PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA La Pro Loco di Avola pubblica in edizione digitale alcune significative opere della cultura regionale e locale con lo scopo di agevolarne la diffusione soprattutto fra i giovani sempre più fruitori delle nuove tecnologie .La speranza è che le nuove pubblicazioni contribuiscano alla definizione dell’identità dei giovani avolesi che nella conoscenza del passato troveranno la spiegazione di tanti problemi attuali. Gli e-book sono stati realizzati, in spirito di puro volontariato ,dall’Insegnante in pensione Palmeri Angelo. Avola,Aprile 2014 il Presidente della Pro loco Peppino Corsico AVV. CORRADO CALDARELLA TIBERIO HYBLA MAJOR JUNIOR AVOLA ANTICA EDIZIONE DIGITALE PRO LOCO – AVOLA -E-BOOK REALIZZATO DA ANGELO PALMERI Su iniziativa del Presidente della PRO LOCO Peppino Corsico e del Direttivo, dopo meditata lettura, ho steso la prefazione al libro di Corrado Caldarella Tiberio "Hybla Major Junior. Avola Antica" che la stessa ha deciso dí ripubblicare alla distanza di 33 anni. *** Il volume si propone di indagare e illustrare l'antica città di Hybla nelle sue vicissitudini: origine, collocazione, identificazione, pluralità, storicità, evoluzione interrogativi, potenza, grandezza, corruzione lessicale; per mano del suo illustre figlio (leggi nella pagina successiva i cenni biografici) non sempre e non da tutti i suoi concittadini conosciuto ed apprezzato come merita. Opera civile e colta, del Caldarella Tiberio, non certo sterile né partigiana; quasi avvertisse in sé il dovere di informare i concittadini – e non solo – sulle nobili origini e millenaria storia della propria città affinché potessero – e possono – sentirsi orgogliosi e onorati di abitare in un luogo di siffatto prestigio e di così alto lignaggio. Certo, per riuscire nelle non tanto nascoste intenzioni non bastava la volontà o l'aspirazione ma occorrevano ingegno e cultura, padronanza del linguaggio e alta modestia, genialità trasversale. tutte doti, naturali e acquisite, che il nostro Autore possedeva in abbondanza. Prosa la sua, ma grande ed ispirata, capace di risonanza suggestiva, per la passione e l'amore per la Città, per la dedizione a una visione razionale nata dalla mente e supportata dal cuore, per una tangibile sublimità che nasce dalla scorrevole narrazione dei fatti, sicuramente importanti – non solo a livello locale –, pur senza ricorrere a immaginazione esaltanti. Ed è proprio alla sublimità che il Nostro spesso fa ricorso per descrivere nomi di località, di personaggi, di eventi che hanno toccato la nostra Hybla/Avola sin dalla preistoria. L'anonimo autore del volumetto di critica letteraria e di estetica "Del sublime" scrive che la forza del sublime fa sì che "i fatti" narrati con l'entu siasmo della passione sembra proprio vederli in maniera tale che "esso non porta i lettori alla persuasione ma all'esaltazione", in quanto "il sublime non è che l'eco della grandezza interiore". 8 Il concetto di sublime è, a mio parere, la chiave di lettura di questo libro, anche se esso apre molti spazi alle congetture e al pensiero libero. Con un duplice obiettivo: illustrare la teoria storico-leggendaria della nascita e vita della/e città di Hybla e di liberare gli avolesi dall'oscurantismo ingiustificato intorno al proprio passato. Sembra dire l'Autore: "Cari concittadini e cari studiosi, non c'è nulla di cui preoccuparsi: gli accadimenti hanno una loro logica, anche se non sempre prefigurabili (Epicuro); la persona informata e assennata può vivere tutto con tranquillità senza farsi condizionare dalla paura o dalle opposizioni". Una grande lezione di modernità/attualità, a ben vedere. Questo, o qualcosa di molto simile, dovette essere l'intendi mento del ns Autore, anche se, talvolta, la narrazione risulta trop po colta e un tantino "pesante" per i comuni lettori. Tuttavia il di Lui spirito trascende ogni concettualizzazione stratificata palesando la sua grazia raffinata ed il suo realismo, partecipativo e affettuoso nel guidare il lettore verso la meravigliosa avventura di cittadinanza magnificamente contagiosa. Avola, 04 Ottobre 2013 Prof. Carmine Tedesco Proseguendo nella diffusione delle opere di concittadini che hanno onorato Avola, la Pro Loco dà alle stampe HYBLA MAJOR JUNIOR di Corrado Caldarella Tiberio. Cí asteniamo dal dare un giudizio storico critico sull'opera, convinti come siamo che la vastità del problema e l'inte resse che ha sempre suscitato la nascita e l'ubicazione delle Hyblae possa far rinascere il dibattito già vivo nel '700. Il manoscritto dell'opera è da parecchi anni in nostro possesso per gentile concessione dell'amico Lorenzo Caldarella nipote dell'autore, ma l'indifferenza e la superficialità per le nostre cose prima, e le precarie condizioni finanziarie poi, ne hanno ritardata la pubblicazione. Oggi che, anche per merito della Pro Loco, sì avverte un maggior bisogno di conoscenza, diamo alle stampe il manoscritto fiduciosi in un suo benevolo accoglimento. IL PRESIDENTE Prof. Gaetano Cusi CENNI B IOGRAF IC I SULL'AUTORE Corrado Caldarella Ti berio nacque in Avola nel 1869, da fami glia di modesti agricoltori. Avendo manifestato un forte attaccamento allo studio, venne so stenuto in tale tendenza, tanto da fargli conseguire due lauree, una in Lettere e l'altra in Giurisprudenza. Fu insegnante, per moltissimi anni, di materie letterarie all'Isti tuto Magistrale "Matteo R aeli " di Noto, dove fu appr ezzato per la sua cultura e per le sue capacità didattiche. La sua vena di scrittore si manifestò in qualche opera giovanile, data alle stampe, tra cui "Cavallo ed il 93 in Sicilia", "Il sentimento del divino e il dramma dello spirito". Combattente, come Ufficiale dell'Esercito, nella intera campagna di guerra del 1915/1918 fu decorato con medaglie di bronzo al valor militare. Sposò a Noto la signorina Giuseppina Ciarcià, che fu sua valente e tenace collaboratrice, con particolare riguardo alla presente opera il cui manoscritto originale fu in massima parte da lei redatto sotto dettatura dell'autore. Per moltissi mi anni visse a Not o, si a durante il periodo di in segnamento, sia, lasciato questo, per il primo periodo di attività pro fessi onale forense; in questa ulti ma atti vità si dist inse per cultura giuridica, zelo, serietà cd impegno. Tr asferita ad Avola questa su a atti vit à pr ofessi onale, la conti nuò con l'usato slancio e con massima abnegazion e, e fu qui che concepì l'idea di rendere onore al suo "campanile" intendendo far cono scere e divulgare che tra le varie Hyble, Avola Antica nella sua ubica zione rappresentava la continuazione dell'Hybla Major seppure Junior rispetto alle altre, ma sempre Major. Per tale dimostrazione fece ampie ricerche in antiche opere ed in constatazioni sul luogo e pose l'attenzione sul fenomeno glottolo gico di varianti fonetiche attraverso i secoli, per le quali dalla Hybla antica si è giunti alla denominazione della attuale Avola. Pur avendo finito il manoscritto, l'autore non potè avere la sod disfazione di rileggerlo pubblicato, perché morte lo colse, quasi improvvisamente, nel 1945. 12 PREFAZIONE Avola oppidum . . . . quae olim Hybla vel Abola (Maurolico) E certo che anticamente sorgevano in Sicilia diverse Ible, ma sulla origine, sul numero, sul sito e sulla loro discendenza regnano ancora le più grandi incertezze. Queste sono derivate soprattutto dal fatto che gli storici non hanno tenuto presente le trasmigrazioni delle antiche città dovute alle nuove immigrazioni. Ha dominato infatti il presupposto che le Ible fossero nate e scomparse nel medesimo sito. Tale presupposto ha reso impossibile l'armonia delle fonti. L'ap parente contrasto ha infatti condotto gli storici moderni ad accusare di gravi errori gli antichi o a travisarne il testo. La storia delle Ible pertanto aspetta ancora la chiave di tali contraddizioni e la spiegazione del perchè molte città moderne si contendono l'onore di discendere da esse. Una delle città che ambiva l'onore di discendere dalla maggiore delle Ible era la città di Avola antica. Essa fino al terremoto dell'11 gennaio 1693 sorgeva tra Siracusa e Noto antico in un grande sperone montano delle pendici meridionali dei Monti Iblei. E ben a ragione ambiva tale onore perchè è ancor vivente la prova di una città preistorica scavata interamente nella roccia ed è ancor vivente il suo nome, che indubbiamente è una corruzione fonetica del nome di Hybla. E’ notevole al riguardo che mentre le altre città, che si dicono discendenti della maggior delle Ible, come Augusta, Iudica, Paterno, Melilli (') hanno un nome completamente diverso, solo Avola, per quanto corrotto ne conserva il nome. lbla Major infatti in origine non ebbe che il solo nome di Ibla ed assunse il soprannome di Major dopo che sorsero le altre Ible minori. Alle due prove anzidette si univa poi una antichissima tradizione ( 2 ). Ma ciò nonostante in tutti i tempi se ne è dubitato e le incertezze possibilmente sono nate dal fatto che questa città preisto rica nel grande risveglio letterario del 1500 restava ignota ai superficiali osservatori. Nel corso di millenni infatti essa si era trasformata in una città moderna in muratura con diversi quartieri e molte chiese e luoghi religiosi. La nuova città però conserva ancora il suo vecchio castello, ma certamente restaurato. All'epoca dei comuni, però, unica fra le città dell'isola, assu meva uno stemma che simboleggiava la millenaria fama del suo mie le (3). Il suo stemma infatti aveva questi simboli: nella metà superiore una croce, mentre in quella inferiore erano tre speroni montanti con tre api volanti. Evidentemente erano simboleggiati: la fede cristiana, gli speroni montanti del luogo, la fama del suo miele. La nuova città in muratura nel terremoto anzidetto copriva di macerie la città preistorica e quindi trasmigrava in pianura poco lungi dal mare. Il sentimento popolare della nuova Avola si è sempre rivolto verso l'antica dove furono ricostruiti: una chiesa, la Madonna delle Grazie e il Convento dei Cappuccini. L'antica e la nuova Avola hanno sempre seguito la vecchia tra dizione, ma nel 1500 nasceva un grave dissenso fra gli storici. Il Faz zello (1498-1560) nella sua Storia di Sicilia, accennando alla mediterranea Avula e fermandosi alle prime apparenze leggermente la disse recente e di nome Saraceno (4), mentre la grande maggioranza degli storici la ritenne proprio una delle antiche Ible. Fra essi il dotto netino Vincenzo Littara (1550-1602) nelle sue opere chiamò sempre la città col nome di Ibla. Il suo discepolo Rocco Pirri pure da Noto (1577-1651) celebre storiografo del Re Filippo IV, nel suo libretto dei sinonimi disse che Avola, Abola, Abolla, e Ibla non erano che lo stesso nome e nella sua Sicilia Sacra disse: Abola, saracenicae appellutionis, in edito monte oppidum conditum quod Hyblam antiquam et appellant et esse aliqui credunt (5). Della stessa opinione furono il Caraffa e il Parisi di Modica e il Maurolico di Messina (1494-1575). E’ notevole al riguardo che molti storici intuirono che il nome di lbla si era foneticamente corrotto in Abola. Ma questa intuizione re stava una semplice credenza perchè nessuno dava una sufficiente co noscenza della preistorica città, nessuno dimostrava il processo di trasformazione del nome originario, e nessuno spiegava il come Ibla Maggiore si fosse ritrovata sui monti iblei. Questo era lo stato della controversia quando nel 1745 P. Francesco Di Maria di Avola (16991755) con la sua Ibla Rediviva cercò di dimostrare che la città fosse stata l'antica Ibla Major. Ma anche questo dotto Cappuccino seguì l'erroneo presupposto che la città fosse nata e rimasta nel sito di Avola antica (6). D'altro canto la glottologia non era allora neppure nata e quindi l'improbo lavoro si riduceva ad una indigesta raccolta di antiche fonti storiche guardate attraverso un prisma di preconcetto, di credenze bibliche e di leggende. Egli infatti, partendo dall'errore che Avola antica fosse il sito originario dell'antica Ibla Major, fu costretto a modificare le antiche fonti e a fare una vera requ isitoria contro Pausania che la collocò in agro Catanensi. Nè seppe nulla dire sulla corruzione del nome di Ibla. Foneticamente infatti non fece che un timido accenno al cambiamento della b di Abula in v di Avula per dedurne soltanto la possibilità che il nome di Abula si fosse corrotto in Avola e per dire che appunto perciò il Fazzello avesse detto: Avula recens et novi nominis oppidum (7). Pertanto una critica anonima, sconveniente nella forma ma acuta ed elevata, subito gli oppose che egli cadeva in una petizione di principio perché non dimostrava che Avola Antica fosse una delle tre Ible noverate dagli storici (8). Questo appunto scardinava l'intero lavoro. L'autore rispondeva è vero nella sua elaborata Risposta Apologetica, ma si limitò a dire che se il Littara meritava fede quando sull'autorità di due storici aveva ritenuto che Neas fosse stata trasportata nel sito di Noto antico, egli ben poteva meritarla quando si appoggiava all'autorità di ben 24 storici e ad una costan te tradizione (9). Ma questa risposta non fu certo una dimostrazione. E peggio ancora quando i critici gli opposero il vero cioè che Avola fosse venuta al mondo quando lbla Maggiore era già distrutta. Egli infatti, appoggiandosi all'autorità del Maurolico, del Pirri, dello Alapide e di Eritreo, ostinatamente oppose che questo assunto non fosse altro che una ciarla. E suppose anche che Ibla Maggiore fosse stata distrutta e riedificata nel medesimo sito ( 10 )! Pertanto la credenza, per quanto generale, restò sempre una credenza. Tanto vero che il dotto storico Michele Amari nel 1854 poteva ancor dire che varie città di tal nome ebbe la Sicilia nella regione fra levante e mezzodì ancorche di nessuna si conosca appunto il sito ( 11 ). E il dubbio lo sentiva lo stesso Di Maria il quale terminava la sua opera con la speranza di potersi ricavare col tempo altre notizie della florida Ibla Major. Ma la sua speranza è rimasta delusa perchè nulla è stato fatto per esumare una città trimillenaria. Ancora infatti sulle abitazioni della preistorica città pascola il gregge e cresce il mandorlo e l'ulivo. Ancora i ruderi del vecchio Castello formano dei muretti paraterra. Nè basta perchè lo stesso castello è ora divenuto una casina di villeggiatura. E non è tutto ancora perchè contrariamente al vivo sentimento popolare, sono divenute di ragion privata il vecchio convento e la vecchia Chiesa! Nè gli studiosi locali, generalmente scettici, hanno saputo por tare alcun contributo alla soluzione della controversia (12) Non sappiamo infine spiegarci come il giovane maestro Orsi, sia pure in una fugace e superficiale visita alla città di Avola antica, nulla abbia detto della preistorica città limitandosi a rilevare una quarantina di sepolcri siculi della Cava Tirone ( 13). Ma poichè la glottologia ha fatto grandi passi, poichè abbiamo tanto prezioso mate-riale storico e una visione nuova delle vicende delle antiche lble, per nuove vie ci lusinghiamo di dimostrare che l'antica tradizione locale è una verità storica. Dimostreremo cioè che Avola antica è una città preistorica naturalmente fortificata di probabile origine sicana: che il suo nome non è altro che una corruzione fonetica di quello originario, che nel suo sito trasmigrava la celebre Ibla Major. Diremo ancora quando e perchè fu costretta a trasmigrare e quando e dove Ibla Major divenne famosa per il suo miele e per il fiume Erineo che le scorre vicino. Finalmente riassumeremo in appendice i risultati delle nostre ricerche ed esporremo la storia e geografia delle Ible. (1) Francesco Vita disse proprio che Megara fosse stata l'antica Ibla Maggiore; il l'azello dubitò che fosse si tuata ove fiori un tempo la città di ludica distrutta dal Conte Ruggero; Cluverio e Briezio la posero nel sito dell'attuale Paternò; Gianandrea Massa la suppose nelle campagne di Centorbi. Regalbuto e Catania: il Grande Atlante De Agostini colloca la città nel sito dell'attuale Melilli. (2) Que sta t radizi one , c ome ved re mo oral me nte si è tra ma ndata negli atti pubblici notarili anteriori al terremoto dcl 1693 e negli atti della curia vesco vile e vicariale. (3) Che, come vedremo, era il simbolo di Ibla Mcgale. (4) Egli dice di nome saraceno tutti i notai foneticamente corrotti senza vedere che le stesse parole arabe nella guttura popolare subivano i medesimi mutamenti fonetici della lingua del luogo. Pertanto come disse recente il Castello di Avola antica, disse anche recente e di nome saraceno il Castello di Cassibile dove è ormai certo che esisteva una antica città Sicula. ( 5 ) Roc co Pirri - Eccl e si a. V i n Di Ma ri a 1. R . 50 (6) Disse il Di Maria: E che era poi impossibile e ripugnante che distrutta tibia Maggiore, si sia altra volta rifatta e che siasi poi appellata col moderno nome di Avola ? ...C osi il te st o non può mai sostenere la vost ra cia ncia c he Avuta sia venuta al mondo quando l'Ibla Maggiore era distrutta ............................................ R. A. 91. (7) Di Maria - Ibla Rediviva 55 (8) Di Maria - Risposta Apologetica 32 - 92 (9) Di Maria - Risposta Apologetica 93 (lo) ivi 91. Vedi nota a foglio 3 N" 2 (11) Michele Amari - Storia dei Musulmani in Sicilia 1° ed., 334 - 2° 471 (12) Molto ci aspettavamo dall'amico G. Gubernale che in un trentennio ha raccolt o paziente mente i n molti inediti tutte le notizie antiche e rece nti della preistorica e della storica città di Avola antica. Egli ha avuto la profonda convinzione che la preistorica città fosse indubbiamente l'antica Ibla Major ma purtroppo, segu endo fedelmente il Di Maria, non ha dato alcun contributo alla soluzione della controversia. Egli però ha il merito di avere additato la via delle ricerche presso la Curia Vicariale e l'Archivio di Stato di Siracusa (e di avere esumato delle antiche scritture). (13) Egli qualificò la sua fugace visita semplicemente negativa perchè non trovò traccia di materiale antico. Disse però che la città di Abolla citata da Stefano Bizantino sembra indicata dal superstite nome attuale. Disse altresì di non doversi tener conto della moneta spuria del D'Orville che pur porta il nome di abulensis con l'effigie di un bue indicante la pastorizia e un grappolo di uva che simboleggia la coltivazione della vite. Né parlò della medaglia del Parata che simboleggia la eccellenza del miele di Ibla Megalos, che è il precedente storico dello stemma di Avola antica. Orsi - Scoperte varie - Melilli, Avola, Siracusa, Mineo. CAP. I AVOLA ANTICA E LA PREISTORICA HYBLA OPPIDUM Polche vogliamo dimostrare che Ibla Major dall'agro Catanensi trasmigrava sul monte di Avola antica, rileviamo anzitutto che esso è naturalmente fortificato e che sotto la distrutta città medievale giace una città preistorica con una piccola necropoli. Ben a ragione gli storici hanno dato alla città la qualifica di oppidum e l'hanno chiamata ,Monte e Castello (1). Si può anzi dire che essa, come Camicus, la metropoli sicana, poteva essere difesa da un presidio di tre o quattro uomini (2). Dall'altipiano lblense si parte infatti verso sud uno sperone montano fra due valli divergenti a sponde inaccessibili, la Cava Bugliula e la Valle fuori legge o Valle Tirone o Tifone. Per circa m. 200 esso digrada sulla roccia e si assottiglia al punto da formare il così detto scivolone. Quindi, come un collo d'oca, si innalza per circa m. 20 e forma un ampio monte. Esso, oltre che protetto a nord, ad est ed ovest, era anche protetto a sud perchè volgendo a martello verso est, ha una altra valle inaccessibile, la Caurararo. E al dì la di questa valle era protetto dal lungo Costone Ronchetto che in direzione est-ovest forma la sponda sinistra dell'Erineo. Le estreme difese poi della città erano costituite da una grande spianata che è il pianoro del monte e del Castello. La spianata di circa mq. 17000 oltre che inaccessibile a nord, est ed ovest, aveva un cornicione roccioso che con opere aggiunte formava una muraglia di difesa. All'estremo nord di essa a forma di gobba di cammello, sí eleva poi un rialzo roccioso che ancora è denominato il Castello. Esso aveva una triplice difesa: la prima formata dal cornicione della spianata, la seconda di roccia tagliata a forma di muretto e la terza formata da un altro cornicione di roccia naturale dell'altezza di oltre m. 2. Pertanto Avola antica era una città naturalmente fortificata ed esattamente fu detta Monte e Castello. Erroneamente poi il Fazello la disse recente e disse il Castello moderno di fabbrica e di nome (3). Ciò è nato dal fatto che alla preistorica città si era sovrapposta una città in muratura (4) ed al fatto che nel medio evo le porte, il Castello, le mura, con la nuova tecnica muraria erano stati rifatti cd adattati ai nuovi tempi (5). E peggio ancora quando la città fu distrutta dal terremoto del 1693 perehè le antiche grotte furono tutte coperte di macerie. Il tempo intanto ha riesumato la preistorica città. Il nuovo stradale Avola-Palazzolo, che la taglia a zig-zag distrusse è vero molte grotte e cisterne, ma molte ne scoperse con lo sgombero delle macerie. Il nuovo accesso stimolò anche i proprietari del luogo che si servirono del pietrame per la costruzione di muretti paratemi. Di fatti nei bassi terrazzi rocciosi, davanti le grotte. crescono rigogliosi dei filari di mandorli. Pertanto la città, per quanto mutilata e guasta dal tempo e dagli scavi, è emersa in tutta la sua interezza. Per ricostruirla basterebbero gli atti notarili che si conservano nell'Archivio di Stato di Siracusa. Essi dimostrano i numerosi trasferimenti delle grotte e le relative adiacenze. Il concittadino G. Gubernale, sfogliando gli atti dei Notari Antonino Calvo (1632-1635) e Sebastiano Tiralongo (1691-1693) nel solo quartiere del Castello rilevava le seguenti grotte: la grotta di Giuseppe Landolina confinante con grotte di Matteo Tiralongo da una parte e con altra grotta dello stesso Landolina dall'altra; seguono altre due grotte dei Landolina a cui tien dietro la casa di Antonio Lanza: una grotta di Mariano De Amico confinante con la grotta di Antonino Roccaro; la grotta di Domenico Romano confinante con grotta di Martino Caruso e con grotta della ved. di Corrado Bengiorno; la grotta di Natale Martorina in contrada S. Lionardo confinante con grotte di Giuseppe Blanco, con grotta di Pietro Angelo Celeste e via pubblica; la grotta della ved. di Francesco Rassetta confinante con casaleno di Antonino Dugo e casa di Maria Ved.Mantici , la grotta di Corrado Tiralongo confinante con casa di Antonino Piraino, casa di Francesco Carbeni e via pubblica; la grotta di don Francesco Carbeni confinante con grotta di Martino Caruso... ; una grotta di Antonino Piccione confinante con altra grotta della veci. Piraino; una casa con grotta in contrada S. Lionardo di certo Natale Mazzone confinante con casa di certo massaro Pulino Corrado, con case del Dott. Giuseppe Blandino; una grotta di Vincenzo Buscema confinante con grotta di Antonino Rametta; una grotta di Giuseppe Fazzino confinante con grotta di Corrado Antonio De Amico e grotta ii Antonino Roccaro; una grotta di Matteo Tiralongo confinante con casaleno di Vincenzo La Scala: la grotta di Giacomo Medoro in contrada detta li casi del Canonico confinante con grotta di Francesco Portuesi e grotta di Mariano Raeli; casa con grotta di m/ro Santo Bosio in contrada Saneto Pctro; la grotta di Antonio Molisina in contrada case dello Canonico. E così sono ricordate numerose altre grotte e case con grotte nel Quartiere delli Balzi. nel Quartiere delli Marchi e di S. Lionardo, nel Quartiere Troncello e nelle contrade dello Palo di A. Aloe, di Porta delli Vexini o di Porta dello Porco, nella contrada Fontanazza, nella contrada Lavinaro. E notevole che anche la Chiesa di S. Venera aveva anche la sua grotta. Si ricorda infatti una grotta seu morgana in contrada Porta delli Vixini confinante con grotta della venerabile Chiesa di S. Venera ed un casaleno con grotta di Grazia Principato conlinante con la grotta di detta venerabile Chiesa. E ciò negli atti di soli due notari ed in soli due o tre anni (16911693) (1632-1635). Ed erano tutte delle ampie grotte come sono quelle che tuttora si vedono. Salendo infatti per lo stradale abbiamo rilevato: verso la fine della prima rampa nelle terrazze soprastanti e in un breve tratto di una cinquantina di passi, abbiamo trovato numerose grotte spesso contigue, spesso a gruppi e talvolta intercomunicanti. Sono delle ampie caverne ad uso di abitazione naturalmente logore dal tempo, ingombre di terriccio e spesso franate sul davanti. Generalmente, tranne qualcuna che minaccia rovina, lasciano vedere la loro ampiezza e quanto vi è di notevole. Alcune sono dimezzate; altre internamente distrutte. Al margine superiore dello stradale si notano poi avanzi di grotte e cisterne. Ne abbiamo visitato circa 25 in buona parte in tutta la loro interezza. Generalmente hanno una larghezza variabile di m. 4.5.6.7. per circa altrettanto di lunghezza e un'altezza di m. 2,50 ed anche 3. Le porte di entrata sono generalmente franate ma qualcuna che si conserva intatta è della larghezza di m. 1.10 circa e dell'altezza di m.2. E’ notevole che in tutte o quasi esistono delle lunghe mangiatoie scavate nella roccia, alte m. 1 circa e della lunghezza variabile di m. 2.3.4.5. Vi si notano anche le così dette stacce che sono degli incavi ad anello scavate nella roccia per attaccarvi gli animali (4). Il soffitto è di forma piana e nelle pareti si trovano degli incavi che probabilmente servivano per le primitive lucerne. In qualche grotta il livello del pavimento è diverso: in una la parte più interna è circa m. I più alta, in una altra la sezione più interna è di circa m. 0.50 più bassa e vi si trovano due mangiatoie. Quest'ultima era indubbiamente una stalla con relativa concimaia. Alcune hanno dei lucernai rotondi che vanno dal basso in alto del diametro di cm. 30. Tutte poi conservano la impronta dello strumento con cui furono scavate C7) Sopra alcune di esse, forse distrutte per ragioni statiche, si vedono ancora larghe tracce di antica muratura a malta (8). Nelle cisterne si trova poi uno speciale intonaco impermeabile liscio all'esterno e internamente granuloso, spesso a più strati. Nell'interno delle grotte non ho rilevato alcuna nicchia sepolcrale, solo fra un gruppo e l'altro di grotte ho rilevato qualche nicchia probabilmente votiva della larghezza di circa m. 1. Si ha pertanto una serie di ampie grotte ad uso promiscuo di abitazione e di ricovero per gli animali. Nelle terrazze soprastanti alla seconda rampa dello stradale, in un breve percorso. ho notato altri 26 ambienti compresa qualche cisterna. Alcuni appaiono tagliati dallo stradale. Le grotte generalmente sono alte e spaziose, spesso contigue e spesso intercomunicanti. Generalmente sono provviste di mangiatoie per gli animali. Le dimensioni sono quasi uguali a quelle precedenti e, come in queste, in alcune rimane la sola sezione posteriore con larghe tracce di muratura. Ancora più ad ovest è degna dì speciale mensione una serie di sci grandi androni contigui, pure a soffitto piano. Essi, tranne il primo, formano delle grandi spelonche perchè interamente aperte sul davanti. La prima grotta di forma trapezoidale è della larghezza di m. 5 e 6, della profondità di m. 5.50 e dell'altezza di in. 2.60. Nella parte sinistra. all'altezza di m. 1.20 è notevole una scala della larghezza di in. 0.70 che dà nella terrazza soprastante. Da questa grotta si scende ad ovest in una spelonca sottostante di forma trapezoidale della larghezza dai m. 5.50 ai 7.30, della profondità di oltre m. 11 e dell'altezza di m. 3. Vi si trova qualche incavo a forma di staccia, qualche altro da lucerna. Non vi è traccia di destinazione. Attigua ad ovest e soprastante di circa m. I si ha un'altra spelonca della larghezza media di m. 7.50 della profondità di circa m. 11 e dell'altezza di oltre 3 metri. La parte posteriore porta un incavo della larghezza di in. 2.20 della profondità di m. I e dell'altezza di m. 1.70 All'entrata sono due nicchie forse per lucerne o per immagini votive. Vi si trovano due incavi a forma di giaciglio di lunghezza imprecisabile. In quello dí destra è una staccia molto alta ed altre se ne trovano internamente. Attigua ad ovest è una grande spelonca divisa in due sezioni: la posteriore della larghezza di m. 3.60 ed altrettanto di profondità e dell'altezza di m. 2.30. Parrebbe una cisterna perchè vi è una bocca che dà nella terrazza soprastante, ma tale non è perche da essa si scende nella sezione anteriore mediante tre gradini. Onesta sezione è della larghezza di oltre m. 6, della profondità di in. 5 e dell'altezza di m. 2.50. Entrando, a destra, si trova un incavo ad arco dell'altezza di m. 1.10 e ad esso corrisponde un altro incavo nel frontone della grotta dove sono pure dei buchi da borrello. Nello interno sono notevoli due grosse stacce nel soffitto. La parete di sinistra si prolunga oltre il frontone come si prolunga un'altra parete parallela. Adiacente ad ovest è un'altra spelonca della larghezza di m. 5,50 per in. 9 e dell'altezza di oltre m. 3. Attorno alle tre pareti, a forma di ferro di cavallo, si nota una panchina di pochi centimetri dal pavimento della larghezza di circa m. 0.70. Contigua ad ovest è una altra sezione di androne della larghezza di m. 7 e della profondità di m. 6 circa. Nessuna traccia di destinazione. Vi si nota una grande staccia. Tra la quinta e la sesta spelonca si notano tracce di antica muratura e larghe tracce di muratura si notano sul frontone di qualche spelonca. Se dovessi dire le mie impressioni direi che queste grandi spelonche probabilmente erano: la prima il palazzo del capo e le altre dei luoghi pubblici di adunanze, di sedute, di sicurezza pubblica, di esecuzione. Nella stessa rampa, verso ovest, si notane una decina di grotte e qualche cisterna. Generalmente non restano che le sezioni posteriori. Spesso sono interrate sul davanti e poco visibili. In una si nota intatta e visibile una mangiatoia con cinque stacce che occupa tutta la parete posteriore. In queste sezioni si notano larghe tracce di antica muratura. Al margine superiore dello stradale s'innesta poi un'antica via della larghezza di circa m. 2 a pendio molto ripido. A sinistra della detta via, le terrazze rocciose sono interamente popolate di grotte. Generalmente esistono le sezioni posteriori della larghezza media di in. 4 o 5. Spesso sono intercomunicanti e spesso interrate e impenetrabili. Su queste sezioni si notano larghe tracce di muratura. All'inizio della detta via, nell'innesto con lo stradale, è notevole una grotta a soffitto piano della larghezza di circa m. 7 e dell'altezza di circa m. 2. Vi si entra per una frana tanto larga da entrarvi dei carri. A destra infatti vi è la vera porta di entrata con due scalini che danno sulla detta via, della larghezza di circa m. 1. All'entrata, adiacente alla parete anteriore, si ha un piccolo rialzo roccioso di forma quadrata internamente e soprastante si trova una staccia. Evidentemente era un truogolo da maiale (9). La grotta comunica con la sezione posteriore di altra grotta dove è una mangiatoia quanto è lunga la parete con 7 robuste stacce forse per animali bovini. Adiacente ed ora intercomunicante si ha un'altra sezione di grotta di modeste dimensioni. Succedono ad est altre grotte di cui una semidistrutta della larghezza di m. 5 circa, interrato con scala di accesso alla gradinata soprastante. Sono degne di rilievo due ampi e grotte intercomunicanti: la prima nella parete posteriore, ad altezza imprecisabile ha un largo incavo della larghezza di oltre m. 3.50. In esso si notano le basi di un antico torchio per l'estrazione di olio, vino ed altro. Nel centro infatti si not a una scodella di for ma circolar e incavata nella roccia con un beccuccio anteriore per l'uscita del liquido. Ai lati sono due profondi buchi manufatti per le travi di un torchio primiti vo. Queste due grotte hanno sul davanti larghe tracce di muratura e vi si trovano anche dei grossi blocchi di pietra. Abbiamo poi creduto inutile di visitare le altre innumerevoli grotte che generalmente occupano tutto il versante meridionale (10 ). Rileviamo soltanto che nel versante orientale denominato costa di S. Ven era, ver so la sommità. è notevole un gruppo di alcune grotte. In una di esse si riscontra una galleria di oltre m. IO che risale al tempo dei primi cristiani. Pare quella in cui la Santa faceva le sue orazioni. Più ad ovest doveva trovarsi la chiesa di S. Venera in muratura. Necropoli - Tranne poche celle sporadiche esistenti altrove, la ve r a necropoli è ad ovest della città nell a ripida sponda occidentale del la Valle Fuori Legge. Vi si trovano infatti una quarantina di celle mortuarie scavate nella roccia che da sud a nord arrivano fino al punto in cui la valle raggiunge il piano di campagna ed incontra la Via del Cassero o Rua Grande che era la via principale della città. In questo punto. quasi sulla piattafor ma stradale, è notevole un buco scavato nella roccia da permettere la discesa di un uomo. Esso im mette in una galleria sottostante di dimensioni imprecisate. Le celle mortuarie vicine sono poi a finestra e di forma rettangolare. Gene ral mente hanno una larghezza di circa m. 2 ed una profondità ed al tezza di quasi metro uno. In esse è notevole un rialzo roccioso, ca pezzale o panchina, di circa cm. 10 ora da un lato soltanto ora da entrambi. Come si vede pertanto, non abbiamo le celle a forno del primo periodo siculo, ma quelle quadrate e più grandi del secondo e terzo. La notevole profondità poi dimostra che ogni cella non ser vi va per un solo cadavere e il doppi o rialzo roccioso indica che più cadaveri o stavano seduti sulle due panchine laterali o adagiati per disteso con la testa e dall 'uno e dall 'alt ro lato. La porticina o fi nestra di accesso di for ma rettangolare e debitamente scorniciata, doveva essere chiusa da una lastra rettangolare di cui non si è trovat e alcun esemplare ( 1 2 ). Si tratta pertanto di celle di famiglia capaci di contenere diversi cadaveri. Esse rientrano spiccatamente nel secon do e terzo periodo siculo in cui le celle si adornano di panchine ed i morti non vi stanno più accoccolati, ma seduti o adagiati con le gambe piegate. Può anche darsi che vi giacesser o distesi con la testa sul capezzale. Queste poche celle mortuarie sono poi del tempo in cui la sicana Hibla venne a contatto coi siculi che popolavan o tutto l 'altipiano e poi con la Geleate che venne allo sbocco della Cava Grande. Da ciò è nata la leggenda che nelle stesse grot te di abitazione esistessero delle celle mortuarie che però non abbiamo riscon trato. Intanto, di fronte alle 5000 celle mortuarie di Pantalica, alle 2000 di Dessueri e di Cassibile, in una città preistorica rimasta per millenni nel medesi mo sito, l 'insignificante numero di celle mor tuarie, presuppone il rito dei seppellimenti a grandi masse o della incenerazione propri di uno stadio di civiltà poco avanzato c ome era quello del popolo sican o. Questo barbaro rito funebre però non può far meraviglia quando si perpetuò in Avola antica fino al 169 3 e nella nuova città fino alla legge che vieta la inumazione dei cadaveri dentro le mura dell'abitato. Il sottosuolo infatti delle chiese di Avola era destinato al seppelli mento dei cadaveri ed accanto alle singole mu mmificazioni e quindi alle celle individuali in muratura, si perpetuava il rito dei seppellimenti a grandi masse. La chiesa madre di Avola è infatti un cimitero e il suo piazzal e prese il nome di Cimitero della Matrice. La stessa strada adiacente alla sacrestia prese il nome di Vianella o Vanedda dei morti. Ed erano dei cimiteri la chiesa di Gesù, quella di S. Sebastiano, di S. Venera, la chiesa dei Cappuccini ed altre. Se pertanto i seppellimenti collettivi durarono nella nuova Avola fino ad epoca recente, che dire dell'antica città in muratura e della preistorica città in cui gli abitanti vi vevano in caverne? Da ciò è nata la l eggenda che nelle stesse caverne di abitazione esistessero delle celle mortuarie che però non vi sono. (1 ) R ic ci oll o - Avut a Il ybl a M aj or oppid um Tol ome o - Hybl a M ont e e Ca st el l o. M a urol ic o - Avuta oppid um i uxt a Pac hi num. R oc c o Pi rri - Avol a i n ed it o mont e oppi d um. B a ud re nd - Ll ybl a M aj or Avola oppid um Sic ili ac a pud net um. Fa ze ll o - Avol a re ce ns e t novi nomi ni s oppid um. (2 ) Di od oro di sse c he Ded al o fa bbri cò Ca mi c o t a m a rc ht um e t fle xuosu m ut a t ri um ve l quat uor homi num pra c si d i o d e fe ndi possi !. Si sa c he Ca mi co pre nd e va nome da l fi ume omoni mo, ma ne ssun o l o ha ide nti fic at o. Si va ga qui nd i ne lle i pote si se ci oè t osse l 'Ak ra ga s di Gi rge nti o l a ci tt à di Si c ul ia na o il c a ste ll o d i Ca lta be ll otta o quel l o di Pl at a ne ll a. R i ol o - Ri ce rc he st oric he - La Si ci lia na 11 . 5 Ad ol fo Hol m (3 ) Ge ogra fia d ell a Sic ili a a ntic a. III, 6 0 II Fa z e ll o c hia mò rec e nt i a nc he Ra gusa . B ute ra, Scic li . Al ca ra. Nic osi a , B usc e mi c d al t re . In Di M a ria IR . 