In caso di mancato recapito, restituire al mittente che s’impegna
a pagare la relativa tassa presso C.M.P. - TO-NORD
“Chi pensa che il denaro
possa tutto è egli stesso
disposto a tutto per il denaro”
“Quando il cittadino
è passivo,
la democrazia si ammala”
B. FRANKLIN
A. C. DE TOCQUEVILLE
PERIODICO INDIPENDENTE FONDATO NEL 1949
ANNO LVIII - N. 10 - DICEMBRE 2006
Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Consolata, 11 - 10122 TORINO
e-mail: [email protected] - Telef. + Fax 011.521.20.00
Prezzo € 0,90
Abbonamento annuo € 9,00 - Estero € 25,00 - Sostenitore € 25,00 - Conto corrente postale 26188102
Poste Italiane s.p.a.- Spediz. in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB TORINO
IMPORTANTE CONVEGNO A ROMA
PROVOCATORIO CONGRESSO A TEHERAN
Per inserzioni rivolgersi alla nostra Amministrazione
EUTANASIA
L’OLOCAUSTO SAREBBE
80 ANNI FA LE LEGGI ECCEZIONALI SOLTANTO
UNA LEGGENDA! Welby, il recupero tragico
FASCISTE E IL TRIBUNALE SPECIALE
Organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre e dell’Associazione Nazionale Perseguitati
Politici Italiani Antifascisti (ANPPIA) ha avuto luogo, il 12 dicembre
in un salone dell’Università, un Convegno a 80 anni dalle Leggi
eccezionali e dall’istituzione del Tribunale Speciale fascista.
Al Convegno, intitolato “I valori dell’Antifascismo, della Resistenza e della Costituzione, garanzia di Libertà e Giustizia” hanno
partecipato quali relatori il presidente onorario dell’ANPPIA, on.
Pietro Amendola, il vice-presidente dell’ANPPIA sen. prof. Paolo
Bagnoli, il preside della Facoltà di Scienze della Formazione prof.
Francesco Susi, il docente di Storia contemporanea prof. Carlo
Felice Casula, il presidente emerito della Corte Costituzionale on.
avv. Giuliano Vassalli, il presidente nazionale dell’ANPPIA on.
Giulio Spallone.
Testimonianze dal confino e dal carcere sono state rese da
Giovanna Marturano e dal sen. prof. Adriano Ossicini. Una folla
di studenti ha seguito con interesse gli interventi degli oratori, che
hanno tracciato un quadro storico del periodo (novembre 1926) in
cui il regime fascista instaurò la dittatura mediante leggi eccezionali
e l’istituzione del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. Il
presidente della Repubblica, Napolitano, l’ex-presidente Scalfaro
ed altre Autorità avevano inviato messaggi di adesione.
Il giorno successivo si è riunito il Consiglio Nazionale dell’ANPPIA (Associazione unitaria fondata nel 1946 da Pertini e Terracini).
L’ANPPIA si è resa benemerita anche per la pubblicazione di una
serie di volumi: “L’Italia dissidente e antifascista” 1980; “L’Italia al
confino 1926-1943”; “Il Tribunale di Mussolini (storia del Tribunale
Speciale 1926-1943)” ecc.
Pubblichiamo parte della relazione del prof. Giuliano Vassalli
(vecchio amico ed abbonato al nostro giornale) al Convegno suddetto.
L’istituzione del “Tribunale Speciale per la difesa dello Stato” rappresentò - unitamente
alla reintroduzione in Italia
della pena di morte, stabilita
nella stessa legge 25 novembre
1926, n. 2008, e all’introduzione del confino di polizia per
motivi politici, avvenuta con
gli articoli 180 e seguenti del
Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza 6 novembre
1926, n. 1818 – l’instaurazione
di una vera e propria dittatura, segnata dall’ intimidazione
e dal terrore, e in ogni caso la
definitiva rottura col precedente sistema giuridico espressione – nonostante temporanee
deviazioni – della democrazia
liberale.
Tali provvedimenti erano
stati preceduti da altre significative espressioni del nuovo
regime sul piano politico, quali la legge 25 novembre 1925 n.
2029, che obbligò le associazioni politiche a fornire l’elenco
dei propri iscritti e le notizie
circa la propria organizzazione ed attività, gettando così la
base per lo scioglimento di tutti
i Partiti politici diversi da quello fascista, avvenuta un anno
dopo, e la legge 21 gennaio
1926 contro gli esuli politici
(perdita della cittadinanza e
confisca dei beni) che sarà poi
ripetuta in altri provvedimenti nello stesso anno. Pena di
morte per i delitti politici più
importanti e pene altissime per
gli altri, devoluzione della
competenza per tutti questi reati ad un apposito “Tribunale
Speciale”, sottraendola così sia
alla magistratura ordinaria che
a quella militare, e confino politico fino a un massimo di cinque anni, rinnovabile allo scadere degli stessi, divennero –
insieme alla legislazione contro
“i fuoriusciti” politici – i pilastri sui quali si assise, per 17
anni, l’ordinamento repressivo
del fascismo contro i propri avversari.
