Darwin Genova innocente • «Noi la vostra crisi non la paghiamo!» • La parola ai bambini • Una novità straordinaria: gli insegnanti sono malpagati • Scuola e immigrazione • La “globalizzazione” della storiografia • San Salvario come Barbiana • Tra le pieghe della partecipazione • Dalla scuola della Costituzione alla scuola del regime • Occupare le strade di sogni • Mia figlia è come le altre • I bambini hanno paura • La sfida dell’istruzione in Palestina • Anche in Francia: tagli o riforme? • Può un movimento per l’acqua non riconoscersi nell’Onda? • La condizione umana • Un vocabolario tutto per noi • Dalla parte delle bambine e dei bambini • Giovani belli e ribelli, professori carismatici e attimi fuggenti • Affetti collaterali • Humus • I bambini sono diversi • TEXT La formazione e la sinistra DICEMBRE 2008 TEMA NUOVA SERIE NUMERO 71 - DICEMBRE 2008 (5. 2008) • Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, DCB (Como) • 5 EURO idee per l’educazione costruirel’uguaglianzaliberareledifferenze NUMERO 71 DICEMBRE 2008 DVD I luoghi del colore 3 4 6 9 11 12 14 16 32 32 33 G Redazione via Magenta 13, 22100 Como tel. 031.4491529 [email protected] www.ecolenet.it Direttrice responsabile Celeste Grossi Vicedirettore Andrea Bagni Redattori Bianca Dacomo Annoni, Francesca Capelli, Paolo Chiappe, Maurizio Disoteo, Marisa Notarnicola, Cesare Pianciola, Andrea Rosso, Gianpaolo Rosso, Giovanni Spena, Filippo Trasatti, Stefano Vitale Collaboratori Giovanna Alborghetti, Monica Andreucci, Guido Armellini, Antonella Baldi, Marta Baiardi, Antonia Barone, Gabriele Barrera, Annita Benassi, Giorgio Bini, William Genova innocente • ANDREA BAGNI PRE «Noi la vostra crisi non la paghiamo!» • PINO PATRONCINI La parola ai bambini • ANNA SARFATTI TEMA DARWIN E L’EVOLUZIONE DELLA TEORIA DELL’EVOLUZIONE 19 22 25 27 28 28 30 31 li abbonati troveranno allegato a questo numero di école il dvd I luoghi del colore, una ricerca video realizzata dagli studenti dell’Itis “Hertz” di Roma, coordinata da Ernesto Caprio. Un percorso dentro culture che deliberatamente si separano dalla città ufficiale, spinte da una rabbia espressiva che costruisce nuovi modi e mondi dello scrivere, del dipingere, del danzare, del vivere il proprio corpo, le relazioni, i sentimenti. Siamo invitati a uno sforzo di intelligenza e umiltà, a non catalogare queste vite complesse come “aliene”, a non affrontarle come “problema”, a non criminalizzarle come “devianze”. E soprattutto a liberarci dell’idea reazionaria e piuttosto risibile della città immobile e perfetta. EDIT 35 37 38 39 39 41 42 43 44 48 a cura di MARCELLO SALA Il corallo della vita • MARCELLO SALA Una mostra si aggira per il mondo • CHIARA CECI Gestazione di una teoria • EMANUELE SERRELLI Gradualismo darwiniano e didattica • GIORGIO NARDUCCI Evoluzione e arte • ALESSANDRA MAGISTRELLI IDEE PER L’EDUCAZIONE Una novità straordinaria: gli insegnanti sono malpagati • GIOVANNA LO PRESTI Scuola e immigrazione • WILLIAM BONAPACE La “globalizzazione” della storiografia • MARILENA SALVAREZZA ESPERIENZE NARRATE San Salvario come Barbiana CORSIVO Tra le pieghe della partecipazione • BIANCA DACOMO ANNONI LE LEGGI Dalla scuola della Costituzione alla scuola del regime • CORRADO MAUCERI NOTE IN CONDOTTA Occupare le strade di sogni • ANDREA BAGNI NUOVI ARRIVI Mia figlia è come le altre • LIDIA GARGIULO MAPPAMONDO I bambini hanno paura • TONI O’LOUGHLIN La sfida dell’istruzione in Palestina • MONICA AWAD L’ERBA DEL VICINO Anche in Francia: tagli o riforme? • PINO PATRONCINI DE RERUM NATURA Può un movimento per l’acqua non riconoscersi nell’Onda? MODI E MEDIA CINEMA La condizione umana • STEFANO VITALE Un vocabolario tutto per noi • MONICA LANFRANCO VIDEOGAME Dalla parte delle bambine e dei bambini • EDOARDO CHIANURA IL LIBRO Giovani belli e ribelli, professori carismatici e attimi fuggenti • MARTA BAIARDI Affetti collaterali • BIANCA DACONO ANNONI HUMUS ANNI VERDI I bambini sono diversi • STEFANO VITALE TEXT TEXT La formazione e la sinistra • SCIPIONE SEMERARO TREND • LORENZO SANCHEZ Bonapace, Franco Calvetti, Andrea Canevaro, Minny Cavallone, Edoardo Chianura, Angelo Chiattella, Rosalba Conserva, Vita Cosentino, Marina Di Bartolomeo, Lella Di Marco, Mauro Doglio, Lidia Gargiulo, Maria Letizia Grossi, Toni Gullusci, Monica Lanfranco, Mariateresa Lietti, Marco Lorenzini, Franco Lorenzoni, Francesca Manna, Raffaele Mantegazza, Corrado Mauceri, Cristina Meirelles, Alberto Melis, Luciana Mella, Bruno Moretto, Giorgio Nebbia, Filippo Nibbi, Enrico Norelli, Laura Operti, Carlo Ottino, Giuseppe Panella, Pino Patroncini, Vito Pileggi, Nevia Plavsic, Rinaldo Rizzi, Marcello Sala, Nanni Salio, Antonia Sani, Cosimo Scarinzi, Maria Antonietta Selvaggio, Angelo Semeraro, Scipione Semeraro, Rezio Sisini, Monica Specchia, Marcello Vigli Grafica e impaginazione Natura e comunicazione Como (Andrea Rosso con Marco Bracchi) Abbonamenti Attivazione immediata: tel. 031.268425, [email protected] Annuale: (4 numeri + 10 lettere telematiche + CDiario + 2 cd rom tematici): 45 euro Sostenitore: 70 euro Versamenti sul conto corrente postale n. 25362252 intestato a Associazione Idee per l’educazione, via Anzani 9, 22100 Como. 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Sbucati da non si sa dove, cioè da luoghi per noi adulti politicizzati quasi sconosciuti: volontariato, associazionismo, relazioni d’amicizia. A ballare sotto l’acqua che le donne versavano gentili dalle terrazze nel sole. Quelli che avevo vicini portavano uno striscione con la biancheria intima appesa, il governo avendo ingiunto che fosse tolta dai balconi nella città tirata a lucido per i grandi del G8. Non sta bene si vedano le mutande nel mondo istituzionale. La vita è bandita. Poi quei giovani hanno scoperto lo stato delle cose. Cioè lo stato. Stato di polizia. Una perdita di innocenza, si disse. Questo è il mondo “l’opre gli eventi onde cotanto ragionammo insieme”... E però nelle assemblee successive nessuna reazione tipo autodifendere le manifestazioni, servizio d’ordine, bastoni e bocce. Si è raccontato, prodotto video, cinema e letteratura. Scaffali di librerie come segni di riconoscimento nelle case degli amici. Non si è abbandonato il campo allo scontro militare. Ci si è spostati. Lo stato di diritto per noi che abbiamo visto Genova era garanzia della società costituente, per esserci senza perdersi in una dimensione militare – con l’ironia che spiazza il potere dei nani armati. Stato di diritto? A Genova si sono visti scudi su cui battere con maschi manganelli ritmi tribali, caschi come passamontagna, divise da robocop, agenti che dicevano uno a zero per noi. Stato di diritto? Lo ha esplicitato in che stato è il diritto il comandante Canterini nella lettera ai suoi uomini: «Ci siamo guardati più volte negli occhi; e guardandoci abbiamo capito quanto fosse alta la nostra professionalità e quanto il cameratismo. [...] Coraggio ragazzi, il vostro Comandante vi è vicino ed ancora indossa il casco insieme a voi». Comunità di fede e onore. Comunità di sangue – quello degli altri. Cuore profondo dell’antropologia fascista. Come si farà educazione civica a scuola dopo le sentenze di Genova? Per chi oggi nelle aule occupate porta la sua vita e nelle piazze delle città vive le sue lezioni, mi sa che c’è un’altra perdita di innocenza. Le sentenze di Genova dicono che il massacro c’è stato ma i massacratori no. Hanno fatto le vittime da sole. Portare la divisa per chi fa violenza non è un’aggravante, è una giustificazione. Lo immaginavo, certo, me lo sono detto molte volte – ma come mai mi fa ancora così male, come mai non ho ancora imparato? Mi sembra di rivederle le ragazze terrorizzate, il sangue sui volti, sgomenti più che spaventati, sbalorditi che qualcosa del genere fosse possibile. Quante cicatrici dentro. Quella polizia è una banda armata antropologicamente fascista, ma lo stato non condanna se stesso nei tribunali. E tuttavia non bisogna rassegnarsi, abbandonare loro il terreno. Solo non si può pensare di affidare il diritto ai corpi separati istituzionali. La Costituzione e la democrazia sono garantite da una società e da una cultura costituente o non sono. Sono affidate ai nostri corpi non separati, alla rete delle parole e delle pratiche che fanno un’identità collettiva. Una comunità politica. Che sa, anche se le prove le hanno affidate alla polizia. Sa anche senza tribunali, come Pasolini. Quel sapere è depositato nel cuore e nell’anima di una generazione: filo da disbrogliare, storia che passa per contatto, per esperienza, per amore. E non cade mai in prescrizione. pre Q uando agli inizi di settembre abbiamo parlato di “Le destre, le sinistre e la scuola” al nostro seminario, il clima era molto diverso da oggi. A quell’epoca il Ministro Gelmini, che durante l’estate aveva cercato di presentarsi al mondo della scuola come un agnello dentro il branco di lupi famelici della destra, assetati di tagli e vendette, aveva appena gettato la maschera, inforcando la via del maestro unico farcito da un lato di voti numerici, voti in condotta e grembiulini, tanto per rafforzare l’ideologia del “sono arrivati i castigamatti”, e dall’altro della “nuova” disciplina di educazione alla cittadinanza, niente di più della riedizione della già esistente educazione civica, tanto per buttare fumo negli occhi all’opinione pubblica di sinistra, complice un giornalismo superficiale più attento ai fatti di costume che alla sostanza radicale dei fatti. La stessa partecipazione al seminario (più nutrita dell’anno precedente), così come quella di altre riunioni analoghe tenutesi negli stessi giorni, segnalava una tensione e una preoccupazione più forte. Ma cosa ciò volesse dire era allora ancora tutta una scommessa. La scuola in movimento Nei giorni successivi il movimento è montato: dalla mobilitazione delle maestre, partita dalla scuola “Iqbal Mashi”di Roma, alle prime riunioni e proteste di insegnanti e genitori insieme, dai tanti dirigenti davanti al Parlamento alla discesa in campo di soggetti sempre più organizzati, alle manifestazioni cittadine, alla mobilitazione degli studenti universitari e medi, fino alle scadenze nazionali del sindacalismo di base il 17 ottobre, école numero 71 pagina 4 ONDA La mobilitazione nelle scuole, nelle università e nel paese ha determinato più di uno scossone sulla scena politica. Dopo tanto tempo, è stato proprio il movimento a costringere alcune forze politiche, e anche qualche forza sindacale, a esserci. Sicuramente la scuola complessivamente ha già dimostrato la sua opposizione ai provvedimenti. Se si è parlato solo di maestro unico è anche perché questo è diventato per tutti una bandiera, ma ogni ordine di scuola ha i suoi problemi: i tagli nella scuola elementare sono solo un terzo del totale e quelli del prossimo anno solo un nono. Occorrerà allargare la scena delle iniziative e delle lotte. C’è ancora tanto da fare e ci sono ancora tante occasioni di resistenza «Noi la vostra crisi non la paghiamo!» PINO PATRONCINI allo sciopero nazionale dei sindacati “rappresentativi” e alla grande manifestazione di Roma del 30 ottobre, trasformata nella più grande manifestazione di popolo per la scuola che la storia ricordi, fino allo sciopero e manifestazione nazionale degli universitari del 14 novembre. La mobilitazione ha determinato più di uno scossone sulla scena politica. Non a caso dentro a questo stesso scenario si sono determinate anche tre grosse mobilitazioni dell’opposizione politica, sia di quella ormai extra-parlamentare, che di quella, più parlamentare che oppositiva, del PD. Si può dire che forse per la prima volta dopo tanto tempo è stato proprio il movimento che ha costretto alcune forze politiche, e anche qualche forza sindacale, a esserci. Naturalmente l’effetto più forte è rappresentato dalla fine della “luna di miele” tra Berlusconi e il paese. Il crollo nei consensi del governo non lascia dubbi in proposito, anche se sicuramente insieme alla scuola, il tracollo mondiale delle borse ha creato un contesto più favorevole. L’Italia però non è l’America di Obama. Qui l’opinione pubblica è più restia collegare la crisi a Berlusconi e alla sua banda. Tutt’al più questa è una vaga intuizione a livello di massa, anche perché in quanto a subordinazione al pensiero unico e ai suoi poteri forti, europei e mondiali, il Centro-sinistra non è stato da meno del Cavaliere. Questo la gente lo percepisce e Berlusconi lo sa e perciò lo usa costringendo sia il PD che le burocrazie sindacali al ruolo di cornuti e mazziati. Da questo punto di vista lo slogan più attuale e più centrato rimane quello degli studenti universitari che sui loro striscioni scrivono “Noi la vostra crisi non la paghiamo!”. E credo che oggi lo sforzo principale debba essere quello di riuscire a collegare questi due elementi, evitando che la situazione economica venga invece usata per giustificare i tagli. Ma oggi il problema più grosso è come andare avanti. Il governo che pure qualche apertura su università e dimensionamento ha dovuto farla, anche, non dimentichiamolo, per l’irrazionalità di quella che chiama paradossalmente razionalizzazione, è fermo su tutte le altre partite che riguardano la scuola. L’azione che sta conducendo per evitare le prese di posizione da parte degli organi collegiali delle scuole inducendo i direttori regionali a emanare circolari che mettono in guardia in merito dimostra che teme il costituirsi di una resistenza scuola per scuola, come quella che avvenne su tutor, nuove indicazioni e libri di testo ai tempi della Moratti. Aritmetica e bisogni formativi Sul maestro unico la situazione è delicata. Gelmini pensa di disinnescare la cosa dicendo che il tempo pieno non sarà toccato. In questa maniera ha creduto di separare la scuola ordinaria dal grosso della schola militans, proponendo un teorema aritmetico: se tutti i moduli attuali vanno a 24 ore, restano insegnanti a sufficienza non solo per confermare il tempo pieno, ma anche per allargarlo. Ma ha dimenticato alcune di cose. La prima: che anche gli insegnanti dei moduli hanno una loro professionalità. La seconda: che gli insegnanti del tempo pieno considerano comunque i moduli un passo avanti per tutta la scuola italiana. La terza: che tempo pieno e moduli hanno una loro consistenza didattica che non si esaurisce nella sommatoria delle ore. La quarta: che l’aritmetica e i bisogni formativi non coincidono. Il teorema Gelmini non funziona. Per funzionare, conservando il tempo pieno all’attuale 25% senza aumentarlo, richiederebbe che l’anno prossimo le classi a 24 ore fossero almeno il 20% del totale (25% tempo pieno, 55% moduli, 20% maestro unico). Ma siccome il tutto si attua dalle prime che, comprese le prime a tempo pieno, costituiscono circa il 20% del totale ecco che bisognerebbe comunque bloccare anche tutte le prime a tempo pieno. Continuando nel calcolo, l’anno successivo le classi a 24 ore dovrebbero essere il 40%, e l’anno dopo ancora il 60% (25% tempo pieno e 60% maestro unico, moduli 15%). Con ciò saremmo arrivati alle terze, da quel momento in poi i tagli non terminerebbero ma continuerebbero “spontaneamente” nelle quarte e nelle quinte, e quindi sarebbero già molti di più persino di quelli previsti. Anzi alla fine il 100% delle classi dalla prima alla quinta sarebbe a 24 ore.Come volevasi dimostrare. Ma le cose non andranno così, perché la scuola non è un foglio di calcolo: finora è un luogo di vita in cui i bisogni formativi se schiacciati dentro tempi e orari troppo stretti confliggono. E la Gelmini si propone di farli confliggere di più: un maestro per classe, poi se ne avanzano disputateveli fino a litigare. Fino far diventare la scuola un non-luogo dove uno entra, si siede in un banco per 4 ore, ascolta, legge, scrive ed esce! Ad ogni buon conto l’operazione maestro unico ancorché diventata legge dopo l’approvazione del parlamento, deve essere attuata e quindi richiede tutti crismi di una negoziazione contrattuale. Su questo terreno, che si intreccia con le diverse disponibilità sindacali e quindi anche con l’attuale tentativo di isolare la Cgil da Cisl e Uil, screditando i suoi atteggiamenti come se fossero dettati solo da motivazioni politiche da cinghia di trasmissione dell’opposizione, bisognerà stare attenti alle sirene della monetizzazione, che già hanno funzionato nella vicenda della restaurazione degli esami di riparazione (ma allora c’era ancora il Centro-sinistra al governo). La monetizzazione potrebbe essere un comodo alibi del sindacato per svicolare da una resistenza al maestro unico e uno strumento di convinzione-corruzione degli insegnanti restii ad aggiungere ore alle 22 contrattuali. I terreni di resistenza nella scuola elementare saranno dunque quelli degli accordi di sequenza contrattuale a livello centrale e quelli di contratto di scuola (i soldi per le due ore in più sono per legge da ritagliarsi nel fondo di istituto). Comunque la si giri non si potrà aggirare la necessità di una resistenza scuola per scuola. Nello stesso tempo però occorrerà allargare la scena delle iniziative e delle lotte. Sicuramente la scuola complessivamente ha già dimostrato la sua opposizione ai provvedimenti e se si è parlato solo di maestro unico è anche perché questo è diventato per tutti una bandiera. Ma ogni ordine di scuola ha i suoi problemi: i tagli nella scuola elementare sono solo un terzo del totale e quelli del prossimo anno solo un nono. Le superiori e la slavina annunciata Tuttavia alla valanga che è precipitata sulla scuola elementare e che ha determinato la valanga di reazioni che abbiamo visto corrisponderà la slavina che all’approssimarsi della vacanze di Natale colpirà la scuola secondaria. Se il termine valanga rende bene l’immagine della compattezza dei provvedimenti per la scuola elementare, che hanno determinato l’altrettanto compatta reazione degli interessati, per la scuola secondaria superiore i provvedimenti che si preannunciano avranno effetti diversi su licei, istruzione artistica, istituti tecnici e istruzione professionale. Ma non saranno meno sconvolgenti: modelli Moratti peggiorati per i licei, istituti d’arte azzerati, licei artistici con poco tempo per le discipline pittoriche e plastiche, sperimentazioni azzerate, indirizzi dei tecnici ridotti a 11, indirizzi dei professionali sconvolti, orari a 30 ore per i licei e a 32 per tutti gli altri, controllo degli industriali su gestione e programmazione didattica di tecnici e professionali, riduzione del 30% dei laboratori e degli insegnamenti tecnici ecc. Sono queste le cose che aspettano la secondaria superiore, che la scuola secondaria superiore ancora non sa, che non sanno gli alunni delle medie e le loro famiglie le quali in questi giorni vengono informati e orientati sui vecchi indirizzi non sui nuovi, che non sanno gli amministratori locali, che entro gennaio dovrebbero ridisegnare la mappa scolastica e non sono in grado di farlo. Lì potrebbe essere unificante la parola d’ordine di un rinvio di tutto di almeno un anno: unificante persino con una parte della destra tanto sono irrazionali i tempi di attuazione, le improvvisazioni (si veda soprattutto il professionale!). Una scelta suggerita al buon senso. A proposito, dove sono i buonsensisti che frenavano le lotte contro la Moratti? Se ci sono hanno l’occasione di battere un colpo in questo caso! Ma dubito che lo faranno. Ce n’è per tutti E poi le medie. Il tempo prolungato, che costituisce il 29% delle classi, è persino più diffuso del tempo pieno elementare, anche se non ha lo stesso prestigio. Ma è il caso di lasciarlo morire in questa lenta agonia a cui la negligenza di tutti i governi e i tagli di questo lo hanno condannato? La scuola dell’infanzia: l’innaturale progetto di una scuola dell’infanzia al solo mattino gabellata come scelta per permetterne la generalizzazione fa a pugni con l’idea stessa di scuola dai tre ai sei anni concepita fin dalle origini su mattina e pomeriggio, così come l’idea di affastellare nelle classi bambini di due anni senza cogliere la differenza di questi piccoli, dà l’idea di un luogo deputato più al parcheggio dei bimbi che alla loro prima educazione. école numero 71 pagina 5 CLASSI PONTE Ho presentato alle bambine e ai bambini della mia classe quinta primaria la questione delle classi ponte; ho chiesto loro se intuivano quale fosse la mia posizione al riguardo, e difatti sapevano come la pensavo; ma ho voluto illustrare anche le ragioni di chi ha presentato questa mozione; poi li ho pregati di ragionare con la loro testa, sentendosi liberi di dire quello che pensavano, come vuole l’articolo 21 della Costituzione. Si è sviluppato un bel dibattito, dove tutti hanno parlato, con cognizione di causa essendo il nostro gruppo composto da 15 bambini italiani e 6 stranieri La parola ai bambini A l termine della discussione ho chiesto di scrivere un testo con questo titolo: “Cosa ne pensi di inserire i bambini stranieri al loro arrivo nelle classi ponte?”. Ecco alcune risposte. «Secondo me le classi ponte non sono giuste perché è bello avere amici stranieri e poi perché secondo me i bambini stranieri si divertono di più imparando l’italiano dai bambini italiani, e quando hanno imparato l’italiano abbiamo anche noi una ricompensa dai école numero 71 pagina 6 ANNA SARFATTI * bambini stranieri, perché abbiamo imparato alcune parole straniere. Oggi a scuola se ne è parlato e a nessuno piace questa cosa delle classi ponte. Per me i bambini stranieri imparano di più se vengono nelle scuole normali, perché a scuola si viene per imparare, ed i bambini stranieri chiacchierando ogni giorno con i bambini italiani l’italiano lo imparano più facilmente. Tutti i bambini compresa io hanno espresso le loro idee e a nessuno piace questa cosa, tutti siamo contrari». (Al., italiana). «Io penso di essere dell’idea di tutte e due le proposte. Sulla prima idea che dice che i bambini stranieri non devono stare in classe con i bambini italiani, ecco, io sono abbastanza d’accordo sul fatto perché i bambini stranieri imparano la lingua italiana, così gli italiani possono parlare e capirsi con gli stranieri. La seconda idea dice che i bambini stranieri possono già far parte della classe italiana. Io sono d’accordo anche su questo fatto, almeno i bambini italiani possono imparare le loro lingue. Io sono più d’accordo sulla prima pro- posta perché i bambini stranieri almeno sono più sicuri e non si vergognano, perché pensano: “Gli Italiani sanno, io no!”. Ecco il motivo perché sono più d’accordo sulla prima proposta». (An., italiana). «Oggi la maestra ha parlato con noi del fatto che i bambini stranieri appena arrivati dal loro paese devono andare nelle classi ponte, e io ho detto che se li mettevano da parte imparavano molto poco. Ma poi ho parlato di nuovo e ho detto alla maestra che noi siamo tutti uguali umani, lo so che parliamo in un’altra lingua ma siamo persone, e dobbiamo convivere tutti insieme perché siamo quasi tutti fratelli e sorelle. Perché se mettiamo questi bambini in altre classi può sembrare che mettiamo questi bimbi in un (per dire) recinto. Quindi dobbiamo lasciare i bimbi stranieri con gli italiani, e tutti convivere insieme». (V., brasiliano). «Io penso che gli stranieri non devono andare nelle classi ponte perché è difficile imparare solo con una maestra e gli altri bambini stranieri, ma se siamo tutti insieme gli italiani imparano le altre lingue e gli stranieri imparano l’italiano perché anche io sono uno straniero. Sarebbe meglio che ci fosse una persona che ci aiutasse almeno una volta alla settimana». (I., rumeno). «Io non sono d’accordo con le classi ponte perché penso che i bambini debbano stare tutti insieme perché poi si tradisce anche la Costituzione (articolo 3) quello che dice che i bambini davanti alla legge sono uguali di razza, di lingua, di colore. Se io non fossi con la mia classe di bambini mi troverei male perché con i rumeni ho imparato i numeri, con i filippini le filastrocche… Spero che la legge non passi perché è una cosa bruttissima». (G., italiana). «A me questa cosa non piace perché, oltre a far star male i bambini stranieri che si sentirebbero esclusi, svantaggia anche gli italiani che poi, nella vita, non sarebbero abituati ad aiutare altre persone che non sanno l’italiano. Inoltre penso che le maestre delle classi-ponte non riuscirebbero a far imparare l’italiano a 20-30 bambini che non sanno una parola della nostra lingua. Per me è anche divertente aiutare persone che hanno altre abitudini o tradizioni. Speriamo che questa legge non venga approvata». (T., italiano). «[…] Se il bambino va insieme agli italiani imparerebbe subito l’italiano e giocherebbe con loro e farebbe amicizia. È vero un po’ anche ritarda il programma ma devono avere pazienza e imparerebbero altre nuove lingue». (K., marocchino). «A me non va bene e mi viene un po’ di rabbia perché forse gli stranieri volevano trovare persone di un’altra lingua e loro sarebbero felici e potrebbero fare amicizia, farsi circondare da persone italiane, poi possono stare anche in classi normali come mio fratello quando è arrivato (ha raggiunto gli altri familiari al compimento dei sei anni) l’abbiamo mandato nella classe normale e dopo circa 6 mesi ha imparato l’italiano». (J., filippino). «[…] Un altro modo è di invitare i compagni stranieri a casa così ci si aiuta a vicenda a fare i compiti». (G., italiano). «Sono una bambina che è arrivata dalla Romania. Ora siccome è arrivata una legge nuova che dice di portare i bambini in una classe ponte abbiamo discusso anche in classe. Per me non va bene perché io a casa quando andavo e i miei genitori parlavano l’italiano (ha raggiunto i genitori in un secondo tempo) io non capivo. Ma accanto ai miei compagni capivo quasi tutto. Non so come ho fatto a capire ma da loro ho imparato l’italiano sicchè dico meglio che non ci sia questa regola. Comunque ringrazio i miei compagni che mi hanno trattato molto bene e mi hanno insegnato l’italiano». (A., rumena). E ancora Per non ripetere concetti già ampiamente espressi, riporto alcuni passaggi significativi da altri testi. «[…] Non ci sembra giusto perché i bambini stranieri se messi nelle classi ponte non imparano perché stanno tutti in quella classe e quando è ricreazione stanno tutti da soli». (G., italiana). «[…] Avere bambini stranieri in classe è bello perché a me sembra di rappresentare un po’ il mondo e poi conosci le loro feste che festeggiano nei loro paesi, come insegnano a scuola, i cibi tipici del posto ecc. EVVIVA GLI STRANIERI!!!». (F., italiana). «[…] Secondo tutti i bambini della mia classe compreso me abbiamo un parere ben preciso di accettare i bambini perché tutti hanno diritto di essere accolti come le maestre hanno fatto con noi bambini italiani e come noi abbiamo accolto i bambini stranieri». (I., italiano). «Io penso che non è giusto separarli perché i bambini stranieri non si possono divertire o non possono stare con chi vogliono stare. […] Per me avere un compagno straniero è una cosa bellissima perché puoi imparare la sua lingua o puoi imparare giochi che non hai mai conosciuto. Per me è meglio rimanere alla vecchia regola». (M., italiano). * Maestra. école numero 71 pagina 7 TEMA DARWIN E L’EVOLUZIONE DELLA TEORIA DELL’EVOLUZIONE A CURA DI MARCELLO SALA D uecento anni fa nasceva Charles Darwin e centocinquanta anni fa esordiva in pubblico la teoria dell’evoluzione, che aveva costruito fin dal 1838. Oggi più che mai l’evoluzione ha nemici e non sono certo quelli che confutano parti della teoria sviluppando soluzioni alternative, perché costoro si collocano all’interno del programma di ricerca evoluzionistico e del gioco della scienza, rafforzando l’uno e l’altra. I nemici sono coloro che per ragioni culturali religiose ideologiche sono contrari all’idea di evoluzione, come oggi i sostenitori del “disegno intelligente”, che scelgono la strategia sporca di presentare l’evoluzione in modo così deformato da farla apparire inaccettabile, manipolando anche la scienza, come se école numero 71 pagina 8 non avesse uno statuto consolidato e condiviso. Nella prima famosa disputa tra Huxley e l’arcivescovo Wilberforce, attribuire agli evoluzionisti l’idea che “l’uomo discende dalla scimmia” anziché «l’uomo e la scimmia hanno antenati comuni che risalgono a 7 milioni di anni fa (200-300 mila generazioni)» era un modo sicuro per rendere inaccettabili le idee evoluzioniste al pubblico vittoriano, che del progresso umano (culminante nell’Homo britannicus imperialis) faceva il proprio paradigma