INDICE
INTRODUZIONE
Dott. Luigi Martino
Presidente Ordine Dottori Commercialisti di Milano
pag. 3
LE NUOVE FORME DI SOSTEGNO DELLE INIZIATIVE
NON PROFIT
pag. 7
Prof. Adriano Propersi
Docente di Economia Aziendale, Politecnico di Milano
PIÙ DAI MENO VERSI: UN NUOVO COLLEGAMENTO
TRA IL MONDO DELLE IMPRESE E IL SETTORE
DEL NON PROFIT
pag. 19
Dott. Corrado Colombo
Componente Commissione “Pubblica Utilità, Sociale ed Enti No Profit”
OBBLIGHI CONTABILI TRA PRINCIPIO DI
TRASPARENZA ED ESIGENZE DI SEMPLIFICAZIONE
pag. 33
Dott. Gian Mario Colombo
Componente Commissione ”Pubblica Utilità, Sociale ed Enti No Profit”
ART. 14 LEGGE 14 MAGGIO 2005, N. 80
1
pag. 45
PREFAZIONE
Il tema del finanziamento del non profit è oggetto di riflessione in diverse sedi istituzionali, non solo per le implicazioni di natura etica e morale che esso comporta. Recentemente ha acquisito una speciale rilevanza per effetto dell’emanazione
della Legge 14 maggio 2005, n. 80 (e della pubblicazione della circolare n. 39/E
del 19 agosto 2005 da parte dell’Agenzia delle Entrate). Un intervento legislativo
divenuto popolare anche grazie al felice slogan che i promotori hanno coniato per
indicarla: “Più dai, meno versi”. In sintesi, incentivare le donazioni riconoscendo,
in presenza di specifici presupposti, un maggiore beneficio fiscale ai donatori.
Considerata l’importanza della questione e, in generale, il desiderio di partecipare al dibattito in materia, l’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano ha deciso di
pubblicare e distribuire gratuitamente il presente contributo per illustrare ai soggetti eroganti, persone fisiche e persone giuridiche, e alle diverse categorie di soggetti beneficiari, la corretta e più efficace modalità di applicazione della nuova
disposizione, senza incorrere in sanzioni. Il taglio dell’opera è pertanto di tipo
divulgativo, anche se con l’occasione si è ritenuto utile ampliarne i contenuti per
individuare le principali problematiche irrisolte riguardo al sostegno finanziario del
Terzo Settore, nonché per evidenziare le esigenze di coordinamento tra la nuova
normativa e quella precedente.
Come sottolinea il titolo “Valorizza i tuoi valori. Istruzioni per l’uso per chi vuole
donare e per gli operatori del settore non profit”, l’opera intende promuovere le
donazioni e le liberalità a favore delle organizzazioni non profit, soprattutto quelle
di piccola e media dimensione, che meno di altre presentano significative capacità di autofinanziamento o dispongono dei mezzi per promuovere iniziative di fund
raising di elevato impatto mediatico. L’illustrazione dei benefici fiscali e la descrizione delle corrette procedure da seguire per elargire le liberalità, in denaro e in
natura, possano essere di stimolo per i donatori, ma anche un aiuto per gli enti
del Terzo Settore che ne beneficiano, per adempiere agli obblighi di trasparenza
e rendicontazione previsti dalla legge.
Quest’ultimo argomento merita una riflessione di più ampia portata, pur nella sintesi di una prefazione. Uno Stato che incentiva fiscalmente il finanziamento del
Terzo Settore svolge un’azione meritoria e di rilevanza strategica in una società
ove si assiste al diffondersi della sussidiarietà tra Pubblico e Privato e, in qualche
caso, ad una terziarizzazione di talune aree di intervento della Pubblica
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Amministrazione a favore degli operatori non profit, per superare evidenti difficoltà finanziarie del soggetto pubblico e per valorizzare la maggiore efficienza di
organizzazioni più snelle e maggiormente focalizzate.
Dall’altra parte l’efficacia di questi interventi incontra limiti laddove si prevede
un’eccessiva prescrizione di vincoli per gli enti beneficiari, in particolare contabili,
con l’obiettivo di rispettare il principio di trasparenza attraverso specifici obblighi
di rendicontazione della gestione. Convinti, come siamo, che entrambe le finalità
siano fondamentali per assicurare un’efficiente ed efficace gestione delle aziende
tutte, e di quelle non profit in particolare, trattandosi di tutela di interesse pubblico, occorre altresì rilevare, soprattutto per le O.N.L.U.S. e gli enti di minore dimensione, una crescente domanda di semplificazione alla quale bisogna dare nuove
risposte.
Per queste realtà, la gestione di una pluralità di adempimenti potrebbe, infatti, rilevarsi talmente dispendiosa da assorbire, in proporzione, cospicue risorse che
potrebbero meglio essere, fra l’altro, destinate al perseguimento del fine istituzionale. Senza nascondersi che l’eccesso di formalità ed adempimenti potrebbe
disincentivare, in alcuni casi, la raccolta fondi e l’applicazione degli incentivi fiscali, come quelli previsti dalla Legge in esame.
L’opera tratta, dunque, di novità legislative cercando un linguaggio semplice e
diretto, non sottacendo tuttavia i limiti dell’impostazione attuale. Essa si articola in
tre parti, redatte da autori diversi, tutti dottori commercialisti, che operano giornalmente a stretto contatto con queste realtà.
Nella prima si approfondisce il tema del finanziamento al non profit, evidenziando
le peculiarità della gestione finanziaria di questi enti e gli strumenti e le formule di
finanziamento auspicabili, anche in relazione alla natura dell’attività svolta e alla
forma giuridica.
La seconda parte illustra in dettaglio le novità legislative introdotte, combinando
la prospettiva dei soggetti eroganti e dei soggetti beneficiari, con particolare attenzione agli adempimenti da seguire e alle sanzioni previste.
La terza, ed ultima parte, si sofferma sugli obblighi contabili che la nuova norma
introduce per i soggetti destinatari delle erogazioni, sottolineando la necessità di
coordinamento fra la nuova normativa e quella in vigore, nonché proponendo strumenti di semplificazione in materia.
L’impegno dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano sul Terzo Settore non
si conclude con la pubblicazione di questo primo strumento operativo, ma inten4
de proseguire in futuro, grazie al prezioso contributo del neo costituito
“Osservatorio sul non profit nell’area metropolitana milanese”, un organo
aperto e rappresentativo delle diverse istanze della società in materia, e della
“Commissione Pubblica Utilità, Sociale ed Enti No Profit”.
L’auspicio è di mantenere vivo il dialogo fra collettività, Terzo Settore, istituzioni e
professione, promuovendo soluzioni interpretative della normativa di riferimento di
reale utilità e a sostegno dello sviluppo del settore.
È d’obbligo in chiusura formulare un sentito ringraziamento agli autori, Corrado
Colombo, Gian Mario Colombo, Adriano Propersi, per il loro generoso impegno.
Milano, 30 novembre 2005
Il Presidente
Luigi Martino
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LE NUOVE FORME DI SOSTEGNO DELLE INIZIATIVE
NON PROFIT
Prof. Adriano Propersi
Docente di Economia Aziendale, Politecnico di Milano
1. Premessa
Il settore non profit nella sua variegata composizione settoriale (sanità, assistenza, cultura, ricerca, istruzione, tutela dell’ambiente, ecc.) necessita di sempre più
ingenti risorse per far fronte alla crescente domanda sociale.
Lo Stato, che resta il più importante sostenitore del Terzo Settore, ha cercato di
incentivare le erogazioni agli enti concedendo agevolazioni fiscali ai donatori con
varie norme speciali, fra cui la cosiddetta “più dai, meno versi”.
Mentre nel presente lavoro saranno evidenziati da specialisti i problemi connessi
con tali norme agevolative, si desidera premettere alcune considerazioni sul problema generale del sostegno delle iniziative non profit 1.
2. Le esigenze finanziarie degli enti
È bene ricordare che, salvo i pochi grandi enti, generalmente fondazioni con patrimoni rilevanti, il Terzo Settore vede la presenza di centinaia di migliaia di piccoli
enti 2 caratterizzati da strutture organizzative poco adeguate, con sistemi contabili e di controllo insufficienti, ove si riscontrano, come aspetto genetico, una carenza di interessi proprietari che ne indirizzino la gestione e spingano all’efficienza,
con forti rischi di non continuità e regolarità della propria attività. Di contro è forte
1
2
Per approfondimenti si veda A. Propersi. Il finanziamento degli Enti non profit, Il Sole 24 Ore
Libri, 2005.
I dati ISTAT 1999 parlano di 221.000 enti.
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la motivazione ideale e la capacità di aggregare anche volontari o richiamare risorse di terzi su progetti sociali.
Questi caratteri, brevemente delineati, implicano sul piano finanziario una debolezza strutturale, che si manifesta generalmente con bassa capitalizzazione, mancanza di adeguate garanzie e difficoltà di accesso al credito.
Il panorama degli enti, dal punto di vista finanziario, si presenta, comunque, molto variegato.
Si riscontra la presenza di alcuni enti storici, con elevata patrimonializzazione,
spesso appartenenti al mondo religioso o collegati alla Pubblica Amministrazione;
sono poi presenti le fondazioni bancarie, fortemente patrimonializzate e con funzioni di enti grant-making, quindi interlocutori e finanziatori del mondo non profit;
si vanno costituendo e rafforzando le fondazioni di impresa, generalmente con lo
scopo di supportare iniziative sociali o culturali.
I soggetti patrimonializzati sono comunque pochi, alcune centinaia, di fronte alle
decine di migliaia di piccole entità in forma giuridica diversa (fondazioni, associazioni, cooperative sociali, associazioni di volontariato, associazioni di promozione
sociale, Organizzazioni Non Governative, associazioni sportive, ecc.), che si presentano generalmente non patrimonializzate, o comunque fragili dal punto di vista
finanziario.
Occorre anche, in proposito, distinguere gli enti non profit che gestiscono un’attività “produttiva” di servizi, che può essere svolta verso corrispettivo dello Stato, di
enti e di privati (si pensi al settore assistenziale o sanitario), rispetto a quelli che
svolgono un’attività pur “produttiva” di servizi, ma senza possibilità di significativi
corrispettivi (aiuto ai poveri totali, produzione di servizi culturali, attività nel campo ambientale, ecc.). È chiaro che mentre gli enti del primo tipo possono accedere al credito “scontando” le attività in corso, i secondi hanno forti difficoltà ad ottenere aiuti finanziari diversi dalle donazioni pure.
Se si passa dalla gestione ordinaria a quella straordinaria, e quindi alla possibilità di effettuare investimenti, le difficoltà finanziarie sono generalizzate e si può dire
che lo sviluppo dimensionale nel settore non profit difficilmente è perseguibile
attraverso autofinanziamento, ma deve basarsi su cospicui apporti di terzi donatori o partecipanti.
Sinteticamente possiamo affermare che, salvo pochi enti patrimonializzati o con
cicli produttivi che consentano una autosufficienza economica e finanziaria, la
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stragrande maggioranza degli enti si trova nella condizione di avere cicli finanziari asfittici. Da ciò le conseguenti problematiche in ordine alla ricerca ed all’ottimizzazione delle fonti di finanziamento.
