“Sentiero
È bello camminare lungo il torrente:
non si sentono i passi, non sembra
di andar via…”
(ANTONIA POZZI)
F
orse Antonia Pozzi non ipotizzò mai che la sua straordinaria voce lirica potesse fornire un
supporto culturale ed emotivo ad un progetto incentrato su un’attività ed un ambiente, il
camminare e la montagna, che le furono molto cari. Socia del Club Alpino Italiano fin da
ragazzina, percepì acutamente il fascino di questo luogo ambivalente, “altrove” più o meno
agognato o temuto in un perpetuo gioco d’echi fra realtà ed immaginario. Se si integrano tali
considerazioni con la constatazione che il “viaggio” reale o metaforico, dettato dalla voglia di
scoperta, dalla curiosità di conoscere quanto abitualmente non viene rilevato o mostrato,
arricchito, specie per i bambini ed i ragazzi, dalla componente ludica, comporta una notevole
crescita intellettuale ed interiore, si può agevolmente delineare il quadro di riferimento che ha
indotto alcuni docenti dei Licei Sociopsicopedagogico e Linguistico “A. Manzoni” di Varese ad
attuare nelle proprie classi (IBL, IIBL, IIBS e IICS) il progetto “Sentieri”. Le varie attività realizzate
(lettura ed analisi di testi di vario genere inerenti ai temi affrontati, uscite sul territorio, scrittura
creativa, illustrazione e fotografia, stesura di schede a carattere storico-geografico, artistico e
scientifico relative agli elementi pregnanti individuati, traduzione di alcuni testi elaborati in inglese
ed in francese), prosecuzione ed ampliamento di quelle effettuate nel precedente anno scolastico
in relazione ai laghi del Varesotto, oltre a rivestire un’indubbia valenza formativa, hanno permesso
ai ragazzi di contribuire in modo gratificante alla nascita del presente volume, con l’intento di far
scoprire o “riscoprire” in modo alternativo e coinvolgente quattro significativi percorsi di media
montagna del circondario di Varese. L’obiettivo di fondo, partendo dall’esperienza e dal dato
emozionale, è stato quello di guidare progressivamente gli alunni alla riflessione sul passato e sul
presente per progettare il futuro, superando da un lato lo spaesamento determinato dalla
modernità e dall’altro la tentazione nostalgica della “museificazione”. Si è cercato, dunque,
d’individuare quella “terza via” d’approccio all’ambiente rurale e montano dalla quale è ormai
opinione condivisa che non si possa prescindere nell’ottica di uno sviluppo e di un turismo
sostenibili, via ancora più interessante da tracciare in relazione alla media montagna, che
attualmente è messa in scacco dall’alta quota e dai suoi blasonati centri di soggiorno. L’acquisizione
progressiva di una “cultura dell’interpretazione, dell’osservazione attiva e del rispetto dei luoghi
che frequentiamo”, secondo la felice e sintetica definizione di Alessandra Gregoris, operatrice naturalistica della sezione Cai di Vittorio Veneto, è quindi imprescindibile e perseguibile fin dalla più
tenera età, in quanto “l’Educazione all’ambiente è prima di tutto Educazione all’Uomo”. È, infatti,
“solo attraverso la presa di coscienza delle proprie motivazioni e dei propri comportamenti che
può nascere la disponibilità ad orientare le proprie azioni verso la responsabilità e la cura
dell’ambiente”. Non a caso punti di forza del progetto sono il coinvolgere vari ordini di scuola e, a
vario titolo, differenti realtà ed enti presenti nel territorio provinciale, nella convinzione che, come
emerso pure nel Seminario Nazionale Aimc di Castelveccana dell’agosto 2010, fortunate
interazioni di questo genere permettano di vincere la complessa sfida educativa del nostro
tempo, nonché apportino nuova linfa vitale ai soggetti sottoscriventi la rete progettuale. A questo
100
proposito un caloroso ringraziamento va a tutti coloro che hanno collaborato con i ragazzi ed in
particolare al presidente ed ai volontari della sezione Cai di Varese per i preziosi suggerimenti
operativi e per la felice riuscita delle uscite sul territorio.
Non essendo possibile in questa sede pubblicare i pur validi testi scritti dagli allievi nella loro totalità,
si rimanda al sito Internet del nostro Istituto, ove è presente tutto il materiale elaborato dagli alunni.
“L’uomo coltivi e custodisca il giardino del mondo”: l’antichissimo imperativo della “Genesi” deve
essere fatto proprio da tutti, quindi anche e soprattutto dal mondo della scuola e costantemente
rinnovato pure attraverso l’attenzione rivolta ai nostri simili, proprio come c’invita a fare un ragazzo
di IBL col suo bellissimo testo, che pubblichiamo qui di seguito.
MARINA DAVERIO
Referente del progetto “Sentieri”
Istituto Superiore Statale “A. Manzoni” di Varese
Inno alla Natura
G
razie Natura,
che con le tue calorose braccia ci accogli come figli.
Grazie Natura,
che sopporti in silenzio le angherie cui ti sottoponiamo.
Grazie Natura,
che ispiri i nostri cuori senza chiedere nulla in cambio.
Grazie Natura,
che sei l’unica che dà senza ricevere.
Pochi ti comprendono veramente,
pochi sanno rispettarti.
Quasi nessuno ti conosce,
quasi nessuno comprende la tua dolcezza.
Spiegami ora, o dolce Natura, com’è possibile non provare rispetto
per te e per chi ti è vicino,
uomini e donne, giovani e anziani,
che sanno leggere nel tuo cuore.
Perdonaci Natura,
perché col tempo abbiamo meritato la tua sfiducia.
Perdonaci Natura,
perché non sappiamo rispettarti.
Perdonaci Natura,
perché non capiamo la tua importanza.
Perdonaci Natura,
per non aver compreso l’abbraccio di una Madre.
STEFANO CALZAVARA
GIULIA MAZZITELLI. CLASSE IICS
101
“E io sarò tua guida”
I TINERARIO 17
Castello di Frascarolo
(Induno Olona)
Passo del Vescovo-Valganna
TEMPO
102
DI PERCORRENZA:
L’ITINERARIO
due ore e trenta minuti circa.
“Di pensier in pensier, di monte in monte...”
Cenni storici
n Il castello di Frascarolo, attualmente di
proprietà privata, si trova nel comune di
Induno Olona in posizione privilegiata e
strategica ai piedi del monte Monarco, all’incrocio della Valceresio con la Valganna,
lungo la direttrice che da Varese conduce
in Svizzera.
In origine fortezza, costruita probabilmente
fra il X e l’XI secolo (le prime notizie certe
risalgono alla battaglia del 1160 nella
quale i soldati dell’arcivescovo di Milano
sconfissero i Comaschi ed i Milanesi alleati
del Barbarossa), dopo varie vicende cadde
in mano svizzera e fu poi acquistata nel
1543 dalla famiglia Medici di Marignano.
A Gian Angelo Medici, futuro papa Pio IV,
ed a suo fratello Gian Giacomo, celebre
condottiero soprannominato il Medeghino,
si deve la trasformazione architettonica e
pittorica dell’edificio in villa padronale,
mentre la sorella di questi ultimi, Margherita Medici, avrebbe, secondo la tradizione,
dato alla luce proprio in questo luogo San
Carlo Borromeo. La costruzione fu ulteriormente rimaneggiata nel XVIII secolo ed
agli inizi del XX: dell’antico maniero rimane
solo il grande torrione medioevale.
Già in epoca romana un’antichissima
strada, costruita per il passaggio delle legioni, dei mercanti e dei viandanti, si snodava tra Induno e la Valganna attraverso il
passo del Vescovo. Esso è così denominato in quanto segnava il confine tra la
diocesi di Como ed il Ducato di Milano,
controllato da soldati che riscuotevano
pure il pedaggio per permettere il transito.
La cappelletta votiva, presso la quale fino
all’epoca della Seconda guerra mondiale
si trovava una statuetta di Giano Bifronte,
è probabilmente costruita sul sito di un ricovero per tali militari. Lungo la discesa in
Valganna è interessante osservare il “sasso
dei ladri”, poderoso masso dalla singolare
conformazione, che permetteva ai briganti
di appostarsi non visti in attesa di depredare i malcapitati di passaggio, approfittando anche del fatto che in salita le ruote
dei carri provenienti dalla Valganna incontravano un ostacolo nei ciottoli disseminati
sul tragitto. Si narra che San Carlo Borromeo, la sera del 15 dicembre 1577, di ritorno dalla Svizzera e proveniente dalla
Valganna, valicò il passo del Vescovo per
scendere a passare la notte nel castello di
Frascarolo, in cui aveva soggiornato specialmente da ragazzo.
Il percorso
n Giunti con mezzi propri o pubblici ad Induno Olona, si deve percorrere la carrozzabile in salita con bella vista fino al monte
Generoso, che si diparte dall’hotel Villa Castiglioni e che conduce in pochi minuti al
castello di Frascarolo (un piccolo spiazzo
per lasciare l’auto si trova anche nei pressi
del maniero). Oltrepassato quest’ultimo,
costeggiando sulla destra l’abitazione in cui
nacque il famosissimo ciclista Luigi Ganna,
sempre tenendo tale direzione, s’imbocca
il sentiero 3V e si prosegue senza deviare
al bivio per il monte Monarco. In circa
un’ora di agevole cammino si raggiunge il
passo del Vescovo (620 m). Si segnala la
presenza in tale luogo di un’area dotata di
panche e tavoli per un’eventuale sosta. Di
qui si scende in circa quaranta minuti in
Valganna, pervenendo nel fondovalle nei
pressi dell’agriturismo San Gemolo. Percorrendo il facile sentiero che corre parallelo
alla statale, si può raggiungere in breve
tempo la fonte di San Gemolo e, quindi,
Ganna per usufruire dei mezzi pubblici per
il rientro ad Induno.
IL PERCORSO
103
“Di pensier in pensier, di monte in monte...”
Il percorso, facente parte del cosiddetto
“sentiero del Giubileo”, si snoda in una
zona limitrofa al Parco del Campo dei Fiori
e nel territorio di quest’ultimo, in un’area
estremamente interessante non solo
sotto il profilo storico-artistico, come sopra
rilevato, ma anche naturalistico e geologico. I fitti boschi di castagni e faggi (pianta
quest’ultima che si spinge in Valganna fino
a quote relativamente basse), fondamentali nel passato per il sostentamento delle
popolazioni, presentano un ricco sottobosco e sono popolati dalla tipica avifauna
prealpina (volpi, caprioli, cinghiali, ricci,
tassi, passeri, merli, cinciallegre...). Singolare è la presenza di elementi tipici della
vegetazione atlantica nel primissimo tratto
Il castello di Frascarolo
104
IL PERCORSO
del percorso sopra Induno. Rilevante è
poi la compresenza di formazioni di origine vulcanica e calcarea: si possono osservare in particolare sul lato destro della
Valganna affioramenti calcarei sui monti
Monarco, Minisfreddo e Poncione, sul lato
sinistro i porfidi della Martica. Nel fondovalle in cui scorre il Margorabbia, inoltre,
vi sono terreni di natura alluvionale e si
può ben individuare la caratteristica forma
ad U.
Periodo dell’anno consigliato per l’escursione: autunno, anche per le splendide tonalità assunte dal bosco, o primavera. Il
percorso è comunque effettuabile e suggestivo in tutte le stagioni.
CLASSE IBL
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
Gli amici scomparsi
C’
era una volta Pino, un maestoso pino che svettava davanti ad una
scuola di Varese. Doveva, però, fare i conti con l’inquinamento del centro abitato, perciò un giorno, precisamente una sera d’autunno, prese
una decisione: “Sono stufo di rimanere qui fermo a respirare lo smog della città!
Voglio scappare verso un bosco lontano!”
Poiché non intendeva andarci da solo, pensò di convincere gli altri alberi del
circondario a seguirlo.
Chiese prima ad un ippocastano, un vecchio saggio, che trovò interessante l’idea
di Pino, poiché anche lui era stanco della vita cittadina.
Pino, che essendo ancora piuttosto giovane ed inesperto credeva di non essere
abbastanza persuasivo, gli domandò: “Riusciremo a convincere tutti i nostri vicini a seguirci?”
Il vecchio saggio rispose: “Sicuramente, perché so che molti altri vorrebbero crescere i propri figli in un ambiente più sano! Non ti preoccupare, saprò trovare
io le parole giuste!”
Come l’ippocastano aveva previsto, riuscirono a coinvolgere la maggior parte
delle piante.
Pino gli chiese ancora: “Quando andremo via?”
“Stanotte, è ovvio, per non farci notare!” gli comunicò il vecchio saggio.
Gli alberi si prepararono in fretta e partirono alla ricerca della nuova dimora...
La mattina seguente i ragazzi della scuola, che di solito non si curavano della
presenza degli alberi perché si guardavano distrattamente intorno, non trovandoseli più davanti, capirono che mancava qualcosa. Quelli della IBL erano i più
affezionati al verde, specialmente Stefano, vero amante della natura, che era informato su tutte le specie di piante, animali e funghi. Amava fare lunghe e silenziose passeggiate in particolare nei boschi per ascoltarne le voci ed i rumori;
in questo era incoraggiato da Mary, un’insegnante d’italiano del liceo, vicepresidente della sezione del Club Alpino Italiano di Varese, che spesso portava i suoi
alunni a fare gite in montagna con l’aiuto dei volontari dell’associazione.