culturale. Sono passati 150 anni e la mossa retorica è sempre la stessa, scorretta e volgare; ma, siccome punta su ciò che appare e sull’azzeramento del pensiero critico, è vincente in un mondo dove il linguaggio della pubblicità è andato al potere. Un articolo di qualche mese fa de Il giornale che presenta il libro della moglie di Alberoni1 inizia così: «Discendiamo davvero dalle scimmie?». Come risulta chiaro dal testo dell’articolo si tratta di una domanda retorica che serve ad attribuire ai «cattivi maestri della “darwinolatria”» l’idea che «i nostri progenitori erano scimpanzè». Nell’articolo si legge: «La selezione naturale secondo la legge dell’evoluzione va applicata anche per sopprimere i più deboli, i meno fortunati, gli handicappati, magari prima che nascano?», dove si tracciano legami arbitrari tra selezione naturale - selezione eugenetica - aborto, sempre per rendere le presunte teorie evoluzioniste inaccettabili; l’evidente evocazione del nazismo viene esplicitata dalla Alberoni: «non è un caso che il darwinismo abbia prodotto aberrazioni come il razzismo, il classismo, l’eugenetica, il peggior capitalismo, la discriminazione biologica». È il modo di procedere degli “atei devoti”, ignoranti nel merito di questioni che non hanno interesse a conoscere, che vogliono abolire l’evoluzione (dalla scuola innanzitutto) per fare un piacere politico a chi apertamente dichiara che «la scienza non deve essere autonoma» (naturalmente tutti, anche gli scienziati, possiamo essere d’accordo che la scienza non debba sottrarsi a una responsabilità etica e politica che riguarda tutti in quanto cittadini; ma chi pronuncia quella frase si riferisce alla subordinazione della scienza ai dettami di una chiesa, e in questo senso nulla è cambiato dai tempi del processo a Galileo). Ma i nemici più subdoli e pericolosi sono come sempre quelli che stanno dalla tua parte e sono quelli che per divulgare volgarizzano fino a deformare ancora una volta le idee dell’evoluzione. Chi per mestiere deve suscitare attenzione ed emozione con il minor numero di parole, possibilmente semplici, per quanto onesto, avrà sicuramente grossi problemi a comunicare qualcosa di complesso che richiede molte informazioni, ragionamento, prudenza nella scelta dei modelli, ancora più prudenza nella scelta delle metafore, pazienza e cura nella costruzione delle idee. Per fare un esempio, l’espressione «la giraffa ha progressivamente allungato il collo per mangiare le foglie in cima agli alberi» usata come emblema del pensiero di Darwin contiene più errori che parole, primo fra i quali suggerire precisamente l’idea cui si è opposta la teoria dell’evoluzione darwiniana e cioè che la storia naturale ha un fine ed è diretta da una intenzionalità. Per contrastare la deformazione, questa sì intenzionale, degli studi darwiniani e per fornire stimoli a chi la teoria dell’evoluzione la insegna a scuola abbiamo pensato che su école valesse la pena di riparlare dell’“evoluzione della teoria dell’evoluzione”. NOTA 1. Non è un rigurgito di sciovinismo maschilista da parte mia: è la signora Rosa Giannetta che per la pubblicazione dei suoi libri usa il solo cognome del celebre marito. Il corallo della vita MARCELLO SALA Illustrazione di W. West per la prima edizione di L’Origine delle specie. La forma “a corallo” spiega meglio di qualsiasi altra la dinamica delle specie sul pianeta. Q uando nel 1858 la lettera di Wallace fa precipitare la pubblicazione de L’origine delle specie, Darwin la considera solo una anticipazione della sua opera, perché ritiene di non avere ancora documentazioni adeguate. Quei 21 anni (la teoria dell’evoluzione l’aveva costruita fin dal 1838) spesi a raccogliere osservazioni, a fare esperimenti, a riflettere dimostrano la meticolosità con cui Darwin interpreta il suo ruolo di scienziato, non disposto a transigere sulla rigorosità delle prove e delle argomentazioni; ma dimostrano anche un rispetto per il contesto culturale e sociale in cui la proposta di quella teoria non potrà che portare scandalo; non rinuncia a nulla della sua “verità”, ma non fa nulla per provocare: sceglie la via della scientificità. Separare e contrapporre scientificità e affettività è un errore epistemologico che continua ad avere gravi conseguenze educative. Possiamo immaginare quanto Darwin, che ci ha speso tutta la vita, fosse “affezionato” alla sua teoria, eppure dedica un capitolo del libro (due nella VI edizione) alle critiche degli avversari; e non cede alla tentazione di deformare o mettere in ridicolo le loro affermazioni, ma anzi sostiene che, se verificate, sarebbero «fatali per la mia teoria»; e le affronta nel merito. Il viaggio A vent’anni Charles potrebbe essere uno dei nostri “bamboccioni”, ma poi si imbarca su una nave di 30 metri dove non c’è la mamma che gli prepara la colazione e gli rifà il letto, ma Fitzroy, capitano della Marina di Sua Maestà, signore assoluto della vita dell’equi- paggio. Il viaggio attorno al mondo dura 5 anni, e il giovane Darwin, tra mal di mare, cavalcate nella pampa, bivacchi, tempeste, terremoti, si assume la responsabilità di un lavoro da scienziato professionista. Come geologo è già in grado di interpretare ciò che vede alla luce di un sapere consolidato. Lui però si professa “baconiano” induttivista, e in effetti, per quanto riguarda le scienze del vivente, raccoglie e osserva tutto con grande accuratezza senza avere una teoria; ha sicuramente come premesse implicite quelle creazioniste della teologia naturale di Paley (la perfezione adattativa degli organismi testimonia l’esistenza di un sommo progettista). Le premesse epistemologiche derivanti dall’appartenenza a una cultura, tanto più profonde quanto meno consapevoli, sono quelle che fanno da filtro interpretativo, inserendo nella propria mappa qualunque dato provenga dall’osservazione del territorio. Gli antropologi sono sottoposti a un doppio vincolo: devono interpretare ciò che osservano nel contesto della cultura osservata e non della propria, ma è proprio quella cultura che non conoscono; la situazione di Darwin è simile, salvo che il suo territorio è la natura, e il suo atteggiamento può essere definito etnografico. Nel caso della natura, come ci insegna Kant, non è possibile accedere direttamente al territorio, si possono solo costruire mappe, ma la qualità della mappa è la sua vicinanza al territorio; come ci ricorda Bateson, il vivente ha un suo linguaggio, perché il mondo degli organismi è governato dalla comunicazione, e il linguaggio con cui lo si descrive école numero 71 pagina 9 deve essere il più possibile coerente a quello, pena un rapporto patologico con la natura (la crisi ecologica è dovuta a “errori di pensiero”). Quando Darwin torna dal viaggio ci mette due anni a elaborare la sua teoria e tutto il resto della vita ad approfondirla. Gli appunti che scrive dal ’36 al ’381, non essendo una ricostruzione a posteriori, né tanto meno un’epopea celebrativa, ma un diario di lavoro, sono una eccezionale testimonianza di come lavora la sua mente di scienziato. Procede per esplorazioni e intuizioni, partendo dal materiale che ha raccolto, formulando ipotesi provvisorie, catturando e vagliando idee dalle letture, dalla corrispondenza con altri scienziati e allevatori, da esperimenti diretti o virtuali; mette a fuoco dei pattern di dati, li interpreta, cerca un motore causale, cerca esempi che confermano o che confutano. In lui troviamo, forse per l’ultima volta in una persona sola, il geologo e l’ecologo, lo zoologo e l’etologo, il botanico e l’embriologo, l’antropologo e il genetista (anche se premendeliano)...; alcune scienze se le inventa, ma ciò che è più significativo è che tutte convergono in una teoria unitaria, rigorosamente scientifica nel metodo, ma che fa i conti con un oggetto che non permette ripetizioni: la storia naturale. Non ha inventato l’evoluzione, ma ne ha dato una spiegazione naturalistica. Partito dalla domanda sul perché della diversità delle forme naturali, ne capovolge il significato tradizionale di deviazione da un modello (idea platonica o archetipo creazionistico): l’indiviécole numero 71 pagina 10 duo nella sua diversità è il dato naturale e la specie è un insieme di individui diversi. “Non nominare il nome di Dio invano” Anche quando non ha dubbi religiosi, Darwin non confonde il credere nell’esistenza di un Dio creatore con le rappresentazioni delle modalità della creazione che sono inevitabilmente prodotto della cultura. Per lui “non nominare il nome di Dio invano” significa non attribuire alle modalità di azione di Dio i limiti della propria conoscenza umana. Il contrasto tra la continuità del vivente nel passaggio da una forma nell’altra e la distinzione delle specie nello spazio e nel tempo Darwin lo risolve con l’idea della discendenza comune; è l’immagine dell’albero, o meglio del “corallo”, della vita. Trova nella competizione per le risorse il motore causale della sopravvivenza differenziale degli organismi, che chiama “selezione naturale” con una metafora di successo, purtroppo infelice perché (come lui stesso annota) suggerisce di nuovo l’esistenza di un soggetto esterno; individua nella ereditarietà la chiave necessaria perchè questa dinamica porti, attraverso le generazioni, all’evoluzione. Gli manca ciò che Mendel comincerà a scoprire e quindi aderisce all’idea lamarckiana della ereditarietà dei caratteri acquisiti (tanto per dire dei nostri libri di testo che evocano una disputa fasulla tra Lamarck e Darwin su questo). Gli sbagli Molti epistemologi pensano che caratteristi- ca della scienza sia quella di fare “predizioni pericolose”, nel senso che aprono la possibilità di una falsificazione. Darwin le fa a proposito dei fossili: mette in gioco un aspetto della sua teoria, il gradualismo, ovvero l’accumulo continuo e progressivo di modificazioni, e perde, perché i dati paleontologici, oggi come allora, non testimoniano un ritmo costante nel mutamento. Darwin ha commesso sbagli, nel senso che nella scienza si dà a questo termine e che si riferisce alla non adeguatezza di una teoria a dare ragione di tutti i fenomeni osservati o a predirli; ma il grande programma di ricerca evoluzionistico è vivo più che mai, perché capace al suo interno di correggere gli errori e di integrare le nuove acquisizioni. Il nucleo centrale della teoria di Darwin, la discendenza comune delle specie, è messo in dubbio solo fuori dall’ambito della comunità scientifica, esattamente come miti e fiction e metafore, di cui non si discute la significatività all’interno dei rispettivi contesti, possono rappresentarsi un Sole che gira attorno alla Terra, un homunculus preformato nello spermatozoo o una Terra vecchia di poche migliaia di anni. La Sintesi moderna degli anni 30-50 del ‘900 consolida il nucleo darwiniano con l’innesto della genetica (variazione genetica dei caratteri, competizione per le risorse, sopravvivenza differenziale, ereditarietà dei caratteri, spostamento della distribuzione della popolazione) ed esso viene poi ulteriormente esteso (sorgenti di variazione, deriva genetica, migrazione, radiazione adattativa, estinzione di massa). Non solo vengono aggiunte nuove idee, derivanti dall’esplorazione di nuovi campi, ma alcune, collocate attorno al nucleo, sono messe in discussione o addirittura falsificate, come abbiamo visto, e sostituite: il gradualismo da una pluralità di ritmi con alternanze di stasi e di radiazioni adattative che seguono le estinzioni (equilibri punteggiati), l’estrapolazionismo, ovvero l’idea che i fenomeni della macroevoluzione (speciazioni) derivano dalla dinamica microevolutiva (selezione degli individui), da una pluralità di livelli parzialmente indipendenti (gene - individuo - popolazione - clade); l’adattazionismo, cioè l’idea di una ottimizzazione funzionale parte per parte, da una pluralità di fattori di relazione tra funzioni e strutture (e tra dinamiche dell’evoluzione e dello sviluppo embrionale: Evo-Devo). La straordinaria fecondità della teoria darwiniana è testimoniata dal fatto che alcune delle idee che hanno sostituito quelle classiche hanno rimesso in gioco intuizioni che Darwin stesso aveva avuto (è il caso dell’exaptation, ovvero l’affermarsi di caratteri di origine non adattativa, o dell’importanza dei vincoli strutturali ereditati rispetto all’adattamento funzionale) o che addirittura aveva abbandonato e negato a favore del gradualismo, come la speciazione allopatrica o la trasmutazione per salti. NOTA 1.Charles Darwin Taccuini, a cura di Telmo Pievani, Laterza 2008. Una mostra si aggira per il mondo La mostra Darwin 1809-2009 (Roma e Milano) illustra il ruolo cruciale della teoria dell’evoluzione nella vita di oggi e l’appassionante biografia di uno scienziato che cercò di sottrarsi alla vita pubblica, preferendo i quaderni di appunti e il microscopio CHIARA CECI * D al 12 febbraio al 3 maggio 2009 la mostra Darwin 1809-2009 sarà aperta a Roma al Palazzo delle Esposizioni e si sposterà poi in giugno a Milano alla Rotonda della Besana. La mostra nasce presso l’American Natural History Museum di New York nel 2005 e da allora ha girato e sta girando il mondo (Philadelphia, Boston, Chicago, Toronto, Londra, Auckland, Tokyo, Osaka, Rio de Janeiro, San Paolo, Brasilia, Lisbona), raccogliendo centinaia di migliaia di visitatori a ogni tappa e si appresta a diventare la mostra scientifica con più visitatori mai realizzata, grazie alle numerose e prestigiose sedi che l’hanno ospitata in tutto il mondo. Le sezioni Prima della nascita di Darwin, la maggior parte delle persone accettava tutta una serie di idee relative alla natura, come assodate. Le specie non erano viste come imparentate fra loro in un unico “albero di famiglia”, ma come scollegate e immutabili sin dalla loro creazione. Si pensava che la Terra fosse giovane e che non fosse trascorso abbastanza tempo da permettere alle specie di evolversi. E soprattutto l’uomo non faceva parte della natura: era considerato al di sopra e al di fuori di essa. Questa sezione della mostra in- quadra, quindi, le scoperte di Darwin nel contesto storico dell’epoca, fornendo una rapida panoramica sul modo in cui gli scienziati avevano considerato il mondo naturale fino ad allora. Nella sezione “un giovane naturalista”, si può seguire la storia della famiglia e degli anni di studi dell’avido collezionista e osservatore di piante, insetti e rocce. Grazie alla importante presenza di oggetti appartenuti a Darwin, ritroviamo in questa sezione la storia di come egli crebbe e la sua trasformazione da studente indifferente in grandioso naturalista ossessionato dai coleotteri. Quella che parla del viaggio sul Beagle è la sezione centrale della mostra, dove si possono seguire le tracce dell’evoluzione del pensiero di Darwin attraverso il suo viaggio di cinque anni intorno al mondo. Qui la mostra presenta documenti originali e qui gli animali vivi saranno i protagonisti: iguana, armadilli e tartarughe. Si possono ripercorrere il viaggio di Darwin e i suoi studi, la scoperta di fossili e di specie di flora e fauna uniche al mondo, che lo affascinarono: i nandù e gli armadilli (compresa la speciale ricostruzione di un gliptodonte gigante, un animale estinto simile all’armadillo, dalle dimensioni del rinoceronte), le tartarughe delle Galápagos, i colibrì, i pinguini, le sule dai piedi azzurri, e tanti altri animali e piante. Pochi mesi dopo lo sbarco dal Beagle, Darwin si stabilì a Londra e si gettò immediatamente a capofitto nel lavoro, riordinando il materiale di ricerca del suo viaggio, nella speranza di potersi finalmente unire alla cerchia dei “veri naturalisti”. Contemporaneamente, un’idea molto importante cominciò a prendere forma nella sua mente e in questa sezione della mostra sarà possibile vedere come gli anni londinesi furono intensi e ricchi di attività febbrili e creatività. Charles si sposò con Emma ed ebbe i suoi primi due figli, si fece un nome in campo scientifico e intraprese un altro tipo di viaggio, questa volta all’interno della sua mente. Fu a Londra che riuscì brillantemente a far combaciare tutti i pezzi della sua teoria dell’evoluzione tramite la selezione naturale. Qui le idee iniziano a prendere forma. Nel 1842 con la sua famiglia Charles si trasferì a Down, nel Kent, alla ricerca di un po’ di pace e di tranquillità. Down House sarebbe stata, per i quaranta anni a venire, il suo rifugio, il laboratorio di ricerche ed il fulcro di un’ampia rete scientifica e fu lì che, con pazienza, Darwin completò la sua opera sull’evoluzione delle specie per selezione naturale, lavorando nel suo studio, nella serra e nel giardino, intrattenendo una fitta corrispondenza con scienziati in ogni parte del mondo. Nella mostra si può seguire questa parte della vita del naturalista osservando i suoi appunti e le lettere che raccontano questo periodo. Una spettacolare ricostruzione dello studio in cui Charles lavorava ci permette di calarci completamente nel mondo dell’uomo che cambiò per sempre il nostro modo di guardare alla natura e al nostro posto in essa. Centocinquanta anni fa, Charles Darwin offrì al mondo un’unica e semplice spiegazione scientifica per la diversità di vita sulla Terra: l’evoluzione per selezione naturale. Da allora, gli scienziati hanno scoperto quanto sia stato fondamentale il lavoro di Darwin per la loro ricerca, che si tratti di combattere virus, decodificare il Dna o analizzare testimonianze fossili. Oggi possiamo dare delle risposte alle questioni sul mondo naturale con modalità impensabili all’epoca di Darwin; grazie ai nuovi strumenti e a tecnologie legate, ad esempio, all’analisi del Dna, siamo in grado di rivelare relazioni tra gruppi apparentemente diversi fra loro; i metodi accurati di datazione fossile dimostrano che l’evoluzione procede secondo ritmi variabili e non sempre graduali e le ricerche sull’embriologia contribuiscono a fornire spiegazioni riguardo alla formazione delle specie. Nella sezione “evoluzione oggi” la mostra vuole sottolineare come Darwin sarebbe sorpreso – e probabilmente molto felice – di poter vedere come le nostre nuove conoscenze abbiano aiutato il progredire della sua teoria. Questa sezione presenta la biologia evoluzionistica e le nuove metodologie di ricerca, a dimostrazione dei grandi progressi compiuti in questo settore. école numero 71 pagina 11 Il rapporto con gli scienziati italiani Siccome in tutti i lavori di Darwin sono numerose le citazioni e i riferimenti agli studi condotti da scienziati italiani, Darwin 1809-2009 dedica un’intera nuova sezione al nostro paese e a al suo rapporto con il naturalista inglese. Per Niles Eldredge e altri storici del pensiero biologico il fatto che Darwin abbia conosciuto le teorie del geologo Giovanbattista Brocchi, tramite il libro I Principi della Geologia di Charles Lyell, è stato un fattore fondamentale per la nascita delle sue idee sull’evoluzione. La sezione presenta come fu accolta la teoria dell’evoluzione in Italia, mostra in che modo il nostro Paese sia stato coinvolto nella rivoluzione evoluzionistica e come molti scienziati italiani furono in contatto con Darwin. In questa parte sono esposti diversi documenti originali (principalmente provenienti dalla Cambridge University Library), come lettere spedite e ricevute da Darwin, che lo collegano a molti scienziati Italiani importanti (Federico Delpino, Paolo Mantegazza, Giovanni Canestrini, Anton Dohrn) e sottolineano come la corrispondenza tra Darwin e questi scienziati Italiani è stata molto significativa per l’elaborazione delle sue teorie. A dimostrazione del forte legame tra Darwin e le sue teorie e la scienza Italiana, si possono ammirare i diplomi, le attestazioni di appartenenza e i premi inviati da alcuni delle più importanti accademia italiane. L’evoluzione umana Rispetto a tutte le altre edizioni della mostra, Darwin 1809-2009 ha una nuova sezione sull’evoluzione umana curata da Ian Tattersall: qui si mostra l’aspetto diversificato e pluralistico della storia degli ominidi, l’origine africana delle nostre specie e la nostra stretta parentela con gli scimpanzé e i gorilla, confermata dai dati archeologici e paleontologici, come da quelli genetici e molecolari. Un’attenzione particolare viene data alle scoperte paleontologiche italiane e, per la prima volta, comparirà il cranio di Ceprano. La sezione termina con l’ultimo aggiornamento sulla coabitazione di Homo sapiens e di Homo neanderthalensis, la presentazione della straordinaria diversità delle popolazioni appartenenti alla nostra specie e la conseguente crisi dell’idea biologica di razza umana. Darwin 1809-2009 vuole raccontare come, due secoli dopo la nascita di Darwin, le sue intuizioni rimangono fresche e vitali; un uomo che da giovane osò chiedersi in che modo il mondo naturale fosse arrivato ad apparire tale ai nostri occhi e la risposta che si diede non fece che accrescere il suo stupore. * Chiara Ceci, laureata in Scienze naturali, si è specializzata in Comunicazione della scienza frequentando il Master della SISSA di Trieste. Membro del direttivo della SIBE, la Società Italiana Biologia Evoluzionistica, redattrice di Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Lavora come coordinatrice scientifica e assistente alla curatela per la realizzazione dell’edizione italiana della mostra Darwin 1809-2009. école numero 71 pagina 12 Gestazione di una teoria Probabilmente nessuno oggi conserva un’immagine di scienza come collezione di verità raggiunte e atemporali, indipendenti dal percorso storico e biografico degli scienziati, da memorizzare e ripetere per fugare ogni dubbio su determinate questioni. Proprio per questo, un documento inestimabile come i taccuini di laboratorio di Darwin, che egli scrisse per sé senza alcuna intenzione di pubblicarli, offrono a chi voglia davvero interrogare il vivente con un approccio scientifico il repertorio di domande, di riflessioni, di strade percorse e abbandonate, di stimoli che hanno portato poi il naturalista inglese alla teoria della selezione naturale EMANUELE SERRELLI* «P erché la vita è breve? perché la generazione è un così alto obiettivo?». Questa frase potrebbe essere stata espunta da un libro di filosofia, di quelli che si pongono i più alti interrogativi esistenziali. Si tratta invece di una riga scelta quasi a caso – devo essere sincero – da uno dei taccuini di Charles Robert Darwin (Taccuino B, foglio 3), ora in parte disponibili anche in lingua italiana, e destinati a mio parere a essere una miniera virtualmente inesauribile per chi si occupa di evoluzione, e anche per coloro i quali sono interessati al suo apprendimento. Perché la vita è breve? Si può rispondere in molti modi a questa domanda. Le parole immediatamente successive di Darwin recitano: «Noi sappiamo che il mondo è soggetto a cicli di cambiamento, alla temperatura e a tutte le circostanze che influenzano gli esseri viventi». Quello che Darwin ha sempre cercato è una spiegazione naturalistica. Che cosa si può trovare, in natura, che influenza la durata della vita? E quali sono i fattori decisivi che la rendono breve? Poi la nota si interrompe. Ne inizia un’altra che accenna, da un altro punto di vista, alla generazione nelle piante, e così via in diversi campi dalla geologia alla zoologia e alla botanica, dalla biologia della riproduzione alla biogeografia e alle culture umane. La serie di taccuini raccolta in questa edizione italiana corrisponde, come nota il curatore Telmo Pievani, «alla fase di massima diversificazione iniziale degli interessi di Darwin» (p. 7). Fu iniziata da lui nel 1836 a bordo del Beagle – il brigantino su cui aveva viaggiato per cinque anni e che era già sulla rotta di ritorno a Londra. Ma perché la vita è breve? Perché gli organismi non vivono di più? Anche a questa domanda naturalistica è possibile rispondere in vari modi, utilizzando strategie e logiche diverse. Nei Taccuini assistiamo alla lunga nascita di una logica che va in cerca delle “cause remote” di ciò che vediamo negli esseri viventi, ancora oggi al cuore della spiegazione evoluzionistica: se qualcosa oggi esiste, è perché nel corso di eventi storici e concreti ha prevalso su altre possibilità, attraverso una trasformazione cumulativa che va ben al di là della vita del singolo organismo. In qualche modo, in qualche tempo, in qualche luogo, la caratteristica di “avere la vita breve” e quella di “avere ben presente l’obiettivo della generazione” hanno goduto di vantaggio rispetto ad altre caratteristiche, si sono affermate e diffuse all’interno di popolazioni, hanno continuato a trasmettersi generazione dopo generazione, funzionano e continuano a prevalere contro altre potenziali alternative. Ancora oggi, nel 2008, l’invecchiamento e la morte costituiscono un problema teorico e sperimentale aperto per la biologia evoluzionistica, ma una delle principali spiegazioni è ancora lì, nella logica della selezione naturale che vede la durata media della vita degli organismi di una specie o di una popolazione come il risultato di una complessa e fine sintonizzazione che si compie generazione dopo generazione dando forma e conservando tutti quei caratteri e quei meccanismi che maggiormente garantiscono la trasmissione di se stessi alla generazione successiva nel particolare contesto ecologico in cui si trovano. Ma nel foglio 3 del Taccuino B – nel 1837 – Darwin non aveva ancora chiaro il concetto di selezione naturale, anche se ci stava arrivando. E questa per noi è un’occasione eccezionale. Possiamo soffermarci su una pagina, su una riga, e seguendo le orme di un grande scienziato porre a noi stessi quelle domande che si pose lui, senza poter ottenere la risposta subito e a buon mercato. Dalla lettura dei taccuini assaporiamo alcuni aspetti di un contesto in cui vi erano meno conoscenze di quante ne abbiamo oggi, ci immedesimiamo e comprendiamo meglio come facessero gli studiosi del passato a “farsi certe idee”. Ma a ben vedere quello che stupisce di più nella lettura è l’attualità, la profonda contemporaneità delle domande poste da Darwin a se stesso, domande che rivestono ancora oggi un vivo interesse per noi. Certo, a molti di questi interrogativi la scienza ha dato risposte brillanti, ma queste hanno aperto nuove e interessanti vie di ricerca1. E poi, a quante di queste risposte possiamo facilmente accedere nella nostra vita quotidiana? Non è forse vero che nella maggior parte dei casi abbiamo semmai molti meno elementi di Darwin per rispondere alle domande che egli annotava sui suoi fogli? La curiosità, il rigore e la pazienza di Charles Darwin possono forse darci lo spunto per valorizzare quello che le nostre scuole rischiano di mortificare. Studiare l’evoluzione oggi con in mano i taccuini può voler dire porsi una miriade di domande sul vivente e non solo, riempiendone i propri taccuini prima di andare a cercare risposte da imparare a memoria. I Taccuini ci danno anche l’occasione di vedere come nasce un’idea scientifica, un programma di ricerca. La struttura logica, inflessibile e automatica del meccanismo di selezione naturale potrebbe dare l’idea che esso sia nato “tutto insieme”, come una specie di intuizione pura. Ebbene, i Taccuini di Darwin dimostrano che non è stato affatto così. Anche i concetti logici più stringenti possono essere costruiti pezzo per pezzo, con movimenti di avanti e indietro, e ritorni sui propri passi. Osservazioni che appaiono slegate possono essere dimenticate, poi riprese e riutilizzate. Ricordi e idee che sembrano abbandonati per sempre possono riemergere molto, molto tempo dopo. In questi taccuini lo scienziato ha molte idee anticipatrici della “sua teoria”, ma anche idee che abbandonerà, e che verranno in parte riprese ed esplorate solo 100 o 150 anni dopo. Perché la vita è breve? Grazie al minuzioso lavoro dei curatori dell’edizione originale – quelli che hanno tenuto in mano i taccuini e i libri di Darwin cercando di raccapezzarsi nel suo percorso intellettuale – sappiamo esattamente che l’autore si appuntava questa domanda mentre stava leggendo i libri del nonno Erasmus Darwin, Zoonomia e il poema The temple of nature. Sappiamo addirittura quali pagine di quei libri stava leggendo, e le note a margine che aveva appuntato. Sappiamo anche davanti a quali esperienze, a quali osservazioni del mondo fisico e vivente la sua mente si era fermata colpita, stupita e colta da domande e intuizioni. In nota troviamo questi rimandi, conservati dall’eccezionale lavoro di traduzione svolto da Isabella C. Blum con l’aiuto del curatore Pievani, che