Esaminiamo ora, di seguito, le classiche fonti di finanziamento degli enti, che sono
quelle derivanti dallo Stato e dalle donazioni liberali, per poi rappresentare le nuove e possibili forme di finanziamento che stanno caratterizzando le istituzioni di
avanguardia del non profit e che prevedibilmente in futuro si renderanno utili e
necessarie per lo sviluppo del settore tutto.
3. Lo Stato è tuttora il primo finanziatore del mondo non profit
L’esame dei dati statistici 3 sul finanziamento degli enti conferma che lo Stato è tuttora il primo e più consistente finanziatore del settore non profit. Anzi le percentuali di finanziamento rispetto ai privati sono talmente più elevate che, sul tema
indagato, si pone preliminariamente il problema politico generale della determinazione precisa del ruolo dello Stato nei confronti dei soggetti non profit e della individuazione successiva di obiettivi politici volti a stabilire normative di favore (con
determinazione di vantaggi fiscali in termini di deducibilità mirate) per il mondo
degli enti non profit.
L’attività diretta degli enti pubblici in campo sociale, assistenziale, sanitario, di
istruzione, culturale, ambientale, di ricerca, sportivo, ecc. ha dimostrato di essere
spesso inefficiente, intempestiva, lenta, burocratica; anche se essa presenta il
vantaggio di poter essere svolta seguendo una programmazione unitaria e razionale degli interventi possibili con le risorse disponibili, evitando la frammentazione e la dispersione, che gestioni divise e non coordinate (anche del mondo non
profit) possono comportare.
I limiti delle gestioni pubbliche sono, soprattutto, legati allo stile organizzativo
e alla lentezza burocratica e, di conseguenza, all’inefficienza e alla non
3
Dai dati statistici, emerge che le liberalità dai privati (anche da parte delle imprese) costituiscono
una fonte di finanziamento sostanzialmente ancora poco significativa per le organizzazioni non
profit italiane (3% contro il 20% degli USA - Fonte: The Aspen Institute, 2003). Ancora, ben il 27%
delle imprese con oltre 250 dipendenti - fonte Isvi/Doxa 2002 - addirittura non ha mai erogato
contributi agli enti. Inoltre, le imprese che erogano contributi agli enti non profit lo fanno in modo
del tutto non sistematico. Eppure una ricerca dell’IRS presentata nel dicembre 2003 a Milano (Il
Sole 24 Ore del 5/12/2003) prevede che nel 2020 i privati e le imprese italiane doneranno al sistema non profit 8 miliardi di Euro, che potrebbero diventare 14,4 miliardi entro il 2050, con un incremento molto forte rispetto alla situazione attuale (1,3 miliardi).
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efficacia delle loro azioni.In questi ultimi tempi va però estendendosi da parte
della Pubblica Amministrazione il ruolo di indirizzo e di coordinamento di attività svolte da terzi.
Con queste nuove forme di intervento, che possiamo chiamare di outsourcing
della Pubblica Amministrazione, si apre la strada per innovative forme di indirizzo e di coordinamento da parte del Pubblico nei confronti del non profit. Occorre
dire che il fenomeno non nasce improvvisamente, ma va ricondotto alle esperienze di almeno un decennio che ha visto interventi legislativi e azioni forti del Terzo
Settore in tale direzione. Siamo ancora ai primordi e le modifiche avvengono a
macchia di leopardo, essendo demandate prevalentemente all’iniziativa regionale e comunale, ove i comportamenti, per varie ragioni – sociali, politiche, storiche
– non sono omogenei.
Sta di fatto che si stanno verificando diffusamente, sia pur con modalità diverse,
in tutti i campi, non solo in quello assistenziale, ma anche in ambito culturale, artistico, sportivo, ecc., fenomeni nuovi. Vere e proprie joint-venture del sociale fra
enti non profit e Pubblica Amministrazione, che possono preludere a nuove forme di intervento nei vari campi sociali in modo più incisivo e programmato, perseguendo più efficacia nella allocazione delle risorse sempre più scarse rispetto
ai bisogni sociali.
Il fenomeno può incentivare lo sviluppo a rete di attività pubblico-private e può
diventare una modalità nuova di azione da parte della Pubblica Amministrazione,
che attua una politica programmatica ottimale ed esternalizza taluni servizi in
modo coordinato, collaborando attivamente con gli enti del privato sociale. Questi
ultimi non devono essere meri esecutori di attività etero-dirette, bensì soggetti attivi, propositivi e partecipi della programmazione, nonché responsabili per i risultati raggiunti e non raggiunti.
4. Le liberalità a favore delle aziende non profit: motore per la loro attività e
per lo sviluppo
Sia per le risorse decrescenti che lo Stato può destinare ad attività sociali, legate
alle precarie condizioni finanziarie della finanza pubblica, oltre che per le nuove e
pressanti esigenze della società civile, si è assistito in questi ultimi anni da parte
del mondo non profit ad un ricorso crescente a fonti di finanziamento, aggiuntive
rispetto a quelle pubbliche, erogate dai privati, che si manifestano nella forma delle erogazioni liberali.
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Appare evidente, dai caratteri gestionali prima brevemente delineati, che il settore non profit, in gran parte delle sue componenti, non può oggi – e ancora più in
futuro – vivere senza apporti liberali esterni.
È chiaro che il primo passo per sviluppare l’apporto di liberalità alle aziende non
profit deve essere fatto dallo Stato con adeguate leggi di incentivo fiscale, rivolte
sia alle imprese che ai privati.
È questa una scelta politica rilevante che deve essere percorsa in modo non occasionale, bensì seguendo programmi di sviluppo organici del settore. L’ipotesi ad
esempio di istituire un 5‰ del sociale, aggiuntivo rispetto a quello riservato a
sostegno delle Chiese, è certamente da approfondire, ma richiede comunque la
costruzione di un progetto completo, con un’architettura che coinvolga nella
gestione delle risorse che si renderebbero disponibili, sia le forze politiche, che i
vari soggetti del Terzo Settore.
Pur prescindendo da questo aspetto rilevante, sembra, però, che sia nodale ottimizzare i rapporti fra il mondo dei donatori (privati e imprese) e dei fruitori delle attività non profit e le istituzioni non profit stesse, se si vuole dare un futuro
dignitoso e con prospettive durevoli al Terzo Settore. Perché questo rapporto
sia proficuo occorre rivedere, o meglio ridefinire, il concetto di liberalità al mondo non profit.
Non c’è dubbio che la liberalità sia un atto di donazione che non esige corrispettivo, ma emerge sempre più la volontà dei donatori – imprese e privati – di conoscere la destinazione delle risorse erogate, talvolta di cooperare all’iniziativa, e
comunque, di avere garanzia del corretto impiego delle stesse da parte degli enti
riceventi le liberalità.
Nonostante l’assenza di cogenti normative in merito alla rendicontazione delle attività da parte delle aziende non profit, è chiaro agli operatori del settore che se
vogliono attingere alle risorse dei donatori devono gestire le stesse con la massima trasparenza, come indicano anche le autoregolazioni che gli enti si stanno
dando 4 e le norme di comportamento degli organismi contabili 5.
Più difficoltosa, ma interessante e stimolante, appare ancora una nuova formula
4
5
Carta della donazione emanata da Sodalitas.
Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti, Norme sulla formazione dei bilanci delle aziende
non profit.
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di “granting” che va diffondendosi e che implica, con l’apporto liberale, la condivisione (partnership) di gestione e rendicontazione dei progetti specifici finanziati da
terzi. Le difficoltà di applicazione di tale modalità di erogazioni liberali dipendono
in parte da una certa riservatezza e desiderio di autonomia, comprensibile, degli
amministratori degli enti destinari delle donazioni, ma è da mettere in relazione,
anche, con le modalità di gestione delle aziende non profit che, per natura, si
allontanano da quelle delle imprese. Negli enti si riscontra, infatti, una certa carenza strutturale di modelli organizzativi idonei per l’ottimizzazione dell’impiego delle
risorse disponibili.
Secondo questa visione le liberalità al mondo non profit dovrebbero essere viste
come un “contratto sui generis”, che, è vero non ha corrispettivo, ma esige la esecuzione di attività non profit determinate nell’accordo con il soggetto erogante la
liberalità e di cui l’ente ricevente deve dare rendicontazione.
È necessaria, cioè, sempre una forma, più o meno rilevante, di verifica di ciò che
è stato concordato fra le parti, e comunque di rendicondazione trasparente.
Tale verifica può essere formale, implicando eventualmente la presenza di specifici controllori o revisori sociali 6, o idonee modalità di rendicontazione prestabilite,
o anche non formale, ma con la presentazione volontaria, da parte dell’ente, dei
risultati delle attività svolte grazie alle risorse ricevute.
5. Quali nuove forme di supporto per il mondo non profit?
Il primo attore in grado di avviare in modo sostanziale il supporto finanziario e lo
sviluppo del Terzo Settore è lo Stato, che deve effettuare una scelta decisa in questa direzione promulgando leggi di favore, indirizzando e coordinando gli interventi nei vari comparti del non profit e incentivando l’afflusso di risorse finanziarie agli
enti con agevolazioni fiscali. È un campo in cui qualcosa si è fatto (come con la
c.d. “Più dai meno versi” ); ma tanto resta da fare, e le soluzioni sono tutte nelle
mani di chi attua le grandi scelte politiche del Paese.
Da parte degli enti non profit va sviluppato un diverso approccio al rapporto
con l’ente erogante, a cui, si deve presentare con piani e progetti di intervento
rigorosi, dettagliati e concreti, su richiesta del quale deve adeguare le
proprie strutture e comportamenti, a cui occorre rendicontare con trasparenza i
risultati.
6
I Revisori sociali, Ordine Dottori Commercialisti di Milano, 2003.
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Un secondo aspetto che va esaminato è quello delle formule innovative di finanziamento che possono essere attuate nei confronti degli enti: è questo un campo
in cui si vanno costruendo nuovi progetti, che ha prospettive interessanti e che,
comunque, appare fondamentale e strategico per il futuro sviluppo di durevoli iniziative non profit.
L’altro versante che va analizzato, per individuare la possibilità di sviluppare forme di supporto per il mondo non profit, è quello del rapporto con i donatori privati e le imprese. Si assiste qui ad una crescente propensione dei singoli e delle
imprese a rivolgere maggiore attenzione al mondo non profit, e, proprio in un
momento in cui si manifestano maggiori i bisogni sociali – sia in relazione alle
minori risorse dello Stato, che a nuove forme di bisogno – ci si deve seriamente
interrogare su quali strade percorrere per perseguire l’ottimizzazione dei flussi
finanziari che, dai privati e dal mondo profit, si indirizzano al Terzo Settore.
Va monitorata con attenzione quella linea di pensiero sulla responsabilità sociale
dell’impresa (corporate social responsability) che va diffondendosi in ambito
aziendale.
6. Dieci azioni possibili per sostenere il settore
In prospettiva possiamo rappresentare le possibili azioni positive che potrebbero
essere intraprese per sostenere i cicli economici e finanziari degli enti, proponendo una sorta di decalogo.
1) Il primo punto da risolvere è quello relativo alla scelta che deve fare lo
Stato in merito al funzionamento ed al ruolo del Terzo Settore.
