Il Cammino dei Tre Sentieri
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Circolare – maggio 2013
La scelta ineludibile tra chaos e kosmos …
che è dinanzi ad ognuno di noi
1. Partiamo con una notizia che il sito web lanuovabussolaquotidiana.it ha
pubblicato il 22 aprile scorso, a firma Tommaso Scandroglio.
2. La notizia racconta:
Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Alla Bontà va amata, corrisponde il
Primo Sentiero: Preghiera e Vita di
Grazia.
Alla Verità va conosciuta,
corrisponde il Secondo Sentiero:
L’apologetica per dimostrare la
verità del Cattolicesimo.
Alla Bellezza va gustata,
corrisponde il Terzo Sentiero:
Conoscere ed esprimere il fascino
irresistibile della verità cattolica,
che, sola, può appagare il cuore
dell'uomo.
Il Raduno: prima però di
intraprendere un viaggio, bisogna
esser convinti dei motivi per cui si
deve partire. Ovvero: l’uomo non
può vivere senza un senso che gli
faccia capire di non essere gettato
nel mondo, ma frutto di un progetto
di amore.
“Il KaosPilots è una business school, di Aarhus, in Danimarca, di
durata triennale in cui si dovrebbero formare i futuri leader e
manager di domani. Riceve finanziamenti dalla UE e solo 35-37 studenti vengono
accolti ogni anno a fronte di quasi mille richieste provenienti da tutto il mondo. Cosa ha
di particolare questa scuola? Un indizio viene dal motto scelto dall’istituto, il famigerato
aforisma di Nietzsche: “Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella che
danzi”. Fedeli a questo motto, in cattedra ci sale il caos allo stato puro. Infatti non ci
sono classi o materie specifiche, libri o lezioni nel vero senso della parola, ma molto è
lasciato all’improvvisazione (…). Lo spontaneismo è la stella polare e “danzante” che
guida i docenti. E così spazio libero a “giochi energizzanti” come il tango, alla
possibilità di seguire le lezioni sdraiati per terra a piedi scalzi oppure distesi su
un’amaca. “Silenzio ragazzi!” è un imperativo ormai bandito tra queste pareti. Che
ognuno faccia quel che gli pare (…). Lo stabile che ospita la business school è identico
a un centro sociale: fatiscente, completamente coperto di graffiti, dentro disordine,
arredi spogli e miseri. In particolare in un’aula giganteggiano su uno sfondo bianco due
maiali che si accoppiano. L’idea che ha avuto il placet dell’Unione Europea e che è stata
imitata anche in altre nazioni non è frutto della mente di qualche anonimo perdigiorno
che ha trovato il modo di mungere le tasche dei contribuenti europei con questa trovata,
bensì di Uffe Elbaek, ministro della Cultura danese. Il caos, insegnato e assimilato dagli
studenti, pare che sia ciò che cerca l’Europa. Infatti il 33% degli studenti è diventato
imprenditore e il 63% occupa ruoli manageriali. Solo il 4% è rimasto senza lavoro. Il
KaosPilots è un’altra testimonianza del fatto che l’Europa stia ormai rinnegando tutto il
portato culturale della propria tradizione occidentale, nata dall’incontro tra Rivelazione
cristiana, filosofia della Grecia classica e diritto romano. Infatti “imparare” in latino si
traduce “discere”, da cui “discipulus”, cioè studente, e “disciplina”. Ciò a dire che il
lavoro di studente è per sua natura connesso con una disciplina, con una regola di
condotta e di apprendimento. (…). Viene da domandarsi che tipo di professionisti la
UE, con i suoi finanziamenti, intende offrire al mercato del lavoro e quale idea di
“professione” abbia in animo di promuovere. Tutto sregolatezza e anarchia? Banale a
dirsi, formatisi nel caos questi ingegneri, economisti, architetti etc. produrranno
altrettanto caos nella società, progettando chissà quali abitazioni invivibili, definendo
progetti di rilancio economico utopici e ipotizzando chissà quali piani urbanistici.
3. Dopo aver letto questa notizia, interroghiamoci: cosa è il caos? La risposta è molto semplice.
Il caos è ciò che si oppone all’ordo, cioè all’ordine. Caos è la negazione dell’armonia, è la
negazione del fine, del senso.
4. Ma alla prima domanda ne seguono inevitabilmente altre. Perché il caos è il tratto dominante
dei nostri tempi? Quali sono le radici del caos? Qui la risposta è meno semplice ma
ugualmente chiara. Della postmodernità il caos è l’esito caratterizzante, della modernità
l’esito distintivo. Certamente la postmodernità, a differenza della modernità, nega l’ordine
valoriale, cioè rifiuta qualsiasi tipo di certezza. Certezza che invece viene ancora conservata
(anche se solo sul piano razionalista e pseudoscientifico) dalla modernità. E’ pur vero però
che già nella modernità vi è la negazione della metafisica, ovvero del riconoscimento della
Verità come fondamento. Ecco perché se il caos è l’esito rappresentativo di ciò che segue la
modernità (la postmodernità); può essere però senz’altro ritenuto come l’esito distintivo
(distintivo in questo caso da intendersi come legato all’essenza) della modernità. Infatti, senza
Verità, senza fondamento, non può esservi ordine. E senza ordine, c’è solo il caos.