Stefano, preoccupato, propose a cinque suoi amici, compagni di tante avventure,
di ricercare gli alberi scomparsi.
Davide, Ernesto, Edoardo, Raffaele ed Andrea, guidati da Stefano, si cimentarono
nell’impresa. Dopo alcuni giorni il giallo degli alberi scomparsi era in prima pagina su tutti i giornali della provincia, ma nessuno, nonostante il clamore inizialmente suscitato dalla notizia, si interessò veramente alla causa, poiché ci si
dimentica facilmente di quanto la natura sia importante per noi.
CON PAROLE NOSTRE
105
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
I sei giovani decisero allora di continuare le indagini da soli e, un bel giorno,
s’inoltrarono nel bosco di Induno, poco lontano dal castello di Frascarolo, l’unica
zona del circondario di Varese che non avevano ancora esplorato.
Stefano conosceva come il palmo della sua mano molti boschi, ma non aveva
mai attraversato quest’ultimo. Dopo qualche ora di cammino i ragazzi si accorsero di avere perso l’orientamento: la loro bussola si era rotta ed i cellulari non
prendevano.
Davide affermò sconsolato: “Ci siamo persi!”
Ernesto constatò: “I cellulari non prendono.”
Andrea agitatissimo disse: “Ci sono alberi dappertutto, come faremo a trovare la
via d’uscita?”
Stefano, che era un tipo calmo ed ottimista, rispose tranquillamente: “Non preoccupatevi, ragazzi! Seguiamo il sentiero in questa direzione, qualcosa mi dice
che potrebbe essere quella giusta!”
Raffaele ed Edoardo, che finora erano stati zitti, cominciarono ad avvertire alcuni
strani rumori: sembrava che qualcuno stesse ridendo, ma lì intorno, a parte loro,
non c’era anima viva!
Improvvisamente una voce profonda esclamò divertita: “Ehi, ragazzi, ve la passate male? Solo Stefano è un vero uomo!”
Andrea terrorizzato urlò: “Chi ha parlato?!”
“Non abbiate paura, sono un amico e mi chiamo Artemis.”
“Ma dove sei?” chiesero i ragazzi all’unisono.
“Sono dentro il castagno alle vostre spalle. Volete sapere il perché?”
“Sì, siamo curiosi” risposero i giovani, che intanto pensavano se stavano sognando o erano svegli.
“Allora mettetevi comodi, è una storia lunga!”
“Prima che cominci – lo interruppe Stefano, che era quello più in sé di tutti, –
mi dici come fai a sapere il mio nome?!”
“Io so tutto, ma non preoccupatevi, non voglio fare del male a nessuno – spiegò
Artemis. – Allora cominciamo...
Tanto tempo fa esisteva un popolo che traeva benefici dai doni del bosco e viveva
in armonia con la natura. Veniva chiamato “tribù del castagno”. Io ero uno dei
guerrieri della comunità ed avevo più o meno la vostra età. In quel periodo c’era
un popolo nostro nemico, che più volte aveva mandato uno dei loro capi per
cercare di convincerci a lasciarci sottomettere senza combattere. Non so come
si chiamasse quella gente, ma tutti i loro soldati avevano un elmo con una specie
di cresta sopra.
Un giorno, mentre eravamo proprio in questa zona a raccogliere castagne, arrivarono i soldati nemici e ci attaccarono. Noi cominciammo a combattere corag106
CON PAROLE NOSTRE
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
Uno scorcio del bosco sopra Induno
CON PAROLE NOSTRE
107
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
giosamente, ma avevamo solo delle frecce e delle lance, mentre loro possedevano
anche delle spade.
Improvvisamente mi accorsi che uno dei loro guerrieri aveva disarmato un mio
caro amico, allora corsi verso di lui e lo difesi. Ad un certo punto mi colpirono
alle spalle. Dapprima sentii solo dolore, poi le forze mi abbandonarono...”
“E poi?!” chiese Stefano col cuore in gola.
“La mia anima ha trovato pace in questo bosco, dove gli alberi mi ospitano volentieri ormai da secoli! Qui si sta bene e ho appena fatto conoscenza con alcuni
nuovi vicini, ai quali, penso, siate molto interessati...”
In quel mentre si sentirono altri rumori: questa volta erano dei passi. Con grande
stupore i ragazzi videro spuntare da dietro i cespugli Mary ed i volontari del Club
Alpino Italiano, veri e propri punti di riferimento per Stefano, che sognava di diventare un giorno come loro. Tutti erano sollevati per il fatto di averli rintracciati.
I giovani cercarono di fare gli spavaldi e Stefano disse seccato: “Ma noi non c’eravamo persi...”
Mary osservò: “Sì, certo, siete da ore al centro di un bosco e non vi siete persi!
Per fortuna che vi ho sentiti confabulare a scuola e ho intuito dove potevate essere diretti... Eravamo tutti in pena per voi, compresi i vostri genitori. Non ho
portato in montagna lo scorso mese la vostra classe perché diventaste incoscienti!”
Ernesto obiettò: “Stavamo solo facendo un pic-nic.”
IL FAGGIO
Il Faggio selvatico o Faggio europeo (Fagus sylvatica L.) è una specie
arborea decidua del genere Fagus e della famiglia delle Fagacee. Il Fagus sylvatica L. è una
pianta che raggiunge facilmente i 25-30
metri di altezza. Presenta fogliame
denso e foglie ovali e glabre, più chiare
nella pagina inferiore. Le foglie sono disposte sul ramo in modo alterno, lucide
su entrambe le facce, con margine ondulato, ciliato da giovani. In autunno assumono una caratteristica colorazione
arancio o rosso-bruna. Il faggio ha una
108
CON PAROLE NOSTRE
chioma massiccia, molto ramificata e
con fitto fogliame, facilmente riconoscibile a distanza, perché molto arrotondata e larga, con rami della porzione
apicale eretti verticali. I frutti, chiamati
faggiole, sono grossi acheni (frutti secchi) commestibili, trigoni, rossicci, contenuti in ricci deiscenti per 4 valve, dai
quali si ricavava olio (che si dice secondo soltanto a quello d’oliva).
Consigli e curiosità
Il faggio viene coltivato in boschi cedui,
che si tagliano periodicamente, per la
produzione di legna da ardere; tuttavia
negli ultimi anni si è avuta una conver-
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
Raffaele continuò: “Io ho finito i miei panini.”
Stefano aggiunse: “E poi questo posto è speciale: c’è un albero parlante!”
Il presidente del Cai ribattè: “Eh sì, ho incontrato anch’io poco fa Cappuccetto
Rosso che andava dalla nonna... Ma non fate i gradassi, siete pallidi come dei
fantasmi! Seguitemi, vi riporterò a scuola!”
I ragazzi indispettiti risposero in coro: “No! Noi dobbiamo trovare gli alberi
scomparsi!”
Il presidente, però, era inflessibile: “State tutti zitti, avete perso l’orientamento e
non avete più acqua e cibo.”
Stefano contrariato esclamò: “Come? Un vero esploratore si nutre di ciò che la
natura gli offre!”
Di scatto s’allontanò, gridando: “Troverò quegli alberi prima di voi!”
Le lacrime cominciarono a rigargli il volto e gli offuscarono gli occhi a tal punto
che non s’accorse della presenza di una grossa radice sporgente dal terreno in
cui inciampò.
Un pino gemette: “Ahi! Ahi! Che diavolo fai, così mi fai male!”
Tutti gli altri, che l’avevano rincorso per calmarlo, si immobilizzarono stupiti.
Anche gli adulti si lanciarono sguardi allo stesso tempo spaventati ed increduli.
Eccitati, osservarono meglio l’imponente albero; un lampo attraversò le loro
menti: era proprio Pino!
sione da ceduo a fustaia per soddisfare
l’interesse commerciale. Nelle coltivazioni a fustaia si effettuano tagli ogni 90100 anni, dai quali si ricavano 400-500
metri cubi di legname a taglio. Come legname viene impiegato nella costruzione di mobili, giocattoli, utensili da cucina ed è adatto alla tornitura. Grazie alla
sua compattezza è inoltre apprezzato
nella costruzione di sedie, mazzuoli, pavimenti e ripiani di banchi da lavoro.
Tra le varietà ornamentali più note ricordiamo il Fagus sylvatica var. purpurea con
foglie rosso-vinoso ed il Fagus sylvatica
var. pendula dal portamento maestoso,
dai lunghi rami ricadenti, con foglie dai ri-
flessi iridescenti, rosso-brillante o macchiettate di bianco e marginate di rosso.
Proprietà medicinali
Il decotto di giovani radici raccolte in
primavera o in autunno è anticonvulsivo.
Il decotto di corteccia raccolta preferibilmente in primavera, spezzettata ed
essiccata ha proprietà febbrifughe ed
astringenti.
Per distillazione del legno si ottiene
il creosoto, liquido oleoso con odore
acuto di fumo e sapore fortemente aromatico, che viene utilizzato come disinfettante ed espettorante.
•
•
•
CLASSE IIBS
CON PAROLE NOSTRE
109
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
Si accertarono delle sue condizioni e scoprirono il motivo della sua fuga. Capirono allora che era giusto lasciare vivere in pace lui e gli altri alberi scomparsi
dove avevano scelto di stare.
“Bella sorpresa, eh? Se non mi aveste interrotto, vi avrei detto tutto!” disse una
voce profonda, ai ragazzi ormai familiare.
“Tranquilli, è Artemis che vuole dire la sua!” spiegò Stefano, che nel frattempo
si era tranquillizzato ed era doppiamente felice perché il guerriero, parlando, dimostrava che prima non aveva detto una bugia.
“Chi è Artemis?” chiese Mary che, incline a viaggiare con la fantasia, dopo l’iniziale stupore si era prontamente adattata a quella singolare situazione.
“Prof, scendendo verso Induno glielo spiegheremo, anzi lo spiegheremo a tutti
quelli che vorranno saperlo!” dissero felici i ragazzi.
“Arrivederci, amici, e a presto!” aggiunsero prima d’avviarsi.
Da quel giorno, avendo imparato il percorso per arrivare fin lì, andarono spesso
da soli ed anche con altre persone a trovare Pino ed Artemis, facendosi amici di
tutti gli alberi del bosco ed abbracciando pienamente la filosofia di Stefano.
Mary ed il presidente del Cai accompagnarono in quel luogo i ragazzi di varie
classi e sembra proprio che, socchiudendo gli occhi e stando in silenzio, ciascuno
abbia sentito almeno un messaggio rivolto a sé.
Il bosco parlante d’Induno diventò famoso e venne tutelato dalle autorità competenti.
Stefano, i suoi amici e, seguendo il loro esempio, molti altri giovani s’impegnarono pure per rendere migliore la vita agli alberi rimasti in città (e non solo agli
alberi…). Una volta adulti, diventarono guide esperte del Club Alpino Italiano
e per loro nessun bosco ebbe più segreti.
ANNA BIANCA GIUBILEO, ANNA MARIA LUSENTI, ANDREA MOLINARI, EDOARDO MONACELLI,
DAVIDE TENTI, RAFFAELE VERDE, GIULIO ERNESTO ZAGAMI (CLASSE IBL)
110
CON PAROLE NOSTRE
“E io sarò tua guida”
I TINERARIO 18
Fonte e Badia di San Gemolo
(Valganna)-Valico Valicci
Brinzio
TEMPO
DI PERCORRENZA:
tre ore circa.
L’ITINERARIO
111
“Di pensier in pensier, di monte in monte...”
Cenni storici
n La Badia di San Gemolo in Ganna rappresenta sotto il profilo storico e religioso la
tappa più importante di questo itinerario, in
quanto costituisce uno dei più significativi
insediamenti monastici nella regione prealpina. Il complesso è situato alle pendici del
monte Mondonico, all’incrocio tra la Valganna e la Valle del Pralugano, nei pressi del
lago di Ganna e si trova sul tracciato della
via medievale Regina del Ceneri, strada
molto importante perché collegava Varese
con la Svizzera tramite la Val Marchirolo.
Narra la leggenda che verso l’anno Mille
un vescovo era in viaggio dal Nord verso
Roma e, giunta la notte, decise di fermarsi
a riposare in alcuni campi della Val Marchirolo. Essendo venuto a conoscenza
della presenza di ladri in zona, volle rinforzare la protezione dell’accampamento e
diede questo compito a suo nipote Gemolo, ma durante la notte i furfanti riuscirono a rubare i beni del vescovo. Gemolo
si gettò al loro inseguimento insieme al
suo compagno Imerio e, quando li raggiunse, li pregò in nome di Dio di restituire gli averi al loro possessore. Tuttavia,
in un momento di rabbia, uno dei ladri lo
decapitò con la spada e proprio nel luogo
dove cadde la testa sgorgò la fonte che
conserva ancora oggi i sassi arrossati dal
sangue, come vuole la leggenda. Imerio
in seguito fu ritrovato morto davanti alla
chiesa di San Michele a Varese. Gemolo,
invece, riuscì a rialzarsi e a cavalcare fino
all’accampamento, portando con sé la
propria testa; il cavallo si arrestò poi alle
pendici del Mondonico e qui il vescovo
decise di seppellire il nipote, interpretando l’accaduto come un segno divino.