ci consegna l’immagine di uno scienziato in connes- I TACCUINI SEGRETI DI CHARLES DARWIN Charles Darwin, Taccuini 1836-1844 (Taccuino Rosso, Taccuino B, Taccuino E), edizione italiana a cura di Telmo Pievani, prefazione di Niles Eldredge, traduzione di Isabella C. Blum, Laterza, Bari, 2008, pp. XV + 373, euro 20. Il libro è la traduzione integrale del Taccuino Rosso, del Taccuino B e del Taccuino E, tratti da Charles Darwin’s Notebooks, 1836-1844. Geology, Transmutation of Species, Metaphysical Enquiries, transcribed and edited by Paul H. Barrett, Peter J. Gautrey, Sandra Herbert, Kohn e Sydney Smith (The Trustees of the British Museum, 1987). Dell’edizione originale inglese sono proposte anche le note e l’apparato critico. L’edizione italiana è introdotta da Niles Eldredge, uno dei principali evoluzionisti contemporanei, attento studioso degli scritti giovanili di Darwin e autore insieme a Stephen J. Gould della “riscoperta” del carattere punteggiato dell’evoluzione delle specie. sione con altri, che legge i libri degli altri, si appunta letture interessanti da fare e persone esperte da consultare che potrebbero aiutarlo a comprendere e a rispondere. Scrive per se stesso, per aiutare il proprio pensiero e la propria memoria Charles Darwin dal 1836 al 1844 nel segreto delle sue avventure, delle sue camminate, delle sue stanze, riempiendo taccuini che non sono destinati a pubblico alcuno – su uno di essi addirittura campeggia la scritta “Nothing for any purpose”, cioè “nulla di utile per alcuno scopo”. Sono gli appunti personali del padre della teoria dell’evoluzione, nonché del meccanismo della selezione naturale che ne è tutt’oggi al cuore. Certo, serve una buona guida per comprendere e utilizzare questo tesoro. La curatela di Telmo Pievani, con un’introduzione specifica per ogni singolo taccuino, è un buon punto di partenza. Perché la vita è breve? Perché la generazione è un così alto obiettivo? Cosa ne dite ora di mettervi in moto per fare ipotesi, per studiare e cercare una risposta, naturalistica, a queste domande? Ed è solo una riga… * Collaboratore di Telmo Pievani, autore dell’edizione italiana dei Taccuini NOTA 1. Alcuni esempi: è sufficiente la selezione naturale per spiegare questo particolare carattere? La selezione naturale è più o meno importante dei vincoli strutturali o dei fattori storici? Il punto di arrivo è determinato oppure conta la contingenza? Il cambiamento è sempre lento e graduale? A quale livello si spiega l’invecchiamento? Dei geni? Dell’organismo? Dello sviluppo? Del contesto ecologico? La selezione opera solo al livello del singolo organismo oppure agisce anche tra popolazioni o tra specie? école numero 71 pagina 13 Gradualismo darwiniano e didattica Il tema della velocità dell’evoluzione, classico argomento della biologia evoluzionistica passata e presente, nonostante l’importanza e la centralità rispetto agli altri elementi della teoria darwiniana, nella didattica scolastica di ogni ordine e grado non è affrontato in maniera efficace, risultando spesso poco definito e lontano dalla percezione da parte dello studente GIORGIO NARDUCCI* L a velocità della “discendenza con modificazione” – così più propriamente Charles Darwin chiamava l’evoluzione dei viventi – è stata affrontata prevalentemente in un ottica gradualista: «Tuttavia, in moltissimi casi, una forma viene classificata come varietà di un’altra, non perché si siano effettivamente trovati gli anelli intermedi, ma perché l’analogia induce l’osservatore a supporre che questi anelli esistano in qualche luogo o possano essere esistiti in passato. In questo modo danno ampio adito a dubbi e congetture», così scriveva nel Cap. II, “La variazione in natura”, dell’Origine delle specie. La domanda centrale per Darwin era: «Ed allora perchè ogni formazione geologica ed ogni strato non è rigurgitante di queste forme intermedie? [...] Secondo me la spiegazione va ricercata nell’estrema imperfezione della documentazione geologica.» (Cap. IX, “Imperfezione della documentazione geologica”). Darwin era comunque cosciente del fatto che la mente umana per una serie di motivi propende per le interpretazioni gradualiste: «Queste differenze [tra specie, sottospecie e varietà] si confondono l’una con l’altra in una serie insensibilmente graduata e la serialità fa nascere nella mente l’idea di una vera e propria transizione.» (Cap. II, “La variazione in natura”). In un brano assai interessante della VI edizione (1872) dell’Origine delle specie (nelle parentesi quadre le novità rispetto alle preceécole numero 71 pagina 14 sente un paragrafo descrittivo sull’argomento, ma altra cosa è spiegare e proporre il tema nelle classi, specialmente nel caso di studenti più adulti, e quindi svolgere esercitazioni e momenti di discussione. Risulta difficile la comprensione di questo elemento così basilare del pensiero evoluzionistico e mettere in luce i pregiudizi che inevitabilmente segnano la nostra percezione del “tempo profondo” e quindi delle conseguenze che ne derivano. In maniera apparentemente semplice e facilmente ripetibile da diversi anni sto proponendo, di solito nelle due ultime classi della scuola secondaria superiore, questa “esercitazione” con successiva discussione dei dati originati: in circa un’ora gli studenti devono individuare nella loro esperienza un certo numero di eventi (relativi non solo ai fatti biologici e evolutivi ma anche alle loro esperienze personali) che considerano graduali e “non graduali”. Inevitabilmente l’elenco degli eventi graduali è lungo e facile da definire, mentre l’altro che rivela discontinuità e “incertezza” è breve e spesso si nota una certa difficoltà nell’elaborazione da parte dei ragazzi; inoltre – e questo mi pare assai interessante! – alcuni fatti appaiono riconoscibili dai ragazzi sia in un’ottica gradualista che non gradualista. Osservazioni Ho scelto due osservazioni, tra le moltissime proponibili, che mi appaiono molto profonde di studenti del penultimo anno del Liceo Classico: «La crescita di un essere umano ad esempio è graduale, infatti gli unici ad accorgersene all’improvviso sono quelle persone che incontrano raramente il giovane, per questo i lontani parenti dicono sempre “quanto sei cresciuto!”. Invece il ragazzo in crescita non se ne rende conto, solo pensando a se stesso anni prima realizza quanto sia cambiato. … Gli eventi graduali aiutano di più gli esseri umani, che davanti agli eventi di altro tipo si trovano spesso spiazzati.» (Barbara, 17 anni, Roma, 23 gennaio 2006). «Gli eventi graduali possono essere controllati più facilmente dall’uomo, mentre quelli non graduali hanno un carattere di imprevedibilità e per questo sfuggono al suo controllo.» (Giacomo, 17 anni, Roma, 3 febbraio 2004). È interessante notare come questi due ragazzi, indipendentemente dalle “lezioni” dell’insegnante di Scienze (prima infatti non erano state proposte lezioni sull’argomento), abbiano colto dettagli così precisi relativi alla nostra percezione del cambiare dei sistemi biologici e i nostri pregiudizi sul “tempo • denti edizioni), nel Cap. X, “Successione geologica degli organismi viventi” – probabilmente anche spinto dalle critiche di Thomas Henry Huxley – Darwin inserisce delle osservazioni che all’occhio del moderno appaiono molto vicine alla Teoria degli equilibri punteggiati di Eldredge e Gould: «Ho tentato di dimostrare [...] che inizialmente la maggior parte delle varietà è locale [e infine che, sebbene ciascuna specie debba essere passata attraverso numerosi stadi di transizione, è probabile che i periodi, durante i quali è andata incontro a modificazioni, anche se lunghi e frequenti se misurati in anni, sono stati brevi in confronto ai periodi durante i quali la specie è rimasta invariata]». In classe Se si osservano con occhio attento i libri scolastici degli ultimi anni è quasi sempre pre- DALLA PARTE DI DARWIN profondo”, lontano dalle possibilità nell’arco della nostra vita. È presente nelle parole di Barbara il rapporto spesso difficile tra soggetto e oggetto, mentre Giacomo, in maniera incredibilmente sintetica e stimolante, spiega il perché della nostra propensione nei confronti delle visioni gradualiste, sostanzialmente la principale interpretazione da parte di Stephen Jay Gould, il palentologo, evoluzionista e storico della scienza, autore del libro La struttura della teoria dell’evoluzione, opera che in gran parte discute questo aspetto. Il caso Darwin e la sua teoria – specialmente nel 2009, anno del bicentenario – è un’occasione unica per creare nelle classi in un ottica verticale, dalla scuola primaria all’università, contesti didattici ideali per stimolare osservazioni e approfondimenti utili per la formazione delle persone oltre a suscitare emozioni irripetibili per costruire la propria visione della vita. Il pensiero complesso dei ragazzi Nella didattica è importante capire e valorizzare il pensiero complesso dei ragazzi che solitamente è espresso senza particolari sovrastrutture ideologiche o di altro tipo; nelle due osservazioni è presente un “gioco” linguistico di semplicità/complessità che stupisce e fa pensare: infatti gli studenti sono capaci, in opportune situazioni e cornici didattiche che l’insegnante deve costruire e facilitare, di elaborare ragionamenti e articolazioni del pensiero esattamente come l’adulto più maturo e critico che possiede un ricco bagaglio di esperienze e studi. Queste occasioni – spesso considerate nella scuola e dai singoli insegnanti una perdita di tempo – sono invece importanti per promuovere momenti di critica argomentata e costituiscono per qualsiasi insegnante un momento di crescita professionale e personale; è poi evidente la possibilità di originare veri momenti di interdisciplinarietà in una cornice che può avere diverse configurazioni didattiche e essere riutilizzata in diversi contesti. Scrivevano Eldredge e Gould nel famoso articolo che segna l’inizio di un programma moderno di ricerca legato alla discontinuità nella natura della specie e della storia dell’evoluzione: «Le aspettative teoriche colorano la percezione in maniera così intensa che raramente nuove nozioni possono sorgere dai fatti raccolti sotto l’influsso delle vecchie immagini del mondo. Le nuove immagini devono diffondere la loro influenza, prima che i fatti possano essere visti sotto una nuova prospettiva» (Eldredge, Gould, 1972). * Insegnante di scuola secondaria superiore, fondatore del Circolo Gould di Roma. NOTA BIBLIOGRAFICA Charles Darwin, Sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita (I ed. 1859 – VI ed. 1872). Niles Eldredge, Stephen Jay Gould, Gli equilibri punteggiati: un’alternativa al gradualismo filetico, in “Models in Paleobiology”, 1972, a cura di T. J. M. Schopf. S. J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, Codice ed., 2003 (ed. americana 2002). C’è bisogno del pensiero evoluzionista? Alcuni anni fa (nel 2004) siamo stati costretti a porvi questa domanda, perché la teoria di Darwin era stata cancellata dai programmi ministeriali proposti dal ministro Letizia Moratti. La successiva marcia indietro compiuta dal ministro e dovuta alla reazione del mondo scientifico non dovrebbero lasciare adito a dubbi. Ma la domanda ha mantenuto tutto il suo spessore. E così Legambiente l’ha rivolta ad alcuni esperti – Marcello Buiatti, Giuliano Cannata, Marcello Cini, Vittorio Cogliati Dezza, Walter Fornasa, Marcello Sala –. Le risposte sono state pubblicate in un quaderno di Legambiente (Dalla parte di Darwin, Editrice Le Balze, Montepulciano, pp. 103, euro 12) dal quale emergono i motivi di fondo per cui il pensiero evoluzionista è di attualità ed è uno strumento fondamentale per la formazione del cittadino in quanto offre chiavi di lettura per comprendere la complessità dei nostri giorni e introduce alla cultura della diversità. DUE SITI PER VIAGGIARE CON DARWIN www.darwin-online.org.uk www.pikaia.eu NOTE 1 Non è un rigurgito di sciovinismo maschilista da parte mia: è la signora Rosa Giannetta che per la pubblicazione dei suoi libri usa il solo cognome del celebre marito. 2 Alcuni esempi: è sufficiente la selezione naturale per spiegare questo particolare carattere? La selezione naturale è più o meno importante dei vincoli strutturali o dei fattori storici? Il punto di arrivo è determinato oppure conta la contingenza? Il cambiamento è sempre lento e graduale? A quale livello si spiega l’invecchiamento? Dei geni? Dell’organismo? Dello sviluppo? Del contesto ecologico? La selezione opera solo al livello del singolo organismo oppure agisce anche tra popolazioni o tra specie? école numero 71 pagina 15 Evoluzione e arte L’ars docendi ci dice che un modo per facilitare l’apprendimento di un tema, scientifico o non scientifico, è quello di rendere la partenza del percorso più accattivante possibile, aiutando il fruitore ad ascoltare con la mente e a recepire meglio i fondamenti teorici o sperimentali di quanto si vuole illustrare. Un percorso che didatticamente si è rivelato funzionale allo scopo. L’esperienza è stata sperimentata con studenti del triennio della scuola superiore, ma il metodo adoperato può essere, secondo noi, usato anche con allievi delle fasce scolari precedenti ALESSANDRA MAGISTRELLI L a teoria dell’evoluzione delle specie già nei classici scritti di Charles Darwin si presenta come un lungo ragionamento scientifico non semplice da apprendere. (Accanto a una difficoltà intrinseca, va considerata anche la difficoltà dovuta a negazione e rimozione causate da idee preconcette che possono alterare le capacità di comprensione, favorendo invece il fraintendimento dei concetti. Ma qui si entra in un altro discorso). Con i miei studenti a volte mi sono servita delle arti figurative per introdurre un concetto. Ai ragazzi ho presentato la riproduzione di un dipinto chiedendone poi la descrizione sia delle forme sia del concetto che esse sottendono. Ho individuato alcune opere, né molte né ambigue, utili a trasmettere un doppio messaggio: il primo di tipo estetico (la ricerca e l’amore del bello sono proprie dell’umano), il secondo Diversitá dei viventi Questo piccolo eden è la riproduzione di una famosa pittura di giardino che si trova nella Casa dei Cubicoli Floreali a Pompei (41-54 d. C.). Un serpente si arrampica su un albero di fico di cui sono visibili i frutti, un uccello a sinistra osserva la scena. Poche decine di centimetri sono riempite da ben quattro forme di esseri viventi molto diversi tra loro. Sul fatto che la biosfera sia abitata da «… innumerevoli forme, bellissime e meravigliose [che] si sono evolute e continuano a evolversi» (L’Origine delle specie, pp. 554) non ci possono essere dubbi. école numero 71 pagina 16 Variazione convergente Bartolomeo Bimbi, Cavolfiore e radici selvatiche (1706), Firenze, Museo di Storia naturale. Un esempio di variabilità nel mondo vegetale. Darwin scrive: «Ritornando alle piante esiste un altro metodo per osservare gli effetti accumulati della selezione, cioè quello di confrontare nei giardini la diversità dei fiori delle varietà differenti di una stessa specie; negli orti la diversità delle foglie, dei baccelli, dei tuberi o di qualsiasi altra parte abbia importanza, in rapporto coi fiori delle stesse varietà […]. Osserviamo come sono diverse le foglie dei cavoli [cavolo rapa, cavolfiore, cavoletti di Bruxelles] e come sono simili i fiori; come sono diversi i fiori della viola del pensiero e come sono simili le sue foglie…» (op. cit., p. 103). Variabilità all’interno dello stesso genere Bartolomeo Bimbi, Spalliera con arance, limoni, lime e lumie (1715), Villa Medici di Poggio a Caiano. Il genere Citrus è il più importante della famiglia delle Rutacee, ne fanno parte specie notissime quali il C. aurantium (arancio amaro), il C. limon (limone), il C. medica (cedro), il C. reticolata (mandarino) e molte altre. Come mai certi generi sono tanto ricchi di specie e altri così poveri? Se lo chiede anche Darwin: «Considerando le specie unicamente come varietà ben nette e definite, fui indotto a supporre che le specie dei generi più ricchi di ciascun paese presentassero varietà più delle specie dei generi più poveri…» (op. cit. pg. 126). più concettuale e scientifico. Il primo fa da battistrada e da rinforzo al secondo che viene compreso e ricordato più facilmente. Ho usato questo metodo per esporre in classe le basi della teoria darwiniana: la diversità dei viventi; la variabilità individuale all’interno della specie e della popolazione di appartenenza; la selezione accompagnata dalle diverse forme di lotta per la sopravvivenza; l’adattamento alle regole imposte dalla selezione; la trasmissione ereditaria dei caratteri. Un punto fondamentale del ragionamento darwiniano sta nel considerare la selezione il cardine intorno a cui ruota tutto il processo evolutivo. Selezione sì, ma quale? Sappiamo che Darwin individua: la selezione naturale, la selezione sessuale, la selezione allo stato domestico. Dice Darwin: «La selezione naturale agisce soltanto conservando e accumulando le piccole modificazioni ereditate, ciascuna delle quali è utile all’individuo.» (pp. 161, in Charles Darwin, L’origine delle specie1). E sulla selezione sessuale aggiunge: «Questo tipo di selezione dipende non dalla lotta per l’esistenza contro gli altri esseri viventi o contro le condizioni esterne, ma dalla lotta degli individui di un sesso, generalmente maschi, per il possesso delle femmine. Il risultato di questa lotta non è la morte del vinto, ma la mancanza di discendenti o lo scarso numero di essi.» (op.cit. pp. 154). Mentre sulla selezione allo stato domestico afferma: «La chiave del problema sta nel potere dell’uomo di operare una selezione accumulativa: la natura fornisce variazioni successive e l’uomo le accumula nelle direzioni école numero 71 pagina 17 che gli sono utili. In questo senso si può dire che egli si è fabbricato le razze che gli sono vantaggiose.» (op.cit. pp.101). Le immagini che trovate a corredo di questo articolo sono le tappe illustrate da alcuni dipinti del passato aventi come soggetto animali o piante d’allevamento di un percorso guidato sulla selezione artificiale. * Alessandra Magistrelli è insegnante, fa parte del consiglio direttivo della Sibe - Società Italiana di Biologia Evoluzionistica e dell’Anisn - Associazione Nazionale Insegnanti di Scienze Naturali) di cui attualmente dirige il periodico quadrimestrale Le Scienze Naturali nella Scuola. NOTA 1. Questa e le citazioni seguenti sono tratte da Charles Darwin, L’origine delle specie, VI edizione, 1872, traduzione di L. Fratini, introduzione di G. Montalenti, Boringhieri, Torino, 1967. Selezione naturale Josef Schmitzberger, Sizing up the Opponent (1851), collezione privata. Darwin: «Si può dire che la selezione naturale sottoponga a scrutinio giorno per giorno e ora per ora le più lievi variazioni scartando ciò che è cattivo, conservando e sommando tutto ciò che è buono; silenziosa e impercettibile essa lavora quando e ovunque se ne offra l’opportunità per perfezionare ogni essere vivente in relazione alle sue condizioni organiche e inorganiche di vita.» (op.cit. pp. 150). In questo dipinto J. Schimtzberger rappresenta due cuccioli setter che osservano con molta attenzione una blatta. Come finirà? O per giocare o perché punti da un certo appetito… i cuccioli qui sono la selezione naturale della blatta. Selezione sessuale Monogrammista F. G. B. (Lombardia, prima metà del secolo XVIII). Un gallo e una gallina, circondati dalla prole, stanno davanti a un vassoio pieno di frutta, Dietro al gallo si vedono uova non ancora schiuse. Darwin: «Un cervo senza corna o un gallo senza speroni avrebbero poche probabilità di lasciare una prole numerosa.» (op. cit. p. 154). Ereditarietà Joshua Reynolds, The Ladies Waldegrave, (1780-1), The National Gallery of Scotland, Edinburgh. Questo quadro, dipinto da Reynolds agli inizi del XVIII secolo, rappresenta tre sorelle dell’alta aristocrazia inglese. La loro parentela non è testimoniata soltanto dalla bellezza degli abiti, dai gesti studiati, dal portamento, ma anche e soprattutto dal volto, così uguale, e dal nasino (notate?) tanto bello, tanto uguale. Senza ereditarietà dei caratteri e delle loro piccole variazioni tutti gli sforzi della selezione di accumulare piccoli cambiamenti sarebbero inutili. école numero 71 pagina 18 IDEE per l’educazione «L a riunione si sciolse, ma rimanemmo ancora a chiacchierare con gli insegnanti. Si lamentavano dello stipendio troppo scarso, dei programmi pesanti, degli alunni che non avevano voglia di far niente. «Creda a me – diceva il professor Benedetti – oggi c’è troppa gente che va a scuola. Il guaio è tutto lì». «Una sorta di bracciantato intellettuale», disse solennemente un professore venuto apposta da Roma […]. «Oggi l’insegnante in nulla, se non nella diversa prestazione d’opera, differisce dal bracciante che il latifondista ingaggia per le faccende stagionali». Era ogni anno la stessa storia, uomini di quarant’anni, con moglie e figli grandi, non erano ancora entrati in ruolo, anche perché il ministero bandiva i concorsi a ogni morte di papa…». Così scriveva Luciano Bianciardi ne Il lavoro culturale Luciano Bianciardi Il lavoro culturale (Feltrinelli, Milano 2007), libro in cui presenta, con tratto rapido e sapidamente agro, l’Italia del secondo dopoguerra. In quel testo compaiono anche gli insegnanti e il dialogo citato all’inizio, scritto cinquanta anni fa, certo non suonerebbe stonato nei locali di una qualsiasi scuola odierna. La percezione di sé che ha chi lavora a scuola non prescinde dalla modesta retribuzione che tocca ai docenti e, in generale, al personale della scuola. Troppo spesso, però, tutto si ferma ad una lamentazione fra colleghi, mentre sarebbe auspicabile usare gli strumenti della riflessione per capire in che modo, all’interno del settore scolastico, si leghino retribuzione, momento normativo e specificità del lavoro svolto. Modesta e garantita Servirebbe un’analisi articolata degli elementi concreti che hanno determinato bassi sti- INSEGNANTI Che gli insegnanti non siano mai stati ben pagati, né in un passato recente né in uno più remoto sarà luogo comune ma è anche verità. Nell’Italia postunitaria gli insegnanti elementari erano i meno pagati tra tutti i dipendenti statali e all’inizio del ‘900 Gaetano Salvemini dichiarava la sua appartenenza al “proletariato accademico”, includendo l’insegnamento universitario nel novero dei lavori mal retribuiti. Se la situazione oggi è decisamente migliorata per gli accademici, non così per tutti gli altri addetti del settore istruzione, almeno nel nostro paese Una novità straordinaria: gli insegnanti sono malpagati GIOVANNA LO PRESTI pendi per gli insegnanti in Italia. Ci limitiamo ad indicare che il motivo principale che viene addotto per giustificare i bassi stipendi, e cioè il numero troppo alto di addetti (circa un milione) di per sé non è sufficiente. Lo stesso rapporto studenti-docenti, che ci vede fuori dalla media OCSE, e che determinerebbe l’“anomalia” italiana di un esercito di inse- gnanti sovradimensionato, è causato da una serie di circostanze1 che, in conclusione, fanno apparire inesatta l’equazione molti insegnanti – bassi stipendi. In linea generale, vale ancora ciò che affermava Theodor W. Adorno negli anni Sessanta, nel suo saggio Tabù sulla professione dell’insegnante. Egli attribuisce una parte della preécole numero 71 pagina 19 venzione sociale che si ha verso l’insegnante alla scarsa remunerazione dei docenti: «La rappresentazione di quella dell’insegnante come di una professione da fame si conserva evidentemente con più tenacia di quanto non le corrisponda l’effettiva realtà»2. Nel tentativo di chiarire quali siano i fattori che determinano repulsione e sottovalutazione nei confronti degli insegnanti Adorno dà alla retribuzione un peso particolare e ne evidenzia due aspetti: l’essere modesta e l’essere garantita. Sottolinea come le libere professioni abbiano un maggior apprezzamento sociale, e di conseguenza una miglior remunerazione, proprio a causa dell’incertezza del reddito e del rischio relativo che comporta il loro esercizio. Insomma, mentre il libero professionista si mette in diretta concorrenza con altri ed ha un atteggiamento “audace”, l’insegnante, invece, un po’ vigliaccamente, sceglie di affrontare un rischio minimo, collocandosi nell’alveo di un lavoro sicuro e, anche per questo, poco retribuito. ONDA Essere e dover essere Lo status sociale indefinito dell’insegnante deriva, secondo me, anche da un’altra profonda contraddizione che opera nell’immaginario collettivo. Da un lato egli è un subordinato, un impiegato che esegue e che, per di più, non si deve confrontare con adulti ma con minori, con i quali rischia di avere sempre, e facilmente, ragione: è figura scialba, spesso priva di originalità e valore culturale, sottomessa ad una gerarchia, e ciò che gli si chiede è una mera ripetizione di conoscenze consolidate e già un po’ ammuffite. Dall’altro lato, però, l’insegnante deve essere un maestro, cui spetta il più alto dei compiti, quello dell’educazione e della formazione di giovani esseri umani. È questo secondo tipo école numero 71 pagina 20 di insegnante che George Steiner presenta con parole efficaci: «Anche a un livello modesto, come quello di un maestro di scuola, insegnare, e insegnare bene, significa essere complici di possibilità trascendenti […] Una società, come quella basata sul profitto sfrenato, che non fa onore ai propri maestri è difettosa»3. Del dilemma se gli insegnanti siano dei fannulloni inconcludenti, dei “tromboni” che hanno gioco facile con i ragazzini, dei grigi polverosi burocrati o piuttosto delle anime belle in grado di risvegliare l’amore per il sapere nelle giovani menti, porta traccia, in filigrana, ogni documento ufficiale che parli di loro e che prospetti la loro opera secondo un dover essere tanto alto quanto dimentico della realtà effettuale e delle condizioni materiali in cui il lavoro degli insegnanti si esercita. Come ogni contraddizione complessa sottratta all’analisi, anche questa tende a trovare soluzione in un puro momento ideologico, che viene spacciato come la soluzione del problema. Sto pensando alla meritocrazia che, da più parti, viene proposta come la soluzione dei problemi della scuola italiana – tutto compreso, anche il problema dei bassi stipendi. I ministri lo sanno Quali siano, dal punto di vista del reddito, le condizioni del lavoro docente ce lo hanno detto gli stessi ministri della Pubblica (ancora per quanto tempo?) Istruzione: dall’intervento di Tullio De Mauro – che nel maggio del 2000, dopo aver definito «scandalosamente bassi» gli stipendi del corpo docente proponeva aumenti per tutti gli insegnanti e premi aggiuntivi per i più bravi –, al poco convincente grido del ministro Gelmini che proclama: «Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore, dopo 15 anni di insegnamento, è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. In Germania ne guadagnerebbe 20.000 in più, in Finlandia 16 .000 in più. La media OCSE è superiore a 40.000 euro l’anno. Questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media OCSE». Dati innegabili, ai quali il ministro intende porre rimedio non con un incremento della spesa per l’istruzione pubblica (facile, logico, ci arriverebbe chiunque e non è che una/uno diventi ministro per niente!) ma con ulteriori tagli che, secondo una terminologia bipartisan vengono ormai definiti «misure per migliorare l’efficienza e l’efficacia del sistema». Autonomia e valutazione delle istituzioni scolastiche, incentivi per gli insegnanti “migliori” e presumibile tentativo di blocco di ogni automatismo di aumento stipendiale per tutti gli altri sono gli ulteriori ingredienti della ricetta Gelmini. Perciò visto che la “coperta è corta” (tanto per usare lo stile aulico che Gelmini ha usato nell’audizione in Commissione Cultura) si prospetta un futuro prossimo di bassi stipendi per la stragrande maggioranza degli insegnanti. Con quali prevedibili conseguenze per la scuola pubblica non sto a dire. D’altra parte l’impoverimento della categoria nell’ultimo quarto di secolo è da inquadrare nel generale impoverimento del lavoro dipendente in Italia. I due documenti che meglio mettono in luce tale aspetto arrivano da fonti istituzionali e sono il working paper della Banca dei Regolamenti Internazionali e l’“Indagine campionaria sui redditi delle famiglie italiane nel 2006” di Bankitalia. Secondo questo studio il reddito delle famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente risulta essersi incrementato tra il 2000 e il 2006 dello 0,3 per cento a fronte di un incremento del 13,1 per cento per il capofamiglia lavoratore autonomo. Sostanzialmente sulla stessa linea di Bankitalia è lo studio dell’IRES-CGIL che arriva a concludere che, sempre nello stesso arco di tempo, gli impiegati hanno perso mediamente 3.047 euro all’anno, gli operai 2.592 euro mentre imprenditori e liberi professionisti si collocano a più 11.984 euro. Ancora più chiaro e più allarmante il working paper della Banca dei Regolamenti Internazionali che ci dice che, dal 1983 al 2006 ben 8 punti di PIL si sono spostati dal lavoro al capitale. Tradotto in cifre più comprensibili, 8 punti di PIL equivalgono a 120 miliardi di euro. Se consideriamo soltanto i lavoratori dipendenti questo significa che ciascuno di loro, fatti i debiti conti, si ritrova un reddito decurtato di circa 7.000 euro rispetto ai primi anni Ottanta. L’enormità del dato sembra però dare finalmente una risposta meno lagnosa e confusa del solito alla geremiade della difficoltà ad affrontare la quarta (o addirittura della terza) settimana. Se tutto il lavoro dipendente si trova in stato di sofferenza, bisogna comunque aggiungere che, nel confronto internazionale, gli insegnanti italiani appaiono sottopagati rispetto ai loro colleghi OCSE: e questo vale per tutti i gradi di scuola e per tutti i momenti della carriera. Inoltre tale svantaggio risulta ancor più grave se si mette a confronto la retribuzione iniziale e quella finale: infatti il numero medio di anni di servizio per arrivare al massimo della retribuzione è di 35 anni per l’Italia, di 24 anni per la media OCSE4. Inoltre la spesa complessiva dello Stato per l’istruzione costituisce il 7,2 per cento del Pil contro la media Ocse dell’8,9 per cento. Ma né centro sinistra né centro destra, nonostante la presunta centralità della scuola nei rispettivi programmi di governo hanno prospettato un incremento di spesa per il settore istruzione; anzi, come detto sopra, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una serie di tagli, sia in termini di risorse economiche sia in termini di personale. Anche qui, se si vuole fare un’analogia con il business sector, si è assistito ad un reale aumento della produttività del singolo (due esempi: la saturazione a 18 ore e l’aumento del numero di alunni per classe) cui ha corrisposto una diminuzione di risorse economiche investite nel settore. Si è passati dai 331 miliardi di euro per il funzionamento del 2001 ai 111 del 2006, dai 259 milioni di euro stanziati per l’autonomia del 2001 ai 192 del 2006; le spese per i supplenti sono passate da 889 milioni di euro nel 2004 a 565 nel 2007. Quanto alla vexata quaestio del riconoscimento del merito attraverso un conseguente meccanismo premiale, sappiamo bene cosa è successo in questi dieci anni di “scuola dell’autonomia”. Destinare una parte del salario di tutti per costituire un fondo cui attinge una piccola parte della categoria per il proprio salario accessorio ha determinato, soprattutto nelle scuole superiori, un alto grado di dannosa conflittualità interna, la trasformazione delle scuole in “progettifici” (tale definizione, ancorché inelegante, è stata usata in senso negativo dallo stesso ex-ministro Fioroni) la corsa all’accaparramento delle risorse disponibili non tanto da parte dei colleghi più bravi quanto di quelli più avidi. È pure evidente che la scuola dell’autonomia, condotta dal dirigente-manager, non ha prodotto, stando agli studi internazionali e al rapporto Pisa, se non uno scadimento del grado di istruzione offerto dalla scuola italiana. La scuola italiana è malata ed i medici-ministri che se ne assumono la cura sembrano aver confuso l’eutanasia con la guarigione: altrimenti non continuerebbero a proporre come rimedi quelle che sono le cause del malanno. Il truffaldino concetto di “merito” presentato da Gelmini rispecchia la povertà culturale, e vorrei dire umana, della nostra classe politica – che ha dimenticato che, per poter parlare di merito, si deve almeno ipotizzare una linea di partenza che metta tutti sullo stesso piano e chiarire molto bene quali siano i parametri valutativi del merito, faccenda complessa in un lavoro in cui l’idea di “produttività” non è certo di immediata applicazione. In compenso, la nostra classe politica sa bene (lo sa, ma non lo dice) che per la società che si sta prospettando non serve una buona scuola per tutti. Una buona scuola, inevitabilmente, produce individui consapevoli e dotati di senso critico: ma questo serve davvero poco in un contesto in cui sono destinati a crescere non i diritti e le retribuzioni dei lavoratori ma il tempo di lavoro e le disuguaglianze sociali. * RSU, CUB Scuola, Itis “Peano”, Torino. NOTE 1. Tra le cause che giustificano il rapporto “sfavorevole” tra docenti e studenti per il nostro paese sono da tener in conto le seguenti: il numero di giorni di scuola superiore, ad esempio, a quello di Spagna e Francia; il numero delle ore di temposcuola, più alto in Italia per il Tempo Pieno e per l’elevato numero di discipline nelle superiori; i docenti di sostegno computati nel novero degli insegnanti e a carico dello Stato, mentre non è così in altri paesi Ocse; i più di venticinquemila insegnanti di religione cattolica. 2. Theodor W. Adorno, Parole chiave, SugarCo, Milano 1974. 3. George Steiner, La lezione dei maestri, Garzanti, Milano 2004. 4. Rapporto su dati relativi al sistema scuola presentato nel 2006 da Cgil-Cisl-Uil. ONDA école numero 71 pagina 21 REGRESSI Il “modello italiano” dell’inserimento dei minori di origine straniera si è caratterizzato, a differenza di alcuni altri paesi europei, per aver adottato fin dall’inizio la pratica dell’accoglienza degli allievi di cittadinanza non italiana all’interno delle normali classi scolastiche, evitando in tal modo la creazione di ambiti di apprendimento separati. Questa linea – messa a rischio dalla proposta della Lega Nord di istituire classi differenziate per minori di nazionalità non italiana – è stata, d’altronde, la stessa intrapresa quando la scuola si è aperta ai ragazzi di diverse provenienze socioeconomiche, diventando l’orientamento operativo nei confronti delle varie espressioni della diversità Scuola e immigrazione N el 2007 sono nati 65.000 bambini da entrambi i genitori stranieri e, se si tiene anche conto dei minori che giungono nel nostro paese per ricongiungimento, emerge che la popolazione minorile aumenta in Italia al ritmo di 100.000 unità l’anno. I minori stranieri sono in tutto 767.060, dei quali ben 457.345 di seconda generazione ovvero nati in Italia e quindi stranieri solo giuridicamente. Alla luce di questi dati si comprende come la presenza degli alunni di origine immigrata1 sia il fenomeno più rilevante che negli ultimi anni ha interessato il sistema scolastico italiano, uno dei principali ambiti di socializzazione e di inserimento sociale dei minori. Rispetto ai minori di origine immigrata e alla loro crescente presenza nelle classi, il Ministero della Istruzione dagli anni ’90 ha individuato nell’intercultura l’elemento intorno a cui far ruotare l’azione educativa, con l’obiettivo di valorizzare le differenze linguistiche – culturali; impostazione confermata poi nell’ottobre 2007. Molti studiosi concordano però nel ritenere che nel complesso questo approccio è stato caratterizzato da moralismo e in larga parte tradotto in azioni estemporanee, in taluni casi emarginanti o assimilazionistiche lasciando in ombra i grossi problemi legati all’inserimento sociale dei minori scolarizzati dovuti alla scarsità di risorse, alla debole formazione dei docenti, all’assenza di vere azioni di orientamento, di accompagnamento e di interventi coordinati tra i diversi enti formativi e territoriali. La situazione attuale Nel corso dell’anno scolastico 2007-08, su tutto il territorio nazionale, si sono iscritti école numero 71 pagina 22 WILLIAM BONAPACE 574.133 alunni con cittadinanza non italiana, pari al 6,4 % di tutti gli allievi (5,6% nell’anno scolastico precedente). Gli studenti figli di immigrati aumentano al ritmo di 70.000 unità l’anno (sono oltre il 10% in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Umbria) con una maggiore concentrazione nelle scuole elementari e medie. La componente femminile è pari al 47,7% di tutti gli alunni di origine straniera, il 51,3% nelle scuole superiori, il 45,7% nelle medie e il 46,9% nelle primarie. I bambini e ragazzi stranieri nati nel nostro Paese che risultano iscritti a scuola costituiscono il 35% degli alunni stranieri, corrispondenti al 2,2% di tutti gli studenti in totale. Poco meno di 100.000 sono gli studenti romeni (92.734), albanesi (85.195) e marocchini (76.217), quasi 30.000 i cinesi, 20.000 gli ecuadoregni, 15.000 i tunisini, i serbi e i montenegrini. Di grande attualità i dati sulla presenza di ALUNNI CON CITTADINANZA ITALIANA E NON CON RITARDO SCOLASTICO a. s. 2007-2008. Fonte MPI 2008 ALUNNI RIPETENTI CON CITTADINANZA NON ITALIANA ALUNNI RIPETENTI CON CITTADINANZA ITALIANA Iscritti con cittadinanza non italiana per età e tipo di scuola secondaria di II grado, a. s. 2007/08. Fonte MPI 2008. ETÀ LICEI ISTITUTI TECNICI ISTITUTI PROFESSIONALI ISTRUZIONE ARTISTICA TOTALE in valore assoluto 13 anni 101 75 61 7 244 14 anni 3.386 4.799 3.923 380 12.488 15 anni 5.174 8.592 8.493 675 22.934 16 anni 4.649 8.361 9.550 708 23.268 17 anni 3.884 7.254 8.604 622 20.364 18 anni 2.915 5.949 6.979 480 16.323 19 anni 1.482 3.716 4.381 259 9.838 20 anni 391 1.951 2.277 119 4.738 oltre 20 anni Totale 369 4.112 4.111 188 8.780 22.351 44.809 48.379 3.438 118,977 in valore percentuale 13 anni 41,4 30,7 25,0 2,9 100,0 14 anni 27,1 38,4 31,4 3,0 100,0 15 anni 22,6 37,5 37,0 2,9 100,0 16 anni 20,0 35,9 41,0 3,0 100,0 17 anni 19,1 35,6 42,3 3,1 100,0 18 anni 17,9 36,4 42,8 2,9 100,0 19 anni 15,1 37,8 44,5 2,6 100,0 20 anni 8,3 41,2 48,1 2,5 100,0 oltre 20 anni 4,2 46,8 46,8 2,1 100,0 18,8 37,7 40,7 2,9 100,0 Totale Dall’analisi degli iscritti in base all’età, inoltre, si può osservare che gli studenti stranieri iscritti ai licei sono più numerosi nella fascia di età considerata “regolare “, 14-18 anni, mentre per gli istituti tecnici e professionali la presenza di studenti in ritardo è consistente. alunni rom. Essi raggiungono le 12.342 unità, con un aumento del 4,3% rispetto all’anno scolastico precedente. Più della metà degli alunni “nomadi” frequenta la scuola primaria, mentre solo l’1,5% frequenta una scuola secondaria di II grado. A livello territoriale la regione con il maggior numero di studenti rom è il Lazio con 2.331 presenze. Le scuole primarie e secondarie di I grado accolgono il maggior numero di allievi di origine straniera, che rappresentano rispettivamente il 7,7% e 7,3% dell’intera popolazione scolastica di quegli ordini. Più contenuta l’incidenza nella scuola secondaria di II grado, pari al 4,3%. Modesta la presenza nei licei classici e scientifici, con un’incidenza sul totale degli iscritti, rispettivamente, dell’1,4 e dell’1,9%. Negli istituti professionali invece rappresentano l’8,7% del totale degli studenti e il 4,8% negli istituti tecnici, raggiungendo complessivamente il 78,3% di tutti gli studenti di origine straniera iscritti nelle scuole superiori. Situazione quest’ultima da prendere in seria considerazione; infatti, nello stesso momento in cui la scuola secondaria di carattere liceale negli ultimi decenni è venuta “democratizzandosi”, accogliendo giovani di tutte le fasce sociali, sembra, almeno per ora, non essere particolarmente attrattiva nei confronti dei giovani di nazionalità non italiana. Al fine di evitare processi che potrebbero condurre a meccanismi di segmentazione scolastica a carattere “etnico” e sociale con il conseguente rischio di produrre una debole mobilità sociale e perpetuare stereotipi e pregiudizi, si intravede la necessità di attivare azioni positive da parte del mondo della scuola nei confronti dei minori di origine immigrata che stimolino e promuovano le loro motivazioni e le loro aspettative con adeguati interventi di orientamento e sostegno école numero 71 pagina 23 molto più e molto meglio di quanto avvenga. Purtroppo però il mondo della scuola italiana non sembra essere adeguatamente attrezzato a rispondere a queste sollecitazioni in termini di risorse finanziare e umane, mentre le competenze degli insegnanti rispetto a questo problema risultano spesso frammentarie e disomogenee. Non è solo questione di scuola È importante sottolineare che da questi stessi dati difficilmente si possano trarre conclusioni generali sulle attitudini scolastiche dei minori di origine straniera. Molte sono le variabili che possono entrare in gioco nella scelta dell’indirizzo formativo e che incidono sull’esito scolastico. Diverse ricerche hanno evidenziato l’incidenza di alcuni elementi, comuni sia ai ragazzi italiani che ai figli degli immigrati: il clima relazionale della classe, il rapporto con i compagni e gli insegnanti, gli stili di insegnamento, le aspettative delle famiglie che puntano in modo particolare a percorsi facilmente spendibili sul mercato del lavoro, i significati attribuiti all’istruzione, il grado di fiducia verso il proprio futuro. La letteratura ha messo in evidenza come, piuttosto che l’“appartenenza nazionale” o il semplice fatto di essere immigrati, siano ben altri i fattori che interagiscono nella costruzione delle aspettative, delle aspirazioni e delle potenzialità dei figli degli immigrati rispetto alla realtà scolastica. Tra questi un peso rilevante è assegnato ai contesti familiari e sociali di appartenenza, alle risorse linguistiche e culturali di cui sono in possesso, al periodo di permanenza nel nuovo paese e all’età posseduta dal minore al momento del suo arrivo in Italia. Tutti aspetti su cui è indispensabile lavorare con adeguate azioni di orientamento e di supporto. Ritardi e insuccessi Un altro aspetto particolarmente critico è la realtà del ritardo e dell’insuccesso scolastico tra i minori di origine straniera che, come evidenziato dai grafici presentati, risulta essere particolarmente elevato in ogni ordine e grado scolastico con differenziali significativamente negativi nei confronti dei minori di nazionalità italiana. Quella che emerge è una realtà problematica e fortemente squilibrata quindi, in cui la precarietà e gli squilibri sono ancora molto evidenti e richiedono azioni incisive ancora poco presenti e nel complesso frammentarie e scarsamente coerenti e continuative. Un percorso in salita del cui esito ne va la coesione sociale, il nostro futuro e il modello di società dei prossimi decenni. NOTA 1. Gli immigrati in Italia appartengono a 191 nazionalità differenti. Nonostante ciò il nostro paese non si trova di fronte a una vera e propria polverizzazione delle presenze, infatti nel tempo si è venuta strutturando una composizione prevalentemente euromediterranea. école numero 71 pagina 24 Secondo la stima elaborata dal XVIII Dossier sull’immigrazione della Caritas – presentato il 30 ottobre scorso – la presenza degli immigrati oscilla tra i 3.800.000 e i 4.000.000, su una popolazione complessiva di 59.619.290 persone, con un’incidenza del 6,7% (leggermente al di sopra della media UE, che è stata del 6,0% nel 2006), ponendo il nostro paese tra le prime nazioni europee per incidenza migratoria LUNGO LE STRADE DEL FUTURO WILLIAM BONAPACE L a prima collettività, raddoppiata in due anni, è quella romena (624.741 residenti e quasi 1.000.000 di soggiornanti), seguita da quella albanese (401.915) e marocchina (365.908); un poco al di sopra e un poco al di sotto delle 150.000 unità si collocano, rispettivamente, quelle cinese e ucraina. La dimensione globale delle grandi città italiane anticipa quello che sarà il futuro del resto dell’Italia. A Milano l’incidenza degli stranieri è del 14% e 1 ogni 4 è minore (quasi 50.000 su un totale di 200.000), mentre a Roma l’incidenza si attesta sul 10%, dove l’intera popolazione immigrata raggiunge le 300.000 unità. I flussi registrati nell’ultimo decennio sono tra i più alti nella storia d’Italia, paragonabili – se non superiori – al consistente esodo verso l’estero degli italiani nel secondo dopoguerra. Si pensi solamente che nel periodo 2005-2007 sono state presentate circa 1.500.000 domande di assunzione di lavoratori stranieri da parte delle aziende e delle famiglie italiane: 251.000 nel 2005, 520.000 nel 2006 e 741.000 nel 2007, con una incidenza, rispetto alla popolazione straniera già residente, prima del 10%, poi del 20% e nel 2007 del 25%. Il contributo dei lavoratori stranieri all’economia del nostro paese è ormai rilevante incidendo significativamente sulla quota di ricchezza prodotta, come dichiarato dall’Unioncamere che ha quantificato nel 9% il peso che gli immigrati assicurano al PIL. Anche il gettito fiscale assicurato dai migranti è considerevole: nel 2007 è stato di 3 miliardi e 749 milioni di euro, dei quali 3,1 miliardi per i soli versamenti Irpef e le restanti somme per diverse altre voci (addizionale Irpef regionale, Ici, Imposte catastali e ipotecarie). Una realtà ben lontana, quindi, da quell’immagine dello straniero come persona assistita che pesa sul sistema del welfare. La massima concentrazione di lavoratori immigrati, pari ai due terzi del totale, si rileva nel Nord. A Brescia è nato all’estero 1 lavoratore ogni 5 occupati, a Mantova, Lodi e Bergamo 1 su 6, a Milano 1 su 7; sempre a Brescia è nato all’estero 1 assunto ogni 3 e a Milano 1 ogni 4, mentre in tutta la Lombardia i nuovi assunti quasi per la metà (45,6%) sono nati all’estero. Nel Veneto, all’inizio del 2000 erano 20.000 le aziende che ricorrevano ai lavoratori stranieri, mentre ora sono 40.000. Questi dati fanno ben capire che l’Italia non può fare a meno dell’apporto degli stranieri e che il loro ruolo è indispensabile al sistema economico oggi e lo sarà sempre più nel futuro, infatti, secondo i tre scenari demografici (basso, centrale e alto, a seconda dei parametri prescelti) possibili elaborati dall’Istat per i prossimi 40 anni, emerge un duplice fenomeno: l’aumento della popolazione anziana e la diminuzione della popolazione in età da lavoro. L’età media, dai 42,8 anni del 2007, passerà a 49 anni a metà secolo. La popolazione attiva, da 39 milioni del 2007 scenderà nel 2051 a 30,8 milioni nello scenario basso, 33,4 milioni nello scenario medio e 35,8 nello scenario alto. Le persone con 65 anni e oltre, rispetto agli attuali 11,8 milioni, nel 2051 diventeranno 22,2 milioni nello scenario alto, 20,3 milioni nello scenario medio e 18,3 milioni nello scenario basso. La conseguenza sarà (a condizione che non si assista a catastrofi politiche, sociali e ambientali) che a metà secolo gli stranieri nel paese, al netto di quelli che diventeranno cittadini italiani, saranno 8,9 milioni nello scenario basso, 10,7 milioni nello scenario medio e 12,4 milioni nello scenario alto, con un’incidenza tra il 16% e il 18% sui residenti. Ecco quindi che un’azione volta a spezzare le logiche puramente economicistiche della politica dell’immigrazione, a promuovere la tutela dei diritti degli immigrati, afavorire la lotta contro le diverse forme di discriminazione palesi e occulte e contro l’economia sommersa, si rende necessaria sia per assicurare migliori condizioni di vita dei nuovi cittadini sia per migliorare le perfomacedel sistema economico del paese. Se oggi l’Italia non può fare a meno degli immigrati, certamente gli immigrati possono fare molto per l’Italia per contribuire allo svecchiamento del sistema produttivo e puntare sull’innovazione e lo sviluppo che coniughi dinamismo e giustizia sociale. INTERCULTURA Anche gli “altri” scrivono la loro storia e i loro programmi, e noi “siamo altri” per la maggior parte degli abitanti della terra. Come cambiare l’insegnamento della storia e della geografia in chiave interculturale La “globalizzazione” della storiografia MARILENA SALVAREZZA* È la sfida posta a Porto Sant’Elpidio in un seminario nazionale (agosto 2008) organizzato attorno a questa tematica da un folto gruppo di Ong italiane. Al centro della riflessione una domanda importante, come gli insegnamenti disciplinari (nel caso specifico storia e geografia) possano rispondere alle caratteristiche di una scuola sempre più connotata da varietà e complessità di utenza, e quanto le ong, diventate ormai poli formativi nella scuola e nel territorio, siano in grado di elaborare un progetto complessivo di scuola “interculturale”, adeguata a un contesto sociale locale e mondiale radicalmente mutato. «… Il respiro interculturale può distendersi quando si affina la coscienza autocritica della tradizione cui apparteniamo e quando finalmente si sperimentano viaggi di andata e ritorno tra le culture, dialoghi e forme di condivisione tra tradizioni diverse, imparando così a riconoscere un orizzonte di senso più vasto per tutti», è stato detto in apertura dei lavori. Generazione 2 Certo, parlare genericamente di ragazzi “stranieri” è sempre riduttivo. Ognuno di loro, come ognuno di noi, è portatore di culture diverse, di storie diverse e di diversi posizionamenti identitari, legati per loro anche all’età dell’arrivo in Italia. Ma sono sempre più numerosi i ragazzi nati sul territorio italiano da genitori di origine straniera – generazione 2 si autodefiniscono –, e devono comunque affrontare difficoltà importanti, tra cui la sofferenza per la messa in discussione di alcuni valori e codici di comportamento tradizionali della loro famiglia. Trovarsi a vivere tra due culture senza appartenere veramente a nessuna delle due è come stare in una terra di nessuno, e in molti casi porta drammaticamente a non sapere chi si è. Peraltro, i generazione 2 non sono tanto diversi dai “nostri” ragazzi. È comune a tutti gli adolescenti la demotivazione, frutto della scarsa aderenza delle proposte scolastiche alle loro strutture cognitive e psicologiche, e del gap nelle culture e nei linguaggi tra adulti e nuove generazioni. E se una parte dei ragazzi stranieri può ancora pensare alla scuola come tramite di promozione sociale questo certo non vale per la maggioranza degli autoctoni, che vedono in essa e in chi vi lavora l’esempio di “una cultura della sconfitta” rispetto ai valori dominanti. La difficoltà a costruirsi un percorso identitario positivo e autonomo porta a fare l’equazione tra identità forte e ricchezza veloce, possesso di beni, sopraffazione sociale: una scuola pubblica inclusiva e di qualità dovrebbe partire da questa sfida, con una proposta educativa e culturale che faccia interagire saperi, metodologie e forme di relazione in un progetto formativo capace di dare risposte alle domande cruciali della contemporaneità, e alle caratteristiche di chi apprende. La scuola attuale non appare capace di accogliere pienamente questa sfida, nonostante la volontà di molti insegnanti e numerose buone pratiche; la stagione che sembrava aperta dal ministro Fioroni caratterizzata dalla volontà di ricercare una “via italiana” all’intercultura, cioè un “modello” culturale scolastico capace di far spazio alle diversità e insieme di dare orientamenti valoriali e culturali condivisi, è già tramontata. E le iniziative Fratelli dell’Uomo-Frères des Hommes Fratelli dell’Uomo organizzazione di cooperazione internazionale a dimensione europea, è un ente di formazione accreditata presso il MIUR. Nella scuola propone: sostegno alla progettazione educativa in chiave interculturale; corsi di formazione per docenti e operatori della scuola; seminari e convegni; mostre e laboratori annessi; materiali didattici. Le aree di intervento sono intercultura-Pace, diritti e cittadinanza, squilibri, sostenibilità e ambiente. Fratelli dell’Uomo ha una consolidata esperienza anche nell’uso di linguaggi non verbali (teatro, cinema, musica, disegno, pittura) e delle nuove tecnologie per l’educazione interculturale. Per contatti: Marilena Salvarezza, e-mail [email protected], tel. 02.69660052. école numero 71 pagina 25 INFO “30 giorni x 30 articoli” fin qui intraprese dalla attuale ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini vanno in altra direzione. È improbabile infatti che la scuola torni ad avere autorità e rigore attraverso la reintroduzione del voto in decimi: solo ridandole senso, dignità e respiro culturale questo obiettivo può essere raggiunto. Solo se si riesce a comunicare ai ragazzi che la scuola ha valore, che sapere e saper pensare non sono inutili, che raggiungere ricchezza e facile fama da reality non è l’obiettivo supremo nella vita, solo se si tiene conto dei linguaggi e dei mondi giovanili si può sperare di invertire una tendenza; solo se si lavora a contrastare una deriva sociale fatta di individualismo esasperato e anomico e di omologazione di comportamenti e culture consumistiche. Il 7 in condotta non incoraggia il perseguimento di un progetto educativo basato sul principio di responsabilità, sulla consapevolezza delle proprie azioni e delle loro conseguenze sulla capacità di riconoscere e gestire emozioni, di confrontarsi con gli altri, di sentirsi parte di una comunità. Diventare cittadini Sembra improbabile che si possa insegnare a diventare cittadini attraverso uno studio formalizzato (meglio ancora imbalsamato) della Costituzione, studio peraltro già previsto dai programmi vigenti e sempre disatteso. Educarsi ad essere cittadini “del mondo” e non solo di un territorio e di una nazione, richiede un insieme di competenze trasversali che tutti i saperi e tutti gli ambiti di confronto scolastico sono tenuti a dare. E sicuramente non incrementa queste competenze una scuola che non spende una parola sul ruolo di partecipazione dei ragazzi, sul fatto che siano protagonisti del loro percorso di apprendimento, che non propone occasioni per agire queste competenze. I saperi sono in continua evoluzione, e gli insegnanti devono identificare quelli fondamentali per muoversi nella contemporaneità, insegnare a condurre école numero 71 pagina 26 anche percorsi autonomi di ricerca, proporre modelli di come si persegue la conoscenza, utilizzando metodi di comunicazione che non siano una semplice, meccanica trasposizione di conoscenze povere, imprecise e rigide dai libri di testo. Tempo di reti A Sant’Elpidio si è sottolineato come non sia la semplice presenza di studenti immigrati a determinare la necessità di cambiamento dei paradigmi disciplinari storico/geografici − e di altre discipline − ma piuttosto l’implosione e l’esplosione delle conoscenze, la “globalizzazione” della storiografia: anche gli “altri” scrivono la loro storia e i loro programmi, e noi “siamo altri” per la maggior parte degli abitanti della terra. Viviamo “dopo il Novecento”; e cambiano gli obiettivi di insegnamento della storia. Si insegna storia per costruire comunità e appartenenza, per fornire i cittadini degli strumenti necessari per la comprensione del mondo e per la partecipazione democratica. Per questo occorre studiare la storia “di tutti” a tutti i livelli − locale, nazionale, europeo, mondiale – e a molte dimensioni, dando spazio a soggetti e punti di vista diversi e complementari. La revisione dei canoni, per la storia come per tutte le discipline, deve essere affrontata insieme dagli esperti, dagli insegnanti e dai ricercatori in un confronto serrato con i cambiamenti sociali. Oggi la strada provvisoria è la costruzione sempre più ampia e capillare di reti − tra scuole, insegnanti, associazioni disciplinari, enti di formazione, istituzioni locali dove possibile, università – che integrino esperienze e risorse allo scopo di costruire nuovi saperi e nuove competenze professionali per una scuola che agisce in contesti culturali e sociali profondamente cambiati. * Responsabile del settore Educazione allo sviluppo di Fratelli dell’Uomo. Il 10 dicembre 2008, in tutto il mondo verrà celebrato il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. «Un documento di straordinaria importanza che in 30 articoli parla di ciascuno di noi, della dignità e del valore di ogni persona e definisce con parole chiare e semplici i nostri fondamentali diritti. Sono diritti civili e politici ma anche diritti economici, sociali e culturali. Sono diritti individuali, universali e indivisibili. Poche parole. Solo 30 articoli. Eppure, ancora oggi, pochissimi italiani li conoscono. Eppure, dietro a ciascuno di questi articoli ci sono stati tanti giovani che hanno lottato e spesso pagato con la vita l’impegno contro la