5. Il caos, dunque, è l’esito inevitabile della dimenticanza del fine. San Tommaso dice che il
bene è perseguire il proprio fine.
6. Ci sono due modi di concepire il fine. Il primo è concepirlo in una dimensione intellettuale. E’
il riconoscimento intellettuale del Vero. Il secondo in una dimensione esistenziale. E’ il
riconoscimento esistenziale di una realtà appagante, a cui affidarsi e in cui realizzarsi.
7. Il caos contemporaneo è l’esito inevitabile della negazione del fine tanto concepito nel primo
modo quanto nel secondo.
8. Nel Cristianesimo questi due modi di concepire il fine sono propedeutici. Per il Cristianesimo,
infatti, il fine non è solo Verità ma anche Persona. Anzi, nel Cristianesimo questi due modi di
concepire il fine s’identificano perché in Dio Verità e Persona s’identificano.
9. Ed ecco perché Dio è anche Bellezza. E’ Bellezza perché in Lui Verità e Persona, cioè Verità
e Vita, cioè Verità e Bene s’identificano. San Tommaso d’Aquino parla di Dio come esse ut
actus.
10. C’è un dipinto di Philippe de Champaigne (1602-1674) che rappresenta sant’Agostino
d’Ippona. E’ esposto al County Museum di Los Angeles. Il dipinto è stato realizzato tra il
1645 e il 1650.
11. La particolarità interessante del dipinto è che san’Agostino viene colpito dall’ispirazione della
Verità che si trasforma visibilmente in un cuore, palpitante e pieno di ardore: si vedono delle
fiamme che fuoriescono da esso. L’artista ha ben rappresentato ciò che abbiamo appena detto:
la verità cristiana s’identifica con la vita. Non c’è scarto ontologico tra essere e atto.
12. Perdendo non solo la duplice modalità del fine, ma il fine in quanto tale, è ovvio che si origini
il caos. E il caos estetico contemporaneo è solo l’esito visibile, tangibile, plastico, della
perdita di questo senso, cioè che Verità e Vita si unificano e danno come esito la Bellezza.
13. Ma attenzione non solo caos estetico, anche caos antropologico ed esistenziale.
14. L’uomo contemporaneo ha perso l’autentica libertà, non sa più amare, è sprofondato in un
impietoso egoismo. Eppure la modernità si è costruita sui principi della liberté, egalité,
fraternitè. Altro che libertà, fraternità e uguaglianza. Piuttosto: schiavitù, disumanità,
egoismo.
La schiavitù: la perdita dell’autentica libertà
15. Racconta il Libro di Ester, al capitolo 14:
“… la regina Ester cercò rifugio presso il Signore, presa da un'angoscia mortale.
Poi supplicò il Signore e disse: "Mio Signore, nostro re, tu sei l'unico! Vieni in
aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso se non te, perché un grande
pericolo mi sovrasta. Io ho sentito fin dalla mia nascita, in seno alla mia famiglia,
che tu, Signore, hai scelto Israele da tutte le nazioni e i nostri padri da tutti i loro
antenati come tua eterna eredità, e hai fatto loro secondo quanto avevi promesso.
Ricordati, Signore; manifèstati nel giorno della nostra afflizione e a me dà
coraggio, o re degli dei e signore di ogni autorità. Metti nella mia bocca una
parola ben misurata di fronte al leone e volgi il suo cuore all'odio contro colui
che ci combatte, allo sterminio di lui e di coloro che sono d'accordo con lui.
Quanto a noi, salvaci con la tua mano e vieni in mio aiuto, perché sono sola e non
ho altri che te, Signore!”
16. Questa citazione esprime un dato inequivocabile: la forza può essere trovata solo in Dio.
Soprattutto quando realisticamente si constata che la propria natura è di suo sproporzionata ad
agire (Ester è una semplice donna), allora diventa ancora più evidente che non può esservi
coraggio se non andando oltre le proprie forze, se non rimettendosi a chi è in natura superiore,
se non confidando unicamente in Dio.
17. Solo il riconoscimento di Dio può condurre l’uomo a distaccarsi da tutto ed acquisire e
motivare adeguatamente l’autentica libertà di sé. Perché solo il riconoscimento di Dio apre ad
una speranza realistica, cioè a capire che i propri sforzi –seppur insignificanti- potranno
davvero sortire effetto.
