Avvocato ROBERTO FATTORI
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LE GARANZIE BANCARIE
LA FIDEIUSSIONE
La fideiussione in generale
La fideiussione è un contratto (art. 1936 c.c.) e fideiussore è colui che, obbligandosi personalmente con il
creditore, garantisce l’adempimento dell’obbligazione altrui.
Il contratto di fideiussione, in quanto connotato da obbligazioni esclusive del fideiussore proponente, non
richiede l’accettazione espressa del creditore garantito, in particolare da parte della banca, in quanto la
fideiussione bancaria è rappresentata da una comunicazione scritta che viene inviata alla banca da parte del
garante; la sottoscrizione da parte del funzionario dell’istituto di credito viene apposta, non quale
accettazione, ma solo ai fini della c.d. “autenticità” della sottoscrizione del garante stesso.
Infatti l'obbligazione fideiussoria, quale promanante da un contratto unilaterale, con obbligazioni a carico di
una sola parte, si perfeziona, se non rifiutata, con la conoscenza determinata dal proponente la garanzia che
costituisca manifestazione della sua volontà contrattuale, rivolta al destinatario.
La garanzia è personale in quanto il creditore può soddisfarsi sul patrimonio di un soggetto (persona fisica o
giuridica) diversa dal debitore e non dà luogo ad alcun diritto reale né alcuna prelazione, ma riguarda tutto il
patrimonio del fideiussore che, ai sensi dell’art. 2740 c.c., risponde con tutti i suoi beni laddove, ad esempio,
il terzo datore di pegno o di ipoteca risponde soltanto nei limiti della cosa data in pegno o in ipoteca.
Il rischio per la banca garantita – in quanto la garanzia ha significato se e in quanto nel patrimonio del
fideiussore si trovano dei beni – è l’incapienza o la sottrazione dei beni del garante mediante atti di
disposizione (vendite, donazioni, costituzioni di fondo patrimoniale, vincoli di destinazione, trust, ecc. ecc).
Al creditore spetterà, eventualmente, l’azione revocatoria ordinaria per far dichiarare inefficaci gli atti di
disposizione del fideiussore; l'acquisto della qualità di debitore del fideiussore nei confronti del creditore
procedente risale al momento della nascita del credito, sicché a tale momento occorre far riferimento per
stabilire se l'atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito.
La fideiussione ha natura accessoria in quanto, da una parte, la garanzia sussiste in quanto vi è un debito
principale da garantire e ne deriva quindi che la fideiussione non è valida se non è valido il debito principale,
dall’altra, a norma degli art. 1936 e 1942 c.c., l’obbligazione del fideiussore si configura come obbligazione
accessoria, il cui oggetto, per la sorte capitale e per gli accessori, è naturalmente identico a quello
dell’obbligazione principale.
Il contratto, pur essendo considerato a forma libera, si presente nei rapporti bancari in forma scritta.
L’ampia libertà di forma consentita al prestatore della garanzia personale nel manifestare il proprio
intendimento di obbligarsi in qualità di fideiussore incontra, infatti, il solo limite dell’inequivocità e
dell’oggettività di tale manifestazione di volontà dell'art. 1937 c.c. laddove prescrive che la volontà di
prestare fideiussione deve essere espressa; la norma quindi, pur non imponendo la forma scritta o l'adozione
di formule sacramentali, richiede che la volontà del fideiussore sia manifestata in modo inequivocabile.
Peraltro, in termini generali, in presenza di un contratto di fideiussione, è all'obbligazione garantita che deve
riferirsi il requisito soggettivo della qualità di consumatore, ai fini dell'applicabilità della specifica normativa in
materia di tutela del consumatore, attesa l'accessorietà dell'obbligazione del fideiussore rispetto
all'obbligazione garantita.
La fideiussione omnibus
Nella prassi bancaria ha assunto sempre più rilevanza la c.d. “fideiussione omnibus”, la quale si caratterizza
principalmente – da un punto di vista quantitativo – per il fatto che essa viene prestata non per un singolo
debito (derivante da un singolo contratto), ma per qualsiasi obbligazione che il soggetto garantito può avere
verso la banca finanziatrice, derivante da operazioni bancarie di qualsiasi natura, già consentite o che
venissero autorizzate in seguito al debitore garantito (c.d. crediti futuri).
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Detta fideiussione vale quindi non solo per i debiti esistenti, ma anche per i debiti derivanti dagli affidamenti
futuri come quelli derivanti, ad es., dalle aperture di credito o dalle anticipazioni bancarie o dallo sconto di
titoli che la banca concede durante il rapporto con il cliente nell’evoluzione successiva dei rapporti.
Va osservato che, proprio con riferimento alla possibilità di garantire debiti futuri, la garanzia fideiussoria – e
anche se rilasciata omnibus – è in parte disciplinata dalla legge n° 154/92 (art.10) in materia della c.d.
“trasparenza bancaria“, che ha comportato modifiche e integrazioni agli art. 1938 e 1956 c.c.
Le maggiori critiche alla fideiussione omnibus evidenziavano l’eccessiva indeterminatezza delle obbligazioni
che il garante doveva garantire con probabile mancanza di coerenza delle varie obbligazioni – soprattutto
quelle future – che il debitore poteva assumere, sempre in relazione alla determinabilità dell’oggetto del
contratto fideiussorio; corollario era la necessità di un comportamento di buone fede della banca nei rapporti
di affidamento garantiti con fideiussioni.
Si rileva comunque che nella fideiussione omnibus non muta la causa del contratto che, di fatto, rimane
sempre quella per cui si tende ad allargare la responsabilità patrimoniale dei soggetti di fronte a uno o più
creditori, che potranno così aggredire più patrimoni.
In pratica, a differenza della garanzia “specifica” ed espressamente determinata nei rapporti contrattuali, la
fideiussione omnibus tenderebbe invece a garantire l’intera posizione debitoria del debitore in un arco
temporale più vasto.
L’art. 1938 c.c. prevede infatti, nelle nuova versione dopo la riforma della “trasparenza bancaria”, che la
fideiussione possa garantita anche obbligazioni future, “… con la previsione in quest’ultimo caso dell’importo
massimo garantito”; per la fideiussione “specifica”, che garantisce un rapporto determinato sino alla sua
completa estinzione, non sarebbe astrattamente necessario l’indicazione dell’importo massimo garantito se
questo è desumibile dal testo del contratto garantito (es. importo del mutuo o del leasing, canoni di
locazione).
Il principio del limite dell’importo garantito e della buona fede contrattuale – proprio in presenza di continue
erogazioni di credito che possono costituire anche gestione di interessi di altri (il fideiussore) – ha ispirato
l’ulteriore importante modifica dell’art. 1956 c.c. (sempre per mezzo della L. 154/92 sulla “trasparenza
bancaria”) per cui è oggi invalida la clausola (a suo tempo inserita nelle fideiussioni bancarie) in cui si
prevedeva la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della sua liberazione nel caso in cui la banca
eroghi nuovo credito al debitore senza una speciale autorizzazione del fideiussore.
Ora, a seguito della modifica degli art. 1938 e 1956 c.c. ad opera della legge sulla “trasparenza bancaria”, le
fideiussioni omnibus sono valide se l’oggetto del finanziamento è facilmente determinabile sin dal suo
sorgere, se vi è un limite contrattuale dell’importo massimo garantito per le obbligazioni future (art. 1938
c.c.), se sia esclusa la preventiva rinuncia ad avvalersi della liberazione dalla garanzia e, in ipotesi di
concessione di credito al debitore che si trovi in condizioni patrimoniali critiche, la banca ottenga una
speciale autorizzazione (per iscritto) da parte del garante (art. 1956 c.c.).
Tale speciale autorizzazione è necessaria in caso di trasformazione di società di persone in società di capitali
in quanto la trasformazione comporta un “peggioramento” per il creditore delle condizioni del garantito,
mentre non sarebbe richiesta se lo stesso soggetto che richiede nuovi affidamenti (es. amministratore della
società garantita) è la stessa persona (fideiussore) che presta la garanzia.
La norma dell’art. 1956 c.c. non opera “ipso iure” e deve essere accertata di volta in volta dal giudice che
valuterà se il creditore-finanziatore, abbia fatto credito secondo un comportamento di correttezza e buona
fede (art. 1375 c.c.) e qualora venisse accertato la responsabilità della banca che ha fatto credito, “senza la
speciale autorizzazione” del garante fideiussore, quest’ultimo sarebbe liberato per l’intero debito garantito e
non per la singola erogazione concessa ma non autorizzata.
Dagli effetti indiretti della c.d. “trasparenza bancaria” e le modifiche degli art. 1938 e 1956 del c.c. consegue
un’enfatizzazione della necessità (se non di un vero e proprio obbligo) per la banca di dover comunicare al
garante fideiussore – su sua richiesta ed entro i limiti dell’importo dallo stesso garantito – l’entità
dell’esposizione complessiva del debitore garantito e di chiedere sempre al garante una sua autorizzazione
ogni volta che si concedono nuovi affidamenti.
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La fideiussione bancaria e le sue deroghe alla disciplina generale del c.c.
Sia le fideiussioni omnibus che le fideiussioni bancarie “specifiche” si differenziano dal modello disciplinato, in
generale, dal codice civile in quanto contengono espressamente alcune specifiche deroghe inserite
nell’interesse delle banche.
A) OGGETTO GARANZIA: “ La fideiussione garantisce tutto quanto dovuto dal debitore per capitale,
interessi anche se moratori ed ogni altro accessorio, nonché per ogni spesa anche se di carattere giudiziario
ed ogni onere tributario ”.
Regola la responsabilità del fideiussore per il debito in linea capitale, spese, accessori, interessi e spese legali
nel limite dell’importo massimo garantito; ne consegue che non sarà ammissibile una maggiore onerosità per
condizione (es. una clausola penale), tempo (scadenza più breve), luogo del pagamento (diverso dal
domicilio del creditore).
Va precisato che dalla messa in mora il fideiussore è tenuto a pagare gli interessi moratori e le spese legali
per l’azione contro di lui, anche oltre il limite dell’importo massimo garantito; ne consegue che l’importo
massimo garantito è il limite del debito fideiussorio verso il terzo (creditore garantito) ma, se il fideiussore è
moroso o inadempiente, dovrà subire le regole generali della responsabilità per inadempimento e quindi il
suo debito (personale) aumenterà per interessi, spese, oneri ecc. ecc.
