrali. Uccidere, per esempio, un tempo era spesso necessario. Prima di Caino6 era un’azione normale. Dopo, con la maggior comprensione acquisita, era ormai un delitto. L’istinto, forgiato in molteplici generazioni che dovettero lottare per vivere, non scompare d’incanto, ma riappare anche quando meno ce se lo aspetta. Esistono pertanto istinti buoni: utili nella situazione attuale, e istinti cattivi: buoni un tempo, quando le emergenze erano differenti, ma ora non più. La cosa però più interessante da notare, è che l’istinto può essere considerato un’espressione della razionalità. Certo, una razionalità dei tempi andati, più primitiva e pragmatica. Ma è stata proprio la consuetudine, la ripetitività con cui la ragione di allora faceva certe scelte che ha creato certe abitudini. 5 Il problema di questo modo di vedere è che la mia mano non è stata mai in nessuno di questi punti, c’è solo passata. Nel punto P2 non potrò mai stabilire quale fosse con precisione il tempo T2, posso solo farne una valutazione approssimata. Ciò perché la mano non si è mai fermata in P2 6 Adamo simboleggia l’uomo che diventa cosciente di sé e del bene e del male, Caino il conseguente pentimento per il male commesso. 6 Il sentiero del giorno Come Conosciamo il Mondo Il pensiero razionale del primitivo analizzava le situazioni, seguendo i valori prioritari (sopravvivere, riprodursi, ecc), e faceva le sue scelte. L’abitudine a certi pensieri e a certe scelte s’è trasformata in istinto. Istinto che è pertanto pensiero razionale talmente abitudinario e costante da diventare automatico: date certe premesse le conclusioni sono scontate, scelta d’istinto. Anche l’istinto degli animali, che tanto spesso ci stupisce, è un’espressione della razionalità. Chi ha insegnato loro azioni così complesse e pertinenti? Non sono che il risultato del continuo lavorio, generazione dopo generazione, della razionalità che aveva come obiettivo il soddisfacimento dei bisogni dell’animale. Pure in questo momento la razionalità crea istinti, abitudini. Seppur ci appaiono un che di non ragionato: azione istintiva, in realtà gli istinti sono degli automatismi che sostituiscono, per convenienza e rapidità, la corrispondente sequenza logica, meditata e cosciente, della razionalità. Per lo scopo di questo scritto, gli istinti possono essere considerati un consolidamento del lavoro della razionalità, delle sintesi dei risultati da essa ottenuti. Nel prosieguo pertanto considereremo solo la razionalità, intendendo con questo termine tutti i processi mentali che si esprimono come una sequenza logica ovvero razionale. L’istinto è perciò una razionalità criptica, in cui è sempre implicito un processo logico anche se non appariscente. L’INTUITO L’intuito penetra nel significato delle cose e ne trae l’ispirazione. Contrariamente alla razionalità, l’intuito non si sofferma sulla conoscenza acquisita, ma subito se ne distacca lasciandocene solo un vago sentore. L’ente, l’oggetto, è forse percepito in profondità, ma senza che la coscienza ne divenga davvero consapevole. E’ come un lampo, non si sa se arriverà né quando, e quando avviene lascia un rapido segno nella nostra mente per subito dileguarsi. Pertanto anche il tempo è percepito dall’intuito con immediatezza, ma la sensazione che se ne trae resta confusa, e solo da stimolo per una successiva riflessione razionale. La razionalità, infatti, è di per sé senza basi, senza certezze. Le certezze, e i dubbi che sempre le accompagnano, vengono dall’intuito, che penetra la realtà e ne trae i convincimenti. Questi vengono poi passati alla razionalità, che li utilizzerà come pietre angolari delle sue costruzioni. Nel lavoro di costruzione, e nelle difficoltà incontratevi, la razionalità solleva domande sul buon operato del proprio procedere. L’intuito ne viene subito coinvolto, spetta a esso infatti rassicurare del buon andamento, se così esso sente, oppure dissuadere dalla strada intrapresa per affrontarne una nuova. La razionalità è quindi il motore paziente e instancabile che lavora, consolida, ripara, verifica le nostre conoscenze. Il “valore” però, il senso di quanto conosciuto lo dà l’intuito, che penetra il senso ultimo delle cose e ce ne rimanda una flebile ma indispensabile indicazione da seguire. L’OVVIO Occorre tuttavia non confondere l’intuito con l’ovvio. L’ovvio appare spesso come verità incontrovertibile, ma è proprio questo il grande pericolo per chi cerca la verità. Ciò che è ovvio è di grande utilità per l’uomo, permette il vivere di una comunità e consola l’individuo che su di esso, sull’ovvio, confida di poter sempre contare. L’ovvio è la 7 Il sentiero del giorno Come Conosciamo il Mondo pacificazione dell’intuito e della razionalità: non discutono più su quell’argomento, è un problema ovvio. Il “fare”, il “costruire” hanno bisogno dell’ovvio, di verità su cui tutti siano d’accordo in modo da poter così procedere insieme nella fabbricazione di ciò che è utile. Anche il singolo, nella sua individualità, ha bisogno dell’ovvio. Esso è la certezza intesa come assoluta, e questa sicurezza permette all’uomo di vivere7. Se lascio questa penna che ho in mano, è ovvio che cada. Quando apro la mano non dubito “so” che cadrà. L’ovvio è il risultato del compromesso tra intuito e razionalità. I bisogni dell’uomo richiedono dei risultati pratici, che la mente sia un valido supporto al mantenimento del corpo e non che vada fantasticando tra le nuvole. Dopo aver riscontrato ripetutamente la “verità” di certe ipotesi, l’uomo tende a congelare le conclusioni che se ne sono tratte e diventa restio a rimetterle in discussione. Nuovi possibili dubbi avrebbero buona probabilità di venire ignorati. Le verifiche razionali sulla bontà di quanto preso per vero perdono man mano d’intensità fino a interrompersi. Il risultato raggiunto va bene così com’è, perché lavorarci ancora sopra? Meglio passare ad altro. Questo modo di procedere è indispensabile (non si può vivere sempre dubitando), ma come tutte le cose utili ha anche la sua valenza negativa. Affrontare infatti nuove prospettive nell’ambito dell’ovvio è sempre molto difficile. Anche palesi incongruenze possono rivelarsi molto difficili da risolvere, se difese da idee preconcette, ovvie. INTUITO < > RAZIONALITÀ Il rapporto Intuito – Razionalità è peculiare. Se cerco di farmi una ragione del mondo, se studio le relazioni tra le cose, se memorizzo i concetti che riesco man mano a definire, vedo la razionalità avanzare là dove prima regnava l’intuito. Quelle che erano pure supposizioni senza alcuna base razionale, vengono ora chiarite, verificate alla luce della razionalità. D’altro canto, se mi rilasso, se lascio andare la mia mente senza più farla definire, correlare, precisare, allora noto come la razionalità perda terreno, il dubbio riacquisti energia, e con esso l’intuito incominci a supporre cose nuove, diverse, anche in contrasto con quanto la razionalità aveva, con diligente operato, definito essere la verità. Se libero completamente l’intuito entro così nel mondo del sogno, del tutto possibile, della terra che mi frana sotto i piedi, dei voli pindarici, delle verità più abbaglianti ma irriducibili alla mia logica. Se invece privilegio la razionalità, essa circonda l’intuito in una morsa riducendo sempre più il suo campo d’azione. Ma man mano che questo accade, aumenta la tristezza nell’uomo, perché non spera più, non sogna più. Maledice il giorno che mangiò il frutto proibito, anche perché l’intuito, che sembrava pronto alla resa senza condizioni, è invece scomparso, lasciando dietro di sé un alone di indeterminatezza, che come una nebbia plumbea avvolge tutto il “sapere” razionale raggiunto. Questo sapere ha infatti perso di significato. Sì, è lì, chiaro, ordinato, corretto, ma è senza valore, quel valore che solo l’intuito poteva dargli. LA VOLONTÀ Sopra ogni pensiero domina la volontà. E’ la volontà che decide cosa fare e pensare. Io mi manifesto a me stesso, e agli altri, tramite la mia volontà. Direi anzi che io sono in quanto voglio. Cosa però sia questa benedetta volontà, è per me un mistero. 7 Come abbiamo già visto la certezza assoluta è impossibile, ma l’ovvio è forse quella forma di conoscenza che più ci fa credere d’averla. 8 Il sentiero del giorno Come Conosciamo il Mondo LOCALIZZAZIONE DELLA MENTE Mi pare una buona idea supporre che la razionalità (razionalità + istinti) abbia sede nel cervello. Il cervello è fatto proprio per governare il corpo nel modo migliore, e la razionalità è quell’insieme di funzionalità previste per questo compito. Per l’intuito e la volontà, non ne sarei invece così sicuro. Non sono funzionalità con obiettivi puramente utilitaristici. Bisogna infatti non confondere la volontà con l’istinto di sopravvivenza. Il secondo chiede, la prima comanda. L’eroe che sacrifica la vita per un ideale, decide tramite la propria volontà. Volontà che piega l’istinto di sopravvivenza al suo volere. L’intuito, e in particolare la volontà, potrebbero non avere una localizzazione così ben determinata. Paiono infatti l’espressione di un qualcosa di più ampio, di quella forza vitale che tutto permea, che mi fa battere il cuore e fa germogliare un seme. COME PROCEDERE La consapevolezza del dubbio, necessaria e indispensabile, non ci permetterà mai di abbandonarci davvero alla gioia, quando avremo raggiunto dei risultati importanti. La nostra contentezza dovrà sempre essere misurata, anche nei momenti più belli, perché dovremo sempre tener presente la caducità del nostro sapere, la possibilità di una sua rovina. Questo scomodo compagno, il dubbio, non è però solo da guardare con fastidio. Senza di esso finiremmo di riposarci sugli allori, convinti di aver trovato l’agognata verità. Il nostro sapere diventerebbe ben presto un’ovvietà, se non peggio, un fanatismo. Costruita la nostra muraglia cinese, smetteremmo di cercare attestandoci in difesa del nostro sapere. In attesa delle orde mongole capeggiate dalle nuove idee. Un’obiezione a questo punto potrebbe essere: “Ma come potremmo costruire qualcosa di valido, se dobbiamo sempre tormentarci con i dubbi?” L’unica risposta che mi viene in mente è che occorre coraggio. La nostra ricerca ci chiede di camminare sull’orlo dell’abisso e pure di lanciargli di tanto in tanto un’occhiata, nel profondo. Certo, potremmo scivolargli dentro, ma è nell’affrontare questo rischio che la fede si manifesta. LA FEDE Occorre pertanto fede. Che tipo di fede? E poi, cosa c’entra la fede in questa nostra ricerca? E’ necessaria sì una fede, anzi, è indispensabile. Una fede “filosofica” nel nostro stesso desiderio di verità. Una fede che non è fanatismo perché di tutto dubita. E se sospetta che un dubbio venga trascurato, subito lo riattizza: come un fuoco deve bruciare, fino in fondo, per eliminare ogni errore o menzogna. Una fede che non ha paura di soffrire, e non perché spera in un premio più grande, ma solo perché ama il vero. Una fede che “sa” che la verità basta a sé stessa, che nulla potrà mai scalfirla e che la felicità potrà giungere, forse, solo dall’amarla. Una fede infine, che “sa” di non sapere, e che guarda il mondo con quest’umiltà nel cuore, come un bambino innocente con gli occhi spalancati per l’emozione dell’avventura della vita. 9 Il sentiero del giorno Il Divenire Il Divenire “Ma l’eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo. E sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi. E