NOSTALGIA DELLE ORIGINI
La Chiesa d’Oriente e l’astinenza dalla carne
Guidalberto Bormolini
Oltre alla questione della barba dei religiosi (tema che abbiamo già trattato nelle pagine
di questa rivista)1, lo scisma tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente fu provocato anche
dalla disapprovazione degli orientali per la consuetudine degli ordini monastici di cibarsi di
carne. Difatti la critica che Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, rivolse ai romani
fu esplicita: «[…] i loro monaci mangiano la carne» 2. Prima di affrontare l’argomento può
essere utile puntualizzare il significato di alcune parole. Nel linguaggio dei padri e del primo
monachesimo uno dei termini utilizzati per indicare l’esclusione dalla dieta della carne, o di
altri cibi o bevande, è: astinenza 3. Nella letteratura ascetica latina i termini tecnici utilizzati
sono due: abstinentia e l’analogo ieiunium, che, afferma p. Špidlík, presso «gli autori
spirituali [...] può comprendere tutte le forme di restrizione alimentare di carattere
ascetico»4, quindi anche la privazione completa di cibo, per un giorno o per periodi più
lunghi. Nella lingua greca, in ambito monastico, il termine specifico è: xerofagia5, che
designa una dieta composta prevalentemente da cibi “secchi”, escludendo la carne ed altri
alimenti. Al giorno d’oggi, anche in ambito religioso, è diffuso l’utilizzo dell’espressione
‘dieta vegetariana’, modo di dire che sottintende un’attenzione particolare per il rispetto
della vita animale, motivazione estranea alla tradizione monastica più antica.
L’astinenza dalla carne per motivi ascetico-mistici vanta una lunghissima tradizione,
anche pre-cristiana, alla quale i Padri hanno in parte attinto. Secondo alcuni studi recenti,
che in seguito evidenzieremo, la scelta monastica di eliminare dalla dieta la carne e i cibi
grassi può essere stata ispirata da tradizioni antiche.
1.
Una lunga tradizione
1.a.
La filosofia greca e la dieta vegetariana
Secondo la tradizione greco-romana l’età del mondo si divide in quattro epoche; la
prima, detta età dell’oro o di Saturno, è caratterizzata dalla piena concordia tra uomini e
animali: gli uomini vivevano dei frutti prodotti dalla terra e tra gli esseri umani e gli animali
non vi era nessuna forma di violenza o sopraffazione. Esiodo fu tra i primi a narrare di
questo miti: «Gli uomini vivevano allora come dei […] Tutti i beni erano per loro, la fertile
terra dava spontaneamente molti e copiosi frutti ed essi tranquilli e contenti si godevano i
loro beni, tra molte gioie»6. Anche Ovidio nelle Metamorfosi menziona questo modello
1
Cfr. G. BORMOLINI, «L’immagine del Maestro. Lo scisma d’Oriente e la barba dei religiosi», La Porta
d’Oriente 11 (2011) 95-110.
2
Cit. in D. RACCANELLO, in Rugaciunea lui Iisus in Scrierile Staretului Vasile de la Poiana Marului, Sibiu 1996,
p. 294.
3
Quanto trattato in questo articolo è già stato in parte affrontato in un mio studio: G. BORMOLINI, I
vegetariani nelle tradizioni spirituali, Torino 2000.
4
T. ŠPIDLÍK, La spiritualità dell’oriente cristiano, Roma 1985, p. 198.
5
Cfr. T. ŠPIDLÍK, La spiritualità dell’oriente cristiano cit., p. 198.
6
ESIODO, Le opere e i giorni, Milano 1979, p. 101.
leggendario7. In ambito filosofico si citava spesso con nostalgia quella mitica età: i
pitagorici lodavano l’epoca nella quale l’uomo si nutriva solo di erbe e dei frutti degli
alberi8.
Nell’antica Grecia il vegetarianesimo non era praticato, solo in seguito comparve nelle
scuole filosofiche9 o in ambienti mistici come l’orfismo. La tradizione orfica riteneva che vi
fosse una fondamentale unità tra tutti gli esseri, quindi gli orfici non uccidevano gli animali
e non se ne cibavano. L’orfismo e la sua visione del cosmo hanno sicuramente ispirato
Pitagora che, annota Porfirio, «non solo non si cibava di animali, ma neanche si avvicinava
a macellai e a cacciatori»10. Anche Plutarco, Teofrasto e lo stesso Porfirio traevano
ispirazione dall’età dell’oro, quando l’uomo si nutriva solo dei frutti prodotti dalla terra 11.
Nell’età dell’oro non c’erano né odio né delitti; queste aberrazioni si diffusero solo in
seguito anche perché l’uomo cominciò ad essere violento verso gli animali, arrivando
addirittura a portarli in tavola come cibo12. Il primo passo verso la restaurazione
dell’originario spirito di amore è proprio la rinuncia a cibarsi di carne13.
Il vegetarianesimo fu sostenuto in molte scuole filosofiche. Nutrirsi spargendo sangue
determina l’abitudine alla crudeltà, diversamente dopo un periodo di astinenza dalla carne
l’anima si fa più agile14. Secondo Musonio Rufo il cibo confacente all’uomo è quello che
deriva dalle piante e dalla terra, come i cereali e altri alimenti. La carne, infatti, è un cibo da
bestie, poiché genera delle esalazioni che offuscano l’anima e il pensiero; l’uomo, invece,
deve nutrirsi in modo simile agli dèi, con i cibi più leggeri e puri possibile15.
Porfirio, discepolo e biografo di Plotino 16, ha composto un vero e proprio trattato
sull’astinenza dalle carni nel quale fa una sintesi preziosa del pensiero religioso applicato al
rapporto col mondo animale, e a questo lavoro -afferma il Viller- san Girolamo «si è
abbondantemente ispirato per comporre l’Adversus Jovinianum»17. È interessante notare che
i Padri, quando si pronunciano a favore dell'astinenza, per comprovarne l'importanza si
7
Cfr. OVIDIO, Metamorfosi XV, 86-88.
8
Cfr. A. ROSTAGNI, Il verbo di Pitagora, Torino 1924, p. 270.
9
Cfr. G. BOUFFARTIGUE-M. PATILLON, Introduzione, in PHORPHIRE, De l’abstinence, Parigi 1977, p. LXVI.
10
Cit. in I Pitagorici, A. Maddalena (ed.), Bari 1954, p. 77.
11
Cfr. F. MUGNIER, «Abstinence», in Dictionnaire de Spiritualité I, col. 116.
12
Cfr. A. ROSTAGNI, Il verbo cit., p. 234.
13
Cfr. A. ROSTAGNI, Il verbo cit., p. 193.
14
Cfr. SENECA, Lettere, 108.
15
Cfr. MUSONIO RUFO, Frammenti, XVIIIa.
