ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
Ufficio stampa
Rassegna
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6 – 8 ottobre 2007
Responsabile :
Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected])
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
SOMMARIO
Pag. 3 CONFERENZA OUA:Dall’11 al via Conferenza Oua, ora partano riforme (ansa)
Pag. 4 FORMAZIONE FORENSE: Formazione continua: alcune riflessioni sulla
relazione illustrativa del Regolamento di Gianluca Gambogi – Avvocato
(diritto e giustizia)
Pag. 6 FORMAZIONE FORENSE: Consiglio nazionale forense - Relazione di
accompagnamento al regolamento per la formazione continua
Approvata il 20 settembre 2007 (diritto e giustizia)
Pag.17 PREVIDENZA FORENSE: La cultura previdenziale e finanziaria degli
avvocati - di Paolo Rosa - Presidente della Cassa Forense (diritto e giustizia)
Pag.19 PROFESSIONI: Una sfoltita alle funzioni notarili (italia oggi)
Pag.20 PROFESSIONI:Riforma e associazioni, si cerca un compromesso (il sole 24 ore)
Pag.21 MAGISTRATI: L'altra casta: meriti e privilegi dei magistrati (la stampa)
Pag.23 MAGISTRATI: Tra stipendi d’oro e travet (la stampa)
Pag.25 MAGISTRATI: I costi de processi non sono stratosferici (la stampa)
Pag.26 MAGISTRATI: I magistrati in Italia (la stampa)
Pag.27 ANTIRICICLAGGIO: Un filtro in più per l'antiriciclaggio (italia oggi)
Pag.28 MAGISTRATURA ONORARIA: Riforma della magistratura onoraria, del tutto
insoddisfacenti le proposte di via Arenula (diritto e giustizia)
Pag.29 FALLIMENTI: Fallimento anche per i consumatori (il sole 24 ore)
Pag.30 FALLIMENTI: Il progetto di riforma (il sole 24 ore)
Pag.31 MALAGIUSTIZIA: Settanta udienze, e l’imputato? Era morto (il messaggero)
Pag.32 CONVEGNI: Meeting point (diritto e giustizia)
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ANSA
Giustizia: dall’11 al via Conferenza Oua, ora partano riforme
(ANSA) - ROMA, 4 OTT - ''Se questa e' giustizia...una rinascita che non puo' attendere''. E'
questo lo slogan della seconda Conferenza Nazionale sulla Giustizia, organizzata dall'Organismo
unitario dell'Avvocatura (Oua), che si terra' a Roma dal 11 al 13 ottobre.
''Per la giustizia italiana e' sempre notte fonda,- si legge in una nota - un'emergenza democratica,
un freno per lo sviluppo del Paese, un danno per i cittadini.L'appuntamento vuole essere un grido
d'allarme, ma soprattutto un luogo dal quale ripartire per porre le basi per l'avvio di un concreto
processo riformatore''. Molte le figure di rilievo che parteciperanno all'iniziativa: ci sara' il
ministro della Giustizia, Clemente Mastella, il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, i
presidenti delle commissioni Giustizia di Camera e Senato, il presidente dell'Associazione
nazionale magistrati, Giuseppe Gennaro e il direttore generale di Confindustria, Maurizio
Beretta. Nel corso della Conferenza, si affrontera' il tema dei 'luoghi di composizione dei
conflitti', delle risorse necessarie e del funzionamento dei riti processuali, delle professioni della
giustizia (avvocatura, magistratura e personale amministrativo).
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Formazione continua: alcune riflessioni sulla relazione illustrativa del Regolamento
di Gianluca Gambogi – Avvocato
L’iscrizione all’albo: unico requisito per la sussistenza dell’obbligo di aggiornamento. Il Cnf, nel
corso della seduta del 20 settembre 2007, ha licenziato la relazione illustrativa al regolamento per la
formazione continua che lo stesso Cnf ebbe ad approvare sino dal luglio scorso. Come già avuto modo
di ricordare, anche su questo quotidiano, con l’introduzione dell’aggiornamento professionale gli
avvocati hanno visto trasformare quell’obbligo generico di curare la propria preparazione, già
contemplato nell’art. 13 del Codice Deontologico Forense, in uno specifico dovere di aggiornarsi
secondo modalità prestabilite (cfr., sul punto, G. Gambogi, «Prime brevi riflessioni sulla formazione
professionale obbligatoria», in «Diritto&Giustizi@» quotidiano, del 12 settembre 2007).Già dalla
lettura del regolamento emerge che quest’ultimo obbligo riguarda sia l’avvocato iscritto, che il
praticante abilitato al patrocinio ed è interessante notare come la successiva relazione illustrativa ha
evidenziato che l’obbligo stesso «[...] sussiste per il solo fatto dell’iscrizione nell’albo a prescindere
[...]» dal fatto che questa rifletta, o meno, un esercizio in atto dell’attività. Ciò significa che il dovere di
aggiornarsi sussiste anche per l’avvocato che svolga la propria attività in modo marginale, episodico o
anche discontinuo. È interessante notare che, a conferma inequivocabile di quanto sopra, la relazione
illustrativa ribadisca in maniera chiara che, per accertare l’attualità dell’obbligo formativo, non è
impiegabile il criterio dell’esercizio professionale con continuità che regola invece l’obbligo di
iscrizione alla Cassa di previdenza forense. Nessun dubbio quindi che l’unico requisito valido per
riconoscere la sussistenza del dovere di aggiornamento è quello della formale iscrizione all’albo degli
avvocati o al registro dei praticanti con patrocinio. Rimane semmai da segnalare che, così come peraltro
ben evidenzia la relazione, l’eventuale mancato esercizio effettivo della professione può
eccezionalmente rilevare ai fini del cosiddetto esonero e cioè dell’esenzione dall’obbligo così come
previsto dall’art. 5 del regolamento del 13/7/07. Giova ricordare che tale norma disciplina, ad esempio,
l’esonero per coloro che si trovano in delle particolari situazioni a causa delle quali non possono
esercitare la professione (gravidanza, parto, grave malattia o infortunio etc. etc.).È evidente che
l’esonero sarà accordato dal Consiglio dell’Ordine limitatamente al periodo di durata dell’impedimento
stesso.
La valenza deontologica del dovere di aggiornarsi. La relazione illustrativa in commento è altresì di
estremo interesse laddove specifica che l’essenza dell’obbligo formativo è caratterizzata da due
elementi: a) il mantenimento delle conoscenze già nel bagaglio culturale dell’avvocato; b)
l’aggiornamento della preparazione professionale. Ne consegue che, sempre stando a quanto riferito
nella relazione, «... l’aggiornamento è oggi inteso non più come mantenimento di conoscenze già
acquisite, bensì come processo culturale di crescita professionale». È ormai noto inoltre che tale dovere
presenta una vera e propria valenza deontologica non foss’altro per il fatto che l’art. 6 del regolamento
del 13 luglio 2007 stabilisce espressamente che costituisce illecito disciplinare il mancato adempimento
dell’obbligo formativo. Da evidenziare semmai, così come accennato in precedenza, che un obbligo
generico del dovere di curare la preparazione professionale era già desumibile dal combinato disposto
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degli artt. 12 e 13 del Codice deontologico forense. Con l’introduzione del regolamento per la
formazione professionale si è quindi passati da un generico obbligo ad un vero e proprio specifico
dovere di aggiornamento professionale.
L’attività prevalente. Uno degli aspetti più significativi della materia che qui interessa è senza dubbio il
raccordo operato dall’art. 1, comma 3, del regolamento del 13 luglio 2007 con la spendita
dell’indicazione, da parte dell’avvocato, dell’attività prevalente dal medesimo esercitata.
Innanzi tutto va ricordato che le norme sull’aggiornamento professionale riguardano l’attività
generalistica e prevalente degli avvocati (per l’attività specialistica sarà invece emanato un diverso
regolamento). Orbene per chi volesse usufruire delle possibilità indicate nell’art. 17 bis del Codice
deontologico forense, in virtù del quale è riconosciuta all’avvocato la possibilità di indicare tre materie
di attività prevalente, è prevista una precisa limitazione all’autonomia di scelta sulle tematiche oggetto
di aggiornamento. Ciò per il semplice motivo che l’avvocato, il quale si avvale della possibilità di
fornire le indicazioni consentite dal citato art. 17 bis, dovrà realizzare almeno 30 crediti formativi,
ovviamente nel triennio, relativi alle materie oggetto di indicazione. In pratica chi indicherà tre materie
prevalenti dovrà garantirsi crediti per un valore complessivo di 90 nel triennio suddivisi in 30 per ogni
specifica materia. Nella relazione illustrativa tale particolarità viene proprio indicata come «zoccolo
duro formativo specifico». È appena il caso di ricordare che quando ciò avverrà il minimo dei crediti
che l’avvocato dovrà raggiungere non sarà più 90, ma almeno 105, tenuto conto che in ogni caso nel
triennio almeno 15 crediti dovranno essere relativi all’aggiornamento deontologico e previdenziale.
Le attività del Consiglio dell’Ordine: l’obbligo di organizzare eventi formativi non onerosi. Infine, tra
gli aspetti più significativi della relazione, si deve certamente segnalare anche il passaggio in virtù del
quale il Cnf evidenzia come sia «[...] ben chiaro che il settore formazione può rappresentare la forma di
una lucrosa attività [...]». Proprio in virtù di ciò nella relazione si ricorda espressamente che l’art. 7,
comma 3, del regolamento 13 luglio 2007, stabilisce un particolare compito per i Consigli degli Ordini i
quali debbono favorire la formazione gratuita in misura tale da consentire a ciascun iscritto
l’adempimento dell’obbligo formativo, realizzando eventi formativi non onerosi. Pare quindi di poter
dire che la relazione illustrativa conferma pienamente una prima interpretazione data su questo punto
specifico del regolamento e cioè che gli Ordini, che costituiscono il fulcro dell’intero impianto sia per il
potere di accreditamento degli eventi, che per il potere di controllo sui percorsi formativi dei singoli
iscritti, debbano farsi carico anche di tale previsione. Del resto che si tratti di eventi gratuiti non può
davvero esservi dubbio in quanto il citato art. 7, comma 3, e la successiva relazione illustrativa,
ribadiscono che tali eventi possono determinare una contribuzione dei partecipanti con il limite
massimo del solo recupero delle spese vive sostenute. Pare a chi scrive che questa previsione sarà fonte
di numerose discussioni poiché è innegabile che un simile obbligo comporti un consistente aumento di
attività dell’Ordine ed anche una consequenziale necessità di reperire risorse economiche e finanziarie.
Peraltro la reale portata di questa previsione potrà essere apprezzata solo nel momento in cui i singoli
Consigli dell’Ordine emaneranno i propri regolamenti attuativi (qualche Ordine lo ha già fatto, molti si
accingono a farlo proprio in questo periodo).
Brevissime considerazioni conclusive. La relazione illustrativa nel suo complesso è senz’altro
condivisibile poiché specifica e chiarisce alcuni passaggi del regolamento che meritavano un intervento
interpretativo autentico. Certo alcuni argomenti potrebbero essere ulteriormente rimeditati, basti
pensare ad esempio che tra le attività formative non è stata inserita quella dei colleghi che esercitano
funzioni giudiziarie onorarie, che pure rappresentano sicuramente un settore nel quale l’aggiornamento
è intrinseco all’attività stessa. È da augurarsi pertanto che dopo un primo periodo di attuazione della
normativa si possano migliorare quegli aspetti della stessa che risulteranno incongrui.
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Consiglio nazionale forense
Relazione di accompagnamento al regolamento per la formazione continua
Approvata il 20 settembre 2007
Articolo 1 – Formazione professionale continua.
1. L’art. 1 individua al primo comma i soggetti destinatari delle disposizioni del Regolamento e cioè l’avvocato iscritto
all’albo ed il praticante con patrocinio.
Quanto al primo, l’inciso iscritto all’albo e la mancanza di un richiamo all’esercizio effettivo dell’attività professionale,
stanno a significare che l’obbligo di formazione continua sussiste per il solo fatto dell’iscrizione nell’albo a prescindere dal
se rifletta, o meno, un esercizio in atto dell’attività e perciò anche se quest’ultima, oltre al caso in cui non è svolta, sia
marginale, episodica, discontinua.
Ciò è conforme al principio – che viene in rilievo in materia di incompatibilità professionali (art. 3, RdL 1578/1933) - per
cui non è prevista un’iscrizione ai soli fini del titolo e, quale fattore che legittima di per sé l’attività, essa (iscrizione) innesca
la premessa per considerare operanti tutte le regole che disciplinano la professione.
Pertanto, ai fini di accertare l’attualità dell’obbligo formativo, non è impiegabile nemmeno il criterio dell’esercizio della
professione con carattere di continuità che, mentre regola l’obbligo di iscrizione alla Cassa di previdenza forense (art. 22/1
legge 20.9.1980, n. 576 in relazione all’art. 2, legge 21.7. 1975, n. 312), non rileva affatto in questa sede; con la
conseguenza che anche chi non esercita con carattere di continuità è tenuto a rispettare l’obbligo formativo.
Fermo il principio generale, l’eventuale mancato esercizio professionale può eccezionalmente rilevare ai fini dell’esenzione
dall’obbligo formativo solo nei casi ed alle condizioni previste dall’art. 5 e cioè – per quanto qui rileva - quando si tratti di
interruzione dell’attività non inferiore a sei mesi, o di suo trasferimento all’estero, sempre che l’interessato ottenga, su sua
specifica richiesta, un’espressa dispensa da parte del Consiglio dell’Ordine.
Quanto al praticante con patrocinio, è parso necessario includere anche questa figura nel novero dei soggetti destinatari
dell’obbligo, tenuto conto che la relativa abilitazione, negli affari in cui è riconosciuta la competenza, conferisce lo ius
postulandi pieno ed effettivo e l’attività è professionale a tutti gli effetti; come dimostra il fatto che, seppur su formula
diversa, anche il suo esercizio è subordinato al previo giuramento (art. 8/3 RdL 1578/1933), essa è controllata
disciplinarmente in relazione ad eventuali abusi o mancanze (art. 57, seconda parte, Rd 37/1934) e, soprattutto, rileva sotto il
profilo delle incompatibilità alla stessa stregua che se si trattasse di quella posta in essere da un avvocato (art. 13, Rd
37/1934).
Va tuttavia notato che il sorgere dell’obbligo formativo può, come no, coincidere col momento dell’iscrizione
dell’interessato nello speciale registro degli abilitati al patrocinio.
Infatti:
(i) coincidenza vi è se l’iscrizione avviene in momento coevo, o successivo, al rilascio del certificato di compiuta pratica;
(ii) coincidenza non vi è se l’iscrizione avviene nel corso del secondo anno di pratica quando, pur essendo ciò possibile,
l’interessato non ha ancora ottenuto il certificato di compiuta pratica.
Nel primo caso, l’obbligo formativo nasce nel momento stesso dell’iscrizione nel registro degli abilitati; nel secondo è
differito al giorno del rilascio del certificato.
La ragione di questa diversificazione è evidente: l’abilitato al patrocinio cui non sia stato rilasciato il certificato di compiuta
pratica, è ancora soggetto agli obblighi lato sensu formativi che gravano sul praticante semplice, controllato periodicamente
dal Consiglio dell’Ordine tramite l’analisi del libretto della pratica.
2. L’ultima parte del primo comma dell’art. 1 cit. definisce, in via generale, il contenuto dell’obbligo formativo specificando
che esso si esprime nelle due direzioni (i) del mantenimento e (ii) dell’aggiornamento della preparazione professionale.