ciò che in voi è canto e contemplazione, dimora quieto entro i confini di quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio. Chi di voi non sente che la sua forza d’amore è sconfinata? E chi di voi non sente che quest’autentico amore, benché sconfinato, è racchiuso nel centro del proprio essere, e non passa da pensiero d’amore a pensiero d’amore, né da atto d’amore ad atto d’amore? E non è forse il tempo, così come l’amore, indiviso e immoto?” – (Il Profeta) K. Gibran Il divenire appare a noi nella duplice veste di amico e di nemico. Tutto ciò che avviene dipende dal divenire. E questo avvenire è un trasformarsi, un muoversi, un nascere e morire. Non sempre siamo indifferenti a ciò che avviene, né lo possiamo. Se tanti eventi li trascuriamo, magari neanche li avvertiamo, per alcuni ignorarli ci è invece impossibile, tanto ci toccano da vicino. E se non possiamo ignorarli, allora solo buoni o cattivi essi sono. Il bene e il male vengono a noi tramite il divenire, e come vengono poi pure se ne vanno. Anche se cerchiamo d’ignorare questo sentire e ci sforziamo di credere in un ente immutabile a cui aggrapparci, l’esistenza è per noi, per la nostra razionalità, un emergere provvisorio dal nulla. Prima non eravamo, non esistevamo, eravamo nulla. Ora siamo, esistiamo, emergiamo dal nulla. Poi vi ritorniamo, non esistiamo più, siamo nuovamente nulla. Ogni cosa segue quest’inesorabile destino. E noi stessi, con il nostro agire, creiamo ciò che desideriamo, che vogliamo usare, per poi distruggerlo quando non ci serve più. Ma cosa significa essere, esistere? Questo essere che il divenire trascina nella sua corsa inarrestabile. Queste cose, persone, pensieri, sentimenti, il mondo intero che pur essendo, esistendo, non resistono allo scorrere del tempo, cosa sono in realtà? Siamo davvero sicuri che l’essere, ciò che esiste, si contrappone al divenire? O non sono invece essi, l’essere e il divenire, la manifestazione della medesima realtà, della stessa essenza? Cos’è infatti l’esistenza se non: essere divenendo? Che l’essere non è distinguibile dal suo stesso divenire… Davvero vi sono “cose” che esistono di per sé, inalterate nel tempo finché il divenire non le muta o le distrugge? O non è forse di realtà divenienti che è fatto il nostro mondo, dove è impossibile distinguere la cosa in sé dal suo stesso divenire? Al punto che non vi sono “persone” che vivono, ma solo il loro vivere stesso. Realtà viventi che è impossibile distinguere tra soggetto che vive e la sua vita stessa. Perché soggetto e vita sono un tutt’uno. Anzi, si potrebbe azzardare che, in effetti, non esista mai un soggetto che “vive”, ma solo la vita. IL PRESENTE Quello che il buon senso comune intende come “presente” è lo stato del mondo nel momento attuale. Il tempo zero in cui noi sempre siamo, o pensiamo di essere. Una realtà, quella del presente, che prescinde da un intervallo temporale per esistere, semplicemente è. Questo è quanto ci si presenterebbe se potessimo fermare il tempo e osservare perciò il mondo come congelato, fermo in quell’istante. Questo è il presente per noi, è il modo ovvio di pensarlo. 10 Il sentiero del giorno Il Divenire La nostra mente razionale in questo modo interpreta il presente. La razionalità vede lo scorrere del tempo come una successione di stati, e di conseguenza anche il presente viene interpretato come uno stato, anzi esso è “lo stato” per antonomasia. Se infatti il presente non fosse uno stato… come potrebbe concepirlo la razionalità? E come interpretare il passato e il futuro? Il tempo è una sequenza di stati, il presente è uno di questi e passa da uno all’altro man mano che il tempo avanza. IL PRESENTE È PROPRIO COSÌ? Se diamo retta all’intuito, però, percepiamo che il presente è soltanto il ricordo dell’immediato passato e l’aspettativa nel prossimo futuro. E’ infatti guardando quanto è appena avvenuto e supponendo quello che potrà ora avvenire che io sento, percepisco il presente. Il presente non è nient’altro che il passato che preme su di me con le sue aspettative nel futuro che avanza. Se ne può quindi dedurre che il presente sia un fatto squisitamente psicologico? Ma dove sono io, dove esisto se non nel presente? Io che non solo guardo lo scorrere del tempo, ma ne sono pure trascinato insieme con tutto il resto del mondo. Tutto che è l’unica realtà, tutto ciò che esiste proprio perché è qui, ora, nel presente! Ma è davvero così? Non ne sarei tanto sicuro. Proviamo ad analizzare le cose, gli enti. Possono veramente esistere degli enti a prescindere dal tempo? GLI ENTI SONO DIVENIENTI Distinguendo la realtà in mondo esteriore e mondo interiore, ovvero come indicava Cartesio in materia e pensiero, proviamo a valutare se questi due mondi potrebbero davvero sussistere senza divenire. Nel prosieguo indicherò con “ente” qualsiasi cosa possa essere ritenuta “reale” sia nel mondo fisico sia nel mondo mentale. Ogni cosa possa diventare oggetto d’osservazione è, per il semplice fatto di poter essere osservata, un “ente”. IL MONDO FISICO Il problema da affrontare può essere espresso nel modo seguente: il mondo fisico esiste solo in quanto diveniente oppure no? Affermare che il mondo fisico sia diveniente equivale ad ammettere che tutti gli enti fisici lo siano. Vediamo se possono esistere degli enti che esistano pur non divenendo. Diamo per scontato che tutti gli eventi, gli avvenimenti, siano di per sé stessi divenienti. Ogni cosa che avviene, avviene nel tempo. Ci concentreremo quindi sugli enti materiali, gli oggetti fisici, per scoprire se anch’essi sono composti, ovvero consistono anche di tempo. Diremo che un ente fisico può esistere senza divenire se, in due momenti di tempo differenti, ma vicini a piacere, resta identico a sé stesso. Con identico intendendo che: • Nessun suo componente è stato aggiunto o tolto • La posizione reciproca dei suoi componenti resta inalterata • Ogni sua proprietà non risulta variata 11 Il sentiero del giorno Il Divenire • Ogni suo componente resta identico a sé stesso L’ultimo punto ripropone, a livello di componente, la condizione d’identicità che dovrà essere così ripetuta per ogni sotto assieme fino al raggiungimento del componente elementare, ovvero non più scomponibile in parti8. Esistono enti che corrispondono a quanto richiesto? La risposta dell’intuito è: No. La razionalità può ora cominciare a indagare per scoprire se non vi siano delle controindicazioni. Per quanto io la sproni però, quest’affermazione non è mai confutata. Analizzando gli oggetti che mi stanno attorno, posso notare che nel tempo tutti invecchiano, cambiano la loro fisionomia e la loro struttura. Col passare degli anni anche le pietre mutano aspetto, e se gli anni non sono sufficienti per notare un cambiamento, allora basta attendere secoli oppure millenni, ma alla fine anche quegli oggetti risulteranno cambiati. Ciò vuol dire forse che finché il cambiamento non si avverte questi enti non mutano? Sono forse per un periodo di tempo, anche lungo, identici a stessi? L’intuito insiste nel suo sentire: “No, anch’essi cambiano sempre, senza sosta”. Di conseguenza la razionalità è spinta a investigare più a fondo. Studiando nel dettaglio questi enti che “sembrano” indifferenti al tempo (almeno per un po’) scopriamo che in realtà così stabili poi non sono. Le loro molecole sono un continuo fermento, all’esterno nulla traspare, ma all’interno è tutto un tremore, un movimento di particelle senza fine. Trascurando per il momento le particelle elementari ipotizzate, che saranno riprese nel prossimo capitolo, è manifesto come nessun ente rimanga identico a sé stesso nel tempo. Guardandoci attorno, tutto il mondo appare diveniente. Possiamo certo immaginarlo congelato in un dato istante, come in una fotografia, ma è solo una semplificazione della razionalità. La Terra gira attorno al Sole, il suo esistere consiste anche nel “girare”, non nell’essere in un certo istante in un certo punto della traiettoria. Perché la Terra in quel punto non è stata mai, vi è solo passata. Per esservi stata veramente, in quel punto e in un dato istante, avrebbe dovuto fermarvicisi. Quando dico: “quell’albero è”, sto facendo una semplificazione. Non tanto per quel “è” ma proprio per “quell’albero”. Perché con “quell’albero” intendo un ente determinato e distinto da tutto il resto e presuppongo pure che tale distinzione permanga durante tutto il periodo temporale nel quale quell’albero è quell’albero. Ovvero permane identico a sé stesso nel tempo della sua esistenza. Questo modo d’intendere è sbagliato. Non esiste affatto una “cosa”, l’albero, che permane distinta da tutte le altre. Ma vi è un divenire continuo che assume, tra gli altri, anche le vesti di un albero. Albero diveniente che esiste e appare a me proprio a causa del divenire che me lo mostra nella sua dimensione temporale. 8 Nell’ipotesi che tale componente elementare esista. Vedremo nel capitolo seguente come tale ipotesi non sia poi tanto realistica. 12 Il sentiero del giorno Il Divenire Mi sento perciò di affermare che dovunque si guardi, se si guarda con attenzione, si vede un continuo divenire. Nulla permane, ma tutto diviene. Certo, basterebbe riscontrare un solo ente fisico che esista senza bisogno di divenire per invalidare l’affermazione: Tutti gli enti sono divenienti. Quest’evenienza sembra in realtà molto remota, e non abbiamo motivo di considerarla possibile9. Pertanto, potremmo così formulare il nostro postulato: Il mondo fisico appare costituito solo da enti divenienti Ovvero ogni ente fisico può apparire a noi10 solo in quanto dipendente, oltre che dallo spazio, anche dal tempo. Il suo “essere” ente richiede di occupare anche la dimensione temporale. Ente è quindi “una vita”, un mostrarsi. Non esiste un qualcosa di per sé, un qualcosa cioè che vive una vita, ma esiste solo la vita. Vita che assume le vesti, per la razionalità, di un qualcosa che diviene. Guardando me stesso come ente, seguendo quanto sinora detto, devo perciò affermare che “Io”11 non sono un soggetto che sta vivendo ma, invero, sono la mia vita stessa. La freccia raggiunge il bersaglio perché la freccia in sé, a prescindere dal tempo, non esiste. Esiste invece, tra le tante storie di vita, anche “la vita di quella freccia”. Tutta la frase nel suo insieme indica un qualcosa che esiste, non soffermiamoci sulla singola parola “freccia”. Occorre prestare attenzione a non ricadere nell’usuale visione razionale e dare così erroneamente un significato oggettivo a prescindere dal tempo. Vita di quella freccia che include anche l’azione d’essere scagliata dall’arco, il suo muoversi nell’aria e il suo raggiungere il bersaglio. L’essere racchiude quindi in sé il tempo. Io sono perciò anche il mio tempo, quello passato ma anche quello futuro. Il soggetto, che pensavamo essere la goccia d’acqua che scorre nel fiume, è in realtà lo scorrere stesso. Il soggetto è anche, e soprattutto, il suo tempo. IL MONDO MENTALE Parallelamente al precedente, il problema che vogliamo ora affrontare può essere espresso nel modo seguente: il mondo mentale esiste solo in quanto diveniente oppure no? Visto che dell’intuito e della volontà non ne sappiamo poi molto, ci riferiremo qui solo alla razionalità (includendo anche gli istinti)12. Diremo che un ente mentale può esistere senza divenire se in due momenti di tempo differenti (t1 e t2), ma vicini a piacere, esso resta identico a sé stesso. Con identico intendendo che: • Il significato che esso trasmette è rimasto identico. • L’intensità con la quale l’ente viene percepito non risulta variata. • Pur manifestandosi a me nell’intervallo di tempo da t1 a t2, l’ente che continua a manifestarsi in t2 risulta essere già esistente e integro al tempo t1. 