Spazio Tre XIX edizione Teramo 7 - 28 maggio 2010 Programma PITTURA CINEMA DANZA LIBRI MUSICA Spazio Tre Comune di Teramo Fondazione della Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo Regione Abruzzo Provincia di Teramo www.maggiofesteggiante.it www.spaziotre.info 2010 Ideazione e Direzione artistica SILVIO ARACLIO Immagine del Maggiofest STEFANO CANULLI Sezione Cinema Maggio Italiano Ideazione LEONARDO PERSIA SILVIO ARACLIO Progetto grafico e realizzazione catalogo PIERO ASSENTI Organizzazione LEONARDO PERSIA SILVIO ARACLIO Sezioni Pittura Libri Danza Musica Ideazione CARLA PIANTIERI SILVIO ARACLIO Organizzazione CARLA PIANTIERI Ufficio Stampa ALLEGRA ARACLIO ANTONELLA GAITA Segreteria MANUELA LAMONICA Stampa MULTIPROGRESS Documentazione video del Maggiofest PRODEO SNC Collaboratori: Vincenzo Macedone Piero Assenti Vincenzo Castaldo Marco Cicconi Davide Di Giuseppe Ringraziamenti: Anna Bonaiuto, Annamaria Merlini, Fabio Bo, Guido Campana, Paolo De Bernardin, Nino Di Berardino, Antonio D’Orazio, Antonio Topitti. I l nostro fauno, immagine ideata da Stefano Canulli, in questi anni si è sempre trasformato ma per quest’edizione è tornato bambino: vuol essere un segno di speranza per il futuro? In fondo diciannove edizioni sono molte, ma ripartire e ritrovare un’energia tutta nuova nonostante il nostro budget diventi sempre più infantile...eheheh... Spero che il programma di questo Maggio piaccia al nostro pubblico. Abbiamo cercato di avere dei grandi artisti. Le date non sono molte ma di grande qualità. E poi con un GirodiBanda si conclude la festa, nella migliore tradizione del Maggio e con un pensiero alla XX edizione. Evviva! Il Direttore Artistico Silvio Araclio PROGRAMMA PITTURA Venerdì 7 · Sabato 15 maggio HIKIKOMORI di Mauro Di Giuseppe Torre Bruciata, via Antica Cattedrale Opening Venerdì 7 maggio ore 18,00 Orari mostra 17,30-20,30 CINEMA · Maggio Italiano Cinema d’autore CARLO VERDONE Lunedì 10 maggio Sala Polifunzionale della Provincia Ore 15,30 UN SACCO BELLO (99’) Ore 17,30 BOROTALCO (131’) Ore 19,30 COMPAGNI DI SCUOLA (118’) Ore 21,30 AL LUPO AL LUPO (114’) Mercoledì 12 maggio Multisala Smeraldo Ore 16,30 IL MIO MIGLIOR NEMICO (115’) Ore 18,30 GRANDE, GROSSO E VERDONE (131’) Ore 21,00 MANUALE D’AMORE (130’) Giovedì 13 maggio Teatro Comunale Ore 21,15 IO, LORO E LARA (115’) incontro con il regista Carlo Verdone presentano i critici Fabio Bo e Leonardo Persia DANZA Venerdì 21 maggio INFERNO una creazione di Emiliano Pellisari Teatro Comunale - Ore 21,15 LIBRI Domenica 23 maggio ARCHIVI DEL SUONO di Paolo De Bernardin - Maggioli Editore Sala Polifunzionale della Provincia - Ore 17,30 presentano il libro Giuseppe Videtti - giornalista La Repubblica Paola Besutti - docente di Musicologia applicata - Università degli Studi di Teramo a seguire EX.WAVE in concerto MUSICA Venerdì 28 maggio GIRODIBANDA la musica tradizionale salentina e la banda direzione M° Cesare Dell’Anna Piazza Sant’Anna - Ore 21,30 PITTURA Venerdì 7- Sabato 15 Maggio Torre Bruciata Via Antica Cattedrale Opening ore 18 Orari mostra 17,30 - 20,30 L Letteralmente “stare in disparte, isolarsi” è un termine giapponese che sta ad indicare un fenomeno comportamentale riguardante gli adolescenti e i giovani post-adolescenti in cui si rigetta la vita pubblica e si tende ad evitare qualsiasi coinvolgimento sociale. Si tende quindi ad isolarsi chiudendosi nelle proprie case e interrompendo ogni genere di rapporto con gli altri, fuori dalle mura domestiche. L’HIKIKOMORI diventa schiavo della propria vita seden- MAURO DI GIUSEPPE Biografia Mauro Di Giuseppe è un insegnante di storia dell’arte. Si è formato all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Con Fabio Mauri ha curato le scenografie e gli allestimenti di diversi spettacoli lirici e teatrali lavorando, tra gli altri, con registi come Silvio Araclio, Renato Bruson, Maurizio Nichetti, Massimo Ranieri. Dal 1992 al 1997 è stato scenografo presso la Rai di Napoli. taria, gioca con videogiochi e guarda la televisione durante tutto il proprio tempo libero. L’unico mezzo di comunicazione che usa è internet, con cui si crea un vero e proprio mondo tutto suo, con amici conosciuti on-line. Una provocazione quindi. Questo è il senso dei lavori di Di Giuseppe. Nella fase iniziale strizzano l’occhio agli eventi sociali, utilizzandoli a pretesto come ricerca segnica da trasferire sulla tela. Cinema d’autore Carlo CINEMA VERDONE Lunedì 10 Maggio Mercoledì 12 Maggio Giovedì 13 Maggio Sala Polifunzionale della Provincia Ore 15,30 Un sacco bello Ore 17,30 Borotalco Ore 19,30 Compagni di scuola Ore 21,30 Al lupo al lupo Multisala Smeraldo Ore 16,30 Il mio miglior nemico Ore 18,30 Grande, grosso e Verdone Ore 21,00 Manuale d’amore Teatro Comunale Ore 21,15 Io, loro e Lara incontro con il regista presentano i critici Fabio Bo e Leonardo Persia R ispetto al Carlo Verdone attore, il Carlo Verdone regista può disorientare. Il primo muove lo sguardo dello spettatore, lo seduce con la sua generosità di maschere e tipizzazioni, di performance in movimento continuo, facendolo stare al passo di una ricchezza recitativa che trascende il personaggio unico (da cui la tendenza, anche quando non diviso, a moltiplicarsi, allargando magari il campo alla foto di un sosia, a dei bambini replicanti, a un modello d’ispirazione trascinato nel set). Laddove il regista sembra essere invece economo ed essenziale, completamente asservito alla vis recitativa (anche altrui), senza rincorrere il tocco, senza ricorrere allo stile. Eppure, a uno sguardo più attento, l’invisibilità della messa in scena comincia a rivelare bagliori di visibilità. Prima di tutto, il regista sa stare al passo dell’attore, e degli attori, con un timing altrettanto variegato: ora morbido, poi caotico, sospeso prima nella situazione comica, disteso dopo in una momentanea risoluzione. O, ancora, risoluto e irrefrenabile nel setacciare la gag, si chiude alla fine nel contegno, in una cifra astratta che è l’equivalente, sul versante della recitazione, di un’afasia loquace, dei contrappunti irresistibili d’inerzia recitativa (il volto perplesso, immobile) attraverso i quali si realizza il virtuosismo di Carlo Verdone attore. Presi in sé, questi momenti registici, svincolati dal contesto comico che li occulta o separati anche dall’evidenza del racconto e della recitazione che li contiene, rivelano un’autorialità pudica, mai soverchia, per niente esibita, eppure evidente. L’autore è talmente modesto da utilizzarli come chiusura del film, se non addirittura come titoli di coda. Guardare quelli di Io, loro e Lara: un’Africa lontanissima dai cliché, anche per le locations (il Kenya del Nord, direzione Corno d’Africa) e il commento musicale (Thomas Feiner & Anywhen). Ma soprattutto una sequenza che, più che a una commedia, sembra appartenere a un film d’autore rarefatto e malinconico. Oppure “malin-comico”: neologismo creato da Stefano Reggiani appositamente per il nostro. Questo non solo perché si raffigura un mondo “altro” rispetto a tutto quello che si è visto prima. Le distanze, così lontane così vicine, risolte sempre in un collegamento e in un’affinità, sono una costante del Verdone regista: si noti nell’incipit dello stesso film, il montaggio parallelo tra il sacerdote in Africa e Lara, sexy, in webcam. E si leggano i titoli dei film, dove spesso appare non solo la contrapposizione (Io e mia sorella) e lo scontro (Maledetto il giorno che ti ho incontrato), che sappiamo essere incontro, ma la stessa contiguità del distante (Perdiamoci di vista; Il mio miglior nemico) e il moltiplicarsi dell’uno nel