OPERA/ Nostalgia di Ronconi e Hitchcock nel
"Giro di vite" di Britten
Giuseppe Pennisi
sabato 30 giugno 2012
The Turn of the Screw di Britten
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Si svolge dal 29 giugno al 15 luglio 2012 la 55esima edizione del Festival dei Due Mondi di
Spoleto, storica manifestazione culturale che negli ultimi anni si è riaffermata quale evento di
risonanza mondiale. Terreno d'incontro fra culture diverse e grandi esperienze artistiche provenienti
da tutto il mondo, prestigiosa ribalta per artisti di fama, vetrina per quelli emergenti, e di nuovo
luogo di produzioni originali, il Festival porta in scena le massime espressioni dell’opera, della
musica, della danza, del teatro, con uno sguardo attento anche sul visivo contemporaneo. La
55esima edizione del Festival si presenta con 55 spettacoli e 106 aperture di sipario, 2 rassegne di
cinema, 1 laboratorio teatrale, 3 convegni, 2 concorsi, 4 premi, oltre a diversi eventi speciali e
mostre.
In occasione del centenario della nascita di Benjamin Britten, che cade nel 2013, il Festival è stato
inaugurato con “The Turn of the Screw” (“Il Giro di Vite), l’opera più rappresentata del
compositore britannico A proposito del racconto di Henry James da cui è tratto il lavoro, Britten
utilizzò tre aggettivi “meraviglioso, sinistro e terrificante”. Dalla novella, Britten fece trarre un
libretto affascinante da Myfanwy Piper: due atti (di otto scene e 50 minuti esatti ciascuno) pensati
come uno specchio: a ciascuna breve e rapida scena del primo atto se ne riscontra una analoga nel
secondo in cui però la tonalità di musicale è rovesciata o più semplicemente duplicata con un
leggero mutamento. L’organico è all’osso: tredici orchestrali e sei voci (che possono essere ridotte a
cinque) di cui due “bianche”, due soprani e un tenore. La struttura a specchio e la prevalenza di
voci “alte” fa sì che le singole rapide scene diano il senso dell’avvitarsi della vicenda sino alla
tragica “giaccona” finale.
La novella di James e il dramma in musica di Britten sono imperniati sulla perdita dell’innocenza una perdita “ambigua” in quanto non è mai palese se siano stati i bambini Flora e Miles ad essere
corrotti oppure anche complici dei loro corruttori (ormai morti e divenuti fantasmi) o se il desiderio
della loro nuova Governante di riscattarli celi un più sottile tentativo di conquista. Non è neanche
chiaro se la perdita dell’innocenza sia connessa a possesso intellettuale, psicologico o sessuale.
Britten pensò “The Turn” come opera “portatile” da trasferta da un teatro all’altro.
Per diversi anni si è visto in vari teatri italiani un allestimento di Luca Ronconi, presentato a Torino,
Roma, Cagliari, Parma ed altre città. Le scene di Margherita Palli, i costumi di Vera Marzot e la
regia di Luca Ronconi ci portavano in una Gran Bretagna vittoriana ossessiva. Pochi anni dopo,
un’edizione firmata da Luc Bondy dava ai due tempi una regia incalzante, alla Hitchcock, anche in
quanto aiutata dalle belle scene (studiate per rapidi cambiamenti) di Richard Peduzzi e dai costumi
di Moidele Bickel: eliminati tutti i ciarpami vittoriani, il “Turn” diventa un nostro contemporaneo
che ci prende ancora di più. L’edizione partì da Aix en Provence e girò per vari teatri europei. Ad
Aix il vero capolavoro è stata la direzione intensa e travolgente del piccolo organico orchestrale da
parte di Daniel Harding.
L’allestimento di Spoleto si deve confrontare con queste due pietre miliari della realizzazione di
“The Turn” negli ultimi quindici anni. Perfetta la resa musicale da parte dei sette interpreti e del
complesso della Verdi di Milano guidato da Johannes Debus. È lavoro molto difficile sotto il
profilo sia orchestrale sia vocale. Ciascun atto, come si è detto, si basa su tema e una serie di
variazioni (una per scena), Johannes Debus ed il piccolo ensemble (meravigliosa la celesta) hanno
fanno sì che idee musicali così complesse venissero espresse con grande naturalezza e spontaneità e
che l’organico cameristico fosse in grande di esprimere negli intermezzi sonorità sinfoniche.
Dal punto di vista vocale, “The Turn” ha due trappole: l’ascoltatore deve essere in grado di
comprendere ogni parola (e ogni parola è legata a tonalità specifiche) poiché si è alle prese con un
"giallo"; inoltre, la vocalità della protagonista è impervia in quanto spesso imperniata sull’acuto. Il
cast è in gran misura anglosassone: eccelle il giovane Thomas Copeland nel ruolo di Miles e molto
buoni anche Martin Miller (il Prologo) e Leonardo Capaldo (Quint), ruoli scritti perché venissero
cantati da Peter Pears. Nel gruppo femminile, la protagonista, la francese Marie – Adeline Henry ha
la vocalità richiesta, ma una dizione spesso di difficile comprensione.
Di livello Hanna Schaer, Emily Righter e Rosies Lomas. Si resta perplessi alla regia di Giorgio
Ferrara e alle scene di Guido Quaranta: si ispirano al quadro del simbolista di tardo ottocento
Arnold Böcklin sull’isola dei morti, idea di recente utilizzata per lavori così differenti come il
“Macbeth” di Verdi ed “Arianna a Nasso” di Strauss (deve essere di moda). Manca sia il clima
vittoriano dell’edizione di Ronconi che soprattutto il passo incalzante alla Hitchcock di quella di
Bondy.
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