Darwin
Genova innocente • «Noi la vostra crisi non la
paghiamo!» • La parola ai bambini • Una novità straordinaria: gli insegnanti sono malpagati •
Scuola e immigrazione • La “globalizzazione” della storiografia • San Salvario come Barbiana • Tra
le pieghe della partecipazione • Dalla scuola della Costituzione alla scuola del regime • Occupare
le strade di sogni • Mia figlia è come le altre •
I bambini hanno paura • La sfida dell’istruzione
in Palestina • Anche in Francia: tagli o riforme?
• Può un movimento per l’acqua non riconoscersi
nell’Onda? • La condizione umana • Un vocabolario tutto per noi • Dalla parte delle bambine e
dei bambini • Giovani belli e ribelli, professori carismatici e attimi fuggenti • Affetti collaterali •
Humus • I bambini sono diversi • TEXT La formazione e la sinistra
DICEMBRE 2008
TEMA
NUOVA SERIE NUMERO 71 - DICEMBRE 2008 (5. 2008) • Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, DCB (Como) • 5 EURO
idee per l’educazione
costruirel’uguaglianzaliberareledifferenze
NUMERO 71 DICEMBRE 2008
DVD
I luoghi
del colore
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G
Redazione
via Magenta 13,
22100 Como
tel. 031.4491529
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Direttrice responsabile
Celeste Grossi
Vicedirettore
Andrea Bagni
Redattori
Bianca Dacomo
Annoni, Francesca
Capelli, Paolo Chiappe,
Maurizio Disoteo,
Marisa Notarnicola,
Cesare Pianciola, Andrea
Rosso, Gianpaolo Rosso,
Giovanni Spena, Filippo
Trasatti, Stefano Vitale
Collaboratori
Giovanna Alborghetti,
Monica Andreucci, Guido
Armellini, Antonella
Baldi, Marta Baiardi,
Antonia Barone, Gabriele
Barrera, Annita Benassi,
Giorgio Bini, William
Genova innocente • ANDREA BAGNI
PRE
«Noi la vostra crisi non la paghiamo!» • PINO PATRONCINI
La parola ai bambini • ANNA SARFATTI
TEMA DARWIN E L’EVOLUZIONE DELLA TEORIA DELL’EVOLUZIONE
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li abbonati troveranno
allegato a questo numero di école il
dvd I luoghi del colore, una ricerca
video realizzata dagli studenti
dell’Itis “Hertz” di Roma, coordinata
da Ernesto Caprio.
Un percorso dentro culture che
deliberatamente si separano dalla
città ufficiale, spinte da una rabbia
espressiva che costruisce nuovi
modi e mondi dello scrivere, del
dipingere, del danzare, del vivere
il proprio corpo, le relazioni, i
sentimenti. Siamo invitati a uno
sforzo di intelligenza e umiltà,
a non catalogare queste vite
complesse come “aliene”, a non
affrontarle come “problema”, a non
criminalizzarle come “devianze”.
E soprattutto a liberarci dell’idea
reazionaria e piuttosto risibile della
città immobile e perfetta.
EDIT
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a cura di MARCELLO SALA
Il corallo della vita • MARCELLO SALA
Una mostra si aggira per il mondo • CHIARA CECI
Gestazione di una teoria • EMANUELE SERRELLI
Gradualismo darwiniano e didattica • GIORGIO NARDUCCI
Evoluzione e arte • ALESSANDRA MAGISTRELLI
IDEE PER L’EDUCAZIONE
Una novità straordinaria: gli insegnanti sono malpagati • GIOVANNA LO PRESTI
Scuola e immigrazione • WILLIAM BONAPACE
La “globalizzazione” della storiografia • MARILENA SALVAREZZA
ESPERIENZE NARRATE San Salvario come Barbiana
CORSIVO Tra le pieghe della partecipazione • BIANCA DACOMO ANNONI
LE LEGGI Dalla scuola della Costituzione alla scuola del regime • CORRADO MAUCERI
NOTE IN CONDOTTA Occupare le strade di sogni • ANDREA BAGNI
NUOVI ARRIVI Mia figlia è come le altre • LIDIA GARGIULO
MAPPAMONDO
I bambini hanno paura • TONI O’LOUGHLIN
La sfida dell’istruzione in Palestina • MONICA AWAD
L’ERBA DEL VICINO Anche in Francia: tagli o riforme? • PINO PATRONCINI
DE RERUM NATURA
Può un movimento per l’acqua non riconoscersi nell’Onda?
MODI E MEDIA
CINEMA La condizione umana • STEFANO VITALE
Un vocabolario tutto per noi • MONICA LANFRANCO
VIDEOGAME Dalla parte delle bambine e dei bambini • EDOARDO CHIANURA
IL LIBRO Giovani belli e ribelli, professori carismatici e attimi fuggenti • MARTA BAIARDI
Affetti collaterali • BIANCA DACONO ANNONI
HUMUS
ANNI VERDI I bambini sono diversi • STEFANO VITALE
TEXT
TEXT La formazione e la sinistra • SCIPIONE SEMERARO
TREND • LORENZO SANCHEZ
Bonapace, Franco
Calvetti, Andrea Canevaro,
Minny Cavallone, Edoardo
Chianura, Angelo
Chiattella, Rosalba
Conserva, Vita Cosentino,
Marina Di Bartolomeo,
Lella Di Marco, Mauro
Doglio, Lidia Gargiulo,
Maria Letizia Grossi,
Toni Gullusci, Monica
Lanfranco, Mariateresa
Lietti, Marco Lorenzini,
Franco Lorenzoni,
Francesca Manna,
Raffaele Mantegazza,
Corrado Mauceri, Cristina
Meirelles, Alberto Melis,
Luciana Mella, Bruno
Moretto, Giorgio Nebbia,
Filippo Nibbi, Enrico
Norelli, Laura Operti,
Carlo Ottino, Giuseppe
Panella, Pino Patroncini,
Vito Pileggi, Nevia
Plavsic, Rinaldo Rizzi,
Marcello Sala, Nanni
Salio, Antonia Sani,
Cosimo Scarinzi, Maria
Antonietta Selvaggio,
Angelo Semeraro,
Scipione Semeraro, Rezio
Sisini, Monica Specchia,
Marcello Vigli
Grafica e impaginazione
Natura e comunicazione
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Bracchi)
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(vice presidente),
Andrea Rosso, Gianpaolo
Rosso, Filippo Trasatti
(presidente), Stefano
Vitale
costruirel’uguaglianzaliberareledifferenze
edit
S
Genova innocente
ANDREA BAGNI
ono passati più di sette anni. Chi ne ha diciannove oggi, allora ne aveva dodici. Un bambino, una bambina.
Genova luglio 2001 è già un racconto di altri. Un pezzo di storia. Eppure la sensazione è di poterlo tenere ancora
in mano un filo, come nella casa dei doganieri: il varco, l’anello che non tiene dell’inganno consueto.
Li ricordo i ragazzi a Genova. Un mare in festa e in tempesta, assolutamente inatteso, sorprendente. Sbucati da
non si sa dove, cioè da luoghi per noi adulti politicizzati quasi sconosciuti: volontariato, associazionismo, relazioni d’amicizia. A ballare sotto l’acqua che le donne versavano gentili dalle terrazze nel sole. Quelli che avevo
vicini portavano uno striscione con la biancheria intima appesa, il governo avendo ingiunto che fosse tolta dai
balconi nella città tirata a lucido per i grandi del G8. Non sta bene si vedano le mutande nel mondo istituzionale. La vita è bandita. Poi quei giovani hanno scoperto lo stato delle cose. Cioè lo stato. Stato di polizia. Una
perdita di innocenza, si disse. Questo è il mondo “l’opre gli eventi onde cotanto ragionammo insieme”... E però
nelle assemblee successive nessuna reazione tipo autodifendere le manifestazioni, servizio d’ordine, bastoni e
bocce. Si è raccontato, prodotto video, cinema e letteratura. Scaffali di librerie come segni di riconoscimento
nelle case degli amici. Non si è abbandonato il campo allo scontro militare. Ci si è spostati. Lo stato di diritto
per noi che abbiamo visto Genova era garanzia della società costituente, per esserci senza perdersi in una dimensione militare – con l’ironia che spiazza il potere dei nani armati. Stato di diritto? A Genova si sono visti scudi
su cui battere con maschi manganelli ritmi tribali, caschi come passamontagna, divise da robocop, agenti che
dicevano uno a zero per noi. Stato di diritto? Lo ha esplicitato in che stato è il diritto il comandante Canterini
nella lettera ai suoi uomini: «Ci siamo guardati più volte negli occhi; e guardandoci abbiamo capito quanto fosse
alta la nostra professionalità e quanto il cameratismo. [...] Coraggio ragazzi, il vostro Comandante vi è vicino ed
ancora indossa il casco insieme a voi». Comunità di fede e onore. Comunità di sangue – quello degli altri. Cuore
profondo dell’antropologia fascista.
Come si farà educazione civica a scuola dopo le sentenze di Genova? Per chi oggi nelle aule occupate porta la
sua vita e nelle piazze delle città vive le sue lezioni, mi sa che c’è un’altra perdita di innocenza. Le sentenze di
Genova dicono che il massacro c’è stato ma i massacratori no. Hanno fatto le vittime da sole. Portare la divisa per
chi fa violenza non è un’aggravante, è una giustificazione. Lo immaginavo, certo, me lo sono detto molte volte
– ma come mai mi fa ancora così male,
come mai non ho ancora imparato? Mi
sembra di rivederle le ragazze terrorizzate, il sangue sui volti, sgomenti più
che spaventati, sbalorditi che qualcosa del genere fosse possibile. Quante
cicatrici dentro. Quella polizia è una
banda armata antropologicamente fascista, ma lo stato non condanna se
stesso nei tribunali. E tuttavia non bisogna rassegnarsi, abbandonare loro il
terreno. Solo non si può pensare di affidare il diritto ai corpi separati istituzionali. La Costituzione e la democrazia sono garantite da una società e
da una cultura costituente o non sono.
Sono affidate ai nostri corpi non separati, alla rete delle parole e delle pratiche che fanno un’identità collettiva.
Una comunità politica. Che sa, anche
se le prove le hanno affidate alla polizia. Sa anche senza tribunali, come
Pasolini. Quel sapere è depositato nel
cuore e nell’anima di una generazione:
filo da disbrogliare, storia che passa
per contatto, per esperienza, per amore. E non cade mai in prescrizione.
pre
Q
uando agli inizi di settembre abbiamo
parlato di “Le destre, le sinistre e la scuola”
al nostro seminario, il clima era molto diverso da oggi. A quell’epoca il Ministro Gelmini,
che durante l’estate aveva cercato di presentarsi al mondo della scuola come un agnello
dentro il branco di lupi famelici della destra,
assetati di tagli e vendette, aveva appena
gettato la maschera, inforcando la via del
maestro unico farcito da un lato di voti numerici, voti in condotta e grembiulini, tanto
per rafforzare l’ideologia del “sono arrivati i
castigamatti”, e dall’altro della “nuova” disciplina di educazione alla cittadinanza, niente
di più della riedizione della già esistente educazione civica, tanto per buttare fumo negli
occhi all’opinione pubblica di sinistra, complice un giornalismo superficiale più attento
ai fatti di costume che alla sostanza radicale
dei fatti. La stessa partecipazione al seminario (più nutrita dell’anno precedente), così
come quella di altre riunioni analoghe tenutesi negli stessi giorni, segnalava una tensione e una preoccupazione più forte. Ma cosa
ciò volesse dire era allora ancora tutta una
scommessa.
La scuola in movimento
Nei giorni successivi il movimento è montato: dalla mobilitazione delle maestre, partita
dalla scuola “Iqbal Mashi”di Roma, alle prime riunioni e proteste di insegnanti e genitori insieme, dai tanti dirigenti davanti al
Parlamento alla discesa in campo di soggetti sempre più organizzati, alle manifestazioni cittadine, alla mobilitazione degli studenti
universitari e medi, fino alle scadenze nazionali del sindacalismo di base il 17 ottobre,
école numero 71 pagina
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ONDA La mobilitazione nelle
scuole, nelle università e nel paese ha
determinato più di uno scossone sulla
scena politica. Dopo tanto tempo, è
stato proprio il movimento a costringere
alcune forze politiche, e anche qualche
forza sindacale, a esserci. Sicuramente
la scuola complessivamente ha già
dimostrato la sua opposizione ai
provvedimenti. Se si è parlato solo di
maestro unico è anche perché questo è
diventato per tutti una bandiera, ma
ogni ordine di scuola ha i suoi problemi:
i tagli nella scuola elementare sono solo
un terzo del totale e quelli del prossimo
anno solo un nono. Occorrerà allargare
la scena delle iniziative e delle lotte. C’è
ancora tanto da fare e ci sono ancora
tante occasioni di resistenza
«Noi la vostra crisi non la
paghiamo!»
PINO PATRONCINI
allo sciopero nazionale dei sindacati “rappresentativi” e alla grande manifestazione di
Roma del 30 ottobre, trasformata nella più
grande manifestazione di popolo per la scuola che la storia ricordi, fino allo sciopero e
manifestazione nazionale degli universitari
del 14 novembre.
La mobilitazione ha determinato più di uno
scossone sulla scena politica. Non a caso
dentro a questo stesso scenario si sono determinate anche tre grosse mobilitazioni dell’opposizione politica, sia di quella ormai
extra-parlamentare, che di quella, più parlamentare che oppositiva, del PD. Si può dire
che forse per la prima volta dopo tanto tempo
è stato proprio il movimento che ha costretto
alcune forze politiche, e anche qualche forza
sindacale, a esserci.
Naturalmente l’effetto più forte è rappresentato dalla fine della “luna di miele” tra
Berlusconi e il paese. Il crollo nei consensi del governo non lascia dubbi in proposito, anche se sicuramente insieme alla scuola, il tracollo mondiale delle borse ha creato
un contesto più favorevole. L’Italia però non
è l’America di Obama. Qui l’opinione pubblica
è più restia collegare la crisi a Berlusconi e
alla sua banda. Tutt’al più questa è una vaga
intuizione a livello di massa, anche perché
in quanto a subordinazione al pensiero unico e ai suoi poteri forti, europei e mondiali, il Centro-sinistra non è stato da meno del
Cavaliere. Questo la gente lo percepisce e
Berlusconi lo sa e perciò lo usa costringendo
sia il PD che le burocrazie sindacali al ruolo di
cornuti e mazziati.
Da questo punto di vista lo slogan più attuale e più centrato rimane quello degli studenti universitari che sui loro striscioni scrivono
“Noi la vostra crisi non la paghiamo!”. E credo che oggi lo sforzo principale debba essere
quello di riuscire a collegare questi due elementi, evitando che la situazione economica
venga invece usata per giustificare i tagli.
Ma oggi il problema più grosso è come andare
avanti. Il governo che pure qualche apertura
su università e dimensionamento ha dovuto
farla, anche, non dimentichiamolo, per l’irrazionalità di quella che chiama paradossalmente razionalizzazione, è fermo su tutte le altre
partite che riguardano la scuola. L’azione che
sta conducendo per evitare le prese di posizione da parte degli organi collegiali delle
scuole inducendo i direttori regionali a emanare circolari che mettono in guardia in merito dimostra che teme il costituirsi di una
resistenza scuola per scuola, come quella che
avvenne su tutor, nuove indicazioni e libri di
testo ai tempi della Moratti.
Aritmetica e bisogni formativi
Sul maestro unico la situazione è delicata.
Gelmini pensa di disinnescare la cosa dicendo
che il tempo pieno non sarà toccato. In questa maniera ha creduto di separare la scuola ordinaria dal grosso della schola militans,
proponendo un teorema aritmetico: se tutti i
moduli attuali vanno a 24 ore, restano insegnanti a sufficienza non solo per confermare il tempo pieno, ma anche per allargarlo.
Ma ha dimenticato alcune di cose. La prima:
che anche gli insegnanti dei moduli hanno
una loro professionalità. La seconda: che gli
insegnanti del tempo pieno considerano comunque i moduli un passo avanti per tutta la
scuola italiana. La terza: che tempo pieno e
moduli hanno una loro consistenza didattica
che non si esaurisce nella sommatoria delle ore. La quarta: che l’aritmetica e i bisogni
formativi non coincidono.
Il teorema Gelmini non funziona. Per funzionare, conservando il tempo pieno all’attuale 25% senza aumentarlo, richiederebbe che
l’anno prossimo le classi a 24 ore fossero almeno il 20% del totale (25% tempo pieno,
55% moduli, 20% maestro unico). Ma siccome il tutto si attua dalle prime che, comprese
le prime a tempo pieno, costituiscono circa
il 20% del totale ecco che bisognerebbe comunque bloccare anche tutte le prime a tempo pieno.
Continuando nel calcolo, l’anno successivo le
classi a 24 ore dovrebbero essere il 40%, e
l’anno dopo ancora il 60% (25% tempo pieno
e 60% maestro unico, moduli 15%). Con ciò
saremmo arrivati alle terze, da quel momento
in poi i tagli non terminerebbero ma continuerebbero “spontaneamente” nelle quarte e
nelle quinte, e quindi sarebbero già molti di
più persino di quelli previsti. Anzi alla fine il
100% delle classi dalla prima alla quinta sarebbe a 24 ore.Come volevasi dimostrare.
Ma le cose non andranno così, perché la scuola non è un foglio di calcolo: finora è un luogo
di vita in cui i bisogni formativi se schiacciati
dentro tempi e orari troppo stretti confliggono. E la Gelmini si propone di farli confliggere
di più: un maestro per classe, poi se ne avanzano disputateveli fino a litigare. Fino far diventare la scuola un non-luogo dove uno entra, si siede in un banco per 4 ore, ascolta,
legge, scrive ed esce!
Ad ogni buon conto l’operazione maestro unico ancorché diventata legge dopo l’approvazione del parlamento, deve essere attuata e
quindi richiede tutti crismi di una negoziazione contrattuale. Su questo terreno, che si intreccia con le diverse disponibilità sindacali e
quindi anche con l’attuale tentativo di isolare
la Cgil da Cisl e Uil, screditando i suoi atteggiamenti come se fossero dettati solo da motivazioni politiche da cinghia di trasmissione
dell’opposizione, bisognerà stare attenti alle
sirene della monetizzazione, che già hanno
funzionato nella vicenda della restaurazione
degli esami di riparazione (ma allora c’era ancora il Centro-sinistra al governo). La monetizzazione potrebbe essere un comodo alibi
del sindacato per svicolare da una resistenza al maestro unico e uno strumento di convinzione-corruzione degli insegnanti restii ad
aggiungere ore alle 22 contrattuali.
I terreni di resistenza nella scuola elementare saranno dunque quelli degli accordi di sequenza contrattuale a livello centrale e quelli
di contratto di scuola (i soldi per le due ore
in più sono per legge da ritagliarsi nel fondo
di istituto).
Comunque la si giri non si potrà aggirare la
necessità di una resistenza scuola per scuola.
Nello stesso tempo però occorrerà allargare la scena delle iniziative e delle lotte.
Sicuramente la scuola complessivamente ha
già dimostrato la sua opposizione ai provvedimenti e se si è parlato solo di maestro unico è anche perché questo è diventato per tutti una bandiera. Ma ogni ordine di scuola ha
i suoi problemi: i tagli nella scuola elementare sono solo un terzo del totale e quelli del
prossimo anno solo un nono.
Le superiori e la slavina annunciata
Tuttavia alla valanga che è precipitata sulla scuola elementare e che ha determinato la
valanga di reazioni che abbiamo visto corrisponderà la slavina che all’approssimarsi della
vacanze di Natale colpirà la scuola secondaria. Se il termine valanga rende bene l’immagine della compattezza dei provvedimenti per
la scuola elementare, che hanno determinato l’altrettanto compatta reazione degli interessati, per la scuola secondaria superiore
i provvedimenti che si preannunciano avranno effetti diversi su licei, istruzione artistica, istituti tecnici e istruzione professionale.
Ma non saranno meno sconvolgenti: modelli
Moratti peggiorati per i licei, istituti d’arte
azzerati, licei artistici con poco tempo per le
discipline pittoriche e plastiche, sperimentazioni azzerate, indirizzi dei tecnici ridotti a
11, indirizzi dei professionali sconvolti, orari
a 30 ore per i licei e a 32 per tutti gli altri,
controllo degli industriali su gestione e programmazione didattica di tecnici e professionali, riduzione del 30% dei laboratori e degli
insegnamenti tecnici ecc. Sono queste le cose
che aspettano la secondaria superiore, che la
scuola secondaria superiore ancora non sa,
che non sanno gli alunni delle medie e le loro
famiglie le quali in questi giorni vengono informati e orientati sui vecchi indirizzi non sui
nuovi, che non sanno gli amministratori locali, che entro gennaio dovrebbero ridisegnare
la mappa scolastica e non sono in grado di
farlo. Lì potrebbe essere unificante la parola d’ordine di un rinvio di tutto di almeno un
anno: unificante persino con una parte della
destra tanto sono irrazionali i tempi di attuazione, le improvvisazioni (si veda soprattutto il professionale!). Una scelta suggerita al
buon senso.
A proposito, dove sono i buonsensisti che frenavano le lotte contro la Moratti? Se ci sono
hanno l’occasione di battere un colpo in questo caso! Ma dubito che lo faranno.
Ce n’è per tutti
E poi le medie. Il tempo prolungato, che costituisce il 29% delle classi, è persino più diffuso del tempo pieno elementare, anche se
non ha lo stesso prestigio. Ma è il caso di lasciarlo morire in questa lenta agonia a cui la
negligenza di tutti i governi e i tagli di questo lo hanno condannato?
La scuola dell’infanzia: l’innaturale progetto
di una scuola dell’infanzia al solo mattino gabellata come scelta per permetterne la generalizzazione fa a pugni con l’idea stessa di
scuola dai tre ai sei anni concepita fin dalle
origini su mattina e pomeriggio, così come
l’idea di affastellare nelle classi bambini di
due anni senza cogliere la differenza di questi piccoli, dà l’idea di un luogo deputato più
al parcheggio dei bimbi che alla loro prima
educazione.
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CLASSI PONTE Ho presentato alle bambine e ai
bambini della mia classe quinta primaria la questione
delle classi ponte; ho chiesto loro se intuivano quale fosse
la mia posizione al riguardo, e difatti sapevano come
la pensavo; ma ho voluto illustrare anche le ragioni
di chi ha presentato questa mozione; poi li ho pregati
di ragionare con la loro testa, sentendosi liberi di dire
quello che pensavano, come vuole l’articolo 21 della
Costituzione. Si è sviluppato un bel dibattito, dove tutti
hanno parlato, con cognizione di causa essendo il nostro
gruppo composto da 15 bambini italiani e 6 stranieri
La parola ai bambini
A
l termine della discussione ho chiesto
di scrivere un testo con questo titolo: “Cosa
ne pensi di inserire i bambini stranieri al loro
arrivo nelle classi ponte?”. Ecco alcune risposte.
«Secondo me le classi ponte non sono giuste perché è bello avere amici stranieri e poi
perché secondo me i bambini stranieri si divertono di più imparando l’italiano dai bambini italiani, e quando hanno imparato l’italiano abbiamo anche noi una ricompensa dai
école numero 71 pagina
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ANNA SARFATTI *
bambini stranieri, perché abbiamo imparato
alcune parole straniere. Oggi a scuola se ne
è parlato e a nessuno piace questa cosa delle
classi ponte. Per me i bambini stranieri imparano di più se vengono nelle scuole normali, perché a scuola si viene per imparare, ed i
bambini stranieri chiacchierando ogni giorno
con i bambini italiani l’italiano lo imparano
più facilmente. Tutti i bambini compresa io
hanno espresso le loro idee e a nessuno piace questa cosa, tutti siamo contrari». (Al.,
italiana).
«Io penso di essere dell’idea di tutte e due le
proposte. Sulla prima idea che dice che i bambini stranieri non devono stare in classe con
i bambini italiani, ecco, io sono abbastanza
d’accordo sul fatto perché i bambini stranieri imparano la lingua italiana, così gli italiani possono parlare e capirsi con gli stranieri.
La seconda idea dice che i bambini stranieri
possono già far parte della classe italiana. Io
sono d’accordo anche su questo fatto, almeno i bambini italiani possono imparare le loro
lingue. Io sono più d’accordo sulla prima pro-
posta perché i bambini stranieri almeno sono
più sicuri e non si vergognano, perché pensano: “Gli Italiani sanno, io no!”. Ecco il motivo
perché sono più d’accordo sulla prima proposta». (An., italiana).
«Oggi la maestra ha parlato con noi del fatto che i bambini stranieri appena arrivati dal
loro paese devono andare nelle classi ponte,
e io ho detto che se li mettevano da parte imparavano molto poco.
Ma poi ho parlato di nuovo e ho detto alla
maestra che noi siamo tutti uguali umani, lo
so che parliamo in un’altra lingua ma siamo
persone, e dobbiamo convivere tutti insieme perché siamo quasi tutti fratelli e sorelle.
Perché se mettiamo questi bambini in altre
classi può sembrare che mettiamo questi bimbi in un (per dire) recinto.
Quindi dobbiamo lasciare i bimbi stranieri
con gli italiani, e tutti convivere insieme».
(V., brasiliano).
«Io penso che gli stranieri non devono andare
nelle classi ponte perché è difficile imparare
solo con una maestra e gli altri bambini stranieri, ma se siamo tutti insieme gli italiani
imparano le altre lingue e gli stranieri imparano l’italiano perché anche io sono uno straniero. Sarebbe meglio che ci fosse una persona che ci aiutasse almeno una volta alla
settimana». (I., rumeno).
«Io non sono d’accordo con le classi ponte
perché penso che i bambini debbano stare
tutti insieme perché poi si tradisce anche la
Costituzione (articolo 3) quello che dice che i
bambini davanti alla legge sono uguali di razza, di lingua, di colore.
Se io non fossi con la mia classe di bambini
mi troverei male perché con i rumeni ho imparato i numeri, con i filippini le filastrocche… Spero che la legge non passi perché è
una cosa bruttissima». (G., italiana).
«A me questa cosa non piace perché, oltre a
far star male i bambini stranieri che si sentirebbero esclusi, svantaggia anche gli italiani che poi, nella vita, non sarebbero abituati ad aiutare altre persone che non sanno
l’italiano. Inoltre penso che le maestre delle
classi-ponte non riuscirebbero a far imparare
l’italiano a 20-30 bambini che non sanno una
parola della nostra lingua. Per me è anche divertente aiutare persone che hanno altre abitudini o tradizioni. Speriamo che questa legge non venga approvata». (T., italiano).
«[…] Se il bambino va insieme agli italiani
imparerebbe subito l’italiano e giocherebbe
con loro e farebbe amicizia. È vero un po’
anche ritarda il programma ma devono avere pazienza e imparerebbero altre nuove lingue». (K., marocchino).
«A me non va bene e mi viene un po’ di rabbia perché forse gli stranieri volevano trovare persone di un’altra lingua e loro sarebbero felici e potrebbero fare amicizia, farsi
circondare da persone italiane, poi possono stare anche in classi normali come mio
fratello quando è arrivato (ha raggiunto gli
altri familiari al compimento dei sei anni)
l’abbiamo mandato nella classe normale e
dopo circa 6 mesi ha imparato l’italiano».
(J., filippino).
«[…] Un altro modo è di invitare i compagni
stranieri a casa così ci si aiuta a vicenda a
fare i compiti». (G., italiano).
«Sono una bambina che è arrivata dalla
Romania. Ora siccome è arrivata una legge
nuova che dice di portare i bambini in una
classe ponte abbiamo discusso anche in classe. Per me non va bene perché io a casa quando andavo e i miei genitori parlavano l’italiano (ha raggiunto i genitori in un secondo
tempo) io non capivo. Ma accanto ai miei
compagni capivo quasi tutto. Non so come
ho fatto a capire ma da loro ho imparato l’italiano sicchè dico meglio che non ci sia questa
regola. Comunque ringrazio i miei compagni
che mi hanno trattato molto bene e mi hanno
insegnato l’italiano». (A., rumena).
E ancora
Per non ripetere concetti già ampiamente
espressi, riporto alcuni passaggi significativi
da altri testi.
«[…] Non ci sembra giusto perché i bambini
stranieri se messi nelle classi ponte non imparano perché stanno tutti in quella classe
e quando è ricreazione stanno tutti da soli».
(G., italiana).
«[…] Avere bambini stranieri in classe è bello perché a me sembra di rappresentare un
po’ il mondo e poi conosci le loro feste che
festeggiano nei loro paesi, come insegnano a
scuola, i cibi tipici del posto ecc. EVVIVA GLI
STRANIERI!!!». (F., italiana).
«[…] Secondo tutti i bambini della mia classe compreso me abbiamo un parere ben preciso di accettare i bambini perché tutti hanno diritto di essere accolti come le maestre
hanno fatto con noi bambini italiani e come
noi abbiamo accolto i bambini stranieri». (I.,
italiano).
«Io penso che non è giusto separarli perché
i bambini stranieri non si possono divertire
o non possono stare con chi vogliono stare.
[…] Per me avere un compagno straniero è
una cosa bellissima perché puoi imparare la
sua lingua o puoi imparare giochi che non
hai mai conosciuto. Per me è meglio rimanere
alla vecchia regola». (M., italiano).
* Maestra.
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7
TEMA
DARWIN E
L’EVOLUZIONE
DELLA TEORIA
DELL’EVOLUZIONE
A CURA DI MARCELLO SALA
D
uecento anni fa nasceva Charles Darwin
e centocinquanta anni fa esordiva in pubblico
la teoria dell’evoluzione, che aveva costruito
fin dal 1838.