187 (4 ) Essa e bbe i nve ro i l Qua rti e ro d i Suso o d e l Ca st el l o, i l Qua rti e ro d ett i M a rc hi o d i S. Li ona rd o, i l Qua rti e ro It ri a ed il Qua rt ie ro de i Ca voni . Vi e ra poi ìl Pi a no d ell 'Orol ogi o e vi e ra no a nc he a lt re a bi taz i oni i n forma di borghi. (5 ) Pe r ossc rva re qua l e fosse l a nuova ci tt à di Avola a nt ic a pri ma de ll a sua d i st ruzi one, ba sta vede re una pl a nc et ta i n ra me c he t rova si i n pot e re d el di li ge nt e ri ce rca t ore Gae ta no Gube rnale . (6 ) Le ma ngiat oi e sono c oe ve all o sc a vo d ell e grott e e qui ndi nell a t ra smi gra z i one di Hi bla M aj or i bovi ni e d e qui ni e ra no add ome st i ca ti . (7 ) Furono sc a va t e all 'e tà de l me ta ll o? (8 ) L'Orsi t rova sol t a nt o ne l III° pe r. si c ul o l e pri me a ppl ic azi oni d ell a t ec nic a mura ri a . (9 ) II c a va l l o, i l boxe , l a ca pra , il c a ne e ra no ad d ome st i c at i a nc he d ura nt e l a ne ol it i ca . (1 0 ) Non sa ppi a mo spi e ga rc i c ome ma i qua l c he st ud i oso 'Loc a l e me t t a a nc he i n d ubbi o c he si t ra t t i d i una c i tt à pre i st ori c a e c red a cl ic l e grot t e si a no d i forma z i one na t ura l e c ome que l le d i P ost umi a . Pa re c he non si si a ma i de gna to d i vi si t a re le grot te d a noi d e sc ri tt e pe rc hé ba st a l a se mpl i c e vi st a pe r c onvi nc e rsi c he si t ri t a t a d i grot t e d i a bi t az i oni fat te a re gol a d 'a rt e c on st ru me nt i da ta gl i o ada t ta te al le ne c e ssi t à de l t e mpo. Sono i nfa t t i c oe ve a l l o sc a v o l e nume r o se ma n gi a t oi e sc a va te ne ll a roc c ia a c i r ca m 1 d i al te z za c on l e st a c c e sc a va te sul l a pa re t e e fac ie nt i pa rte d el l o i nt e ro sc a v o. Le st e sse port e d i i ngre sso son o fa t t e c on si mme t ri a e c on l e st esse d i me nsi oni d e ll e no st re . Né e ve ro c he l e a nti c he c a rt i ne non fa cc ia no me nz i one d el l 'a nt ic a c it tà pe rc hé ne l l a c a rt i na , di C la ud i o Tol ome o Al e ssa nd ri no si t rova una H ybl a (d e tt a Il ybi a ne l l a pa rte d e sc ri tt i va ) ad ove st d i Si ra c usa e sot t o Noe t um. Ne l l a t a vola 5 o d el l o Atl a nte ed it o i n R oma ne l 154 6 1 596 si t rova una i bla M onte e C a st el l o. Ugua l me nt e i n una ge ogra fi a de l Tol ome o, t ra d ott a d a l C e rt u ni ed e di ta i n Pa d ova . si t rova una Ibl a M onte e C a st e ll o. F ra l e c ort i ne mod e rne poi d el De Agost i ni e ne l Pa ce ad e s. a l p ost o d i Avol a a nt i ca , si t rova una a bol l a c he è una c o rruz i one d i !bl a . (1 1 ) La ve ne raz i one d i que st o ora t ori o ri sul t a da ll e d i sposi z i oni d el Ve sc ovo C a pobi a nc o da te i n se gui t o al l a vi si t a pa st ora l e 18 /12 /16 54 . l n e ssa i nfa tt i si l e g ge c he que l l a grot t a d ove va re st a re c hi usa e non d ove va a p ri rsi ma i se n on d i e t ro l i ce nz a de l Ve sc ovo Fora ne o o d e l R et t ore de l la C hie sa e qua nd o si a pri va pe r l a d e voz i one de i fe d el i . sopra l a port a d ove va a pporsi l a sc ri t ta : La ma ti na le d onne , pe r hoggi l 'huo mj ni . E c i ò sot t o pe na d i sc o mu ni c a e d i t el a pe na pe c uni a ri a di ont e 4 pe r c i a sc uno. Dobbi a mo l a l e t t ura d i que st a pa st ora l e al l 'a mi c o G. Gube rna l e . (1 2 ) Re c e nte me nt e pe rò se ne è not a t a una a nc ora c hi usa e ine spl ora t a pc r c hè a not e vol e al t ez za da t e rra . - CAP. II HIBLA ANTIQUA NEI SUOI MUTAMENTI FONETICI E NELLE ANTICHE SCRITTURE All'esistenza della città preistorica si lega la derivazione fone tica del nome. Il fatto fu intuito nel 1500 in cui il Maurolico rilevò che, secondo l'opinione di molti, la parola Avola era una corruzione volgare della parola Ibla ('). Nessuno intanto ha pensato di dimo strare l'esattezza di questa intuizione, che oramai ha piena conferma nelle comuni regole fonetiche e nelle antiche scritture (2). Al riguardo è intuitivo che quel processo di addolcimento che le parole subiscono nella guttura infantile e in quella popolare, non poteva risparmiare il nome della città. E così come la lingua parlata corrompeva prima la purezza della lingua latina e poi formava le nuove lingue romanze, nella parola Hybla avremo ugualmente la parola latina corrotta e declinata e successivamente la parola romanza indeclinabile. Non parliamo anzitutto della scomparsa della lettera H che secondo i grammatici non fu una consonante ma una semplice aspirazione. Essa infatti divenne fievolissima e spesso muta anche durante la repubblica e scomparve nelle lingue romanze ( 3 ). Il primo e vero mutamento fonetico fu pertanto il cambiamento della y iniziale in A che apparve durante il periodo arabo. Nel dialetto siciliano, e specialmente nel dialetto locale, è comune il cambiamento di suono delle vocali nell'incontro di altri suoni. E comune il cambiamento della e in a (4) della e in i o della o in a (I0). Ed è comunissimo finalmente il cambiamento della i nella vocale aperta a. Questo cambiamento poi avviene tanto nelle vocali iniziali che nel corpo della parola. Limitandoci intanto a questo ultimo mutamento notiamo: dalle parole illuminare, intentus, illucescere, illudere si ha in siciliano addumari,attentu,alluciari,alludiri. Nè ciò deriva dal mutamento della preposizione perchè lo stesso si verifica anche quando non è dubbio che la preposizione resta immutata. Così da insimul fr. pr. ansambl sic. ansemmula (sittemmiru m'ansemmulu) indivinare sic. annuvirari in cui certamente non muta la preposizione. Spesso anzi si antepone alla parola la vocale a. Così da heri sic. ajeri cd acri; oliva sic. uliva ed auliva; rubare sic. arrubbari; ridere sic. arririri. Spesso il cambiamento si verifica anche nel corpo della parola come in Syracusae sic. Sarausa; silvaticus sic. sarvaghiu; sincerus sic. sanzeru. Spesso anche la e si muta in a come in ebreo sic. abbreii. E’ notevole la parola latina ibor- is da cui si hanno avorio sic. avoriu in tutto simile alla parola Ibla. Spesso per evitare il suono della i esso si sopprime addirittura es. italiano talianu. Come si è detto le parole importate subiscono lo stesso addolcimento: cat. botifarra sic. buttafarri; prov. maquignon sic. maccagnuni. P. pertanto comune il cambiamento della i in a. Questo primo mutamento appare in forma letteraria durante il dominio arabo (827-1191 d.C.). Ne dà notizia lo Amari nella sua Storia dei Mussulmani in Sicilia. Egli lo trova in due manoscritti di Ibn-el-Atir in cui lo scrittore arabo parla della insurrezione fatta dai Cristiani contro gli invasori in Vai di Mazzara. Nell'860, dice lo Amari, si sollevarono molti castelli dell'isola comprese Sutera e Abla e scrive in nota: - l'un dei mss. di Ibn-elAtir ha Abla, l'altra Ajla. Cercando i nomi geografici che possono adattarsi a quei suoni. occorre in prima la classica voce di Hvbla . . viene poi Avola. terra presso Siracusa, che è per conto l’Abola di un diploma del 1149 e forse l'Abolla di Stefano Bizantino (7). Come si vede lo Amari esattamente rilevò che il nome di Abla non poteva riportarsi che ai nomi di Hybla o di Avola proveniente da Abola, ma non vide che Hybla, Abla, Abolii ed Avola non erano che una serie di trasformazioni dell'identico nome. Questo primo mutamento in Abla è poi il presupposto della seconda trasformazione in Abula e Abola mediante l'interposizione di una vocale fra il gruppo bl. Foneticamente è comune l'addolcimento del suono di un gruppo di consonanti mediante l'interposizione di una vocale. Dalla parola araba blath (lastra di pietra) con la interposizione della vocale a si ha il siciliano balata; dalla parola araba sgiflatha si ebbe il siciliano ciafalata, come da massra si ebbe mazzara, da Caltha (castello) si ebbe calata, come in Calata-Bellotta Calata-Biano. E la vocale interposta varia secondo il suono del gruppo di consonanti: dal latino alga si ha alica, da alba si ha ariva; dal vecchio francese primtemp si ha il siciliano primutempu, dal catalano malparat si ha il siciliano maluparatu e malaparata, così dal vecchio francese mofflet si ha il vecchio siciliano muffuleto ed il nuovo muffuletta. Ugualmente dal vecchio siciliano siptembru si ha settemmiru (7'). Questa interposizione è poi confermata dagli atti scritti. Lo stesso Amari infatti, come si è detto, dà per certo che Avola sia l'Abola di un diploma del 1149. L'interposizione poi della u e della o nel gruppo di bl non solo appare nel diploma anzidetto di Federico III, ma anche nelle successive concessioni. Abbiamo letto la copia legale di una concessione fatta da Federico 111 d'Aragona portante questa data: Ex registro regiae cancelleriae H.S.B. anni 1369 f. 296. Il Re Federico conferma a Fede rico Orlando, figlio ed crede di Orlando Federico, suo nipote, una concessione del 1367 ( 10 ) che si trova trascritta nella nuova. Egli concede ad Orlando Federico prima e poi al figlio Federico Orlando et suis aeredibus et successoribus terram Abole et ejus Castrum ac feudum Cassibilis et etiam Castrum cum vassallis, tenimentis, territoriis, finibus ("). Questa concessione evidentemente riguarda la città di Avola Antica col relativo Castello ed il limitrofo feudo di Cassi bile col relativo Castello dove appunto sorgeva una vecchia città sicula. Abbiamo pertanto la prova, e lo vedremo meglio, che la parola Abla si trasformava a sua volta in Abola ed Abula. E la trasformazione in Abola risale a secoli prima per come si rileva da un privilegio concesso da Re Ruggiero nel 1149 a Giorgio Stradigoto di Messina dove si legge: Rolandi, amici nostri nobilis Baronis Abolae. Nella lingua italiana e nel siciliano moderno è poi comune l'addolcimento della labiale b nel suono più debole della v. Difatti dal latino tabula, fabula, gubernator si ha in italiano tavola, favola, governatore, mentre dal vecchio siciliano barba, chibu, baxu, bulliri, erba, ,boi, si ha varva, civu, vasciu, vughiri, erva , vo( 1 2 ). Pertanto col cambiamento della b di Abula e di Abola in v si ha la trasformazione in Avula ed Avola. Ed è altresì comunissima la sincope di una vocale o di una consonante, come è comune il cambiamento della i, in u, che hanno un suono quasi uguale. Quindi spesso s'incontra la parola Auola e spesso si ha l'ultima pressione 35 dialettale Aula per come il volgo da secoli pronunzia il nome della città. Pertanto le parole Aula antica e quella di Avola Antica non sono che una corruzione fonetica delle parole Hybla Antiqua. Tutti questi cambiamenti sono pienamente confermati dagli atti della Curia Vescovile di Siracusa e della Curia parrocchiale di Avola e dagli atti notarili della città di Avola Antica. Nella detta Curia Vicariale di Avola abbiamo trovato sei registri che dal 1598 vanno al 1738. Sono un'ampia raccolta di encicliche, licenze, processi, subaste che riassumono le molteplici attività della curia. Ai registri si legano poi dei fascicoli di corrispondenza della curia vescovile di Siracusa e da tutti questi atti si rileva che Avola Antica in latino puro era chiamata Hybla, mentre in latino corrotto era chiamata col nome di Abula ed Abola. E si rileva altresì che queste due parole erano scritte anche con la doppia b e che nella lingua volgare si erano già trasformate in Avola, Auola„ ed Aula. In tali atti infatti si trova una mescolanza di sermo rusticus e di volgare e questa mescolanza si trova spesso in uno stesso indirizzo e spesso la forma corrotta è adoperata in forma indeclinabile. Difatti dalla corrispondenza della Curia Vescovile si rilevano questi indirizzi: Rev. Vicario terre Abule Ree. Ter. Abule - Ree. Vicario Terre Abule - Avola. 2/8/1681 Ai Rev. Vicaris Terrarum Licodie et Abule - Avola Licodia 28/8/1681 Al Vicario Terre Abbule- Auola 30/9/1681 Al Ree. Vicario Terre Abbule - Auola I 0 / 10/ 1681 AI Rev.Vicario Terre Abbole - Avola Nel secondo registro si riscontra Terre Abole (pag. 62) erarius curie vicarialis Terre Abole (80) R. do Vic. Terre Abole - Avola(81) Avole die (84) Aule die - huius Terre Abole (323) Antonio De Petro Curie Vic. huius. .. Abole vet. (329) Abule die Aug. Nel terzo registro che comprende gli atti della Curia anteriori e posteriori al terremoto del 1693 si trova anzitutto la seguente preziosa intestazione: Registrum Curiae Vicurialis huius civitatis Hyblae Majoris Annorum 1690....1708 Nel quarto si trova: Abule die (20/7/1728 p. 340) Abole p. 343 Terre Abule. Nel quinto si trova anzitutto la seguente intestazione: Registrum Curiae Vic.huius civitatis Hyblae Majoris annorum 1738 e nel contenuto Avole die (p. 22). In questo volume le date spesso si leggono così scritte: Avole die…martiis Avole die.. Un esposto del sacerdote Artale della città t di Avola ha la seguente data: Abole die. . . Aug/ti. Si ha pure Avola die . . Auole die. . . Il volume comprende anche un editto in data 7/2/1693 con cui, in seguito al terremoto, al fine di batter moneta, s'invitano i cittadini a consegnare alla zecca l'oro e l'argento da essi posseduto. Lo stesso nome di Abule - Abola Avola si riscontra negli atti di battesimo nella Chiesa Madre. Pertanto, come si vede, nel 1600 e 1700 la stessa città di Avola Antica nei registri della Curia Vicariale di Avola e nella corrispondenza della Curia Vescovile di Siracusa in lingua latina pura viene denominata Hybla ed Hybla Major, in latino corrotto Abula - Abbula- Abola ed Abbola e in volgare prima nella forma indeclinabile di Abule ed Abole e poi finalmente nelle ultime trasformazioni Auola - Avola ed Aula che è l'ultimo addolcimento della parola (12). Ma anche nel 1500 Avola Antica portò sempre lo stesso nome di Ibla. Un manoscritto della seconda metà del 500 si lega al nome del Dott. Michele Calvo medico e filosofo veramente insigne di Avola Antica. Egli scrisse due volumi intitolati: Conclusionum medicarum Centuriae ‹luae (13). E poichè il Calvo era intimo di Lorenzo Bolano di Catania, Littara Vincenzo e Pugliesi Girolano da Noto, di Giambattista Parisi di Modica e di Alfonso Benivieni da Siracusa, fra il frontespizio e la prima pagina del manoscritto si trovano due lodi in poesia di cui una del Parisi da cui trascriviamo quanto segue(14) : Hybla canam, sonet meis sic versibus Hvbla. Atque Per illustres nunc sonet Hybla choros. Hybla per Aequora jam consonet, Hybla per undas. Aeterea Per silva.s Ilyblam cuncta sonent Hybla Parens Calvi est. Calvo laetitur alumno Hybla Viris magnum protulit Hybla decus. Trunca Foret sine te Calvo, Trinacria tellus. Trinacria O Michael te decet esse caput. (16) Come si vede il Parisi scioglie un inno a Ibla perchè madre di Calvo. Pertanto nel 1500 Avola in latino puro ha il nome di Ibla. E questo nome ha negli scritti del Littara e di Rocco Pirri che sono della vicina Noto. Negli atti notarili del tempo il nome della città di Avola Antica in lingua dotta è sempre quello di Ibla mentre in latino corrotto e in volgare assume le trasformazioni fonetiche di cui sopra. Nel 1500 infatti nell'Archivio di Stato di Siracusa si trovano gli atti notarili dei notari Polidoro Pietro, Polidori Sebastiano, Inguanti Paolo e Vincenzo Tirindullo. In data 18/8/1593 nel Tirindullo ad es. si trova: Cum sit ad literas domina Maria De Aragona Marehionissa terre Abule . . . fucrunt perplures Pirati huius terre Abule. Pertanto si ha la forma indeclinabile di Abule. Le minute del notaro Inguanti sono illegibili. Nel 1600 si trovano le minute di tredici mastri notari. In quelli di Oddo Mariano la città cd il Marchesato di Avola si trovano indicati come segue: huius terre Abole - huius terre Abula -h. t. Abole - h. t. Abule - terre Abulae - in bue terra A buie - eivis huius terre Abole - h.t. Abole. Quindi si trova: Abe - ,4bbe - A.lar/tus Abe - huius Marchionatus Abole - March/us Abule. Nelle minute del Notar Tiralongo Corrado-Antonino si trovano le seguenti forme: hic Abe-terre Abule-terr.us Abe-in hoc March.tusAbule-huius March.tus Ab.a-Ab.e e anche Abb.e-huius Marchionatus .Abole ed anche Abule. Nel 1700, nella nuova Avola, si trovano gli atti di ben venti notari. In quelli del Notaro Tiralongo Corrado-Antonino(1709-1731) si trova:huius march.tus Abule ed Abe-Ab.e-hic Abe-hic Abb.e. E’notevole l'atto 31/8/1709 in cui si legge:site et posite in olim dirupta Hybla ci in territorio Truncelli in hoc terr.Ab.e in contrada Bochini. Il volume porta infine la seguente sottoscrizione:Noi. Corradus Antonius Tiralongo Hyblensis. In data 25/4/1709 si trova scritto: Marius Calafiore hujus Mar.tus Abole e cosi di seguito negli atti la parola Abola ora si trova abbreviata in Abe ora Ab.e. Si trova anche integralmente la parola Abole. Anche negli atti del Notar Romano Bartolomeo(1700/1711) il nome della città si trova sotto le seguenti forme:Abule-Abe ed Ab.e. A pag. 45 si trova: Corradus Antoninus Di Giorgio Hyblensis. Nel volume si trova anche inserita una lettera in volgare in cui nitidamente si trova la parola Auola. Il nome della città si trova anche sotto la forma abbreviata di Hab.e. A pag. 3 si trova anche Abule die. Alla fine della prima parte del volume si trova scritto: Minute actorum mei notarii Bartholomei Romano Hyblensis e quindi negli atti successivi: M.us Auole b.Mar.tus Abule-h.M. Abule. (p. 39) h.M.Abule. Fra gli atti del notaro Sebastiano Tiralongo (1682-1734) trovasi l'atto 31/1/1727 con cui, poichè in olim antiqua et diruta Hybla, ante formidabile terremotum die 11/1/1693 occursus i congregati cives huius civitatis Abolae, si obbligavano di provvedere all'acquisto dei vasi sacri e delle altre cose neccesarie per la somministrazione dei Santi Sacramenti. E’ notevole anche in questo atto che la città distrutta è chiamata diruta Ilybla mentre la nuova è chiamata col nome di Abola. Presso lo stesso notaro trovasi l'atto 22/2/1727 in cui si legge: Cum in olim antiqua IHybla, alma ven.le Mat.ce Eccl.a sub titolo S. Nicolai Ep.i exsisterit….et demolita jam p.ta antiqua Hybla in hoc situ reedificata fuerit nova civitus Ilybla eius cives …poichè la chiesa amplius non est apta ut prius in olim vetusta Hybla pro distribuzione d. Sanctorum Sacramentorum pro ut.urget....Pertanto la distrutta città è chiamata sempre col nome di Hybla. In data 2/3/1734 nella Chiesa dei Cappuccini di Avola si fa la seguente epigrafe a P. Angelo Caprera morto nel Marzo 1734: R.P. Angelus ab Hybla Maj. Concionator cappucinus obiiti Hyblae calendis Martiis anno D.ni 1734. Nel 1733 P. Vito Amico Statella pubblicava una nuova edizione della Sicilia Sacra di Rocco Pirri ed a pag. 182 del l' Vol. si legge: Abola in edito monte oppi dum quod Hyblam antiquam appellant…FamiliaeAragoniae, nunc Princeps Casteveterani ah anno tit. Marchionatus insignitus. Col progredire della cultura letteraria scompare il nome di Avola e rimane il nome di Hybla in tutta la sua purezza. Nell'atto 29/4/1782 in Notar Limpido, Joannes ct Benedicto Fugales et Aparo hujus civitatis Hyblae....concedono in enfiteusi uno stacco di terre in contrada Chiuse di Carlo per un canone da pagarsi hic Hyblae in pecunia. Nell'atto 10/4/1782 i concedenti si dicono hujus civitatis Hyblae e il pagamento è convenuto in hoc territorio Hyblae. Lo stesso si legge nell'atto 11 /4/ 1782 . Con atto 31/7/1790 in notar Fiore, don Corradino Genovesi civitatis Neti et modo in hac civitate Hyblae repertus concede in enfiteusi uno stacco di terre in contrada Caggi a certo Veni-Veni hujus civitatis Hyblae. Con atto 3/12/ 1786 in notar Limpido don Corradus Di Giorgio h.civ.Hyblae concede in enfiteusi uno stacco di terre in contrada Pantanello per un canone da pagarsi hic Hyblae in pecunia. Pertanto presso i notari di Avola antica e nuova si tramanda l'antica tradizione e la città appare prima in latino corrotto sotto le forme di Abula-Abola-Abbola-Abbula-Auola, quindi si distingue l'antica sotto il nome di Hybla e la nuova sotto quello di Abola e finalmente anche la nuova città è chiamata col nome di Hybla ed i cittadini Hiblenses. È poi notevole che tanto nei registri della Curia, quanto nella iscrizione a P. Angelo Caprera la città è qualificata col nome di Hybla Major. Possiamo quindi concludere che il nome di Hybla, seguendo nei secoli le comuni regole dei cambiamenti fonetici, con una serie di trasformazioni, si è corrotto in quello italiano di Avola e nel dialettale di Avula e che le parole Hybla Antiqua et Hibla vetus corrispondono alle nuove di Avola Antica, di Aula Antica, di Avola Vecchia e Aula Veccia per come il volgo le pronunzia. É un errore pertanto il dire che Avula ed Abola siano dei nomi recenti e saraceni. Abbiamo anzi visto che le stesse parole arabe e provenzali introdotte in Sicilia hanno subito le medesimi regole fonetiche. Le anzidette trasformazioni fonetiche eliminano anche molte incertezze. Se una delle trasformazioni fu quella in Abola, se questo nome si trova scritto anche Abbola come dubitare che quando è scritto colla doppia II o quando alla b è sostituita la p non sia lo stesso nome? Quindi la città di Abolla ricordata nel VI° secolo da Stefano Bizantino o di Apolla, come scrive il Ghisleri, non può essere che la stessa città di Avola. Se poi Auola non è che una ulteriore corruzione di Abola, anche il sito di questa città indicato dai geografi del 1500 non può essere che quello di Abola, di Abbola, di Abolla od Apolla. Del pari gli stessi notari di Avola si sottoscrivevano con l'aggettivo di Hyblensis, se Hybla si corrompeva in Abula, non è lecito dire che la moneta Abulensis, portante l'effige di un bove e di un grappolo di uva non sia di Avola antica. (17). Abbiamo poi dimostrato che la medaglia del Paruta simboleg giante la fama del miele di Ibla Maggiore, che porta il nome di Megalos Ibla (Ibla Maggiore) non è che il precedente storico ed arti stico, dello stemma di Avola antica (18). Maurolico. Istoria Siciliae V. Avula (2) Non sappiamo spiegarci come il Rocco Pini, pur ritenendo che Avola fosse l'antica Ibla, credeva che Abola fosse un nome saraceno. R. Solarino per spiegare la sua ipotesi che Avola fosse una colonia di Ibla Megara, recentemente diceva che il nome di Abola derivasse per metatesi dal fiume Alabo. Anche l'Orsi ammetteva soltanto la probabilità di una identificazione di Avola con l'Abolla di Stefano Bizantino. (3) C. H. Grandgent - Fonologia Trad. Maccarrone n. 249 p. 139 (4) E’ notevole al riguardo che gli stessi mutamenti subiscono anche le parole importate: ar. tennura sic. tannura; zerba sic. zarba. (5) Prov. commenseille sic. accuminsaghia; raisin sic. racina; panteiser sic. pantaciari; ecorcher sic. scurcari; saigner sic. sagnari; escoter sic. scuttari; echellon sic. scaluni (6) prov. roogner sic. rarugnari (7) Amari I ed. la. 334 e 2.a 471. Nulla poi di strano che l'oppidum Hybla avesse steso la mano ai rinforzi bizantini che nell'859 o nell'està dell'860 presero terra a Siracusa. E nulla di strano che in Val di Mazzara si fosse sollevata qualche altra Ibla. (8-9) Avolio - op. cit. 41. 