gruppo (Bianco, rosso e Verdone; Compagni di scuola). Il vuoto del singolo è un vuoto sociale. Noi sta CINEMA sempre dietro Io. Con i propri condizionamenti, le maschere, le imposizioni e i modelli. «Ma perché dobbiamo far finta di essere forti!» dice/scrive Tiziana (Laura Morante) ad Andrea (Rodolfo Corsato) attraverso il vetro dell’aeroporto, nel pre-finale de L’amore è eterno finchè dura. Un’interrogativa che è contemporaneamente un’esclamativa. Una confessione, un momento di verità espresso attraverso un uso perfetto del campo/controcampo e con una grande direzione di attori, altro segno distintivo, come pure lo scavo, delicato e rispettoso, della psiche femminile. Appena dopo, il finale dello stesso film fa annegare la neo-coppia Gilberto (Verdone) e Carlotta (Stefania Rocca) nell’anonimato della folla, ribadendo l’illusorietà dell’amore e dell’affrancamento dagli altri, dal collettivo. Se il protagonista Verdone trascina nella sua individualità ingenua gli altri personaggi, facendo venir fuori pure ad essi una goffaggine che è globale, con conseguente smascheramento di cinismo, efficientismo e perfezione indotti, lo sguardo di Verdone regista, che pure sa essere cattivo e tagliente, feroce e disilluso, non è mai canzonatorio o sprezzante, in controtendenza con la commedia all’italiana. L’immagine del coatto Ivano che, di ritorno dalla luna di miele, gioca da solo a pallone nell’appartamento non del tutto ammobiliato, cioè i titoli finali di Viaggi di nozze, pone l’accento più che sulla buffa solitudine del personaggio, sulla tragicomica solitudine del cosmo. Simili momenti vuoti (in tutti i sensi), riconoscibilissimi, si ritrovano in tutte le regie di Verdone. Nello stesso film, per esempio, quando Ivano e la consorte Jessica, dinanzi al mare, da un pontile, parlano di un amplesso irrisolto; oppure, con un’altra coppia di coatti, guardano, disincantati, le stelle cadenti. La macchina da presa si ritrae dai primi piani, allarga, estende la mestizia, ma non la separa dal comico, dall’ironia. Il vuoto esistenziale, che la camera fissa amplifica, viene rotto da gesti e parole altrettanto vuote: nella prima scena, le flessioni di Ivano; nella seconda, una battutastandard ma, nello specifico, eloquentissima: «Che palle!». E’ in casi simili, bellissimi, non lontani dalla grande scuola umoristica europea (Jacques Tati, ma anche, più a Nord, Aki Kaurismaki o Roy Andersson, e, a Est, Otar Ioseliani), che si rivela il marchio più evidentemente autoriale di Verdone. Un marchio discreto di poesia distanziata e zen, come quando irrompe come un haiku il primo piano di Veronica Pivetti che piange, ma con gli occhi coperti da una maschera per il viso. Scheggia di tragico, scivolata fuori dallo humour. O la fuga fuoricampo di Iris (Claudia Gerini) riflessa sullo sguardo ferito di Romeo (nomen omen!) nel finale amaro e poetico di Sono pazzo di Iris Blond. Visionarietà trasparente, ma discreta, costantemente frapposta, mai esplicita. La musica, sempre benissimo utilizzata, spinge le storie fuori dal loro universo, ribadendo al contempo la loro estendibilità. Sakamoto e Robert Fripp, David Sylvian e i Public Enemy. Jimi Hendrix, Joe Cocker, i Cream. A volte espressamente citati o messi in campo. Pop e rock sono una passione esposta e con- temporaneamente nascosta di Carlo Verdone: esteriore dell’interiore. E’ il segno di un riserbo, una misura, una sincerità che, nella cifra genialmente contrastata dell’autore, appartengono pure al suo stile d’attore. Ricco, ma mai sovrabbondante. Carico, eppure contenuto. Tradizionale e moderno. Grande recitazione e grande regia. Un sacco bravo. Leonardo Persia CARLO VERDONE Biografia Carlo Verdone (Roma, 1950) diventa celebre alla fine degli anni ’70 per i suoi memorabili sketch televisivi e con Un sacco bello (1980) e Bianco, rosso e verdone (1981) porta al cinema il suo repertorio di feroci tipizzazioni (dal ragazzo timido al figlio dei fiori, passando per il mistificatore bullo di borgata). Di questi film Verdone è in pratica l’uomo orchestra: autore di soggetto, sceneggiatura, interprete principale e regista e vi rivela la capacità di fissare, con estrema precisione e notevole coinvolgimento affettivo, i nuovi riti e miti, le dissociazioni dell’io e il difficile cammino di scoperta di se stessi da parte delle nuove generazioni dei giovani romani nati nei paraggi del miracolo economico. Ma soprattutto sa usare più di tutti i nuovi comici la macchina da presa, ne conosce il linguaggio di base e sa metterla al servizio della storia e non solo dell’attore come faranno invece i suoi colleghi comici (Benigni o Nuti, per esempio). “Si sente che è stato al Centro Sperimentale” dirà – ironicamente – di lui Benigni e di fatto questo titolo farà la differenza e gli consentirà di puntare progressivamente a un cinema CINEMA d’autore con la presenza dell’attore Carlo Verdone. Riesce quindi a spostare l’attenzione da fenomeni transitori, colti con grande tempismo, allo studio più approfondito dei personaggi, degli intrecci e delle situazioni narrative. Mentre il Verdone-attore degli esordi rinverdisce i fasti del fregolismo, ma percorre strade già note, il Verdone-regista rivela progressivamente le proprie qualità, abbandonando le imitazioni di superficie e andando alla ricerca di intrecci psicologici più sottili e complessi. La regia cinematografica non è per lui un valore aggiunto, ma un elemento portante e ordinatore. Il vero salto di qualità per Verdone non è improvviso, ma risulta da un affinamento continuo della propria riflessione sui personaggi e sul mondo in cui si muovono. Il riso lascia il posto a un retrogusto amaro e malinconico sempre più evidente e la rete di rapporti si dilata e si complica. Ciò è evidente già in Borotalco (1982) e in Acqua e sapone (1983), sebbene continui a sfruttare la sua capacità camaleontica e la galleria delle sue maschere mai volgari e molto legate al dialetto romano. Ma è soprattutto in Io e mia sorella (1987), nel nostalgico Compagni di scuola (1988) e in Al lupo! Al lupo! (1992) a decidere di accentuare le venature malinconiche del suo umorismo, aggiungendo più di una sfumatura amara alle sue commedie. I suoi personaggi, pur candidi e imbranati, poco alla volta perdono la definizione macchiettistica per acquisire spessori e dimensioni inedite e talvolta riescono a essere all’altezza delle situazioni, a risolvere i problemi personali e di tutti, anche se la sua visione si fa più pessimistica e i suoi protagonisti sembrano quasi sempre votati alla delusione e alla sconfitta professionale e sentimentale. Il suo tocco col tempo si fa più leggero e al tempo stesso più meditativo, prendendo in controtempo la tendenza alla beceraggine di alcuni film in cui si presta a fare delle comparsate. Maledetto il giorno che t’ho incontrato (1992) insiste con acume su queste tracce, mentre ogni tanto torna alla struttura e ai toni comici degli esordi interpretando tre personaggi in Viaggi di nozze (1995) e, successivamente, in Grande, grosso e Verdone (2007). Tratteggia quindi, con risultati alterni, una satira della dominante volgarità italiana con Gallo cedrone (1998) e C’era un cinese in coma (2000). Dalla metà degli anni ’90 gira una decina di titoli di buona fattura e qualità registica, interpretativa e di scrittura, riuscendo sempre più a far emergere come elemento portante anche la colonna sonora e a valorizzare anche la recitazione dei suoi partner maschili e femminili, da Claudia Gerini a Veronica Pivetti a Beppe Fiorello a Silvio Muccino. Con la loro capacità di osservazione a caldo dei processi di trasformazione