Oggi più che mai l’evoluzione ha nemici e non
sono certo quelli che confutano parti della
teoria sviluppando soluzioni alternative, perché costoro si collocano all’interno del programma di ricerca evoluzionistico e del gioco
della scienza, rafforzando l’uno e l’altra.
I nemici sono coloro che per ragioni culturali
religiose ideologiche sono contrari all’idea di
evoluzione, come oggi i sostenitori del “disegno intelligente”, che scelgono la strategia sporca di presentare l’evoluzione in modo
così deformato da farla apparire inaccettabile, manipolando anche la scienza, come se
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non avesse uno statuto consolidato e condiviso.
Nella prima famosa disputa tra Huxley e l’arcivescovo Wilberforce, attribuire agli evoluzionisti l’idea che “l’uomo discende dalla
scimmia” anziché «l’uomo e la scimmia hanno antenati comuni che risalgono a 7 milioni
di anni fa (200-300 mila generazioni)» era un
modo sicuro per rendere inaccettabili le idee
evoluzioniste al pubblico vittoriano, che del
progresso umano (culminante nell’Homo britannicus imperialis) faceva il proprio paradigma culturale.
Sono passati 150 anni e la mossa retorica è
sempre la stessa, scorretta e volgare; ma, siccome punta su ciò che appare e sull’azzeramento del pensiero critico, è vincente in un
mondo dove il linguaggio della pubblicità è
andato al potere. Un articolo di qualche mese
fa de Il giornale che presenta il libro della
moglie di Alberoni1 inizia così: «Discendiamo
davvero dalle scimmie?». Come risulta chiaro
dal testo dell’articolo si tratta di una domanda retorica che serve ad attribuire ai «cattivi maestri della “darwinolatria”» l’idea che «i
nostri progenitori erano scimpanzè».
Nell’articolo si legge: «La selezione naturale
secondo la legge dell’evoluzione va applicata anche per sopprimere i più deboli, i meno
fortunati, gli handicappati, magari prima che
nascano?», dove si tracciano legami arbitrari tra selezione naturale - selezione eugenetica - aborto, sempre per rendere le presunte
teorie evoluzioniste inaccettabili; l’evidente
evocazione del nazismo viene esplicitata dalla Alberoni: «non è un caso che il darwinismo
abbia prodotto aberrazioni come il razzismo,
il classismo, l’eugenetica, il peggior capitalismo, la discriminazione biologica».
È il modo di procedere degli “atei devoti”,
ignoranti nel merito di questioni che non
hanno interesse a conoscere, che vogliono
abolire l’evoluzione (dalla scuola innanzitutto) per fare un piacere politico a chi apertamente dichiara che «la scienza non deve
essere autonoma» (naturalmente tutti, anche gli scienziati, possiamo essere d’accordo che la scienza non debba sottrarsi a una
responsabilità etica e politica che riguarda
tutti in quanto cittadini; ma chi pronuncia
quella frase si riferisce alla subordinazione
della scienza ai dettami di una chiesa, e in
questo senso nulla è cambiato dai tempi del
processo a Galileo).
Ma i nemici più subdoli e pericolosi sono
come sempre quelli che stanno dalla tua parte e sono quelli che per divulgare volgarizzano fino a deformare ancora una volta le idee
dell’evoluzione. Chi per mestiere deve suscitare attenzione ed emozione con il minor numero di parole, possibilmente semplici, per
quanto onesto, avrà sicuramente grossi problemi a comunicare qualcosa di complesso che richiede molte informazioni, ragionamento, prudenza nella scelta dei modelli,
ancora più prudenza nella scelta delle metafore, pazienza e cura nella costruzione delle
idee. Per fare un esempio, l’espressione «la
giraffa ha progressivamente allungato il collo per mangiare le foglie in cima agli alberi»
usata come emblema del pensiero di Darwin
contiene più errori che parole, primo fra i
quali suggerire precisamente l’idea cui si è
opposta la teoria dell’evoluzione darwiniana
e cioè che la storia naturale ha un fine ed è
diretta da una intenzionalità.
Per contrastare la deformazione, questa sì intenzionale, degli studi darwiniani e per fornire stimoli a chi la teoria dell’evoluzione la insegna a scuola abbiamo pensato che su école
valesse la pena di riparlare dell’“evoluzione
della teoria dell’evoluzione”.
NOTA
1. Non è un rigurgito di sciovinismo maschilista da
parte mia: è la signora Rosa Giannetta che per la
pubblicazione dei suoi libri usa il solo cognome del
celebre marito.
Il corallo della vita
MARCELLO SALA
Illustrazione di W. West per la
prima edizione di L’Origine delle
specie. La forma “a corallo”
spiega meglio di qualsiasi altra la
dinamica delle specie sul pianeta.
Q
uando nel 1858 la lettera di Wallace
fa precipitare la pubblicazione de L’origine
delle specie, Darwin la considera solo una
anticipazione della sua opera, perché ritiene
di non avere ancora documentazioni adeguate.
Quei 21 anni (la teoria dell’evoluzione l’aveva
costruita fin dal 1838) spesi a raccogliere
osservazioni, a fare esperimenti, a riflettere
dimostrano la meticolosità con cui Darwin
interpreta il suo ruolo di scienziato, non
disposto a transigere sulla rigorosità delle
prove e delle argomentazioni; ma dimostrano
anche un rispetto per il contesto culturale e
sociale in cui la proposta di quella teoria non
potrà che portare scandalo; non rinuncia a
nulla della sua “verità”, ma non fa nulla per
provocare: sceglie la via della scientificità.
Separare e contrapporre scientificità e affettività è un errore epistemologico che continua ad avere gravi conseguenze educative.
Possiamo immaginare quanto Darwin, che ci
ha speso tutta la vita, fosse “affezionato”
alla sua teoria, eppure dedica un capitolo del
libro (due nella VI edizione) alle critiche degli avversari; e non cede alla tentazione di
deformare o mettere in ridicolo le loro affermazioni, ma anzi sostiene che, se verificate,
sarebbero «fatali per la mia teoria»; e le affronta nel merito.
Il viaggio
A vent’anni Charles potrebbe essere uno dei
nostri “bamboccioni”, ma poi si imbarca su
una nave di 30 metri dove non c’è la mamma
che gli prepara la colazione e gli rifà il letto, ma Fitzroy, capitano della Marina di Sua
Maestà, signore assoluto della vita dell’equi-
paggio. Il viaggio attorno al mondo dura 5
anni, e il giovane Darwin, tra mal di mare, cavalcate nella pampa, bivacchi, tempeste, terremoti, si assume la responsabilità di un lavoro da scienziato professionista.
Come geologo è già in grado di interpretare
ciò che vede alla luce di un sapere consolidato. Lui però si professa “baconiano” induttivista, e in effetti, per quanto riguarda le
scienze del vivente, raccoglie e osserva tutto
con grande accuratezza senza avere una teoria; ha sicuramente come premesse implicite
quelle creazioniste della teologia naturale di
Paley (la perfezione adattativa degli organismi testimonia l’esistenza di un sommo progettista).
Le premesse epistemologiche derivanti dall’appartenenza a una cultura, tanto più profonde quanto meno consapevoli, sono quelle
che fanno da filtro interpretativo, inserendo
nella propria mappa qualunque dato provenga dall’osservazione del territorio. Gli antropologi sono sottoposti a un doppio vincolo:
devono interpretare ciò che osservano nel
contesto della cultura osservata e non della
propria, ma è proprio quella cultura che non
conoscono; la situazione di Darwin è simile,
salvo che il suo territorio è la natura, e il suo
atteggiamento può essere definito etnografico. Nel caso della natura, come ci insegna
Kant, non è possibile accedere direttamente
al territorio, si possono solo costruire mappe,
ma la qualità della mappa è la sua vicinanza
al territorio; come ci ricorda Bateson, il vivente ha un suo linguaggio, perché il mondo
degli organismi è governato dalla comunicazione, e il linguaggio con cui lo si descrive
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deve essere il più possibile coerente a quello, pena un rapporto patologico con la natura (la crisi ecologica è dovuta a “errori di
pensiero”).
Quando Darwin torna dal viaggio ci mette due
anni a elaborare la sua teoria e tutto il resto
della vita ad approfondirla. Gli appunti che
scrive dal ’36 al ’381, non essendo una ricostruzione a posteriori, né tanto meno un’epopea celebrativa, ma un diario di lavoro, sono
una eccezionale testimonianza di come lavora
la sua mente di scienziato. Procede per esplorazioni e intuizioni, partendo dal materiale
che ha raccolto, formulando ipotesi provvisorie, catturando e vagliando idee dalle letture, dalla corrispondenza con altri scienziati
e allevatori, da esperimenti diretti o virtuali;
mette a fuoco dei pattern di dati, li interpreta, cerca un motore causale, cerca esempi che
confermano o che confutano.
In lui troviamo, forse per l’ultima volta in una
persona sola, il geologo e l’ecologo, lo zoologo e l’etologo, il botanico e l’embriologo,
l’antropologo e il genetista (anche se premendeliano)...; alcune scienze se le inventa,
ma ciò che è più significativo è che tutte convergono in una teoria unitaria, rigorosamente
scientifica nel metodo, ma che fa i conti con
un oggetto che non permette ripetizioni: la
storia naturale.
Non ha inventato l’evoluzione, ma ne ha dato
una spiegazione naturalistica. Partito dalla
domanda sul perché della diversità delle forme naturali, ne capovolge il significato tradizionale di deviazione da un modello (idea
platonica o archetipo creazionistico): l’indiviécole numero 71 pagina
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duo nella sua diversità è il dato naturale e la
specie è un insieme di individui diversi.
“Non nominare il nome di Dio invano”
Anche quando non ha dubbi religiosi, Darwin
non confonde il credere nell’esistenza di un
Dio creatore con le rappresentazioni delle
modalità della creazione che sono inevitabilmente prodotto della cultura. Per lui “non nominare il nome di Dio invano” significa non
attribuire alle modalità di azione di Dio i limiti della propria conoscenza umana.
Il contrasto tra la continuità del vivente nel
passaggio da una forma nell’altra e la distinzione delle specie nello spazio e nel tempo
Darwin lo risolve con l’idea della discendenza comune; è l’immagine dell’albero, o meglio
del “corallo”, della vita.
Trova nella competizione per le risorse il motore causale della sopravvivenza differenziale degli organismi, che chiama “selezione
naturale” con una metafora di successo, purtroppo infelice perché (come lui stesso annota) suggerisce di nuovo l’esistenza di un
soggetto esterno; individua nella ereditarietà la chiave necessaria perchè questa dinamica porti, attraverso le generazioni, all’evoluzione. Gli manca ciò che Mendel comincerà a
scoprire e quindi aderisce all’idea lamarckiana
della ereditarietà dei caratteri acquisiti (tanto per dire dei nostri libri di testo che evocano una disputa fasulla tra Lamarck e Darwin
su questo).
Gli sbagli
Molti epistemologi pensano che caratteristi-
ca della scienza sia quella di fare “predizioni
pericolose”, nel senso che aprono la possibilità di una falsificazione. Darwin le fa a proposito dei fossili: mette in gioco un aspetto
della sua teoria, il gradualismo, ovvero l’accumulo continuo e progressivo di modificazioni, e perde, perché i dati paleontologici,
oggi come allora, non testimoniano un ritmo
costante nel mutamento.
Darwin ha commesso sbagli, nel senso che
nella scienza si dà a questo termine e che si
riferisce alla non adeguatezza di una teoria a
dare ragione di tutti i fenomeni osservati o
a predirli; ma il grande programma di ricerca
evoluzionistico è vivo più che mai, perché capace al suo interno di correggere gli errori e
di integrare le nuove acquisizioni.
Il nucleo centrale della teoria di Darwin, la
discendenza comune delle specie, è messo in
dubbio solo fuori dall’ambito della comunità
scientifica, esattamente come miti e fiction
e metafore, di cui non si discute la significatività all’interno dei rispettivi contesti, possono rappresentarsi un Sole che gira attorno
alla Terra, un homunculus preformato nello
spermatozoo o una Terra vecchia di poche migliaia di anni.
La Sintesi moderna degli anni 30-50 del ‘900
consolida il nucleo darwiniano con l’innesto
della genetica (variazione genetica dei caratteri, competizione per le risorse, sopravvivenza differenziale, ereditarietà dei caratteri,
spostamento della distribuzione della popolazione) ed esso viene poi ulteriormente esteso
(sorgenti di variazione, deriva genetica, migrazione, radiazione adattativa, estinzione di
massa).
Non solo vengono aggiunte nuove idee, derivanti dall’esplorazione di nuovi campi, ma alcune, collocate attorno al nucleo, sono messe
in discussione o addirittura falsificate, come
abbiamo visto, e sostituite: il gradualismo da
una pluralità di ritmi con alternanze di stasi e di radiazioni adattative che seguono le
estinzioni (equilibri punteggiati), l’estrapolazionismo, ovvero l’idea che i fenomeni della
macroevoluzione (speciazioni) derivano dalla dinamica microevolutiva (selezione degli
individui), da una pluralità di livelli parzialmente indipendenti (gene - individuo - popolazione - clade); l’adattazionismo, cioè l’idea
di una ottimizzazione funzionale parte per
parte, da una pluralità di fattori di relazione tra funzioni e strutture (e tra dinamiche
dell’evoluzione e dello sviluppo embrionale:
Evo-Devo).
La straordinaria fecondità della teoria
darwiniana è testimoniata dal fatto che alcune delle idee che hanno sostituito quelle
classiche hanno rimesso in gioco intuizioni
che Darwin stesso aveva avuto (è il caso dell’exaptation, ovvero l’affermarsi di caratteri di
origine non adattativa, o dell’importanza dei
vincoli strutturali ereditati rispetto all’adattamento funzionale) o che addirittura aveva
abbandonato e negato a favore del gradualismo, come la speciazione allopatrica o la trasmutazione per salti.
NOTA
1.Charles Darwin Taccuini, a cura di Telmo Pievani,
Laterza 2008.
Una mostra si aggira per il mondo
La mostra Darwin 1809-2009 (Roma e
Milano) illustra il ruolo cruciale della
teoria dell’evoluzione nella vita di oggi e
l’appassionante biografia di uno scienziato
che cercò di sottrarsi alla vita pubblica,
preferendo i quaderni di appunti e il
microscopio
CHIARA CECI *
D
al 12 febbraio al 3 maggio 2009 la mostra Darwin 1809-2009 sarà aperta a Roma al
Palazzo delle Esposizioni e si sposterà poi in
giugno a Milano alla Rotonda della Besana. La
mostra nasce presso l’American Natural History
Museum di New York nel 2005 e da allora ha
girato e sta girando il mondo (Philadelphia,
Boston, Chicago, Toronto, Londra, Auckland,
Tokyo, Osaka, Rio de Janeiro, San Paolo,
Brasilia, Lisbona), raccogliendo centinaia di
migliaia di visitatori a ogni tappa e si appresta a diventare la mostra scientifica con più
visitatori mai realizzata, grazie alle numerose e prestigiose sedi che l’hanno ospitata in
tutto il mondo.
Le sezioni
Prima della nascita di Darwin, la maggior parte delle persone accettava tutta una serie
di idee relative alla natura, come assodate.
Le specie non erano viste come imparentate
fra loro in un unico “albero di famiglia”, ma
come scollegate e immutabili sin dalla loro
creazione. Si pensava che la Terra fosse giovane e che non fosse trascorso abbastanza
tempo da permettere alle specie di evolversi. E soprattutto l’uomo non faceva parte della natura: era considerato al di sopra e al di
fuori di essa. Questa sezione della mostra in-
quadra, quindi, le scoperte di Darwin nel contesto storico dell’epoca, fornendo una rapida panoramica sul modo in cui gli scienziati
avevano considerato il mondo naturale fino
ad allora.
Nella sezione “un giovane naturalista”, si può
seguire la storia della famiglia e degli anni di
studi dell’avido collezionista e osservatore di
piante, insetti e rocce. Grazie alla importante
presenza di oggetti appartenuti a Darwin, ritroviamo in questa sezione la storia di come
egli crebbe e la sua trasformazione da studente indifferente in grandioso naturalista ossessionato dai coleotteri.
Quella che parla del viaggio sul Beagle è la
sezione centrale della mostra, dove si possono seguire le tracce dell’evoluzione del pensiero di Darwin attraverso il suo viaggio di
cinque anni intorno al mondo. Qui la mostra
presenta documenti originali e qui gli animali vivi saranno i protagonisti: iguana, armadilli e tartarughe. Si possono ripercorrere il
viaggio di Darwin e i suoi studi, la scoperta
di fossili e di specie di flora e fauna uniche
al mondo, che lo affascinarono: i nandù e gli
armadilli (compresa la speciale ricostruzione
di un gliptodonte gigante, un animale estinto simile all’armadillo, dalle dimensioni del
rinoceronte), le tartarughe delle Galápagos, i
colibrì, i pinguini, le sule dai piedi azzurri, e
tanti altri animali e piante.
Pochi mesi dopo lo sbarco dal Beagle, Darwin
si stabilì a Londra e si gettò immediatamente
a capofitto nel lavoro, riordinando il materiale di ricerca del suo viaggio, nella speranza di
potersi finalmente unire alla cerchia dei “veri
naturalisti”. Contemporaneamente, un’idea
molto importante cominciò a prendere forma
nella sua mente e in questa sezione della mostra sarà possibile vedere come gli anni londinesi furono intensi e ricchi di attività febbrili e creatività. Charles si sposò con Emma
ed ebbe i suoi primi due figli, si fece un nome
in campo scientifico e intraprese un altro tipo
di viaggio, questa volta all’interno della sua
mente. Fu a Londra che riuscì brillantemente
a far combaciare tutti i pezzi della sua teoria
dell’evoluzione tramite la selezione naturale.
Qui le idee iniziano a prendere forma.
Nel 1842 con la sua famiglia Charles si trasferì a Down, nel Kent, alla ricerca di un po’
di pace e di tranquillità. Down House sarebbe stata, per i quaranta anni a venire, il suo
rifugio, il laboratorio di ricerche ed il fulcro di un’ampia rete scientifica e fu lì che,
con pazienza, Darwin completò la sua opera sull’evoluzione delle specie per selezione naturale, lavorando nel suo studio, nella
serra e nel giardino, intrattenendo una fitta
corrispondenza con scienziati in ogni parte
del mondo. Nella mostra si può seguire questa parte della vita del naturalista osservando i suoi appunti e le lettere che raccontano
questo periodo. Una spettacolare ricostruzione dello studio in cui Charles lavorava ci
permette di calarci completamente nel mondo dell’uomo che cambiò per sempre il nostro modo di guardare alla natura e al nostro
posto in essa.
Centocinquanta anni fa, Charles Darwin offrì al mondo un’unica e semplice spiegazione
scientifica per la diversità di vita sulla Terra:
l’evoluzione per selezione naturale. Da allora,
gli scienziati hanno scoperto quanto sia stato
fondamentale il lavoro di Darwin per la loro
ricerca, che si tratti di combattere virus, decodificare il Dna o analizzare testimonianze
fossili. Oggi possiamo dare delle risposte alle
questioni sul mondo naturale con modalità impensabili all’epoca di Darwin; grazie ai
nuovi strumenti e a tecnologie legate, ad esempio, all’analisi del Dna, siamo in grado di
rivelare relazioni tra gruppi apparentemente
diversi fra loro; i metodi accurati di datazione
fossile dimostrano che l’evoluzione procede
secondo ritmi variabili e non sempre graduali
e le ricerche sull’embriologia contribuiscono
a fornire spiegazioni riguardo alla formazione
delle specie. Nella sezione “evoluzione oggi”
la mostra vuole sottolineare come Darwin
sarebbe sorpreso – e probabilmente molto felice – di poter vedere come le nostre nuove
conoscenze abbiano aiutato il progredire della sua teoria. Questa sezione presenta la biologia evoluzionistica e le nuove metodologie
di ricerca, a dimostrazione dei grandi progressi compiuti in questo settore.
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Il rapporto con gli scienziati italiani
Siccome in tutti i lavori di Darwin sono
numerose le citazioni e i riferimenti agli
studi condotti da scienziati italiani, Darwin
1809-2009 dedica un’intera nuova sezione
al nostro paese e a al suo rapporto con il
naturalista inglese. Per Niles Eldredge e altri storici del pensiero biologico il fatto che
Darwin abbia conosciuto le teorie del geologo
Giovanbattista Brocchi, tramite il libro I
Principi della Geologia di Charles Lyell, è stato
un fattore fondamentale per la nascita delle
sue idee sull’evoluzione. La sezione presenta
come fu accolta la teoria dell’evoluzione in
Italia, mostra in che modo il nostro Paese sia
stato coinvolto nella rivoluzione evoluzionistica e come molti scienziati italiani furono
in contatto con Darwin. In questa parte sono
esposti diversi documenti originali (principalmente provenienti dalla Cambridge University
Library), come lettere spedite e ricevute da
Darwin, che lo collegano a molti scienziati
Italiani importanti (Federico Delpino, Paolo
Mantegazza, Giovanni Canestrini, Anton
Dohrn) e sottolineano come la corrispondenza
tra Darwin e questi scienziati Italiani è stata
molto significativa per l’elaborazione delle
sue teorie. A dimostrazione del forte legame
tra Darwin e le sue teorie e la scienza Italiana,
si possono ammirare i diplomi, le attestazioni
di appartenenza e i premi inviati da alcuni
delle più importanti accademia italiane.
L’evoluzione umana
Rispetto a tutte le altre edizioni della
mostra, Darwin 1809-2009 ha una nuova
sezione sull’evoluzione umana curata da Ian
Tattersall: qui si mostra l’aspetto diversificato e pluralistico della storia degli ominidi,
l’origine africana delle nostre specie e la
nostra stretta parentela con gli scimpanzé
e i gorilla, confermata dai dati archeologici
e paleontologici, come da quelli genetici e
molecolari. Un’attenzione particolare viene
data alle scoperte paleontologiche italiane
e, per la prima volta, comparirà il cranio di
Ceprano. La sezione termina con l’ultimo
aggiornamento sulla coabitazione di Homo
sapiens e di Homo neanderthalensis, la presentazione della straordinaria diversità delle
popolazioni appartenenti alla nostra specie
e la conseguente crisi dell’idea biologica di
razza umana.
Darwin 1809-2009 vuole raccontare come, due
secoli dopo la nascita di Darwin, le sue intuizioni rimangono fresche e vitali; un uomo che
da giovane osò chiedersi in che modo il mondo naturale fosse arrivato ad apparire tale ai
nostri occhi e la risposta che si diede non
fece che accrescere il suo stupore.
* Chiara Ceci, laureata in Scienze naturali, si è
specializzata in Comunicazione della scienza frequentando il Master della SISSA di Trieste. Membro
del direttivo della SIBE, la Società Italiana Biologia
Evoluzionistica, redattrice di Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Lavora come coordinatrice
scientifica e assistente alla curatela per la realizzazione dell’edizione italiana della mostra Darwin
1809-2009.
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Gestazione di una teoria
Probabilmente nessuno oggi conserva
un’immagine di scienza come collezione di
verità raggiunte e atemporali, indipendenti
dal percorso
storico e biografico
degli scienziati,
da memorizzare
e ripetere per
fugare ogni dubbio
su determinate
questioni. Proprio
per questo, un
documento
inestimabile
come i taccuini
di laboratorio
di Darwin,
che egli scrisse per sé senza alcuna
intenzione di pubblicarli, offrono a chi
voglia davvero interrogare il vivente con
un approccio scientifico il repertorio di
domande, di riflessioni, di strade percorse e
abbandonate, di stimoli che hanno portato
poi il naturalista inglese alla teoria della
selezione naturale EMANUELE SERRELLI*
«P
erché la vita è breve? perché
la generazione è un così alto obiettivo?».
Questa frase potrebbe essere stata espunta
da un libro di filosofia, di quelli che si pongono i più alti interrogativi esistenziali. Si
tratta invece di una riga scelta quasi a caso
– devo essere sincero – da uno dei taccuini
di Charles Robert Darwin (Taccuino B, foglio 3), ora in parte disponibili anche in lingua italiana, e destinati a mio parere a essere una miniera virtualmente inesauribile per
chi si occupa di evoluzione, e anche per coloro i quali sono interessati al suo apprendimento.
Perché la vita è breve?
Si può rispondere in molti modi a questa domanda. Le parole immediatamente successive di Darwin recitano: «Noi sappiamo che
il mondo è soggetto a cicli di cambiamento, alla temperatura e a tutte le circostanze che influenzano gli esseri viventi». Quello
che Darwin ha sempre cercato è una spiegazione naturalistica. Che cosa si può trovare,
in natura, che influenza la durata della vita?
E quali sono i fattori decisivi che la rendono breve? Poi la nota si interrompe. Ne inizia un’altra che accenna, da un altro punto di
vista, alla generazione nelle piante, e così via
in diversi campi dalla geologia alla zoologia e
alla botanica, dalla biologia della riproduzione alla biogeografia e alle culture umane.
La serie di taccuini raccolta in questa edizione italiana corrisponde, come nota il curatore
Telmo Pievani, «alla fase di massima diversificazione iniziale degli interessi di Darwin»
(p. 7). Fu iniziata da lui nel 1836 a bordo del
Beagle – il brigantino su cui aveva viaggiato
per cinque anni e che era già sulla rotta di ritorno a Londra.
Ma perché la vita è breve? Perché gli organismi non vivono di più? Anche a questa domanda naturalistica è possibile rispondere in vari
modi, utilizzando strategie e logiche diverse.
Nei Taccuini assistiamo alla lunga nascita di
una logica che va in cerca delle “cause remote” di ciò che vediamo negli esseri viventi,
ancora oggi al cuore della spiegazione evoluzionistica: se qualcosa oggi esiste, è perché nel corso di eventi storici e concreti ha
prevalso su altre possibilità, attraverso una
trasformazione cumulativa che va ben al di là
della vita del singolo organismo. In qualche
modo, in qualche tempo, in qualche luogo, la
caratteristica di “avere la vita breve” e quella
di “avere ben presente l’obiettivo della generazione” hanno goduto di vantaggio rispetto
ad altre caratteristiche, si sono affermate e
diffuse all’interno di popolazioni, hanno continuato a trasmettersi generazione dopo generazione, funzionano e continuano a prevalere contro altre potenziali alternative.
Ancora oggi, nel 2008, l’invecchiamento e la
morte costituiscono un problema teorico e
sperimentale aperto per la biologia evoluzionistica, ma una delle principali spiegazioni
è ancora lì, nella logica della selezione naturale che vede la durata media della vita degli
organismi di una specie o di una popolazione
come il risultato di una complessa e fine sintonizzazione che si compie generazione dopo
generazione dando forma e conservando tutti quei caratteri e quei meccanismi che maggiormente garantiscono la trasmissione di se
stessi alla generazione successiva nel particolare contesto ecologico in cui si trovano.
Ma nel foglio 3 del Taccuino B – nel 1837 –
Darwin non aveva ancora chiaro il concetto
di selezione naturale, anche se ci stava arrivando. E questa per noi è un’occasione eccezionale. Possiamo soffermarci su una pagina,
su una riga, e seguendo le orme di un grande
scienziato porre a noi stessi quelle domande
che si pose lui, senza poter ottenere la risposta subito e a buon mercato.
Dalla lettura dei taccuini assaporiamo alcuni aspetti di un contesto in cui vi erano
meno conoscenze di quante ne abbiamo oggi,
ci immedesimiamo e comprendiamo meglio come facessero gli studiosi del passato
a “farsi certe idee”. Ma a ben vedere quello
che stupisce di più nella lettura è l’attualità,
la profonda contemporaneità delle domande
poste da Darwin a se stesso, domande che
rivestono ancora oggi un vivo interesse per
noi. Certo, a molti di questi interrogativi la
scienza ha dato risposte brillanti, ma queste hanno aperto nuove e interessanti vie di
ricerca1. E poi, a quante di queste risposte
possiamo facilmente accedere nella nostra
vita quotidiana? Non è forse vero che nella
maggior parte dei casi abbiamo semmai molti
meno elementi di Darwin per rispondere alle
domande che egli annotava sui suoi fogli?
La curiosità, il rigore e la pazienza di Charles
Darwin possono forse darci lo spunto per valorizzare quello che le nostre scuole rischiano
di mortificare. Studiare l’evoluzione oggi con
in mano i taccuini può voler dire porsi una
miriade di domande sul vivente e non solo,
riempiendone i propri taccuini prima di andare a cercare risposte da imparare a memoria.
I Taccuini ci danno anche l’occasione di vedere come nasce un’idea scientifica, un programma di ricerca. La struttura logica, inflessibile e automatica del meccanismo di
selezione naturale potrebbe dare l’idea che
esso sia nato “tutto insieme”, come una specie di intuizione pura. Ebbene, i Taccuini di
Darwin dimostrano che non è stato affatto
così. Anche i concetti logici più stringenti
possono essere costruiti pezzo per pezzo, con
movimenti di avanti e indietro, e ritorni sui
propri passi. Osservazioni che appaiono slegate possono essere dimenticate, poi riprese e riutilizzate. Ricordi e idee che sembrano
abbandonati per sempre possono riemergere
molto, molto tempo dopo. In questi taccuini
lo scienziato ha molte idee anticipatrici della
“sua teoria”, ma anche idee che abbandonerà,
e che verranno in parte riprese ed esplorate
solo 100 o 150 anni dopo.