guerra, la dittatura e l’oppressione, per la libertà e la giustizia. Eppure quei diritti continuano ad essere violati in tante parti del mondo e anche nel nostro paese. Ecco perché, a partire dal 10 novembre 2008, invitiamo tutti a leggere un articolo al giorno». Lo ha detto Flavio Lotti presentando la proposta “30 giorni x 30 articoli” della Tavola per la pace (www. perlapace.it). «Bastano pochi secondi al giorno per imparare, ogni giorno, uno dei nostri fondamentali diritti e, insieme, delle nostre responsabilità. Conoscili. Comprendili. Meditali. Imparali. E impegnati a promuoverli e a difenderli: per te, per noi e per tutti gli esseri umani». L’invito è a tutti i responsabili del mondo della comunicazione e dell’informazione, della scuola e di tutte le altre agenzie educative. Discriminazione Cidis Onlus, organismo impegnato nella lotta alla discriminazione e nella promozione dell’integrazione sociale dei migranti in Italia, propone un Appello contro la mozione votata alla Camera dei Deputati lo scorso 14 ottobre per istituire classi e insegnamenti separati per i bambini e gli adolescenti stranieri. Adesioni: Cidis Onlus, tel. 06 483066, fax 06 483218, [email protected], www.cidisonlus. org. La famiglia e la sua rete Come gestire la paura della famiglia per i cambiamenti? Prima di tutto imparando a distinguere tra disagio, sofferenza e patologia. Il cambiamento, come il viaggio, ha una dose intrinseca, e normale, di disagio. Su questi temi il Centro Psicologia, in collaborazione con la Scuola di Counseling Familiare e dell’Età Evolutiva, ha organizzato (25 ottobre 2008) a Gorgonzola la giornata di studio su “Famiglia. net. La famiglia e la sua rete”. Per informazioni: [email protected], [email protected], www.centropsicologia.it SAN SALVARIO COME BARBIANA Un gruppo di ragazzi che si ritrova presso l’ASAI - Associazione Animazione Interculturale nel quartiere di San Salvario a Torino, ha promosso una iniziativa rivolta a tutti i coetanei per invitarli a scrivere ai professori chiedendo loro di avere più grinta e convinzione nel migliorare la scuola superiore. Un’iniziativa che può servire alla scuola per passare da emergenza a L’ esperienze narrate idea di Arber, Darlan, Domenico, Eros, Giulia, Ionut, Massimo, Ramona, Riccardo è quella di scrivere una lettera agli insegnanti ma il loro desiderio è che venga letta anche dai genitori, dai politici, dai giornalisti per scrollarli dalla loro pigrizia. E fare in modo che la scuola «sia capace di intercettare tutti i ragazzi, non abbassando il livello delle cose da imparare ma cercando di far capire che sono importanti e che per esse merita la fatica dello studio, proprio come faceva Lorenzo Milani con i suoi ragazzi di Barbiana». L’iniziativa¹ capovolge l’immagine superficiale e sbagliata della scuola che è stata costruita sui media negli anni passati. A scuola «non ci sono solo bulli o perditempo, ragazzi “obbligati” con la forza, insegnanti frustrati e incapaci». La scuola «è un mondo complesso che va aiutato ad assumersi la grande responsabilità di fare sì che tutti i ragazzi crescendo riescano ad impossessarsi degli strumenti culturali per essere liberi di pensare con la propria testa e per accedere ad un lavoro dignitoso». [C. G.] NOTA 1. Rai Educational per tre giorni ha ripreso il lavoro dei ragazzi e ha realizzato due trasmissioni andate in onda nel mese di agosto (visibili su internet sul sito www.fuoriclasse.rai.it). Del progetto, sostenuto anche da Moni Ovaia, ha parlato, in ottobre, Luciana Littizzetto a Radio Deejay. Lettera agli studenti che frequentano il “biennio” C iao, siamo un gruppo di ragazze e ragazzi tra i 15 e i 17 anni (tra noi si sono infiltrati anche due adulti che però non danno particolare fastidio). Ci incontriamo da alcune settimane presso l’ASAI (un’associazione di animazione e aggregazione interculturale, nel quartiere di San Salvario di Torino, luogo di attività, incontro e scambio tra giovani provenienti da ogni angolo del mondo). Abbiamo cominciato a discutere facendo riferimento alla “lettera ad una professoressa” scritta dai ragazzi di Barbiana negli anni sessanta. Ci pare che le critiche alla scuola, contenute nella lettera siano ancora vere soprattutto se rivolte ai primi due anni della scuola superiore. A noi importa della scuola, anche se a volte diamo a sembrare il contrario. Vorremmo poter avere una vita più autonoma e il lavoro ci attrae, ci sembra che, lavorando, si possa essere più liberi, fare una vita da grandi e allora siamo tentati di abbandonare, di andar via. E poi non è facile stare a scuola. Già dopo la scuola elementare, nella media, molti di noi cominciano a perdersi, non riusciamo a stare dietro alle richieste degli insegnanti, non capiamo più a cosa serva la fatica dello studio, stiamo bene a scuola solo nell’intervallo e, cosa peggiore, cominciamo a pensare che la scuola non faccia per noi e desideriamo che finisca: non vogliamo più andare a scuola, lo stare a scuola diventa insopportabile e anche noi diventiamo insopportabili agli insegnanti. Spesso a scuola si finisce per dare il peggio di sé. Eppure andare a scuola fino a 16 anni non è un lusso; ci dicono che quando saremo più adulti lo capiremo bene, ma ora è difficile pensarlo. Eppure la scuola è importante ed è importante che tutti vi possano andare con profitto non perché è un obbligo ma perché può aiutarci a mettere le basi indispensabili per essere persone migliori, per avere più conoscenze, per il lavoro. Non bisogna rinunciare. école numero 71 pagina 27 Da questo anno scolastico lo Stato si è impegnato, con una legge, ad innalzare l’istruzione fino ai sedici anni, ma sembra che tutti se ne stiano dimenticando: è necessario che la scuola cambi, che migliori se si vuole sul serio che tutti vi possano e vi vogliano andare almeno fino a sedici anni Allora abbiamo deciso di prendere noi l’iniziativa, di fare, con grinta, la nostra parte: non dobbiamo perdere questa occasione. Ecco perchè ci rivolgiamo ad altri ragazzi. Abbiamo pensato di invitarvi a discutere tra voi e con noi perché insieme si scriva una lettera ai nostri insegnanti che venga letta anche dai genitori, dai politici, dai giornalisti per spingerli a prendere sul serio l’innalzamento dell’istruzione fino a sedici anni, per scrollarli dalla loro pigrizia: bisogna rendere la scuola capace di intercettare tutti i ragazzi, non abbassando il livello delle cose da imparare ma cercando di far capire che sono importanti e che per esse merita lo sforzo dello studio, proprio come facevano Lorenzo Milani e i ragazzi a Barbiana Immaginate: centinaia e centinaia di ragazzi che, in tutta Italia, da Torino a Gela, riflettano, discutano e, rivolgendosi agli insegnanti, chiedano che stare a scuola, imparando veramente, possa diventare una realtà per tutti e per ciascuno. Sarebbe una vera rivoluzione. Ecco cosa vogliamo: chiedere che tutti, ragazzi e adulti, prendano sul serio lo studio. Noi abbiamo già cominciato a ragionare; non siamo sempre d’accordo, ma condividiamo sostanzialmente questa idea di fondo: andare a scuola deve essere percepito e vissuto come una cosa importante e soddisfacente per la nostra vita non come una imposizione da cui voler scappare. Poter stare a scuola anche nei primi anni dell’adolescenza non è un lusso per qualcuno, dovrebbe poter diventare realmente un’esperienza positiva e significativa per tutte le ragazze e per tutti i ragazzi. Perché questo avvenga la scuola non può rimanere come è ora. Nella discussione alcune idee cominciano ad emergere e vorremmo proporvele come base comune di riflessione. Giulia sottolinea con forza che a scuola manca quella dimensione umana per dare senso al lavoro da fare insieme. Viene proposto di pensare al tempo della scuola come un tempo e luogo di vita in cui ci si prepara certo a diventare adulti ma “vivendo” pienamente la gioventù. Allora come deve essere questa scuola? Quali parole la possono descrivere? Abbiamo discusso a lungo sulla proposta di Ramona di garantire che la scuola sia severa. Bisogna capirci su cosa significa “severa”. Certo, dicono Darlan e Eros, non rigida né autoritaria e tutti convengono. Forse basta ricordarci che severo vuole anche dire “importante”; le cose importanti per la nostra vita école numero 71 pagina 28 sono in qualche modo “severe”, nel senso che ci impegnano. Arber interpreta il pensiero comune: la scuola deve essere autorevole, in questo senso seria e un luogo in cui si stabilisca una coerenza tra il comportamento degli insegnanti e quello degli studenti. Severo è anche contrario di “facile” e una scuola facile non serve. La scuola è utile solo se si impara sul serio. Eros sottolinea che gli studenti devono essere riconosciuti e trattati con correttezza. Così si ritorna al richiamo di Giulia sull’importanza della relazione umana. Ci si accorge che in realtà il soggetto di cui si parla e che determina la scuola è l’insegnante: è lui che deve essere autorevole, rispettoso, umano. Come tappa intermedia della nostra discussione riusciamo ad individuare alcune caratteristiche che dovrebbero avere gli insegnanti; le riassume Darlan: – umanità (capaci di ammettere gli errori e trattare tutti egualmente, di ascoltare, rispettare); – competenza (capire cosa ha bisogno un suo allievo ed essere in grado di soddisfare i bisogni di apprendimento di ognuno); – essere innovativo (in modo da non fare mai perdere ad un alunno la voglia di imparare); – restare al proprio posto (deve capire che è un insegnante e che non si può mettere allo stesso livello di un allievo, devi farsi rispettare ma anche rispettare i ragazzi, non essere un «»fate solo quello che dico io” ma nemmeno un «»fate quello che volete”). Noi, nello straordinario quartiere di San Salvario, dopo le vacanze, riprenderemo a trovarci per continuare il confronto: vi va di farlo insieme? Nel concreto la proposta è molto semplice: formate un gruppo, nella modalità che vi sembra migliore, per potervi confrontare; magari coinvolgete qualche insegnante. Per esprimere le vostre considerazioni vi proponiamo di utilizzare le regole dei ragazzi di Barbiana: 1. Avere qualche cosa di importante da dire e che sia utile. 2. Sapere a chi si scrive. 3. Raccogliere tutto quello che serve. 4. Trovare una logica su cui ordinarlo. 5. Eliminare ogni parola che non serve. 6. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando. 7. Non porsi limiti di tempo. Noi siamo disponibili a diventare il punto di riferimento: metteremo tutti gli scritti su un grande tavolo, riuniremo quelli imparentati per formare capitoli e paragrafi fino a riuscire a costruire, con i pensieri di tutti, un’unica lettera corale. Potete scrivere a cambiamolascuola@hotmail. it. Aspettiamo i vostri contributi. Arber, Darlan, Domenico, Eros, Giulia, Ionut, Massimo, Ramona, Riccardo INFO Razzismo Il video Razzismo. Per non dimenticare. “Una storia romana” di Enrica Sermoneta Moscati ricostruisce la vita nel ghetto, le leggi razziali, l’occupazione nazista, la deportazione, le delazioni, il difficile dopoguerra, la fallita emigrazione, il rientro in patria, il benessere conquistato con il lavoro, la vita di famiglia. Da vedere in questi tempi di “leggi razziste”, come Famiglia Cristiana ha definito la proposta della Lega di “classi ponte”. Gioco Gianfranco Staccioli, Il gioco e il giocare. Elementi di didattica ludica, Carocci, Roma, 2008 Dopo sei ristampe (prima edizione 1998), ecco la nuova edizione di questo libro che punta sui giochi e sul giocare in quanto “portatori di modelli etici e culturali”. Il gioco: spazio libero in cui esprimere desideri e sogni che ancora non hanno forma e peso di progetti, luogo protetto di espressione eppure palestra di quotidianità. Come accennò Aristotele sostanza di gioia e virtù, distinguendolo dalle attività praticate per necessità. Ma non per questo altrettanto necessario alla vita di ogni essere (e non solo umano). Da ciò l’importanza di conoscere, analizzare, studiare il gioco nelle sue miriadi sfaccettature e per riconoscere al giocare una funzione centrale nello sviluppo di una sfera cognitiva personale e della personalità (Jean Piaget), ma anche forza attiva per l’evoluzione affettiva (Lev Vygotskij). [Edoardo Chianura] Giocattoli Aldo Volpi, Agata Magnani, Il gioco è una cosa seria… Costruire giocattoli per esprimersi e comunicare, Carocci, Roma, 2008, pp. 126, euro 10. Come recita il sottotitolo, un libro pensato innanzitutto per costruire giocattoli attraverso schede semplici ed illustrate. Per tornare all’uso di quella manualità così importante per la crescita e sviluppo di ognuno di noi, dall’infanzia sino ad età ben più avanzate. Il gusto del fare qualcosa con le proprie mani, anche per gli altri (amici, nipoti, ecc.), e vederne il risultato per buono o scarso che sia. Una sensazione di creare qualcosa con le nostre mani che difficilmente capiremo come fare avendo già tutto lì, prefabbricato e pensato da altri. Il giocattolo diventa anche strumento di gioco, piacevole e importante, per la relazione affettiva e cognitiva con il proprio sé e con gli altri. Insomma giocattoli che “camminano, scivolano, rotolano, esplorano” il mondo interno ed esterno di ognuno di noi. Ore 13.00: si discute di democrazia e di partecipazione in una splendida sala affrescata di Milano… Un po’ di stanchezza nell’aria, anche se il confronto è vivace e le questioni in campo coinvolgenti; è l’ora della pausa gastronomica, un quasi-pranzo in piedi, come spesso in questi meeting. Al bancone si forma, misteriosamente in un solo istante, una lunga fila BIANCA DACOMO ANNONI L o riconosco anche da dietro il mio amico sconosciuto, elegante, dritto – nell’angolo il bastone – nel lungo cappotto nero, una nuvola di capelli bianchissimi, profilo aristocratico – chissà perché da direttore d’orchestra? – piatto bicchiere e cappello nero appoggiati sul davanzale della finestra; mangia piano, assorto, sguardo lungo sul verde del parco esterno, ogni tanto solleva il dito mignolo con il calice di Pinot… Anche questa volta non c’era in sala, così come non c’era l’anziana signora che gli dà le spalle: cappellino a vela sull’ampia giacca marrone d’altri tempi, guanti lunghi traforati appoggiati sulla mensola insieme al piatto stracolmo, tra un boccone e l’altro infila una mano rapida e sicura sotto la giacca, senza guardarsi attorno. Il piatto si svuota rapidamente, eccola in fila – ma come? – tra i primi, la posso osservare meglio: piccolina, guance un po’ arrossate dal trucco, una rete di rughe sottili che addolcisce lo sguardo un po’ stanco, sofferto, scarpe marroni lucidate con cura che devono avere camminato molto, un triangolo di seta beige affacciato alla tasca alta del tailleur. Non porge il piatto ai camerieri dietro il bancone, ma si serve da sola, in un attimo il piatto di nuovo stracolmo; si allontana, recupera il suo posto al davanzale e ripete l’operazione sotto la giacca, questa volta più spesso, il piatto si vuota più in fretta… ogni tanto un colpo di tosse secca. Nella fila, o negli angoli della sala, altri ignoti “compagni di catering”, i gomiti puntati su piani d’appoggio improvvisati, a terra una borsa che pian piano si gonfia. Abiti curati, sempre gli stessi, scuri, un po’ lucidi, vago sapore di naftalina, gesti ordinati e composti anche se qualche mano trema piano, nessun sorriso. Sono almeno 10 o 12, tutti diversi e tutti uguali, non fanno gruppo, non parlano con nessuno, presenza anomala e riservata che sfugge ai più, occupati in attività di lobbying. A Milano sono organizzati in una lunga lista, e ogni giorno si dividono tra appuntamenti cittadini come questo; accordi non scritti e un tam-tam che solo loro conoscono per strappare in silenzio alla tolleranza del mondo del benessere uno spazio di sopravvivenza da attraversare con dignità, quella di chi sa e non si nasconde. Spazi di vita rubati ad altre vite che li ignorano, a sguardi che non vedono; tenerezza e angoscia per vite così sole, forse disperate. le leggi corsivo TRA LE PIEGHE DELLA PARTECIPAZIONE DALLA SCUOLA DELLA COSTITUZIONE ALLA SCUOLA DEL REGIME La grande mobilitazione che ha impegnato centinaia di migliaia di studenti, genitori e personale della scuola e dell’università si è giustamente incentrata sui tagli alla spesa per l’istruzione e sugli effetti devastanti che ne deriveranno. La politica scolastica di questa maggioranza ha, però, anche un forte connotato eversivo: il Governo, finora, esautorando il Parlamento e rifiutando ogni confronto con il mondo della scuola; ha stravolto il sistema scolastico e nello stesso tempo le regole fondamentali della democrazia CORRADO MAUCERI I n questo senso la politica scolastica si collega con i provvedimenti volti a colpire l’indipendenza della magistratura, con l’attacco al potere contrattuale dei sindacati ed al diritto di sciopero, con leggi che violano il principio di uguaglianza ecc.; si concretizza sempre di più un’idea di Stato autoritario ed intollerante . Per garantire la piena libertà di insegnamento la Costituzione all’art. 33 stabilisce che «la Repubblica detta le norme generali dell’istruzione», e l’articolo 117 lettera n) riserva le norme generali alla potestà legislativa dello Stato, cioè del Parlamento; per la disciplina degli aspetti organizzativi del sistema scolastico, la Costituzione, con la riforma del titolo V, ha previsto la cosiddetta legislazione “concorrente” delle Regioni; cioè lo Stato con legge (non con regolamenti) definisce i principi nell’ambito dei quali interviene la potestà legislativa delle Regioni. Infine l’articolo 117 della Costituzione salvaguarda l’autonomia delle istituzioni scolastiche che richiede “che a tali istituzioni siano lasciati adeguati spazi di autonomia che leggi statali e quelle regionali nell’esercizio della potestà legislativa concorrente non possono pregiudicare. (Corte Costituzionale, sentenza n. 13/04). I provvedimenti Gelmini-Tremonti, approvati peraltro con decreti legge e senza un effettivo dibattito parlamentare; delegano invece il Governo ad emanare «uno o più regolamenti», anche «modificando le disposizioni legislative vigenti» per provvedere «ad una revisione dell’attuale assetto ordinamentale organizzativo e didattico del sistema scolastico» sulla base di criteri generici; con l’articolo 64 della Legge 133/08 si delega al potere regolamentare del Governo la potestà legislativa in materia di “norme generali”, con il potere regolamentare il Governo invade la competenza “concorrente” delle Regioni ed inoltre interviene sulle scelte didattiche ed organizzative che rientrano nella sfera dell’autonomia scolastica. Non si tratta quindi soltanto di tagli ingiustificati alla spesa per la scuola o di leggi approvate a colpi di maggioranza e/o con decreti legge o di scelte didattiche che penalizzano il settore più qualificato del nostro sistema scolastico, si tratta di un vero e proprio golpe: il Governo elimina ogni forma di dibattito nella scuola e con esso ogni forma di pluralismo culturale, ma soprattutto invade le competenze del Parlamento, delle Regioni e dell’autonomia scolastica. La scuola pubblica diventa in tal modo la scuola del regime. école numero 71 pagina 29 note in condotta OCCUPARE LE STRADE DI SOGNI ANDREA BAGNI G rande autunno quest’autunno. Entri a scuola e la gente ti chiede: «Che facciamo domani in piazza?», «e per la notte?», «la mattina la scuola aperta», avete chiesto alla preside?», lo facciamo un coordinamento permanente?», ... E domandano i colleghi più giovani, quelli che sembravano selezionati fra i già morti. I genitori organizzano un’assemblea e dicono deve essere informativa, “apolitica”. Arrivi e ti sembrano pazzi a prendere una sala così, anche con cento persone sembrerebbe vuota. Ma di colpo si riempie completamente, 500 forse 600 persone. Negli interventi si sentono la rabbia e l’amore – per figli e figlie, per la scuola pubblica, per la vita collettiva e i diritti degli individui. C’è anche il saluto di un operaio che legge la mozione votata dai lavoratori per la difesa della scuola pubblica. Per la democrazia e la libertà dei ragazzi. Sembra di tornare indietro nel tempo. Sembra solo, però, perché è tutto nuovo nell’energia e negli sguardi, quasi aurorale. Il giorno dopo leggo sul quotidiano locale che le rappresentanze operaie della Toscana hanno dichiarato che se Berlusconi manda la polizia contro i giovani ci penseranno loro a difenderli. Lui smentisce, ma poi spiega bene il matto del villaggio istituzionale, ex presidente: infiltrare provocare massacrare, che corrano le ambulanze e il sangue – che c’entra la polizia con l’ordine? Adesso comunque si sente un paese intorno alla scuola. Io in classe domando. Una ragazza mi dice, professore forse non ho capito tutto della 133 e 137, però voglio dire la mia, voglio che mi vedano, voglio contare. Esserci. Sento già qualche collega che dice, vedi non hanno la pazienza di studiare, vogliono solo fare casino. Ma il sapere nasce da un desiderio o non esiste proprio. E la voglia di esserci è la radice della democrazia, il diritto a esistere – e a esistere non in una solitudine triste ed egoistica, impaurita e competitiva. Hanno capito le ragazze che in gioco è questa esistenza politica, collettiva. Lo spazio pubblico come luogo di vita e non di telecomandi. Vorrebbero ridurli a presenze da supermercato, audience televisivo, target pubblicitario – nella scuola contenitori da riempire di nozioncine coperte da grembiulini e controllate da voti in condotta. Leggere scrivere fare di conto, come fosse la stessa cosa oggi di cinquant’anni fa. Come il dio-patria-famiglia di Tremonti. Grandi Valori sul vuoto delle esistenze e nel deserto delle relazioni. E i ragazzi invece danno spettacolo, non lo subiscono, come allegri situazionisti – ecco allora un mucchio di studenti come lampredotti giganti che fuggono nel centro storico in mezzo ai turisti, inseguiti da altri in camice bianco. Sono la fuga dei cervelli. I cartelli a scuola involontariamente buffi. I grandi di quinta cercano di educare i piccoli delle prime, gli dicono che devono partecipare alle riunioni, scrivono sul cartello, «dobbiamo partecipare tutti, essere uniti, siamo noi il futuro, SPARGETE LA VOCE». E inoltre, «non si portano a scuola alcol e droghe durante l’occupazione». Non è mica la scuola normale, l’occupazione è libertà, cioè autonormazione. L’incontro di noi insegnanti con i genitori è un’altra serata di mamme straordinarie. Parlano dei loro figli e delle loro figlie. Di come il rapporto con gli adolescenti chieda cura e ascolto – non calcoli economici. Basta per mandare a quel paese Tremonti e Gelmini. Chiedono come partecipare e per organizzarsi con la vita quotidiana propongono una tenda fissa in piazza, poi si potranno scegliere turni, organizzare lezioni, portare materiale. Loro si iscriveranno, come in una banca del tempo. Si sente caldo questo fare della scuola un bene comune, una cosa che ci riguarda. Una collega neolaureata parla del precariato, e aggiunge che vuole fare all’aperto la sua lezione su Cicerone: far capire chi è lei, cos’è il suo lavoro. Forma di lotta è mostrare quanto lo ama quel lavoro, quanto è fatto di domande dubbi, dialogo, ricerca. Alla fine si decide di fare qualcosa al mattino, ma anche la notte. Sconfinare, invadere la notte. Forse in onore del tempo pieno. Forse perché è la sfera del desiderio. Forse perché bisogna essere fuori misura. Durare nel tempo. Nell’università si organizzano lezioni a ciclo continuo, per 24 ore. Alle 02.30 si parla di “Chi ha paura di Darwin ovvero a cosa servono le zanzare” (sala strapiena, una parte segue altrove in streaming, caffè e biscotti per tutti in un angolo), 03.30 “Temperamento: un enigma musicale da Pitagora a Bach”. A seguire: “In cerca dei numeri primi” e via. Quando una mamma ha domandato in assemblea, diteci cosa possiamo fare, un’altra ha detto continuiamo a venire, voi raccontateci, raccontiamo. Il governo cancella il parlamento da qualsiasi ruolo, e il parlamento in democrazia è una specie di metafora: il luogo del confronto e della discussione che esprime una società che si confronta e discute. Non c’è democrazia rappresentativa se muore quella della società. Allora resistere è proprio esserci, fare tessuto, riempire le piazze. E contro il governo che cancella lo spazio pubblico, inventare una lotta che possa essere a modo suo di presenza a oltranza. Qui conta davvero durare nel tempo. Perché la lotta sarà lunga, e anche la notte. école numero 71 pagina 30 INFO Giorni nonviolenti 2009 Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l’agenda Giorni nonviolenti che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanità, per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel./ fax 0864.460006, cell. 3495843946, e-mail [email protected], sito www. qualevita.it. Donne e antimafia L’agenda dell’Antimafia 2009 quest’anno è dedicata alle donne nella lotta contro le mafie e per la democrazia, è curata dal Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato” di Palermo ed è edita dall’editore Di Girolamo di Trapani. Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 091.6259789, fax 091.7301490, e-mail [email protected], sito www. centroimpastato.it; Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel./fax 092.3540339, email [email protected], www. digirolamoeditore.com, www.ilpozzodigiacobbe. com. Laicità Philippe Grollet, Laicità, utopia necessaria. Tragelapos - L’Avvenire dei lavoratori, Quaderni trimestrali, Zurigo, 2008, pp. 190, euro 18. Segnaliamo questo libro, che viene dal Belgio, non tanto per indicare “un libro di più” sulla laicità quanto per darne, ai lettori italiani, un’idea più lineare ed europea. Il libro si riallaccia alla visione laico-umanista propria dei paesi anglosassoni e non solo quindi della tradizione francese cui siamo soliti riferirci.. Il centro del discorso è nei valori umanistici, appunto, che rifiutano ogni dogma e pensiero unico, compreso quello dell’idea che i “valori laici siano universali” poiché lo sono solo se il riferimento comune è l’uomo. Il titolo indica poi come sia indispensabile considerare la laicità come motore per un mondo pacifico e rispettoso delle differenze: un’utopia, appunto. [Stefano Vitale] nuovi arrivi INFO Luoghi neutri MIA FIGLIA È COME LE ALTRE LIDIA GARGIULO «M ia figlia è come le altre! – Qualcuno sta gridando nel corridoio del pianterreno – Mia figlia ha la stessa età, ha tutto il diritto all’istruzione, deve stare a scuola». «Ma signora…». «Lei è l’insegnante di sostegno, se lei fa il sostegno si deve occupare di mia figlia, mia figlia ha diritto». «Signora ma non è possibile, non possiamo fare miracoli, ci vuole un’altra struttura». «Vi denuncio tutti se non accettate mia figlia». Da una porta si sporge la testa bionda di una segretaria, da un’altra la testa rapata del vicepreside, poi il codino del segretario capo, a distanza di sicurezza due bidelli stanno a guardare. Dalla porta in fondo avanza la testa grigia del preside: «Che c’è, signora?». Il nuovo preside è un signore calmo e determinato, si distingue per qualcosa di antico che oggi è così raro che sembra nuovo, il rispetto per chi gli sta di fronte: per genitori e studenti, per insegnanti e personale di servizio. Arriva da fuori prima delle otto e rimane fino alla fine delle lezioni. Ha il pensiero fisso delle regole: Le regole, dice, ci vogliono regole, le regole sono importanti. E ha ragione, un istituto professionale di quattrocento studenti come fai a governarlo senza una disciplina. «Ma chi l’ha fatta entrare, signora…». «Sono entrata da sola, devo iscrivere mia figlia». «Lo vede signora, le aule sono al piano di sopra, in queste condizioni il carrello non entra in ascensore…». «Ma mia figlia ha diritto, è uguale alle altre». «Mi spiace contraddirla, signora, ma lo vede anche lei che sua figlia tanto uguale non è». In effetti “mia figlia” non è uguale alle altre. Giace nel suo lettino da quando è nata, non può stare in nessuna posizione che non sia rigorosamente orizzontale, eppure questa madre vuole vederla normale, non conosce nemmeno il nome della malattia, non ha mai voluto pronunciarlo, catturata da una demagogia scriteriata che ha imparato, e insegnato, ad eludere le denominazioni appropriate, appianando a parole le barriere ma nei fatti intervenendo poco e tardi. Il carnevale mediatico dei nostri giorni continua ad esibire felicità, cieco e sordo ai bisogni di chi ha bisogno, intento a ridurre, escludere, tagliare. Il corridoio si anima al passaggio brulicante di due classi in tuta dirette alla palestra, tra loro una buona percentuale di facce color cioccolato, di occhi a mandorla su zigomi alti del Sudamerica, di sorrisi bianchi dell’India… «Ecco qui, pensate ai negri, aiutate i cinesi, tutti questi parassiti del terzo mondo e non vi curate dei vostri concittadini». Si esprime così l’odio degli infelici che non trovano soccorso, sul bersaglio sbagliato ma visibile. Dov’è finita quella bella parola: solidarietà… «Calma, signora, sono ragazzi come sua figlia, hanno diritto. Venga in presidenza, parliamo un po’». «Ma viene anche mia figlia, non la lascio nel corridoio». «Certo». «Vieni Patty, andiamo col preside». Patty non “viene” da sola, è chiaro, è la mamma a mettere in moto quella specie di barella a ruote dalla quale Patty non si alzerà mai. Patty, com’è il mondo visto dal basso? La porta si chiude. Anna Rosa Favretto, Cesare Bernardini (a cura di), I colori del neutro. I luoghi neutri nei servizi sociali: riflessioni e pratiche a confronto, Franco Angeli, Milano, 2008, pp. 266, euro 19,50. Il mantenimento dei legami familiare è uno dei diritti fondamentali che si è andato affermando in questi ultimi vent’anni. Sia pure con evidenti contraddizioni, sia di tipo ideologico che normativo, le logiche del servizio sociale, sulla base dei dettami della magistratura e quindi della legislazione vigente, hanno favorito tale orientamento. I “luoghi neutri” sono spazi fisici gestiti da personale qualificato (educatori, psicologi soprattutto) ove i minori possono incontrare i familiari da cui sono stati (più o meno momentaneamente) separati. Strutture delicate ove la relazione è per un verso sottoposta a valutazione e l’altro sostenuta al fine di creare e ricreare le condizioni di una più sana e consapevole genitorialità. Il testo presenta esperienze, modelli teorici, dati estremamente utili anche per chi nella scuola (e molto spesso gli insegnanti sono chiamati a fare lavoro di rete su casi di questo tipo) è sensibile a problematiche educative “non riduzioniste”. [Stefano Vitale] Piccole manie Marco Belpoliti, Il tramezzino del dinosaruro, Guanda, Milano, 2008, pp. 214, euro 13. 