La scelta di fondo è già stata fatta con la modifica dell’art. 118 della
Costituzione, che ha introdotto nel nostro ordinamento il principio delle sussidiaretà. Ora occorre passare dai principi ai fatti, che, semplificando, devono,
comunque, portare ad una maggiore forza finanziaria degli enti preposti alla
gestione della attività culturali, sociali e solidali. Ciò si realizza solo con una
decisione politica forte, che scelga di incentivare le erogazioni liberali ai soggetti non profit, ampliando le deducibilità fiscali per i donatori. Sono già state
fatte numerose proposte (la “Più dai meno versi”, il 5‰ per il sociale, ecc.);
occorrerebbe decisamente spingere in quella direzione.
La scelta, che, ovviamente, spetta alle forze politiche, non può, però, essere
presa senza che siano attuate collateralmente altre condizioni che esporremo
nei successivi due punti.
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2) Lo Stato e gli enti locali devono alleggerirsi di funzioni svolte direttamente in campo culturale, sociale, sanitario, assistenziale, in quanto si è
dimostrato che la gestione diretta di tali attività risente di tutti i difetti della Pubblica Amministrazione, e cioè la lentezza burocratica, l’inefficienza, e
talvolta inefficacia, e gli alti costi di gestione conseguenti. Da parte dello Stato,
e delle sue articolazioni territoriali, deve svilupparsi la capacità di gestire indirettamente i servizi, delegandoli a soggetti non profit, o anche profit, stabilendo programmi di intervento o di attività svolte da terzi, monitorando, poi, le attività stesse, e controllando i risultati sociali conseguiti. Occorre, cioè, che si sviluppi la capacità di fare “regia” degli interlocutori presenti sul proprio territorio,
cercando di ottimizzare i risultati, conseguendo, quindi, i massimi vantaggi per
i cittadini. L’obiettivo è che le risorse pubbliche scarse a disposizione siano
gestite al meglio per la collettività.
3) Perché il ruolo del Terzo Settore sia più efficace non basta, comunque, l’ampliamento delle risorse finanziarie, né che vi sia una maggiore esternalizzazione dei servizi da parte della Pubblica Amministrazione. Occorre che i problemi sociali emergenti che vengono dal territorio siano affrontati in modo
coordinato e razionale da parte degli enti pubblici, unitamente agli enti
non profit, che devono imparare ad agire insieme, puntando alla realizzazione di vere e proprie joint-venture del sociale e costituendo ad hoc appositi
tavoli di confronto. Si potrà così attuare, o mirare ad attuare, dopo il confronto,
la promozione di azioni concordate volte a coprire adeguatamente i bisogni del
territorio con le formule ritenute più idonee (libera scelta, accreditamento, selezione degli enti, ecc.). Interlocutori di tali tavoli potranno, e dovranno essere,
anche le fondazioni grant-making, che stanno svolgendo sempre più una funzione essenziale per il finanziamento di attività non profit. I tavoli di confronto si
stanno costruendo, come nel caso dei “Piani di Zona”, ma non vi è uniformità
sul territorio nazionale, in funzione delle diverse esperienze, tradizioni statali e
politiche locali. Tali tavoli dovrebbero divenire lo strumento diffuso per coordinare e ottimizzare le risposte ai bisogni del territorio. Occorre, altresì, che queste intese siano veramente partecipate, e che non vi sia imposizione di linee di
intervento da parte del soggetto pubblico, ma che esso senta la necessità di
interpellare e ascoltare le esigenza della comunità e degli enti che vi operano.
4) Con riferimento alle esigenze di finanziamento di lungo periodo, le
Amministrazioni Pubbliche e le grandi fondazioni grant-making, unitamente al mondo bancario e finanziario, devono integrarsi per costituire
fondi vincolati a medio-lungo termine, che consentano il finanziamento di
iniziative sociali e solidali a tassi agevolati.
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Le fondazioni grant-making e la Pubblica Amministrazione sono in grado di vincolare parte delle proprie risorse per finanziamenti di lungo periodo al Terzo
Settore, anzi ciò rientra in una prospettiva di grant di lungo periodo. Il mondo
bancario e finanziario, in quanto organizzato in forma di impresa, non può permettersi di impiegare le proprie risorse a condizioni non di mercato, ma potrà
apportare know-how ed esperienza e concorrere a strutturare le operazioni.
Potrà anche coinvolgere i privati se si verificano le condizioni di favore di cui al
punto successivo.
5) Occorre attuare le previsioni già incluse in una norma di legge (art. 29
D.Lgs. 460/97) di emissione dei titoli di solidarietà sottoscritti dai privati
ed eventualmente da enti e imprese.
Vi sono infatti nicchie di risparmiatori motivati dal punto di vista etico e disposti
a mettere a disposizione del sistema finanziario i propri risparmi, con la garanzia del rimborso, ma accettando remunerazioni più basse rispetto a quelle di
mercato se la differenza è destinata a enti senza fini di lucro, cioè a finalità etiche. Ci vuole un po’ di fantasia organizzativa e si otterrebbe successo, ma non
basta. Occorre che la norma sia completata con la previsione di deducibilità
fiscale e con le autorizzazioni degli organi centrali del credito. Naturalmente
occorre dire, in aggiunta, che andrebbero studiate bene anche le modalità di
erogazione agli enti, di modo che vi sia un’equa distribuzione dei proventi liberali raccolti sul mercato finanziario.
6) Con riferimento alle esigenze di finanziamento a breve, vanno incentivata la costituzione di enti di II livello, a supporto dei soggetti non profit
loro associati.
In particolare andrebbe promossa, e sostenuta, la costituzione di consorzi-fidi,
(così come è avvenuto e avviene per le piccole e medie imprese), con lo scopo di garantire l’affidamento di breve periodo degli enti, per sostenere l’elasticità di cassa e gli impegni di esercizio corrente.
7) Occorre regolamentare le pratiche di pubblicità commerciali con ristorni
in varia forma a enti non profit (cause related marketing).
Si tratta, infatti, di pratiche in sé generalmente meritevoli, ma che, proprio per
le ragioni etiche che le promuovono, devono risultare trasparenti al massimo.
Occorre anche che esse rientrino in un quadro di coordinamento delle erogazioni liberali. Altrimenti si corre il rischio di donare “ai soliti noti”, concentrando
risorse solo su una parte del sistema non profit, a danno di chi non sa, o non
può, fare tali pratiche di marketing complesse.
15
8)
Il tema dell’ordine del “mercato della raccolta fondi” è, poi, più ampio.
Tutte le richieste, ed in particolare le campagne di stampa e televisive
di raccolta fondi, andrebbero regolate e coordinate.
È, questo, un compito affidato anche alla Agenzia delle O.N.L.U.S. Tale
tema, però, è troppo rilevante e va fatto proprio da tutte le organizzazioni del
Terzo Settore.
In effetti su questo peculiare mercato vi è una forte confusione legata ad
asimmetrie informative che caratterizzano le varie iniziative e le attività dei
singoli enti. Una soluzione facile non c’è, ma andrebbe cercata, con l’apporto di tutte le rappresentanze del Terzo Settore, individuando soluzioni nella
direzione dell’autodeterminazione del mondo non profit el suo complesso.
Il coordinamento delle raccolte fondi è un argomento che non può essere
lasciato al caso, altrimenti si assisterà ad un peggioramento della situazione
di “giungla” attuale, con rischi di scandali, o comunque, di danni per l’intero
sistema, e quindi per le attività non profit del Paese.
9)
Un tema non secondario è costituito dalla necessità di formazione specifica, sia per coloro che lavorano negli enti erogatori, che nella
Pubblica Amministrazione, che negli enti non profit.
Il settore è particolare, e l’approccio professionale deve essere fatto tenendo
presente le caratteristiche gestionali degli enti non profit, che divergono sia
da quelli delle imprese, che da quelli della Pubblica Amministrazione.
Occorrerebbe che, tali caratteri fossero presentati nei corsi di Economia
aziendale in modo trasversale rispetto ai vari curricula degli studenti 7, per
creare professionalità idonee, sia per gli enti erogatori che per quelli riceventi.
10) Infine occorre sempre ricordare come sia fondamentale per gli enti il
tema della trasparenza, meglio dell’accountability.
“Per accountability si intende la trasparenza degli enti nei confronti della
comunità di riferimento, da cui nascono e per cui esistono: si intende in particolare quel dovere morale, prima che giuridico, di rendere conto del proprio
operato nei confronti della comunità locale, che ne fruisce i servizi e che partecipa al sostegno delle iniziative non profit erogando contributi, svolgendo
attività di volontariato, ecc.”.
Si ricorda, infatti, che la risorsa fondamentale delle organizzazioni non profit
7
Si veda in proposito l’intervista rilasciata a « Vita » dal Prof. Angelo Provasoli, Rettore
dell’Università Bocconi nel febbraio 2005.
16
di tutto il mondo è proprio la fiducia che la comunità di riferimento nutre nei
confronti delle organizzazioni, fiducia che va costruita con il “bene agire”, ma
anche utilizzando la leva di una comunicazione trasparente nei confronti della collettività che l’ente per statuto ha deciso di servire 8”.
Il tema della trasparenza va incentivato con la previsione di figure professionali quali i revisori sociali all’interno degli enti e con altre forme di certificazioni provenienti da enti accreditati, quali l’Istituto della Donazione o altre agenzie costituite nel Terzo Settore.
Possiamo concludere sul tema che la trasparenza, oltre a tutto, conviene al
non profit, in quanto l’atteggiamento di apertura verso i donatori è garanzia di
fiducia e, quindi, pone le basi per nuove erogazioni liberali in futuro.
8
Rapporto 2002 Ambrosianeum, Il Sole 24 Ore, pag. 297.
17
“PIÙ DAI MENO VERSI”: UN NUOVO COLLEGAMENTO TRA IL
MONDO DELLE IMPRESE E IL SETTORE DEL NON PROFIT
Dott. Corrado Colombo
Componente Commissione “Pubblica Utilità, Sociale ed Enti No Profit”
1. “Più dai, meno versi”
Nel Decreto Legge “sulla produttività” è stata introdotta una nuova disposizione in
materia di deducibilità delle erogazioni liberali, comunemente conosciuta sotto la
denominazione “Più dai meno versi”. Tale disposizione, che risulta nuova non
tanto per la diversità dei meccanismi rispetto alla precedente disciplina, quanto
per le misure e gli importi, ha la specifica finalità, rintracciabile nelle logiche del
provvedimento e nel tipo di erogazione che viene privilegiata, di aprire un canale
di collegamento più ampio di quelli precedenti tra il mondo delle imprese, specialmente le piccole, e il Terzo Settore.
Il D.L. 14 marzo 2005, n. 35 è entrato in vigore il 17 marzo 2005 ed è stato convertito con modificazioni dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80; la circolare n. 39/E
del 19 agosto 2005 dell’Agenzia delle Entrate, ha fornito un quadro interpretativo
definito, per quanto non completo e scevro da dubbi e forzature.
Gli operatori, comunque, possono usufruire di questo nuovo strumento normativo già a partire dall’esercizio 2005. Per le aziende esso rappresenta un’opportunità importante per attuare iniziative di responsabilità sociale fiscalmente convenienti e per gli operatori non profit risulta essere un incentivo allo sviluppo del
fund raising.