B) ANNULLAMENTO, INEFFICACIA, REVOCA PAGAMENTI: “ Il fideiussore si impegna altresì a
rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni
garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti
stessi, o per qualsiasi altro motivo ”.
Ipotesi di c.d. “reviviscenza” della garanzia fideiussoria in caso di annullamento, inefficacia o revoca (anche
revocatoria fallimentare) dei pagamenti ricevuti dalla banca da parte dell’obbligato.
Nel nostro ordinamento civilistico, manca un generale principio di reviviscenza delle garanzie (reali o
personali) se esse siano prestate da terzi.
Nella specie della garanzia fideiussoria ordinaria del c.c. il fenomeno della reviviscenza va senz'altro escluso,
fatta salva una previsione contrattuale.
C) SOLIDARIETA’ E INDIVISIBILITA’: “ Le obbligazioni derivanti dalla fideiussione sono solidali ed
indivisibili anche nei confronti dei successori o aventi causa”.
La morte del fideiussore non estingue la fideiussione che si trasmette agli eredi che subentrano nell’obbligo
fideiussorio con gli stessi obblighi e diritti del garante originario; gli eredi rispondono anche dei debiti che il
garantito assume dopo la morte del fideiussore e quindi il creditore puo’ richiedere agli eredi il pagamento
dei debiti sorti dopo la morte del fideiussore
La responsabilità degli eredi è solidale – non pro quota come per legge – se e in quanto la clausola sia stata
approvata, dal de cuius, ex art. 1341 c.c.. ; se gli eredi accettano l'eredità con beneficio di inventario, essi
rispondono solidalmente dell'intero debito, ma solo nei limiti del valore dei cespiti pervenuti a ciascun erede.
Ne consegue che, se il valore dei cespiti attivi, pervenuti agli eredi con accettazione beneficiata, si rivelasse
superiore all'importo complessivo vantato dal creditore, ciascuno degli eredi sarebbe, solidalmente, tenuto al
pagamento dell'intero debito.
Nel caso di fideiussione prestata a favore di società, la fusione per incorporazione di questa – non
comportando una successione universale della nuova società rispetto alla società incorporata - determina
l'estinzione della garanzia con la conseguenza che il garante risponde esclusivamente delle obbligazioni sorte
prima dell'incorporazione e non anche di quelle successive, riferibili a soggetto diverso da quello originario.
D) INVALIDITA’ OBBLIGAZIONE GARANTITA: “ Nell’ipotesi in cui le obbligazioni garantite siano
dichiarate invalide, la fideiussione si intende fin d’ora estesa a garanzia dell’obbligo di restituzione delle
somme comunque erogate “
In pratica, anche se in ipotesi di invalidità della obbligazione garantita la fideiussione non sarebbe valida (per
l’accessorietà ex art. 1939 c.c.) il garante deve comunque garantire l’obbligo del debitore di restituire quanto
allo stesso erogato e la garanzia è sempre comunque riferibile al comportamento del debitore e quindi ad
una obbligazione di restituzione (in questo caso sarebbe ripetizione dell’indebito).
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Tale obbligo fideiussorio incontra comunque un limite se la garanzia fideiussoria si riferisce ad un obbligo
presupposto e garantito invalido in quanto contrario alla legge o per causa illecita (es. garanzia su somme
derivanti da interessi usurari)
Il fideiussore potra’ sempre eccepire che il debito non e’ sorto, e’ mancata la consegna del denaro o vi e’
stato il pagamento
E) PAGAMENTO DEL FIDEIUSSORE: “ A semplice richiesta scritta della banca ed indipendentemente da
eventuali eccezioni il fideiussore pagherà immediatamente alla banca quanto dovuto per capitale, interessi,
spese…”.
L’ipotesi prevista nel contratto di banca per cui il garante deve pagare senza sollevare preventive eccezioni
cercando di svincolare il debito del garante dall’obbligazione principale – con conseguente mancanza del
requisito dell’accessorietà – avvicina la fideiussione al c.d. contratto autonomo di garanzia ove il garante non
può opporre al beneficiario (banca) le eccezioni relative al rapporto principale.
Rimane comunque sostanziale la differenza tra la fideiussione (nella quale viene inserita la clausola c.d.
“solve et repete”) dal vero e proprio contratto autonomo di garanzia.
F) INFORMAZIONI ANDAMENTO RAPPORTO GARANTITO: “ Il fideiussore avrà cura di tenersi al
corrente delle condizioni patrimoniali del debitore e, in particolare, di informarsi presso lo stesso dello
svolgimento dei suoi rapporti con la banca “
La clausola inserita nel contratto prevede un onere-diritto e non certamente un obbligo del garante di
informarsi presso la banca anche se spesso il garante è il soggetto direttamente interessato (es. socioamministratore della società finanziata).
La banca sarà tenuta a comunicare al garante – se richiesto – l’entità del debito nei limiti dell’importo
massimo garantito dell’esposizione massima del debitore a quel momento; potrà quindi comunicare al
garante il saldo mentre, per la movimentazione del conto e tutte le ulteriori informazioni, dovranno essere
accompagnati da richiesta scritta autorizzata dal garantito.
Il comportamento della banca che non fornisca informazioni al garante può generare responsabilità in caso
di escussione; ma la mancanza informazioni sull'andamento del rapporto garantito può trovare
giustificazione nella mancanza di qualsiasi fatto nuovo da segnalare, rispetto ad una situazione da tempo
consolidatasi.
Le confideiussioni e fideiussioni plurime
Si parla, in giurisprudenza, di confideiussione quando più soggetti hanno sottoscritto, anche in tempi diversi
e per importi diversi, con un interesse comune per un medesimo debito e per un medesimo debitore, il
contratto fideiussorio.
Questo comporta – nei confronti della banca garantita – la creazione di una solidarietà tra i garanti e chi, tra
loro, ha pagato (spontaneamente o perché escusso) avrà diritto di regresso (art. 1304 c.c.) verso gli altri
confideiussori (e verso il debitore garantito, artt. 1954 e 1950 c.c.); il confideiussore puo’ anche surrogarsi
(art. 1203, n.3, c.c.) nei diritti del creditore sia contro gli altri confideiussori che contro il debitore garantito.
Peraltro chi paga potrà esercitare il diritto di regresso verso gli altri, confideiussori, secondo una presunzione
di uguaglianza di quote; se sono soci di una società il regresso sarà pari alla percentuale di partecipazione
nelle quote societarie.
Così come in caso di insolvenza di un confideiussore la perdita si ripartisce tra tutti gli altri (art. 1298 e 1299
c.c.), il pagamento (anche parziale) da parte di un confideiussore libera (anche parzialmente) gli altri
confideiussori in quanto la confideiussione, caratterizzandosi come un insieme di vincoli di garanzia relativi
alla medesima obbligazione garantita, determina la divisione (e non la somma) del debito fideiussorio tra
tutti i coobbligati anche in virtù del diritto di regresso interno.
Diversamente si parla di fideiussioni plurime quando manca l’intento comune e ogni obbligazione è
autonoma o sconosciuta tra i garanti.
Le principali caratteristiche possono derivare dalla convenzione con il creditore di mantenere la obbligazione
fideiussoria distinta e separata dagli altri garanti, garanzie fideiussorie rilasciate per debiti diversi, solidarietà
tra i vari garanti ma chi ha pagato ha non regresso (art. 1304 c.c.) verso gli altri confideiussori ma solo
diritto di surroga (art. 1203, n. 3, c.c.).
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A differenza delle confideiussioni, che non si sommano in quanto il debito fideiussorio si divide tra i garanti,
le fideiussioni plurime si possono tra loro sommare e quindi aumentare l’importo della garanzia a favore del
creditore garantito.
Il recesso del fideiussore
La legge non prevede il recesso nel contratto fideiussorio (salvo art. 1343 c.c. in termini generali) ed è
quindi l’accordo delle parti (banca e garante) che determina modalità, efficacia e la forma del recesso del
fideiussore.
La banca, salvo ipotesi particolari in cui non consente il recesso nei contratti a tempo determinato (ad es. dai
contratti di affidamento a tempo determinato, es. mutuo o affidamenti a termine) non può evitare o
impedire l’esercizio del recesso del fideiussore dagli affidamenti a tempo indeterminato anche perché la
legge vede con un certo disfavore la durata di obbligazioni – soprattutto di garanzia - a tempo
indeterminato.
Infatti nell’ipotesi in cui la fideiussione fosse stata prestata a garanzia di un contratto di mutuo è evidente –
attesa la natura del contratto garantito ove l’erogazione della intera somma è antecedente al recesso – che
la manifestazione del recesso da parte del garante non possa avere particolari effetti in quanto il fideiussore
sarà tenuto a restituire l’importo derivante dalle rate ancora a scadere.
Nell’ipotesi, invece, di apertura di credito a tempo indeterminato – in considerazione della natura di tale
rapporto ove l’affidato ha la possibilità di ricostituire la provvista nel tempo – il garante potrà recedere in
qualsiasi momento ma sarà tenuto a restituire l’importo effettivamente utilizzato al momento della ricezione
(rectius, dell’efficacia) del recesso da parte della banca.
Infatti le banche prevedono :
“ Nel caso la presente (fideiussione) venga rilasciata per apertura di credito a tempo indeterminato, come
pure per ogni altro affidamento di cassa o di firma pure a tempo indeterminato, il fideiussore può recedere
dalla garanzia dandone notizia alla Banca con lettera raccomandata, telegramma oppure con comunicazione
scritta presentata allo sportello presso cui è intrattenuto il rapporto di garanzia. La dichiarazione di recesso
sarà opponibile alla Banca solo quando siano trascorsi almeno dieci giorni lavorativi bancari dal ricevimento
e, per quanto concerne i rapporti di apertura di credito, sia anche decorso il termine di presentazione degli
assegni emessi dal debitore e ancora in circolazione.
Il fideiussore risponde, oltre che delle obbligazioni del debitore in essere al momento in cui il recesso è
divenuto efficace, di ogni altra obbligazione che avesse a sorgere o a maturare successivamente in
dipendenza dei rapporti esistenti al momento suindicato.”
Il recesso, quindi, è efficace quando la banca riceve la manifestazione del recesso (es. con lettera
raccomandata) e diviene operativo quando la banca sia a sua volta receduta dai rapporti di affidamento; si
ritiene infatti che il debito fideiussorio si “cristallizza” al momento di efficacia del recesso.