100 oggetti, comportamenti e manie della vita quotidiana, è il sottotitolo del prezioso libretto che raccoglie i “pezzetti” pubblicati sul quotidiano La Stampa. Gli oggetti sono delle merci, ma veicolo di idee, comportamenti, immagini: c’è una vena “impressionistica” (non a caso si fa riferimento a Simmel) ma c’è anche acutezza calviniana dello sguardo. E c’è il piacere per l’esercizio della scrittura, il funambolismo concettual-descrittivo capace di cogliere i tick, le proiezioni, i desideri del nostro tempo. Suggestione per le “scuole di scrittura”, compendio di sociologia, trattatelo filosofico post-illuminista, lunario didattico da leggere senza obblighi sistematici se non quello del piacere. [Stefano Vitale] Biografie Sergio Trombetta, Vaslav Nizinskij, L’Epos, Palermo, 2008, pp. 267, euro 28,30. Pubblicato da una raffinata casa editrice siciliana, fa parte di una collana di biografie dedicate a ballerini e coreografi che hanno fatto la storia della danza. Qui siamo letteralmente di fronte ad un gioiello (per tutti e non solo per gli specialisti) capace di intrecciare riflessioni ed informazioni storiche e artistiche, offrire una interessante galleria iconografica, tracciare l’affresco di un’epoca cruciale non solo per la danza, ma anche per la musica, la pittura, la filosofia. Nizinskij ha indissolubilmente legato il suo nome al grande coreografo Djagilev, a Stravinskij, Debussy, alla cultura a cavallo tra la fine e l’inizio del 900, alla grande poesia russa. Epoca sovversiva e contraddittoria che sta all’origine di quel che noi stessi oggi siamo (e che non sempre ricordiamo). Sergio Trombetta attraversa questi temi con la levità e la precisione intelligente di chi non solo è esperto di danza per professione (e per passione), ma sembra aver capito che solo così facendo si può rendere un servizio alla diffusione di esperienze che anche la scuola non deve sottovalutare. [Stefano Vitale] école numero 71 pagina 31 M appamondo STUDIARE IN PALESTINA A Gaza l’istruzione soffre tra tensione politica e conflitto I BAMBINI HANNO PAURA TONI O’LOUGHLIN * N ajwa Al Smairi, 11 anni, va a scuola appena a pochi metri dal perimetro sorvegliato di Gaza. È una delle più brillanti studentesse nella sua classe ma teme un possibile fallimento dovuto alla violenza e all’incertezza intorno a lei. Recentemente Najwa è passata dal quarto al quinto posto nella sua classe e la studiosa undicenne è preoccupata: «Quando ne ho parlato con mia sorella lei mi ha detto di non preoccuparmi, che è normale, ma io sono ancora preoccupata», dice. I Palestinesi hanno sempre dato molta importanza all’eccellenza dell’istruzione come un investimento nel futuro, lavorando per arrivare alle posizioni più alte nel governo e negli affari. Ora l’aumento delle tensioni politiche e del conflitto sta avendo effetti devastanti a Gaza, dove i bambini costituiscono più della metà della popolazione. I bassi livelli d’istruzione sono diventati tipici della scuola di Gaza. Secondo la World Bank, l’80 % degli studenti ha scarsi risultati in matematica, mentre uno sbalorditivo 40 % ha cattivi risultati in arabo, la loro lingua madre. Far fronte alla mancanza di aule, con l’economia di Gaza che si sta arrestando, è difficile. Il futuro dell’istruzione è difficile. Alla scuola di Najwah, gli insegnanti non possono stampare fotocopie perché la fornitura di carta è minima. «dobbiamo scrivere i test di verifica sulla lavagna e per fare questo ci vuole tempo», mi dice Ahmad Ismari, un insegnante di inglese. La carenza di materiali da costruzione significa anche che Najwah e le sue compagne devono condividere il bagno con i maschi perché non c’è possibilità di costruirne un secondo. Per far fronte alla mancanza di spazi scolastici molte scuole fanno due turni più brevi, uno alla mattina ed uno al pomeriggio. Come risultato: il 73% degli studenti di Gaza perde quasi due ore di studio scolastico giornaliero. Effetti dannosi sull’istruzione I risultati di un’ inchiesta pubblicata dalla United Nations Reliefs and Works Agency, che gestisce scuole anche in Libano ed in Siria, evidenzia gli effetti dannosi del conflitto e la povertà dell’istruzione a Gaza. Dall’inizio del blocco israeliano di Gaza, circa 70.000 persone hanno perso il lavoro. Il numero di famiglie che vivono grazie agli aiuti di cibo è circa dell’80% e le agenzie umanitarie sono preoccupate dal fatto che il numero potrebbe aumentare. I guadagni familiari vengono spesi totalmente per gli alimenti fondamentali, tra i quali pane e farina. Quando Najwa frequenta la scuola la sua mente è spesso distratta dalla fame. Lei dice: «A volte sento di non riuscire a leggere e a seguire l’insegnante». Il conflitto tra i militari Israeliani e quelli Palestinesi ostacola le capacità dei bambini di Gaza di imparare. Ismari ci dice dice: «I bambini hanno paura. Non riescono a concentrarsi. Sono veramente distratti». * Unicef école numero 71 pagina 32 L’ETERNA SFIDA DELL’ISTRUZIONE MONICA AWAD * I l conflitto in corso minaccia l’istruzione dei bambini palestinesi. Non è solo pericoloso l’accesso alla scuola, ma per loro è anche difficile studiare una volta entrati in classe. I giovani della parte di Hebron, conosciuta come H2 sono tra i più colpiti: le studentesse della scuola primaria femminile di Al Fahia devono passare attraverso numerosi posti di blocco. I bambini come Aya – dieci anni, disabile – devono affrontare delle vere sfide. Aya va a scuola con sua sorella Islam, tredicenne, e ritorna a casa con suo fratello Jasem, che spinge la sua carrozzina attraverso le strade deserte della vecchia Hebron ed attraverso i posti di blocco militari. «Tutti i giorni vengo a scuola con mia sorella Aya – racconta Jasem –. Dobbiamo affrontare molte difficoltà, come camminare vicino all’esercito, ed ai check point». Le condizioni della scuola La “Al Faiha Basic School for girls” (Scuola di base per ragazze di Al Faiha) è composta da un paio di minuscoli edifici a due piani ed un piccolo cortile, assolutamente non attrezzato per giocare in modo sicuro. Ciascun edificio ha 5 piccole aule. L’area di Al Faiha è economicamente depressa: basti pensare che i negozi hanno chiuso, ed il 90% delle alunne non può pagare la tassa annua di 12.50 dollari. «La maggior parte dei residenti dell’area H2 ha perso il suo reddito – spiega Jihan Shobaki, preside della scuola –. C’è un’alta percentuale di abbandono. E anche le poche ragazze di Al Faiha che iniziano a frequentare la vicina scuola superiore, spesso abbandonano gli studi. Quest’anno, solo due ragazze su venti si sono iscritte all’Università. Le l’erba del vicino ragazze soffrono per problemi psicologici dovuti all’aumento della violenza nell’area H2. Questo influisce sulla loro concentrazione a scuola, uno dei motivi per cui finiscono per non andare bene o per abbandonare». Al Faiha non è l’unica scuola con questi problemi, un sondaggio delle Nazioni Unite e della Agenzia del Lavoro mostra che i bambini palestinesi dalla quarta classe alla nona classe hanno scarsi risultati; più del 40% non ha superato l’esame di arabo, circa l’80% quello di matematica. ANCHE IN FRANCIA: TAGLI O RIFORME? PINO PATRONCINI Pochi giorni prima che la Gelmini decidesse di tornare al maestro unico e alla settimana scolastica di 24 ore nella scuola elementare italiana, c’era stato qualcun altro che aveva deciso di portare a 24 ore l’orario scolastico della scuola primaria. Questo qualcuno si chiama Xavier Darcos ed è il Ministro dell’educazione nazionale francese, il ministro di Sarkozy Più insegnanti Unrwa ha assunto 3.000 insegnanti di sostegno in più, ed è sostenuta dall’UNICEF nel dare più assistenza agli studenti che ne hanno bisogno. Come parte di una campagna per facilitare il ritorno a scuola, l’UNICEF, con il supporto del Saudi Committee for Relief of Palestinian People (comitato saudita per l’aiuto alle popolazioni palestinesi), ed il governo dei Paesi Bassi) ha procurato materiale per il lavoro di sostegno, 1.500 kit per matematica e scienze, e ha distribuito più di 50.000 zaini e 275 uniformi. Questo supporto ha lo scopo di modificare la qualità dell’istruzione e assicurare che tutti i bambini rimangano a scuola. «Tornare a scuola è molto importante per i bambini, soprattutto per le ragazze perché questo dà una certa normalità nella loro vita, in un contesto difficile ed atipico», dichiara Wafa Obeidat, segretario del progetto Unicef a Hebron. * Unicef. ■ DIRITTO ALL’ISTRUZIONE Un gruppo di studenti fotografi provenienti da due università della Cigiordania (l’Università Birzeit di Ramallah e l’Università Al-Najah di Nablus) a partire dall’estate del 2005 lavora al Progetto Fotografico “Diritto all’Istruzione”, documentando la vita degli studenti palestinesi e gli ostacoli imposti dall’occupazione militare in Palestina nel portare a termine il proprio percorso scolastico (molestie e arresti di studenti da parte dei soldati israeliani, lotta quotidiana per raggiungere scuole e università superando check point militari, l’isolamento, la povertà, la resistenza, i compagni assenti. Le persone e le scene ritratte dagli studenti, guidati dal fotografo Reyes-Manzo, sono soggetti intimamente legati alla persona dietro la macchina fotografica. Nida è tornata a Hebron, per documentare “l’andare a scuola” nella città dove è cresciuta. Essam ha fotografato i suoi amici che vivono lontano da casa in pensionati studenteschi, mostrando il loro isolamento, allontanati dalle loro famiglie da un sistema di permessi e di barriere militari insormontabili. Selezionando una tra le 60 fotografie (www. birzeit-it.tk) che compongono la mostra itinerante, con un’offerta minima di 10 euro, si può ricevere la foto, in formato A4, una scheda sull’autore e una scheda esplicativa della campagna per il diritto allo studio. I n Francia non si è “tornati” al maestro unico perché lì il maestro era già “unico”. Ma il prezzo che la scuola primaria francese ha dovuto pagare per questa riduzione d’orario è stata la compressione della settimana scolastica in soli quattro giorni di scuola, con tutte le ricadute, come si usa dire lì, sui “ ritmi dell’apprendimento”. La scuola primaria francese infatti era organizzata su 5 giorni, con un giorno intermedio (il mercoledì) libero, e sole due ore al sabato mattina. Gli altri giorni gli scolari francesi facevano sei ore distribuite tra mattina e pomeriggio, con un solo insegnante. L’orario dell’insegnante infatti era di 26 ore ( più una conglobata, di programmazione, per dirla all’italiana) spezzate tra mattina e pomeriggio. All’insegnante si aggiungevano perciò anche degli aiuto-educatori per i tempi di mensa e quelli contigui e a volte anche per altre attività. Quindi anche lì il maestro è unico per modo di dire, cosa da tener presente quando si fanno i confronti internazionali sul rapporto docenti-alunni, perché gli aiuto-educatori francesi non sono calcolati tra i docenti, così come non lo sono gli assistenti inglesi (uno per classe), o gli insegnanti di doposcuola spagnoli. Oggi in Francia sono state tolte le ore del sabato, con l’obbligo di riutilizzarle in sostegno per gli alunni più deboli, magari con la possibilità di conglobarli. Questo in molti casi, ma non in tutti, ha voluto dire liberare il sabato ma, per i bambini più deboli, occupare il mercoledì, con in più il rischio di fare sentire il peso segregante e punitivo di un ritorno a scuola non previsto per tutti. Coincidenze Questa delle 24 ore nella primaria non è la sola coincidenza tra Italia e Francia. Anche in Francia si parla di tagli nella scuola: 14.000 cattedre nella secondaria per quest’anno. Ed anche lì non manca una riduzione di orario école numero 71 pagina 33 per la secondaria superiore, per i licei, come vengono chiamate in Francia tutte le scuole secondarie di secondo grado. Darcos però ha dato l’impressione di voler unire l’utile al dilettevole confezionando il tutto però all’interno di una riforma dei licei. Attualmente i licei iniziano a 15 anni e terminano a 18 e sono attaccati nella numerazione alle scuole medie (college di 4 anni) con un conto alla rovescia: la prima media perciò è la sesta, a 11 anni, mentre la seconda liceo è la prima, a 16 anni: ad essa si aggiunge una anno terminale, dai 17 ai 18 anni. Il liceo perciò è un triennio composto da una seconda (che costituisce anche l’ultimo anno di obbligo scolastico), una prima e l’anno terminale, col quale si consegue il baccalaureat, cioè la “maturità” francese. I licei sono suddivisi in licei generali, tecnologici e professionali. I licei generali hanno tre indirizzi: letterario (L), scientifico (S) ed economico-sociale (ES). I licei tecnologici quattro: industriale (STI), amministrativo-gestionale (STG), chimico-biologico (STL) e medico-sociale (SMS). I licei professionali hanno molteplici indirizzi. La didattica è organizzata sostanzialmente in lezioni e l’organizzazione interna è, come da noi, per classi. Dalle classi ai moduli Per la nuova struttura, invece che a classi, si pensa a moduli di tre ore settimanali ciascuno per un semestre, a un anno scolastico suddiviso in due semestri e a moduli suddivisi in tre aree: insegnamenti generali, insegnamenti di accompagnamento, insegnamenti di esplorazione (in seconda, cioè al primo anno) o di specializzazione( in prima e terminale, cioè negli ultimi due anni). Il ciclo perciò non sarebbe più 2 +1 ma 1+2. Il sistema proposto sembra imitare i modelli del Nord-Europa, quello finlandese in particolare, che oggi va per la maggiore dati i suoi buoni risultati nelle inchieste internazionali Ma l’orario settimanale sarebbe di 27 ore, tre in meno di quelle attuali. E questo desta il forte sospetto che tutta l’operazione nasconda in realtà solo il bisogno di ridurre la spesa introducendo di fatto una riduzione di orario I moduli sarebbero 11 generali, 4 d’esplorazione e 3 di accompagnamento. Le discipline generali dovrebbero comprendere lettere, matematica, due lingue straniere, educazione fisica e storia-geografia. Le discipline d’esplorazione dovrebbero essere suddivise per area disciplinare e gli alunni dovrebbero sceglierne almeno due. Le discipline di accompagnamento, per ora indefinite, sarebbero prerogativa dell’autonomia degli istituti scolastici. Nei due anni terminali l’insegnamento dovrebbe essere ripartito in 16 moduli generali e 16 moduli di specializzazione su tutto il ciclo (quattro semestri) e 4 moduli di accompagnamento. Gli insegnamenti generali indispensabili dovrebbero comprendere lettere, matematica, due lingue straniere e filosofia. I moduli dovrebbero essere ripartiti in quatécole numero 71 pagina 34 tro aree: umanistica-artistica, scientifica, sociale e tecnologica (divisa a seconda degli indirizzi). Tra i 16 moduli di specializzazione l’allievo dovrebbe sceglierne almeno 9 della stessa area. Le reazioni Le proposte hanno avuto accoglienze diverse in casa sindacale. Lo Snes-Fsu, il principale sindacato della scuola secondaria francese, non è favorevole ad un’architettura completamente modulare, mentre sarebbe favorevole a sperimentare un’architettura parzialmente modulare, soprattutto in seconda. Teme in particolare l’introduzione del cosiddetto liceo “a-la-carte”, miraggio che viene fatto brillare sotto gli occhi degli allievi, per sedurli con una maggior libertà negli apprendimenti, mentre in realtà delega del tutto all’allievo la responsabilità di costruire il proprio percorso di apprendimento. Non è d’accordo nemmeno con la riduzione dell’orario per gli alunni, propone al contrario una migliore articolazione tra lavoro in classe e lavoro esterno alla classe prendendo come base l’orario attuale aumentato dell’orario cosiddetto di accompagnamento. Il piccolo ma dinamico Sgen-Cfdt, le cui elaborazioni già in passato ispirarono le misure sulla scuola dei governi socialisti, appare più favorevole. In sostanza, dice lo Sgen, se alle intenzioni seguiranno i fatti, in particolare per quel che riguarda l’impegno per il successo scolastico degli alunni e il miglioramento delle condizioni di lavoro del personale, le soluzioni adottate potrebbero corrispondere ad alcune rivendicazioni che da tempo lo Sgen stesso porta avanti. Anche il Syndicat des Einsegnants dell’Unsa, per consensi il secondo sindacato nel corpo docente della scuola francese, il quarto ( dopo Snes Sgen e Snalc) nel settore secondario, esprime un si condizionato. Affascina il Se-Unsa soprattutto la possibilità per l’alunno di “colorare” la sua formazione attraverso la libera scelta dei moduli di accompagnamento consentiti dal sistema modulare che sostituirebbe le lezioni in classe. Ma le condizioni che l’Unsa pone riguardano i tempi di attuazione e gli organici. Tempi e organici sono i realtà le questioni che più sembrano preoccupare i sindacati. Sono due questioni connesse: tutti sindacati chiedono un anno di preparazione, ma il governo vuole fare tutto per partire a settembre 2009 ( altra analogia con l’Italia!). Ciò alimenta tra i lavoratori e tra i sindacati l’idea che a questo punto ciò che interessa al governo non sia tanto la qualità della riforma quanto la portata e la rapidità dei tagli che ne derivano, i quali in quattro anni potrebbero ascendere a ben 80.000. E non stanno con le mani in mano: domenica 19 ottobre una manifestazione di 80.000 persone ha attraversato Parigi e il 24 novembre uno sciopero generale della scuola indetto da Fsu, Cfdt e Unsa. INFO Educazione non formale Renè Clarijs (cura di), Leisure and non formal education, Eaicy, Praga, 2008, pp. 768 Il libro, in inglese e russo, rappresenta la guida informativa più aggiornata circa i sistemi di formazione “non formale” in Europa. Ciascuna scheda, una per Paese, presenta le principali caratteristiche storiche, istituzionali, economiche e strutturali delle opportunità formative extrascolastiche. Se per i paesi più “frequentatati” si hanno già a disposizione notizie, per molti paesi “neoeuropei” è davvero utile un primo sguardo al complesso e variegato mondo dell’educazione non scolastica. Promosso e raccolto da una ONG, nata dalle ceneri delle “case della cultura” di antica memoria il libro può essere richiesto a [email protected]. [Stefano Vitale] Kosovo e Afghanistan. Guerre infinite Sul sito della Rai si possono vedere “Kosovo nove anni dopo” e “Afghanistan”, le due puntate della trasmissione di Riccardo Iacona “La guerra infinita”, andate in onda il 19 e il 26 settembre 2008 su Raitre. Si tratta di due utili strumenti di storia contemporanea per ricostruire in classe cosa è successo dal 1999, quando la Nato ha vinto la guerra contro la Serbia e, insieme alle Nazioni Unite, ha preso il controllo del Kosovo e i sette anni di presenza militare della Nato in Afghanistan. Qui la presenza della Nato non è riuscita a impedire che il paese diventasse il più grande produttore mondiale di oppio ed eroina, consegnando così ai movimenti armati talebani la loro principale fonte di finanziamento: 100 milioni di dollari solo nel 2007. Iacona fa vedere come anche nelle valli che i soldati italiani dovrebbero controllare si produce oppio. Tutto questo proprio mentre il contingente italiano a ottobre si è dispiegato nell’ovest del Paese, ad Herat, e a Farah, nel sudovest del Paese, dove si combatte tutti i giorni. Guerre&Pace Dal numero 150 la rivista Guerre&Pace è diventata un bimestrale di approfondimento, a carattere prevalentemente monografico (l’abbonamento annuo - cinque numeri - costa euro 35,00; versamento su ccp 24648206, intestato Guerre e Pace, Milano). La prima delle monografie si intitola “Giochi pericolosi. Strategie politico militari in un mondo che cambia”. Il costo del numero è di 7 euro ed è comprensivo delle spese di spedizione. Informazioni: [email protected]. de rerum natura MOVIMENTI Lettera aperta alle studentesse e agli studenti del Forum italiano dei movimenti per l’acqua Può un movimento per l’acqua non riconoscersi nell’Onda? S iamo donne e uomini da sempre impegnati nei nostri territori e a livello nazionale e internazionale per il riconoscimento dell’acqua come bene comune e diritto umano universale, da sottrarre al mercato e al profitto e da restituire alla gestione partecipativa delle comunità locali. Insieme abbiamo prodotto e animato decine di conflitti territoriali contro la privatizzazione dell’acqua e per la difesa dei beni comuni. Insieme abbiamo costituito, nel marzo 2006, il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, una rete che raccoglie più di settanta associazioni ed organizzazioni e più di trecento comitati territoriali. Insieme abbiamo raccolto più di 400.000 firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per la tutela, il governo e la gestione pubblica dell’acqua. Insieme abbiamo costruito, il 1 dicembre 2007, la prima manifestazione nazionale per la ripubblicizzazione dell’acqua e per la difesa dei beni comuni, che ha visto più di 40.000 persone sfilare per le strade di Roma. Vi abbiamo visto inondare le città e le piazze di questo paese chiedendo a gran voce la difesa della scuola pubblica, il diritto all’istruzione, alla conoscenza e al futuro, lottando contro la mercificazione del sapere e della formazione, la precarizzazione della conoscenza e della vita, lo svilimento della scuola primaria, la privatizzazione dell’università. école numero 71 pagina 35 INFO Cambiamenti climatici Vi abbiamo sentiti urlare con rabbia ed allegria: “Noi la vostra crisi non la paghiamo” riprendendovi gli spazi delle scuole e delle università e facendole diventare nuove agorà di socialità, conoscenza e incontro fra i movimenti e le lotte di chi vuole cambiare le politiche di questo paese e di chi vuole praticare un altro mondo possibile. Questo mondo è oggi attraversato dalla più importante crisi economica e finanziaria che la storia ricordi, mentre si è approfondita la crisi alimentare globale e si è definitivamente appalesata la crisi ecologica e resi evidenti i primi effetti permanenti dei cambiamenti climatici planetari. Un modello di ordine mondiale, fondato sul pensiero unico del mercato, sull’accaparramento predatorio delle risorse naturali, sulla mercificazione dei beni comuni e la loro consegna ai grandi capitali finanziari, sullo svuotamento della democrazia e della partecipazione popolare sta dimostrando il proprio completo fallimento. Il “crack” globale dell’economia finanziaria rappresenta l’esito di trenta anni di politiche liberiste, basate sull’assioma “privato è bello”, sulla deregolamentazione del lavoro, sulla privatizzazione dei servizi pubblici, sulla espropriazione dei diritti sociali. Oggi sono i grandi poteri bancari e finanziari ad invocare l’intervento pubblico e il sostegno statale. Oggi sono i più sfrontati liberisti a dichiarare il fallimento del mercato. Lo scopo è chiaro: ottenere un nuovo travaso di risorse dalle collettività ai poteri forti per rilanciare i flussi finanziari mondiali e riprendere l’espropriazione di risorse. Così si chiedono sostegni pubblici alle banche, mentre si approvano normative – come école numero 71 pagina 36 l’articolo 23 bis della Legge n. 133/08 – che perseguono la definitiva messa sul mercato dei servizi pubblici locali, a partire dall’acqua e dal servizio idrico integrato. Così si approvano normative per il drastico taglio dei fondi alle scuole di ogni ordine e grado, si inasprisce la precarietà e si attaccano i diritti del lavoro, si militarizzano gli spazi della democrazia e del conflitto sociale. “Noi la vostra crisi non la paghiamo” avete detto voi per primi, inondando le strade di questo paese e riaffermando un protagonismo diretto, senza deleghe alcune né qualsivoglia rappresentanze. “Noi la vostra crisi non la paghiamo” diciamo anche noi, reclamando la fine delle politiche liberiste di privatizzazione e ponendo al centro della nostra iniziativa la riappropriazione sociale dell’acqua e dei beni comuni, la loro cura e conservazione per le generazioni future, la loro gestione partecipata dai cittadini, dai lavoratori e dalle comunità locali, come motore di una ricostruzione dei legami sociali, di una riaffermazione dei diritti collettivi, della riproduzione di un’appartenenza sociale aperta e condivisa. In una parola, di una nuova democrazia e di un altro mondo possibile. Senza acqua non c’è diritto alla vita. Senza saperi, formazione e conoscenze c’è solo dominazione del più forte. Senza spazio pubblico non c’è partecipazione né democrazia. Per questo ci riconosciamo nella vostra lotta, confermando la nostra piena solidarietà alle vostre mobilitazioni e proponendovi intrecci fra le nostre reciproche esperienze. Intrecci che possono essere resi ancora più forti e solidi, partendo dalla consapevolezza Gli effetti del cambiamento climatico sono ormai di fronte a tutti e gli studi che si susseguono in proposito sottolineano sempre più la gravità della situazione. Le società vedono approfondirsi le disuguaglianze sociali ed ambientali. I provvedimenti sinora messi in campo sono insufficienti per raggiungere i risultati necessari e largamente osteggiati da lobby economiche e politiche. Privatizzare l’aria tramite i diritti di emissioni scambiabili contribuirà al degrado climatico attuale. Il nucleare o gli agrocarburanti sono false e inaccettabili soluzioni. Centrali elettriche e inceneritori, rigassificatori di metano, grandi opere viarie che perpetuano l’attuale modello di mobilità aggravano di problemi derivanti dal riscaldamento climatico. La crisi finanziaria in corso è crisi di quell’economia che, per massimizzare i profitti, ha accelerato i meccanismi che hanno portato all’attuale situazione sul clima. E ora, da parte del governo, si cerca di usare la crisi come espediente per rimandare i provvedimenti sul cambiamento climatico. Ma crisi ambientale e crisi economica sono facce della stessa medaglia e la scuola è chiamata a svelare le cause comuni che hanno portato ad entrambe. Per questo il 6 dicembre, giornata mondiale contro il cambiamento climatico, che il FSE di Malmoe ha individuato come giornata di mobilitazione in tutt’Europa contro l’effetto serra, se ne è parlato anche in molte scuole. Educazione scientifica Sul sito dell’Mce della Sardegna alla pagina dedicata all’educazione scientifica (http://www.mce-fimem.it/sardegna/ educazionescientifica) si possono leggere due interventi di Mario Miani − “Matematica co-operativa” e “Laboratorio di matematica operativa” −, l’articolo di Nino Martino, “Le scienze, le