Sul luogo venne eretta una cappella in
onore di San Michele, successivamente ri112
IL PERCORSO
dedicata a San Gemolo. Nel corso degli
anni questa cappella venne inglobata
nella nuova chiesa romanica, assumendo
la funzione di monastero benedettino e
nel XII secolo passò all’ordine cluniacense,
diventando abbazia.
Attualmente la Badia è composta da una
serie di edifici: la chiesa in stile lombardo
consacrata nel 1160 dal vescovo di Milano, il campanile romanico in porfido, il
chiostro a forma pentagonale su due
piani, la foresteria e le abitazioni claustrali.
All’interno della chiesa meritano attenzione, in particolare, gli affreschi sacri ben
conservati e sotto l’altare le reliquie del
santo. Tali resti vennero ritrovati agli inizi
del Seicento nel corso di alcuni lavori di
ristrutturazione. Il cardinale Federigo Borromeo cominciò quindi le ricerche per
scoprire a chi appartenessero, ma per trecento anni nessuno si occupò più della
questione. Nel 1937 le reliquie furono trasportate in Curia a Milano per ulteriori indagini; il cardinal Schuster dispose il rientro delle spoglie del santo a Ganna con
una cerimonia solenne nel 1941.
Nelle stanze al secondo piano del chiostro
si trova il museo della Badia, fondato nel
1962. Nella prima sala sono conservati ritratti del pittore Gariboldi, pizzi dell’Ottocento-Novecento ed una raccolta di libri e
messali. Fra le altre opere esposte troviamo l’interessante scultura del Garibaldino ferito ed un altare votivo ottocentesco. Nella seconda sala sono collocati,
invece, una serie di quadri del Novecento,
ceramiche ed alcuni reperti archeologici.
Oggi la Badia ospita eventi culturali come
spettacoli poetici, musicali e teatrali, concerti, mostre di ceramiche locali ed esibizioni pratiche di procedimenti di lavorazione e cottura della ceramica.
“Di pensier in pensier, di monte in monte...”
Il lago di Ganna in versione autunnale
La piccola cappella dedicata a San Gemolo in stile romanico lombardo, che si
trova a sud della Badia nei pressi della
fonte sopracitata, venne proprio costruita
con lo scopo di collegare idealmente quest’ultima col complesso claustrale.
Merita una citazione anche il valico Valicci,
alpeggio panoramico che ben testimonia
l’antica civiltà contadina. Il piccolo, ma antico paese di Brinzio, infine, che si trova in
una conca fra il Campo dei Fiori ed il
monte Martica, presenta un suggestivo
centro storico, con vecchie corti e vie pavimentate in pietra rossa locale. Vi si trovano la sede degli uffici del Parco Regionale Campo dei Fiori, costituito nel 1984,
e l’innovativo Museo della Cultura Rurale
Prealpina, inaugurato nel 2008 (si veda il
capitolo “Riflessioni e proposte per una
terza via”).
Il percorso
n Si giunge con mezzi propri o pubblici
sulla strada statale n. 233 prima dell’abitato di Ganna in prossimità dell’agriturismo
Baita San Gemolo. È possibile lasciare
l’auto in una piccola area di parcheggio.
Si cammina poi lungo il Sentiero del Giubileo che conduce alla fonte di San Gemolo, nelle cui vicinanze si trova anche
l’omonima cappella.
Attraversato il torrente Margorabbia su un
ponticello di legno, s’incontra un bivio; imboccato il sentiero sulla destra, si possono
osservare la torba ed i massi erratici della
zona, principalmente in porfido, una roccia
rossa molto dura di origine vulcanica usata
anche per lastricare le strade.
Inoltre, nell’ambito di un percorso didattico, da una vicina postazione di avvistamento per gli uccelli si possono vedere
IL PERCORSO
113
“Di pensier in pensier, di monte in monte...”
due monti di origine vulcanica, il Mondonico a nord e la Martica a est, nonché il
lago di Ganna, piccolo bacino di origine
glaciale che, con la torbiera del Pralugano
ad esso collegata, costituisce una Riserva
Naturale di particolare importanza.
Proseguendo nel bosco, si arriva infine ad
una strada asfaltata in prossimità della Badia di Ganna (30 min.).
Dopo la sosta alla Badia si ritorna indietro
sulla medesima strada sterrata e, oltrepassato il ponte sul rio Pralugano, s’imbocca
il sentiero n. 15 (4 km circa) sulla destra,
adiacente al torrente. Si comincia a questo
punto una salita abbastanza impegnativa,
dalla quale si può però godere un meraviglioso panorama sui chiari di torba (specchi d’acqua tra la vegetazione), il Mondonico ed il complesso della Badia.
Si raggiunge quindi una suggestiva area
114
IL PERCORSO
pic-nic in località Valicci, dotata di tavoli e
panchine, in cui si può sostare (un’ora).
Si riprende poi il sentiero segnato e, seguendo la discesa acciottolata, si giunge
nel paesino di Brinzio, in località Paurett,
delimitata dal rio Valmolina (20 min.). A
Brinzio si può usufruire dei mezzi pubblici
per tornare a Varese.
Il percorso si snoda attraverso boschi di
frassini, ontani, querce, tigli, aceri, che più
in alto lasciano il posto a castagni e faggi;
ricchissime ed articolate sono in particolare le associazioni vegetali delle zone di
torbiera. Altrettanto varia e rilevante è la
fauna: sono presenti numerose specie di
anfibi e pesci e sono state censite più di
sessanta specie di uccelli.
Periodi dell’anno consigliati per l’escursione: autunno e primavera.
CLASSE IIBL
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
Il sentiero dai sassolini rossi
E
ra una tiepida e tranquilla mattina autunnale quando un pullman rosso
fiamma si fermò in Valganna, proprio al limitare di un bosco, nelle vicinanze della fonte di San Gemolo. Ne scese un bel gruppo di ragazzi, armati di scarponcini e zaini, pronti per la loro gita che aveva come meta la Badia
di Ganna e, attraverso il valico Valicci, il paese di Brinzio. Molti di loro in verità
non avevano mai visto un’abbazia e, detto fra noi, nemmeno avevano tanta voglia
di mettersi in cammino. Fra questi vi era Camille, ragazza sveglia, ma un po’ pigra, con un visino allegro e sorridente e due belle trecce castane che le sfioravano
le spalle. Il suo sguardo era fisso su quella stradina fangosa che si insinuava dolce
fra gli alberi ed era tappezzata di foglie cadute; le sue gambe, per non dire tutto
il suo corpo, sembravano decisamente ribellarsi all’idea di percorrerla. Scosse il
capo, come per scacciare via quei pensieri, dicendo a se stessa che non poteva
certo stare lì ferma tutto il tempo... Si guardò intorno e si accorse con grande
stupore che non c’era più nessuno! La sua mente iniziò a ragionare velocemente,
mentre il suo respiro si faceva più corto: “Ma dove sono gli altri? – si chiedeva
– Mi stanno facendo uno scherzo, forse? Dove sono? Quanti alberi! Che faccio
adesso? Si sono dimenticati di me? È ovvio! Mi hanno lasciata qui! Non si sono
accorti della mia assenza! Sono sola... abbandonata!” La testa di Camille era confusa, vedeva tutto girare e le gambe le cedevano. Si appoggiò ad un grande tronco
lì accanto per essere sorretta, ma si sentiva ulteriormente mancare. Mentre la
sua mano scivolava lenta sempre più giù, si accorse ad un tratto di come la corteccia fosse insolitamente liscia, addirittura levigata. Incuriosita, si riscosse e si
mise ad osservarla più attentamente. Notò allora una piccola scritta incisa in un
angolino, logorata dal tempo. Si avvicinò ancora di più e strizzò gli occhi per
vedere meglio. Lesse: “Ho imparato più dai faggi e dai castagni che dalle opere
dei sapienti.”
Camille corrugò la fronte, cercando di capire il significato di quella frase; diede
un’altra occhiata all’albero e notò una piccola rientranza alla sua base, scavata
da qualcosa o, molto probabilmente, da qualcuno. Si accucciò ed infilò la mano
in quello che ora capiva essere un buco molto grande ed anche profondo.
Quando il suo braccio fu dentro fino al gomito, la sua mano si scontrò con qualcosa di duro, di metallico. Lo stupore della ragazza cresceva mentre si accorgeva
di sfiorare una maniglia. Tirò con forza fino ad estrarla: essa era attaccata saldamente ad una cassettina di ferro! Si sedette a gambe incrociate, tesa ed emozionata, pronta ad aprire il misterioso oggetto. Alzò lentamente e non senza diffiCON PAROLE NOSTRE
115
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
coltà il coperchio, su cui
erano incise bellissime ed elaborate decorazioni, e vide sul
fondo rosso una pergamena
giallognola, sigillata e perfettamente conservata. Si chiese
se fosse davvero il caso di
aprirla, ma in fondo era inutile porsi tale domanda perché non sarebbe mai riuscita
a trattenersi. La prese allora
tra le mani tremanti e la srotolò. Iniziò a leggere.
Se ora tu, pellegrino, stai leggendo questa mia lettera, sicuramente non sei uomo che difetta d’astuzia e d’attenzione,
perché hai trovato il suo nascondiglio.
Scrivo queste mie memorie
nella speranza che possano inScorcio del chiostro della Badia
segnare qualcosa a te che le stai
leggendo e a chiunque altro ne verrà a conoscenza. Il mio nome è Bernard e sono un
frate della famosa Badia di Ganna; vivo nella tranquillità di questo luogo e nella serenità dell’amore del Padre, ma non è sempre stato così.
Arrivai a Ganna tanti anni fa, giovane e inesperto del mondo, e venni subito a conoscenza di un interessante mistero circa l’abbazia. Si diceva, infatti, che i frati custodivano molto gelosamente tra le mura sicure un ricco tesoro, dono di uno sconosciuto
cavaliere, giunto molti anni prima al convento a chiedere ospitalità. Ero povero, senza
un lavoro e purtroppo senza una fede, e, non mi vergogno a dirlo, non mi facevo molti
scrupoli. Decisi così di tentare di rubare questo tesoro, facendomi raccontare tutto il
possibile dai contadini della zona. Arrivai quindi alle porte della Badia travestito da
fraticello, stanco e impolverato, chiedendo un letto e un pezzo di pane. Fui accolto immediatamente e mi fu assegnata una cella. Dormii tutta la notte. Il giorno seguente,
passeggiando nel chiostro, gettavo l’occhio qua e là e pensavo a come agire. Mentre riflettevo tra me e me, mi accorsi di un’elegante scritta dipinta sul muro di fronte; erano
versi di Dante, che così dicevano:
116
CON PAROLE NOSTRE
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
“Qui son li frati miei che dentro ai chiostri
fermar li piedi e tennero il cor saldo.
... uomini fuoro, accesi di quel caldo
che fa nascere i fiori e’ frutti santi.”
Lessi e rilessi quelle poche righe e, mentre mi allontanavo per tornare alla mia cella,
rimuginavo su di esse, cercando di dar loro un significato, ma ancora non ne ero in
grado.