18. San Rafael Arnaiz Baron era un monaco trappista spagnolo, morì ad appena 27 anni. Nacque
infatti nel 1911 e morì nel 1938. Ci sono delle parole molto belle che possiamo trarre dai suoi
Scritti spirituali. Ciò che leggeremo adesso è stato scritto il 15 dicembre del 1936:
“…in certi giorni gli aerei attraversano il cielo sopra il monastero a velocità
prodigiose. Il rumore dei motori spaventa gli uccellini che hanno il loro nido sui
cipressi del nostro cimitero. Davanti al convento, al di là dei campi, c’è una
strada asfaltata dove passano camion e auto da turismo che non si interessano
della vista del monastero. Anche una delle principali ferrovie della Spagna
attraversa le terre del monastero. Si dice che tutto ciò è libertà. Ma chi medita
un po’ vedrà come il mondo sbaglia, in mezzo a tutto ciò che chiama libertà. Ma
dove si trova la libertà? Si trova nel cuore dell’uomo che ama Dio solo. E’
nell’uomo che ha l’anima distaccata dallo spirito e dalla materia, e presa solo
da Dio. E’ in quell’anima che non è soggetta al proprio io egoista; nell’anima
capace di andare oltre i propri pensieri, i propri sentimenti, i dolori e le gioie.
La libertà è in quell’anima la cui sola ragione d’esistere è Dio; la cui vita è Dio
e nulla più che Dio. E’ piccolo lo spirito umano, ridotto, soggetto a mille
mutamenti, ha alti e bassi, depressioni, delusioni, ecc… , ed il corpo, ha una tale
debolezza! Perciò è in Dio la libertà! L’anima che andando al di là di tutto
fonda la sua vita in lui, si può dire che gode della libertà, almeno per quanto è
possibile a chi è ancora in questo mondo.”
19. San Rafael dice una cosa verissima: solo Dio permette l’autentica libertà, proprio perché solo
con Dio l’uomo può vincere se stesso: il suo egoismo e le sue debolezze. Chi può mettere in
discussione il fatto che su ciò che è fluttuante non si può costruire nulla? Chi oserebbe
pretendere di fissare un palo nell’acqua? Ovviamente non ci riferiamo al fondo dell’acqua ma
nell’acqua. L’uomo se non trova un “centro di gravità permanente” sarà sempre vittima delle
proprie passioni, sarà la “canna sbattuta dal vento” di cui parla Gesù.
20. Oggi perché c’è tanta instabilità? Perché diviene sempre più raro scoprire uomini che cercano
di fare del coraggio della coerenza il segno più evidente del loro esistere? Perché tutto tende
alla meschinità? La risposta è semplice: non si fa di Dio il fondamento del proprio vivere. Dio
non è più la componente fondamentale dell’essere nel mondo … tutt’al più può essere una
componente intermittente, balbettante … ma nulla più di questo. Tutto è dunque meschino.
21. Giovanni Marco Calzone (1962-1988) morì ad appena ventisei anni a causa di un incidente
stradale. Un giovane filosofo cattolico che raggiunse, malgrado la sua giovane età, una grande
maturità nella fede. L’anno scorso la casa editrice Marietti ha pubblicato una raccolta di
appunti che i familiari hanno trovato sui suoi quaderni. Il libro s’intitola: Si prospettano
giorni felici … Giovanni Marco Calzone così scrive del nichilismo dominante:
“Ogni solennità si è persa; non s’ode più una voce autorevole; tutto è meschino,
opinabile, mediocre. E’ la fine degli slanci verso l’Essere. Non un entusiasmo che
ci sorregga, né una gioia profonda, né una forte passione. Tutto tace. Nessuna
presenza, nessuna bellezza; tutto è troppo tenue ormai. Neppure il dolore è più
forte, si è come assopito. Ci è rimasto soltanto il dolore di una mancanza, la
avvertita mancanza, raramente, di una Bellezza profonda. Dentro questa (a volte)
dolorosa punizione, dentro la stanchezza e la morte del cuore, in ultimo rimane una
paziente attesa di svelamento.”
22. Soffermiamoci su questo concetto: si è persa ogni bellezza, ogni significato, perché domina il
“dolore di una mancanza”. E’ questa mancanza che apre i vuoti, e che fa inabissare l’uomo in
una spaventosa schiavitù. E’ la mancanza di Dio che fa mancare l’uomo a se stesso. E’ la
mancanza di Dio che impedisce all’uomo di scorgere l’orizzonte di un senso. E’ la mancanza
di Dio che costringe l’uomo e impedisce a lui di sperare.
23.
Senza speranza non può esserci libertà. Perché solo la Speranza (quella con la “S”
maiuscola) fortifica l’uomo facendogli accettare ogni tipo di sacrificio. L’impegno richiede
uno sforzo; e lo sforzo richiede la ragionevolezza del gesto. Non può esserci tale
ragionevolezza se non quando la vita viene riconosciuta con un significato e come Significato.