ancelle e la matematica” e quello di Cristoforo Boxano, “I modelli nell’apprendimento-insegnamento scientifico”. − che poi è anche la cifra del nostro percorso − di come unità, radicalità, autonomia e inclusione delle differenze costituiscano il carattere fondante dei movimenti sociali. […] Ci piacerebbe che, nell’autonomia dei reciproci percorsi, si potessero innescare importanti connessioni, promuovendo iniziative comuni dentro e fuori le Università che facciano incontrare le nostre battaglie per i beni comuni. Ci piacerebbe ascoltarvi e raccontarvi qualcosa di noi. Con curiosità, fiducia e determinazione. Dobbiamo solo cambiare il mondo. Un caro abbraccio a tutte e tutti. * www.acquabenecomune.org modi e media La condizione umana STEFANO VITALE «I l denaro è l’apriori in contanti», spiegava il filosofo Alfred Sohn-Rethel nel libro Lavoro intellettuale e lavoro manuale (Feltrinelli, 1978). cinema La forma-denaro è la chiave della nostra conoscenza, è la categoria che ha sostituito lo spazio ed il tempo. Il fatto è ancora più rilevante nel momento in cui le Borse mondiali crollano e intere società vivono un momento di apparente smarrimento. Il “valore” su cui si è maggiormente investito non dà la sicurezza attesa, anzi creare sempre più disgregazione, malessere, incertezza. Qui non si tratta di fare le solite prediche sulla società dei consumi, né di lanciare anatemi consolatori contro il capitalismo. Il cinema da sempre ci aiuta a cogliere i processi culturali, il clima storico. Più semplicemente si tratta di guardare lucidamente alla nostra condizione che non è mai stata così disperatamente chiara. Dall’altra parte c’è una crescente domanda di sentimenti. Non di “sentimentalismo”, direi, ma di umanità, di trovare una prospettiva forse proprio a partire da ciò che noi siamo. Da ciò che resta di noi.Non una sensibilità sterile e superficiale, quanto una capacità introspettiva creativa capace di dare un senso alle nostre emozioni più profonde. Le emozioni sono un fatto culturale che, come diceva Gregory Bateson in Mente e Natura (Adelphi, 1978) rappresentano un “corpus logico preciso e complesso”. Sono processi interattivi, ipotesi di lavoro, sono storie. Che non si conoscono mai sino in fondo, che non si raccontano mai definitivamente. Non si tratta di contrapporre mente e natura, ma di ripensare la nostra natura, criticamente. È quel che, mi pare, stia capitando oggi dopo un periodo incerto e sbandato. Allora andiamo al cinema. Perché il cinema da sempre ci aiuta a cogliere i processi culturali, il clima storico. Il silenzio di Lorna Vorrei partire da Il matrimonio di Lorna (Le silence de Lorna) un film del 2008 di Jean-Pierre e Luc Dardenne. Lorna è una giovane immi- grata albanese a Liegi. Per ottenere la cittadinanza si è messa nelle mani del malavitoso Fabio. Costui le ha procurato un matrimonio con Claudy (un tossicodipendente) e Lorna ha ottenuto ciò che desiderava. Ora vorrebbe poter aprire un bar con il suo fidanzato Sokol che fa il pendolare da una frontiera all’altra. Per ottenere la somma necessaria deve però portare a compimento il piano di Fabio. Deve cioè poter ottenere un rapido divorzio per poter così sposarsi nuovamente. Questa volta con un mafioso russo che ha, a sua volta, bisogno della cittadinanza belga. Le procedure rischiano però di essere troppo lente e allora Fabio mette in atto la soluzione che già aveva in mente: uccide Claudy con un’overdose. Lorna mantiene il silenzio ma c’è qualcosa di nuovo nella sua vita. Se vuole realizzare i propri sogni non può e non deve affezionarsi in alcun modo a Claudy con il quale è costretta a convivere per rispondere ad eventuali controlli delle autorità belghe. Nel mondo di Lorna domina il denaro che tutto muove, ma lei finisce col provare una pietà che sconfina nell’amore, nell’amore materno primordiale, per quel relitto umano che le chiede aiuto per uscire dal tunnel in cui si è infilato. Il ragazzo muore ma continua a viverle “dentro” al punto da farla sentire in attesa di una nuova vita, in una gravidanza isterica più o meno reale. Bellissimo il finale sospeso, drammatico ma anche aperto, non definitivo. Per denaro Le tre scimmie (di Nuri Bilge Ceylan, Turchia 2008) ci trascina dentro un’altra storia, dove denaro ed emozioni profonde sono intrecciate. Un uomo viene investito di notte da un’auto e abbandonato. Qualcuno però ha visto la targa dell’automezzo che è di proprietà di un uomo politico il quale, per evitare lo scandalo che troncherebbe la sua carriera, chiede al suo autista di autoaccusarsi dell’incidente. Resterà in carcere per poco tempo, sua moglie continuerà a ricevere il suo stipendio e, al momento del rilascio, ci sarà per lui un’ingente ricompensa. L’uomo accetta. Da quel momento sarà la moglie ad andare a riscuotere divenendo però l’amante del politico e suscitando i sospetti e la rabbia del figlio adolescente. Quando il marito tornerà, la tragedia incomberà sul nucleo familiare. Come chi non vuole vedere, chi non vuole sentire e chi non vuole parlare, in un mondo sempre più amorale e distante da un sentire che non école numero 71 pagina 37 si basi sulla convenienza immediata, i tre affrontano gli eventi, chiusi nella propria separazione. Il marito accetta per denaro di finire in prigione senza condividere questa grave decisione con la compagna della propria vita, la moglie sente riesplodere una sensualità che sembrava essersi dissolta con una bellezza ormai sfiorita grazie all’incontro con chi detiene un simulacro di Potere che eserciterà anche su lei trattandola come un oggetto. Il figlio adolescente diventa l’esecutore di un destino che si riproduce senza scampo. In un mondo in cui il potere politico e il denaro sembrano poter comprare qualsiasi cosa o persona la sua sarà una decisione devastante. Alla quale però il padre cercherà di porre rimedio utilizzando a sua volta gli strumenti appresi dall’esperienza che sta vivendo. I tre, in realtà, non hanno la forza di affrontare il rimosso, quel figlio/fratello morto annegato, perduto ancora bambino che con la sua distante presenza incarna un desiderio di pace. Lieto fine Ma non è finita qui. In Machan (Uberto Pasolini, Sri Lanka, Germania 2008) Manoj e l’amico d’infanzia Stanley hanno provato più e più volte, invano, a ottenere il visto per trasferirsi in Germania e trovare lavoro in modo da poter mantenere le proprie famiglie nello Sri Lanka. Truffato da un “trafficante di uomini” responsabile della bancarotta di Suresh – il cognato che ha elargito il denaro occorrente per il viaggio clandestino – Stanley è aggravato dal senso di colpa e dal fallimento, soprattutto ora che la sorella è costretta a trasferirsi in Medio Oriente per sostenere, da lontano, marito e figlia. Ma l’arte di arrangiarsi non ha limiti. Venuto a sapere che la Germania sarebbe lieta di invitare la Nazionale di palla a mano dello Sri Lanka a un torneo in Baviera, Stanley si ingegna a mettere insieme la squadra tra le sue conoscenze – tutti uomini relegati ai margini della società – e man mano che la voce inizia a girare, si uniscono sempre più personaggi desiderosi di abbandonare una vita di stenti per la propria affermazione come individui. La storia è vera ed è a lieto fine. L’unico a non partire è proprio Manoj che non se la sente di abbandonare la sua famiglia, respingendo il senso di vergogna verso di essa che lo aveva colto alla vigilia della partenza. Sognare di apparire E infine i Fratelli Cohen con Burn After Reading (USA, 2008). Osborne Cox è un analista della CIA che viene da un giorno all’altro allontanato dal suo incarico. Motivo ufficiale: ha dei problemi con l’alcool. Comincerà ad averli rimanendo a casa disoccupato e con una moglie che lo tradisce con Harry Pfaffer, uno sceriffo federale affetto da numerose intolleranze alimentari. Alla periferia di Washington, in una palestra, Linda Litzke (una donna di mezza età che sogna interventi di chirurgia estetica che non può pagarsi) viene coinvolta da Chas, un collega svaporato, in un gioco pericoloso. Un inserviente ha trovato in uno spogliatoio un dischetto con informazioni riservate della CIA. I due risalgono al proprietario, che è Osborne, e decidono di tentare di ricattarlo per denaro. Tutto è molto più complesso di come appare a una lettura superficiale. La società descritta è quella in cui tutti hanno sogni alimentati dal bisogno di apparire (le memorie dell’ex spia, gli interventi di chirurgia estetica per la donna che rifiuta chi ha vicino per ficcarsi in storie cercate via Internet), in cui è sempre il denaro a decidere, per non parlare del ruolo tragicamente ridicolo della CIA che dovrebbe garantire la sicurezza. Qui è l’ironia a salvarci, per altro rappresentata anche, in una sorta di metalivello, dal ruolo e dal carattere giocato dai personaggi interpretati da Brad Pitt e George Clooney, quasi a fare il verso al proprio personaggio di attore affermato. Quattro pezzi facili che ci trascinano in una riflessione su noi stessi e su questi nostri tempi in cui finiamo per assuefarci alla mancanza di una dimensione etica laica, senza trascendenza obbligatoria, capace di rimetterci in contatto con la parte più profonda di ciò che vorremmo essere. Semplici esseri, appunto. école numero 71 pagina 38 Un vocabolario tutto per noi Questa volta il vocabolario, che ci aiuta a ripercorrere (o a farlo ex novo) la strada che nel secolo appena passato hanno tracciato i femminismi, riguarda due R: quella di Rabbia a quella di Razzismo MONICA LANFRANCO* RABBIA «Perché a me, come ad altre donne, è stato negato il diritto di esprimere la rabbia? Perché la rabbia è considerata un sentimento poco femminile e poco attraente?» si domanda Liv Ullmann, nervosa e intensa attrice prediletta da Ingmar Bergman nel suo Scelte. Le fa eco la giornalista del Newsweek Helen Dudar che così annota in un proverbiale articolo degli anni ’70, agli albori del movimento: «È un vero sollievo che il ridicolo che ha perseguitato le femministe di tutti i tempi, come fossero diabolici pagliacci, si sia trasformato in rabbia». La storia ci ha insegnato che le donne, anche arrabbiate, e con non poche ragioni, hanno saputo contenere la violenza potenziale che è compagna di banco della rabbia (non a caso l’ira è biblico peccato mortale) e in molte l’hanno trasformata in politica, ovvero in progetto collettivo». Imparare a non arrabbiarsi, Luhn Rebecca R., Franco Angeli. Meduse cyborg: antologia di donne arrabbiate, Edizioni Shake. Donne che non hanno paura del fuoco: come trasformare in energia vitale il sentimento della rabbia, Mary Valentis, Frassinelli. La danza della rabbia, Harriet Lerner, Corbaccio. RAZZISMO Compagno di banco del sessismo, ma più rinomato del secondo, è una vecchia conoscenza delle donne, che lo subiscono con regolarità attraverso le varie fasi dell’età, un po’ tutte. Con ragionevolezza pacata Rosellina Balbi ne scrive così: «Se ciascuno di noi facesse i conti con se stesso a proposito del razzismo, questo confronto potrebbe rappresentare, se non il principio della fine, almeno la fine del principio». In barba alle presunte distanze dal clima buio e arretrato del medioevo che si accampano presumendo che avere il modem ci renda moderni è ogni giorno di più chiaro che abitiamo un secondo millennio in cui il razzismo (il non riconoscere la differenza dell’altra/o) è la cifra dominante. Senza esclusioni: non è forse vero, come dice Ivy Compton-Burnett che «quando facciamo torto a qualcuno gli serbiamo rancore?». Volevo diventare bianca, Nassera Chora, e/o Edizioni. Autobiografia di una rivoluzionaria, Angela Davis, Feltrinelli. All’erta, siam razzisti, Rosellina Balbi, Rizzoli Senza velo - Donne nell’Islam contro l’integralismo, a cura di Monica Lanfranco e Maria Di Rienzo, Intranoenia Editore. AFFETTI COLLATERALI BIANCA DACOMO ANNONI Franco Dessì, Leggere il futuro, illustrazioni di Jole e Francesca Dessì, Ghilarza (OR) 2008, pp. 60, euro 10 N on capita tutti i giorni di imbattersi in un medico di professione che spiega a genitori, insegnanti, educatori, l’importanza fin dalla nascita per il bambino della lettura ad alta voce. Quando, come e che cosa leggere, e perché: con dati ripresi da studi scientifici che segnalano il rapporto tra lettura precoce e apprendimento, ma anche tra lettura e povertà, e soprattutto con particolare attenzione allo sviluppo socioaffettivo legato alle primissime esperienze emotive, come la voce della mamma. Ma non aspettatevi un saggio: la veste grafica è quella di un libro per bambini, splendidamente illustrato da due gemelle di dieci anni, accanite lettrici e co-autrici del testo con il loro papà. Un piccolo prodotto tutto da godere, per piccoli e grandi, ma denso di riflessioni, osservazioni e suggerimenti espressi con il linguaggio di chi guarda ai bambini “tutti interi”, e con grande affetto. Ma l’avete mai incontrato un dottore così? La presentazione sta nel “bugiardino”, allegato a qualunque medicinale serio. Leggere il Futuro DENOMINAZIONE COMUNE INTERNAZIONALE Libro COMPOSIZIONE Questa confezione contiene Eccipienti: carta 79,2%, cartoncino 11,5%, colla 2,6%, inchiostro tipografico 8%, filo per legatoria 1,7%. Principi attivi: lavoro 50%, impegno 50%, amore 100%. FORMA E CONTENUTO Forma: dimensione cm 16,5x23,0, numero di pagine 64, peso g 350. Contenuto: 54 immagini, due grafici e poche parole. CATEGORIA Libri per bambini da regalare agli adulti. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE E DELL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Franco Dessì, via Montiferru 6, 09070 Narbolia (OR) INDICAZIONI Mancanza di tempo per leggere i libri ai bambini di qualunque età, assenza di occasioni per trovare un momento per dedicarsi interamente a loro, abuso di televisione, stress da lavoro. CONTROINDICAZIONI Il prodotto potrebbe rivelarsi efficace anche se somministrato a soggetti piuttosto disinteressati all’argomento. Non controindicato per i soggetti con ipersensibilità o allergia alla lettura, che al contrario potrebbero giovarsi del prodotto, viste le basse dosi di testo scritto. PRECAUZIONI DI IMPIEGO Si raccomanda di somministrare solo ad adulti che amano i bambini. Gravidanza e allattamento: i dati epidemiologici ne suggeriscono l’uso in qualunque fase della gravidanza e particolarmente durante l’allattamento, in quanto sono stati dimostrati effetti positivi sullo sviluppo socio-affettivo del bambino fin dalla nascita. EFFETTI SULLA CAPACITÀ DI GUIDARE VEICOLI E SULL’USO DI MACCHINARI Si sconsiglia vivamente di guidare e usare macchine durante la lettura. Sarebbe opportuno spegnere anche il televisore. INTERAZIONI Si segnalano importanti interazioni fra genitori e figli, soprattutto se il prodotto viene somministrato con opportuno dosaggio e continuità nel tempo. L’uso concomitante con altri articoli dello stesso tipo ne potenzia l’azione. DOSE, MODI E TEMPI DI SOMMINISTRAZIONE Iniziare con almeno 15 minuti di lettura al giorno preferibilmente alla sera prima di coricarsi (ma va bene anche qualunque altro momento della giornata) ed aumentare gradualmente le dosi fino a raggiungere l’effetto desiderato. SOVRADOSAGGIO Vista la scarsissima quantità di parole presenti nel libro, non è stata determinata una dose tossica. Qualora l’assunzione in concomitanza con altri prodotti similari producesse un sovradosaggio, si suggerisce di uscire all’aria aperta per una bella passeggiata, in alternativa ascoltare musica o dedicarsi al gioco. Sempre insieme. EFFETTI INDESIDERATI E INATTESI II prodotto è in genere ben tollerato. Sono stati segnalati rari casi di lettura ossessivo-compulsiva, ma solo in soggetti predisposti, inoltre è stata dimostrata una spiccata tendenza al miglioramento delle relazioni, ad un aumento della confidenza fra figli e genitori, ad un potenziamento della capacità di esprimere i propri sentimenti. Si prega di segnalare all’azienda produttrice qualunque effetto atteso o meno, anche se differente da quelli descritti. SCADENZA Il prodotto non possiede una data di scadenza. Da consumarsi preferibilmente subito, senza aspettare di trovare il tempo per farlo. AVVERTENZE SPECIALI Tenere vicino alla portata dei bambini. Contenuto infiammabile: tenere vicino a fonti di calore umano. ATTENZIONE: Il prodotto dà assuefazione, per cui sarete portati ad aumentare il dosaggio e sarà così piacevole che arriverete a non poterne fare più a meno. L’azienda cerca proprio questo effetto per aumentare continuamente le vendite. REPERIBILITÀ In caso di urgente necessità di avere il libro, rivolgersi direttamente all’azienda produttrice che lo invierà senza alcun aggravio di spese postali. Per e-mail: [email protected]; per posta: via Montiferru 6, 09070 Narbolia (OR), per telefono: tel. 0783 57401 - cell. 347 9593091. école numero 71 pagina 39 Un videogame on line per sensibilizzare l’opinione pubblica contro lo sfruttamento del lavoro minorile: http://www.stoplavorominorile.it EDOARDO CHIANURA P videogame roposto dal Cesvi (http://www.cesvi.org) nella giornata che celebra in tutto il mondo la lotta allo sfruttamento del lavoro minorile, è stato lanciato il 12 giugno 2008 in 6 paesi dell’Unione europea (Italia, Olanda, Germania, Danimarca, Irlanda e Repubblica Ceca) un game interattivo rivolto ai ragazzi tra i 13 e i 17 anni. Il gioco, della durata di circa 5 minuti, ha come obiettivo quello di togliere il maggior numero possibile di bambini dallo sfruttamento per mandarli a scuola, dove potranno scegliere come costruire il proprio futuro. Lo scopo del gioco aderisce all’invito dell’ILO International Labour Office, che ha individuato nell’istruzione diffusa lo strumento per scardinare la piaga dello sfruttamento minorile, promuovendo la consapevolezza dell’educazione, a tempo pieno, formale e di qualità, come soluzione concreta al fenomeno. Il contesto del gioco è lo sfruttamento dei minori nelle piantagioni di cotone: prendendo l’esempio dai dati reali che danno circa il 70% dei bambini lavoratori¹ (più di 132 milioni di bambine e bambini nel mondo, tra cui 140 mila nel nostro stesso paese impegnati occasionalmente o regolarmente in attività lavorativa, di cui 31 mila e 500 a rischio sfruttamento²) occupati in agricoltura, e soprattutto nella produzione di beni di consumo come olio, the, cacao, cotone, tabacco o lavorando in fattorie e campi per la raccolta, la semina, spruzzando insetticidi e tenendo il bestiame. È un modo ludico per diffondere consapevolezza fra le giovani generazioni di cittadini e per evitare di scegliere prodotti realizzati grazie allo sfruttamento dell’infanzia. Dopo aver giocato, ogni utente è invitato a partecipare on line alla raccolta di firme per chiedere al governo italiano di assumere impegni a livello nazionale e internazionale sulla lotta allo sfruttamento del lavoro minorile. NOTE 1. In totale 245,5 milioni di minori costretti a lavorare: di questi la maggior parte (186,3 milioni) ha tra i cinque e i 14 anni, mentre 59,2 milioni ne ha tra i 15 e i 17. 2. Dati emanati l’11 giugno 2004, alla terza giornata mondiale contro il lavoro minorile, dal ministero per il Welfare. école numero 71 pagina 40 GIOVANI BELLI E RIBELLI, PROFESSORI CARISMATICI E ATTIMI FUGGENTI La scuola cattiva di Bégaudeau. Siamo fra quattro mura, chiusi dentro uno spazio chiuso a sua volta sezionato in altre chiusure: mentali, linguistiche, di passato, di presente, di futuro. Non è facile trovare dei colpevoli del disastro, tutti sembrano interpretare il proprio ruolo con una specie di serietà in un certo senso onesta. Sono come sono. Tribù diverse che non cercano di compiacersi, che non fingono di capirsi o di stimarsi. E però che ci stanno a fare accanto, chiuse e a contatto davanti alla lavagna, non è facile dire il libro DALLA PARTE DELLE BAMBINE E DEI BAMBINI MARTA BAIARDI François Bégaudeau, La classe, Einaudi, Stile libero Big, Torino 2008, pp. 228, euro 16 I l mondo scolastico che balza fuori dal romanzo di Bégaudeau1 sembra contraddire in pieno l’assunto fiducioso per cui lo scrivere sarebbe «una funzione del capire»2. Nessuna virtù taumaturgica della letteratura riesce a penetrare quanto accade tra le mura di quella scuola. «I muri si sono avvicinati e hanno stritolato tutti»3: non è solo una metafora sinistra ma lo spirito stesso di quel claustrofobico microcosmo scolastico alla periferia di Parigi. La scuola di Bégaudeau è cattiva, logora e brutale come la vita fuori. Insegnanti e alunni sono del tutto abbrutiti anche loro e macinano quotidianamente una routine insensata e violenta. Non c’è comunicazione fra allievi e professori, ma neppure fra gli allievi stessi, murati nei pregiudizi razziali, nei loro problemi esistenziali, nella rabbia impotente della loro marginalità. Grottesca la comunità degli insegnanti. Senza affiatamento né confidenza si assiepano in sala professori stretti tra la macchinetta del caffé e la fotocopiatrice, oggetti fra oggetti. Parlano apparentemente del più e del meno, in realtà sono discorsi disarticolati, privi di ogni sostanza affettiva e relazionale, conversazioni da teatro dell’assurdo. Lo stesso assurdo copione va in scena nella «U», la sala riunioni, dove il preside «al posto di comando»4 officia egualmente ilare le procedure di rito, dai provvedimenti di espulsione alle discussioni più sconclusionate e futili, le uniche capaci di accendere gli animi, come quella memorabile sulle cialde del caffé. Il preside non vuole urtare nessuno e cerca solo di arrivare in fondo all’ordine del giorno, quando finalmente chiude la seduta con un giro di champagne. Tutti vogliono solo sbrigarsi: andare a casa al più presto, fuori da quelle mura rappresenta l’unico obiettivo davvero comune del corpo insegnante. Patetica la consulente pedagogica, che ha la funzione di informare il corpo docente sulle vite degli alunni fuori scuola. È l’unica che sembra potere raccontare questi studenti come esseri umani, ma nessun insegnante ha il minimo interesse autentico ad ascoltarla. Quando sono obbligati, esibiscono lo stesso atteggiamento di annoiata stanchezza che è presente peraltro in ogni momento del loro lavoro. Le vite agre di questi ragazzi non interessano né commuovono nessuno. Non c’è disgrazia sociale né pena familiare che trovi un suo spazio umano fra Il film La classe - Entre les murs di Laurent Cantet7 non rispecchia lo spirito nichilista del romanzo. Va del tutto perduto lo sguardo obliquo, parziale, quasi idiota, di cui Bégaudeau si serve per ritrarre la disgregazione inarrestabile che circola tra le mura scolastiche. Il film di Cantet è bello per molte ragioni e acutamente misura la profonda incomunicabilità fra adulti e ragazzi, ma l’occhio del regista dispiega una simpatia verso i protagonisti di cui nell’apatico romanzo non c’è davvero traccia. Il film ha una struttura ben più “sintattica” del libro: si sforza di trarre pur sempre un ordine dal caos del reale, un ordine a cui il romanzo, nella sua paratassi integrale, aveva invece del tutto rinunciato. NOTE 1. Il titolo originale del romanzo è Entre les murs. 2. Giuliana Adamo e Pietro De Marchi (a cura di), Volta la carta la ze finia. Luigi Meneghello. Biografia per immagini, Effigie, Milano 2008, p. 105. 3. Bégaudeau cit., p. 206. 4. Ibidem, p. 115. 5. Ibidem p. 138. 6. Ibidem, pp. 163-164. 7. Laurent Cantet, La classe - Entre les murs, 128 minuti, Francia 2008, distribuito in Italia da Mikado. Ha vinto la Palma d’Oro come miglior film al Festival di Cannes 2008. LA CLASSE Un’agorà su “La classe” In occasione dell’uscita nelle sale del film La classe di Laurent Cantet, CAMeRA (Centro Audiovisivo e Mediatico sulla rappresentazione dell’infanzia e dell’adolescenza, [email protected]) ha preparato sul suo sito (www.camera. minori.it) una serie di materiali didattici per gli insegnanti e gli operatori sociali (recensioni, filmografie, interviste, articoli, bibliografie, video, dossier, ecc...) in vista di possibili attività di media-education con i ragazzi. Nel sito si può trovare anche il forum agorà a cui si possono inviare interventi critici, metodologici e pedagogici sul film, che ha sicuramente il merito di interrogare chi ha responsabilità educative nei confronti dei ragazzi in età scolare su quali siano gli approcci pedagogici più utili da adottare per favorire processi di interculturalità e prevenzione del disagio. cinema queste mura, inospitali per tutti. Ben consapevoli di essere «socialmente fottuti»5, questi studenti, gli sfigati della banlieue parigina, sono deprivati di tutto: cultura, futuro, diritti. A scuola poi sono vessati da un regolamento scolastico dotato di un ingranaggio repressivo ben oliato ma del tutto inefficace nel migliorare disciplina e profitto. Loro si vendicano: sghignazzano, si pestano, provocano, sogghignano: boicottano l’istituzione ma in qualche modo distruggono anche loro stessi. Il professore di francese – l’io narrante – non sta tanto bene neanche lui: a disagio in cattedra ma iroso e vendicativo, non ha alcun rispetto dei suoi studenti e sostanzialmente se ne frega di tutto. Ignaro di qualunque eros pedagogico, si consuma giorno dopo giorno tra nervosismi e impotenze. È uno sfigato anche lui, che patisce ogni ora trascorsa nella scuola-prigione. In quelle mura non porta nulla di sé, nulla della sua vita: non il ricordo di una passione intellettuale, non un’emozione viva, solo i postumi di cattivi sonni (dorme sempre male), i suoi tic e uno sguardo impietoso ma atono sulla realtà circostante. Tutti gli abitanti della scuola di Bégaudeau, quando incontrano il lettore, sono il risultato di un processo di disumanizzazione già compiuto. In una sola occasione questa coltre di torpore si incrina, quando l’autore al centro del romanzo dà voce ad uno sfogo rabbioso del professore di fisica: «Ne ho abbastanza di quei buffoni, non li posso più vedere, non li voglio più vedere. Mi hanno piantato un casino che non ti dico, non li sopporto più, non ne posso più, non ne posso più, non sanno niente e ti guardano come una sedia appena tenti di insegnargli qualcosa, ma che restino nella loro merda, che ci restino, io non andrò certo a cercarli, ho fatto quello che dovevo fare, ho provato a tirarli fuori ma loro non vogliono, basta, non c’è niente da fare, cazzo non li posso più vedere, ne ammazzo uno è sicuro, sono di una bassezza, di una malafede, sempre a cercare di imbrogliare, ma andate ragazzi, andate e restateci nel vostro quartiere schifoso, tutta la vita ci resterete e vi starà bene, oltretutto siete pure contenti di restarci, questi buffoni»6. Ma è un affondo troppo passionale per durare. Queste mura che tutto consumano, si mangiano anche questo odio. Restano le piccole rabbiette sottopelle di ogni giorno di tutti contro tutti, piccole combustioni, sintomi di un male grande ma sconosciuto e irrimediabile. Ogni umanesimo pedagogico è naufragato da un pezzo. Il romanzo di Bégaudeau contempla i frantumi di questa avvenuta catastrofe: la cultura non è più in grado di “coltivare” nessuno, non offre più alcuna salvezza, così come la lingua a quei ragazzi riottosi non sa dare nessuna speranza di uguaglianza e non rende più padroni di niente. L’ora d’aria nel carcere generale Fa piuttosto male l’ultimo film di Cantet, La classe. Io almeno ho sofferto abbastanza. Il professor Bégaudeau cerca di fare anche cose decenti, valorizza le prove di quelli che non scrivono. Espone le foto. Non molla mai, non si mette a fare il seduttivo – e però restando così docente resta altrove. Gli allievi si ribellano collettivamente al consiglio di disciplina – i prof che buttano fuori sono delle merde, urla quello che si immaginano recuperato con la punizione – ma si direbbe che sia l’unica cosa che fanno insieme. La difesa dalla scuola, non di un’altra scuola. Contestano l’insegnante che gli insegna un francese pieno di congiuntivi che nessuno di loro ha mai sentito parlare. Sono una classe multietnica e fra loro si chiamano africa, marocco, antillese di merda. Hanno i loro rappresentanti agli scrutini e prendono nota se i prof abbassano di 0,4 la media. Il docente che sbaglia deve essere punito, dicono, come voi punite noi. Perché il consiglio dei professori non fa sconti. Il meccanismo del rigore continua a girare – rigorosamente, con puntiglio, e tuttavia a vuoto. Il modello di scuola di cultura nazionale e severa disciplina mostra tutta la sua miseria. Senza ombra di condivisione è pura recita. Per di più separata. Al consiglio di disciplina, che lo espelle, Suleiman – che sembra si vergogni sia delle accuse che delle lodi della mamma – dichiara che si impegna