Si tratta di aspetto centrale nell’ottica del regolamento; infatti, delinea l’essenza della formazione e fornisce
contemporaneamente precise indicazioni ai Consigli dell’Ordine circa la direzione che essi devono imprimere alla loro
attività.
In passato, la formazione era intesa come percorso di acquisizione conoscitiva che termina con l’ingresso nella vita
lavorativa e rispetto ad essa si concepiva il mantenimento come forma di aggiornamento delle conoscenze già acquisite.
L’aggiornamento è oggi inteso non più come mantenimento di conoscenze già acquisite, bensì come processo culturale di
crescita professionale.
Miglioramento e perfezionamento sono, perciò, i nuovi orizzonti della formazione.
La classe forense italiana non poteva restare indifferente al fatto che ad una formazione continua dell’avvocato così intensa
fanno riferimento la raccomandazione 2000(21) del Consiglio d’Europa del 25.10.2000, la risoluzione dell’11.2.1999 e la
raccomandazione on continuing training del 28.11.2003 del CCBE.
In sede europea, questo processo, inteso come attività di apprendimento non si snoda lungo tutta la vita professionale e che
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ha lo scopo di implementare le conoscenze, le abilità le competenze, è definito come lifelong learning ed è considerato un
fattore chiave per favorire la competitività e lo sviluppo economico.
Il regolamento per la formazione continua elaborato dal Consiglio nazionale forense si inserisce in questa prospettiva e l’art.
1 cit. rende chiaro che l’attività formativa non è solo quella che garantisce la manutenzione di ciò che si sa, ma si indirizza
soprattutto ad ampliare i confini delle conoscenze.
In questo senso, il comma quarto del cit. art. 1 secondo cui «Con l’espressione formazione professionale continua si intende
ogni attività di accrescimento ed approfondimento delle conoscenze e delle competenze professionali, nonché il loro
aggiornamento mediante la partecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico e forense», enuncia l’adesione del
Consiglio nazionale forense alla concezione della formazione professionale come lifelong learning.
Di ciò è necessario che i Consigli dell’Ordine tengano conto, sia nel predisporre i propri programmi formativi, sia nel
valutare la congruità ed efficienza di quelli eventualmente predisposti da altri, con un’attenzione costantemente rivolta
all’apprezzamento della qualità del prodotto nella prospettiva segnalata (apertura alle novità, oltre che manutenzione delle
conoscenze acquisite).
3. Il secondo comma dell’art. 1 stabilisce che i soggetti interessati dall’obbligo formativo hanno il dovere di partecipare alle
attività di formazione professionale continua.
A prescindere dalle indicazioni del regolamento, che il mantenimento e l’apprendimento di nuove conoscenze rappresentino
il contenuto di un dovere già esistente e per di più mediatamente giuridico, è reso evidente dal fatto che l’art. 1176, comma
2, c.c. introduce il metro di valutazione della perizia riferibile al complesso delle cognizioni tecniche richiedibili
all’interessato, frutto dello studio e dell’esperienza, presupposto oggettivo del contratto d’opera professionale.
Se è vero che l’obbligazione professionale è di mezzi, allora l’avvocato è impegnato a mettere a disposizione del cliente il
bagaglio di conoscenze utili al raggiungimento del fine; e poiché la prestazione deve essere eseguita con la diligenza
professionale appropriata, l’adempimento del dovere di aggiornamento è funzione del possesso della perizia adeguata al
caso, mentre quest’ultima è senz’altro esclusa dall’ignoranza.
Pertanto, l’aggiornamento già si pone – a prescindere dal Regolamento - sul versante dell’obbligazione giuridicamente
intesa perché è strumentale a garantire il possesso della perizia necessaria all’adempimento del compito.
Oltre a ciò il dovere presenta anche una valenza deontologica (quella che qui interessa esaminare) da apprezzare da due
concorrenti, ma diverse angolazioni.
(A) Da una prima angolazione, il riferimento contenuto nella norma si salda:
(i) con la previsione dell’art. 12 del Codice deontologico Forense (CdF), canone II, che, sotto la rubrica Dovere di
competenza ed in collegamento col principio generale per cui «l’avvocato non deve accettare incarichi che sappia di non
poter svolgere con adeguata competenza», ricorda come «l’accettazione di un determinato incarico professionale fa
presumere la competenza a svolgere quell’incarico»;
(ii) con l’art. 13 CdF per il quale «(…) è dovere dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione professionale,
conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali l’attività è svolta».
Da questo punto di vista, il riferimento dell’art. 6 Regolamento al fatto che costituisce «(…) illecito disciplinare il mancato
adempimento dell’obbligo formativo» (art. 6, comma 2, prima parte Regolamento), è esplicitazione di una regola da ritenersi
già contenuta nei citt. artt. 12 e 13 CdF.
(B) Da una seconda angolazione, la portata deontologica del dovere si apprezza compiutamente collegando la previsione in
commento con quella del terzo comma del cit. art. 1 ove si dice che «l’adempimento di tale dovere, con riferimento agli
ambiti in cui si comunica di esercitare l’attività professionale prevalente, è altresì condizione per la spendita
deontologicamente corretta, ai sensi dell’art. 17 bis del codice deontologico forense, dell’indicazione dell’attività prevalente
in qualsiasi comunicazione diretta al singolo o alla collettività».
In tal modo si può dire che il Regolamento integra il CdF poiché delinea i contorni della liceità deontologica della
comunicazione che ex art. 17 bis CdF l’avvocato può dare a proposito delle caratteristiche della propria attività.
Ne deriva che l’inadempimento dell’obbligo formativo rileva:
(iii) sempre, quale violazione apprezzabile ex artt. 12 e/o 13 CdF;
(iv) eventualmente (ed in tal caso in via cumulativa rispetto alla precedente violazione), se esso si accompagni alla
comunicazione di esercitare in un ambito prevalente, quando tale ambito è quello interessato dall’inadempimento
dell’obbligo formativo.
4. Come si è visto, il comma terzo del cit. art. 1 accenna all’attività prevalente.
Il punto corrisponde ad un altro aspetto di centrale rilevanza.
Per meglio comprenderne portata e significato, occorre richiamare il penultimo ed ultimo considerando del Regolamento
ove si fa cenno, rispettivamente, al fatto che la disciplina dell’aggiornamento riguarda l’attività generalista e prevalente con
rinvio a diverso regolamento per quella specialistica, e che sino all’adozione di quest’ultima, «anche per gli esercenti attività
specialistica ai sensi delle vigenti disposizioni di legge valgono gli obblighi e le modalità di espletamento
dell’aggiornamento previsti per gli esercenti attività generalista e prevalente».
La definizione concettuale di attività generalista e prevalente è apparentemente semplice: la prima è quella di chi esercita
senza limitazioni in tutti i campi di possibile espansione dell’attività professionale, la seconda è di chi esercita
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prevalentemente in un dato settore.
Il problema sussiste quando questi concetti devono essere raccordati con le finalità del Regolamento.
La scelta del Consiglio nazionale forense poteva essere quella di elaborare un'unica disciplina dell’aggiornamento valida per
tutti gli avvocati, senza particolari distinzioni; ma ciò avrebbe dato vita ad un sistema inidoneo - sin dal nascere - allo scopo
che si prefiggeva perché, vigendo la regola generale della libertà del singolo di scegliere gli eventi formativi (v. § art. 2
infra, § 4), poteva accadere che la formazione avvenisse in settori diversi da quelli praticati professionalmente in via
prevalente, rendendo con ciò parzialmente vana la sua funzione.
Se al contrario si fosse imposto l’obbligo formativo nello specifico, o prevalente, campo di esercizio dell’attività
professionale, si sarebbe posto il problema degli strumenti da utilizzare per individuare il settore specifico o prevalente,
trattandosi di situazione di fatto difficilmente verificabile da parte del Consiglio dell’Ordine.
La combinazione dei due principi – la salvaguardia della libertà di scelta del percorso formativo, la necessità di una coerenza
del percorso con l’attività esercitata – e l’impossibilità pratica di verificare nei fatti, l’ambito di eventuale esercizio
prevalente dell’attività, ha indotto ad adottare un sistema che fa perno sulla dichiarazione dell’interessato, idonea di per sé a
condizionare la qualità del percorso formativo.
Peraltro, onde evitare che la dichiarazione in questione fosse quella probabilmente interessata rilasciata una volta compiuto
il percorso, si è dato rilievo all’indicazione che l’avvocato può dare ai terzi (in tutte le forme comunicative consentite,
compresa carta intestata, biglietti e quant’altro), ai sensi dell’art. 17 bis CdF, circa i «(…) settori di esercizio dell’attività
professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente».
In questo modo viene in rilievo una sorta di principio di autoresponsabilità nel senso che si collega alla spendita e
pubblicizzazione dei settori di attività e quindi ad una dichiarazione utile per chi la rende per l’autopromozione della propria
immagine, un obbligo di predisporre un percorso formativo coerente.
Il sistema che ne deriva è pertanto il seguente:
(i) l’avvocato che sceglie di non indicare – in ogni forma comunicativa deontologicamente consentita - i «settori di esercizio
dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente» (art. 17 bis CdF), beneficia
appieno degli effetti favorevoli della regola della libertà di scelta degli eventi e delle attività formative da svolgere e non
incontra alcuna limitazione tranne quella di dover dedicare una parte della formazione all’ordinamento professionale e
previdenziale ed alla deontologia (infra art. 2, § 4). Si potrebbe definire quest’ultimo come uno zoccolo duro formativo
generico in quanto comune a tutti senza distinzione (infatti opera anche per chi è esentato dalla formazione e cioè i
professori universitari).
(ii) L’avvocato che invece sceglie di dare le indicazioni consentite dall’art. 17 bis CdF, beneficia degli effetti della
medesima regola della libertà di scelta degli eventi e delle attività formative per la maggior parte del suo percorso formativo,
ma questa regola non opera per una residua parte del percorso; infatti, almeno 30 crediti formativi nel triennio dovranno
essere conseguiti partecipando ad eventi ed attività formative coerenti con le materie oggetto delle indicazioni date ex art. 17
bis CdF. Si potrebbe definire questo come uno zoccolo duro formativo specifico.
Per quanto invece attiene all’attività specialistica, l’ultimo considerando precisa che essa è tale in quanto così definibile
«(…) ai sensi delle vigenti disposizioni di legge».
Non va pertanto confusa con l’attività specialistica quella esercitata, per esempio, in via esclusiva (ad es. quella del civilista,
penalista, amministrativista, etc.), ma l’altra che meriti l’appellativo secondo legge (ad es. si può fregiare del titolo di
specialista in diritto civile l’avvocato che abbia conseguito il titolo di dottore di ricerca in diritto dei contratti).
Un regolamento della formazione che tenga conto delle esigenze formative di tali specialisti, richiede una particolare
attenzione ed è parso opportuno rinviarne l’edizione a momento successivo, anche per consentire di effettuare una completa
ricognizione delle (per la verità limitate) ipotesi normative che contemplano l’attribuzione del titolo di specialista ed aver
verificato se ed in che misura un’esigenza formativa esista anche in tali ipotesi.
Sino a quel momento valgono, pertanto, anche per gli eventuali specialisti, le regole per la formazione proprie degli altri
avvocati.
Articolo 2 – Durata e contenuto dell’obbligo.
1. Nel primo e secondo comma dell’art. 2 vengono introdotti i concetti di anno formativo, di periodo di valutazione della
formazione continua e di credito formativo.
L’anno formativo è l’unità di tempo minima di svolgimento dell’attività di formazione; esso coincide con l’anno solare.
Il periodo di valutazione della formazione continua è, invece, l’arco di tempo minimo rispetto al quale il Consiglio
dell’ordine effettua la verifica dell’adempimento dell’obbligo di formazione continua; esso ha durata triennale.
Il credito formativo è l’unità di misura della formazione continua.
Nel terzo comma è introdotto il concetto per cui nel triennio devono essere conseguiti almeno novanta crediti, di cui almeno
venti acquisiti in ogni singolo anno formativo.
La raffigurazione geometrica di simile impianto logico è quella di due cerchi concentrici dei quali l’uno più ampio – il
periodo di valutazione della formazione continua – contiene l’altro più ristretto – l’anno formativo –.
Tre anni formativi compongono il periodo minimo di valutazione formativa rispetto al quale può essere controllato il se
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dell’adempimento dell’obbligo.
La previsione di un periodo di valutazione triennale facilita (ed è questa la ragione della norma) l’adempimento dell’obbligo
perché in tal modo l’interessato è in grado di recuperare nel triennio eventuali debiti formativi, fermo rimanendo che in
ciascun anno devono essere stati acquisiti almeno venti crediti.
Gli esempi che seguono servono a meglio chiarire il concetto.
L’iscritto dimostra:
(A) di aver conseguito al termine del triennio 90 crediti, di cui 30 nel primo anno, 30 nel secondo, 30 nel terzo;
(B) di aver conseguito al termine del triennio 90 crediti, di cui 20 nel primo anno, 30 nel secondo, 40 nel terzo;
(C) di aver conseguito al termine del triennio 90 crediti, di cui 10 nel primo anno, 30 nel secondo, 50 nel terzo;
(D) di aver conseguito al termine del triennio 80 crediti, di cui 30 nel primo anno, 30 nel secondo, 20 nel terzo.
Nei casi (A) e (B) l’obbligo formativo è adempiuto correttamente, nel primo perché i 90 crediti totali sono stati
omogeneamente ripartiti secondo quote costanti nei tre anni (30 crediti/anno), nel secondo perché, seppur i 90 crediti totali
non sono stati omogeneamente ripartiti (20-30-40/anno), il livello minimo di 90 crediti è stato raggiunto rispettando il limite
minimo di almeno 20/crediti/anno.
Non altrettanto può dirsi nei casi (C) e (D).
In quello (C) perché al rispetto del limite minimo di 90 crediti nel triennio, non corrisponde il rispetto del limite minimo di
venti crediti/anno essendone stati conseguiti solo 10 nel primo; nel caso (D) perché non risulta rispettato il limite minimo di
90 crediti nel triennio.
Come si vede, il giudizio positivo dipende dalla combinazione di due fattori, che devono essere contemporaneamente
presenti, (i) il rispetto del limite generale di 90 crediti e (ii) di quello particolare di 20/crediti/anno.
2. La prima parte del primo comma dell’art. 2 stabilisce che l’obbligo di formazione decorre dal primo gennaio dell’anno
solare successivo a quello di iscrizione all’albo, o di rilascio del certificato di compiuta pratica.
Questo significa, ad esempio, che:
(i) se l’iscrizione all’albo è avvenuta ad agosto 2008
(ii) ovvero il certificato di compiuta pratica è stato rilasciato a novembre 2008,
in tutti e due questi casi l’obbligo di formazione decorre dal 1 gennaio 2009.
Si è reso necessario stabilire questa regola proprio perché l’anno formativo è fatto coincidere con l’anno solare e dunque per
facilitare il conseguimento del risultato senza complicare il compito di chi deve accertare la regolarità degli adempimenti.
Stante il fatto che il periodo di valutazione della formazione continua è invece corrispondente ad un triennio, negli esempi di
cui sopra si avrà che i tre anni solari 2009, 2010 e 2011 costituiranno ciascuno il singolo anno formativo e tutti insieme
andranno a comporre il triennio entro il quale deve essere adempiuto l’obbligo di formazione, al termine del quale sarà
effettuato il relativo controllo.
3. La regola così esposta è combinata con una disciplina di favore contenuta nella seconda parte del primo comma dell’art. 2
cit.