dell’italiano medio, Ma che colpa abbiamo noi (2002), L’amore è eterno finché dura (2003), Il mio miglior nemico (2006) e l’ultimo Io, loro e Lara (2010) sono i risultati più interessanti della sua ultima produzione. UN SACCO BELLO Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone Fotografia: Ennio Guarnieri Montaggio: Eugenio Alabiso Musiche: Ennio Morricone Anno: 1980 Durata: 99’ Interpreti: Carlo Verdone, Mario Brega, Renato Scarpa, Veronica Miriel, Isabella Bernardi. Come in Domenica d’agosto (1950) di Emmer siamo a Roma nel cuore dell’estate e alle prese con le vite parallele di un bullo alla John Travolta, un «bambino di Dio» e un giovanotto mammone che deve andare a Ladispoli. La novità è data dal fatto che la scena si svolge ai nostri giorni, in una Roma degradata nei linguaggi e nei comportamenti: e ce lo conferma Carlo Verdone, interprete fregoliano di tutti e tre i protagonisti e mimetico notomizzatore delle moderne nevrosi verbali. Un sacco bello è la cronaca di tre fallimenti: il bulletto non riesce a partire per Cracovia con l’amico che gli è più simpatico, l’hippie non accetta di tornare in famiglia anche se il futuro gli fa paura, il figlio di mamma fallisce la conquista di una splendida ragazza spagnola. Dietro queste figure, Verdone (anche autore del copione, con Benvenuti e de Bernardi, e puntuale regista) ci fa intravedere l’intollerabile malinconia della solitudine. Ma il film trascorre lieve sulle note più gravi, concentrato sulla risata e sul grande numero polimorfo di un comico dotatissimo. Anche se eccede in generosità moltiplicandosi in troppe macchiette (ai protagonisti aggiunge altri tre personaggi: un prete, un professore e un ragioniere cretino), Verdone conferma l’occhio acuto e lo sberleffo a colpo sicuro che già gli è stato riconosciuto in palcoscenico (...) (Da Tullio Kezich, Il nuovissimo Mille film. Cinque anni al cinema 1977-1982, Oscar Mondadori). Questo giovanotto col volto quadrato e gli occhi che ogni tanto si rovesciano all’interno in cerca di segrete visioni; questo CINEMA attore dalla voce nasale e intermittente che ripete con felicità i luoghi comuni; questo Carlo Verdone, scoperto e lanciato in fretta, è un talento umoristico che dà frutti ancora piccoli, ma gustosi. Crescerà; la sua fortuna naturale è di essere una maschera italiana aggiornata con garbo ai tempi. Verdone ha raccolto alcuni caratteri romani con la cura rispettosa dell’entomologo, del cacciatore di farfalle, non ha alterato i suoi modelli, qualche volta ne è stato complice: la comicità, la risata nascono dalla ripetizione del tic, dall’imperturbabilità dei difetti. I personaggi di Verdone non hanno svolgimento, si avvitano su se stessi con allegra ostinazione; stanno meglio nella scenetta isolata che nel film, ma anche nel film conservano una loro stupefatta presenza. Verdone può assomigliare al Sordi degli inizi, al Sordi dei compagnucci della parrocchietta; ma Sordi già allora aveva bisogno di una storia ben distesa per dispiegare in pieno il suo carattere provocatorio. Forse il paragone ha bisogno di un’aggiunta cabarettistica: Verdone sta tra Sordi e Franca Valeri; il monologo, il trucco vocale, la mimica gli piacciono più del resto, anche se il resto, per chi vuol fare il regista di se stesso, è importante. (Stefano Reggiani) BOROTALCO Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Carlo Verdone, Enrico Oldoini Fotografia: Ennio Guarnieri Montaggio: Antonio Siciliano Musiche: Lucio Dalla, Fabio Liberatori, Stadio Anno: 1982 Durata: 131’ Interpreti: Carlo Verdone, Angelo Infanti, Eleonora Giorgi, Moana Pozzi. Il borotalco non è soltanto una polvere usata per l’igiene della pelle, come dice il vocabolario. Un dizionario delle metafore potrebbe aggiungere che il borotalco, mentre assorbe i sudori quotidiani, è un morbido inganno della fantasia, un sogno indulgente. Dunque si addice bene al “ fotoromanzo con ironia ” scritto da Enrico Oldoini con Carlo Verdone, dove il gioco dell’artificio s’incrocia con le amarognole allegrie dell’illusione. E benissimo si destina a un pubblico di spettatori che ama le nuvole profumate, il cinema-piumino su cui riposarsi. Nel nostro caso, chi fa uso abbondante di borotalco, e ha un po’ di cipria anche nel cervello, sono Sergio e Nadia, due giovani della Roma di oggi i quali corrono la città per vendere, di porta in porta, pubblicazioni a dispense. Ambedue sono fidanzati (Sergio con la figlia d’un pizzicagnolo, Nadia con un meccanico), e ambe- due hanno i loro sogni: a lui piacerebbe avere più faccia tosta e furbizia, lei vorrebbe sfondare come cantautrice. Lui ha per modello l’amico sbruffone col quale divide la camera in un convitto di preti, lei idoleggia Lucio Dalla. Sergio, l’imbranato, sul lavoro è un disastro; Nadia, l’intraprendente, è in testa alla classifica dei venditori. Succede che Sergio, visitando un cliente da supporre danaroso, si trovi in una casa di gran lusso e conosca un tipo che è proprio il suo rovescio: un Manuel play-boy amico intimo dei divi americani, inseguito dalle donne e sopravvissuto a esperienze eccitanti. Sergio sta ad ascoltarlo a bocca aperta (e gli fa da sguattero in cucina), almeno finché la polizia non viene a prendere quel venditore di fumo. Allora il nostro birbante che fa? Si mette nei panni di Manuel, e quando Nadia, che non lo conosce, bussa alla porta, recita la parte del grande uomo di mondo. La donna ci casca, anche perché lui le ha detto di essere in confidenza con Lucio Dalla, ma ora per Sergio sono dolori: deve dar fondo ai risparmi, sfuggire le minacce del pizzicagnolo, e tener testa a Nadia che lo supplica di presentarla al cantante. A imbrogliare ancor più la matassa si mette l’amore: quando lui sta per confessarle il trucco, lei gli chiude la bocca con un bacio (...). Borotalco è un film-svolta per Carlo Verdone, che alla terza tappa della sua carriera cinematografica tenta il gran salto mettendo da parte la galleria di macchiette, per cui fu applaudito come un nipotino di Fregoli, e calando i propri estri in un unico personaggio (...). Come regista non ha ancora un suo stile, ma come interprete d’una realtà quotidiana, soprattutto giovanile, da prendere affettuosamente in giro e da rapire nei cieli dell’assurdo, sta trovando la sua strada. Felicemente in coppia con un’Eleonora Giorgi che dà una replica irruente e festosa a quel Sergio un po’ allocco, dipinge un carattere nel quale si concentrano molti tic della sua generazione, derivati dall’insicurezza e dal mito del successo. Osservatore della piccola gente, non ha la sublime perfidia di Alberto Sordi (cui nel film rende omaggio): la comicità, in Borotalco, nasce dal connubio fra personaggi che non accettano se stessi, e si mettono in vie senza sbocco, patetiche vittime dei propri fantasmi, creati per uscire dalla mediocrità. Il film ha a suo modo un lieto fine perché i protagonisti passano una mano di borotalco sulla realtà, ma è intriso della malinconia procurata da chi è costretto a nascondere la verità sotto i cosmetici. Vogliamo dire che Frank Capra ai suoi tempi era più ottimista (...). (Giovanni Grazzini, Il Corriere della Sera, 23 gennaio 1982). COMPAGNI DI SCUOLA Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Carlo Verdone, Piero De Bernardi, Leo Benvenuti Fotografia: Danilo Desideri Montaggio: Antonio Siciliano Anno: 1988 Durata: 118’ CINEMA Interpreti: Carlo Verdone, Christian De Sica, Nancy Brilli, Alessandro Benvenuti, Eleonora Giorgi, Massimo Ghini, Athina Cenci, Natasha Hovey. Anche se il film riguarda la generazione dell’autore, quella dei primi anni ‘50, la fenomenologia