Perché sacrificarsi per gli altri? Perché rinunciare? Perché spendere la propria vita per
qualcosa di grande, se non c’è un significato del vivere? Solo l’eterno apre all’uomo la
prospettiva del progetto. Reinhold Schneider, dissidente nazista, scrisse:
“L’uomo è libero soltanto dinanzi all’eterno; e in questa posizione di libertà sta
quest’ultimo senso che nel corso della storia fa della vita qualcosa di personale e
insostituibile: quel senso al quale l’uomo non può fuggire anche quando egli in
realtà rimane lontano dall’agire.”
Disumanità: l’incapacità di amare
24. Secondo il celebre mito, Prometeo rubò il fuoco agli dei per cercare di migliorare le
condizioni dell’uomo.
25. Su questo punto però va fatta una precisazione. Prometeo non rappresenta semplicemente
l’uomo che vuole realizzare se stesso. Né rappresenta semplicemente l’uomo che vuole
migliorare la sua vita. Ovviamente questo desiderio è del tutto naturale, in un certo qual modo
è costitutivo dell’esistere umano. Si tratta di un desiderio perfettamente conforme alla propria
umanità. Ognuno di noi cerca il meglio per se stesso. Ognuno di noi cerca di realizzare quanto
è più possibile la propria vita.
26. Dove però è distintivo il comportamento di Prometeo? C’è infatti qualcosa di peculiare nel
suo comportamento, tanto è vero che da Prometeo è venuto fuori anche un aggettivo:
“prometeico”. Prometeo non rappresenta semplicemente il desiderio dell’uomo di realizzare
se stesso. Rappresenta anche un’altra cosa, che rende ragione dell’uso che si fa dell’aggettivo
“prometeico”. Quando si sente parlare di atteggiamento prometeico o di cultura prometeica, si
fa riferimento ad atteggiamenti e culture che credono di poter realizzare l’uomo invitandolo a
fare a meno del divino, a sostituirsi a Dio. Prometeo credette di poter migliorare la condizione
umana sfidando il divino.
27. Adesso non è il caso di trattare una questione che è pure importante, e cioè se gli dei del
mondo classico fossero simpatici o non simpatici (non erano affatto simpatici), se gli dei del
mondo classico sfogassero i loro fastidiosi ed impietosi capricci sulle vicende umane (lo
facevano) … non è il caso parlarne. La questione è invece un’altra, è che Prometeo è
diventato il simbolo universale di colui che crede che più si toglie spazio al divino e più
l’uomo può essere libero. In questo senso Prometeo è indubbiamente un simbolo fallace e
antropologicamente pericoloso.
28. Il divino non solo non impedisce la realizzazione umana, ma è ciò che indispensabile affinché
l’uomo possa realizzare se stesso. Senza Dio, l’uomo non può nemmeno conoscere se stesso.
Non può capire qual è il suo ruolo nel tempo e nello spazio, cioè nel suo esistere.
29. Tra la poetica del Leopardi e il mito di Prometeo non vi è nessun rapporto diretto, ma
vogliamo offrire alla lettura alcuni celebri versi del poeta recanatese perché permettono di fare
qualche importante riflessione. Versi peraltro già citati in una precedente circolare. Nel suo
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia Leopardi immagina un persona semplice (un
pastore) che dinanzi alla maestosità della natura si lascia andare a delle considerazioni che il
Poeta esprime in versi sublimi:
“Spesso quand’io ti miro / star così muta in sul deserto piano, / che, in suo giro
lontano, al ciel confina; / ovvero con la mia greggia / seguirmi viaggiando a
mano a mano; / e quando miro in cielo arder le stelle; / dico fra me pensando: / a
che tante facelle? / che fa l’aria infinita, e quel profondo / infinito seren? che vuol
dire questa / solitudine immensa? ed io che sono?”
30. Insomma, Leopardi ci dice che questo pastore intento a pascolare il suo gregge si mette
dinanzi alla grandezza del cielo, alla sua bellezza, alla sua maestosità e si chiede: Perché ci
sono tante stelle? Che senso ha questo universo così grande? Perché esiste l’infinito? E’ mai
possibile che la grandezza dell’universo sia qui presente per la mia piccolezza? E’ mai
possibile che la grandezza dell’universo sia qui presente affinché io –così piccolo- possa
ammirarla? E’ possibile mai questo?.. Poi, dopo tutti questi interrogativi espliciti ed impliciti,
il pastore chiude chiedendosi: … e io che sono? Cioè: qual è il mistero della mia vita?
31. Il mistero del cielo stellato impone un altro mistero: quello dell’uomo. Chiediamoci allora: chi
può rispondere alla domanda del pastore di Leopardi (… e io che sono?)? L’uomo no. L’uomo
non può rispondere affatto a questa domanda. Quando si compra un oggetto che per
utilizzarlo deve essere montato, ovviamente si deve leggere, prima del montaggio, il libretto
delle istruzioni. Se si pretende di fare da sé, può andare bene … ma si deve avere un bel colpo
di fortuna. Non si può pretendere di prescindere dal libretto e pensare: conosco questo oggetto
meglio di coloro che l’hanno progettato e prodotto. Una tale convinzione sarebbe assurda.
