In caso di mancato recapito, restituire al mittente che s’impegna a pagare la relativa tassa presso C.M.P. - TO-NORD “Chi pensa che il denaro possa tutto è egli stesso disposto a tutto per il denaro” “Quando il cittadino è passivo, la democrazia si ammala” B. FRANKLIN A. C. DE TOCQUEVILLE PERIODICO INDIPENDENTE FONDATO NEL 1949 ANNO LVIII - N. 10 - DICEMBRE 2006 Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Consolata, 11 - 10122 TORINO e-mail: [email protected] - Telef. + Fax 011.521.20.00 Prezzo € 0,90 Abbonamento annuo € 9,00 - Estero € 25,00 - Sostenitore € 25,00 - Conto corrente postale 26188102 Poste Italiane s.p.a.- Spediz. in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB TORINO IMPORTANTE CONVEGNO A ROMA PROVOCATORIO CONGRESSO A TEHERAN Per inserzioni rivolgersi alla nostra Amministrazione EUTANASIA L’OLOCAUSTO SAREBBE 80 ANNI FA LE LEGGI ECCEZIONALI SOLTANTO UNA LEGGENDA! Welby, il recupero tragico FASCISTE E IL TRIBUNALE SPECIALE Organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre e dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti (ANPPIA) ha avuto luogo, il 12 dicembre in un salone dell’Università, un Convegno a 80 anni dalle Leggi eccezionali e dall’istituzione del Tribunale Speciale fascista. Al Convegno, intitolato “I valori dell’Antifascismo, della Resistenza e della Costituzione, garanzia di Libertà e Giustizia” hanno partecipato quali relatori il presidente onorario dell’ANPPIA, on. Pietro Amendola, il vice-presidente dell’ANPPIA sen. prof. Paolo Bagnoli, il preside della Facoltà di Scienze della Formazione prof. Francesco Susi, il docente di Storia contemporanea prof. Carlo Felice Casula, il presidente emerito della Corte Costituzionale on. avv. Giuliano Vassalli, il presidente nazionale dell’ANPPIA on. Giulio Spallone. Testimonianze dal confino e dal carcere sono state rese da Giovanna Marturano e dal sen. prof. Adriano Ossicini. Una folla di studenti ha seguito con interesse gli interventi degli oratori, che hanno tracciato un quadro storico del periodo (novembre 1926) in cui il regime fascista instaurò la dittatura mediante leggi eccezionali e l’istituzione del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. Il presidente della Repubblica, Napolitano, l’ex-presidente Scalfaro ed altre Autorità avevano inviato messaggi di adesione. Il giorno successivo si è riunito il Consiglio Nazionale dell’ANPPIA (Associazione unitaria fondata nel 1946 da Pertini e Terracini). L’ANPPIA si è resa benemerita anche per la pubblicazione di una serie di volumi: “L’Italia dissidente e antifascista” 1980; “L’Italia al confino 1926-1943”; “Il Tribunale di Mussolini (storia del Tribunale Speciale 1926-1943)” ecc. Pubblichiamo parte della relazione del prof. Giuliano Vassalli (vecchio amico ed abbonato al nostro giornale) al Convegno suddetto. L’istituzione del “Tribunale Speciale per la difesa dello Stato” rappresentò - unitamente alla reintroduzione in Italia della pena di morte, stabilita nella stessa legge 25 novembre 1926, n. 2008, e all’introduzione del confino di polizia per motivi politici, avvenuta con gli articoli 180 e seguenti del Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza 6 novembre 1926, n. 1818 – l’instaurazione di una vera e propria dittatura, segnata dall’ intimidazione e dal terrore, e in ogni caso la definitiva rottura col precedente sistema giuridico espressione – nonostante temporanee deviazioni – della democrazia liberale. Tali provvedimenti erano stati preceduti da altre significative espressioni del nuovo regime sul piano politico, quali la legge 25 novembre 1925 n. 2029, che obbligò le associazioni politiche a fornire l’elenco dei propri iscritti e le notizie circa la propria organizzazione ed attività, gettando così la base per lo scioglimento di tutti i Partiti politici diversi da quello fascista, avvenuta un anno dopo, e la legge 21 gennaio 1926 contro gli esuli politici (perdita della cittadinanza e confisca dei beni) che sarà poi ripetuta in altri provvedimenti nello stesso anno. Pena di morte per i delitti politici più importanti e pene altissime per gli altri, devoluzione della competenza per tutti questi reati ad un apposito “Tribunale Speciale”, sottraendola così sia alla magistratura ordinaria che a quella militare, e confino politico fino a un massimo di cinque anni, rinnovabile allo scadere degli stessi, divennero – insieme alla legislazione contro “i fuoriusciti” politici – i pilastri sui quali si assise, per 17 anni, l’ordinamento repressivo del fascismo contro i propri avversari. L’introduzione della pena di morte (che il codice penale del 1930 estenderà ad una serie di reati comuni) fu una delle più gravi lesioni subite dal sistema in vigore nel nostro Paese. In Italia la situazione era, su questo tema, profondamente diversa da quella presente negli altri Stati europei, che addivennero alla soppressione della pena di morte soltanto dopo la seconda guerra mondiale. In Italia la pena di morte era stata eliminata dal codice penale Zanardelli del 1889, quando nell’ex Granducato di Toscana detta pena era già scomparsa sin dal 1859 e il dibattito su di essa era stato uno dei motivi per cui il primo codice penale unitario si era avuto soltanto trent’anni dopo la formazione del Regno d’Italia. Il ripudio della pena capitale era dunque un segno specifico della cultura e delle tradizioni giuridiche italiane, raggiunto dopo lunga meditazione e con il coinvolgimento popolare. Il ritorno dei plotoni di esecuzione fu un autentico trauma, nella coscienza colta come in quella della maggioranza del popolo. Non meno grave la creazione del “Tribunale Speciale”, contenuta nell’art. 7 della stessa legge n. 2008, che nei primi sei articoli aveva introdotto – come testé ricordato – la pena di morte, nonché altre gravi innovazioni di natura penale, quali la punizione del “concerto criminoso” non seguito né dalla commissione del delitto concertato, né da atti diretti all’esecuzione dello stesso. Il Tribunale Speciale si distinse: a) per la sua incostituzionalità, b) per la tipica assenza di imparzialità (carattere essenziale della giurisdizione), c) per l’inesistenza di mezzi di impugnazione delle sue sentenze. Lo Statuto Albertino del 1848, divenuto con l’unificazione la Costituzione italiana, stabiliva, nell’art. 71, che “Niuno può essere distolto dai suoi giudici naturali” ed aggiungeva: “Non potranno perciò essere creati tribunali o commissioni straordinarie”. Ora il Tribunale Speciale, ancorché così chiamato, era un tribunale straordinario perché la sua durata fu originariamente fissata in cinque anni, e così avvenne, poi con i rinnovi nel 1931, nel 1936 e nel 1941 quando la sua esistenza fu sancita senza fine e la sua competenza venne estesa a reati economici del tempo di guerra. Comunque gli imputati vennero distolti dal loro “giudice naturale” e per giunta lo furono anche coloro i cui processi erano già in corso (presso la magistratura ordinaria o presso quella militare) al momento dell’entrata in funzione del Tribunale Speciale. Circa la conclamata mancanza di imparzialità, essa era certificata dalla composizione stessa del Tribunale, salvi i primi mesi, in cui ne furono presidenti generali dell’esercito. Presidente fu sempre un generale della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (MVSN), prima Cristini e poi Tringali Casanova. I giudici dovevano essere tutti o consoli generali o consoli della Milizia. Nelle “commissioni istruttorie” potevano essere anche “seniori”. Dunque gli organi giudicanti erano tutti dignitari di quello “Stato” che si voleva difendere. A giudicare gli imputati di antifascismo dovevano essere necessariamente gli ufficiali fascisti e soltanto loro. In sede di discussione della legge in Senato, Mussolini aveva testualmente detto: “Il Tribunale sarà composto di persone scelte da me e assolutamente per ogni verso insospettabili”. Voleva dire che si sarebbe trattato di giudici indipendenti o non piuttosto dei giudici sicuramente e intransigentemente fascisti? Quanto infine alla sancita esclusione di ogni mezzo di impugnazione avverso le sentenze del Tribunale Speciale, questo non è altro che uno dei segni più tipici dei regimi totalitari. Per il restante, il Tribunale era superallineato ai tempi nelle istruttorie, l’attività del difensore era quasi insignificante e quando nelle istruttorie dominava il sistema inquisitorio, che per il Tribunale Speciale consisteva esclusivamente o quasi – come ricorda Ernesto Rossi nella sue memorie – nel tentativo di scavare attraverso interrogatori nella personalità degli indagati, nei loro orientamenti, nelle notizie che potessero dare sul loro ambiente familiare e sociale. La legge n. 2008 del 1926 passò per il Parlamento italiano, ridotto a una larva o un bivacco, in circostanze veramente “speciali”, delle quali non si ricorda l’eguale nella storia d’Italia. La seduta della Camera dei Deputati cominciò con la dichiarazione di decadenza pronunciata nei confronti di quasi tutti i deputati dell’opposizione al Partito ormai dominante. Furono dichiarati decaduti tutti i 123 deputati cosiddetti “aventiniani” che dopo il delitto Matteotti (10 giugno 1924) si erano allontanati dalle attività della Camera e anche, senza motivazione, furono dichiarati decaduti i deputati comunisti, che erano, salvo errore, una trentina. Come oppositori ne rimanevano meno di venti e i presenti, in numero di dodici, votarono contro la legge. È giusto ricordarne i nomi: Pivano, Poggi, Scotti, Viola (medaglia d’oro della prima guerra mondiale), Fazio, Gasparotto, Lusotto, Lanza di Trabìa, Pasqualino Vassallo, Bavaro e Soleri. Gasparotto, dopo l’approvazione della legge, si dimise da vicepresidente della Camera. Il deputato Scotti, del Partito dei contadini, accusato dai fascisti di avere in un primo momento dato la disponibilità di votare a favore della legge, fu respinto a calci e pugni fuori dal palazzo di Montecitorio, dopo essere stato picchiato ed insultato in aula. Gli “aventiniani” Costantino Lazzari del Partito socialista massimalista ed Alessandro Bocconi del Partito socialista unitario, sorpresi mentre cercavano di assistere alla seduta dalle tribune, furono riconosciuti, selvaggiamente percossi e gettati anch’essi fuori dal palazzo. Il relatore sulla proposta di legge, Angelo Manaresi, in un discorso di inconcepibile violenza per sostenere il ricorso alla pena capitale, esortò al linciaggio, additando come esempio lo scempio che nella folla di Bologna il 31 ottobre precedente era stato fatto dal giovanissimo Anteo Zamboni, additato – non si è mai saputo con quali prove – di avere lanciato una bomba in direzione del duce. Al Senato del Regno la seduta fu meno tempestosa e taluni senatori ebbero il coraggio e il tempo per parlare contro la legge già passata alla Camera. Furono Wollemborg, Campello, Tamassia e Francesco Ruffini, insigni studiosi di storia del diritto, e soprattutto il liberale Alessandro Stoppato, professore di diritto penale e grande avvocato, che a Padova era stato il professore di Giacomo Matteotti, laureatosi con lui sulla recidiva e da lui incoraggiato a darsi alla carriera universitaria. Il 25 novembre 1926 segnò il doloroso tramonto di un’era di libertà. Le sentenze di condanna pronunciate dal Tribunale Speciale tra il 1927 e il luglio 1943 furono 978, per un totale di 4596 condannati. I confinati politici furono molte migliaia. Le condanne a morte furono in tutto 31. La prima a Lucca, contro il giovane comunista lucchese Michele Della Maggiora, nel 1928. Pare sia stata imposta da Mussolini per dare un esempio. Il difensore d’ufficio del Della Maggiora, avvocato Aristide Manassero di Roma, fu aggredito dai fascisti e malmenato. Tornato a Roma si presentò al presidente Cristini (che proveniva dal ceto degli avvocati) e gli disse: “Presidente, io faccio l’avvocato e non l’impresario di pompe funebri. Un’altra volta, quando si tratterà di persona cui sapete che sarà condannata a morte, evitate di nominarmi avvocato d’ufficio”. Tra i condannati a morte di quei primi 17 anni vi furono 3 degli attentatori a Mussolini: Bovone e Sbardellotto, condannati in processi diversi ma fucilati lo stesso giorno, e Michele Schirru, condannato a morte, come scrisse in un trafiletto “L’Osservatore Romano”, per avere “avuto l’intenzione di uccidere il capo del governo”… Il Capo senussita Omar el Mukhtar subì l’impiccagione in Cirenaica a seguito di sentenza del “Tribunale di guerra” della Libia. Furono condannati a morte anche imputati sloveni, tra i quali Vladimiro Gortan. Più tragico il quadro dopo il settembre 1943, quando il Tribunale Speciale, soppresso dai primi provvedimenti legislativi del Governo Badoglio, fu ricostituito dalla Repubblica Sociale. Esso non era più solo perché v’erano anche tanti altri Tribunali politici: tribunali militari, tribunali di guerra della “Guardia Nazionale Repubblicana”, tribunali di corpi antiguerriglia, tribunali della Decima MAS e di altre formazioni, tribunali provinciali per condannare i “traditori” dei 45 giorni badogliani, cioè gli exiscritti al Partito Nazionale Fascista. Vi fu anche il “Tribunale Provinciale Straordinario” creato in Verona, che condannò a morte (11 gennaio 1944) i gerarchi del Gran Consiglio del Fascismo colpevoli di aver votato l’ordine del giorno Grandi il 24 luglio 1943. Fu invece il nuovo – e doppiamente illegittimo – Tribunale Speciale per la difesa dello Stato a condannare a morte in Torino il 3 aprile 1944 il generale Giuseppe Perotti e il Comitato Militare Piemontese del CLN; così come fu lo stesso Tribunale Speciale a condannare a morte a Parma, l’ammiraglio Inigo Campioni, governatore del Dodecaneso, e l’ammiraglio Luigi Mascherpa, comandante della base navale di Lero, per alto tradimento per aver ordinato alle truppe da loro dipendenti di sospendere l’ostilità contro gli anglo-americani in ottemperanza ai precisi ordini dell’unico governo legittimo di quell’epoca e del Comando Supremo italiano. Quella condanna rimane sotto ogni aspetto, giuridico come morale, una delle pagine più vergognose della Storia di tutti i Paesi e di tutti i tempi, e certamente della Storia d’Italia. Giuliano Vassalli Presidente emerito della Corte Costituzionale Nell’Iran il regime ultraconservatore del presidente Ahmadinejad ha promosso un Convegno all’Università di Teheran per “ridiscutere senza preconcetti l’esistenza dell’Olocausto”. Alla presenza di 67 sedicenti esperti, fra cui l’italiano Leonardo Clerici convertito all’Islam (nipote del fondatore del Futurismo, Marinetti), provenienti da 23 Paesi, Ahmadinejad ha affermato: “L’Olocausto è una leggenda storiografica, un’invenzione per giustificare la formazione dello Stato d’Israele... Questo scomparirà presto. La parabola del regime sionista è in fase discendente...”