NeMa e i traduttori difettosi.
A partire da Alle Tage di Terézia Mora
Wait 20-30 seconds, then carefully peel off backing. Rinse and allow to dry.
Attenda 20-30 secondi, allora con attenzione sbuccisi fuori di protezione.
Risciacqui e concedi asciugarsi.
(da un libretto di istruzioni)
Non sono sempre umani i traduttori incaricati di restituire un senso alle
innumerevoli lingue straniere che ci circondano. Con una frequenza sempre
maggiore parole e frasi vengono spinte a passare attraverso macchine
decodificatrici, dizionari elettronici da tasca, vocabolari on-line, portali di
traduzione, che talvolta ci restituiscono – in una lingua che sembra “la nostra”lacerti di testo montati al contrario, mescolati, a volte più incomprensibili ancora
che nella versione originale, a volte involontariamente poetici.
L'individualità di un traduttore dovrebbe inquinare il meno possibile il testo che
gli passa per le mani. Esattezza ed eventuale capacità di sparire, questi sono i
requisiti richiesti. Così è il geniale traduttore Abel Nema, giovane esteuropeo
smarrito nella metropoli di B., magnete, trauma e “centro vuoto” del romanzo Alle
Tage [Tutti i giorni] di Terézia Mora. Disertore suo malgrado nel paese natale,
dove durante la sua assenza scoppia una guerra civile che gli impedisce di tornare
indietro, Abel si ritrova vittima di una postmoderna pentecoste casalinga con un
boiler a gas al posto delle lingue di fuoco, sufficiente comunque, come tradizione
vuole, a renderlo capace di parlare e comprendere le lingue altrui. Grazie alla
possibilità di esercitarsi in un laboratorio linguistico, poi, – e sempre senza
scambiare una parola con un singolo straniero vivo - Abel giunge a padroneggiare
pienamente ben dieci lingue, con le quali evita accuratamente di comunicare con
chicchessia. La caratteristica principale del traduttore Abel Nema è infatti il suo
inspiegabile, ostinato tacere. Pur essendo la figura centrale del romanzo, la sua
personalità resta sfuggente; sono le storie – e le lingue – altrui a dipanarsi e
raccontarsi attraverso la sua persona, che si scompagina in un coro di voci
contraddittorie:
1
Ommariavergineliberatrice!, disse Tatjana a Erik. La nostra amica Mercedes ha
sposato una specie di genio o nonsocosa della Transilvania o chissà dove, uno
che lei ha salvato da un incendio o roba del genere.
In realtà, disse Miriam, la madre di Mercedes, è uno assolutamente a posto. Un
uomo gentile, silenzioso e di bell’aspetto. E allo stesso tempo, è uno
assolutamente non a posto. Anche se si fa fatica a inquadrarlo. C’é qualcosa di sospetto.
Il modo in cui è gentile, silenzioso e di bell’aspetto. Ma forse è normale, quando
si è altamente dotati.
Altamente? Ma che vuol dire? Be’, qualcosa sa. Qualche lingua. A quanto
pare. Perché in realtà ce ne vuole per sentirgli dire una frase. Questo può essere
un sintomo. Ma non è la ragione.
Ha gli stessi problemi di ogni emigrante: ha bisogno di documenti e ha bisogno
di una lingua, aveva detto qualche tempo prima il professor Tibor B. alla sua
compagna di una volta, Mercedes. Il problema della lingua l’ha risolto
perfezionandosi, e in ben dieci lingue, apprendendo la maggior parte delle
sue conoscenze in un laboratorio linguistico – da non credere se lo racconto così:
dal registratore. Non mi meraviglierei se non avesse mai parlato con un singolo
portoghese o finlandese vivo. Per questo tutto ciò che dice è, come posso dire,
quasi senza luogo, limpido come non si è mai sentito, nessun accento, nessun
dialetto, niente – parla come uno che non viene da nessuna parte.
Uno nato sotto una buona stella, disse qualcuno di nome Konstantin. Gli dico: tu
sei nato sotto una buona stella. Mi guarda come se non avesse capito una parola.
Eppure questa dovrebbe essere la sua specialità, non è vero? Per come la penso
io, la sua specialità è far sì che le persone si interessino a lui, e senza che lui
faccia il minimo sforzo. [...]
Uno che fa un po’ il sostenuto, di quelli Tipregononmitoccare, però a me non mi
imbrogli, il tuo nome ti tradisce: Nema, il muto, imparentato con lo slavo Nemec,
usato oggi per: il tedesco, e in passato per ogni lingua non slava, o detto
altrimenti: i Barbari. Abel, il barbaro, disse una donna di nome Kinga, e rise.