Altrettanto assurda è la posizione dell’uomo che cerca una risposta al mistero della sua vita
ben convinto di non essere stato a lui a darsi la vita. Per sapere come montare un oggetto è
necessario chiedere informazioni a chi l’ha fatto. L’uomo si è fatto da sé? Ovviamente no. E
allora non può lui, da solo, rispondere a questa fondamentale domanda.
32. Torniamo a Prometeo. Fermo restando il desiderio di migliorare la propria vita, fermo
restando il desiderio altamente umano di realizzare più pienamente la propria esistenza, dov’è
che Prometeo sbaglia (lasciamo stare la situazione contestuale in cui poteva anche aver
ragione … non ci interessa)… dicevamo: dov’è che Prometeo sbaglia? Sbaglia nel credere che
tale realizzazione si possa attuare “autodivinizzando” l’uomo. E questo è un gravissimo
errore. Gravissimo, perché c’è la domanda del mistero dell’esistere, ovvero la domanda del
pastore di Leopardi: … e io che sono?
33. Questa è la domanda di tutte le domande. Qui il mito di Prometeo fallisce … perché per
rispondere a questa domanda bisogna procurarsi il “libretto delle istruzioni” dell’esempio
fatto precedentemente. E’ che tale “libretto” non l’ho può scrivere l’uomo.
34. L’uomo per essere grande deve scoprire la verità e sottomettersi ad essa. “Scegliete la verità,
perché è la verità che vi farà liberi” (Giovanni 8). Non può esistere una libertà senza verità. E
se la verità ci dice che siamo limitati, dobbiamo trovare la nostra realizzazione nel limite …
non in una “prometeica” autosufficienza.
35. Scrive san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) nel suo Commento al Salmo 90:
Qualunque siano le cose che ci apprestiamo a fare o a evitare, a soffrire o anche a
godere, ripetiamo le parole: ‘la mia speranza sei Tu, o Signore’.
L’egoismo
36. San Francesco d’Assisi disse:
“Quando io ero nei miei peccati, mi era insopportabile vedere i lebbrosi, ma il
Signore mi condusse in mezzo a loro e li curai con tutto il mio cuore.”
37. In questo tempo di laicismo imperante, in questo tempo in cui la dimensione religiosa viene
sopportata solo se esprime le caratteristiche dell’optional (ovvero: se c’è, va bene; se non c’è,
va bene lo stesso), in questo tempo dove si crede che tutti i problemi siano nelle disponibilità
umane per cui è l’uomo stesso a dover essere risposta a se stesso, in questo tempo i cristiani
non possono tacere. E’ urgente ribadire che senza Dio l’uomo non può veramente e
costantemente amare il prossimo. E’ urgente ribadire che qualsiasi amore che abbia le
connotazioni del puro filantropismo (l’amore dell’uomo per l’uomo) è destinato
inevitabilmente a fallire. E’ urgente ribadire che amare l’uomo per l’uomo può avere sì una
validità occasionale ma poi diventa sabbia che il vento facilmente solleva e disperde.
38. Ma perché solo con Dio si può amare veramente il prossimo? Ci sono due motivi per capirlo:
a. Primo: solo attraverso Dio l’uomo può capire il limite altrui.
b. Secondo: solo riconoscendo nell’altro la presenza di Dio, l’uomo può considerare
il proprio simile come la realtà più importante sulla faccia della terra.
39. Diciamo qualcosa in merito a questi due motivi.
40. Solo attraverso Dio l’uomo può capire il limite altrui. Per comprendere questo motivo si può
utilizzare un apologo. Immaginiamo un uomo che abbia un viso mostruoso, inguardabile, ma
egli non lo sa perché non si è mai guardato allo specchio. Questi incontra un altro uomo che
ha un piccolo difetto fisico -roba da poco- e inizia a deriderlo. Lui che ha un viso mostruoso e
inguardabile deride chi ha un piccolo difetto fisico. Tutto questo accade perché il protagonista
non si è mai specchiato. Lo specchio è Dio. Quando si fa l’esame di coscienza si è sempre
debitori nei confronti di Dio. Dio è l’assoluto, noi poca cosa, per cui non si può mai essere
creditori nei suoi riguardi ma sempre debitori. E allora s’invoca il suo perdono. Ma se
imploriamo misericordia, possiamo poi lesinare misericordia verso chi ce la chiede? Ecco
dunque che solo quando l’uomo si specchia (e lo specchio è Dio), questi può aprirsi
all’esperienza della misericordia. E’ quando Dio non viene riconosciuto, che l’uomo tende ad
essere tollerante con se stesso e impietoso con gli altri. Solo quando Dio non viene
riconosciuto, che l’uomo cerca la “pagliuzza” nell’occhio altrui, dimenticando di avere la
“trave” nel suo.