9 Anch’essa va comunque a far parte dei nostri dubbi E apparire significa per noi esistere 11 Quello che a me pare essere me stesso: il mio corpo, la mia mente, la mia vita. Vedremo in seguito come questo IO possa avere un significato ben più ampio. 12 Quest’esclusione va così ad aggiungersi ai motivi di dubbio che già abbiamo 10 13 Il sentiero del giorno Il Divenire Il soddisfacimento di questi requisiti dà molto l’idea di un encefalogramma piatto. Il pensiero razionale prende sempre le mosse o dalla considerazione di una relazione o perché stimolato dall’intuito. In entrambi i casi il procedere della razionalità è un lavorio continuo. Magari, invece di procedere speditamente essa fa spesso dei giri su sé stessa, perché incapace di prendere la retta via, ma di fermarsi non se ne parla. Anche se pare stia contemplando assorta un problema, la sua non è fissità, ma valutazione delle possibili alternative. Quando poi smette, o perché ha concluso oppure perché ha desistito, il suo risultato lo consegna all’intuito e la volontà deciderà il da farsi. L’istinto invece è un che d’immediato, ma come abbiamo visto non è che pensiero razionale sommerso e con scorciatoie. Dev’essere anch’esso quindi un’elaborazione temporale, anche se molto più rapida. D’altronde su cosa si basa la razionalità per lavorare? Sul cervello, che è un ente fisico, perciò diveniente. E il divenire del cervello è, anche, il comunicare tra i neuroni e, quindi, un flusso continuo di energia che genera il pensiero razionale. Potrebbe però esserci una sospensione nel pensiero razionale, la mente potrebbe fermarsi per riposare su un concetto, oppure star ferma così, senza pensare nulla. Ma in questo secondo caso è l’ente (pensiero, emozione) che non muta in quell’intervallo di tempo, oppure è la mente che non lo pensa? Se l’ente non è pensato dalla mente vuol dire allora che è scomparso, per poi magari riapparire. Se in un intervallo di tempo la mente lo dimentica, non si può certo dire che esso vi continui a esistere, per di più inalterato. Nel primo caso la questione appare invece intricata. Può la mente pensare l’identico, può concentrarsi su di un’idea e fissarla inalterata? Forse sì, in uno stato di profonda meditazione si potrebbe essere talmente concentrati su di un’idea, da cristallizzarla nella nostra mente. Ma in questo caso io sto veramente pensando quell’idea o ne sono in realtà oltre? L’ho usata come un trampolino per lanciarmi nel sovramentale, ho sospeso la mia attività cerebrale e sono come in uno stato di trance? La questione non è definita, proseguiamo quindi con i nostri dubbi, ben sapendo che anche in questo caso basterebbe un riscontro oggettivo per mandare all’aria il nostro convincimento. Possiamo così formulare il nostro postulato: Il mondo mentale appare costituito solo da enti divenienti Tutti gli enti mentali esistono quindi solo in quanto divengono, se non divenissero non sarebbero. Cosa si trasforma? Cosa evolve? Nel prossimo capitolo proveremo a dare una risposta a questi interrogativi. Per ora limitiamoci a evidenziare come ogni ente sia anche tempo. Ogni ente fisico oltre ad avere delle dimensioni spaziali possiede pure la dimensione temporale. 14 Il sentiero del giorno Il Divenire IL MONDO DIVENIENTE Due sono le possibili interpretazioni del mondo diveniente: Il Tempo: Mutamento del Mondo Una considerazione accettata da molti, è che il tempo altro non sia che il mutare del mondo circostante. Gli enti cambiano, sé stessi o la loro posizione reciproca, e così l’osservatore è cosciente del tempo che passa. Al punto che si potrebbe azzardare che se nulla mutasse non vi sarebbe affatto il tempo. Il tempo quindi esiste in quanto vi è del cambiamento. Il Tempo: Fonte del Mondo Il precedente è però solo uno dei punti di vista possibili. Ve n’è un altro, che ribalta l’assunto precedente, ed è il seguente: Il mondo esiste perché diviene, se non divenisse non sarebbe. In questo caso è il tempo che permette agli enti di esistere. Alla sola condizione che essi mutino, che divengano. Il mutamento fa parte della loro essenza. L’Essere si mostra a noi tramite il divenire, e in questo suo mostrarsi fa apparire, fa scorrere dinanzi a noi parte di sé. Quale delle due opinioni può essere ritenuta più corrispondente alla realtà? A mio avviso, affermando che tutti gli enti sono divenienti, si conferma la validità della seconda ipotesi. Il mondo è tempo. Non esiste una realtà che “diviene”, ma la realtà è il divenire stesso. ESISTERE = VITA = DIVENIRE La vita è quindi divenire, non nel senso di un qualcosa che scorre nel tempo, ma è lo scorrere stesso. Non un corpo che scivola nell’acqua del fiume della vita, né le sue gocce d’acqua, ma il fiume stesso è la nostra realtà, fiume che, è fiume, solo in quanto scorre, diviene. La volontà di potenza ci fa lottare contro la natura per dominarla. Ma è un’illusione creata dalla razionalità, che ci fa vedere il mondo composto da enti separati, distinti uno dall’altro, su cui è possibile agire per farne ciò che vogliamo. Noi interpretiamo il mondo come se si potesse fermarne il tempo e ridurlo a stato. In modo da poter girovagare in questo presente e curiosare indisturbati, in questa sorta di mondo paralizzato come da un maleficio, dove ogni cosa è ferma, i gesti sospesi, le azioni interrotte nel loro svolgimento. Ma non è questo pensiero assurdo? Non tanto perché praticamente irrealizzabile, ma proprio perché fermare il tempo, fonte dell’esistenza, equivarrebbe a cadere nel nulla. Niente può esistere senza divenire. L’esistenza è divenire. IL TEMPO ELASTICO Noi sappiamo che il tempo dipende dal soggetto che lo osserva, non solo come sensazione psicologica, ma proprio fisicamente: il tempo va più o meno in fretta a seconda che il soggetto si muova meno o più velocemente. Più aumentiamo la nostra velocità e più il tempo rallenta. Rallenta rispetto a cosa? Rispetto a un altro soggetto che si muove più lentamente. Il nostro tempo quindi non modifica mai la sua cadenza, ma può farlo rispetto a un altro osservatore (che può avere un tempo diverso dal nostro, più veloce o più lento). 15 Il sentiero del giorno Il Divenire Se aumentassimo sempre più la nostra velocità, arriveremmo al punto in cui il nostro tempo, rispetto a quello di un osservatore fermo, non scorre più. Un nostro secondo equivarrebbe all’eternità, per l’osservatore fermo. Se noi partissimo a tale velocità e subito ritornassimo, e tutto in una frazione infinitesima di tempo (del nostro tempo), al nostro ritorno troveremmo il mondo da cui partimmo invecchiato di anni. Allora questa parte di tempo donatoci, questa nostra vita, può essere sì vista come un nulla rispetto all’eternità, ma pure come il luogo di infinite possibilità. Da ogni istante di vita si può generare un infinito temporale. Tuffandoci nel nostro presente potremmo accedere a infiniti mondi e infinite vite e assaporane tutte le emozioni… e tutto questo in un istante della nostra vita attuale. Il tempo è elastico, la medesima durata può diventare sia un istante, un nulla, sia un’eternità. NIENTE PERMANE Noi vediamo nel nostro mondo molte cose che ci risultano particolarmente stabili, per nulla divenienti. Convincersi che anch’esse siano un continuo divenire, che siano in realtà eventi e non cose in sé, non è facile da accettare. Quella montagna, che da sempre vedo dalla finestra, non è mai mutata, è sempre esistita così com’é. E’ forse anch’essa un evento? Un’evoluzione? Non lasciamoci fuorviare dal nostro limitato punto di vista. Quello che ci appare come un veloce cambiamento può manifestarsi lentissimo se osservato da una diversa prospettiva. Così come ciò che ci sembra un che di permanente, può invece risultare ad altri un rapido avvicendarsi. Per la madre terra quella montagna, per me così durevole, non è che una lieve irritazione cutanea da poco apparsa è già in rapido riassorbimento. Tanto breve è il suo esserci rispetto all’intera vita del nostro pianeta. Anche tutti gli oggetti della nostra vita quotidiana sono in realtà eventi, evoluzioni. Molti di questi mutano così lentamente, alla nostra osservazione, d’apparire invariabili, e per la nostra vita pratica così, giustamente, li pensiamo. Se però quel che vogliamo non consiste nel ricercare l’utile fisico, ma i fondamenti del nostro esistere, allora occorre togliere il velo che la razionalità così sapientemente ha posto, e accettare l’evidenza estrema: tutto è divenire. 16 Il sentiero del giorno La Materia e il Nulla La Materia e il Nulla “L’essere è, il non essere non è” - Parmenide Dopo il nostro excursus sul divenire, affrontiamo ora l’altro aspetto fondamentale del nostro conoscere: la Materia. Abbiamo già visto come il divenire sia una caratteristica indispensabile perché la materia appaia e non una semplice condizione a cui essa deve sottostare. Ora vedremo l’altro aspetto, la spazialità della materia e il suo rapporto con il nulla. LA MATERIA La materia ci appare come un che di reale, di concreto. Direi anzi che la realtà, per noi, è la materia stessa. Emozioni, pensieri, azioni possono spesso sembrare un po’ inconsistenti (quel fatto forse l’ho sognato, quell’emozione sta ormai svanendo: era reale?), ma la materia no. Gli oggetti materiali sono lì davanti a me, inconfutabili, non mi possono tradire. La materia è la prova migliore che “l’Essere è”. Se chiudo gli occhi e poi li riapro, gli oggetti che erano nella stanza sono ancora lì, immutati, reali. La scrivania su cui poggio la mano, è concreta, sorregge ora la mano come ha sempre fatto e sempre, ne sono sicuro, farà. Nella nostra interpretazione del mondo, abbiamo definito leggi fisiche che descrivono il comportamento della materia. La nostra razionalità ha molto lavorato per stabilire le relazioni esistenti tra gli oggetti materiali13. E tramite i risultati di questi studi, la tecnica ha escogitato innumerevoli soluzioni utili al nostro benessere. Certo, cosa poi sia la materia in sé non è ancora molto chiaro, ma alla razionalità questo non interessa granché. Essa non brama sapere il cosa, ma solo il come: “Come funziona?”. L’obiettivo della razionalità è infatti sempre quello: il benessere dell’uomo. E per raggiungerlo le serve solo capire quali sono le relazioni tra gli oggetti fisici, le cause e gli effetti. Come il mondo funziona insomma, non cosa è. Pertanto, come il tempo viene interpretato come una sequenza di stati, anche la materia è concepita esclusivamente secondo le interazioni tra oggetti materiali distinti. Ma è proprio così? L’OVVIA MATERIA Vediamo i concetti “ovvi” su cui si basa il concetto di materia: • Gli oggetti materiali occupano una regione dello spazio. • Lo spazio non occupato da oggetti materiali è vuoto. • Ogni oggetto materiale è divisibile in quanto composto da parti separabili: separabili perché vi è del vuoto tra di esse. Dai punti precedenti due sono le deduzioni possibili: 1. La divisione è possibile all’infinito 13 Per sistemare il mondo ma non per spiegarlo. 