Questo sei.1
C'è tuttavia un aspetto su cui le diverse voci sembrano accordarsi: nonostante la
fascinazione iniziale che Abel esercita su chiunque gli si avvicini, tutti i
personaggi che entrano in relazione con lui – inclusi i lettori – sono costretti ad
arretrare di fronte alla sua totale inespugnabilità alla comunicazione, di fronte alla
sua “inumanità”. Il termine unmenschlich, “non-umano”, ritorna con insistenza
1
T. Mora, Alle Tage, München, Luchterhand Literaturverlag, 2006³, pp. 13-14.
2
nelle pagine di Alle Tage a marchiare l'indifferenza di Abel nei rapporti umani e la
sua capacità di passare intatto attraverso qualunque situazione. Impossibilitati ad
afferrare la persona, non resta dunque che aggredire il nome: Abel – Abele –
Abelardo, nomi che rimandano a storie in cui l'innocenza finisce per scatenare la
violenza altrui, e al contempo si confondono in uno strano gioco di presenza e
assenza: Abel, in ebraico “alito, fiato, nullità”; Nema, in croato “non c'è”. È
Terézia Mora stessa a suggerire piste diverse per accerchiare il personaggio
(Nema, il muto, imparentato con lo slavo Nemec...) e i critici hanno saputo darne
altrettante possibili letture: Nema è anche un Amen letto alla rovescia, suggerisce
Verena Auffermann2, così come appeso alla rovescia è “il nostro eroe” nella scena
iniziale del romanzo.
NeMa, in tedesco, è anche il nome di uno strano macchinario. Un acronimo per
NEue MAschine, una macchina per crittografare messa a punto in Svizzera
all'inizio degli anni Novanta e ispirata alla celebre macchina Enigma, con cui
l'esercito tedesco cifrava e decifrava informazioni militari durante la seconda
guerra mondiale. Viene da chiedersi se Terézia Mora non abbia pensato persino a
questo nel mettere insieme la bizzarra personalità del suo protagonista, tanto più
che è proprio così che Abel definisce se stesso, in uno sei pochi tratti in cui prende
direttamente la parola: ich bin eine faire Maschine. Es ist keine Gnade in mir3. La
Swiss NEMA Cipher Maschine dissimula i suoi possibili utilizzi militari sotto
l'aspetto di un mezzo al servizio della diplomazia internazionale. Ne esistono due
diverse versioni: una realizzata per trasmettere le comunicazioni tra le ambasciate,
e un'altra, mai adoperata, utilizzabile in caso di eventuali conflitti bellici.
Comunicazione e aggressione, due facce della stessa medaglia.
Anche la “macchina” traduttrice Abel Nema è in grado di padroneggiare dieci
lingue che portano alternativamente ad un aumento delle possibilità comunicative
o al più totale Kauderwelsch, all'incubo del linguaggio incomprensibile; e in
qualche modo sembra non sia mai lui a decidere come andranno le cose, quanto le
situazioni in cui di volta in volta si trova coinvolto. Per quanto riguarda questo
romanzo, però, il contesto si lascia intuire immediatamente: fin dalla prima pagina
il titolo bachmanniano4 fa calare sulla vicenda l'ombra della guerra. Non si tratta
2
3
4
V. Auffermann, Terézia Mora gelingt ein Buch über die Vertreibung aus dem Paradies, in «Die Zeit»,
02.09.2004.
T. Mora, op. cit., p. 405. [Sono una pura e semplice macchina. Senza alcuna pietà.]
In Alle Tage la presenza di Ingeborg Bachmann va comunque ben oltre un titolo preso in prestito. Si pensi
anche soltanto all’incipit del romanzo (Nennen wir die Zeit jetzt, nennen wir den Ort hier), che sembra
3
necessariamente di una guerra guerreggiata, quanto di uno stato di eccezione
divenuto normalità, un mondo rovesciato dove «l'inaudito è divenuto quotidiano»
e dove «ciò che appariva come caos era in realtà una conseguenza di giorni
sempre uguali»5, come scrive Mora. È forse proprio il caos, infatti, il principale
oggetto di Alle Tage – o meglio: lo stato del mondo, e lo stato del mondo è una
“unbekannte Größe P.”, l'incognita-Panico, la confusione. Nella lingua si
manifesta con inaspettata violenza, proprio come una macchina da guerra che per
rendere più complessa la propria decrittazione aumenti progressivamente il
numero dei suoi rotori e con esso le possibili combinazioni di lettere e di parole,
fino all'incomprensibilità. E l’incomprensibilitá è il marchio distintivo del
barbaro, la figura che con suo insensato bar-bar annuncia la trasformazione dello
stato delle cose attraverso la sovversione delle strutture linguistiche, ma che allo
stesso tempo propone un “Recycling der Sprache”6, una sua possibile
risemantizzazione. Un ritorno indietro all'improbabile purezza comunicativa della
lingua materna perduta, infatti, almeno in Terézia Mora non sembra dato. La
lingua dell'infanzia può essere altrettanto veicolo di violenza e prevaricazione, e
alla lingua materna stessa - posto che sia possibile identificarla - non viene
accordato alcun privilegio espressivo come tramite della scrittura letteraria.