della rimpatriata scolastica è immutabile da sempre e consente a chiunque di identificarvisi. Maturato come regista, Verdone è in grado di tenere sotto tiro per due ore una ventina di personaggi senza dispersione né cadute di ritmo né momenti opachi: la mano è sempre leggera, farsa e dramma sono tenuti ugualmente a distanza e le residue tentazioni pecorecce sono poche. Quando la compagnia degli ex alunni è finalmente al completo, nella sontuosa villa di Nancy Brilli, mantenuta di lusso, una piccola folla di personaggi comincia a prendere vita. C’è Massimo Ghini sinistro onorevole, c’è Athina Cenci psicoanalista nevrotica, c’è Christian De Sica showman fallito, c’è Fabio Traversa zimbello della compagnia, c’è Angelo Bernabucci romanesco greve, c’è Maurizio Ferrini inguaribile goliardo, c’è Eleonora Giorgi separata inquieta, c’è Isa Gallinelli amica petulante... Su tutti domina, naturalmente, Verdone detto “il Patata”, che sarà la vittima principale della crudeltà del gruppo: nel corso della festa sarà esposto al ludibrio il suo amore segreto di professorino mal maritato per l’allieva Natasha Hovey. E dopo l’inevitabile bagno notturno e una ritirata felliniana all’alba, ciascuno riprenderà la sua strada con qualche speranza o qualche amarezza in più. Per fortuna non siamo di fronte alla denuncia di una generazione che ha fallito o a simili sfoghi di moralismo politico, ma a una commedia di gruppo che nasce da una visione crepuscolare e in qualche modo “migliorista”. Prova ne sia che alla fine pur cornuto e mazziato, il Patata riprende soprappensiero a fumare, forse sulla strada di ca- pire che l’esistenza non è quell’oscura selva di veleni da lui fino a quel momento tanto temuta. (Tullio Kezich, da Il filmnovanta: cinque anni al cinema: 1986-1990, Mondadori, Milano, 1990) Com’è triste lo sguardo di Carlo Verdone sui suoi coetanei, quei trentacinquenni che quindici anni fa sono usciti dal liceo! Nonostante Io e mia sorella fosse già un film “serio”, finora Verdone lo abbiamo visto soprattutto ridere, o sorridere. Adesso sorride ancora un po’ (per farci ridere), ma l’atteggiamento, ormai, è di uno che graffia, sconsolato, quasi tutta intera la generazione di cui fa parte, come già certi suoi colleghi d’oltreoceano (Il Grande Freddo, La caduta dell’impero americano). Dei graffi “all’italiana”, naturalmente, facendo ancora posto al lazzo e alla beffa, ma sempre in cifre amare, anzi amarissime, che la realtà di oggi, di certi ex giovani di oggi, ce la restituiscono sotto le luci più scure, e negative, con pochissime speranze di salvezza, psicologiche e morali. L’occasione, la classica “rimpatriata” di alcuni compagni di scuola quindici anni dopo la maturità; organizzata da una collega che adesso è ricca perché mantenuta da un ricco. Ci sono falliti e arrivati, delusi e tristi, insicuri e tronfi, tutti penò, salvo poche eccezioni, incapaci di volare alto, solo legati a piccoli giochi meschini e pronti a riannodare vecchie rivalità, nuovi abusi. Verdone li osserva con voluto distacco. Non partecipa per nessuno, neanche per quel personaggio pieno di compromessi e di falsi equilibri cui dà vita egli stesso: qua mette alla berlina, là insiste sui pedale di un’ironia che intenzionalmente sconfina nel sarcasmo, là ancora finge di voler arrivare addirittura alla farsa ma in realtà avvolge poi tutto, con puntualità, in atmosfere aggressive e polemiche, con il “basso continuo” di uno sconforto che non tarda a permeare di sé tutta la vicenda. Non siamo, certo,al ritratto di una “generazione perduta”, ma non si stenta a ritrovare in tutti quei personaggetti volutamente di mezza tacca, anche nel politico che ha fatto carriera, il segno di un grigio sfacelo, che, anche là dove i modi sono divertenti, serra il cuore. Un Verdone drammatico, insomma, l’occhio sempre lucido nell’osservazione della gente di cui è circondato, adesso però più portato a soffrirne che non a cedere, come agli inizi, al dileggio. Un segno di maturità, in un film maturo. (Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 23 dicembre 1988). AL LUPO AL LUPO Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Filippo Ascione, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone Fotografia: Danilo Desideri Montaggio: Antonio Siciliano Musiche: Manuel De Sica Anno: 1992 Durata: 114’ CINEMA Interpreti: Carlo Verdone, Sergio Rubini, Francesca Neri, Maria Mercader. (...) La storia dei tre fratelli Sagonà si regge sulla suspense. Ascione, Benvenuti e De Bernardi, che con il regista Verdone hanno scritto la sceneggiatura, fanno sparire all’inizio del film il celebre scultore Mario proprio quando dovrebbe presenziare a un concerto del figlio minore. Sull’ansia di quest’ultimo si scatena la ricerca, coinvolgendo Livia tutta presa dai suoi problemi personali fra marito e amante, e Gregorio, che sotto il cappellone a punta dello showman nasconde le amarezze di un’antica rivalità con il fratellino bravo e per bene. La caccia al padre ci porta dal palazzo romano all’Accademia Chigiana di Siena, da una villa presso Talamone alla residenza dell’ispiratrice del vecchio, dalla piscina termale sulla piazza di Bagno Vignoni cara al Tarkovskij di Nostalghia a una baita sulle Alpi Apuane dove cadrà il velo del mistero. Ma c’è dietro un mistero più grande, che riaffiora dai ricordi dell’infanzia, dalle fotografie e dai filmini ritrovati: ed è la formula, l’impossibilità, l’ineluttabilità del vivere insieme, dell’essere padri, figli e fratelli. Anni or sono il compianto Stefano Reggiani definì il cinema di Verdone “malincomico”, con un neologismo che resta la migliore definizione di Al lupo al lupo. Dove a un più acuto sentimento del paesaggio (la bella fotografia è di Danilo Desideri) corrisponde un divertimento minimalista, affettuosamente psicologistico, servito con rara immedesimazione dai bravissimi interpreti. Evidentemente Verdone avendo anche lui un padre chiamato Mario, un fratello e una sorella, ha trasferito e travestito in questo racconto non pochi spunti autobiografici, mediandoli sotto il segno del sorriso. Si può avvertire un calo di tono nella seconda parte, ma succede nei migliori gialli quando scivolano verso la spiegazione. Però l’ultimissima inquadratura è un imprevisto colpo di teatro, che risolleva le sorti del film e rende toccante il suo significato. (Tullio Kezich, Il Corriere della Sera, 20 dicembre 1992). IL MIO MIGLIOR NEMICO Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Carlo Verdone , Pasquale Plastino , Silvia Ranfagni Fotografia: Danilo Desideri Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Paolo Buonvino Anno: 2006 Durata: 115’ Interpreti: Carlo Verdone, Silvio Muccino, Ana Caterina Morariu, Agnese Nano, Corinne Jiga. (...) De Laurentiis, legato a Verdone con un contratto per cinque film, non è il produttore che si tiene in disparte e, nel male e nel bene, questo film porta stampato a tutti i livelli il suo trattamento. E che sia stato un film faticoso, con battaglie tra autori e produttori, ben si legge nella stesura finale. Ma pur con dei non funzionamenti di sceneggiatura e di struttura, il film, alla fine, è tra i più divertenti che il regista abbia girato in questi ultimi anni. Verdone tende la mano, forse senza accorgersene, al cinema di Mario Mattoli, di Camillo Mastrocinque e di Steno. Un cinema che lascia completamente spazio agli attori comici di esprimersi, che sa costruire gag, situazioni e battute. Misteriosamente, anche all’interno di trovate non di grande novità, un momento comico straordinario come nel cinema di Totò e Peppino. In Manuale d’amore Giovanni Veronesi