17 Il sentiero del giorno La Materia e il Nulla 2. La divisione si deve a un certo punto arrestare perché raggiungeremmo un limite invalicabile: le particelle solide elementari indivisibili, l’essenza stessa della materia. Nel primo caso si avrebbe, potendo continuare la divisione indefinitamente, che ogni corpo è composto da punti senza dimensione, ovvero dal nulla. Poiché non composto da alcunché di concreto, il corpo stesso sarebbe anch’esso nulla. Quest’assurdità ci obbliga pertanto ad accettare la seconda ipotesi e postulare l’esistenza di tali particelle indivisibili (un tempo chiamate atomi). Un corpo è pertanto divisibile sino alle particelle elementari. A questo punto un’ulteriore suddivisione è impossibile. La divisibilità del corpo è determinata dal fatto che esso è costituito da un insieme di parti. Parti che sono tra loro separate dal vuoto. Se non vi fosse il vuoto non sarebbero parti ma un continuo solido. Il bisogno della razionalità di postulare delle particelle indivisibili è da ricercarsi proprio nel modo con cui interpreta il mondo fisico. Pur non sapendo cosa sia la materia, ma valutandone solo le relazioni tra gli oggetti fisici, la razionalità ha bisogno però di basare queste relazioni su qualcosa che risulti concreto, reale. Le relazioni, infatti, se non avessero qualcosa di concreto su cui applicarsi perderebbero ogni loro evidenza. Sembrerebbe un trucco. La forza gravitazionale tra la Terra e la Luna, per esempio, è da noi interpretata come una forza che agisce su due oggetti fisici concreti che si muovono nel vuoto. Solo così possiamo razionalmente concepire questa relazione, questa forza. Se però incominciamo a pensare che i due pianeti sono in realtà la composizione di parti anch’esse separate dal vuoto, e che queste a sua volta possono essere separate in parti più piccole e che la divisione può venire protratta all’infinito… la nostra interpretazione inizia a vacillare. La forza gravitazionale non possiamo più concepirla. Su cosa agisce, sul vuoto? Così come il divenire non può essere pensato dalla razionalità come un continuo, ma solo come una sequenza di stati, anche la materia può essere concepita solo come la composizione di parti indivisibili. E’ molto importante notare pure come per noi lo spazio vuoto coincida con il nulla. “E’ vuoto” = “Non vi è nulla”. Il nulla significa la mancanza nello spazio di un qualcosa di concreto che lo occupi. LA MATERIA È OPPURE NON È? Ma la materia esiste veramente oppure no? Chi ha mai visto "veramente" della materia, chi l' ha mai toccata "davvero"? Almeno per quello che s’intende vedere o toccare. Sembra di toccarla, di vederla, ma in realtà percepiamo solo dell' energia. Se volessi toccare con la mia mano un sasso, convinto di esserne in contatto qui, ora, lo starei veramente toccando? Materia contro materia? Le mie dita toccano il sasso oppure no? Se ingrandissi man mano con un microscopio un punto in cui appare che le dita toccano il sasso, vedrei la superficie continua di contatto diventare: grandi spazi vuoti e picchi frastagliati che, qua e là, si toccano. Se poi ingrandissi uno di questi punti, vedrei nuovamente grandi spazi vuoti e qualcosa che pare si tocchi. Ma il contatto c' è veramente? Parrebbe di no, la materia sembra proprio irraggiungibile. 18 Il sentiero del giorno La Materia e il Nulla Ma l' atomo, il nucleo dell' atomo, non è materia? Sì... ma... analizziamolo più da vicino. Non è intero, è formato da parti: grandi spazi vuoti e punti che sembrano materia... Siamo portati a pensare la materia come un qualcosa di concreto, vero, esistente. Ma più ci si avvicina più essa si dilegua. Anche le moderne teorie della fisica: la Meccanica Quantistica, le Stringhe, confermano l’indeterminatezza delle particelle elementari di materia, e come esse si confondano con lo spazio vuoto. La visione della realtà come composizione di sfere solide indistruttibili è naufragata, e con essa una netta distinzione tra ciò che è e ciò che non è. IL NULLA Vorrei a questo punto affrontare uno degli argomenti più ricorrenti, esorcizzati e temuti: il Nulla. Il Nulla ha, per la razionalità, due possibili tipologie di significati: • Spaziale • Temporale Così come spazio e tempo sono le dimensioni con cui il mondo fisico appare, da esse anche il nulla trae il suo significato. LO SPAZIO VUOTO I corpi esistono in quanto occupano una parte di spazio, così la razionalità ci dice. La parte di spazio che non è occupata da un corpo è vuota. Il vuoto indica la non presenza di alcun corpo. Il vuoto acquista significato solo per la possibilità di essere occupato da corpi. Proviamo a pensare a un vuoto che non sia occupabile, neppure idealmente, da corpi fisici. E’ un non senso. Lo spazio in quanto tale è e solo può essere, il luogo dove i corpi possono stare. Se in uno spazio non c’è alcun corpo, diciamo: non c’è nulla. Nulla quindi significa che non c’è. Non c’è che cosa? Nessuna cosa che esiste. Se non attribuissimo alcun significato spaziale ai corpi fisici, anche il vuoto cesserebbe di aver senso. Ma i corpi fisici hanno un significato spaziale? Occupano effettivamente dello spazio? E cosa significa poi corpo fisico? Una realtà che esiste di per sé stessa, oppure una manifestazione del continuo divenire? LO SPAZIO NON HA DIMENSIONI Anche questa paradossale affermazione vuole sfatare l’interpretazione razionale dello spazio, ovvero di un qualcosa esistente di per sé. Lo spazio ha significato solo in funzione degli oggetti materiali che lo possono riempire. E gli oggetti materiali così concreti poi non sono. Noi diciamo che tra un oggetto e l’altro vi è una distanza di cui possiamo calcolare, per esempio in metri. Questi metri non definiscono forse dello spazio? Sì, ma sono appunto metri, ovvero oggetti immaginari con una dimensione prefissata14 che danno significato alla distanza. Sono sempre gli oggetti materiali (idealmente presenti o meno) che definiscono lo spazio. 14 Che poi non è mai assoluta ma relativa 19 Il sentiero del giorno La Materia e il Nulla Sappiamo inoltre che le dimensioni degli oggetti materiali variano in funzione della velocità con cui essi si muovono rispetto a chi li osserva. Non esistono cioè dimensioni assolute, perché sono sempre vincolate dello stato di moto. Più si va veloci, più diminuiscono le dimensioni degli altri corpi più lenti. MATERIA <> NULLA Così come la materia dà significato al nulla, anche il nulla permette alla materia di esistere. Il nulla dello spazio, il vuoto, dà senso alla materia e ne permette la realizzazione. Se non vi fosse il vuoto, infatti, potrebbe esistere solo una materia compatta, indivisibile e indistruttibile. Questa materia sarebbe monolitica: un infinito e continuo solido. Inoltre il divenire sarebbe evidentemente impossibile: nessuna trasformazione potrebbe avvenire. È allora così insensato supporre che Materia e Nulla siano entrambi reali? Anche se la concretezza di entrambi è quanto mai inafferrabile? Obiezione: Ma cosa diavolo si sta dicendo? Il Nulla reale? Ma che assurdità è mai questa? Nulla significa: “Non è”! Come può esistere il Nulla se per definizione non esiste? Va bene, allora potrei fare l’affermazione opposta: “La Materia e il Nulla non sono reali”. Obiezione: Di male in peggio. Vediamo di chiarire quest’apparente assurdità. La Materia e il Nulla sono le due facce della stessa medaglia. Che forse una può “vivere” senza l’altra? Un’affermazione corretta potrebbe essere: “L’Essere è”. E basta! Senza aggiungere “Il Non Essere non è”, proprio perché nell’Essere è compreso tutto: sia quello che è che quello che manca È la materia e la sua mancanza che permettono al nostro mondo di esistere. Cos’è infatti la vita se non un continuo gioco, una transizione tra “ciò che è ora” e “ciò che non è ora, ma è stato o sarà”? Là c’è un oggetto fisico, attorno a esso vi è dello spazio vuoto (il nulla) dove potrebbe andare. Se non vi fosse spazio vuoto dove potrebbe andare? Se non vi fosse alcuno spazio vuoto nell’universo cosa potrebbe muoversi? Gli enti, come vedemmo, sono solo in quanto divengono. Ma per divenire il nulla ruba loro ciò che erano ed essi, a loro volta, dal nulla acquisiscono ciò che ora sono15. Così come le particelle subatomiche nascono dal campo (il vuoto, il nulla) e vi scompaiono nuovamente. La sfuggente tangibilità degli enti corporei conferma quanto poco definita sia la loro esistenza. Si ha indubbiamente la prova empirica di qualcosa che esiste, il mondo è qui davanti a noi, ma quello che si avverte è, in buona sostanza, l’evento dell’esistere, non la cosa in sé. Ciò di cui abbiamo evidenza è l’evento, con il suo sviluppo nel tempo (che può risultare anche come il permanere), più che le “cose” che di quest’evento sembrano le protagoniste. 15 Quello che un ente è, non è poi determinabile: diviene continuamente 20 Il sentiero del giorno La Materia e il Nulla Alla nostra razionalità pare che le cose “vivano” quest’evento, così come avrebbero potuto viverne un altro. Ma non è vero! E’ l’evento che avrebbe potuto essere un altro. IL NULLA È NUDO Il Nulla è solamente il frutto della nostra razionalità che, costretta a pensare in termine di vuoto e di pieno (nulla e materia) e di stati temporali che passano dall’esistenza alla non esistenza, ha attribuito a questo Nulla una sua valenza autonoma. Come se il Nulla potesse sussistere di per sé stesso… Non è così! Il Nulla indica solamente la mancanza di qualcosa che è. Siamo abituati a percepire il Nulla come il nemico dell’esistenza, ciò che ne minaccia continuamente la vita. In realtà l’esistenza è il continuo susseguirsi di esistere e non esistere: ma esclusivamente nel senso di apparire e scomparire. E cosa poi, in realtà, appare e scompare? Materia che sfuma nel nulla e viceversa. La mancanza, il vuoto, è soddisfatta da ciò che arriva. Quest’oggetto materiale che arrivò, poi dovrà andarsene, lascerà così posto al nuovo che verrà. Come il vuoto pulsa di vita possibile, anche il corpo più solido e reale sfuma nelle sue particelle che danzano con un piede nell’esistenza e l’altro nel vuoto, nel nulla. ANCHE LA MATERIA È NUDA Così come il Nulla è la possibilità dell’esistenza materiale, anche la Materia è l’esistenza che aspetta solo di scomparire per lasciar posto al Nulla. Il divenire continuo degli oggetti materiali, così come la loro evanescente solidità, dimostrano quanto la Materia sia non poi tanto concreta. La fisica quantistica ci offre un quadro nel quale la classica visione deterministica degli oggetti materiali (ogni oggetto è in una determinata posizione, in quel determinato istante, con quella determinata energia) è stata sostituita da un’interpretazione probabilistica della realtà (quell’elettrone può essere lì, là, oppure in un altro punto: Ad ogni possibile punto corrisponde una probabilità per l’elettrone di esservi presente). Il vuoto stesso, inesplicabile portatore di onde elettromagnetiche (ma come fa se è vuoto?) si è trasformato in “campo”. Ovvero in un luogo dove energia e materia possono apparire e scomparire come per magia. La razionalità ci ha portato lontano, il progresso tecnologico ne è una delle tante prove. Ora, però, occorre ridimensionarla. È necessaria per soddisfare i bisogni materiali del corpo, ma per la nostra realizzazione dobbiamo riconsiderarla per quello che veramente è: un mezzo, uno strumento da comandare e non di cui essere succubi. 