. Quindi alla tribuna si sono alternati vari oratori. Secondo lo storico negazionista francese Robert Faurisson, i campi di sterminio sono un’invenzione degli americani, le camere a gas non sono mai esistite: “Anche Primo Levi, che era un chimico ha detto di non credere a questa diceria”. Tale menzogna è stata subito smentita da Marcello Pezzetti del Centro di documentazione ebraica di Milano: “Levi era prigioniero a Monowitz, terzo campo di Auschwitz, un campo di lavoro dove non c’erano camere a gas. Tutti gli impianti di sterminio erano a Birkenau”. Comunque Primo Levi, scrive delle camere a gas in due suoi libri: “Sommersi e salvati” e “Se questo è un uomo”. “A Monowitz avvenivano le selezioni degli ebrei che venivano poi internati a Birkenau per essere uccisi nelle camere a gas”. Un certo Ugo Fabbri, triestino di 66 anni, ha inviato alla conferenza di Ahmadinejad una relazione nella quale afferma che la Risiera di San Sabba non è mai stata un campo di sterminio. Anche per questa falsità è intervenuta la Comunità ebraica di Trieste, ricordando le vittime perite nella risiera ad opera di nazifascisti. Altri intervenuti al Convegno – formalmente organizzato dall’Istituto per gli Affari Politici e Internazionali del Ministero degli Esteri – sono stati lo storico americano David Duke, ex-deputato repubblicano della Louisiana e leader del KuKlux-Klan, alcuni membri del gruppo “Ebrei uniti contro il sionismo” vestiti nel tradizionale abito lungo nero degli ebrei ortodossi, che riconoscono l’Olocausto ma sono contrari per motivi religiosi allo Stato d’Israele. Fra essi il rabbino britannico Ahron Cohen che ha asserito: “Sicuramente diciamo che l’Olocausto c’è stato, ma in nessun modo può essere utilizzato come giustificatore per perpetrare atti ingiusti contro i palestinesi”. Il presidente iraniano, mentre saliva sul podio è stato contestato da ragazzi e ragazze che si sono messi a fischiare e a urlare “morte al dittatore”. Per quanto non abituato a contestazioni in pubblico – forse è la prima volta che le affronta – Ahmadinejad ha replicato: “Mi insultate, ma vi risponderò con calma”. Ha spiegato ai ragazzi che li amava, nonostante fossero “svergognati” sul libro paga degli USA. E mentre alcuni studenti bruciavano ritratti del presidente proprio sotto il suo naso, ha parlato di sè in terza persona: “E’ un onore bruciare per gli ideali della nazione, gli americani devono sapere che se anche il corpo di Ahmadinejad fosse bruciato mille volte, non indietreggerà di un centimetro”. Il pubblico ha urlato “menzogna” e il leader iraniano ha aggiunto: “Il vero dittatore sono gli USA, Ahmadinejad è e rimarrà solo uno studente”. Ma dopo 17 mesi di regime, che ha fatto tacere le voci di dissenso, la rabbia studentesca sembra tornare. Nei giorni precedenti tale contestazione si sono avute proteste contro la repressione di docenti indipendenti, contro il peggiorare della situazione economica e anche contro il “degrado dell’immagine internazionale del Paese”, dovuto al braccio di ferro sul nucleare e sull’antisemitismo di Ahmadinejad. Nella contestazione degli studenti del Politecnico (il 70% studentesse) si identifica l’anima inquieta dell’Iran. Sono stati gli studenti ad accendere la miccia della Rivoluzione contro lo Scià, che pur aveva fondato l’Università di Teheran nel 1934 e permesso l’ammissione ai corsi nelle stesse aule, di maschi e femmine, nonostante l’opposizione del clero Sciita. Pre- LO SCANDALO DI RIETI REVOCATA LA DELIBERA SU VIA PAVOLINI Disegno di Scalarini sull'Avanti! Nel corso di un Consiglio comunale a Rieti è stato approvato con i voti favorevoli dell’Unione, del PRI e l’astensione di Forza Italia, UDC, Nuova DC e il voto contrario di AN un ordine del giorno che impone alla Giunta municipale di ritirare la delibera del 3 agosto con la quale si voleva intitolare una Via sul Monte Termillino al gerarca fascista e fondatore delle Brigate Nere Alessandro Pavolini. Grande vittoria dell’Unione e delle forze democratiche ed antifasciste che hanno così bloccato l’ennesimo tentativo revisionista e mistificatore della Storia che la Giunta di centro destra voleva portare avanti. Tutti i consiglieri dell’Unione sono intervenuti in maniera appassionata per difendere la matrice e la tradizione popolare, socialista, democratica ed antifascista della Città di Rieti, che la Giunta Emili voleva violentare con un provvedimento vergognoso e intollerabile. La democrazia italiana è nata dalla Resistenza e dalla lotta antifascista ed è intollerabile che ci sia ancora qualcuno che lo voglia mettere in discussione. I Gruppi Consiliari dell’Unione so il potere nel 1979, l’ayatollah Khomeini impose invece la segregazione dei sessi, licenziò i professori contrari al governo clericale e chiuse poi le Università. Le attuali proteste non saranno sufficienti a far crollare il regime, anche perchè gli studenti non hanno un leader: i loro capi sono stati uccisi o arrestati durante le dimostrazioni del 1999, quando le milizie entrarono in un dormitorio dell’Università e colpirono gli studenti. Purtroppo l’ex-presidente Khatami, che si atteggiava a riformatore, li ha abbandonati e si è appartato. Tuttavia i giovani dissidenti esprimono lo scontento degli iraniani nei confronti della dittatura, sempre più isolata politicamente sulla scena internazionale anche per i suoi programmi nucleari e missilistici, minacciati da sanzioni dell’ONU. Il presidente iraniano è un estremista fanatico: vuole crearsi un’immagine nel mondo islamico perchè l’Iran non è un Paese arabo, né sunnita. Attaccando Israele pensa di ottenere le simpatie degli arabi e dei sunniti, uscendo così dal ghetto in cui lo relega il fatto di appartenere all’ala sciita, minoritaria all’interno dell’Islam. Comunque, la conferenza sull’Olocausto con il suo assurdo negazionismo, ha suscitato la reazione dell’Occidente: “E’ un evento inquietante – ha detto il premier israeliano Olmert – che dimostra la profondità dell’odio e del fondamentalismo radicale del governo iraniano. Le dichiarazioni contraddicono i fatti storici, riconosciuti dalla comunità internazionale. Negando la Shoah – la più estrema forma di genocidio mai avvenuta – Ahmadinejad ha sfidato la nozione di diritti umani universali, sviluppata dalla comunità internazionale dopo e a causa dell’Olocausto”. Il Vaticano si è schierato senza esitazioni contro la conferenza: “La Shoah è stata un’immane tragedia, dinanzi alla quale non si può restare indifferenti. Il ricordo di quei terribili fatti deve rimanere un monito per le coscienze, al fine di eliminare i conflitti”. La ferma posizione della S. Sede ha trovato ampi consensi nel Governo italiano, francese, americano e inglese. “Incredibilmente scioccante” ha definito la conferenza il premier inglese Tony Blair, che ha allargato il discorso al fatto che l’Iran rappresenta una “significativa minaccia strategica” per tutto il Medio Oriente. Il pensiero di Blair corre alle ribollenti crisi in Iraq, in Libano, nei Territori palestinesi. Alle inquietudini di Londra ha fatto eco il vice premier e ministro degli Esteri Massimo D’Alema, che ha definito la conferenza sull’Olocausto organizzata a Teheran “una cosa inqualificabile”. Il cancelliere tedesco Angela Merkel, ha espresso un duro giudizio nel corso di una conferenza stampa congiunta a Berlino con il primo ministro israeliano: “Non accetteremo mai cose simili. Respingiamo con la più grande fermezza iniziative del genere. La Germania non accetterà mai questo tipo di avvenimenti”. Anche Parigi si è indignata per “la rinascita delle tesi negazioniste o revisioniste” mentre il Dipartimento di Stato USA ha parlato di “gesto vergognoso e stupefacente” e l’Unione Europea ha espresso “profonda preoccupazione”. Prese di posizione che si sommano ai timori di instabilità del mondo: “Il terrorismo è la quarta guerra mondiale”, ha ricordato il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, durante la conferenza stampa in Vaticano per la presentazione del Messaggero per la Pace firmato da Ratzinger. Infine una tegola su Teheran: la Corte europea di giustizia ha emesso una sentenza secondo cui è illegale la decisione del Consiglio dell’UE di inserire i Mujahdin del Popolo iraniani nella “lista nera” delle organizzazioni terroristiche. La signora Maryam Rajavi, presidente del Consiglio della Resistenza dell’Iran, ha detto che ora i mujahdin potranno ottenere il diritto di asilo e non essere più sottoposti alle restrizioni conseguenti all’inserimento nella “lista nera”. Gli abbonati che si trasferiscono sono pregati di comunicare tempestivamente il loro nuovo indirizzo all’Amministrazione del nostro giornale per evitare disguidi postali. “La mia storia - aveva scritto Piergiorgio Welby - è simile a quella di tanti altri distrofici. Ricordare come tutto sia iniziato non è facile. Forse fu una caduta immotivata o il bicchiere, troppo spesso sfuggito di mano, ecc. ma quello che nessun distrofico può scordare è il giorno in cui il medico, dopo la biopsia muscolare e l’elettromiografia, ti comunica la diagnosi: Distrofia Muscolare Progressiva”. Ha 18 anni Welby, quando nel 1963 i medici gli accertano questa malattia genetica. Sembra abbia ancora pochi anni di vita. Ma le cose vanno diversamente. Così il ragazzo continua a vivere e a soffrire. Dalle difficoltà di presa, fino all’irrigidimento delle gambe. Ormai Welby non si fa più nessuna illusione. Comincia ad attendere la crisi respiratoria che lo soffocherà. E ai familiari dichiara di non voler essere intubato. Ma quando Mina, sua moglie, vede che al marito manca il respiro, lo porta in ospedale. Così Piergiorgio si trova attaccato ad un respiratore artificiale. Paralizzato, con la vita appesa a quel tubo che lo tortura, comunica attraverso il computer il suo dolore al mondo. Scrive anche un libro “Lasciatemi morire”, dove la sua drammatica vicenda fa riflettere sul senso della vita e della morte. Al di là di anestetizzanti proiezioni, siano quelle del regno dei cieli o quelle dell’edonismo rampante, Welby recupera la dimensione umana del tragico: “Forse la ‘colpa’ è del cristianesimo che, sottraendo la morte all’irreparabile dell’individualità che non torna per ridurla a peccato-morte-resurrezione, ha liquidato definitivamente il tragico. Oppure è il riflesso pavloviano di chi non vuole ammettere che l’eutanasia non è ‘una battaglia ideologica dei sani’”, ma una possibilità di cui gli uomini, o meglio “i mortali” (nel senso greco del termine) non possono fare a meno perché, come scrive Euripide nelle “Troiane”: “Il non nascere è uguale al morire, ma è meglio morire che vivere nel dolore”. Un lucido, tragico grido scuote le coscienze e richiama lo Stato al suo ruolo di civile legislatore: “in Italia, ci si ostina a non voler dare una risposta a questa domanda : “C’è un diritto alla morte così come c’è un diritto alla vita?”. (...) “La morte, o meglio, la volontà di affrontare i problemi che accompagnano la fine della vita, è la grande assente dalle nostre coscienze” (…) “Ci vorrebbero silenziosi, ci vorrebbero costringere in un ruolo che non ci appartiene, ma noi ci faremo sentire, parleremo con le impersonali voci sintetiche offerteci dalla tecnologia, chiederemo, chiederemo, chiederemo… fino a quando, se non l’assordante silenzio di Dio, cesserà almeno l’ingiustificabile silenzio dell’Uomo. Com’è difficile vivere e morire in un Paese dove il Governo fa i mi- FEDELTA' A RITA COMOGLIO Ancora attiva, nonostante i suoi 94 anni, nel direttivo dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti (ANPPIA), Rita Comoglio, nata e residente a Torino, ha una lunga militanza nelle file del P.C.I. Suo marito, Ermes Bazzanini, durante la Resistenza era stato commissario politico della XI Divisione “Garibaldi” nel Cuneese. A distanza di tanti anni e di tanti eventi, Rita Comoglio affronta con la serenità e con la saggezza che le sono abituali, questo periodo storico così intristito da guerre, violenze, riflussi reazionari. Si è abbonata a L’INCONTRO in anni lontani, riconoscendo in esso un’identità democratica, fedele all’antifascismo, alla Resistenza, alla difesa dei diritti civili. Condividendo le battaglie progressiste del nostro giornale ci ha espresso più volte il suo pensiero sui problemi politici italiani e internazionali rafforzando, con il suo assenso, le nostre opinioni. Ma il suo assenso si è manifestato anche con una partecipazione alla sottoscrizione permanente “Perché viva L’INCONTRO”. Invece di rinviare ad un lascito testamentario il suo aiuto al giornale, ha voluto donarlo ora, consapevole delle difficoltà economiche attuali de L’INCONTRO. Così Rita, modesta pensionata, ha donato un generoso contributo al nostro giornale. Vogliamo ringraziarla pubblicamente perché tale gesto significa apprezzamento per il nostro lavoro giornalistico e incitamento a proseguirlo nella fede di comuni ideali. ABBONAMENTI PER IL 2007 Con il prossimo numero il nostro mensile entrerà nel 59° anno di ininterrotta pubblicazione e di fedeltà al suo programma politico-culturale a difesa dei diritti civili, contro ogni discriminazione di razza, religione, ideologia e contro ogni minaccia autoritaria, per la pace e la collaborazione internazionale. Purtroppo il servizio di distribuzione postale fa pervenire le copie del giornale ai destinatari in ritardo, a danno dell’attualità e dell’informazione. Confidiamo che i lettori comprendano come i ritardi non dipendono dal giornale, ma dalle Poste italiane. Per garantire la vita de L’INCONTRO invitiamo i lettori a spedirci l’abbonamento ordinario (euro 9) o quello sostenitore (euro 25 o più) o quello per l’estero (euro 25). 