aveva intuito che quella era la strada per liberare comicamente Verdone, e qui si va esattamente in quella direzione, al punto che la storia stessa del film è un pretesto per vederlo all’opera, e Silvio Muccino il giusto partner giovane per scatenarlo e trovare un nuovo pubblico. Verdone è tal Achille De Bellis, marito infedele di una ricca borghese, Sara Bertelà, che tradisce addirittura con la mignottissima moglie, Corinne Jiga volgare ma efficace, del cognato, Paolo Trestini. Direttore di un albergo della catena del cognato, licenzia in tronco una cameriera anni ‘70, Agnese Nano, che ritiene abbia rubato un computer a un cliente. Pensando che la madre sia innocente, Orfeo, cioè Silvio Muccino, cercherà di vendicarsi su Verdone, non sapendo che è il padre della ragazza che ha cominciato a corteggiare, Anna Caterina Morariu (sembra Maria Monsè purtroppo). Trovata questa che troviamo identica nel successo del momento, La notte prima degli esami, altro film che deve molto ai fratelli Muccino e al trattamento De Laurentiis, visto che Fausto Brizzi è sceneggiatore degli ultimi cinepanettoni. Ma se nel film di Brizzi la trovata verrà portata avanti fino quasi alla fine della storia, qui si traduce in uno svelamento centrale che lancia un film diverso da quello che abbiamo seguito. Da ricco annoiato borghese, Verdone, scoperto da moglie e cognato, perde tutto e, complice Muccino, cercherà almeno di ricucire il rapporto con la figlia, in fuga in Turchia. Qua e là si avvertono buchi improvvisi di sceneggiatura, per non parlare di CINEMA tutto l’episodio in Turchia e di come vengono piazzati nel film gli sponsor Vodafone e acqua Lete, ma, esattamente come nei classici mattoliani, il film vive nello scatenamento dei protagonisti e nel dosaggio di battute e situazioni comiche, davver ben costruito. Verdone porta alle massime conseguenze il suo personaggio di marito o padre che subisce dalle donne come da chiunque, senza vergognarsi del suo funzionamento comico. E se il meglio lo dà nelle scene con Muccino, si toglie anche il lusso di una grande autocitazione da Bianco, rosso e Verdone con la scena, celebre, dei portantini. La riprende, la smonta e la ricostruisce nuova di zecca per il piacere di un pubblico che lo ha sempre seguito con affetto. (Marco Giusti, Il Manifesto, 10 marzo 2006). (...) L’amarezza e il pessimismo del film (...) non si traducono nelle solite reprimende salvazioniste, bensì in quel grumo di (false) sicurezze e (patetiche) impotenze col quale tutti siamo costretti a fare i conti: salvo, beninteso, ad indicare come prezioso bene superstite la possibilità di ridere a crepapelle sul vanesio e ossessivo attaccamento alla propria immagine esibito dagli svarianti personaggi. La voce fuori campo di Silvio Muccino - un’ottima performance in accorto bilico sulla spontaneità (che di per sé non basta) - serve proprio a rimarcare il progetto del regista: la caricatura - naturalmente al diapason ogni volta che Verdone/attore dà fuoco alle polveri delle sue trascinanti e fregolistiche gag - produrrà quella forma di piacere dato dal confronto fra la realtà e la sua deformazione nella somiglianza. Il road-movie alla ricerca «dei padri», sia pure a tratti un tantino prolisso, costeggia sempre un paesaggio di diffidenze e risentimenti. «Tu mi devi sempre seguire, tu mi devi sempre dare retta»: l’utopia buonista di Achille/Carlo anche nel raggio finale di tenero sentimento coglie un riflesso beffardo e farsesco. (Valerio Caprara, Il Mattino, 11 marzo 2006). GRANDE, GROSSO E VERDONE Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Carlo Verdone , Pasquale Plastino , Piero De Bernardi Fotografia: Danilo Desideri Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Manuel De Sica Anno: 2008 Durata: 131’ Interpreti: Carlo Verdone, Claudia Gerini, Geppi Cucciari, Eva Riccobono, Emanuele Propizio. Fortemente voluto dai fan, che da anni sognavano il ritorno dei suoi grandi personaggi, dal candido Mimmo a Ivano il coatto, Grande, grosso e Verdone, è la giusta, onesta e attesa risposta a questi desideri da parte di Carlo Verdone. Ben sapendo a cosa andava incontro. Cioè esporsi a una via crucis di quanti, ricordando il Verdone anni ‘80 e ‘90, si esibiranno in ogni tipo di accanimento su paragoni, differenze e ogni genere di reazioni fanatiche su personaggi che si trovano a attraversare trent’anni di vita italiana. Se ne guarda Benigni di rifare Cioni Mario oggi, dopo l’Oscar e le letture di Dante. Se ne guarda ancor di più Moretti di rifare il Michele Apicella di Ecce bombo. A Verdone, invece, che pure ha studiato con Roberto Rossellini e ha avuto come padrino degli esordi Sergio Leone, si può chiedere di tutto. E lui non si nega mai. Per questo è così amato dal pubblico. E per questo non si può che provare tenerezza di fronte a un attore che rispolvera maschere un po’ lontane riadattandole ai gusti di oggi per un progetto che comporta non pochi rischi. Verdone punta su tre dei suoi personaggi più noti costruendo su di loro, assieme a Piero De Bernardi e a Pasquale Plastino, dei piccoli film da commedia all’italiana classica. Non mischia nemmeno le storie come in Un sacco bello e Bianco, rosso e verdone, né comprime il tutto con un montaggio più serrato e moderno. Dilata per sviluppare bene ogni capitolo. Nel primo episodio seguiamo quello che un tempo fu Mimmo, bravo ragazzo in giro con la nonna Sora Lella. Adesso è sposato con una ragazza sarda, Geppi Gucciari stellina di Zelig, ha due figli che parlano non solo come lui, ma proprio con la sua voce, e una mamma a carico che ha la pessima idea di morire il giorno che la famigliola ha deciso di fare una gita scoutistica. I quattro si trovano così ad affrontare una serie di eventi sfortunati legati alla spostamento della salma CINEMA e alla tumulazione. Ne viene fuori un curioso Six Feet Under all’italiana, forse non adatto ai gusti della nostra commedia, dove brilla per stravaganza comica la stella di Massimo Marino, star della tv trash notturna della capitale («A frappé» è la sua frase storica), nei panni di un fetentissimo cassamortaro cocainomane. Fa meno effetto quello che è un vero regalo ai fan dell’attore, cioè l’arrivo del fratello emigrato in Australia, Stefano Natale, che non solo parla anche lui come Verdone, ma che è stato il modello originario del personaggio di Mimmo. Certo, se Verdone non avesse già triplicato la parlata alla Mimmo, l’entrata di Stefano Natale sarebbe stata più clamorosa. Nel secondo episodio, il più costruito anche registicamente e il più cupo, è di scena il professore pignolo che aveva liquidato in Bianco, rosso e verdone la moglie Magda e in Viaggi di nozze l’altra moglie, Veronica Pivetti. Niente moglie qui, ma i ritratti di tre spose defunte. Il professore sfoga la sua carica di follia col figlio, timido pianista (è Andrea Miglio Risi, figlio di Marco Risi e nipote di Dino), e con la fidanzatina di lui, orfanella. I due cercano di liberarsi del mostro, anche coinvolgendo uno scassinatore (Nicola Di Gioia) che si prenderà ben due colpi di pistola. L’idea è quella di fare il ritratto di un mostro di oggi, legato alla politica, alla Chiesa, ma pronto a abbassare il prezzo con le prostitute. Nel terzo episodio, il più funzionale, torna la coppia Verdone e Claudia Gerini di Viaggi di nozze. Stavolta sono due coatti, Moreno e Enza, in vacanza in un hotel elegante di Taormina col figlioletto che pensa solo al calcio. Con l’idea di ricostruire una famiglia in crisi, ognuno di loro vedrà negli ospiti alla moda dell’albergo delle occasioni per elevarsi di classe. Moreno si innamorerà di un’algida