21 Il sentiero del giorno Il Pensiero Il Pensiero “Se ci fosse una pietra e cadesse in un’acqua senza fondo, essa dovrebbe sempre cadere, perché non sarebbe arrestata dal fondo. Così l’uomo dovrebbe avere un affondamento e una caduta senza fondo nel Dio senza fondo, ed essere fondato in Lui…” - (Il libretto della verità) E. Suso In precedenza avevamo fatto una separazione tra ciò che può essere considerato espressione del fisico, del cervello, e quello che potrebbe esserne invece indipendente. LA RAZIONALITÀ È UN’EMANAZIONE DEL MONDO FISICO Come la razionalità possa scaturire dal mondo fisico è senz’altro un interrogativo stimolante. Noi abbiamo supposto una sua relazione con l’organizzazione del cervello, piuttosto che una semplice dipendenza dalla materia in quanto tale. Comunque sia, in mancanza del cervello la razionalità cessa anch’essa d’esistere. Così come le funzionalità di un qualsiasi organo possono risentire nel caso subisca danni fisici, anche la razionalità può venire compromessa se il cervello è danneggiato. La razionalità è uno strumento, molto utile, ma deteriorabile come tutti gli strumenti fisici. Io sto ora scrivendo utilizzando la razionalità. La mia azione dipende da questo strumento, più è potente e affidabile e più quanto scrivo sarà corretto. Se la mia razionalità cominciasse a vacillare, pure i miei pensieri diverrebbero confusi e contraddittori. Ciò a causa dell’inaffidabilità delle relazioni che avrei in mente. Il significato del mio scritto però, nella sua essenza, è anch’esso squisitamente razionale? Semplice frutto di relazioni? Che valore, che significato profondo potrei mai dare a delle relazioni? Questo significato profondo lo dà l’intuito. L’INTUITO: LA CONOSCENZA È “OLTRE” L’intuito penetra il significato delle cose. Ma quali cose? Il mondo materiale, come abbiamo visto, non è determinato, sembra più un fantasma che una cosa concreta. E l’intuito stesso poi, esiste davvero? Non è magari anch’esso un frutto della razionalità? I dubbi si accavallano. Dobbiamo, se non risolverli, almeno considerarli, metterli in luce per poi portarli con noi, scomodi compagni nel nostro viaggio verso la verità. Occorre deciderci. O tutto ciò che si “sa” è razionale, deve essere razionale, e perciò è dimostrato dall’esistenza di relazioni. Oppure esiste un’altra forma di sapere che prescinde dal razionale, dalle relazioni. Nel primo caso il sapere è solo ciò che può essere “dimostrato”, nel secondo le prove indiscutibili di questo “altro” sapere non si avranno probabilmente mai. E’ una questione di fede, di fede filosofica. Se optiamo per la prima ipotesi la nostra ricerca può considerarsi conclusa (abortita). Nel secondo caso facciamo atto di fede e andiamo avanti. Mi chiedo infatti… perché mai stiamo ora comunicando? Solo a causa di un meccanismo razionale, logico? O c’è dell’altro? 22 Il sentiero del giorno Il Pensiero LA VOLONTÀ: SPIRITO VITALE La volontà è la manifestazione, forse unica, dell’io. Da quello che posso intuire, io e la mia volontà siamo un tutt’uno. Potrei perdere tutto ciò che considero mio: il mio corpo, la mia mente razionale, probabilmente anche il mio intuito, ma la volontà no. Senza volontà non sarei. Se perdo un braccio forse che non sono più io? Il mio nome dovrebbe essere troncato così come lo è stato il mio corpo? Se invecchiando dimentico e la razionalità non è più di casa nel mio cervello, non sono più io? Sono un io diverso da prima od ho, invece, soltanto uno strumento un po’ logoro rispetto a quello che prima possedevo? Se certe intuizioni mi arrivano ormai a fatica, sono forse diventato un altro? Sono sempre io, questo è il mio convincimento Ma se non voglio, se non mi manifesto a me stesso con la volontà, allora sì che potrei non essere. Questa volontà (questo “io”) potrebbe però non essere limitata alla mia individualità. La volontà che percepisco “essere me stesso”, potrebbe essere solo una delle espressioni con cui una volontà più ampia, universale, si manifesta in tutto l’universo. Tramite la razionalità sono cosciente della mia volontà, ma non è forse questa la stessa volontà che fa battere il mio cuore, fa crescere gli alberi e muove la Terra attorno al Sole? LA RAZIONALITÀ ALIENANTE Riassumiamo le principali modalità con cui la razionalità, che interpreta il mondo semplificandolo, ci fornisce una conoscenza distorta e alienata della realtà: • La razionalità comprende solo le relazioni tra gli enti, cosa siano gli enti in sé gli è irraggiungibile. • Ogni evento, compreso l’esistere, ha significato solo perché relativo a uno o più enti. Tali enti sono esistenti di per sé (ogni ente esiste a prescindere dall’evento nel quale appare, anche senza di esso l’ente continuerebbe a esistere). In realtà sappiamo che è proprio il contrario, è infatti la constatazione di un evento che ci fa supporre, erroneamente, l’esistenza di un ente. Giacché è solo l’evento, nella sua interezza, che esiste. • Il divenire è inteso come una circostanza, sgradita o meno, a cui il mondo deve sottostare. Se il tempo non esistesse, per la razionalità il mondo non muterebbe, ma esisterebbe in ogni caso. In realtà non possono esistere enti che non divengono, il mondo è diveniente, se non divenisse non sarebbe. • I corpi fisici appaiono concreti. In realtà essi non si fondano su alcun componente concreto: le parti elementari e indivisibili, che ne dimostrerebbero l’esistenza tangibile, non esistono. • Il divenire viene interpretato come una sequenza di stati, stati dove la realtà è congelata. Ma questi stati sono impossibili: il divenire è continuo e non a scatti. • Noi siamo coscienti dei nostri pensieri tramite la nostra razionalità, ne siamo perciò fortemente condizionati, esistono però altre forme di conoscenza (intuito) che ci possono permettere di intravedere una verità “oltre” quanto è fornito dalla razionalità. LA REALTÀ DEL MONDO FISICO Da quanto abbiamo visto la nostra razionalità identifica come oggetto esistente un qualcosa che oggettivo non è proprio. Esso non ha mai infatti, né la caratteristica di poter essere davvero determinato né il suo stato è stabile nel tempo. 23 Il sentiero del giorno Il Pensiero Non è determinato perché è sempre divisibile, all’infinito, perché non ha mai confini definiti, perché è la composizione di particelle non determinabili. Non è stabile perché le particelle che lo compongono sono sempre in continua evoluzione, perché è soggetto a continui cambiamenti (anche se impercettibili) sia di forma sia di sostanza. Se analizzo un oggetto qualsiasi, un sasso per esempio, che appaia il più determinato e atemporale possibile, anche in questo caso mi troverò in realtà di fronte un fantasma: indeterminato e mai uguale a sé stesso. Un qualsiasi oggetto materiale si manifesta a me occupando dello spazio e del tempo. Oggetto spaziale Si è propensi a pensare che uno spazio non vuoto, perché occupato da un oggetto materiale, non possa essere nulla. A una prima osservazione questo spazio sembra consistere nelle stesse dimensioni dell’oggetto che lo occupa. Se approfondisco l’indagine riscontro però anche all’interno di queste dimensioni vi sono spazi vuoti, che non contengono alcun oggetto materiale. Se continuo con uno zoom progressivo, studiando ciò che prima d’ingrandirlo sembrava materia, mi ritrovo a scoprire altro vuoto, mentre la materia resta sfuggente. Tanto sfuggente che tende a confondersi con lo spazio stesso, con il nulla. Mi ritrovo pertanto perplesso davanti a uno spazio sempre più vuoto senza riuscire mai a determinare con sicurezza quale sia la parte di quello spazio che è effettivamente occupato dalla “vera” materia solida. Oggetto temporale Il tempo è occupato non da un oggetto stabile, identico a sé stesso in quell’intervallo temporale, ma da un qualcosa in continua evoluzione, sempre diverso da quello che era prima. L’oggetto non esiste quindi a prescindere dal tempo, ma la sua forma è in realtà costituita da quattro dimensioni, una delle quali è il tempo. Senza il tempo, così come senza l’asse x, l’oggetto non esisterebbe. Quello che chiamiamo “oggetto” è in realtà un’evoluzione continua della quale sfugge sempre “ciò” che evolve. Oggetti non oggettivi Non riesco pertanto a definire né i confini temporali né quelli spaziali di alcun oggetto materiale, proprio perché oggettivo (integro, solido, compatto) esso non è mai. Il mondo oggettivo, così evidente, reale e concreto agli occhi della razionalità, sembra invece un evanescente fantasma. Cosa significa allora essere, esistere? Questa mancanza di determinazione sia materiale sia temporale del mondo fisico distrugge ogni sua supposta concretezza, e me lo fa sembrare invece un flusso, un flusso dove le cose del mondo si manifestano come vortici. IL FLUSSO Più vado avanti e più mi convinco che gli enti non esistono così come siamo abituati a pensarli, non esistono le cose in sé. Quello che percepisco, anzi quello di cui ho dei ricordi (l’unica conoscenza che ho), è come un flusso. Un flusso di cui intravedo dei vortici, delle deformazioni. E questi vortici, che si allontanano da me, io li chiamo mondo. Vorrei continuare nel mio discorso, ma il linguaggio più non mi sorregge. Le parole che vorrei usare indicano sempre, per il nostro modo di vedere il mondo, un che di concreto, di esistente. Persino i termini che più vorremmo astratti e incorporei, come anima o spirito, sempre li 24 Il sentiero del giorno Il Pensiero concepiamo come cose concrete: possiamo assumerle immateriali qui, ma solo supponendole dotate di una qual materialità in un altro mondo, in una trascendenza. Io ho bisogno invece di termini, che indichino sia l' azione che viene svolta sia il soggetto che la compie o la subisce. Ho pensato così di usare i sostantivi a noi soliti, ma di farli precedere dal prefisso: "f_" per indicare non il loro significato usuale, ma i vortici del flusso che li fanno apparire. Se dico f_sasso, quindi, intendo non quella cosa che, come siamo abituati a pensare, esiste di per sé, si è formata per la rottura di una roccia, l' ho colpita con un piede, è andata lontano e magari, verrà in futuro distrutta perché trasformata in cemento. No, con f_sasso intendo invece uno dei vortici del flusso di cui ho ricordi. Vortice che non è altro che flusso, parte dell' intera sua storia. Vortice che non ha componenti ma è solo storia del flusso infinito. Vortice che si è incontrato con il mio f_piede e se n’è quindi allontanato. L’oggetto sasso, isolato e distinto dal resto del mondo, non esiste. Ciò che appare in realtà è f_sasso, una delle tante evoluzioni del flusso. I vortici non sono oggetti. Sono solo eventi, episodi che hanno significato in quanto tali, mentre gli attori, che immaginiamo veri, sono solo delle maschere. PERCHÉ QUESTI VORTICI? Se tutta la realtà (pensieri ed emozioni compresi) consiste solo di vortici e non vi è perciò nulla di "concreto", io sono sospeso nel vuoto assoluto? Sono in un' allucinazione? Riflettendoci… che differenza c' è? Preferirei forse continuare a pensarmi su un' isola provvisoria (il mondo) circondata dal Nulla, dal quale venni e dove alla fine tornerò? Non è questa un' allucinazione peggiore? Questi vortici sono il modo con cui l' Essere appare. E i vortici appaiono tramite il flusso, ovvero il divenire. Che è divenire in quanto flusso con vortici, perché in caso di flusso uniforme nulla apparirebbe, il divenire non sarebbe e il discorso sarebbe chiuso. Che poi se il flusso invece d’essere uniforme proprio non esistesse, non vi sarebbe differenza. Certo, l’evanescenza del mondo che quest’ipotesi trasmette mette a disagio. Perché questo disagio? Secondo me per la paura di essere soli, completamente. Questo è il vero terrore che suscita il “nulla”: l’esistere… ma soli. Se penso di continuare a vivere, ma solo, senza più nulla attorno a me, ecco che mi assale la paura. Quali allora i vantaggi di quest’ipotesi? Premesso che la verità, se è verità, è valore di per sé stessa, direi che accettando questo modo di vedere il mondo per l' uomo s’apre una nuova via. Non più "cose" da desiderare, da possedere e di cui poi aver rimpianto. Ma vortici, irraggiungibili, evanescenti, che posso, in definitiva, solo amare. Di un amore finalmente libero da ogni attaccamento, libero di fluire senza alcun ostacolo. 