Peraltro la giurisprudenza ha evidenziato che in tema di fideiussione prestata a garanzia di un’apertura di
credito in conto corrente, senza predeterminazione di durata, il recesso del fideiussore è operante dal
momento in cui viene a conoscenza della banca e produce l’effetto di limitare la garanzia al saldo passivo
esistente a tale data, non essendo al garante opponibile l’ulteriore prosecuzione del rapporto di apertura di
credito.
Tuttavia, poichè l’obbligazione del fideiussore ha lo stesso contenuto dell’obbligazione garantita (non
potendo eccedere ciò che è dovuto dal debitore principale, ex art. 1941, comma 1, c.c.) e diventa attuale
quando questa, con l’estinzione del rapporto di credito, viene definitivamente determinata ed è esigibile,
l’intervenuto recesso assume rilievo in relazione al saldo finale del conto.
Infatti contenendo nei limiti suddetti l’ambito della garanzia, senza che - valendo il principio di inscindibilità
delle rimesse attive e passive (sia nel rapporto tra banca e cliente, che in quello tra banca e garante) - le
rimesse attive, affluite sul conto dopo il recesso del fideiussore e fino alla chiusura del rapporto creditizio,
possano essere conteggiate a favore del garante in riduzione del saldo esistente alla data del recesso
medesimo.
Il recesso del fideiussore dalla garanzia prestata, quindi, derivanti da un rapporto di apertura di credito
destinato a prolungarsi ulteriormente nel tempo, dopo il recesso del fideiussore, produce l'effetto di
circoscrivere (“cristallizzare”) l'obbligazione accessoria al saldo del debito esistente al momento in cui il
recesso medesimo è diventato efficace.
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Ne consegue che l'obbligo del garante è limitato al pagamento di tale saldo anche qualora il debito
dell'accreditato, al momento in cui la successiva chiusura del conto rende la garanzia attuale ed esigibile,
risulti aumentato in dipendenza di operazioni posteriori, e senza che peraltro, ai fini della determinazione
dell'ambito della prestazione dovuta dal garante, possa aversi una considerazione delle ulteriori rimesse
dell'accreditato separata e diversa rispetto ai prelevamenti dallo stesso operati, e ciò stante l'unitarietà e
l'inscindibilità del rapporto tra banca e cliente.
Solo se il saldo esistente alla chiusura del rapporto di apertura di credito sia inferiore a quello esistente al
momento del (dell’efficacia del) recesso del fideiussore, si verifica una corrispondente riduzione
dell'obbligazione fideiussoria, in applicazione della regola sancita dall'art. 1941, comma 1, c.c., per cui la
fideiussione non può eccedere l'ammontare dell'obbligazione garantita.
Peraltro, qualora il fideiussore abbia comunicato il proprio recesso mentre è in corso un rapporto di apertura
di credito a tempo indeterminato, provvedendo ad eliminare le passività sorte in epoca anteriore al recesso, i
principi di correttezza e buona fede impongono alla banca di recedere immediatamente dall’apertura di
credito tutte le volte in cui il ritardo possa arrecare pregiudizio al fideiussore, compromettendo le possibilità
di recupero delle somme versate per il pagamento del debito; la violazione di tale obbligo rende inoperante
la garanzia fideiussoria rispetto alle obbligazioni successivamente sorte a carico del debitore principale.
Ipotesi particolari
- Fideiussione prestata da soci di società di persone
È riconosciuta ormai pacificamente valida, in giurisprudenza, la fideiussione prestata dai soci illimitatamente
responsabili in favore della società di persone.
Pur se sprovvista di personalità giuridica, la società di persone costituisce un distinto centro di interessi e di
imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia patrimoniale rispetto al
patrimonio dei singoli soci; ne deriva che la fideiussione è considerata garanzia per debito altrui ex l'art.
1936 cod. civ., senza alcuna sovrapposizione alla garanzia prevista ex lege sulla responsabilità illimitata e
solidale.
Si ritiene infatti sussistente l’interesse del creditore a giustificazione della “ulteriore” garanzia fideiussoria
anche al fine di superare beneficium excussionis di cui all'art. 2304 c.c.
- Non revocabilità del pagamento del fideiussore in favore del debitore fallito
In ipotesi di fallimento e di revocabilità delle rimesse in un conto corrente bancario, la giurisprudenza ritiene
non soggetto a revocatoria il pagamento effettuato a favore della banca da parte del fideiussore sul conto
corrente dell'imprenditore, prima del suo fallimento che verrà dichiarato dopo il pagamento da parte del
fideiussore.
Tale esclusione è prevista se, per il pagamento del garante, si possa dimostrare (onere che incombe alla
banca se vuole evitare la revocatoria) che non sia stata utilizzato denaro del debitore garantito (e poi fallito),
né vi sia stata rivalsa, prima del fallimento, nei suoi confronti da parte del fideiussore.
La revocatoria è infatti esclusa in quanto il pagamento effettuato dal garante ha lo scopo di adempiere ad
una obbligazione propria ed autonoma, ancorché accessoria, per evitare le conseguenze cui egli resterebbe
esposto per effetto della morosità dell'obbligato principale; in sostanza il denaro che affluisce sul conto è (e
deve essere) denaro del terzo garante che si è creato provvista senza l’aiuto del garantito.
E’ irrilevante la modalità con la quale è avvenuto il pagamento (versamento sul conto corrente) in quanto
ritenuto non lesivo della par condicio creditorum.
Non è neppure revocabile la rimessa sul conto chiuso ed effettuata dopo il fallimento dell’affidato garantito,
attesa l'assenza di qualunque pregiudizio per la massa dei creditori, insinuandosi al passivo il fideiussore
invece della banca creditrice.
- Fideiussione del socio di società di persone ammessa al concordato preventivo
In ipotesi di concordato preventivo proposto da una società con soci illimitatamente responsabili, gli effetti
remissori tipici della falcidia concordataria si estendono anche in favore dei soci.
Infatti ai sensi dell'art. 184 legge fallimentare, il concordato preventivo della società di persone ha effetti
anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili relativamente ai debiti sociali, ancorché i soci, prima
di assumere questa qualità, abbiano prestato fideiussione.
Tale effetto “liberatorio” non avviene se il soggetto – che ha rilasciato anche la fideiussione per le
obbligazioni della sua società a favore di un terzo creditore di questa - successivamente non rivesta più la
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qualità di socio al momento della omologa del concordato dovendo quindi, l'ex socio, essere considerato alla
stregua di un terzo garante.
Ne conseguono, da un lato, l'irrilevanza dell'accertamento dell'epoca della perdita della qualità di socio
illimitatamente responsabile rispetto all'apertura del concordato e, dall'altro, nei confronti del creditore
sociale, la responsabilità piena di tale ex socio, in virtù dell'obbligazione fideiussoria assunta, poiché debito
proprio, del tutto distinto da quelli sociali.
- Conflitto di interessi tra società garante e società garantita
La banca - nell’ipotesi in cui una società abbia prestato una garanzia fideiussoria in favore di una società in
cui l’amministratore unico sia, contemporaneamente, amministratore delle due società (garante e garantita)
– per evitare rischi di annullamento della garanzia per un conflitto d'interessi tra la società garante ed il suo
amministratore – deve (difficilmente) dimostrare ex art. 1394 c.c. che il conflitto non era da lei riconosciuto
o riconoscibile.
Va comunque rilevato che il conflitto non può derivare genericamente dalla coincidenza, nella stessa
persona, dell’amministratore delle due società in quanto il conflitto di interessi deve essere accertato in
concreto, sulla base di una provata relazione di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori,
rispettivamente, la società che ha prestato la garanzia ed il suo amministratore.
Infatti se il conflitto è “positivo” non vi è il rischio che si impugni la garanzia (nel termine, di prescrizione, di
5 anni) come nel caso di garanzie concesse da una società in favore di una propria controllata intesa come
atto finalizzato alla conservazione del valore della partecipazione azionaria di cui la garante è titolare, e,
dunque, nell'interesse della stessa garante e del gruppo societario nel suo insieme.
IL PEGNO
Il pegno in generale: la sua costituzione
Il pegno è il diritto reale che il debitore o un terzo concede al creditore su una cosa mobile a garanzia
dell’obbligazione contratta dal debitore (art. 2784 c.c.).
Possono essere oggetto di pegno, ai sensi dell’art. 2784, 2° comma, c.c. i beni mobili, le universalità di beni
mobili, i crediti del debitore pignoratizio – con le modalità previste dall’art. 2800 c.c. - e altri diritti aventi ad
oggetto beni mobili; la garanzia si estende anche ai frutti naturali, ai miglioramenti nonché alle pertinenze
della cosa da in pegno.
La costituzione (il vero e proprio sorgere del diritto) del pegno si effettua con lo spossessamento materiale
della cosa mobile e quindi con la concreta consegna al creditore pignoratizio o a un terzo, conseguente alla
concreta sottrazione (fisica/giuridica) del bene al debitore.
La concessione di un bene in pegno è un atto di disposizione sul patrimonio del debitore (art. 2740 c.c.)
suscettibile di determinare una diminuzione della garanzia generica del debitore, potendo concretamente
condurre allo stesso risultato finale della vendita (sottrazione) del bene oggetto della garanzia reale e,
quindi, a un depauperamento dell'obbligato (con possibilità di esperimento dell’azione revocatoria da parte
dei terzi o del curatore in caso di fallimento, se il pegno non è “consolidato”).
Peraltro, a norma dell'art. 2787 c.c., il creditore in cui favore il pegno è costituito ha, in via di principio, il
diritto di farsi pagare con prelazione, il che ancor più circoscrive le concrete possibilità per i creditori
chirografari di fare affidamento, per la soddisfazione dei loro crediti, sulla cosa data in pegno.
Se la costituzione del pegno (spossessamento) è accompagnata da altre formalità il creditore – in caso
d’inadempimento dell’obbligazione – ha diritto di farsi assegnare dal giudice la cosa in pagamento del suo
credito secondo una stima da farsi con perizia (art. 2798 c.c.) oppure ha diritto di soddisfarsi sul ricavato
della vendita del bene al pubblico incanto (art. 2796 c.c.) con diritto di prelazione rispetto agli altri creditori
chirografari e ciò anche se la cosa nel frattempo sia passata in proprietà di terzi (diritto di seguito), ma il
possesso deve rimanere al creditore pignoratizio, pena la perdita del pegno costituito.
Il pegno è accessorio al credito garantito e quindi, venuto meno il credito (o debito), cade anche il pegno.