Perché la vita è breve? Grazie al minuzioso
lavoro dei curatori dell’edizione originale –
quelli che hanno tenuto in mano i taccuini e
i libri di Darwin cercando di raccapezzarsi nel
suo percorso intellettuale – sappiamo esattamente che l’autore si appuntava questa domanda mentre stava leggendo i libri del nonno Erasmus Darwin, Zoonomia e il poema The
temple of nature. Sappiamo addirittura quali
pagine di quei libri stava leggendo, e le note
a margine che aveva appuntato. Sappiamo
anche davanti a quali esperienze, a quali osservazioni del mondo fisico e vivente la sua
mente si era fermata colpita, stupita e colta da domande e intuizioni. In nota troviamo
questi rimandi, conservati dall’eccezionale lavoro di traduzione svolto da Isabella C. Blum
con l’aiuto del curatore Pievani, che ci consegna l’immagine di uno scienziato in connes-
I TACCUINI
SEGRETI DI
CHARLES
DARWIN
Charles Darwin, Taccuini 1836-1844
(Taccuino Rosso, Taccuino B, Taccuino
E), edizione italiana a cura di Telmo
Pievani, prefazione di Niles Eldredge,
traduzione di Isabella C. Blum, Laterza,
Bari, 2008, pp. XV + 373, euro 20.
Il libro è la traduzione integrale del
Taccuino Rosso, del Taccuino B e del
Taccuino E, tratti da Charles Darwin’s
Notebooks, 1836-1844. Geology,
Transmutation of Species, Metaphysical
Enquiries, transcribed and edited by
Paul H. Barrett, Peter J. Gautrey, Sandra
Herbert, Kohn e Sydney Smith (The
Trustees of the British Museum, 1987).
Dell’edizione originale inglese sono proposte anche le note e l’apparato critico.
L’edizione italiana è introdotta da Niles
Eldredge, uno dei principali evoluzionisti contemporanei, attento studioso degli
scritti giovanili di Darwin e autore insieme a Stephen J. Gould della “riscoperta” del carattere punteggiato dell’evoluzione delle specie.
sione con altri, che legge i libri degli altri, si
appunta letture interessanti da fare e persone
esperte da consultare che potrebbero aiutarlo
a comprendere e a rispondere.
Scrive per se stesso, per aiutare il proprio
pensiero e la propria memoria Charles Darwin
dal 1836 al 1844 nel segreto delle sue avventure, delle sue camminate, delle sue stanze, riempiendo taccuini che non sono destinati a pubblico alcuno – su uno di essi
addirittura campeggia la scritta “Nothing for
any purpose”, cioè “nulla di utile per alcuno scopo”. Sono gli appunti personali del padre della teoria dell’evoluzione, nonché del
meccanismo della selezione naturale che ne
è tutt’oggi al cuore. Certo, serve una buona
guida per comprendere e utilizzare questo tesoro. La curatela di Telmo Pievani, con un’introduzione specifica per ogni singolo taccuino, è un buon punto di partenza.
Perché la vita è breve? Perché la generazione è un così alto obiettivo?
Cosa ne dite ora di mettervi in moto per fare
ipotesi, per studiare e cercare una risposta,
naturalistica, a queste domande? Ed è solo
una riga…
* Collaboratore di Telmo Pievani, autore dell’edizione italiana dei Taccuini
NOTA
1. Alcuni esempi: è sufficiente la selezione naturale per spiegare questo particolare carattere? La
selezione naturale è più o meno importante dei
vincoli strutturali o dei fattori storici? Il punto di
arrivo è determinato oppure conta la contingenza? Il cambiamento è sempre lento e graduale? A
quale livello si spiega l’invecchiamento? Dei geni?
Dell’organismo? Dello sviluppo? Del contesto ecologico? La selezione opera solo al livello del singolo organismo oppure agisce anche tra popolazioni
o tra specie?
école numero 71 pagina
13
Gradualismo darwiniano e didattica
Il tema della velocità dell’evoluzione,
classico argomento della biologia
evoluzionistica passata e presente,
nonostante l’importanza e la centralità
rispetto agli altri elementi della teoria
darwiniana, nella didattica scolastica di
ogni ordine e grado non è affrontato in
maniera efficace, risultando spesso poco
definito e lontano dalla percezione da parte
dello studente GIORGIO NARDUCCI*
L
a velocità della “discendenza con modificazione” –
così più propriamente Charles
Darwin chiamava l’evoluzione
dei viventi – è stata affrontata prevalentemente in un
ottica gradualista: «Tuttavia,
in moltissimi casi, una forma
viene classificata come varietà di un’altra, non perché si
siano effettivamente trovati
gli anelli intermedi, ma perché l’analogia induce l’osservatore a supporre che questi anelli esistano in qualche
luogo o possano essere esistiti in passato. In questo modo
danno ampio adito a dubbi e
congetture», così scriveva nel
Cap. II, “La variazione in natura”, dell’Origine delle specie. La domanda centrale per Darwin era: «Ed
allora perchè ogni formazione geologica ed
ogni strato non è rigurgitante di queste forme intermedie? [...] Secondo me la spiegazione va ricercata nell’estrema imperfezione
della documentazione geologica.» (Cap. IX,
“Imperfezione della documentazione geologica”).
Darwin era comunque cosciente del fatto
che la mente umana per una serie di motivi
propende per le interpretazioni gradualiste:
«Queste differenze [tra specie, sottospecie e
varietà] si confondono l’una con l’altra in una
serie insensibilmente graduata e la serialità
fa nascere nella mente l’idea di una vera e
propria transizione.» (Cap. II, “La variazione
in natura”).
In un brano assai interessante della VI edizione (1872) dell’Origine delle specie (nelle
parentesi quadre le novità rispetto alle preceécole numero 71 pagina
14
sente un paragrafo descrittivo sull’argomento, ma altra cosa è spiegare e proporre il tema
nelle classi, specialmente nel caso di studenti più adulti, e quindi svolgere esercitazioni
e momenti di discussione. Risulta difficile la
comprensione di questo elemento così basilare del pensiero evoluzionistico e mettere in
luce i pregiudizi che inevitabilmente segnano
la nostra percezione del “tempo profondo” e
quindi delle conseguenze che ne derivano.
In maniera apparentemente semplice e facilmente ripetibile da diversi anni sto proponendo, di solito nelle due ultime classi della
scuola secondaria superiore, questa “esercitazione” con successiva discussione dei dati
originati: in circa un’ora gli studenti devono
individuare nella loro esperienza un certo numero di eventi (relativi non solo ai fatti biologici e evolutivi ma anche alle loro esperienze personali) che considerano graduali e “non
graduali”. Inevitabilmente l’elenco degli eventi graduali è lungo e facile da definire, mentre
l’altro che rivela discontinuità e “incertezza”
è breve e spesso si nota una certa difficoltà
nell’elaborazione da parte dei ragazzi; inoltre
– e questo mi pare assai interessante! – alcuni fatti appaiono riconoscibili dai ragazzi
sia in un’ottica gradualista che non gradualista.
Osservazioni
Ho scelto due osservazioni, tra le moltissime
proponibili, che mi appaiono molto profonde
di studenti del penultimo anno del Liceo
Classico:
«La crescita di un essere umano ad esempio è graduale, infatti
gli unici ad accorgersene all’improvviso sono
quelle persone che incontrano raramente il
giovane, per questo
i lontani parenti dicono sempre “quanto sei
cresciuto!”. Invece il ragazzo in crescita non
se ne rende conto, solo pensando a se stesso
anni prima realizza quanto sia cambiato. …
Gli eventi graduali aiutano di più gli esseri
umani, che davanti agli eventi di altro tipo si
trovano spesso spiazzati.» (Barbara, 17 anni,
Roma, 23 gennaio 2006).
«Gli eventi graduali possono essere controllati più facilmente dall’uomo, mentre quelli non
graduali hanno un carattere di imprevedibilità e per questo sfuggono al suo controllo.»
(Giacomo, 17 anni, Roma, 3 febbraio 2004).
È interessante notare come questi due ragazzi, indipendentemente dalle “lezioni” dell’insegnante di Scienze (prima infatti non erano state proposte lezioni sull’argomento),
abbiano colto dettagli così precisi relativi
alla nostra percezione del cambiare dei sistemi biologici e i nostri pregiudizi sul “tempo
•
denti edizioni), nel Cap. X, “Successione geologica degli organismi viventi” – probabilmente anche spinto dalle critiche di Thomas
Henry Huxley – Darwin inserisce delle osservazioni che all’occhio del moderno appaiono
molto vicine alla Teoria degli equilibri punteggiati di Eldredge e Gould: «Ho tentato di
dimostrare [...] che inizialmente la maggior
parte delle varietà è locale [e infine che, sebbene ciascuna specie debba essere passata
attraverso numerosi stadi di transizione, è
probabile che i periodi, durante i quali è andata incontro a modificazioni, anche se lunghi e frequenti se misurati in anni, sono stati
brevi in confronto ai periodi durante i quali la
specie è rimasta invariata]».
In classe
Se si osservano con occhio attento i libri scolastici degli ultimi anni è quasi sempre pre-
DALLA PARTE
DI DARWIN
profondo”, lontano dalle possibilità nell’arco
della nostra vita.
È presente nelle parole di Barbara il rapporto
spesso difficile tra soggetto e oggetto, mentre Giacomo, in maniera incredibilmente sintetica e stimolante, spiega il perché della nostra propensione nei confronti delle visioni
gradualiste, sostanzialmente la principale interpretazione da parte di Stephen Jay Gould,
il palentologo, evoluzionista e storico della scienza, autore del libro La struttura della
teoria dell’evoluzione, opera che in gran parte
discute questo aspetto.
Il caso Darwin e la sua teoria – specialmente
nel 2009, anno del bicentenario – è un’occasione unica per creare nelle classi in un ottica
verticale, dalla scuola primaria all’università,
contesti didattici ideali per stimolare osservazioni e approfondimenti utili per la formazione delle persone oltre a suscitare emozioni irripetibili per costruire la propria visione
della vita.
Il pensiero complesso dei ragazzi
Nella didattica è importante capire e valorizzare il pensiero complesso dei ragazzi che
solitamente è espresso senza particolari sovrastrutture ideologiche o di altro tipo; nelle
due osservazioni è presente un “gioco” linguistico di semplicità/complessità che stupisce e fa pensare: infatti gli studenti sono
capaci, in opportune situazioni e cornici didattiche che l’insegnante deve costruire e facilitare, di elaborare ragionamenti e articolazioni del pensiero esattamente come l’adulto
più maturo e critico che possiede un ricco bagaglio di esperienze e studi. Queste occasioni – spesso considerate nella scuola e dai singoli insegnanti una perdita di tempo – sono
invece importanti per promuovere momenti di critica argomentata e costituiscono per
qualsiasi insegnante un momento di crescita
professionale e personale; è poi evidente la
possibilità di originare veri momenti di interdisciplinarietà in una cornice che può avere
diverse configurazioni didattiche e essere riutilizzata in diversi contesti.
Scrivevano Eldredge e Gould nel famoso articolo che segna l’inizio di un programma
moderno di ricerca legato alla discontinuità
nella natura della specie e della storia dell’evoluzione: «Le aspettative teoriche colorano la percezione in maniera così intensa che
raramente nuove nozioni possono sorgere dai
fatti raccolti sotto l’influsso delle vecchie immagini del mondo. Le nuove immagini devono diffondere la loro influenza, prima che i
fatti possano essere visti sotto una nuova
prospettiva» (Eldredge, Gould, 1972).
* Insegnante di scuola secondaria superiore, fondatore del Circolo Gould di Roma.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Charles Darwin, Sull’origine delle specie per mezzo
della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita (I ed. 1859 – VI
ed. 1872).
Niles Eldredge, Stephen Jay Gould, Gli equilibri
punteggiati: un’alternativa al gradualismo filetico,
in “Models in Paleobiology”, 1972, a cura di T. J.
M. Schopf.
S. J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione,
Codice ed., 2003 (ed. americana 2002).
C’è bisogno del pensiero evoluzionista?
Alcuni anni fa (nel 2004) siamo stati
costretti a porvi questa domanda,
perché la teoria di Darwin era stata
cancellata dai programmi ministeriali
proposti dal ministro Letizia Moratti.
La successiva marcia indietro compiuta
dal ministro e dovuta alla reazione
del mondo scientifico non dovrebbero
lasciare adito a dubbi. Ma la domanda
ha mantenuto tutto il suo spessore. E
così Legambiente l’ha rivolta ad alcuni
esperti – Marcello Buiatti, Giuliano
Cannata, Marcello Cini, Vittorio Cogliati
Dezza, Walter Fornasa, Marcello Sala
–. Le risposte sono state pubblicate in
un quaderno di Legambiente (Dalla
parte di Darwin, Editrice Le Balze,
Montepulciano, pp. 103, euro 12) dal
quale emergono i motivi di fondo per
cui il pensiero evoluzionista è di attualità
ed è uno strumento fondamentale per la
formazione del cittadino in quanto offre
chiavi di lettura per comprendere la
complessità dei nostri giorni e introduce
alla cultura della diversità.
DUE SITI PER
VIAGGIARE
CON DARWIN
www.darwin-online.org.uk
www.pikaia.eu
NOTE
1 Non è un rigurgito di sciovinismo maschilista da
parte mia: è la signora Rosa Giannetta che per la
pubblicazione dei suoi libri usa il solo cognome del
celebre marito.
2 Alcuni esempi: è sufficiente la selezione naturale per spiegare questo particolare carattere? La
selezione naturale è più o meno importante dei
vincoli strutturali o dei fattori storici? Il punto di
arrivo è determinato oppure conta la contingenza? Il cambiamento è sempre lento e graduale? A
quale livello si spiega l’invecchiamento? Dei geni?
Dell’organismo? Dello sviluppo? Del contesto ecologico? La selezione opera solo al livello del singolo organismo oppure agisce anche tra popolazioni
o tra specie?
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Evoluzione e arte L’ars docendi ci dice che un
modo per facilitare l’apprendimento di un tema,
scientifico o non scientifico, è quello di rendere la
partenza del percorso più accattivante possibile,
aiutando il fruitore ad ascoltare con la mente e a
recepire meglio i fondamenti teorici o sperimentali
di quanto si vuole illustrare. Un percorso che
didatticamente si è rivelato funzionale allo scopo.
L’esperienza è stata sperimentata con studenti
del triennio della scuola superiore, ma il metodo
adoperato può essere, secondo noi, usato anche con
allievi delle fasce scolari precedenti ALESSANDRA MAGISTRELLI
L
a teoria dell’evoluzione delle specie già
nei classici scritti di Charles Darwin si presenta come un lungo ragionamento scientifico
non semplice da apprendere. (Accanto a una
difficoltà intrinseca, va considerata anche
la difficoltà dovuta a negazione e rimozione
causate da idee preconcette che possono alterare le capacità di comprensione, favorendo invece il fraintendimento dei concetti. Ma
qui si entra in un altro discorso). Con i miei
studenti a volte mi sono servita delle arti figurative per introdurre un concetto. Ai ragazzi ho presentato la riproduzione di un dipinto
chiedendone poi la descrizione sia delle forme sia del concetto che esse sottendono. Ho
individuato alcune opere, né molte né ambigue, utili a trasmettere un doppio messaggio:
il primo di tipo estetico (la ricerca e l’amore
del bello sono proprie dell’umano), il secondo
Diversitá dei viventi
Questo piccolo eden è la riproduzione di una
famosa pittura di giardino che si trova nella
Casa dei Cubicoli Floreali a Pompei (41-54
d. C.).
Un serpente si arrampica su un albero di
fico di cui sono visibili i frutti, un uccello
a sinistra osserva la scena. Poche decine
di centimetri sono riempite da ben quattro
forme di esseri viventi molto diversi tra loro.
Sul fatto che la biosfera sia abitata da «…
innumerevoli forme, bellissime e meravigliose
[che] si sono evolute e continuano a
evolversi» (L’Origine delle specie, pp. 554) non
ci possono essere dubbi.
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16
Variazione convergente
Bartolomeo Bimbi, Cavolfiore e radici
selvatiche (1706), Firenze, Museo di Storia
naturale.
Un esempio di variabilità nel mondo vegetale.
Darwin scrive: «Ritornando alle piante esiste
un altro metodo per osservare gli effetti
accumulati della selezione, cioè quello di
confrontare nei giardini la diversità dei fiori
delle varietà differenti di una stessa specie;
negli orti la diversità delle foglie, dei baccelli,
dei tuberi o di qualsiasi altra parte abbia
importanza, in rapporto coi fiori delle stesse
varietà […]. Osserviamo come sono diverse
le foglie dei cavoli [cavolo rapa, cavolfiore,
cavoletti di Bruxelles] e come sono simili i
fiori; come sono diversi i fiori della viola del
pensiero e come sono simili le sue foglie…»
(op. cit., p. 103).
Variabilità all’interno dello stesso genere
Bartolomeo Bimbi, Spalliera con arance,
limoni, lime e lumie (1715), Villa Medici di
Poggio a Caiano.
Il genere Citrus è il più importante della
famiglia delle Rutacee, ne fanno parte specie
notissime quali il C. aurantium (arancio
amaro), il C. limon (limone), il C. medica
(cedro), il C. reticolata (mandarino) e molte
altre. Come mai certi generi sono tanto ricchi
di specie e altri così poveri? Se lo chiede
anche Darwin: «Considerando le specie
unicamente come varietà ben nette e definite,
fui indotto a supporre che le specie dei generi
più ricchi di ciascun paese presentassero
varietà più delle specie dei generi più
poveri…» (op. cit. pg. 126).
più concettuale e scientifico. Il primo fa da
battistrada e da rinforzo al secondo che viene
compreso e ricordato più facilmente.
Ho usato questo metodo per esporre in classe le basi della teoria darwiniana: la diversità dei viventi; la variabilità individuale all’interno della specie e della popolazione di
appartenenza; la selezione accompagnata
dalle diverse forme di lotta per la sopravvivenza; l’adattamento alle regole imposte dalla selezione; la trasmissione ereditaria dei caratteri.
Un punto fondamentale del ragionamento
darwiniano sta nel considerare la selezione il
cardine intorno a cui ruota tutto il processo
evolutivo. Selezione sì, ma quale? Sappiamo
che Darwin individua: la selezione naturale,
la selezione sessuale, la selezione allo stato
domestico.
Dice Darwin: «La selezione naturale agisce
soltanto conservando e accumulando le piccole modificazioni ereditate, ciascuna delle quali è utile all’individuo.» (pp. 161, in
Charles Darwin, L’origine delle specie1).
E sulla selezione sessuale aggiunge: «Questo
tipo di selezione dipende non dalla lotta per
l’esistenza contro gli altri esseri viventi o
contro le condizioni esterne, ma dalla lotta
degli individui di un sesso, generalmente maschi, per il possesso delle femmine. Il risultato di questa lotta non è la morte del vinto,
ma la mancanza di discendenti o lo scarso numero di essi.» (op.cit. pp. 154).
Mentre sulla selezione allo stato domestico
afferma: «La chiave del problema sta nel potere dell’uomo di operare una selezione accumulativa: la natura fornisce variazioni successive e l’uomo le accumula nelle direzioni
école numero 71 pagina
17
che gli sono utili. In questo senso si può dire
che egli si è fabbricato le razze che gli sono
vantaggiose.» (op.cit. pp.101).
Le immagini che trovate a corredo di questo
articolo sono le tappe illustrate da alcuni dipinti del passato aventi come soggetto animali o piante d’allevamento di un percorso
guidato sulla selezione artificiale.
* Alessandra Magistrelli è insegnante, fa parte del
consiglio direttivo della Sibe - Società Italiana di
Biologia Evoluzionistica e dell’Anisn - Associazione
Nazionale Insegnanti di Scienze Naturali) di cui
attualmente dirige il periodico quadrimestrale Le
Scienze Naturali nella Scuola.
NOTA
1. Questa e le citazioni seguenti sono tratte da
Charles Darwin, L’origine delle specie, VI edizione,
1872, traduzione di L. Fratini, introduzione di G.
Montalenti, Boringhieri, Torino, 1967.
Selezione naturale
Josef Schmitzberger, Sizing up the Opponent
(1851), collezione privata.
Darwin: «Si può dire che la selezione naturale
sottoponga a scrutinio giorno per giorno e ora
per ora le più lievi variazioni scartando ciò
che è cattivo, conservando e sommando tutto
ciò che è buono; silenziosa e impercettibile
essa lavora quando e ovunque se ne offra
l’opportunità per perfezionare ogni essere
vivente in relazione alle sue condizioni
organiche e inorganiche di vita.» (op.cit.
pp. 150). In questo dipinto J. Schimtzberger
rappresenta due cuccioli setter che osservano
con molta attenzione una blatta. Come finirà?
O per giocare o perché punti da un certo
appetito…
i cuccioli qui sono la selezione naturale della
blatta.
Selezione sessuale
Monogrammista F. G. B. (Lombardia, prima
metà del secolo XVIII).
Un gallo e una gallina, circondati dalla prole,
stanno davanti a un vassoio pieno di frutta,
Dietro al gallo si vedono uova non ancora
schiuse.
Darwin: «Un cervo senza corna o un gallo
senza speroni avrebbero poche probabilità di
lasciare una prole numerosa.» (op. cit. p. 154).
Ereditarietà
Joshua Reynolds, The Ladies Waldegrave,
(1780-1), The National Gallery of Scotland,
Edinburgh.
Questo quadro, dipinto da Reynolds agli
inizi del XVIII secolo, rappresenta tre sorelle
dell’alta aristocrazia inglese. La loro parentela
non è testimoniata soltanto dalla bellezza
degli abiti, dai gesti studiati, dal portamento,
ma anche e soprattutto dal volto, così uguale,
e dal nasino (notate?) tanto bello, tanto
uguale. Senza ereditarietà dei caratteri e delle
loro piccole variazioni tutti gli sforzi della
selezione di accumulare piccoli cambiamenti
sarebbero inutili.
école numero 71 pagina
18
IDEE
per l’educazione
«L
a riunione si sciolse, ma rimanemmo ancora a chiacchierare con gli insegnanti.
Si lamentavano dello stipendio troppo scarso, dei programmi pesanti, degli alunni che
non avevano voglia di far niente. «Creda a
me – diceva il professor Benedetti – oggi c’è
troppa gente che va a scuola. Il guaio è tutto lì». «Una sorta di bracciantato intellettuale», disse solennemente un professore venuto
apposta da Roma […]. «Oggi l’insegnante in
nulla, se non nella diversa prestazione d’opera, differisce dal bracciante che il latifondista
ingaggia per le faccende stagionali». Era ogni
anno la stessa storia, uomini di quarant’anni,
con moglie e figli grandi, non erano ancora entrati in ruolo, anche perché il ministero
bandiva i concorsi a ogni morte di papa…».
Così scriveva Luciano Bianciardi ne Il lavoro
culturale Luciano Bianciardi Il lavoro culturale (Feltrinelli, Milano 2007), libro in cui presenta, con tratto rapido e sapidamente agro,
l’Italia del secondo dopoguerra. In quel testo compaiono anche gli insegnanti e il dialogo citato all’inizio, scritto cinquanta anni
fa, certo non suonerebbe stonato nei locali di
una qualsiasi scuola odierna.
La percezione di sé che ha chi lavora a scuola
non prescinde dalla modesta retribuzione che
tocca ai docenti e, in generale, al personale della scuola. Troppo spesso, però, tutto si
ferma ad una lamentazione fra colleghi, mentre sarebbe auspicabile usare gli strumenti
della riflessione per capire in che modo, all’interno del settore scolastico, si leghino retribuzione, momento normativo e specificità
del lavoro svolto.
Modesta e garantita
Servirebbe un’analisi articolata degli elementi concreti che hanno determinato bassi sti-
INSEGNANTI Che gli insegnanti non
siano mai stati ben pagati, né in un passato
recente né in uno più remoto sarà luogo
comune ma è anche verità. Nell’Italia
postunitaria gli insegnanti elementari
erano i meno pagati tra tutti i dipendenti
statali e all’inizio del ‘900 Gaetano
Salvemini dichiarava la sua appartenenza
al “proletariato accademico”, includendo
l’insegnamento universitario nel novero dei
lavori mal retribuiti. Se la situazione oggi è
decisamente migliorata per gli accademici,
non così per tutti gli altri addetti del settore
istruzione, almeno nel nostro paese
Una novità straordinaria: gli
insegnanti sono malpagati
GIOVANNA LO PRESTI
pendi per gli insegnanti in Italia. Ci limitiamo
ad indicare che il motivo principale che viene addotto per giustificare i bassi stipendi,
e cioè il numero troppo alto di addetti (circa un milione) di per sé non è sufficiente. Lo
stesso rapporto studenti-docenti, che ci vede
fuori dalla media OCSE, e che determinerebbe
l’“anomalia” italiana di un esercito di inse-
gnanti sovradimensionato, è causato da una
serie di circostanze1 che, in conclusione, fanno apparire inesatta l’equazione molti insegnanti – bassi stipendi.
In linea generale, vale ancora ciò che affermava Theodor W. Adorno negli anni Sessanta,
nel suo saggio Tabù sulla professione dell’insegnante. Egli attribuisce una parte della preécole numero 71 pagina
19
venzione sociale che si ha verso l’insegnante alla scarsa remunerazione dei docenti: «La
rappresentazione di quella dell’insegnante
come di una professione da fame si conserva
evidentemente con più tenacia di quanto non
le corrisponda l’effettiva realtà»2.
Nel tentativo di chiarire quali siano i fattori che determinano repulsione e sottovalutazione nei confronti degli insegnanti Adorno
dà alla retribuzione un peso particolare e ne
evidenzia due aspetti: l’essere modesta e l’essere garantita. Sottolinea come le libere professioni abbiano un maggior apprezzamento
sociale, e di conseguenza una miglior remunerazione, proprio a causa dell’incertezza del
reddito e del rischio relativo che comporta
il loro esercizio. Insomma, mentre il libero
professionista si mette in diretta concorrenza
con altri ed ha un atteggiamento “audace”,
l’insegnante, invece, un po’ vigliaccamente,
sceglie di affrontare un rischio minimo, collocandosi nell’alveo di un lavoro sicuro e, anche
per questo, poco retribuito.
ONDA
Essere e dover essere
Lo status sociale indefinito dell’insegnante
deriva, secondo me, anche da un’altra profonda contraddizione che opera nell’immaginario
collettivo. Da un lato egli è un subordinato,
un impiegato che esegue e che, per di più,
non si deve confrontare con adulti ma con
minori, con i quali rischia di avere sempre, e
facilmente, ragione: è figura scialba, spesso
priva di originalità e valore culturale, sottomessa ad una gerarchia, e ciò che gli si chiede è una mera ripetizione di conoscenze consolidate e già un po’ ammuffite.
Dall’altro lato, però, l’insegnante deve essere
un maestro, cui spetta il più alto dei compiti,
quello dell’educazione e della formazione di
giovani esseri umani. È questo secondo tipo
école numero 71 pagina
20
di insegnante che George Steiner presenta
con parole efficaci: «Anche a un livello modesto, come quello di un maestro di scuola,
insegnare, e insegnare bene, significa essere
complici di possibilità trascendenti […] Una
società, come quella basata sul profitto sfrenato, che non fa onore ai propri maestri è difettosa»3.
Del dilemma se gli insegnanti siano dei fannulloni inconcludenti, dei “tromboni” che
hanno gioco facile con i ragazzini, dei grigi polverosi burocrati o piuttosto delle anime belle in grado di risvegliare l’amore per il
sapere nelle giovani menti, porta traccia, in
filigrana, ogni documento ufficiale che parli
di loro e che prospetti la loro opera secondo
un dover essere tanto alto quanto dimentico della realtà effettuale e delle condizioni
materiali in cui il lavoro degli insegnanti si
esercita. Come ogni contraddizione complessa sottratta all’analisi, anche questa tende a
trovare soluzione in un puro momento ideologico, che viene spacciato come la soluzione del problema. Sto pensando alla meritocrazia che, da più parti, viene proposta come
la soluzione dei problemi della scuola italiana – tutto compreso, anche il problema dei
bassi stipendi.
I ministri lo sanno
Quali siano, dal punto di vista del reddito,
le condizioni del lavoro docente ce lo hanno
detto gli stessi ministri della Pubblica (ancora per quanto tempo?) Istruzione: dall’intervento di Tullio De Mauro – che nel maggio del
2000, dopo aver definito «scandalosamente
bassi» gli stipendi del corpo docente proponeva aumenti per tutti gli insegnanti e premi
aggiuntivi per i più bravi –, al poco convincente grido del ministro Gelmini che proclama: «Non possiamo ignorare che lo stipendio
medio di un professore di scuola secondaria superiore, dopo 15 anni di insegnamento,
è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. In Germania ne guadagnerebbe
20.000 in più, in Finlandia 16 .000 in più. La
media OCSE è superiore a 40.000 euro l’anno.
Questa legislatura deve vedere uno sforzo
unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media OCSE». Dati
innegabili, ai quali il ministro intende porre rimedio non con un incremento della spesa per l’istruzione pubblica (facile, logico, ci
arriverebbe chiunque e non è che una/uno
diventi ministro per niente!) ma con ulteriori tagli che, secondo una terminologia bipartisan vengono ormai definiti «misure per
migliorare l’efficienza e l’efficacia del sistema». Autonomia e valutazione delle istituzioni scolastiche, incentivi per gli insegnanti
“migliori” e presumibile tentativo di blocco
di ogni automatismo di aumento stipendiale per tutti gli altri sono gli ulteriori ingredienti della ricetta Gelmini. Perciò visto che
la “coperta è corta” (tanto per usare lo stile
aulico che Gelmini ha usato nell’audizione in
Commissione Cultura) si prospetta un futuro
prossimo di bassi stipendi per la stragrande
maggioranza degli insegnanti. Con quali prevedibili conseguenze per la scuola pubblica
non sto a dire.
D’altra parte l’impoverimento della categoria nell’ultimo quarto di secolo è da inquadrare nel generale impoverimento del lavoro dipendente in Italia. I due documenti che
meglio mettono in luce tale aspetto arrivano
da fonti istituzionali e sono il working paper
della Banca dei Regolamenti Internazionali
e l’“Indagine campionaria sui redditi delle famiglie italiane nel 2006” di Bankitalia.