16
Plotino fu discepolo di Ammonio Sacca, da alcuni ritenuto originario dell’India (cfr. G. REALE, Storia
della filosofia antica IV, Milano 1989, p. 461-462), maestro, tra l’altro, del cristiano Origene. Potrebbe
essere interessante indagare l’eventuale influenza delle tradizioni indiane, ripetutamente citate dai greci,
sull’ascetismo dei loro filosofi, ma si tratta di un campo ancora inesplorato. Tra l’altro l’apparizione del
vegetarianesimo in Grecia si situa all’epoca dei mitici saggi taumaturghi (grosso modo intorno al VI secolo
a. C.) molti dei quali non erano greci. Ad una prima analisi appare che «fondamentalmente questa saggezza
[quella del vegetarianesimo] è concepita come giunta da altrove» (J.BOUFFARTIGUE, intr. a PORPHYRE, De
l'abstinence cit., p. LXIV).
richiamano esplicitamente a tradizioni non cristiane, soprattutto all'ascesi filosofica dei greci
e dei romani, alla spiritualità indiana e all’ebraismo. I Padri, pur con le dovute distinzioni,
guardano alle testimonianze del mondo classico come a modelli positivi, ai quali
l’esperienza cristiana può dare completezza. Ad esempio Origene, Clemente, Ambrogio 18 e
Girolamo19 propongono come esemplari le consuetudini adottate da Pitagora, Socrate,
Antistene. L’esempio dei Cinici, e di Diogene in particolare, è citato con entusiasmo da san
Girolamo, nella sua confutazione a Gioviniano 20. Le motivazioni addotte a favore di questa
ascesi alimentare sono diverse: favorisce il ritorno alla semplicità antica, preserva la purezza
del corpo e della mente, rispetta la vita animale, favorisce l’igiene fisica e mentale, è utile in
caso di prescrizioni cultuali particolari e, soprattutto, facilita la familiarità con gli dei.
L’esigenza fondamentale è dunque quella di non introdurre cibo che provochi una distanza
insormontabile tra gli uomini e gli dei, ma che al contrario stabilisca fra loro un’affinità nel
modo di comportarsi21. Quasi tutti gli autori sottolineano il collegamento della dieta
vegetariana con la spiritualizzazione dell’uomo22 e il desiderio di ritornare ad uno stato
originario, in cui l’uomo viveva in armonia col mondo divino23.
1.b. Il fascino dell’Oriente
Un capitolo della spiritualità cristiana, non sufficientemente indagato ma estremamente
suggestivo, riguarda un certo fascino esercitato dall’estremo oriente su alcune esperienze di
preghiera contemplativa monastica. La recente traduzione italiana di un testo arabo ritenuto
un collegamento tra l’estremo oriente ed il vicino oriente, sia cristiano che musulmano, apre
prospettive molto interessanti24. Accreditati studiosi evidenziano sorprendenti similitudini
tra l’esicasmo e la disciplina yoga 25. Il card. T. Špidlík, autorevole esperto di spiritualità
17
M.VILLER, «Abstinence», in Dictionnaire de Spiritualité I, c. 116; Cfr. J. BOUFFARTIGUE, Intr. a
PORPHYRE, De l'abstinence cit., p. VIII.
18
Cfr. AMBROGIO, Lettera XIV extra collezione, 19-20.
19
Cfr. GIROLAMO, Contro Gioviniano, II, 5-7.14.
20
Cfr. GIROLAMO, Contro Gioviniano, II, 14.
21
Cfr. M. DETIENNE, «La cuisine de Pytagore», Arch. Sociol. Des Rel. 29 (1970) 141-162.
22
Le fonti sembrano contraddire la convinzione che la motivazione principale del vegetarianesimo orfico
e pitagorico, e dell’antichità classica in genere, fosse la credenza che negli animali potessero reincarnarsi
anime umane. Sabatucci, specialista di tradizioni classiche, esclude categoricamente che questa fosse la
ragione principale, ritenendo invece che la pratica vegetariana: «Ha da essere considerata per la sua capacità
di conferire purezza - ed è così che le fonti ce l’attestano -» (C. SABBATUCCI, Saggio sul misticismo greco,
Roma 1965, p. 69-83).
23
Cfr. PORFIRIO, L’astinenza II, 30-32.
24
Cfr. C. GREPPI, L’origine del metodo psicofisico esicasta. Analisi di un antico testo indiano:
l’Amrtakunda, Torino 2011.
25
Cfr. A. BLOOM, «Hésychasme: yoga chrétien?», Cahiers du sud 28 (1953) 177-195; J.M. DECHANET,
Yogin du Christ. La voie du silence, Bruges 1956; M. ELIADE, Yoga immortalità e libertà, Milano 1982, pp.
71-74; R. GNOLI, «Hesychasm and yoga», E&W 4/3 (1953) 98-100; O. LACOMBE, «Sur le yoga indien»,
Etudes Carmelitaines 10 (1937) 170 ss.; Y. LELOUP, Cos’è l’esicasmo, Torino 1993; J. MEYENDORFF, S.
Gregorio Palamas e la mistica ortodossa, Torino 1976; J. MONCHANIN, «Yoga et hésychasme», Axes 4 (1969)
13-21; C. NARDI, «Dante esicasta?», Vivens Homo, III/2 (1992) 357-383; ID., «Respirare Dio, respirare
cristiano-orientale, addirittura afferma che: «Per molti contemporanei è stata una scoperta
venire a sapere che molti degli esercizi yoga erano praticati già parecchi secoli fa dai
monaci cristiani»26. I pochi riferimenti all’astinenza in Estremo Oriente li abbiamo
deliberatamente attinti dalle solo fonti sicuramente circolanti negli ambienti monastici
primitivi.
I padri della Chiesa hanno in parte subìto il fascino di queste realtà 27, e motivavano la
scelta di astenersi dal consumare carne anche ricordando le consuetudini degli asceti
indiani28. Secondo G. Desantis: «I padri della Chiesa avevano spesso alluso ai brahmani
come ai depositari di una sapienza naturale e primigenia e di una morale in alcuni aspetti
simile a quella cristiana»29. La forza di tali suggestioni fu tale che sopravvissero fino al
medioevo30. San Girolamo si domanda perché mai il cristiano non debba fare lo stesso, e
magari anche di più, di quanto facevano gli ebrei, che si rifiutavano di mangiare certi
animali, o dei brahmini indiani e i gimnosofisti egizi, che si cibavano solo di orzo, riso e
frutta31. Clemente alessandrino racconta che, tra gli indiani, i brahamini e quelli chiamati
semnoi erano asceti rigorosissimi32, che si astenevano anche dal mangiare la carne. Ippolito
Cristo», Rivista di ascetica e mistica 3/4 (1992) 304-316; F. POLI, Yoga ed esicasmo, Bologna 1981; T.
SPIDLÌK, La preghiera esicastica, in La preghiera, E. Ancilli (ed.), Roma 1990, Vol.I.; G. VANNUCCI, Yoga
cristiano, Firenze 1978; KALLISTOS WARE, La potenza del nome, Cinisello Balsamo 1993; A. ZIGMUNDCERBU, «Lumières nouvelles sur le yoga et l’hésychasme», Contacts 26 (1974) 272-289.
26
T.ŠPIDLÍK, L’arte di purificare il cuore, Roma 2010, p. 66.
27
Queste suggestioni sono sopravvissute fino ai tempi odierni tanto da spingere il Magistero ad
esprimersi in modo significativo a questo riguardo. Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio afferma:
«Il mio pensiero va spontaneamente alle terre d’Oriente, così ricche di tradizioni religiose e filosofiche molto
antiche. Tra esse, l’India occupa un posto particolare. Un grande slancio spirituale porta il pensiero indiano
alla ricerca di un’esperienza che, liberando lo spirito dai condizionamenti del tempo e dello spazio, abbia
valore di assoluto […] Spetta ai cristiani di oggi, innanzitutto a quelli dell’India, il compito di estrarre da
questo ricco patrimonio gli elementi compatibili con la loro fede così che ne derivi un arricchimento del
pensiero cristiano» (Fides et Ratio, paragrafo 72).