L’introduzione della pena
di morte (che il codice penale
del 1930 estenderà ad una serie di reati comuni) fu una delle più gravi lesioni subite dal
sistema in vigore nel nostro Paese. In Italia la situazione era,
su questo tema, profondamente diversa da quella presente
negli altri Stati europei, che addivennero alla soppressione
della pena di morte soltanto
dopo la seconda guerra mondiale. In Italia la pena di morte
era stata eliminata dal codice
penale Zanardelli del 1889,
quando nell’ex Granducato di
Toscana detta pena era già
scomparsa sin dal 1859 e il dibattito su di essa era stato uno
dei motivi per cui il primo codice penale unitario si era avuto soltanto trent’anni dopo la
formazione del Regno d’Italia.
Il ripudio della pena capitale
era dunque un segno specifico
della cultura e delle tradizioni
giuridiche italiane, raggiunto
dopo lunga meditazione e con
il coinvolgimento popolare. Il
ritorno dei plotoni di esecuzione fu un autentico trauma, nella coscienza colta come in quella della maggioranza del popolo.
Non meno grave la creazione del “Tribunale Speciale”,
contenuta nell’art. 7 della stessa legge n. 2008, che nei primi
sei articoli aveva introdotto –
come testé ricordato – la pena
di morte, nonché altre gravi innovazioni di natura penale,
quali la punizione del “concerto criminoso” non seguito né
dalla commissione del delitto
concertato, né da atti diretti all’esecuzione dello stesso.
Il Tribunale Speciale si distinse: a) per la sua incostituzionalità, b) per la tipica assenza di imparzialità (carattere essenziale della giurisdizione), c)
per l’inesistenza di mezzi di
impugnazione delle sue sentenze. Lo Statuto Albertino del
1848, divenuto con l’unificazione la Costituzione italiana, stabiliva, nell’art. 71, che “Niuno
può essere distolto dai suoi giudici naturali” ed aggiungeva:
“Non potranno perciò essere creati tribunali o commissioni straordinarie”. Ora il Tribunale Speciale, ancorché così chiamato,
era un tribunale straordinario
perché la sua durata fu originariamente fissata in cinque
anni, e così avvenne, poi con i
rinnovi nel 1931, nel 1936 e nel
1941 quando la sua esistenza fu
sancita senza fine e la sua competenza venne estesa a reati
economici del tempo di guerra. Comunque gli imputati
vennero distolti dal loro “giudice naturale” e per giunta lo
furono anche coloro i cui processi erano già in corso (presso
la magistratura ordinaria o
presso quella militare) al momento dell’entrata in funzione
del Tribunale Speciale.
Circa la conclamata mancanza di imparzialità, essa era
certificata dalla composizione
stessa del Tribunale, salvi i primi mesi, in cui ne furono presidenti generali dell’esercito.
Presidente fu sempre un generale della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (MVSN),
prima Cristini e poi Tringali
Casanova. I giudici dovevano
essere tutti o consoli generali o
consoli della Milizia. Nelle
“commissioni istruttorie” potevano essere anche “seniori”.
Dunque gli organi giudicanti
erano tutti dignitari di quello
“Stato” che si voleva difendere. A giudicare gli imputati di
antifascismo dovevano essere
necessariamente gli ufficiali fascisti e soltanto loro. In sede di
discussione della legge in Senato, Mussolini aveva testualmente detto: “Il Tribunale sarà
composto di persone scelte da me
e assolutamente per ogni verso insospettabili”. Voleva dire che si
sarebbe trattato di giudici indipendenti o non piuttosto dei
giudici sicuramente e intransigentemente fascisti?
Quanto infine alla sancita
esclusione di ogni mezzo di
impugnazione avverso le sentenze del Tribunale Speciale,
questo non è altro che uno dei
segni più tipici dei regimi totalitari.
Per il restante, il Tribunale
era superallineato ai tempi nelle istruttorie, l’attività del difensore era quasi insignificante e quando nelle istruttorie dominava il sistema inquisitorio,
che per il Tribunale Speciale
consisteva esclusivamente o
quasi – come ricorda Ernesto
Rossi nella sue memorie – nel
tentativo di scavare attraverso
interrogatori nella personalità
degli indagati, nei loro orientamenti, nelle notizie che potessero dare sul loro ambiente
familiare e sociale.