Secondo questo studio il reddito delle famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente
risulta essersi incrementato tra il 2000 e il
2006 dello 0,3 per cento a fronte di un incremento del 13,1 per cento per il capofamiglia
lavoratore autonomo. Sostanzialmente sulla stessa linea di Bankitalia è lo studio dell’IRES-CGIL che arriva a concludere che, sempre nello stesso arco di tempo, gli impiegati
hanno perso mediamente 3.047 euro all’anno, gli operai 2.592 euro mentre imprenditori e liberi professionisti si collocano a più
11.984 euro.
Ancora più chiaro e più allarmante il
working paper della Banca dei Regolamenti
Internazionali che ci dice che, dal 1983 al
2006 ben 8 punti di PIL si sono spostati dal
lavoro al capitale. Tradotto in cifre più comprensibili, 8 punti di PIL equivalgono a 120
miliardi di euro. Se consideriamo soltanto
i lavoratori dipendenti questo significa che
ciascuno di loro, fatti i debiti conti, si ritrova un reddito decurtato di circa 7.000 euro
rispetto ai primi anni Ottanta. L’enormità del
dato sembra però dare finalmente una risposta meno lagnosa e confusa del solito alla
geremiade della difficoltà ad affrontare la
quarta (o addirittura della terza) settimana.
Se tutto il lavoro dipendente si trova in stato
di sofferenza, bisogna comunque aggiungere
che, nel confronto internazionale, gli insegnanti italiani appaiono sottopagati rispetto
ai loro colleghi OCSE: e questo vale per tutti
i gradi di scuola e per tutti i momenti della
carriera. Inoltre tale svantaggio risulta ancor
più grave se si mette a confronto la retribuzione iniziale e quella finale: infatti il numero medio di anni di servizio per arrivare al
massimo della retribuzione è di 35 anni per
l’Italia, di 24 anni per la media OCSE4. Inoltre
la spesa complessiva dello Stato per l’istruzione costituisce il 7,2 per cento del Pil contro la media Ocse dell’8,9 per cento.
Ma né centro sinistra né centro destra, nonostante la presunta centralità della scuola nei
rispettivi programmi di governo hanno prospettato un incremento di spesa per il settore
istruzione; anzi, come detto sopra, gli ultimi
anni sono stati caratterizzati da una serie di
tagli, sia in termini di risorse economiche sia
in termini di personale. Anche qui, se si vuole fare un’analogia con il business sector, si è
assistito ad un reale aumento della produttività del singolo (due esempi: la saturazione a
18 ore e l’aumento del numero di alunni per
classe) cui ha corrisposto una diminuzione di
risorse economiche investite nel settore. Si è
passati dai 331 miliardi di euro per il funzionamento del 2001 ai 111 del 2006, dai 259
milioni di euro stanziati per l’autonomia del
2001 ai 192 del 2006; le spese per i supplenti
sono passate da 889 milioni di euro nel 2004
a 565 nel 2007.
Quanto alla vexata quaestio del riconoscimento del merito attraverso un conseguente
meccanismo premiale, sappiamo bene cosa è
successo in questi dieci anni di “scuola dell’autonomia”. Destinare una parte del salario
di tutti per costituire un fondo cui attinge
una piccola parte della categoria per il proprio salario accessorio ha determinato, soprattutto nelle scuole superiori, un alto grado
di dannosa conflittualità interna, la trasformazione delle scuole in “progettifici” (tale
definizione, ancorché inelegante, è stata usata in senso negativo dallo stesso ex-ministro
Fioroni) la corsa all’accaparramento delle risorse disponibili non tanto da parte dei colleghi più bravi quanto di quelli più avidi. È pure
evidente che la scuola dell’autonomia, condotta dal dirigente-manager, non ha prodotto, stando agli studi internazionali e al rapporto Pisa, se non uno scadimento del grado
di istruzione offerto dalla scuola italiana.
La scuola italiana è malata ed i medici-ministri che se ne assumono la cura sembrano aver
confuso l’eutanasia con la guarigione: altrimenti non continuerebbero a proporre come
rimedi quelle che sono le cause del malanno.
Il truffaldino concetto di “merito” presentato
da Gelmini rispecchia la povertà culturale, e
vorrei dire umana, della nostra classe politica
– che ha dimenticato che, per poter parlare
di merito, si deve almeno ipotizzare una linea
di partenza che metta tutti sullo stesso piano
e chiarire molto bene quali siano i parametri
valutativi del merito, faccenda complessa in
un lavoro in cui l’idea di “produttività” non è
certo di immediata applicazione.
In compenso, la nostra classe politica sa
bene (lo sa, ma non lo dice) che per la società che si sta prospettando non serve una buona scuola per tutti. Una buona scuola, inevitabilmente, produce individui consapevoli e
dotati di senso critico: ma questo serve davvero poco in un contesto in cui sono destinati a crescere non i diritti e le retribuzioni dei
lavoratori ma il tempo di lavoro e le disuguaglianze sociali.
* RSU, CUB Scuola, Itis “Peano”, Torino.
NOTE
1. Tra le cause che giustificano il rapporto “sfavorevole” tra docenti e studenti per il nostro paese sono da tener in conto le seguenti: il numero
di giorni di scuola superiore, ad esempio, a quello
di Spagna e Francia; il numero delle ore di temposcuola, più alto in Italia per il Tempo Pieno e per
l’elevato numero di discipline nelle superiori; i docenti di sostegno computati nel novero degli insegnanti e a carico dello Stato, mentre non è così in
altri paesi Ocse; i più di venticinquemila insegnanti
di religione cattolica.
2. Theodor W. Adorno, Parole chiave, SugarCo,
Milano 1974.
3. George Steiner, La lezione dei maestri, Garzanti,
Milano 2004.
4. Rapporto su dati relativi al sistema scuola presentato nel 2006 da Cgil-Cisl-Uil.
ONDA
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21
REGRESSI Il “modello italiano” dell’inserimento dei minori di origine
straniera si è caratterizzato, a differenza di alcuni altri paesi europei,
per aver adottato fin dall’inizio la pratica dell’accoglienza degli allievi
di cittadinanza non italiana all’interno delle normali classi scolastiche,
evitando in tal modo la creazione di ambiti di apprendimento separati.
Questa linea – messa a rischio dalla proposta della Lega Nord di istituire
classi differenziate per minori di nazionalità non italiana – è stata,
d’altronde, la stessa intrapresa quando la scuola si è aperta ai ragazzi
di diverse provenienze socioeconomiche, diventando l’orientamento
operativo nei confronti delle varie espressioni della diversità Scuola
e immigrazione
N
el 2007 sono nati 65.000 bambini da
entrambi i genitori stranieri e, se si tiene anche conto dei minori che giungono nel nostro
paese per ricongiungimento, emerge che la
popolazione minorile aumenta in Italia al ritmo di 100.000 unità l’anno. I minori stranieri
sono in tutto 767.060, dei quali ben 457.345
di seconda generazione ovvero nati in Italia e
quindi stranieri solo giuridicamente.
Alla luce di questi dati si comprende come la
presenza degli alunni di origine immigrata1
sia il fenomeno più rilevante che negli ultimi
anni ha interessato il sistema scolastico italiano, uno dei principali ambiti di socializzazione e di inserimento sociale dei minori.
Rispetto ai minori di origine immigrata e
alla loro crescente presenza nelle classi, il
Ministero della Istruzione dagli anni ’90 ha
individuato nell’intercultura l’elemento intorno a cui far ruotare l’azione educativa, con
l’obiettivo di valorizzare le differenze linguistiche – culturali; impostazione confermata poi nell’ottobre 2007. Molti studiosi concordano però nel ritenere che nel complesso
questo approccio è stato caratterizzato da
moralismo e in larga parte tradotto in azioni estemporanee, in taluni casi emarginanti o
assimilazionistiche lasciando in ombra i grossi problemi legati all’inserimento sociale dei
minori scolarizzati dovuti alla scarsità di risorse, alla debole formazione dei docenti, all’assenza di vere azioni di orientamento, di
accompagnamento e di interventi coordinati
tra i diversi enti formativi e territoriali.
La situazione attuale
Nel corso dell’anno scolastico 2007-08, su
tutto il territorio nazionale, si sono iscritti
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22
WILLIAM BONAPACE
574.133 alunni con cittadinanza non italiana, pari al 6,4 % di tutti gli allievi (5,6%
nell’anno scolastico precedente). Gli studenti figli di immigrati aumentano al ritmo di
70.000 unità l’anno (sono oltre il 10% in
Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Umbria)
con una maggiore concentrazione nelle scuole elementari e medie. La componente femminile è pari al 47,7% di tutti gli alunni di
origine straniera, il 51,3% nelle scuole superiori, il 45,7% nelle medie e il 46,9% nelle
primarie. I bambini e ragazzi stranieri nati
nel nostro Paese che risultano iscritti a scuola costituiscono il 35% degli alunni stranieri, corrispondenti al 2,2% di tutti gli studenti in totale.
Poco meno di 100.000 sono gli studenti romeni (92.734), albanesi (85.195) e marocchini (76.217), quasi 30.000 i cinesi, 20.000
gli ecuadoregni, 15.000 i tunisini, i serbi e i
montenegrini.
Di grande attualità i dati sulla presenza di
ALUNNI CON CITTADINANZA ITALIANA E NON CON RITARDO SCOLASTICO
a. s. 2007-2008. Fonte MPI 2008
ALUNNI RIPETENTI CON CITTADINANZA NON ITALIANA
ALUNNI RIPETENTI CON CITTADINANZA ITALIANA
Iscritti con cittadinanza non italiana per età e tipo di scuola secondaria di II grado, a. s. 2007/08.
Fonte MPI 2008.
ETÀ
LICEI
ISTITUTI
TECNICI
ISTITUTI
PROFESSIONALI
ISTRUZIONE
ARTISTICA
TOTALE
in valore assoluto
13 anni
101
75
61
7
244
14 anni
3.386
4.799
3.923
380
12.488
15 anni
5.174
8.592
8.493
675
22.934
16 anni
4.649
8.361
9.550
708
23.268
17 anni
3.884
7.254
8.604
622
20.364
18 anni
2.915
5.949
6.979
480
16.323
19 anni
1.482
3.716
4.381
259
9.838
20 anni
391
1.951
2.277
119
4.738
oltre 20 anni
Totale
369
4.112
4.111
188
8.780
22.351
44.809
48.379
3.438
118,977
in valore percentuale
13 anni
41,4
30,7
25,0
2,9
100,0
14 anni
27,1
38,4
31,4
3,0
100,0
15 anni
22,6
37,5
37,0
2,9
100,0
16 anni
20,0
35,9
41,0
3,0
100,0
17 anni
19,1
35,6
42,3
3,1
100,0
18 anni
17,9
36,4
42,8
2,9
100,0
19 anni
15,1
37,8
44,5
2,6
100,0
20 anni
8,3
41,2
48,1
2,5
100,0
oltre 20 anni
4,2
46,8
46,8
2,1
100,0
18,8
37,7
40,7
2,9
100,0
Totale
Dall’analisi degli iscritti in base all’età, inoltre, si può osservare che gli studenti stranieri iscritti ai licei
sono più numerosi nella fascia di età considerata “regolare “, 14-18 anni, mentre per gli istituti tecnici e
professionali la presenza di studenti in ritardo è consistente.
alunni rom. Essi raggiungono le 12.342 unità, con un aumento del 4,3% rispetto all’anno scolastico precedente. Più della metà
degli alunni “nomadi” frequenta la scuola
primaria, mentre solo l’1,5% frequenta una
scuola secondaria di II grado. A livello territoriale la regione con il maggior numero di
studenti rom è il Lazio con 2.331 presenze.
Le scuole primarie e secondarie di I grado accolgono il maggior numero di allievi di origine straniera, che rappresentano rispettivamente il 7,7% e 7,3% dell’intera popolazione
scolastica di quegli ordini.
Più contenuta l’incidenza nella scuola secondaria di II grado, pari al 4,3%. Modesta la
presenza nei licei classici e scientifici, con
un’incidenza sul totale degli iscritti, rispettivamente, dell’1,4 e dell’1,9%. Negli istituti
professionali invece rappresentano l’8,7% del
totale degli studenti e il 4,8% negli istituti tecnici, raggiungendo complessivamente il
78,3% di tutti gli studenti di origine straniera iscritti nelle scuole superiori. Situazione
quest’ultima da prendere in seria considerazione; infatti, nello stesso momento in cui
la scuola secondaria di carattere liceale negli ultimi decenni è venuta “democratizzandosi”, accogliendo giovani di tutte le fasce
sociali, sembra, almeno per ora, non essere
particolarmente attrattiva nei confronti dei
giovani di nazionalità non italiana.
Al fine di evitare processi che potrebbero condurre a meccanismi di segmentazione
scolastica a carattere “etnico” e sociale con
il conseguente rischio di produrre una debole mobilità sociale e perpetuare stereotipi e
pregiudizi, si intravede la necessità di attivare azioni positive da parte del mondo della
scuola nei confronti dei minori di origine immigrata che stimolino e promuovano le loro
motivazioni e le loro aspettative con adeguati interventi di orientamento e sostegno
école numero 71 pagina
23
molto più e molto meglio di quanto avvenga.
Purtroppo però il mondo della scuola italiana
non sembra essere adeguatamente attrezzato a rispondere a queste sollecitazioni in termini di risorse finanziare e umane, mentre le
competenze degli insegnanti rispetto a questo problema risultano spesso frammentarie
e disomogenee.
Non è solo questione di scuola
È importante sottolineare che da questi stessi dati difficilmente si possano trarre conclusioni generali sulle attitudini scolastiche
dei minori di origine straniera. Molte sono le
variabili che possono entrare in gioco nella
scelta dell’indirizzo formativo e che incidono
sull’esito scolastico.
Diverse ricerche hanno evidenziato l’incidenza di alcuni elementi, comuni sia ai ragazzi italiani che ai figli degli immigrati: il clima relazionale della classe, il rapporto con i
compagni e gli insegnanti, gli stili di insegnamento, le aspettative delle famiglie che
puntano in modo particolare a percorsi facilmente spendibili sul mercato del lavoro, i
significati attribuiti all’istruzione, il grado di
fiducia verso il proprio futuro. La letteratura ha messo in evidenza come, piuttosto che
l’“appartenenza nazionale” o il semplice fatto di essere immigrati, siano ben altri i fattori che interagiscono nella costruzione delle
aspettative, delle aspirazioni e delle potenzialità dei figli degli immigrati rispetto alla
realtà scolastica. Tra questi un peso rilevante è assegnato ai contesti familiari e sociali
di appartenenza, alle risorse linguistiche e
culturali di cui sono in possesso, al periodo
di permanenza nel nuovo paese e all’età posseduta dal minore al momento del suo arrivo in Italia.
Tutti aspetti su cui è indispensabile lavorare con adeguate azioni di orientamento e di
supporto.
Ritardi e insuccessi
Un altro aspetto particolarmente critico è la
realtà del ritardo e dell’insuccesso scolastico tra i minori di origine straniera che, come
evidenziato dai grafici presentati, risulta essere particolarmente elevato in ogni ordine e
grado scolastico con differenziali significativamente negativi nei confronti dei minori di
nazionalità italiana.
Quella che emerge è una realtà problematica e fortemente squilibrata quindi, in cui la
precarietà e gli squilibri sono ancora molto
evidenti e richiedono azioni incisive ancora poco presenti e nel complesso frammentarie e scarsamente coerenti e continuative. Un
percorso in salita del cui esito ne va la coesione sociale, il nostro futuro e il modello di
società dei prossimi decenni.
NOTA
1. Gli immigrati in Italia appartengono a 191 nazionalità differenti. Nonostante ciò il nostro paese non si trova di fronte a una vera e propria polverizzazione delle presenze, infatti nel tempo si è
venuta strutturando una composizione prevalentemente euromediterranea.
école numero 71 pagina
24
Secondo la stima elaborata dal XVIII Dossier
sull’immigrazione della Caritas – presentato il 30 ottobre
scorso – la presenza degli immigrati oscilla tra i 3.800.000 e
i 4.000.000, su una popolazione complessiva di 59.619.290
persone, con un’incidenza del 6,7% (leggermente al di sopra
della media UE, che è stata del 6,0% nel 2006), ponendo
il nostro paese tra le prime nazioni europee per incidenza
migratoria LUNGO LE STRADE DEL FUTURO
WILLIAM BONAPACE
L
a prima collettività, raddoppiata in due anni, è
quella romena (624.741 residenti e quasi 1.000.000 di
soggiornanti), seguita da quella albanese (401.915) e
marocchina (365.908); un poco al di sopra e un poco
al di sotto delle 150.000 unità si collocano, rispettivamente, quelle cinese e ucraina. La dimensione globale delle grandi città italiane anticipa quello che sarà
il futuro del resto dell’Italia. A Milano l’incidenza degli
stranieri è del 14% e 1 ogni 4 è minore (quasi 50.000
su un totale di 200.000), mentre a Roma l’incidenza si
attesta sul 10%, dove l’intera popolazione immigrata raggiunge le 300.000 unità. I
flussi registrati nell’ultimo decennio sono tra i più alti nella storia d’Italia, paragonabili – se non superiori – al consistente esodo verso l’estero degli italiani nel secondo
dopoguerra. Si pensi solamente che nel periodo 2005-2007 sono state presentate circa 1.500.000 domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte delle aziende e
delle famiglie italiane: 251.000 nel 2005, 520.000 nel 2006 e 741.000 nel 2007, con
una incidenza, rispetto alla popolazione straniera già residente, prima del 10%, poi
del 20% e nel 2007 del 25%.
Il contributo dei lavoratori stranieri all’economia del nostro paese è ormai rilevante
incidendo significativamente sulla quota di ricchezza prodotta, come dichiarato dall’Unioncamere che ha quantificato nel 9% il peso che gli immigrati assicurano al PIL.
Anche il gettito fiscale assicurato dai migranti è considerevole: nel 2007 è stato di
3 miliardi e 749 milioni di euro, dei quali 3,1 miliardi per i soli versamenti Irpef e le
restanti somme per diverse altre voci (addizionale Irpef regionale, Ici, Imposte catastali e ipotecarie). Una realtà ben lontana, quindi, da quell’immagine dello straniero
come persona assistita che pesa sul sistema del welfare.
La massima concentrazione di lavoratori immigrati, pari ai due terzi del totale, si rileva nel Nord. A Brescia è nato all’estero 1 lavoratore ogni 5 occupati, a Mantova, Lodi
e Bergamo 1 su 6, a Milano 1 su 7; sempre a Brescia è nato all’estero 1 assunto ogni
3 e a Milano 1 ogni 4, mentre in tutta la Lombardia i nuovi assunti quasi per la metà
(45,6%) sono nati all’estero. Nel Veneto, all’inizio del 2000 erano 20.000 le aziende
che ricorrevano ai lavoratori stranieri, mentre ora sono 40.000.
Questi dati fanno ben capire che l’Italia non può fare a meno dell’apporto degli stranieri e che il loro ruolo è indispensabile al sistema economico oggi e lo sarà sempre
più nel futuro, infatti, secondo i tre scenari demografici (basso, centrale e alto, a
seconda dei parametri prescelti) possibili elaborati dall’Istat per i prossimi 40 anni,
emerge un duplice fenomeno: l’aumento della popolazione anziana e la diminuzione
della popolazione in età da lavoro. L’età media, dai 42,8 anni del 2007, passerà a 49
anni a metà secolo. La popolazione attiva, da 39 milioni del 2007 scenderà nel 2051
a 30,8 milioni nello scenario basso, 33,4 milioni nello scenario medio e 35,8 nello
scenario alto. Le persone con 65 anni e oltre, rispetto agli attuali 11,8 milioni, nel
2051 diventeranno 22,2 milioni nello scenario alto, 20,3 milioni nello scenario medio
e 18,3 milioni nello scenario basso.
La conseguenza sarà (a condizione che non si assista a catastrofi politiche, sociali e
ambientali) che a metà secolo gli stranieri nel paese, al netto di quelli che diventeranno cittadini italiani, saranno 8,9 milioni nello scenario basso, 10,7 milioni nello scenario medio e 12,4 milioni nello scenario alto, con un’incidenza tra il 16% e il
18% sui residenti.
Ecco quindi che un’azione volta a spezzare le logiche puramente economicistiche della politica dell’immigrazione, a promuovere la tutela dei diritti degli immigrati, afavorire la lotta contro le diverse forme di discriminazione palesi e occulte e contro l’economia sommersa, si rende necessaria sia per assicurare migliori condizioni di vita dei
nuovi cittadini sia per migliorare le perfomacedel sistema economico del paese.
Se oggi l’Italia non può fare a meno degli immigrati, certamente gli immigrati possono fare molto per l’Italia per contribuire allo svecchiamento del sistema produttivo e
puntare sull’innovazione e lo sviluppo che coniughi dinamismo e giustizia sociale.
INTERCULTURA Anche gli
“altri” scrivono la loro storia e
i loro programmi, e noi “siamo
altri” per la maggior parte degli
abitanti della terra. Come cambiare
l’insegnamento della storia e della
geografia in chiave interculturale La
“globalizzazione”
della storiografia
MARILENA SALVAREZZA*
È
la sfida posta a Porto Sant’Elpidio in
un seminario nazionale (agosto 2008) organizzato attorno a questa tematica da un folto gruppo di Ong italiane. Al centro della riflessione una domanda importante, come gli
insegnamenti disciplinari (nel caso specifico
storia e geografia) possano rispondere alle
caratteristiche di una scuola sempre più connotata da varietà e complessità di utenza, e
quanto le ong, diventate ormai poli formativi
nella scuola e nel territorio, siano in grado di
elaborare un progetto complessivo di scuola
“interculturale”, adeguata a un contesto sociale locale e mondiale radicalmente mutato.
«… Il respiro interculturale può distendersi quando si affina la coscienza autocritica
della tradizione cui apparteniamo e quando
finalmente si sperimentano viaggi di andata
e ritorno tra le culture, dialoghi e forme di
condivisione tra tradizioni diverse, imparando così a riconoscere un orizzonte di senso
più vasto per tutti», è stato detto in apertura dei lavori.
Generazione 2
Certo, parlare genericamente di ragazzi “stranieri” è sempre riduttivo. Ognuno di loro,
come ognuno di noi, è portatore di culture
diverse, di storie diverse e di diversi posizionamenti identitari, legati per loro anche all’età dell’arrivo in Italia. Ma sono sempre più
numerosi i ragazzi nati sul territorio italiano
da genitori di origine straniera – generazione
2 si autodefiniscono –, e devono comunque
affrontare difficoltà importanti, tra cui la sofferenza per la messa in discussione di alcuni
valori e codici di comportamento tradizionali
della loro famiglia. Trovarsi a vivere tra due
culture senza appartenere veramente a nessuna delle due è come stare in una terra di nessuno, e in molti casi porta drammaticamente
a non sapere chi si è.
Peraltro, i generazione 2 non sono tanto
diversi dai “nostri”
ragazzi. È comune a
tutti gli adolescenti la demotivazione,
frutto della scarsa
aderenza delle proposte scolastiche alle
loro strutture cognitive e psicologiche, e
del gap nelle culture e nei linguaggi tra
adulti e nuove generazioni. E se una parte dei ragazzi stranieri
può ancora pensare alla scuola come tramite
di promozione sociale questo certo non vale
per la maggioranza degli autoctoni, che vedono in essa e in chi vi lavora l’esempio di
“una cultura della sconfitta” rispetto ai valori dominanti.
La difficoltà a costruirsi un percorso identitario positivo e autonomo porta a fare l’equazione tra identità forte e ricchezza veloce,
possesso di beni, sopraffazione sociale: una
scuola pubblica inclusiva e di qualità dovrebbe partire da questa sfida, con una proposta educativa e culturale che faccia interagire
saperi, metodologie e forme di relazione in
un progetto formativo capace di dare risposte
alle domande cruciali della contemporaneità,
e alle caratteristiche di chi apprende.
La scuola attuale non appare capace di accogliere pienamente questa sfida, nonostante la
volontà di molti insegnanti e numerose buone pratiche; la stagione che sembrava aperta dal ministro Fioroni caratterizzata dalla
volontà di ricercare una “via italiana” all’intercultura, cioè un “modello” culturale scolastico capace di far spazio alle diversità e
insieme di dare orientamenti valoriali e culturali condivisi, è già tramontata. E le iniziative
Fratelli dell’Uomo-Frères des Hommes
Fratelli dell’Uomo organizzazione di cooperazione internazionale a dimensione
europea, è un ente di formazione accreditata presso il MIUR. Nella scuola propone:
sostegno alla progettazione educativa in chiave interculturale; corsi di formazione per
docenti e operatori della scuola; seminari e convegni; mostre e laboratori annessi;
materiali didattici. Le aree di intervento sono intercultura-Pace, diritti e cittadinanza,
squilibri, sostenibilità e ambiente.
Fratelli dell’Uomo ha una consolidata esperienza anche nell’uso di linguaggi non
verbali (teatro, cinema, musica, disegno, pittura) e delle nuove tecnologie per
l’educazione interculturale.
Per contatti: Marilena Salvarezza, e-mail [email protected],
tel. 02.69660052.
école numero 71 pagina
25
INFO
“30 giorni x 30
articoli”
fin qui intraprese dalla attuale ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini vanno in altra
direzione. È improbabile infatti che la scuola
torni ad avere autorità e rigore attraverso la
reintroduzione del voto in decimi: solo ridandole senso, dignità e respiro culturale questo obiettivo può essere raggiunto. Solo se
si riesce a comunicare ai ragazzi che la scuola ha valore, che sapere e saper pensare non
sono inutili, che raggiungere ricchezza e facile fama da reality non è l’obiettivo supremo
nella vita, solo se si tiene conto dei linguaggi
e dei mondi giovanili si può sperare di invertire una tendenza; solo se si lavora a contrastare una deriva sociale fatta di individualismo esasperato e anomico e di omologazione
di comportamenti e culture consumistiche.
Il 7 in condotta non incoraggia il perseguimento di un progetto educativo basato sul
principio di responsabilità, sulla consapevolezza delle proprie azioni e delle loro conseguenze sulla capacità di riconoscere e gestire
emozioni, di confrontarsi con gli altri, di sentirsi parte di una comunità.
Diventare cittadini
Sembra improbabile che si possa insegnare a
diventare cittadini attraverso uno studio formalizzato (meglio ancora imbalsamato) della Costituzione, studio peraltro già previsto
dai programmi vigenti e sempre disatteso.
Educarsi ad essere cittadini “del mondo” e
non solo di un territorio e di una nazione,
richiede un insieme di competenze trasversali che tutti i saperi e tutti gli ambiti di
confronto scolastico sono tenuti a dare. E sicuramente non incrementa queste competenze una scuola che non spende una parola sul
ruolo di partecipazione dei ragazzi, sul fatto che siano protagonisti del loro percorso
di apprendimento, che non propone occasioni
per agire queste competenze. I saperi sono in
continua evoluzione, e gli insegnanti devono
identificare quelli fondamentali per muoversi
nella contemporaneità, insegnare a condurre
école numero 71 pagina
26
anche percorsi autonomi di ricerca, proporre
modelli di come si persegue la conoscenza,
utilizzando metodi di comunicazione che non
siano una semplice, meccanica trasposizione
di conoscenze povere, imprecise e rigide dai
libri di testo.
Tempo di reti
A Sant’Elpidio si è sottolineato come non sia
la semplice presenza di studenti immigrati a
determinare la necessità di cambiamento dei
paradigmi disciplinari storico/geografici − e
di altre discipline − ma piuttosto l’implosione e l’esplosione delle conoscenze, la “globalizzazione” della storiografia: anche gli
“altri” scrivono la loro storia e i loro programmi, e noi “siamo altri” per la maggior parte degli abitanti della terra. Viviamo “dopo il
Novecento”; e cambiano gli obiettivi di insegnamento della storia. Si insegna storia per
costruire comunità e appartenenza, per fornire i cittadini degli strumenti necessari per
la comprensione del mondo e per la partecipazione democratica. Per questo occorre studiare la storia “di tutti” a tutti i livelli − locale, nazionale, europeo, mondiale – e a molte
dimensioni, dando spazio a soggetti e punti
di vista diversi e complementari. La revisione
dei canoni, per la storia come per tutte le discipline, deve essere affrontata insieme dagli
esperti, dagli insegnanti e dai ricercatori in
un confronto serrato con i cambiamenti sociali. Oggi la strada provvisoria è la costruzione sempre più ampia e capillare di reti − tra
scuole, insegnanti, associazioni disciplinari, enti di formazione, istituzioni locali dove
possibile, università – che integrino esperienze e risorse allo scopo di costruire nuovi
saperi e nuove competenze professionali per
una scuola che agisce in contesti culturali e
sociali profondamente cambiati.
* Responsabile del settore Educazione allo sviluppo
di Fratelli dell’Uomo.
Il 10 dicembre 2008,
in tutto il mondo
verrà celebrato il
60° anniversario
della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani. «Un documento
di straordinaria importanza che in 30 articoli
parla di ciascuno di noi, della dignità e del
valore di ogni persona e definisce con parole
chiare e semplici i nostri fondamentali diritti.