28
Raccontare gli esempi di vita ascetica e spirituale dei popoli ‘barbari’ fu un genere letterario di grande
fortuna in epoca ellenistica: Filostrato racconta con entusiasmo dei brahamini dell’India e dei gimnosofisti
delle rive del Nilo (cfr. J.BOUFFARTIGUE, intr. a PORPHYRE, De l'abstinence cit., p. XXXII); Aristobulo invece
racconta di aver assistito ad una lezione di autocontrollo psicofisico impartita ad Alessandro Magno da due
brahamini (STRABONE 15, 1, 61); Zenone lo stoico affermò che avrebbe preferito vedere un solo indiano
avvolto dalle fiamme, che studiare tutte le dimostrazioni sul dolore (Cit. in Stoici antichi. Tutti i frammenti,
R. Radice [ed.], Milano 1999, fr. [A] 241). J. Festugière ha cercato di dare un quadro completo di questo
genere di letteratura prodotta in ambito classico (cfr. J. FESTUGIÈRE, «Sur le De vita pythagorica de
Jamblique», REG 50 (1937) 470-494).
29
G. DESANTIS, intr. a PSEUDO-PALLADIO, Le genti dell’India e i brahmani, Roma 1992, p. 8.
30
Nel Medioevo, periodo di grande interesse per i mondi esotici, ebbe un notevole successo il libretto di
Palladio (cfr. G. DESANTIS, intr. a PALLADIO, Le genti cit., p. 41). La versione latina che circolò durante quel
periodo fu curiosamente attribuita a sant’Ambrogio, mentre sembra che sia stata opera di Rufino o addirittura
di san Giovanni Cassiano, il monaco che introdusse l’esicasmo in occidente (cfr. Ibidem, p. 37).
31
32
Cfr. GIROLAMO, Lettera CVII, A Leta, 7; ID. Contro Gioviniano, II, 14.
Cfr. CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromati, III, 7, 2. Le informazioni di Clemente potrebbero provenire dal
suo maestro Panteno che è stato in India per un certo tempo (Cfr. EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica 5,
10, 1).
attesta minuziosamente che la dieta dei gimnosofisti indiani era composta di frutti duri ed
acqua, e non si cibavano di ciò che veniva da esseri viventi o da quelli passati attraverso il
fuoco33. Perfino Tertulliano, Agostino, Ambrogio e Origene si richiamarono esplicitamente a
questa millenaria tradizione34.
Tra i pochissimi scritti di Palladio vi sono ben due testi dedicati alla vita contemplativa, e
viene spontaneo metterli in parallelo. Uno fu la celebre Historia Lausiaca, nella quale si
narrano le gesta avventurose dei primi monaci cristiani; l’altro (di cui forse Palladio fu solo
l’editore) è un libretto traboccante ammirazione per le tradizioni ascetiche indiane, tra le
quali risalta quella di nutrirsi di sole erbe selvatiche e di ciò che la terra offre
spontaneamente35.
Secondo la tradizione indiana quando l’uomo è in armonia col cosmo (e così era alle
origini36) è accudito dalla stessa provvidenza divina: «Non mangio carne come un leone,
dentro di me non marciscono le membra di altri esseri viventi, io non sono la tomba di
animali morti: la Provvidenza mi elargisce per cibo i frutti, come una madre amorosa da il
latte al proprio figlio»37. Caratteristico invece dell’uomo decaduto è nutrirsi di carne,
violando l’armonia primitiva che lo vedeva complice con gli animali 38. Anche in India si
ritrovano gli elementi fondamentali della scelta vegetariana in relazione all’esperienza
spirituale: l’attenzione alla salute del corpo, il controllo dei sensi e delle passioni, la
ricostruita armonia originaria col creato, la purezza della mente, la predisposizione alla
preghiera contemplativa. Tutti questi temi sono riassunti con chiarezza dal brahamino, nel
racconto riportato da Palladio:
Dunque, come può uno spirito divino penetrare i sensi di un uomo simile? Voi mangiate la carne
che gonfia il corpo, devasta l’anima, genera ira, scaccia la pace, uccide la temperanza, eccita la
sregolatezza, fa scaturire il vomito e introduce malattie [...] .
I frutti duri e le erbe delle steppe invece esalano una meravigliosa fragranza e mangiati da
33
Cfr. IPPOLITO, Confutazione di tutte le eresie, 1, 24, 1. Ippolito ebbe una particolare attenzione per la
filosofia dell’India cui dedicò un capitolo dei suoi Philosophumena (cfr. J. FILLIOZAT, «La doctrine des
brahamanes d’après saint Hippolyte», Revue de l’histoire des religions, 130 [1945] 59- 91).
34
Cfr. B. BRELOER-F. BÖMER, Fontes historiae religionum Indicarum, Bonn 1989, pp. 105 ss., che riporta
tutti i riferimenti, nella letteratura patristica, alle tradizioni religiose dell’India.
35
Cfr. PALLADIO , L’India e i Brahmini I, 11-12. 45; II, 7 . 10. 16. 24. 37. 38. 43-51. Il testo non è
attribuito unanimemente a Palladio, ma vi si è comunque riconosciuto il suo intervento. Si tratta di materiale
che Palladio ha avuto a disposizione ed ha riadattato per il pubblico cristiano. Dai critici è ritenuta una
descrizione realistica delle dottrine brahmaniche, pur se filtrate da un interpretatio prima greca e poi
cristiana.
36
Secondo la tradizione indiana la storia dell’umanità si suddivide in quattro ere dette yuga. La prima di
queste, nella quale l’uomo viveva in armonia con Dio ed era dotato di notevole vigore spirituale, è detta
satya yuga, l’era della verità. A questa sono succedute varie ere sempre più decadenti fino a quella attuale, il
kali yuga, l’era dell’oscurità, in cui il mondo diventa più spesso, più contaminato, e certe esperienze
spirituali sono quindi irraggiungibili. Il livello spirituale, psichico e fisico dell’uomo è sempre più degenerato
col succedersi di questi yuga (cfr. M. ELIADE, Immagini e simboli, Milano 1987, p. 60-64).
37
PALLADIO, L’India e i Brahmini, II, 24.
38
Cfr. PALLADIO, L’India e i Brahmini, II, 45.
uomini saggi generano un intelletto divino e abbelliscono il corpo. Saggiamente Dio ha creato
questi vegetali come cibo per i mortali.39
2.
L’astinenza dalla carne nella Chiesa delle origini
Per molti secoli la storia delle Chiese d’oriente e d’occidente è indistinguibile: hanno in
comune un gran numero di santi ed entrambe venerano i medesimi padri, perciò spesso si è
costretti a distinzioni artificiose, poiché in realtà la tradizione delle origini è patrimonio
comune alla Chiesa indivisa.
2.a. Il cristianesimo primitivo
Sin dalle origini la Chiesa si interrogò circa il problema dell’astinenza. Molti autori
antichi, ad esempio Eusebio di Cesarea 40, san Girolamo41, l'autore dei Recognitionum
libros42, san Gregorio Nazianzeno43, san Clemente Alessandrino44, affermarono con certezza
l’astinenza dalla carne di questo o quello tra gli apostoli, a volte addirittura attribuendola a
tutti i primi discepoli.
Negli Atti degli Apostoli (15, 1-29) si dà notizia della prima grossa controversia
scatenatasi nella comunità cristiana delle origini. Alcuni cristiani di provenienza farisaica
asserivano che chi si convertiva al cristianesimo doveva fra l’altro farsi circoncidere e
impegnarsi nel rispetto delle leggi tradizionali ebraiche. Per risolvere la questione gli
apostoli e gli anziani più autorevoli si riunirono a Gerusalemme, in quello che è considerato
il primo concilio della cristianità. Le considerazioni conclusive chiariscono le norme che i
pagani convertiti devono osservare: «è parso bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi
altro peso ad eccezione di queste cose necessarie: di astenervi cioè dalle carni immolate agli
idoli, dal sangue, da animali soffocati e dalla fornicazione. Astenendovi dalle quali cose
farete bene. State sani». Per carni soffocate si intendono quelle degli animali che non sono
stati dissanguati all’uccisione, e tale precetto doveva valere per tutta la cristianità 45. Talvolta
i monaci primitivi si sono rifatti proprio a questa prescrizione per motivare la loro
astinenza46.