25 Il sentiero del giorno Il Pensiero L’AMORE È DARE Questa è forse la considerazione più esaltante. La felicità non è mai per l' amore ricevuto ma solo per quello dato. L' avere non dà che un benessere effimero. E ciò che si ha o si può avere, non è fatto forse di cose, di potere, d’intelligenza…? Tutto ciò che è esterno a noi stessi, può essere posseduto. Ma come abbiamo visto, quello che possediamo veramente non è che un pugno di mosche. LIBERTÀ E PRIGIONE Se nonostante tutte le perplessità si è continuato lungo questa possibile strada, l’esistenza dovrebbe apparire particolarmente inconsistente. Una leggerezza dell’essere questa, al cui confronto le nuvole che si dissolvono al sole in una calda giornata d’estate appaiono terribilmente più concrete. Leggerezza che la mente razionale difficilmente riesce ad accettare. Le obiezioni piovono come gocce in un temporale, vediamone alcune: • “Quanta immaginazione! Mettiamo un po’ i piedi per terra, se un sasso mi cade sulla testa io sento dolore, altro che materia irraggiungibile od oggetti composti dal vuoto!” • “Solo enti divenienti eh? Com’è che la sedia dove stai seduto ancora ti sorregge? Perché, divenendo, non se n’è invece andata via facendoti cadere per terra?” • “Io non sono il mio corpo? Ma quando il corpo muore non muoio forse anch’io?” Queste obiezioni sono motivate, come abbiamo visto, dal modo peculiare con cui la razionalità semplifica la visione del mondo dandone un’interpretazione ridotta. Ma c’è un altro motivo, non meno importante. LA MONDANITÀ Noi siamo mondani. Non solo tutto ciò che consideriamo essere noi stessi (corpo, pensieri) è parte del mondo, ma è una parte pure legata indissolubilmente con tutto il resto. Il ricambio è continuo, l’osmosi tra il nostro corpo e il resto del mondo è una delle caratteristiche fondamentali del nostro essere vivi. Giusto o sbagliato, pur definendo come “mio corpo” quello in cui sono incarnato, tendo però a sorvolare su questo “mio” e a far coincidere il corpo con me stesso. Io sono il mio corpo, così come io sono la mia mente. Se perciò m’identifico con ciò che m’appartiene, il mio corpo per esempio16, ogni evento che lo coinvolge è un evento che coinvolge me stesso. Questo identificarci è importantissimo perché ci stimola a perseguire il benessere e la sopravvivenza del corpo. Se non li sentissi “me stesso” non ne avrei la cura necessaria. Se una conclusione razionale non la sentissi come “mio” parto, proveniente cioè da me stesso, non mi ci affezionerei, la volontà non ci si applicherebbe con la dovuta intensità, e non se ne potrebbero pertanto trarre i benefici che il corpo si aspetta (è proprio per questo che mantiene il cervello). 16 E molto raramente riesco a non immedesimarmicisi 26 Il sentiero del giorno Il Pensiero IL VINCOLO DELLA MATERIA Vi è poi il vincolo, che pare insormontabile, della materia in quanto substrato indispensabile per la nostra vita. Non solo c’identifichiamo con il corpo e con la mente, ma essi esistono solo in quanto supportati dalla materia17 Senza materia non si avrebbe nessun corpo e nessuna razionalità. Cos’è infatti la morte se non la perdita della materia che formava il corpo e che permetteva, con il cervello, di avere una razionalità? La materia detta molti vincoli, che se non rispettati causano la morte del corpo o gran sofferenza. Dobbiamo mangiare, dobbiamo stare al caldo, dobbiamo fare ragionamenti razionali. Siamo imprigionati nel nostro corpo e dobbiamo rispettarne le esigenze. IL BISOGNO DI LIBERTÀ Il bisogno di libertà dell’uomo può assumere intensità inaudite. Questo bisogno può spesso soddisfarsi con la conquista di libertà politiche, di pensiero, di fede, ma può anche essere così radicale da desiderare addirittura un’altra vita. Un’altra vita che per essere conquistata richiede il prezzo di questa attuale, di suicidarsi insomma. Solo morendo, infatti, si può uscire da questa vita. Perché occorre morire? Perché siamo limitati, non abbiamo sufficientemente potere per cambiare le cose. Questi possono sembrare dei validi argomenti per cercare di spiegare una simile necessità. UN TUFFO NEL PRESENTE Ma non si potrebbe invece, magari tramite un grande sforzo di meditazione, abbandonare temporaneamente questo nostro mondo per assaporare una nuova dimensione? Non vi è alcuna prova razionale che questa possibilità esista davvero. Dalle esperienze da alcuni raccontate, pare che possa però accadere di abbandonare questa realtà per entrare in uno stato completamente diverso. Uno stato in cui non vi sono “cose” o “pensieri”, ma solo serenità e leggerezza. Tale esperienza è sovente chiamata Illuminazione. IL MONDO VOLUTO MILLE E UN MONDO Vivendo, volendo, la nostra vita continua. Ma cos’è questa vita se non una scelta ininterrotta, nostra e degli “altri”, che determina il mondo che compare. E una scelta piuttosto che un’altra non significa un mondo invece che un altro? A ogni istante, la volontà sceglie una tra le infinite possibilità che le si aprono dinanzi. Il mondo che appare è perciò solo uno di quelli possibili. Possibili nel senso di potenziali, di non reali? Quello che stiamo vivendo è l’unica realtà che si realizza a scapito di tutte le altre possibilità, che abortiscono sul nascere perché la realizzazione è stata un’altra, diversa? Come abbiamo visto gli enti non esistono come cose in sé. Non subiscono il tempo, ma sono parte del tempo stesso. E’ il divenire che esiste, e, esistendo, ci fa apparire il mondo. 17 Che pure vedemmo come essa stessa è aleatoria 27 Il sentiero del giorno Il Pensiero Un divenire poi, in cui a ogni suo attimo può spalancarsi un infinito temporale, in ogni istante si affaccia un’eternità. E noi potremmo tuffarci in quest’attimo e vivere un’altra vita intera, per poi qui ritornare a continuare questa, a cui arrivammo per la stessa via. Infiniti sono gli universi, infinite le realtà. Da sempre esistenti e salve con tutta la loro storia nell’Essere immutabile che le racchiude in Sé. Oltre il tempo, lo spazio, la materia, il pensiero, nell’Essere tutto deve ancora avvenire e tutto è già avvenuto. Ma se tutto è già scritto che ne è della libertà? Siamo dunque dei burattini che devono eseguire i comandi del burattinaio? Se il divenire è essere, noi in realtà non scegliamo mai nulla perché questa scelta è già stata prevista, decisa. No. La libertà è invece molto più grande di quanto potessimo immaginare. LIBERO ARBITRIO Il mondo che appare non è forse frutto anche delle nostre scelte? Vivendo ci muoviamo in mezzo a tutto ciò che ci circonda. Cose, persone, ma anche pensieri, emozioni si affollano attorno a noi. Volendo, scegliendo, ad alcuni ci avviciniamo mentre da altri ci allontaniamo. Seguiamo un pensiero e ne trascuriamo un altro, e in questo nostro scegliere abbiamo coscienza di noi stessi. Ma cosa significa scegliere se non favorire un evento invece di un altro, e così influenzare il flusso della vita? Volendo ci manifestiamo a noi stessi. Sì, non abbiamo un potere assoluto, ma anche quando ci sentiamo ridotti a uno straccio, che il destino può trattare come vuole, anche allora possiamo scegliere, magari solo un pensiero, un sentimento. Pur in tutte le difficoltà sempre ci resta il libero arbitrio, che in caso contrario saremmo solo dei burattini che ripetono le azioni decise da altri. Ma se il divenire è l’essere, se tutto appare già scritto, dov’è la nostra libertà? Il tempo è birichino. Vorremmo costringerlo in un flusso uniforme, come se la vita fosse una sequenza di immagini di una pellicola fatta girare a velocità costante. Ma non è così. Può sembrare, ma non lo è. Come una pellicola noi vorremmo tagliare il tempo per stabilire un prima e un dopo. Ma lì, dove le forbici vorrebbero agire, le lame non s’incontrano, quel punto si spalanca sino a diventare un’eternità. Se la libertà è salva, così come l’esistenza, allora vuol dire che, a ogni possibile scelta, a ogni evento, si dipartono vite diverse. Un’infinità di vite reali si diramano ad ogni istante. Noi abbiamo i ricordi di una sola di queste, quella che, con la nostra volontà, abbiamo contribuito a seguire. Come un treno prende la sua direzione tra gli scambi di un immenso incrocio ferroviario, così noi partecipiamo a scegliere la nostra vita tra tutte le possibili. Ma così come questa è già lì tutta intera, dalla nascita alla morte, anche le altre sono parimenti reali, pronte per essere vissute. 28 Il sentiero del giorno Sono Sono “Quando ricollochiamo il nostro essere nel volere, e il nostro volere, a sua volta, nell’impulso di cui è prolungamento, comprendiamo, sentiamo che la realtà è perpetua crescita, creazione progredente all’infinito“ - (L’evoluzione creatrice) H. Bergson L’idea che la nostra volontà individuale sia solo un’espressione particolare di una volontà universale che permea tutto il mondo, ci conduce a una mistica visione dell’essere. Se accettiamo che esista una tale volontà, allora essa sola può essere la causa del divenire. Questa volontà universale vuole l’essere, e l’essere allora appare, divenendo. Così come il mio cuore vuol battere, il mio cervello pensare, il mio intuito comprendere, pure la volontà universale vuole che il mondo divenga. La Volontà vuole l’apparire dell’Essere, ovvero vuole il divenire. Ed ecco gli enti divenienti, ecco il mondo, ecco la vita, ecco l’uomo. Il mondo è il frutto della volontà. Ma cosa ci faccio allora io qui, piccolo uomo dedito all’errare, se sono la volontà universale? Che tutto ciò che appare si manifesta per causa sua? Vediamo un po’ questa legittima, ma non molto riflessiva esclamazione. Cosa significa essere qui? Cosa significa essere un piccolo uomo che sbaglia? Come abbiamo visto, materia, spazio e tempo sono dei paradossi, reali solo per la nostra razionalità, ma non reggono all’incalzare dell’intuito. Siamo abituati a pensare il mondo come determinato: in questo preciso momento io sono qui seduto, davanti a me, a 45 centimetri di distanza, c’è il computer acceso; la mia stanza è situata in un punto ben definito dello spazio, ecc. Ma non è vero! Nulla è determinato come la nostra razionalità s’immagina. Tutto è relativo, non c’è alcun punto di riferimento assoluto attorno a cui far ruotare l’universo, determinarne ogni suo aspetto. Esiste però una cosa ben più importante, che sempre ci sfugge perché troppo assorbiti siamo dallo spettacolo che vive dinanzi a noi. Dobbiamo smetterla di ricercare nel mondo, nell’altro, la nostra consolazione, di sforzarci di dare parvenze di realtà a quanto ci circonda. Così facendo cerchiamo di rassicurarci, ma finiamo per confonderci soli. Come quando immersi in un sogno piacevole, incominciamo ad accorgerci che concreto non è, e allora, pur di non svegliarci, facciamo ogni sforzo per continuare a crederlo reale… Guardiamola in faccia questa supposta “realtà” del mondo, affrontiamola con coraggio. Sì, il rischio è altissimo, “tutto” viene messo in gioco, la vita stessa. Ma una vita dev’essere giocata per guadagnarne un’altra. L'ETERNO SOGGETTO Nulla di nuovo viene mai scoperto, ma solo riscoperto. La ricerca della verità è una continua riscoperta. Ascoltiamo ancora l’antica affermazione: "L’essere è, il non-essere non è". Spingiamola sino alle sue estreme conseguenze. Confortati anche dall’irraggiungibilità sia del mondo esteriore sia di quello interiore. Non resta forse una sola possibile conclusione? 