Sono diritti civili e politici ma anche diritti
economici, sociali e culturali. Sono diritti
individuali, universali e indivisibili. Poche
parole. Solo 30 articoli. Eppure, ancora oggi,
pochissimi italiani li conoscono. Eppure,
dietro a ciascuno di questi articoli ci sono
stati tanti giovani che hanno lottato e spesso
pagato con la vita l’impegno contro la guerra,
la dittatura e l’oppressione, per la libertà e la
giustizia. Eppure quei diritti continuano ad
essere violati in tante parti del mondo e anche
nel nostro paese. Ecco perché, a partire dal
10 novembre 2008, invitiamo tutti a leggere
un articolo al giorno». Lo ha detto Flavio
Lotti presentando la proposta “30 giorni x
30 articoli” della Tavola per la pace (www.
perlapace.it). «Bastano
pochi secondi al
giorno per imparare,
ogni giorno, uno dei
nostri fondamentali
diritti e, insieme,
delle nostre responsabilità. Conoscili.
Comprendili. Meditali. Imparali. E impegnati
a promuoverli e a difenderli: per te, per noi e
per tutti gli esseri umani». L’invito è a tutti i
responsabili del mondo della comunicazione
e dell’informazione, della scuola e di tutte le
altre agenzie educative.
Discriminazione
Cidis Onlus, organismo impegnato nella lotta
alla discriminazione e nella promozione
dell’integrazione sociale dei migranti in Italia,
propone un Appello contro la mozione votata
alla Camera dei Deputati lo scorso 14 ottobre
per istituire classi e insegnamenti separati per
i bambini e gli adolescenti stranieri.
Adesioni: Cidis Onlus, tel. 06 483066, fax 06
483218, [email protected], www.cidisonlus.
org.
La famiglia e la sua rete
Come gestire la paura della famiglia per i
cambiamenti? Prima
di tutto imparando a
distinguere tra disagio,
sofferenza e patologia.
Il cambiamento, come
il viaggio, ha una
dose intrinseca, e
normale, di disagio.
Su questi temi il
Centro Psicologia, in
collaborazione con
la Scuola di Counseling Familiare e dell’Età
Evolutiva, ha organizzato (25 ottobre 2008) a
Gorgonzola la giornata di studio su “Famiglia.
net. La famiglia e la sua rete”.
Per informazioni: [email protected],
[email protected], www.centropsicologia.it
SAN SALVARIO COME BARBIANA
Un gruppo di ragazzi che si ritrova presso l’ASAI - Associazione
Animazione Interculturale nel quartiere di San Salvario a Torino,
ha promosso una iniziativa rivolta a tutti i coetanei per invitarli a
scrivere ai professori chiedendo
loro di avere più grinta e
convinzione nel migliorare la
scuola superiore. Un’iniziativa
che può servire alla scuola
per passare da emergenza a
L’
esperienze narrate
idea di Arber, Darlan, Domenico, Eros,
Giulia, Ionut, Massimo, Ramona, Riccardo è
quella di scrivere una lettera agli insegnanti ma il loro desiderio è che venga letta anche
dai genitori, dai politici, dai
giornalisti per scrollarli dalla
loro pigrizia. E fare in modo
che la scuola «sia capace di
intercettare tutti i ragazzi,
non abbassando il livello delle cose da imparare ma cercando di far capire che sono
importanti e che per esse
merita la fatica dello studio,
proprio come faceva Lorenzo
Milani con i suoi ragazzi di
Barbiana».
L’iniziativa¹ capovolge l’immagine superficiale e sbagliata della scuola che è stata costruita sui media negli anni passati. A scuola «non ci sono
solo bulli o perditempo, ragazzi “obbligati” con la forza, insegnanti frustrati e incapaci». La scuola «è un mondo complesso che va aiutato ad assumersi la grande responsabilità di fare sì che tutti i ragazzi crescendo riescano ad impossessarsi degli strumenti
culturali per essere liberi di pensare con la propria testa e per accedere ad un lavoro
dignitoso». [C. G.]
NOTA
1. Rai Educational per tre giorni ha ripreso il lavoro dei ragazzi e ha realizzato due trasmissioni andate
in onda nel mese di agosto (visibili su internet sul sito www.fuoriclasse.rai.it). Del progetto, sostenuto
anche da Moni Ovaia, ha parlato, in ottobre, Luciana Littizzetto a Radio Deejay.
Lettera agli studenti che frequentano il “biennio”
C
iao,
siamo un gruppo di ragazze e ragazzi tra i 15 e i 17 anni (tra noi si
sono infiltrati anche due adulti che però non
danno particolare fastidio).
Ci incontriamo da alcune settimane presso
l’ASAI (un’associazione di animazione e aggregazione interculturale, nel quartiere di San
Salvario di Torino, luogo di attività, incontro
e scambio tra giovani provenienti da ogni angolo del mondo).
Abbiamo cominciato a discutere facendo riferimento alla “lettera ad una professoressa”
scritta dai ragazzi di Barbiana negli anni sessanta.
Ci pare che le critiche alla scuola, contenute nella lettera siano ancora vere soprattutto
se rivolte ai primi due anni della scuola superiore.
A noi importa della scuola, anche se a volte
diamo a sembrare il contrario.
Vorremmo poter avere una vita più autonoma
e il lavoro ci attrae, ci sembra che, lavorando, si possa essere più liberi, fare una vita da
grandi e allora siamo tentati di abbandonare,
di andar via.
E poi non è facile stare a scuola.
Già dopo la scuola elementare, nella media,
molti di noi cominciano a perdersi, non riusciamo a stare dietro alle richieste degli insegnanti, non capiamo più a cosa serva la fatica dello studio, stiamo bene a scuola solo
nell’intervallo e, cosa peggiore, cominciamo
a pensare che la scuola non faccia per noi e
desideriamo che finisca: non vogliamo più andare a scuola, lo stare a scuola diventa insopportabile e anche noi diventiamo insopportabili agli insegnanti.
Spesso a scuola si finisce per dare il peggio
di sé.
Eppure andare a scuola fino a 16 anni non è
un lusso; ci dicono che quando saremo più
adulti lo capiremo bene, ma ora è difficile
pensarlo.
Eppure la scuola è importante ed è importante che tutti vi possano andare con profitto non perché è un obbligo ma perché può
aiutarci a mettere le basi indispensabili per
essere persone migliori, per avere più conoscenze, per il lavoro.
Non bisogna rinunciare.
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Da questo anno scolastico lo Stato si è impegnato, con una legge, ad innalzare l’istruzione fino ai sedici anni, ma sembra che tutti se
ne stiano dimenticando: è necessario che la
scuola cambi, che migliori se si vuole sul serio che tutti vi possano e vi vogliano andare
almeno fino a sedici anni
Allora abbiamo deciso di prendere noi l’iniziativa, di fare, con grinta, la nostra parte: non
dobbiamo perdere questa occasione.
Ecco perchè ci rivolgiamo ad altri ragazzi.
Abbiamo pensato di invitarvi a discutere tra
voi e con noi perché insieme si scriva una
lettera ai nostri insegnanti che venga letta
anche dai genitori, dai politici, dai giornalisti per spingerli a prendere sul serio l’innalzamento dell’istruzione fino a sedici anni, per
scrollarli dalla loro pigrizia: bisogna rendere
la scuola capace di intercettare tutti i ragazzi, non abbassando il livello delle cose da imparare ma cercando di far capire che sono importanti e che per esse merita lo sforzo dello
studio, proprio come facevano Lorenzo Milani
e i ragazzi a Barbiana
Immaginate: centinaia e centinaia di ragazzi
che, in tutta Italia, da Torino a Gela, riflettano, discutano e, rivolgendosi agli insegnanti,
chiedano che stare a scuola, imparando veramente, possa diventare una realtà per tutti e
per ciascuno.
Sarebbe una vera rivoluzione.
Ecco cosa vogliamo: chiedere che tutti, ragazzi e adulti, prendano sul serio lo studio.
Noi abbiamo già cominciato a ragionare; non
siamo sempre d’accordo, ma condividiamo sostanzialmente questa idea di fondo: andare a
scuola deve essere percepito e vissuto come
una cosa importante e soddisfacente per la
nostra vita non come una imposizione da cui
voler scappare.
Poter stare a scuola anche nei primi anni dell’adolescenza non è un lusso per qualcuno,
dovrebbe poter diventare realmente un’esperienza positiva e significativa per tutte le ragazze e per tutti i ragazzi.
Perché questo avvenga la scuola non può rimanere come è ora.
Nella discussione alcune idee cominciano ad
emergere e vorremmo proporvele come base
comune di riflessione.
Giulia sottolinea con forza che a scuola manca quella dimensione umana per dare senso al
lavoro da fare insieme.
Viene proposto di pensare al tempo della
scuola come un tempo e luogo di vita in cui
ci si prepara certo a diventare adulti ma “vivendo” pienamente la gioventù.
Allora come deve essere questa scuola? Quali
parole la possono descrivere?
Abbiamo discusso a lungo sulla proposta di
Ramona di garantire che la scuola sia severa.
Bisogna capirci su cosa significa “severa”.
Certo, dicono Darlan e Eros, non rigida né autoritaria e tutti convengono. Forse basta ricordarci che severo vuole anche dire “importante”; le cose importanti per la nostra vita
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sono in qualche modo “severe”, nel senso che
ci impegnano.
Arber interpreta il pensiero comune: la scuola
deve essere autorevole, in questo senso seria
e un luogo in cui si stabilisca una coerenza
tra il comportamento degli insegnanti e quello degli studenti.
Severo è anche contrario di “facile” e una
scuola facile non serve.
La scuola è utile solo se si impara sul serio.
Eros sottolinea che gli studenti devono essere
riconosciuti e trattati con correttezza.
Così si ritorna al richiamo di Giulia sull’importanza della relazione umana.
Ci si accorge che in realtà il soggetto di cui si
parla e che determina la scuola è l’insegnante: è lui che deve essere autorevole, rispettoso, umano.
Come tappa intermedia della nostra discussione riusciamo ad individuare alcune caratteristiche che dovrebbero avere gli insegnanti; le riassume Darlan:
– umanità (capaci di ammettere gli errori e
trattare tutti egualmente, di ascoltare, rispettare);
– competenza (capire cosa ha bisogno un suo
allievo ed essere in grado di soddisfare i bisogni di apprendimento di ognuno);
– essere innovativo (in modo da non fare mai
perdere ad un alunno la voglia di imparare);
– restare al proprio posto (deve capire che è
un insegnante e che non si può mettere allo
stesso livello di un allievo, devi farsi rispettare ma anche rispettare i ragazzi, non essere
un «»fate solo quello che dico io” ma nemmeno un «»fate quello che volete”).
Noi, nello straordinario quartiere di San
Salvario, dopo le vacanze, riprenderemo a
trovarci per continuare il confronto: vi va di
farlo insieme?
Nel concreto la proposta è molto semplice:
formate un gruppo, nella modalità che vi
sembra migliore, per potervi confrontare; magari coinvolgete qualche insegnante.
Per esprimere le vostre considerazioni vi proponiamo di utilizzare le regole dei ragazzi di
Barbiana:
1. Avere qualche cosa di importante da dire
e che sia utile.
2. Sapere a chi si scrive.
3. Raccogliere tutto quello che serve.
4. Trovare una logica su cui ordinarlo.
5. Eliminare ogni parola che non serve.
6. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando.
7. Non porsi limiti di tempo.
Noi siamo disponibili a diventare il punto di
riferimento: metteremo tutti gli scritti su un
grande tavolo, riuniremo quelli imparentati
per formare capitoli e paragrafi fino a riuscire a costruire, con i pensieri di tutti, un’unica
lettera corale.
Potete scrivere a cambiamolascuola@hotmail.
it. Aspettiamo i vostri contributi.
Arber, Darlan, Domenico, Eros, Giulia, Ionut,
Massimo, Ramona, Riccardo
INFO
Razzismo
Il video Razzismo. Per non dimenticare.
“Una storia romana” di Enrica Sermoneta
Moscati ricostruisce la vita nel ghetto,
le leggi razziali, l’occupazione nazista,
la deportazione, le delazioni, il difficile
dopoguerra, la fallita emigrazione, il
rientro in patria, il benessere conquistato
con il lavoro, la vita di famiglia. Da
vedere in questi tempi di “leggi razziste”,
come Famiglia Cristiana ha definito la
proposta della Lega di “classi ponte”.
Gioco
Gianfranco Staccioli, Il gioco e il giocare.
Elementi di didattica ludica, Carocci,
Roma, 2008
Dopo sei ristampe (prima edizione 1998),
ecco la nuova edizione di questo libro che
punta sui giochi e sul giocare in quanto
“portatori di modelli etici e culturali”.
Il gioco: spazio libero in cui esprimere
desideri e sogni che ancora non hanno
forma e peso di progetti, luogo protetto
di espressione eppure palestra di
quotidianità. Come accennò Aristotele
sostanza di gioia e virtù, distinguendolo
dalle attività praticate per necessità. Ma
non per questo altrettanto necessario
alla vita di ogni essere (e non solo
umano). Da ciò l’importanza di conoscere,
analizzare, studiare il
gioco nelle sue miriadi
sfaccettature e per
riconoscere al giocare una
funzione centrale nello
sviluppo di una sfera
cognitiva personale e della
personalità (Jean Piaget),
ma anche forza attiva
per l’evoluzione affettiva
(Lev Vygotskij). [Edoardo
Chianura]
Giocattoli
Aldo Volpi, Agata Magnani, Il gioco è
una cosa seria… Costruire giocattoli per
esprimersi e comunicare, Carocci, Roma,
2008, pp. 126, euro 10.
Come recita il sottotitolo, un libro
pensato innanzitutto per costruire
giocattoli attraverso schede semplici ed
illustrate. Per tornare all’uso di quella
manualità così importante per la crescita
e sviluppo di ognuno di noi, dall’infanzia
sino ad età ben più avanzate. Il gusto
del fare qualcosa con le proprie mani,
anche per gli altri (amici, nipoti, ecc.),
e vederne il risultato per buono o scarso
che sia. Una sensazione
di creare qualcosa con
le nostre mani che
difficilmente capiremo come
fare avendo già tutto lì,
prefabbricato e pensato da
altri. Il giocattolo diventa
anche strumento di gioco,
piacevole e importante,
per la relazione affettiva
e cognitiva con il proprio
sé e con gli altri. Insomma
giocattoli che “camminano,
scivolano, rotolano,
esplorano” il mondo interno
ed esterno di ognuno di noi.
Ore 13.00: si discute
di democrazia e di
partecipazione in una
splendida sala affrescata
di Milano… Un po’ di
stanchezza nell’aria,
anche se il confronto è
vivace e le questioni in
campo coinvolgenti; è
l’ora della pausa gastronomica, un
quasi-pranzo in piedi, come spesso in
questi meeting. Al bancone si forma,
misteriosamente in un solo istante,
una lunga fila
BIANCA DACOMO ANNONI
L
o riconosco anche da dietro il
mio amico sconosciuto, elegante,
dritto – nell’angolo il bastone –
nel lungo cappotto nero, una nuvola di capelli bianchissimi, profilo aristocratico – chissà perché
da direttore d’orchestra? – piatto
bicchiere e cappello nero appoggiati sul davanzale della finestra;
mangia piano, assorto, sguardo
lungo sul verde del parco esterno,
ogni tanto solleva il dito mignolo
con il calice di Pinot…
Anche questa volta non c’era in
sala, così come non c’era l’anziana signora che gli dà le spalle:
cappellino a vela sull’ampia giacca marrone d’altri tempi, guanti
lunghi traforati appoggiati sulla mensola insieme al piatto stracolmo, tra un boccone e l’altro infila una mano rapida e sicura sotto
la giacca, senza guardarsi attorno. Il piatto si svuota rapidamente,
eccola in fila – ma come? – tra i primi, la posso osservare meglio:
piccolina, guance un po’ arrossate dal trucco, una rete di rughe
sottili che addolcisce lo sguardo un po’ stanco, sofferto, scarpe
marroni lucidate con cura che devono avere camminato molto, un
triangolo di seta beige affacciato alla tasca alta del tailleur. Non
porge il piatto ai camerieri dietro il bancone, ma si serve da sola,
in un attimo il piatto di nuovo stracolmo; si allontana, recupera il
suo posto al davanzale e ripete l’operazione sotto la giacca, questa volta più spesso, il piatto si vuota più in fretta… ogni tanto
un colpo di tosse secca.
Nella fila, o negli angoli della sala, altri ignoti “compagni di catering”, i gomiti puntati su piani d’appoggio improvvisati, a terra
una borsa che pian piano si gonfia. Abiti curati, sempre gli stessi,
scuri, un po’ lucidi, vago sapore di naftalina, gesti ordinati e composti anche se qualche mano trema piano, nessun sorriso.
Sono almeno 10 o 12, tutti diversi e tutti uguali, non fanno gruppo, non parlano con nessuno, presenza anomala e riservata che
sfugge ai più, occupati in attività di lobbying.
A Milano sono organizzati in una lunga lista, e ogni giorno si dividono tra appuntamenti cittadini come questo; accordi non scritti e
un tam-tam che solo loro conoscono per strappare in silenzio alla
tolleranza del mondo del benessere uno spazio di sopravvivenza da
attraversare con dignità, quella di chi sa e non si nasconde.
Spazi di vita rubati ad altre vite che li ignorano, a sguardi che non
vedono; tenerezza e angoscia per vite così sole, forse disperate.
le leggi
corsivo
TRA LE PIEGHE DELLA
PARTECIPAZIONE
DALLA SCUOLA
DELLA COSTITUZIONE
ALLA SCUOLA DEL
REGIME
La grande mobilitazione
che ha impegnato
centinaia di migliaia
di studenti, genitori e
personale della scuola e
dell’università si è
giustamente incentrata
sui tagli alla spesa per
l’istruzione e sugli effetti devastanti che
ne deriveranno. La politica scolastica
di questa maggioranza ha, però, anche
un forte connotato eversivo: il Governo,
finora, esautorando il Parlamento e
rifiutando ogni confronto con il mondo
della scuola; ha stravolto il sistema
scolastico e nello stesso tempo le regole
fondamentali della democrazia
CORRADO MAUCERI
I
n questo senso la politica scolastica si collega con i provvedimenti volti a colpire l’indipendenza della magistratura, con
l’attacco al potere contrattuale dei sindacati ed al diritto di
sciopero, con leggi che violano il principio di uguaglianza ecc.;
si concretizza sempre di più un’idea di Stato autoritario ed intollerante .
Per garantire la piena libertà di insegnamento la Costituzione
all’art. 33 stabilisce che «la Repubblica detta le norme generali
dell’istruzione», e l’articolo 117 lettera n) riserva le norme generali alla potestà legislativa dello Stato, cioè del Parlamento;
per la disciplina degli aspetti organizzativi del sistema scolastico,
la Costituzione, con la riforma del titolo V, ha previsto la cosiddetta legislazione “concorrente” delle Regioni; cioè lo Stato con legge
(non con regolamenti) definisce i principi nell’ambito dei quali interviene la potestà legislativa delle Regioni.
Infine l’articolo 117 della Costituzione salvaguarda l’autonomia
delle istituzioni scolastiche che richiede “che a tali istituzioni siano lasciati adeguati spazi di autonomia che leggi statali e quelle regionali nell’esercizio della potestà legislativa concorrente non
possono pregiudicare. (Corte Costituzionale, sentenza n. 13/04).
I provvedimenti Gelmini-Tremonti, approvati peraltro con decreti
legge e senza un effettivo dibattito parlamentare; delegano invece il Governo ad emanare «uno o più regolamenti», anche «modificando le disposizioni legislative vigenti» per provvedere «ad una
revisione dell’attuale assetto ordinamentale organizzativo e didattico del sistema scolastico» sulla base di criteri generici; con l’articolo 64 della Legge 133/08 si delega al potere regolamentare del
Governo la potestà legislativa in materia di “norme generali”, con
il potere regolamentare il Governo invade la competenza “concorrente” delle Regioni ed inoltre interviene sulle scelte didattiche ed
organizzative che rientrano nella sfera dell’autonomia scolastica.
Non si tratta quindi soltanto di tagli ingiustificati alla spesa per la
scuola o di leggi approvate a colpi di maggioranza e/o con decreti legge o di scelte didattiche che penalizzano il settore più qualificato del nostro sistema scolastico, si tratta di un vero e proprio
golpe: il Governo elimina ogni forma di dibattito nella scuola e con
esso ogni forma di pluralismo culturale, ma soprattutto invade le
competenze del Parlamento, delle Regioni e dell’autonomia scolastica. La scuola pubblica diventa in tal modo la scuola del regime.
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note in condotta
OCCUPARE LE STRADE DI SOGNI
ANDREA BAGNI
G
rande autunno quest’autunno. Entri a scuola e la gente ti chiede: «Che facciamo domani in piazza?», «e per la notte?», «la mattina
la scuola aperta», avete chiesto alla preside?», lo facciamo un coordinamento permanente?», ... E domandano i colleghi più giovani, quelli che sembravano selezionati fra i già morti. I genitori organizzano
un’assemblea e dicono deve essere informativa, “apolitica”. Arrivi e
ti sembrano pazzi a prendere una sala così, anche con cento persone
sembrerebbe vuota. Ma di colpo si riempie completamente, 500 forse
600 persone. Negli interventi si sentono la rabbia e l’amore – per figli
e figlie, per la scuola pubblica, per la vita collettiva e i diritti degli
individui. C’è anche il saluto di un operaio che legge la mozione votata dai lavoratori per la difesa della scuola pubblica. Per la democrazia
e la libertà dei ragazzi. Sembra di tornare indietro nel tempo. Sembra
solo, però, perché è tutto nuovo nell’energia e negli sguardi, quasi aurorale. Il giorno dopo leggo sul quotidiano locale che le rappresentanze operaie della Toscana hanno dichiarato che se Berlusconi manda la
polizia contro i giovani ci penseranno loro a difenderli. Lui smentisce,
ma poi spiega bene il matto del villaggio istituzionale, ex presidente:
infiltrare provocare massacrare, che corrano le ambulanze e il sangue
– che c’entra la polizia con l’ordine?
Adesso comunque si sente un paese intorno alla scuola. Io in classe
domando. Una ragazza mi dice, professore forse non ho capito tutto
della 133 e 137, però voglio dire la mia, voglio che mi vedano, voglio
contare. Esserci. Sento già qualche collega che dice, vedi non hanno
la pazienza di studiare, vogliono solo fare casino. Ma il sapere nasce
da un desiderio o non esiste proprio. E la voglia di esserci è la radice
della democrazia, il diritto a esistere – e a esistere non in una solitudine triste ed egoistica, impaurita e competitiva. Hanno capito le
ragazze che in gioco è questa esistenza politica, collettiva. Lo spazio
pubblico come luogo di vita e non di telecomandi. Vorrebbero ridurli a presenze da supermercato, audience televisivo, target pubblicitario – nella scuola contenitori da riempire di
nozioncine coperte da grembiulini e controllate da voti in condotta. Leggere scrivere fare
di conto, come fosse la stessa cosa oggi di cinquant’anni fa. Come il dio-patria-famiglia
di Tremonti. Grandi Valori sul vuoto delle esistenze e nel deserto delle relazioni. E i ragazzi invece danno spettacolo, non lo subiscono, come allegri situazionisti – ecco allora
un mucchio di studenti come lampredotti giganti che fuggono nel centro storico in mezzo
ai turisti, inseguiti da altri in camice bianco. Sono la fuga dei cervelli. I cartelli a scuola involontariamente buffi. I grandi di quinta cercano di educare i piccoli delle prime, gli
dicono che devono partecipare alle riunioni, scrivono sul cartello, «dobbiamo partecipare
tutti, essere uniti, siamo noi il futuro, SPARGETE LA VOCE». E inoltre, «non si portano a
scuola alcol e droghe durante l’occupazione». Non è mica la scuola normale, l’occupazione
è libertà, cioè autonormazione.
L’incontro di noi insegnanti con i genitori è un’altra serata di mamme straordinarie. Parlano
dei loro figli e delle loro figlie. Di come il rapporto con gli adolescenti chieda cura e ascolto – non calcoli economici. Basta per mandare a quel paese Tremonti e Gelmini. Chiedono
come partecipare e per organizzarsi con la vita quotidiana propongono una tenda fissa in
piazza, poi si potranno scegliere turni, organizzare lezioni, portare materiale. Loro si iscriveranno, come in una banca del tempo. Si sente caldo questo fare della scuola un bene
comune, una cosa che ci riguarda.
Una collega neolaureata parla del precariato, e aggiunge che vuole fare all’aperto la sua
lezione su Cicerone: far capire chi è lei, cos’è il suo lavoro. Forma di lotta è mostrare quanto lo ama quel lavoro, quanto è fatto di domande dubbi, dialogo, ricerca. Alla fine si decide di fare qualcosa al mattino, ma anche la notte. Sconfinare, invadere la notte. Forse in
onore del tempo pieno. Forse perché è la sfera del desiderio. Forse perché bisogna essere
fuori misura. Durare nel tempo. Nell’università si organizzano lezioni a ciclo continuo, per
24 ore. Alle 02.30 si parla di “Chi ha paura di Darwin ovvero a cosa servono le zanzare”
(sala strapiena, una parte segue altrove in streaming, caffè e biscotti per tutti in un angolo), 03.30 “Temperamento: un enigma musicale da Pitagora a Bach”. A seguire: “In cerca dei numeri primi” e via.
Quando una mamma ha domandato in assemblea, diteci cosa possiamo fare, un’altra ha
detto continuiamo a venire, voi raccontateci, raccontiamo. Il governo cancella il parlamento da qualsiasi ruolo, e il parlamento in democrazia è una specie di metafora: il luogo
del confronto e della discussione che esprime una società che si confronta e discute. Non
c’è democrazia rappresentativa se muore quella della società. Allora resistere è proprio esserci, fare tessuto, riempire le piazze. E contro il governo che cancella lo spazio pubblico,
inventare una lotta che possa essere a modo suo di presenza a oltranza. Qui conta davvero
durare nel tempo. Perché la lotta sarà lunga, e anche la notte.
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INFO
Giorni nonviolenti 2009
Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita
pubblicano l’agenda Giorni nonviolenti che
nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio
quotidiano
per
descrivere
giorni
sereni,
per fissare
appuntamenti ricchi di umanità, per raccontare
momenti in cui la forza interiore ha avuto la
meglio sulla forza dei muscoli o delle armi, offre
spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti
o dai discorsi di persone che alla nonviolenza
hanno dedicato una vita intera: ne risulta
una sorta di antologia della nonviolenza che
ogni anno viene aggiornata e completamente
rinnovata.
Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel./ fax 0864.460006, cell.
3495843946, e-mail [email protected], sito www.
qualevita.it.
Donne e antimafia
L’agenda dell’Antimafia 2009 quest’anno è
dedicata alle donne nella lotta contro le mafie e
per la democrazia, è curata dal Centro siciliano di
documentazione
“Giuseppe
Impastato” di
Palermo ed è
edita dall’editore
Di Girolamo di
Trapani.
Centro siciliano di
documentazione
“Giuseppe Impastato”, via Villa Sperlinga
15, 90144 Palermo, tel. 091.6259789, fax
091.7301490, e-mail [email protected], sito www.
centroimpastato.it;
Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34,
91100 Trapani, tel./fax 092.3540339, email [email protected], www.
digirolamoeditore.com, www.ilpozzodigiacobbe.
com.
Laicità
Philippe Grollet, Laicità, utopia necessaria.
Tragelapos - L’Avvenire dei lavoratori, Quaderni
trimestrali, Zurigo, 2008, pp. 190, euro 18.
Segnaliamo questo libro, che viene dal Belgio,
non tanto per indicare
“un libro di più”
sulla laicità quanto
per darne, ai lettori
italiani, un’idea più
lineare ed europea. Il
libro si riallaccia alla
visione laico-umanista
propria dei paesi
anglosassoni e non solo
quindi della tradizione
francese cui siamo soliti
riferirci.. Il centro del
discorso è nei valori
umanistici, appunto,
che rifiutano ogni
dogma e pensiero unico,
compreso quello dell’idea che i “valori laici siano
universali” poiché lo sono solo se il riferimento
comune è l’uomo. Il titolo indica poi come
sia indispensabile considerare la laicità come
motore per un mondo pacifico e rispettoso delle
differenze: un’utopia, appunto. [Stefano Vitale]
nuovi arrivi
INFO
Luoghi neutri
MIA FIGLIA È COME LE ALTRE
LIDIA GARGIULO
«M
ia figlia è come le altre! – Qualcuno sta gridando nel corridoio del pianterreno – Mia figlia ha la stessa età, ha tutto il diritto all’istruzione, deve stare a scuola».
«Ma signora…».
«Lei è l’insegnante di sostegno, se lei fa il sostegno si deve occupare di mia figlia, mia figlia
ha diritto».
«Signora ma non è possibile, non possiamo fare miracoli, ci vuole un’altra struttura».
«Vi denuncio tutti se non accettate mia figlia».
Da una porta si sporge la testa bionda di una segretaria, da un’altra la testa rapata del vicepreside, poi il codino del segretario capo, a distanza di sicurezza due bidelli stanno a guardare.
Dalla porta in fondo avanza la testa grigia del preside: «Che c’è, signora?».
Il nuovo preside è un signore calmo e determinato, si distingue per qualcosa di antico che oggi
è così raro che sembra nuovo, il rispetto per chi gli sta di fronte: per genitori e studenti, per
insegnanti e personale di servizio. Arriva da fuori prima delle otto e rimane fino alla fine delle lezioni. Ha il pensiero fisso delle regole: Le regole, dice, ci vogliono regole, le regole sono
importanti. E ha ragione, un istituto professionale di quattrocento studenti come fai a governarlo senza una disciplina.
«Ma chi l’ha fatta entrare, signora…».
«Sono entrata da sola, devo iscrivere mia figlia».
«Lo vede signora, le aule sono al piano di sopra, in queste condizioni il carrello non entra in
ascensore…».
«Ma mia figlia ha diritto, è uguale alle altre».
«Mi spiace contraddirla, signora, ma lo vede anche lei che sua figlia tanto uguale non è».