Si prevede, infatti, che nonostante l’obbligo formativo decorra dal primo gennaio dell’anno solare successivo a quello
dell’iscrizione all’albo, o di conseguimento del certificato di compiuta pratica, l’iscritto può ottenere il riconoscimento di
crediti formativi maturati su base non obbligatoria, ma in conformità alle previsioni del regolamento, nel periodo
intercorrente tra la data dell’iscrizione, o del rilascio del certificato di compiuta pratica, ed il momento di inizio dell’obbligo
formativo.
Negli esempi sopra fatti, se tra agosto e fine dicembre 2008 e, rispettivamente tra novembre e fine dicembre 2008,
l’interessato partecipa ad eventi formativi che attribuiscono crediti, teoricamente quest’ultimi non potrebbero essergli
riconosciuti perché conseguiti in periodo di non vigenza dell’obbligo formativo; sennonché, per evitare l’inutile perdita di
occasioni formative, la norma prevede – appunto – che anche quei crediti possano essere conteggiati se essi sono conseguiti
in modo conforme alle regole esposte nel regolamento.
Nei casi suindicati, l’interessato si troverà allora ad iniziare il primo anno formativo con un patrimonio già acquisito pari ai
crediti conseguiti volontariamente.
La previsione è di particolare importanza per tutti coloro che dovessero iscriversi all’albo, o ricevere il certificato di
compiuta pratica nei primi giorni, o mesi, dell’anno; se non esistesse questa norma, essi avrebbero davanti a sé un lungo
periodo di tempo durante il quale, non essendo attuale il loro obbligo formativo, non potrebbero nemmeno mettere a profitto
l’eventuale partecipazione ad eventi formativi.
4. I commi quarto e quinto dell’art. 2 vanno esaminati congiuntamente perché la regola generale della libertà di scelta
dell’evento formativo affermata dal comma quarto, è in parte corretta dal successivo comma quinto, se ricorre il caso ivi
previsto.
In linea generale, uno dei principi fondanti l’impianto del Regolamento è quello della libertà di scelta da parte dell’iscritto
dell’evento formativo, all’unica condizione che quest’ultimo rientri tra quelli riconosciuti come attibutivi di crediti
formativi.
Tale libertà non è solo relativa al tipo di contenuto dell’evento ma è, per così dire, anche geografica nel senso che l’iscritto
può partecipare a qualsiasi evento formativo organizzato, o accreditato, da qualsiasi Consiglio dell’Ordine sull’intero
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territorio nazionale (o anche all’estero).
Ed è proprio per consentire ciò che l’art. 3, comma quinto prevede che ciascun Consiglio dell’Ordine dia notizia al
Consiglio nazionale forense di tutti gli eventi formativi da esso medesimo organizzati, o altrimenti accreditati, per
permettere al Consiglio nazionale forense di curarne la pubblicazione nel suo sito Internet e con ciò favorire la più vasta
diffusione e conoscenza di tali eventi e quindi la partecipazione anche di iscritti in albi e registri tenuti da altri consigli.
Questo principio di carattere generale subisce due limitazioni:
(i) quella di cui alla seconda parte del quarto comma dell’art. 2 cit.;
(ii) quella di cui al comma quinto.
La prima limitazione è nel senso che dei 90 crediti formativi da conseguire nel triennio, almeno 15 devono derivare, nel
medesimo triennio, da attività ed eventi formativi aventi ad oggetto l’ordinamento professionale e previdenziale e la
deontologia.
La seconda è nel senso che almento 30 crediti nel triennio devono derivare da attività ed e venti formativi aventi ad oggetto
l’attività prevalente solo se essa sia stata oggetto di comunicazione ai sensi dell’art. 17 bis del CdF (v. supra, art. 1 § 4).
Articolo 3 – Eventi formativi.
1. La partecipazione effettiva ed adeguatamente documentata ad un evento formativo costituisce modalità normale di
adempimento dell’obbligo formativo (art. 3, comma 1).
Ad esempio, una partecipazione può dirsi effettiva quando si traduce in una presenza continua e (auspicabilmente) attenta ad
un convegno non esclusivamente nel momento iniziale, quanto basta, cioè, per far registrare la presenza, salvo poi disertarlo.
Così il concetto di effettività è reso concreto dal riferimento all’adeguata documentazione che, per quanto detto, non potrà
consistere nella sola registrazione della presenza nel momento iniziale, ma dovrà dar conto anche dell’uscita (anche di quelle
intermedie).
Adeguati allo scopo potrebbero essere dei badges distribuiti all’entrata ad ogni partecipante (il cui nome verrebbe registrato
associandolo al badge), da restituire all’uscita e da inserire, all’inizio ed alla fine, nell’apposito lettore; i dati, accoppiati ad
ogni partecipante, verrebbero trascritti in un registro tenuto dal Consiglio dell’Ordine che rilascerebbe, quando richiesto, le
certificazioni opportune per documentare le dichiarazioni di adempimento dell’obbligo formativo. Ovviamente, rientra nella
discrezionalità di ogni Consiglio dell’Ordine individuare le modalità ritenute più opportune a garantire l’obiettivo
dell’effettività anzidetta tenendo presente che uno dei problemi da risolvere è quello della possibilità di una firma per
procura; patologia che non verrebbe adeguatamente combattuta nemmeno munendo ogni iscritto, in via permanente, di un
proprio badge potendo l’interessato recarne con sé una pluralità, appartenenti ad altri iscritti. In questa prospettiva, la
consegna dei badges all’ingresso dell’aula dove si svolge l’evento contro firma per ricevuta ed il loro ritiro all’uscita, può
meglio garantire dal fenomeno della registrazione della presenza per procura.
Nel caso di utilizzo di sistemi informatici, il Consiglio dell’Ordine sarebbe persino in grado di monitorare il percorso
formativo di ogni iscritto a prescindere e prima delle dichiarazioni ed attestazioni di quest’ultimo.
Quando poi l’evento si svolgesse presso un Consiglio dell’Ordine diverso da quello di iscrizione, l’avvocato non avrebbe
difficoltà a farsi rilasciare un certificato, estratto dal registro, attestante natura e qualità dell’evento, da esibire al proprio
Consiglio di appartenenza.
2. Gli eventi formativi indicati dalla norma sono:
(i) corsi di aggiornamento e masters, seminari, convegni, giornate di studio e tavole rotonde, anche se eseguiti con modalità
telematiche purché sia possibile, in quest’ultimo caso, il controllo della partecipazione;
(ii) commissioni di studio, gruppi di lavoro, o commissioni consiliari, istituiti dal Consiglio nazionale forense e dai Consigli
dell’ordine, o da organismi nazionali ed internazionali della categoria professionale;
(iii) altri eventi specificamente individuati dal Consiglio nazionale forense e dai Consigli dell’Ordine.
Quanto alla previsione sub (i), si ritiene che la necessità del controllo della partecipazione non ostacoli l’organizzazione
telematica degli eventi formativi (ad esempio video conferenze, o trasmissioni a distanza di programmi registrati) dato che il
controllo potrà essere effettuato nel luogo in cui la trasmissione è ricevuta.
Sempre con riferimento alla previsione sub (i) l’elencazione degli eventi formativi deve intendersi riferita a quelli di più
comune ricorrenza; non è escluso, pertanto, che sia da considerare evento formativo anche quello che non rientra
formalmente – per la modalità classificatoria utilizzata dagli organizzatori – nella tipologia descritta (ad es. un incontro
qualificato dagli organizzatori work-shop), ma che presenta lo stesso contenuto informativo e culturale dell’evento tipizzato.
Si tratterà di condurre un’opera interpretativa da parte del Consiglio dell’Ordine di appartenenza dell’iscritto che dovrà
decidere se riconoscere, o no, il credito formativo.
Questa attività, peraltro, è una delle possibili declinazioni di quella espressamente prevista sub (iii).
In ordine agli eventi formativi sub (ii), l’esempio potrebbe essere quello della partecipazione, in qualità di membro esterno,
alle Commissioni costituite presso il Consiglio nazionale forense, o a specifiche commissioni, interne o esterne ai singoli
Consigli dell’Ordine, come ad esempio una Commissione delle pari opportunità.
La previsione sub (iii) sottolinea, infine, l’ampia discrezionalità e libertà, dei singoli Consigli dell’Ordine, alla cui
responsabilità è affidata l’individuazione di altri e diversi eventi formativi.
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3. Il comma secondo dell’art. 3 cit. stabilisce che ogni ora di durata (ed di effettiva partecipazione) di un evento formativo
attribuisce un credito, ma ogni singolo evento non ne può attribuire più di 24.
Questo significa che quando fossero organizzati eventi formativi che per il loro sviluppo temporale sono in grado di
assegnare teoricamente oltre 24 crediti, il numero massimo di crediti conteggiabili non può superare i 24.
La ragione di ciò è evidente; la formazione come longlife learning, in coerenza con il suo scopo, dovrebbe rappresentare una
forma di costante ed omogenea crescita culturale durante tutto l’arco della vita professionale e ciò sconsiglia l’adempimento
del debito formativo unico actu.
Si suggerisce, pertanto, di organizzare gli eventi formativi evitando la possibilità di conseguire, nello stesso contesto, un
numero eccessivo di crediti.
4. Il comma terzo dell’art. 3 cit. esprime due ulteriori principi cardine della logica del Regolamento, riassumibili nelle
formule:
(i) della natura necessariamente qualificata dell’evento formativo;
(ii) dell’inesistenza di una riserva di legittimazione per l’organizzazione degli eventi formativi.
(A) Il primo principio si ricava dall’intero testo del terzo comma secondo il quale «La partecipazione agli eventi di cui alle
lettere a) e b) rileva ai fini dell’adempimento del dovere di formazione continua, a condizione che essi siano promossi od
organizzati dal Consiglio nazionale forense o dai singoli Consigli dell’ordine territoriali, o, se organizzati da associazioni
forensi, altri enti, istituzioni od organismi pubblici o privati, sempre che siano stati preventivamente accreditati, anche sulla
base di programmi a durata semestrale o annuale, dal Consiglio nazionale forense o dai singoli Consigli dell’ordine
territoriali, a seconda della rispettiva competenza».
Dunque, non un qualsiasi evento formativo è idoneo a far conseguire il credito, ma solo quello che:
(a) sia stato promosso, od organizzato, dai Consigli dell’Ordine, o dal Consiglio nazionale forense;
(b) se organizzato da altri, sia stato preventivamente accreditato.
In questo senso gli elementi che qualificano l’evento formativo sono la qualità soggettiva dell’organizzatore (Consigli
dell’Ordine, o Consiglio nazionale forense), o, in alternativa, il suo accreditamento.
Infine, è necessario precisare che l’espressione promossi od organizzati (riferita ai Consigli dell’Ordine ed al Consiglio
nazionale forense) non incorpora un’endiadi; pertanto, dovendo assegnare al concetto di promozione una portata diversa
dall’organizzazione, per tale deve intendersi qualsiasi attività, diversa dall’organizzazione, che comunque esprima il
coinvolgimento di un Consiglio dell’Ordine, o del Consiglio nazionale forense nell’iniziativa (da altri organizzata);
l’esempio è quello del patronage.
Il patrocinio dell’evento incorpora, infatti, un previo giudizio di sua coerenza con la natura e finalità della professione e
sicuramente una valutazione della sua serietà, fermo rimanendo che, per essere utili al conseguimento di crediti formativi, si
deve trattare di uno degli eventi tipizzati.
(B) Il secondo principio – inesistenza di una riserva di legittimazione – significa che chiunque, senza distinzioni, può
organizzare un evento formativo.
Da questo punto di vista, il principio affermato è quello dell’uguale legittimazione di enti, associazioni, istituzioni,
organismi pubblici, o privati, operanti, o no, nel settore professionale.
Trattasi di una scelta coerente con la regola di non discriminazione perché, altrimenti, da un lato sarebbe stato arduo
discernere tra le varie organizzazioni ed associazioni professionali attribuendo patenti di legittimazione e dall’altro, anche
quando tale scelta fosse stata fatta col metro della maggiore rappresentatività riconosciuta sul piano nazionale dal Congresso
nazionale forense, sarebbe stata possibile la critica di non coerenza di questa parte del Regolamento con i principi generali in
materia di non concorrenza.
Infatti, non essendo né possibile impedire ad enti e società aventi scopo di lucro di organizzare eventi formativi, né sancire
la loro inidoneità, se così organizzati, al conseguimento di crediti formativi, una regolamentazione diversa avrebbe creato, o
un’illegittima barriera in grado di alterare la concorrenza, ovvero conculcato la libertà di scelta dell’iscritto che deve invece
essere libero di organizzare come crede il suo percorso formativo, se del caso anche optando per costosi eventi organizzati
da società specializzate. Il Consiglio nazionale forense ha ben chiaro che il settore formazione può rappresentare la fonte di
una lucrosa attività; sennonché, la funzione ulteriore (oltre quella primaria) del Regolamento non è di introdurre fattori
regolatori della concorrenza, o selettori delle opportunità, bensì di garantire un processo formativo sviluppato in condizioni
di pari opportunità di accesso, senza ostacoli all’esercizio del diritto alla libera scelta. Il riflesso di questa opzione ideologica
si coglie, oltre che nella norma in commento, anche nell’art. 7, comma 3 quando si specifica – a proposito dell’attività dei
Consigli dell’Ordine – che questi «(…) favoriscono la formazione gratuita in misura tale da consentire a ciascun iscritto
l’adempimento dell’obbligo formativo realizzando eventi formativi non onerosi, allo scopo determinando la contribuzione
richiesta ai partecipanti col limite massimo del solo recupero delle spese vive sostenute».
La scelta riflessa nel Regolamento garantisce in tal modo e contemporaneamente:
(a) la libertà di organizzazione di eventi formativi senza ostacoli all’ingresso nel settore a carico di chiunque, anche ove si
tratti di entità che perseguono scopo di lucro;
(b) la libertà di scelta dell’iscritto di partecipare ad eventi formativi organizzati da chiunque, se del caso anche a pagamento;
(c) la possibilità, per chi non voglia o non possa fruire di eventi formativi a pagamento, di adempiere comunque il suo
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obbligo tramite partecipazione agli eventi formativi organizzati gratuitamente dai singoli Consigli dell’Ordine.
Come si vede, anche in questo caso si ha modo di apprezzare il ruolo centrale e socialmente qualificato dei Consigli
dell’Ordine che così contribuiscono a realizzare una funzione di interesse collettivo.
L’opzione ideologica del Regolamento così formulata, pare in grado di conciliare e garantire l’attuazione di tre importanti
obiettivi:
(a) il rispetto dei principi di libertà e di autodeterminazione;
(b) la difesa della centralità del ruolo dei Consigli dell’Ordine nel rendere effettivo il diritto/dovere alla formazione;
(c) lo spostamento del centro di gravità del fenomeno formazione dal soggetto che organizza l’evento formativo, alla natura,
consistenza e qualità di quest’ultimo.
5. Sempre il terzo comma dell’art. 3 evidenzia un’altra qualità dell’accreditamento: esso infatti può essere selettivo, e
dunque riguardare un singolo e determinato evento formativo, oppure cumulativo, e dunque riguardare tutti, o alcuni degli
eventi formativi compresi in un programma semestrale, o annuale, predisposto da chi organizza l’evento.
6. In ordine alla competenza, l’accreditamento è dato dal Consiglio dell’Ordine nel cui territorio si svolge l’evento ed è di
competenza del Consiglio nazionale forense quando si tratta di eventi da svolgersi all’estero organizzati da organismi
stranieri, o seriali, destinati, cioè, ad essere replicati più volte nello stesso modo in più circondari, o distretti.