42. 45 (10) Altri dicono che la data sia del 1361 (11) Dobbiamo tale lettura alla cortesia del Cav. Corrado Tiralongo Presti. (12) Avolio - op. cit. 123 (13) Non abbiamo trovato la forma Abola, ma evidentemente è lo stesso nome di Abola tanto vero che da Abola si hanno le monete e i cittadini Abol lenses da cui deriva l'aggettivo avolese, (14) Nella Biblioteca Sicula del Mongitore si hanno del Calvo i seguenti cenni: Michael Calvus et Salonia Abulensis philosophiae et medicinae doctor, egregio ingenio ac doctrina insignis inter aevi sui literatos enituit. Claruit laudatissimus magnaque aestimatione prosecutus anno 1575. Obiit Abulae ibique in lapideo tumulo jacebat in ecclesia S. Mariae de lesu ordinis ohservantium S. Francisci. Ex Rocco Pirri Net. Ecclesia Sirac. 250. (15) Questo manoscritto e stato rinvenuto da G. Gubernale nella Biblio teca Comunale di Palermo. Secondo gli atti del notar Portuesi il Calvo addi 5 4/1564 fu nominato protomedico di Ibla. Addì 24/7/1585 egli fondò un benetizio nel Monastero della SS. Annunziata. Il 3/11/1585 tenne a battesimo un figlio del magnifico Giovanni Laudato. Negli atti della Curia Vicariale di Avola nel 1617 appare il seguente elenco degli officiali della terra di Avola: Don Gio. Giacomo Delli Gioi - Vicario Dottor Michele Calvo - Giudice - Gio. Giacomo Calvo - Giudice - Gio. Bernardino Calvo medico senza salario. Gli ultimi due sono figli di M. Calvo. (I6) Canterò di Ibla, con questi miei versi e fra le illustri schiere Ibla risuoni. I bla risuoni per le acque. Ibla per le onde. Tutte le cose celesti can tino Ibla fra le selve. Ibla è la madre di Calvo: Ibla è allietata dal figlio Calvo. Ibla arrecò agli uomini egregi un grande onore. La terra di Sicilia ri marrebbe stroncata senza di te. O Michele, tu sei degno di essere il capo della Sicilia. (17) Nota il Pace che nell'età romana diverse città dell'Isola fra cui Ibla Megale coniavano delle monete - op. cit. 1'. 118) I Siculi e tanto meno i Sicani non conoscevano l'alfabeto e solo nella immigrazione greca adottarono i segni dell'alfabeto greco. (1) CAP . III HYBLA MAJOR ED HYBLA GELEATIS SENIORES EI" JUNIORES Non par dubbio che Hybla Major originariamente sorgeva in agro catanensi e che la Geleate era nei medesimi confini Tucidite e Pausania sono concordi al riguardo. Come è noto nella guerra di Atene contro Siracusa (415/413 a.C.) gli Ateniesi fissavano in Catania i loro accampamenti. Di conseguenza pensarono di sottomettere la città fortificata di Centuripe, la sola città nemica che poteva dettare delle preoccupazioni. Al riguardo Tucidite dice: Di là (cioè da Megara) fecero vela per Catana, dove, fornitisi di vettovaglie andarono con tutte le loro forze contro Centuripe piccola città dei Siculi ed avutala a patti partirono (naturalmente verso Catana) dopo avere incendiato le messi degli Inessei e degli Iblei ('). I detti Iblei senz'altro soprannome non potevano essere che quelli di Ibla Maggiore ( 2). Quindi la città doveva trovarsi fra lnessa e Catana cioè nelle vicinanze di Paternò. Conforme e più esplicito è Pausania il quale dice: Furono in Sicilia due città denominate Ible : una chiamata Gereate. l'altra, come era, soprannominata Maggiore. Anche alla nostra età entrambe conservano i nomi primitivi. Di esse una sita in territorio di Catania è completamente deserta, l'altra la Gereate sita nei medesimi confini è ridotta in forma di piccolo borgo (°). Quindi il sito della Major era nel territorio di Catania, il che conferma il passo di Tucidite, mentre quello della Gereate era nei medesimi confini del detto territorio. La prima città poi nel II sec. d. C. era completamente deserta, mentre la seconda era ridotta ad un piccolo borgo. Le due città pertanto erano estinte e di esse non esisteva che il nome. Se pertanto le troviamo altrove, vi erano trasmigrate. Ed erano trasmigrate in tempi diversi: mentre infatti al tempo di Pausania (Il sec. a. C.) di Ibl a Major n on esisteva che il nome, della Gere ate r e stava ancora un piccol o borgo. Perchè poi e quando e verso dove trasmigrarono si rileva dalle antiche fonti. Hvbla Major - La città dovette trasmigrare a causa della inva sione sicula. Tucidite parl ando di questa immi grazione, dopo aver detto che i Siculi, partiti dalla estrema punta meridionale dell'It alia con zattere ed altri primitivi mezzi di trasbordo, fecero la traversata d ell o st rett o col ven t o favor evol e, aggiun ge: Qu esti p ertan to venuti in Sicilia grossi di gente, sconfitti in battaglia i Sicani, li cacciarono nelle parti meridionali e settentrionali dell'Isola, si stanziarono nelle campagne più fertili 300 anni prima della venuta dei Greci ed ancor oggi occupano il centro ed il settentrione dell'Isola (5). In un pr i mo t empo adunque i Si culi, vinti in bat tagli a i Si cani, l i cacciar ono verso sud e vers o nord ed occupano l e terre più fertili come sono quelle della costa orientale. In un secondo tempo. quando nella invasione greca i Siculi sono respinti dalla costa verso il centro dell'Isola. si riducono nel centro e nel settentrione dove appunto si tr ovan o al t empo d el la gu er r a di At en e cont r o Si r acusa. F ch e i Siculi avesser o occupat o tutta l a cost a ori ental e è con fer mato da Diodoro Siculo il quale così riassu me l a guerra nata dall 'invasione sicula: Dopo molte età la nazione dei Siculi, passata con tutte le sue famiglie dall'Italia in Sicilia, occupò le contrade che erano state abbandonate dai Sicani e bramosa di acquistare più territorio incominciò ad estendersi più al largo e a fare incursioni e saccheggi a danno dei limitrofi. Così nacquero frequenti guerre fra Siculi e Sicani fino a tanto che venuti i due popoli a patti concordarono di mutuo consenso i confini entro i quali ognuno di essi dovevasi contenere (6). Diodoro pertanto conferma e completa la narrazione di Tucidite cioè: che i Siculi occuparono le contrade abbandonate dai Sicani, che la guerra durò lungamente e che ebbe fine quando di mutuo con senso furono fissati i confini del doppio dominio. Come è noto infatti quello dei Sicani si ridusse alla parte occidentale dell'Isola, alla zona limitata dai due fiumi Imera, che sboccano a nord e a sud dell'Isola. Diodoro poi, sia pure in modo leggendario, determina inoltre le terre che i Sicani abbandonarono. Di fatti aggiunge: Ma di poi come avvenne in moltissime parti l'Etna spargeva le sue fiamme e a tratti lontani occupava molti paesi colle sue eruzioni e in devastare le terre durò assai anni. gli abitanti (cioè i Sicani) presi da timore, abbandonarono le parti della Sicilia volte verso l'aurora e ritiraronsi nelle occidentali (7). E. dice infatti perchè e dove si rifuggiarono. Difatti contínua: Nei tempi antichi i Sicani abitavano su monti naturalmente fortificati in cui edificavano le loro città per paura dei ladroni (81. I Sicani pertanto vinti dai Siculi si rifuggiarono sui monti in luoghi naturalmente forti fi cati per meglio resistere alle incursioni sicule. Finalmente lo storico riassume la seconda fase della guerra dicendo che i Siculi bramosi di estendere il proprio territorio cominciarono a fare incursioni e saccheggi a danno dei Sicani, che quindi nacquero frequenti guerre e che finalmente i due popoli stabilirono di accorcio i confini dei due domini. Ma quid della Major in questo grande sconvolgi mento etnico? Nella pri ma fase dell 'in vasion e essa cert amente r estò indisturbata per chè non era una citt à costi era. Le pri me gr andi tappe d ell 'in va sione furono infatti Zancle ( 9 ), Catana, Leontini, Augusta, Ortigia. I Sicani natural mente, cacciati verso sud, si stanziar ono sui monti più vicini e specialmente nei luoghi naturalmente fortificati. Quindi dovette esser e occupato anche l 'altipiano lblense. come quello che offriva un sicuro rifugio. La Major pertanto dovette trasmi grare nella seconda fase e precisamente quando i Siculi nella loro espansione territoriale fondarono Inessa e Centuripe. Questi stanziamenti siculi infatti r endevano i mpossi bile l a vit a della Maj or ch e quindi cercò sicurezza sui monti Iblei. Questa trasmig razione però non fu ne po teva essere totalitaria, perchè nel 415 a.C. all'inizio cioè della guerra di Atene contro Siracusa, er a ancora colti vato il suo territori o. In quale stato però fosse allora la città si rileva chiaramente da Tucidite. Egli dice infatti che Nicia nella prima estate della guerra da Catana si volse contro Centuripe città fortificata e che, dopo averla ottenuta a patti, nel suo ritorno incendiò le messi degli lnessei e degli Iblei. Ciò dimostr a che la Major era allora compl etamente innocua e che era ancora una città nemica ( n ). La spiegazi one di questa apparente contraddizione sta nel fatto che la città nel 415 era già trasmigr ata ed era una città nemica, ma che la trasmigrazione non fu totalitaria. L'incendio delle messi pertanto fu un atto di ostilità contro la Major Junior contro cui Nicia preparava un'i mpr esa militare. Difatti nella stessa pr i ma estat e, con met à della flotta t entò di espugn ar e Ibla Gel eate che gli i mpedi va ogni comunicazione coi confederati dello altipiano iblense. Col tempo la Major scompar ve del tutto dal terri torio di Catana tanto ver o che al tempo di Pausania (130 d.C.) era completamente scomparsa. Non restava pertanto che la Junior tanto vero che Tol omeo e i suol traduttori e aggiornat ori con una nuova qualifica di Monte e Castello e sotto i nomi di Ibla, loia, ed Auola la collocarono ad ovest di Siracusa. Mentre pertanto la senex scompare e scompare definitivamente in quel luogo, la Junior sopravvi ve fra i geografi, storici, e poeti. Difatti M. Tullio Cicer one (Oraz. 5) per come ci riferisce Maurolico (II" p. 72) dice Similiter vexatos fuisse Liparcuses. Petrinos.. . Moticenscs, IHybletises . E così Pomponio Mela che scrisse nel 55 e nel L. IV n. 5 disse la lbla esi stente e celebr e fr a le città mediterranee. Plinio il Grande la disse esistente. Del pari Tito Livio scrisse che dopo la partenza di Marcello dalla Sicilia defezionar ono al cune città fra cui Ilyb la et Menella (IV° in Di Maria I.R.73). Del pari Claudiano che scrisse nel 390, parlò di una Hybla cognomento Majorem; Stefano Bizantino nel 530 parlò di tre Hybl e come esistenti. C osì tutti gli st orici del '500 come ad esempio il Littara in De Rebus Netinis (1593) così Ortellio (1590) in Thesaur, Geog. IV: Hybla Vergilii in Bucolicis vulgo Avida est, così Eritreo (1580), così Maurolico (1562), così Marciano Eracliote (De Circuitus orbis) collacava la Major fra Noto e Siracusa,così Rocco Pirr il quale dice che Abola sia sinonimo di Hybla. Anche il Pace e il De Agustini segnano una Abolla nel sito di Avola antica. Hybla Hera Geleates. Come si è detto, Pausania pone una Ilybla Gereate ai confini del territorio di Catana, mentre Diodoro dice che la Gereate era non longe a Centuripe. Ma poiché Geleate era un soprannome e non una quarta Ibla, e questo soprannome non era sicu rament e della M ajor e t anto meno della Megara, per come err onea mente ha creduto il F azello, non poteva essere che quello della Hera. Pertanto Hybla Gerente o Geleate e probabilmente Galeate non era che la stessa Ibla Era. Tale soprannome poi non proveniva dal fatto che la Era si trovasse in quel di Gela per come erroneamente hanno detto i traduttori di Tucidite, ma dal fatt o che si trovava sul fiume Gela. Quest o fiu me pertanto diede il nome a lla gr eca citt à, che si stanziava sulla sua foce e dava il soprannome alla Mera che doveva trovarsi alla sua sorgente. E che il suo sito originario fosse appunto questo si ricava concordemente dalle dette fonti, che la pongono sui confini del territorio di Catana, e non longe a Centuripe. Nè poteva essere in territorio di Gela. che nacque secoli dopo. nè poteva essere ad oriente della detta città perchè Ippocrate partendo da Gela e quindi passando i fiumi Hybley, l'Hypparis e l'Hyminius per incontrare sullo Eloro la potente Siracusa non si sarebbe lasciato alle spalle una città nemi ca. M a poi chè Tucidit e dice ch e Nicia nel 415 a.C. con met à della flotta tentò di espugnare una Ibla Geleate posta a sud di Sira cusa, bisogna veder e se dall e sor genti del Gel a l a ci ttà si t rovasse altrove in un sito poco lungi dal mare. La spiegazione di questo grande enigma storico che ha affaticato la mente degli storici è nella trasmigrazione della città. Crediamo infatti di avere di mostr at o ch e l a Her a Gel eate, dagli estr emi bracci del Gela trasmigrava allo sbocco della Cava Grande. Vero è che i siculi, al tempo della guerr a contr o Siracusa, dimor avano al centro e nel settentrione dell'isola, ma per ragioni speciali molte città dell'interno . venendo a contatto con gli stanziamenti greci, furono costretti a tra smigrare. Così nella espansione territoriale dí Siracusa, che attraverso le valli dell'Anapo e dell'Erminio, formava un corridoio tra Siracusa e la costa meridionale dell'isola, così per Gela che risalendo il fiume arrivava ai suoi bracci estremi. Così come Acre fondata da Siracusa alle sorgenti dell'Anapo costringeva a trasmigrare le città vicine come Pantalica e Neas, così Gela costringeva a trasmigrare tanto la Dissueri che la Geleate. Crediamo al riguardo di avere dimostrato in appendice che la Era Geleate trasmigrava appunto nel sito di quella città che l'Orsi esplorava sulle colline orientali dello sbocco della Cava Grande e a cui diede l'errato nome di Cassibile e una data remota del IX° o X° secolo a.C. In quel sito infatti troviamo la contrada Gereate a cui evidentemente la città aveva dato il nome. E poichè i suoi abitanti erano sagacissimi interpreti di sogni. Dionisio che con essi spesso si consultava, nella stessa contrada aveva una villa detta appunto Gereate. Questa Hybla pertanto è proprio quella città nemica che Nicia a sud di Siracusa tentò di espugnare per aprirsi u n a vi a d i c o mu n i c a z i on e c o i c on f e d e r a t i d e l l ’ a l t o p i a n o Ib l e n s e . 49 L a Geleate infatti era una confederata di Siracusa ed insieme alla Major ostacolava la comunicazione anzidetta. Ogni altra ipotesi è un'as surdità militare perchè Nicia, con metà della flotta non poteva pen sare di imprendere una così lunga navigazione senza una grande necessità militare, nè poteva pensare di espugnare la piccola Era che per giunta, anzicchè sull'Erminio, si trovava sugli estremi bracci del fiume Gela. E così può anche spiegarsi il fatto che Ippocrate, mossa guerra ai Siculi cadde sotto la città di Ibla. Crediamo infatti che il tiranno mosse guerra ai Siculi dell'altipiano e quindi contro Ibla Major e contro la nemica Geleate e che cadde davanti la città di Hybla Major. Questa città infatti doveva essere la prima che il tiranno, movendo da Gela, doveva incontrare nel suo cammino. (1 ) Gue rra d el Pe l oponne so. VI. N. 94 -Tra d. Pe yron Il - Te st o la ti no se guito dagli st orici: Atheniense s reve rsi Catanam et illic f rumentati cum omnibus copiis profecti sunt in Centuripem oppidum siculorum„ qui cum ex conventione intrassent, incensis segetibus Inesseorurn et Hybleorum, discessere et Catanam sunt reversi. Fazzello - Hybla Major cujus cives Hyblaei - Maurolico - Hybla Maxima unde llvblaei. ( 2 ) Degli storici alle parole Hyblaeorum di Tucidite hanno aggiunto Ge reatorum e quindi hanno detto che Tucidite collocasse la Gereate presso Cen t uripe. In t al mod o il Di Ma ria ha sost e nut o l 'e rrore c he il sit o ori gi na ri o della Major fosse quello di Avola antica. Il Fazello ha poi detto che la Gereate fosse proprio (procul dubio) la Megara! ( 3 ) Pausa nia della Cappadocia verso il 130 d.C. scri sse la geogra fia di tutta la Grecia ed a proposito della Eliaca descrisse la statua di Giove dicendo: Ilybleorum donunt esse aiunt e disse quanto sopra (V 334 Di Maria I.R.46). Nessuno storico come il Pausania è stato così ingiustamente e leggermente vituperato da storici ant ichi e moderni. Egli avrebbe errato sul numero delle iblc: avrebbe errato dicendo che le due Ible fossero estinte quando gli storici latini e lo stesso Stefano Bizantino ne hanno a ssicurato l'esi stenza; avrebbe errato chiamando Gereate. la Gelcate o Megara e Maggiore la Galeatc. Lo stesso Fazello dice che la Gereate fosse procul dubio Megara. E così pure il Cluverio, il Padre Massa e peggio ancora il Di Maria. Lo stesso Pace chiama Geleate la Maggiore. Tutta que sta ba bele è nata dal falso pre supposto della immutabilità del sito ori gina ri o delle l ble. E c osì sono state c alunniate di a ssurd o ca mpa nili smo ta nt e ci ttà c he gi usta me nt e di sce nd ono o dalle Ible ori gi na rie o dalle l ble trasmigrate. 