di Giandomenico Cortese Quando il Rotary costruisce e alimenta “coefficienti di felicità” È primavera. I ciliegi sono in fiore. Bellezza senza tempo i fiori di ciliegio. Lo ricordavo in premessa ad un mio libretto, dato alle stampe un anno fa, citandoli come il “portafortuna per i Samurai e gli innamorati. Annunciano la nascita della primavera, emblema della vita”. Nella loro esperienza, breve ma intensa, nella fragile libertà alle scosse del vento, esprimono il carattere, il colore, l’armonia, l’energia, lo stupore, anticipano il gusto, possiedono la fragranza dei profumi, che esprimeranno nei loro frutti, Anche quando cadono, e si posano nel silenzio, nella sofferenza del distacco, non paiono effimeri. Si distendono a tappeto, generoso e carico di umori. La fantastica tradizione orientale, oltre la caducità, li carica di ideali cavallereschi, li fa testimoni di purezza, lealtà, onestà, coraggio. Per tutto questo penso ai fiori di ciliegio e li sento capaci di esprimere ed interpretare le piccole grandi storie, le attese e le speranze, i racconti di vita, le esperienze, l’esile e forte cultura del dono, espressione di ciascuno di noi. A lezione di poesia dalla natura. È proprio il linguaggio dei segni che la natura offre a darci l’impronta di una umanità nuova (di un umanesimo nuovo) in un tempo confuso e tormentato com’è quello in cui siamo immersi. La rivoluzione della semplicità, della tenerezza, della delicatezza, forse anche della lentezza che spesso invochiamo, della fiducia nel futuro che questo mese rotariano ci pone e impone come leit motiv a livello globale (il tema è, come ricorda il Governatore Cecovini nella sua lettera: la salute materno-infantile). Ed è per questo che, per una volta, nelle nostre riflessioni sul nostro stare a Nord Est, vorrei lasciare da parte gli aridi numeri del PIL e cercare piuttosto i “coefficienti di felicità”. L’idea non è peregrina, e comincia a farsi strada più tra la gente comune che tra gli intellettuali ed i tuttologi che affollano convegni e dibattiti. In pratica – suggeriscono i “benpensanti” – è stato proprio quando i Veneti, i Friulani, Trentini ed Altoatesini o Sud Tirolesi se credete meglio, quando tutte queste persone si preoccupavano di più di famiglia, chiesa, istituzioni pubbliche, soprattutto di lavoro, di etica civile, che hanno “pro- dotto” meglio e dato sviluppo all’intero territorio. Guardiamo a quanto succede in questa parte d’Italia. Partiamo dalla realtà. Per rivedere, aggiustare magari, pure il comportamento del Rotary. Il ruolo della famiglia è cambiato, addirittura è mutato il concetto. Le aspettative di vita si sono dilatate e con esse la speranza di futuro. Fra qualche lustro, stando alle rilevazioni della Fondazione Nordest, ci saranno più ottuagenari che ragazzi con meno di 14 anni: mai successo prima d’ora. Stante la crescente immigrazione non si potrà più parlare di chiesa ma di chiese diverse. Il Triveneto, insomma, cambia pelle. Stenta a rimettere il turbo. Ha difficoltà a generare classi dirigenti con un’ottica che superi l’ombra dei campanili, in grado di rispettare le identità, valorizzare le autonomie, recuperare il senso della collettività, ad alzare il livello di guardia. Ironizzava, ma diceva il vero, qualche tempo fa, uno storico: “Il nostro Nord Est, le antiche “Venezie”, come entità territoriale, non hanno riconoscimento internazionale”. E citava il caso che nelle principali lingue straniere lo stesso termine “veneto”, “trentino”, “friulano” non è traducibile, lo si interpreta semplicisticamente come “veneziano”. Ancora non c’è infatti una “storia” del Triveneto. Tanti, invece, i tomi, sulla storia della Serenissima e della sua penetrazione in questi territori nordestini. E senza rifarsi all’imperatore Augusto, per il quale l’Italia si poteva ben dividere in undici grandi regioni, più le due isole maggiori, che aveva inserito duemila anni fa questa nostra terra nella “X Legio” , tra “Venetia et Istria”, si può ben stare sull’attualità e cominciare a pensare a quel “terzo Veneto”, come amava chiamarlo Giorgio Lago, l’inguaribile riformista del Nordest, che oggi vive un passaggio epocale, non programmato, quasi spontaneo, quello che lo rivede proiettato oltre le Alpi e verso Oriente. Una vera e propria "piastra logistica", economica ma anche culturale di interesse europeo. Una sfida, guarda caso, tutta di impronta rotariana, con il Rotary che può ancora essere protagonista, suscitatore di idee e di progetti.