Intanto passavano i giorni e, mentre quelle parole insistentemente si ripresentavano
alla mia mente, progettavo come sottrarre il tesoro. Tramite frequenti visite alla biblioteca e piccole indiscrezioni di alcuni frati mi feci un’idea del luogo in cui esso era
custodito e del modo per arrivarci. Giunse il momento di agire. Era notte, faceva
freddo e i miei dubbi e le mie insicurezze aumentavano, stringendo in una morsa
spietata il mio cuore, ma ormai era tardi per tornare indietro. Mi feci coraggio e
uscii silenzioso dalla cella. Non fu semplice individuare la stanza in questione e molte
volte mi sembrò di essere osservato, seguito, scoperto... Alla fine trovai il tesoro: era
lì, silenzioso e stupendo, dentro il suo cofanetto, e sembrava quasi attendermi. Lo
presi tra le mani e corsi, corsi senza voltarmi indietro: fu una corsa folle, nel silenzio
surreale della notte nella Badia. Indugiai un momento dopo aver oltrepassato il
grande portone di legno: avrei potuto valicare la vicina montagna per poi scendere
a Brinzio o allontanarmi nel modo più veloce possibile nel fondovalle, per poi attendere, nascosto in un luogo sicuro, il momento propizio per raggiungere Induno attraverso un altro valico. Scelsi questa seconda opzione, in quanto, se mai qualcuno
mi avesse subito scoperto e inseguito, sarebbe stato per me difficoltoso inerpicarmi
rapidamente lungo una ripida e sassosa salita. Ricominciai a correre disperato giù
per la stradina fangosa in mezzo al bosco, senza prendere respiro. Il fiume seguiva
pacifico il suo corso, incurante di quello che avevo appena fatto. Ad un certo punto,
sfinito e con le lacrime agli occhi, mi buttai a terra: avevo ancora addosso il saio, quindi
lo tolsi bruscamente e lo gettai via. Cadde lì, proprio lì, forse per caso, forse per destino
o forse per qualcosa di molto più grande e potente. Fatto sta che cadde lì! Me l’aveva
raccontata mia nonna quella storia, di come San Gemolo avesse perso la testa e questa
fosse caduta lì, proprio dove mi trovavo, rendendo rossi col suo sangue i sassolini di quel
sentiero. Ripensai a tante cose in quel momento: alla vicenda di Gemolo, alla serenità
che avevo sperimentato nella Badia, alla bontà dei frati, a quei versi che prepotentemente
mi avevano riempito la mente nei giorni passati, al peso che sentivo enorme e gravoso
sul mio cuore. Non resistetti. Piansi, piansi molto a lungo, mi sfogai. Non fu, però, un
pianto disperato, ma un pianto consapevole e liberatorio. Alla fine alzai lo sguardo, mi
asciugai il viso, ancora rigato dalle lacrime, raccolsi il saio e il cofanetto ancora chiuso
e mi incamminai. Ora non provavo più angoscia e mi sembrava quasi che gli alberi che
mi circondavano, dei quali solo ora coglievo la bellezza, mi proteggessero e mi incoraggiassero. Era l’alba quando, pentito, tornai a bussare alla Badia. I frati mi accolsero
CON PAROLE NOSTRE
117
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
ancora e mi dissero che erano certi che sarei tornato. Riconsegnai il tesoro e rimasi in
penitenza nella mia cella, grato della pace conseguita. Solo a questo punto compresi il
significato di quei versi. Capii che ero “pronto”. Divenni un frate anch’io e non dubitai
mai della mia scelta. Con l’amore e con la fede si possono far nascere fiori e frutti santi.
Quella notte nel bosco, in cui tutto il mio mondo era crollato, i faggi e i castagni maestosi
mi avevano insegnato molto, più di quanto io avessi mai imparato altrove. Con questo
termino la mia lettera, augurandomi di averti trasmesso, o pellegrino, un messaggio di
speranza e di fede. E non temere di non essere pronto: basta aprire il cuore ed essere disponibili ad accogliere l’Amore.
Frate Bernard
Camille arrotolò lentamente la pergamena, in silenzio. Era incredula, emozionata, commossa. Qualche lacrima le scese sul viso, ma non di tristezza. Guardava
il fiume scorrere lento e brillare sotto i raggi del pallido sole d’autunno. Ora era
IL CASTAGNO
Il castagno europeo (Castanea sativa), in Italia
più comunemente chiamato castagno, è un albero a foglie caduche appartenente alla famiglia
delle Fagacee. La specie
è l’unica del genere Castanea presente
in Europa. Il castagno è una delle più importanti essenze forestali dell’Europa
meridionale, in quanto ha riscosso, fin
dall’antichità, l’interesse dell’uomo per
i suoi molteplici utilizzi. Oltre all’interesse intrinseco sotto l’aspetto ecologico, questa specie è stata largamente
coltivata, fino ad estenderne l’areale, per
la produzione del legname e del frutto.
Quest’ultimo, in passato, ha rappresentato un’importante risorsa alimentare per
le popolazioni rurali degli ambienti forestali montani e collinari, in quanto le castagne erano utilizzate soprattutto per la
produzione di farina. L’importanza economica del castagno ha attualmente su118
CON PAROLE NOSTRE
bito un drastico ridimensionamento: la
coltura da frutto è oggi limitata alle varietà di particolare pregio ed anche la
produzione del legname da opera si è
marcatamente ridotta. Del tutto marginale, infine, è l’utilizzo delle castagne
per la produzione della farina, che ha
un impiego secondario nell’industria
dolciaria.
Consigli e curiosità
L’origine del castagno è fatta risalire ad
oltre 60 milioni d’anni fa, vale a dire all’Era Cenozoica.
Il genere Castanea nel Miocene era largamente diffuso in Europa ed era presente anche in Scandinavia e Groenlandia, come testimoniano i resti fossili di
polline, foglie e frutti.
Nell’ultima epoca glaciale il castagno
subì una notevole regressione. Il successivo miglioramento del clima portò poi
ad una sua nuova espansione. Studi di
paleobotanica hanno dimostrato che in
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
tranquilla e felice. Ad un tratto sentì alcune voci chiamarla forte; erano i suoi
compagni e gli insegnanti, che, preoccupati, l’avevano cercata da tutte le parti.
D’impulso nascose la pergamena nello zaino: avrebbe deciso poi che cosa farne,
ora voleva solo godere di quella pace che dolcemente le scaldava il cuore. Le
chiesero se stesse bene, che cosa avesse fatto tutto quel tempo e le fecero mille
altre domande che Camille quasi nemmeno sentì. Annuì sorridendo e si avviò
lungo il sentiero dai sassolini rossi, lo stesso sentiero percorso da San Gemolo,
lo stesso sentiero percorso da frate Bernard.
MONICA LUCIONI, CLASSE IICS
Italia centrale verso il 1000 a.C. si registrava una presenza di pollini di castagno pari all’8% del totale della flora arborea; questa percentuale aumentò
fortemente nel periodo d’espansione
dell’Impero Romano, fino a raggiungere
addirittura il valore del 48% all’inizio
dell’Era Cristiana. Il castagno, infatti, è
stato portato al di fuori del proprio areale
naturale dall’uomo, giungendo ad essere
coltivato fino nella Germania settentrionale e nella Svezia meridionale. Il castagno è attualmente la specie forestale più
ampiamente distribuita in Italia. È, infatti,
presente in tutte le regioni, essendo diffuso nelle isole, sull’Appennino e nelle
aree basali delle Alpi e Prealpi, con una
distribuzione altimetrica molto ampia,
oscillante tra i 100 metri s.l.m. del Nord
ed i 1.500 metri della Sicilia.
Il miele di castagno ha una colorazione
variabile dall’ambra al bruno scuro, un retrogusto amaro, resiste alla cristallizzazione per lungo tempo, è particolarmente
ricco di fruttosio e polline. La sua produzione si localizza naturalmente nelle zone
a maggiore vocazione per la castanicoltura e, principalmente, nella fascia submontana fra i 500 ed i 1000 metri di altitudine, lungo l’arco alpino, il versante
tirrenico della fascia appenninica e nelle
zone montane della Sicilia settentrionale.
L’uso del castagno a scopo medicamentoso è un aspetto marginale, tuttavia
questa specie è considerata pianta officinale nella farmacopea popolare: per il
contenuto di tannino la corteccia ha proprietà astringenti ed è impiegabile in fitocosmesi per il trattamento della pelle.
Alle foglie, oltre alle proprietà astringenti,
sono attribuite proprietà blandamente
antisettiche e sedative della tosse. Sempre nella farmacopea popolare di alcune
regioni la polpa delle castagne, cotta e
setacciata, trova impiego in fitocosmesi
per la preparazione di maschere facciali
detergenti ed emollienti.
CLASSE IIBS
CON PAROLE NOSTRE
119
“E io sarò tua guida”
I TINERARIO 19
Velate (Varese)
Monte San Francesco
Valle del Vellone-Velate
TEMPO
120
DI PERCORRENZA:
L’ITINERARIO
due ore e trenta minuti circa.
“Di pensier in pensier, di monte in monte...”
Cenni storici
n Il borgo di Velate, il cui nome secondo
alcuni potrebbe derivare dalla vela che
compare nello stemma dell’importante famiglia locale dei Bianchi, era una castellanza del comune di Varese. Centro fra i
più antichi della provincia, caratterizzato
da case e ville d’epoca, era già abitato in
età romana ed era strategicamente rilevante: nel suo territorio si trovano i resti
di una torre difensiva a più piani, attualmente appartenente al FAI. Essa aveva
contatti con altre torri, situate rispettivamente nel parco della villa Festi (ex Zambeletti) a Velate e sulla cima dei sovrastanti monte San Francesco e Sacro
Monte, alture che appaiono in perfetta
corrispondenza visiva e la cui storia è
sempre stata legata a quella di questo
paese. In particolare il cucuzzolo roccioso
del Sacro Monte, luogo in cui si dice che
Sant’Ambrogio abbia sconfitto gli Ariani introducendo il culto della Vergine, costituiva un vero e proprio baluardo difensivo
e permetteva di dominare dall’alto una
vasta porzione di territorio, strategico per
il transito verso il Lucomagno, il San Bernardino e Coira. Alcuni studiosi, però,
pensano che tale leggendaria battaglia
potrebbe essersi svolta proprio sul monte
San Francesco. Della torre qui presente,
databile al III-IV secolo d.C., è ancora possibile osservare il basamento. Si possono,
inoltre, vedere le rovine di una chiesa e
di un piccolo convento, le cui origini risalgono al periodo in cui il Santo di Assisi era
ancora in vita. Il monastero era detto di
San Francesco in Pertica. Tale denominazione si spiega perché adiacente al convento, nella parte del monte rivolta a
oriente, si trovava il “Campo delle Pertiche”, luogo di sepoltura longobardo. Que-
sto popolo aveva l’usanza di seppellire i
propri guerrieri in un tumulo sovrastato da
una pertica, recante in cima le armi e
l’elmo o, comunque, una colomba di legno orientata verso il luogo in cui il soldato era caduto. Il sentiero che sale al
monte San Francesco era l’antico percorso che portava al monastero e di lì al
Sacro Monte prima della costruzione all’inizio del Seicento della “Via delle Cappelle del Rosario” ideata da padre Aguggiari. Proprio perché temevano di non
poter più godere dei benefici derivanti dal
passaggio dei numerosi pellegrini, gli abitanti di Velate inizialmente non videro di
buon occhio il progetto dell’intraprendente cappuccino. Esso finì, comunque,
per influire positivamente sull’economia e
sull’arte locali: a questo proposito nella
valle del Vellone si può ancora vedere una
fornace per la produzione della calce viva.
La fine della gloriosa storia del monte San
Francesco venne, però, determinata anche da una serie di fatti conseguenti all’omicidio di un frate avvenuto nella seconda metà del Cinquecento. San Carlo
Borromeo ordinò di effettuare precisi lavori sulla struttura e sull’arredo della
chiesa, impedendo temporaneamente
che vi venissero svolti atti di culto, ed il
luogo venne sconsacrato definitivamente
nel 1612. Nel 2002 vi è nato il primo
Giardino di Frate Sole, luogo di riflessione
e preghiera, ma ora le opere realizzate
versano in cattivo stato di conservazione.
Dal sito archeologico è ben visibile, come
già detto, oltre al Sacro Monte, patrimonio
mondiale dell’Unesco dal 2003, anche il
Grand Hotel Campo dei Fiori, capolavoro
dello stile Liberty, edificato negli anni
1910-11 su progetto del famoso architetto Giuseppe Sommaruga.
IL PERCORSO
121
“Di pensier in pensier, di monte in monte...”
Il percorso
grandi dimensioni di questa pianta, oltre
naturalmente alle cavità, ospitano facilmente i pipistrelli, oggetto di specifica tutela in questi ultimi anni. Ben diffusi sono
scoiattoli, ghiri, faine, cinghiali, volpi.
In via Adda, sulla destra, si sviluppa il sentiero n.10 (tratto Brinzio-Velate), seguendo
il quale si può addentrarsi nella valle del
torrente Vellone, nel cui alveo si trovano
le “Marmitte dei Giganti”, monumento naturale creato dall’azione erosiva dell’acqua
nei confronti della roccia calcarea. Il sentiero n. 10 prosegue poi verso la località
“Prima Cappella”; è possibile percorrerlo
anche in direzione opposta verso Casciago.
Periodo dell’anno consigliato per l’escursione: tardo autunno o inizio della primavera, quando l’assenza del fogliame permette la vista di suggestivi scorci.
n Raggiunta agevolmente la località di Velate con mezzi propri o pubblici (si segnala
la presenza di un ampio parcheggio di
fronte al cimitero), è necessario oltrepassare piazza Santo Stefano e piazza Rizzi,
pervenendo in via Adda e portandosi così
nella zona boschiva a nord del paese.
Dopo aver superato una centrale dell’acquedotto A.Spe.M., sulla sinistra s’imbocca
in salita il sentiero n. 9, che s’inerpica
lungo il fianco del monte San Francesco,
di cui si raggiunge la cima (793 m) in circa
45 minuti. Proseguendo il cammino, si
perviene in pochi minuti alla carrozzabile
e la si percorre, tenendo sempre la direzione del Sacro Monte, per un breve
tratto; poco dopo il bivio si arriva al Monumento Naturale della Fonte del Ceppo, già
nota in epoca romana, sorgente di origine
CLASSE IBL
carsica che testimonia la natura calcarea
del massiccio del Campo
dei Fiori. Questo nasconde un articolato sistema ipogeo nel quale si
contano circa sessanta
grotte, di cui alcune di elevato interesse, alle quali
però non si può accedere
liberamente anche perché
non attrezzate per il comune visitatore, ad esclusione della Grotta del Remeron nella parte iniziale.
