DIARIO GIOVEDÌ 30 SETTEMBRE 2010 DI REPUBBLICA ■ 48 È un’abitudine antica della politica che continua ancora nel terzo millennio: schierarsi a seconda delle situazioni con chi promette di più TRASFORMISMO L’arte di cambiare casacca quando gira il vento NELLO AJELLO LIBRI VITTORIO FOA Questo Novecento Einaudi 2009 NICO PERRONE L’inventore del trasformismo Rubbettino 2009 INDRO MONTANELLI L’Italia di Giolitti Bur 2004 PIALUISA BIANCO Elogio del voltagabbana Marsilio 2001 GAETANO SALVEMINI Il ministro della mala vita Bollati Boringhieri 2000 CARLO MORANDI I partiti politici in Italia Le Monnier 1997 EMILIO GENTILE L’Italia giolittiana Il Mulino 1996 FERDINANDO CORDOVA Alle radici del Malpaese Bulzoni 1994 GIORGIO BOCCA Mussolini socialfascista Garzanti 1983 GIOVANNI GIOLITTI Discorsi extraparlamentari Einaudi 1952 isogna vedere il pandemonio di Montecitorio quando si avvicina il momento di una solenne votazione. Gli agenti del Ministero corrono per le sale e i corridoi ad accaparrarsi voti. Sussidi, decorazioni, canali, ponti, strade, tutto si promette». La scena ha la perenne vivacità del vissuto. Uscita dalla penna di Francesco Crispi che –preparandosi a sostituire al potere il suo predecessore Depretis, ne descriveva i metodi di governo – sembra però ritagliata da un quotidiano dei nostri giorni. È l’antico fac-simile d’un quadro cui assistiamo da settimane, cioè i confusi tentativi di rimpolpare una maggioranza in declino mediante la cooptazione di elementi o gruppi di “responsabilità nazionale”, affidata inizialmente al repubblicano Francesco Nucara. Ma partiamo dalle origini. Sul finire dell’Ottocento, il termine “trasformismo”, che per Agostino Depretis diverrà un distintivo, veniva pronunziato con fastidio. Allo stesso Crispi capitò di scorgervi “un incesto parlamentare” (salvo poi, al governo, fare di peggio). Un incesto dall’apparenza bonaria. «Affabile, piaggiatore, famigliare con tutti, promette sempre, promette tutto»: così un raffinato critico della politica, Ferdinando Petruccelli della Gattina, raffigurava l’anziano Depretis, che aveva illustrato la propria teoria nell’ottobre 1876. Erano trascorsi sette mesi dall’esordio alla guida del Paese in nome della Sinistra da lui capeggiata, ed egli si riprometteva di assicurare al suo governo la collaborazione del maggior numero di esponenti della classe politica, compresi coloro che avevano militato nella Destra storica. Si trattava, dichiarò, d’una “feconda trasformazione”. Qualche politologo dell’epoca si limita a definire quello di Depretis un partito “acchiappatutto”. Toccherà invece a un illustre studioso delle nostre istituzioni, Gaetano Mosca, porre l’evento in termini precisi, giudicando i parlamentari italiani, di cui si sollecitava il consenso, portatori di «interessi essenzialmente privati, la cui somma è lungi dal formare l’interesse pubblico». Definizione in gran parte attuale. Per giustificare ogni mossa del trasformismo si fa comun- L’Ottocento «B In origine veniva pronunciato con fastidio. Per Depretis si trattò di una “feconda trasformazione” Il Novecento Ai tempi della prima Repubblica si esprimeva in formule come “teoria dei due forni” o “convergenze parallele” que ricorso, da sempre, a una dichiarazione d’intenti che proprio Depretis coniò per primo: «Intendiamo governare nell’interesse di tutti, con l’appoggio di tutti gli uomini onesti e leali». Che dire poi di Giovanni Giolitti, inarrivabile progettista e rammendatore di maggioranze? Agiva sicuro, con poche cautele. Ne era consapevole lo stesso re Vittorio Emanuele III, secondo il quale, per rafforzarsi, lo statista ricorreva talvolta ad elementi di dubbia fama, e ne teneva aggiornati i dossier. Per designare la massa di ma- SILLABARIO TRASFORMISMO novra da lui adoperata venne coniato un termine apposito, “gli ascari”, dal nome dei militi indigeni che venivano aggregati alle nostre truppe coloniali. Quanto al ventennio fascista, è la sua stessa genesi – a partire dalle origini socialiste del Capo, proseguendo con la propria conversione all’intervento nella Grande Guerra, e così via – a inserirlo negli annali del trasformismo. Un fenomeno che sarebbe divenuto endemico nella fase del “consenso”, cioè in quella seconda metà degli anni Trenta che vide accostarsi al regime oppositori di rango, BENEDETTO CROCE opo il 1885, il trasformismo