Con il presente articolo, si intendono riassumere gli elementi fondamentali del
provvedimento, indicando le questioni aperte e le interpretazioni possibili.
19
2. I destinatari delle erogazioni
Il provvedimento ha lo scopo di agevolare le erogazioni liberali ad alcuni soggetti
del Terzo Settore procurando ai donatori un risparmio di imposta valevole ai fini
delle imposte sul reddito IRES e IRPEF.
Quali sono i soggetti che possono ricevere le erogazioni? Rispetto ad una
platea ormai molto larga di destinatari delle erogazioni liberali deducibili o detraibili, esito del sovrapporsi di provvedimenti particolari succedutisi nel tempo, la
nuova norma sceglie di privilegiare solo alcuni soggetti:
• le organizzazioni di volontariato iscritte ai relativi registri regionali e provinciali, in quanto O.N.L.U.S. di diritto;
• le organizzazioni non governative riconosciute idonee ai sensi della
Legge 49 del 1987, anch’esse rientranti nella categoria delle O.N.L.U.S. di
diritto;
• le cooperative sociali costituite ai sensi della legge 381/91, regolarmente
iscritte all’Albo delle società Cooperative nell’apposita categoria ex D.M. 23
giugno 2004 articolo 4, e i loro consorzi formati interamente da cooperative
sociali, anch’essi O.N.L.U.S. di diritto;
• le O.N.L.U.S. per scelta, ossia gli enti che, esercitando la loro attività nelle
categorie previste dall’art. 10 del D.Lgs. 460/97 ed uniformando i loro Statuti
alle condizioni previste dalla normativa predetta, si sono considerati
Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale ed hanno presentato l’apposita comunicazione prevista dall’art. 11 del D.Lgs. 460/97 (una volta effettuata la comunicazione, questi enti, se non hanno ricevuto risposte negative nei quaranta giorni successivi al ricevimento della comunicazione da
parte della Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, sono iscritti di
diritto alla relativa Anagrafe Unica tenuta dall’Ufficio delle Entrate);
• le cosiddette O.N.L.U.S. parziali, ossia gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese e le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all'articolo 3,
comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno, che possono essere
considerati O.N.L.U.S. limitatamente all’esercizio delle attività elencate alla
lettera a) del primo comma dell’art. 10 del D.Lgs. 460/1977 e a condizione
che per tali attività siano tenute separatamente le scritture contabili prescritte (ad esempio, le parrocchie che svolgono attività di assistenza sociale);
• le associazioni di promozione sociale ex Lege 383/2000, iscritte al registro nazionale previsto dai commi 1 e 2 dell’art. 7 della stessa legge;
20
• le fondazioni e associazioni riconosciute aventi per oggetto statutario la
tutela, promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico
e paesaggistico, di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
A proposito delle associazioni di promozione sociale, che, come è noto, sono
organizzazioni numerose e molto diffuse sul territorio nazionale, (sovente costituite da circoli / associazioni aderenti ad associazioni o federazioni di livello nazionale), si era posta la domanda dell’estensione delle agevolazioni alle singole
associazioni aderenti.
La risposta è stata data in senso positivo dalla circolare di agosto, che ha chiarito che anche i livelli di organizzazione territoriale ed i circoli affiliati delle associazioni di promozione sociale iscritte al registro nazionale di cui sopra, in quanto
aventi diritto ad automatica iscrizione nel medesimo registro, sono compresi tra i
soggetti destinatari delle erogazioni liberali. Quindi potranno beneficiare dell’agevolazione tutti i livelli periferici delle grandi organizzazioni di promozione sociale,
ossia quelle diffuse in almeno cinque regioni e venti province, mentre rimangono
escluse le associazioni di promozione sociale aventi ambito di attività regionale
ed iscritte nei registri regionali.
In proposito ricordiamo che, ai sensi dell’articolo 5 del DM 14 novembre 2001
n.471, “il diritto di automatica iscrizione delle articolazioni territoriali e dei circoli
affiliati alle associazioni nazionali, di cui all'articolo 7, comma 3, della legge, si
attua attraverso certificazione del Presidente nazionale attestante l'appartenenza
dei suddetti soggetti all'associazione nazionale medesima e la conformità dei loro
statuti ai requisiti di legge; alla certificazione è allegato l'elenco dei soggetti affiliati con l'indicazione dei loro legali rappresentanti.”
3. I soggetti che possono beneficiare della deducibilità
I soggetti eroganti, ossia quelli che possono beneficiare della deducibilità delle
somme erogate, sono i seguenti:
• tutte le persone fisiche;
• tutti i soggetti all’imposta sul reddito delle società (IRES), ossia le società di
capitali, le società cooperative, gli enti commerciali, gli enti non commerciali, gli enti non residenti.
Il ventaglio delle possibilità appare completo, anche se risultano esclusi i soggetti “intermedi”, ossia le società di persone e gli studi associati, che non sono distin21
ti soggetti di imposta mentre lo sono i singoli soci, e questo dovrà essere tenuto
presente soprattutto nel momento della effettuazione dei bonifici o dell’emissione
degli assegni che, come vedremo, sono le modalità di pagamento previste dalla
normativa in quanto devono lasciare traccia del soggetto versante.
Un breve confronto rispetto alla normativa previgente più simile e completa, che è
quella prevista dal D.Lgs. 460 nei confronti delle O.N.L.U.S., attualmente rappresentata dagli articoli 15, 56, 100 e 147 del Testo Unico delle imposte dirette, conferma:
• come evidenziato sopra, l’esclusione dal beneficio delle società di persone
(che possono invece godere della normativa sulle erogazioni liberali specifica nella determinazione del reddito di impresa);
• l’esclusione da ogni agevolazione delle erogazioni effettuate dagli studi professionali in forma associata.
Come vedremo, esaminando la convenienza ad utilizzare l’agevolazione da parte
di varie “categorie” di donatori, la platea “universale” dei soggetti abilitati ad effettuare le donazioni si restringe se si considerano i soggetti che hanno effettiva convenienza ad effettuare l’erogazione utilizzando la normativa nuova e non quella
previgente.
4. Il meccanismo dell’agevolazione
Per tutti i soggetti che possono beneficiare della riduzione di imposta connessa
alle erogazioni liberali effettuate, il meccanismo di funzionamento è unico e consiste nella deduzione dal reddito complessivo di una cifra pari a quella erogata, a
condizione che tale cifra sia inferiore o al massimo pari al 10% del reddito complessivo del soggetto erogante, e, comunque, non superiore ad un massimo di
70.000 Euro.
L’entità effettiva della agevolazione, che si concretizza in una riduzione del reddito complessivo lordo, che porta poi alla determinazione del reddito imponibile
(che, come è noto, rappresenta appunto il reddito complessivo al quale sono stati
sottratti gli oneri deducibili), dipende quindi dalla aliquota applicabile al reddito
imponibile stesso, calcolata “come se” la deduzione rappresentata dalle erogazioni liberali non potesse essere applicata.
In presenza di un’imposizione progressiva sulle persone fisiche e proporzionale
sulle persone giuridiche, quindi, l’entità dell’agevolazione consiste:
22
• in una percentuale dell’erogazione liberale effettuata variabile dal 23% al
43%, comprensiva del contributo di solidarietà introdotto dalla finanziaria
2005 (Legge 30 dicembre 2004, n. 311), per le persone fisiche, a cui si
somma il risparmio sulle addizionali regionali e comunali (se esistenti) in
quanto anch’esse si applicano al reddito complessivo al netto degli oneri
deducibili riconosciuti ai fini dell’Irpef stessa;
• in una percentuale fissa del 33% per i soggetti IRES, percentuale che si
riduce in casi particolari (come, per esempio nel caso di applicazione della
riduzione a metà dell’imposta prevista dall’art. 6 del D.P.R. 601/1973).
5. Chi guadagna e chi perde con la nuova normativa
Se si confronta il meccanismo introdotto dalla nuova normativa con la situazione
precedente, utilizzando per il confronto le disposizioni già in vigore a vantaggio
delle O.N.L.U.S., si rilevano differenze, non soltanto positive, negli effetti dell’agevolazione.
Tale confronto non ha solo valore accademico, in quanto la nuova normativa non
sostituisce, ma si affianca, costituendo un’alternativa alla precedente e la modifica della propria situazione può sempre essere esito di una scelta liberamente
fatta dal contribuente.
Ricordiamo che nella disciplina precedente, ancora in vigore, relativa alle
O.N.L.U.S., le persone fisiche e gli enti non commerciali beneficiavano di una
detrazione di imposta pari al 19% su un massimo di 2.065,83 Euro, mentre le
imprese potevano usufruire di un onere deducibile dal reddito (quindi un risparmio pari al 33%) da applicarsi all’importo maggiore tra il 2% del reddito e
2.065,83 Euro.
A titolo di completezza ricordiamo, che, per le associazioni di promozione sociale
iscritte a tutti i registri (compresi quindi quelli regionali), la normativa precedente prevedeva per le persone fisiche e per gli enti non commerciali la detrazione del 19%
su un importo massimo di 2.065,83 Euro, mentre per le imprese l’onere deducibile
si applicava sull’importo maggiore tra il 2% del reddito e 1.549,37 Euro.
Traendo una serie di considerazioni dal semplice esame delle aliquote applicabili, si può tranquillamente affermare che l’applicazione della “Più dai meno versi” :
• sia sempre migliorativa per le persone fisiche, che passano dalla detrazione al 19% ad un guadagno pari all’aliquota marginale corrispondente al
23
proprio reddito, aumentata delle addizionali regionali e comunali. È vero che
la “quota fissa” sino a 2.066 Euro può rappresentare teoricamente una percentuale maggiore del 10% del reddito, ma questo fatto si verifica sostanzialmente per i soli redditi inferiori a 20.000 Euro, che – pur tenendo presente che questa cifra è da intendersi al netto delle deduzioni spettanti ai titolari di lavoro dipendente o pensione e quelle spettanti per assicurare la progressività dell’imposizione – caratterizzano soggetti che difficilmente possono eseguire liberalità di importo rilevante;
• non sia migliorativa per i soggetti IRES che non sviluppano redditi
imponibili rilevanti, in quanto non è caratterizzata da una soglia fissa di
partenza come per le O.N.L.U.S.; tralasciando i soggetti con redditi nulli o
negativi, a riguardo dei quali si possono fare le medesime considerazioni
precedentemente svolte per le persone fisiche con redditi bassi, ricordiamo
che questo può avvenire per l’esistenza di agevolazioni nella formazione del
reddito (ad esempio, per le società cooperative a mutualità prevalente)
ovvero in presenza di redditi di impresa di enti a ristretta base societaria che
si “trasformano” in stipendi o compensi erogati ai soci;
• sia sicuramente migliorativa per gli enti e le società aventi un reddito
compreso tra i 20.000 e i 700.000 Euro, ambito al quale di fatto la normativa si rivolge in modo privilegiato, cercando all’interno della piccola e media
impresa dotata di significativa redditività la possibilità di finanziare il non
profit in modo robusto e rilevante anche fiscalmente. Certamente un soggetto non profit che riesce a coagulare attorno a sè un gruppo “affezionato” di
aziende desiderose di appoggiarlo può contare su un flusso di erogazioni
esentasse non indifferente;
• sia indifferente per redditi tra 700.000 e 3.500.000 Euro e peggiorativa
rispetto ai redditi maggiori, in quanto il “tetto” imposto attacca, sino ad
annullare, la differenza tra la percentuale del reddito sinora concessa e quella introdotta; il che non rende la disposizione attrattiva per i grandi contribuenti (banche, grandi imprese) che continueranno ad utilizzare le disposizioni precedenti; anche nella fase intermedia, più si avvicina a redditi alti, più
peseranno le condizioni imposte all’ente donatario e la corrispondente
responsabilità attribuita al donante, di cui si parlerà diffusamente più avanti.