fanciulla, Eva Riccobono, e Enza del bellone televisivo, Roberto Farnesi. Scopriranno, come nelle commedie anni ‘60, che i mostri non sono loro, ma le persone finte che hanno intorno. Verdone e la Gerini sono fantastici come ai tempi di Ivano e Jessica, con grandi battute e notevoli tormentoni. La spalla verdoniana degli esordi in tv, cioè Pierluigi Ferrari, ha un bel ruolo come concierge. Ma è il trionfo di Moreno-Verdone che non la smette di preoccuparsi di «cadute di stile» e per questo offre in continuazione mance da 50 e da 100 euro a tutti. Alla fine dei 131 minuti, forse si esce convinti di non aver riso come avremmo sperato, soprattutto dopo un film divertente come il precedente Il mio miglior nemico con Silvio Muccino. Probabilmente Verdone ha bisogno di aver a fianco degli attori che gli trasmettano energia per farci davvero ridere. Ma forse in questo film voleva trasmetterci il malessere che proviamo rispetto alla volgarità della società dove viviamo. E questo non fa più ridere. (Marco Giusti, Il Manifesto, 7 marzo 2008). MANUALE D’AMORE Regia: Giovanni Veronesi Sceneggiatura: Ugo Chiti, Giovanni Veronesi Fotografia: Giovanni Canevari Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Paolo Buonvino Anno: 2009 Durata: 90’ Interpreti: Carlo Verdone, Luciana Littizzetto, Silvio Muccino, Sergio Rubini, Margherita Buy, Jasmine Trinca. (...) Diciamo subito che il film, a differenza di molti altri film di Veronesi, funziona proprio in questa struttura portante da commedia a quattro episodi. Funziona soprattutto, cioè, la cornice e l’incastro dei tasselli, che non è una cosa facilissima, e rende fluido l’intero racconto. L’incastro è tale che tutta la maglia, alla fine dell’ultimo episodio, si chiude in maniera logica come raramente accade nella commedie degli ultimi anni (...). Dei quattro episodi, i più riusciti sono l’ultimo, con Carlo Verdone, e il primo con Silvio Muccino e Jasmine Trinca. Verdone, liberato per un momento dal dover fare il regista, torna a fare il comico puro con una freschezza che da anni ci sembrava un po’ appannata. Il suo marito abbandonato, un medico romano cinquantenne che non se lo aspettava proprio di dover ricominciare tutto dall’inizio, è sui suoi migliori livelli. Arriva anche a un momento di farsa banfiana con la grande scena di sesso interrotto con Sabrina Impacciatore che lo porterà a fare l’amante in mutande prima sotto il letto mentre i due scopano poi sul cornicione di un palazzo per eludere il marito geloso. Veramente non ci aspettavamo da Verdone, dopo gli ultimi due film, così seriosi e in cerca di identità, un ritorno alla commedia così spontaneo. Accettiamo perfino il finale ottimista con la bella Anita Caprioli, in riva al mare, che fa tanto anni `60. L’episodio di Muccino (...) funziona alla grande, anche perché Veronesi e Muccino hanno capito tutti i trucchi che fanno piacere ai loro spettatori. Puoi odiarli, insomma, e francamente lo si capisce, ma come macchinetta da commedia infernale che riprende tutti i temi più elementari di questi ultimi trent’anni, dalla vespa di Nanni Moretti, alla Jasmine Trinca di La stanza del figlio alla sotto vanzinata del personaggio Silvio Muccino, funziona perfettamente (...). Non funziona quasi per niente (...)l’episodio con Margherita Buy CINEMA e Sergio Rubini. Non funziona malgrado il piacere di rivederli sullo schermo come se fossero i nostri Tom Hanks e Meg Ryan vent’anni dopo. che fanno la coppia di quarantenni in crisi (...). L’episodio di Luciana Litizzetto (fantastica come vigilessa cattiva), forse per la presenza del marito traditore Dino Abbrescia, sembra il seguito poco convinto del film precedente, Se devo essere sincera, diretto da Davide Ferrario. Ci eravamo un po’ annoiati lì e non ci funziona troppo nemmeno questo sketch basato sul tradimento ed è un peccato, anche perché appena vediamo la Litizzetto con Carlo Verdone come vigilessa nordica di fronte al romano incazzato, sul modello insomma di Il vedovo di Dino Risi con Alberto Sordi e Franca Valeri, il film prende un altro aspetto. Fortuna che poi arriva l’episodio e finalmente si ride come quest’anno non ci è mai accaduto vedendo un film italiano. (Marco Giusti, Il Corriere della Sera, 23 gennaio 2009). IO, LORO E LARA Regia: Carlo Verdone Sceneggiatura: Pasquale Plastino, Francesca Marciano, Carlo Verdone Fotografia: Danilo Desideri Montaggio: Claudio Di Mauro Musiche: Fabio Liberatori Anno: 2009 Durata: 115’ Interpreti: Carlo Verdone, Laura Chiatti, Anna Bonaiuto, Marco Giallini, Sergio Fiorentini, Angela Finocchiaro. (...)Io, loro e Lara parte da uno spunto che può ricordare il vecchio Stanno tutti bene di Tornatore (un uomo torna da lontano e scopre che il suo paese, o la sua famiglia, è alle soglie del baratro) ma finisce per essere un’acre benché sorridente resa dei conti con l’Italia di oggi, la sua incredibile volgarità, la sua ipocrisia. Vista da un missionario, lo stesso Verdone, di ritorno dopo lunghi anni in Africa dove ne ha passate di tutti i colori. È un ulteriore passo avanti dopo la ferocia di Grande grosso... e Verdone. Dal raccapriccio, che può scantonare in comico, si passa infatti allo sgomento. Dallo stupore (come siete, anzi come siamo diventati) al fastidio, se non alla denuncia (possibile che a tutti vada bene così?). Non è una posizione facile per un comico. Difatti Verdone lascia più spazio che mai agli eccellenti coprotagonisti e al loro corteo di rancori, cecità, avidità, tenendo invece dubbi e dilemmi per sé. Sarà vero che quella moldava grandi forme vuole irretire il padre (un trascinante Sergio Fiorentini), che in effetti l’ha sposata e presenta tutti i sintomi più molesti del rimbambimento erotico-senile? O l’anziano vedovo ha il diritto di fare ciò che vuole con i suoi averi? E padre Carlo dovrà seguire le paranoie di sua sorella Anna Bonaiuto, psicoterapeuta distratta ma pronta a tutto per salvare i beni di famiglia, o dovrebbe suggerirle di fare piuttosto attenzione a sua figlia? Anche il fratello finanziere, erotomane e cocainomane (Marco Giallini), non brilla per credibilità. Ma quando salta fuori che la chiave di tutto è la seducente e misteriosa Lara (Laura Chiatti), toccherà proprio a padre Carlo chiarire un enigma che è di natura morale più che poliziesca. Naturalmente Io, loro e Lara non è La messa è finita (malgrado i non pochi tratti in comune). E la tonaca di Verdone non è un pulpito ma solo un filtro che crea una salutare distanza fra l’attore-regista e il mondo che racconta (il nostro) costringendo anche noi a scoprirlo come per la prima volta. Il tono di fondo resta comico, ma con una nota amara nuova se per stupirsi di quanto vediamo dobbiamo assumere lo sguardo ingenuo, fiducioso e spaesato del sacerdote. Che sembra l’unico in grado di reggere il disagio dei sentimenti nascosto dietro quei comportamenti aberranti, dalla ragazza che per fare l’amore prima minaccia di buttarsi di sotto, alla psicoterapeuta così fragile da voler sedurre un prete (l’irresistibile Angela Finocchiaro). Così il ritorno finale in Africa è quasi un sollievo. La crisi di padre Carlo forse è finita. La nostra, sia pure fra una risata e l’altra, va avanti. (Fabio Ferzetti Il Messaggero 5 gennaio 2010). Nel suo nuovo film Carlo Verdone è di una bravura che si può solo definire mostruosa. Ora l’unico proble- CINEMA ma di questa commedia accurata e accorata potrebbe essere quello di schivare l’abbraccio dei professionisti dell’indignazione che usano il cinema come strofinaccio per spolverare i propri e altrui luoghi comuni. Infatti Io, loro e Lara si sviluppa su tre assi portanti: un