2.b. La spiritualità del deserto egizio
L’astinenza dalla carne era tenuta in grande considerazione sin dall’inizio, ma furono le
esperienze eremitiche e cenobitiche del deserto a diffondere in maniera incisiva questa
39
PALLADIO, L’India e i Brahmini, II, 45.
40
Cfr. EUSEBIO DI CESAREA., Storia Ecclesiastica, II, XXIII, 5; Dimostrazione evangelica, III, 2. In questi
testi l’autore afferma che tutti i discepoli di Cristo si astenevano da carne e vino
41
Cfr. GIROLAMO, Contro Gioviniano, I, 18.
42
Cfr. CLEMENTE ROMANO, Recognizioni, VII, 6.
43
Cfr. GREGORIO NAZIANZENO, Discorso XIV, L’amore della povertà, 4.
44
Cfr. CLEMENTE ALESSANDRINO, Il pedagogo, II, 1.
45
Cfr. L. ROSSI, «Sangue e anima», Rivista di Ascetica e Mistica 5 (2003) 166.
46
Tra gli altri un noto fondatore monastico copto di cui si narra che: «Digiunava continuamente fino a
sera...e non beveva vino né mangiava carne né cosa da cui si versasse sangue» (ISAAC, Vita di Samuele di
Kalamon, 7).
consuetudine. Sicuramente la praticarono Antonio, Pacomio47e Shenute48, che contribuirono
a divulgare uno stile ascetico che divenne universale nel monachesimo originario 49. Atanasio
dice di Antonio che: «Si cibava di pane, sale e l’acqua era l’unica sua bevanda. È inutile
parlare di carne e vino dal momento che neppure presso altri virtuosi asceti si trova traccia
di ciò»50, confermando quindi che questa pratica era ben nota negli ambienti ascetici, e
difatti la letteratura antica sui padri del deserto è ricca di testimonianze a questo riguardo.
Praticarono l’astinenza dalla carne anche il monachesimo siriaco 51, palestinese52 e
cappadoce53. Il regime alimentare in vigore presso la maggioranza dei monaci era detto
xerofagia54 ed escludeva carne, pesce, uova, latte, burro, formaggio 55, olio e vino56. Secondo
Epifanio57 nella xerofagia è consentito cibarsi solo di pane, sale ed acqua. Le Constitutiones
Apostolicae vi comprendono anche verdura e frutta58. Questo regime alimentare prevedeva
praticamente due tipi di dieta: una che consisteva nel cibarsi esclusivamente di pane e sale 59,
e un’altra che era composta di frutti, verdure e legumi, escludendo completamente il pane.
Di abbà Shenute si diceva apertamente il motivo della dieta astinente: «Con questo il suo
corpo si seccò»60. I legumi a volte si cuocevano, ma molto spesso venivano mangiati dopo
essere stati solo messi a bagno 61. Le verdure invece venivano consumate crude, fresche o
conservate sotto sale. L’usanza di mangiare solo cibo crudo, seppur minoritaria, ebbe una
47
Cfr. Vita di Pacomio, 11. Cfr. M. VILLER, Abstinence, c. 121-122; PALLADIO, Storia lausiaca 32,1.
48
Cfr. M. VILLER, «Abstinence», in Dictionnaire de Spiritualité I, c. 122.
49
«Il loro cibo consiste in pane, legumi ed erbaggi conditi con sale e olio» (GIROLAMO, Lettera XXII a
Eustochio, 36).
50
ATANASIO, Vita di Antonio, 7; Cfr. GIROLAMO, Lettera XXII a Eustochio, 36.
51
Cfr. TEODORETO, Storia religiosa, VIII, 3; IX, 3; XIII, 1; XVII, 6; XXX, 2. SOZOMENO, Storia
ecclesiastica, III, VII, 39.
52
Cfr. DOROTEO DI GAZA, Abbà Dositeo, 60.
53
Cfr. M. VILLER, «Abstinence», in Dictionnaire de Spiritualité I, c. 122. Cfr. D. AMAND, L’ascèse
monastique de saint Basile, Maredsous 1948, p. 262-266.
54
«Essi si cibano [i monaci egizi] soprattutto di cibi secchi e crudi» (CASSIANO, Istituzioni cenobitiche,
IV, 22).
55
L’uso del formaggio era limitatissimo nel deserto, se si escludono le comunità pacomiane. È
significativo che il solo caso raccontato di un anacoreta che mangia formaggio è quello di Simeone (SIMEONE
2, Apoftegmi serie alfabetica 869) che lo mangiò col pane solo per scandalizzare un grande personaggio
venuto a fargli visita. Se era causa di scandalo certamente non era un uso tipico nel monachesimo egizio
(Cfr. L. REGNAULT, Vita quotidiana dei Padri del deserto, Casale Monferrato 1994, p. 91).
56
Cfr. L. BOUSSAC, «Abstinence», Dictionnaire de Théologie Catholique I, c. 263.
57
Cfr. EPIFANIO, Panarion, 22.
58
Cfr. CLEMENTE ROMANO, Costituzioni Apostoliche, IV, 18.
59
Cfr. L. REGNAULT, Vita quotidiana cit., p. 80. I Padri insistevano sull’accostamento del pane e del sale,
Pafnuzio diceva infatti che il pane senza il sale fa ammalare (PALLADIO, Storia Lausiaca, XLVII, 14).
60
BESA, Vita di Shenute, 10.
diffusione non indifferente nella tradizione ascetica, e la vedremo ricomparire più volte
nella storia.
3.
La Filocalia e la tradizione esicasta
La Filocalia, molto nota anche in Occidente, è una preziosa raccolta di testi dei padri e di
altri autori spirituali sull’ascesi, la preghiera e l’unione con Dio. Nella Chiesa d’Oriente ha
avuto una notevole diffusione ed ha contribuito in modo decisivo alla rinascita
dell’esicasmo in tutto l’Est Europeo. Gli editori sono due santi della Chiesa ortodossa greca:
Macario di Corinto e Nikodemo Aghiorita, che pubblicarono il testo nel 1782, a Venezia,
sulla base di codici custoditi nel Monte Athos. Nikodemo va ricordato anche come autore di
un manuale ascetico nel quale tratta l’argomento della dieta: secondo il santo monaco
athonita ciò che si mangia ha un diretto collegamento con la vita spirituale, poiché
un’alimentazione sbagliata predispone alla materialità e fa perdere la retta fede 62.
La Filocalia è ritenuta la suprema sintesi dell’insegnamento ascetico mistico della
Chiesa d’Oriente, e da questo testo fondamentale possiamo trarre i principali insegnamenti
riguardo all’astinenza dalla carne e alla disciplina dell’alimentazione.
1.a.