si era così bene effettuato che non se ne parlò più, e il nome stesso uscì dall’uso. Ma sempre quel nome, quando fu ricordato, parve richiamare qualcosa di equivoco, un fatto poco bello e la coscienza di una debolezza italiana; e l’eco di quel sentimento perdura nei libri degli storici, degli storici che sono di solito professori o altra candida gente, tutta smarrita al susseguirsi dei mutamenti ministeriali, al continuo fallire della loro sospirosa speranza di un “governo stabile”, e, insomma, al cangiamento delle cose, perché, secondo il segreto desiderio del cuor loro, le cose dovrebbero restar ferme; e non riflettono che in questo caso non avrebbero più storie da scrivere, neppure come quelle che di solito si scrivono. Senonché, ciò che per questa parte accadde in Italia, accadeva allora in tutta Europa e nella stessa Inghilterra. D © RIPRODUZIONE RISERVATA come il socialista storico Arturo Labriola. È solo un esempio. Se ne deve fare almeno un altro: riguarda il rinomato comunista Nicola Bombacci, che fin dal ’22 si fregiò delle insegne littorie. Sulle prime i suoi ex commilitoni del Pci un po’ ne risero. Una perfida canzone diceva: «Con la barba di Bombacci – farem gli spazzolini – per lucidar le scarpe – a Benito Mussolini». Bombacci finì fucilato a Dongo nel ’45. La presenza del trasformismo – è il caso di considerarlo un male cronico? – ai tempi della prima Repubblica si affida a reminescenze lessicali, quali “ministero balneare”, “governo della non-sfiducia” – formula nella quale a Indro Montanelli parve di scorgere «un compromesso storico demi-vierge» - “teoria dei due forni”, “convergenze parallele”. Invenzioni che preannunziavano, quale più quale meno, ammucchiate del tipo: “chi ci sta ci sta”. Ci stanno, ci staranno, e fino a quando, quei parlamentari che il governo italiano del 2010 ha tentato di convincere, uno per uno, a “dargli una mano”? Il quadro è instabile. L’elastico, legato a quel numero 316, che salverebbe l’esecutivo, ora appare vigoroso, ora sul punto di spezzarsi. Sentiamo risuonare generalità appartenenti a personaggi mai prima nominati. Spuntano sigle di partiti la cui candidatura a salvare la patria appare, di volta in volta, solida o compromessa. «Non dubitate di noi, voteremo a favore». O, all’opposto: «Non siamo in vendita». Sì. No. Forse. Fughe dalla maggioranza compensate da defezione fra i ribelli. Gorgheggi di falchi e ruggiti di colombe. La “terza gamba” del Pdl scalpita. Cosa dicono quelli di “Noi Sud”? Che fa l’Mpa? E i centristi? Coraggio, ricontiamo tutto da capo. Dopo un trambusto durato varie settimane, alla fine il governo decide di porre la fiducia sulle dichiarazioni del premier: cinque punti sui quali un’apparente concordia sembra acquisita anche parte dei ribelli raccolti intorno a Fini. E gli ascari, già vestiti con l’uniforme governativa? Teniamoceli stretti, come truppa ausiliaria sono l’ideale. E poi, non si sa come va a finire. È il trasformismo stile terzo millennio. Tornando per assurdo in vita, anche Crispi e Depretis perderebbero i sensi, travolti dalla fatica o dalla noia. Gli autori IL TESTO del Sillabario di Benedetto Croce è tratto dalla Storia d’Italia dal 1871 al 1915, dal capitolo sul periodo crispino. L’opera del filosofo napoletano, pubblicata nel 1928, è ora disponibile nelle edizioni Bibliopolis, a cura di G. Talamo, o Adelphi, a cura di G. Galasso. I Diari online TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e dei testi completi, sono consultabili su Internet in formato Pdf all’indirizzo web www.repubblica.it. I lettori potranno accedervi direttamente dalla home page del sito, cliccando al menu “Supplementi”. © RIPRODUZIONE RISERVATA Repubblica Nazionale Agostino Depretis Alessandro Galante Garrone Giorgio Bocca Se qualcuno vuole trasformarsi in progressista come faccio a respingerlo? È un rischio che corriamo. Che tutto rimanga come prima. E vinca, ancora, il trasformismo Il trasformismo italiano è vertiginoso, rovescia la storia come fosse uno stuoino Discorso parlamentare, 1883 Il mite giacobino, 1994 L’Italia l’è malada, 2005 LE ORIGINI GOVERNO CRISPI IL PRIMO GIOLITTI IL VENTENNIO OGGI Il termine si diffonde a partire dal 1882, durante il governo del premier della sinistra storica Depretis Prosegue la pratica di conciliare gli interessi dei diversi gruppi politici all’interno