climax a blocchi (la prima parte decisamente esilarante, poi un bouquet di mezzitoni e infine il finale fintamente consolatorio), l’attenzione spasmodica al coro dei comprimari e una riflessione più crepuscolare che impettita sul contemporaneo affievolirsi dei valori. Io, loro e Lara non è un film quaresimale, anzi si ride moltissimo perché il vecchio papà al Viagra Sergio Fiorentini, il fratello traffichino e sniffatore Marco Giallini, la sorella survoltata e rapace Anna Bonaiuto capeggiano un bestiario di personaggi/attori degni della tradizione della migliore commedia all’italiana. Il segreto sta, come sempre, nell’inimitabile presa sul dettaglio che il Grande Osservatore esercita nel rispetto dei diversi tempi comici: ora stupefatto, ora goffo, ora polemico, ora malinconico, il suo alter ego in abito talare riflette ogni sfumatura dell’ambiente e dei comportamenti, le tramuta in emozioni, le rimodella in espressioni e le restituisce agli spettatori in forma di visione insieme laica e cattolica, istintiva e riflessiva, depressa e speranzosa. Le tecniche di regia sono rese invisibili e grazie al felice contrappunto di fotografia, scenografia e musica il ritratto di gruppo - nonostante l’impianto quasi teatrale - non scade mai nel moralismo spray e si propone anzi come antitesi ai finti tribunali dei dibattiti in tv. Non insisteremmo, peraltro, sul confronto etico tra occidente egocentrico e terzomondo idillico: non fosse altro perché il primo è rappresentato anche da creature come Lara che l’emergente Laura (Chiatti, nuova pupilla del pigmalione di via Giulia) incarna con acerba grazia non disgiunta da un velo di angelica malizia. Sono trent’anni che l’occhio carloverdoniano inquadra la tragicommedia dell’inadeguatezza; ma se non fossimo in grado di cogliere l’elegante amarezza di un film come questo saremmo noi spettatori a scoprirci inadeguati a usufruire di un cinema italiano onesto innanzitutto con se stesso. (Valerio Caprara, Il Mattino, 8 gennaio 2010). INFERNO DANZA una creazione di Emiliano Pellisari Venerdì 21 Maggio Teatro Comunale ore 21,15 I nferno è uno spettacolo unico! I sette ballerini sul palco non si limitano a danzare: volano. Pellisari infatti mischia le tecniche del circo e dell’illusionismo con complessi sistemi scenotecnici. Ad aprire gli occhi a questo straordinario regista coreografo è stato uno stage a Mosca col regista Anatolj Vasilev. Nel 2005 ha debuttato con Daimon, con le coreografie di Pierpaolo Koss e successivamente ha realizzato Nogravity con Brian Sanders dei Momix... Inferno è la sua ultima grande creazione e ha debuttato in Aprile con un enorme successo di critica e di pubblico al Teatro Olimpico di Roma. In Ottobre Pellisari debutterà con la seconda parte del suo progetto sulla Divina Commedia, il Purgatorio. Emiliano Pellisari Producer&director Dagli studi sul teatro ellenistico al teatro fantastico rinascimentale e le invenzioni meccaniche seicentesche, nasce lo stile di Emiliano Pellisari: studi in filosofia, autore teatrale (finalista Ricer Ater Tondelli 1999, vincitore Enzimi 2000), presente nel background nel cinema come organizzatore, regista e sceneggiatore (Tritone, Korti, Rai 2, 1998- Banane a Bahamas, Aprea, 1999), organizzatore teatrale (Attori&tecnici a Roma, Teatro della Tosse di Genova), produttore esecutivo di eventi Navigazioni, Genova 2004 - Luzzati, Barcolana, Trieste 2004), regista teatrale, coreografo sui generis ed infine produttore di se stesso, quasi un “artigiano teatrale”. DANZA 2005 - Daimon Project, International Forniture Exhibition, Milano 2005 - Daimon, International Performance Art Center, Mosca 2005/6 - Nogravity, tournée nazionale 2006 - Paralimpiadi, End cerimony, Torino 2006 - Johnson&Johnson, Parigi 2006 - Comix, Roma teatro Parioli 2007 - Orfeo+Euridice, Notte Bianca, Roma 2008 – Blutango, Roma, teatro Vittoria 2009 - Inferno, tournée nazionale Gli spettacoli di Emiliano Pellisari nascono dagli studi sulle macchinerie sceniche antiche e le implementazioni tecnologiche dei giorni nostri . Il rapporto uomo-macchina trasforma lo spazio sensoriale imponendo nuove tecniche coreografiche che sono state sviluppate negli anni e che oggi rappresentano il segno distintivo artistico della Compagnia. “Ventisei Comuni. Due fiumi. Un territorio vasto e variegato eppure unico. Un patrimonio di tesori da scoprire e da assaporare. Natura, cultura ed enogastronomia. BIM, valore aggiunto al territorio” www.bim-teramo.it ARCHIVI DEL SUONO Domenica 23 Maggio Sala Polifunzionale della Provincia ore 17,30 Amy Winehouse Paolo Conte EX.WAVE in concerto Nina Simone LIBRI-MUSICA di Paolo De Bernardin Presentazione di Archivi del suono - Maggioli editore di Paolo De Bernardin Intervengono Giuseppe Videtti giornalista La Repubblica Paola Besutti docente di Musicologia applicata- Università degli Studi di Teramo a seguire Ex.Wave in concerto Q uesta raccolta di articoli scritti da Paolo De Bernardin per la rivista Inarcassa, il periodico della Cassa di previdenza degli ingegneri e architetti liberi professionisti, è una carrellata di personaggi cult della musica italiana e internazionale, da Paolo Conte a Amy Winehouse, da Rino Gaetano a Chavela Vargas, da Leonard Cohen a Luciano Berio, Ennio Morricone... Miniera di aneddoti divertenti e citazioni colte, la collezione di pezzi di De Bernardin offre anche lo spunto alla meditazione intima e commossa, sul talento, la vita e i destini degli indimenticabili protagonisti che vi sono tratteggiati. PAOLO DE BERNARDIN Biografia Paolo De Bernardin è nato a Cupra Marittima. Dopo studi classici e universitari abbandona lo studio per dedicarsi totalmente alla musica. Disc-jockey nella prima metà degli anni Settanta, presentatore e conduttore di programmi in varie televisioni private. Co-fondatore di una delle prime radio private in Italia (Radio102 di San Benedetto del Tronto, giugno 1975). Giornalista redattore della rivista Poster fonda nel 1980 la rivista Rockstar di cui è redattore capo fino al 1994 (attualmente titolare della pagina Etnie e Colori, rubrica di ethno-musica di Rockstar). Collabora con vari giornali e riviste e con le Edizioni l’Espresso per le quali è autore di Cento anni di storia afroamericana. Dal 1995 al 1999 è l’ideatore e direttore artistico del Festival Radici di San Benedetto del Tronto. Dal 1996 collabora con Selezione dal LIBRI-MUSICA Reader’s Digest con il quale ha realizzato il volume Giro del Mondo in Musica. Dal 2002 è collaboratore della rivista Inarcassa. E’ trentennale il suo rapporto con la RAI (dal marzo1978), impegnato in vari programmi di tutte e tre le reti radiofoniche (da Stereonotte, ad Archivi del Suono, da Masters Cinema e Ballo a Jingle Bells, da Biblioteca di Musica Leggera a L’Altra Musica, dal Cammello di Radio Due al Terzo Anello di Radio Tre, da Invenzioni a 2 voci a Fuochi e, infine, conduttore a tutt’oggi del Notturno Italiano di Rai International/ RAI Italia Radio) e della Televisione RAI (Discoring, Rai Educational, Rai Sat Satisfaction e dei programmi Crossover, Christmas time e Jazztime di Blu Sat 2000, canale radiofonico e televisivo della CEI, Conferenza Episcopale Italiana). Dal 2006 è direttore artistico del Festival Mare Aperto di San Benedetto del Tronto. Di recente è stato consulente musicale nel film-documentario Sound of Morocco dell’Istituto Luce presentato alla Festa del Cinema di Roma nel 2009 con la regia di Giuliana Gamba. EX.WAVE Luca D’Alberto Violectra Lorenzo Materazzo pianoforte Si sono perfezionati nelle più grandi accademie (Scala di Milano, Mozarteum di Salisburgo, Royal Academy di Londra). L’esigenza