41. Passiamo al secondo motivo: solo riconoscendo nell’altro la presenza di Dio, l’uomo può
considerare l’altro come la realtà più importante sulla faccia della terra. A riguardo si può
fare questo esempio. Immaginiamo di essere dei giuristi che devono teorizzare una legge che
riconosca l’inalienabilità della persona umana (cioè che l’uomo non possa mai essere
utilizzato come strumento bensì sempre riconosciuto come fine), ma che nello stesso tempo
legittimi la strumentalizzazione di altri esseri viventi. Per esempio: è giusto cibarsi di vitelli,
maiali, ecc … Dunque, dobbiamo teorizzare una legge che riconosca la differenza qualitativa
e ontologica (cioè di sostanza) tra l’uomo e l’animale. Però con una caratteristica: questa
legge non deve riconoscere che l’uomo sia creatura di Dio, creato cioè “a Sua immagine e
somiglianza” e quindi che l’uomo stesso abbia un’anima immortale. Ebbene, stando a questo
esempio, quali potrebbero essere gli elementi su cui fondare una tale differenza? Qualcuno
potrebbe indicare l’attività intellettiva come criterio di differenza. E’ indubbio che questa è
un’evidente differenza tra l’uomo e l’animale ed è altrettanto evidente che l’attività
intellettiva è una peculiarità dell’essere umano, ma sarebbe molto pericoloso se la si
innalzasse a componente fondamentale e discriminante. Se così fosse, come la metteremmo
con coloro che hanno handicap intellettivi? Se l’attività intellettiva non fosse una componente
ma la componente dell’essere umano, dovremmo considerarli meno uomini. E i neonati che
ancora non possono esercitare pienamente l’intelligenza? Dunque, a riguardo si coglie bene
quanto sia pericolosa una simile convinzione. Ma continuiamo nell’esempio. Qualcun altro
potrebbe indicare l’aspetto somatico. Indubbiamente si tratta di un elemento caratterizzante,
ma anche in questo caso sarebbe molto pericoloso elevarlo a criterio fondamentale. Se così
fosse, basterebbe un semplice colore diverso di pelle per discriminare e ritenere chi più e chi
meno uomo. L’esempio potrebbe continuare, ma è evidente che qualsiasi elemento si volesse
evidenziare senza riconoscere il fatto che l’uomo è creatura di Dio, diventerebbe fallimentare.
42. Quando si toglie Dio, a pagarne le conseguenze non è Dio, ma l’uomo. Valorizzare l’uomo
per l’uomo (come pretende fare il filantropismo) è da sciocchi. Solo Dio garantisce la
grandezza dell’uomo.
43. In una catechesi del mercoledì, precisamente il 12 gennaio del 2011, Benedetto XVI disse
queste parole:
“Cari amici, non dobbiamo mai dimenticare che quanto più amiamo Dio e siamo
costanti nella preghiera, tanto più riusciremo ad amare veramente chi ci sta
intorno, chi ci sta vicino, perché saremo capaci di vedere in ogni persona il volto
del Signore, che ama senza limiti e distinzioni. La mistica non crea distanza
dall’altro, non crea una vita astratta, ma piuttosto avvicina all’altro, perché si
inizia a vedere e ad agire con gli occhi, con il cuore di Dio.”
44. Molti sono sconcertati dal fatto che i grillini facciano solo protesta e non proposta.
Certamente è così. Molti sono sconcertati sul fatto che non c’è (o per lo meno non ci sarebbe)
una coerenza programmatica di cui si fanno portavoce. Certamente è così. Pochi però rilevano
che c’è qualcosa di più grave di cui sconcertarsi. Ci riferiamo al fatto che il Movimento 5
Stelle afferma un’evidente quanto pericolosa menzogna antropologica. Chiarisco.
45. Scomodiamo a tal riguardo il vecchio e buon Manzoni. Nel capolavoro de I Promessi Sposi il
capitolo 21 non solo fa da spartiacque (nel senso che prima va tutto male per Renzo e Lucia e
quindi per il Bene; poi inizia l’apoteosi della Provvidenza, per cui va tutto bene per i
protagonisti e tutto male per il Male), esso è anche importante per capire cosa lo Scrittore
milanese pensasse dell’uomo. Egli soleva dividere l’umanità in due categorie, coloro che sono
dalla parte degli umili e coloro che invece decidono di mettersi dalla parte dei prepotenti.
Verissimo. Tutto sommato l’umanità si divide così. Manzoni, però, ci teneva a precisare che
tale distinzione non è circoscrivibile al campo socio-economico, nel senso che non è vero che
tutti i poveri decidono di mettersi dalla parte degli umili e tutti i ricchi da quella dei
prepotenti. Certo, la povertà più facilmente può far capire il valore dell’umiltà, così la
ricchezza più facilmente può tentare verso la prepotenza; ma non c’è automatismo a riguardo.
