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MASSIMARIO MINIMO
a cura di Federico Roncoroni
L’innocenza cominciò cor prim’omo, e lì rimase.
(Giuseppe Gioacchino Belli)
GIOVEDÌ 8 APRILE 2010
Il fascismo torna di moda
nell’Italia di Berlusconi
Uno storico tedesco analizza la rivalutazione in corso del Ventennio
Dalla deriva razzista all’identificazione del nemico con i comunisti
I rischi connessi alla sdoganamento
del fascismo erano già stati messi in luce da
Sergio Luzzatto in un penetrante libretto
del 2004, La crisi dell’antifascismo. Già, poiché di solito - per carità, forse non da noi rendere accettabile una dittatura prelude
all’instaurazione di un’altra. Ora tuttavia
giunge un ampio volume di Aram Mattioli a riprendere la questione, e da una prospettiva che non susciterà certo meno polemiche del pamphlet di Luzzatto. Mattioli è il maggior storico di lingua tedesca
dell’Italia fascista, a lui dobbiamo tra l’altro
studi fondamentali sull’architettura del Fascio: dove ovviamente Como gioca un ruolo fondamentale, in un contesto però assai meno brillante e assai più asservito di
quello mirabile di Terragni e Sant’Elia. Ma
Mattioli ha curato anche un volume che riprende la ricerca di un grande storico svillaneggiato spesso dalla corporazione italiana, Angelo Del Boca, sulla vergognosa guerra di sterminio condotta da Mussolini in
Etiopia a partire dal 1935. Nel suo ultimo
libro, uscito da un mese in Germania, e che
ha già fatto tanto parlare di sé, lo storico
di Lucerna affronta il tema della rivalutazione di Mussolini e del fascismo fatta da
Berlusconi negli ultimi quindici anni. Viva Mussolini! Die Aufwertung des Faschismus in Italien Berlusconis, edito da Schöning, è polemico
già nel titolo:
«Aufwertung» significa sia valutazione sia rivalutazione, ma è chiaro leggendolo che
esso muove una
critica fondata a
tutta la società italiana, e non solo
al sistema politico. Berlusconi nel
1994 affermò:
«Nel mio governo non esistono fascisti»,
ma intanto vi accolse subito Gianfranco Fini. E a Mattioli non sfuggono certo né Alessandra Mussolini - «meglio essere fascisti
che checche», né Ciarrapico, reclutato da
Berlusconi con il pretesto che «avendo tutti i giornali contro» almeno l’editore garantiva qualche testata a favore. Nel frattempo
a diverse manifestazioni dell’attuale Pdl
giovani e meno giovani salutavano a braccio teso, ma certamente per ogni saluto romano c’era un voto senza nome ma utile, e
a Berlusconi fu immediatamente chiaro
quanto anche pochi voti possano essere essenziali nel sistema elettorale italiano. La
rivalutazione del fascismo è altra cosa dall’opera storiografica sul fascismo stesso. Si
è accusata di "revisionismo" - termine che
si declina troppo spesso come difesa delle
dittature - l’immensa opera di Renzo De Felice, che invece offre un’analisi oggettiva
e stringente di un periodo che alla fine appare come in effetti fu: di infinita tristezza, morale e materiale; e culminato in un
conflitto devastante per l’Italia, tanto da concludersi in una vera e propria guerra civile, come Claudio Pavone ci insegnò con il
suo magistrale libro del 1992. Berlusconi
ha anche affermato che «all’inizio Mussolini ha fatto cose buone». Ma quali? L’effimera vittoria della prima guerra mondiale
si rivelò la peggiore delle sconfitte, ma la
miseria immensa del 1922 era se possibile solo peggiorata nel 1945. Le cose buone
le fece senz’altro per sé: far uccidere Matteotti e incarcerare Gramsci, tanto per far
capire agli avversari come dovevano anda-
SILVIO& BENITO
di Paolo Bernardini
re le cose. Ma Mattioli mostra bene anche
come si possa essere "fascisti" senza avercelo scritto in fronte. La Lega, che aveva nell’ideale separatistico un elemento certo non
fascista, ha trovato nel razzismo che ancora la ispira la propria anima littoria: salvo
che la razza padana appare invenzione ancor più ridicola della razza italica di mussoliniana memoria, e ancora nessun periodico dal titolo La difesa della razza padana
è uscito dai verdi torchi longobardi. Esponenti di spicco della Lega avevano affermato pochi anni fa che per risolvere il problema degli immigrati occorreva riaprire Auschwitz, a quando l’olio di ricino? Certamente, il fatto che l’attuale governatore del
Veneto Zaia abbia detto che se l’economia
continua così dovremo andare a zappare i
campi (forse perché ministro dell’agricoltura…) - questa dichiarazione è sfuggita a
Mattioli solo perché il libro era già in stampa - ci richiama all’autarchia del Duce. D’altra parte si zappava i campi perché l’Italia
era ancora un paese prevalentemente agricolo; dove nel 1952, a sette anni da Piazza-
[ IL PRECEDENTE ]
Anche a «Rai per una notte»
L’accostamento Berlusconi-Mussolini non è inedito. Già Michele Santoro, in apertura del suo programma-evento «Rai per una notte» tenutosi a Bologna nel periodo preelettorale associò le immagini di un
comizio del Duce e quelle del discorso di Berlusconi a San Giovanni. Santoro si è poi rivolto direttamente al capo dello Stato Giorgio Napolitano per
denunciare le limitazioni alla libertà di
espressione, con molti riferimenti al
Ventennio.