Se vengono a mancare la consegna o la sottrazione, viene meno il diritto di prelazione (art. 2787, 1°
comma, c.c.).
La consegna e la sottrazione rispondono inoltre a una funzione di pubblicità non altrimenti manifestabile.
Ciò non toglie che tale pubblicità non sempre sia possibile, come si verifica nella prassi quotidiana della
consegna di cose mobili presso terzi (ad esempio la consegna alla banca di titoli di credito o societari per
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semplice custodia fiduciaria); non vi sarà quindi spossessamento – e quindi pegno – quando il bene, pur
presso terzi, è ancora nella libera disponibilità del proprietario-debitore, che potrà sottrarlo liberamente.
La consegna ad un terzo del bene oggetto del pegno ai sensi dell'art. 2786, 2° comma, c.c. integra una
forma particolare di spossessamento del debitore o del terzo costituente, il quale assume l'obbligo di
conservare il bene finché il debito non sia scaduto e di restituirlo al costituente o consegnarlo al creditore, a
seconda che vi sia stato o non vi sia stato l'adempimento.
In sostanza lo spossessamento vi sarà se vi è:
- consegna del bene al creditore pignoratizio, che ne dovrà curare anche la custodia;
- consegna del bene ad una terza persona (fiduciaria del creditore) che possa mettere a disposizione i
luoghi ove custodire il bene pignorato (tipica è la conclusione di un contratto di deposito tra creditore e
terzo);
- custodia del bene “in comune“ tra creditore pignoratizio e debitore concedente (esempio classico è la
custodia del bene mobile in una cassetta di sicurezza utilizzabile previa sottoscrizione congiunta del
creditore e del debitore).
La prelazione derivante dal pegno
In pratica, una volta costituito regolarmente il pegno con lo spossessamento, per far valere la prelazione in
ipotesi di vendita del bene per inadempimento del debitore, il pegno deve risultare (anche) da (art. 2787, 3°
comma, c.c.) :
- atto scritto ad substantiam con data certa;
- sufficiente indicazione del credito;
- sufficiente indicazione della cosa.
Per legge, quindi, si stabilisce che quando il credito eccede un certo importo (secondo il nostro c.c. l’importo
di € 2,58) la banca, per poter esercitare la prelazione pignoratizia sul prezzo ricavato dalla vendita del bene
in pegno nei confronti di terzi creditori concorrenti (ad es. nel caso di fallimento del debitore) deve
dimostrare che il contratto di pegno, concluso con il cliente, risulti da scrittura con data certa e contenga
sufficienti indicazioni del credito (il contratto di affidamento garantito) e la sufficiente indicazione della cosa
data in garanzia (titoli, oggetti, libretti, crediti, ecc. ecc).
Tale indicazione, come più volte ritenuto dalla giurisprudenza, può essere desunta in via indiretta, in base
ad elementi che comunque portino alla identificazione del credito garantito, che siano presenti all’interno
della scrittura o anche ad essi esterni, purché il documento contenga indici di collegamento utili
all’individuazione del credito e della cosa.
Rimane, al contrario, inopponibile la prelazione se, per la genericità delle espressioni usate nel contratto (ad
es. di banca) il credito garantito possa essere individuato solo con l’ausilio di ulteriori elementi esterni o
futuri (ad es. affidamenti derivanti da futuri contratti), ancor più se non preesistenti o almeno coevi alla
formazione della scrittura di pegno; in pratica non sarebbe ammissibile, per la giurisprudenza, il c.d. pegno
omnibus costituito in previsione di indeterminate ed eventuali operazioni creditizie.
Emerge, quindi, che mentre lo spossessamento del bene può avvenire in vari modi (presso il creditore o
presso un terzo), i requisiti formali (atto scritto, data certa, descrizione del credito e dell’oggetto del pegno)
sono ben determinati e specificati, pena la perdita della prelazione di fronte a quei terzi creditori che li
abbiano rispettati.
Il pegno c.d. omnibus
Nella prassi bancaria una clausola di frequente utilizzazione è quella che tende a consentire l’uso del pegno
come strumento di garanzia per tutti i rapporti intercorrenti tra il cliente e la banca o, ancora, la clausola che
mira a costituire diritto di pegno su tutti i titoli e valori del correntista che siano comunque detenuti dalla
banca o ad essa pervengano successivamente in garanzia di qualunque credito verso il correntista presente
e futuro.
Il problema è quello di stabilire se da clausole di questo tipo derivi una vera e propria invalidità del pegno
oppure, così come parrebbe dalla dizione letterale dell’art. 2787, comma 3°, c.c., soltanto una esclusione per
esso del diritto di prelazione.
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La giurisprudenza non ritiene ammissibile il pegno c.d. omnibus ossia il pegno costituito a garanzia
dell’adempimento di tutte le obbligazioni presenti e future del debitore nei confronti del creditore (a
differenza dell’ammissibilità della fideiussione c.d. omnibus).
Si afferma infatti che un pegno può essere validamente costituito con riguardo ad un debito futuro solo se
sussistono le seguenti condizioni:
- che sia stato indicato nel contratto di pegno il rapporto giuridico dal quale il debito potrà sorgere
- che tale rapporto sia già esistente nel momento in cui la garanzia viene prestata.
Si esclude pertanto non soltanto la possibilità di costituire il pegno omnibus (che garantisca cioè una
generalità di crediti presenti e futuri non determinati) ma anche la validità del pegno a garanzia di crediti
futuri nell’ipotesi in cui i rapporti giuridici che ne rappresentano la fonte, sebbene già individuati dalle parti,
non siano ancora venuti ad esistenza.
In sostanza la giurisprudenza ritiene che l’indicazione del credito richiesta dall’art. 2787, 3° comma, c.c.,
possa trovare completamento in dati estrinseci all’atto con il quale la garanzia è stata costituita, ma negando
che detta prescrizione possa ritenersi rispettata se il credito garantito può essere individuato soltanto tramite
elementi esteriori.
In questo caso si ritiene che la prelazione non sia opponibile ai terzi creditori non essendo possibile che i
rapporti giuridici, da cui potranno scaturire i debiti “futuri” che andranno ad accrescere il saldo negativo del
conto, siano sufficientemente indicati.
Non basterebbe per aggirare tale ostacolo la generica elencazione nell’atto costitutivo di pegno di “…. tutti i
contratti che potranno essere conclusi …” tra il cliente e la banca; occorrerebbe invece una puntuale
indicazione degli elementi essenziali di ciascuno di essi ma ciò non è certamente possibile non potendo le
parti prevedere quali saranno in futuro le esigenze del cliente.
Il problema si pone anche con riferimento alla contestualità della garanzia, in ipotesi di futuro fallimento del
garante, nel caso in cui la banca non sia in grado di dimostrare la corrispondenza della concessione
dell’affidamento con la concessione della garanzia.
Il pegno irregolare
Il concetto di pegno irregolare è legato a quello sulle cose fungibili, come il denaro, le merci o i titoli, che
sono sostituibili con altre dello stesso genere; la tipicità del pegno irregolare è prevista dall’art. 1851 c.c.
(pegno irregolare a garanzia di anticipazione bancaria) per il quale il pegno è irregolare “se a garanzia di
uno o più crediti , sono vincolati depositi di danaro, merci o titoli che non siano stati individuati o per i quali
sia stata conferita alla banca la facoltà di disporre.”
Il pegno irregolare comporta che le somme di danaro, saldi di conto e gli accrediti successivi, libretti di
deposito o i titoli depositati presso la banca diventano - diversamente che nell'ipotesi di pegno regolare - di
proprietà della banca stessa, che ha diritto a soddisfarsi, pertanto, non secondo il meccanismo normale di
cui agli artt. 2796-2798 c.c. (assegnazione o vendita della cosa data a pegno) che presuppone l'altruità delle
cose ricevute in garanzia, bensì direttamente sulla cosa, al di fuori del concorso con gli altri creditori.
Per stabilire se la costituzione in pegno di denaro o di un titolo di credito abbia natura regolare o irregolare,
occorre distinguere : se il denaro o i titoli non sono stati individuati al momento della consegna, ovvero,
nonostante la loro individuazione, si è espressamente conferito alla banca il potere di disporne, il pegno ha
natura irregolare, mentre , per contro,se il denaro o i titoli sono stati individuati senza conferire alla banca
la facoltà di disporne, il pegno ha natura regolare.
Caso tipico è la costituzione di pegno di un libretto di deposito bancario al portatore, costituito a favore della
banca depositaria che lo ha emesso; mentre si configura ipotesi di pegno regolare se la garanzia è stata
costituita a favore della banca sulle somme depositate (o su libretto acceso) presso un istituto di credito
diverso da quello che ha erogato il finanziamento garantito.
Quindi si configura come pegno irregolare soltanto allorché sia conferita espressamente alla banca la facoltà
di disporre del relativo diritto; l'attribuzione di tale facoltà, peraltro, non fa venir meno la finalità di garanzia
del pegno, almeno nella fase della costituzione; si verificherà la funzione solutoria soltanto nella successiva
fase di escussione della garanzia, attraverso un meccanismo “autosoddisfazione” della banca che la sottrae
dalla necessità di procedere in via esecutiva come previsto dalla legge (artt. 2796-2798 c.c.) salvo l'obbligo
di restituire l'eccedenza al debitore.
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Per la banca è interessante la costituzione del pegno irregolare in quanto, a differenza di quello assistito da
pegno regolare, in caso di fallimento del cliente debitore la banca non può (per carenza di interesse) e non è
tenuta ad insinuarsi nel passivo fallimentare (ai sensi dell'art. 53 l. fall.) per il soddisfacimento del proprio
credito, essendo la compensazione nel pegno irregolare la modalità tipica di esercizio della prelazione.
Le tipiche attività di escussione del pegno - come la liquidazione di titoli su disposizione dello stesso titolare
mediante autoliquidazione da parte dell’istituto di credito divenutone proprietario nel caso del pegno
irregolare o, secondo il meccanismo di cui agli art. 2796 e 2798 c.c., come avviene per il pegno regolare –
non vanno confuse con l’ipotesi della rimessa bancaria effettuata su conto corrente scoperto che trae origine
da un rimborso, richiesto dallo stesso correntista, di titoli a lui intestati, depositati presso la banca che non
ha costituito vero e proprio pegno ma ha solo mandato alla vendita dei titoli.