Il controllo de sé e la robustezza interiore
La pratica ascetica dell’astinenza era tenuta in grande considerazione, tanto che anche
solo pensare di metterla in discussione era considerato il frutto di tentazioni messe in atto
dallo spirito del male. Giovanni Carpazio suggerisce di provare: basta imporsi di non
mangiare un alimento e subito il Nemico accende in noi l’attrazione proprio per il cibo
vietato63. Il sacro dovere di ospitalità non era un motivo sufficiente per allentare la disciplina
alimentare, come sostiene Evagrio 64. Con tocco poetico Esichio afferma che: «Principio
della produzione dei frutti è il fiore e principio della sorveglianza dell’intelletto è la
continenza nei cibi e nelle bevande» 65. L’astinenza è, infatti, il risultato di una scienza
superiore, e come insegnava Diadoco di Foticea ci si astiene da certi cibi non perché in se
stessi cattivi, ma per controllare le membra «accese della carne». Tutti i cibi sono buoni, ma
rinunciare ad alcuni è peculiare di una discrezione e di una scienza maggiori 66.
E’importante sottolineare che nella disciplina della dieta è indispensabile, come ricorda
Marco l’asceta: «trattare con padri spirituali provati, frequentarli e farsi da loro guidare. È
pericoloso infatti far da soli»67.
61
Cfr. L. REGNAULT, Vita quotidiana dei Padri cit., p. 80. Sono numerosissime le testimonianze negli
Apoftegmi. Ad esempio Filocromo che si asteneva da pane di grano e da ogni cibo cotto. Per 32 anni non
toccò alcun frutto (Apoftegmi serie numerica, 592). Tutte le fonti raccolte contrasterebbero con la notizia
riportata da Cassiano secondo cui non vi era nessuno dei grandi che si cibava solo di verdure senza pane, e
che nessuno di questi ultimi ha raggiunto alte vette (CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, V, 23).
62
Cfr. NICODEMO AGHIORITA, Manuale, 106.
63
GIOVANNI CARPAZIO, Cento capitoli di ammonizione, 39. L'astinenza dal pesce, pur essendo meno
diffusa di quella dalla carne, aveva comunque un gran numero di sostenitori. Questo è riscontrabile anche in
occidente, ma il fenomeno è sottovalutato e poco studiato.
64
EVAGRIO MONACO, Sommario di vita monastica.
65
ESICHIO PRESBITERO, A Teodulo, 165.
66
Cfr. DIADOCO DI FOTICEA, Definizioni. Discorso ascetico, 43-44.
67
MARCO L’ASCETA, Lettera al monaco Nicola.
1.b.
Domare le passioni
Per una seria esperienza spirituale è di basilare importanza la disciplina delle passioni, e
gli autori monastici sono concordi sulla necessità di controllare per prima la passione della
gola. Ricorda Evagrio Pontico: «Fra i demoni che si oppongono alla pratica [delle virtù],i
primi a mettersi in assetto di guerra sono quelli a cui sono affidate le voglie della gola»68.
Dalla letteratura delle dottrine ascetiche monastiche traspare una concezione particolare
del corpo umano, con la formulazione di una sorta di fisiologia mistica dalla quale deriva
l’idea che un determinato regime alimentare non coinvolge solo il corpo, ma ha influenze
anche psichiche e spirituali69. Niceta Stetatos afferma che la sazietà fa infiammare il basso
ventre70; Cassiano dichiara che: «È impossibile lottare nella nostra mente con lo spirito di
fornicazione a ventre pieno»71; Marco l’asceta esorta: «Tutto il trasudare della
concupiscenza carnale raffreddalo e disseccalo mediante la frugalità, la temperanza nel bere
e le veglie di intere notti»72. Raffreddare e disseccare sono i termini tecnici ricorrenti riferiti
all’influsso positivo della dieta sul sistema ghiandolare, da cui il termine xerofagia73.
L’eccesso di grassi nel corpo, infatti, ha un effetto devastante per l’attività intellettuale, per
quella spirituale e anche per la castità, perché infiamma il sistema ghiandolare. Nella
concezione ascetica le ghiandole collegate all’attività sessuale sono vicine all’intestino, e la
loro attività può essere influenzata dai cibi eccitanti e dal calore che essi producono. Nilo
Asceta, attraverso una complessa interpretazione del simbolismo biblico, espone alcuni
aspetti di questa fisiologia: l’ardore dell’intestino causato dalla carne infiamma le ghiandole
genitali e questo fa perdere vigore alla mente che finisce per respingere anche le fatiche
spirituali; allora l’uomo
cammina tutto sul ventre, e di lì prende gli umori connessi al godimento del piacere, e chi vuole
iniziare una vita virtuosa comincia ad eliminare tutto il grasso degli intestini rifiutando i
nutrimenti che ingrassano il corpo; così il progrediente dovrà solo lavare ciò che è nell’intestino;
e il perfetto deterge tutto l’intestino rigettando completamente ciò che è di più dello stretto
necessario [...] la gola precede tali moti ed ha una particolare parentela con quelli venerei. Oltre
a ciò, anche la natura, volendo mostrare la proprietà di queste passioni, ha posto gli organi atti
all’unione sotto il ventre, indicando con la vicinanza la parentela.
Se infatti questa passione è debole, lo è per la indigenza della parte soprastante; se invece è
esuberante ed eccitata, lo è anche perché gli somministra l’energia quella parte74.
68
EVAGRIO MONACO, Sul discernimento delle passioni e dei pensieri, 1.
69
L'esicasmo col suo metodo psicofisico evidentemente presuppone una sorta di fisiologia mistica.
L’argomento è eccellentemente sviluppato in: L. ROSSI, I filosofi greci padri dell’esicasmo, Torino 2000.
70
Cfr. NICETA STETATOS, Prima centuria. Capitoli pratici, 74.
71
CASSIANO IL ROMANO, Al Vescovo Castore. La continenza del ventre.
72
MARCO L'ASCETA, Lettera al monaco Nicola.
73
Con il controllo rigoroso dell’alimentazione il monaco aveva l’obbiettivo di “seccare” il corpo, come si
dice esplicitamente di Schenute: «non mangiava ma solo beveva e il suo cibo era soltanto pane e sale. Con
questo il suo corpo si seccò» (BESA, Vita dell’Archimandrita Shenute, 10).
74
NILO ASCETA, Discorso ascetico, 57-59.
Anche Marco l’asceta sottolinea che un’alimentazione sbagliata eccita le passioni, al
contrario l’astinenza rinnova l’intelletto con la sinergia dello Spirito. Rivolgendosi
soprattutto ai giovani, li esorta a tenersi lontani dai cibi grassi e dal vino, per non ritrovarsi
simili a maiali pronti per essere sgozzati. Infatti «l’affluire del sangue [causato dai cibi
nocivi] produce il defluire dello spirito». Per quanto riguarda il vino, i giovani non
dovrebbero neppure annusarlo, dato che causa un duplice incendio: l’eccitazione della
passione e lo sconvolgimento fisico, e questo ribollire del corpo produce nel cuore
confusione e indurimento75.
1.c.
La mente luminosa e l’unione con Dio
Ai maestri delle prime scuole filosofiche era ben nota la relazione diretta tra
l’alimentazione e le facoltà intellettive e spirituali; questo è un tema che ricorre spesso
anche nella spiritualità cristiano-orientale. Massimo il Confessore ricorda che: «Il monaco,
soprattutto l’esicasta, deve rigorosamente badare ai pensieri, riconoscerne le cause e
reciderle […] Essi sono recisi da fame, sete, veglia e solitudine» 76. Anche per Talassio
l’astinenza libera l’intelletto dalla schiavitù dei pensieri77.