La legge n. 2008 del 1926
passò per il Parlamento italiano, ridotto a una larva o un bivacco, in circostanze veramente “speciali”, delle quali non si
ricorda l’eguale nella storia
d’Italia. La seduta della Camera dei Deputati cominciò con la
dichiarazione di decadenza
pronunciata nei confronti di
quasi tutti i deputati dell’opposizione al Partito ormai dominante. Furono dichiarati decaduti tutti i 123 deputati cosiddetti “aventiniani” che dopo il
delitto Matteotti (10 giugno
1924) si erano allontanati dalle
attività della Camera e anche,
senza motivazione, furono dichiarati decaduti i deputati comunisti, che erano, salvo errore, una trentina.
Come oppositori ne rimanevano meno di venti e i presenti, in numero di dodici, votarono contro la legge. È giusto ricordarne i nomi: Pivano,
Poggi, Scotti, Viola (medaglia
d’oro della prima guerra mondiale), Fazio, Gasparotto, Lusotto, Lanza di Trabìa, Pasqualino Vassallo, Bavaro e Soleri.
Gasparotto, dopo l’approvazione della legge, si dimise da
vicepresidente della Camera. Il
deputato Scotti, del Partito dei
contadini, accusato dai fascisti
di avere in un primo momento
dato la disponibilità di votare
a favore della legge, fu respinto a calci e pugni fuori dal palazzo di Montecitorio, dopo essere stato picchiato ed insultato in aula. Gli “aventiniani”
Costantino Lazzari del Partito
socialista massimalista ed
Alessandro Bocconi del Partito socialista unitario, sorpresi
mentre cercavano di assistere
alla seduta dalle tribune, furono riconosciuti, selvaggiamente percossi e gettati anch’essi
fuori dal palazzo.
Il relatore sulla proposta di
legge, Angelo Manaresi, in un
discorso di inconcepibile violenza per sostenere il ricorso
alla pena capitale, esortò al linciaggio, additando come esempio lo scempio che nella folla
di Bologna il 31 ottobre precedente era stato fatto dal giovanissimo Anteo Zamboni, additato – non si è mai saputo con
quali prove – di avere lanciato
una bomba in direzione del
duce.
Al Senato del Regno la seduta fu meno tempestosa e taluni senatori ebbero il coraggio
e il tempo per parlare contro la
legge già passata alla Camera.
Furono Wollemborg, Campello, Tamassia e Francesco Ruffini, insigni studiosi di storia
del diritto, e soprattutto il liberale Alessandro Stoppato, professore di diritto penale e grande avvocato, che a Padova era
stato il professore di Giacomo
Matteotti, laureatosi con lui
sulla recidiva e da lui incoraggiato a darsi alla carriera universitaria.
Il 25 novembre 1926 segnò
il doloroso tramonto di un’era
di libertà.
Le sentenze di condanna
pronunciate dal Tribunale Speciale tra il 1927 e il luglio 1943
furono 978, per un totale di
4596 condannati. I confinati
politici furono molte migliaia.
Le condanne a morte furono in tutto 31. La prima a Lucca, contro il giovane comunista
lucchese Michele Della Maggiora, nel 1928. Pare sia stata
imposta da Mussolini per dare
un esempio. Il difensore d’ufficio del Della Maggiora, avvocato Aristide Manassero di
Roma, fu aggredito dai fascisti
e malmenato. Tornato a Roma
si presentò al presidente Cristini (che proveniva dal ceto degli avvocati) e gli disse: “Presidente, io faccio l’avvocato e non
l’impresario di pompe funebri.
Un’altra volta, quando si tratterà
di persona cui sapete che sarà condannata a morte, evitate di nominarmi avvocato d’ufficio”.
Tra i condannati a morte di
quei primi 17 anni vi furono 3
degli attentatori a Mussolini:
Bovone e Sbardellotto, condannati in processi diversi ma fucilati lo stesso giorno, e Michele Schirru, condannato a morte, come scrisse in un trafiletto
“L’Osservatore Romano”, per
avere “avuto l’intenzione di uccidere il capo del governo”… Il
Capo senussita Omar el
Mukhtar subì l’impiccagione in
Cirenaica a seguito di sentenza del “Tribunale di guerra”
della Libia. Furono condannati a morte anche imputati sloveni, tra i quali Vladimiro Gortan.