13) VI. N. 2 - (rad. Peyron 77 (6) Diodoro - trad. Compagnoni V. 307. (7) Diodero - (rad. Compagnoni V. Cap. I V. (8 ) Ecco il testo seguito dagli storici: Caeterum abitabant priscis temporibus Sicani in montibus natura munitis in quibus urbes latronum metu aedificarunt. I Sicani perta nto si rifuggiarono sui monti per nece ssità di difesa. Diodoro op. cit. VI cap. l l. t91 I Sic uli c osì la c hia marono perc hè il lid o si curva a forma di fal ce ' ch e i Sic ul i c hia ma va no Zan clo s. Tucid ite VI. 35 - Di od oro IV. 35. (10) Probabilmente prese nome dalla parola sicula Katinon, scodella, Catania infatti è una conca circondata da piccole colline. l)(I La Geleate come la Major erano due città nemiche perchè entrambe erano confederate di Siracusa. Tanto valeva poi espugnare la Gelcate come la Major perchè caduta l'una, anche l'altra cadeva. CAP. IV IB LA MAJOR ED IB LA GE LEATE - OR IGINI E C IVILTÀ Come abbiamo detto, la Major dai pressi di Paternò trasmigrava sulle pendici meridionali dell'altipiano iblense, mentre la Era Geleate, dagli est remi br acci del Gel a, tr asmi gr ava all o sbocco dell a Cava Grande. Queste due città rappresentano due diversi stadi di civiltà e quindi diversa è la loro origine. Anche noi riteniamo infatti che la Major è una città sicana ( 1 ), mentre la Geleate è i ndubbiamente una città sicul a. E che la M aj or sia una citt à si cana si ri leva anzitutto dal fatto stesso della sua trasmigrazione. Se infatti trasmigrò a causa delle incursi oni sicul e (1 ) e speci fi cat ament e a causa degli st anzi a men t i si culi di In essa e di C entur ipe, essa n on poteva esser e ch e sicana. Ciò è confer mato da Diodoro siculo il quale parlando di Du cezio (448 -440 a.C.) così scrive ( 3 ): Post haec Ducetius siculorum dux urbes omnes quas ejusdent gentis incolac habitabant, excepta Hybla, in unum et communem duxit ad stip endia contributionem et vitae parem reique institutionem (Diodoro lI cap. XXII). Questa città adunque er a regni cola, ma non er a della med esi ma gent e ed appunto perciò ebbe una speciale autonomia e non fu soggetta allo stesso regime e alle stesse contribuzioni. Essa visse in mezzo ai siculi dell'altipiano perchè coi siculi non si verificò alcun contrasto d'interessi essendo il suo territorio in pianura fra il Caccipari e l'Asinaro. Era invece interesse di Ducezio di mantenere questa sentinella avanzata dell'altipiano. E che la Major fosse una città sicana basta tener presente le profonde differenze con la Geleate. Mentre infatti questa città vi ve in capanne asciutte ed arieggiate, la Major vi ve in umide caverne; e ment re la Geleat e h a una n ecr opoli di ci rca 2000 cell e mortuarie e segue il rito dei seppellimenti individuali e per famiglia, la Major non ha nessuna necropoli se togliamo quella quarantina di celle mortuarie che sono, per giunta del III° periodo siculo. Pertanto seguiva il rito della tumulazione a grandi masse o dell'incenerazione. In quanto poi alla Geleate nessuno dubita che sia una città sicula perchè i Siculi vennero in Sicilia nella protostoria e gli antichi storici sono ricchi di particolari sulla lunga guerra sostenuta dai Siculi contro i Sicani. Si discute invece sull'origine dei due popoli, sulla data delle due immigrazioni e sul loro stato di civiltà. Filisto siracusano del V° secolo a.C. disse che i Sicani vennero dall'Iberia, mentre Timeo credette che fossero autoctoni. Altri ancora ritennero che fossero venuti dall'Africa ed altri dal Lazio. L'Orsi, seguendo il Sergi e la suggestiva tradizione latina, ha ritenuto che i Sicani e Siculi avrebbero fatto parte della grande famigli a Euro-africana, che dalle coste settentrionali dell'Africa si distese per tutta l'Europa mediterranea. Una corrente per Creta sarebbe passata in Grecia portando i germi di quella cultura che culminò nella civiltà egeo-micenea. Sarebbero questi i Pelasgi che pervennero anche nella Italia meridionale. Un'altra corrente sarebbe passata nella Spagna che dal nome degli occupanti avrebbe preso il nome di lberia. Alla terza sarebbero appartenuti i Liguri che colonizzarono l'Italia set tentrionale e centrale penetrando anche nel Lazio. Questa ipotesi corrisponde alla tradizione latina tramandataci da Catone, Plinio e Servio secondo cui i Sicani prima di passare in Sicilia abitarono nel Lazio. Quindi Sicani e Siculi, secondo l'Orsi, sarebbero due rami della stessa gente giunti nell'isola in tempi diversi con un fondo comune di civiltà ( 4 ). Meno incerta è l'immigrazione sicula come quella che avviene negli albori della storia. Gli antichi e moderni storici riconoscono infatti che essa venne dall'Italia passando in Sicilia attraverso lo stretto di Messina. I Siculi invero cacciati dal Lazio occuparono la bassa Italia e successivamente invasero la Sicilia con tutte le loro famiglie. Ma quando vennero i Sicani e quando i Siculi? Seguendo l'antica tradizione storica i Siculi vennero in Sicilia 300 anni prima dei Greci cd i Sicani 300 anni prima dei Siculi. E poichè i Greci vennero nell'ultimo terzo del sec. VIII a.C. (5). i Siculi sarebbero venuti nell’X1 e i Sicani nel XIV secolo. L'Orsi intanto dagli studi stratigrafici è stato condotto ( 6 ) ad affermare che il periodo neolitico o della pietra lavorata che chiamò civiltà di Stentinello cessava di vivere nel XXVII sec. a.C. e che questa civiltà che ignorava completamente l'uso dei metalli, precedette il primo periodo siculo ( 7 ). Egli dice infatti al riguardo che quando nell’VIII secolo vennero i Greci, i Siculi fruivano della civiltà del III periodo che colloca dal X o IX al VI secolo a.C.; che la civiltà del II° periodo occupò se non tutto il I millennio a.C. certamente una buona parte di esso e che infine la civiltà del I° per. deve collocarsi dalla metà del III° millennio al sec. XIX. Quindi concludeva che l'esordio della civiltà specificatamente sicula doveva valutarsi al XXV sec. a.C. (''). Ma queste date non sono senza contrasto. Mentre infatti il Pa troni innalza l'origine della civiltà sicula al V o ai IV millennio a.C. (9) il Pace e l'Arias tendono ad abbassarla. L'Arias infatti la riporta alla metà del II0 millennio a.C. ( 10 ) mentre il Pace la riporta a qualche secolo prima dell'anno mille cioè al sec. XI cioè 300 anni prima della colonizzazione greca per come dice l'antica tradizione storica (11 ). Una falcidia quindi di ben 14 secoli che lascerebbe fortemente perplessi sull'attendibilità delle indagini stratigrafiche. Meno incerto è lo stadio di civiltà tanto dei Siculi che dei Sicani. La civiltà di questi due popoli passa anche attraverso le due età della pietra e dei metalli e dei periodi in cui si dividono. La prima ha il periodo paleolitico o periodo della pietra scheggiata (12) e il periodo della pietra levigata contrapposto con la scoperta del rame detto periodo neolitico (13). A sua volta l'età dei metalli ha il periodo del bronzo ottenuto con la miscela del rame e dello stagno, detto periodo cuprolitico o eneolitico o aleolitico e il successivo periodo del ferro. L'età della pietra rimane nelle oscurità della preistoria e della paletnologia, mentre quella dei metalli entra nella pr otostoria cioè negli albori della storia. L'età della pietra secondo l'Orsi sarebbe cessata di vi vere nel XXVII sec. a.C. L 'ar cheol ogia n on ha credut o di potere stabi l ire se in quest o stadi o di ci vilt à si debban o ved er e i S icani dell a t rad izi one ma se n on è dubbia l 'esi stenza dei Sicani in Sicilia e se essi precedettero i Siculi che erano nello stadio di ci viltà dei metalli, la civiltà d i Stentinello non poteva essere che quella dei Sicani. E dei Sicani dovevano essere le stazioni di Piano Notaro, Valdesi, S. Angelo Muxaro, quella di Avola antica e quella del villaggi o neoliti co di Megara Iblea che secondo l 'Orsi cessava di vi vere nel XXVII sec. a.C. In questa età i popoli vi vono in casali e villaggi, abitano nelle grotte o in pagliai generalmente dì forma circolare ('') e si ha il rito funerario dei seppellimenti a grandi masse e d ell a in ciner azion e, ment re le cell e mortuar ie poi son o a forno con volta bassa. Ben diversa doveva essere l a ci viltà si cula che entra nella età dei metalli. Al riguardo il Pace così riassume i quattro complessi dei monumenti rivelati alla scienza dall'archeologo Paolo Orsi in trenta anni di meravigliose scoperte: I° periodo detto cuprolitico orientale. L'Orsi attribuisce a quest o peri odo l a cr onol ogia dal XXV al XV sec. a.C. In esso preval gon o ancora strumenti di basalto e di selce, ma si conoscono strumenti di bronzo. Rarissi mo appar e anche il ferr o. Si fa lar go uso di ossa ridotte ad utensili e piccoli strumenti. I villaggi sono for mati da capanne di for ma circolare e talvolta quadrate. I morti sono seppelliti in camerette tondeggianti scavate nella roccia. Vi sono sepolti molti cadaveri rannicchiati, il che dimostra dei seppellimenti per famiglia o gruppi di famiglie. II riodo. il ver o periodo del bronzo perchè è largamente diffuso, per quanto raro si conosce anche il ferro. In questo periodo diminuiscono i seppellimenti a grandi masse. Le celle mortuarie spesso precedute da un padiglione o atrio esterno, si adornano di panchine in cui si edon o o vi adagian o i cad aver i. Le for me sepolcral i sono più grandiose di quelle del primo periodo e le celle contengono vasi, coltelli, scuri silicee, ornamenti, ceramiche cd elementi di bronzo. In questo periodo gli strumenti litíci vengono levi gati con raschiatoi, cuspidi, seghe, lame. ecc. III° pcriodo o prima età del ferro. L'Orsi vi attribuisce la cro nologia dell'VIII e VII sec. a.C. I villaggi sono ancora aggregati di capanne. ma appaiono elementi costruttivi della difesa e delle abita zioni. I.e celle mortuarie sono più vaste ed assumono forma quadran golare con un solo ambiente preceduto da padiglione. I cadaveri ven gono distesi ed adagiati con la testa sulla panchina. Il ferro si diffonde. Di esso Sono fatte fibule. anelli e coltelli. IV° periodo. L'Orsi vi attribuisce la cronologia dal V al IV se col o a.C. I villaggi non differenziano molto dai precedenti, ma appaio no fr equenti gli elementi costrutti vi. Nell a pri maver a del 450 a.C. con la caduta di Du cezio. si intensifica il processo di fusione etnico fra indigeni e colonizzatori greci ed il ciclo della civiltà spiccatamente sicula viene compiuto. La ci viltà greca si sovrappone infatti alla ci viltà sicula Naturalmente il vecchio rito popolare si sviluppa in forme che s sentono il contatto con la grecità. Ciò pr emesso, qual e la ci vilt à del Cassi bil e o di Avol a anti ca cioè delle due Ible vicine trasmigrate sui monti Iblei? Come si è detto la Era Geleate dai pressi di Caltagirone trasmi grava sulle colline del Cassi bile. Quest a città ch e era sfuggit a all a at t enzi on e deg li ar ch eol ogi, n el 1897 fu espl or ata dall 'Or si . E gli trovò una i mport ante necr opoli di cir ca 9000 cell e mortuar ie che in parte esplorò. Le celle sono di for ma rettangolare ed eccezi onal ment e ellittica, munite di panchine in cui sono adagiati i cadaveri sopra un fi anco con le gambe pi egat e e la test a sull a pan china. Il rito funebre era quello dei seppellimenti individuali o per famiglia. Accanto ai cadaveri poi trovò un'abbondante ceramica di scodelle, boccali, piattelli a gambo, ollette, bottigliette, fiaschi, bacinetti, calicetti nonchè una rilevante quantità di coltelli, scuri, pugnali silicei e di bronzo ed oggettini di lusso come amuleti, fibule, fermagli da cintura. La città poi, secondo l'archeologo, era formata di capanne di paglia e si stendeva nei terrazzi interposti fra le cavette La Mola, Spinetta e S. Anna. I capi poi dimoravano al di là del fiume, sull' altipiano di stante in linea d'aria 3 o 4 Km. circa da Avola antica. L'archeologo poi giudicò che si trattasse di una città sicula e tanto per dare una data disse che datava dal X o IX sec. a.C. Ma egli disse però che quello stadio di civiltà era recensiore a quello de l gruppo Tapsos, Pantalica, C. Pantano e del Plemmirio e che rappresenta un passaggio fra il II° e il III° per. siculo. Se l'origine della civiltà sicula si abbassa poi di 14 sec. devono altresì abbassarsi le date dei singoli periodi. Difatti l'Arias abbassa il H per. sec. X-VIII e quindi il III cadrebbe nei sec. VII e VI a.C. Comunque è certo che la Geleate dovette trasmigrare sul Cassibile non prima del VI sec. a.C. e il suo stadio di civiltà non poteva essere che quello del III° periodo. E’certo infatti che la città rimase sul Gela fino alla uccisione di Cleandro, tiranno di Gela tanto vero che Aristotele la chiamò Cleandri caede infamis. Quindi dovette trasmigrare perchè non poteva competere con la potente vicina. Tanto più che alla morte di Cleandro ne assunse il potere suo fratello Ippocrate. uno dei più grandi condottieri del tempo. Egli infatti vinse Siracusa sull'Eloro e sottomise tutte le città della costa orientale della Sicilia. Se la Geleate non fosse trasmigrata e fosse stata nelle vicinanze di Gela Ippocrate, prima di partire verso l'Eloro, si sarebbe sbarazzato di questa molesta vicina così come sottomise Camarina che era una co lonia di Siracusa. Egli pensò invece alla Geleate, dopo le sue glo riose imprese. Difatti Erodoto dice che Ippocrate verso la fine della 71° Olimpiade illato Siculis bello ante urbem Hybla periit (15).Ben diversa doveva essere la civiltà di lbla Major: anche questa città è sfuggita all'attenzione degli archeologi. Il Fazello nel 1500 la disse una città medievale compreso il suo castello e ugualmente l'Orsi in una visita fugace nel 1889 rilevò soltanto la distruzione di una città medievale. Questo doppio errore è dipeso dal fatto che nel medio evo, sulla città troglodita si era sovrapposta una città in muratura che fece scomparire l'antica. Evidentemente poi se la civiltà della Major fu originariamente quella della pietra non può dirsi che essa si fosse conservata come in un compartimento stagno e quindi dovette subire l'influenza della civiltà sicula. Tant o vero che le celle mortuarie sono appunto quelle del III° per. sic. Se è vero poi che essa fu una città sicana, se la civiltà sicula ha principio col periodo cuprolitico, la civiltà sicana non poteva essere che quella della pietra. Pertanto, se la città fu costretta a trasmigrare nella immigrazione sicula, la sua civiltà deve riportarsi alla età della pietra, cioè alla civiltà di Stentinello. E diciamo almeno perchè secondo l'Orsi essa andrebbe al di là del 2700 a.C. e secondo il Patroni al IV o V millennio a.C. Allo stato delle cose poi a nostro avviso, abbiamo quanto basta per inquadrare la Ibla Major nelle antiche civiltà. Certo è anzitutto che abbiamo una città scavata nella roccia. cd è notevole al riguardo che le stesse grotte di abitazione con tengano delle mangiatoie di animali, delle concimaie, dei truogoli tutti scavati nella roccia, coevi allo scavo. Ciò dimostra che gli abi tanti facevano largo uso di animali domestici come il cavallo, il mulo, l'asino, il maiale e che, come dice Diodoro, essi vivevano lavorando la terra. Pertanto gli abitanti, invece di abitare in capanne arieggiate ed asciutte, vivevano in umide caverne, accanto agli animali. Lo stesso può dirsi per il rito mortuario. Se la Geleate venuta sul Cassibile in epoca così recente conta una necropoli di circa 2000 celle mortuarie, come mai la Major non ha una vera e propria necropoli? Essa, è vero, ha una quarantina di celle mortuarie, ma esse sono di epoca recensiore. Difatti a giudicare dalle poche celle accessibili che abbiamo visitato esse sono di forma rettangolare ed adorne di panchine simili a quelle della necropoli di Cassibile. Non si ha alcuna cella a forno che è la primitiva forma delle celle mortuarie. Ciò dimostra che esse dovevano riportarsi al tempo in cui Ibla Major venne a trovarsi a contatto con la Geleate e coi Siculi sparsi nell'altipiano. Né è vera la supposizione che l'inumazione dei cadaveri avveniva nelle stesse grotte di abitazione, perchè non vi è traccia al riguardo. Necessariamente pertanto dobbiamo riportarci ad un'epoca di tumulazione a grandi masse o della incinerazione il che ci conduce ad un periodo di civiltà anteriore a quello della Geleate. Al riguardo sarebbe il caso di esplorare una caverna che si trova in piano alla fine della Vall e fuori legge in prossimità delle ultime celle mortuarie. Ivi si trova un buco di forma circolare scavato sulla roccia da cui un uomo può scendere nell'ambiente sottostante. Questo ambiente è di notevole ampiezza per come dicono delle persone che vi sono scese. Il punto in cui si trova, quasi a contatto delle celle mortuarie fa supporre un carnaio di cadaveri. Questa civiltà non può essere quella della pietra e quindi deve risalire secondo l'Orsi ad un'epoca anteriore al XXVII sec. a.C. secondo il Patroni al IV o V millennio e secondo la tradizione storica al sec. XIV a.C. Ma i Sicani che fondarono la città di Ibla nelle vicinanze di Paternò pervenivano sul monte di Avola antica nel periodo di espansione della trasmigrazione sicula cioè dopo la fondazione delle città dì Catana, di Imessa e di Centuripe cioè in epoca in cui i Siculi erano nel periodo cuprolitico. E nulla di strano che si fossero serviti di strumenti di bronzo quando incominciarono e fecero quella grandiosa mole di escavazione. E nulla di strano anche perchè prima di procedere allo scavo delle proprie abitazioni gli abitanti dovettero vivere in capanne di legno per come probabilmente vivevano, anteriormente nella sede primitiva. Pertanto Ibla Major è una città sicana che ebbe la fortuna di poter convivere in mezzo ai siculi quando l'immigrazione greca li cacciò dalla costa (16). (1) Le ragioni addotte dal Di Maria sono inconcludenti perchè parte dal l'erroneo presupposto che la Era e la Geleate siano due città distinte. (2) Abbiamo detto dei Siculi perchè è escluso che fossero delle incursioni greche. (3 ) Al tempo di Ducezi o: Duo in Sicilia imperia, siculorum unum quod sola mediterranea possidebat cujus regia urhs Trinacria, alterum: Siracusanorum - Fazello in Di Maria HZ. 58. (4 ) Corrado e Ippolito Cafici in Paolo Orsi. (5) II Pace cosi riassume i dati delle fondazioni siciliane: Nasso 735-4; Siracusa 734-3; Zancle 729.8; .Mile 716-5; Casmene 694-3; Acre 664-3; Selinunte 628-7; Camarina.1 599-8; Agrigento 583-2: Imerd 048-7. (0) Un pò diversa sare bbe la cronologia secondo Filistio siracusa no che prese parte alla guerra di Atene contro Siracusa. Egli infatti dice che i Siculi sarebbero venuti nella terza generazione prima della guerra di Troia (1184) cioè circa 80 anni prima e quindi nel sec. XIII. Il Fazello dice infatti: Ut autem Philistius siracusanus scribit tempus trasmigrationis siculorum fuit anni octaginta onte bellunz troianorzn. Il cap. 3 - Di Maria R.A. 26. (7) La silice, la quarlite. l'ossidiana, il basalto servivano per la confezione di coltelli. raschiatoi e scuri, mentre le ossa servivano per fare lisciatoi, pun teruoli ed aghi. (8) Fratelli Cafici su Paolo Orsi. (9) Preistoria - Milano 1937 - I. 293. (10) Archaeologia. (11) Arte e civiltà della Sicilia antica - I. 155. (12) I a pietra viene scheggiata e manufatta con altri sassi a bordi taglienti o a punte acuminare. Arias op. e. 89. (13) In que sto pe riod o si ha l 'inizi o di una metallurgia a nc ora de bole e povera di fronte ai sovrabbondanti strumenti litici. Questo è il periodo più fio rente in Grecia. Esso fà capo alla civiltà cretese dove si manifesta una civiltà ricca e potente e una cera mica di elevate concezioni che attesta una capacità artistica unica nella protostoria. Questa civiltà si suole datare tra il 2500 e il 1()00 a C. e viene chiamata egeo-micenea o cretese micenea - V. Arias op. cit. (14) L'antica capanna non poteva essere diversa dai pagliai che si vedono anche ora nelle nostre campagne sia di forma circolare che ellittica e quadran golar e Esse e ra no formate da un'ossat ura di pal afitte i nfi sse al suol o c on le pareti te ssute di canne od altro ed il tett o a c ono o ellittic o. La diffe renz a poteva essere soltanto che la confezione dell'antica capanna doveva essere più accurata. Essa infatti era rivestita di fango per proteggere l'uomo dai rigori del freddo e dalle piogge. (15) Erodoto - le Nove Muse - VII 294, Trad. Elenchi. Questa Ibla fu la Gelente o la Major. Anche que sta era una sentinella avanzata dell'a ltipiano e faceva causa comune coi Siculi. Questa ipotesi sarebbe confortata dal fatto che Ibla, senz'altra aggiunta, sarebbe proprio la Major. (16) E notevole al rigua rdo che tale coesi stenza arrivò al punt o che Ibla Major fece parte del regno siculo e fu esentata dai contributi di guerra. Ciò si spiega col fatto che nessun contrasto di interessi si verificò perchè il terri torio di Ibla era in pianura fino all'Asinaro. CAP. V L'ALTIPIANO IBLENSE Tanto lbla Major che la Geleate, non solo trovarono la loro difesa nel sito naturalmente fortificato, ma anche nel baluardo di fensivo dell'altipiano iblense. Questo infatti è protetto a nord dalla Cava Grande e ad est e sud da una grande dentellatura di speroni montani. La Cava Grande in cui scorre il Cacciparis, è una gola grandiosa che si estende per circa Km. 10 e difende a nord tutto l'altipiano. Essa è infatti a ripido pendio, profonda circa m. 400 e larga circa m. 1000 ( 1). Quindi è assolutamente intransitabile e divide l'altipiano Cugni di Cassaro, che resta a nord dall'altipiano iblense, che rimane a sud e che ancora è denominato Montagna di Avola. La dentellatura montana, che lo chiude da levante e mezzogiorno, è poi formata da monti di notevole altezza fra cui il Montedoro di m. 394, il monte di Avola antica di m. 414, il Cozzo Tirone o Titole di m. 431, il Cugno Agosta di nt. 476. Questi speroni montani sono divisi da cave e cavette. Sottostante poi al monte di Avola antica, in direzione est-ovest si svolge la Cava Pisciarello dove scorre il fiume Erineo od Orino e la Cava Serpe che, all'estremo ovest, si avvicina notevolmente alla Cava Grande lascian do interposte le contrade Carrubbella e Turisco. Questo è il grande baluardo dell'antichità, rifugio di popoli sconfitti che fu sempre sparso di fitte popolazioni sicane e sicule ( 2). Col tempo esso divenne un vero campo trincerato perchè da ogni lato fu difeso da varie città fortificate. Difatti, men tre a nord rimase difeso dalla Cava Grande, ad est fu difeso dalla sicula Geleate. fortificato sul colle La Mola, a sud da lbla Major ed a sud ovest dalla città di Netum, la nuova Neas anch'essa forti ficata perche difesa all'intorno da profonde valli. Pare pertanto che Netu m costituisca l 'estrema difesa sud occident ale del campo trin cerato ibl ense. E non è improbabile che Ducezio avesse trasportato l a su a patri a Neas a Not o Anti co per compl et ar e l a di fesa del l 'al tipiano. La greca Acre infatti, fondata da Siracusa, era una minaccia contro i siculi. Al tempo di Ducezio poi erano due i domini dell'isola: il regno medit err an eo d ei siculi, e quello lit or aneo di Si racusa. In quel tempo Ibla Major faceva parte del regno siculo tanto vero che Ducezio la esentava dai tributi di guerra che impose a tutte le genti sicule. L'altipi ano pertanto doveva dar luogo a gr andi avvenimenti militari. Il primo di essi è legato alle vittoriose imprese di Ippocrate. tiranno di Gela. Erodoto di Alicarnasso dice di lui che verso la fine della 71° Olimpiade (493 a.C.) sconfisse Siracusa sull 'Eloro, assog gettò al suo dominio i Gallipolitani. i Nassii, i Leontini, i Zanclei, che concepì e cercò di attuare l'ardito disegno di sottomettere al suo dominio tutti i popoli della Sicilia. Infatti, dopo di avere sottomesso le città della costa orientale. mossa guerra ai Siculi, appo la città di Ibla perì ( 3 ). 