Secondo gli autori spirituali l’effetto negativo del cibo si manifesta con la perdita di
luminosità del nous78 (tradotto ordinariamente con “intelletto”, anche se questo vocabolo
non esprime appieno ciò che intendevano i padri greci). Gregorio Sinaita insegna che senza
l’astinenza il nous resta intorbidito, e di conseguenza non si può pregare con forza e
purezza. Inoltre il troppo cibo provoca il sonno che a sua volta trascina l’intelletto in
innumerevoli fantasie79. Pietro Damasceno sostiene che senza una disciplina
dell’alimentazione l’intelletto si oscura, ma annota anche che esagerare in senso opposto,
sottoponendo il corpo a digiuni e veglie prolungati, offusca la mente 80. Era preoccupazione
costante dei padri antichi che il discepolo conservasse un equilibrio nell’ascesi, per questo
era determinante affidarsi alla guida di un padre esperto capace di controllare gli eccessi o le
rilassatezze.
Esichio presbitero rimarca con una metafora lo stretto rapporto tra l’alimentazione e la
vita spirituale: come il fiore produce i frutti, così la frugalità nei cibi e nelle bevande è
75
Cfr. MARCO L'ASCETA, Lettera al monaco Nicola.
76
MASSIMO IL CONFESSORE, Sulla carità. III Centuria, 20.
77
Cfr. TALASSIO LIBICO E AFRICANO, A Paolo presbitero. Terza centuria, 54-56.
78
Il nous nella letteratura patristica è il “luogo di Dio”, è la parte divina nell’uomo capace in sé di
‘vedere’ (Cfr. PSEUDO-MACARIO, Omelia XXV, 10), è una cosa simile a Dio e divina (Cfr. GREGORIO DI
NAZIANZO, Discorsi teologici, 17). Il termine intelletto, con cui lo si traduce abitualmente, ne falsa il
significato. Difatti non va confuso con la mente razionale, si tratta piuttosto dell’organo della
contemplazione (Cfr. T. ŠPIDLÍK, La spiritualità cit., p. 286-288; J. BEHM, «nous», Grande lessico del Nuovo
Testamento I, c. 1060-1063) e non della “mente discorsiva”, denominata dianoia nella letteratura spirituale
(Cfr. «intelletto» e «mente» in Glossario di Filocalia I, B. Artioli-F. Lovato (ed.), Torino 1982, p. 37). Per
giungere alla theoria -la visione- occorre necessariamente purificare il nous, renderlo luminoso, spogliandolo
delle cattive passioni e di ogni immaginazione, per liberarsi dalla idolatria dei concetti (Cfr. GREGORIO DI
NISSA, La vita di Mosè). Al raggiungimento della purezza e limpidità del nous -secondo i Padri- contribuisce
anche la dieta priva di carne, vino e altri alimenti nocivi.
79
Cfr. GREGORIO SINAITA, Come salmeggiare .
80
PIETRO DAMASCENO, Spiegazione bellissima e necessaria delle sette azioni corporali.
all’origine della custodia dell’intelletto81. Callisto e Ignazio Xanthopouli elencano i carismi
e i beni spirituali che deriverebbero dall’astinenza e dal raccoglimento, tra i quali parlano di:
«[…] moti luminosi della mente; […] vista penetrante e l’acutezza della conoscenza delle
cose lontane; […] profondità dei mistici concetti che la mente afferra nel significato delle
parole divine; […] fiamma dello zelo che calpesta ogni pericolo e supera ogni timore» 82.
Secondo Filoteo l’astinenza è indispensabile all’esicasta ed è «un’operazione spirituale in
quanto opera sui costumi del nous e li rende bianchi»83. Gli autori spirituali parlano di una
lucentezza particolare, di una colorazione candida che lo spirito conquista grazie alla pratica
dell’astinenza:
Tu che aspiri alla preghiera pura controlla l’irascibilità e se ami la temperanza, domina il ventre
e non dargli pane a sazietà e quanto all’acqua, tienilo alle strette. Veglia nella preghiera e
allontana da te il rancore. Non ti vengano meno le parole dello Spirito Santo e bussa con le mani
delle virtù alle porte della scrittura. Allora sorgerà per te l’impassibilità del cuore e nella
preghiera vedrai il tuo intelletto splendente come astro84.
4.
San Basilio di Poiana Marului e la rinascita esicasta
San Basilio, morto nel 1767, fu maestro del più noto Paisij Velickovskij, lo staretz che
inaugurò in Moldavia il movimento filocalico neo-esicasta85. A san Basilio è attribuito un
testo molto importante per la nostra trattazione, poiché è uno scritto della tradizione
orientale interamente dedicato al tema dell’astinenza: Perché i monaci rinuncino alla carne,
dov’è stato l’inizio di questa legge, perché non dagli uomini è stata data, ma sin dall’inizio
è stata data al primo creato proprio da Dio86.
Fino al XVIII secolo non fu necessario comporre opere a sostegno dell’astinenza dalla
carne, perché era una pratica ascetica diffusa in tutto il monachesimo orientale. San Basilio
invece visse in un’epoca di rilassatezza e sentì l’esigenza di promuovere un rinnovamento
dei costumi, attirandosi in questo modo non poche ostilità. Quasi contemporaneo di
Nikodemo, condivise con lui il desiderio di riproporre la venerabile tradizione esicasta, ma
anche lo stesso destino di accuse, attacchi e perfino sospetti di eresia 87.
Nel suo libretto il santo moldavo sottolinea la diversità fra l’astinenza monastica e quella
superstiziosa degli eretici, ed ammonisce di non prendere a pretesto la condanna degli
eretici per sottrarsi alle pratiche ascetiche. Richiama l’esempio di tutti i grandi santi che
praticarono l’astinenza dalla carne, citando anche quegli episodi, così tipici nelle vite dei
monaci del deserto, nei quali gli angeli, incaricati da Dio, recavano in dono ai monaci il
81
ESICHIO PRESBITERO, A Teodulo, 165.
82
CALLISTO E IGNAZIO XANTHOUPOLI, Metodo e canone rigoroso, 30.
83
FILOTEO SINAITA, Quaranta capitoli di sobrietà, 3.
84
EVAGRIO MONACO, Sul discernimento dei pensieri, 43.
85
Cfr. T. ŠPIDLÍK, L'idea russa, Roma 1995, p. 300.
86
Quest'opera, che conosceva già un'edizione romena del 1816, è stata recentemente ripubblicata in
Romania a cura di D. RACCANELLO in Rugaciunea lui Iisus in Scrierile Staretului Vasile de la Poiana
Marului, Sibiu 1996.
87
Cfr. L. ROSSI, I filosofi greci padri dell’esicasmo cit., p. 12 ss.
cibo: essi però non portavano mai carne 88. Secondo l’autore romeno neppure Cristo si nutrì
di carne, semmai solo di pesce 89. La carne difatti è un «cibo che spinge a peccare» 90, ed
anche per questo motivo bisogna astenersene. È sua convinzione che l’attrazione per i
piaceri prodotti dalla carne assomiglia alla fornace dei caldei, sette volte riscaldata, e la
voluttà procurata «da altri cibi inadatti»91 assomiglia alla fossa dei leoni dove venne gettato
Daniele92. Ma Daniele e i giovani si salvarono grazie alla loro astinenza!
Nella tradizione mistica l’uomo prima del diluvio era in una condizione elevata, più
spirituale, dopo il diluvio invece ci fu un declino che Basilio commenta così:
Così anche a proposito dei cibi carnei dei vecchi monaci: non era volontà di Dio, ma un
abbassamento. E soprattutto dobbiamo dire che l’ordine non è stato così sin dall’inizio, e per
questo alcuni monaci hanno abbandonato anche i Padri Teofori. Se i voti dei monaci cercano
l’antico ordine, e non quello di Noè devono volere i cibi che Dio ha dato ad Adamo nel
Paradiso, e non quelli di Noè dopo il diluvio93.