In tutti gli altri casi la competenza è del Consiglio dell’Ordine nella cui sede l’evento è organizzato.
Ovviamente il Consiglio nazionale forense può accreditare l’evento formativo organizzato all’estero da un organizzatore
straniero solo se quest’ultimo lo richieda; cosa accade se tale richiesta non viene formulata (e quindi non vi è stato
l’accreditamento) ma l’iscritto, a conoscenza dell’evento, intende comunque parteciparvi?
Anche in un caso del genere l’interessato potrà mettere a frutto la sua partecipazione all’evento e ciò grazie alla previsione
dell’art. 3, comma 1, lett. c).
Ivi infatti si prevede che integri assolvimento dell’obbligo formativo la partecipazione effettiva ed adeguatamente
documentata ad «(…) altri eventi specificamente individuati dal Consiglio nazionale forense». (o il singolo Consiglio
dell’Ordine); in questo caso sarà necessaria una richiesta, preventiva o successiva, dell’interessato (al Consiglio nazionale
forense) di considerare quell’evento formativo come utile, con contestuale richiesta di attribuzione del credito.
7. L’accreditamento è concesso – recita il comma quarto dell’art. 3 - valutando la tipologia e la qualità dell’evento
formativo, nonché gli argomenti trattati.
Per consentire tale valutazione, è previsto che chi intenda organizzare eventi formativi ed ottenere l’accreditamento
preventivo, deve presentare al Consiglio dell’ordine locale, ovvero al Consiglio nazionale forense, secondo la rispettiva
competenza, una relazione dettagliata con tutte le indicazioni necessarie.
Si suggerisce, all’uopo, di seguire la seguente procedura:
(a) i Consigli verificheranno previamente la possibilità di ricondurre l’evento formativo proposto alla tipologia di uno di
quelli idonei a consentire l’accreditamento, ciò che faranno comparando il singolo concreto evento con l’elencazione di
quelli di cui all’art. 3, 1° comma, lett. a) e b);
(b) in caso di non immediata riconducibilità, verificheranno se l’evento è comunque riconducibile, in via estensiva o
analogica, ad uno di quelli elencati;
(c) trattandosi di eventi formativi riconoscibili come tali, procederanno poi all’analisi del loro contenuto verificandone, per
quanto possibile, qualità scientifica, serietà e coerenza con le finalità del regolamento;
(d) in caso di difficoltà di valutazione, o in presenza di lacune o incertezze, i Consigli potranno richiedere informazioni, o
documentazione suppletiva. Ai fini dello snellimento della procedura e della tempestività della risposta, il meccanismo
ideato è stato quello del silenzio-assenso, per cui la mancata risposta da parte del Consiglio dell’Ordine sulla domanda di
accreditamento oltre il quindicesimo giorno dal suo deposito, ovvero oltre quindici giorni dal deposito della
documentazione, o delle informazioni richieste in via suppletiva, è equiparata a risposta positiva e pertanto l’accreditamento
si intende concesso. Nella materia dell’accreditamento è stato riconosciuto il particolare ruolo svolto dalla Cassa Nazionale
di previdenza ed assistenza forense e dalle associazioni professionali riconosciute come maggiormente rappresentative sul
piano nazionale dal Congresso nazionale forense. Sia con la prima che con le seconde, infatti, il Consiglio nazionale forense
potrà stipulare protocolli in grado di consentire, tramite l’adozione di criteri di valutazione, la semplificazione e
l’accelerazione delle procedure di accreditamento. Ovviamente tali protocolli potranno – su base volontaria – essere recepiti,
se di interesse, da parte dei singoli Consigli dell’Ordine. È certo che, ad esempio, potrà essere utilmente valorizzata la
competenza specifica della Cassa forense quando si tratti di organizzare eventi formativi aventi ad oggetto materie relative
all’ordinamento professionale e previdenziale.
8. Si è già detto della funzione che assolve l’invio da parte dei singoli Consigli dell’Ordine al Consiglio nazionale forense
dell’elenco degli eventi formativi organizzati da pubblicare sul sito Internet di quest’ultimo.
Articolo 4 - Attività formative.
1. L’art. 4 introduce il concetto di attività formative da distinguersi dagli eventi formativi; mentre quest’ultimi
corrispondono ad occasioni di formazione culturale, le attività formative sono comportamenti valutati come idonei a
surrogare la partecipazione agli eventi ai fini dell’adempimento dell’obbligo formativo.
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Il motivo per cui lo svolgimento di un’attività può far ritenere assolto, nella misura volta a volta prevista, l’obbligo
formativo, è ovvio: l’insegnamento o la pubblicazione di saggi, articoli, o monografie nei settori del diritto, riflettendo la
competenza tecnica specialistica dell’autore, presuppongono un’attività di preparazione e di studio almeno pari a quella di
chi ne fruisce in qualità di discente, o di lettore. Alla stessa stregua, anche la partecipazione alle commissioni per gli esami
di Stato di avvocato è occasione di formazione culturale.
Le attività formative che permettono di considerare adempiuto l’obbligo formativo sono:
a) relazioni o lezioni negli eventi formativi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 3, ovvero nelle scuole forensi, o nelle scuole di
specializzazione per le professioni legali;
b) pubblicazioni in materia giuridica su riviste specializzate a diffusione o di rilevanza nazionale, anche on line, ovvero
pubblicazioni di libri, saggi, monografie o trattati, anche come opere collettanee, su argomenti giuridici;
c) contratti di insegnamento in materie giuridiche stipulati con istituti universitari ed enti equiparati;
d) partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato di avvocato, per tutta la durata dell’esame;
e) altre attività di studio ed aggiornamento svolte in autonomia nell’ambito della propria organizzazione professionale, che
siano state preventivamente autorizzate e riconosciute come tali dal Consiglio nazionale forense, o dai Consigli dell’ordine
competenti. Va precisato che per l’attività sub d) il semplice far parte della commissione d’esami non è sufficiente ad
integrare la sostanza dell’attività formativa se ciò non si è tradotto in presenza effettiva ai lavori della commissione per tutta
la durata dell’esame, ovviamente secondo il calendario stilato al riguardo.
Quella elencata sub e), infine, corrisponde ad una tipologia di attività di studio e formazione di conio recente, ma che
sempre più spesso è organizzata autonomamente nelle singole strutture professionali di una certa dimensione.
2. Tutte le attività formative di cui si è detto sopra devono essere vagliate dal Consiglio dell’ordine competente, il quale
attribuisce i crediti formativi tenuto conto della natura e dell’impegno che essa richiede, con il limite massimo di n. 12
crediti per le attività di cui alla lettera a), di n. 12 crediti per le attività di cui alla lettera b), di n. 24 crediti per le attività di
cui alla lettera c), di n. 24 crediti per le attività di cui alla lettera d) e di n. 12 crediti annuali per le attività di cui alla lettera
e). Il tetto massimo dei crediti attribuibili deve intendersi rapportato all’intero periodo triennale di valutazione dell’obbligo
formativo e non all’anno formativo; sicchè, per esempio, non potrà accadere che per l’attività consistente in pubblicazioni in
materie giuridiche – per la quale è previsto un tetto massimo di 12 crediti - l’interessato possa cumulare 36 crediti se le
pubblicazioni si sono ripetute nei tre anni.
Viceversa, i crediti relativi a ciascuna attività possono cumularsi tra di loro; per cui ad esempio potrà accadere che
nell’intero periodo triennale di valutazione l’interessato consegua, ex art. 4 cit., complessivamente 48 crediti, di cui 12 per
pubblicazioni, 12 per relazioni e lezioni e 24 per aver partecipato alla commissione di esami di avvocato.
Anche in considerazione di ciò, è auspicabile che nell’esercizio della loro autonomia i Consigli dell’Ordine pesino con
accortezza le singole attività tenendo conto non solo del loro contenuto e qualità, ma anche del possibile effetto provocato
dalla loro combinazione.
Particolare attenzione dovrà poi essere rivolta all’attività sub e) il cui monitoraggio e valutazione appaiono particolarmente
problematici in considerazione anche delle modalità private del suo svolgimento.
Articolo 5 - Esoneri.
1. Se l’attività formativa di cui all’art. 4 permette di ritenere adempiuto, pro parte, l’obbligo formativo, le situazioni
soggettive previste nei commi primo e secondo dell’art. 5 costituiscono causa di esonero dal medesimo.
La differenza è evidente: lo svolgimento di un’attività formativa costituisce modalità alternativa e particolare di
adempimento di un obbligo che comunque sussiste; le situazioni soggettive suindicate fanno venire meno in nuce l’obbligo.
Questa è, anzitutto, la situazione dei docenti universitari di prima e seconda fascia e dei ricercatori universitari con incarico
di insegnamento (primo comma). La dispensa dall’obbligo non è però totale; esso infatti residua per l’aggiornamento in
materia deontologica, previdenziale e di ordinamento professionale, settori non coinvolti dall’insegnamento universitario (si
è parlato al riguardo di zoccolo duro formativo generico). È sottinteso che i docenti ed i ricercatori universitari di cui si parla
devono risultare incardinati su insegnamenti relativi a materie giuridiche.
2. Altre cause di dispensa sono quelle elencate dal secondo comma, unificate dalle seguenti caratteristiche relative
all’esonero:
(a) a differenza dei casi di cui al primo comma in cui opera automaticamente, è accordato (o negato) a discrezione del
Consiglio dell’Ordine competente con provvedimento motivato;
(b) presuppone la domanda dell’interessato;
(c) può dispensare totalmente, o solo, parzialmente dall’obbligo;
(d) nel caso di dispensa parziale, con lo stesso provvedimento che l’accorda il Consiglio dell’Ordine determina la misura dei
crediti formativi residui avuto riguardo alla durata dell’esonero, al suo contenuto ed alle sue modalità.
Per il resto, le cause di esonero si distinguono in due gruppi a seconda (i) che siano motivate da ragioni lato sensu
riconducibili ad un impedimento all’assolvimento dell’obbligo formativo, ovvero (ii) si riconnettano ad una condizione
personale che non necessariamente impedisce l’adempimento dell’obbligo.
Il primo caso è quello dell’esonero dovuto a:
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- gravidanza, parto, adempimento da parte dell’uomo o della donna di doveri collegati alla paternità o alla maternità in
presenza di figli minori;
– grave malattia o infortunio od altre condizioni personali;
– interruzione per un periodo non inferiore a sei mesi dell’attività professionale o trasferimento di questa all’estero;
– altre ipotesi indicate dal Consiglio nazionale forense.
Il secondo caso è quello dell’esonero richiesto da chi abbia maturato almeno 40 anni di iscrizione all’albo; qui occorre
tenere conto del settore di attività, della quantità e qualità dell’attività professionale del richiedente e di ogni altro elemento
utile alla valutazione della domanda. Si è ritenuto necessario introdurre una previsione di questo tipo per venire incontro alle
esigenze di quanti hanno raggiunto una certa età anagrafica e possono avere difficoltà ad adempiere compiutamente
l’obbligo. Sennonché il principio sotteso alla previsione di questa dispensa non deve essere inteso in un senso che sarebbe
confliggente con lo spirito della formazione continua. Infatti, è proprio forse nei confronti di chi abbia maturato una certa età
anagrafica che può apprezzarsi una più profonda esigenza di aggiornamento professionale, potendo il bagaglio culturale
essere ancorato a vecchie o superate concezioni e comunque non in linea con le novità e gli sviluppi del sapere
professionale. Perciò, per non tradire lo spirito della formazione, si è ritenuto di inserire, accanto alla previsione della facoltà
di dispensa per chi abbia superato 40 anni di iscrizione, il riferimento alla necessità che la relativa decisione sia assunta
tenendo conto del settore di attività, della quantità e qualità dell’attività professionale svolta dall’interessato e di ogni altro
elemento utile. Cosicché potrebbe non trovare giustificazione l’esonero dall’obbligo formativo di chi, pur avendo superato
40 anni di iscrizione, sia titolare di un avviato studio, lo frequenti quotidianamente, eserciti in prima persona e curi affari di
rilievo; per questa persona non sussistono affatto le ragioni dell’esonero. Le quali potrebbero invece sussistere per chi avesse
solo nominalmente ancora attivo lo studio ed esercitasse un’attività marginale. In buona sostanza non è l’età che da sola può
determinare il se dell’esonero; essa è solo la precondizione di innesco di un procedimento valutativo complesso che può,
come no, condurre all’esonero che potrebbe anche non essere totale.
Articolo 6 - Adempimenti degli iscritti e inosservanza dell’obbligo formativo.
1. Il primo comma dell’art. 6 prescrive che ogni iscritto deve depositare annualmente una sintetica relazione che attesta
quale sia stato il percorso formativo seguito nell’anno, indicando gli eventi formativi.
L’aggettivo sintetica sta a significare che l’obbligo può intendersi adempiuto semplicemente indicando eventi formativi,
data e crediti conseguiti, senza necessità di dilungarsi ulteriormente.
Anche al fine di evitare l’aggravio dei compiti consiliari seppur sotto forma di conservazione dei documenti cartacei, si è
ritenuto di semplificare al massimo l’adempimento ritenendo sufficiente la mera autocertificazione circa la verità di quanto
affermato.
Il riferimento all’autocertificazione va peraltro inteso in senso atecnico volendosi dire che la dichiarazione effettuata
dall’interessato in conformità a quanto richiesto dal primo comma, dal medesimo sottoscritta, vale quale certificazione di
veridicità di quanto affermato.
2. Si è visto prima come il mancato adempimento dell’obbligo formativo costituisce di per sé illecito disciplinare.
Il secondo comma dell’art. 6 aggiunge che costituisce illecito disciplinare anche la mancata o infedele certificazione del
percorso formativo.
Ne deriva che i possibili illeciti disciplinari collegati all’obbligo di formazione sono almeno tre:
(a) inadempimento (totale o parziale) dell’obbligo formativo;
(b) adempimento dell’obbligo formativo, ma mancata sua certificazione (sub specie di omesso deposito della relazione di
cui al primo comma);
(c) adempimento dell’obbligo formativo, deposito della relazione, ma infedeltà della stessa.
Articolo 7 - Attività del Consiglio dell’Ordine.
1. L’art. 7 è di fondamentale importanza perché contribuisce a marcare la centralità del Consiglio dell’Ordine nel
meccanismo della formazione continua.
Questi deve anzitutto vigilare – come sottolinea il primo comma - sull’adempimento dell’obbligo formativo, nei modi e con
i mezzi ritenuti più opportuni.
La funzione di vigilanza è una conseguenza naturale delle competenze ed acquisisce particolare rilievo in considerazione del
riflesso deontologico dell’adempimento dell’obbligo formativo.
Che poi tale controllo debba esplicarsi nei modi e con i mezzi ritenuti più opportuni, è ovvio; appartiene, infatti, alla
discrezionalità dell’ente la scelta delle modalità di esercizio del potere/dovere potendo il Consiglio nazionale forense fornire
solo suggerimenti.
In questo senso deve leggersi la previsione dell’art. 8 che, sotto la rubrica Controlli del Consiglio dell’Ordine, prospetta, a
mò di suggerimento, il metodo del controllo a campione e della richiesta all’iscritto di documentazione e chiarimenti
integrativi.