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I suoi familiari, con l’assistenza di un medico anestesista di Cremona, il 20 dicembre hanno messo fine alla sua tortura. Il Vicariato di Roma ha rifiutato i funerali religiosi, che si tributano anche ai delinquenti e ai mafiosi. La salma di Welby, portata in spalla da amici e militanti radicali, è stata salutata da un lungo applauso. Maria Mantello * PER GENOCIDIO IN ETIOPIA CONDANNATO A MORTE L’EX TIRANNO MENGISTU L’Alto Tribunale Federale Etiopico ha condannato in contumacia alla pena di morte Mengistu Hailè Mariam e undici complici per il reato di genocidio e sequestro di beni. Nel 1997, quando era militare, detronizzò con un golpe il regime imperiale del Negus e instaurò una dittatura marxista con il sostegno dell’URSS. Voleva creare una nuova Etiopia socialista, ma per raggiungere questo obiettivo represse nel sangue ogni opposizione specialmente nelle regioni più arretrate e ribelli. Si calcola che per garantire il suo potere, fece uccidere circa 100 mila persone fra cui centinaia di ufficiali, dignitari di corte, il patriarca ortodosso. La caduta dell’URSS lo lasciò senza alleati e complici. Nel 1991 il suo regime venne rovesciato da un giovane marxista-leninista Meles Zenawi, poi divenuto alleato degli USA. Mengistu fuggì nello Zimbabwe con moglie e figli, trovando ospitalità in un Paese governato da un altro despota, Robert Mungabe, che ha rifiutato di consegnarlo alla Giustizia etiopica. Finalmente a distanza di anni, è stato riconosciuto colpevole. Nel 2007 nella piazza Meskal di Addis Abeba si celebrerà il millenario dell’Etiopia restituita alle sue tradizioni. Periscopio SENATORI A VITA Da qualche tempo politici e giornali del Centro-Destra contestano il diritto di voto ai senatori a vita. Evidentemente questa avversione dipende dall’esigua maggioranza (2–3 voti) su cui può contare il Governo di Centro-Sinistra a Palazzo Madama. Senza la partecipazione dei senatori a vita (Andreotti, Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Levi-Montalcini, Pinin-Farina) una legge potrebbe essere respinta e il Governo messo in minoranza. La polemica degli oppositori si basa sul concetto che i senatori vengono nominati dal Capo dello Stato e non scelti dagli elettori e che l’art. 58 della Costituzione afferma “i senatori sono eletti a suffragio universale e diretto”. Si tratta di una polemica infondata, mai aperta in quasi 60 anni di regime democratico. Infatti la Costituzione della Repubblica prevede (art. 59) la nomina a “senatore di diritto a vita di chi è stato Presidente della Repubblica” e la nomina a “senatore di diritto a vita di 5 cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Il Presidente della Repubblica pertanto con la nomina dei 5 senatori a vita (attualmente sono solo 2) esercita un potere conferitogli dalla Costituzione. Se è legittima la presenza dei senatori a vita è logico che essi debbono svolgere la funzione per cui cono stati nominati e vengono retribuiti come gli altri senatori. Quale può essere la loro funzione, non meramente decorativa per autorevolezza e longevità, se non quella di esercitare il diritto-dovere di voto? ANNO LVIII - N. 10 - DICEMBRE 2006 2 NELLA GIORNATA MONDIALE DEI DIRITTI Periscopio RASSEGNA BIBLIOGRAFICA UMANI MORTO L'EX DITTATORE PINOCHET MAXI-STIPENDI Resistenza Proprio nella Giornata mondiale dei diritti umani è morto a Santiago, all’età di 91 anni, Augusto Pinochet, negatore di tali diritti. La sua ascesa nelle Forze Armate del Cile avvenne in concomitanza dell’Operazione Condor organizzata dal governo americano al tempo di Nixon e Kissinger, tramite la CIA. Il capo dei Servizi Segreti cileni, Manuel Contreras, lavorava con elementi sovversivi di Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay per impedire l’avvento di governi progressisti. Quando nel 1970 vinse le elezioni l’Unidad Popular e capo del governo divenuto il socialista Salvador Allende, con il programma di avviare il Paese verso una società socialista democratica, gli USA prepararono il golpe con l’accordo della Democrazia Cristiana, il Partito Nazionale e settori delle Forze Armate. Il 23 agosto 1973 Allende ebbe l’ingenuità di nominare il gen. Pinochet capo dell’esercito, su raccomandazione del suo predecessore, gen. Carlos Prats (poi assassinato a Buenos Aires dai seguaci di Pinochet). Prestò giuramento di fedeltà, ma venti giorni dopo, l’11 settembre guidò il golpe per rovesciare Allende. Lo sciopero nazionale dei conduttori dei mezzi di trasporto, organizzato dalla CIA, aveva paralizzato il Paese. Sull’onda del disagio e delle proteste, fu più agevole l’insurrezione. chet ricevette due affettuosi messaggi di auguri da parte di Giovanni Paolo II e dal Segretario di Stato Vaticano, Sodano, contenenti la “benedizione apostolica speciale” e il ricordo dell’incontro personale durante la visita pastorale in Cile, confermando all’ex-dittatore “l’espressione della mia più alta e distinta considerazione pastorale”. La coppia Wojtyla-Sodano non abbandonò Pinochet quando venne arrestato a Londra: fecero pressioni sulla Camera dei Lords affinché non venisse concessa la sua estradizione in Spagna, richiesta dal giudice Garzon. Nel febbraio 2000 durante la visita papale in Cile, rassicurarono il nuovo presidente cileno Eduardo Frei che il Vaticano si sarebbe impegnato a fondo per la liberazione di Pinochet. Infine, criticando il governo costituitosi Parte Civile nel processo contro Pinochet, i vescovi fecero un appello pubblico alla “conciliazione e al perdono”. Nonostante il sostegno degli USA e la protezione della Chiesa, Pinochet è stato abbandonato dalla maggior parte dei suoi fedeli e ripudiato dalla coscienza democratica dell’Umanità, come si è visto ai suoi funerali. L’exdittatore ha scritto la pagina peggiore della Storia del Cile, ha macchiato le mani sue e delle Forze Armate con il sangue di migliaia di compatrioti. Ha distrutto l’esistenza di generazioni di cileni, diviso il Paese per chissà quanti anni, ridotto la popolazione – durante la dittatura – ai più bassi livelli di sviluppo e più alti livelli di povertà, disoccupazione e corruzione. Il Cile è tornato a modernizzarsi soltanto dopo la fine della dittatura: nel 1990 il 40% della popolazione era povera, oggi lo è al 18%; l’inflazione era vicina al 22 percento, oggi è intorno al 2%. La stabilità economica è stata raggiunta con la democrazia, che a sua volta ha svolto un benefico effetto nell’America Latina. Infatti gli sviluppi giudiziari a carico di Pinochet hanno spinto le vittime di abusi e violenze a pretendere giustizia. Così l’anno scorso la Corte Suprema argentina ha annullato le leggi che garantivano l’immunità agli ex-ufficiali – ora sotto processo – per i crimini commessi durante la dittatura 19761983. Un Movimento internazionale, stimolato dagli eccidi in Bosnia e Ruanda, ha portato all’istituzione da parte dell’ONU della Corte Penale Internazionale per perseguire il genocidio, i crimini contro l’Umanità e i crimini di guerra. Si è dunque fatta molta strada dai giorni in cui i potenti potevano agire, in America, in Africa, in Asia come volevano sapendo di non dover rispondere dei loro atti. Il caso di Pinochet è dunque un precedente di cui non si potrà non tenere conto. Alfredo Ventura IL PAPA CONTRO GLI ABUSI SESSUALI SU MINORI DA PARTE DEL SACERDOTE Il palazzo presidenziale della Moneda a Santiago fu bombardato da cielo e da terra. Allende, piuttosto di finire nelle mani dei golpisti, si suicidò. Subito ebbe inizio la repressione. Pinochet, nominato Presidente della Repubblica, chiuse il Parlamento e i mezzi di comunicazione vicini ideologicamente ad Allende. Mise fuorilegge i Partiti politici e le organizzazioni sindacali. Trasformò lo stadio nazionale in un campo di concentramento per i prigionieri politici, migliaia dei quali mai più ritrovati. Il suo regime fu condannato 16 volte dall’ONU per violazione dei diritti umani. Nel corso degli anni il regime si rese responsabile di atrocità orrende: prigionieri gettati vivi nell’Oceano da aerei militari (come in Argentina), 3197 vittime tra morti accertati e “desaparecidos”, 28 mila torturati (fra cui l’attuale presidente del Cile Michelle Bachelet, il cui padre era stato assassinato dai militari). Nel clima di terrore quasi un milione di cittadini scelsero l’esilio per evitare le persecuzioni da parte della DINA, la polizia segreta del colonnello Contreras. Dei personaggi riparati all’estero, alcuni furono assassinati da sicari del regime, come Orlando Latelier, ex-ministro della Difesa del governo Allende, per le strade di Washington. Pinochet, rieletto presidente nel 1981 guidò il Paese per 17 anni, grazie al sostegno degli USA, del mondo economico-finanziario fautore di un programma neoliberista di privatizzazione degli Enti pubblici, e di settori della Chiesa cattolica. Finalmente, nel 1988 un referendum sul rinnovo del mandato presidenziale a Pinochet – da lui stesso sollecitato nella convinzione del consenso popolare – gli fu sfavorevole. Il Paese potè riaffacciarsi alla democrazia. Fu eletto presidente Patricio Aylwin. Ma lui rimase comandante in capo dell’esercito per altri 8 anni, nonostante le accuse di omicidio, tortura, sequestro di persona, appropriazione indebita, evasione fiscale, corruzione amministrativa. Durante i tre lustri dell’interminabile transizione politica, solo 46 persone vennero condannate per violazione dei diritti umani, ma 24 di esse sono già state scarcerate avendo subito pene lievi. La sorte di Pinochet mutò improvvisamente nel 1998 allorché, recatosi in una clinica di Londra per un intervento chirurgico, venne arrestato su richiesta del giudice spagnolo Baltasar Garzon per i crimini commessi a danno di cittadini spagnoli in Cile. Nella capitale britannica trascorse 500 giorni agli arresti domiciliari e poi potè rientrare in patria, per ragioni di salute. Qui venne incriminato per diverse gravi accuse, cosicché dovette rinunciare alla carica di senatore a vita. Nel 2004 la Corte Suprema del Cile gli revocò l’immunità di cui godeva in quanto ex-presidente. Venne imputato in 9 processi, bloccati dal riconosciuto stato di semi-nfermità mentale. Venne accertato da un Comitato investigativo del Senato USA che Pinochet aveva depositato alla Riggs Bank in conti segreti 28 milioni di dollari, creando società off-shore attraverso cui riciclava il denaro ottenuto illecitamente. Il 18 febbraio 1993, giorno delle sue “nozze d’oro”, Pino- Ricevendo in Vaticano una delegazione di vescovi dell’Irlanda (ove la piaga della pedofilia tra i sacerdoti ha avuto una forte risonanza) Benedetto XVI ha letto un messaggio severo, rivolto però alla Chiesa universale colpita anche in altri Paesi, compresa l’Italia, da episodi di violenza sessuale su minori da parte di membri della Chiesa. Il Papa ha detto: “Gli abusi sessuali su minori sono ancora più tragici quando ad abusare è un uomo di Chiesa. Le ferite causate da tali atti agiscono in profondità ed è un’operazione urgente ricostruire la fiducia e la sicurezza là dove esse sono state compromesse. Di fronte a simili eventi occorre stabilire la verità di quanto è accaduto adottando qualsiasi misura necessaria a prevenire la possibilità che i fatti si ripetano, garantire che i principii di giustizia siano pienamente rispettati e soprattutto portare sostegno alle vittime e a tutti quanti siano colpiti da questi enormi crimini”. Nello scorso settembre un reportage della BBC (la Radio-TV inglese) aveva accusato Ratzinger – non ancora papa – di aver condotto una campagna sistematica per coprire abusi sessuali su minori commessi dai preti. “Crimini sessuali e il Vaticano” s’intitolava l’inchiesta che riferiva una “Istruzione” denominata “Crimen Sollicitationis” emanata nel 1962 dal Sant’Uffizio (in allora presieduto da Ratzinger), documento segreto che forniva indicazioni sull’atteggiamento prudente da tenersi di fronte ad atti impuri commessi da membri del clero su minori di 18 anni. Si raccomandava ai vescovi, piuttosto che di denunciare immediatamente i casi di cui fossero venuti a conoscenza alle autorità giudiziarie competenti, di tenere tutto sotto traccia, cercando di invitare le persone coinvolte (le vittime e i loro familiari) a non parlarne. Inoltre, quando lo scandalo dilagò negli USA e l’episcopato americano chiese l’allontanamento immediato di tutti i sacerdoti accusati di aver abusato di bambini, l’allora cardinale Ratzinger avrebbe indotto Giovanni Paolo II a non applicare la “tolleranza zero”. Quanto alla situazione in Irlanda, un’inchiesta del 2002 rivelò che su 4 adulti uno è stato abusato sessualmente da bambino, nella maggioranza all’interno della famiglia o nella frequentazione di chiese e seminari. I vescovi erano informati ma si limitavano a trasferire i corruttori in altra parrocchia. Infine, per fronteggiare le conseguenze economiche di tali illeciti e i processi civili, l’arcivescovo di Dublino, mons. Kevin Mc Namara contrasse un’assicurazione per tutelare la sua diocesi dal rischio di risarcimento danni. Tutti i vescovi hanno seguito il suo esempio prima che lo scandalo esplodesse. A STATALI L’Associazione Consumatori “CODACONS” e il settimanale della RAI-TV “REPORT” hanno pubblicamente denunciato lo scandalo di maxi-stipendi, emolumenti e liquidazioni percepiti dai grandi manager dello Stato. Pertanto la Procura della Repubblica di Roma ha aperto un’inchiesta affidando ai Carabinieri del Nucleo Operativo e agli agenti del Nucleo Speciale della Guardia di Finanza di visitare gli uffici di ALITALIA, ENEL, ENI, POSTE, ANAS, SVILUPPO ITALIA, RAI-TV acquisendo tutta la documentazione relativa alle somme percepite dai manager, ai contratti, alle delibere dei Consigli di amministrazione. Anzitutto è emerso l’eccessivo numero di consiglieri d’amministrazione dei grandi gruppi pubblici controllati dallo Stato: 111 consiglieri nella società POSTE, 197 nella RAI-TV, 165 nell’ENEL, 316 nelle FERROVIE. “Stipendi oro” e super-liquidazioni ai top-manager: ad esempio 9,5 milioni di euro intascati da Paolo Scaroni nel passaggio dall’ENEL all’ENI; 6,7 milioni percepiti da Giancarlo Cimoli nel passaggio dalle FERROVIE ad ALITALIA, ove ora guadagna, nella sua qualità di presidente e direttore generale dell’azienda in stato di fallimento, ben 2 milioni e 791 mila euro all’anno, cioè sei volte di più di quanto percepisce l’amministratore delegato di AIR FRANCE e il triplo rispetto a quello di BRITISH AIRWAYS, due Compagnie con bilanci in attivo. A sua volta COMINCIALITALIA.NET ha denunciato l’ex-presidente delle FERROVIE Elio Catania, che dopo aver percepito uno stipendio annuo di 2,5 milioni di euro, ha ottenuto una liquidazione di quasi 7 milioni, sebbene l’azienda chiuda il bilancio di quest’anno con perdite vicine ai 2 miliardi di euro. Quanto all’ex-direttore generale della RAI-TV, Alfredo Meocci, sembra che fosse incompatibile nella sua carica per cui il Consiglio d’Amministrazione che lo aveva eletto avrebbe commesso il reato di abuso d’ufficio. D’altra parte il TAR del Lazio, il 21 luglio scorso, ha confermato la sanzione comminata dall’Authority, che aveva condannato la RAITV a pagare una multa di 14,3 milioni di euro e il manager a versarne altri 372 mila. In seguito a queste vicende, il Governo è intervenuto inserendo nella legge Finanziaria un massimo di 500 mila euro (750 mila per le Società quotate in Borsa) di stipendio annuale al dirigente di aziende pubbliche. Sembra che tale tetto venga ridotto a 250 mila euro. Qualche deputato ha proposto “emolumenti legati ai risultati e sanzioni in caso di deficit”. Di fronte a perplessità di qualche membro del governo, il ministro Di Pietro ha dichiarato: “Noi siamo contro lo sperpero del pubblico denaro. Sarebbe interessante sapere se anche gli altri lo sono…” Il Rapporto “Ferns” rivelò più di 100 casi di pedofilia commessi tra il 1962 e il 2002 da 21 sacerdoti, poi deceduti o in pensione o sospesi. Un’altra inchiesta fu condotta a Dublino, ove nel marzo 2006 la diocesi ha rivelato che ben 102 dei suoi sacerdoti erano accusati di abusi sessuali su minori. L’inchiesta estesa dal 1940 a oggi aveva preso in esame 2800 sacerdoti, diocesani o religiosi. Otto preti della capitale sono stati condannati in sede giudiziaria. Dei 105 processi civili intentati contro la Chiesa, 40 sono ancora in corso. E intanto il governo ha deciso di creare una Commissione per esaminare la situazione a partire dal 1975. Nel frattempo la credibilità della Chiesa ha avuto un crollo vertiginoso. In un Paese dove il tasso di pratica * religiosa era al 90 per cenSECONDO L’ECONOMIST to, si è scesi sotto il 70 per cento, e sotto il 30 per cenL’ITALIA E’ UNA to per i giovani. Le vocazioni sono cadute, negli Anni “DEMOCRAZIA DIFETTOSA” 90, in maniera tale da proL’Italia è al 34° posto, nella vocare la chiusura di sette graduatoria delle “democrazie diseminari in 12 anni. fettose” e fuori dal gruppo delle “democrazie piene” nell’annuale * “index of democracy” pubblicato INTITOLARE AL PAPA LA dalla “Economist Intelligence STAZIONE “TERMINI”? Unit” un centro studi del settimanale economico britannico “The Dopo un’assemblea delle Associazioni laiche romane, è stato Economist”. La classifica, stilata in base a emesso il seguente comunicato. 