le Loreto, il 27% della popolazione era analfabeta. Ma quello che Mattioli intuisce essere devastante, è la continua identificazione del "nemico" con "i comunisti". I giudici comunisti, i professori comunisti, perfino il cattolico Prodi messo in loro compagnia. Tale meccanismo, in un paese in cui
il naturale opposto del comunismo è solo
il fascismo - quando si tratta di due diverse colorazioni per dittature sostanzialmente identiche, perfino nella politica economica - ha portato quasi naturalmente ad uno
sdoganamento del fascismo stesso. Che una
volta, giusto le parole di Ardengo Soffici,
era "rosso". La vera contrapposizione, tra
statalismo e liberismo, tra centralismo e sussidiarietà, tra dirigismo e autonomie, non
entra veramente nel discorso politico italiano. O almeno è entrata da poco. D’altra
parte alla fine del 2003 Berlusconi aveva
definito "benigno" il fascismo, che a suo dire mandava in vacanza (al confino) gli oppositori. Giacomo Matteotti lo mandò in vacanza perpetua in una fossa, dopo giorni
e giorni di orrenda agonia.
chi è
Paolo Bernardini,47 anni,è professore ordinario di Storia moderna
all’Università dell’Insubria. Fondatore e direttore del Center for Italian and European Studies della Boston University,ha insegnato in numerose università americane,in Inghilterra,Australia e Germania. È
studioso di storia moderna,del pensiero politico,e dell’ebraismo di fama internazionale, autore di oltre
200 pubblicazioni in italiano,inglese e tedesco.Formatosi all’Università di Genova,dove si è laureato in
filosofia nel 1987, e all’Istituto Universitario Europeo di Firenze,dove
ha conseguito il Ph.D nel 1994, ha
continuato gli studi in Germania.
Svizzera tedesca, l’italiano è in... estinzione
Via dall’università, ora anche il governo mette limiti alla lingua di Dante nel Cantone
Una certa nostalgia per il passato c’è, indubbiamente, perché nella seconda metà del secolo scorso
la lingua italiana nella vicina Confederazione elvetica viaggiava forte, sia a livello popolare, grazie ai
numerosi immigrati italiani
affluiti soprattutto nella
Svizzera tedesca, sia a
livello colto, e basti citare l’Università di
Friburgo, che aveva
affidato la cattedra di
filologia romanza a
Giancarlo Contini, uno
dei più eminenti studiosi della letteratura italiana. Ma da tempo le cose sono cambiate (si pensi alla chiusura della cattedra di italianistica a
Zurigo nel 2005) e preoccupano soprattutto il Ticino, unico Cantone
totalmente italofono, che ovviamente legge in questo disintersse nei
confronti dell’italiano una perdita
contrattuale nel contesto politico
elvetico. Ora la questione torna in
auge perché il Parlamento intende
legiferare sull’argomento e
rafforzare il plurilinguismo, mentre il Governo
ostacola il disegno di
legge. Una vecchia
questione, in realtà:
tra tira e molla, è un
decennio che si va
avanti in questo modo. Ma quali le ragioni
di questo disinteresse?
Secondo Moreno Bernasconi, vice-direttore del «Corriere del
Ticino», recentemente espressosi
sul tema con un editoriale, il motivo è di tipo economico. Non si vo-
gliono investire soldi. Lo conferma
anche Matteo Casoni, studioso e ricercatore all’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana. «L’italiano sta perdendo prestigio, soprattutto nei Cantoni di lingua tedesca»
spiega lo studioso «ormai sempre
meno studenti avvertono la necessità di studiare l’italiano che diventa sempre più marginale e che si
parla ormai solo nei contesti familiari». Semplice capirne il motivo:
i giovani italiani che vivono in Svizzera tedesca appartengono ormai
alla terza generazione e si sono
completamente integrati nel territorio, anche da un punto di vista
linguistico. «Per riportare in auge
l’italiano e far sì che, non solo sulla carta, ma anche da un punto di
vista concreto esso sia la terza lingua nazionale, occorrerebbe intro-
durlo nei piani di studi delle scuole inferiori, come le elementari e le
medie, ma queste sono gestite a livello cantonale, non federale», spiega ancora Casoni. «Personalmente
- continua - trovo molto utili gli
scambi tra studenti delle scuole medie e superiori, perché permettono
ai ragazzi di lingua tedesca di venire a contatto con la nostra lingua
e di impararla. Ma per fare queste
cose occorrono investimenti». E l’editorialista Moreno Bernasconi ipotizza anche una cifra: tre milioni di
franchi per salvaguardare la lingua
italiana e la tradizione plurilinguista svizzera, «un valore aggiunto
importante rispetto al bilinguismo
(lingua locale/inglese) ormai dominante», come spiega concludendo
l’articolo.
Laura Di Corcia
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