Manzoni non solo afferma questo, che è verissimo sul piano antropologico, afferma qualche
altra cosa che è ancora più decisiva: la scelta che si fa nel profondo del proprio cuore non è
mai una scelta definitiva. Chi sceglie il Bene è chiamato continuamente a faticare per
confermare la propria scelta. Così, chi sceglie il Male non è definitivamente perduto, può
anche rivedere la sua vita, convertirsi. Ed ecco l’importanza del capitolo 21, che è il capitolo
della celebre conversione dell’Innominato.
46. Vi starete chiedendo cosa c’entri tutto questo con le recenti elezioni e con la vittoria dei
Grillini. C’entra per quella menzogna antropologica a cui abbiamo alluso prima e di cui il
Movimento 5 Stelle si fa evidente portavoce. I politici si dividerebbero in onesti e disonesti
non tanto relativamente a scelte che compiono nell’intimo della propria coscienza, quanto per
appartenenza alla vecchia o alla nuova politica. Se si appartiene alla vecchia politica si è
automaticamente disonesti. Se si appartiene alla nuova politica (quella del web, delle piazze,
delle raccolte-firme e quant’altro …) si è necessariamente onesti. Convinzione, questa, che
non solo è di un’ingenuità spaventosa, ma che è anche stata smentita dalla storia remota, da
quella prossima e anche da quella presente. Il giustizialista IDV (Italia dei Valori), partito che
ha fatto dell’incorruttibilità neogiacobina il suo cavallo di battaglia, ha finito poi col trovarsi
nelle sue fila alcuni amministratori che appena “hanno potuto” … “hanno fatto”.
47. C’è un famoso detto che dice: i soldi fanno venire la vista ai ciechi. Si tratta di un’espressione
popolare che esprime una verità indiscutibile. L’uomo (anche quello che crede di essere forte
nelle sue idee buone e inconfutabili) è tentato dal male e se non si fortifica affidandosi non a
se stesso ma a Dio e costruendo tutto sul timore di Dio (cioè sul timore del giudizio di Dio)
prima o dopo finirà col cedere. La Bibbia lo dice: “Stolto è l’uomo che confida in se stesso”.
Parafrasando: Stolta è quella politica che confida sulle proprie buone intenzioni e sui propri
metodi.
48. Dopo Manzoni scomodiamo un altro grande scrittore, l’inglese Chesterton, il famoso creatore
di padre Brown, investigatore pressoché infallibile. Ebbene, proprio il sacerdote-detective,
alle domande del suo fidato amico Flamboux di come mai riuscisse sempre a scoprire il
colpevole, rispondeva dicendo che la sua tecnica era quella di immedesimarsi nell’assassino o
nel ladro e così pensare cosa avrebbe fatto se fosse stato lui ad aver commesso il misfatto …
aggiungendo che ogni uomo può facilmente (attenzione: facilmente) essere un angelo o un
diavolo. Basta poco. Se si confida solo in se stessi il passo verso il Male è brevissimo.
Conclusione
49. Qualche giorno fa, il 27 aprile, la Chiesa ha ricordato santa Zita (1218-1278), patrona di
Lucca. In questa città, infatti, la Santa, per ben cinquant’anni, esercitò l’umile mestiere di
domestica. Ella è citata anche da Dante nella Divina Commedia.
50. Zita nacque a Monsagrati, un paese nei presi di Lucca. Proveniva da povera gente di
campagna. Fu così che, per farsi una dote o per non essere di peso alla famiglia, decise di
andare a lavorare come domestica presso una famiglia facoltosa di Lucca.
51. Accettò serenamente la sua condizione sociale, ben consapevole che, servendo la famiglia
ospitante, serviva Dio, per il cui amore agiva e tollerava ogni sgarbo, sia da parte dei padroni,
che dapprima la trattarono con ingiustificata severità, come da parte dei suoi compagni di
lavoro, gelosi per il suo zelo e il suo totale disinteresse.
52. Zita è conosciuta per i suoi numerosi miracoli, operati a favore dei poveri e dei deboli. Per
recarsi alla chiesa di San Frediano, passava per la porta che affaccia su via San Frediano, più
vicina al palazzo dei Fatinelli, quando un giorno si imbatté in un povero che batteva i denti
per il freddo. Senza esitare, rientrata a palazzo, prese il primo mantello che le capitò a portata
di mano. Il padrone non si accorse di nulla, poiché l’Angelo Custode attese Zita a quella
stessa porta per restituirglielo. Da allora, quell’ingresso alla chiesa di San Frediano è
conosciuto come “Porta dell’Angelo”, ed il miracolo è ricordato nella vetrata posta sopra la
porta.
53. Largheggiava nelle elemosine ai poveri, che bussavano alla porta della ricca dimora dei
Fatinelli, ma donava del suo, perché viveva con molta parsimonia e il gruzzolo che metteva
da parte.