Proviamo a rendere concrete le considerazioni di cui sopra esaminando un confronto effettivo nel rapporto tra importo erogato e beneficio fiscale ottenuto.
Naturalmente, per semplificazione, si consideri l’ipotesi di persone disposte a
24
donare il massimo dell’importo erogabile, ipotesi che specialmente tra le persone
fisiche non troverà grandi seguaci e che quindi dovrà essere “ponderata” attentamente nella valutazione delle differenze.
5.1 Erogozioni liberali effettuate da Persone Fisiche
Si inizi con l’esame di una simulazione relativa alle persone fisiche, tenendo presente che:
• il reddito complessivo utilizzato per il confronto deve tener conto delle deduzioni di cui all’articolo 11 del Testo Unico, che riguarda sostanzialmente i
redditi sino a 26.000 Euro. Nel calcolo si computano i numerosi correttivi
previsti dal medesimo articolo;
• le deduzioni per carichi familiari spostano ulteriormente in avanti la soglia di
formazione del reddito imponibile, anch’esse con influenza notevole nei redditi bassi e progressivamente in diminuzione sino a 78.000 Euro;
• nel conteggio del risparmio di imposta occorre aggiungere il risparmio sulle
addizionali regionali e comunali.
TABELLA DI CONFRONTO
EROGAZIONI EFFETTUATE DA PERSONE FISICHE
Erogazioni liberali ONLUS
“Più dai meno versi”
Reddito
in Euro
Erogazione
max
Risparmio
Erogazione
max
Risparmio
Aliquota
marginale
Differenza
20.000
30.000
40.000
50.000
60.000
70.000
80.000
90.000
100.000
110.000
120.000
130.000
140.000
300.000
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
393
393
393
393
393
393
393
393
393
393
393
393
393
393
2.000
3.000
4.000
5.000
6.000
7.000
8.000
9.000
10.000
11.000
12.000
13.000
14.000
30.000
460
990
1.560
1.950
2.340
2.730
3.120
3.510
3.900
4.730
5.160
5.590
6.020
12.900
23%
33%
39%
39%
39%
39%
39%
39%
39%
43%
43%
43%
43%
43%
67
597
1.167
1.557
1.947
2.337
2.727
3.117
3.507
4.337
4.767
5.197
5.627
12.507
25
Come si può vedere, la persona fisica ha, fatte salve le considerazioni di cui
sopra per i redditi bassi, una situazione di deducibilità migliore in qualsiasi posizione reddituale si trovi, anche per il considerevole effetto del passaggio dalla
detrazione alla deduzione.
Occorre, peraltro, notare che il risparmio diventa realisticamente significativo a
partire da erogazioni di qualche migliaio di euro, e che, quindi, non sia importante per l’insieme di “piccole” donazioni che attualmente molti enti, i più noti e attivi
nel fund raising di alto livello comunicativo, raccolgono tra il pubblico indistinto.
Per comprendere gli effetti derivanti da erogazioni di importi differenti dai massimi previsti, si illustrano alcuni esempi pratici:
Esempio a: persona fisica con reddito di 40.000 Euro, che effettua una erogazione di 400 Euro tramite bollettino di conto corrente postale: poiché l’erogazione
rimane al di sotto della soglia di deducibilità in entrambi i regimi: il guadagno è di
64 Euro (deduzione di 156 Euro contro 92) ed è dato unicamente dalla differenza
tra detrazione 19% e deduzione dall’imponibile.
Esempio b: persona fisica con reddito di 120.000 Euro, che effettua una erogazione di 3.000 Euro: il guadagno di 897 Euro, dato dalla differenza tra la deduzione precedente (393 Euro) e quella portata dalla nuova normativa (1.290 Euro), è
sensibile in quanto l’erogazione supera il massimo deducibile con la vecchia
norma (2.066 Euro) e questo effetto si somma con l’effetto delle differenti aliquote.
Esempio c: persona fisica con reddito di 300.000 Euro che effettua una donazione di 20.000 Euro: il risparmio fiscale passa da 393 a 8.600 Euro, con un miglioramento di 8.207 Euro.
5.2 Erogazioni liberali effettuate da persone giuridiche
L’esame della simulazione sulle persone giuridiche, ossia sui soggetti che pagano l’IRES, precisa meglio alcune osservazioni fatte precedentemente, ossia:
• esiste una fascia più ampia di soggetti, non dotati di reddito particolarmente elevato, per i quali le due disposizioni, la vecchia e la nuova, sono sostanzialmente equivalenti, e che potrebbero preferire la precedente per le minori responsabilità previste dal sistema sanzionatorio;
26
• le imprese con redditività alta, ma non altissima, sono le più avvantaggiate,
potendo detrarre erogazioni significative e vedendo molto migliorata la propria posizione di deducibilità fiscale;
• sopra una soglia di reddito di 700.000 Euro, e progressivamente sino a 3,5
milioni di Euro la nuova disposizione perde efficacia per effetto del tetto di
70.000 Euro che rende progressivamente più appetibile l’importo del 2%.
TABELLA DI CONFRONTO
EROGAZIONI EFFETTUATE DA PERSONE GIURIDICHE
Erogazioni liberali ONLUS
“Più dai meno versi”
Reddito
in Euro
Erogazione
max
Risparmio
Erogazione
max
Risparmio
Differenza
10.000
20.000
30.000
40.000
50.000
60.000
70.000
80.000
90.000
100.000
200.000
500.000
700.000
1.000.000
1.500.000
2.000.000
3.000.000
3.500.000
4.000.000
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
2.066
4.000
10.000
14.000
20.000
30.000
40.000
60.000
70.000
80.000
682
682
682
682
682
682
682
682
682
682
1.320
3.300
4.620
6.600
9.900
13.200
19.800
23.100
26.400
1.000
2.000
3.000
4.000
5.000
6.000
7.000
8.000
9.000
10.000
20.000
50.000
70.000
70.000
70.000
70.000
70.000
70.000
70.000
330
660
990
1.320
1.650
1.980
2.310
2.640
2.970
3.300
6.600
16.500
23.100
23.100
23.100
23.100
23.100
23.100
23.100
- 352
- 22
308
638
968
1.298
1.628
1.958
2.288
2.618
5.280
13.200
18.480
16.500
13.200
9.900
3.300
–
- 3.300
Anche in questo caso alcuni esempi possono aiutare ad approfondire il tema:
Esempio d: cooperativa con reddito imponibile di 15.000 Euro che effettua una
erogazione di 2.500 Euro. Con la vecchia normativa recuperava 682 Euro; con la
nuova 495 Euro, con uno sbilancio a sfavore di 187 Euro.
Esempio e: S.r.l. con reddito di 80.000 Euro, che effettua erogazione di 20.000
27
Euro, in quanto i soci hanno deciso di destinare alla Associazione una quota rilevante dei propri utili. Da 682 Euro passa a risparmiarne 2.640, con guadagno di
1.958.
Esempio f: grande azienda con un reddito imponibile di 2 milioni di Euro che
effettua uno stanziamento a favore del non profit 50.000 Euro. Con la normativa
precedente il risparmio di imposta era di 13.200 Euro, ora diventa di 16.500 con
un miglioramento di 3.300 Euro. Anche in questo caso il risparmio teorico diventa minore nel momento in cui il rapporto tra reddito prodotto e erogazioni effettuate diverge dal 10% previsto dalla legge.
Esempio g: grande azienda con reddito imponibile di 15 milioni di Euro, ammontare erogato 100.000 Euro: l’importo deducibile con la vecchia normativa (l’intero
importo) si scontra con il massimale di 70.000 Euro del “Più dai meno versi” e
porta ad una perdita secca di 10.000 Euro circa (33% di 30.000).
Ricordiamo che le erogazioni liberali non hanno alcun effetto di deducibilità ai fini
dell’IRAP.
6. Le erogazioni in natura
Una specificità della normativa “Più dai, meno versi”, rispetto alle normative precedenti, è data dall’equiparazione generale dell’erogazione in natura a quella in
denaro; tale equiparazione trova la sua radice nel testo di legge laddove si afferma “le erogazioni in denaro o in natura....”
Quest’equiparazione interviene in una situazione nella quale, per ragioni di coordinamento con la complessa normativa avente per oggetto la destinazione dei
beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, le erogazioni in natura, previste
dall’articolo 13 del D.Lgs 460/97, erano soggette a limiti e modalità complesse
che di fatto ne rendevano difficile l’effettuazione. In particolare:
• le erogazioni erano limitate ai beni alla cui produzione o al cui scambio è
diretta l’attività di impresa;
• le erogazioni erano soggette a comunicazione preventiva all’Ufficio delle
Entrate competente;
• le erogazioni erano valutate al costo specifico.
La nuova normativa non tratta specificatamente il problema, quindi non pone alcuno dei vincoli previsti dal D.Lgs. 460/97, e la circolare conferma una sostanziale
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“deregulation” sulla vicenda, salvo il fatto che non viene affrontata la problematica del rapporto tra l’erogazione in natura e le scritture contabili, sia del donatario,
che del donatore. In sostanza, le novità sono le seguenti:
1. non viene più operata la distinzione tra beni merce e beni strumentali,
potendo tutti i beni essere donati senza eccezione;
2. l’erogazione in natura esce dall’ambito ristretto del reddito d’impresa, potendo essere effettuata anche da persone fisiche o da enti non commerciali; si
potrebbe addirittura ipotizzare la donazione di servizi;
3. il metodo di valorizzazione dei beni, coerente con l’ampliamento di cui
sopra, diventa il “valore normale”, inteso come corrispettivo mediamente
praticato per beni analoghi al medesimo stadio di commercializzazione,
eventualmente ricavabile da listini e tariffe o al limite attestato, per determinati beni (presumibilmente di alto valore), dalla stima di un perito;
4. viene, inoltre, richiesta al ricevente della donazione l’emissione di una ricevuta che contenga la descrizione analitica e dettagliata dei beni donati, con
l’indicazione dei relativi valori (valori alla cui definizione il ricevente è chiamato a collaborare).
7. Le condizioni della deducibilità
Le condizioni a cui le donazioni devono sottoporsi per la deducibilità sono sostanzialmente due:
1. la prima condizione è che il pagamento avvenga mediante uno dei mezzi
“trasparenti” già previsti per la deducibilità delle erogazioni alle O.N.L.U.S.
dalla previgente normativa: banca, ufficio postale, carte di credito e di debito,
assegni bancari e circolari, con la conseguente esclusione dei pagamenti per
cassa. Tale vincolo non è previsto espressamente dalla norma, ma viene
richiesto in base ad una interpretazione estensiva portata dalla Agenzia delle
Entrate nella più volte citata circolare 39/E. La legittimità dell’interpretazione
estensiva, nonché i suoi stessi presupposti (la circolare testualmente afferma
“in analogia a quanto previsto per la generalità delle erogazioni liberali… mentre in realtà il vincolo della modalità di pagamento è oggi esistente, nella normativa O.N.L.U.S., per le sole persone fisiche) sono da mettersi in dubbio, ma
della posizione dell’Amministrazione occorre tenere conto, almeno sino a
quando la stessa non venga, come si auspica, modificata.