5 indicatori sui quali si prendono La decisione presa da Walter voti da 0 a 10 – procedura elettoVeltroni di intitolare a Giovanni Pa- rale e pluralismo, funzionamento olo II la Stazione “Termini” della del governo, partecipazione policapitale della Repubblica rappre- tica, cultura politica e libertà civisenta l’ennesimo attacco al carat- li – pone il nostro Paese alle spaltere laico delle istituzioni e la nele delle principali democrazie ocgazione del pluralismo culturale, politico e religioso della società cidentali, ma anche delle Isole contemporanea italiana. Il Sinda- Mauritius, del Costa Rica, delco di Roma ha perso ogni rispetto l’Uruguay, del Cile e del Sudafriper i cittadini che dissentono dalle ca. Ai vertici si piazzano tre Paesi opinioni e dalle convinzioni della del Nord Europa (Svezia, Islanda gerarchia ecclesiastica, venendo e Olanda) mentre le tre peggiori meno al più elementare concetto risultano la Corea del Nord (ultidi democrazia. La Consulta per la ma), la Repubblica centrafricana LIBERTA’ DI PENSIERO E LA e il Ciad. LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI, creata dal Comune di Roma, non è stata nemmeno consultata in materia; anzi, non ha avuto nemmeno una risposta quando ha richiesto al Sindaco, oltre un anno e mezzo fa, un chiarimento in materia. La formalizzazione del nuovo nome della Stazione Termini di Roma è avvenuta il 23 dicembre scorso, all’insaputa del grande pubblico, mentre era in corso uno sciopero dei mezzi di informazione. Ritenendo inaccettabile tale comportamento da parte del Sindaco Veltroni e considerando assolutamente inutile la nostra posizione di membri della Consulta PER LA LIBERTA’ DI PENSIERO E LA LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI del Comune di Roma, dichiariamo attraverso il presente comunicato la nostra uscita irrevocabile dalla Consulta stessa. Le Associazioni firmatarie: Associazione Italialaica.it Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” Associazione Società laica e plurale C.R.I.D.E.S. EKEDEA Fondazione Critica liberale L’Assemblea delle Associazioni laiche romane invita tutti i cittadini a far sentire la propria protesta sui giornali, sul sito del Comune di Roma e al “call center” 060606 contro lo stravolgimento del nome storico della Stazione di Roma. * DIBATTITO DELLA “GIORDANO BRUNO” SULL'EUTANASIA Su “Eutanasia il problema di una scelta” la Sezione di Torino ha organizzato, la sera del 21 dicembre, un interessante dibattito nel salone dell’Istituto Tecnico Industriale “Avogadro”. Vi hanno preso parte come relatori il presidente di EXIT, dott. Emilio Coveri, il preside dell’Istituto Sociale, prof. Antonello Famà e il dott. Jean Jacques Peyronel, evangelico. Moderatore l’avv. Bruno Segre. ABBONATEVI! L’abbonamento a L’INCONTRO è una scelta di libertà, di progresso sociale, di laicismo. Aiutando il giornale, ne favorite le sue battaglie di idee e testimoniate il Vostro favore ai valori della democrazia, alla difesa dei diritti civili. Rosario Bentivegna: “Via Rasella, la Storia mistificata” carteggio con Bruno Vespa, introduzione di Sergio Luzzatto, edit. Manifestolibri, Roma, 2006, euro 15,00 Il giornalista Bruno Vespa, noto conduttore della trasmissione RAI-TV “Porta a Porta”, dal 1994 va pubblicando, verso la fine di ogni anno, un libro-strenna dedicato alle vicende dell’Italia contemporanea. Negli ultimi due volumi: “La Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi” (2004) e “Vincitori e Vinti” (2005) Vespa ha sostituito il suo ruolo di cronista con quello di storico, imitato da un altro giornalista, Giampaolo Pansa, con analoghe ambizioni storiografiche. Un personaggio del librostrenna del 2004 Rosario Bentivegna, dirigente dei G.A.P. (Gruppi Azione Patriottica), partigiano comunista, due volte decorato, autore con altri 11 compagni dell’attentato di via Rasella a Roma il 23 marzo 1944 (che uccise 33 militari delle Forze d’occupazione tedesca e qualche civile, cui seguì la strage di 335 prigionieri assassinati alle Fosse Ardeatine) rimase sorpreso di quanto riportato nel libro. Infatti esso, in due paginette, riferiva quasi tutti i luoghi comuni espressi in 60 anni da una letteratura qualunquista sull’episodio e sui suoi protagonisti. Il prof. Bentivegna (docente universitario, autore dei libri “Achtung Banditen!” Milano, 2004 e “Operazione via Rasella, verità e menzogne”, Roma, 1996) chiese pertanto a Vespa di rettificare il testo in quanto storicamente inesatto e lesivo della sua reputazione. Quali erano i punti controversi? 1) Anzitutto l’asserzione di avvisi del Comando nazista affissi sui muri per invitare gli autori dell’attentato a consegnarsi onde evitare la rappresaglia di 10 fucilazioni di prigionieri italiani per ogni tedesco ucciso. Mai furono affissi tali manifesti. Una ventina di ore dopo l’attentato ebbe luogo la strage delle Ardeatine. I giornali non diedero notizia dell’attentato, ma solo della rappresaglia. Durante i processi ai criminali nazisti, Kappler e Kesselring esclusero l’esistenza di ogni avvertimento preventivo della ritorsione decisa e attuata con la massima rapidità e segretezza. 2) L’attacco partigiano di via Rasella è stato riconosciuto legittimo dai Tribunali Militari italiani, dai processi a Kappler, Priebke e Haas, dalla magistratura penale sino alla Corte di Cassazione, dalla magistratura civile in tutti i gradi di giudizio fino alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite. La Cassazione prosciolse i gappisti denunciati proclamando la legittimità di quell’attacco militare e la validità del comportamento di “soldati combattenti per la libertà” e contro l’invasione tedesca. 3) L’on. De Gasperi avrebbe espresso ad Andreotti un giudizio negativo su via Rasella. Ciò appare contraddittorio con il fatto che il presidente del Consiglio rivendicò all’Italia al tavolo della pace, l’onore della Resistenza e ai partigiani il merito di aver combattuto con eroismo contro gli occupanti nazisti. Inoltre gli atti di concessione delle medaglie al valore militare ai gappisti romani portano proprio la firma di De Gasperi. 4) L’episodio di via Rasella sarebbe avvenuto contro il parere del CLN, che non aveva autorizzato azioni militari contro gli occupanti. In realtà il CLN emise un comunicato, il 28 marzo 1944, nel quale si rivendicava a “patrioti italiani” l’ “atto di guerra” condotto contro i poliziotti delle SS, si condannava la strage delle Ardeatine e si sollecitavano gli italiani, in memoria dei martiri, alla vendetta in nome di Roma, proseguendo senza tregua la lotta per la liberazione della Patria. 5) I componenti dell’XI Compagnia del 3° Battaglione delle SS Polizei Regiment Bozen, periti nell’attentato – attuato personalmente da Carlo Salinari, Franco Calamandrei, Carla Capponi, Rosario Bentivegna, Gino Mangiavacchi, Pasquale Balsamo, Ernesto Borghesi, Mario Fiorentini, Francesco Correli, Giulio Cortini, Raoul Falcioni, Laura Garroni, Duilio Grigioni, Marisa Musu, Lucia Ottobrini, Silvio Serra, Fernando Vitaliano – erano italiani dell’Alto Adige di lingua tedesca, postisi al servizio del nazismo, “A che serviva decimare un battaglione non formato dalle truppe scelte di Reder?”, si chiede Vespa per banalizzare l’episodio, dimenticando che la polizia tedesca (appunto quella colpita in via Rasella) operava rastrellamenti in tutta l’Europa occupata, deportava prigionieri politici, realizzava la “soluzione finale del problema ebraico”, partecipava agli eccidi delle popolazioni civili. Insomma più dei militari tedeschi, meritavano di essere annientati proprio i reparti polizieschi, spesso formati da alleati di carneficine, come lituani, polacchi, croati, ucraini, ungheresi, altoatesini, italiani, tutti collaborazionisti spietati e corrotti. Il volume ospita il carteggio intercorso fra il prof. Bentivegna e Vespa. Lettere dell’uno, corroborate da circostanze inoppugnabili, lettere dell’altro, impacciate sui fatti, ma risolute nella condanna dell’attentato, pur con la promessa di qualche rettifica in future edizioni del suo libro. Perciò è stato opportuno pubblicare il carteggio per chiarire ancora una volta la realtà storica di via Rasella, nel quadro della Resistenza romana, nella figura dei protagonisti, nella ricostruzione fatta dalle sentenze della magistratura e dalle analisi di storici seri. Il lavoro del Bentivegna fornisce dunque un ulteriore e definitivo contributo, arricchito da una perspicua introduzione di Sergio Luzzatto, una sintesi della Resistenza di Roma “città ribelle” e una preziosa appendice (i componenti dei GAP centrali del PCI a Roma, gli atti parlamentari relativi a via Rasella, le verità processuali su via Rasella e le Fosse Ardeatine). Questo libro, denso di notizie poco note, di indiscrezioni, di attestazioni rigorose, sull’ambiente politico, militare, giornalistico romano prima, durante e dopo la Resistenza, offre, al di là della smentita alle mistificazioni di Vespa, molti motivi di interesse per il lettore curioso e scevro da pregiudizi politici. Lorenza Cutugno Giornali Ombretta Freschi: “IL SECOLO XIX - un giornale e una città, 1886-2004” prefazione di Valerio Castronovo, editori Laterza, Bari, 2005. Nell’aprile 1886 nacque a Genova il quotidiano “Il Secolo XIX”, che esce tuttora, fortemente radicato nella realtà locale. Appoggiato dalla società Ansaldi divenne proprietà della famiglia Perrone, che tuttora lo possiede nell’ambito del Gruppo Editoriale Genovese. “Il Secolo XIX” nel 1899 fu il primo quotidiano ad uscire in sei pagine e poi ad usare il telefono per ricevere rapidamente le notizie. Diventò interventista alla pari del “Corriere della Sera” e di altri fogli per indurre il Governo Salandra ad entrare in guerra a fianco della Francia e della Gran Bretagna contro gli Imperi Centrali. Altri giornali, come “Il Popolo d’Italia” fondato nel 1914 e diretto da Mussolini, finanziato dai francesi, si erano convertiti al Movimento nazionalista, che invocava l’intervento nel conflitto definito “la quarta guerra del Risorgimento”. Tra i personaggi che polemizzavano contro “l’infezione germanica” e la Banca Commerciale Italiana, ad esso collegata, si distinse un ex-prete, Giovanni Preziosi, direttore della rivista “La Vita Italiana” e leader dell’antisemitismo nel nostro Paese sino all’aprile 1945, allorché si suicidò. I roventi attacchi di Preziosi contro la Germania per sollecitare l’interventismo italiano nel 1915 si contraddicono con la sua partecipazione, nel 1943 come ministro del governo nazifascista di Salò: l’antico nemico era diventato un alleato. Molti episodi, poco noti, della politica italiana nel corso di un secolo sono riportati nell’eccellente libro storiografico di Ombretta Freschi, promosso dal Centro di studi sul giornalismo “Gino Pe- stelli”, che ha sede a Torino ed è presieduto da Alberto Sinigaglia. Il testo della Freschi è molto interessante sia per la copiosa documentazione storica ottenuta negli archivi e nelle testimonianze di alcuni protagonisti del quotidiano, sia per lo stile scorrevole che agevola la lettura. Come ricorda il prof. Castronovo nella prefazione, “Il Secolo XIX”, sotto la direzione dei giornalisti Ottone, Perrone e Tito, condusse “vigorose campagne di stampa sia per il divorzio e altri diritti civili, sia a difesa dei principii antifascisti e dello Stato di diritto”. L’opera si inserisce nella serie di libri dedicata ai principali quotidiani che si pubblicano nel nostro Paese, offrendo così un panorama sempre più completo della storia del giornalismo italiano. Laicismo Carlo Augusto Viano: “Laici in ginocchio”, Laterza Editore, Roma/Bari, 2006, pag. 128, euro 10 È un coraggioso testo in difesa della laicità dello Stato con notevoli spunti anticlericali e di critica antireligiosa. Si devono respingere al mittente taluni discorsi di Benedetto XVI fatti con “piglio altezzoso di un funzionario teutonico in trasferta”. Parimenti appaiono provocatorie le sue frasi in cui auspica una laicità “sana” per assorbire gli appelli orgogliosi che faceva Ciampi alla laicità dello Stato. Purtroppo certi politici in preda a “crampi religiosi” hanno vanificato l’impegno di Ciampi su questo argomento. I tradimenti pro-Vaticano degli statisti italiani sono una pessima tradizione che, per l’autore, comprende anche Spadolini, secondo il quale la Chiesa cattolica avrebbe svolto sempre una funzione positiva in Italia: suo indegno erede l’ex presidente del Senato, Pera. Il libro comprende vari riferimenti ai testi di storia filoclericali in uso nelle scuole: sono stati manipolati i programmi della scuola secondaria con pesanti interventi censori e una revisione della Storia nazionale a favore del Vaticano. Lo strumento giuridico per tale prevaricazione è stato l’articolo 7 della Costituzione in contrasto con la libertà religiosa garantita dalla stessa carta costituzionale. Il cristianesimo non è una religione dell’amore poiché cova un’impostazione totalitaria abbattutasi in maniera “costante e soffocante” sull’Italia. Si devono rifiutare i Concordati tra Stato e Chiesa, accordi mediante i quali la Chiesa cerca di condizionare la libertà dello Stato. Anche dalla revisione dei Concordati (ad esempio quello di Craxi nel 1984), la Chiesa ne esce sempre avvantaggiata, almeno finanziariamente. A questo proposito l’autore accenna “ai pesanti scandali finanziari” in cui fu coinvolto il Vaticano. Si deve rilanciare una cultura laica, indipendente dalla tradizione religiosa dello spiritualismo cristiano rifacendosi specialmente all’illuminismo settecentesco per continuare la sua storica battaglia per liberare le menti dall’oscurantismo medievale. Le religioni sono fonti di guerra e di odio, generano superstizioni, paure, soggezioni individuali, coprono condotte negative e si reggono su imposture e promesse inattendibili. Le loro attività assistenziali “sono spesso usate per catturare adepti”. L’autore contesta “la complicità della Chiesa con chiunque le offra privilegi materiali” e riferisce le connivenze clericofasciste e la politica antifemminile del Vaticano. Si assiste ad una ripresa dei sogni di dominio universale del Papato contro cui bisogna battersi per una società laica che difenda gli individui dalle intrusioni di credenze e autorità religiose. Pierino Marazzani Cartamoneta Guido Crapanzano e Ermelindo Giulianini: “La cartamoneta italiana” vol. 1, 6° edizione, edizioni Spirali, Milano, 2006, euro 12. che per le Colonie, i Possedimenti, le Occupazioni militari durante le due guerre mondiali, ed inoltre le banconote delle Occupazioni straniere (americana, tedesca, jugoslava) dei territori italiani. Di ogni banconota viene stampata la riproduzione a colori, con tutte le indicazioni utili (data, tiratura, stampa, quotazioni commerciali nei vari gradi MB, BB, SPL, FDS). Alcune pagine relative alla classificazione della rarità, consentono al collezionista di orientarsi nell’acquisto e nello scambio delle banconote. Pertanto il catalogo, splendidamente stampato e documentato, risulta uno strumento utilissimo a collezionisti e studiosi per la serietà delle ricerche effettuate in archivi e biblioteche e per la profonda competenza dei due autori. Sicor * Luigi Gambone: “Sulla mia strada verso casa”, memorie Consiglio Regionale del Piemonte, Gruppo consigliare SDI, Torino, 2006 Leandro Castellani: “Te la do io la TV” la menzogna eretta a sistema nelle riflessioni di un teleterrorista, ed. Scipioni, Valentano, 2006, euro 4 Carmelo R. Viola: “Mafia per non dire capitalismo” prefazione di Nicola Lo Bianco, edizioni fuori commercio, quaderno in tre tomi del Centro Studi biologia sociale, Acireale, 2006 Federico Zucchelli: “Viva l’ozio, abbasso il negozio” l’ozio è il padre degli sfizi, ed. Scipioni, Valentano, 2006, euro 4 Carlo Colombelli: “La guerra non ci dà pace” donne e guerre contemporanee, edito dall’Istituto Piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, Torino, 2005, euro Due appassionati studiosi di 12,50 storia e di numismatica, Guido Crapanzano e Ermelindo GiuliaEdward Westermarck: nini, noti anche come organizza- “L’amore omosessuale”, origine e tori di congressi, musei, esposizio- sviluppo delle idee morali, a cura ni in Italia ed all’estero, hanno di Massimo Consoli, Roma, 2005, compilato un testo fondamentale euro 7 sulla cartamoneta stampata nel nostro Paese dal 1866 ad oggi. “TORINO 1945-1980 – ProfiIl catalogo delle banconote li di amministratori della Città” (biglietti di Stato, biglietti consor- a cura dell’Associazione tra i conziali, buoni di cassa, ecc.) com- siglieri comunali (presidente prende quanto venne emesso dal- Dante Notaristefano), Torino, la Banca d’Italia sia per l’interno 2006 3 ANNO LVIII - N. 10 - DICEMBRE 2006 VOTATA DALLA CAMERA UNA LEGGE ROM E SINTI VITTIME DEL NAZISMO CHE INTRODUCE IL REATO DI TORTURA IL GENOCIDIO DEGLI ZINGARI II La “soluzione finale” della “questione zingara” fu decretata il 16 dicembre 1942, quando Himmler firmò l’ordine di internare o trasferire tutti gli Zingari ad Auschwitz. Proprio Auschwitz risulta il lager sul quale esiste maggiore documentazione sulla prigionia dei Rom e dei Sinti, probabilmente anche perché qui, tra il febbraio del 1943 e l’estate del 1944, funzionò una sezione appositamente riservata a loro: il campo B II E di Birkenau, per famiglie, lo Zigeunerlager. Era un recinto solo per loro, vicino ai crematori, dove gli Zingari vivevano in condizioni particolari, ossia diverse da quelle di tutti gli altri prigionieri. Nello Zigeunerlager Rom e Sinti erano radunati in una sezione speciale, circondata da filo spinato attraversato da corrente elettrica ad alta tensione. Le famiglie restavano unite: uomini con donne, genitori con figli, mariti con mogli. Subito destinati alle loro baracche, appena arrivati erano tatuati e rasati a zero, ma poi nessuno si preoccupava più dei loro capelli, che ricrescevano. Le donne potevano partorire (il primo bimbo venne alla luce l’11 marzo 1943, quando il lager esisteva da pochissimo tempo, e da quel giorno vennero regolarmente registrate nascite), nessuno lavorava e, soprattutto, i prigionieri Rom e Sinti non erano sottoposti alle terribili selezioni per le camere a gas come per tutti gli altri deportati. Una volta entrati nell’area B II E Rom e Sinti erano, in definitiva, quasi abbandonati alla loro sorte. Molti altri prigionieri, che li vedevano da altre selezioni nel campo, consideravano tutto questo un privilegio. E purtroppo tale lo hanno considerato anche alcuni storici che hanno parlato della vita nello Zigeunerlager come di una condizione particolare e meno difficile che per la maggior parte degli altri prigionieri. Una simile presentazione dei fatti risulta, però, offensiva di fronte alla loro sorte. Come ha ricordato Ulrich Koning lo Zigeunerlager non corrispondeva ad alcun progetto umanitario. Lo mostra persino il libro mastro del campo di Birkenau che ci restituisce l’altissimo livello di mortalità dello Zigeunerlager dove, dei circa 300 bambini nati nel periodo della sua esistenza, nessuno sopravvisse. Le condizioni dello Zigeunerlager erano spaventose. Nella primavera del 1943 il numero dei Rom a Birkenau era di 16.000: le baracche erano sovraffollate ed in un blocco da 300 persone ce n’erano 1.000. Hermann Langbein ricorda quando, come medico dell’infermeria, si trovò nel campo degli Zingari: “Su un pagliericcio giacciono sei bambini che hanno pochi giorni di vita. Che aspetto hanno! Le membra sono secche e il ventre è gonfio. Nelle brande li accanto sono le madri, occhi esausti e ardenti di febbre. Una canta piano una ninna-nanna. A quella va meglio che a tutte, ha perso la ragione, mi dicono… Al muro è annessa una baracchetta di legno… E’ la stanza dei cadaveri. Ne ho già visti molti nel campo. Ma qui mi ritraggo spaventato. Una montagna di corpi alta più di due metri. Quasi tutti bambini. In cima scorrazzano i topi”. NELLE CAMERE A GAS La storia dello Zigeunerlager termina la notte tra il 2 e il 3 agosto 1944, quando i circa 4.000 Rom e Sinti sopravvissuti nello Zigeunerlager vengono condotti nelle camere a gas. Le testimonianze su quella tragica notte sono agghiaccianti: “L’ora dell’annientamento è suonata anche per i 4.000 detenuti del campo zingaro. La procedura è stata la stessa applicata per il campo ceco. Prima di tutto divieto di uscire dalle baracche. Poi le SS e i cani poliziotto hanno cacciato gli Zingari dalle baracche e li hanno fatti allineare. Hanno distribuito a ciascuno le razioni di pane e salamini. Una razione per tre giorni. Hanno detto loro che li portavano in un altro campo e gli Zingari ci hanno creduto… Il blocco degli Zingari sempre così rumoroso, s’è fatto muto e deserto. Si ode solo il fruscio dei fili spinati e porte e finestre lasciate aperte che sbattono di continuo”. Nel gennaio del 1945 i Rom rimasti ad Auschwitz erano pochissimi: all’appello del 7 gennaio – dieci giorni prima della liberazione – risposero solo quattro uomini. Non è facile sapere quanti Rom morirono ad Auschwitz, così come non si conosce con precisione nemmeno il numero di quelli uccisi in quella tragica notte. Secondo le fonti più accreditate circa 23.000 Rom morirono in quel lager. Altrettanto difficile stabilire il numero totale dei Rom vittime del nazismo: le cifre ufficiali indicano circa 500.000 persone ma sembrano non tenere conto di molti dati e scontare la carenza di documentazione. Il materiale d’archivio testimonia che molti Rom, oltrechè nei lager, furono uccisi nelle esecuzioni di massa nei territori dell’est e tanti altri furono sterilizzati e rimessi in libertà. Il numero totale dei Rom uccisi sotto la dittatura nazista non è documentabile. Soprattutto perché è incerto il numero dei Sinti e dei Rom presenti in Europa prima della guerra, visto che molti non erano registrati alla nascita e cambiavano luogo e nominativo nel corso della loro vita; e poi perché – diversamente dagli Ebrei – non vivevano in comunità e quindi dopo la guerra, anche se si fosse voluto, non sarebbe stato facile contare i superstiti; e infine perché il popolo rom ha una concezione della memoria diversa dalla nostra. IN ITALIA In Italia la ricerca è ancora molto “mancante” – soprattutto a livello accademico – come lo è, d’altra parte, anche quella sull’internamento nel nostro Paese che non vuole riconoscere le proprie congruità con il nazismo e quindi le proprie responsabilità nelle politiche di persecuzione razziale attuate in tutta Europa. Gli studi di Carlo Spartaco Capogreco (nel libro “I campi del duce”) e di studenti universitari stanno aprendo nuove prospettive di lavoro su questi argomenti. Fino a pochi anni fa sulla persecuzione fascista dei Rom e dei Sinti esistevano solo rare fonti orali e documenti sparsi. Tra questi la presenza di Sinti e Rom nel campo di Ferramonti (uno dei più grandi campi di concentramento italiani esistito dal 1941 al 1943) o l’arrivo di alcuni Rom italiani nel lager austriaco di Lackenbach, luogo di morte per migliaia di Sinti e Rom europei. Nelle testimonianze orali (raccolte soprattutto da Mirella Tarpati del Centro Studi Zingari di Roma) invece, alcuni ricordavano luoghi di prigionia italiani come Perdasdefogu (in Sardegna), Agnone (in Molise), Tossiccia (in Abruzzo) e le isole Tremiti. Considerato però anche il fatto che i testimoni Rom e Sinti utilizzano la memoria in modo molto diverso da quello in cui siamo abituati, basandosi su un’oralità che, nel tramandare, trasforma il ricordo, e tenendo anche presente che non sappiamo ancora quasi nulla su come vivevano Rom e Sinti nel nostro Paese durante gli anni del fascismo, va detto che le testimonianze orali non sono sufficienti a illuminare i tempi, né le modalità della persecuzione. Si suole affermare che in Italia la politica discriminatoria era indirizzata essenzialmente contro gli stranieri per ragioni di ordine e sicurezza. Secondo questa interpretazione fu l’occupazione della Jugoslavia e la conseguente fuga di molti Rom da quel Paese a indurre le autorità fasciste a internarli, cosa certamente anche vera ma che non comprende e spiega la totalità dei fatti. La documentazione conservata all’Archivio centrale dello Stato fornisce infatti ipotesi di studio diverse, riguardanti anche i Rom e i Sinti italiani. Quello che i fascisti pensavano di Sinti e Rom emerge chiaramente da una circolare ministeriale del 1926 che ordina di espellere tutti gli “Zingari stranieri” presenti nel regno per epurare il territorio nazionale della presenza di carovane di Zingari, di cui è superfluo ricordare la pericolosità per la sicurezza e per l’igiene pubblica, per le loro caratteristiche abitudini di vita. Il primo ordine di internamento vero e proprio, e che riguarda anche Rom e Sinti italiani, risale all’11 settembre 1940, quando una circolare del Ministero degli Interni, indirizzata a tutte le prefetture, ordina rastrellamenti di Zingari e loro concentramento in tutto il Paese, “sotto rigorosa sorveglianza in località meglio adatte di ciascuna provincia”. Quasi subito, e da tutto il Paese (Udine, Ferrara, Aosta, Bolzano, Ascoli Piceno, Trieste, Verona, Campobasso), giungono al Ministero telegrammi di risposta che informano sulle persone catturate e spesso chiedono cosa fare. Se questi documenti ci consentono, solo di immaginare persecuzione e prigionia, indicando solo intenzioni, senza fornire informazioni sull’effettività dell’internamento, altri documenti ci permettono invece un ulteriore passo avanti. Si tratta dei fascicoli personali degli arrestati. Pagine lasciate per decenni negli schedari dell’Archivio Centrale, lettere e corrispondenze varie tra Ministero e Prefetture che riguardano determinate persone rom e sinte negli anni dal 1928 al 1943. L'INTERNAMENTO Sembra, di leggere storie di oggi: vicende di giostrai, allevatori di cavalli, calderai che battono il rame e il ferro, uomini e donne che girovagano vendendo portafiori di vimini o stoffe ricamate e che vengono continuamente arrestati ed espulsi dal territorio italiano nel quale cercano di continuare a vivere, accerchiati da norme e regole che glielo impediscono, trascinandoli, contemporaneamente, nella tragedia della seconda guerra mondiale. Quasi tutti prima vengono ripetutamente arrestati, schedati e espulsi, poi, a partire dalla fine del 1940, e quindi dall’emanazione dell’ordine di internamento, reclusi, imprigionati in diversi luoghi. I prigionieri rom erano ovviamente sottoposti alle regole generali dell’internamento in Italia, che prevedevano due tipi di procedure: il “campo di concentramento” e il “soggiorno obbligato” in una data località, il cosiddetto “internamento libero”, i cui prigionieri dovevano vivere in un luogo determinato, senza potersi spostare e costretti, per esempio, a lavorare. Entrambi i tipi di internamento avvenivano, solitamente, in luoghi isolati e piccoli paesi, in condizioni di vita dure, regolate da un’infinità di norme rigide e spesso crudeli, di controllo e sorveglianza, delle quali, per Rom e Sinti, la più tremenda era senza dubbio la mancanza di libertà e l’impossibilità di spostarsi liberamente e mantenere i contatti con l’esterno. Questa documentazione ci permette di affermare, l’effettività dell’internamento e che il regime fascista adottò verso Rom e Sinti provvedimenti distinguibili in almeno due fasi (ovviamente intrecciate al contesto più generale della guerra e della conseguente politica di internamento): la prima, che precede il settembre 1940, e la seconda che va dal 1940 al 1943 (anno dell’armistizio che segna l’inizio dell’occupazione tedesca). Prima del 1940 Rom e Sinti venivano quasi sempre arrestati e subito espulsi dal Regno, accompagnati al confine e lì abbandonati, tanto che generalmente rientravano quasi subito e la procedura si ripeteva periodicamente. Dalla fine del 1940, invece, la politica di espulsione si trasforma in politica di internamenAllo sterminio nazista degli Zingari la rivista anarchica A ha dedicato un doppio dvd, che comprende saggi, testimonianze, documentari, cantoni tzigane, interviste. Per acquistare tale dvd (durata 2 ore, comprensivo di libretto