Tale operazione (che non rientra nella compensazione o nella disciplina dell’art. 53 l. fallimentare) è
assoggettabile a revocatoria fallimentare, ex art. 67 comma 2 l. fall., poiché, operando su un conto scoperto,
ne riduce in maniera consistente e durevole il saldo passivo.
Il pegno di titoli di credito e di strumenti finanziari
La disciplina del pegno di titoli di credito e strumenti finanziari trova molteplici disposizioni dal nostro
ordinamento giuridico : nel codice civile, in leggi speciali e decreti regolamenti attuativi di settore.
Va rilevato che si ritiene invalido il contratto di pegno su titoli qualora sia indeterminato o indeterminabile
l’oggetto di esso perché limitato del tutto genericamente ad indicare titoli e valori depositati o che verranno
depositati, sul conto/deposito, a garanzia reale esistente presso la Banca creditrice omettendo però di
specificare sia gli elementi propri di ciascuno dei titolo e valore e la correlata categoria di appartenenza.
Per i titoli cartacei che incorporano diritti di credito (c.d. cartolarizzazione del diritto) il pegno non ha effetto
se il vincolo di garanzia non si appone sul titolo (art. 1997 c.c.) e se non vengono adempiute le formalità
richieste dalla natura del titolo al portatore (art. 2003 c.c.) all’ordine (art. 2008 c.c.) o nominativo art.
2021c.c.).
Per i titoli privi del supporto cartaceo trova applicazione una disciplina speciale a seguito della c.d.
“dematerializzazione” degli strumenti finanziari composti di beni, materiali e immateriali e contratti.
L’elencazione degli strumenti finanziari è indicata agli artt. 1, 2° comma, del T.u.f. (Decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58: “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”) : valori
mobiliari che possono essere negoziati sul mercato mobiliare come, azioni, obbligazioni, buoni e certificati
del tesoro, contratti di opzione, future, swap, strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito,
ecc.
Le disposizioni normative, quindi, riguardano i titoli di credito ancora incorporati in documenti materiali e,
dall’altro, in quelle relative agli strumenti finanziari non più rappresentati da un documento cartaceo in
quanto “dematerializzati”.
- titoli di credito cartacei
Per giurisprudenza costante, il pegno di titoli di credito cartaceo non configura un pegno irregolare ai sensi
dell'art. 1851 c.c.; se il pegno di titolo di credito si configura come pegno regolare sarà semmai necessario
interpretare se - ferma la funzione di garanzia del trasferimento del titolo - si sia convenuto tra banca e
cliente di trasferire al creditore pignoratizio anche la titolarità del diritto incorporato nel titolo per poter
qualificare il pegno di titoli di credito come pegno regolare ovvero come pegno irregolare e quindi con
acquisto del titolo in favore del creditore che ne potrà disporre.
Il pegno di titoli di credito cartacei si attua mediante spossessamento del debitore pignoratizio e deve, ai fini
dell'efficacia erga omnes del vincolo sul diritto cartolare, essere attuato sul titolo (art. 1997 c.c.).
Trattandosi di titoli all'ordine (art. 2008 c.c.), la legittimazione del creditore pignoratizio all'esercizio del
diritto cartolare trae fondamento da una serie continua di girate, per i titoli al portatore dalla consegna (art.
2003 c.c.) o l'indispensabile adempimento della duplice intestazione nel titolo e nel registro dell’emittente
(art. 2021 c.c.) per i titoli nominativi.
Questo significa che, ove siano stati costituiti in pegno dei titoli cambiari all’ordine, la validità della girata
deve rispettare le regole della circolazione del titolo (es. artt. 15 e seguenti della legge sulla cambiale) ma
non già anche che una valida costituzione del pegno richieda la specifica girata con clausola "valuta in
garanzia", "valuta in pegno", od altra che al pegno faccia riferimento.
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Infatti il trasferimento del possesso del titolo alla banca (creditore pignoratizio) risultando dal documento e
dalla sua circolazione come per legge, assolve pienamente alla funzione di dimostrare ai terzi l'indisponibilità
del titolo da parte del debitore, restando il diritto di pegno della banca girataria affidato all’accordo con il
cliente.
Resta inteso che la banca – con riferimento alla posizione dei terzi che possono essere gli altri creditori del
girante - resterà tutelata dalla disciplina sulla "certezza" della data (art. 2787, comma 3, c.c.) ai fini
dell'opponibilità del vincolo.
- pegno strumenti finanziari dematerializzati
L’art. 34 del D. Lsg.24/6/1998, n. 213 (Disposizioni per l'introduzione dell'euro) prevede espressamente che
“1. I vincoli di ogni genere sugli strumenti finanziari disciplinati dal presente Titolo V, ivi compresi quelli
previsti dalla normativa speciale sui titoli di debito pubblico, si costituiscono unicamente con le registrazioni
in apposito conto tenuto dall'intermediario.
2. Possano essere accesi specifici conti destinati a consentire la costituzione di vincoli sull'insieme degli
strumenti finanziari in essi registrati; in tal caso l'intermediario è responsabile dell'osservanza delle istruzioni
ricevute all'atto di costituzione del vincolo in ordine alla conservazione dell'integrità del valore del vincolo ed
all'esercizio dei diritti relativi agli strumenti finanziari.
3. Le registrazioni di cui al presente articolo sono comunicate all'emittente nei casi e nei termini previsti dalla
legge.”
Sostanzialmente si attuano vincoli (e quindi pegni) senza la necessità di individuare la specie o il numero dei
titoli (rectius, strumenti finanziari) ma con riferimento al loro valore .
L’Art. 46 (Conti destinati a consentire la costituzione di vincoli sull’insieme degli strumenti finanziari in essi
registrati) del Regolamento CONSOB recante norme di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.
58 e del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213 in materia di mercati, prevede che :
“ 1. Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 34, comma 2, del decreto euro l’intermediario può accendere
specifici conti destinati a consentire la costituzione di vincoli sul valore dell’insieme degli strumenti finanziari
in essi registrati. Tali conti devono contenere le seguenti indicazioni:
a) data di accensione del conto;
b) natura del vincolo ed eventuali altre indicazioni supplementari;
c) data delle singole movimentazioni e indicazione della specie, quantità e valore degli strumenti finanziari
presenti nel conto;
d) data di costituzione del vincolo sugli strumenti finanziari;
e) titolare degli strumenti finanziari;
f) beneficiario del vincolo e indicazione, ove comunicata, dell’esistenza di convenzione fra le parti per
l’esercizio dei diritti;
g) eventuale data di scadenza del vincolo.
Per gli strumenti finanziari registrati in conto in sostituzione o integrazione di altri strumenti finanziari
registrati nel medesimo conto, a parità di valore, la data di costituzione del vincolo è identica a quella degli
strumenti finanziari sostituiti o integrati.
Quanto sopra evidenzia come la gestione della costituzione di vincoli degli strumenti finanziari sia
riconducibile alla figura del c.d. pegno “rotativo” proprio perché si è voluto attribuire rilevanza al fatto che
oggetto della garanzia pignoratizia non sia la cosa in sé, ma sostanzialmente il valore della stessa con la
possibilità di modificare/sostituire, nel tempo, lo strumento finanziario oggetto di garanzia.
Pegno c.d. “rotativo”
Il pegno “rotativo” esprime la fattispecie più rilevante del pegno sul valore, più che sulla cosa, e consiste nel
prevedere un patto – tra banca e cliente - di “rotatività” o un patto di “sostituzione” senza la necessità della
rinnovazione del compimento delle formalità richieste per la costituzione della garanzia pignoratizia.
E’ una forma di garanzia pignoratizia per cui, tra le parti, ci si accorda per sostituire l’oggetto della garanzia
determinando, in concreto, l’immissione e l’estromissione di beni (titoli, strumenti finanziari) nel corso del
rapporto di garanzia senza con questo determinare il sorgere di un nuovo rapporto di garanzia (molto
importante, ad esempio, ai fini dell’intervenuto consolido della garanzia in caso di fallimento del garante).
Nonostante la sostituzione del bene il contratto di pegno rimane unitario e lascia inalterata la decorrenza del
diritto di pegno (e la relativa prelazione) al momento iniziale della costituzione originaria del pegno.
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La giurisprudenza, ha riconosciuto da tempo la piena efficacia del pegno “rotativo”; in tale decisione, dando
una lettura meno formale della disciplina del pegno, si è affermata la validità e l’efficacia nei confronti dei
terzi del c.d. “patto di rotatività” individuando nel contempo le condizioni per la sua operatività ed
escludendo che esso produca effetti novativi alla garanzia costituita originariamente.
In primo luogo si è precisato che il patto può soddisfare ugualmente l’interesse del creditore e non ledere i
diritti degli altri creditori ove il bene, nuovamente vincolato a garanzia, non sia di maggior valore di quello
originario.
Il principio che si basa più sul valore dei beni oggetto della garanzia, rispetto alla cosa, non viene tanto in
considerazione con riferimento all’interesse del creditore a non veder diminuita la garanzia del suo credito
per effetto della fluttuazione del valore (prevalentemente dei titoli dati in garanzia), quanto piuttosto con
riguardo all’interesse degli altri creditori a che il patrimonio del debitore non venga depauperato
ulteriormente e progressivamente con l’assoggettamento alla garanzia di beni per un valore maggiore
rispetto a quello iniziale della garanzia stessa: si tutela, quindi, la par condicio creditorum in base alla quale i
creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore (art. 2741 c.c.).
Nel “patto di rotatività” si è di fronte ad una fattispecie di formazione progressiva che trae origine
dall’accordo delle parti e si perfeziona con la sostituzione dell’oggetto del pegno senza necessità di ulteriori
stipulazione (nuovi contratti con nuova decorrenza) e quindi nella continuità del rapporto originario; pertanto
l’unico atto da considerare è quello di costituzione del vincolo originario, anche ai fini della contestualità della
garanzia in relazione al concessione dell’affidamento.
Anche se le pronunzie giurisprudenziali hanno sempre contemplato soltanto fattispecie di sostituzione
dell’oggetto senza mai prendere in considerazione l’ipotesi di integrazione, si può osservare che la
regolamentazione dettata per disciplinare il vincolo sull’insieme degli strumenti finanziari registrati su un
apposito conto prevede – a parità di valore – sia la sostituzione (per scadenza dei titoli) sia l’integrazione
(per diminuzione del valore) degli strumenti finanziari.