29 Il sentiero del giorno Sono E'mai possibile che l' Essere possa essere distinto da me? Se l' Essere è, chi sono io se non l' Essere stesso? Che dovunque vado non trovo, perché là dove guardo, cercando altro da me, vi sono ancora e soltanto io… Ma il divenire non crea e distrugge continuamente l’esistente? Questo dubbio è ben difficile da placare, proviamoci ancora: IL DIVENIRE CREA E DISTRUGGE? Divenendo, i corpi, gli oggetti materiali, non sono mai quelli che erano. Appaiono, si trasformano, infine scompaiono. Nel nostro desiderio di comprendere gli enti in sé, ovvero congelati nell’istante in cui li osserviamo, ci accorgiamo, amaramente, che quello che avevamo osservato un istante prima ora non è più, è già diventato altro. Se poi una lenta trasformazione può essere sopportata (un amico caro che invecchia), quando questa diventa però annichilimento (l’amico che muore) il nostro cuore si ribella. Ma come! Era lì ieri, e ora non è più! Il nulla lo ha divorato! Il nulla quindi è il coerente risultato di ciò che era e ora non è più (l’amico non esiste più: è nulla). Ed è sempre il nulla, per la stessa ragione, anche l’origine del nuovo nasce. Prima non era, era nulla, ora è, esiste (mio figlio non era, era nulla, ora è). L’ESSERE IMMUTABILE Questo è il modo ovvio di pensare il divenire. Abbiamo visto però come gli oggetti materiali non esistano in quanto tali, ma dipendano invece, per la loro stessa esistenza, dal divenire. Ciò che esiste, l’Essere, abbraccia il divenire che è la sua espressione. Non quindi un divenire che crea e distrugge ma bensì un divenire che mostra l’Essere. Essere quindi immutabile proprio perché abbraccia tutto il possibile divenire, sia passato sia futuro. 30 Il sentiero del giorno Una Nuova Vita Una Nuova Vita “L’essere che viene così alla luce (nel sentiero del Giorno) è diverso dall’essere che viene alla luce lungo il sentiero della Notte: ciò che appare quando ci si propone di far uscire l’essere dal niente e di farlo ritornare nel niente è diverso da ciò che appare quando l’agire sa di essere un disvelamento dell’eterno” (Essenza del Nichilismo – Il Sentiero del Giorno) - E. Severino Abbiamo visto come la realtà può essere molto diversa da come la razionalità ce la fa intendere. Quando si mettono in discussione le “verità ovvie”, il mondo diventa misterioso ed evanescente. Nello stesso tempo, però, anche il nostro ruolo cambia e si fa più “importante”. Da spettatori diventiamo protagonisti. Con la nostra volontà partecipiamo al disvelarsi dell’eterno. Non più costruttori, bensì uomini che invocano l’apparire del mondo. Questa è la nostra vita, questo il nostro destino. Qual è la differenza tra costruire e invocare? COSTRUIRE O INVOCARE Costruire Con “costruire” s’intende la realizzazione di un nuovo oggetto tramite l’uso e la trasformazione di oggetti preesistenti. Per soddisfare un bisogno, l’uomo costruttore progetta un nuovo bene e per la sua realizzazione sceglie ciò che del mondo può essere utilizzato. Il prodotto costruito prima non esisteva, era nulla. Dopo la sua fabbricazione esiste, non è più nulla. Quando poi verrà distrutto, non esisterà più, sarà nuovamente nulla. La costruzione è una delle più eloquenti manifestazioni dell’uscita dell’essere dal nulla. Mentre per Platone vi era il mondo delle Idee, immutabili e incorruttibili, da cui venivano generate a loro immagine le cose terrene non durature, per l’uomo moderno l’immutabile, anche se ideale, va ormai stretto. Egli è convinto ideare dal nulla ogni nuovo oggetto e poi si produrlo, creandolo dal nulla (prima non esisteva). In futuro sarà anch’esso soggetto al proprio dissolvimento. Invocare Con “invocare” s’intende invece il desiderio di una nuova manifestazione. È un atto visionario con cui ci s’immagina come l’oggetto desiderato dovrebbe essere. Occorre però non confondere questo desiderio con una qual attività esoterica. Con l’invocazione l’uomo “sente”, percepisce quello che desidera veder apparire. Già se lo vede dinanzi nell’immaginazione e lo brama nella sua concretezza. La realizzazione pratica non è nient’altro che l’esito dell’invocazione. Invocazione affinché il divenire porti alla luce una nuova cosa (nuova nell’orizzonte attuale, ma già da sempre esistente). Ben diversa perciò dalla cruda costruzione che, dimentica dell’invocazione (in ogni caso presente, seppur non avvertita), procede considerando sé stessa come un’azione autonoma, la manifestazione della potenza creatrice. Se abbiamo fatto nostro sia in cosa consista il divenire: enti divenienti che esistono solo in quanto divengono, sia come la materia e il nulla tendano a confondersi, allora sarà più facile “vedere” come l’invocazione agisce sul divenire per farne cambiare il flusso, facendo in modo d’esplorare una parte dell’Essere ancora non in mostra. L’agire dell’uomo è quindi un chiedere che appaia una parte dell’Essere piuttosto che un’altra. Tutto è già, l’Essere è immutabile. Invocando, facciamo in modo che l’orizzonte dell’Essere si muova in una direzione piuttosto che un’altra scoprendo ciò che desideriamo. Nell’uomo assorbito dal mondo della tecnica, dove tutto nasce dal nulla e poi vi ritorna, l’invocazione non è avvertita. Egli soffre di un delirio d’onnipotenza, convinto com’è di creare dal nulla cose nuove. Ma lui non sta creando. Bensì sta solo invocando il divenire a mostrarci una nuova parte dell’Essere, nuova solo perché a noi ancora sconosciuta. 31 Il sentiero del giorno Una Nuova Vita COME INVOCARE? Invocare significa quindi chiedere che una parte dell’Essere appaia. Ne consegue che qualunque vita, sia essa bella o terribile, per il semplice motivo che esiste è stata invocata. L’Essere possiede in sé ogni cosa, il bene e il male, il bello e il brutto, la felicità e la mestizia (tutto è in Lui). Invocando il divenire, noi facciamo in modo che ne appaia una parte invece che un’altra. La nostra vita è un mostrarsi dell’Essere che è stato invocato. Certo, non è chiaro quanto sia determinante la nostra volontà rispetto a quella di “altri”. Cioè quanto la nostra invocazione determini gli eventi che poi viviamo. Comunque sia, l’apparire è la risposta a una chiamata, a un’invocazione, e anche noi, in questo invocare, abbiamo la nostra responsabilità. Che fare allora? Occorre imparare a invocare. Questo non vuol dire mutare radicalmente il nostro modo di vivere. Solamente, ma non è poco, cambiare le aspettative con le quali viviamo. Il nostro operare resta lo stesso, come potrebbe cambiare? La razionalità mantiene tutta la sua importanza. Non è l’operare che cambia, ma il modo con cui noi “viviamo” questo nostro agire. Non più “creatori”, “costruttori” dell’Essere, ma suoi figli noi siamo. Figli che chiedono al proprio padre, l’Essere, che generosamente dà. Questo invocare non è cosa semplice, e non è semplice proprio perché noi sempre invochiamo, ma senza quasi mai accorgercene. Tutta la nostra vita è fatta d’invocazioni con cui chiamiamo il divenire. Ma le nostre invocazioni sono quasi sempre dei desideri confusi, degli egoismi del momento, un susseguirsi di bene e di male che difficilmente ci portano lontano. Occorre pertanto imparare a invocare con la fede nel cuore. COM’È DIFFICILE MUOVERE UN DITO! Forse non ce ne siamo mai accorti, ma anche per compiere le azioni più banali, come muove un dito, è necessario invocare. Se dovessimo provarci agendo solo attraverso la razionalità, anche la più semplice azione fisica ci sarebbe impossibile. Se mi concentro tramite la mia razionalità su un mio dito e gli comando di muoversi, ben difficilmente si muoverà. Potrò insistere fino allo spasimo, ma il dito non si muoverà. Se invece semplicemente lo “desidero”, senza alcuna specifica riflessione razionale… ecco che avviene. Come mai? Ritengo che nel primo caso io prescindo dall’invocazione, perché voglio ottenere questo risultato direttamente con la razionalità. Ma essa non può nulla sul divenire, nemmeno spostare un dito. Nel secondo caso invece la razionalità viene coinvolta solo in seconda battuta, come osservatrice. COSA INVOCARE? Per invocare che una parte dell’Essere appaia, occorre averne un’intuizione, una seppur minima comprensione di ciò che si vuole. Inoltre, l’apparire di ciò che è invocato è tanto più probabile, più esso è situato in prossimità del nostro orizzonte attuale. Questa “prossimità“ indica la facilità con la quale il divenire può, modificando l’orizzonte, scoprire questa nuova18 parte dell’Essere. Ovvero la congruenza di ciò che desideriamo con il nostro stato attuale. 18 Per noi, in quanto l’Essere è eterno. 32 Il sentiero del giorno Una Nuova Vita A esempio, anche secoli fa si è desiderato passeggiare sulla Luna, ma tale desiderio reclamava una parte dell’Essere che era ancora lontana. L’orizzonte di allora ben difficilmente poteva essere modificato per abbracciare un evento di tal fatta. Ora, invece, il continuo modificarsi del mondo, ovvero dell’orizzonte dell’apparire, ci ha portato vicino al punto che un tal desiderio è diventato realtà19. Ciò vuol forse dire che invocare debba coincidere con il fare, e con il poter “effettivamente” fare? Affatto! Non sappiamo quali siano le possibili, molteplici, influenze sul divenire che possono scaturire dall’invocazione. Siamo così abituati a vedere il mondo come un’esclusiva serie di cause e di effetti, di costruzione e di distruzione, che difficilmente riusciamo a percepire qualcosa che non vi corrisponda. Cosa significa, se significato ha, desiderare il bene? Oppure, al contrario, desiderare il male? Senza accorgercene, ciò che pensiamo è direttamente influenzato da ciò che desideriamo, dal mondo che invochiamo. Se desideriamo violenza, ecco che pensieri più aggressivi fanno a gara per impadronirsi della nostra mente. Al punto che diventa sempre più difficile non diventarne succubi. Se invece invochiamo la pace, allora pensieri sereni iniziano a solcare la nostra ragione, proponendo nuove e ancor più luminose idee. E se il nostro desiderio potesse agire anche sui destini del mondo? Che invocando la pace, per questo solo motivo l’apparire dell’Essere venisse spinto lungo il sentiero del giorno? 