di 72 pagine) al prezzo di 30 euro, con sconti sino a 20 per più copie, inviare assegno bancario o postale all’Editrice A, casella postale 17120, Milano 20170 La Camera dei Deputati, il 13 dicembre, ha approvato con 466 voti a favore e uno solo contrario, la norma che introduce il reato di tortura nel nostro codice penale. Il testo, modificato in Aula con alcuni emendamenti della Commissione Giustizia, di AN e di FI, stabilisce che “è punito con la pena della reclusione da tre a dodici anni chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali”, allo scopo di ottenere “informazioni o confessioni” su atti commessi (o sospetta di averli commessi) in prima persona o da altri soggetti. La norma introduce come possibili moventi della tortura to. E in queste carte la realtà della prigionia emerge in tutta la sua evidenza, ed emergono anche alcuni dei luoghi dove Rom e Sinti erano reclusi. Se alcuni, come Vinchiaturo (Cb), le Isole Tremiti e la Sardegna risultano, per il momento, solo come casi isolati, ci sono altri luoghi dove la politica di internamento fascista nei confronti di Rom e Sinti si fa più chiara. In particolare a Boiano, Agnone e Tossiccia. A Boiano, in provincia di Campobasso, è certa la presenza di Rom e Sinti almeno nell’estate del 1941. Ma forse anche prima visto che altri documenti relativi al campo, recentemente rintracciati (per esempio da Rosa Corbelletto, che in una tesi di laurea propone nuovi documenti sull’internamento di Rom e Sinti in Italia) segnalano due famiglie, in totale 17 persone, assegnate a questo campo già nel dicembre 1940. I prigionieri erano alloggiati fuori dal paese, nella vecchia Manifattura Tabacchi, composta da cinque capannoni freddi e umidi e in condizioni così precarie e terribili da indurre persino funzionari e amministratori fascisti a tentare opere di manutenzione e risanamento, e infine a trasferire gran parte dei prigionieri in altri luoghi. Ma non gli “Zingari”, che furono invece trasferiti solo alla chiusura di Boiano avvenuta nell’agosto del 1941. Erano, allora, 65 Rom e Sinti, di cui 21 minori di 15 anni. E da Boiano arrivarono ad Agnone, un paesino vicino a Isernia, dove il campo si trovava fuori dal paese, a 850 metri di altezza, allestito in un ex convento benedettino requisito dai fascisti. In questo campo i documenti non solo attestano la presenza di Rom e Sinti ma addirittura fanno supporre che, almeno da un certo periodo in poi, e probabilmente dalla fine del 1941, il campo fosse destinato esclusivamente a loro. Dai documenti si capisce che gli Zingari arrivano, trasferiti anche da altri campi, nel luglio 1941 quando si pensa di adibire il campo solo per loro. Nel luglio 1942 ne risultano 250. Ci sono lettere e corrispondenze che indicano anche che nel gennaio 1943 venne istituita una scuola per i bambini rom, o più precisamente “per l’educazione intellettuale e religiosa dei figli minorenni degli Zingari colà internati”. Il 23 aprile 1943 un documento attesta la presenza di 146 internati zingari e sottolinea che tutto procede bene, compresa la scuola che si occupa di “toglierli dalle loro abitudini randagie e amorali”. GLI ELENCHI Ma gli elenchi del campo devono ancora essere rintracciati e studiati: non si capisce come possano passare da 250 a 130 come attestato e nel giro di soli tre mesi e poi perché esistono testimonianze, come quella di Tommaso Bogdan, che anticipa il suo arresto e il suo internamento ad Agnone già dal 1940. È una testimonianza molto intensa, raccolta recentemente, nella quale Tommaso Bagdan, che oggi vive in un campo sosta a Roma, ricorda anche i suoi due fratelli morti di stenti ad Agnone e i suoi genitori che non sopravvissero alla fuga dal campo quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre, qui come anche in altri campi, i fascisti aprirono le porte ordinando ai prigionieri di andarsene. Il campo di Tossiccia, infine, è uno dei più noti. Funzionante dall’ottobre 1940, venne smantellato con l’armistizio. Prima di allora, però, vi erano rinchiusi anche Rom e Sinti. Disponiamo infatti di due elenchi che documentano la presenza di almeno 108 di loro nel mese di luglio 1942. Tossiccia era uno dei peggiori campi dell’Italia centrale. Gli internati vivevano ammassati in tre case, una delle quali riservata agli Zingari, in condizioni intollerabili: gli edifici erano privi di finestre, non c’era acqua e le fogne allagavano continuamente la zona. Ci sono pochissime informazioni, e assolutamente frammentarie, sul destino dei Rom e dei Sinti nel periodo dell’occupazione tedesca e della Repubblica Sociale e soprattutto sul destino di coloro che, a quell’epoca, si trovavano già imprigionati e segnalati. Si deve riflettere sulle eventuali responsabilità italiane nel trasferimento e nella successiva eliminazione dei prigionieri Rom e Sinti nei campi di sterminio hitleriani. Da segnalare la testimonianza, indiretta, della partigiana Laura Conti che, internata a Gries di Bolzano, ricorda tra i prigionieri “bambini zingari italiani e spagnoli” che vivevano con le madri nell’unica baracca femminile e “parlavano solo la loro lingua, per cui fu difficile sapere qualcosa su di loro”. E quella del sinto Vittorio Mayer (che riuscì a salvarsi nascondendo la sua origine e diventando violinista nell’esercito tedesco) che ricorda la sorella Edvige morta a vent’anni nel campo di Bolzano. Grazie al lavoro di alcuni storici e studiosi caparbi, oggi possiamo almeno affermare con certezza che anche nel nostro Paese i fascisti perseguitavano, discriminavano, arrestavano e imprigionavano Rom e Sinti e che organizzavano luoghi di internamento solo per loro, dove venivano imprigionati e schedati come Zingari. Per concludere, qualche parola sul dopoguerra. Nei vari processi contro i nazisti responsabili di crimini contro l’umanità – primo tra tutti quello di Norimberga – nessuno decise di sentire testimonianze di Rom e Sinti. E ancora 15 anni dopo, al processo di Gerusalemme, nonostante Eichmann si fosse dimostrato consapevole della deportazione degli Zingari, il capo di imputazione che riguardava questo argomento venne annullato. Nel dopoguerra anche Robert Ritter e i suoi collaboratori continuarono a vivere più o meno indisturbati. Nessuno di loro venne mai condannato. anche “motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale”. La legge prevede due circostanze aggravanti. La pena è aumentata se a commettere queste violenze è “un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio”, o “se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima”. La pena è raddoppiata, infine, se la vittima muore. L’approvazione della nuova norma è stata accompagnata da positivi commenti bipartisan. La legge ha avuto un lungo cammino parlamentare. Nella scorsa legislatura l’attuale maggioranza circoscriveva il reato soltanto alle forze di polizia. Oggi, maggioranza e opposizione hanno trovato una mediazione condivisa da tutti. Secondo Paolo Gambescia, (Ulivo) “tale norma rappresenterà uno strumento in più per colpire coloro i quali usano metodi infami per fare violenza nei confronti di altri cittadini o non cittadini italiani che vivono nel nostro territorio, comunque indifesi. Noi volevamo dare una risposta forte a fenomeni che ripugnano la coscienza e la civiltà di questo Paese”. Per il presidente della Commissione Giustizia della Camera, Pino Pisicchio (Italia dei Valori) “Il provvedimento può proporsi come modello per altri Paesi europei, visto che abbiamo adottato l’espressione “chiunque”, quindi non solo i pubblici ufficiali, ma anche mafiosi o chiunque esercita un’azione violenta, può macchiarsi del reato di tortura”. Per Francesco Caruso (Rifondazione Comunista) “la proposta di legge serve da monito affinché non si ripetano mai più sospensioni dei diritti e della democrazia come quelle avvenute nella caserma Bolzaneto, nei giorni del G8 di Genova nel luglio 2001, e nella caserma Raniero di Napoli, nei giorni delle contestazioni contro il Global Forum a marzo dello stesso anno”. Per Gabriele Frigato (Ulivo) affinché “non ci sia più una Guantanamo”. Ora la legge passerà al Senato per il voto definitivo. LA TORTURA DISTRUGGE CORPO E MENTE DELLA VITTIMA I Nonostante Convenzioni internazionali e Costituzioni nazionali pongano fuori legge ogni trattamento inumano e degradante, la pratica della tortura è ancora attuale all’inizio del XXI secolo. Da migliaia di anni gli uomini praticano la tortura sui loro simili. L’uso della violenza ha attraversato e unito come un filo nero quasi tutti i popoli dall’antichità ad oggi: come mezzo d’indagine giudiziaria, come presunto mezzo di ricerca della verità e come strategia di terrore. Tracce di tale usanza si ritrovano già tra gli assiro-babilonesi, dominatori della Mesopotamia tra il 2000 e il 612 a.C.. Presso questa civiltà pene corporali, fustigazione, mutilazione e castrazione erano prassi ordinaria. Sembra che nell’Antico Egitto, invece, la tortura non fosse usata sul popolo, vista la sua rassegnata docilità, ma riservata ai faraoni, ai dignitari di corte e alle alte cariche dello Stato. Nessuna società si è sottratta all’uso della tortura: sia tra gli atzechi, sia tra gli aborigeni dell’area australe era una costante nei riti d’iniziazione nel passaggio tra l’età dell’adolescenza e la vita adulta, mettendo spesso a rischio la vita dell’iniziato. Nell’antica Roma l’imperatore Tiberio intratteneva i suoi ospiti facendoli assistere a supplizi, mentre Caligola si serviva delle grida dei torturati come sottofondo per allietare i propri banchetti. Gli stessi spettacoli dei gladiatori furono una forma organizzata di tortura. Anche se in seguito alla diffusione del cristianesimo la pratica della tortura subì una certa attenuazione, con qualche eccezione di breve durata essa continuò ad imperversare. I cinesi furono famosi fin dall’antichità per le raffinate tecniche dei loro supplizi, tuttavia la tortura come pratica giudiziaria non era nata in Cina, ma nel Vicino Oriente, agli albori della civiltà. In Occidente la tortura diventò strumento giudiziario nel Medioevo, dopo la caduta dei regni barbarici e con l’affermarsi del sistema comunale e IL RISARCIMENTO delle prime entità statali euroLa sottovalutazione, o la pee: la giustizia non fu più amnegazione, della “questione zingara” nel dopoguerra, nasconde anche il problema molto complesso e concreto dei risarcimenti dovuti alle vittime del nazismo. Nonostante la Convenzione di Bonn – imposta dagli Alleati alla Germania nel 1945 – prescrivesse il pagamento di riparazioni e indennizzi a quanti erano stati perseguitati, nel caso dei Rom e dei Sinti questo fu negato e tutte le loro istanze di risarcimento eluse dalla magistratura tedesca. Col tempo però, la discussione sullo sterminio dei Rom si dovette confrontare sempre più con le prove documentarie che man mano emergevano e che proministrata dal privato ma dalvavano il carattere razziale lo Stato e il carnefice divenne della persecuzione di Rom e una figura immancabile presso Sinti. ogni corte. Non solo sul terriLe autorità tedesche certorio italiano, ma in tutta Eucarono di barcamenarsi nel più totale cinismo e disprezzo ropa si accolse il rinnovato difrazzista. Se prima i giudici, fondersi della tortura, ecceziocon una sentenza assurda, ri- ne fatta per la sola Inghilterra, conobbero la persecuzione che nel rifiutare la tortura in razziale solo a partire dal de- quanto crudele e arbitraria cocreto di internamento ad Au- ercizione della libertà personaschwitz (1942), poi si trince- le, diede prova di una sensibirarono dietro al fatto che non lità d’avanguardia, tesa alla tuesisteva un organismo rap- tela della dignità fisica e menpresentativo del popolo zinga- tale degli individui. La tortura ha vissuto diverro al quale affidare i risarcise stagioni: una delle più terrimenti. Fu infine solo nel 1980 che bili si è avuta sul finire del XV il governo tedesco riconobbe secolo, quando in Spagna, sotufficialmente che Rom e Sinti to il regno di Isabella di Castiavevano subìto “sotto il regi- glia e Ferdinando d’Aragona, me nazista nell’Europa occu- nacque la Nuova Inquisizione. pata, una persecuzione raz- L’Inquisizione romana nacque ziale”, ma non si verificò al- invece nel 1542 e fu lo strumento privilegiato dalla Chiesa per cun risarcimento. Giovanna Boursier combattere i propri “nemici” servendosi di metodi di persuasione estremamente efficaci come strumento di repressione. Tra le forme di persecuzione violenta, la caccia alle streghe fu – soprattutto nel XVII secolo – il fenomeno attraverso cui l’odio popolare verso “maghi e streghe”, fu reso ufficiale dall’Inquisizione: la ricerca dei “segni di Satana” sul corpo dei torturati e le confessioni estorte, legalizzarono ogni forma di violenza e di crudeltà sia fisica che psicologica. In Italia, nel 1630, nelle città colpite dalla piaga della peste, si scatenava la “caccia all’untore” che avrebbe mietuto, quali vittime di tortura, circa 140.000 morti solo a Milano. Con l’inizio dell’“età dei lumi”, nel XVIII secolo, s’impose finalmente l’idea dell’abolizione della tortura, sia nelle opere di autori come Voltaire, sia tra i sovrani europei. Così nei territori austriaci, germanici, e slavi dell’impero, nel 1776, l’imperatrice Maria Teresa abolì formalmente ogni pratica della tortura. Nel 1764 il saggio “Dei Delitti e delle Pene” di Cesare Beccaria inchiodò alle proprie responsabilità “l’irregolarità delle procedure criminali”. Accolta favorevolmente dalla critica del tempo, l’opera sancì un punto di partenza, nella storia della coscienza comune sul problema della tortura. Scrive Beccaria “(…) un uomo non può dirsi reo prima della sentenza, né la società può togliergli la pubblica protezione, prima che sia provato che ne ha violato i patti; quale diritto dunque autorizza un giudice a dare una pena a un cittadino quando ancora si dubita che sia reo? O il diritto è certo, o allora abbia la pena stabilita dalle leggi; se incerto, non si deve tormentare un innocente (…) che il dolore divenga il crogiuolo della verità… Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti”. L’influsso di quest’opera fu decisivo nella soppressione della tortura in vari Paesi europei e il suo divieto nella Costituzione degli Stati Uniti, pochi anni dopo. In Italia, dopo l’unificazione, la tortura restava uno dei principali “ferri del mestiere” della polizia e dei carabinieri, benché ufficialmente abolita. Già dal 1860 un netto peggioramento si era avuto nelle carceri, all’interno delle quali non si risparmiavano crudeltà verso i prigionieri. Il Novecento si apre con gli orrori della prima guerra mondiale. Già prima del suo scoppio, nelle questure, nelle caserme, negli uffici della guardia di finanza, e soprattutto all’ombra della