Il D.Lgs. 21/5/2004 n. 170 (LE “GARANZIE FINANZIARIE”)
In particolare il d.lgs. 21/5/2004 n. 170 sui contratti di “garanzia finanziaria” dispone :
- all’art. 1 lett. g) di poter inserire la c.d. “clausola di sostituzione” che prevede la possibilità di sostituire in
tutto o in parte l’oggetto della garanzia, nei limiti di valore originariamente costituiti in garanzia;
- all’art. 2 dello stesso testo prevede che agli effetti di cui agli artt. 66 e 67 l.f. la prestazione della
garanzia in conformità ad una clausola di sostituzione non comporta costituzione di una nuova garanzia
e si considera effettuata alla data della prestazione della garanzia originaria;
- all’art. 5 si prevede che il creditore pignoratizio può disporre, anche mediante alienazione, delle attività
finanziarie oggetto del pegno, se previsto nel contratto di garanzia finanziaria.
Il creditore pignoratizio, che si sia avvalso della facoltà indicata, ha l’obbligo di ricostruire la garanzia
equivalente in sostituzione della garanzia originaria entro la data di scadenza dell’obbligazione finanziaria
garantita; la ricostruzione della garanzia equivalente non comporta costituzione di una nuova garanzia e si
considera effettuata alla data di presentazione della garanzia originaria.
Come momento di determinazione dell’equivalenza dei valori dei beni sostituiti va fatto riferimento al valore
(dei titoli o degli strumenti finanziari) al momento della loro sostituzione (con tutte le conseguenze, per la
banca, derivanti dalla diminuzione del valore dei titoli che potranno quindi essere sostituiti solo entro I limiti
di tale ultimo valore).
La giurisprudenza, non più recente (cfr. la citata Cass. 5264/1998, anteriore al D.Lgs. 170/2004) tenderebbe
a considerare, al contrario, tra le condizioni di ammissibilità del c.d. “patto di rotatività” che “… la sostituzione
dell’oggetto della garanzia (avvenga) entro i limiti di valore dei beni originariamente dati in pegno”.
In realtà la legge parlando di “…limiti di valore originariamente costituiti in garanzia “ impone un valore
massimo sostituibile alla scadenza (naturale o convenuta con il cliente), ma nulla dice sul fatto che il valore
da considerare dovrebbe essere il valore dei beni al momento della loro sostituzione.
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L’IPOTECA
L’ipoteca in generale e la sua costituzione
L’ipoteca è un diritto reale di garanzia che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene sul quale
l’ipoteca è costituita e di essere soddisfatto con preferenza (“prelazione”) sul prezzo ricavato
dall’espropriazione (art. 2808 c.c.).
Beni oggetto dell’ipoteca possono essere gli immobili con le loro pertinenze, i mobili registrati nei pubblici
registri (ad es. un’autovettura, un’imbarcazione) e i diritti reali di godimento (usufrutto, superficie, uso ecc.).
Anche se il bene viene alienato, o passa a terzi per successione ereditaria, dal debitore a terze persone non
debitrici, l’ipoteca segue il bene (è il c.d. “diritto di sequela” o “di seguito”); il terzo è quindi esposto
all’espropriazione soltanto per aver acquistato il bene ipotecato o per averlo ereditato.
Per evitare l’espropriazione il terzo può: a) pagare i crediti iscritti; b) rilasciare i beni ipotecati; c) liberare i
beni dalle ipoteche mediante la “liberazione“ delle ipoteche (art. 2889 c.c.) con la quale egli offre ai creditori
il prezzo stipulato per l’acquisto o il valore da lui stesso dichiarato.
Per il principio di “specialità” l’ipoteca deve essere iscritta per una somma determinata di denaro, tenendo
presente che, ai sensi dell’art. 2855, 2° comma, c.c. (a norma del quale, qualunque sia la specie d’ipoteca,
l’iscrizione di un capitale che produce interessi fa collocare nello stesso grado gli interessi dovuti, purchè ne
sia enunciata la misura nell’iscrizione) si evince che l’enunciazione, nell’iscrizione ipotecaria, della misura
degli interessi è condizione per il riconoscimento della prelazione degli stessi.
Invero solo l’esatta indicazione del capitale e del tasso di interesse applicato permette ai soggetti terzi di
poter verificare l’eventuale sussistenza di capienza del bene confrontando il valore del medesimo e
l’ammontare per capitale e interessi delle (eventuali varie) ipoteche iscritte.
Dalla “specialità” deriva la determinatezza della garanzia che sta a significare che la legge non consente al
creditore di estendere il vincolo ipotecario a un credito diverso da quello garantito (ipotesi di ipoteca c.d.
omnibus.
Inoltre, l’ipoteca continua a garantire l’intero credito sino a quando non sia totalmente estinto; essa perciò
sussiste anche se il debitore ha pagato una parte del debito (salvo il diritto di riduzione dell’ipoteca, come
nel caso dell’ipoteca fondiaria, di cui oltre).
Per il principio di “indivisibilità” dell’ipoteca, in caso di divisione del bene o anche successione mortis causa, il
creditore mantiene la facoltà di agire esecutivamente per il recupero del credito sopra l’intero bene, non
configurandosi nessuna ripartizione del debito “pro quota” in capo ai soggetti divenuti proprietari del bene
ipotecato; ciò comporta che, se a garanzia di un solo credito sono ipotecati più beni, il creditore può, a sua
scelta, espropriare uno qualsiasi di essi e soddisfarvi l’intero credito.
anche la quota di un bene indiviso può formare oggetto di ipoteca; l’art.2825 c.c. statuisce che l’ipoteca
iscritta sulla quota di uno dei partecipanti alla comunione produrrà effetto rispetto ai beni o a quelle porzioni
di beni che risulteranno assegnate in sede di divisione del bene comune.
Nell’ipotesi in cui al condividente, che aveva concesso ipoteca, venga attribuito un immobile diverso da
quello gravato, l’ipoteca si trasferirà su tale bene, con onere delle nuova iscrizione a carico del creditore
interessato; se, invece, nessun immobile è assegnato al condividente il creditore farà valere il suo diritto
sulle somme a lui attribuite a titolo di sostituzione o di conguaglio.
Poiché – ai sensi dell’art. 818 c.c. – la cosa accessoria segue il destino della cosa principale, l’ipoteca si
estende ai miglioramenti, alle costruzioni e alle altre accessioni della cosa ipotecata.
È ammessa l’iscrizione sopra una cosa futura (ad es. un immobile da costruire), anche se è stato sottolineato
che l’art. 2823 c.c. prevede espressamente che il vincolo ipotecario su un bene futuro possa essere
validamente iscritto solamente allorquando il bene venga ad esistenza.
La pubblicità delle ipoteche ha natura costitutiva (iscrizione) in quanto essa viene ad esistenza solo dopo che
è stata iscritta nel pubblico registro delle ipoteche presso la Conservatoria dei Registri immobiliari ove si
trova il bene immobile; infatti, l’ordine di preferenza non è determinato dal titolo (ad es. sentenza), ma dal
momento (data) dell’iscrizione.
Ogni iscrizione riceve un numero d’ordine e questo determina il grado dell’ipoteca; nel caso vi sia identità di
numero vi sarà una ripartizione proporzionale tra i creditori con numero uguale.
I creditori ipotecari (garantiti cioè nel loro credito da un’iscrizione ipotecaria con un certo grado di preferenza
rispetto ad altri creditori ipotecari o chirografari) possono scambiare il loro grado con altri creditori ipotecari
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(c.d. “postergazione di grado”) avanzando nella “classifica“ ma nei limiti del valore del credito garantito
dall’ipoteca in cui si è subentrati.
La pubblicità ipotecaria si attua con:
- iscrizione: effettuata ad opera del conservatore dei Registri Immobiliari e riguarda il capitale, gli interessi
(triennali, art. 2855 c.c.), le spese di iscrizione e le spese legali;
- annotazione: che serve a rendere pubblico il trasferimento dell’ipoteca a favore di un’altra persona (per
postergazione, cessione del credito); altra vicenda da annotare è la riduzione dell’ipoteca (art. 2872 c.c.)
che ha luogo quando il valore del bene risulta eccessivo rispetto al credito garantito.
- rinnovazione: l’iscrizione ipotecaria conserva la sua efficacia per 20 anni dalla sua data: la rinnovazione
serve ad evitare che si verifichi l’estinzione dell’iscrizione. La rinnovazione dovrà quindi essere eseguita
prima del decorso dei venti anni, altrimenti l’ipoteca – che si può comunque iscrivere nuovamente –
riprende il grado dalla nuova iscrizione con il rischio di vedersi sopravanzare da altri creditori con gradi
migliori o addirittura perdere il bene perché nel frattempo terzi potrebbero aver trascritto un atto di
compravendita del bene a loro favore;
- cancellazione: che ha luogo quando, di regola, il debito è estinto o quando il creditore rinunzia; la
cancellazione può essere consentita dal creditore o dal giudice con sentenza passata in giudicato.
Va precisato che, se l’iscrizione ha valore costitutivo, la stessa non sana i vizi da cui sia eventualmente
affetto l’atto (sentenza, decreto, contratto di mutuo) di concessione di ipoteca.
Quindi, se il titolo costitutivo è nullo o annullabile, l’ipoteca sarà nulla o annullabile.
Tipi di ipoteca
L’ipoteca può essere legale, giudiziale o volontaria.
- L’ipoteca legale è quella che trova origine nella volontà del legislatore il quale ritiene che determinate
situazioni creditorie debbano trova specifica tutela.
Quali esempi di ipoteca legale si evidenziano a) l’ipoteca iscritta d’ufficio, ai sensi dell’art. 2817 c.c, dal
conservatore dei Registri Immobiliari in favore del venditore di un immobile, per l’adempimento degli
obblighi derivanti dal contratto di compravendita (ad es. il pagamento del prezzo); b) in favore dei coeredi,
soci e ai condividenti per il pagamento dei conguagli (ad es. somme dovute in occasione di un divisione
immobiliare);
- L’ipoteca giudiziale è quella iscritta – ai sensi dell’art. 2818 c.c. – sui beni del debitore ad istanza del
creditore a favore del quale sia stata emanata una sentenza (ancorchè non passata in giudicato perchè
appellata) che importi il pagamento di denaro o un’ingiunzione di pagamento (decreto ingiuntivo
provvisoriamente esecutivo) per cui il debitore debba pagare una somma di denaro o debba adempiere una
data obbligazione o un lodo arbitrale che sia stato dichiarato esecutivo.