Il bailamme delle lingue che si aggirano nel cervello di Abel Nema viene
rappresentato nel romanzo anche attraverso il moltiplicarsi di figure sedicenti
materne, le amanti del padre di Abel, che nel Delirium conclusivo del romanzo
abitano una sorta di allucinato “regno delle madri” in cui il protagonista compie la
sua personalissima catabasi. Le amanti sono dodici e le lingue parlate da Abel
dieci, è vero, ma nelle prime pagine del romanzo si allude al fatto che le donne
“da prendere in considerazione” per cercare notizie sul padre scomparso sono nei
fatti, appunto, dieci: delle dodici iniziali, una si è uccisa e un'altra è ricoverata in
un istituto psichiatrico. L'analogia tra le lingue e “le madri” di Abel si spinge
ancora oltre in una frase che Abel ricorda pronunciata dal padre Andor, nella
quale nel computo delle amanti finiva anche Mira, sua legittima consorte nonché
5
6
riecheggiare le frasi d’esordio di Malina (Zeit Heute – Ort Wien). Una ricerca mirata svelerebbe probabilmente
ulteriori analogie, tanto piú che è Terézia Mora stessa a definire il suo legame con la Bachmann qualcosa che a
lungo aveva taciuto a se stessa. Cfr. K. Nüchtern, «Ich liebe Literatur nicht.» Interview mit Terézia Mora, in
«Falter», Stadtzeitung Wien, Nr. 25, 21.6.2006. Consultabile anche on-line su
http://www.falter.at/web/print/detail.php?id=297
T. Mora, op. cit., p. 153.
L'espressione è di Manfred Schneider e compare nel saggio Der Barbar. Endzeitstimmung und
Kulturrecycling, München-Wien, Hanser Verlag, 1997; p. 14.
4
madre biologica di Abel7: anche la lingua materna sta sullo stesso piano di tutte le
altre, detto altrimenti.
Il passato, così come il paese natale abbandonato, non vengono idealizzati in
alcun modo da Terézia Mora, tanto che questo sguardo privo di nostalgia
basterebbe forse da solo a rendere l'autrice un caso a sé nel panorama della
Migrantenliteratur tedesca, collocazione che peraltro Mora ha sempre manifestato
di gradire ben poco. Se esiste una possibilità di comunicazione questa si nasconde
piuttosto in una lingua “inventata”, storpiata, modificata secondo le situazioni e
gli interlocutori – come lo strano russo con cui si relazionano Abel e il figlio
adottivo Omar, unica figura con cui il protagonista sembra riuscire a intessere
realmente un legame; e come, in definitiva, è il tedesco di Alle Tage. La
ricostruzione di una lingua espressiva passa così per lo sguardo dello straniero,
anche attraverso l'errore, la parola sbagliata, la sgrammaticatura – e perché no, la
freddezza di una traduzione automatica.
7
Mi riferisco al passaggio in cui la madre di Abel scherza sulle dodici amanti di Andor: «Alles, was ich kann,
habe ich von Freuen gelernt, sagte Andor. Dies ist mein Lehrerinnenkollegium. Sie werden immer bei mir
bleiben. Mira lachte: die zwölf Nornen. Dreizehn, meine Liebe, dreizehn. Mira wurde rot.» Cfr. T. Mora, op.
cit., p. 62. [Tutto quello che so l'ho imparato dalle donne, diceva Andor. Questo è il mio corpo insegnante.
Rimarranno sempre con me. Mira rideva: le dodici Norne. Tredici, cara mia, tredici. Mira arrossiva. Le
Norne sono figure tradizionali della mitologia scandinava, che hanno un ruolo analogo a quello delle Parche.
Forse è anche il ricordo di questa frase a far sì che nell'immaginario di Abel, a distanza di anni, le amanti di
Andor si trasformino in mitiche figure da oltretomba].
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