Si può scendere di nuovo
a Velate, compiendo una
sorta di percorso ad
anello, lungo il versante
meridionale del monte,
attraversando bellissimi
boschi in cui prevale il caIl Sacro Monte visto dal monte San Francesco
stagno. Gli esemplari di
122
IL PERCORSO
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
Campo dei Fiori – Varese, 3rd July 1924
Dear John,
A
t last I have found time to write to you, because I’ve been busy discovering all the marvels of Varese and the surrounding area. Have you ever
heard of, for example, the Sacro Monte and its history? Perhaps you
know about Stendhal’s stay in this resort, as Elizabeth maintains that you are
often absorbed reading his books in this period. I agree with “our” Butler: Italians cannot admire a high spot without wishing to put something on the top
and only a few times have they done it more successfully than in this place.
Think what good luck for Elizabeth who is so indolent: she was easily able to
reach the top of the mountain thanks to a beautiful and innovative tram! I, however, as every self-respecting walker, preferred to walk along the “Viale delle
Cappelle del Rosario” going uphill, admiring the unique creation of Father Agguggiari and reaching the top after about an hour, where I visited with her the
magnificent Sanctuary of Our Black Lady, which repaid all my toils. The poster
that Elizabeth pointed out to me on our arrival in Milan and the tour guide
from Varese from whom we have sought advice did not lie: everything is en-
Il Grand Hotel Campo dei Fiori e la funicolare agli inizi del secolo scorso
CON PAROLE NOSTRE
123
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
chanting at the “Grande Albergo Campo dei Fiori” where we are staying! We
would have been accommodated divinely also at the Palace Hotel down in the
town, but the idea of spending a few days at one thousand one hundred metres
above sea level appealed to us, in a hotel surrounded by woods which “embodies everything that could be most modern and most sophisticated in the art
of comfort” (I have here in front of me the booklet in which it is written just
so, but it is really true and you know I am an expert on mountain resorts...).
IL VELLONE E LA CALCHERA PER LA PRODUZIONE DELLA CALCE
Il Vellone
Il Vellone è un torrente che bagna la
città di Varese. Nasce nel Parco Regionale Campo dei Fiori, presso il monte
Pizzella, nel massiccio del Campo dei
Fiori di Varese, a nord di Santa Maria
del Monte. Il corso d’acqua ha origine
da una serie di fonti di natura carsica,
la principale delle quali è la Fonte del
Ceppo. Il torrente scorre poi in una
stretta valle e, a sud della stazione di
partenza della funicolare che conduce
a Santa Maria del Monte, forma le Marmitte dei Giganti, uno dei monumenti
naturali del Parco Campo dei Fiori. Successivamente lambisce Velate ed Avigno, poi da Masnago inizia a scorrere
sotto il livello stradale. Così nascosto attraversa il centro di Varese. Il Vellone ritorna all’aperto nei pressi di Belforte;
dopo aver lambito questa frazione di
Varese, il corso d’acqua scende nella
Valle Olona, dove confluisce nel fiume
Olona. Il Vellone è, insieme al Rile-Tenore, il maggior affluente di destra
dell’Olona.
Le Marmitte dei Giganti del torrente Vellone sono una particolare configurazione idrogeologica prodotta dal movimento rotatorio dell’acqua in alcuni
punti del suo corso.
124
CON PAROLE NOSTRE
La calchera per la produzione
della calce
La calchera è un forno per la produzione
della calce, utilizzata come malta per la
saldatura delle pietre da costruzione e
l'intonacatura degli edifici. Sono diffusissime in tutta l'area dolomitica e prealpina, in quanto la materia prima, la roccia
calcarea, è sempre di ottima qualità. Di
solito vi era una calchera in ogni paese.
La qualità del prodotto è proporzionale
alla qualità della materia prima utilizzata,
ai metodi di lavorazione ed all’abilità e all'esperienza del mastro fornaciaio. Per
produrre la calce si raccoglievano sassi di
roccia calcarea di non grandi dimensioni
per una più facile lavorabilità e li si accatastava all'interno di un’apposita struttura, la calchera per l'appunto, fatta a
forma di botte, parzialmente scavata nel
Particolare delle Marmitte dei Giganti
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
For people like me who love music and sports there are attractions of every
kind, but I really don’t like walking in the shade of the beeches with a parasol
wearing a long skirt. Yesterday, evading the glances of five spinsters, who are
as chubby as the cream puffs that they always eat at tea time, and who spend
all day in the hall gossiping and checking who comes and goes, I went out with
a bundle under my arm and took the funicular (you should see what a superb
facility!) to the station of Vellone. From there, in the locality of Velate, I began
terreno e rivestita a secco di altro pietrame. Prima di accatastare i sassi, si provvedeva a riempire una camera di combustione proprio sotto la catasta; tale
camera era dotata di una porticina che
aveva lo scopo di permettere l'ingresso di
aria ossigenata per la combustione oltre
a consentire l'accensione del fuoco stesso
e la continua alimentazione.
Doveva essere un fuoco molto allegro,
fatto bruciando tronchi di faggio o abete
finemente tagliati, e doveva durare ininterrottamente e con costanza per circa
otto giorni. La temperatura che si raggiungeva era tra gli 800 ed i 1000 gradi
e l'operazione di mantenimento del
fuoco era seguita da almeno quattro addetti e sorvegliata e diretta da una persona di grande esperienza, il fornaciaio.
Per controllare lo stato di cottura si prendeva uno dei sassi, lo si buttava nell'acqua fredda e si verificava la tumultuosa
(e pericolosa) reazione, oppure si tentava di forare un sasso utilizzando un
apposito punteruolo in ferro; se si riusciva a penetrarlo, la calce era pronta.
Seguiva poi il lavoro di estrazione dal
forno, un lavoro delicatissimo e pericolosissimo. I sassi, ora trasformati in
bianca calce, detta appunto calce viva,
erano altamente reagenti con l'acqua e
Alimentazione della calchera
Calchera spenta
potevano provocare ustioni gravi. La
calce viva (CaO) veniva gettata in un’apposita fossa scavata nel terreno; irrorata
d’acqua, provocava una tumultuosa reazione chimica. Al termine si aveva la
calce morta, detta anche calce spenta
Ca(OH)2, che era pronta per la commercializzazione e l'utilizzo. La massa pastosa, chiamata grassello, mescolata
con sabbia fine, formava la malta.
CLASSE IBL
CON PAROLE NOSTRE
125
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
walking along the ancient path that led pilgrims to the Sacro Monte, but first I
got changed in a countrywoman’s cowshed. She was very happy to receive a
tip, but also baffled when she saw me reappear with my unconventional trousers and a pair of comfortable shoes. The path is steep enough, but for me it
was an enjoyable and relaxing experience, also thanks to the crisp breeze that
was blowing after the heavy storm last night. To tell the truth I didn’t arrive as
far as the Sacro Monte, but I stopped on a peak not far from there, of whose
existence a nice old lady had spoken to me about with enthusiasm and with
whom I chatted to along the Viale delle Cappelle (you see how important it is
to know Italian!). It is called monte San Francesco, because a Franciscan monastery that is now abandoned stood there. Wandering about places rich in history and currently less popular fascinates me: I will not easily forget the sight
of the Sacro Monte from this privileged balcony plunged in the majestic brightness of the intensely light blue sky, which outlined its characteristic lines,
highlighting and colouring all the details, nor the sight of the lakes which,
equally brilliant, seemed to reflect the banks and the green hills like a mirror.
The place is magnificent, I would really like to return here in your company... .
I stayed there at least an hour to enjoy the sunset: from here the sight is unrivalled because the sun seems to sink behind the Alps! Then I came down, I got
changed quickly, I took the funicular again and I went back to the hotel just in
time for a bath (here hot water is immediately available!) and for dinner. Elizabeth was already worried because she had realized that she had read, comfortably sitting in the garden, almost a whole book in my absence... . It was a good
thing that I did not take her with me: she would have exerted herself too much!
I already know what you want to say to me, to keep calm and also think of taking a rest. Tomorrow I will stay with her all day, also because we have decided
to go into town to see the races at the racetrack: it seems that it is situated in a
picturesque area and for its rational and modern layout is one of the best in
Italy. Later I would love to go with her to Velate: the village is characteristic
and there is an ancient tower that I would like to show her. Then I will try to
convince her to come with me to the top of the Campo dei Fiori, walking at a
moderate pace of course in order not to put her in difficulty: the view is described in the guide book as splendid also towards Lake Maggiore which is our next
destination. In Stresa we are staying in the hotel where the Stevensons stayed
last year. I’ll try to write as soon as possible also from there. You ’d better not
read too much and enjoy the little sunshine in the park that our dull London
has in store for us. A big hug.
Love Emily
126
CON PAROLE NOSTRE
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
Campo dei Fiori – Varese, 3 luglio 1924
Caro John,
finalmente trovo il tempo di scriverti, perché sono stata impegnata a scoprire tutte
le meraviglie di Varese e del suo circondario. Hai mai sentito parlare, ad esempio,
del Sacro Monte e della sua storia? Forse
sai del soggiorno di Stendhal in questa località, visto che Elizabeth sostiene che tu
sia spesso immerso nella lettura dei suoi libri in questo periodo. Per quanto mi riguarda, sono dell’opinione del “nostro” Butler: gli italiani non possono guardare un
posto elevato senza desiderare di metterci
qualcosa in cima e poche volte l’hanno fatto
più felicemente che in questo luogo. Pensa
che fortuna per quella pigrona di Elizabeth:
ha potuto raggiungere comodamente la
cima del monte grazie ad un meraviglioso
ed innovativo tram! Io, invece, da brava
camminatrice che si rispetti, ho preferito
percorrere il Viale delle Cappelle del Rosario in salita, ammirando la singolare creazione di Padre Aguggiari e raggiungendo
dopo circa un’ora la cima, dove ho potuto
visitare con lei lo splendido Santuario della
Madonna Nera, che ha ripagato tutte le
mie fatiche. La locandina pubblicitaria che
al nostro arrivo a Milano mi ha fatto notare Elizabeth e la guida turistica di Varese
che abbiamo consultato non mentono: al
Grande Albergo Campo dei Fiori dove soggiorniamo è tutto un incanto! Saremmo
state divinamente anche al Palace giù in
città, ma ci attraeva l’idea di passare qualche giorno a millecento metri di quota, circondate dai boschi in una struttura che
“racchiude in sé tutto quanto vi può essere
di più moderno e di più raffinato nell’arte
del comfort” (ho davanti a me il libretto e
c’è scritto proprio così, ma è verissimo e sai
che di ritrovi di montagna io me ne intendo…). Per me, che amo la musica e lo
sport, ci sono attrazioni di ogni tipo, ma le
passeggiate all’ombra dei faggi con l’ombrellino e la gonna lunga mi stanno strette.
Ieri, senza farmi notare da cinque zitelle,
paffute come i bignè che mangiano sempre
all’ora del the e che trascorrono la giornata
nell’atrio spettegolando e controllando chi
passa, sono uscita con un fagotto sotto
braccio e ho preso la funicolare (dovresti
vedere che superbo impianto!) fino alla stazione Vellone. Di lì, in località Velate, ho
cominciato a percorrere l’antico sentiero
che portava i pellegrini al Sacro Monte,
però dopo essermi cambiata nella stalla di
una contadina, molto contenta per la mancia ricevuta, ma altrettanto perplessa
quando mi ha vista ricomparire con i miei
anticonformisti pantaloni ed un paio di
scarpe comode. Il percorso è abbastanza ripido, ma per me è stata un’esperienza divertente e rilassante, anche grazie all’arietta frizzante che tirava dopo il forte
temporale della scorsa notte. In verità non
sono arrivata fino al Sacro Monte, ma mi
sono fermata su una cima da esso poco distante, della cui esistenza mi aveva parlato
con entusiasmo una simpatica vecchietta
con la quale ho scambiato due chiacchiere
lungo il Viale delle Cappelle (vedi com’è
importante conoscere l’italiano!). Si chiama
monte San Francesco, perché lì sorgeva un
convento di Francescani ora abbandonato.