Si ritiene che ulteriore buona norma di condotta potrebbe essere quella di controllare lo stato del percorso formativo
dell’iscritto nelle occasioni in cui il Consiglio dell’Ordine intende attribuirgli incarichi, ovvero segnalarlo per la loro
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assunzione; lo stesso provvedimento di segnalazione, o di nomina, potrebbe ospitare, nella motivazione, il richiamo al
controllo positivo espletato circa la regolarità del percorso formativo.
Il medesimo controllo potrebbe poi essere effettuato in tutte le occasioni in cui l’interessato chiedesse di essere inserito in
particolari elenchi tenuti dal Consiglio.
In buona sostanza, non dovrebbero mancare al Consiglio dell’Ordine occasioni di controllo del percorso formativo del tutto
fisiologiche, senza dover ricorrere ad indagini poliziesche.
2. La precipua funzione del Consiglio dell’Ordine in materia di formazione, si esplica nell’elaborazione di un programma
della formazione definito dal Regolamento piano dell’offerta formativa (secondo comma).
Esso deve essere elaborato entro il 31 ottobre di ogni anno ed indicare il tipo di offerta con i crediti riconoscibili.
3. Il terzo comma contiene l’indicazione di talune (non esclusive) modalità di realizzazione del piano dell’offerta formativa.
3.1. Oltre che individualmente, il Consiglio dell’ordine può realizzare il programma anche di concerto con altri Consigli
dell’Ordine, o nell’ambito delle Unioni distrettuali, ove costituite.
È questa la modalità organizzativa che si reputa di dover raccomandare soprattutto in caso di Consigli di non grandi
dimensioni per i quali l’organizzazione degli eventi formativi può costituire un sensibile aggravio di costi.
Le Unioni distrettuali sono poi le sedi naturali ove l’offerta formativa può essere omogeneizzata rispetto ad una platea di
fruitori più ampia e tramite coordinamento delle iniziative, sia da punto di vista cronologico, sia dal punto di vista
contenutistico; evitando in tal modo il rischio della sovrapposizione di eventi simili, organizzati in ambito distrettuale dai
singoli Consigli.
Una tale organizzazione ha, infine, il vantaggio di rendere omogeneo anche il criterio per l’attribuzione dei crediti.
Soprattutto da questo punto di vista occorre raccomandare il massimo del coordinamento tra Consigli dell’Ordine almeno
dello stesso distretto, per evitare il rischio che eventi formativi dello stesso spessore qualitativo e contenutistico, siano
trattati in modo differenziato in sede di attribuzione dei crediti. E le Unioni distrettuali sembrano essere il luogo ideale per
garantire almeno questo profilo di omogeneizzazione.
3.2. Sempre nel terzo comma compare il riferimento alla possibilità per i Consigli dell’Ordine:
(a) di realizzare il programma di concerto con enti ed associazioni forensi, o altri enti senza scopo di lucro;
(b) di realizzare attività formative unitamente a soggetti, anche se operanti con finalità di lucro, sempre che nessuna utilità,
diretta o indiretta, ad essi ne derivi, ulteriore rispetto a quella consistente nell’esonero dalle spese di organizzazione degli
eventi. Le due proposizioni non sono in contraddizione, la prima dovendo intendersi come segnale della opportunità che il
sistema della formazione continua, per la parte riservata alla competenza dei Consigli dell’Ordine, sia tendenzialmente
gratuito; ciò è reso evidente dal successivo riferimento - che si è già avuto modo di commentare – al fatto che i Consigli
«favoriscono la formazione gratuita in misura tale da consentire a ciascun iscritto l’adempimento dell’obbligo formativo,
realizzando eventi formativi non onerosi, allo scopo determinando la contribuzione richiesta ai partecipanti col limite
massimo del solo recupero delle spese vive sostenute». È chiaro che una tale finalità può meglio essere raggiunta – se il
Consiglio reputi di dover operare in sinergia con altri che non siano un altro Consiglio dell’Ordine - quando il partner non è
animato da scopo di lucro. Ma ciò non impedisce al Consiglio, nella sua autonomia e discrezionalità (che anche qui ha modo
di manifestarsi), di operare in sinergia anche con enti lucrativi; la necessità di richiamare la funzione sociale della
formazione ha fatto ritenere opportuno l’inserimento del richiamo alla opportunità di una tendenziale assenza di utilità
ritraibile dalla formazione. In poche parole, il terzo comma in commento non può essere inteso come forma di limitazione
della facoltà del Consiglio dell’Ordine di scegliere il partner che reputi più opportuno, se del caso anche operante con
finalità di lucro; semmai, come richiamo al fatto che, comunque sia, la formazione si svolga in un quadro di tendenziale
gratuità (gratuità relativa e non assoluta, come si è già visto) che impedisca – almeno sul versante degli eventi organizzati
dai Consigli dell’Ordine – la sua trasformazione in occasione di speculazione.Si reputa, al riguardo, di dover ricordare ai
Consigli dell’Ordine che nella predisposizione dell’offerta formativa di loro competenza essi possono ottenere del tutto
gratuitamente da parte del Consiglio nazionale forense (ed altrettanto gratuitamente, pertanto, somministrare ai propri iscritti
in sede formativa) copia delle registrazioni audio/video di tutti gli incontri, seminari, convegni e tavole rotonde organizzati
nel corso della precedente consiliatura dal Consiglio nazionale forense presso la propria sede sui più svariati argomenti di
attualità professionale. Ed anche la proiezione di video/audio di tali incontri, seminari e convegni può, almeno nel momento
iniziale di rodaggio della macchina organizzativa della formazione, integrare un evento formativo.
4. Il quarto e quinto comma prevedono (a) che i Consigli dell’Ordine inviino al Consiglio nazionale forense, entro il 31
ottobre di ogni anno, una relazione illustrativa del piano dell’offerta formativa e (b) che la formulazione del piano non
impedisce la realizzazione di ulteriori e distinti eventi originariamente non programmati.
Articolo 8 - Controlli del Consiglio dell’Ordine.
1. Si è già avuto modo di commentare questa norma.
Articolo 9 - Attribuzioni del Consiglio nazionale forense.
1. Il comma primo individua come funzione essenziale del Consiglio nazionale forense quella di promuovere ed indirizzare
lo svolgimento della formazione professionale continua individuandone i nuovi settori di sviluppo.
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Nella realtà, un’attività del genere è già realizzata dal Consiglio da almeno due anni, da quando cioè è stato organizzato nel
2006 il primo Congresso Nazionale Giuridico Forense, cui è seguita l’edizione del 2007.
Essi hanno avuto ed avranno in futuro l’obiettivo di accendere i riflettori dell’interesse e dell’analisi da parte dei massimi
studiosi a tutto beneficio degli avvocati sulle riforme recenti e sui temi di frontiera delle varie branche del diritto;
costituiscono pertanto la prima e più qualificata modalità di segnalazione e di orientamento per lo svolgimento della
formazione professionale continua.
2. Il secondo comma attribuisce, invece, al Consiglio nazionale forense la funzione di valutatore dei singoli programmi
formativi predisposti dai Consigli degli Ordini tramite la verifica dell’adeguatezza dell’offerta formativa. Il silenzio serbato
oltre trenta giorni dall’invio del programma va inteso come approvazione del piano; eventuali rilievi impegnano il Consiglio
dell’Ordine interessato ad elaborare un nuovo piano che ne tenga conto.
Questa funzione del Consiglio nazionale forense deve intendersi, sostanzialmente, ancillare, di ausilio e di indirizzo e gli
eventuali rilievi al piano devono essere inquadrati nella prospettiva di un contributo ad una crescita complessiva del sistema
ordinistico nella predisposizione di tali piani.
Articolo 11 – Entrata in vigore e disciplina transitoria.
1. Il primo comma dell’art. 11 stabilisce che «il presente regolamento entra in vigore dal 1 settembre 2007», mentre, a tenore
del secondo, «Il primo periodo di valutazione della formazione continua decorre dal 1 gennaio 2008».
Ciò significa che i Consigli dell’Ordine devono essersi attrezzati sin dal 1 settembre 2007 per essere in grado di predisporre
il piano dell’offerta formativa 2008 entro il 31.10.2007.
Evidentemente la data dell’1.9.2007 non riguarda direttamente gli avvocati ed i praticanti abilitati per i quali vale
l’appuntamento dell’1.1.2008 come data a partire dalla quale diviene attuale ed effettivo il loro obbligo formativo.
Una conseguenza di ciò è che – a stretto rigore – eventuali eventi formativi svoltisi dal settembre 2007 al dicembre 2007 non
potrebbero essere presi in considerazione ai fini dell’attribuzione dei crediti.
2. Nel primo triennio di valutazione a partire dall’entrata in vigore del presente regolamento, i crediti formativi da
conseguire sono ridotti a venti – secondo il terzo comma - per chi abbia compiuto entro il 1 settembre 2007 o compia entro il
1 settembre 2008 il quarantesimo anno d’iscrizione all’albo ed a cinquanta per ogni altro iscritto, col minimo di 9 crediti per
il primo anno formativo, di 12 per il secondo e di 18 per il terzo, dei quali in materia di ordinamento forense, previdenza e
deontologia almeno 6 crediti nel triennio formativo.
La norma tiene conto del fatto che, iniziando solo ora il processo di formazione continua, ne è necessario un rodaggio ed una
graduale entrata a regime che abitui tutti gli iscritti alla novità permettendo di alleviare, nei limiti del possibile, i pesi
organizzativi che gravano sui Consigli dell’Ordine.
3. I commi quarto e quinto vanno letti congiuntamente. Per il quarto comma «L’articolo 1, comma 3 del (…) regolamento si
applica a partire dall’1 settembre 2008.»; a tenore del quinto «Per il primo triennio di valutazione l’iscritto che, dando con
qualunque modalità consentita informazione a terzi, intenda fornire le indicazioni di cui all’articolo 1, comma 3, dovrà aver
conseguito nei 12 mesi precedenti l’informazione non meno di 10 crediti formativi nell’ambito di esercizio dell’attività
professionale che intende indicare».
Occorre anzitutto ricordare che l’art. 1, comma 3 prescrive che è necessario adempiere l’obbligo formativo negli ambiti in
cui si comunica di esercitare l’attività prevalente e ciò quale condizione della spendita deontologicamente corretta della
relativa indicazione ex art. 17 bis CdF; l’art. 2, comma 5 stabilisce che a tal fine l’interessato deve aver conseguito nel
periodo di valutazione che precede l’informazione (relativa all’attività prevalente), non meno di 30 crediti formativi
nell’ambito di esercizio dell’attività professionale che intende indicare.
Se si fosse applicata questa regola senza una norma transitoria, il risultato sarebbe stato che nessuno avrebbe potuto dare
indicazioni ex art. 17 bis circa la propria attività prevalente prima dell’1.1.2011, dato che nel periodo di valutazione
precedente avrebbe dovuto aver conseguito almeno trenta crediti; periodo che, ai sensi dell’art. 2, comma 2 (secondo cui «Il
periodo di valutazione della formazione continua ha durata triennale»), corrispondeva al triennio formativo 2008/2010.
Si è pertanto ritenuto opportuno inserire le norme transitorie corrispondenti al quarto e quinto comma, che vanno lette nel
seguente modo:
(a) la prescrizione dell’art. 1, comma 3 secondo cui l’adempimento del dovere formativo, con riferimento agli ambiti in cui
si comunica di esercitare l’attività professionale prevalente, è condizione per la spendita deontologicamente corretta
dell’indicazione dell’attività prevalente ex art. 17 bis CdF, non si applica dal 1.9.2007 bensì dall’1.9.2008;
(b) pertanto, fino all’1.9.2008 si può continuare a dare indicazioni sull’attività prevalente come in precedenza senza alcuna
variazione rispetto al passato e quindi senza dover dimostrare di aver conseguito alcun credito formativo nella materia di
riferimento;
(c) dall’1.9.2008 e sino al 31.12.2010 (termine del periodo di valutazione triennale) la stessa indicazione potrà dirsi
deontologicamente lecita se l’interessato avrà conseguito nei dodici mesi precedenti il momento in cui avrà iniziato a darla
almeno 10 crediti formativi.
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DIRITTO E GIUSTIZIA
La cultura previdenziale e finanziaria degli avvocati
di Paolo Rosa - Presidente della Cassa Forense
Vorrei dire che è scarsamente diffusa. Ma per i più la matematica è stata uno spauracchio. All'atto di versare i
contributi a Cassa Forense l'Avvocato sbuffa e brontola per l'onere senza rendersi conto che, rebus sic stantibus,
si tratta del miglior investimento che esista sul mercato per l'elevata e sicura redditività che gli garantisce. Fatta
eccezione per i redditi sopra il tetto pensionistico, oggi pari a euro 83.600, che riguardano pochi professionisti,
circa 15.000, pari al 13% delle dichiarazioni reddituali pervenute alla Cassa, chiamati a versare il 3% oltre il tetto
a puro titolo di solidarietà, oltre a un ricco contributo integrativo sul volume d'affari, tutti gli altri che si muovono
entro il tetto pensionabile se fanno i conti tra quanto versano e quanto hanno ricevuto o riceveranno in
prestazioni, dovranno rendersi conto che il tasso di redditività riconosciuto ai versamenti contributivi fatti
durante la vita lavorativa è in media pari all'8 - 9% annuo, largamente superiore all'offerta di qualsivoglia
prodotto finanziario esistente sul mercato a bassissimo livello di volatilità e quindi di rischio. A titolo di esempio,
prendiamo in considerazione tre ipotetici avvocati iscritti alla cassa con tre differenti carriere professionali,
rispettivamente un contribuente al minimo un contribuente al tetto e un contribuente medio. Supponiamo che i
tre individui nel corso dell'anno 2007 compiano 65 anni di età ed abbiano maturato 35 anni di effettiva iscrizione
alla cassa; nel corso dell'anno maturano il diritto ad avere liquidato il trattamento di pensione di vecchiaia.