In effetti “mia figlia” non è uguale alle altre. Giace nel suo lettino da quando è nata, non può
stare in nessuna posizione che non sia rigorosamente orizzontale, eppure questa madre vuole
vederla normale, non conosce nemmeno il nome della malattia, non ha mai voluto pronunciarlo, catturata da una demagogia scriteriata che ha imparato, e insegnato, ad eludere le denominazioni appropriate, appianando a parole le barriere ma nei fatti intervenendo poco e tardi.
Il carnevale mediatico dei nostri giorni continua ad esibire felicità, cieco e sordo ai bisogni di
chi ha bisogno, intento a ridurre, escludere, tagliare.
Il corridoio si anima al passaggio brulicante di due classi in tuta dirette alla palestra, tra
loro una buona percentuale di facce color cioccolato, di occhi a mandorla su zigomi alti del
Sudamerica, di sorrisi bianchi dell’India…
«Ecco qui, pensate ai negri, aiutate i cinesi, tutti questi parassiti del terzo mondo e non vi
curate dei vostri concittadini».
Si esprime così l’odio degli infelici che non trovano soccorso, sul bersaglio sbagliato ma visibile. Dov’è finita quella bella parola: solidarietà…
«Calma, signora, sono ragazzi come sua figlia, hanno diritto. Venga in presidenza, parliamo
un po’».
«Ma viene anche mia figlia, non la lascio nel corridoio».
«Certo».
«Vieni Patty, andiamo col preside».
Patty non “viene” da sola, è chiaro, è la mamma a mettere in moto quella specie di barella a
ruote dalla quale Patty non si alzerà mai. Patty, com’è il mondo visto dal basso? La porta si
chiude.
Anna Rosa Favretto, Cesare Bernardini (a cura
di), I colori del neutro. I luoghi neutri nei
servizi sociali: riflessioni e pratiche a confronto,
Franco Angeli, Milano, 2008, pp. 266, euro
19,50.
Il mantenimento dei legami familiare è uno dei
diritti fondamentali che si è andato affermando
in questi ultimi vent’anni. Sia pure con evidenti
contraddizioni, sia di tipo ideologico che
normativo, le logiche del servizio sociale, sulla
base dei dettami della magistratura e quindi
della legislazione vigente, hanno favorito tale
orientamento. I “luoghi neutri” sono spazi fisici
gestiti da personale qualificato (educatori,
psicologi soprattutto) ove i minori possono
incontrare i familiari da cui sono stati (più o
meno momentaneamente) separati. Strutture
delicate ove la relazione è per un verso
sottoposta a valutazione e l’altro sostenuta
al fine di creare e ricreare le condizioni di
una più sana e consapevole genitorialità. Il
testo presenta esperienze, modelli teorici, dati
estremamente utili anche per chi nella scuola
(e molto spesso gli insegnanti sono chiamati
a fare lavoro di rete su casi di questo tipo)
è sensibile a problematiche educative “non
riduzioniste”. [Stefano Vitale]
Piccole manie
Marco Belpoliti, Il tramezzino del dinosaruro,
Guanda, Milano, 2008, pp. 214, euro 13.
100 oggetti, comportamenti e manie della
vita quotidiana, è il sottotitolo del prezioso
libretto che raccoglie i “pezzetti” pubblicati
sul quotidiano La Stampa. Gli oggetti sono
delle merci, ma veicolo di idee, comportamenti,
immagini: c’è una vena “impressionistica”
(non a caso si fa riferimento a Simmel) ma
c’è anche acutezza calviniana dello sguardo. E
c’è il piacere per l’esercizio della scrittura, il
funambolismo concettual-descrittivo capace
di cogliere i tick, le proiezioni, i desideri del
nostro tempo. Suggestione per le “scuole di
scrittura”, compendio di sociologia, trattatelo
filosofico post-illuminista, lunario didattico
da leggere senza obblighi sistematici se non
quello del piacere. [Stefano Vitale]
Biografie
Sergio Trombetta, Vaslav Nizinskij, L’Epos,
Palermo, 2008, pp. 267, euro 28,30.
Pubblicato da una raffinata casa editrice
siciliana, fa parte di una collana di biografie
dedicate a ballerini e coreografi che hanno
fatto la storia della danza. Qui siamo
letteralmente di fronte ad un gioiello (per
tutti e non solo per gli specialisti) capace di
intrecciare riflessioni ed informazioni storiche
e artistiche, offrire una interessante galleria
iconografica, tracciare l’affresco di un’epoca
cruciale non solo per la danza, ma anche per
la musica, la pittura, la filosofia. Nizinskij ha
indissolubilmente legato il suo nome al grande
coreografo Djagilev, a Stravinskij, Debussy,
alla cultura a cavallo tra la fine e l’inizio del
900, alla grande poesia russa. Epoca sovversiva
e contraddittoria che sta all’origine di quel
che noi stessi oggi siamo (e che non sempre
ricordiamo). Sergio Trombetta attraversa questi
temi con la levità e la precisione intelligente di
chi non solo è esperto di danza per professione
(e per passione), ma sembra aver capito che
solo così facendo si può rendere un servizio
alla diffusione di esperienze che anche la
scuola non deve sottovalutare. [Stefano Vitale]
école numero 71 pagina
31
M
appamondo
STUDIARE IN PALESTINA
A Gaza l’istruzione soffre tra tensione politica e conflitto
I BAMBINI HANNO PAURA
TONI O’LOUGHLIN *
N
ajwa Al Smairi, 11 anni, va a scuola appena a pochi metri dal perimetro sorvegliato di Gaza. È una delle più brillanti studentesse nella sua classe ma
teme un possibile fallimento dovuto alla violenza e all’incertezza intorno a lei.
Recentemente Najwa è passata dal quarto al quinto posto nella sua classe e la
studiosa undicenne è preoccupata: «Quando ne ho parlato con mia sorella lei mi
ha detto di non preoccuparmi, che è normale, ma io sono ancora preoccupata»,
dice.
I Palestinesi hanno sempre dato molta importanza all’eccellenza dell’istruzione
come un investimento nel futuro, lavorando per arrivare alle posizioni più alte
nel governo e negli affari.
Ora l’aumento delle tensioni politiche e del conflitto sta avendo effetti devastanti
a Gaza, dove i bambini costituiscono più della metà della popolazione.
I bassi livelli d’istruzione sono diventati tipici della scuola di Gaza. Secondo la
World Bank, l’80 % degli studenti ha scarsi risultati in matematica, mentre uno
sbalorditivo 40 % ha cattivi risultati in arabo, la loro lingua madre.
Far fronte alla mancanza di aule, con l’economia di Gaza che si sta arrestando, è
difficile. Il futuro dell’istruzione è difficile.
Alla scuola di Najwah, gli insegnanti non possono stampare fotocopie perché la fornitura di carta è minima. «dobbiamo scrivere i test di verifica sulla lavagna e per
fare questo ci vuole tempo», mi dice Ahmad Ismari, un insegnante di inglese.
La carenza di materiali da costruzione significa anche che Najwah e le sue compagne devono condividere il bagno con i maschi perché non c’è possibilità di costruirne un secondo.
Per far fronte alla mancanza di spazi scolastici molte scuole fanno due turni più
brevi, uno alla mattina ed uno al pomeriggio. Come risultato: il 73% degli studenti di Gaza perde quasi due ore di studio scolastico giornaliero.
Effetti dannosi sull’istruzione
I risultati di un’ inchiesta pubblicata dalla United Nations Reliefs and Works
Agency, che gestisce scuole anche in Libano ed in Siria, evidenzia gli effetti dannosi del conflitto e la povertà dell’istruzione a Gaza. Dall’inizio del blocco israeliano di Gaza, circa 70.000 persone hanno perso il lavoro. Il numero di famiglie
che vivono grazie agli aiuti di cibo è circa dell’80% e le agenzie umanitarie sono
preoccupate dal fatto che il numero potrebbe aumentare. I guadagni familiari
vengono spesi totalmente per gli alimenti fondamentali, tra i quali pane e farina.
Quando Najwa frequenta la scuola la sua mente è spesso distratta dalla fame. Lei
dice: «A volte sento di non riuscire a leggere e a seguire l’insegnante». Il conflitto tra i militari Israeliani e quelli Palestinesi ostacola le capacità dei bambini
di Gaza di imparare. Ismari ci dice dice: «I bambini hanno paura. Non riescono a
concentrarsi. Sono veramente distratti».
* Unicef
école numero 71 pagina
32
L’ETERNA SFIDA
DELL’ISTRUZIONE
MONICA AWAD *
I
l conflitto in corso minaccia l’istruzione
dei bambini palestinesi. Non è solo pericoloso l’accesso alla scuola, ma per loro è anche
difficile studiare una volta entrati in classe.
I giovani della parte di Hebron, conosciuta
come H2 sono tra i più colpiti: le studentesse della scuola primaria femminile di Al Fahia
devono passare attraverso numerosi posti di
blocco. I bambini come Aya – dieci anni, disabile – devono affrontare delle vere sfide.
Aya va a scuola con sua sorella Islam, tredicenne, e ritorna a casa con suo fratello
Jasem, che spinge la sua carrozzina attraverso le strade deserte della vecchia Hebron ed
attraverso i posti di blocco militari. «Tutti i
giorni vengo a scuola con mia sorella Aya –
racconta Jasem –. Dobbiamo affrontare molte difficoltà, come camminare vicino all’esercito, ed ai check point».
Le condizioni della scuola
La “Al Faiha Basic School for girls” (Scuola di
base per ragazze di Al Faiha) è composta da
un paio di minuscoli edifici a due piani ed un
piccolo cortile, assolutamente non attrezzato per giocare in modo sicuro. Ciascun edificio ha 5 piccole aule. L’area di Al Faiha è
economicamente depressa: basti pensare che
i negozi hanno chiuso, ed il 90% delle alunne non può pagare la tassa annua di 12.50
dollari.
«La maggior parte dei residenti dell’area
H2 ha perso il suo reddito – spiega Jihan
Shobaki, preside della scuola –. C’è un’alta
percentuale di abbandono. E anche le poche
ragazze di Al Faiha che iniziano a frequentare la vicina scuola superiore, spesso abbandonano gli studi. Quest’anno, solo due ragazze su venti si sono iscritte all’Università. Le
l’erba del vicino
ragazze soffrono per problemi psicologici dovuti all’aumento della violenza nell’area H2.
Questo influisce sulla loro concentrazione a
scuola, uno dei motivi per cui finiscono per
non andare bene o per abbandonare».
Al Faiha non è l’unica scuola con questi problemi, un sondaggio delle Nazioni Unite e
della Agenzia del Lavoro mostra che i bambini palestinesi dalla quarta classe alla nona
classe hanno scarsi risultati; più del 40%
non ha superato l’esame di arabo, circa l’80%
quello di matematica.
ANCHE IN FRANCIA:
TAGLI O RIFORME?
PINO PATRONCINI
Pochi giorni prima che la Gelmini decidesse
di tornare al maestro unico e alla settimana
scolastica di 24 ore nella scuola elementare
italiana, c’era stato qualcun altro che aveva
deciso di portare a 24 ore l’orario scolastico
della scuola primaria. Questo qualcuno si chiama
Xavier Darcos ed è il Ministro dell’educazione
nazionale francese, il ministro di Sarkozy
Più insegnanti
Unrwa ha assunto 3.000 insegnanti di sostegno in più, ed è sostenuta dall’UNICEF nel
dare più assistenza agli studenti che ne hanno bisogno. Come parte di una campagna per
facilitare il ritorno a scuola, l’UNICEF, con
il supporto del Saudi Committee for Relief
of Palestinian People (comitato saudita per
l’aiuto alle popolazioni palestinesi), ed il governo dei Paesi Bassi) ha procurato materiale
per il lavoro di sostegno, 1.500 kit per matematica e scienze, e ha distribuito più di
50.000 zaini e 275 uniformi. Questo supporto ha lo scopo di modificare la qualità dell’istruzione e assicurare che tutti i bambini
rimangano a scuola. «Tornare a scuola è molto importante per i bambini, soprattutto per
le ragazze perché questo dà una certa normalità nella loro vita, in un contesto difficile
ed atipico», dichiara Wafa Obeidat, segretario del progetto Unicef a Hebron.
* Unicef.
■ DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
Un gruppo di studenti fotografi provenienti da
due università della Cigiordania (l’Università
Birzeit di Ramallah e l’Università Al-Najah di
Nablus) a partire dall’estate del 2005 lavora
al Progetto Fotografico “Diritto all’Istruzione”,
documentando la vita degli studenti palestinesi
e gli ostacoli imposti dall’occupazione militare
in Palestina nel portare a termine il proprio
percorso scolastico (molestie e arresti di
studenti da parte dei soldati israeliani, lotta
quotidiana per raggiungere scuole e università
superando check point militari, l’isolamento, la
povertà, la resistenza, i compagni assenti.
Le persone e le scene ritratte dagli studenti,
guidati dal fotografo Reyes-Manzo, sono
soggetti intimamente legati alla persona
dietro la macchina fotografica. Nida è tornata
a Hebron, per documentare “l’andare a
scuola” nella città dove è cresciuta. Essam ha
fotografato i suoi amici che vivono lontano da
casa in pensionati studenteschi, mostrando il
loro isolamento, allontanati dalle loro famiglie
da un sistema di permessi e di barriere militari
insormontabili.
Selezionando una tra le 60 fotografie (www.
birzeit-it.tk) che compongono la mostra
itinerante, con un’offerta minima di 10 euro,
si può ricevere la foto, in formato A4, una
scheda sull’autore e una scheda esplicativa della
campagna per il diritto allo studio.
I
n Francia non si è “tornati” al maestro
unico perché lì il maestro era già “unico”. Ma
il prezzo che la scuola primaria francese ha
dovuto pagare per questa riduzione d’orario è
stata la compressione della settimana scolastica in soli quattro giorni di scuola, con tutte le ricadute, come si usa dire lì, sui “ ritmi
dell’apprendimento”.
La scuola primaria francese infatti era organizzata su 5 giorni, con un giorno intermedio
(il mercoledì) libero, e sole due ore al sabato mattina. Gli altri giorni gli scolari francesi facevano sei ore distribuite tra mattina e
pomeriggio, con un solo insegnante. L’orario
dell’insegnante infatti era di 26 ore ( più una
conglobata, di programmazione, per dirla all’italiana) spezzate tra mattina e pomeriggio.
All’insegnante si aggiungevano perciò anche
degli aiuto-educatori per i tempi di mensa e
quelli contigui e a volte anche per altre attività. Quindi anche lì il maestro è unico per
modo di dire, cosa da tener presente quando
si fanno i confronti internazionali sul rapporto docenti-alunni, perché gli aiuto-educatori francesi non sono calcolati tra i docenti,
così come non lo sono gli assistenti inglesi
(uno per classe), o gli insegnanti di doposcuola spagnoli.
Oggi in Francia sono state tolte le ore del sabato, con l’obbligo di riutilizzarle in sostegno
per gli alunni più deboli, magari con la possibilità di conglobarli. Questo in molti casi, ma
non in tutti, ha voluto dire liberare il sabato ma, per i bambini più deboli, occupare il
mercoledì, con in più il rischio di fare sentire
il peso segregante e punitivo di un ritorno a
scuola non previsto per tutti.
Coincidenze
Questa delle 24 ore nella primaria non è la
sola coincidenza tra Italia e Francia. Anche in
Francia si parla di tagli nella scuola: 14.000
cattedre nella secondaria per quest’anno. Ed
anche lì non manca una riduzione di orario
école numero 71 pagina
33
per la secondaria superiore, per i licei, come
vengono chiamate in Francia tutte le scuole
secondarie di secondo grado. Darcos però ha
dato l’impressione di voler unire l’utile al dilettevole confezionando il tutto però all’interno di una riforma dei licei.
Attualmente i licei iniziano a 15 anni e terminano a 18 e sono attaccati nella numerazione alle scuole medie (college di 4 anni)
con un conto alla rovescia: la prima media
perciò è la sesta, a 11 anni, mentre la seconda liceo è la prima, a 16 anni: ad essa si
aggiunge una anno terminale, dai 17 ai 18
anni. Il liceo perciò è un triennio composto
da una seconda (che costituisce anche l’ultimo anno di obbligo scolastico), una prima
e l’anno terminale, col quale si consegue il
baccalaureat, cioè la “maturità” francese.
I licei sono suddivisi in licei generali, tecnologici e professionali. I licei generali hanno tre indirizzi: letterario (L), scientifico (S)
ed economico-sociale (ES). I licei tecnologici quattro: industriale (STI), amministrativo-gestionale (STG), chimico-biologico (STL)
e medico-sociale (SMS). I licei professionali
hanno molteplici indirizzi.
La didattica è organizzata sostanzialmente
in lezioni e l’organizzazione interna è, come
da noi, per classi.
Dalle classi ai moduli
Per la nuova struttura, invece che a classi,
si pensa a moduli di tre ore settimanali ciascuno per un semestre, a un anno scolastico
suddiviso in due semestri e a moduli suddivisi in tre aree: insegnamenti generali, insegnamenti di accompagnamento, insegnamenti di esplorazione (in seconda, cioè al
primo anno) o di specializzazione( in prima e
terminale, cioè negli ultimi due anni). Il ciclo perciò non sarebbe più 2 +1 ma 1+2.
Il sistema proposto sembra imitare i modelli del Nord-Europa, quello finlandese in particolare, che oggi va per la maggiore dati i
suoi buoni risultati nelle inchieste internazionali
Ma l’orario settimanale sarebbe di 27 ore, tre
in meno di quelle attuali. E questo desta il
forte sospetto che tutta l’operazione nasconda in realtà solo il bisogno di ridurre la spesa
introducendo di fatto una riduzione di orario
I moduli sarebbero 11 generali, 4 d’esplorazione e 3 di accompagnamento. Le discipline
generali dovrebbero comprendere lettere, matematica, due lingue straniere, educazione fisica e storia-geografia. Le discipline d’esplorazione dovrebbero essere suddivise per area
disciplinare e gli alunni dovrebbero sceglierne almeno due. Le discipline di accompagnamento, per ora indefinite, sarebbero prerogativa dell’autonomia degli istituti scolastici.
Nei due anni terminali l’insegnamento dovrebbe essere ripartito in 16 moduli generali
e 16 moduli di specializzazione su tutto il ciclo (quattro semestri) e 4 moduli di accompagnamento. Gli insegnamenti generali indispensabili dovrebbero comprendere lettere,
matematica, due lingue straniere e filosofia.
I moduli dovrebbero essere ripartiti in quatécole numero 71 pagina
34
tro aree: umanistica-artistica, scientifica, sociale e tecnologica (divisa a seconda degli
indirizzi). Tra i 16 moduli di specializzazione
l’allievo dovrebbe sceglierne almeno 9 della
stessa area.
Le reazioni
Le proposte hanno avuto accoglienze diverse
in casa sindacale.
Lo Snes-Fsu, il principale sindacato della
scuola secondaria francese, non è favorevole ad un’architettura completamente modulare, mentre sarebbe favorevole a sperimentare un’architettura parzialmente modulare,
soprattutto in seconda. Teme in particolare
l’introduzione del cosiddetto liceo “a-la-carte”, miraggio che viene fatto brillare sotto
gli occhi degli allievi, per sedurli con una
maggior libertà negli apprendimenti, mentre in realtà delega del tutto all’allievo la responsabilità di costruire il proprio percorso
di apprendimento. Non è d’accordo nemmeno con la riduzione dell’orario per gli alunni, propone al contrario una migliore articolazione tra lavoro in classe e lavoro esterno
alla classe prendendo come base l’orario attuale aumentato dell’orario cosiddetto di accompagnamento.
Il piccolo ma dinamico Sgen-Cfdt, le cui elaborazioni già in passato ispirarono le misure
sulla scuola dei governi socialisti, appare più
favorevole. In sostanza, dice lo Sgen, se alle
intenzioni seguiranno i fatti, in particolare
per quel che riguarda l’impegno per il successo scolastico degli alunni e il miglioramento
delle condizioni di lavoro del personale, le
soluzioni adottate potrebbero corrispondere ad alcune rivendicazioni che da tempo lo
Sgen stesso porta avanti.
Anche il Syndicat des Einsegnants dell’Unsa,
per consensi il secondo sindacato nel corpo docente della scuola francese, il quarto (
dopo Snes Sgen e Snalc) nel settore secondario, esprime un si condizionato. Affascina
il Se-Unsa soprattutto la possibilità per
l’alunno di “colorare” la sua formazione attraverso la libera scelta dei moduli di accompagnamento consentiti dal sistema modulare
che sostituirebbe le lezioni in classe. Ma le
condizioni che l’Unsa pone riguardano i tempi di attuazione e gli organici.
Tempi e organici sono i realtà le questioni
che più sembrano preoccupare i sindacati.
Sono due questioni connesse: tutti sindacati chiedono un anno di preparazione, ma il
governo vuole fare tutto per partire a settembre 2009 ( altra analogia con l’Italia!).
Ciò alimenta tra i lavoratori e tra i sindacati
l’idea che a questo punto ciò che interessa
al governo non sia tanto la qualità della riforma quanto la portata e la rapidità dei tagli che ne derivano, i quali in quattro anni
potrebbero ascendere a ben 80.000. E non
stanno con le mani in mano: domenica 19 ottobre una manifestazione di 80.000 persone
ha attraversato Parigi e il 24 novembre uno
sciopero generale della scuola indetto da Fsu,
Cfdt e Unsa.
INFO
Educazione non formale
Renè Clarijs (cura di), Leisure and non formal
education, Eaicy, Praga, 2008, pp. 768
Il libro, in inglese e russo, rappresenta
la guida informativa più aggiornata circa
i sistemi di formazione “non formale” in
Europa. Ciascuna scheda, una per Paese,
presenta le principali caratteristiche storiche,
istituzionali, economiche e strutturali delle
opportunità formative extrascolastiche. Se
per i paesi più “frequentatati” si hanno già
a disposizione notizie, per molti paesi “neoeuropei” è davvero utile un primo sguardo al
complesso e variegato mondo dell’educazione
non scolastica. Promosso e raccolto da una
ONG, nata dalle ceneri delle “case della
cultura” di antica memoria il libro può essere
richiesto a [email protected]. [Stefano Vitale]
Kosovo e Afghanistan. Guerre
infinite
Sul sito della Rai si possono vedere “Kosovo
nove anni dopo” e “Afghanistan”, le due
puntate della
trasmissione di
Riccardo Iacona
“La guerra
infinita”, andate
in onda il 19 e
il 26 settembre
2008 su Raitre.
Si tratta di due
utili strumenti
di storia
contemporanea per ricostruire in classe cosa è
successo dal 1999, quando la Nato ha vinto la
guerra contro la Serbia e, insieme alle Nazioni
Unite, ha preso il controllo del Kosovo e i
sette anni di presenza militare della Nato in
Afghanistan. Qui la presenza della Nato non
è riuscita a impedire che il paese diventasse
il più grande produttore mondiale di oppio
ed eroina, consegnando così ai movimenti
armati talebani la loro principale fonte di
finanziamento: 100 milioni di dollari solo nel
2007. Iacona fa vedere come anche nelle valli
che i soldati italiani dovrebbero controllare si
produce oppio. Tutto questo proprio mentre il
contingente italiano a ottobre si è dispiegato
nell’ovest del Paese, ad Herat, e a Farah, nel
sudovest del Paese,
dove si combatte tutti
i giorni.
Guerre&Pace
Dal numero 150 la
rivista Guerre&Pace
è diventata un
bimestrale di
approfondimento,
a carattere
prevalentemente
monografico
(l’abbonamento
annuo - cinque numeri - costa euro 35,00;
versamento su ccp 24648206, intestato Guerre
e Pace, Milano). La prima delle monografie si
intitola “Giochi pericolosi. Strategie politico
militari in un mondo che cambia”. Il costo del
numero è di 7 euro ed è comprensivo delle
spese di spedizione.
Informazioni: [email protected].
de rerum
natura
MOVIMENTI Lettera aperta alle
studentesse e agli studenti del Forum
italiano dei movimenti per l’acqua
Può un movimento
per l’acqua non
riconoscersi
nell’Onda?
S
iamo donne e uomini da sempre impegnati nei nostri territori e a livello nazionale
e internazionale per il riconoscimento dell’acqua come bene comune e diritto umano universale, da sottrarre al mercato e al profitto e
da restituire alla gestione partecipativa delle
comunità locali.
Insieme abbiamo prodotto e animato decine di conflitti territoriali contro la privatizzazione dell’acqua e per la difesa dei beni
comuni.
Insieme abbiamo costituito, nel marzo 2006,
il Forum italiano dei movimenti per l’acqua,
una rete che raccoglie più di settanta associazioni ed organizzazioni e più di trecento
comitati territoriali.
Insieme abbiamo raccolto più di 400.000 firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per la tutela, il governo e la
gestione pubblica dell’acqua.
Insieme abbiamo costruito, il 1 dicembre
2007, la prima manifestazione nazionale per
la ripubblicizzazione dell’acqua e per la difesa
dei beni comuni, che ha visto più di 40.000
persone sfilare per le strade di Roma.
Vi abbiamo visto inondare le città e le piazze
di questo paese chiedendo a gran voce la difesa della scuola pubblica, il diritto all’istruzione, alla conoscenza e al futuro, lottando
contro la mercificazione del sapere e della
formazione, la precarizzazione della conoscenza e della vita, lo svilimento della scuola
primaria, la privatizzazione dell’università.
école numero 71 pagina
35
INFO
Cambiamenti climatici
Vi abbiamo sentiti urlare con rabbia ed allegria: “Noi la vostra crisi non la paghiamo” riprendendovi gli spazi delle scuole e delle università e facendole diventare nuove agorà di
socialità, conoscenza e incontro fra i movimenti e le lotte di chi vuole cambiare le politiche di questo paese e di chi vuole praticare
un altro mondo possibile.
Questo mondo è oggi attraversato dalla più
importante crisi economica e finanziaria che
la storia ricordi, mentre si è approfondita la
crisi alimentare globale e si è definitivamente
appalesata la crisi ecologica e resi evidenti i
primi effetti permanenti dei cambiamenti climatici planetari.
Un modello di ordine mondiale, fondato sul
pensiero unico del mercato, sull’accaparramento predatorio delle risorse naturali, sulla mercificazione dei beni comuni e la loro
consegna ai grandi capitali finanziari, sullo
svuotamento della democrazia e della partecipazione popolare sta dimostrando il proprio completo fallimento.
Il “crack” globale dell’economia finanziaria
rappresenta l’esito di trenta anni di politiche liberiste, basate sull’assioma “privato è
bello”, sulla deregolamentazione del lavoro,
sulla privatizzazione dei servizi pubblici, sulla espropriazione dei diritti sociali.
Oggi sono i grandi poteri bancari e finanziari
ad invocare l’intervento pubblico e il sostegno statale.
Oggi sono i più sfrontati liberisti a dichiarare
il fallimento del mercato.
Lo scopo è chiaro: ottenere un nuovo travaso
di risorse dalle collettività ai poteri forti per
rilanciare i flussi finanziari mondiali e riprendere l’espropriazione di risorse.
Così si chiedono sostegni pubblici alle banche, mentre si approvano normative – come
école numero 71 pagina
36
l’articolo 23 bis della Legge n. 133/08 – che
perseguono la definitiva messa sul mercato
dei servizi pubblici locali, a partire dall’acqua e dal servizio idrico integrato.
Così si approvano normative per il drastico
taglio dei fondi alle scuole di ogni ordine
e grado, si inasprisce la precarietà e si attaccano i diritti del lavoro, si militarizzano
gli spazi della democrazia e del conflitto sociale.
“Noi la vostra crisi non la paghiamo” avete
detto voi per primi, inondando le strade di
questo paese e riaffermando un protagonismo diretto, senza deleghe alcune né qualsivoglia rappresentanze.
“Noi la vostra crisi non la paghiamo” diciamo
anche noi, reclamando la fine delle politiche
liberiste di privatizzazione e ponendo al centro della nostra iniziativa la riappropriazione
sociale dell’acqua e dei beni comuni, la loro
cura e conservazione per le generazioni future, la loro gestione partecipata dai cittadini,
dai lavoratori e dalle comunità locali, come
motore di una ricostruzione dei legami sociali, di una riaffermazione dei diritti collettivi,
della riproduzione di un’appartenenza sociale
aperta e condivisa.
In una parola, di una nuova democrazia e di
un altro mondo possibile.
Senza acqua non c’è diritto alla vita. Senza
saperi, formazione e conoscenze c’è solo dominazione del più forte. Senza spazio pubblico non c’è partecipazione né democrazia.
Per questo ci riconosciamo nella vostra lotta,
confermando la nostra piena solidarietà alle
vostre mobilitazioni e proponendovi intrecci
fra le nostre reciproche esperienze.
Intrecci che possono essere resi ancora più
forti e solidi, partendo dalla consapevolezza
Gli effetti del cambiamento climatico sono
ormai di fronte a tutti e gli studi che si
susseguono in proposito sottolineano sempre
più la gravità della situazione. Le società
vedono approfondirsi le disuguaglianze sociali
ed ambientali. I provvedimenti sinora messi
in campo sono insufficienti per raggiungere
i risultati necessari e largamente osteggiati
da lobby economiche e politiche. Privatizzare
l’aria tramite i diritti di emissioni scambiabili
contribuirà al degrado climatico attuale. Il
nucleare o gli agrocarburanti sono false e
inaccettabili soluzioni. Centrali elettriche e
inceneritori, rigassificatori di metano, grandi
opere viarie che perpetuano l’attuale modello
di mobilità aggravano di problemi derivanti
dal riscaldamento climatico.