2. la seconda condizione è costituita dalla tenuta, da parte del soggetto che
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riceve le erogazioni, “di scritture contabili atte a rappresentare con completezza e analiticità le operazioni poste in essere nel periodo di gestione nonché la redazione, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, di un
documento che rappresenti la situazione patrimoniale, economica e
finanziaria.”
Premesso che la circolare riconosce che la tenuta della contabilità ordinaria (in
partita doppia), prevista dall’art. 14 e seguenti del D.P.R. 600, garantisce l’adempimento di quanto richiesto dalla legge, essa illustra anche quando le scritture
possano essere considerate complete e analitiche, evidentemente per descrivere
quali scritture analitiche possano essere ritenute adeguate anche se non “sistematizzate” con il sistema ragionieristico della partita doppia.
Allo stesso modo, viene data la descrizione del documento che rappresenti la
situazione patrimoniale, economica e finanziaria. Dando per scontato che il bilancio steso a partire dalla contabilità in partita doppia, secondo ordinari principi contabili, sia anch’esso adeguato alle richieste della norma, le richieste minimali
sono:
• uno stato patrimoniale che fornisca una rappresentazione statica del patrimonio dell’ente (sostanzialmente un inventario), distinguendo le attività istituzionali, accessorie e di raccolta fondi (o, meglio, se esistono parti del patrimonio ad esse destinate, distinguendo queste ultime);
• un rendiconto gestionale che, secondo la circolare, è diverso dal conto economico, in quanto l’accento maggiore deve essere posto sul lato finanziario
della movimentazione (entrate e uscite), indicando solo “informazioni” di tipo
economico sulle tipologie di costi e ricavi.
La circolare richiede, inoltre, come auspicio, che gli enti stendano, come del resto
fa già la maggior parte degli stessi, una “relazione sulla gestione” che sia esplicativa dei dati di bilancio e li integri con informazioni non strettamente economiche
sulla attività.
La tenuta di una contabilità ordinaria secondo i canoni ragionieristici può diventare un adempimento oneroso, soprattutto per gli enti di piccole dimensioni che non
sono tenuti a particolari obblighi contabili (valga per tutti l’esempio delle organizzazioni di volontariato di cui alla legge 266/91); questo tema sarà ripreso nel prossimo intervento che approfondirà una modalità operativa che potrebbe conciliare
le esigenze della legge con le poche risorse a disposizione degli enti.
30
In ogni caso, non è indifferente il fatto che la deducibilità dell’onere da parte del
contribuente dipenda da un adempimento non suo, ma dell’ente che ne riceve la
donazione. Ma come può essere garantito il donante?
• La prima risposta che si può dare non è strettamente giuridica: abbiamo
visto che la legge intende promuovere un legame stabile e duraturo tra
imprese ed enti beneficiari, e, all’interno di un legame forte – l’unico che giustifica l’effettuazione di erogazioni rilevanti – sarà più semplice un rapporto
di fiducia basato sul fatto che il ricevente imposti e mantenga un sistema
contabile adeguato.
• La seconda risposta dovrebbe, comunque, cercarsi all’interno di un sistema
di “autocertificazione” che, a livello di responsabilità civile, ribalti sull’ente
inadempiente le eventuali conseguenze delle sue omissioni.
Ricordiamo, tra l’altro, che, nel caso delle cooperative sociali, l’esistenza di contabilità e bilancio sono desumibili dal deposito di quest’ultimo al Registro delle
Imprese, il che semplifica evidentemente ogni problema.
8. La scelta tra vecchie e nuove agevolazioni
Come osservato, la scelta dell’utilizzo delle vecchie o delle nuove agevolazioni, le
une alternative alle altre, è una facoltà del donante, e deve essere uniforme per il
singolo periodo di imposta.
9. Le sanzioni applicabili
Alle erogazioni liberali effettuate secondo la normativa “Più dai meno versi” e rivelatesi indeducibili, si applica un sistema sanzionatorio parzialmente modificato
rispetto all’impianto generale previsto dalla normativa in tema di imposte dirette
(D.Lgs. 471/1997).
• Se la detrazione o deduzione risulta superiore ai limiti di legge (70.000 Euro
e 10%), e tale fatto è riscontrabile al controllo automatico delle dichiarazioni
(fatto quest’ultimo che ordinariamente succede nel caso delle persone fisiche)
deve essere applicata la sanzione collegata alla liquidazione delle dichiarazioni ai sensi dell’art. 36 bis D.P.R. 600, che è quella prevista dall’art. 13 D.Lgs.
471/97, in quanto la detrazione viene automaticamente ridotta o eliminata in
sede di controllo. La sanzione in tal caso è pari al 30% dell’imposta evasa;
31
• Se la detrazione o deduzione risulta indebita, in quanto effettuata nei confronti di un soggetto che non abbia le caratteristiche richieste dalla legge,
ovvero sia effettuata senza le modalità prescritte, ovvero la detrazione/deduzione sia effettuata fuori dai limiti di legge in maniera non riscontrabile dalla
dichiarazione dei redditi, la sanzione è pari a quella prevista dall’art. 1 D.Lgs.
471/97 maggiorata del 200%, quindi è pari ad un importo che va da 3 a 6
volte l’imposta detratta;
• Se l’indebita detrazione è dovuta alla mancata tenuta della contabilità analitica da parte del ricevente, la sanzione torna alla misura ordinaria (pari ad
un importo che va da 1 a 2 volte l’imposta risparmiata).
Ricordiamo che, in ogni caso, tutte le sanzioni possono essere definite con
il procedimento agevolato – previsto dall’art. 16 del D.Lgs. 472/1997 –
mediante il pagamento di un terzo o un quarto della sanzione comminata,
successivamente all’irrogazione delle stesse e nei termini della proposizione del ricorso.
• Se la detrazione o la deduzione risulta indebita perché mancano, nell'ente
beneficiario dell'erogazione, i caratteri solidaristici e sociali dichiarati dall’ente in comunicazioni rivolte al pubblico o al donatore, l’ente e i suoi amministratori sono obbligati in solido con i donatori al pagamento delle maggiori
imposte e delle sanzioni.
Secondo la circolare ministeriale, tale fattispecie si avvera quando l’appartenenza ad una delle categorie privilegiate (ad esempio, l’iscrizione ai registri del volontariato o all’Anagrafe unica delle O.N.L.U.S.) sia comunicata ai
soggetti erogatori o in genere al pubblico.
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OBBLIGHI CONTABILI TRA PRINCIPIO DI TRASPARENZA
ED ESIGENZE DI SEMPLIFICAZIONE
Dott. Gian Mario Colombo
Componente Commissione ”Pubblica Utilità, Sociale ed Enti No Profit”
1. Gli obblighi contabili come strumento di trasparenza
L’emanazione del D.Lgs. 460/1997, istitutivo delle O.N.L.U.S., ha segnato un
punto di svolta non solo per quanto riguarda i regimi speciali all’interno della categoria degli enti non commerciali, ma ha altresì evidenziato un principio fondamentale: a fronte di agevolazioni fiscali importanti è necessario garantire la trasparenza nell’utilizzo delle risorse ricevute, mediante l’implementazione di un sistema
contabile adeguato.
Per questo motivo, si dispone (vedi art. 25 del D.Lgs. 460/97) il superamento
del principio generale che regola la tenuta delle scritture contabili degli enti non
commerciali (vedi art. 20 del D.Lgs. 600/73), secondo il quale per tali enti l’obbligo contabile sorge allorché vi è esercizio abituale di attività commerciale. Nel
caso di O.N.L.U.S., come vedremo, è fatto obbligo di tenere una contabilità complessa (vedi il c.1, lett.a) dell’art. 25 del D.Lgs. 460/97) anche per l’attività istituzionale.
Se poi si va ad esaminare, come faremo nel successivo paragrafo, il ruolo che
viene assegnato agli obblighi contabili nel momento in cui si voglia usufruire delle agevolazioni fiscali, previste dalla legge in esame, si compie un ulteriore passo analitico, rilevando che la direzione prescelta dal legislatore è quella di rendere più penetranti gli obblighi contabili in funzione antielusiva rispetto alla regola, già severa, contenuta nel c.1, lett. a) dell’art. 25 di cui si è detto sopra. È prevista, per tutte le organizzazioni che intendono avvalersi dei benefici di cui all’art.
14 c.1 della Legge 14 maggio 2005, n. 80, la tenuta di una contabilità ordinaria,
33
non essendo più ammesse le semplificazioni contabili previste dal c.4 dell’art. 25
del D.Lgs. 460/97 per le organizzazioni di piccole dimensioni.
Da quanto detto sopra, emerge che si stabilisce una sorta di patto tra fisco
e contribuente: quanto più le agevolazioni fiscali aumentano, tanto più, allo
scopo di evitare abusi, occorre rendere stringenti gli obblighi contabili e i controlli.
Se si vuole andare oltre i controlli di legittimità e superare gli aspetti formali, per
arrivare a fare dei controlli sostanziali che garantiscano la trasparenza nella
gestione delle risorse pervenute tramite le donazioni, la strada maestra è quella
di esigere una contabilità correttamente tenuta e la redazione di un bilancio in grado di dare conto dell’andamento della gestione nel modo più adeguato.
Il raggiungimento di questo risultato non può, però, avvenire a caro prezzo
per le O.N.L.U.S., come accadrebbe nell’ipotesi in cui gli oneri contabili per ottenere le agevolazioni fiscali siano onerosi al punto da costringere alcune organizzazioni di piccole dimensioni a rinunciare alla fruizione delle liberalità per il semplice fatto di non essere in grado di sostenere un impianto contabile complesso e
costoso, come quello voluto dalla legge in esame.
2. Le disposizioni contenute nell’art. 14 del D.L. 35/05 convertito con modificazioni nella Legge 14 maggio 2005, n. 80
2.1 Gli obblighi contabili delle O.N.L.U.S.
Il legislatore è ritornato sul tema della contabilità e del bilancio delle O.N.L.U.S.,
in funzione antievasiva ed antielusiva, anche di recente, in occasione della emanazione di una nuova norma agevolativa, tendente ad incentivare il finanziamento delle organizzazioni non lucrative di cui sopra.
Con riferimento al nostro argomento, è importante, anzitutto, sottolineare che la
tenuta di corrette scritture contabili è presupposto per godere delle agevolazioni
fiscali previste dalla norma (vedi c.2, dell’art. 14 della Legge 80/2005).
Per comprenderne la portata sarà utile contrapporre nella loro versione letterale
le due norme interessate (art. 25 del D.Lgs. 460/97 ed art. 14 della Legge 14 maggio 2005, n. 80).