Per i tre individui ipotizzati si avrà la seguente situazione
Reddito
professionale
medio
dichiarato
Importo
annuo
pensione
Totale
contributi
soggettivi
versati
Tasso di rendimento
annuo riconosciuto ai
contributi versati
€ 83.600
€ 44.695
€ 157.365
8,10%
Contribuente alla metà € 41.800
del tetto
€ 24.982
€ 79.264
8,45%
€ 9.760
€ 24.466
9,07%
Contribuente al tetto
Contribuente al
minimo
€ 12.650
Emerge quindi che, in ogni caso ipotizzato, la pensione erogata dalla cassa “consuma” nel giro di 3 - 4 anni ciò
che l'iscritto ha versato sotto forma di contributi. Analizzando la situazione in un ottica di tipo finanziario,
tenendo presente che le somme versate fanno riferimento a periodi temporali diversi, l'iscritto versa contributi per
35 anni e la cassa versa ratei di pensione all'iscritto e al suo probabile coniuge per circa 22 anni, saremmo di
fronte ad un operazione finanziaria equa solo e soltanto se la cassa fosse in grado di investire i contributi versati
dagli iscritti e di ottenere sul mercato un tasso di rendimento medio annuo pari a, 8,10% nel caso di un
contribuente al tetto, 8,45% nel caso di un contribuente medio e ben 9,07% nel caso di un contribuente al
minimo.Ne consegue che l'investimento nella pensione, a prescindere dalla finalità sua propria che è quello di
assicurare mezzi adeguati per la vecchiaia, non ha uguali nella pur variegata galassia di opportunità finanziarie
che muove il mercato globalizzato.È indispensabile allora che l'Avvocato, sin da giovane, prenda coscienza del
suo percorso previdenziale per studiarlo, capirlo con l'ausilio di esperti, cogliere i momenti di criticità, sfruttare
le opportunità che si presentano e, occorrendo, implementarlo affiancando al primo pilastro un sentiero di
previdenza complementare per garantirsi, al momento del pensionamento, mezzi adeguati per una vecchiaia
economicamente serena.Al momento della iscrizione a Cassa Forense che diventa obbligatoria quando si supera
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il minimo Irpef o il minimo Iva pari, per il corrente 2007, rispettivamente ad euro 7.590 e euro 11.385, l'avvocato
dovrà informarsi del suo percorso previdenziale che sta per iniziare cogliendone vantaggi e criticità per
pianificare il cammino. Il futuro previdenziale non può essere lasciato al caso o ad altri. Interessa il singolo
avvocato che deve avere sin dall'inizio le idee molto chiare su cosa fare.Già all'atto della iscrizione si presenta
l'opportunità della retrodatazione e del riscatto.La retrodatazione non è proponibile se non con la prima
iscrizione.Il riscatto lo è sino al pensionamento con oneri economici che aumentano, anche in maniera molto
considerevole all'aumentare dell'età raggiunta e del reddito professionale dichiarato, così che più si è lontani dal
pensionamento meno pesanti sono gli oneri economici richiesti.Nella attuale situazione normativa io consiglio a
tutti i giovani che si iscrivono sia la retrodatazione recuperando tutti gli anni di pratica con patrocinio e quelli di
Avvocato senza obbligo di iscrizione sia il riscatto degli anni di laurea e di servizio militare e ciò al fine di
mettere in cascina anni di anzianità che torneranno utili al momento del pensionamento. I benefici di carattere
fiscale e la rateizzazione sono altri vantaggi da non trascurare. Il Governo sembra intenzionato nel pacchetto sul
welfare a consentire la deduzione fiscale anche ai genitori se sosterranno tali oneri nell'interesse dei figli.Ma
anche sul versante finanziario c'è molto da lavorare. Negli ultimi anni la finanza si è fortemente evoluta con
nuovi strumenti, nuove tecniche, nuove metodologie tant'è vero che si parla ormai apertamente di “industria
finanziaria”.La produzione normativa di sostegno e disciplina non sempre è in grado di adeguarsi
tempestivamente all'evoluzione del sistema finanziario. Il Testo Unico della Finanza ha creato le condizioni per
adeguare rapidamente le normative alle continue evoluzioni attribuendo al Ministero dell'Economia e delle
Finanze, alla Banca d'Italia e alla Consob il poter di regolamentare aspetti rilevanti del sistema.Il 1 novembre
2007 sarà operativa la MIFID di cui al Decreto legislativo di attuazione della Direttiva 2006/76CE del
10.08.2006 i cui obiettivi sono:
● Raggiungere un livello elevato di armonizzazione: in vista della realizzazione di un mercato integrato europeo
dei servizi finanziari è stato ad esempio stabilito il single passport (estensione della lista dei servizi e degli
strumenti finanziari che le imprese potranno offrire sui tutti i mercati dell'Europa con la sola autorizzazione del
proprio paese d'origine).
● Abolizione dell'obbligo di concentrazione: gli scambi sui titoli quotati, gli ordini di acquisto e vendita potranno
avvenire non solo sui mercati regolamentati (come accade oggi) ma anche su sistemi multilaterali di
negoziazione (MTF). Oltre ai mercati regolamentati e agli MTF gli ordini dei clienti potranno essere eseguiti
dagli intermediari direttamente sul proprio conto (internalizzatori sistematici).
● Rafforzare l'integrità e la trasparenza dei mercati comunitari: stimolare la concorrenza tra le Borse tradizionali
e altri sistemi di negoziazione (regole di trasparenza per la negoziazione delle azioni - obblighi di pre and posttrade per i mercati regolamentati, gli MTF e gli internalizzatori sistematici).
● Norme di comportamento: obbligo di classificazione della clientela in tre categorie - retail, professional,
controparte qualificata - sulla quale dovranno essere parametrati gli obblighi di valutazione della adeguatezza /
appropriatezza delle operazioni, l'obbligo di best execution, gli obblighi informativi).
● Requisiti organizzativi per le imprese e per i mercati: predisposizione di funzioni di compliance, risk
managment e internal audit, e identificazione / gestione dei conflitti d'interessi e delle condizioni per
l'outsourcing).
● Obblighi di rendicontazione alle autorità competenti: gli intermediari devono comunicare alla propria Autorità
competente informazioni sulle negoziazioni effettuate su strumenti quotati in un mercato UE (transaction
reporting).
● Consulenza: assume la rilevanza di servizio o attività di investimento principale, ha, al pari degli altri servizi di
investimento, una propria configurazione autonoma, sia dal punto di vista dei contenuti, che giuridica ed esige di
un'apposita autorizzazione per poterlo svolgere. È un mercato che offre grandi possibilità all'Avvocatura di
inserirsi se saprà prepararsi adeguatamente per, come mi auguro, dare un contributo importante e trovare nuove
ed interessanti fonti di reddito.
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ITALIA OGGI
Le novità annunciate dal relatore al ddl Mastella, Chicchi. Nuove regole anche per le società
Una sfoltita alle funzioni notarili
Attività professionali ridefinite con la riduzione delle riserve
La riforma delle professioni riparte dalla riduzione delle riserve. A scapito dei notai. Che oggi
rappresentano la categoria con il pacchetto più ampio di attività riservate. Non solo. Le regole di
governance vincoleranno il socio di capitali a non interferire nella vita dello studio al quale partecipa
con i suoi capitali. E per le professioni del comparto economico-contabile si apre la possibilità di
sottoscrivere l'assicurazione per la responsabilità civile professionale che copra anche le sanzioni
dirette. Le novità sono state annunciate ieri da Giuseppe Chicchi, relatore della maggioranza per la
riforma delle professioni alla commissione attività produttive della Camera, nel corso della tavola
rotonda sul tema della riforma delle professioni organizzata a Pisa dal sindacato nazionale dei ragionieri
commercialisti. «Puntiamo a presentare una legge quadro di principi il cui compito specifico è definire i
ruoli tra ordini e associazioni non regolamentate», ha dichiarato Chicchi. Le prime indicazioni sui
contenuti del disegno di legge, che dovrebbe essere presentato la settimana prossima, indicano che la
ridefinizione del campo di attività riservate andrà nella direzione di un'ampliamento dei soggetti
ammessi a tale riserve. «Sulla scia del discorso avviato con la legge Bersani, il sistema dualistico sarà
definito attraverso l'erosione di riserve che prima erano di competenza di una sola categoria: i notai», ha
puntualizzato Chicchi. Il riconoscimento delle associazioni non regolamentate ci sarà e il primo via
libera dovrebbe ottenerlo mercoledì prossimo con l'approvazione del parere alla camera al dlgs che
recepisce la direttiva qualifiche professionali (36/2005). Sarà dunque riscritto, secondo le indicazioni
dell'opposizione, l'articolo 25 quello che regola la partecipazione delle professioni non regolamentate
alla predisposizione delle piattaforme comuni. Oltre a prevedere l'esistenza di un codice deontologico
ed etico, l'ampia rappresentatività dell'associazione (in almeno dieci regioni) e quattro anni di vita, sarà
richiesto anche un titolo di accesso: la scuola media secondaria o la laurea.
Il ddl di riforma delle professioni andrà a definire meglio la spinosa questione delle società di capitali:
oltre a fissare un tetto alla partecipazione del socio di capitali, presumibilmente pari al 20% come in
Francia e che non sarà vincolato ad ambiti particolari, saranno stabilite delle garanzie in base alle quali
il socio di capitali non potrà interferire nelle attività dello studio. A favore dei giovani, sarà concessa la
defiscalizzazione delle società formate per due terzi da under 35 per i primi tre anni di lavoro. E infine,
si apre uno spiraglio per la revisione del dlgs 472/97, che da quasi dieci anni impedisce ai professionisti
di sottoscrivere una polizza assicurativa per coprire anche le sanzioni dirette. «Stiamo cercando un
modo per dare un segnale al problema», ha aggiunto Chicchi, «nella legge quadro dunque ci sarà un
riferimento alla normativa sulle sanzioni oppure si penserà a un ordine del giorno del parlamento che
vincoli il governo a mettere mano sulla legge». Ma le richieste del sindacato dei ragionieri
commercialisti si spingono oltre. Chiedendo di mettere nero su bianco il ruolo distinto dei sindacati
rispetto a quello degli ordini o quantomeno di convocarlo nei tavoli di concertazione ufficiali. «Come
nel ddl Vietti», ha proposto Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, «vorremmo vedere
riconosciuta almeno l'esistenza delle associazioni sindacali come soggetto giuridico». «L'ordine deve
avere una funzione di tutela della fede pubblica intervenendo per esempio sulle tariffe e la
deontologia», ha concluso Ezio Maria Reggiani, il presidente del sindacato nazionale dei ragionieri
commercialisti, «e in ogni caso la riforma delle professioni deve ripartire dalla definizione delle
competenze, a prescindere dall'adesione o meno ad un albo». Chiara Cinti
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IL SOLE 24 ORE
Convegno Ancot. Mantini rassicura i tributaristi
Riforma e associazioni, si cerca un compromesso
La riforma delle professioni tarda ad arrivare, nonostante la buona volontà di quanti da anni stanno
lavorando al progetto. E dunque i professionisti non organizzati in Ordini continuano a camminare su
un crinale sottile: da un lato interlocutori della pubblica amministrazione, dall’altro limitati negli
adempimenti, magari proprio nel momento in cui le procedure si semplificano con la telematica. Una
realtà schizofrenica che è emersa, ancora una volta, al 34° convegno nazionale dell’Ancot, in corso ieri
e oggi a Solbiate Olona (Varese). Il sottosegretario all’Economia, Mario Lettieri, intervenuto durante il
dibattito, ha ammesso che è plausibile — se si supererà lo scoglio del riconoscimento — affidare anche
alle associazioni di professioni non ordinistiche il ruolo di filtro, per le segnalazioni antiriciclaggio, tra
iscritti e autorità di vigilanza. D’altra parte, nonostante il ruolo di intermediari tra Fisco e contribuenti,
gran parte dei consulenti tributari non può esercitare la rappresentanza del cliente nei confronti
dell’amministrazione finanziaria. Lo ha ricordato il presidente Ancot, Arvedo Marinelli, che oggi
chiederà a Giorgio Benvenuto, presidente della commissione Finanze del Senato, di sanare questo
vuoto. D’altra parte, il capo di Gabinetto delle Politiche europee, Gianfranco Dell’Alba, ha sottolineato
«la necessità di uniformare le professioni italiane alla realtà europea in un processo che deve avvenire
in tempi brevi per far partecipare a pieno titolo anche le professioni non regolamentate ai lavori delle
commissioni e per permettere la libera operatività dei professionisti italiani negli altri Stati Ue».
Il progetto di riforma delle professioni, tornerà — la prossima settimana — in discussione in
commissione alla Camera. «Abbiamo bisogno di una modernizzazione delle professioni in Italia — ha
detto il relatore, Pierluigi Mantini — e tale processo deve tener conto anche delle associazioni di
professionisti in una più chiara definizione di ciò che si offre alla clientela». Tra le possibilità messe in
campo da Mantini c’è quella di dare «ai professionisti non regolamentati la possibilità di iscriversi alla
Cassa di previdenza più vicina alla loro attività o di rimanere all’Inps». Intanto, martedì i tributaristi
incontreranno i collaboratori del ministro del Lavoro Cesare Damiano: al centro dell’incontro l’aliquota
contributiva alla gestione separata Inps.
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LA STAMPA
L'altra casta: meriti e privilegi dei magistrati
Mantelli e costose coreografie alla Suprema Corte. Ma c'è anche chi lavora in condizioni durissime
E’ una ben strana Casta, quella dei magistrati italiani, che presiede a una Giustizia, che, sono loro a
dirlo, è comatosa, sfasciata, terremotata. Un po’ fa ridere, e un po’ piangere, il sarcasmo di Francesco
Greco, celebre pm milanese, quando dice che in Italia le procedure per arrivare a un divorzio a volte
sono impossibili «e allora è più facile uccidere la moglie». Già, le famose cause infinite per ottenere
giustizia in sede civile. «L’apparato giudiziario sembra la spiaggia di Phuket dove è passato lo
Tsunami». L’arretrato, nel civile come nel penale, è infinito. Strabocchevole il numero di cause penali
che finiscono nel nulla per sopraggiunta prescrizione. Ma lì c’entra una famosa leggina approvata dal
centrodestra, la ex Cirielli, che taglia drasticamente i tempi per arrivare a una sentenza. E se poi i
giudici non ce la fanno, chissenefrega. Mica sempre. Racconta ancora Francesco Greco, sempre più
sarcastico: «L’inchiesta su Parmalat l’abbiamo chiusa in tre mesi. In America, l’inchiesta su Enron
l’hanno fatta in cinque anni. E come è noto, io ho stipendi e stock option eccezionali... Ma quelli che
lavorano con me, stanno sui mille euro al mese».
E allora, ripercorrendo il paradosso di Francesco Greco: i diecimila magistrati italiani sono di sicuro
una Casta, ma molto particolare. I chiari e gli scuri sono portati all’eccesso. Vi si accede per concorso
pubblico e quando qualcuno vuole offenderli in blocco, li definisce «modesti funzionari pubblici». Se
c’è desiderio di visibilità, però, le occasioni non mancano. Gli stipendi di media non sono così alti, in
compenso le ferie sono lunghe e nessuno vigila sugli orari. Non mancano casi clamorosi di
imboscamento, oppure, all’opposto d’impegno sovrumano. Le carriere sono autogestite e i giochi di
corrente hanno un peso immenso. E il potere... Il potere è immenso. Il tema della discussione è noto:
vincono un concorso pubblico e dopo qualche mese hanno la potestà di arrestare un cittadino. E se c’è
di mezzo un giudice-ragazzino, poi, è garantito un sovrappiù di polemica.
Sono considerati «nemici» dei politici. Ma la politica è una tentazione per molti. A destra come a
sinistra. Sono magistrati in prestito al Parlamento sia Anna Finocchiaro che Felice Casson, Massimo
Brutti e Gerardo D’Ambrosio (Ulivo), ma anche Peppino Di Lello (Rifondazione), Nitto Palma (Forza
Italia) o Alfredo Mantovano (An). Avere un giudice nelle liste elettorali è un fiore all’occhiello per ogni
partito. Tanti, come Giuseppe Ayala, sono poi rientrati nei ranghi della carriera. Altri hanno gettato la
toga alle ortiche. Antonio Di Pietro è in pensione. Carlo Palermo svolge il suo lavoro di avvocato.
Curioso contrappasso: sono proprio questi ex magistrati quelli che fanno più arrabbiare i colleghi in
servizio. Casson e Di Lello sono stati i più inflessibili nell’indurire le incompatibilità tra pm e giudice, i
quali, da ora in poi, se passano da una funzione all’altra, dovranno trasferirsi di regione.
Al vertice ci stanno quelli che vestono di ermellino. Non c’è nessun’altra cerimonia che dia il segno di
una Casta come l’inaugurazione di un Anno giudiziario. Nei corridoi della Corte di Cassazione
procedono maestosi in corteo con il tocco e la toga rosso scarlatto, un messo che li precede, le autorità
ad attenderli in piedi. All’opposto ci sono i giovani. Sotto i quarant’anni sono in tremila circa: se la
devono cavare con un buono pasto da 4,6 euro al dì, non hanno macchina di servizio né benefit, si
sentono la «carne da macello» del sistema. «Non si sbaglia ad affermare che molti colleghi di prima
nomina in certe realtà metropolitane stentano a mantenere una vita dignitosa», denunciava qualche
tempo fa un sostituto procuratore a Napoli, Catello Maresca.