La crisi finanziaria in corso è crisi di
quell’economia che, per massimizzare i
profitti, ha accelerato i meccanismi che hanno
portato all’attuale situazione sul clima. E
ora, da parte del governo, si cerca di usare
la crisi come espediente per rimandare i
provvedimenti sul cambiamento climatico. Ma
crisi ambientale e crisi economica sono facce
della stessa medaglia e la scuola è chiamata a
svelare le cause comuni che hanno portato ad
entrambe.
Per questo il 6 dicembre, giornata mondiale
contro il cambiamento climatico, che il FSE
di Malmoe ha individuato come giornata di
mobilitazione in tutt’Europa contro l’effetto
serra, se ne è parlato anche in molte scuole.
Educazione scientifica
Sul sito dell’Mce della Sardegna alla
pagina dedicata all’educazione scientifica
(http://www.mce-fimem.it/sardegna/
educazionescientifica) si possono leggere
due interventi di Mario Miani − “Matematica
co-operativa” e “Laboratorio di matematica
operativa” −, l’articolo di Nino Martino,
“Le scienze, le ancelle e la matematica”
e quello di Cristoforo Boxano, “I modelli
nell’apprendimento-insegnamento scientifico”.
− che poi è anche la cifra del nostro percorso
− di come unità, radicalità, autonomia e inclusione delle differenze costituiscano il carattere fondante dei movimenti sociali.
[…] Ci piacerebbe che, nell’autonomia dei reciproci percorsi, si potessero innescare importanti connessioni, promuovendo iniziative
comuni dentro e fuori le Università che facciano incontrare le nostre battaglie per i beni
comuni. Ci piacerebbe ascoltarvi e raccontarvi qualcosa di noi.
Con curiosità, fiducia e determinazione.
Dobbiamo solo cambiare il mondo.
Un caro abbraccio a tutte e tutti.
* www.acquabenecomune.org
modi
e media
La condizione umana
STEFANO VITALE
«I
l denaro è l’apriori in contanti», spiegava il filosofo Alfred
Sohn-Rethel nel libro Lavoro intellettuale e lavoro manuale (Feltrinelli,
1978).
cinema
La forma-denaro è la chiave della nostra conoscenza, è la categoria
che ha sostituito lo spazio ed il tempo. Il fatto è ancora più rilevante
nel momento in cui le Borse mondiali crollano e intere società vivono
un momento di apparente smarrimento. Il “valore”
su cui si è maggiormente investito non dà la sicurezza attesa, anzi creare sempre più disgregazione,
malessere, incertezza. Qui non si tratta di fare le
solite prediche sulla società dei consumi, né di lanciare anatemi consolatori contro il capitalismo. Il
cinema da sempre ci aiuta a cogliere i processi culturali, il clima storico.
Più semplicemente si tratta di guardare lucidamente alla nostra condizione che non è mai stata così disperatamente chiara. Dall’altra parte c’è
una crescente domanda di sentimenti. Non di “sentimentalismo”, direi, ma di umanità, di trovare una
prospettiva forse proprio a partire da ciò che noi
siamo. Da ciò che resta di noi.Non una sensibilità sterile e superficiale, quanto una capacità introspettiva creativa capace di dare un senso alle nostre emozioni più profonde. Le emozioni sono un
fatto culturale che, come diceva Gregory Bateson in
Mente e Natura (Adelphi, 1978) rappresentano un “corpus logico preciso e complesso”. Sono processi interattivi, ipotesi di lavoro, sono
storie. Che non si conoscono mai sino in fondo, che non si raccontano
mai definitivamente. Non si tratta di contrapporre mente e natura, ma
di ripensare la nostra natura, criticamente. È quel che, mi pare, stia
capitando oggi dopo un periodo incerto e sbandato. Allora andiamo al
cinema. Perché il cinema da sempre ci aiuta a cogliere i processi culturali, il clima storico.
Il silenzio di Lorna
Vorrei partire da Il matrimonio di Lorna (Le silence de Lorna) un film
del 2008 di Jean-Pierre e Luc Dardenne. Lorna è una giovane immi-
grata albanese a Liegi. Per ottenere la cittadinanza si è messa nelle mani del malavitoso Fabio. Costui le ha procurato un matrimonio
con Claudy (un tossicodipendente) e Lorna ha ottenuto ciò che desiderava. Ora vorrebbe poter aprire un bar con il suo fidanzato Sokol
che fa il pendolare da una frontiera all’altra. Per ottenere la somma
necessaria deve però portare a compimento il piano di Fabio. Deve
cioè poter ottenere un rapido divorzio per poter così sposarsi nuovamente. Questa volta con un mafioso russo che ha, a sua volta, bisogno della cittadinanza belga. Le procedure rischiano però di essere
troppo lente e allora Fabio mette in atto la soluzione che già aveva
in mente: uccide Claudy con un’overdose. Lorna mantiene il silenzio
ma c’è qualcosa di nuovo nella sua vita. Se vuole realizzare i propri
sogni non può e non deve affezionarsi in alcun modo a Claudy con
il quale è costretta a convivere per rispondere ad eventuali controlli
delle autorità belghe.
Nel mondo di Lorna domina il denaro che tutto muove, ma lei finisce col provare una pietà che sconfina nell’amore, nell’amore materno primordiale, per quel relitto umano che le chiede aiuto per uscire
dal tunnel in cui si è infilato. Il ragazzo muore ma continua a viverle “dentro” al punto da farla sentire in attesa di una nuova vita, in
una gravidanza isterica più o meno reale. Bellissimo il finale sospeso,
drammatico ma anche aperto, non definitivo.
Per denaro
Le tre scimmie (di Nuri Bilge Ceylan, Turchia 2008) ci trascina dentro
un’altra storia, dove denaro ed emozioni profonde sono intrecciate. Un
uomo viene investito di notte da un’auto e abbandonato. Qualcuno
però ha visto la targa dell’automezzo che è di proprietà di un uomo
politico il quale, per evitare lo scandalo che troncherebbe la sua carriera, chiede al suo autista di autoaccusarsi dell’incidente. Resterà in
carcere per poco tempo, sua moglie continuerà a ricevere il suo stipendio e, al momento del rilascio, ci sarà per lui un’ingente ricompensa. L’uomo accetta. Da quel momento sarà la moglie ad andare a
riscuotere divenendo però l’amante del politico e suscitando i sospetti
e la rabbia del figlio adolescente. Quando il marito tornerà, la tragedia
incomberà sul nucleo familiare.
Come chi non vuole vedere, chi non vuole sentire e chi non vuole parlare, in un mondo sempre più amorale e distante da un sentire che non
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si basi sulla convenienza immediata, i tre affrontano gli eventi, chiusi
nella propria separazione. Il marito accetta per denaro di finire in prigione senza condividere questa grave decisione con la compagna della
propria vita, la moglie sente riesplodere una sensualità che sembrava
essersi dissolta con una bellezza ormai sfiorita grazie all’incontro con
chi detiene un simulacro di Potere che eserciterà anche su lei trattandola come un oggetto. Il figlio adolescente diventa l’esecutore di un
destino che si riproduce senza scampo.
In un mondo in cui il potere politico e il denaro sembrano poter comprare qualsiasi cosa o persona la sua sarà una decisione devastante.
Alla quale però il padre cercherà di porre rimedio utilizzando a sua
volta gli strumenti appresi dall’esperienza che sta vivendo. I tre, in
realtà, non hanno la forza di affrontare il rimosso, quel figlio/fratello
morto annegato, perduto ancora bambino che con la sua distante presenza incarna un desiderio di pace.
Lieto fine
Ma non è finita qui. In Machan (Uberto Pasolini, Sri Lanka, Germania
2008) Manoj e l’amico d’infanzia Stanley hanno provato più e più volte, invano, a ottenere il visto per trasferirsi in Germania e trovare lavoro in modo da poter mantenere le proprie famiglie nello Sri Lanka.
Truffato da un “trafficante di uomini” responsabile della bancarotta di
Suresh – il cognato che ha elargito il denaro occorrente per il viaggio
clandestino – Stanley è aggravato dal senso di colpa e dal fallimento,
soprattutto ora che la sorella è costretta a trasferirsi in Medio Oriente
per sostenere, da lontano, marito e figlia. Ma l’arte di arrangiarsi non
ha limiti. Venuto a sapere che la Germania sarebbe lieta di invitare
la Nazionale di palla a mano dello Sri Lanka a un torneo in Baviera,
Stanley si ingegna a mettere insieme la squadra tra le sue conoscenze – tutti uomini relegati ai margini della società – e man mano che
la voce inizia a girare, si uniscono sempre più personaggi desiderosi
di abbandonare una vita di stenti per la propria affermazione come
individui.
La storia è vera ed è a lieto fine. L’unico a non partire è proprio Manoj
che non se la sente di abbandonare la sua famiglia, respingendo il
senso di vergogna verso di essa che lo aveva colto alla vigilia della
partenza.
Sognare di apparire
E infine i Fratelli Cohen con Burn After Reading (USA, 2008). Osborne
Cox è un analista della CIA che viene da un giorno all’altro allontanato dal suo incarico. Motivo ufficiale: ha dei problemi con l’alcool.
Comincerà ad averli rimanendo a casa disoccupato e con una moglie
che lo tradisce con Harry Pfaffer, uno sceriffo federale affetto da numerose intolleranze alimentari. Alla periferia di Washington, in una
palestra, Linda Litzke (una donna di mezza età che sogna interventi
di chirurgia estetica che non può pagarsi) viene coinvolta da Chas, un
collega svaporato, in un gioco pericoloso. Un inserviente ha trovato
in uno spogliatoio un dischetto con informazioni riservate della CIA. I
due risalgono al proprietario, che è Osborne, e decidono di tentare di
ricattarlo per denaro. Tutto è molto più complesso di come appare a
una lettura superficiale. La società descritta è quella in cui tutti hanno sogni alimentati dal bisogno di apparire (le memorie dell’ex spia,
gli interventi di chirurgia estetica per la donna che rifiuta chi ha vicino per ficcarsi in storie cercate via Internet), in cui è sempre il denaro a decidere, per non parlare del ruolo tragicamente ridicolo della
CIA che dovrebbe garantire la sicurezza.
Qui è l’ironia a salvarci, per altro rappresentata anche, in una sorta di
metalivello, dal ruolo e dal carattere giocato dai personaggi interpretati da Brad Pitt e George Clooney, quasi a fare il verso al proprio personaggio di attore affermato.
Quattro pezzi facili che ci trascinano in una riflessione su noi stessi
e su questi nostri tempi in cui finiamo per assuefarci alla mancanza
di una dimensione etica laica, senza trascendenza obbligatoria, capace di rimetterci in contatto con la parte più profonda di ciò che vorremmo essere.
Semplici esseri, appunto.
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Un vocabolario tutto per noi
Questa volta il vocabolario, che ci
aiuta a ripercorrere (o a farlo ex novo)
la strada che nel secolo appena passato
hanno tracciato i femminismi, riguarda
due R: quella di Rabbia a quella di
Razzismo
MONICA LANFRANCO*
RABBIA
«Perché a me, come ad altre donne, è stato negato il diritto di esprimere la rabbia? Perché la rabbia è considerata un
sentimento poco femminile e poco attraente?» si domanda
Liv Ullmann, nervosa e intensa attrice prediletta da Ingmar
Bergman nel suo Scelte. Le fa eco la giornalista del Newsweek
Helen Dudar che così annota in un proverbiale articolo degli
anni ’70, agli albori del movimento: «È un vero sollievo che
il ridicolo che ha perseguitato le femministe di tutti i tempi,
come fossero diabolici pagliacci, si sia trasformato in rabbia».
La storia ci ha insegnato che le donne, anche arrabbiate, e con
non poche ragioni, hanno saputo contenere la violenza potenziale che è compagna di banco della rabbia (non a caso l’ira è
biblico peccato mortale) e in molte l’hanno trasformata in politica, ovvero in progetto collettivo».
Imparare a non arrabbiarsi, Luhn Rebecca R., Franco
Angeli.
Meduse cyborg: antologia di donne arrabbiate, Edizioni
Shake.
Donne che non hanno paura del fuoco: come trasformare
in energia vitale il sentimento della rabbia, Mary Valentis,
Frassinelli.
La danza della rabbia, Harriet Lerner, Corbaccio.
RAZZISMO
Compagno di banco del sessismo, ma più rinomato del secondo, è una vecchia conoscenza delle donne, che lo subiscono
con regolarità attraverso le varie fasi dell’età, un po’ tutte.
Con ragionevolezza pacata Rosellina Balbi ne scrive così: «Se
ciascuno di noi facesse i conti con se stesso a proposito del
razzismo, questo confronto potrebbe rappresentare, se non il
principio della fine, almeno la fine del principio». In barba alle
presunte distanze dal clima buio e arretrato del medioevo che
si accampano presumendo che avere il modem ci renda moderni
è ogni giorno di più chiaro che abitiamo un secondo millennio
in cui il razzismo (il non riconoscere la differenza dell’altra/o)
è la cifra dominante. Senza esclusioni: non è forse vero, come
dice Ivy Compton-Burnett che «quando facciamo torto a qualcuno gli serbiamo rancore?».
Volevo diventare bianca, Nassera Chora, e/o Edizioni.
Autobiografia di una rivoluzionaria, Angela Davis,
Feltrinelli.
All’erta, siam razzisti, Rosellina Balbi, Rizzoli
Senza velo - Donne nell’Islam contro l’integralismo, a
cura di Monica Lanfranco e Maria Di Rienzo, Intranoenia
Editore.
AFFETTI COLLATERALI
BIANCA DACOMO ANNONI
Franco Dessì, Leggere il futuro, illustrazioni di Jole e Francesca
Dessì, Ghilarza (OR) 2008, pp. 60, euro 10
N
on capita tutti i giorni di imbattersi in un medico di professione
che spiega a genitori, insegnanti, educatori, l’importanza fin dalla
nascita per il bambino della lettura ad alta voce. Quando, come e che
cosa leggere, e perché: con dati ripresi da studi scientifici che segnalano
il rapporto tra lettura precoce e apprendimento, ma anche tra lettura e
povertà, e soprattutto con particolare attenzione allo sviluppo socioaffettivo legato alle primissime esperienze emotive, come la voce della
mamma.
Ma non aspettatevi un saggio: la veste grafica è quella di un libro
per bambini, splendidamente illustrato da due gemelle di dieci anni,
accanite lettrici e co-autrici del testo con il loro papà.
Un piccolo prodotto tutto da godere, per piccoli e grandi, ma denso di
riflessioni, osservazioni e suggerimenti espressi con il linguaggio di chi
guarda ai bambini “tutti interi”, e con grande affetto.
Ma l’avete mai incontrato un dottore così?
La presentazione sta nel “bugiardino”, allegato a qualunque medicinale
serio.
Leggere il Futuro
DENOMINAZIONE COMUNE INTERNAZIONALE
Libro
COMPOSIZIONE
Questa confezione contiene
Eccipienti: carta 79,2%, cartoncino 11,5%, colla 2,6%, inchiostro
tipografico 8%, filo per legatoria 1,7%.
Principi attivi: lavoro 50%, impegno 50%, amore 100%.
FORMA E CONTENUTO
Forma: dimensione cm 16,5x23,0, numero di pagine 64, peso g 350.
Contenuto: 54 immagini, due grafici e poche parole.
CATEGORIA
Libri per bambini da regalare agli adulti.
TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE
E DELL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
Franco Dessì, via Montiferru 6, 09070 Narbolia (OR)
INDICAZIONI
Mancanza di tempo per leggere i libri ai bambini di qualunque età,
assenza di occasioni per trovare un momento per dedicarsi interamente
a loro, abuso di televisione, stress da lavoro.
CONTROINDICAZIONI
Il prodotto potrebbe rivelarsi efficace anche se somministrato a soggetti
piuttosto disinteressati all’argomento. Non controindicato per i soggetti
con ipersensibilità o allergia alla lettura, che al contrario potrebbero
giovarsi del prodotto, viste le basse dosi di testo scritto.
PRECAUZIONI DI IMPIEGO
Si raccomanda di somministrare solo ad adulti che amano i bambini.
Gravidanza e allattamento: i dati epidemiologici ne suggeriscono
l’uso in qualunque fase della gravidanza e particolarmente durante
l’allattamento, in quanto sono stati dimostrati effetti positivi sullo
sviluppo socio-affettivo del bambino fin dalla nascita.
EFFETTI SULLA CAPACITÀ DI GUIDARE VEICOLI
E SULL’USO DI MACCHINARI
Si sconsiglia vivamente di guidare e usare macchine durante la lettura.
Sarebbe opportuno spegnere anche il televisore.
INTERAZIONI
Si segnalano importanti interazioni fra genitori e figli, soprattutto se
il prodotto viene somministrato con opportuno dosaggio e continuità
nel tempo. L’uso concomitante con altri articoli dello stesso tipo ne
potenzia l’azione.
DOSE, MODI E TEMPI DI SOMMINISTRAZIONE
Iniziare con almeno 15 minuti di lettura al giorno preferibilmente alla
sera prima di coricarsi (ma va bene anche qualunque altro momento
della giornata) ed aumentare gradualmente le dosi fino a raggiungere
l’effetto desiderato.
SOVRADOSAGGIO
Vista la scarsissima quantità di parole presenti nel libro, non è stata
determinata una dose tossica. Qualora l’assunzione in concomitanza
con altri prodotti similari producesse un sovradosaggio, si suggerisce di
uscire all’aria aperta per una bella passeggiata, in alternativa ascoltare
musica o dedicarsi al gioco. Sempre insieme.
EFFETTI INDESIDERATI E INATTESI
II prodotto è in genere ben tollerato. Sono stati segnalati rari casi di
lettura ossessivo-compulsiva, ma solo in soggetti predisposti, inoltre è
stata dimostrata una spiccata tendenza al miglioramento delle relazioni,
ad un aumento della confidenza fra figli e genitori, ad un potenziamento
della capacità di esprimere i propri sentimenti.
Si prega di segnalare all’azienda produttrice qualunque effetto atteso o
meno, anche se differente da quelli descritti.
SCADENZA
Il prodotto non possiede una data di scadenza. Da consumarsi
preferibilmente subito, senza aspettare di trovare il tempo per farlo.
AVVERTENZE SPECIALI
Tenere vicino alla portata dei bambini. Contenuto infiammabile: tenere
vicino a fonti di calore umano. ATTENZIONE: Il prodotto dà assuefazione,
per cui sarete portati ad aumentare il dosaggio e sarà così piacevole che
arriverete a non poterne fare più a meno.
L’azienda cerca proprio questo effetto per aumentare continuamente le
vendite.
REPERIBILITÀ
In caso di urgente necessità di avere il libro, rivolgersi direttamente
all’azienda produttrice che lo invierà senza alcun aggravio di spese
postali. Per e-mail: [email protected]; per posta: via Montiferru 6,
09070 Narbolia (OR), per telefono: tel. 0783 57401 - cell. 347 9593091.
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Un videogame on line per sensibilizzare
l’opinione pubblica contro lo sfruttamento
del lavoro minorile:
http://www.stoplavorominorile.it
EDOARDO CHIANURA
P
videogame
roposto dal Cesvi (http://www.cesvi.org) nella giornata che celebra in tutto il mondo la lotta allo sfruttamento del lavoro minorile, è stato lanciato il 12 giugno 2008 in 6 paesi dell’Unione europea
(Italia, Olanda, Germania, Danimarca, Irlanda e Repubblica Ceca) un
game interattivo rivolto ai ragazzi tra i 13 e i 17 anni.
Il gioco, della durata di circa 5 minuti, ha come obiettivo quello di togliere il maggior numero possibile di bambini dallo
sfruttamento per mandarli a scuola, dove potranno
scegliere come costruire il proprio futuro.
Lo scopo del gioco aderisce all’invito dell’ILO International Labour Office, che ha individuato nell’istruzione diffusa lo strumento per scardinare la
piaga dello sfruttamento minorile, promuovendo
la consapevolezza dell’educazione, a tempo pieno,
formale e di qualità, come soluzione concreta al fenomeno.
Il contesto del gioco è lo sfruttamento dei minori nelle piantagioni di cotone: prendendo l’esempio
dai dati reali che danno circa il 70% dei bambini
lavoratori¹ (più di 132 milioni di bambine e bambini nel mondo, tra cui 140 mila nel nostro stesso
paese impegnati occasionalmente o regolarmente
in attività lavorativa, di cui 31 mila e 500 a rischio
sfruttamento²) occupati in agricoltura, e soprattutto nella produzione di beni di consumo come olio,
the, cacao, cotone, tabacco o lavorando in fattorie
e campi per la raccolta, la semina, spruzzando insetticidi e tenendo il bestiame.
È un modo ludico per diffondere consapevolezza fra le giovani generazioni di cittadini e per evitare di scegliere prodotti realizzati grazie
allo sfruttamento dell’infanzia.
Dopo aver giocato, ogni utente è invitato a partecipare on line alla
raccolta di firme per chiedere al governo italiano di assumere impegni a livello nazionale e internazionale sulla lotta allo sfruttamento
del lavoro minorile.
NOTE
1. In totale 245,5 milioni di minori costretti a lavorare: di questi la maggior
parte (186,3 milioni) ha tra i cinque e i 14 anni, mentre 59,2 milioni ne ha
tra i 15 e i 17.
2. Dati emanati l’11 giugno 2004, alla terza giornata mondiale contro il lavoro
minorile, dal ministero per il Welfare.
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GIOVANI BELLI E RIBELLI,
PROFESSORI CARISMATICI
E ATTIMI FUGGENTI
La scuola cattiva di Bégaudeau. Siamo fra
quattro mura, chiusi dentro uno spazio chiuso a sua volta sezionato in altre chiusure:
mentali, linguistiche, di passato, di presente, di futuro. Non è facile trovare dei colpevoli del disastro, tutti sembrano interpretare il proprio ruolo con una specie di serietà
in un certo senso onesta. Sono come sono.
Tribù diverse che non cercano di compiacersi, che non fingono di capirsi o di stimarsi.
E però che ci stanno a fare accanto, chiuse e
a contatto davanti alla lavagna,
non è facile dire
il libro
DALLA PARTE DELLE BAMBINE
E DEI BAMBINI
MARTA BAIARDI
François Bégaudeau, La classe, Einaudi, Stile
libero Big, Torino 2008, pp. 228, euro 16
I
l mondo scolastico che balza fuori dal romanzo
di Bégaudeau1 sembra contraddire in pieno l’assunto fiducioso per cui lo scrivere sarebbe «una funzione del capire»2. Nessuna virtù taumaturgica della letteratura riesce a penetrare quanto accade tra
le mura di quella scuola. «I muri si sono avvicinati e hanno stritolato tutti»3: non è solo una metafora sinistra ma lo
spirito stesso di quel claustrofobico microcosmo scolastico alla periferia di Parigi.
La scuola di Bégaudeau è cattiva, logora e brutale come la vita fuori.
Insegnanti e alunni sono del tutto abbrutiti anche loro e macinano
quotidianamente una routine insensata e violenta. Non c’è comunicazione fra allievi e professori, ma neppure fra gli allievi stessi, murati
nei pregiudizi razziali, nei loro problemi esistenziali, nella rabbia impotente della loro marginalità. Grottesca la comunità degli insegnanti. Senza affiatamento né confidenza si assiepano in sala professori stretti tra la macchinetta del caffé e la fotocopiatrice, oggetti fra
oggetti. Parlano apparentemente del più e del meno, in realtà sono
discorsi disarticolati, privi di ogni sostanza affettiva e relazionale,
conversazioni da teatro dell’assurdo. Lo stesso assurdo copione va in
scena nella «U», la sala riunioni, dove il preside «al posto di comando»4 officia egualmente ilare le procedure di rito, dai provvedimenti
di espulsione alle discussioni più sconclusionate e futili, le uniche capaci di accendere gli animi, come quella memorabile sulle cialde del
caffé. Il preside non vuole urtare nessuno e cerca solo di arrivare in
fondo all’ordine del giorno, quando finalmente chiude la seduta con
un giro di champagne. Tutti vogliono solo sbrigarsi: andare a casa al
più presto, fuori da quelle mura rappresenta l’unico obiettivo davvero
comune del corpo insegnante.
Patetica la consulente pedagogica, che ha la funzione di informare il
corpo docente sulle vite degli alunni fuori scuola. È l’unica che sembra
potere raccontare questi studenti come esseri umani, ma nessun insegnante ha il minimo interesse autentico ad ascoltarla. Quando sono
obbligati, esibiscono lo stesso atteggiamento di annoiata stanchezza
che è presente peraltro in ogni momento del loro lavoro. Le vite agre
di questi ragazzi non interessano né commuovono nessuno. Non c’è
disgrazia sociale né pena familiare che trovi un suo spazio umano fra
Il film
La classe - Entre les murs di Laurent Cantet7 non rispecchia lo spirito nichilista del romanzo. Va del tutto perduto lo sguardo obliquo, parziale, quasi idiota, di cui Bégaudeau si serve per ritrarre
la disgregazione inarrestabile che circola tra le mura scolastiche.
Il film di Cantet è bello per molte ragioni e acutamente misura la
profonda incomunicabilità fra adulti e ragazzi, ma l’occhio del regista dispiega una simpatia verso i protagonisti di cui nell’apatico
romanzo non c’è davvero traccia. Il film ha una struttura ben più
“sintattica” del libro: si sforza di trarre pur sempre un ordine dal
caos del reale, un ordine a cui il romanzo, nella sua paratassi integrale, aveva invece del tutto rinunciato.
NOTE
1. Il titolo originale del romanzo è Entre les murs.
2. Giuliana Adamo e Pietro De Marchi (a cura di), Volta la carta la ze finia.
Luigi Meneghello. Biografia per immagini, Effigie, Milano 2008, p. 105.
3. Bégaudeau cit., p. 206.
4. Ibidem, p. 115.
5. Ibidem p. 138.
6. Ibidem, pp. 163-164.
7. Laurent Cantet, La classe - Entre les murs, 128 minuti, Francia 2008, distribuito in Italia da Mikado. Ha vinto la Palma d’Oro come miglior film al
Festival di Cannes 2008.
LA CLASSE
Un’agorà su
“La classe”
In occasione dell’uscita
nelle sale del film
La classe di Laurent
Cantet, CAMeRA
(Centro Audiovisivo
e Mediatico sulla
rappresentazione
dell’infanzia e
dell’adolescenza,
[email protected])
ha preparato sul suo
sito (www.camera.
minori.it) una serie
di materiali didattici
per gli insegnanti e
gli operatori sociali
(recensioni, filmografie,
interviste, articoli,
bibliografie, video,
dossier, ecc...) in vista
di possibili attività di
media-education con i
ragazzi. Nel sito si può
trovare anche il forum
agorà a cui si possono
inviare interventi
critici, metodologici e
pedagogici sul film,
che ha sicuramente il
merito di interrogare
chi ha responsabilità
educative nei confronti dei ragazzi in età scolare su
quali siano gli approcci pedagogici più utili da adottare
per favorire processi di interculturalità e prevenzione del
disagio.
cinema
queste mura, inospitali per tutti. Ben consapevoli di essere «socialmente fottuti»5, questi studenti, gli sfigati della banlieue parigina, sono deprivati di tutto: cultura, futuro, diritti. A scuola poi
sono vessati da un regolamento scolastico dotato di un
ingranaggio repressivo ben oliato ma del tutto inefficace nel migliorare disciplina e profitto. Loro si vendicano:
sghignazzano, si pestano, provocano, sogghignano: boicottano l’istituzione ma in qualche modo distruggono anche loro stessi.
Il professore di francese – l’io narrante – non sta tanto
bene neanche lui: a disagio in cattedra ma iroso e vendicativo, non ha alcun rispetto dei suoi studenti e sostanzialmente se ne frega di tutto. Ignaro di qualunque eros
pedagogico, si consuma giorno dopo giorno tra nervosismi e impotenze. È uno sfigato anche lui, che patisce ogni
ora trascorsa nella scuola-prigione. In quelle mura non
porta nulla di sé, nulla della sua vita: non il ricordo di
una passione intellettuale, non un’emozione viva, solo i
postumi di cattivi sonni (dorme sempre male), i suoi tic e
uno sguardo impietoso ma atono sulla realtà circostante.
Tutti gli abitanti della scuola di Bégaudeau, quando incontrano il lettore, sono il risultato di un processo di disumanizzazione già compiuto. In una sola occasione questa coltre di torpore si incrina, quando l’autore al centro
del romanzo dà voce ad uno sfogo rabbioso del professore
di fisica: «Ne ho abbastanza di quei buffoni, non li posso
più vedere, non li voglio più vedere. Mi hanno piantato un
casino che non ti dico, non li sopporto più, non ne posso più, non ne posso più, non sanno niente e ti guardano
come una sedia appena tenti di insegnargli qualcosa, ma
che restino nella loro merda, che ci restino, io non andrò
certo a cercarli, ho fatto quello che dovevo fare, ho provato a tirarli fuori ma loro non vogliono, basta, non c’è
niente da fare, cazzo non li posso più vedere, ne ammazzo uno è sicuro, sono di una bassezza, di una malafede,
sempre a cercare di imbrogliare, ma andate ragazzi, andate e restateci nel vostro quartiere schifoso, tutta la vita ci resterete e vi starà bene, oltretutto siete pure contenti di restarci,
questi buffoni»6.
Ma è un affondo troppo passionale per durare. Queste mura che tutto consumano, si mangiano anche questo odio. Restano le piccole rabbiette sottopelle di ogni giorno di tutti contro tutti, piccole
combustioni, sintomi di un male grande ma sconosciuto e irrimediabile. Ogni umanesimo pedagogico è naufragato da un pezzo. Il
romanzo di Bégaudeau contempla i frantumi di questa avvenuta
catastrofe: la cultura non è più in grado di “coltivare” nessuno,
non offre più alcuna salvezza, così come la lingua a quei ragazzi
riottosi non sa dare nessuna speranza di uguaglianza e non rende
più padroni di niente.