Aggirarmi nei luoghi ricchi di storia ed attualmente meno frequentati mi affascina:
CON PAROLE NOSTRE
127
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
non dimenticherò facilmente la visione del
Sacro Monte da questo balcone privilegiato
immerso nella maestosa luminosità del
cielo intensamente azzurro, che ne profilava le linee caratteristiche, dando rilievo
e colore a tutti i dettagli, e neppure quella
dei laghi che, parimenti brillanti, sembravano riflettere come uno specchio le rive e
le colline verdeggianti. Il luogo insomma è
magnifico e mi piacerebbe tanto tornarci in
tua compagnia… Sono rimasta lì almeno
un’ora per godermi il tramonto: da queste
parti lo spettacolo è unico, perché il sole
sembra inabissarsi dietro la catena delle
Alpi! Sono quindi scesa, mi sono cambiata
in fretta, ho ripreso la funicolare e sono tornata in albergo appena in tempo per un bagno (qui c’è l’acqua calda immediatamente
a disposizione!) e per la cena. Elizabeth era
già preoccupata, perché si era resa conto di
aver letto, comodamente seduta in giardino, quasi un intero libro in mia assenza… Per fortuna non l’ho portata con
me: si sarebbe stancata troppo! So già
quello che mi vuoi dire, di stare tranquilla
e di pensare anche a riposarmi. Domani ri-
128
CON PAROLE NOSTRE
marrò con lei tutto il giorno, anche perché
abbiamo deciso di scendere in città per seguire le corse all’ippodromo: sembra che si
trovi in una zona pittoresca e che per la sua
razionale e moderna disposizione sia uno
dei migliori d’Italia. Successivamente vorrei
tornare con lei a Velate: il borgo è caratteristico e c’è un’antica torre che desidererei
farle vedere. Cercherò poi di convincerla a
venire con me sulla cima del Campo dei
Fiori, naturalmente camminando con
passo moderato per non metterla in difficoltà: il panorama è descritto nella guida
come grandioso anche verso il lago Maggiore, nostra prossima meta. A Stresa andremo nell’albergo dove sono stati gli Stevenson l’anno scorso. Cercherò di scriverti
appena possibile anche da questa località.
Mi raccomando, non leggere troppo e goditi
andando al parco gli scampoli di sole che
la nostra grigia Londra ci riserva. Un abbraccio.
La tua Emily
ELENA BELLI E MORGANA FREGONESE
CON LA COLLABORAZIONE DEI COMPAGNI DI CLASSE IBL
“E io sarò tua guida”
I TINERARIO 20
Orino-Pian delle Noci
Rocca di Orino-Orino
TEMPO
DI PERCORRENZA:
due ore e trenta minuti circa.
L’ITINERARIO
129
“Di pensier in pensier, di monte in monte...”
Cenni storici
n La Rocca di Orino, antica fortezza situata in posizione strategica su uno sperone roccioso della Valcuvia, costituisce indubbiamente una tra le più interessanti
ed attraenti mete turistiche del Varesotto.
Essa rientra nel territorio del comune
omonimo, storico borgo situato in posizione panoramica e tranquilla, la cui esistenza è attestata già dal 712 d.C.
L’originario nucleo fortificato del maniero
risale, probabilmente, all’epoca romana,
ma non ne rimane alcuna traccia visibile.
Le prime notizie documentarie sulla Rocca
sono contenute negli atti della chiesa Plebana di San Lorenzo a Cuvio e risalgono
al 1176. Poiché vi è stato un susseguirsi
di proprietari che hanno utilizzato l’area
entro il vasto recinto addirittura per scopi
agricoli, è possibile che eventuali ritrovamenti di reperti non siano mai stati segnalati. Ci sono diverse attestazioni dell’ultimo
periodo del XII secolo e della prima metà
del XIII in cui si dice che la fortezza era
sotto il comando di illustri personaggi,
qualificati come “ser” o “dominus”.
Ad oggi l’esame della struttura muraria
della Rocca indica una serie di lavori di
ampliamento e potenziamento eseguiti in
epoca viscontea-sforzesca, durante la
quale i feudatari erano i Cotta, che ne rimasero proprietari fino al 1728.
All’inizio del XVI secolo, in seguito al progressivo disfacimento del Ducato di Milano,
il maniero, che aveva il controllo sul territorio della Valcuvia, fu ripetutamente occupato dalle truppe svizzere che lo saccheggiarono. Dopo i Cotta si succedettero una
serie di famiglie locali: Corti, Bonaria e Clivio. Agli inizi del Novecento la Rocca era ripartita tra tanti proprietari, ma poi venne
riunita sotto la famiglia dei Moia, che inizia130
IL PERCORSO
rono la ricostruzione della torre di nord-est
e della recinzione. Nel 1913 venne ceduta
a Massimo Sangalli che proseguì i lavori,
apportando sostanziali modifiche durante i
decenni successivi. Nel corso della Seconda guerra mondiale fu presidiata da alcune truppe dell’esercito della Repubblica
di Salò ed in seguito abbandonata a se
stessa, finendo per essere assalita dalla vegetazione. Venne poi acquistata da un industriale legnanese, Cesare Prandoni, affascinato dalle sue rovine.
Attualmente è proprietà della signora Piera Vedani Mascioni, che ha avviato una serie di lavori destinati a valorizzare ciò che
resta dell’antica fortificazione. Essa si presenta come una costruzione isolata, circondata dai boschi, costituita da un vasto
quadrilatero cinto da un muraglione e difeso da torri. All’interno dell’ampio cortile
si trovano una cisterna ed, all’angolo nordovest, la Rocchetta.
Per quanto riguarda invece le leggende legate alla Rocca di Orino, la più famosa
narra che Ada, moglie di Marchione, capitano delle truppe svizzere occupanti la Valcuvia, in un anno imprecisato del XVI secolo
fu uccisa dal marito che, folle di gelosia, la
scaraventò in un trabocchetto e lasciò morire Francesco, fratello di lei e suo luogotenente, rinchiudendolo nelle segrete del
maniero. Scoperto l’accaduto, le truppe si
ribellarono ed uccisero il loro capo. Ancora
oggi si racconta che gli spiriti dei due fratelli,
Ada e Francesco, abitino questo luogo.
Un’altra leggenda narra che gli Ariani, cacciati da Milano a causa della loro dottrina
eretica, si rifugiarono nella Rocca sino alla
conquista del Forte di Varese da parte
dell’esercito ambrosiano. La tradizione popolare vuole che gli Ariani fossero stati
messi in fuga anche dall’apparizione di
“Di pensier in pensier, di monte in monte...”
San Lorenzo avvolto dalle fiamme, avvenuta nel luogo in cui oggi sorge una piccola chiesa dedicata al Santo.
Un altro mistero è legato all’esistenza di
un cunicolo, che inizierebbe dai sotterranei della torre del mastio e continuerebbe
fino ad arrivare all’esterno. Il tunnel sarebbe talmente lungo che, secondo la tradizione, una gallina entrata ad Orino sarebbe uscita alla canonica di Cuvio con i
pulcini nati durante il passaggio.
Si segnala, infine, che i boschi intorno ad
Orino, che si sviluppano anche lungo le
pendici del massiccio del Campo dei Fiori,
hanno sempre avuto un ruolo importante
nell’ambito dello sviluppo della civiltà contadina del passato.
Il percorso
n Si giunge nel paese di Orino con mezzi
pubblici o privati; si può parcheggiare
presso il cimitero.
Prendendo da qui via Fiume, si raggiungono piazza XI Febbraio, quindi via Gorizia
e via alla Selva Piccola, che permette
d’inoltrarsi nel sentiero n. 2. All’inizio del
percorso è possibile osservare il Sasso del
Ferro, il monte Nudo, Arcumeggia (l’antica
“Arx media”), il monte Crocino, il monte
San Martino (reso celebre dall’Ottobre di
sangue del 1944).
Il sentiero prosegue con una ripida salita
acciottolata, in cima alla quale si trova un
vasto faggeto; qui è stata eretta una lapide
in memoria di tre giovani soldati, caduti
nel giugno del 1922 durante un’esercitazione militare.
Proseguendo, si lascia sulla destra il sentiero che porta al Forte di Orino e si arriva
in breve al Pian delle Noci (713 m).
In quest’ampia piana si trovano il rifugio del
Cai (1937), che in origine era un osservato-
Il rifugio del Cai al Pian delle Noci
rio di artiglieria della Prima guerra mondiale,
una vasta distesa di ginestre dei carbonai, larici ed abeti rossi. Si segnala la presenza di
uno spazio attrezzato con alcuni tavoli.
Dal Pian delle Noci si continua verso valle,
imboccando un sentiero che porta in un
bosco di castagni e faggi.
Proseguendo in discesa, si arriva ad un
primo bivio e, lasciata a sinistra la strada per
la Fonte Gesiola, si procede a destra, pervenendo al sentiero n.10 (Velate-Orino).
In breve si raggiunge un altro bivio e, seguendo le indicazioni riportate sul cartello,
s’imbocca la stradina a sinistra, abbandonando il sentiero n.10.
Si percorre quindi la strada in salita che
porta alla Rocca di Orino: è possibile trovarla aperta nelle domeniche di bel tempo
dalle 15.00 alle 17.00.
Finita l’eventuale visita, si riprende il sentiero n.10 che riporta comodamente in
paese in circa 15 minuti, passando presso
un vecchio lavatoio. Da lì si raggiungono il
centro del paese ed il cimitero, dove si
conclude l’anello.
Periodi dell’anno consigliati per l’escursione: autunno e primavera.
CLASSE IIBL
IL PERCORSO
131
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
Negli antichi boschi di Orino…
Q
uel giorno Jacopo, dopo aver eseguito i compiti, era uscito di casa per
andare al parco a giocare con i suoi amici, ma il cielo non prometteva
nulla di buono: nuvole nere s’ammassavano all’orizzonte ed avanzavano
minacciose. Di lì a poco, infatti, scoppiò un violento temporale e tutti corsero al
riparo. Jacopo, che amava molto i libri, entrò nella vicina biblioteca e, in attesa
che la pioggia cessasse, decise di leggere qualcosa. Percorrendo i lunghi corridoi,
cercò fra gli enormi scaffali la sezione fiabe, genere che l’appassionava molto. La
sua attenzione fu attirata da un librone impolverato: sulla copertina erano raffigurati dei cavalieri in cerchio all’interno di una rocca ed il titolo era “Al tempo
delle invasioni ad Orino”. Incuriosito, Jacopo lo prese ed andò a sedersi vicino
alla finestra. Sfogliandolo, fu ulteriormente colpito dalle moltissime figure di uomini armati che combattevano i nemici, ma notò che in alcune era anche presente una graziosa fanciulla. Decise perciò di cominciare a leggere la storia a cui
si riferivano le ultime immagini viste…
“Correte svelti! Non c’è tempo da perdere!” gridò un soldato a gran voce. I cavalli
galoppavano, dirigendosi verso il fitto bosco: tutti dovevano radunarsi alla Rocca
d’Orino per decidere quale fosse la tattica più adatta a fronteggiare i nemici. In
quella notte d’affanno, in cui tuoni e fulmini sembravano farla da padrone, gli
abitanti della zona erano in pericolo a causa dell’imminente invasione degli Svizzeri, che miravano alla conquista del territorio e dello splendido maniero. La
gente del paese, dopo aver nascosto in fretta e furia le poche cose di valore che
possedeva, correva nei boschi sfidando il maltempo per cercare un nascondiglio
sufficientemente sicuro, lontano naturalmente dall’abitato e dalla Rocca dove
avrebbe infuriato la battaglia. I più risalivano le pendici del Campo dei Fiori,
poiché sembrava poco affidabile scendere nel fondovalle, dove gli Svizzeri avrebbero potuto facilmente attaccare, per poi arrampicarsi lungo i monti sull’altro
versante. Anche Cecilia, la figlia di un modesto falegname, stava fuggendo con
i compaesani, ma il sentiero, a causa dell’oscurità e della pioggia, non si vedeva
quasi per niente nell’intrico del bosco, per cui finì per inciampare in un grosso
sasso, precipitando giù da una riva. Il rimbombare dei tuoni, in quel mentre veramente assordante, impedì che le sue grida d’aiuto fossero sentite dagli altri
fuggiaschi, per cui si ritrovò in preda al panico nella selva, per di più con un
piede dolorante. Era al colmo della disperazione quando, inspiegabilmente, i
tuoni cessarono e le sembrò d’udire distintamente una voce che diceva: “Non
temete, la salvezza verrà dal destriero!”. Fece appena in tempo a chiedersi chi
132
CON PAROLE NOSTRE
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
La torre di nord-est della Rocca di Orino
avesse pronunciato tale frase, che sopraggiunse un cavaliere diretto alla Rocca,
il quale, uditi i lamenti della ragazza, si fermò e chiese: “Dove siete? Vi siete fatta
male?” Poi aggiunse: “State tranquilla, sono un soldato amico, fidatevi di me!”
Cecilia, rassicurata da queste parole, rispose: “Sono qui sotto, vi prego, aiutatemi!”
Il giovane, pur con qualche difficoltà, le fece risalire il pendio e la caricò sul cavallo, quindi si diresse lì vicino, raggiungendo un ricovero per boscaioli e cacciatori, in cui fece nascondere Cecilia.
In seguito le disse: “In questo luogo dovreste essere sufficientemente al sicuro,
perché siamo più in alto rispetto alla Rocca e sicuramente gli Svizzeri per il momento non sono interessati a giungere fin qui. Appena potrò, passerò a riprendervi!”
Partì quindi di gran carriera, diretto verso il maniero, per unirsi agli altri combattenti.
I mercenari svizzeri non si fecero molto attendere: giunsero in paese, diedero
fuoco a gran parte delle case, saccheggiarono tutto quello che trovarono sulla
loro strada, poi si diressero verso la Rocca. Non riuscirono, però, ad espugnarla,
perché gli avversari, divisi in gruppi, tesero loro delle imboscate nella selva che
CON PAROLE NOSTRE
133
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
conoscevano a menadito, costringendoli almeno temporaneamente a ritirarsi.