1l tiranno adunque, per soggiogare i siculi dell'altipiano. comprese l e due Ible che l o guardavano. tentò pri ma d i espu gnare la citt à forti fi cata di l bla ch e senz 'alt ra aggiunta indi ca l a Major, come quella che prima incontrava nel suo cammino. Nè poteva prima attaccare la Gel eate senta essere preso alle spalle dalla Major. Le due Ible poi erano cosi vicine e cosi strettamente legate nella dif esa ch e t ant o val e va at t accar e l 'u n a qu ant o l 'al t r a. La r agi on e d el l a sconfitta probabilmente dipese dal fatto che il tiranno non potè fare uso della cavalleri a, né del suo comandante in capo Gelone che in tante battagli e si era rilevato di grande talento militare. Il secon d o fatt o d 'ar me ch e si l ega all 'al t i pi an o fu al t empo della guerra di Atene contro Sir acusa (415 -413 a.C.). All'inizio della guerra, entrambe le parti cercarono degli aiuti nei popoli vici ni, sia di uomini che di vi veri e denaro. E gener al mente, mentre i popoli dell a cost a si schi eraron o dall a part e dei sir acu sani, quelli dell 'in terno si schieraron o dalla parte degli Ateniesi. C osi cchè, mentre i siculi dell 'altipiano i blense che odiavano i greci part eggiavano per Atene, Ibla Maj or e l a Geleate parteggiar ono per Sir acusa ( 4 ). Per tanto il comando ateniese agi va di conseguenza. Esso anzitutto fis sava in Catana i propri accampamenti, poi con la flotta si recava nel Tirreno per riscuotere da Egesta gli aiuti promessi. Successivamente pensava di espugnare la città di Centuripe ed al ritorno incendiava le messi prima di Inessa e poi di Ibla città nemiche. Non occorreva con tro Ibla alcun fatto d'ar mi sia perché la città non era fortificata, sia perché era di già trasmigrata. In quel tempo però non era complet ament e scomparsa e quindi i superstiti che ancora vi rimanevano attendevano alla cu ltura delle loro terre. Quell'incendio intanto preludiava una impresa contro le due sentinelle dell'altipiano iblense. Nici a infatti con metà della flott a uscendo da Catana e navigando al largo di Siracusa verso la Sici lia ulteriore investì Ibla Geleate p er salire sull'altipiano attraverso il Caccipari. Ma il tentativo non ebbe fortuna perchè gli Ateniesi cum clade repulsi fuerunt(5 ). Al riguardo poichè nessuno ha mai pensato che allo sbocco della Cava Grande fosse trasmigrata la Hera Geloatis, i traduttori di Tucidite, hanno volto il nome di Ibla Geleate con la perifrase di Ibla in quel di Gela come se la piccola Geleate, nata secoli prima della greca Gela, si fosse intrufolata nel territorio di essa. E ciò senza dire che era inconcludente una impresa così lontana e che Ippo crate, tiranno di Gela, muovendo contro Siracusa, non si sarebbe lasci ato alle spalle una città nemica. Il t erzo fatt o d 'ar mi avveni va nel sett embr e del 413 a.C. cioè nell'epilogo della guerra anzidetta. Come dice Tucidite, dopo la disfatta navale i due comandanti ateniesi tentarono di partire verso Catan a. Ma il viaggio fu ostruito dai Siracusani e quindi, dopo vari tentativi dovettero cambiare rotta dirigendosi verso Camarina e Gela attraverso l ’ al ti pi an o Ibl en se. An ch e all or a d eci ser o di sali r e sul l 'al ti pian o at traverso il fiume Caccipari. Ma anche questo tentativo fallì misera mente, tanto vero che i due comandanti decisero di raggiungere l'al tipiano attraverso il fiume Erineo. Ma mentre Nicia raggiunse il fiume, la metà dell'esercito comandata da Demostene fu aggirata e sconfitta nella contrada Palaz zetti dove si arrese. Sull'Erineo intanto Nicia attese invano l'altra metà dell'esercito e durante quell'attesa fu sorpreso dall'esercito siracusano che gli comunicò la sconfitta di Demostene e che gli intimò di fare altrettanto. Ma poichè Nicia subordinò la resa alla condizione di lasciarlo partire indisturbato con tutti i suoi, fu costretto ad ingaggiare battaglia nel costone Tilibelli (Tellus belli). Gli fu pertanto impossibile di raggiungere l'altipiano e si diresse verso l'Asinaro dove l'esercito ateniese al guado del fiume fu ín parte distrutto ed in parte preso prigioniero. In questo fatto d'arme Ibla Major naturalmente dovette schierarsi contro gli ateniesi sia perchè confederata di Siracusa sia perchè gli ateniesi le avevano incendiato le messi. Se difatti i Siculi dello altipiano erano confederati di Atene e nella ritirata avevano pro messo degli aiuti in viveri e denaro, Nicia senza l'opposizione della Major per salire sull'altipiano non avrebbe avuto bisogno di aspettare la venuta di Demostene. E anche quando poi fu sorpreso dai Siracusani avrebbe sempre potuto raggiungere l'altipiano. Dovette per tanto trovare in Ibla Major tale resistenza che fu aggirato dal nemico e costretto a mutar rotta: infatti invece di andare verso Camarina si diresse verso la foce dell'Asinaro. (I) il Littara la disse orribilis visu ed è una delle grandi meraviglie del mondo. (2) Sulla sponda destra della Cava si trovano ancora degli avanzi di città preistoriche su cui ci riserviamo di indagare. (3) Erodoto - Le Nove Muse Trad. Benelli VII 294. Questa Ibla non era la Megarese perché tutta la costa era stata sottomessa e quindi non poteva essere che la Major o la Geleate. Gli storici sono discordi al riguardo, del resto. attaccando la Major attaccava anche la Geleate. (4) Tucidite VI - n. 88 trad. Peyron. (5) Saliano in Di Maria I.R. 62. 64 CAP VI IL TIMO E L'ERINEO Essi si legano al nome di Ibla Major e vi gettano larghi sprazzi di luce. Nel brullo altipiano iblense cresce spontanea la pianta del timo che dà un miele dolce e fragrante. Oggi dal timo si estrae anche una essenza odorifera e nella nuova Avola già sorge una fabbrica di essenze in cuí il timo è gran parte. Questa pianta è stata simboleggiata nello stemma della città. Le tre api volanti su tre speroni montani ritraggono il luogo e la eccellenza del miele. E che poeti naturalisti e storici decantassero il miele di Avola antica e non quello delle altre Ible a noi non par dubbio. Se la lbla famosa per il suo miele è indubbiamente la maggiore, se questa città si trasfe riva sulle pendici meridionali dei monti iblei e ai tempi di Tolomeo si trovava ad ovest di Siracusa, la Ibla decantata ai tempi di Cesare per il sito miele non poteva essere che Avola antica. Pertanto se Virgilio (70 a.C. - 19 d.C.), quando la originaria lbla era scomparsa, cantò le api iblee, ben disse Ortellio: Hybla Vergilii in bucolicis vulgo Avola est ut scribit in suo indice Eritraeus (') Ugualmente quando Seneca (2 a.C. - 65 d.C.) quando Ovidio (43 a.C. - 18 d.C.) quando Marziale (42 a.C. - 104 d.C.) decantarono mella iblea e le api che pascuntur in Ibla non potevano parlare che della nuova Ibla Major. E quando Plinio (23 - 79 d.C.) disse che il miglior miele veniva Atticae regionis et siculae himettus et Hiblae a locis non intese parlare che del monte Imetto dell'Attica e delle contrade di Avola antica. E questa fama è perdurata anche nei moderni scrittori fra cui il Mongitore, il Cantù, il Parini che hanno de cantato i fiori di lbla, il ferace timo, la fama dei favi iblei. È notevole fra gli altri il Littara (1550-1602) che chiamò Avola antica col nome di Hybla e che l a disse fertili s mell e suo.E ciò anch e quando nel territorio di Noto cresce abbondante la pianta del timo. Il Fazcllo, ritenendo che Ibla Major fosse stata unicamente nel sito originario,e che Avola antica fosse recente e di nome sar aceno, cadde di con seguenza nell'errore di ritenere clic la città famosa per il suo miele fosse stata la città di Megara perchè anche i colli vicini sono abbon d an t i di t i mo e d i sal i ci . M a se n essu n o h a mai fat t o i l n ome d i Megara e se il nome di Ibla senz'altra aggiunta è unicamente quello di Ibla Maggiore, nulla importa che la pianta del timo cresca abbon dante neí colli di Melilli ed altrove. Avvenn e pertant o nell 'anti chità quell o che è avvenuto per l a mandorla Avota che in tutto il mondo oggi dà il nome a quella della provincia di Siracusa. Ma che ciò sia vero è confermato da una med agli a d el P aru t a ch e si mbol eggi a l a fa ma d el mi el e d i Ibl a M ag gi or e (2). Al ri gu ard o è ben e pr emett er e ch e l a Hi bl a Maj o r ad orava in modo particolare la dea Ibla, protettrice della città. Pausania per significare il culto profondo verso questa dea, disse che il suo tempio erat siculorunz omnium celebritate religiosum. Ebbene, la medaglia anzitutto porta all'intorno il nome di Ibla Maggiore (Megalos Hybla) e mentre nel suo r ovesci o ha l 'i mmagine di una donna appoggi ata ad un bastone che port a un vaso in mano e che ha sotto i piedi un animale simile ad un cane, nel suo diritto ha l'immagine di una donna velata in volto ed inseguita dalle api. E evidente che le due immagini deri vano da un unico concetto artistico ed espri mono un'unica dea protettrice del miele. Nel rovescio infatti la dea porta il mellarium vas e col bast one ha ucciso l 'ani mal e infesto agli al veari; mentre nel diritto la stessa dea coperta in viso da un velo protettore, nella stesso mellarium vas ha colto il miele ed è inseguita dalle api. l.a medaglia quindi, ment re si mboleggia l a pr ot ezion e degl i al veari , ripr oduce quello che avvi ene quando si coglie il miele: colui che lo coglie si pr otegge il vi so e quando lo ha colto è inseguito dalle api . Questa medaglia pertanto rappresenta il precedente storico ed artistico dello stemma di Avola Antica in cui si trovano tre api volanti come si mbolo della fama del miele ibleo. Indubbiamente pertanto la città famosa per il suo miel e è Ibla Maj or Junior ci oè la città di Avol a Antica. L'Erineus. Come è noto il Cacciparis, l'Erineus e l'Asinaro sono ri masti famosi per l 'epilogo terrestre dell a guerr a di Atene contr o Siracusa del set tembre 413 a.C. Nel 415 a.C. si ri accese in fatti in Sicilia la lunga guerra del Peloponneso fra Atene e Sparta. Atene su richiesta della città di Egest a si decise di invi ar e una grande flott a contro Siracusa nemica degli Egestei, mentre Sparta veniva in soccorso di Siracusa. Nici a e Demost ene fur ono i due comandanti ateniesi, mentre Gilippo fu il comandante in capo dell'esercito spartano. Nella prima estate, come si è detto, gli Ateniesi, per mettersi in comunicazione coi confederati siculi dell'altipiano, cercarono invano di espu gnare Iblu Gel eate che abbi amo identificato allo sbocco della Cava Grand e. Molt o pr obabil ment e Ibl a Major an ch 'essa nemi ca degl i Ateniesi, venne in soccorso della Geleate, tanto vero che nella seconda estate gli Ateniesi, dopo avere ottenuto la resa della città di Centuripe, tornando vers o Catana, incendiavano le messi degli Inessei e degli lblei. Nella terza estate fu il tremendo epilogo della guerra perchè gli Ateniesi subirono una serie di sconfitte: per mare nel porto mag giore di Siracusa e per terra sul Caccipari, sull'Erineo e sull'Asinaro. Avvenuta la disfatta navale la spiaggia offrì un miserando spettacolo di rottami, di morti di feriti e di morenti che invocavano aiuto(3). Ma il comando ateniese per salvare l'esercito di terra decise di prendere subito la fuga. Per un tranello però ordito dai Siracusani fu costretto a ritardare la partenza e quindi soltanto il terzo giorno si mise in marcia verso gli accampamenti di Catana. Ma ogni tentativo fu reso vano perchè i Siracusani ne impedirono il passaggio. Allora il comandante Ateniese decise di prendere la via opposta per dirigersi verso Cama rina e Gela attraverso l'altipiano iblense. Tucidite dice infatti: Questa via non portava più a Catana, ma all'altra parte della Sicilia verso Camarina e Gela e alle vicine città greche e barbare. Avendo pertanto acceso molte pire partirono di notte... Il corpo di Nicia si mantenne unito e fece molto cammino, ma quello di Demostene che formava la metà e più dell'esercito si sgominò e marciava senza ordine. Tuttavia sul far del giorno arrivarono al mare e messisi per la strada detta Elorina, ne andarono per guadare il fiume Caccipari donde a seconda del suo corso intendevano recarsi nella contrada superiore mediterranea giacche speravano che i siculi, stati prima avvertiti. sarebbero venuti ad incontrarli(4). I due condottieri pertanto volevano raggiungere l'altipiano iblense seguendo il corso del Cacciparis, ma questa rotta dovette essere abbandonata perché Tucidite dice: Giunti al fiume trovarono anche là una pattuglia di siracusani che attendevano con muri e steccati a chiudere il passo; dopo averla sbaragliata varcarono il fiume e di bel nuovo s'indirizzarono verso un altro fiume chiamato Erineo perché tale era l'ordine dei comandanti (5). Pertanto, mutata la rotta, il nuovo ordine era quello di salire nella contrada superiore mediterr anea seguendo il corso dell 'Erineo. P are che qui Tucidite contenga una lacuna. Questo cambiamento di rotta per raggiungere sempre l 'altipiano iblense dimostra che sul Cacciparis trovarono un ostacolo insuperabile. Passato infatti il fiume e sbaragliata la guardia siracusana, era facile salire per le colline Palazzetti. Questo ostacolo adunque n on pot eva deri vare ch e dalla resist enza di Ibl a Geleat e posta a cavaliere del fiume. Questa lacuna pare colmata da Saliano con temporaneo della guerra che nel 412 a.C. scrisse una storia di Sicilia. Egli dice: Atque in fugam versi in terram evaserunt circumspicientes si quam in castris aut munitionibus viam salutis invenirent Ma dice al t r esì: E x mu ni to qu oda m co l l e cu m cla d e repu l si E cco l 'ostacolo clic incontrarono. E questo colle non poteva essere, come ritiene il Di Maria, il monte di Ibla Major. Doveva essere invece la collina Palazzetti che è sulla riva destra del fiume. Pertanto, restando immutata la rotta, il nuovo ordine era di salire sull'altipiano seguendo il corso dell'Erineo. Ma questa rotta fu fatale ai due corpi di esercito che separ atamente furono raggiunti e distrutti dal nemico. a)Demostene. Egli chiudeva la ritirata e doveva essere il primo a subire l 'urt o del nemi co. I Siracusani, sul far del gi orno, si avvi dero della partenza degli ateniesi e con lestezza li seguirono. D'altro canto, mentre l 'esercito di Nicia marciava ordinatamente e celermente, quello di Demostene marciava lentamente e disordinatamente e quindi restò indietro di 50 stadi. Dice lo storico che i Siracusani incontra ron o Demost ene all 'or a del pran zo, e subito l 'assali ron o e ch e la l or o caval leri a n on durò molt a fati ca ad att orni are qu el cor po di sgi u n t o d al l 'eser ci t o. D e most en e al l or a, an zi c ch è an d a r e a v an t i pr en deva ad ordinare le truppe in battaglia e tanto tardò che fu accerchiato e messo nella maggiore confusione; imperocchè serrate le truppe dentro un luogo che era cinto da un muricciuolo, fiancheggiato da due Iati da una strada e piantato di non pochi ulivi, ( 6 ) erano da ogni parte bersagliati. Lo storico continua dicendo che quando Gi lippo vide il nemico sfinito dagli stenti e dalle ferite, invitò alla resa gli isolani che facevano parte dell'esercito ateniese. Poche città accettarono la resa, ma poi, concordate le condizioni, tutti si arresero nel numero di 6000 deponendo i l denar o dentro scudi rovesciat i e ne empirono quattro. Quindi furono condotti a Siracusa ( 7 ). Ma quale fu il luogo della battaglia? Secondo il Di Maria sarebbe stata la Cava Pisciarello in cui scorre l'Erineo, mentre la pace si sarebbe conclusa nella limitrofa contrada Piano della Pace. Questa ipotesi suggestiva sarebbe avvalorata dall'ora dell'incontro. Se difatti sul far del giorno l'eser cit o at eniese er a sul C acci pari s , all 'or a del pran zo anch e Demost ene d oveva tr ovar si sull 'Erineo che dist a una diecina di chilo metri. E la limitrofa contrada Piano della Pace poteva aver preso nome dalla resa di Demostene. Ma quest a i pot esi è purtroppo con tradetta da due ragioni perentorie: se Nici a, che si trovava sull 'E ri neo in attesa di Demostene, nulla sapeva della battaglia e della resa cli c appr ese due gi orni d opo d al nemi co (8), l a d ett a bat tagli a n on poteva esser e avvenuta nella Cava Pisciarello per ché in tal caso Nicia. ch e er a sull 'Erin eo, ne avrebbe inteso si curament e il fragor e. D'al tr o canto null a di st ran o ch e Demost ene all 'ora d el pran zo si trovava ancor a nei pressi del Cacci paris sia perchè marci ava lenta mente, sia perchè il passaggio di un grande esercito di circa 40.000 uomini da un guado forzato, per giunta ostacolato da opere di sbar rament o, non era t anto semplice, sia perchè il mu tament o di rott a presuppone un ostacolo insormontabile nella difesa di quelle colline. Non può pertanto respingersi la versione di Plutarco il quale nella vita di Nicia dice che preso restò Demostene insieme con quella parte d i eser cito che governata er a da lui e che fu t olta di mezzo pr esso un a vill a dett a Pol izeli o dove l o stesso Demosten e sguai nando la spada si ferì, ma non potè uccidersi essendo sopr avvenuti i nemici che glielo impedirono ( 9 ). Quindi la battaglia e la resa sarebbero av venuti in contrada Palazzetti che da quella villa prese il nome e che si trova a poca distanza dal Cacci paris. E questa versione corrisponde al luogo della battaglia indicato da Tucidite. Come si è detto infatti, lo storico dice che la battaglia si svolse in una chiusa di terre cinta da un muriecinolo, piantata da non pochi ulivi e fiancheggiata da due lati da una strada. Ebbene, questa chiusa, che nessuno finora ha saputo identificare, è appunto nella contrada Palazzetti e corrisponde al la pr opri et à M azzon el l o ch e di sta d al fi u me cir ca m. 600 . essa infatti è della sufficiente estensione di ett. 16, è popolata di antichi ulivi ed è fiancheggiata da un lato dalla Via Florina e dall'altro dalla Via Tangi(10) b) Nicia. Ben altro ascendente aveva Nicia sul proprio esercito che si mantenne unito e fece molto cammino. Egli nel giorno in cui Demostene si arrese, aveva già varcato l'Erineo. Tucidite infatti dice che nello stesso giorno della fuga arri vò all 'Erineo e, dopo averlo var cat o, andò a posar si sopra un 'altur a ch e non poteva esser e se non in cont rad a Seggi o (in edito loco) E in quel lu ogo evidente men t e d ovet t e r i man er e i n at t esa d i Demost en e. L o sor pr eser o i n t a n t o i S i r acu san i , i q u al i gl i comu n i car on o l a r esa d i De mo -stette e gli intimarono di fare altrettanto( 11). Ma poichè Nicia mise avanti la condizione che gli fosse permesso di allontanarsi liberamente con tutto l'esercito (12), i Siracusani assalirono gli Ateniesi da ogni parte e li saett aron o fino a sera. E siccome le pi ccole alture dell a contrada Seggio non per mettevano una buona difesa, Nicia dovette trasferirsi sul costone Tilibelli che è sulla sponda destra dell'Erineo e che significa appunto teatro di guerra (tellus belli). Su questo pertanto, a nostro avvi so, si svolse la battaglia ( 1 3 ). Dice Tucidite che la notte stessa gli Ateniesi si apprestarono a partire, ma vedendosi scoperti, d eposero di nuovo le armi tranne 300 che, avendo forzato le guardie, disertarono. Sul far del giorno intanto si rimisero in cammino e saett ati da ogni part e a mar ce for zat e si diressero verso la foce dell'Asinaro dove nel settembre del 413 a.C. avvenne la grande sconfitta dell 'esercit o e dove Nicia impl orò perd on o al vitt orioso n e mi co ( 1 4 ) Di fr on t e a q u est o r acco n t o d el l o st or i co ch e segu ì l a gu err a, n on sappiamo spiegar ci l a seguent e ver si on e di Di od or o: Cosi per tre giorni, pizzicando sempre alla schiena dei miseri e prevenendoli dappertutto nei luoghi di passaggio, tolsero loro di potersi incamminare in diritta linea verso Catania, città loro alleata. Sicchè poi, obbligati ad andare indietro e a internarsi nelle campagne Elorine, al passo del fiume detto delle asine furono da tutte le bande serrati e trucidali in 18.000 e in 7.000 presi vivi fra i quali erano Dell 'ostello e Nicia comandanti supremi ( 19 ). Pertanto alla foce dello Asinaro in unica battaglia sarebbero stati fatti prigionieri tanto Nicia che Demostene! Esatto invece pare il numero dei prigionieri in circa 13.000 clic corrisponde a quello indicato da Tucidite nei due combattimenti. E poichè tutto l'esercito era di oltre 40. 