L’ora d’aria nel carcere generale
Fa piuttosto male l’ultimo film di Cantet, La classe. Io
almeno ho sofferto abbastanza. Il professor Bégaudeau
cerca di fare anche cose decenti, valorizza le prove
di quelli che non scrivono. Espone le foto. Non molla
mai, non si mette a fare il seduttivo – e però restando
così docente resta altrove. Gli allievi si ribellano
collettivamente al consiglio di disciplina – i prof che
buttano fuori sono delle merde, urla quello che si
immaginano recuperato con la punizione – ma si
direbbe che sia l’unica cosa che fanno insieme. La
difesa dalla scuola, non di un’altra scuola. Contestano
l’insegnante che gli insegna un francese pieno di
congiuntivi che nessuno di loro ha mai sentito parlare.
Sono una classe multietnica e fra loro si chiamano africa,
marocco, antillese di merda. Hanno i loro rappresentanti
agli scrutini e prendono nota se i prof abbassano
di 0,4 la media. Il docente che sbaglia deve essere
punito, dicono, come voi punite noi. Perché il consiglio
dei professori non fa sconti. Il meccanismo del rigore
continua a girare – rigorosamente, con puntiglio, e
tuttavia a vuoto. Il modello di scuola di cultura nazionale
e severa disciplina mostra tutta la sua miseria. Senza
ombra di condivisione è pura recita. Per di più separata.
Al consiglio di disciplina, che lo espelle, Suleiman – che
sembra si vergogni sia delle accuse che delle lodi della
mamma – dichiara che si impegna a garantire la sua
ri-scolarizzazione in un’altra scuola. Come ci fossero
luoghi fuori dalle mura. Suleiman, appena espulso, ha
già attraversato con la madre vestita di tutti colori del
mondo il grigio delle mura. L’ora d’aria forse per lui si
allarga. Ma resta una pausa nel carcere generale.
ANDREA BAGNI
école numero 71 pagina
41
humus
LIBRI DOMANI NIENTE
SCUOLA
Andrea Bajani, Domani niente scuola, Einaudi, Torino
2008, pp. 142, euro 12.50
La parola che accompagna la lettura delle prime pagine
di Domani niente scuola è “divertente”, e non si intuisce
traccia di forzatura nella scrittura fluente, solo lo spirito
ottimistico di chi si appresti ad iniziare un viaggio, senza caricarlo di aspettative utili solo ad essere disilluse.
Accanto alla giovialità della partenza, però, si intuisce
un preciso progetto di viaggio, un istinto quasi etologico, il tentativo di prendere le distanze dai membri di una
generazione spaventosa ed impaurita, attraverso la descrizione oggettivante. Bajani però è un adulto privo di
ruolo istituzionale in un contesto altamente strutturato,
un gruppo classe in gita scolastica. E sin dal principio
del libro sfugge alla sua stessa prospettiva di oggettività
e dichiara la sua tendenza ad essere “di parte” non appena si delineino i confini del conflitto passivo-aggressivo di cui ognuno
di noi, nel rapporto con gli adolescenti dei nostri giorni, è protagonista.
Non a caso si insinuano nel racconto metafore di guerra e battaglia, compaiono trincee e aiuti umanitari.
Eppure l’autore riesce a sfuggire alla connivenza così come ai facili giudizi, prova a riportare la paura e la diffidenza entro confini razionali, individua con delicatezza responsabilità e cause, prova ad offrire interpretazioni
alternative, senza forzare ipotesi di percorsi di riabilitazione, ma indicando nella strada della fiducia una soluzione possibile. Nel fare questo prova
ad affiancare i suoi compagni di viaggio non solo nello spazio fisico ma
anche in quello privato, fatto di musica e chat, di sms e racconti sentimentali, degli sguardi significativi riservati agli adulti che abbiano ancora
voglia di dire “tengo a te”.
Bajani ci regala un quadro che egli stesso definisce parziale, riconoscendo i limiti del proprio tentativo. Ma ribadisce anche, con sguardo attento, disincantato ma mai disilluso, che la ricchezza di questa generazione,
spesso incomprensibile, è la ricchezza di coloro che vi hanno investito
energie e significato. Così come la povertà è il risultato di rapporti inaffidabili con adulti completamente autocentrati, impossibili da decodificare,
distanti ed estranei.
Bajani sembra sapere di non averci regalato con questo libro una nuova perla di eterna saggezza; racconta, perché nel racconto ognuno di noi
possa riconoscersi per quello che è, e ricordare ciò che è stato ai tempi
della gita scolastica.
ROSALBA PORRICELLI
LIBRI GIOVANI OLTRE
A cura di Ugo Cardinale e Dario Corno, Giovani oltre,
Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro)
2007, pp. 425, euro 22
Il testo raccoglie gli interventi di vari autori sui giovani d’oggi e le angolature diverse da cui sono osservati, per conoscerne problematiche, fattori di crisi,
ma anche potenzialità e fermenti innovativi. Se ne ricava una mappa orientativa utile per docenti, genitori
e quanti altri operano con i giovani, ma non esaustiva
della complessità della realtà giovanile così variegata in rapporto all’area
geografica di appartenenza, ai livelli socioculturali, agli interessi.
Punto di partenza di questa indagine conoscitiva sono le diverse domande che i vari autori si pongono: «Che cosa significa essere giovani oggi?»,
«Quale il loro modo di porsi rispetto alla realtà?», «Perché sono invisibili?», «Quali i loro approcci con la lingua e le modalità cognitive?».
Secondo Claudio Vercelli, uno degli autori, non si possano conoscere i
giovani d’oggi prescindendo dal contesto spazio-temporale in cui essi si
trovano a vivere. L’essere giovani in epoca di globalizzazione vuol dire essere ancorati alla dimensione del presente data l’estrema precarizzazione
del lavoro con il conseguente schiacciamento della visione prospettica ed
un ancoraggio alla famiglia anche molto prolungato nel tempo. Famiglia
che fa da sostegno ai bisogni materiali, ma non sempre è in grado di fornire regole certe o di soddisfare bisogni comunicativi e relazionali. (Silvia
Vigetti Finzi).
Sempre più distanti dai modelli comportamentali e valoriali degli adulti,
emarginati da interi settori della vita sociale in cui spesso domina una
vera e propria gerontocrazia (nella politica, nelle università, nella ricca scientifica), tenuti fuori dal processo produttivo ed economico da cui
sono sistematicamente sfruttati, si sono ritagliati spazi di sopravvivenza
nell’ambito delle nuove tecnologie (siti web, chat, blog, forum, ecc.) dove
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riversano storie personali, esperienze, progetti, opinioni, prese di posizione sull’attualità.
Il modo di usare il linguaggio dei giovani è in relazione diretta con questo tipo di realtà che essi vivono. In rapporto alla dilatazione della fascia
giovanile, della diversificazione di ambiti ed interessi si è affermata la definizione di “lingua fratello” un sistema semplificato della lingua una mescolanza di italiano, dialetto, gergo, spesso usata in senso trasgressivo ed
irrisorio e, per quel che riguarda l’uso del dialetto, adattata ai loro bisogni di ancorarsi a realtà piccole e ben conosciute tali da consentire facili
e concreti processi identitari.
La grammatica, però, scricchiola, la sintassi è frammentaria, la forza argomentativa del discorso è debole. Ridotto il tempo della lettura, contratti i tempi e i modi della scrittura, la comunicazione si realizza sempre
meno attraverso parole rigorosamente organizzate e sempre più attraverso suoni ed immagini che definiscono significati più generali e dai confini sfuggenti.
Gli autori si interrogano su quale possa il ruolo della scuola. Pensano siano
da abbandonare la messa in atto di maternage facilitatore dello studio; da
praticare, in modo sistematico la riflessione sulla lingua, sui principi che
la regolano, sui vari tipi di testo, sui vari registri comunicativi; da evitare
la demonizzazione dei nuovi media; da intraprendere invece una riflessione seria sulle variazione apportate da questi nella lingua. Sul piano educativo bisognerebbe sganciarsi dal retroterra burocratico e formalistico per
riscoprire nuovi orizzonti conviviviali e conoscitivi; sviluppare la capacità
di vedere in altro modo e di proiettare sul mondo uno sguardo stupito, caloroso e nel contempo critico.
MARISA NOTARNICOLA
MUSICA ALL’OMBRA
DI...
All’ombra dell’olivo. Il Magreb in 29
filastrocche raccolte da Hatifa Favret e
Magdeleine Lerasle, Illustrazioni di Nathalie
Novi, Mondadori, Milano 2002.
All’ombra del baobab. L’Africa nera in 30
filastrocche raccolte da Chantal Grosléziat.
Illustrazioni di Élodie Nouhen, Mondadori,
Milano 2003.
All’ombra della papaia. Il Brasile e il
Portogallo in 30 filastrocche raccolte da
Magdeleine Lerasle. Illustrazioni di Aurélia
Fronty, Mondadori, Milano 2004.
CD allegati con direzione musicale di Paul
Mindy.
Sono ormai numerosi i libri per l’infanzia che
prevedono un CD allegato con proposte musicali. Spesso però, purtroppo, alla qualità di immagini e testi non corrisponde la qualità musicale. Un discorso a parte merita invece la serie,
edita in Francia tra il 2001 e il 2003 da Didier
jeunesse (www.didierjeunesse.com), pubblicata
da qualche anno anche in Italia, inspiegabil-
mente, poco nota.
I volumi, bellissimi dal punto di vista grafico, presentano filastrocche
provenienti da varie parti del mondo con la traduzione in italiano e una
serie di indicazioni relative al loro utilizzo nelle culture di provenienza.
A ogni volume è allegato un CD con la registrazione dei brani arrangiati
in modo accattivante, immediato e, contemporaneamente, profondamente
rispettoso della tradizione. Si tratta di ninne nanne, filastrocche, conte,
girotondi, giochi di coccole e di solletico tra mamma e bambino; un ricchissimo patrimonio femminile che risulta avere forti somiglianze anche
in culture distanti tra loro. Troviamo, perciò, similitudini, a volte inaspettate, anche con le nostre tradizioni: canzoncine per apprendere, che elencano le dita della mano, i numeri, i giorni della settimana; brani per far
saltare sulle ginocchia che accelerano il ritmo o prevedono gesti motori
finali imprevisti per divertire; giochi per accarezzare o per fare il solletico; musiche per giocare col corpo, conte, giochi di movimento. Si tratta
di brani provenienti da culture orali, che spesso subiscono trasformazioni
da un luogo all’altro e che si prestano a improvvisazioni.
I libri sono bellissimi da vedere e ascoltare, per bambini e bambine e per
adulti, per semplice divertimento o per utilizzo didattico. Un ulteriore elemento di valore, meno immediato ma essenziale, è l’evidente importanza
delle relazioni tra donne (in parte esplicitate) che ha permesso la realizzazione dell’operazione: prime fra tutte le relazioni tra le ricercatrici e le
donne che hanno ricordato e cantato per loro i brani.
MARIATERESA LIETTI
anni verdi
I bambini sono
diversi
STEFANO VITALE
I
bambini sono diversi,
ma non dobbiamo fraintendere: spesso la loro “diversità” viene enfatizzata e
diventa un alibi per consolarci, emozionarci, manipolare. Certo i bambini sono più radicali, esigenti, non amano i
chiaroscuri degli adulti. O stai con me o sei
contro di me. E non è facile per noi adulti star dietro a queste divaricazioni. La cosa
più complicata è il loro anticonformismo che
li porta a dire la verità, quella che non piace,
quella che ci fa male e non vogliamo vedere.
Ma spesso sono anche tirannici, centro del
mondo, piccoli Narciso alla ricerca di sé, creativi, ma anche cattivi, duri, spietati nella loro
richiesta di attenzione. A me piace pensare
che i bambini possano essere paragonati ad
un antropologo che inizia un viaggio di conoscenza, un’esperienza in mezzo ad un popolo,
quello degli adulti, per lui sconosciuto. E ne
osserva movimenti, riti, abitudini, vi partecipa in maniera più o meno coinvolta; in ogni
caso cerca di capire “come funziona” questo
complesso meccanismo relazionale, affettivo,
culturale che regola e struttura questo nuovo mondo.
Le cose si complicano se il bambino è ancora
più diverso, magari diversamente abile, handicappato insomma. E penso subito al libro di
Mark Haddon, Lo strano caso del cane ucciso
a mezzanotte (Einaudi) dove il ragazzo autistico, pur stando nel cliché del genio non
nasconde il suo dolore di un rapporto difficile col padre che gli ha nascosto la fuga della
madre che lui ora vuole ritrovare. Paul Collins,
in Né giusto né sbagliato (Adelphi) racconta invece lo stupore, lo sgomento progressivo di una famiglia che scopre di avere un figlio autistico. Il momento della diagnosi è
duro, la vita cambia e cambia la prospettiva
su cui costruire il proprio mondo. Il piccolo
antropologo domina la scena ed obbliga gli
altri a nuove strategie. In fondo la diversità dipende dal punto di osservazione da cui
la si guarda. Daniel Zimmermann (L’allievo,
Meridiano Zero) è ancora più radicale: il protagonista è Patrick un ragazzo inserito in una
classe speciale per poter garantire al maestro
il posto di lavoro e per poter “dimostrare” la
tesi che la pedagogia speciale ha un senso.
Patrick sta al gioco e va fuori di testa davvero: dalla finzione dei ruoli alla distorsione
della realtà. Che essa sia distorta lo sa bene
Monsieur Hire il protagonista del racconto di
Georges Simenon, Il fidanzamento del signor
Hire, Adelphi. Egli è brutto, mostruoso, tutti
lo evitano e ne hanno paura, lui s’innamora
d’una ragazza che abita vicino, viene poi usato per un delitto ed ingiustamente accusato, tragica è la sua fine inevitabile: si paga
ad essere diversi. Come capita nella “normalità” di Francesco Recami, L’errore di Platini
(Sellerio). Qui una famiglia normale, con una
figlia handicappata, vince una grossa somma
al totocalcio. La loro vita cambia, almeno in
apparenza e la figlia diventa un peso tale che
spinge la madre a simulare un incidente in
cui ella rimane uccisa. La diversità è un intralcio alla felicità banale della stupida normalità di provincia. Ma a volte è la molla per
l’esplosione creativa. La protagonista del libro di Patrizia Bisi, Dai
mon (Einaudi) è una
bambina schizofrenica
che suona il pianoforte benissimo. Vittima
del conflitto genitoriale cresce conservando questa dote che in
qualche modo la salva dal naufragio. In
cui non cade Giuseppe
Pontiggia in Nati due
volte (Mondatori). Nel
libro, il rapporto del
padre (lo stesso autore)
con il figlio Paolo, disabile, è come un quadro
che ritrae l’amore del
padre per il figlio svantaggiato, di cui cerca
di ricuperare tutte le
potenzialità. Non vuole arrendersi. Gli altri
non danno grande aiuto: la “disattenzione”
nei confronti di chi è
diversamente abile non
fa che acuire nei familiari la consapevolezza
di una sempre maggiore distanza che divide
i disabili dai normodotati coinvolgendo gli
stessi familiari che “sperano” di vedere in altri disabili una minorazione “più grave”, quasi a cercare, anche se labile, un conforto al
proprio dramma. È di questa “distanza” che si
parla nel libro: «Noi» come «perenne termine
di confronto, simbolo di una normalità suprema.» (p. 62). È proprio in questa situazione
che i disabili devono vivere, o meglio convivere, dato che se non sono sorretti da chi sta
loro attorno, difficilmente potranno sopportare la difficoltà di (ri)vivere, di (ri)nascere
alla vita. In sostanza essere un po’ come nuovamente nati, “nati due volte” dunque: prima c’è la nascita naturale, certo impreparati
come tutti, ma poi costretti a trovare un proprio spazio, una nuova vita.
Liberi libri: festival itinerante dell’editoria per l’infanzia
È un progetto della cooperativa Libero Stile, nata per diffondere il concetto di criticità come
chiave di accesso al consumo, al sapere, alle relazioni
Il senso del progetto può essere condensato in due parole: sapere-attivo. Che significa che
nel rapporto con il libro, prima di tutto di esplorazione e di piacere, viene valorizzata una
dimensione di relazione, di scambio, di multidirezionalità: Letture animate e laboratori hanno
lo scopo di far comprendere ai bambini - e agli adulti - che il libro non è “solo” da leggere, ma
anche da vivere nel senso più pieno del termine, con tutti e cinque i sensi.
Per informazioni: http://www.liberostile.net/servizi/scuole/liberilibri/index.htm.
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TEXT
La formazione e la sinistra
Torna con urgenza la necessità di occuparsi
della formazione, del sapere, in concreto della
scuola e dell’università. Per due ordini di
ragioni: la destra vuole chiudere il conto con
una stagione culturale e sociale che viene
dal ‘68. La sinistra ha un deficit di analisi e di
proposte per i tempi a venire SCIPIONE SEMERARO
B
La critica alla neutralità della scienza e della tecnica è stata
il più grande episodio di esercizio del “sospetto” nella storia
recente; quello che appare un dato incontrovertibile, un contenuto
da insegnare e imparare viene mostrato nella sua concreta
contestualità storica, il sapere nasce in una realtà stretta con il
potere, l’utilità, la produzione, l’organizzazione sociale. Questo vento
ha parlato alla scuola e alla università con una forza dirompente,
ha messo in crisi i contenuti e l’autorità degli intellettuali
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isogna perciò agire su due livelli. Dare risposte immediate alle emergenze politiche e con più decisione aprire una
stagione di riflessione di lungo termine per definire oggi il
senso dell’imparare e dell’insegnare.
Sull’esempio dei benedettini che seppero salvare per sé e per
il futuro una storia e una cultura, bisogna, anche noi, studiare e operare, il nostro ora et labora.
La chiusura del ciclo politico del ‘68 si nota da molti segni e
porta con se un mutamento persino antropologico prima che
sociale e culturale. Di cosa è stato fatto quel ciclo.
Innanzi tutto la domanda di scolarità per tutti, non solo
come consumo egualitario, ma come costituente sostanziale
della cittadinanza. Non sei cittadino se non ti è dato il sapere
e il discernimento. Un’idea avanzata della libertà individuale,
non solo formale.
E poi la straordinaria critica alla neutralità della scienza e
della tecnica. È stata il più grande episodio di esercizio del
“sospetto” nella storia recente; quello che appare un dato incontrovertibile, un contenuto da insegnare e imparare viene
mostrato nella sua concreta contestualità storica, il sapere
nasce in una realtà stretta con il potere, l’utilità, la produzione, l’organizzazione sociale. Questo vento ha parlato alla
scuola e alla università con una forza dirompente, ha messo
in crisi i contenuti e l’autorità degli intellettuali.
Nella scuola si è accompagnata ad una diffusività dell’intellettualità di massa che vive in questa contraddizione, trasmettere/criticare il sapere. E come non osservare che per la
prima volta nella storia italiana questa intellettualità è donna. Le insegnanti sono la quasi totalità della professione, fenomeno importante sia per la novità sociale sia per il nesso
TEXT
Non esiste sistema educativo, né luogo di trasmissione di valori e
di comportamenti tanto pervasivo quanto l’esposizione al sistema
complesso e articolato delle merci. Nasciamo in quel reticolo simbolico
e dalle merci riceviamo le gerarchie di valore, i nessi interpretativi
delle cose e degli altri esseri umani. Un tempo l’educazione era
un portare con mano dal non sapere alla conoscenza le persone,
soprattutto i piccoli. Oggi siamo da sempre collocati nel mezzo di un
sapere e di una cultura organizzata, non solo nell’occidente consumista;
consumare e/o desiderare hanno dimensione globale, costituiscono un
linguaggio universale. Per questa ragione il moderno analfabetismo
deriva più dall’eccedenza delle informazioni e dei simboli che dalla loro
privazione.
che si stabilisce tra professione intellettuale e cura
delle persone.
Infatti è propria la naturale politicità di alcune professioni che disegna questo ciclo, insegnanti, medici, giornalisti, psichiatri. Politicità che viene dal nesso inscindibile tra il sapere e il condividere le finalità
delle persone su cui si interviene. Puoi essere competente, ma se non sei dalla parte del tuo interlocutore, malato, studente, cittadino, puoi anche non essere efficace.
Questa presenza straordinaria di donne parla anche
di un mutato rapporto tra la famiglia e la scuola. La
famiglia si scopre non autosufficiente nel dovere dell’educazione, affida i piccoli ad altri di cui si fida perché avvenga un miracolo, la possibilità di un’esperienza grandiosa della diversità. Nella famiglia hai
sperimentato valori, parole, saperi, comportamenti
omogenei, la scuola ti porta nel campo aperto dell’altro, della cittadinanza. A questo allude, con un forte
impatto simbolico il ritorno al maestro, alla maestra
unica, l’azzeramento di questa apertura all’altro, il ritorno alla formazione scolastica come prolungamento
subalterno alla comunità naturale d’origine. La destra
gioca, con il seppellimento dell’esperienza passata, a
un riordino delle gerarchie, ad una trama conservatrice per un profilo umano subalterno, seriale, governato
dalla chiusura e dalla paura della diversità.
Ma c’è stato un limite nella sinistra. Mentre ha giustamente rivendicato e difeso il diritto allo studio, ha
sottovalutato che il diritto all’accesso doveva nutrirsi
di una critica rigorosa ai contenuti. Infatti l’analfabetismo si coniuga in diversi modi. Era facile conoscere
l’analfabetismo da mancanza di informazioni e saperi,
più difficile capire un analfabetismo fatto del suo contrario, da eccedenza di conoscenze e informazioni. La
vita reale è la scuola primaria per tutti, la scuola formale interviene in un pieno di culture, simboli, saperi,
abitudini già costituite.
L’analfabetismo da eccedenza è male subdolo, agisce
con l’arroganza e con l’autosufficienza di chi già presume di essere colto, stimola l’individualismo, perché
intende il sapere come strumento e veicolo di supremazia sugli altri. Non avverte che la ridondanza diventa rumore di fondo, l’eccedenza di nozioni incapacità di discernere criticamente. Questo mutamento nella formazione di senso comune, questo strato profondo, antropologico, attende la
rivoluzione conservatrice, si alimenta nella dimensione strabordante del consumo come perno
della vita umana.
Con frequenza ossessiva uno spot televisivo ci ricorda il nostro modello di vita. “Le tue marche, la tua storia”. Una sintesi che racconta quanto sia diventata determinante nella costituzione della nostra identità la relazione, reale o immaginaria, con il mondo delle merci. Una
condizione che accomuna ogni condizione e classe sociale, sia che il consumo sia reale sia che
agisca come desiderio.
Non esiste sistema educativo, né luogo di trasmissione di valori e di comportamenti tanto pervasivo quanto l’esposizione al sistema complesso e articolato delle merci. Nasciamo in quel reticolo simbolico e dalle merci riceviamo le gerarchie di valore, i nessi interpretativi delle cose
e degli altri esseri umani.
Un tempo l’educazione era un portare con mano dal non sapere alla conoscenza le persone,
soprattutto i piccoli. Oggi questo non è più, siamo da sempre collocati nel mezzo di un sapere e di una cultura organizzata, non solo nell’occidente consumista; consumare e/o desiderare
hanno dimensione globale, costituiscono un linguaggio universale.
Per questa ragione il moderno analfabetismo deriva più dall’eccedenza delle informazioni e dei
simboli che dalla loro privazione.
I saperi, come le merci, ingorgano e creano un rumore di fondo in cui non è facile acquisire
un sapere utile e critico.
Una pedagogia efficace dovrebbe, in ogni epoca della vita, decostruire criticamente questo
ambiente affollato di “saperi” e simboli. Un’opposizione rigorosa al feticismo delle merci, realtà non comprese nel loro contesto sociale e di significato.
Forse in questo contesto va cercato il nodo cruciale della crisi “educativa” della famiglia, della
scuola e di ogni altro soggetto che intenda, in ogni epoca della vita, comunicare un suo siste-
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TEXT
Il moderno analfabetismo deriva più dall’eccedenza delle
informazioni e dei simboli che dalla loro privazione.
I saperi, come le merci, ingorgano e creano un rumore di fondo in
cui non è facile acquisire un sapere utile e critico.
Una pedagogia efficace dovrebbe, in ogni epoca della vita,
decostruire criticamente questo ambiente affollato di “saperi” e
simboli. Un’opposizione rigorosa al feticismo delle merci, realtà non
comprese nel loro contesto sociale e di significato.
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ma di interpretazione del mondo.
Non solo quindi le merci, consumate e/o desiderate, insegnano molte cose del mondo e regolano l’orizzonte della
realtà, ma esse stesse veicolano un senso e stabiliscono relazioni tra le persone. Si aggiunga anche che la cultura, in
quanto merce, posseduta, acquistata, scambiata, non sfugge a questa dimensione “totalitaria” dei processi di formazione del senso comune.
Le merci nascondono il lavoro, lo rendono impercettibile, il
loro essere feticcio nasconde la fatica, il dolore, lo sfruttamento che è sostanza dei beni disponibili. La signoria magica della carta di credito è il segno di questo fenomeno.
Per reagire all’analfabetismo da eccedenza si deve considerare la cultura come una paziente operazione di scomposizione, ricostruzione delle nozioni, ricomposizione critica delle informazioni, risistemazione delle gerarchie di valori, un’abitudine a considerarne la genealogia. Per capire perché ho
un’opinione, devo sapere come e perché si è formata.
La magia, e la miseria, delle merci sta nell’essere realtà senza svelare il processo di produzione,
il lavoro, la sofferenza, lo sforzo, il costo che ne permettono l’esistenza.
I processi di formazione della cultura, come il vero sapere critico, devono fare i conti con la
genealogia, la storia e l’origine, della realtà presente, unica condizione per non subirla e per
poterla liberamente cambiare e per determinarla. La crisi della democrazia ha molto a che vedere con questo stare acriticamente in un mondo già tutto dato, in cui le informazioni e i saperi, per il fatto stesso che sono trasmessi, assumono verità e credibilità. Sempre più il potere
sta nelle mani di chi riesce a manipolare e governare l’universo dei simboli e delle merci.
Una ricostruzione dei saperi condotta in cooperazione critica con gli altri, in una rete che si
alimenta di dubbi e di domande è l’unico antidoto ad una tendenza che ci fa apparentemente
più istruiti ma in verità più fragili nella conoscenza e nella capacità di interpretazione della
realtà. Anche il ricorrente bisogno di trovare un’identità nel sacro e nella trascendenza è un
segno di un indebolimento generale della conoscenza critica e dell’opprimente mercificazione
del sapere. Quanto lo è l’asservimento della scienza al mercato.
Così, nel declino della curiosità e dell’indagine critica, viene a mancare alla società un possibilità fondamentale di liberazione e autodeterminazione.
Se ci poniamo in questa strada analitica si scorge la grande necessità di definire una pedagogia e una didattica critica adeguata.
Voglio solo accennare a tre ipotesi di lavoro.
Innanzitutto bisognerebbe inventare pratiche di esercizio della “genealogia”, della memoria e
della storia. La scuola è sempre stata ammalata della divisione ideologica tra le due culture, la
storicità e la scienza, l’occasionalità della produzione storica e il determinismo dei fatti scientifici. Non coglieva e non insegnava che la storia umana, per quanto apparentemente caotica,
può essere colta con l’individuazione di strutture profonde, scientificamente rappresentabili,
come la scienza non si spiega senza il suo costante rapporto con la società e la storia. La didattica della genealogia è un percorso fecondo per correggere questa distorsione.
Il secondo terreno di ricerca dovrebbe essere quello che guarda alla globalizzazione come
nuova estensione della vita individuale. Già Marx aveva previsto che lo viluppo del capitale
avrebbe distrutto i localismi e “l’idiotismo”. Questa previsione si è fatta realtà, ma si è accompagnata ad una torsione verso un nuovo idiotismo e comunitarismo. Il presente globale cerca l’identità nella razza, nella terra, nell’appartenenza, si scopre in una guerra delle civiltà.
Questa dimensione catastrofica deve e può essere corretta con un’educazione alla mondialità,
alla cittadinanza universale, che non è mai data come dimensione innata e che quindi deve
essere appresa e insegnata.
Infine dobbiamo pensare a come si insegna e si apprende la pratica dell’immaginazione, del
progetto di futuro. L’analfabetismo da eccedenza ci amputa del passato e del futuro e distorce
l’esperienza del presente. L’eclissi della politica ha qui le sue radici, l’immutabilità della situazione presente, la durezza rocciosa della realtà oscura la speranza del mutamento.
Dunque pratiche di lotta e bisogno di una riflessione attenta, un impegno per una rifondazione della sinistra.
Se ci sta a cuore il profilo umano a cui teniamo, quello dei naviganti e non quello degli zatterieri. È la felice antinomia suggerita da Bauman.
Lo zatteriere ha un percorso prestabilito, lo porta la corrente, la natura è padrona; parte e arriva, la sua vita è condotta. Il navigante ha bisogno di una rotta e di un progetto, il suo campo è la libertà rischiosa del mare aperto, in cui vale l’esperienza ma anche la curiosità. La sua
libertà è ampia, il suo scopo sempre mutevole e adattabile. Il suo viaggio ha bisogno di saperi
complessi, faticosi, ma è il rischio e la fatica della libertà.
* L’intervento che pubblichiamo è una delle relazioni svolte come introduzione all’assemblea “Le belle bandiere” (27 settembre 2008, Roma).
abb.
2009
La rivista trimestrale, la lettera telematica mensile,
il CDiario, i dvd tematici, il sito.
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trend
Era così semplice!
Fondi pubblici alla scuola privata,
fondi privati nella scuola pubblica
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