legge, gli arrestati erano sottoposti a pratiche efferate. Tutto il secolo è stato tristemente segnato dalla violenza sull’uomo: infatti l’affermarsi di un sempre più rapido progresso scientifico e tecnologico è stato sfruttato per un aumento delle violenze, in particolare di quelle “organizzate” dagli Stati. A metà del Novecento il perfezionismo nella pratica della tortura da parte delle SS naziste fu imitato dai fascisti durante il periodo della Repubblica La “garrota” usata in Spagna di Salò, verso i partigiani della Resistenza. I nazisti, con lucida follia, costruirono campi di concentramento e di sterminio, dove la tortura assunse la veste di una condizione esistenziale con la quale milioni di uomini, in particolare ebrei, zingari e omosessuali dovettero confrontarsi ogni giorno. Alla fine della seconda guerra mondiale, con la vittoria degli Alleati e l’apertura dei lager, folle di spettri si affacciarono alla coscienza civile e sociale del mondo colpevole e ignaro. Un situazione per certi aspetti analoga si delineò nell’Unione Sovietica, dove già all’inizio degli anni Trenta era stata creata l’estesa rete dei gulag siberiani, in cui i prigionieri morirono a milioni: gruppi etnici, oppositori e contadini, questi ultimi sterminati in seguito alla decisione di collettivizzare la terra. Dal 1939 Stalin autorizzò ufficialmente la polizia ad impiegare la tortura come mezzo d’inquisizione, che spesso assunse vesti ideologiche e psicologiche. Nell’Unione Sovietica il sistema dei campi di concentramento sopravvisse fino agli anni Ottanta. La guerra d’Algeria, negli anni Cinquanta, è stato uno degli esempi più eclatanti di come, complici del sadismo, la brutalità, la paura e l’abuso di potere, potesse autoalimentarsi quel controllo materiale e psicologico delle popolazioni che avrebbe reso possibile il proseguimento del dominio coloniale. La tortura non è soltanto mezzo per ottenere una confessione ma è parte integrante di una strategia militare volta ad ottenere l’eliminazione dei nemici. Lo stesso avvenne nel Vietnam, dove civiltà ed umanità sono sprofondate negli abissi dell’incoscienza lasciando dietro di sé infinite sofferenze. In Cambogia, a metà degli anni Settanta, la presa del potere da parte dei Khmer rossi coincise con l’abolizione della proprietà privata e dell’educazione che portò a quattro anni di terrore e costò la vita ad oltre un milione di persone, molte delle quali furono torturate prima di essere uccise. Il colpo di Stato del 21 aprile 1967 del colonnello Papadopoulos, in Grecia, inaugurò un altro oscuro periodo in cui i dissidenti, i sospetti, i nemici dello Stato furono sistematicamente torturati con pratiche tra le più cruente. La tortura divenne pratica amministrativa e uno dei tratti caratterizzanti di alcune dittature sudamericane. In molti di questi Paesi la tortura non fu soltanto comune strumento di polizia ma divenne attività pianificata. In Cile le torture iniziarono nel 1973, subito dopo il golpe dei militari comandati da Pinochet, che sistematicamente perseguitarono gli oppositori politici; la repressione da parte della polizia politica portò all’arresto di migliaia di persone che vennero torturate. In Argentina, tra il 1976 e il 1983, durante il regime militare i prigionieri erano rinchiusi in celle simili a bare, senza luce, soffocanti: le vittime (desaparecidos) sono state oltre 30.000, alcune buttate in mare dagli aerei. In epoche diverse ogni nazione ha praticato la tortura, in tempi di guerra e di tensioni sociali particolarmente gravi. (continua) * INCHIESTA SUI MILITARI COLPITI DA URANIO IMPOVERITO In seguito ai troppi casi di militari e civili che in zone di conflitti sono stati colpiti dagli effetti dell’uso di uranio impoverito nei proiettili, è stata deliberata dal Senato, l’11 ottobre 2006, una Commissione parlamentare d’inchiesta. Essa ha il compito di indagare sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti, anche sulla base dei dati epidemiologici disponibili, riferiti alle popolazioni civili nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale in relazione all’esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno, con particolare attenzione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e della dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni. La Commissione, composta da 21 senatori nominati dal presidente del Senato in proporzione al numero dei componenti i Gruppi parlamentari, dovrà concludere i propri lavori entro un anno dal suo insediamento. ANNO LVIII - N. 10 - DICEMBRE 2006 4 L'ANNUALE RAPPORTO DELL'UNICEF TRIBUNA PACIFISTA DENUNCIATA LA CONDIZIONE DI RUSSIA E USA VENDONO DONNE E BAMBINI NEL MONDO ARMI AL TERZO MONDO Secondo il “Rapporto” commissionato dal governo americano all’esperto Richard Grimmett del “Conventional Arms Transfers to Developing Nations” la Russia è attualmente lo Stato più impegnato nella vendita di armi ai Paesi in via di sviluppo, cioè i più poveri. Nel triennio 20022005 ha inviato ad essi il 95,6% del totale delle proprie commesse di armamenti, ammontanti a 23.791 milioni di dollari. Le aree in cui i russi concentrano i loro investimenti sono l’Iran (1,7 miliardi di dollari), la Siria (800 milioni), lo Yemen (500), la Libia e Israele (300 milioni ognuno). L’Egitto, tradizionalmente rifornito dagli USA, starebbe trattando con la Russia l’acquisto di aerei d’addestramento Mig-At e aerei da combattimento Mig-29. Nei vari settori d’armamenti, l’Iran ha acquistato sistemi di difesa missilistica, la Cina aerei militari, l’India carri armati, oltre forniture a tutti di “kalashnikov”. In Asia, la Russia detiene un primato assoluto: con 16 miliardi di dollari nel triennio 2001/ 2005 – contro gli 11,6 degli americani – è il primo fornitore di India e Cina, a cui invia regolarmente forze aeree e navali, e con cui nel 2005 ha siglato ben otto contratti tra governi (non si contano i contratti commerciali tra aziende produttrici). In Africa la Russia è seconda, scavalcata dalla Francia che nel 2005 ha avuto il primato nella vendita di armi per 900 milioni di dollari, seguita da Germania, Gran Bretagna, USA (157 milioni). Per quanto riguarda la cessione di armi da parte americana, risulta che gli USA sono al primo posto nella classifica mondiale. Infatti nel 2005 hanno trasferito armi nel mondo per 55,887 milioni di dollari. In Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina hanno inviato il 59,50% di quella cifra. In particolare le forniture nell’America Latina sono state di 7,4 miliardi di dollari. Complessivamente gli USA hanno partecipato ad un terzo di tutte le vendite di armi nel mondo. Tuttavia il Pentagono ha perso le tracce di 14.030 forniture d’armi (circa il 4% del totale) all’Iraq dal 2003. AUMENTANO LE SPESE PER LE FORZE ARMATE L’annuale Rapporto dell’UNICEF: “The state of the world’s children 2007 – Women and Children” (La condizione dell’infanzia nel mondo 2007) – pubblicato in occasione del 60° anniversario della fondazione dell’UNICEF, una delle istituzioni dell’ONU – denuncia la discriminazione femminile. “Milioni di donne in tutto il mondo sono soggette a violenze fisiche e sessuali, con limitata possibilità di ricorso alla giustizia. A causa della discriminazione di genere, le bambine hanno minori probabilità di andare a scuola: nei Paesi in via di sviluppo, quasi una bambina su cinque iscritta alla scuola primaria non completa gli studi. La violenza fisica registra anche il crudele fenomeno delle mutilazioni genitali subite da 130 milioni fra donne e bambine, mentre è più elevato il rischio contagio AIDS per le donne che spesso non conoscono le modalità di trasmissione del virus”. Inoltre le donne non sempre hanno poi voce nelle decisioni familiari fondamentali, che possono avere conseguenze negative per i bambini. La possibilità per le donne di avere il controllo della loro stessa vita e di prendere le decisioni che riguardano la famiglia sono strettamente legate alla nutrizione, alla salute e all’istruzione del bambino: “nelle famiglie dove sono le donne ad assumere le decisioni fondamentali, la quota di risorse destinate ai bambini è di gran lunga maggiore rispetto a quelle in cui le donne hanno un ruolo meno incisivo”. Notevoli anche le disuguaglianze lungo il corso dell’esistenza. Risultati anagrafici e di censimento in Asia rivelano una percentuale insolitamente alta di nascite di bambini maschi e una sproporzione tra maschi e femmine sotto i 5 anni, soprattutto “Nella Finanziaria dei tagli e dei risparmi del governo Prodi, il rischio è che aumentino di oltre 2 miliardi di euro, cioè dell’11%, le spese belliche, i fondi per le Forze armate e il finanziamento pubblico al comparto militar-industriale” - segnala Luca Kocci di Adista. Se nel 2006 la spesa totale – comprendente cioè il funzionamento ordinario delle quattro Forze armate, le missioni militari all’estero e gli armamenti – era di 18 miliardi e 862 milioni di euro (di cui 17.782 milioni dal bilancio della Difesa e 1.080 aggiunti dalla Finanziaria), per il 2007 si prevede una spesa complessiva di 21 miliardi e 144 milioni di euro (18.134 milioni dal bilancio preventivo della Difesa e 3.010 aggiunti dalla legge Finanziaria in discussione proprio in queste settimane). A far lievitare la spesa, una serie di motivi: i costi sempre più elevati per il mantenimento delle Forze Armate (da qualche anno, dopo l’abolizione della leva obbligatoria, formate solo da soldati di professione) che assorbono il 72 per cento dell’intero bilancio (nel 2002, in base ai dati forniti ad Adista dalla campagna “Sbilanciamoci!”, tale voce di spesa incideva solo per il 48 per cento); le missioni militari all’estero, diventate sempre più numerose e costose; l’acquisto di nuovi armamenti; la partecipazione dell’Italia a programmi di riarmo in partnership con diversi Paesi europei (Gran Bretagna, Germania e Spagna per la costruzione del cacciabombardiere Eurofighter) ed extra-europei (Stati Uniti, , Canada, , Australia e Turchia oltre a Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia e Olanda per la progettazione e costruzione di un altro tipo di cacciabombardiere, l’F35Lightnight II). E’ confermato lo stanziamento di cento milioni per il 2007, 210 milioni per il 2008, 310 milioni per il 2009 e 310 milioni per gli anni successivi. Sono finanziate le attività previste dalla legge 805/85 in favore delle imprese italiane del settore aeronautico (comma 482). Il comma 483 rifinanzia gli interventi autoriz- zati dalla legge 140/99 per il settore aeronautico e duale, con particolare riferimento all’elettronica. Il comma 484 provvede ad assicurare continuità al programma di coproduzione internazionale relativo all’aereo Eurofighter. Pure confermato lo stanziamento di 1,7 miliardi di euro per il 2007, 1,550 miliardi euro per il 2008 e di 1,2 miliardi di euro per il 2009. Il Fondo è destinato a finanziare i programmi di investimento pluriennali, sia per esigenze di difesa nazionale, sia in attuazione di accordi internazionali. Per gli anni successivi al 2009 viene previsto il rifinanziamento mediante ricorso alla legge finanziaria degli anni futuri. Il Fondo destinato a provvedere alla rimessa in efficienza dello strumento militare mediante sostituzione, ripristino e manutenzione ordinaria e straordinaria di mezzi, materiali, sistemi infrastrutture, ecc è stato ridotto di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Di conseguenza lo stanziamento è fissato in 350 milioni (invece di 400 milioni) per il 2007, di 450 milioni (invece di 500 milioni) per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 si spenderà 1 miliardo di euro per la partecipazione italiana a missioni internazionali. Tale fondo è istituito nell’ambito del bilancio del Ministero dell’Economia. Il termine per le autorizzazioni di spesa per le missioni internazionali in scadenza il 31.12.2006 è prorogato al 31.1.2007. Per la Cooperazione allo sviluppo lo stanziamento è aumentato di 50 milioni per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 prelevati dal fondo per la manutenzione militare Per il programma navale FREMM viene confermato lo stanziamento di 60 milioni per il 2007, 135 milioni per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e dal 2010 fino al 2022 1.665 milioni di euro. Infine è confermato lo stanziamento di 2,254 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007,2008 e 2009 per le operazioni umanitarie di sminamento. BAN KI MOON NEO SEGRETARIO ONU Thant. Lo stile del nuovo Segretario appare improntato alla prudenza: un tratto che alcuni membri del Consiglio di Sicurezza, come gli Stati Uniti, hanno trovato attraente dopo la gestione di Annan, giudicata da Washington troppo aggressiva. Ban Ki Moon ha promesso di ricucire gli strap- Telefono nemico pi tra Stati membri e di pilotaNell’articolo “Telefono nemico” re l’elefantiaca burocrazia del- pubblicato sul numero di noveml’ONU attraverso una drasti- bre de L’INCONTRO è stato omesso quanto avvenne a danno di Roca cura dimagrante. * L’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato la designazione, fatta dal Consiglio di Sicurezza, del nuovo Segretario Generale (l’ottavo nel corso degli anni) che sostituirà dal 1 gennaio 2007 l’attuale Segretario Kofi Annan, alla scadenza del mandato. Tra sei candidati è stato scelto l’ex-ministro degli esteri sud-coreano Ban Ki Moon, 62 anni, già ambasciatore presso l’ONU a Washington, consigliere presidenziale per la politica estera e dal 2004 capo della diplomazia della Corea del Sud. Il timone del Palazzo di Vetro torna dunque asiatico dopo 15 anni dell’Africa (tra Annan e il predecessore Boutros Ghali) e per la prima volta dai tempi del birmano U RITIRATI DALL’IRAQ I MILITARI ITALIANI Dopo 3 anni e mezzo i militari della missione “Antica Babilonia” – che dal giugno 2003 sono stati impegnati nella base di Nassiriya – hanno lasciato il territorio dell’Iraq, tornando in Italia. Durante la permanenza a Nassiriya i militari hanno avviato 800 progetti di assistenza (sanità, istruzione, ecc.) ottenendo l’apprezzamento della popolazione locale. La missione, che ha avvicendato circa 30 mila uomini, è costata la vita a 32 militari e 2 civili in seguito all’attacco dei terroristi islamici. Si è così conclusa un’esperienza contestata dai pacifisti per il sostegno dato dai militari italiani all’occupazione dell’Iraq da parte delle Forze americane. in India e Cina, suggerendo la pratica di feticidi e infanticidi selettivi a danno delle bambine nei due Paesi più popolosi del mondo, nonostante le iniziative dirette a sradicare tali pratiche. Se più di 115 milioni di bambini in età di istruzione primaria non frequentano la scuola, per ogni 100 bambini che non la frequentano sono ben 115 le bambine nella medesima