000 uomini, i 18.000 numerati da Diodoro dovettero essere la cifra complessiva dei morti e dei disertori. Secondo Tucidite poi i Siracusani uccisero Nici a Demostene contro la volontà di Gilippo che alle altre glorie voleva aggiunger e quella dí presentare ai Lacedemoni gl i stessi capit ani nemici (16).Secondo Diodoro invece fu Gilippo che, contrariamente all'oratore Nicolao padre di due figli uccisi in guerra, pronunziò una violenta requisitoria contro Nicia e Demostene. Lo storico infatti dice: Così avendo parlato il Lacone (Gilippo) la plebe mutò pensiero e sancì la proposta di Diocle. Onde immantinente i comandanti supremi dell'esercito ateniese e tutta la turba degli alleati furono uccisi. I cittadini di Atene poi vennero chiusi nelle cave di pietre e alcuni di essi. che avevano avuto liberale educazione, per favore dei giovani Siracusani, esentati dalle catene, restarono salvi(17). Quasi tutti gli altri indegnamente tormentati nelle prigioni, finalmente terminarono i loro giorni in mezzo alla miseria(18). Non è difficile, come qualche altro storico afferma, che Nicia e Demostene, nel momento della esecuzione fossero stati posti in salvo. A noi poi sembra più attendibile la versione che Gilippo si opponesse alla morte dei due condottieri ne mici perchè non poteva venir meno alle condizioni della resa concordate con Demostene e alla misericordia invocata da Nicia. Gli storici dicono poi che questa battaglia terrestre fu la più grande che nell'antichità i greci fecero contro i greci. Essa ebbe il suo epilogo nel territorio di Avola ed il Littara esattamente cantò: Fecundant Hyblae projecta cadavera campos....(19) (1) In Di Maria: Ibla Rediviva 84. (2) In età romana diverse città coniavano 111011(2R Ira cui Ibla Megale - Pace Op. cit. I. 493. (3) Tucidite dice infatti che era orrenda la condizione degli Ateniesi non solo per la sconfitta subita, ma perchè i morti giacevano insepolti e i feriti imploravano aiuto. Quindi non meno di 40.000 uomini marciavano con gli occhi a terra. I due comandanti fac evano di tutto per rinfrancarli. VI, n. 74 trad. Peyron (4) Tucidite - VII. Evidentemente i siculi dell'altipiano parteggiavano per gli ateniesi come tutti quelli che abitavano nell'interno dell'isola dispersi in casali. (5) Tucidite. ivi. (6) Tucidite VII N. 81. Il Pace ha creduto possibile che a quella lontana età rimontino taluni di quegli ulivi tuttora viventi formati da grandi tronchi vuoti all'interno che il popolo chiama ulivi saraceni - Opera cit. 381. (7 ) Tucidite VIII N. 82 - Nicias interea harum rerum ignarus cum suis i Erineum transgressus in edito quodam loco consederat. (81 Tucidite VIII N. 82. (9) Plutarco - Vita di Nicia - Trad. Pompei V. 7. (10 ) Nella mappa catastale è indicata al f. IO p. 10.11.27.. 11 Di Maria, ritenendo che gli Ateniesi fossero stati con strage respinti dal monte di Ibla Major ha supposto una battaglia con questa città e contraddittoriamente ha supposto che Nicia potesse trovarsi al Cozzo Tirone. Egli mentre intanto muta il colle in monte contraddice il fatto che Gilippo aveva fino a sera saettato l'esercito di Nicia e lo avesse circondato e costretto a mutar rotta. (IO Nicias inierea harum rerum ignarus coni suis I. Erineum transgressus n edito quodam loco concederat Tucidite VII - Trad. Pevron N. 82. (12) La condizione era: Si toto cum exercitu liberum eum abire permitterent ad belli expensas Siraeusanis solvendas suol inducturus - Fazello II 294 - Di Maria I.R. 68. (151 II Di Maria ritenendo che Demostene fosse stato vinto nella Cava di Pisciarello e che Nicia si fosse trovato o sul Cozzo Tirone o sul Monte Gisini e che fosse stato respinto dal monte di Ibla Major ha creato una situazione militare impossibile. (14) Tucidite VII N. 84 op. cit. La celebre piramide fatta da Blasco Alagona nel 1353 nella contrada Pizzuta ricorda ancora questa battaglia. (15) Diodoro 13 cap. IV - Trad. Compagnoni 31. (16) Tucidite VII N. 84 Op. cit. (17) Plutarco dice che essi trovarono grazia recitando brani delle tragedie di Euripide. (181 Diodoro XIII cap. V - Op. cit. Vol. IV p. 52. (19) I.ittara - Corradiade V. 240 - Lo scrittore però in Rebus netinis dice che la battaglia avvenne in agro netino ut celeberrima adhuc demonstrat. APPENDICE STOR IA F GEOGRAF IA DELLE IB LE La trasmigrazione e sdoppiamento delle Ible e i nuovi risultati da noi ottenuti sulle Ible senjores e sulle juniores ci inducono a fare un quadro riassuntivo delle relative controversie e della ubicazione di tutte le Ible (1)Purtroppo infatti, mentre l'archeologia in questo mezzo secolo ha fatto grandi passi, la storia e la geografia delle Ible non ne hanno fatto alcuno. E ciò quando gli studi archeologici get tano grandi sprazzi di luce sulle tenebre delle antiche Ible e delle antiche immigrazioni. Quante furono, donde il nome, da chi furono fondate e quando e dove? Siamo sempre o quasi nelle medesime incertezze. Per vedere clic cosa si pensava 50 anni addietro basta leggere la Sicilia illustrata che nel 1888 i Fratelli Salvo pubblicavano in Palermo sopra scritti originali e monografie dei più illustri archeologi siciliani. Ivi si legge: Ora siamo alle famose Ible. Quante sono? Non si potrebbe dire se si volessero contare quelle moderne città ,smaniose di attaccarvi le loro origini. La quistione non vien fuori oggigiorno; aveva principio presso gli antichi che ne contavano parecchie: la Ibla Megarese che divenne (?) presto greca la Gerente, Secondo Tucidite o Galeate secondo Giovan Federico Facius editore in Lipsia di Pausania e la Era o Erea. Stefano Bizantino le chiamò Ibla Maggiore, Piccola e Minore. Tre ne conta il Dott. Holm e indica anche la distanza in cui sorgevano da Menae -Mineo. Tre parimenti il Dott. Raffaele Solarino seguendo e il Bizantino e Cluverio: è una di queste la sua Ragusa che egli con altri scorgono nella Erea. Vi ha dippiù_ Il citato Bizantino ne scuopre (sic!) una quarta che egli chiama Tiella e Paternò,Melilli, Avola e Butera pretendono cascunoi la propria. Sarebbero così le Ible nè due, nè tre, ma cinque… Lo storico Natale intervenendo fra i disputanti dichiara solennemente di possedere validissimi argomenti da asserire che le Ible, anzicche tre o cinque, non erano se non due e ne chiama testimoni Tucidite, Erodoto, Pausania e Diodoro e scagliasi contro Cluverio e contro gli altri che misero fuori la terza Ibla chiamata Herea, comparsa egli dice, dopo un errore di Stefano Bizantino. Sicché per lui non vi erano altre Ible che la Megarese e la Galeote. E’ questa la verità? Chi può dire di si ( 2 )? Siamo ancora intanto nelle medesime incertezze. Finor a infatti nessuno ha pe nsat o all o sd oppi ament o dell e Ibl e e tutti, mettendo capo agli antichi storici e pur senza contare la Tiella. ora parlano di tre, ora di quattro Ible. Il Gubernale, dopo avere fatt o una rassegna delle antiche . opinioni, conclude col Di Maria che la Ger eat e fosse stata una Ibla distinta e quindi che l e Ible f osser o state ben quattro e cinque con la Ti ella. E dove nacque ad esempio la prima delle Ible? iI Ghisleri(3) il Pace (4) la collocarono a Paternò, mentre il De Agostini la colloca a Melill i e chiama Abolla la città di Avola Antica (5) . . che dire di Ibla Geleate o Galeate? Il De Agostini la colloca a Paternò, mentre il Pace ne fa un soprannome di Ibla Maggiore. E. che cos a di lbla Era? Ragusa In feri ore, seguendo il Cluverio e il Solarino, ne ha assunto il nome. Ma i migliori storici anche contemporanei ne dubi tino fortemente. Il Pace ad es. la colloca ad ovest dell'Erminio, ma con un punto interrogati vo. mentre il Ghisleri e il De Agostini la collocano sul fiume Hiblaeus posto fra l'Erminio e il Gela. Ed Ibla Megar a? Assunse o meno i tr e n omi di I bla di lbla Gereatc e di Ibla Megara? E dove trasmigrò? Come si è detto, nessuno ha pensato allo sdoppiamento delle Ib le e quindi il mistero avvolge ancor a le numerose città moderne che sempre più tenace mente aspirano al vanto di discendere dalle Ible dell'antichità. Nè si tratta di aspirazioni platoniche perchè ognuna di esse ha un fondamento di vero nelle tradizioni locali, negli avanzi archeologici, nelle iscrizioni o nelle fonti storiche. Tanto che esse nel 1500 dai geografi venivano segnate col nome di Ibla. E’nato quindi uno stuolo,di storici locali che con fervore hanno difeso la loro causa.. Essi intanto di fronte al presupposto della immutabilità del sito originario, han dato di cozzo nelle antiche fonti storiche e quindi il rimedio di accusarle di errore. Tucidite disse che Nicia, tornando da Centuripe, incendiava le messi Hybleorum cioè di Ibla Maggiore. Ebbene gli storici hanno detto che egli intendesse parlare degli Hybleorum Gereatorum(6) Pausania disse che in Sicilia furono due Ible estinte, la maggiore e la Gereate e si è detto che egli avrebbe errato sul numero delle Ible e dato il nome di maggiore alla Gereate e di Gereate a quella che era la Megarese(7) E peggio per il geografo Claudio Tolomeo quando segnava Ibla Maggiore ad ovest di Siracusa e quando di Megara faceva una città mediterranea. E peggio ancora quando le mutazioni fonetiche e la dominazione araba alterarono profondamente gli antichi nomi e quan do il nome di Ibl a si mut ava in Abol a ed Auola. C ome abbi amo detto questa babele è nata dal falso presupposto che le Ible fossero nate e scomparse nel medesimo sito. Il Fazello infatti accusa di errore il Tolomeo che collocò Megara in Me lilli solo perchè essa origina riamente era una città marittima. Degli anonimi si scagliano contro il Di Maria quando sostenne che Avola antica fosse la stessa Ibla Major solo perché essa era nat a nel territorio di Catana. Lo stesso Di Maria dominato dal medesimo presupposto nella sua Risposta Apologetica credette che Ibla Major fosse nata, estinta nel medesimo sito di Avola antica (8) così si ripetono le antiche e sempre nuove controversie sul nome, sulla origine sul sito sul numero e su tante altre questioni che rimangono ancora insolute. Poiché intanto, come abbiamo dimo strato, tutte le Ible furono costrette a trasmigrare e trasmigrando si sdoppiavano perché conservavano lo stesso nome tanto nel sito originario che in quello successivo: poiché abbiamo identificato tre Ible Juniores e rinvenuto la Tiella riassumeremo i risultati da noi ottenuti. a) Donde il nome? l cert o che si hanno diverse Ible e dei monti Iblei. Ma il nome delle città non può derivare da quello dei monti e vice versa perché la pri ma Ibla non nacque sui monti Iblei. Esso quindi deve avere una origine comune che secondo noi mette capo alla dea Ibla veneratissima in tutta la Sicilia. Questa dea, secondo Diodoro siculo pare che si a la st essa C erere adorata sott o nome diverso ma coi medesimi attributi. E se Cerere dalla radice Kern-frumento era la dea delle messi e del miele, lo era anche la dea Ibla(9) b) M a qu an t e fu r on o? Si è cer cal a in van o u n a nu mer azi on e nelle antiche fonti perché esse si limitano a far mensione solo di quel la o di quelle lble di cui hanno occasione di parlare. Per vedere quindi quante fossero state, non vi è altro modo che quello di individuarle. Al riguardo nessun dubbi o sull a esist enza della pri ma lbl a che poi fu detta Major. E nessun dubbio su lbla Megara che in tempi storici fu l'ondata dai greci. Del pari non è controversa la esistenza di una Hybla Hera o Herea o Heraia o Nera. E siamo già alle tre Ible nume rate dal Bizantino, il quale disse che erano in tutto tre: una col soprannome di maggiore, una Ibla minore i cui cittadini si chiamavano Galeoti e Megaresi, lu terza che chiamavano Nera. Pertanto secondo il Bizantino e quasi tutti gli storici posteriori tre erano le antiche Ible . Ma lo stesso Bizantino dice che i cittadini della seconda Ibla erano detti Galcoti e Megaresi e dice ancora che secondo Filistio siracusano fra le Hible una era chiamata Tiella. A sua volta Pausania parla di una Ibla Gereate di già esistita situata ai confini del territorio di Catana e Tucidite parl a di una Ibl a Geleate post a a sud di Siracusa. Quid pertanto di questa e queste Hible Galeate, Geleate Gereate? Federico Facius, traduttore di Pausania, conformemente al Fazello e al Cluverio, ha creduto che la Geleat e non fosse che la stessa Geleate. Ma checché ne sia di ciò, è evidente che la Geleate di Tucidite e la Gerente di Pausania non sono che lo stesso nome. D'altra parte, come si è detto, lo stesso Bizantino dice che fra le lble ve ne era una chiamata Tiella. Pertanto la Gercate o Geleate era una quarta Ibla o un sapran nome? Ecco le due gravi incognite che da secoli hanno affaticato la mente degli studiosi. c) Hibla Nera Geleate. Gli storici, quasi unanimemente hanno ritent o che Geleate fosse un soprannome di una delle tre lble. Il Pace recentemente ha dato ques to soprannome ad lbla Maggior e(11 ), ma erroneamente perchè, come si è detto, Pausania dice che la Maggiore e la Gerente erano due città distinte esistenti in luoghi diversi del territorio di Catana(12). Ed erroneamente il Fazello ha creduto che la Geleate fosse la stessa Megara( ' 3 ) perché Megara era a nord di Siracusa in agro siracusano, mentre Tucidite nel 415 a.C. colloca la Gelea te a sud di Siracusa dicendo che Nicia la investì invano con metà della flotta. Si ha adunque una Geleate a sud di Siracusa che deve essere o marittima o non lontana dalla costa. Ma a sud di Siracusa non vi è che la Major Junior che, come dice Pausania, è diversa dalla Geleate e che è mediterranea. Pertanto esattamente si è creduto che Geleate fosse un soprannome della Era. Di fatti dei traduttori di Tucidite hanno volto le parole Ibla Geleate con la perifrase Ibla in quel di Gela(14 ). Ma erroneamente hanno creduto che essa fosse in territorio di Gela e che da essa avesse preso il nome. E evidente infatti che una città sicula nata secoli prima e con un proprio territorio, non poteva prender nome da quello della greca Gela(15 ). Quindi non poteva essere in agro gelatino. Ne. come si vuole. poteva trovarsi ad est di Gela sul fiume Hipparis o sull'Hyblaeus o sull’Hir minius. Essa infatti era indubbiamente una città nemica di Gela perché uccise a tradimento Cleandro, tiranno della città, tanto che Aristotile la disse Cleandri caede infamis. Pertanto quando nel 491 a.C. 1ppocrate. che succedette al fratello Cleandro, fu a tal grado d i pot en za ch e passand o l o Hi ppari s prese C amarin a(16) scon fi sse sull'Eloro la potente Siracusa e soggiogò le città della costa orientale, è assurdo pensare che avesse lasciato alle sue spalle una città nemica. E che la città non si trovasse sulla costa meridionale Io dice chiara mente Pausania il quale la colloca nei medesimi confini del territorio di Catana(17 ). E lo dice Diodoro che la colloca non longe a Centuripe(18) Se pertant o la Er a aveva pr eso il soprann ome di Gel eat e dal fiume Gela, se era nei confini del territorio di Catania, era non logge a Centuripe, il sito originario non poteva essere che sulle montagne d i Calt agir one che fanno part e dei monti Haer ei, ch e sono sopr a Gela cioè sul fiume Gela, nei confini del territorio di Catania. Esse invero si trovano sulla doppia displuviale del Gela e del Simeto. Il Dissueri, affluente del Gela, arriva infatti a Caltagirone ed il Margi affluente del Simeto ha origine in vicinanza della città. Questo era pertanto il sito della senex città di Era. Ben a ragione quindi il Nuovo Melzi dice che Caltagirone er a un 'anti ca Ibl a M inor. Da qu el si t o poi fu costr et ta a tr asmi gr ar e quando Gela nella sua espansione verso gli estremi bracci del fiume omonimo raggiungeva le montagne di Caltagirone(19). Difatti anche sulle alture dell 'attuale Caltagirone si st anziava una colonia greca. Pertanto i Siculi, come ben dice il Pace, si riducevano prima ai margini delle pianure sopra luoghi naturalmente fortificati e quindi col tempo furono costretti a trasmigrare(20). E noi crediamo fermamente che la Era trasmigrava allo s bocco della Cava Grande. Ivi non è dubbia l'esi st enza di un'antica città sicula che fino al 1897 restò una vera in cognita. Essa aveva il suo castello sul Cozzo La Mola e la sua Necropoli a mezza costa delle colline Cugno Mola, Cugno Spineta e Cugno Zagari. Nel 1897 l'Orsi attese lungamente all'esplorazione delle 2000 celle sepolcrali e ne dedusse l'esistenza di una preistorica città sicula fondata nel X o X1 sec. a.C. che viveva in capanne di paglia nei terrazzi rocciosi interposti fra le cavette Mola. Spineta e S. Anna, mentre i capi di essa dimoravano nella contrada Cugni di Fazio dell'altipiano iblense ( 21). L'archeologo la chiamò Cassibile, ma questo certamente non era il suo nome, p erchè C assi bil e non è no verata f ra le ci ttà sicu l e. Qua l e dunque il nome? Il primo sprazzo di luce si trova nel Fazello il qua le, parlando del fiume Caccipari, dice che da terra un miglio è posta una fortezza in sulla riva del fiume dove si vedono ancora certi grandi acquedotti con cui si conducevano le acque di questo fiume nella contrada Gereate che è sotto questi colli ( 22 ). Quindi come le scompar se cit tà di Ibl a Maj or, di M egara, di Fal ari a, di Not o ant ica e Avola antica hanno dato il loro nome alle rispettive contrade, così Ibla Gereate aveva dato il suo nome alla contrada anzidetta. Se ne ha una conferma in Tucidite. Lo storico nel racconto degli avvenimenti militari della guerra di Atene contro Siracusa dice anzitutto che dei Siculi che abitavano la pianura, pochi si ribellarono ai Siracusani, mentre quelli che abitavano addentro nell'isola dispersi in casali e che vivevano indipendenti subitamente tranne pochi si accostarono agli Ateniesi recando vettovaglie al campo e alcuni anche denaro ( 22 ). Pertanto, mentre i Siculi dei due altipiani erano con gl i ateniesi, tanto Ibla Major che la Geleate che avevano il territorio in pianura, erano due città nemiche. Quindi gli ateniesi, per avere una via di comunicazione con l'altipiano Iblense dovevano espugnare o lbla Major o Ibla Gereate. Essi, per ovvie ragioni, cercarono di espugnare la Gereate come la più vicina al mare e al teatro di guerra. L'umiliante tentativo è così descritto dallo storico: Ultimamente con una sola metà delle navi