54. Si racconta che una compagna di lavoro, invidiosa della stima che Zita aveva saputo
accaparrarsi (superate le prime umilianti prove, le fu affidata la direzione della casa), l'aveva
accusata presso il padrone di dare via troppa roba ai poveri. Un giorno, infatti, Zita venne
sorpresa mentre usciva di casa con il grembiule gonfio per recarsi a visitare una famiglia
bisognosa. Alla domanda del padrone, rispose che portava fiori e fronde; lasciati liberi i lembi
del grembiule, una pioggia di fiori cadde ai suoi piedi.
55. La sua vita dimostra come nel Cristianesimo la santità è raggiungibile in ogni condizione
sociale.
56. Scrive il cattolico Ernest Hello (1828-1885) ne Il Secolo. Gli eroi della Chiesa:: “La Chiesa
ha pure una sua vita interiore, piena di mistero. Se la sua vita esteriore ha il contrassegno
delle cose molteplici, mischiata com’è all’urto delle cose con l’intento di salvare gli uomini,
se la volontà d’amar tutte le creature la impegna a urtarle tutte col gomito, essa ha anche la
sua vita interiore, che è il legame dell’unità e il santuario del raccoglimento (…). La sua
meravigliosa potenza di canonizzare e di mettere in ginocchio i popoli davanti a un altare, nel
nome di un mendicante o d’una contadina, questa potenza è una caratteristica così
particolare della Chiesa cattolica, che i suoi nemici, sembra, dovrebbero esserne colpiti. Si
riuniscano tutti quanti, mettano insieme i loro sforzi, scelgano il nome più illustre, più
sensazionale, più popolare, più predisposto a tutti i trionfi! Lo scelgano e tentino di scrivere
davanti a questo nome questo aggettivo incomunicabile: Santo. Il loro sforzo morrà prima di
nascere. La Chiesa fa i santi come si usa del diritto e come si obbedisce alla cosa giudicata;
dispone della gloria, e non chiede alcuna compiacenza né ai tempi, né ai luoghi, né alle
circostanze. Prende i suoi eroi dove li trova.”
57. Ritorniamo da dove siamo partiti. Ritorniamo al KaosPilots di Aarhus e quindi al caos
dominante nella nostra epoca. Pensiamo al disordine e poi mettiamoci dinanzi ad una vetrata
gotica, per esempio a quelle della Saint Chapelle di Parigi.
58. Osserviamo l’armonia dei colori. Si tratta di opere fatte con materiale vile. Eppure grazie
all’ideale che muoveva quegli artisti quel materiale vile si trasformava in bellezza inaudita,
capace di aprire inesorabilmente ad un maestoso stupore.
59. Abbiamo detto: grazie all’ideale che muoveva quegli artisti. In questo caso “ideale” è da
intendersi come riconoscimento di un fine e come corrispondenza ad esso. Se quegli artisti
vetrai non avessero creduto che il reale fosse significato dal Logos, cioè dalla Verità,
dall’Ordine, non avrebbero potuto produrre ciò che hanno saputo produrre.
60. L’ideale può trasformare il vile in bellezza sublime. Così come la mancanza di ideale, o
peggio: un cattivo ideale può far rimanere il vile, vile, o addirittura ridurlo a mostro.
61. Come l’ideale può trasformare la pochezza umana in santità, così la mancanza totale di ideale
può trasformare la pochezza in mostruosità.
62. Pensiamo al movimento surrealista. Esso ha affermato la validità dell’automatismo pischico,
ovvero quel processo in cui l’inconscio emergerebbe anche quando siamo svegli e ci
permetterebbe di associare libere parole, pensieri e immagini senza freni inibitori e scopi
preordinati. I surrealisti si avvalevano di diverse tecniche per far in modo di attivare il loro
inconscio, una di queste è il cadavre exquisi (cadavere squisito), tecnica basata sulla casualità
e sulla coralità, che prevede la collaborazione di più artisti: uno di essi comincia l'operazione
tracciando un disegno, una figura, che deve essere ignorata dagli altri, poi il foglio deve essere
passato a tutti i partecipanti, uno per uno, i quali a loro volta faranno una figura, e così via.
Questa tecnica era utilizzata dai surrealisti anche in ambito poetico, ovvero aggiungendo uno
per uno una parola, ignorando lo scopo finale dei singoli. Il nome della tecnica deriva infatti
da una poesia surrealista: "Il cadavere squisito berrà il vino nuovo".
63. Ecco una raffigurazione uscita dalla tecnica del “cadavere squisito”, opera degli artisti Eduard,
Ray e Picasso:
64. Un’immagine che dice tutto. Un’immagine che dice chi è il vero signore dell’azione che non
ha un fine preordinato e che pone il caos come non-guida e come criterio sovrano.
65. Da qui si capisce come sia ineludibile l’alternativa che si pone dinanzi ad ognuno di noi, tra
caos e kosmos, tra disordine e ordine, tra il raggiungimento del fine e la convinzione di essere
gettati impietosamente e casualmente nell’esistere.
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- Il Cammino dei Tre Sentieri