Per ritrovare la strada che conduce allo stato beato originario è necessario rinunciare alla
carne, altrimenti gli occhi resteranno velati e non sapranno rivolgersi alla meta. Se
desideriamo guadagnare il paradiso, conclude il santo romeno, dobbiamo tenerci lontani da
questo cibo troppo materiale e abituarci a mangiare i frutti e i semi offerti dalle piante 94.
Grazie anche all’opera di Basilio di Poiana Marului e di Nikodemo nella Chiesa
d’Oriente la pratica dell’astinenza ha subìto poche trasformazioni rispetto alle consuetudini
antiche. L’esclusione completa della carne, anche nel giorno di Pasqua, è diffusa in tutto il
monachesimo russo95 ed armeno96. D’altronde l’esempio del santo monaco più venerato
dalla Chiesa Russa ha segnato la strada: San Sergio di Radonež, come riporta il suo
discepolo Epifanij il saggio, rifiutava di attaccarsi al seno della madre dopo che questa
aveva mangiato la carne97! Tra i siriani, sia giacobiti che maroniti e nestoriani, la violazione
dell’astinenza è considerata peccato mortale. Un canone del concilio di Sélucie-Ctésiphon
recita: «il monaco che mangia della carne è colpevole come chi abusa di una donna» 98.
88
Cfr. BASILIO DI POIANA MARULUI in D. RACCANELLO, La preghiera di Gesù negli scritti di Basilio di
Poiana Marului, Alessandria 1986, p. 295.
89
Cfr. BASILIO DI POIANA MARULUI in D. RACCANELLO, La preghiera cit., p. 297.
90
BASILIO DI POIANA MARULUI in D. RACCANELLO, La preghiera cit., p. 294.
91
Il passo lascia supporre che nei monasteri neo-esicasti si praticasse l’astinenza anche da altri cibi oltre
che dalla carne. Sarebbe interessante individuare questi «cibi non adatti», ma purtroppo non sono specificati
in nessuna opera di Basilio.
92
BASILIO DI POIANA MARULUI in D. RACCANELLO, La preghiera cit., p. 301.
93
BASILIO DI POIANA MARULUI in D. RACCANELLO, La preghiera cit., p. 291.
94
BASILIO DI POIANA MARULUI in D. RACCANELLO, La preghiera. cit., p. 294.
95
Cfr. N.TOLSTOY, «Abstinence chez les russes», Dictionnaire de Théologie Catholique I, c. 267.
96
Cfr. J.LAMY, «Abstinence chez les arméniens», Dictionnaire de Théologie Catholique I, c. 270.
97
EPIFANIJ, Vita del beato Teoforo padre nostro l’igumeno Sergij il taumaturgo, 2.
98
Cfr. J.LAMY, «Abstinence chez les syriens», Dictionnaire de Théologie Catholique I, c. 268.
5.
Nutrire corpo e spirito
Schematizzando il pensiero dei primi padri, che tanto hanno influenzato la tradizione
contemplativa della Chiesa d’Oriente, si possono individuare alcune motivazioni
fondamentali a favore dell’astinenza dalla carne. San Cirillo di Gerusalemme dava valore
all’astinenza non per superstizione o perché in balia di pensieri ossessivi (reminescenza
delle prescrizioni ebraiche) di purità o impurità dei cibi; la valenza dell’astinenza è
determinata dalla sua capacità di favorire l’accesso a beni superiori:
Digiuniamo infatti astenendoci da carne e vino, non perchè li aborriamo come impuri, ma per
l’attesa della ricompensa... Tu allora te ne asterrai non come se fossero cose impure, se no non
conseguirai alcun premio; ma lasciale da parte come cose buone, per le cose intellegibili, molto
migliori, che ti vengono proposte99.
Nella letteratura ascetica i beni superiori connessi all’astinenza possono essere suddivisi
in tre gruppi, in rapporto con le tre dimensioni fondamentali dell’uomo: il corpo, la psiche e
lo spirito.
5.a. Il corpo Tempio dello Spirito
Alcuni possono giudicare il corpo umano un intralcio alla crescita spirituale, invece se
ben utilizzato il corpo può diventare un potente strumento di crescita: da qui nascono
l’attenzione e la cura per lo stile di vita, l’abbigliamento e naturalmente anche per il regime
alimentare100. L’alimentazione influenza fortemente lo stato di salute del corpo, che a sua
volta influenza l’attività mentale, perciò è di fondamentale importanza mantenerlo sano e
purificato.
Il santo vescovo Ambrogio invita esplicitamente a nutrirsi in modo vegetariano per
mantenere la salute del corpo, dono del Creatore 101. L’alimentazione frugale, e priva di
carne, garantisce una buona salute del corpo e della mente, come insegna san Clemente:
«Coloro che fanno uso dei cibi più frugali, sono più forti, più sani e più generosi […] E non
solo sono più robusti, ma anche più saggi. Così i filosofi sono più saggi dei ricchi, perché
non oscurarono la loro intelligenza coi cibi»102.
5.b. Educare le passioni
Negli autori spirituali troviamo molti riferimenti agli effetti fisici dell’alimentazione in
relazione con la vita di preghiera. Avidità, sregolatezza nella sfera sessuale e altre passioni
sono sotto l’influenza dell’addome che, riempito a dismisura e con cibi nocivi, ottunde
qualsiasi attività superiore103. Oggi, grazie alla scienza, sappiamo che c’è un legame diretto
tra sistema endocrino e pulsioni, ma questa certezza era già patrimonio degli antichi asceti,
che ne avevano fatta esperienza diretta. Grasso e calore, i nemici principali della dieta
99
CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi, 27.
100
La conoscenza profonda dei meccanismi dell’alimentazione e dei suoi effetti nella vita spirituale
deriva da una lunga esperienza e da un’attenta osservazione. Non sempre gli effetti dei cibi sono
immediatamente riconoscibili, c’è anche un effetto prolungato nel tempo, come già osservava acutamente
Giovanni Cassiano (GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, V, 11).
101
Cfr. AMBROGIO, Lettera XIV extra collezione, 26; ID., Esamerone, VII, 28.
102
CLEMENTE ALESSANDRINO, Il Pedagogo, II, 1.
103
Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, V, 5-6.
ascetica, influenzano il sistema ghiandolare, alterano l’equilibrio psicosomatico e
deformano la natura intima: variando la qualità del cibo che ingeriamo mutiamo la natura
della nostra purezza104. Molti autori, fra i quali sant'Antonio105, dichiarano che il grasso dei
cibi agisce sull’attività delle ghiandole intestinali, sulla fluidità del sangue, sulla
muscolatura, aumenta la produzione del seme 106 e causa eccitazione fisica.
Gli antichi padri, quasi all’unanimità, raccomandano l’astinenza dalla carne e dal vino
per conservare la castità: questo è il concetto ribadito più spesso da autori spirituali come
san Clemente Alessandrino107, Origene108, sant’Atanasio109, san Basilio d’Ancira 110.
Girolamo, con tono acceso e crudo, descrive l’effetto del calore prodotto da
un’alimentazione eccitante: «Le donne che si affannano per riuscire piacevoli sono schiave
della carne e mangino pure carne, così il calore che ne sprigiona le fa ardere dal desiderio
dell’unione carnale»111. Certi cibi causano il surriscaldamento del sistema ghiandolare dando
vita a pensieri e fantasie che stimolano soprattutto le passioni sessuali, ma non solo, come
ben descritto nella Filocalia. D'altronde la disciplina delle passioni facilita notevolmente il
controllo dei pensieri. La mente non eccitata non produce immagini e fantasie che
disturbano la preghiera contemplativa.