Nel frattempo Cecilia, come se una mano amica le avesse accarezzato il volto,
chiudendo le palpebre rese pesanti dalla stanchezza e dalle forti emozioni delle
ultime ore, si era assopita: si rivedeva bambina, quando, felice e spensierata,
portava al pascolo gli animali nella “sua” Valcuvia, spesso risalendo pendii proprio come aveva fatto quella notte, però con animo ben diverso; le pareva, poi,
di ritrovarsi di fronte al portone della Rocca in tempo di pace, osservandone il
severo profilo, mentre ascoltava il canto leggero delle allodole nella valle riscaldata dal sole primaverile... Si svegliò all’improvviso, proprio perché un raggio
di sole stava penetrando nel suo nascondiglio, incredula di essere riuscita a riposare in quelle circostanze. Non sentendo alcun rumore, decise di uscire all’aperto, anche perché il piede sembrava non dolerle più.
Dopo il temporale s’annunciava una splendida giornata ed il bosco, quella notte
tanto pauroso, ora le pareva di nuovo amico. All’improvviso, però, un pensiero
le balenò nella mente: che fine avevano fatto i suoi genitori ed i suoi fratellini?
Sicuramente erano in pena per lei, dato che nessuno dei fuggiaschi l’aveva più
vista dopo la caduta... Doveva andare via di lì subito e cercarli! Poiché aveva capito di trovarsi nella zona di quello che oggi è il Pian delle Noci, fece per avviarsi
lungo il sentiero in direzione del Campo dei Fiori, ma all’improvviso le si parò
davanti un cavaliere. Riconobbe dalla voce il soldato che l’aveva salvata quando
le chiese come stava: nell’estrema oscurità della notte precedente non aveva, infatti, potuto vederlo chiaramente in viso. Con un sorriso pieno di gioia l’abbrac-
GONEPTERYX RHAMNI L. (CEDRONELLA)
Classificazione
Phylum:
Classe:
Ordine:
Famiglia:
Genere:
Arthropoda
Insecta
Lepidoptera
Pieride
Gonepteryx
Caratteristiche generali
La Cedronella è una farfalla di medie dimensioni (circa 55 mm) che vive in tutta
la regione paleartica, compresa l’Africa
134
CON PAROLE NOSTRE
settentrionale, ed è comune nei giardini
e negli ambienti di macchia mediterranea, a basse quote. È una delle farfalle
più precoci, in quanto sverna allo stato
di adulto, protetto nelle cavità naturali: i
primi individui volano già in febbraio. Il
dimorfismo sessuale è marcato: i maschi hanno un bel colore giallo limone,
mentre le femmine hanno una colorazione bianco-verdastra. Le ali posteriori
sono caratteristiche perché presentano
il bordo interno convesso.
In primavera le farfalle escono dai loro
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
ciò ringraziandolo, ma, facendo ciò, si accorse che era ferito ad una spalla ed
esclamò: “Oh, mio Dio! Ma siete ferito! Lasciate che vi curi, ho un favore da ricambiare!”
Egli rispose: “Vi ringrazio, gentile fanciulla, comunque è solo una ferita superficiale, che guarirà in fretta. A proposito non so neppure come vi chiamate...”
“Il mio nome è Cecilia e voi siete...?” domandò timidamente.
“Rinaldo, per servirvi! Ma perché ora il vostro volto si scurisce?”
“Perdonatemi, Rinaldo, – ribatté la fanciulla – ma sono in estrema ansia per la
mia famiglia... Chissà dove sarà ora. E se gli Svizzeri avessero fatto loro del male?
Al solo pensiero mi sento svenire!”
“Non dite così, abbiate fiducia e non perdete la speranza per nulla al mondo; vi
giuro che, appena mi sarò rimesso, vi aiuterò a cercare i vostri cari. In paese, lo
so per certo, non è tornato ancora nessuno e molte case sono distrutte. Per ora
vi porterò con me alla Rocca, dove potrete rifocillarvi, poi vedremo il da farsi.”
Cecilia, rincuorata, montò a cavallo e lo seguì.
Al maniero vi era un gran viavai di gente comune e di soldati, convenuti lì per
i motivi più disparati; vi erano anche alcuni giovani feriti in maniera più seria
di Rinaldo e Cecilia, come le altre donne presenti, si prodigò per curarli, in attesa
di andare alla ricerca dei propri familiari. Un suo compaesano, giunto da poco
lì, le diede però una bellissima notizia: i suoi genitori ed i suoi fratellini erano
vivi ed avevano raggiunto, come molti altri, il Sacro Monte, nella convinzione
di sentirsi più protetti in un luogo sacro. Poteva affermarlo con sicurezza perché
rifugi invernali per l’accoppiamento, preceduto dall’emissione di feromoni, sostanze volatili che costituiscono degli stimoli per le fasi del corteggiamento.
Gli adulti muoiono dopo la deposizione
delle uova, che generalmente viene effettuata sulle gemme di Rhamsus catharticus (spincervino) e Frangula alnus (frangola); su queste piante si nutrono i bruchi
di colore verde, coperti da peluria e con
le estremità assottigliate. La crisalide appare sospesa e con la testa rivolta verso
l’alto, nascosta tra le foglie del bosco.
Curiosità
Un mito racconta che, alla fine di un litigio tra gli dèi, Apollo scagliò un raggio
di sole sulle ali della nostra amica che
passava di lì per caso. Da quel giorno
agli inizi di marzo, dopo aver svernato
infreddolita nei tronchi cavi degli alberi
o nei grovigli dell’edera, la cedronella
porta a noi umani un messaggio: «La
Primavera è iniziata! E tutta la natura si
sta risvegliando».
CLASSE IICS
CON PAROLE NOSTRE
135
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
proveniva proprio da quelle zone, dove era stato per trattare l’acquisto di alcuni
capi di bestiame. Cecilia non stava più nella pelle dalla gioia ed avrebbe voluto
partire subito alla volta del santuario, ma non era consigliabile che una fanciulla
sola andasse per così lungo tratto nei boschi e, soprattutto, cominciava a nutrire
un certo affetto per Rinaldo, che si sentiva in dovere di curare. Dopo qualche
giorno, appena il giovane si fu rimesso, s’incamminò con lui alla volta del Sacro
Monte.
“Conoscete questa zona? - le disse mentre passavano dal Pian delle Noci - Io
vengo spesso qui nell’ora blu!”
Cecilia gli chiese incuriosita: “Cosa intendete dire?”
“Mi riferisco al momento del crepuscolo, in cui la luce soffusa colora tutto di
blu prima che subentri il buio. Sapete, ci sono momenti in cui luoghi come questo svelano particolari affascinanti, fiabeschi a chi sa vedere anche con gli occhi
del cuore.”
Cecilia, colpita dall’estrema sensibilità del giovane, non comune in un uomo
d’armi, si sentiva sempre più attratta da lui.
Giunti a destinazione, non fu difficile trovare la famiglia della ragazza fra le varie
che si erano radunate nel santuario per ringraziare la Vergine. La gioia provata
da Cecilia nel rivedere i suoi cari fu tale che pianse di felicità, accresciuta poi
dal fatto che proprio in quel mentre si udì un banditore che, esultante, proclamava: “Gli Svizzeri sono stati sconfitti a Marignano, il pericolo è cessato!”
Tutti i presenti s’abbracciarono e cominciarono a fare progetti per rientrare al
paese e ricostruire le case distrutte, cosa che poi effettivamente accadde. Cecilia
e Rinaldo si frequentarono sempre più spesso: era facile vederli avviarsi verso il
Pian delle Noci per compiere lunghe passeggiate. Conoscendosi meglio, s’innamorarono perdutamente.
Tutto sembrava volgere per il meglio e pensavano già a metter su famiglia,
quando un giorno Cecilia, allontanatasi dal paese come al solito con l’amato,
venne cercata da uno dei fratellini che concitato le disse: “Presto! Torna subito
a casa, perché la mamma si è sentita male!”
Giunta sull’uscio, trovò il medico, che le spiegò che la madre aveva una grave
polmonite, probabilmente causata dalla tosse trascurata che le era venuta a causa
dell’acqua presa la notte della fuga, ed aveva bisogno che tutti le stessero accanto.
Sconvolta dalla notizia, Cecilia decise che per il momento avrebbe rinunciato ai
suoi progetti con Rinaldo e che si sarebbe presa cura della mamma, dei suoi fratellini e della gestione della casa. Fu per lei un periodo molto impegnativo: poiché il padre doveva lavorare, le toccava spesso passare le notti in bianco al capezzale della madre, farle coraggio e far fronte a numerose incombenze nel corso
della giornata. Rinaldo dal canto suo era molto triste e sovente si recava al Pian
136
CON PAROLE NOSTRE
“...Che pensieri immensi, che dolci sogni...”
delle Noci: rimaneva lì a lungo a meditare, cercando di lenire il suo affanno grazie alla contemplazione della natura e degli splendidi tramonti.
Un giorno, al sopraggiungere dell’ora blu, sentì ad un tratto una voce che diceva:
“Non affliggetevi! Presto la felicità troverà la strada per raggiungervi!”
Stupito, si guardò attorno, ma non vide nessuno. In quel momento provò un
desiderio irrefrenabile di correre verso l’abitazione dell’amata e rientrò precipitosamente in paese dirigendosi verso di essa, ma non fece in tempo ad imboccare
la via che vide venirgli incontro Cecilia, diretta a sua volta verso la casa del giovane per comunicargli la splendida notizia appena ricevuta dal medico: la
mamma stava guarendo ed il pericolo era scampato. Si abbracciarono e si baciarono: lui la strinse forte, dicendole che non l’avrebbe mai lasciata.
Cecilia e Rinaldo si sposarono ed andarono a vivere in una casetta dalla quale si
poteva ammirare gran parte della Valcuvia. Tornarono spesso nella zona della
Rocca d’Orino e del Pian delle Noci, imparando ad apprezzare le bellezze di quei
luoghi in relazione al volgere delle stagioni e soprattutto nell’ora blu, da loro
tanto amata, perché aveva dato origine alla loro felicità.
Dopo circa un anno nacquero due graziosi gemelli, che avevano l’animo sensibile
e coraggioso del padre e la dolcezza e la bellezza della madre.
Anche oggi la splendida radura del Pian delle Noci, la Rocca ed i suoi dintorni
sono meta di giovani fidanzati, gruppi d’amici ed in generale di chi ama la natura, la storia e l’arte. Si dice che nell’antico maniero si sentano aleggiare gli
spiriti guerrieri dei soldati che lo difesero e che in particolare nell’ora blu Dio
permetta che gli spiriti del bosco lascino gli alberi in cui dimorano per sussurrare
buone notizie alle anime afflitte o in difficoltà.
“Forse qualcosa di simile accade anche in altri boschi” pensò Jacopo che, molto
affascinato dalla storia che aveva appena terminato di leggere, ricordava alcune
frasi che aveva per caso sbirciate in un volume dimenticato aperto sulla cattedra
dalla maestra d’italiano.
“Domani le chiederò chi l’ha scritto” disse fra sé mentre usciva dalla biblioteca
per andare a giocare con i suoi amici, visto che il temporale era passato ed ora
splendeva un bel sole. Quando mangiarono la merenda dopo la partita a pallone,
raccontò loro quello che aveva letto, incuriosendo tutti.
Il giorno dopo l’insegnante fece appena in tempo a mettere piede in classe, che
fu tempestata di domande su Orino e sulla magia dei boschi e delle radure. Molto
contenta per l’entusiasmo che i bambini dimostravano, lesse loro alcune bellissime storie di Mauro Corona (era questo l’autore del libro visto da Jacopo in
classe) e li portò a fare una splendida gita alla Rocca e nei boschi di Orino.
CLAUDIA ZARPELLON, CLASSE IICS
CON PAROLE NOSTRE
137
“...ed al cuore s’affacci la strada nuova”
Riflessioni e proposte per una “terza via”
La nostra classe quest’anno ha lavorato a
lungo durante le ore di geografia sulla possibilità di esplorare e sperimentare per l’ambiente montano una “terza via”. Il valore e l’attualità di questo concetto ci sono stati
trasmessi in particolare dalla visita effettuata
lo scorso novembre al “Museo delle Alpi”
presso il Forte di Bard in Valle d’Aosta. La
“terza via” consiste nella ricerca di un equilibrio
tra la conservazione della tradizione ed il progresso dell’innovazione, sforzandosi, come ha
affermato Reinhold Messner, di usare gli interessi senza intaccare il capitale costituito dall’ambiente stesso. Il primo passo verso il cambiamento consiste nel liberarsi dai pregiudizi
che condizionano la visione della montagna,
spesso idealizzata da chi vive in città e vista
come nettamente separata dall’ambiente urbano. Il disorientamento causato dalla modernità, la tentazione di rimanere ancorati al passato provocata dalla nostalgia, lo spopolamento
di alcune aree, lo sfruttamento di altri luoghi
delle alte valli come zone turistiche sono problematiche nei confronti delle quali la “terza
via” si offre come possibile soluzione. Si assiste, poi, ad un fenomeno che riguarda direttamente anche il nostro territorio ed i sentieri
che abbiamo percorso, cioè alla perdita d’importanza delle medie valli. È, quindi, evidente
che la “terza via”, partendo da presupposti comuni, debba essere diversificata a seconda
che ci si debba rapportare con la media o
l’alta montagna. Per individuarla si deve, inoltre, tenere conto della complessità del mondo
in cui viviamo, in particolare della globalizzazione sempre crescente. Un’interessante tesi
di laurea che abbiamo esaminato nelle sue
parti fondamentali con la mediazione dell’insegnante dimostra che, contrariamente a
quello che si tende comunemente a credere,
la salvaguardia della realtà locale si può per-
138
LA TERZA VIA
fettamente abbinare ad uno sviluppo umano
sostenibile su scala mondiale.