del parlamento Il primo governo Giolitti si avvale di personalità di dubbia fama. Cade per lo scandalo della Banca Romana (1893) Vecchi oppositori si accostano al regime: dal socialista Arturo Labriola al comunista Nicola Bombacci Dopo la rottura con Fini, si è aperta la campagna del Pdl per acquistare gli “infedeli” degli altri schieramenti ■ 49 Le tappe L’onorevole Pisicchio “campione” di spostamenti Nell’era del “travestitismo” politico DA UN PARTITO QUEI NUOVI ALL’ALTRO CAMALEONTI ANTONELLO CAPORALE FILIPPO CECCARELLI ino Pisicchio è insieme vittima e carnefice di questo brutto tempo. Studioso della deriva, tanto da raccontarla in un gustoso libretto (La brutt’epoque. Politica e italiani antropologicamente modificati) e però egli stesso campione della deriva avendo attraversato sei partiti e sempre sopravvivendo ai naufragi. Non è uno spicciafaccende, insegna scienze politiche. Suo padre, deputato democristiano, gli ha trasmesso, insieme ai voti, il piacere di sedere a Montecitorio. Giovane ma vecchio. Deputato che aveva i pantaloni corti. «Trentatrè anni. Con la Dc». E sottosegretario per due volte. Poi Tangentopoli. «È stato un tempo disgraziato e insieme bellissimo quello. Lontano dalla politica ma ricco di soddisfazioni professionali e familiari». Così belli quegli anni che ha iniziato la peregrinazione sul barcone della politica. «In psicologia sociale si studia la cosiddetta dissonanza cognitiva per intendere la prefigurazione di una realtà che non esiste. Esiste dissonanza quando la passione non ti fa ubbidire alla ragione». Infatti – morta la Dc – ha bussato alla porta di Rinnovamento italiano. «Il mio pallino, il solito pallino, era quello di costruire uno spazio politico di centro, nell’idea romantica di rifare quel che s’era perso: un partito». Un partito? orse trasformismo è un po’ poco, forse è diventato troppo. Si pensi a Gianfranco Fini, che ancora pochi anni orsono definiva Mussolini “il più grande statista del secolo”; e si pensi anche a Francesco Rutelli, che dopo aver provocatoriamente issato la bandiera vaticana sul pennone di Montecitorio è oggi tra i più vicini ai vescovi. Bene: questi due leader che agli albori della Seconda Repubblica si scontrarono per la guida di Roma rischiano oggi di ritrovarsi nello stesso schieramento. Si sconta la grande mutazione. Così per motivi che certamente trascendono i destini individuali l’Italia della post-politica passa sopra, sotto e attraverso i controlli di coerenza. Da giovane, Massimo D’Alema tirò molotov contro l’imperialismo americano e poi da presidente del Consiglio spedì i cacciabombardieri in Serbia; e se il ministro Tremonti ha preso a invocare Dio Patria e Famiglia, nel 1998 voleva spedire la radicale Bonino al Quirinale. E arrivato a Palazzo Chigi, Berlusconi non voleva fare Di Pietro ministro dell’Interno? Ecco, si potrebbe andare avanti a lungo. Da un po’, per dire, sono arrivati gli atei devoti, cioè figure di liberali, alcuni anche ex mangiapreti, convertitisi non alla fede, ma al verbo ratzingeriano. Così come ci sono avvocati, giuristi, politici, giornalisti che da Lotta continua e da Soccorso rosso sono arrivati a Berlusconi; né mancano ex accesi ambientalisti divenuti fau- P LE IMMAGINI Sopra, la vignetta satirica “Trasformazione”. In alto, nell’immagine grande, la caricatura “Giolitti bifronte” pubblicata su “L’Asino” F Transumanza Il corpo “So che posso apparire un transumante sfrenato, ma ho sempre cercato un luogo dove fare politica secondo i miei valori. Se non ci sono riuscito devo ammettere che oggi tutto il contesto è malato” La necessità di cambiare apparenza presto si sposta dalle insegne all’abito e poi al corpo. E così abbiamo il maquillage, la tintura dei capelli, il dimagrimento e la chirurgia plastica, spinta fino all’estremo «Lo so, oggi è da ridere. Un partito organizza le idee, le confronta. Con la discesa in campo di Berlusconi i movimenti sono divenuti nient’altro che organizzazioni di beni e servizi a supporto del leader». Se l’ha capito subito perché non ha smesso? «Pensavo che fosse giusto non arrendersi. Tentare in tutti i modi di riconquistare il senso di un impegno. Ho combattuto per modificare il sistema elettorale. Il proporzionale era inclusivo e solidaristico, checché se ne dica». E siamo alla Margherita. «Il luogo perfetto, il punto geografico esatto