a garantire la sua ri-scolarizzazione in un’altra scuola. Come ci fossero luoghi fuori dalle mura. Suleiman, appena espulso, ha già attraversato con la madre vestita di tutti colori del mondo il grigio delle mura. L’ora d’aria forse per lui si allarga. Ma resta una pausa nel carcere generale. ANDREA BAGNI école numero 71 pagina 41 humus LIBRI DOMANI NIENTE SCUOLA Andrea Bajani, Domani niente scuola, Einaudi, Torino 2008, pp. 142, euro 12.50 La parola che accompagna la lettura delle prime pagine di Domani niente scuola è “divertente”, e non si intuisce traccia di forzatura nella scrittura fluente, solo lo spirito ottimistico di chi si appresti ad iniziare un viaggio, senza caricarlo di aspettative utili solo ad essere disilluse. Accanto alla giovialità della partenza, però, si intuisce un preciso progetto di viaggio, un istinto quasi etologico, il tentativo di prendere le distanze dai membri di una generazione spaventosa ed impaurita, attraverso la descrizione oggettivante. Bajani però è un adulto privo di ruolo istituzionale in un contesto altamente strutturato, un gruppo classe in gita scolastica. E sin dal principio del libro sfugge alla sua stessa prospettiva di oggettività e dichiara la sua tendenza ad essere “di parte” non appena si delineino i confini del conflitto passivo-aggressivo di cui ognuno di noi, nel rapporto con gli adolescenti dei nostri giorni, è protagonista. Non a caso si insinuano nel racconto metafore di guerra e battaglia, compaiono trincee e aiuti umanitari. Eppure l’autore riesce a sfuggire alla connivenza così come ai facili giudizi, prova a riportare la paura e la diffidenza entro confini razionali, individua con delicatezza responsabilità e cause, prova ad offrire interpretazioni alternative, senza forzare ipotesi di percorsi di riabilitazione, ma indicando nella strada della fiducia una soluzione possibile. Nel fare questo prova ad affiancare i suoi compagni di viaggio non solo nello spazio fisico ma anche in quello privato, fatto di musica e chat, di sms e racconti sentimentali, degli sguardi significativi riservati agli adulti che abbiano ancora voglia di dire “tengo a te”. Bajani ci regala un quadro che egli stesso definisce parziale, riconoscendo i limiti del proprio tentativo. Ma ribadisce anche, con sguardo attento, disincantato ma mai disilluso, che la ricchezza di questa generazione, spesso incomprensibile, è la ricchezza di coloro che vi hanno investito energie e significato. Così come la povertà è il risultato di rapporti inaffidabili con adulti completamente autocentrati, impossibili da decodificare, distanti ed estranei. Bajani sembra sapere di non averci regalato con questo libro una nuova perla di eterna saggezza; racconta, perché nel racconto ognuno di noi possa riconoscersi per quello che è, e ricordare ciò che è stato ai tempi della gita scolastica. ROSALBA PORRICELLI LIBRI GIOVANI OLTRE A cura di Ugo Cardinale e Dario Corno, Giovani oltre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2007, pp. 425, euro 22 Il testo raccoglie gli interventi di vari autori sui giovani d’oggi e le angolature diverse da cui sono osservati, per conoscerne problematiche, fattori di crisi, ma anche potenzialità e fermenti innovativi. Se ne ricava una mappa orientativa utile per docenti, genitori e quanti altri operano con i giovani, ma non esaustiva della complessità della realtà giovanile così variegata in rapporto all’area geografica di appartenenza, ai livelli socioculturali, agli interessi. Punto di partenza di questa indagine conoscitiva sono le diverse domande che i vari autori si pongono: «Che cosa significa essere giovani oggi?», «Quale il loro modo di porsi rispetto alla realtà?», «Perché sono invisibili?», «Quali i loro approcci con la lingua e le modalità cognitive?». Secondo Claudio Vercelli, uno degli autori, non si possano conoscere i giovani d’oggi prescindendo dal contesto spazio-temporale in cui essi si trovano a vivere. L’essere giovani in epoca di globalizzazione vuol dire essere ancorati alla dimensione del presente data l’estrema precarizzazione del lavoro con il conseguente schiacciamento della visione prospettica ed un ancoraggio alla famiglia anche molto prolungato nel tempo. Famiglia che fa da sostegno ai bisogni materiali, ma non sempre è in grado di fornire regole certe o di soddisfare bisogni comunicativi e relazionali. (Silvia Vigetti Finzi). Sempre più distanti dai modelli comportamentali e valoriali degli adulti, emarginati da interi settori della vita sociale in cui spesso domina una vera e propria gerontocrazia (nella politica, nelle università, nella ricca scientifica), tenuti fuori dal processo produttivo ed economico da cui sono sistematicamente sfruttati, si sono ritagliati spazi di sopravvivenza nell’ambito delle nuove tecnologie (siti web, chat, blog, forum, ecc.) dove école numero 71 pagina 42 riversano storie personali, esperienze, progetti, opinioni, prese di posizione sull’attualità. Il modo di usare il linguaggio dei giovani è in relazione diretta con questo tipo di realtà che essi vivono. In rapporto alla dilatazione della fascia giovanile, della diversificazione di ambiti ed interessi si è affermata la definizione di “lingua fratello” un sistema semplificato della lingua una mescolanza di italiano, dialetto, gergo, spesso usata in senso trasgressivo ed irrisorio e, per quel che riguarda l’uso del dialetto, adattata ai loro bisogni di ancorarsi a realtà piccole e ben conosciute tali da consentire facili e concreti processi identitari. La grammatica, però, scricchiola, la sintassi è frammentaria, la forza argomentativa del discorso è debole. Ridotto il tempo della lettura, contratti i tempi e i modi della scrittura, la comunicazione si realizza sempre meno attraverso parole rigorosamente organizzate e sempre più attraverso suoni ed immagini che definiscono significati più generali e dai confini sfuggenti. Gli autori si interrogano su quale possa il ruolo della scuola. Pensano siano da abbandonare la messa in atto di maternage facilitatore dello studio; da praticare, in modo sistematico la riflessione sulla lingua, sui principi che la regolano, sui vari tipi di testo, sui vari registri comunicativi; da evitare la demonizzazione dei nuovi media; da intraprendere invece una riflessione seria sulle variazione apportate da questi nella lingua. Sul piano educativo bisognerebbe sganciarsi dal retroterra burocratico e formalistico per riscoprire nuovi orizzonti conviviviali e conoscitivi; sviluppare la capacità di vedere in altro modo e di proiettare sul mondo uno sguardo stupito, caloroso e nel contempo critico. MARISA NOTARNICOLA MUSICA ALL’OMBRA DI... All’ombra dell’olivo. Il Magreb in 29 filastrocche raccolte da Hatifa Favret e Magdeleine Lerasle, Illustrazioni di Nathalie Novi, Mondadori, Milano 2002. All’ombra del baobab. L’Africa nera in 30 filastrocche raccolte da Chantal Grosléziat. Illustrazioni di Élodie Nouhen, Mondadori, Milano 2003. All’ombra della papaia. Il Brasile e il Portogallo in 30 filastrocche raccolte da Magdeleine Lerasle. Illustrazioni di Aurélia Fronty, Mondadori, Milano 2004. CD allegati con direzione musicale di Paul Mindy. Sono ormai numerosi i libri per l’infanzia che prevedono un CD allegato con proposte musicali. Spesso però, purtroppo, alla qualità di immagini e testi non corrisponde la qualità musicale. Un discorso a parte merita invece la serie, edita in Francia tra il 2001 e il 2003 da Didier jeunesse (www.didierjeunesse.com), pubblicata da qualche anno anche in Italia, inspiegabil- mente, poco nota. I volumi, bellissimi dal punto di vista grafico, presentano filastrocche provenienti da varie parti del mondo con la traduzione in italiano e una serie di indicazioni relative al loro utilizzo nelle culture di provenienza. A ogni volume è allegato un CD con la registrazione dei brani arrangiati in modo accattivante, immediato e, contemporaneamente, profondamente rispettoso della tradizione. Si tratta di ninne nanne, filastrocche, conte, girotondi, giochi di coccole e di solletico tra mamma e bambino; un ricchissimo patrimonio femminile che risulta avere forti somiglianze anche in culture distanti tra loro. Troviamo, perciò, similitudini, a volte inaspettate, anche con le nostre tradizioni: canzoncine per apprendere, che elencano le dita della mano, i numeri, i giorni della settimana; brani per far saltare sulle ginocchia che accelerano il ritmo o prevedono gesti motori finali imprevisti per divertire; giochi per accarezzare o per fare il solletico; musiche per giocare col corpo, conte, giochi di movimento. Si tratta di brani provenienti da culture orali, che spesso subiscono trasformazioni da un luogo all’altro e che si prestano a improvvisazioni. I libri sono bellissimi da vedere e ascoltare, per bambini e bambine e per adulti, per semplice divertimento o per utilizzo didattico. Un ulteriore elemento di valore, meno immediato ma essenziale, è l’evidente importanza delle relazioni tra donne (in parte esplicitate) che ha permesso la realizzazione dell’operazione: prime fra tutte le relazioni tra le ricercatrici e le donne che hanno ricordato e cantato per loro i brani. MARIATERESA LIETTI anni verdi I bambini sono diversi STEFANO VITALE I bambini sono diversi, ma non dobbiamo fraintendere: spesso la loro “diversità” viene enfatizzata e diventa un alibi per consolarci, emozionarci, manipolare. Certo i bambini sono più radicali, esigenti, non amano i chiaroscuri degli adulti. O stai con me o sei contro di me. E non è facile per noi adulti star dietro a queste divaricazioni. La cosa più complicata è il loro anticonformismo che li porta a dire la verità, quella che non piace, quella che ci fa male e non vogliamo vedere. Ma spesso sono anche tirannici, centro del mondo, piccoli Narciso alla ricerca di sé, creativi, ma anche cattivi, duri, spietati nella loro richiesta di attenzione. A me piace pensare che i bambini possano essere paragonati ad un antropologo che inizia un viaggio di conoscenza, un’esperienza in mezzo ad un popolo, quello degli adulti, per lui sconosciuto. E ne osserva movimenti, riti, abitudini, vi partecipa in maniera più o meno coinvolta; in ogni caso cerca di capire “come funziona” questo complesso meccanismo relazionale, affettivo, culturale che regola e struttura questo nuovo mondo. Le cose si complicano se il bambino è ancora più diverso, magari diversamente abile, handicappato insomma. E penso subito al libro di Mark Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte (Einaudi) dove il ragazzo autistico, pur stando nel cliché del genio non nasconde il suo dolore di un rapporto difficile col padre che gli ha nascosto la fuga della madre che lui ora vuole ritrovare. Paul Collins, in Né giusto né sbagliato (Adelphi) racconta invece lo stupore, lo sgomento progressivo di una famiglia che scopre di avere un figlio autistico. Il momento della diagnosi è duro, la vita cambia e cambia la prospettiva su cui costruire il proprio mondo. Il piccolo antropologo domina la scena ed obbliga gli altri a nuove strategie. In fondo la diversità dipende dal punto di osservazione da cui la si guarda. Daniel Zimmermann (L’allievo, Meridiano Zero) è ancora più radicale: il protagonista è Patrick un ragazzo inserito in una classe speciale per poter garantire al maestro il posto di lavoro e per poter “dimostrare” la tesi che la pedagogia speciale ha un senso. Patrick sta al gioco e va fuori di testa davvero: dalla finzione dei ruoli alla distorsione della realtà. Che essa sia distorta lo sa bene Monsieur Hire il protagonista del racconto di Georges Simenon, Il fidanzamento del signor Hire, Adelphi. Egli è brutto, mostruoso, tutti lo evitano e ne hanno paura, lui s’innamora d’una ragazza che abita vicino, viene poi usato per un delitto ed ingiustamente accusato, tragica è la sua fine inevitabile: si paga ad essere diversi. Come capita nella “normalità” di Francesco Recami, L’errore di Platini (Sellerio). Qui una famiglia normale, con una figlia handicappata, vince una grossa somma al totocalcio. La loro vita cambia, almeno in apparenza e la figlia diventa un peso tale che spinge la madre a simulare un incidente in cui ella rimane uccisa. La diversità è un intralcio alla felicità banale della stupida normalità di provincia. Ma a volte è la molla per l’esplosione creativa. La protagonista del libro di Patrizia Bisi, Dai mon (Einaudi) è una bambina schizofrenica che suona il pianoforte benissimo. Vittima del conflitto genitoriale cresce conservando questa dote che in qualche modo la salva dal naufragio. In cui non cade Giuseppe Pontiggia in Nati due volte (Mondatori). Nel libro, il rapporto del padre (lo stesso autore) con il figlio Paolo, disabile, è come un quadro che ritrae l’amore del padre per il figlio svantaggiato, di cui cerca di ricuperare tutte le potenzialità. Non vuole arrendersi. Gli altri non danno grande aiuto: la “disattenzione” nei confronti di chi è diversamente abile non fa che acuire nei familiari la consapevolezza di una sempre maggiore distanza che divide i disabili dai normodotati coinvolgendo gli stessi familiari che “sperano” di vedere in altri disabili una minorazione “più grave”, quasi a cercare, anche se labile, un conforto al proprio dramma. È di questa “distanza” che si parla nel libro: «Noi» come «perenne termine di confronto, simbolo di una normalità suprema.» (p. 62). È proprio in questa situazione che i disabili devono vivere, o meglio convivere, dato che se non sono sorretti da chi sta loro attorno, difficilmente potranno sopportare la difficoltà di (ri)vivere, di (ri)nascere alla vita. In sostanza essere un po’ come nuovamente nati, “nati due volte” dunque: prima c’è la nascita naturale, certo impreparati come tutti, ma poi costretti a trovare un proprio spazio, una nuova vita. Liberi libri: festival itinerante dell’editoria per l’infanzia È un progetto della cooperativa Libero Stile, nata per diffondere il concetto di criticità come chiave di accesso al consumo, al sapere, alle relazioni Il senso del progetto può essere condensato in due parole: sapere-attivo. Che significa che nel rapporto con il libro, prima di tutto di esplorazione e di piacere, viene valorizzata una dimensione di relazione, di scambio, di multidirezionalità: Letture animate e laboratori hanno lo scopo di far comprendere ai bambini - e agli adulti - che il libro non è “solo” da leggere, ma anche da vivere nel senso più pieno del termine, con tutti e cinque i sensi. Per informazioni: http://www.liberostile.net/servizi/scuole/liberilibri/index.htm. école numero 71 pagina 43 TEXT La formazione e la sinistra Torna con urgenza la necessità di occuparsi della formazione, del sapere, in concreto della scuola e dell’università. Per due ordini di ragioni: la destra vuole chiudere il conto con una stagione culturale e sociale che viene dal ‘68. La sinistra ha un deficit di analisi e di proposte per i tempi a venire SCIPIONE SEMERARO B La critica alla neutralità della scienza e della tecnica è stata il più grande episodio di esercizio del “sospetto” nella storia recente; quello che appare un dato incontrovertibile, un contenuto da insegnare e imparare viene mostrato nella sua concreta contestualità storica, il sapere nasce in una realtà stretta con il potere, l’utilità, la produzione, l’organizzazione sociale. Questo vento ha parlato alla scuola e alla università con una forza dirompente, ha messo in crisi i contenuti e l’autorità degli intellettuali école numero 71 pagina 44 isogna perciò agire su due livelli. Dare risposte immediate alle emergenze politiche e con più decisione aprire una stagione di riflessione di lungo termine per definire oggi il senso dell’imparare e dell’insegnare. Sull’esempio dei benedettini che seppero salvare per sé e per il futuro una storia e una cultura, bisogna, anche noi, studiare e operare, il nostro ora et labora. La chiusura del ciclo politico del ‘68 si nota da molti segni e porta con se un mutamento persino antropologico prima che sociale e culturale. Di cosa è stato fatto quel ciclo. Innanzi tutto la domanda di scolarità per tutti, non solo come consumo egualitario, ma come costituente sostanziale della cittadinanza. Non sei cittadino se non ti è dato il sapere e il discernimento. Un’idea avanzata della libertà individuale, non solo formale. E poi la straordinaria critica alla neutralità della scienza e della tecnica. È stata il più grande episodio di esercizio del “sospetto” nella storia recente; quello che appare un dato incontrovertibile, un contenuto da insegnare e imparare viene mostrato nella sua concreta contestualità storica, il sapere nasce in una realtà stretta con il potere, l’utilità, la produzione, l’organizzazione sociale. Questo vento ha parlato alla scuola e alla università con una forza dirompente, ha messo in crisi i contenuti e l’autorità degli intellettuali. Nella scuola si è accompagnata ad una diffusività dell’intellettualità di massa che vive in questa contraddizione, trasmettere/criticare il sapere. E come non osservare che per la prima volta nella storia italiana questa intellettualità è donna. Le insegnanti sono la quasi totalità della professione, fenomeno importante sia per la novità sociale sia per il nesso TEXT Non esiste sistema educativo, né luogo di trasmissione di valori e di comportamenti tanto pervasivo quanto l’esposizione al sistema complesso e articolato delle merci. Nasciamo in quel reticolo simbolico e dalle merci riceviamo le gerarchie di valore, i nessi interpretativi delle cose e degli altri esseri umani. Un tempo l’educazione era un portare con mano dal non sapere alla conoscenza le persone, soprattutto i piccoli. Oggi siamo da sempre collocati nel mezzo di un sapere e di una cultura organizzata, non solo nell’occidente consumista; consumare e/o desiderare hanno dimensione globale, costituiscono un linguaggio universale. Per questa ragione il moderno analfabetismo deriva più dall’eccedenza delle informazioni e dei simboli che dalla loro privazione. che si stabilisce tra professione intellettuale e cura delle persone. Infatti è propria la naturale politicità di alcune professioni che disegna questo ciclo, insegnanti, medici, giornalisti, psichiatri. Politicità che viene dal nesso inscindibile tra il sapere e il condividere le finalità delle persone su cui si interviene. Puoi essere competente, ma se non sei dalla parte del tuo interlocutore, malato, studente, cittadino, puoi anche non essere efficace. Questa presenza straordinaria di donne parla anche di un mutato rapporto tra la famiglia e la scuola. La famiglia si scopre non autosufficiente nel dovere dell’educazione, affida i piccoli ad altri di cui si fida perché avvenga un miracolo, la possibilità di un’esperienza grandiosa della diversità. Nella famiglia hai sperimentato valori, parole, saperi, comportamenti omogenei, la scuola ti porta nel campo aperto dell’altro, della cittadinanza. A questo allude, con un forte impatto simbolico il ritorno al maestro, alla maestra unica, l’azzeramento di questa apertura all’altro, il ritorno alla formazione scolastica come prolungamento subalterno alla comunità naturale d’origine. La destra gioca, con il seppellimento dell’esperienza passata, a un riordino delle gerarchie, ad una trama conservatrice per un profilo umano subalterno, seriale, governato dalla chiusura e dalla paura della diversità. Ma c’è stato un limite nella sinistra. Mentre ha giustamente rivendicato e difeso il diritto allo studio, ha sottovalutato che il diritto all’accesso doveva nutrirsi di una critica rigorosa ai contenuti. Infatti l’analfabetismo si coniuga in diversi modi. Era facile conoscere l’analfabetismo da mancanza di informazioni e saperi, più difficile capire un analfabetismo fatto del suo contrario, da eccedenza di conoscenze e informazioni. La vita reale è la scuola primaria per tutti, la scuola formale interviene in un pieno di culture, simboli, saperi, abitudini già costituite. L’analfabetismo da eccedenza è male subdolo, agisce con l’arroganza e con l’autosufficienza di chi già presume di essere colto, stimola l’individualismo, perché intende il sapere come strumento e veicolo di supremazia sugli altri. Non avverte che la ridondanza diventa rumore di fondo, l’eccedenza di nozioni incapacità di discernere criticamente. Questo mutamento nella formazione di senso comune, questo strato profondo, antropologico, attende la rivoluzione conservatrice, si alimenta nella dimensione strabordante del consumo come perno della vita umana. Con frequenza ossessiva uno spot televisivo ci ricorda il nostro modello di vita. “Le tue marche, la tua storia”. Una sintesi che racconta quanto sia diventata determinante nella costituzione della nostra identità la relazione, reale o immaginaria, con il mondo delle merci. Una condizione che accomuna ogni condizione e classe sociale, sia che il consumo sia reale sia che agisca come desiderio. Non esiste sistema educativo, né luogo di trasmissione di valori e di comportamenti tanto pervasivo quanto l’esposizione al sistema complesso e articolato delle merci. Nasciamo in quel reticolo simbolico e dalle merci riceviamo le gerarchie di valore, i nessi interpretativi delle cose e degli altri esseri umani. Un tempo l’educazione era un portare con mano dal non sapere alla conoscenza le persone, soprattutto i piccoli. Oggi questo non è più, siamo da sempre collocati nel mezzo di un sapere e di una cultura organizzata, non solo nell’occidente consumista; consumare e/o desiderare hanno dimensione globale, costituiscono un linguaggio universale. Per questa ragione il moderno analfabetismo deriva più dall’eccedenza delle informazioni e dei simboli che dalla loro privazione. I saperi, come le merci, ingorgano e creano un rumore di fondo in cui non è facile acquisire un sapere utile e critico. Una pedagogia efficace dovrebbe, in ogni epoca della vita, decostruire criticamente questo ambiente affollato di “saperi” e simboli. Un’opposizione rigorosa al feticismo delle merci, realtà non comprese nel loro contesto sociale e di significato. Forse in questo contesto va cercato il nodo cruciale della crisi “educativa” della famiglia, della scuola e di ogni altro soggetto che intenda, in ogni epoca della vita, comunicare un suo siste- école numero 71 pagina 45 TEXT Il moderno analfabetismo deriva più dall’eccedenza delle informazioni e dei simboli che dalla loro privazione. I saperi, come le merci, ingorgano e creano un rumore di fondo in cui non è facile acquisire un sapere utile e critico. Una pedagogia efficace dovrebbe, in ogni epoca della vita, decostruire criticamente questo ambiente affollato di “saperi” e simboli. Un’opposizione rigorosa al feticismo delle merci, realtà non comprese nel loro contesto sociale e di significato. école numero 71 pagina 46 ma di interpretazione del mondo. Non solo quindi le merci, consumate e/o desiderate, insegnano molte cose del mondo e regolano l’orizzonte della realtà, ma esse stesse veicolano un senso e stabiliscono relazioni tra le persone. Si aggiunga anche che la cultura, in quanto merce, posseduta, acquistata, scambiata, non sfugge a questa dimensione “totalitaria” dei processi di formazione del senso comune. Le merci nascondono il lavoro, lo rendono impercettibile, il loro essere feticcio nasconde la fatica, il dolore, lo sfruttamento che è sostanza dei beni disponibili. La signoria magica della carta di credito è il segno di questo fenomeno. Per reagire all’analfabetismo da eccedenza si deve considerare la cultura come una paziente operazione di scomposizione, ricostruzione delle nozioni, ricomposizione critica delle informazioni, risistemazione delle gerarchie di valori, un’abitudine a considerarne la genealogia. Per capire perché ho un’opinione, devo sapere come e perché si è formata. La magia, e la miseria, delle merci sta nell’essere realtà senza svelare il processo di produzione, il lavoro, la sofferenza, lo sforzo, il costo che ne permettono l’esistenza. I processi di formazione della cultura, come il vero sapere critico, devono fare i conti con la genealogia, la storia e l’origine, della realtà presente, unica condizione per non subirla e per poterla liberamente cambiare e per determinarla. La crisi della democrazia ha molto a che vedere con questo stare acriticamente in un mondo già tutto dato, in cui le informazioni e i saperi, per il fatto stesso che sono trasmessi, assumono verità e credibilità. Sempre più il potere sta nelle mani di chi riesce a manipolare e governare l’universo dei simboli e delle merci. Una ricostruzione dei saperi condotta in cooperazione critica con gli altri, in una rete che si alimenta di dubbi e di domande è l’unico antidoto ad una tendenza che ci fa apparentemente più istruiti ma in verità più fragili nella conoscenza e nella capacità di interpretazione della realtà. Anche il ricorrente bisogno di trovare un’identità nel sacro e nella trascendenza è un segno di un indebolimento generale della conoscenza critica e dell’opprimente mercificazione del sapere. Quanto lo è l’asservimento della scienza al mercato. Così, nel declino della curiosità e dell’indagine critica, viene a mancare alla società un possibilità fondamentale di liberazione e autodeterminazione. Se ci poniamo in questa strada analitica si scorge la grande necessità di definire una pedagogia e una didattica critica adeguata. Voglio solo accennare a tre ipotesi di lavoro. Innanzitutto bisognerebbe inventare pratiche di esercizio della “genealogia”, della memoria e della storia. La scuola è sempre stata ammalata della divisione ideologica tra le due culture, la storicità e la scienza, l’occasionalità della produzione storica e il determinismo dei fatti scientifici. Non coglieva e non insegnava che la storia umana, per quanto apparentemente caotica, può essere colta con l’individuazione di strutture profonde, scientificamente rappresentabili, come la scienza non si spiega senza il suo costante rapporto con la società e la storia. La didattica della genealogia è un percorso fecondo per correggere questa distorsione. Il secondo terreno di ricerca dovrebbe essere quello che guarda alla globalizzazione come nuova estensione della vita individuale. Già Marx aveva previsto che lo viluppo del capitale avrebbe distrutto i localismi e “l’idiotismo”. Questa previsione si è fatta realtà, ma si è accompagnata ad una torsione verso un nuovo idiotismo e comunitarismo. Il presente globale cerca l’identità nella razza, nella terra, nell’appartenenza, si scopre in una guerra delle civiltà. Questa dimensione catastrofica deve e può essere corretta con un’educazione alla mondialità, alla cittadinanza universale, che non è mai data come dimensione innata e che quindi deve essere appresa e insegnata. Infine dobbiamo pensare a come si insegna e si apprende la pratica dell’immaginazione, del progetto di futuro. L’analfabetismo da eccedenza ci amputa del passato e del futuro e distorce l’esperienza del presente. L’eclissi della politica ha qui le sue radici, l’immutabilità della situazione presente, la durezza rocciosa della realtà oscura la speranza del mutamento. Dunque pratiche di lotta e bisogno di una riflessione attenta, un impegno per una rifondazione della sinistra. Se ci sta a cuore il profilo umano a cui teniamo, quello dei naviganti e non quello degli zatterieri. È la felice antinomia suggerita da Bauman. Lo zatteriere ha un percorso prestabilito, lo porta la corrente, la natura è padrona; parte e arriva, la sua vita è condotta. Il navigante ha bisogno di una rotta e di un progetto, il suo campo è la libertà rischiosa del mare aperto, in cui vale l’esperienza ma anche la curiosità. La sua libertà è ampia, il suo scopo sempre mutevole e adattabile. Il suo viaggio ha bisogno di saperi complessi, faticosi, ma è il rischio e la fatica della libertà. * L’intervento che pubblichiamo è una delle relazioni svolte come introduzione all’assemblea “Le belle bandiere” (27 settembre 2008, Roma). abb. 2009 La rivista trimestrale, la lettera telematica mensile, il CDiario, i dvd tematici, il sito. L’abbonamento (4 numeri + 10 lettere telematiche + CDiario + 2 dvd tematici) costa 45 euro (sostenitore: 70 euro). Conto corrente postale n. 25362252 intestato a Associazione Idee per l’educazione, via Anzani 9, 22100 Como. Attivazione immediata: tel. 031.268425 Redazione: [email protected] Servizio abbonamenti: [email protected] www.ecolenet.it école numero 71 pagina 47 trend Era così semplice! Fondi pubblici alla scuola privata, fondi privati nella scuola pubblica S U B P R I M E S C H O O L