E’ interessante notare che è nulla l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale su beni immobili, già di proprietà del
debitore, ma da lui venduti anteriormente all’iscrizione e non può produrre effetti neppure se sia stata
accolta la domanda revocatoria, proposta ai sensi dell’art. 2901 c.c. dal creditore, per ottenere la
dichiarazione di inefficacia dell’atto di vendita nei suoi confronti.
- L’ipoteca volontaria – ai sensi dell’art. 2821 c.c. – trova origine in una dichiarazione di volontà unilaterale,
eventualmente contenuta in un contratto, del soggetto concedente.
È richiesta la forma scritta “ad substantiam”, come del resto per la costituzione dei diritti reali.
Ipoteca fondiaria
E’ rilevante richiamare, preliminarmente, il recente indirizzo giurisprudenziale per cui il superamento del
limite di finanziabilità - in ipotesi di somma erogata per mutuo fondiario che non rispetti il rapporto relativo
al valore del bene ipotecato (art. 38 T.U.B.) – non determina più la nullità del mutuo e della relativa ipoteca
iscritta a garanzia.
Dall’art. 39 del Testo Unico Bancario si ricava che :
- Le ipoteche a garanzia dei finanziamenti fondiari non sono assoggettate a revocatoria fallimentare quando
siano state iscritte dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento; l'art. 67
della legge fallimentare, che prevede la revocatoria dei pagamenti del fallito ante fallimento, non si applica ai
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pagamenti effettuati dal debitore a fronte di crediti fondiari (fatto salvo l’uso “distorto” del finanziamento
fondiario per estinguere precedenti esposizione della banca;
- I debitori, ogni volta che abbiano estinto la quinta parte del debito originario, hanno diritto a una riduzione
proporzionale della somma iscritta; essi hanno inoltre il diritto di ottenere la parziale liberazione di uno o più
immobili ipotecati quando, dai documenti prodotti o da perizie, risulti che per le somme ancora dovute i
rimanenti beni vincolati costituiscono una garanzia sufficiente ai sensi dell'articolo 38 T.U.B.
- In caso di edificio o complesso condominiale, il debitore e il terzo acquirente del bene ipotecato hanno
diritto alla suddivisione del finanziamento in quote e, correlativamente, al frazionamento dell'ipoteca a
garanzia; il conservatore dei registri immobiliari annota la suddivisione e il frazionamento a margine
dell'iscrizione presa.
Ipoteca “fiscale”
Secondo una recente pronuncia della Cassazione, l’ipoteca “fiscale” non è un'ipoteca legale, perché questa
ha la caratteristica di essere un'ipoteca che viene iscritta "in automatico" su determinati beni immobili
oggetto di negoziazione a rafforzamento degli obblighi derivanti dal contratto da cui essa origina.
L'ipoteca “fiscale” invece richiede un'attivazione del creditore e non ha come presupposto un atto negoziale.
Né l'ipoteca del fisco è una ipoteca giudiziale: questa, pur dovendosi iscrivere su istanza di parte, ha il
proprio presupposto in un provvedimento giurisdizionale mentre l'ipoteca “fiscale” trova titolo in un
provvedimento amministrativo.
Si tratterebbe, in sostanza, di un quartum genus di ipoteca, poiché, secondo la Cassazione, non vi è alcuna
necessità di incasellarla in una delle tre tipologie di ipoteca previste dal Codice civile.
Dato dunque che si tratta di una fattispecie autonoma e dato che l'articolo 67 della legge fallimentare
prevede la revocabilità solo delle ipoteche volontarie e giudiziali, l'ipoteca del fisco non si presta ad essere
oggetto di revocatoria e ciò anche perché si tratta di una cautela che la legge ha voluto assicurare
all'amministrazione finanziaria in ragione della finalità pubblicistica che è insita nell'attività di riscossione
delle entrate erariali.
Cancellazione - Estinzione
Il nuovo art. 40bis del Testo Unico Bancario prevede:
- ai fini di cui all'articolo 2878 del codice civile, e in deroga all'articolo 2847 del codice civile, l'ipoteca iscritta
a garanzia di obbligazioni derivanti da contratto di mutuo stipulato o accollato a seguito di frazionamento,
anche ai sensi del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, ancorché annotata su titoli cambiari, si
estingue automaticamente alla data di estinzione dell'obbligazione garantita;
- il creditore rilascia al debitore quietanza attestante la data di estinzione dell'obbligazione e trasmette al
conservatore la relativa comunicazione entro trenta giorni dalla stessa data, senza alcun onere per il debitore
e secondo le modalità determinate dall’Agenzia del territorio;
- l'estinzione non si verifica se il creditore, ricorrendo un giustificato motivo ostativo, comunica all'agenzia
del territorio e al debitore, entro il termine di cui al comma 2 e con le modalità previste dal codice civile per
la rinnovazione dell'ipoteca, che l'ipoteca permane. in tal caso l'agenzia, entro il giorno successivo al
ricevimento della dichiarazione, procede all'annotazione in margine all'iscrizione dell'ipoteca e fino a tale
momento rende comunque conoscibile ai terzi richiedenti la comunicazione di cui al presente comma;
- decorso il termine di cui al comma 2 il conservatore, accertata la presenza della comunicazione di cui al
medesimo comma e in mancanza della comunicazione di cui al comma 3, procede d'ufficio alla cancellazione
dell'ipoteca entro il giorno successivo e fino all'avvenuta cancellazione rende comunque conoscibile ai terzi
richiedenti la comunicazione di cui al comma 2;
- per gli atti previsti dal presente articolo non è necessaria l'autentica notarile;
- le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai mutui e ai finanziamenti, anche non fondiari,
concessi da banche ed intermediari finanziari, ovvero concessi da enti di previdenza obbligatoria ai propri
dipendenti o iscritti.
L’ipoteca si estingue per le cause indicate nell’art. 2878 c.c. e da questa ne deriva il venir meno del diritto
stesso (a differenza della rinnovazione che consente di reiscrivere l’ipoteca).
Dato il carattere accessorio dell’ipoteca, se il credito si estingue per prescrizione (o altra causa), si estingue
anche l’ipoteca e se ne ottiene la cancellazione.
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LE GARANZIE ATIPICHE
La atipicità di alcune garanzie utilizzata dalla banca a tutela del credito deriva dalla estensione della causa
contrattuale della funzione tipica del contratto (cessione di un credito o mandato ad incassarlo) o
dell’istituto utilizzato; il contratto non riveste, quindi, solo la finalità tipica prevista dalla legge ma, per la
banca, assume una ulteriore funzione di garanzia.
Altre fattispecie costituiscono una figura contrattuale intermedia (fra il deposito cauzionale e la fideiussione)
avendo come parte un'impresa di assicurazione, assolvendo alla funzione non di copertura di un rischio ma
solo di garantire il pagamento di una cauzione.
Spesso vengono assunte tali garanzie atipiche in mancanza di alternative ; per il creditore il rischio è che,
mancando una disciplina specifica, come una vera e propria garanzia, si dovrà ricorrere all’azione giudiziaria
tipica prevista per il contratto (assicurazione, mandato, cessione di credito, responsabilità pre-contrattuale,
ecc.) o di volta in volta in relazione al contenuto delle varie clausole contrattuali.
La cessione del credito
La cessione del credito interessa alla banca in funzione di garanzia (atipica) quando l’incasso del credito
ceduto costituisce, sin dall’inizio, il modo con il quale si rientra da un finanziamento concesso a un cliente.
Di solito la cessione è a titolo oneroso, cioè verso corrispettivo (ad es. la banca finanzia e ottiene in cambio
la cessione dei crediti del cliente) e in garanzia c.d. “ pro solvendo” (art. 1266, 1° comma, c.c.); quindi, se il
credito ceduto risulterà insoluto, il cedente-garante è tenuto a restituire quanto ottenuto con il
finanziamento o comunque dovrà pagare il debito ceduto e non onorato (il c.d. “salvo buon fine”) al
cessionario-finanziatore (banca).
Va osservato che in caso di cessione del credito grava sul cessionario (banca), che agisca nei confronti del
cliente cedente, dare la prova dell'esigibilità del credito e dell'insolvenza del debitore ceduto.
La forma della cessione è libera; nella cessione dei crediti verso gli enti pubblici, la forma deve però essere
pubblica e notificata all’ente a mezzo dell’ufficiale giudiziario.
In ipotesi di finanziamento garantito dalla cessione di crediti, la banca dovrà farsi consegnare i documenti
giustificativi del credito ceduto: tipico caso è la consegna della copia delle fatture attestanti la merce il cui
prezzo costituisce oggetto del credito ceduto.
Peraltro la giurisprudenza ha precisato che, la cessione di credito, ai fini di una eventuale revocatoria
fallimentare, non ricade nell’ipotesi di pagamento “anomalo” se, tra la banca e il cliente, era stata prevista e
concordata contrattualmente la cessione sin dall’origine del rapporto di affidamento e quindi
contestualmente (con data certa) all’erogazione del finanziamento; sarà quindi pagamento “anomalo” e
revocabile (se effettuato entro l’anno anteriore al fallimento) una cessione di credito “occasionale” (es.
credito Iva) per pagare la banca del saldo debitore di un affidamento scaduto o revocato.
La costituzione della garanzia tra il garante (creditore cedente) e il garantito (banca cessionaria) si distingue
dal suo perfezionamento verso il terzo (debitore ceduto); non è peraltro necessario che il debitore ceduto sia
d’accordo o sia a conoscenza della cessione ma è consentito alla parti poter escludere (cfr. le grandi
aziende) aprioristicamente la cessione del credito (art. 1260, 2° comma, c.c.).
Appare quindi importante il momento in cui la cessione, che si conclude tra il cedente-garante e la bancacessionaria per effetto del semplice accordo, diventa opponibile e quindi efficace anche verso i terzi.
All’uopo occorrono delle formalità aggiuntive (art. 1264 c.c.) che generano effetti verso:
- il debitore ceduto che non potrà liberarsi della sua obbligazione pagando il debito al creditore che ha
ceduto ad altri il credito, dal momento in cui la cessione gli sia stata notificata o l’abbia accettata (art.