19 Nel senso che un viaggio sulla Luna è entrato nel nostro apparire 33 Il sentiero del giorno Le Cifre Le Cifre “Con animo sereno deve uscire dalla vita chi è destinato a ritornare“ - (Lettere) Seneca Vediamo ora alcuni esempi di come meravigliosamente ricco di segni può apparire il mondo, se iniziamo a guardarlo con occhi diversi. LA RELIGIONE La religione, limitandoci per brevità al cristianesimo, è una custode ricchissima di cifre straordinarie. La religione è stata spesso osannata e difesa a spada tratta, oppure criticata aspramente. Dal nostro punto di vista però, sia una sua accettazione supina sia un rigetto totale non sono le scelte migliori nella ricerca della verità. Certo, nella nostra ricerca “filosofica” non possiamo accettare della religione la sua pretesa di conoscere la verità assoluta, ricevuta una volta per tutte tramite una rivelazione divina. L’uomo filosofo non può accettare una verità rivelata. Vorrebbe dire rifiutare quel dubbio che è lo stimolo indispensabile per proseguire. Se della religione vogliamo invece indagarne le cifre, i segni che essa ci tramanda come eredità degli antichi saggi (poco importa se chiamarli profeti, santi o dei), allora possiamo trovare in essa un immenso tesoro di conoscenza. Vediamo alcune di queste perle di saggezza. ADAMO E CAINO La cacciata di Adamo dal paradiso terrestre e la voce di Dio che chiede conto a Caino del male fatto, sono, a mio avviso, un mito grandioso con cui gli antichi hanno descritto la “nascita” dell’uomo. L’uomo nasce, quando l’animale raggiunge un livello di razionalità tale da essere costretto a prendere coscienza di sé. Questa presa di coscienza non è indolore. Il mondo non appare più quello di prima, non è più il paradiso terrestre di quando non si era razionali. Questa presa di coscienza si estrinseca, infatti, con il pentimento di Caino per il male fatto. Chissà quante volte l’uomo aveva ucciso e non si era mai pentito. Ma adesso l’evoluzione lo ha portato a rendersi conto del bene e del male. Con quest’ennesimo omicidio il male commesso non può più essere ignorato. Non quindi un peccato originale, una sfida a Dio di cui pentirci. Ma un mito grandioso che testimonia il passaggio epocale dall’animale all’uomo. Passaggio meraviglioso e terribile, che ci ha permesso di essere qui ora a ragionare, ma che ci ha pure caricato delle enormi responsabilità del vivere e dell’errare. IO SONO COLUI CHE SONO! Nell’Esodo (3), quando Mosè chiede a Dio come nominarlo di fronte agli Israeliti, Dio risponde: “Io sono colui che sono!”. E aggiunge: “Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi”. In questo, che forse è uno dei punti più profondi della Bibbia, viene espressa chiaramente la coincidenza di Dio con la totalità dell’Essere. Dio: non “colui che è”, ma “colui che sono”. Non terza ma sempre prima persona, unico soggetto esistente. Tutto ciò che esiste è Dio. Il mondo, l’uomo, me stesso, non siamo “causa sui”, ma Lui stesso, l’Uno. AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO Perché amare il mio prossimo? Per quale motivo? 34 Il sentiero del giorno Le Cifre Interpretazione Razionale L’interpretazione razionale, che spesso se ne dà, fa riferimento alla convenienza: “Se io non faccio del male agli altri, gli altri non ne faranno a me…”. La società cerca d' instaurare i rapporti più convenienti per la sua sopravvivenza. Evitare quindi le lotte intestine è uno dei principali obiettivi che una società cerca di perseguire. Ben diverso, infatti, è il comportamento suggerito da tenere verso gli altri popoli. L’invito di Gesù è in realtà di amare e non solo di non fare del male, inoltre il prossimo non è assolutamente limitato a una determinata etnia o comunanza, ma è esteso a chiunque sia “altro” da te. Quale può essere perciò un’interpretazione che non si basi sulla semplice utilità? Interpretazione del Cuore L’intuito ci suggerisce infatti ben altro. E lo percepiamo se ci lasciamo andare, confidenti che il mondo sia l’espressione di un’universale volontà. Convinti che le differenze tra gli enti siano apparenti e provvisorie. Con sguardo equanime, allora sentiamo che il nostro essere è il medesimo essere che appare in tutto ciò che ci circonda. Amare me stesso, perciò, coincide con l’amare ogni mio prossimo. E’ proprio la stessa cosa. Il prossimo è indistinguibile da me, anche se assume le vesti di un altro essere umano. Ma prossimo è pure ogni animale, albero, pietra o qualsiasi altra espressione dell’essere. Se amo me stesso, amo l’universo, per il semplice motivo che io e l’universo siamo la stessa cosa. Non Amare Il vero problema potrebbe invece essere un altro. Se infatti io non mi amassi, allora, non potrei amare nulla. Solo tramite l’amore per me stesso sono in grado dare amore a qualsiasi altro. Se non avessi amore per me sarei il più povero degli uomini, proprio per aver rigettato l’essere per starmene chiuso nel nulla della mia anima vuota. IL REGNO DEI CIELI NELLE PARABOLE Anche nelle parabole del nuovo testamento, dove viene descritto il regno dei cieli, vi sono molti spunti interessanti. Il regno dei cieli è infatti spesso paragonato al realizzarsi delle potenzialità di un oggetto. Questa realizzazione del suo vero valore, esprime la caratteristica fondamentale del regno dei cieli: il manifestarsi di ciò che in potenza è già. Il regno dei cieli è già in mezzo a noi, ma si manifesta solo se lo si “vuole” vedere. Il regno dei cieli viene paragonato, tra l’altro, a ognuna di queste cose: Il granello di senapa che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è il più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli dal cielo e si annidano tra i suoi rami. Il lievito che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti. Un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Anche la venuta del regno di Dio (Luca 17) viene descritta nello stesso modo: “Il regno di Dio non viene in modo di attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!”. 35 Il sentiero del giorno Le Cifre LA FILOSOFIA OCCIDENTALE LA MATERIA PER PLOTINO La materia per Plotino è una simulazione dell’essere, mera parvenza ingannatrice: “Essa sfugge a chi vuol vederla, e c’è quando non si guarda a essa. E ha sempre in sé l’immagine dei contrari: mente in tutto ciò che promette. Se la si immagina grande, eccola piccola; quando sembra che aumenti, diminuisce; l’essere che s’immagina in essa, è un non-essere, è come un gioco fuggitivo; tutto ciò che crediamo di vedere in essa, si fa beffa di noi, e non è che un fantasma di un altro fantasma, esattamente come in uno specchio, in cui l’oggetto appare altrove da dove è effettivamente. In apparenza lo specchio è pieno d’oggetti: non contiene nulla e sembra contenere tutto” (Enneadi, III, 6, 7). L’ESISTENZA DELLA VERITÀ PER SANT’AGOSTINO Anche chi dubita, ammette l’esistenza della verità: “O se non vedi ciò che dico, se dubiti che quello che dico sia vero, guarda almeno se sei sicuro del tuo dubbio: se ne sei sicuro, guarda come tu abbia questa sicurezza … Chi capisce d’essere in dubbio, vede una cosa sicura; quindi è certo del vero. Chiunque perciò dubita se ci sia la verità, ha in sé il vero per cui non dubita; e non v’è vero, che sia vero, senza la verità. (De Vera Religione cap.39)” DELLA VISIONE E DELL'ENIGMA (IN COSÌ PARLÒ ZARATHUSTRA DI NIETZSCHE) Da questo brano, con particolare riguardo al pastore con il serpente nero in bocca, il cui riso diviene poi una nostalgia mai placata in Zarathustra, si possono trarre interessanti congetture. La mia impressione è che vi sia descritta una qual sorta di "illuminazione". Il riso del pastore aveva liberato l' amore chiuso nel cuore tormentato di Zarathustra, permettendogli di fluire liberamente. Da ciò la grande nostalgia. LA SCIENZA RELATIVITÀ Con la relatività, il tempo e lo spazio non sono più assoluti, ma sono fluidi ed elastici variando in funzione dello stato di moto dell’osservatore. Inoltre, il tempo non è più distinto dallo spazio, ma è a esso connesso formando un’unica entità: il cronotopo. Spazio e tempo non sono più separati e indipendenti come li considerava la meccanica classica (e come tuttora li considera il buon senso comune). Se aumentassi sempre più la mia velocità, arriverei al punto in cui il mio tempo, rispetto a quello di un osservatore fermo, non scorre più. Un mio secondo equivarrebbe all’eternità, per l’osservatore fermo. Se io partissi a tale velocità e subito ritornassi, e tutto in una frazione infinitesima di tempo (del mio tempo), al mio ritorno troverei che nel mondo da cui partii sono passati anni, mentre per me è stato solo il chiudere e subito riaprire di una porta. MECCANICA QUANTISTICA I due principi fondamentali della Meccanica Quantistica: L’equazione di Schroedinger e il postulato della misurazione, determinano nel loro insieme l’evoluzione nel tempo della funzione d’onda di un sistema. La prima è un’equazione differenziale lineare che determina come uno stato fisico evolve in una sovrapposizione di stati. Il secondo afferma che, quando viene effettuata una misurazione, la sovrapposizione di stati collassa in un solo stato. 36 Il sentiero del giorno Le Cifre Effettuando più misurazioni si riscontra che lo stato misurato compare con probabilità analoga al peso (quadrato dell’ampiezza) che questo stato ha nella funzione d’onda della equazione di Schroedinger. In pratica la Meccanica Quantistica da una parte (equazione) stabilisce che gli stati possibili dell' evoluzione di una caratteristica di un particella (es.: lo spin un elettrone può avere due stati: su e giù) sono contemporanei e si evolvono contemporaneamente nel tempo. Dall' altra afferma che effettuando una misurazione, in un certo istante, solo uno stato verrà misurato (es.: su) Il valore misurato sarà uno degli stati previsti dall' equazione e la probabilità con la quale quel valore sarà riscontrato è proporzionale al "peso" di quello stato rispetto agli altri nell' equazione. È come dire che esistono più realtà contemporanee (due elettroni si evolvono nel tempo e, in un certo istante, uno avrà, per l' equazione, per es.: lo spin su con valore 3/4 mentre l' altro avrà, nello stesso istante, lo spin giù con valore 1/4). Quando però guardiamo si vede un solo elettrone con un determinato spin: solo una realtà ci si presenta (così come vediamo solo un tavolo in cucina e non molti). Il fatto di "guardare" fa collassare tutti gli stati tranne uno che diventa così per noi la realtà. Il paradosso consiste nel fatto che l' equazione descrive l' evolversi effettivo di più stati contemporanei e che questo evolversi sia "sempre" confermato dalla misura, che in un certo momento si fa: Il risultato non solo assume uno dei valori corrispondenti a uno degli stati previsti dall' equazione ma, effettuando più misure, la distribuzione dei risultati, nel momento della misurazione, rispecchia fedelmente il peso (al quadrato) di ogni stato nell' equazione. Questa teoria può sembrare assurda, ma è stata sempre confermata dai risultati sperimentali. Una delle interpretazioni più interessanti di questa teoria è quella di Everett. Il quale in sostanza dice: Vale solo l’equazione di Schroedinger (il postulato della misurazione è un’illusione). Questa posizione porta a considerare il mondo come la sovrapposizione di una miriade mondi, dei quali però la nostra coscienza ne sta seguendo uno solo. E'come se la coscienza facesse collassare tutte le altre realtà e mostrandone una sola (il nostro mondo attuale). Espandendo questo concetto all’intero cosmo otteniamo la presenza d’innumerevoli mondi paralleli, di cui noi ne stiamo vivendo uno solo. Che poi concorda con il modo proposto di intendere il divenire, io sto percorrendo uno dei mondi esistenti, sto vivendo una delle vite realmente esistenti. TEORIA DELLE STRINGHE Con questa recente teoria si cerca di unificare Relatività e Meccanica Quantistica tramite l’identificazione degli elementi elementari della materia in stringhe microscopiche monodimensionali (!) vibranti ad altissima frequenza. Tale vibrazione genererebbe ciò che a noi appare come materia solida… 37