Il comma 2, dell’art. 14 dispone che “costituisce in ogni caso presupposto per l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 la tenuta da parte del soggetto che
34
riceve le erogazioni di scritture contabili atte a rappresentare con completezza e
veridicità le operazioni poste in essere nel periodo di gestione, nonché la redazione, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio di un apposito documento che
rappresenti adeguatamente la situazione patrimoniale, economica e finanziaria...”.
Si riporta ora il c. 1, lett. a dell’art. 25 del D.Lgs. 460/97 (‘Scritture Contabili delle
Organizzazioni non Lucrative di Utilità Sociale’): “in relazione all’attività complessivamente svolta [le O.N.L.U.S. devono] redigere scritture contabili cronologiche e
sistematiche atte ad esprimere con completezza ed analiticità le operazioni poste
in essere in ogni periodo di gestione e rappresentare adeguatamente un apposito
documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale la
situazione patrimoniale, economica e finanziaria della organizzazione…”.
Come si vede, nella sostanza, le due norme non si discostano l’una dall’altra e si
riassumono nei seguenti punti principali:
– tenuta di scritture contabili complete ed analitiche, rappresentative dei fatti
di gestione;
– redazione entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio della situazione
patrimoniale, economica e finanziaria.
2.2 I chiarimenti forniti dalla Circolare Ministeriale dell’Agenzia delle Entrate
La Circolare Ministeriale 39/E del 2005, esplicativa dell’art. 14 del Decreto
Legge del 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni nella Legge 14 maggio 2005, n. 80, a differenza di quanto avvenuto nella C.M. 168/E del 1998, chiarisce che cosa si deve intendere per completezza ed analiticità delle scritture contabili e, successivamente, aggiunge: “La completezza e l’analiticità delle scritture
contabili sono in ogni caso garantite dalla corretta tenuta della contabilità ordinaria ai sensi degli articoli 14 e seguenti del Decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre 1973, n. 600”.
Ciò significa che trovano applicazione, come avviene per gli enti non commerciali
che esercitano abitualmente attività commerciale, e sono in contabilità ordinaria, le
norme previste dal D.P.R. 600/73 per gli enti commerciali e le società e gli enti equiparati. Con la differenza che, per gli enti non commerciali tali disposizioni valgono
solamente per le attività commerciali esercitate, e sono obbligatorie al di sopra di
prefissati limiti di ricavi, mentre nel nostro caso, valgono sempre e comunque, indipendentemente dal tipo di attività esercitata e dalla dimensione delle stesse.
Per certi versi si ha, dunque, per il mancato coordinamento tra le norme, una
sovrapposizione rispetto a norme precedenti emanate sulla stessa materia (vedi
35
art. 25 del D.Lgs. 460/97), nonché un’estensione degli obblighi contabili propri delle O.N.L.U.S. ordinarie (art. 25, lett. a) e b) del DPR 600/73) a tutte le O.N.L.U.S.,
comprese le O.N.L.U.S. semplificate (vedi c. 3 e 4 del citato decreto).
A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 14, c. 1, tra i destinatari della norma non vi
sono solo le O.N.L.U.S. nelle loro diverse tipologie (O.N.L.U.S. “normali”,
O.N.L.U.S. di diritto, O.N.L.U.S. parziali), ma anche le associazioni di promozione
sociale (ex. L. 383/2000) iscritte al registro nazionale previsto dai commi 1 e 2 dell’art. 7, L. 383/2000, nonché le fondazioni e le associazioni riconosciute aventi per
oggetto statutario la tutela, promozione e valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
A questo punto, per valutare appieno la portata della affermazione di cui sopra,
sarebbe quanto mai utile, se vi fosse lo spazio sufficiente, esaminare la disciplina
che concerne gli obblighi contabili ai fini fiscali delle O.N.L.U.S. minori e degli enti
non commerciali, categoria nella quale, in prima approssimazione, vanno inquadrati gli enti non O.N.L.U.S. beneficiari della normativa in oggetto.
Per quanto riguarda le O.N.L.U.S. valgono le osservazioni contenute nei successivi paragrafi; relativamente agli enti non commerciali si fa rinvio all’art. 20 del DPR
600/73, nonché ai diversi regimi contabili, a seconda del fatturato annuo, per gli
enti in contabilità ordinaria (art. 14 segg.) e semplificata (art. 18).
3. Considerazioni critiche ed aspetti positivi della Circolare 39/E del 2005
dell’Agenzia delle Entrate
3.1 Considerazioni critiche
Fatto questo excursus che ci sembra necessario per apprezzare fino in fondo l’impatto concreto che l’impostazione ministeriale avrà sul mondo del non profit interessato alla normativa agevolativa di cui all’art. 14 della Legge in esame, si osserva, in estrema sintesi, che non sono condivisibili le affermazioni contenute nella
C.M. 39/E del 19 agosto 2005, secondo le quali:
• La completezza delle scritture contabili implica che ogni fatto gestionale dell’ente debba essere individuato con precisione, tramite l’indicazione delle
necessarie informazioni quali: numero d’ordine, data, natura dell’operazione, valore, modalità di versamento, soggetti coinvolti. Questa indicazione
contrasta con la regola contabile indirizzata dal c. 2 del citato art. 25 alle
O.N.L.U.S. parziali (Enti ecclesiastici e Associazioni di Promozione Sociale)
in base alla quale le disposizioni si applicano limitatamente alle attività
36
richiamate dallo stesso art. 10, c. 1, lettera a) e non a tutta l’attività dell’ente, nonché con il principio generale già richiamato in tema di obblighi contabili fiscali degli enti non commerciali, il quale prevede che tale obbligo sussista limitatamente all’attività commerciale esercitata. Non a caso il Testo
Unico prevede per gli enti non commerciali l’utilizzo della contabilità separata (art. 144, c.2).
• Come è stato dimostrato nelle pagine precedenti, la disposizione di legge
(art. 14), ribadita dalla circolare in esame, stabilisce l’obbligo di tenere una
complessa contabilità a tutti i soggetti beneficiari di erogazioni liberali sopra
specificati prescindendo dalla loro natura giuridica e dalle loro dimensioni
reddituali; il che si scontra con le regole contabili speciali stabilite al comma
1 del citato art. 25 (di rimando ai commi 3 e 4 art. 20bis, DPR 600/73) indirizzate alle O.N.L.U.S. di diritto (Organizzazioni di Volontariato e Organizzazioni Non Governative) ed alle O.N.L.U.S. minori (che abbiano, cioè, conseguito proventi annui inferiori a 100 milioni di lire) in base alle quali questi
possono tenere, in luogo delle scritture contabili previste “… il rendiconto
delle entrate e delle spese complessive …” ex art. 20 del DPR 600/73.
• “...restano fermi, continua la circolare, gli ulteriori obblighi contabili previsti
da altre disposizioni fiscali a carico delle O.N.L.U.S. …”. Si fatica a capire di
cosa possa in realtà trattarsi, visto che la circolare non fornisce alcun elemento ulteriore rispetto a quanto già conosciuto: “Ovviamente – si dice
ancora nella circolare – l’obbligo di tenere la contabilità sopra ricordata non
vale per l’applicazione delle altre disposizioni intese ad agevolare le erogazioni liberali, quali, … ad esempio, quella recata all’art. 15, c.1, (lett. i-bis)
del T.U.I.R.”. Il che non è vero in senso assoluto in quanto venendovi,
comunque, coinvolte le O.N.L.U.S., queste dovranno, come di norma,
assolvere tutti gli adempimenti tributari prescritti (inclusi appunto gli obblighi
contabili “a pena di decadenza dei benefici fiscali per esse previsti”, comma
1, cpv, art. 20bis DPR 600/73).
• Come già per la disciplina contabile delle O.N.L.U.S. (art. 25 del D.Lgs.
460/97), la norma in esame (art. 14 della Legge 80/2005) non indica il metodo di tenuta delle scritture contabili, limitandosi a richiedere l’esistenza di
alcune caratteristiche (completezza ed analiticità).
Se si tiene, tuttavia, conto anche dell’esigenza prevista dalla norma di redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un documento in grado di rappresentare la situazione finanziaria, economica e patrimoniale dell’ente, non vi è alcun dubbio che il ricorso al metodo della partita doppia è
37
senz’altro preferibile, anche se non obbligatorio.
In questo senso, ci sembra vadano interpretate anche le espressioni contenute nella C.M. 39/E: “occorre ricordare che tale documento può assumere
forma simile a quella di un vero e proprio bilancio …”. “Il documento richiesto dalla norma – continua la Circolare – potrebbe essere rappresentato da
Stato Patrimoniale e Rendiconto Gestionale”. Ed aggiunge: “per l’ente è
comunque auspicabile predisporre anche una relazione sulla gestione”.
• Da ultimo, facciamo notare che, anche qualora si sia scelta l’impostazione
contabile adeguata (come suggerito dalla circolare) per la nuova deduzione
di imposta, rimane il problema, non risolto dalla legge, delle modalità che
l’ente può adottare per “certificare” che la propria contabilità sia correttamente tenuta e dare, quindi, maggiori certezze al soggetto erogatore.
Come, infatti, il soggetto erogatore come potrà verificare che l’ente ricevente tenga scritture contabili, rispettando il dettato normativo, stante la non
obbligatorietà di pubblicità del Bilancio delle O.N.L.U.S. diverse dalle società cooperative?
A ciò si aggiunga il fatto che non è possibile accertarsi della iscrizione dell’ente all’Anagrafe delle O.N.L.U.S., visto che l’elenco delle O.N.L.U.S. iscritte non è ad oggi pubblicato.
Ancora più difficile è verificare da parte del donante che il donatario nella
sua azione risponda ai criteri di solidarietà e socialità, come previsto dalla
legge (art. 14, c.4).
3.2 Aspetti positivi
Accanto a questi rilievi critici, la circolare contiene alcune pregevoli modificazioni circa la tenuta della contabilità, e, soprattutto, per la redazione del rendiconto.
È indubbiamente apprezzabile il fatto che l’Agenzia delle Entrate abbia accolto un
principio che da tempo si va facendo strada tra gli addetti ai lavori, e, cioè, che vi
è la più ampia libertà di forma, di struttura e di contenuto nella redazione del bilancio da parte degli enti non profit, e che lo schema di bilancio della IV Direttiva non
solo non è obbligatorio per questi enti, ma non è nemmeno il più idoneo a rappresentare i dati di sintesi della gestione degli enti non profit.
Per tali enti, infatti, scopo del bilancio non è tanto quello di dimostrare il risultato
economico dell’esercizio mediante la contrapposizione tra costi e ricavi (questi
ultimi spesso, peraltro, inesistenti in quanto i proventi, sono spesso dati dai contributi di enti pubblici o privati, da tariffe imposte, e quasi mai da prezzi di merca38
to), quanto piuttosto quello di tendere a dare delle informazioni sull’utilità economica prodotta dall’ente.
In questo senso, correttamente la Circolare non parla di “Bilancio d’esercizio”,
quanto piuttosto di “Rendiconto gestionale”.
Proseguendo la lettura del passo della Circolare appena citato, si trova un altro
interessante accenno alle caratteristiche gestionali degli enti non profit, la cui
gestione è, di norma, identificabile in alcune aree specifiche, quali:
–
–
–
–
–
attività
attività
attività
attività
attività
tipiche o di istituto;
promozionale e di raccolta fondi;
accessorie;
di gestione finanziaria e patrimoniale;
di supporto generale.