Nicia venne ad Ibla Geleate, città nemica. ma non la prese. Così terminò l'estate (24). Lo storico non dice aincora il sito. ma così continua: Nel seguente inverno gli ateniesi tosto si prepararono per assalire Siracusa ed i siracusani, e per andare loro contro. Imperocche. non essendo stati in quel primo tempo di paura e di aspettazione assaliti dagli ateniesi, i Siracusani ripigliavano ognor di più coraggio e quando videro lungi da Siracusa navigare verso la Sicilia ulteriore e tentare Ibla senza poterla ottenere, allora presero vieppiù a sprezzarli e pregarono i loro capitani di condurli contro Catana (25). Ibla Geleate pertanto doveva essere marittima o poco distante dal mare e rispetto a Siracusa, doveva essere a mezzogiorno perchè le navi, venendo da Catania e passando da Siracusa, navigavano verso la Sicilia ulteriore (26). Questa Ibla quindi non poteva essere che la città sicula posta allo sbocco della Cava Grande, che era ad un miglio dal mare e che apriva la via per l'altipiano iblense. lvi infatti era la contrada Gereate che aveva preso nome dalla Gcleate. Ivi doveva essere quel popolo che nelle cerimonie verso gli dei era più eccellente di tutti gli altri barbari; ivi dovevano essere, come dice Cicerone, i sagacissimi interpreti dei sogni (27). Difatti Dionisio che presso di essi si consultava, aveva nelle vicinanze una villa chiamata Gereate (28). Nè Nicia a sud di Siracusa e tanto meno in agro gelatino aveva altro obiettivo militare tranne quello di aprirsi una via di comunicazione con l'altipiano iblense che gli forni va uomini, vettovaglie e spesso del denaro. L'errore che Nicia avesse tentato di espugnare una Ibla in agro gelatino è nata da un'errata traduzione delle parole di Tucidite. Lo storico infatti non parla di una Ibla in quel di Gela, ma di una Ibla Geleate che aveva preso nome dal fiume Gela. La collocazione poi della Geleate in quel di Gela è un'assurdità storica e militare: storica perchè la sicula Era nasceva prima della greca Gela e prima quindi doveva avere un proprio territorio; militare perchè se la nemica Era fosse stata in quel di Gela, e magari sull'Hyblaeus o sull'Hyrminius, Ippocrate prima ancora di muoversi contro Siracusa l'avrebbe soggiogato così come fece con la nemica Camarina. La Gcleate quindi non poteva trovarsi in agro gelatino, nè poteva trovarsi ad est di Gela sui fiumi Hypparis, Hyblaeus ed Hyr minius. La città pertanto investita da Nicia non poteva essere che la Hera Geleates Junior posta allo sbocco della Cava Grande. b) Ibla Tiella. Ma era anche un soprannome la Tiella? Il Bi zantino ne parla ambiguamente dicendo che fra le Ible una era chia mata Tiella, ma il Maurolico, numerando le diverse Ible, parla delle tre Ible del Bizantino e di un'altra che secondo Filistio siracusano era chiamata Tiella (29). Egli pertanto ritenne che quattro erano le antiche Ible, il che è indubbiamente vero. Dello stesso avviso fu il Fazello, il quale disse che la Tiella al suo tempo aveva anche perduto il nome e non sapeva se fosse stata la città di Judica che era rovinata e deserta (30). Ma non è dubbio che si trattasse di una quarta Ibla perchè la Tiella è certamente l'odierna città di Militello che è diversa dalle altre tre. Il nome di Militello è infatti composto dalla parola Mili e dalla parola Tiella foneticamente corrotta (31). La prima infatti si riscontra in diversi nomi semplici e composti come in Milis, città della Sardegna in provincia di Cagliari, in Milì S. Marco, in Milì-Illi, in Milì-as (32). La corruzione che consiste nella semplice sincope della i del dittongo la troviamo comunemente come in miele, cielo, insieme, fiera (mercato), che in siciliano diventano meli, celo, ansemi, fera. E’ dubbio soltanto se la città fosse stata originariamente nel medesimo sito. Certo è che nel '500 i geografi in Militello segnavano una Ibla monte e castello. Seguendo poi la cronologia dell'antica tradizione storica è fa cile trovare la data di fondazione tanto delle lble senjores quanto delle juniores. Se la senex Ibla Major fu di origine sicana, dovette essere fondata dai Sicani non prima del XIV sec. a.C. in cui vennero i Sicani (33) mentre le sicule Era e Tiella dovettero esserlo non prima dell'XI sec. a.C. in cui vennero i Siculi(34). La greca Ibla Megara poi fu fondata nell'VIII sec. a.C. Naturalmente diversa è la data di fondazione delle juniores. Mentre infatti la Major dovette trasmigrare nella invasione e probabilmente nell'espansione sicula cioè nell'XI o X sec. a.C. la Era trasmigrava nel periodo di espansione della greca Gela, cioè nel V sec. a.C., mentre Megara trasmigrava nel V sec. a.C. durante il regno di Gelone (35). E poichè le città trasmigrando conservavano il primitivo nome tanto nel sito originario che in quello successivo, così è nato che molte città moderne hanno sempre aspirato al vanto di discendere dalle Ible dell'antichità. Le une infatti sono legate al solo sito originario, mentre le altre sono le vere e proprie discendenti. Riassumendo pertanto i risultati da noi ottenuti, possiamo fare il seguente quadro riassuntivo: I°) Hybla Major - Paternò - Avola antica. La senex Hybla Major fu una città sicana non fortificata, che secondo Tucidite e Pausania era situata fra Centuripe e Catana nelle vicinanze dell'attuale Pa ternò ( 336). Ma poichè nell'immigrazione sicula proveniente dall'Italia i Sicani, cacciati da nord verso sud, abbandonarono tutta la costa orientale, la città pur lasciando il proprio nome nel sito primitivo (37) nel sec. XI o X a.C. trasmigrava sul monte di Avola antica cioè al margine meridionale dell'altipiano iblense. Pertanto scavata interamente nella roccia, la città diveniva Monte e Castello. Nel nuovo sito il suo nome di Ibla con una serie di mutamenti fonetici si cambiava in Abla. Abula, Abola, Abbola, Abolla, Avula, Auola, cd Aula e quindi questi nomi non sono che il medesimo nome foneticamente corrotto (38). Essa è quella stessa città di Ibla Monte e Castello che l'alessandrino Tolomeo nella sua informe carta del tempo. segnava ad ovest di Siracusa e a sud di Netum. Per questo la tavola di Tolomeo fu riassunta con le parole: Posi Anapum Hybla, posi Hyblam Netum. Questa Ibla Junior è quella che nella tavola 63 della geografia edita in Roma dal 1546 al 1596 venne segnata col nome di Auola. E’ quella stessa che fu famosa per il suo miele simboleggiato nell o stemma di Avola antica e nel suo precedente storico quale è la medaglia del Paruta che porta scritto Megalos Hybla. Tutto questo è confermato da una antichissima tradizione che trova riscontro negli atti della curia vescovile di Siracusa e vicariale di Avola antica e negli atti notarili da cui risultano i più recenti mu tamenti fonetici ed il fatto che Avola antica è la olim dirupta Hybla. Questa fu la città sicana che dall'XI o X sec. a.C. al 1693 d.C. rimase sempre nel medesimo sito ed a cui col tempo si sovrappose una medioevale città in muratura. Nulla può dare la stratigrafia nè la numismatica perchè il sito fu sempre abitato dallo stesso popolo. Essa al tempo di Ducezio fece parte della nazione Sicula, ma non fu della medesima gente e per la sua importanza strategica conservò la sua autonomia e fu esentata dai forti contributi di guerra (39). II°) Hybla Megara - Megara - Melilli Tucidite dice che Lami conducendo da Megara una colonia fondò un borgo denominato Trotilo presso il fiume Pantacia e che cacciato da esso fondò Tapso e poiché Iblone capo siculo, offriva loro un territorio e se stesso per capo, fondarono Megara Iblea(40) . La città pertanto prese il nome da Iblone o da Ibla e da Megara, patria dei nuovi coloni. Il sito poi fu identificato dal Fazello il quale, dopo aver par lato del Fiume Alabo e della vicina fonte di acqua dolce, dice che soprastà a questa fonte ed alla bocca del fiume Alabi quasi un tratto di mano, una città rovinata la quale da una parte è bagnata dal mare, e che le vestigia delle abitazioni facevano indubbia fede _che quella era la città di Megara (4 '). L'Orsi nelle sue esplorazioni ha trovato in Megara della vestigia di una città neolitica che rimonta al XXV sec. a.C. Il sito adunque è identificato. Ma anch e Megara trasmigrava altrove e fondava una Megara Junior. Quando Gelone infatti(491-478 a.C.) la distrusse attirando i più ricchi a Siracusa, il popolo dovette certamente trasmigrare. Tanto è vero che, come dice Tucidite, al tempo della guerra di Atene contro Siracusa, la città era abitata dai Sicelioti. E trasmigrò sicuramente sulle colline dell'attuale Melilli perché Claudio Tolomeo del II sec. d.C. trovava e poneva in quel punto la città di Megara. Solo per un errore di traduzione Melilli, invece di essere indicata sotto il nome di Megara, fu segnata come 1bla Monte e Castello. In una traduzione infatti della geografia del Tolomeo fatta dal Rosselli ed ampliata da Giuseppe Rosaccio si collocò in Melilli una Ibla Monte e Castello. Ma questa erronea modifica fu successivamente corretta. Nel 1621 infatti il Rev. Gian Leornardo Cernuti veneziano, Can. di S. Salvatore riproduceva fedelmente il testo segnando Ibla e Megara nel luogo in cui le aveva segnato l'autore. Dall'errore di cui sopra forse è nata la erronea credenza che Melilli fosse stata l'antica Ibla Major per come ancora si legge nel Grande Atlante De Agostini. Pertanto ben a ragione il Baudrent disse: Ibla Minor aliis est Mililli a Megara urbe excissa apud Augustami. Come si è detto poi il nome di Mililli è composto dalla parola Mili e dalla parola Ibla. Le due parole formarono quelle composta di Mililli perchè la b fu assimilata dalla I successiva 111°) Hybla Hera - Geleate - Caltagirone - Cassibile. Indubbiamente vi fu una terza Ibla di origine sicula col nome di Hera, Heraea, Heraia o Nera e non è dubbia altresì la esistenza di una Ibla Geleate diversa dalla Major e dalla Megara che, secondo Pausania, si trovava nei medesimi confini del territorio di Catana. Poichè intanto come esattamente ritengono gli storici antichi e moderni, Geleate non era che il soprannome di una delle tre Ible, se è escluso che fosse quello della Major o della Megara, esso non poteva essere che il soprannome della Era derivato dal sito in cu i sorgeva. Se difatti essa prendeva il soprannome dal fiume Gela e doveva trovarsi nei medesimi confini del territorio di Catana, non può essere dubbio il suo sito originario. Esso doveva essere proprio nelle montagne di Caltagirone come quelle che sono nei medesimi confini del territorio di Catana e sugli estremi bracci del Gela. Da questo sito nel VI o V sec. a.C. la città fu costretta a trasmigrare a causa della espansione territoriale di Gela che saliva verso gli estremi bracci del fiume Gela(42). E così come trasmigrava la sicula Pantalica sita a poca distanza da Acre, come trasmigrava la sicula Dissueri, trasmigrava anche la sicula Era Geleate. Ed è così che dal VI sec. a.C. venne a trovarsi allo sbocco della Cava Grande nelle colline di Cugno Mola, S. Anna e Cugno Zagaria. Essa sul Cugno Mola ebbe il suo Castello e poichè durante la guerra di Atene contro Siracusa parteggiò per questa città mentre le popolazioni sicule degli altipiani parteggiavano per Atene, gli Ateniesi tentarono invano di espugnarla per aprirsi una via di comunicazione con l'altipiano. Così è avvenuto che la contrada prese il nome della città. E poichè i cittadini di Ibla Geleate erano sagacissimi interpreti di sogni e presagi, Dionisio, che con essi spesso si consigliava, nelle vicinanze della città costruiva una villa che prese appunto il nome di Gereate. IV°) Hybla Tiella -Militello. Come si è dimostrato Ibla Tiella non è altro che la città di Militello. Cadono pertanto le incertezze e e tutte(42) le ipotesi degli storici. Militello infatti è indubbiamente composta dalla parola Mili e dal nome Tiella. E cade anche la ipotesi dell'Holm che cercava la nuova Neas nel sito dell'attuale Militello. Ad onor del vero gli storici del 500 ne intuirono il sito perchè nella detta geografia edita nel 1564 a pag. 49 è segnata un'antica Ibla che è chiamata Militello. L'unico dubbio è pertanto sul sito originario della città. Era esso sul fiume Milias da cui avrebbe preso la parola Mili del suo nome? Concludendo pertanto: se quattro erano le Ible dell'antichità, se esse in epoche e per ragioni diverse trasmigrarono: se trasmigrando conservarono il primitivo nome tanto nel sito originario che nel sito successivo, ben a ragione molte città moderne da secoli hanno aspirato al vanto di discendere dalle antiche Ible. E ciò è anche una riprova della esattezza delle nostre conclusioni. (1 ) Ouesta appendice pertanto pre suppone la conoscenza del lavoro prin ci{gale a cui quindi ci riportiamo. (2) La Sicilia illustrata - Tipografia dello Statuto - Palermo 1888 - p. 191. (3)Atlante del Mondo Antico. (4) Arte e Civiltà della Sicilia Antica - v. cartina annessa. (5) Tavola della Sicilia Antica - 1938 IV Ed. (6 )(7 ) Di Ma ri a I. R N XXVI. 45 (8) Di Maria: Tuttavia dato e non concesso clic Pausania abbia scritto il vero. . e ra poi i mpossi bi le che d i st rutta L’l bl a Ma ggi ore, si sia alt ra volt a rifatta e che di nuovo ristorata, siasi poi appellata col moderno nome di Avola? R. A. 91. (9)Cinnirella - Popolo di Sicilia - 11-6-1941. E’stra no il dire clic Ibla venga dall'ebraico i nghi ottire e che Abola ve nga da - boccone - come ha ritenuto il Di Maria in I. R. 90. (10) Hyblas in Sicilia tres omnino legimus: Hyblam cognomento Majorem, Hybla oppidum; alia quae minor dicta est cujus incolas Hiblaeos Galeotos et Megarenses vocabant, cum a priore Hyblaci tantum dicerentur. Tertia quam alio verbo appellai:t Neram omnium minimam; est is unam Tiellam dici Phlistius refert. In Di Maria I. R. 22-R. A. 141. (11)Pace op. cit. v. cartina annessa. Veramente il nome di Galeate le da, ma incliniamo a )credere che esso non sia che una variazione dello stesso nome Gelcate. (12)V. Ilybla Major Junior cap. IV. (13)Vera me nte egli cade in contraddizione pe rchè me ntre da un canto dice che Megara fosse stata proprio la Ge rcate; d'altro cant o scri ve: Urbes eorum (cioè dei Siculi) Zancla, Catana, Siracusa, Neas, Centuripes, Leghum, Hybla Gereates non longe a Centuripe ct Hybla Minor sopra Gelam ct pleraque aliae ut Diodorus, Tucidites, Plutarcus et Pausania referunt. D. I. I. 250 Di Maria I. R. 27. (14)Anche il Fazello fa dire a Tucidite che la Lia fosse in teriitorio di Gela. (15)Secondo Tucidite Gela sarebbe stata fondata da Antifemo ed Eutitmo con coloni di Rodi e Creta 45 anni dopo la fondazione di Siracusa - op. e. VI. (16)Tucidite nel L. VI dice che la città fu fondata dai Siracusani I35 anni d opo la fondazi one di Si ra c usa e c he gli a bit a nti pe r de fe zi one furono più volte espulsi dalla città. (17)Nè mancano gli avanzi archeologici perchè quelle montagne furono sparse di Siculi del primo e secondo periodo. Orsi, Siculi e Greci a Caltagirone 1904 - Libertini, Necropoli di S. Luigi a Caltagirone - Amore, la Necropoli sicula della Rocca. L'opinione dell'Orsi che la Hera fosse da ricercare nel sito dell':attuale Ragusa Infe ri ore ha dat o e rrone a me nt e c redit o ad una opi ni one e scl usa dalle font i storiche. Orsi, Nuove esplorazioni su Hybla Erea 1898. (18)Hybla Gereates non longe a Centuripe, (IV) Di Maria R. A. 56. (19)Dice il Pace che l'i nfl uenza della greca Gela ri sale e conqui sta la z ona mont uosa att ra verso i brac ci e stre mi del Gela, il Di ssue ri e Maroglio. pervenendo alle alture di Mazzarino e Caltagirone. Egli parla dei monti che circondano la piccola conca di S. Mauro cinta di monti in cui vivevano delle genti preistoriche del I. II. e 111 periodo e d ella montagna di Caltagirone dove uno stanziamento siculo occupava il declivio meridionale in gruppi frazionati c he pe nde va no i nt orno al ce nt ro d ett o la R occa c he e ra l 'a ntic a rocca forte della città. (20)V. Pace - op. cit. I. 201. (21)P. Orsi. Pantaliea e Cassibile, R. Accademia dei Lince' - 1899 - IX. (2 2 )Faz e ll o t rad . Hi C a p. IV. Lo st e sso Fa z e l l o di ce : "T i ra va si la acqua ancora dal fiume Caciparo a quella parte del territorio di Siracusa che si nominava Gereate. (23)Tucidite VI n. 88 - trad. Peyron 126. (24)(25) Tucidite - trad. Peyron VI n. 62.63. (26)Quest o dice che Tucidite, non già come vuole il Fazello, che la Era fosse nel territorio di Gela. (27)Per come ricorda il Fazello, Pausa nia nel libro V dice che nella E ra esisteva u n tempio fa mosi ssi mo e bellissi mo della dea dei siciliani chiamata Ibla e che da que st o popol o fu portata i n Oli mpia la stat ua di Gi ove c on l o scettro in ma no. Filisti o dice che gli Erei erano inte rpreti dei sogni e degli auguri e che circa la cerimonia degli dei erano i più eccellenti di tutti gli altri barbari che erano in Sicilia. Fazello III Cap. IV. Di essi fa menzione Cicerone che nel primo libro della divinazione li chiama sagacissimi interpreti di sogni. (28)Eliano scrive che Dionisio si consigliava con loro e che in Era esisteva il tempio della dea Ibla. Pausania dice che ai suoi tempi questo tempio era ancora in piedi. (29)Egli disse infatti: lHyblas tres in Sicilia: maximam undeHyblaei,parvam quae et Megara minimam quae et Nera et aliam quae Tiella ut ait Philistius (30)Fazello III cap. IV. (31)Questo fiume è ricordato da T. Livio nel I. IV della guerra cartagi nese. Forse da questo fiume nacque la prima parola di Milì. Secondo il Fazello esso corrisponde al fiume Marcellino che si scarica nel porto di Augusta. (32)E’ comune il caso di nomi di città che si componevano con quello del luogo, specie al tempo del dominio arabo. Dall'arabo djebel (monte) sono nate Gibil-Rossa Gibil-Lina, e da Chalta (castello) Celia-Biano. Caltavuturo, Colta-Nissetta ed altre città. (33) Cioè 600 anni prima dei Greci. (34) Diversa sarebbe la cronologia secondo Ellanico perchè i Siculi ven nero nell a terza gene razione pri ma della gue rra di Troia, sare mmo nel XIII sec. a.C. e i Sicani sarebbero venuti nel XVI sec. a.C. (35) Megara infatti fu distrutta da Gelone che attirò i più ricchi a Siracusa, mentre i miseri trasmigrarono altrove. (36)Holm. op. cit., anche il Pace la colloca nella regione etnea e preci samente a Paternò, chiamandola però Maggiore o Gereate - op. cit. 1.173.196.204. (37)V. Hybla Major junior Cap. IV. (38)V. Ilybla Major cap. IL (39)Non è adunque una colonia di Ibla Megara come ritenne il Solarino. né il suo nome di Abola derivò per metatesi dal fiume Alabo. R. Solarino, Ricerche storiche. (40) Tucidite Guerra del Peloponneso VI. (41)Fazello op. cit. iIi - cap. IV. (42)Ben dice nl riguardo il Pace che l'influenza della greca Gela risale e conquista la zona montuosa attraverso i bracci estremi del Gela. il Dissueri e il Maraglio pervenendo alle alture di Mazzarino e Caltagirone. Quindi. conti nua, i siculi si riducevano prima ai margini delle pianure sopra luoghi naturalmente fortificati e quindi col tempo furono costretti a trasmigrare. (43 )L’Hol m e rronea mente i nte rpreta nd o il pa sso di Di od oro ha rite nuto c he Nea t ra sportata i n pia nura fosse la città di Palice e qui ndi ha c redut o che doveva cercarsi nel sito della città di Militello - trad. Latino IV 162. INDICE P r e se nt a z i on e Prefazione - Avola oppidum . . Pag. . P a g. quae olim Hybla vel Abola Cap. I - Cap. Il Cap. III Cap. IV - Avola Antica e la preistorica I lybla oppidum Hyhla antiqua nei suoi mutamenti fonetici e nelle antiche scritture I Iyhla Major ed Hyhla Geleatis seniores et juniores 7 15 » 21 » 31 » 43 Ibla Major ed Ibla Geleate 51 Origini e civiltà Cap. V - L'altipiano iblense . Cap. VI - Il Timo e l' Erineo . Appendice - Storia e Geografia delle Ib l e - 61 » 65 » 75 Finito di stampare nel luglio 1980 dalle "Arti Grafiche Motta - Avola" per conto della Pro Loco di Avola Ristampa anastatica per conto della Pro I .oco di Avola p r e s s o G EP A S A v o l a novembre 2013