Già da alcuni anni vari enti ed associazioni o
anche semplici privati operano a vario titolo
nel nostro territorio, tracciando quello che potremmo definire il primo tratto di questa “via”,
il cui sviluppo futuro è tutto da individuare.
Quelli con cui ci siamo in misura maggiore
rapportati direttamente sono, oltre al Cai che
ci ha guidato nelle nostre uscite, il Parco Regionale Campo dei Fiori, gli “Amici del Campo
dei Fiori”, la Comunità Montana del Piambello,
le amministrazioni comunali di Brinzio, Induno,
Orino e Valganna. Gli iscritti al Cai, le guardie
ecologiche volontarie, gli “Amici del Campo dei
Fiori” sono impegnati fra l’altro nella messa in
sicurezza e nel mantenimento in condizioni di
percorribilità dei numerosi sentieri che si snodano sulle nostre montagne. I volontari, inoltre,
accompagnano lungo i percorsi scolaresche
ed, in generale, gruppi di persone che desiderano compiere un’esperienza significativa sotto
il profilo naturalistico e culturale. A questo proposito si possono consultare anche via Internet
i calendari delle uscite programmate, che prevedono pure una sezione dedicata alle escursioni in mountan bike. Per partecipare a tali iniziative bisogna essere sufficientemente allenati
e dotati dell’equipaggiamento necessario. Una
realtà importante è poi, senza dubbio, il Museo
della Cultura Rurale Prealpina di Brinzio, il cui
obiettivo è quello di far conoscere le dinamiche d’interazione tra attività dell’uomo, connesse alla produzione, alla vita domestica ed
all’attività artigiana, e spazio abitativo. Esso, in
una sorta d’esposizione a cielo aperto, accompagna il visitatore anche attraverso le vie del
paese, illustrando fra l’altro la civiltà del castagno. Il percorso museale relativo a questa
pianta, perno fino a qualche decennio fa del
“...ed al cuore s’affacci la strada nuova”
sistema economico locale, conduce fino alle
cosiddette “selva oscura” e “della memoria” e
s’inserisce nel Progetto Interregionale IIIA, i cui
promotori sono il Parco Regionale Campo dei
Fiori ed i comuni svizzeri della Regione Malcantone. Attualmente un consorzio raggruppa
i castanicoltori di Brinzio, Orino e Castello Cabiaglio. Un altro valido progetto portato avanti
dal Parco è quello relativo alla gestione delle
aree agricole, finalizzata anche al recupero dei
valori paesaggistici e colturali tipici della tradizione contadina. Nell’ambito dei progetti “Life
Natura” attivati dall’Unione Europea a partire
dagli anni Novanta, ha avuto poi luogo un’importantissima attività volta al monitoraggio ed
alla conservazione dei Chirotteri e sono stati
individuati cinque siti d’importanza comunitaria all’interno del Parco, uno dei quali è il lago
di Ganna che abbiamo osservato in una delle
nostre escursioni. Un’interessantissima ed approfondita guida permette di conoscere gli interventi diversificati a tutela delle acque, della
flora e della fauna della zona, come la creazione di una soglia regolatrice della torbiera
del Pralugano o la sistemazione del sentiero a
sud di quest’ultimo. Decisivo è pure il versante
dell’informazione e della formazione: si è tenuto, ad esempio, nei mesi di febbraio e
marzo di quest’anno presso il Villaggio Cagnola del Parco un corso dal titolo “Diventare
castanicoltore”; anche il Cai, in collaborazione
in particolare con l’Università dell’Insubria, attua una qualificata attività divulgativa.
Questa carrellata, pur non esauriente, ci fa
comprendere che la direzione tracciata è quella
corretta, ma che molto resta ancora da fare.
In primo luogo in alcuni tratti lo stato dei sentieri percorsi da noi e dai compagni delle altre
classi coinvolte nel progetto non era sempre
dei migliori. Certamente gli eventi naturali, anche improvvisi, possono modificare la natura
del territorio, ma pensiamo che sia veramente
auspicabile attuare l’intento, manifestato dal
presidente del Cai, che le varie associazioni
collaborino ulteriormente, in modo da poter
sempre schierare in campo un numero sufficiente di volontari per la manutenzione dei numerosi chilometri di tragitto e per il potenziamento della segnaletica, anche in relazione
all’eventuale utilizzo della mountan bike. Per
quanto riguarda l’impiego della bicicletta, abbiamo potuto consultare, nella tesi di laurea
cui abbiamo fatto cenno sopra, un articolato
progetto di attività cicloturistica che, prendendo spunto dalla riuscita dei Mondiali di ciclismo tenutisi nel 2008 a Varese, propone
concrete attività a livello amatoriale ed agonistico, chiarendo anche modalità di coinvolgimento degli alunni della scuola e di rilevazione
degli obiettivi conseguiti, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile, rispettoso del territorio e
delle tradizioni locali.
Senz’altro il raduno nazionale di MTB, che avrà
luogo nel settembre prossimo in provincia di
Varese, potrà essere un efficace banco di
prova di importanti aspetti sottolineati in questa ricerca. Riteniamo decisivo, inoltre, che non
ci si limiti solo a garantire l’esistente, ma che
si offrano all’utente ulteriori possibilità di
“esplorazione”; la “terza via” è tanto più efficace quanto più l’uomo si rapporta autenticamente con l’ambiente in cui vive considerato
nella sua complessità. Rientra in quest’ambito
il progetto portato avanti dal Cai di mettere in
sicurezza, tramite l’utilizzo di corde fisse, l’accesso alle Marmitte dei Giganti del torrente
Vellone, la cui valle è stata in parte percorsa
dai compagni di IBL e IIBS durante un’escursione. Si tratta di un monumento naturale che
dev’essere raggiungibile da tutti coloro che lo
desiderino: una “terza via” vincente deve, infatti, portare sui sentieri il maggior numero di
persone possibile, ovviamente motivate. A
questo proposito il Parco Regionale Campo dei
Fiori ha programmato per i prossimi mesi tre
giornate di valorizzazione del sentiero n.10
“sul campo”, di cui l’ultima vedrà anche la presentazione del nostro lavoro.
La manutenzione dei percorsi non può poi prescindere dalla cosiddetta gestione forestale sostenibile, le cui linee guida sono state fissate
LA TERZA VIA
139
“...ed al cuore s’affacci la strada nuova”
dalla UE, in quanto essi si snodano appunto in
splendidi boschi, ai quali, parimenti a quelli di
altre zone d’Europa, si deve consentire di mantenere la loro biodiversità, produttività, capacità di rinnovazione e vitalità, in modo che continuino a svolgere rilevanti funzioni ecologiche,
economiche e sociali pure a livello nazionale
e globale. L’obiettivo non è evidentemente di
poco conto e consolida ancora di più la nostra
convinzione che, solo mirando ad un oculato
sviluppo multifunzionale del territorio (sotto
quindi l’aspetto ambientale, paesistico, produttivo e culturale), si possa riuscire a tracciare in
modo adeguato la tanta sospirata “terza via”.
L’evoluzione del concetto di turismo in rapporto alle Alpi ed alla nostra zona ci ha aiutati
a capire meglio quest’ultima importante conclusione. Il territorio non è infatti costituito,
come si è pensato fino a tempi abbastanza recenti, semplicemente da “cose da vedere” o
da “cose utili per il turista” (il belvedere, il
verde, il fresco…), ma è una precisa realtà organizzata da una popolazione che, in presenza di determinati condizionamenti naturali
(ad esempio il massiccio del Campo dei Fiori),
ne ha operato, grazie alla propria struttura sociale, economica e culturale, una forma di organizzazione unica ed irripetibile. Sono i valori
di questo gruppo umano, quindi, che il turista
deve mettere in primo piano visitandolo, proprio come accade all’Ecomuseo di Brinzio, e
bisogna recuperare e render noti quei luoghi
140
LA TERZA VIA
che sono basilari per la comprensione della
loro genesi, come il monte San Francesco, che
meriterebbe ben altra notorietà rispetto a
quella odierna. La crisi attuale, legata anche
all’impoverimento delle risorse ed allo sradicamento culturale, è determinata pure dal fatto
che il modello economico e sociale occidentale, affermatosi a livello mondiale, non ha tenuto conto dell’impossibilità di reggere uno sviluppo privo di limiti. I Paesi occidentali sono,
quindi, chiamati ad essere gli autori della
svolta verso nuove forme di sviluppo che sostengano l’uomo, ma il cambiamento non si
può verificare se le singole realtà locali non ne
sono il motore. Occorre aprirci a nuove forme
di pensiero, cambiare gusti e tendenze per influenzare il mercato, farsi carico dei problemi,
modificando, se necessario, il nostro stile di
vita, unire gli sforzi di enti ed associazioni che
possono avere voce in capitolo. La presa di coscienza dei problemi fa maturare sia il singolo
che la società e, per favorirla, ci vuole una forte
azione di educazione e di sensibilizzazione,
nella quale anche il contributo della scuola di
ogni ordine e grado è determinante. Proprio in
questa direzione va il progetto a cui stiamo
partecipando, destinato a proseguire anche
nel prossimo anno scolastico e, in fondo, è anche tutto questo essere costruttori della “terza
via”…
GLI ALUNNI DELLA IIBL
IN COLLABORAZIONE CON I COMPAGNI DELLA IICS
“...ed al cuore s’affacci la strada nuova”
LET'S DISCOVER
THE TERRITORY
TO DISCOVER US!
DÉCOUVRONS
LE TERRITOIRE
POUR DÉCOUVRIR
NOUS-MÊMES!
LETʼS MAKE PEOPLE DISCOVER IT AS...
FAISONS-LE DÉCOUVRIR COMME...
ARMONIOSO E PULITO
HARMONIOUS AND CLEAN
HARMONIEUX ET PROPRE
VIVO
ALIVE
VIVANT
Il bosco sopra Brinzio
Discesa dal passo del Vescovo
IN TUTTI I SUOI ASPETTI
CONSIDERING IT FROM VARIOUS POINTS OF VIEW
SOUS TOUS SES ASPECTS
Il sito archeologico sul monte
San Francesco
LA TERZA VIA
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“...ed al cuore s’affacci la strada nuova”
VALORIZZATO
IMPROVED
VALORISÉ
Ingresso alla Rocca di Orino
NELLʼINCONTRO TRA TRADIZIONE
E INNOVAZIONE.
BETWEEN TRADITION AND INNOVATION.
DANS LA RENCONTRE ENTRE TRADITION
ET INNOVATION.
Per le vie di Brinzio
-Costruiamo la “TERZA VIA” del nostro territorio tutti insieme, camminando sul sentiero verso
il futuro e portando sulle spalle lo zaino ricco di tesori del passato.
-Letʼs build all together the “THIRD WAY” of our territory walking on the path towards the future
and carrying on our back the rucksack full of treasures of the past.
-Construisons, tous ensemble, la “TROISIÈME VOIE” de notre territoire, en marchant sur le
chemin vers le futur et en portant sur le dos notre sac, riche de trésors du passé.
CLASSE IICS
FRANCESCA LAURIELLO, CHIARA MARCHESI, ROBERTA MALVEZZI, SARA MARTIGNONI (IICS)
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LA TERZA VIA
Si ringraziano
per il contributo finanziario:
Fondazione San Paolo, il cui contributo ha permesso la realizzazione della pubblicazione
Istituto Comprensivo Statale “B. Luini” di Luino
Parco Regionale del Campo dei Fiori
Associazione Italiana Maestri Cattolici della Provincia di Varese
per il patrocinio e/o la collaborazione:
Ufficio Scolastico Territoriale di Varese
Provincia di Varese
Istituto Comprensivo Statale “G. Adamoli” di Besozzo
Istituto Comprensivo Statale “B. Luini” di Luino
Istituto Superiore Statale “A. Manzoni” di Varese
Insegnanti e studenti degli istituti scolastici coinvolti
Signora Piera Vedani Mascioni (proprietaria della Rocca di Orino e guida dei bambini di Besozzo)
Club Alpino Italiano – sezioni di Varese e di Luino
Comunità Montana del Piambello e Comunità Montana Valli del Verbano
Associazione “Amici del Campo dei Fiori”
I comuni di Besozzo, Brinzio, Dumenza, Induno Olona, Luino, Maccagno, Orino, Pino Lago Maggiore, Tronzano Lago Maggiore e Valganna
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Libro - Licei Manzoni