situazione. Il Rapporto rileva che “le donne spesso lavorano di più ma guadagnano e possiedono di meno degli uomini”. L’UNICEF pur riconoscendo “progressi per quanto riguarda l’inserimento delle donne nella forza lavoro” rileva che questi “sono stati però minori se si considera il miglioramento delle condizioni lavorative, il riconoscimento del lavoro non pagato, l’eliminazione della pratiche e delle leggi discriminatorie sui diritti di proprietà e di successione, il sostegno per l’assistenza all’infanzia”. Viene denunciata anche la scarsa rappresentanza delle donne nella vita politica in ambito locale e nazionale, mentre il loro coinvolgimento può contribuire allo sviluppo di legislazioni più attente alla condizione di donne, bambini e famiglie. L’influenza delle donne nei parlamenti incoraggia mutamenti nell’agenda delle proprietà dei loro colleghi maschi, ma “nonostante i progressi, le donne restano ampiamente escluse dalla politica”. Nel luglio 2006, le donne costituivano – a livello mondiale – meno del 17 p.c. di tutti i parlamentari, in un rapporto di circa 1 a 6. Con gli attuali tassi di progresso, la parità nei parlamenti nazionali non sarà raggiunta prima del 2068. “Il conseguimento del terzo Obiettivo di sviluppo del millennio (promuovere l’uguaglianza di genere e potenziare il ruolo del- le donne) contribuirà al raggiungimento di tutti gli altri obiettivi: dalla riduzione della povertà e della fame alla protezione della vita dei bambini, la promozione della salute materna, l’istruzione universale, la lotta all’AIDS, alla malaria e alle altre malattie dell’infanzia, contribuendo anche a garantire la sostenibilità ambientale”. Anche un Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) fornisce dati molto interessanti: 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini (dati del 2002) sono vittime di violenze fisiche o sessuali. Il 36 p.c. delle donne fra 20 e 24 anni sono sposate o convivono prima dei 18 anni, soprattutto nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale. Ogni minuto una donna muore per complicanze durante il parto, per un totale di 500.000 vittime ogni anno. Il 99% di queste morti avviene nei Paesi in via di sviluppo (90% concentrati in Africa e Asia). Circa 14 milioni di ragazze fra i 15 e i 19 anni partoriscono ogni anno. Se al parto una madre ha meno di 18 anni il rischio che il figlio muoia entro il primo anno di vita è 60 volte maggiore. In Burkina Faso, Mali e Nigeria, almeno il 75% delle donne afferma che sono i mariti a prendere decisioni per la loro salute. Lo stesso Bangladesh e Nepal per il 50% delle intervistate e nello Stato di Gujarat (India) il 50% ha detto di non poter portare i figli dal dottore senza il permesso del marito o suocero. In parte dell’Africa e dei Carabi, le ragazze tra i 15 e i 24 anni corrono un rischio 6 volte maggiore rispetto ai coetanei maschi. Le donne costituiscono circa 13,2 milioni (il 59% degli adulti) malate di AIDS nell’Africa a sud del Sahara. PARLANO I LETTORI Servizi segreti Ho letto quanto L’INCONTRO ha scritto sul SISMI, il Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, che è l’organo del contro spionaggio, da tempo in crisi, dopo l’illecita cattura dell’imam Abu Omar e le intercettazioni telefoniche a danno di Prodi e molti altri personaggi. Vorrei sapere quali sono gli altri organismi di controllo esistenti in Italia. Tullio Rossini (Livorno) Oltre al SISMI, funziona il SISDE (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), lo SCICO (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) effettuato dalla Guardia di Finanza, il ROS (Raggruppamento Operativo Speciale) dell’Arma dei Carabinieri, che opera in tre settori: criminalità-organizzata, eversione, estorsioni, il GICO (Gruppo d’Investigazione sulla criminalitàorganizzata) che è un’unità della Guardia di Finanza, specializzata nell’investigazione tributaria, economica e finanziaria contro il riciclaggio, la DIGOS (Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali) che è una Divisione operativa della Polizia impegnata nella lotta al terrorismo. Infine il CESIS (Comitato Esecutivo per i Servizi d’Informazione e sicurezza) che coordina i Servizi Segreti e il COPACO (Comitato Parlamentare di controllo per i Servizi d’Informazione e sicurezza e per il segreto di Stato). Tutti questi Servizi, assai onerosi per il bilancio dello Stato, a cui non debbono giustificare le spese d’esercito della loro attività, sono stati istituiti per rimediare alle deviazioni dei vari SID, SIFAR, ecc gravemente compromessi in attività illecite e contrarie ai loro compiti istituzionali. Poiché gli scandali del SISMI e del SISDE si ripetono da tempo pregiudicando una retta gestione dei rispettivi Servizi, appare necessario liquidare entrambi in quanto strumento si speculazioni politiche, sostituendoli con organismi che diano effettive garanzie di indipendenza e correttezza. mano Prodi, cioè le 128 rilevazioni abusive della posizione tributaria sua e della moglie da parte di membri dell’Agenzia delle Entrate, del Demanio, delle Dogane, della Guardia di Finanza. I 128 funzionari, in gran parte di Milano, acquisirono notizie riservate in merito a proprietà, stipendi, partecipazioni societarie, cessioni, ecc. dei coniugi Prodi. Uno spionaggio durato due anni mediante intercettazioni telefoniche e computer, commettendo il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico protetto. I quotidiani di centro-destra, fra cui “IL GIORNALE” (proprietà della famiglia Berlusconi) pubblicarono alla vigilia delle elezioni, nello scorso aprile, che Romano Prodi e la moglie Flavia Franzoni, approfittando della legge esentasse sulle donazioni, avevano versato ai loro figli la somma complessiva di 870 mila euro per comprar casa. Un mezzo scandalo, poiché in pie- na campagna elettorale il Centrodestra accusava il Centro-sinistra di voler ripristinare la tassa sulle successioni. La notizia veniva riportata con eccessivi particolari (giorno della donazione, nome del notaio, motivo della donazione, estremi dell’atto notarile, repertorio e numero di fascicolo), evidentemente diffusi da ambienti politici a scopo scandalistico in vista delle elezioni. Anche una ventina di personaggi di entrambi gli schieramenti (con prevalenza del Centro-sinistra), cioè parlamentari, finanzieri d’assalto, calciatori, gente dello spettacolo, furono oggetto dello spionaggio illegale. Ciò premesso, occorre non ricondurre tali fatti all’attività infedele di qualche funzionario, responsabile materiale degli illeciti, ma si risalga a chi ha autorizzato, ispirato o è stato mandante di atti lesivi della libertà dei singoli e del rispetto della “privacy”, in particolare ai Servizi Segreti sempre più squalificati e pericolosi. Tullio Bassi (Roma) Partito Democratico Nel complicato scenario politico attuale l’operazione per fondere nel futuro Partito Democratico le due anime del Centro-sinistra mi sembra sempre più avventurosa. Intanto cosa sarà questo Partito: un nuovo soggetto politico o una fusione tra ex-comunisti e cattolici? Nascerà da un accordo tra i vertici o da un referendum fra gli iscritti a DS e alla Margherita? Risulterà un novello compromesso storico o un permanente dibattito interno sino alla scioglimento del Partito? Recentemente l’on. Peppino Caldarola ha detto che il Partito Democratico ormai sta fra l’archivio e il frigorifero. A sua volta Walter Veltroni, Sindaco di Roma, ha commentato: “Sono più pessimista che nei mesi passati. Vedo troppi ‘si, ma…’ e non so se ci sia la voglia e il coraggio di compiere quel passo”. Per conto mio i due nodi (la questione socialista e quella cattolica) sembrano insolubili, perché ciascuno considera “valori non negoziabili” i propri . Orbene, senza contenuti ideologici, nessun Partito può essere costituito. C’è quindi il pericolo che i contrasti interni paralizzino l’azione politica anziché rafforzarla. Domenico Pavesi (Ravenna) Parlamentari Ho letto nel nuovo libro di Peter Gomez e Marco Travaglio “Onorevoli Wanted ” (Editori Riuniti, Roma) l’elenco dei membri della Camera dei deputati, del Senato, del Parlamento europeo, che risultano pregiudicati, condannati in primo o secondo grado, indagati, rinviati a giudizio, beneficati da prescrizioni, amnistie, leggi speciali. Precisamente sono 25 con condanne definitive, 57 di altre cate- gorie legali, in totale 82, ai quali vanno aggiunti i politici che prendevano soldi da Parmalat. Ciò significa che su 944 parlamentari, una percentuale di circa il 10% ha conti aperti con la Giustizia, in prevalenza per reati di corruzione amministrativa. Non sarebbe doveroso per la serietà e l’importanza delle pubbliche istituzioni che la Giunta per le elezioni controllasse la posizione giuridica di ogni parlamentare prima del suo insediamento, escludendo dal seggio almeno i condannati con sentenza definitiva? Ludovico Martelli (Roma) Polonia Nell’articolo “Una grande speranza. Il progetto DNA-SHOAH” pubblicato sul numero di novembre de L’INCONTRO, l’autore Gustavo Ottolenghi usa erroneamente la locuzione “campo di sterminio polacco di Treblinka”. Più volte l’Ambasciata della Repubblica di Polonia a Roma ha sollecitato i “media” italiani a non usare mai l’espressione “lager polacco”, nonché “campo di sterminio polacco”, in quanto si tratta di campi di concentramento e sterminio costruiti dal III Reich tedesco sul territorio occupato della Polonia durante la seconda guerra mondiale. Artur Soroko Ufficio stampa dell’Ambasciata della Polonia a Roma Omosessuali L’INCONTRO ha più volte difeso i diritti degli omosessuali, ma ha ignorato l’altra faccia della medaglia. Infatti costoro esagerano sovente non solo per deprecabili forme di esibizionismo, ma per comportamenti contrari ad una civile convivenza. Nell’ospedale torinese in cui sono stato ricoverato, ho dovuto assistere, con ripugnanza, a gesti osceni e ad un turpiloquio disgustoso di un omosessuale visitato da un suo “partner”. Inoltre la promiscuità con codesti personaggi, magari affetti da AIDS, suscita timori per la propria salute... Lettera firmata (Torino) È augurabile che episodi del genere non si debbano ripetere e che una consapevole autocritica rimedi a taluni eccessi. Della propria omosessualità non ci si deve né vantare, né vergognare, usando verso gli altri il rispetto che giustamente si pretende verso di sé. Rettifica Nella rubrica “PERISCOPIO” su L’INCONTRO di novembre, nel pezzo intitolato “Lady Mastella”, la signora Linda Lanzillotta attuale ministro degli Affari Regionali, (che, se non vado errato, dovrebbe essere la consorte dell’ex-ministro Franco Bassanini) viene indicata quale consorte del vice Primo Ministro Francesco Rutelli mentre la “verace” consorte di Rutelli è la giornalista Barbara Palombelli. Svista di poco conto in sostanza, ma se ci mettiamo nei panni dell’ex-radicale anticlericale e nonviolento, ora trasferitosi armi e bagagli sull’altra sponda del Tevere al servizio del Vaticano, sentirsi attribuire un’altra moglie come minimo si sentirebbe in grande imbarazzo. Oreste Roseo (Savona) IMMIGRAZIONE Si suole denigrare gli immigrati, specialmente quelli provenienti da Paesi extra-comunitari, sia dall’Africa che dall’Est europeo. Ma si dimentica o si finge di ignorare che molti di questi immigrati vengono sfruttati dagli italiani. In un’intervista al “Corriere della Sera” il Ministro dell’Interno, Giuliano Amato, ha denunciato le condizioni degli immigrati nel nostro Paese, attribuendo colpe agli italiani, che alimentano il mercato nero, impongono prezzi esosi nell’affittare abitazioni, ricorrono alle prostitute, anche se minorenni. Gli stessi giovanissimi che lavano i vetri alle automobili ferme ai semafori sono sfruttati anche da italiani. “Buona parte della nostra edilizia - afferma il Ministro - vive di lavoro nero immigrato. Costano molto meno e si denuncia la loro presenza nel cantiere soltanto allorché subiscono un incidente sul lavoro, per evitare i guai e sono i più fortunati. Altri ricevono una somma in contanti purché spariscano…”. Dunque lo stesso Ministro riconosce che i nostri connazionali si lamentano per i reati commessi dagli stranieri in Italia, ma realizzano profitti sul lavoro nero degli immigrati. Occorre giudicare senza pregiudizi il fenomeno dell’immigrazione e riformare la inadeguata legge Bossi-Fini per bloccare l’afflusso dei clandestini e tutelare i diritti degli immigrati regolari. Silvio Minetti * MOSTRA SUL PARLAMENTO Una rassegna intitolata “La rinascita del Parlamento dalla Liberazione alla Costituzione”, già presentata a Roma e Genova, è stata inaugurata a Torino, in attesa di trasferirsi a Trieste e in altre città. La Mostra, costituita da grandi fotografie, pannelli, video dell’epoca, riproduzioni di documenti, testimonia le vicende politico-istituzionali che portarono – dopo la Liberazione e le elezioni del 2 giugno 1946 – ai lavori dell’Assemblea per la redazione della Costituzione repubblicana, rivolgendosi, con linguaggio divulgativo e interessanti filmati, soprattutto ai giovani che non hanno vissuto quel periodo. I numerosi manifesti e l’ampia documentazione presentata nella mostra sono frutto di ricerche effettuate da curatori negli istituti storici e in archivi anche privati di tutta Italia. Molti di questi provengono dai centri piemontesi: gli istituti storici della Resistenza di Torino e Cuneo, la fondazione Einaudi, l’Istituto Gramsci, il Centro Studi Giorgio Catti di Torino ed il Museo civico di Cuneo. * SIAMO 6,6 MILIARDI DI PERSONE NEL MONDO La Fondazione tedesca per la popolazione mondiale ha reso noto, nel suo Rapporto annuale, che sulla Terra vivono attualmente 6,6 miliardi di persone. Esse aumenteranno a 9,2 miliardi di persone entro il 2050. L’aumento si verifica soltanto nei Paesi in via di sviluppo, mentre l’Europa perde ogni anno 900 mila abitanti ed invecchia sempre più. Invitiamo i Lettori a segnalarci i nominativi di persone o di associazioni culturali che gradirebbero ricevere copie di saggio de L'INCONTRO Perché viva La sottoscrizione “Perchè viva L’INCONTRO” continua regolarmente. L’elenco dei sottoscrittori è conservato presso la nostra redazione a disposizione dei lettori. L'ottavo elenco della sottoscrizione si chiude con un totale di euro 3.547,75. Direttore responsabile Avv. BRUNO SEGRE Comitato di redazione prof. Paolo Angeleri prof. Marco Brunazzi prof. Giorgio Giannini arch. Gabriele Manfredi prof. Maria Mantello dott. Gustavo Ottolenghi Tipolitografia ARTALE s.n.c. V. Reiss Romoli, 261 - TORINO Tel. 011.226.99.80 - 011226.99.90 Distribuzione: Fratelli De Vietti Via Cebrosa, 21 - Settimo T.se Telef. 011.896.18.11 Registr. al Tribunale di Torino n. 481 del 9-IX-1949 Monthly printed in Italy Rinnovate l’abbonamento a L’INCONTRO