La Raccomandazione n. 1 del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti
(Documento di presentazione di un sistema rappresentativo dei risultati di sintesi
delle aziende non profit), prendendo le mosse da questa realtà, prevede la redazione di un Rendiconto gestionale (non di un conto economico) a proventi ed oneri (non costi e ricavi) articolato per funzioni, per indicare i disimpieghi e gli impieghi di risorse. In effetti, sicuramente, l’attività istituzionale di un’azienda non profit
non è caratterizzata da uno scambio di ricchezza contro ricchezza teso alla misurazione del relativo trasferimento netto, come avviene nelle aziende profit. Di costi
e ricavi si potrebbe parlare per le attività connesse che, tuttavia, sono marginali
nella economia generale dell’ente.
Anche per quanto riguarda i documenti di bilancio, la Circolare, ancora una volta,
sembra condividere l’impostazione del documento data dal Consiglio Nazionale
Dottori Commercialisti, cioè: Stato Patrimoniale, Rendiconto della gestione,
Relazione sulla gestione, Relazione dell’organo di controllo, ove previsto.
Tutti questi documenti devono trovare il loro momento unificante nella dimostrazione della capacità dell’ente non lucrativo di perseguire le proprie finalità istituzionali. In sostanza, occorre passare dal bilancio di esercizio al bilancio di missione.
Questo è un passo in avanti formidabile, se si tiene conto che il rendiconto degli
enti non commerciali è sempre stato visto in funzione del bilancio fiscale (da allegare, come documento obbligatorio alla dichiarazione dei redditi), quale presupposto per arrivare alla determinazione dei redditi di impresa. In questa ottica, il
bilancio civile, strumentale al bilancio fiscale, quasi asservito alle esigenze fisca39
li, veniva, spesso, redatto secondo criteri dettati dalla norma fiscale.
Se così stanno le cose, soprattutto per le O.N.L.U.S. “minori”, oggi per lo più abituate a tenere la contabilità finanziaria, si pone l’onere di impostare, se vogliono
essere in regola con con il fisco, una contabilità ordinaria (contabilità economicopatrimoniale in partita doppia) o rinunciare al sistema di agevolazioni previste dall’art. 14 della L. 80/2005.
In conclusione, la situazione appare essere la seguente:
• da una parte, si pongono a carico delle O.N.L.U.S. che vogliono beneficiare
delle agevolazioni fiscali previste dalla legge adempimenti contabili gravosi, e,
in alcuni casi, anche al di là di quanto previsto dall’art. 25 del D.Lgs. 460/97;
• dall’altra parte, l’adempimento di cui sopra, in caso di violazione del disposto di legge, è pesantemente sanzionato (vedi commi 4 e 5 dell’art. 14) in
capo sia al soggetto donante che al donatario.
Paradossalmente, la combinazione di questi due elementi potrebbe indurre alcuni enti a rinunciare alle agevolazioni fiscali previste dalla norma in esame.
Proprio per evitare questo epilogo, sicuramente non voluto dal legislatore, ci sentiamo di avanzare una proposta che, da una parte, permetta di ottemperare alle
disposizioni di legge e, dall’altra, consenta di evitare l’ineluttabilità della tenuta delle scritture doppie.
Questo, a rigore, è un ragionamento corretto per tutti; ma assume una rilevanza
maggiore per i soggetti di piccole dimensioni.
4. Scelta del metodo contabile per le organizzazioni di piccole dimensioni.
Una proposta alternativa
La scelta del metodo contabile è discrezionale da parte degli enti non profit.
Tuttavia, occorre tenere presente che detti enti sono fortemente eterogenei per
dimensioni: si passa da piccoli enti ad enti di grandi dimensioni. Volendo precisare il concetto di “piccole dimensioni”, in via del tutto convenzionale (in quanto non
più previsto dalla norma), si potrebbe fare riferimento al contenuto del c. 4 dell’art.
25 del D.Lgs. 460/97, cioè, pensare alle O.N.L.U.S. minori ed O.N.L.U.S. di diritto, eccetto le società cooperative.
Nella realtà dei piccoli enti, le rilevazioni di carattere finanziario costituiscono la
norma. Non si può, pertanto, dimenticare che la normativa più volte citata, relati40
va alle O.N.L.U.S., prevede la redazione di un documento in grado di rappresentare la situazione finanziaria, economica e patrimoniale dell’ente.
Il problema fondamentale, in sostanza, si riduce nel passaggio dalla contabilità
finanziaria, normalmente tenuta dai piccoli enti, alla contabilità economico-patrimoniale.
Nell’ipotesi che l’ente tenga una contabilità finanziaria, partendo dalle disponibilità finanziarie iniziali si rilevano le entrate e le uscite monetarie di periodo. Questo
modello è carente dal punto di vista tecnico, in quanto non è in grado di dare conto degli aspetti patrimoniali ed economici della gestione.
Per quanto riguarda il lato economico, l’ipotesi semplificatrice che si può fare è
che in una gestione non complessa – limitata all’attività istituzionale, senza esercizio di attività economiche – le operazioni gestionali si concludono all’interno del
periodo e che spesso – in assenza di valori stimati (ammortamenti, accantonamenti) o, comunque, non aventi una manifestazione monetaria – i due aspetti
(finanziario ed economico) finiscono per coincidere.
In questo caso, ci si può limitare alla rendicontazione delle entrate e delle spese
secondo il principio della competenza temporale, e non è necessaria la rilevazione dei costi e dei ricavi secondo il principio della competenza economica.
Il rendiconto finanziario, che le piccole organizzazioni producono, si basa sul criterio di cassa, e si può così schematizzare:
– fondi finanziari di inizio periodo;
– raggruppamento delle entrate e delle uscite del periodo, riclassificate
secondo la motivazione di entrata e di uscita;
– riconciliazione delle operazioni per giungere ai fondi finanziari di fine
periodo.
Quando la semplificazione, sopra ipotizzata, non è possibile, occorre integrare le
rilevazioni finanziarie con i valori non monetari, seguendo, altresì, il principio di
competenza economica, in modo da arrivare ad un rendiconto di carattere economico. L’aspetto patrimoniale viene rilevato mediante l’elaborazione di un
Prospetto che evidenzi i debiti ed i crediti dell’organizzazione alla data di chiusura dell’esercizio.
Un esempio in tal senso può essere rinvenuto nel Prospetto di Conciliazione previsto per Province, Comuni, Unioni di Comuni e Città Metropolitane.
41
Il Rendiconto degli enti locali è formato, ai sensi dell’art. 227, D.Lgs. 267/2000,
dal conto del bilancio, dal conto del patrimonio, dal conto economico. A quest’ultimo è allegato un prospetto di conciliazione che dimostra l’avvenuta trasposizione delle rilevazioni di sintesi della contabilità finanziaria (accertamenti ed impegni a livello di categorie di entrata e di interventi di spesa) in rilevazioni economico – patrimoniali.
La contabilità finanziaria è espressa nel conto del bilancio, che espone la rendicontazione finanziaria, a livello di accertato ed impegnato, riscosso e pagato, del
bilancio di previsione di competenza (e sue variazioni in corso d’anno) e della
gestione dei residui. Il criterio di rilevazione è la competenza finanziaria.
La contabilità economico – patrimoniale è espressa nel conto economico e nel
conto del patrimonio ed ha l’obiettivo di evidenziare la variazione del patrimonio
netto dell’ente locale (variazione determinatasi tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre)
per effetto della gestione. Tale variazione è spiegata dal conto economico che evidenzierà un incremento del patrimonio netto (utile di esercizio) o un decremento
(perdita). In alcuni casi, piuttosto rari per l’ente locale, la variazione del patrimonio netto non coincide con il risultato economico (es. liquidazione di un’azienda
speciale e successiva costituzione di un consorzio, con ritorno dei capitali conferiti al Comune a fine anno).
Nel prospetto che segue diamo una pratica applicazione con riferimento al mondo non profit, e, nel caso specifico, alle O.N.L.U.S., della logica seguita dagli enti
locali per redigere, partendo dalla contabilità finanziaria, la situazione economica
e patrimoniale. Il modello che qui viene proposto riproduce, adattandolo, lo schema del Prospetto di Conciliazione predisposto da Province, Comuni, Unioni di
Comuni e Città Metropolitane, che viene allegato al rendiconto di questi enti.
Per la semplicità della loro compilazione, mi sembra che i prospetti allegati possono rappresentare una proposta alternativa, semplificatrice, ma nello stesso tempo rispettosa del dettato della legge.
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(*) Si ringrazia il Prof. Marco Grumo per la cortese collaborazione nell’elaborazione dei Prospetti.
43
44
ART. 14 LEGGE 14 MAGGIO 2005 N. 80
O.N.L.U.S. E TERZO SETTORE
Testo in vigore dal 10/08/2005
modificato da: DL del 17/06/2005 n. 106 art. 1 - bis convertito
Art. 14
1. Le liberalità in denaro o in natura erogate da persone fisiche o da enti soggetti all'imposta sul reddito delle società in favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all'articolo 10, commi 1, 8 e 9, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, nonchè quelle erogate in favore di associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale previsto dall'articolo 7,
commi 1 e 2, della legge 7 dicembre 2000, n. 383, in favore di fondazioni e
associazioni riconosciute aventi per oggetto statutario la tutela, la promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico
di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e in favore di fondazioni
e associazioni riconosciute aventi per scopo statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro
dell'Economia e delle Finanze e del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e
della Ricerca sono deducibili dal reddito complessivo del soggetto erogatore
nel limite del dieci per cento del reddito complessivo dichiarato, e comunque
nella misura massima di 70.000 Euro annui.
2. Costituisce, in ogni caso, presupposto per l'applicazione delle disposizioni di
cui al comma 1, la tenuta, da parte del soggetto che riceve le erogazioni, di
scritture contabili atte a rappresentare con completezza e analiticità le operazioni poste in essere nel periodo di gestione, nonché la redazione, entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio, di un apposito documento che rappre45
senti adeguatamente la situazione patrimoniale, economica e finanziaria.
3. Resta ferma la facoltà di applicare le disposizioni di cui all'articolo 100, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.
4. Qualora nella dichiarazione dei redditi del soggetto erogatore delle liberalità
siano esposte indebite deduzioni dall'imponibile, operate in violazione dei
presupposti di deducibilità, di cui al comma 1, la sanzione di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, è maggiorata del
duecento per cento.
5. Se la deduzione di cui al comma 1 risulta indebita in ragione della riscontrata insussistenza, in capo all'ente beneficiario dell'erogazione, dei caratteri
solidaristici e sociali dichiarati in comunicazioni rivolte al pubblico ovvero rappresentati ai soggetti erogatori delle liberalità, l'ente beneficiario e i suoi
amministratori sono obbligati in solido con i soggetti erogatori per le maggiori imposte accertate e per le sanzioni applicate.
6. In relazione alle erogazioni effettuate ai sensi del comma 1 la deducibilità di
cui al medesimo comma non può cumularsi con ogni altra agevolazione fiscale prevista a titolo di deduzione o di detrazione di imposta da altre disposizioni di legge.
Omissis.
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Finito di stampare
nel mese di novembre 2005
Grafiche Saita
Milano
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