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Ecco, se si guarda ai gradini bassi della piramide, in effetti appare come una Casta impoverita.
L’Istituto nazionale di previdenza e mutualità fra magistrati italiani prevede «sussidi» da 52 euro per
acquisto di occhiali, «una tantum» da 1.033 euro in caso di morte, «premio» da 516 euro agli orfani,
fino al toccante dono della toga ai primi tre classificati del concorso. Gli altri, la toga, se la devono
comprare da sé.
Epperò, se si risale per li rami della carriera, si scopre che le cose cambiano presto. Gli stipendi
s’irrobustiscono. E sono gli unici in Italia a lavorare fino a 75 anni. «Un limite - racconta Livio Pepino,
membro del Csm, leader di Magistratura democratica - che anch’io trovo eccessivo. Ma non si può
eliminarlo di colpo. Ci troveremmo gravemente scoperti; salterebbero 500 magistrati».
Loro, i giudici, dopo l’epica battaglia contro il governo berlusconiano, si sentono ancora sotto assedio.
Per puro accanimento, denunciano, dall’anno scorso gli sono stati decurtati di un terzo gli adeguamenti
che spettavano loro per legge. Per reazione, hanno deciso una severa moralizzazione interna. Negati a
tutti (salvo che al Consiglio di Stato) gli incarichi extragiudiziali e gli arbitrati. La legge Mastella
sull’ordinamento, poi, sta per trasformare radicalmente la geografia interna del potere. Ogni
capoufficio, o vice, decadrà automaticamente dalla carica dopo otto anni. Sono già sotto sfratto in 340
tra procuratori capo, aggiunti e presidenti di tribunale. C’è una frattura generazionale che scuote molti
palazzi di Giustizia. Vedi Catanzaro o Potenza. E c’è una questione femminile: le donne sono il 41 per
cento dei magistrati, ma solo il 4 per cento dei dirigenti. Francesco Grignetti
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LA STAMPA
Tra stipendi d’oro e travet
Con le varie indennità si possono mettere insieme vere fortune. Il 67% dei giudici ha ruolo e
retribuzione superiori alle funzioni
Tutta l’architettura si regge sul primo presidente di Cassazione, il più alto in grado tra i magistrati, la
cui busta paga è di fatto una vera e propria unità di misura per il calcolo degli emolumenti non solo di
deputati e senatori (agganciati al 96%) oggetto in questi mesi di tante polemiche, ma anche dei
consiglieri regionali (la cui indennità oscilla tra il 60 ed il 100% di quella dei parlamentari) e dei
massimi vertici della pubblica amministrazione. Per la cronaca: messi tutti assieme, i cedolini dell’
inquilino più importante del Palazzaccio assommano a ben 246.800 euro lordi l’anno, più di 18.900
euro al mese. Le toghe italiane hanno stipendi blindati, fissati per legge, scatti automatici e altrettanto
automatici adeguamenti all’inflazione: solo tra il 2001 e il 2005 hanno spuntato aumenti doppi rispetto
al resto della macchina pubblica. E come se non bastasse godono di un numero di ferie come
nessun’altra categoria in Italia: ben 51 giorni l’anno. Che si traducono in 10 settimane filate di tribunali
chiusi.
Effetto cascata. Ai giudici della Corte Costituzionale spetta esattamente il 50% in più del numero uno
della Cassazione, ovvero 370 mila euro lordi l’anno. Mentre l’assegno del presidente della Consulta
gode di una ulteriore maggiorazione del 20% che vale un assegno finale di 444 mila euro. E questo è
anche il tetto massimo fissato per i presidenti delle principali Authority (Antitrust, Consob,
Comunicazioni ed Energia). In media un magistrato nel 2005 ha guadagnato 107.429 euro lordi l’anno:
si va dai 101.827 euro dei giudici ordinari ai 133.250 dell’ Avvocatura di Stato, ai 144.400 di quelli
amministrativi (Tar e Consiglio di Stato), sino ai 156.149 della Corte dei Conti che nell’ultimo triennio,
in base a un rapporto della stessa magistratura contabile, fanno segnare anche l’incremento più forte:
quasi 21 mila euro lordi in più. Non è un caso che rispetto al 2005 i costi complessivi della Corte, dove
hanno tutti il trattamento che corrisponde di fatto a quello di Consigliere dì Cassazione, siano cresciuti
quasi del 15% arrivando a toccare quota 276,4 milioni di euro.
Il boom della spesa. Nel suo complesso la spesa totale per la magistratura nel 2005 è stata pari a 1,166
miliardi di euro, con un incremento del 26,2% rispetto al 2001. Una percentuale più che doppia rispetto
alla media di tutti gli stipendi della «Pa» che nello stesso arco di tempo sono cresciuti del 12,8%. Del
resto, fino all’approvazione del nuovo Ordinamento giudiziario avvenuta il 30 luglio scorso, i
magistrati italiani godevano di un meccanismo di scatti praticamente automatico che faceva lievitare la
loro busta paga a prescindere dall’incarico ricoperto, solamente in base all’anzianità. Ciò sei mesi dopo
l’assunzione il primo scatto, il secondo dopo 2 anni, e via di questo passo con passaggi automatici dopo
5, 13, 20, 28 e 30 anni. A fine carriera anche se si lavora nel più sperduto dei Tar il magistrato è di fatto
equiparato ad un giudice di Cassazione e incassa circa 7800 euro netti al mese. Secondo il «Libro verde
sulla spesa pubblica», in questo modo, «ben il 67% dei magistrati ha un ruolo - e corrispondente
retribuzione - superiore alle funzioni svolte». Inoltre i magistrati godono di un sistema di adeguamento
triennale al costo della vita ancorato agli aumenti del pubblico impiego del triennio precedente e
corrisposto sotto forma di anticipi annuali. L’ultimo, scattato il 1° gennaio, vale il 3,69% in più.
Col nuovo ordinamento le progressioni automatiche vanno in soffitta, sostituite da nuovi scaglioni (7
anziché 9) che si raggiungono solo superando una prova di idoneità. In questo modo l’amministrazione
introduce un minimo criterio di merito, ma non riduce i vantaggi delle nostre toghe che una volta
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superate tutte le prove si trovano nelle condizioni di arrivare anche con 8 anni di anticipo rispetto alla
vecchia normativa ai vertici della carriera.
Incarichi d’oro. I guadagni delle toghe però non si fermano qui. Giudici amministrativi e contabili
possono assumere incarichi nella pubblica amministrazione cumulando stipendi e indennità e fare parte
dei collegi arbitrali chiamati a risolvere contenziosi del valore dì diversi milioni di euro. Solo per stare
alle più recenti, il presidente di sezione del Consiglio di Stato Pasquale De Lise, ex presidente del Tar
del Lazio e da anni un vero specialista del ramo, è stato autorizzato a dirimere un contenzioso tra Anas
e [‘Impresa asfalti Sintex del valore di 88 milioni di euro, mentre al consigliere di Stato Claudio
Zucchelli è andata la causa Astaldi-Anas che di milioni ne vale 35. Nell’ambito degli incarichi di
governo, invece, tra i più recenti spiccano i 350 mila curo assegnati a Massimo Romano in qualità di
direttore dell’Agenzia delle entrate, i 148.500 di Ermanno Granelli vice alto commissario
anticorruzione, i 135 mila di Domenico Oriani (presidente dell’Agea, l’agenzia che eroga i contributi
agricoli) e i 120 mila di Piero Calandra (consigliere dell’Autorità lavori pubblici). Paolo Peluffo, ex
portavoce di Ciampi al Quirinale, quest’anno ha ricevuto 74 mila euro per la sua «collaborazione» una
tantum col Senato e 75 mila euro da Palazzo Chigi come capo Dipartimento per l’editoria. Consiglieri
legislativi e vicecapi d igabinetto dei ministri viaggiano invece tra i 30 e i 90 mila euro lordi l’anno, in
più magari cumulando più incarichi come capita a Carlo Polidori alle Politiche giovanili. Paolo Baroni
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LA STAMPA
L’ltalia nella media Ue
I costi de processi non sono stratosferici
Secondo il rapporto dei ministero dell’Economia sui costi della giustizia, calcolati nel 2001, l’Italia
nonostante le polemiche non si trova in condizioni particolarmente difficili rispetto ad altri paesi
europei. infatti il costo di ogni procedimento penale concluso rispetto alla spesa totale è di 1,4 euro.
Contro i 3,8 della Danimarca, i 2,2 della Francia e i 2,1 euro dell’Inghilterra. Meglio dell’Italia la
Germania con 0,7 euro per processo, l’Austria con 0,8 e la Svezia con 0,9. Stesso discorso
per i processi civili dove l’Italia mantiene il rapporto ad 1,4 euro mentre l’Inghilterra sale a 4,1 e la
Germania arriva a 4 euro.
QUANTI SONO
Dati relativi al 2005
CATEGORIA
DOTAZIONE ORGANICO
Avvocatura dello Stato
370
Consiglio di Stato e
T.A. R.
498
Corte dei Conti
PERSONALE IN SERVIZIO
di cui DONNE
351
123
467
77
615
523
105
Magistratura ordinaria
10.109
9.188
3.683
Magistratura militare
103
98
12
Totale
11.695
10.627
4.000
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LA STAMPA
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ITALIA OGGI
Il sottosegretario Lettieri annuncia la modifica al decreto di recepimento della terza direttiva
Un filtro in più per l'antiriciclaggio
Anche le associazioni intermediarie nelle segnalazioni all'Uif
Le associazioni di professionisti senza albo faranno da filtro alle segnalazioni sull'antiriciclaggio. Così
come gli ordini professionali, diventeranno infatti intermediari nella trasmissione delle segnalazioni di
operazioni sospette all'Uif. Ad anticipare la possibile correzione del dlgs di recepimento della terza
direttiva europea, sulla quale entro il 12 ottobre le commissioni parlamentari competenti dovranno
fornire le proprie osservazioni, è stato Mario Lettieri.
Il sottosegretario all'economia, infatti, intervenuto al 34° convegno nazionale dell'Ancot in corso a
Solbiate Olona (Varese), ha comunicato la sua idea ai diretti interessati. «Certo», ha sottolineato, «le
associazioni non sono soggetti pubblicistici come gli ordini, ma tutta la disciplina deve andare verso
una radicale semplificazione». Lettieri ha, quindi, auspicato che il tanto atteso riconoscimento arrivi
con la riforma delle professioni o, ancora prima, con il recepimento della direttiva qualifiche. «Dato
che», ha aggiunto Lettieri, «con i professionisti, tutti, la collaborazione deve solo che crescere».
Un'apertura di credito che, restando in tema di lotta al crimine finanziario, si concretizzerà con un
coinvolgimento di ordini e associazioni nella prossima definizione degli indici di anomalia delle
operazioni, altro pezzo della disciplina antiriciclaggio. Non solo. Lo stesso Lettieri ha confermato che i
dati acquisiti dalla pubblica amministrazione e frutto delle segnalazioni dei professionisti potrebbero
essere utilizzati ai fini degli accertamenti fiscali nei confronti dei contribuenti.
Ma il convegno Ancot ha riservato altre novità. Nando Dalla Chiesa, sottosegretario al ministero
dell'università, intervenuto telefonicamente ai lavori, ha anticipato che nel passaggio al ministero di
Piazzale Kennedy della riforma delle professioni il profilo del tributarista sarà migliorato «con tutti i
possibili interventi per prevedere almeno una laurea triennale e un curriculum professionalizzante»,
quest'ultimo sganciato dalla pratica professionale e dall'esame di stato che serve per diventare esperti
contabili o dottori commercialisti. Avallando così quella che era la richiesta di Arvedo Marinelli,
presidente nazionale dell'Ancot. Lo stesso Marinelli, del resto, durante i lavori congressuali ha posto
l'accento sul ruolo conquistato dai tributaristi negli anni nei rapporti con la pubblica amministrazione,
in generale, e nei confronti dell'Agenzia delle entrate, in particolare. Per il presidente Ancot, però, il
riconoscimento sul campo deve diventare anche formale.
A tal proposito molte speranze da parte dell'associazione sono rivolte al recepimento della direttiva
qualifiche. Sulla quale, dopo l'acquisizione del parere favorevole da parte del senato, mercoledì si
aspetta il giudizio delle commissioni giustizia e attività produttive. Gianfranco Dell'Alba, capogabinetto
nel ministro delle politiche europee Emma Bonino, ha confermato la volontà del ministero di portare
avanti il discorso del riconoscimento delle associazioni. Che potranno, così, partecipare ai tavoli
internazionali per uniformare le caratteristiche dei profili professionali. L'atteso parere sarà positivo,
come ha potuto anticipare uno dei due relatori allo schema di dlgs di recepimento della direttiva
Zappalà, Pierluigi Mantini (l'altro è Giuseppe Chicchi). Aprendo, così, per il provvedimento la strada al
consiglio dei ministri di fine ottobre per il via libera definitivo. Ignazio Marino
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Riforma della magistratura onoraria, del tutto insoddisfacenti le proposte di via
Arenula
L’Unione nazionale dei giudici di pace conferma l’astensione dalle udienze da lunedì 8 a sabato 13
ottobre. La protesta, si legge in una nota, si è resa necessaria dopo le insoddisfacenti proposte
presentate dal ministro della Giustizia Clemente Mastella durante l’incontro dello scorso 27 settembre.
Sulla continuità del servizio le proposte del Ministero prevedono un trattamento differente e
discriminatorio dei giudici in servizio e non prevedono alcun trattamento di previdenza e assistenza
obbligatoria. Nulla poi, continua la nota, è stato proposto in materia di garanzie dell’indipendenza dei
Gdp e di revisione delle indennità (ferme ai valori dell’anno 2000 e senza alcun incremento Istat),
mentre è stata avanzata l’idea di assegnare ai giudici di pace una parte delle cause ancora non definite
dai Tribunali intendimento incompatibile con le condizioni organizzative ed economiche esistenti.
I giudici di pace, conclude il comunicato, «rivendicano a pieno titolo l’appartenenza all’ordinamento
giudiziario e ricordano alle forze politiche e alla classe dirigente la necessità di garantire al Paese una
magistratura di pace indipendente, efficiente, professionale, tutelata nella sua dignità di alto organo
istituzionale e costituita da magistrati a cui riconoscere i diritti previdenziali e lavorativi tutelati dalla
Costituzione».
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IL SOLE 24 ORE
Diritto dell’economia. Allo studio della Giustizia l’allargamento delta platea soggetta alla procedura
Fallimento anche per i consumatori
Anche il consumatore potrà fallire. Come pure l’artigiano e il piccolo imprenditore. Nell’agenda del
ministero della Giustizia c’è un disegno di legge che aprirà le porte delle procedure concorsuali a tutta
una serie di soggetti che oggi ne sono esclusi. Una maniera per avvicinarci alla legislazione di altri
Paesi europei come Francia e Inghilterra, ma anche agli Stati Uniti, nel bene e nel male faro di molto
del nostro diritto dell’economia. La novità è emersa a margine del convegno organizzato dal Centro
nazionale di difesa e prevenzione sociale dedicato a «Proprietà e controllo dell’impresa». Il 1° ottobre
si svolgerà la prima riunione del gruppo di lavoro incaricato di mettere a punto una proposta nei
confronti della quale il ministro Clemente Ma- stella ha già dimostrato estremo interesse. Del gruppo
fanno parte giuristi come Andrea Zoppini, giudici come Luciano Panzani e Pasquale Liccardo,
rappresentanti di associazioni come Enrico Granata di Abi. L’obiettivo del progetto, che parte anche
dall’attenzione se non dall’allarme per le condizioni di indebitamento delle famiglie, è quello di dotare
il nostro sistema giuridico di uno strumento sinora assente ed è frutto di un cambiamento drastico di
prospettiva provocato dalla riforma del diritto fallimentare. Oggi, infatti, il fallimento può costituire
un’opportunità e non più, non solo, una sanzione. Gli incentivi per l’accesso a strumenti stragiudiziali
di soluzione delle crisi d’impresa, la chance dell’esdebitazione, rappresentano dei cardini delle nuova
legge fallimentare che possono rendere conveniente l’apertura della procedura concorsuale.