5.c. La preghiera nella Luce
Per gli antichi era chiaro che l’alimentazione può facilitare oppure rallentare le facoltà
intellettuali. Se il corpo è sano, ben utilizzato e non imbrigliato dalle passioni, allora anche
le facoltà intellettuali risplendono maggiormente. Il potenziamento delle facoltà intellettuali,
per quanto interessante, non era certo il solo motivo per escludere la carne dalla dieta: gli
autori spirituali hanno ripetutamente spiegato che il regime vegetariano predispone
all’esperienza contemplativa. Clemente Alessandrino ricorda che le esalazioni delle carni,
essendo fosche, ottenebrano l’anima112, inspessiscono la mente impedendo la
contemplazione, si oppongono al processo di spiritualizzazione. Sant’Ambrogio, in
riferimento alla narrazione biblica del profeta Daniele, afferma che l’astinenza procura forza
d’animo e molti carismi: la capacità di ammansire le belve feroci, di dominare il fuoco, di
diventare condottieri di uomini, di camminare sulle acque e di ricevere visioni113.
104
Cfr. GIOVANNI CASSIANO, Istituzioni cenobitiche, VI, 23.
105
Cfr. ANTONIO 22, Detti serie alfabetica 22.
106
«Perché essendo tali cibi più affini al corpo umano, piacciono di più e danno maggiore nutrimento al
nostro corpo: e quindi è più facile che ne derivi il superfluo il quale, trasformato in seme, costituisce con il
suo nutrimento il massimo incentivo alla lussuria» (TOMMASO D’AQUINO, Summa teologica II-II, q. 147, a. 1).
107
Cfr. CLEMENTE ALESSANDRINO, Il pedagogo, II, 2.
108
Cfr. ORIGENE, Omelia sul Levitico, X, 2.
109
Cfr. ATANASIO, Discorso alla vergini, 32.
110
Cfr. BASILIO DI ANCIRA, La verginità, 8.
111
GIROLAMO, Lettera LXXIX a Salvina, 7.
112
Cfr. CLEMENTE ALESSANDRINO, Il pedagogo, II, 1.
113
Cfr. AMBROGIO, Lettera XIV extra collezione, 28-29.
Filosseno di Mabbug illustra i grandi doni di preghiera elargiti a chi pratica l’astinenza
dalla carne:
Procura d’essere magro, per passare dalla porta stretta; bevi acqua per bere la scienza; nutriti di
legumi per essere esperto dei misteri; mangia con moderazione per amare senza misura; digiuna
per vedere...Chi mangia legumi e beve acqua, raccoglie visioni e rivelazioni celesti, la scienza
dello Spirito, la sapienza divina e la rivelazione delle verità nascoste; l’anima che vive in questo
modo percepisce ciò che alla scienza umana non è dato di conoscere114.
Così affermava san Basilio: grazie all’astinenza Mosé potè ascoltare la voce di Dio, Elia
riuscì a vederLo, Daniele ebbe le sue straordinarie visioni. Cristo stesso -proseguecominciò a manifestarsi al mondo dopo l’astinenza dei quaranta giorni di digiuno nel
deserto115.
Il principale effetto negativo che l’alimentazione ha sulla preghiera è la produzione dei
logismoi (i pensieri fuorvianti che distraggono la meditazione): «Il nous dell’astinente prega
con purezza; quello dell’intemperante brulica di fantasmi immondi» 116. T. Špidlík, tra i
principali studiosi della spiritualità della Chiesa d’Oriente, mette in rapporto diretto
l’astinenza con la preghiera: «Se ai nostri giorni si considera il digiuno come un sacrificio
aggiunto all’orazione, per i Padri la relazione era inversa: l’astinenza corporale è una
preparazione necessaria affinché si possa veramente pregare. Il digiuno è anche la
manifestazione esteriore dell’orazione; è per così dire la preghiera del corpo» 117.
5.d. Lo stato beato originario
Alla base di queste argomentazioni vi era l’idea che nutrendosi in modo sofisticato e non
vegetariano l’uomo non rispettasse la propria natura. L’alimentazione carnea
contraddistingue l’uomo decaduto che si è allontanato dalla primitiva condizione
paradisiaca; astenersi dal mangiare carne può favorire il ritorno allo stato di vita perduto.
Scrive Nilo asceta: «Vivere secondo natura, infatti, è il comandamento che il Creatore ha
dato sia agli uomini che agli animali. Dio disse all’uomo: Ecco, io ho dato a voi tutta l’erba
della campagna; sarà cibo per voi e per gli animali» 118. Gli animali sono rimasti fedeli alla
loro natura, non hanno tradito gli ordini di Dio, invece gli uomini, ai quali è stato pure
donato il pensiero, si sono allontanati dalla legge primitiva. Bisogna quindi essere meno
indulgenti con i piaceri «che sono sotto il ventre», e non continuare a riaccendere le brame
con nutrimenti grassi. Secondo la tradizione patristica e spirituale l’alimentazione carnea
caratterizza la decadenza dell’uomo, che nella primitiva condizione edenica si nutriva
114
FILOSSENO DI MABBUG, Omelie XI, 473-474.
115
Cfr. BASILIO MAGNO, Regole ampie, 16.
116
G. CLIMACO, La scala del paradiso, XIV, 95. Tanti sono i benefici dell’astinenza per Climaco:
«Estinzione degli incentivi, eliminazione dei logismoi liberazione dai sogni, purezza della preghiera,
schiarimento dell’anima, controllo della mente, apertura degli occhi...salute del corpo, impassibilità,
remissione dei peccati, porta e beatitudine di paradiso» (Ibid.)
117
T ŠPIDLÍK, La Spiritualità dell'Oriente Cristiano, Roma 1994, p. 199. Come specificato all’inizio
secondo Špidlík: «Presso gli autori spirituali il termine digiuno può comprendere tutte le forme di restrizione
alimentare di carattere ascetico» (Ibid.).
118
NILO ASCETA, Discorso ascetico, 71.
soltanto dei frutti della terra119. Sant’Ambrogio afferma che il Creatore, alle origini, ha dato
indicazioni di privilegiare un vitto semplice e il cibo naturale, rispetto agli altri cibi120.
L’Adam primordiale rappresenta per i padri un livello di umanità più spirituale, a cui
bisogna tendere. Per ritrovare la strada del giardino beato, cioè la vita ad un livello di
amicizia con Dio, e per passeggiare di nuovo con Lui nel giardino, occorre nutrirsi come
faceva l’uomo alle origini. Dice Girolamo: «Proprio per aver obbedito più al ventre che a
Dio, il primo uomo venne espulso dal paradiso, e poiché siamo stati espulsi dal paradiso per
l’intemperanza, facciamo in modo di tornarci mediante l’astinenza»121.
La nostalgia delle origini! Molti scelgono ben volentieri di non nutrirsi di ciò che può
allontanare dalla visione beata e dalla vita angelica, tesori di incomparabile valore, che
valgono più di ogni altra cosa122.
Guidalberto Bormolini
119
Cfr. BASILIO DI ANCIRA, La verginità, passim.
120
Cfr. AMBROGIO, Esamerone, VII, 28.
121
GIROLAMO, Lettera XXII ad Eustochio, 10. Cfr. G. CLIMACO, La scala del paradiso, XIV, 95; GIULIANO
POMERIO, La vita contemplativa, II, XXII, 2.
122
Cfr. G.M. COLOMBAS, Paradis et vie angélique, Parigi 1961, p. 167 ss.
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Nostalgia delle origini