di dialogare con la modernità li ha portati a dar vita ad un progetto unico a livello internazionale: Ex.Wave. In meno di due anni dalla loro formazione hanno già ottenuto prestigiosi riconoscimenti: hanno aperto le date milanesi dei Deep Purple nel luglio 2008 con grande successo di pubblico e critica. Hanno firmato un contratto con la Capitol, una delle maggiori case cinematografiche internazionali per l’utilizzo delle loro musiche in film e pubblicità. Sono stati invitati a suonare a Palazzo Reale di Monaco di Baviera dalla Goss-Michael Foundation (la fondazione di George Michael). Il primo disco degli Ex.Wave dal titolo Apri gli occhi è uscito il 30 gennaio 2009 su etichetta Do It Yourself/EMI. Collaborano con artisti di fama nazionale ed internazionale (Alan Wilder - Depeche Mode, Recoil, Sara Lov, Devics, Astrid Young, A Toys Orchestra, Ulan Bator, Xabier Iriondo - Ex Afterhours, Marco Parente) e hanno composto musiche originali per mostre tenutesi alla XV Quadriennale di Roma e al MOMA di New York. Presidente Carla Piantieri Direttore artistico Silvio Araclio Scuola di Teatro: Corsi per ragazzi (9-15 anni) Corsi pomeridiani (età minima 15 anni) Corsi serali per adulti Corsi di: recitazione, dizione, impostazione della voce Seminari di educazione teatrale nelle scuole Produzione spattacoli Organizzazione rassegne GIRODIBANDA La musica tradizionale e salentina e la banda MUSICA casa laboratorio Albania Hotel Venerdì 28 Maggio Piazza Sant’Anna ore 21,30 G irodiBanda è il risultato di un lungo lavoro di ricerca che racconta il vissuto culturale e musicale della gente del Salento. Il fenomeno musicale bandistico sembra essere legato al ricordo e alla realtà delle vecchie generazioni e a pochi affezionati particolarmente motivati oltre a riscontrare, negli ultimi anni, l’attenzione di turisti curiosi e attenti. Eppure la musica da banda si presenta come mezzo di aggregazione e fruibilità della musica colta più diretto e vivace fra tutti i fenomeni di diffusione della musica, sin da quando ancora nelle case non esistevano radio o televisione. La Cassa Armonica è il palco per eccellenza nel quale si esibiscono le bande Pugliesi. Particolare struttura circolare che permette allo spettatore di ascoltare il suono perfettamente da qualsiasi punto ci si trovi, permettendo un’amplificazione acustica unica. GirodiBanda segue l’intento di attualizzare la musica popolare intesa in senso stretto, passando dalla musica bandistica alla musica tradizionale salentina, fino ad arrivare a quella folk popolare e a quella balkan, l’organico diretto da Cesare Dell’Anna, è composto da una banda pugliese e il gruppo OPA CUPA, che da dieci anni ormai lavora sulla commistione tra la tradizione musicale delle bande da giro e le ritmiche e melodie delle fanfare dei Balcani. L’ensemble accompagna le voci della tradizione salentina: Enza Pagliara, Emanuele Licci e Claudio Cavallo, e la cantante di Opa Cupa Irene Lungo. Il repertorio prevede marce sinfoniche classiche del repertorio bandistico dei maestri E. Abate e N. Ippolito. Inoltre alcuni tra i brani più belli della tradizione popolare salentina e parte del repertorio del più famoso gruppo balkanjazz del mondo: Opa Cupa. Tutto fortemente influenzato da grossi spunti improvvisativi e arrangiamenti per organico bandistico. Il cd + dvd GirodiBanda, prodotto da 11/8 Records e distribuito da Felmay, è il live presentato in anteprima assoluta a Galatina il 20/08/07 ospite del Festival La Notte della Taranta. Attualmente GirodiBanda è invitato a partecipare a numerosi festival in Italia ed alle feste patronali del Sud Italia come serata conclusiva e rappresentativa delle nuove tendenze musicali bandistiche. GIRODIBANDA Organico Cesare Dell’Anna - Direttore- tromba Irene Lungo- voce Enza Pagliata- voce Claudio Cavallo- voce Emanuele Licci- voce Opa Cupa Banda da Giro Artisti di strada (trampoli, giocolieri, mangiafuoco) ALBO D’ORO Sezione Cinema MAGGIO ITALIANO 1994 - GIUSEPPE PICCIONI 1995 - DANIELE LUCHETTI 1996 - MARIO MARTONE ROBERTA TORRE ARCIPELAGO (Antonietta De Lillo, Antonio Rezza, Cosimo Alemà, Fabio Caramaschi, Stefano Saveriano, Ilaria Freccia, Giovanni Martinelli, Paolo Bragaglia, Beniamino Catena) 1997 - FRANCESCA ARCHIBUGI FABIO SEGATORI ARCIPELAGO (Guido Chiesa, Maurizio Dell’Orso, Giancarlo Bocchi, Antonio Meucci, Giancarlo Rolandi, Stefano Bessoni) 1998 - PAPPI CORSICATO GUIDO CHIESA ARCIPELAGO (Gianluca Sodaro, Rolando Stefanelli, Enrico Salimbeni, Giulio Laurenti) VIDEA (Cristina Vuolo) 1999 - PAOLO VIRZI’ EROS PUGLIELLI ARCIPELAGO (Fluid Video Crew, Vincenzo Scuccimarra, Enrico Pitzianti, Laura Muscardin, Stefano Corazziari) VIDEA (Alessandro Nico Savino e Simona Piattella) 2000 - DAVIDE FERRARIO DANIELE SEGRE TONINO VALERII 2001 - FERZAN OZPETEK LUCIANO EMMER VideA (Marco Chiarini) 2002 - CRISTINA COMENCINI GILLO PONTECORVO VideA (Riccardo Forti) 2003 - MIMMO CALOPRESTI FRANCA VALERI ARCIPELAGO (Emanuele Crialese, Camille D’Arcimoles, Alessandra Stabile, Frizzi Maniglio, Alessia Lucchetta, Tommaso Lipari, Simone Massi, Daniele Lunghini, Diego Zuelli) VideA (Francesco Calandra) 2004 - SILVIO SOLDINI VideA (Giovanna Di Lello) 2005 - MATTEO GARRONE VideA (Massimo Martelli - Stefano Odoardi) PIER PAOLO PASOLINI 2006 - PAOLO SORRENTINO EDOARDO WINSPEARE VideA (Dino Viani) 2007 - SAVERIO COSTANZO Demoni & Gay - letteratura e omosessualità nel Cinema Asta Nielsen/Hamlet 2008 - CARMINE AMOROSO È successo un ‘68 - I suoi primi 40 anni 2009 - GIANNI DI GREGORIO Futuritmi - Corti del ’20 e del ’30 di ispirazione futurista ITALO DOC 8 film di Italo Moscati Sezione Danza 1996 Concerto d’Europa · LILIANA COSI e MARINEL STEFANESCU 1997 Mediterranea · BALLETTO DI TOSCANA Gran Gala del Maggio per la Danza · ORIELLA DORELLA, ANITA MAGYARI, MICHELE VILLANOVA 1999 Indiscipline · KATAKLÒ 2000 La Lupa · LUCIANA SAVIGNANO 2001 Arie di corte e Pavane - Souvenir di Isadora Duncan · CARLA FRACCI 2002 Coreografia europea · ATERBALLETTO Patchwork · COMPAGNIA ZAPPALÀ DANZA 2003 Vento (nelle costellazioni silenziose) · COMPAGNIA VIRGILIO SIENI DANZA Gee Andy! (Il mondo dell’artista mito della Pop Art Andy Warhol) · BALLETTO TEATRO DI TORINO 2004 Gli Scordati · GIORGIO ROSSI - ASSOCIAZIONE SOSTA PALMIZI Catalogo Tangueros · NUEVA COMPAÑIA TANGUEROS 2005 Aterballetto Suite · ATERBALLETTO 2006 Duende; Camuflage-Venus · SPELLBOUND DANCE COMPANY Grazie Rudy · Galà Rudolf Nureyev · MAXIMILIANO GUERRA 2007 Polis · Compagnia ABBONDANZA/BERTONI 2008 Omaggio a Béjart · GRAZIA GALANTE - RAFFAELE PAGANINI Carmina Burana · SPELLBOUND DANCE COMPANY 2009 Giulietta e Romeo - KLEDI KADIU e COMPAGNIA BALLETTO DI ROMA La sezione Musica del Maggiofest ha ospitato, tra gli altri: Wim Mertens, Roger Eno, Harmonia, Nccp (Nuova compagnia di canto popolare), Nada, Rita Marcotulli, Javier Girotto, Piccola Orchestra Avion Travel, Quintorigo, Peppe Barra, Madreblu, Ominostanco, Quartetto Euphoria, Franco Piersanti, Germano Mazzocchetti, Banda Osiris, Raiz, Officina Zoè, Lisma Project, Ambrogio Sparagna & Orchestra Pizzicata, Eugenio Bennato. La sezione Teatro ha ospitato, tra gli altri: i Teatri indipendenti d’Abruzzo (Spazio Tre, Florian, Drammateatro, Piccolo Teatro del Me-Ti, Teatro dei colori, L’Arte del Teatro, Lanciavicchio, L’Uovo), Teatro Stabile d’Abruzzo, Peppe Barra, Piera Degli Esposti, Walter Maestosi, Grazia Scuccimarra, Cosimo Cinieri, Lorenzo Salveti, Paola Pitagora, Dacia Maraini, Koreja, Maria Inversi, Riccardo Reim, Manuele Morgese, Daniele Salvo, Giacinto Palmarini. Finito di stampare nel mese di maggio 2010 Multiprogress - Mosciano S.A. (Teramo)