per tentare di trasferire al centrosinistra un consenso moderato, cattolico, illuminato che guardava di là. Invece si misero a fare concorrenza ai Ds. Rubare voti agli alleati modificava gli addendi non la somma. Era una strategia politica perdente». Ma lei nemmeno in quel momento ha desistito. «Ho aderito al gruppo dell’Udeur. Avendo prima concordato con Romano Prodi, allora premier, il passaggio». Quando le idee sono chiare, la barra resta dritta. «Se somma i simboli le apparirò un transumante sfrenato. Invece la mia vicenda ruota tutta nell’assillo di restituire una rappresentanza alta al centro della politica». Capisce da solo che è difficile seguirla. «Il contesto è malato, e magari – chissà – mi sarei dovuto arrendere». Forse non si sarebbe trovato a dover spiegare anche la candidatura con l’Italia dei valori. «Si era nel 2006. Di Pietro non era nelle condizioni di oggi. Più debole, tentava di affacciarsi in Parlamento costruendo una formazione che facesse riferimento al centro. Perciò ci stetti». Non crede di aver esagerato? «Forse sì. Ho coltivato l’illusione di poter mutare la scena, di contribuire almeno». Ora è nell’Api, con Rutelli. «Un collettivo dove si parla e ci si sente pari». Prometta però. «Capisco dove vuole condurmi. Ma i miei passi che in apparenza appaiono piroette...» Ricordi che è stato lei a parlare di dissonanza cognitiva. «La politica è una maledizione. Ti scava dentro». tori del nucleare (“sicuro”, dicono); o anticomunisti a prova di bomba che vanno d’amore e d’accordo con l’ex agente del Kgb Putin. Dice: è sempre stato così, e in parte è vero. Questo rimane il paese dei fascisti divenuti antifascisti, dei monarchici al servizio della Repubblica. E tuttavia, nel frattempo, le identità sono divenute deboli e insieme così elastiche che nel 2001, senza troppo scandalo, è potuto uscire un panphlet dall’eloquente titolo: Elogio del voltagabbana , di Pialuisa Bianco (Marsilio). Ciò che un tempo era innervato di ideologia pare oggi dominato dagli spettacoli. A un vuoto di rappresentanza corrisponde un pieno di rappresentazioni, per lo più personalizzate. Per cui, pure con qualche smarrimento, si avanzerebbe qui l’ipotesi che l’odierno trasformismo, il tardo-trasformismo scenico e insieme ripiegato all’interno, si risolva essenzialmente da parte dei singoli politici nel cercare di apparire quello che non sono. Ma tecnicamente, nel senso che si cambiano d’abito, si spogliano, si rivestono, mostrano questo o quell’accessorio a seconda delle occasioni o del pubblico (da “ingannare” come ai tempi dei cambi di casacca). Rapida galleria: Berlusconi con bandana in Sardegna, Bossi nobile lombardo nel Barbarossa, Schifani con giubbotto antriproiettile a Herat, Maroni con il mephisto della “Catturandi” di Palermo, Alemanno pellegrino a Santiago di Compostela, La Russa in tuta arancione da top-gun e così via, con un pensierino speciale alla sintomatica metamorfosi della Pivetti, dal castigato-vandeano al lattice sadomaso. Travestiti, perciò: nel vero senso della parola. Perché al di la di questa soglia scatta il salto estremo, quello organico e biologico, applicato al corpo. E quindi il trasformismo che si fa strada con maquillage, tinture e altri accorgimenti tricologici, dimagrimenti coatti e simbolici, chirurgia plastica e presidenziale. Fino all’apoteosi della trans-politica: transfughi a getto continuo, partiti transitori e schieramenti trasversali a marcare l’interminabile transizione italiana, trans-gender in Parlamento come Luxuria, trans brasiliane per illustri clienti, transito nudo e crudo, anche di sesso, di senso, di identità, verso che cosa chi lo sa – ma anche questo è il bello e il brutto della vita. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA LIBRI A.GALANTE GARRONE L’italia corrotta Aragno 2009 GIORGIO GALLI I partiti politici italiani Bur 2004 LUIGI MUSELLA Il trasformismo Il Mulino 2003 GIOVANNI SABBATUCCI Il trasformismo come sistema Laterza 2003 GIANFRANCO PASQUINO La transizione a parole Il Mulino 2000 SANDRO ROGARI Alle origini del trasformismo Laterza 1998 N. DALLA CHIESA I trasformisti Baldini & Castoldi 1995 GIAMPIERO CAROCCI Il trasformismo dall’Unità a oggi Unicopli 1992 GIOVANNI SARTORI Teoria dei partiti e caso italiano SugarCo 1982 MASSIMO L. SALVADORI Il mito del buongoverno Einaudi 1981 Repubblica Nazionale