1264, 1° comma, c.c.); la cessione è in ogni caso vincolante per il debitore ceduto se – a prescindere
dalla avvenuta notifica – si dimostra che lo stesso era comunque a conoscenza dell’avvenuta cessione o
abbia avuto un comportamento conforme alla intervenuta cessione; eventuali cessionari, quando lo
stesso credito sia stato oggetto di più cessioni (art. 1265 c.c.); in questo caso una cessione, per
prevalere rispetto alle altre, deve essere stata notificata o accettata – con data certa – prima delle altre
cessioni;
- i creditori del cedente che potrebbero vantare delle legittime aspettative sulle somme che il cedente
avrebbe dovuto incamerare dal debitore ceduto.
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Il problema sorge se il credito (che costituisce sempre un bene presente o futuro ex art. 2740 c.c.) sia stato
oggetto di azioni esecutive (ad es., il pignoramento) da parte dei creditori del cedente o sia stato “attratto”
all’interno del fallimento del cedente.
In questo caso – se la cessione è perfetta anche per quanto riguarda la ritualità delle notifiche o delle
accettazioni, ex art. 1265 c.c. – il fatto che il pignoramento o il fallimento sia successivo consente al
cessionario (es. banca) del credito di godere della cessione a scapito della attività giudiziarie messe in opera
da parte dei creditori pignoratizi o del curatore fallimentare.
Infatti in caso di fallimento di colui che cede il credito ad altri, ai fini della sua opponibilità al fallimento (per
dimostrare innanzitutto che è avvenuto prima della sentenza dichiarativa del fallimento) e ai fini
dell’eventuale azione revocatoria, la cessione deve essere notificata al debitore con data certa ante
fallimento, a prescindere dalla sua effettiva conoscenza dell’avvenuta cessione.
Se il debitore ceduto, perfezionata la cessione come sopra detto, paghi ugualmente al suo creditore
originario (il cedente), dovrà pagare nuovamente al cessionario che gli intimi di pagare, e successivamente
chiedere al cedente la restituzione – anche con l’azione di indebito arricchimento, ex art. 2041 c.c. – delle
somme già corrisposte.
A seguito della cessione, il cessionario subentra nella stessa posizione del cedente verso il ceduto.
Il cessionario, quindi, potrà essere soggetto a tutte le eccezioni che il ceduto poteva rivolgere al cedente (es.
inadempienza nel contratto, vizi della merce o nella prestazione, compensazione con crediti verso il
cedente).
Se invece la cessione è caratterizzata dal fatto che il ceduto ha pure accettato formalmente la cessione del
credito (e quindi non vi è solo la notificazione), questi non potrà compensare un suo credito che aveva verso
il cedente originario e non potrà sollevare eccezioni o contestazioni circa l’esecuzione del contratto o la
presenza di vizi o l’intervenuto pagamento post notificazione.
Per tali evidenti ragioni, la banca, in presenza di cessione di crediti, non dovrà accontentarsi della semplice
notifica, ma dovrà premunirsi anche di un’accettazione da parte del debitore ceduto.
Il mandato irrevocabile all’incasso
Nel mandato irrevocabile all’incasso il soggetto (titolare del credito) che ottiene un finanziamento può,
anziché cedere i propri crediti conferire mandato irrevocabile ad incassare i crediti ad un terzo finanziatore
(banca); si avvicina molto alla cessione del credito, ma se ne differenzia in quanto non vi è la cessione del
credito, bensì il soggetto che ottiene un finanziamento conferisce mandato irrevocabile (al fine di costituire
una garanzia) ad incassare il credito al terzo.
In questo modo viene attribuita alla banca finanziatrice la possibilità di utilizzare le somme che incasserà per
estinguere o decurtare il debito del cliente debitore, anche per mezzo della compensazione tra le reciproche
ragioni di dare e avere.
Il requisito dell’irrevocabilità è essenziale e di fatto ineliminabile, soprattutto al fine di attribuire all’istituto (a
favore della banca) un’efficacia di garanzia; infatti la revoca del mandato attribuito alla banca finanziatrice
farebbe venir meno il presupposto (la garanzia) che ha permesso il finanziamento.
Soccorre all’uopo l’art. 1723, 2° comma, c.c. per il quale non è revocabile un mandato conferito in rem
propriam, e cioè anche nell’interesse del mandatario (banca), salvo sempre un diverso accordo o la presenza
della giusta causa.
E nel caso di finanziamento effettuato dalla banca al suo cliente, non c’è dubbio che siamo in presenza di
mandato “in rem propriam” in quanto l’interesse del mandatario banca sarà certamente quello di ottenere la
garanzia; l’efficacia di contratto con natura solutoria, che la giurisprudenza riconosce al mandato irrevocabile
all’incasso, determina il diritto del finanziatore di estinguere o decurtare immediatamente con le somme
incassate, il debito del mandante.
La conseguenza è che il mandato all’incasso con effetto solutorio potrebbe avvicinarsi ad una cessione di
credito, con la quale il mandante-cedente si spoglia delle ragioni creditorie a favore del mandatariocessionario.
In realtà, si contesta da parte della giurisprudenza, l’assimilazione dei due istituti: infatti il creditoremandante, a differenza del creditore-cedente, non trasferisce il suo diritto a favore di un terzo finanziatore
(mandatario); quest’ultimo agisce sempre in nome e per conto altrui e quindi è sempre estraneo al rapporto
sottostante tra il mandante e il suo debitore, per cui il mandatario “in rem propriam” (ampiamente tutelato
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circa l’irrevocabilità del conferimento del mandato) non sopporterà nessun rischio e non gli si potrà opporre
alcuna eccezione, come invece avviene in ipotesi di cessione di credito accettata.
La soluzione migliore per il mandatario (banca), per evitare che il debitore rimanga liberato anche se paga al
mandante che ha ricevuto il finanziamento a seguito della concessione del mandato irrevocabile, sarà quella
di notificare al debitore ceduto l’avvenuto conferimento del mandato, con il suo preciso impegno a pagare
nelle mani del mandatario.
La lettera di patronage
Si tratta, in genere, di una dichiarazione, normalmente in forma di lettera di intenti, che un soggetto (c.d.
patronnant - patrocinante) rilascia ad un’istituzione finanziaria, al fine di promuovere la concessione o il
mantenimento di una linea di credito in favore di un terzo (c.d. patrocinato) al quale il dichiarante è legato
da un rapporto qualificato (ad es. di controllo, di partecipazione, di coordinamento) contenente elementi
idonei a rassicurare il finanziatore circa il buon esito dell’operazione patrocinata.
Le lettere di patronage sono in pratica atti a contenuto patrimoniale con efficacia vincolante e manifestano la
volontà del dichiarante di porre in essere rapporti meritevoli di tutela giuridica; dalla varietà di contenuto
delle lettere rilasciate ai terzi finanziatori si evidenzia che non sempre la dichiarazione del terzo patrocinante
contiene un impegno verso la banca per garantire il reperimento dei mezzi necessari per far fronte al debito
della controllata.
A volte infatti, le c.d. lettere di patronage “deboli” possono contenere solamente la dichiarazione di solvibilità
del patrocinato (es una società controllata) e l’impegno del patronnant (es la controllante) a comunicare
eventuali cambiamenti nella detenzione del “pacchetto” azionario della controllata; e verrà quindi a mutare il
vero e proprio effetto di garanzia.
In tali ipotesi, quindi, se dallo stesso tenore della lettera si deduce che la controllante ha solamente voluto
dichiarare la solvibilità e professionalità del debitore o comunicare alla banca eventuali cessioni di
partecipazioni sulla controllata, vi sarà o una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., oppure una
responsabilità extracontrattuale per dichiarazioni mendaci ex art. 1439, 2° comma e 2043 c.c..
La funzione delle lettere di patronage c.d. “forti” – pur non essendo quella di "garantire" l'adempimento
altrui nel senso in cui tale termine viene assunto nella disciplina della fideiussione – consiste, invece, nel
rafforzare nel creditore, cui la dichiarazione è indirizzata, il convincimento che il patrocinato farà fronte ai
propri impegni; può esplicarsi anche mediante la posizione di influenza e controllo ricollegabile ad una
significativa partecipazione azionaria (non necessariamente maggioritaria) nella società patrocinata.
Ne deriva che – in tale situazione - la carenza di una partecipazione, pur se affermata dal patrocinante,
incidendo sull'impegno da questi assunto ai sensi dell'art. 1333 c.c. (contratto con obbligazioni del
proponente) nei confronti del destinatario della lettera, non già nel senso di eliderlo, ma in quello di non
consentire l'esecuzione della prestazione dovuta per fatto proprio del debitore, integra inadempimento ai
sensi dell'art. 1218 c.c. (responsabilità del debitore in generale).
La eventuale funzione di garanzia (negli interessi della banca) nella lettera “forte” emerge se la dichiarazione
contiene l’impegno della controllante/patrocinante affinchè la società controllata/patrocinata paghi il debito
assunto con la banca, con la conseguenza che si verifica una situazione simile alla promessa del fatto di un
terzo (ex art. 1381 c.c.) per cui, qualora il terzo controllato non adempia a quanto promesso alla banca, sarà
la dichiarante/patrocinante/controllante a dover indennizzare il finanziatore banca (e non a dover pagare
l’obbligazione del patrocinato come un vero e proprio fideiussore).
Si può quindi affermare che, anche per tali dichiarazioni, che costituiscono certamente una forma di ulteriore
“cautela” per la banca, non godendo di tutela tipica degli istituti normativamente disciplinati, vanno applicati
i principi della correttezza e della buona fede contrattuale.
Le differenze tra la lettera di patronage come promessa del fatto del terzo (art. 1381 c.c.) e la garanzia
fideiussoria, sono:
- l’obbligazione del terzo è autonoma e non sussidiaria come nella fideiussione ed è diretta a ottenere la
prestazione da parte del debitore e non del promittente;
- il promittente è obbligato a pagare solo l’indennizzo al creditore mediante il risarcimento del danno e
non l’integrale adempimento della prestazione del garantito, mentre il fideiussore è tenuto all’integrale
adempimento dell’obbligazione garantita;
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mentre chi paga può surrogarsi nelle ragioni del creditore verso il debitore principale e i suoi garanti
(fideiussori), tra questi ultimi non rientrano certamente il promittente del fatto del terzo contro il quale
non si potrà agire in surroga delle ragioni del creditore.
Pur essendo pacifica la differenza tra lettera di patronage e fideiussione, si ritiene che anche alla prima si
applichi, per principio di carattere generale, la regola dell’art. 1938 c.c. che prevede la necessità di stabilire
un importo massimo che limiti la garanzia per le obbligazioni future del patrocinato.
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