LA SFIDA Era il 2006/2007. Inizio terzo anno. Allora , con molte più sedi di tirocinio a disposizione, come studente avevo avuto la possibilità di indicare alcune preferenze in base ai PPS che mi interessavano e, contestualmente, ai percorsi verso cui eravamo indirizzati per avere un’esperienza più completa possibile. Con sorpresa, vidi sul mio libretto indicata, a causa di alcuni cambiamenti organizzativi, una sede diversa da quella da me richiesta: dovevo andare quindi in DH di oncologia, . E non in reparto di degenza.. In realtà, l’ambito mi interessava, e molto, ma avrei preferito puntare altrove per un altro motivo: in quel periodo, avendo entrambi i miei genitori proprio con quel problema di salute, il mio tirocinio avrebbe coinciso con l’inizio della chemioterapia per mia mamma. Primo problema:dirlo? O no? Oggi non avrei dubbi. Da studente, dopo il primo vuoto allo stomaco alla lettura di quella sede, ci ho pensato. E non poco. Poi ho realizzato che il segretosarebbe comunque durato poco, con effetti forse peggiori.. e vabbè.. Ma come avrebbero reagito i miei tutor?Cosa sarebbe stato meglio fare? Chiedere un’altra sede? Affrontare l’esperienza? Perdere forse quella che, per quanto dura, avrebbe potuto comunque essere un’opportunità? Mi avrebbe fatto più bene o più male? E avrei fatto bene per i pazienti? Ops già, …a mia mamma.. ma anche agli altri che avrei incontrato.. Decisi che avrei chiesto consiglio ai miei tutor, che erano anche due miei docenti universitari, uno di area specifica, con molta semplicità, anche se con un grande patema d’animo. Sono stata presa in carico, accolta, ascoltata, guidata secondo ciò che forse dentro di me avevo deciso fin dall’inizio: se a mia madre non avesse creato problemi e se loro avessero valutato che ce l’avrei potuta fare senza danni, nemmeno collaterali, avrei affrontato la sfida. Avevo sempre pensato che in questa professione l’unica cosa che mi avrebbe dissuaso dal continuare sarebbe stato l’ambito dell’oncologia pediatrica; ero già mamma della mia prima figlia, mi conoscevo abbastanza bene e ne ero più che mai convinta. Ma devo dire che questa era un’esperienza imprevista che mai avrei preso in considerazione. Mi sono detta: devo. Tanto ci sarà sempre qualcosa di nuovo e di difficile o anche doloroso da cui poter scappare. Le cose le ho sempre affrontate di petto, e così ho fatto. Certo, è stata dura applicare quella prima flebo. Ma capisco ogni giorno di più e apprezzo tutto il lavoro che c’è stato dietro le quinte, di preparazione del terreno, da parte di chi mi seguiva. Con discrezione, ascolto, e si, anche… affetto. Da parte di una tutor conosciuta da tutti gli studenti come modello di precisione, autorevolezza e severità, uno spauracchio, diciamocelo. Non per me. Questa esperienza mi ha aiutato. Sono cresciuta, anche se ero già, anche anagraficamente, stagionata dalla vita e da tante altre esperienze. Ha arricchito anche il rapporto con mia mamma, con i miei docenti, con cui mi ritrovo a lavorare in molte occasioni, come infermiera e come affiancatrice. Ho apprezzato l’ascolto, il rispetto delle mie scelte e il supporto che sapevo avrei avuto se ne avessi avuto necessità. Ho tratto la mia tesi e una pubblicazione tuttora impiegata in DH daquell’ambito e da quell’esperienza, che tuttora ricordo come una delle più belle ed era nata invece con una grande paura. Cerco sempre di avere grande rispetto e ascolto per tutti gli studenti che portano in tirocinio tutta la storia, il loro vissuto e anche le loro possibili paure. Simonetta