Un’opportunità da cui, però, resta ancora esclusa una pluralità di soggetti troppo ampia. Chi si trova,
infatti, al disotto delle soglie di fallibilità, pur esercitando un’attività imprenditoriale o commerciale, il
settore agricolo, ma soprattutto il semplice consumatore rischia di dovere fronteggiare l’impossibilità di
fare fronte ai debiti con conseguenze che oltre a essere pesanti sono soprattutto pro- tratte nel tempo.
Entrare infatti nel circuito delle esecuzioni individuali può compromettere le opportunità di una ripresa
per chi svolge attività imprenditoriali e affondare definitivamente le prospettive delle famiglie. In
questo senso il progetto, specialmente per famiglie e consumatori, deve essere letto in parallelo a un
disegno di legge, già approvato dal Consiglio dei ministri, e a un istituto della riforma della legge
fallimentare. Il nuovo assetto del credito al consumo, inserito in una delega voluta dal ministero
dell’Economia, si avvia infatti a diventare più trasparente sul fronte degli operatori e delle offerte,
rafforzando lo scudo contro cattive sorprese a danno dei consumatori. E poi c’è l’esdebitazione. La
possibilità di liberazione dai debiti residui per chi ha conservato un atteggiamento corretto e
collaborativo nel corso della procedura senza ostacolarne gli organi e l’autorità giudiziaria può essere
infatti un bersaglio assai appetibile e suscettibile di essere estesa al di là del perimetro delle imprese.
La logica allora potrebbe essere questa: permettere a chi ha maturato debiti che non riesce più a pagare
di mettere in liquidazione il suo patrimonio per soddisfare i creditori per una percentuale che quasi
sicuramente si rivelerà più bassa di quanto effettivamente dovuto. Una volta proceduto alla
liquidazione, con una sorta di fallimento soft, l’esposizione verrebbe azzerata e il debitore sarebbe
“liberato” da conseguenze ulteriori (salvo studiare soluzioni che gli renda- r no più difficile l’accesso
successivo al credito). Giovanni Negri
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IL SOLE 24 ORE
Il progetto di riforma
L’obiettivo. Il gruppo di lavoro messo in campo dal ministero della Giustizia si propone di mettere a
punto un disegno di legge che apra la porta del fallimento anche al consumatore, all’artigiano e
commerciante, al piccolo imprenditore
I problemi. Oggi, dopo la riforma del diritto fallimentare, che ha reso più convenienti gli strumenti
stragiudiziali di soluzione delle crisi d’impresa e L’istituzione della liberazione dai debiti residui, il
fallimento si avvia a diventare una soluzione possibile per favorire l’emersione dal dissesto finanziario:
ne restano però ancora escluse Le famiglie e un’ampia platea di piccoli soggetti imprenditoriali.
L’esdebitazione. L’esdebitazione, cioè la possibilità di liberazione dai debiti residui per chi ha
conservato un atteggiamento corretto e collaborativo nel corso della procedura senza ostacolarne gli
organi e l’autorità giudiziaria, potrebbe essere estesa anche fuori dal perimetro delle imprese.
La soluzione. Il progetto dovrebbe mettere a punto un meccanismo di liquidazione soft del patrimonio
personale o della piccola impresa tale da permettere, una volta concluso, di azzerare l’esposizione
debitoria dell’interessato
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IL MESSAGGERO
Settanta udienze, e l’imputato? Era morto
SETTANTA udienze inutili. Eppure, ad evitarle, sarebbe bastata una sola telefonata all’anagrafe.
Perché quell’imputato, contumace fino a ieri, sotto processo per dieci anni, era morto nel 1997. A volte
la giustizia appare cieca, sembra accanirsi a testa bassa senza accorgersi che addirittura è venuto meno
l’obiettivo dell’indagine. Quasi che il processo potesse proseguire anche nell’aldilà. Davanti ai giudici
della sesta sezione del tribunale di Roma la posizione di Walter Staffa, mai presente in aula, è stata
esaminata a lungo. Da quando cioè ha avuto inizio il dibattimento: giugno 1 997. Staffa rinviato a
giudizio, non si era presentato. Il processo è andato avanti. Fino a ieri, quando, per “morte del reo”, il
reato presunto è stato dichiarato “estinto”. Walter Staffa era passato a miglior vita nell’estate dell’97,
forse tutti, giudici e avvocati hanno creduto di vederlo seduto tra loro, al suo posto di imputato, per
dieci anni. Forse, semplicemente, hanno pensato che la sua fosse un’assenza volontaria e non hanno
reputato anomalo che anche l’avvocato di fiducia fosse “contumace” insieme al presunto colpevole.
Alle ultime battute del processo, tutti si chiedevano che fine avesse fatto, ricordandolo puntuale
all’inizio di ogni udienza in questi lunghi dieci anni. Anche se in quell’aula Staffa non c’era mai stato.
In realtà, all’apertura del dibattimento, il 9 giugno del ‘97, Staffa, 40 anni, dipendente dell’Ufficio del
registro di Roma, era ancora ancora vivo. L’uomo, come suo diritto, aveva nominato un avvocato di
fiducia. Accertata l’assenza volontaria dell’imputato, i giudici lo avevano dichiarato contumace. Il
processo, dopo la sospensione estiva, aveva ripreso il suo lento e inesorabile corso in autunno.
All’inizio della nuova udienza, il presidente del collegio aveva letto l’appello degli imputati per sapere
chi tra loro fosse presente e chi contumace. Sedici nomi, prima di arrivare all’ultimo della lista, Walter
Staffa. E quando era arrivato quel nome, nessuno aveva risposto, neppure l’avvocato di fiducia. Solo
silenzio. Staffa era morto proprio durante l’estate dell’97. Anche in assenza di risposte, il processo
doveva andare avanti, e così, come prevede la legge, il presidente aveva deciso di nominare un
difensore d’ufficio e di dichiarare ancora una volta la contumacia dell’imputato. E il 10 ottobre del
1997. Da quel giorno, ogni udienza del processo è cominciata con il rituale appello del giudice. E con
un altrettanto rituale silenzio dopo il nome di Staffa. Assente anche il legale di fiducia. Rituale nomina
di un difensore d’ufficio. Rituale dichiarazione di contumacia e inevitabile e conseguente nomina del
difensore d’ufficio. Un avvocato qualunque, di solito il primo che il cancelliere vede passare nel
corridoio del Tribunale. Così per settanta volte. Nel tempo, qualcuno, distrattamente, si era anche posto
qualche domanda sulla fine di Staffa e sul perché non intendesse mandare in aula un difensore di
fiducia. Ma il problema, visto l’esito della vicenda, deve aver sempre ceduto il passo alle questioni
processuali di giornata. In questi dieci anni, i tanti avvocati nominati d’ufficio, tornati nei loro studi,
non si sono curati di fare una telefonata per sapere che fine avesse fatto mai il signor Walter Staffa. Un
problema di cui non si sono preoccupati neanche i giudici e il pubblico ministero. Perché, di regola, è
l’avvocato di fiducia a comunicare ai giudici il decesso dell’imputato. E così il processo è andato pian
pianino avanti. Con i soliti tempi della nostra giustizia. Fino all’ultima udienza, nel luglio del 2007,
quando il pm Maria Monteleone ha deciso di informarsi per sapere che fine avesse fatto l’ultimo
imputato della lista, questo tale Walter Staffa contumace. La breve indagine e stata avviata e ha trovato
conclusione in poche battute. Una richiesta rivolta ufficialmente all’anagrafe di Roma ha risolto il
quesito. L’uomo è deceduto nell’estate dell’97. Ieri il pm ha presentato ai giudici il certificato di morte.
La dichiarazione ufficiale è arrivata. Reato estinto. L’imputato fantasma Walter Staffa e uscito
definitivamente dal tribunale. Può riposare in pace.
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
DIRITTO E GIUSTIZIA
Meeting point
A Roma, mercoledì 10 ottobre, ore 15.00,presso la sede del Consiglio nazionale forense, via del
Governo Vecchio 3,il seminario dal tema «Il costo dei servizi legali per le imprese», organizzato dal
Consiglio nazionale forense e dalla Scuola superiore dell’Avvocatura. Interverranno, a gli altri, Alarico
Mariani Marini, vice presidente della Scuola superiore dell’Avvocatura, Giuseppe Carriero, avvocato
cassazionista Banca d’Italia, Enrico Granata, Abi, Stefano Micossi, Assonime, Raffaello Sestini, ufficio
legislativo del ministero della Sviluppo economico e Guido Alpa, presidente del Cnf.
A Roma, giovedì 11, venerdì 12 e sabato 13 ottobre 2007, presso l’Auditorium del Massimo, la
quinta conferenza nazionale dell’avvocatura dal tema «Se questa è Giustizia...una rinascita che non
può attendere» organizzata dall’Organismo unitario dell’Avvocatura. Interverranno, tra gli altri,
Clemente Mastella, ministro della Giustizia, Nicola Mancino , vice presidente del Csm, Roberto
Castelli, capo gruppo Lega Nord al Senato, Pino Pisicchio, presidente della commissione Giustizia della
Camera, Cesare Salvi, presidente della commissione Giustizia del Senato, Maurizio Beretta, direttore
generale Confindustria, Giuseppe Gennaro, presidente dell’Anm, Guido Alpa, presidente del Cnf,
Oreste Dominioni, presidente dell’Ucpi, Michelina Grillo, presidente dell’Oua, Gianni Alemanno, An,
presidente della Fondazione Nuova Italia, Augusta Iannini, capo del dipartimento Affari Giustizia del
Ministero, Massimo Luciani, Università «La Sapienza» di Roma, Antonietta Fiorillo, vice presidente
dell’Anm, Maurizio De Tilla,presidente dell’Adepp, Paolo Valerio, presidente Federmot, Pierluigi
Mantini, responsabile professioni della Margherita, Michele Vietti, portavoce nazionale Udc, Fausto De
Santis, presidente Cepej, Marco Ubertini, centro raccolta ed elaborazione dati Oua, Nello Rossi,
segretario generale Anm, Daniele Capezzone , presidente della commissione Attività produttive della
Camera, Gaetano Pecorella, commissione Giustizia di Montecitorio, Francesco Cersosimo, presidente
Angp, Remo Danovi, Università degli studi di Milano, Ettore Randazzo, responsabile nazionale scuole
Ucpi, Armando Spataro, componente Giunta Anm, Marina Marino, presidente dell’Aiaf, Valter Militi,
presidente dell’Aiga, Bruno Sazzini, segretario generale dell’Anf e Salvatore Grimaudo, presidente
dell’Ucci.
A Bologna, giovedì 11 ottobre, ore 14.30, presso la Casa circondariale di Bologna, via del Gomito 2, il
convegno dal tema «La pena detentiva tra utopia rieducativa e privazione dei diritti della persona.
Diritto alla salute e tutela dei rapporti affettivi», organizzato dalla Camera penale di Bologna. A
presiedere i lavori sarà Franco Oliva, presidente della Camera penale “Franco Bricola” di Bologna.
Interverranno, tra gli altri, Manuela Ceresani direttrice della Casa circondariale di Bologna, Riccardo
Rossi, magistrato di sorveglianza del Tribunale di Bologna, Luca Ghedini, magistrato di sorveglianza
del Tribunale di Bologna, e Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale
per il Comune di Bologna.
A Grosseto, venerdì 12 e sabato 13 ottobre 2007, presso il Teatro degli Industri il convegno dal tema
«La ricostruzione del processo penale. Qualcosa si muove? Esperti a confronto sul progetto di
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riforma della commissione Riccio» organizzato dall’Associazione nazionale magistrati, sottosezione
di Grosseto, dall’Ordine degli avvocati di Grosseto, dalla Camera penale di Grosseto, dall’Associazione
per la formazione forense del sud della Toscana, con il patrocinio della città di Grosseto. Interverranno,
tra gli altri, Giorgio Lattanzi, presidente di sezione della Corte di cassazione Giuseppe Riccio,
presidente della commissione di studio per la riforma del codice di procedura penale Giovanni Canzio,
Corte di cassazione, Marco Stefenelli, Cnf, Francesco Caprioli Università di Bologna, M. Me Francoise
Travaillot, ministero della Giustizia francese, Giuseppe Frigo, Università di Brescia, Giovanni Silvestri,
Corte di cassazione, Domenico Carcano, Corte di cassazione, Giovanni Diotallevi, ufficio legislativo
del ministero della Giustizia, Armando mammone presidente Anm sottosezione di Grosseto, Paolo
Tonini, Università di Firenze.
A Trieste, venerdì 12 e sabato 13 ottobre 2007, presso la Sala Maggiore della Camera di commercio,
industria, artigianato e agricoltura di Trieste, piazza della Borsa 14, il convegno dal tema «I porti
marittimi a rilevanza nazionale e internazionale», organizzato dall’Università degli studi di Trieste.
A presiedere i lavori sarà Vincenzo Antonio Borea, presidente del Tar Friuli Venezia Giulia.
Interverranno, tra gli altri, Franco Gaetano Scoca, Università degli studi di Roma «La Sapienza», Gian
Paolo Dolso, Università degli studi di Triestee Fabio Cintioli, Libera Università degli Studi «S. Pio V»
Roma.
A Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, venerdì 12 e sabato 13 ottobre 2007, presso il Centro
congressi Mahara Hotel, il convegno dal tema «La vita nuova del fallimento». Interverranno, tra gli
altri, Vincenzo Carbone, primo presidente della Corte di cassazione, Massimo Ferro, Ufficio
massimario Corte di cassazione, Nicola Rocco di Torrepadula, Università di Salerno, Girolamo
Bongiorno, Università «La Sapienza» di Roma, Giuseppe Terranova, preside della facoltà di
giurisprudenza dell’Università «Roma Tre», Giuseppe Alessi, Università Luiss ed Alberto Maffei
Alberti, Università di Bologna.
A Treviso, venerdì 19, sabato 20 e domenica 21 ottobre 2007, presso il Teatro comunale, il
congresso straordinario dell’Unione Camere penali italiane dal tema «Libertà legalità giustizia: i
penalisti italiani per la difesa dello Stato di diritto».
A Firenze, giovedì 25 ottobre 2007, presso l’Hotel Adriatico, via Maso Finiguerra 9, ore 15, la
giornata di studi dal tema «Figli naturali: quale giudice?» organizzato dall’Aiaf Toscana e dall’Aiga
sezione Firenze. Interverranno, tra gli altri, Ilaria Chiosi, segretario Aiga Sezione Firenze, Gianfranco
Casciano, presidente del Tribunale per i minorenni di Firenze, Alberto Figone presidente Aiaf Liguria,
componente della Giunta esecutiva Aiaf e Manuela Cecchi, presidente Aiaf Toscana.
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