Più tragico il quadro dopo
il settembre 1943, quando il Tribunale Speciale, soppresso dai
primi provvedimenti legislativi del Governo Badoglio, fu ricostituito dalla Repubblica Sociale. Esso non era più solo perché v’erano anche tanti altri
Tribunali politici: tribunali militari, tribunali di guerra della
“Guardia Nazionale Repubblicana”, tribunali di corpi antiguerriglia, tribunali della Decima MAS e di altre formazioni,
tribunali provinciali per condannare i “traditori” dei 45
giorni badogliani, cioè gli exiscritti al Partito Nazionale Fascista. Vi fu anche il “Tribunale Provinciale Straordinario”
creato in Verona, che condannò a morte (11 gennaio 1944) i
gerarchi del Gran Consiglio del
Fascismo colpevoli di aver votato l’ordine del giorno Grandi
il 24 luglio 1943.
Fu invece il nuovo – e doppiamente illegittimo – Tribunale Speciale per la difesa dello
Stato a condannare a morte in
Torino il 3 aprile 1944 il generale Giuseppe Perotti e il Comitato Militare Piemontese del
CLN; così come fu lo stesso Tribunale Speciale a condannare
a morte a Parma, l’ammiraglio
Inigo Campioni, governatore
del Dodecaneso, e l’ammiraglio
Luigi Mascherpa, comandante
della base navale di Lero, per
alto tradimento per aver ordinato alle truppe da loro dipendenti di sospendere l’ostilità
contro gli anglo-americani in
ottemperanza ai precisi ordini
dell’unico governo legittimo di
quell’epoca e del Comando Supremo italiano. Quella condanna rimane sotto ogni aspetto,
giuridico come morale, una
delle pagine più vergognose
della Storia di tutti i Paesi e di
tutti i tempi, e certamente della Storia d’Italia.
Giuliano Vassalli
Presidente emerito
della Corte Costituzionale
Nell’Iran il regime ultraconservatore del presidente Ahmadinejad
ha promosso un Convegno all’Università di Teheran per “ridiscutere
senza preconcetti l’esistenza dell’Olocausto”. Alla presenza di 67
sedicenti esperti, fra cui l’italiano
Leonardo Clerici convertito all’Islam (nipote del fondatore del
Futurismo, Marinetti), provenienti
da 23 Paesi, Ahmadinejad ha affermato: “L’Olocausto è una leggenda storiografica, un’invenzione
per giustificare la formazione dello Stato d’Israele... Questo scomparirà presto. La parabola del regime sionista è in fase discendente...”.
Quindi alla tribuna si sono alternati vari oratori. Secondo lo storico negazionista francese Robert
Faurisson, i campi di sterminio
sono un’invenzione degli americani, le camere a gas non sono mai
esistite: “Anche Primo Levi, che
era un chimico ha detto di non credere a questa diceria”. Tale menzogna è stata subito smentita da
Marcello Pezzetti del Centro di documentazione ebraica di Milano:
“Levi era prigioniero a Monowitz,
terzo campo di Auschwitz, un campo di lavoro dove non c’erano camere a gas. Tutti gli impianti di
sterminio erano a Birkenau”. Comunque Primo Levi, scrive delle
camere a gas in due suoi libri:
“Sommersi e salvati” e “Se questo
è un uomo”. “A Monowitz avvenivano le selezioni degli ebrei che
venivano poi internati a Birkenau
per essere uccisi nelle camere a
gas”.
Un certo Ugo Fabbri, triestino
di 66 anni, ha inviato alla conferenza di Ahmadinejad una relazione nella quale afferma che la Risiera di San Sabba non è mai stata un campo di sterminio. Anche
per questa falsità è intervenuta la
Comunità ebraica di Trieste, ricordando le vittime perite nella risiera ad opera di nazifascisti.
Altri intervenuti al Convegno –
formalmente organizzato dall’Istituto per gli Affari Politici e Internazionali del Ministero degli Esteri –
sono stati lo storico americano David Duke, ex-deputato repubblicano della Louisiana e leader del KuKlux-Klan, alcuni membri del gruppo “Ebrei uniti contro il sionismo”
vestiti nel tradizionale abito lungo
nero degli ebrei ortodossi, che riconoscono l’Olocausto ma sono
contrari per motivi religiosi allo Stato d’Israele. Fra essi il rabbino britannico Ahron Cohen che ha asserito: “Sicuramente diciamo che
l’Olocausto c’è stato, ma in nessun modo può essere utilizzato
come giustificatore per perpetrare
atti ingiusti contro i palestinesi”.
Il presidente iraniano, mentre
saliva sul podio è stato contestato
da ragazzi e ragazze che si sono
messi a fischiare e a urlare “morte
al dittatore”. Per quanto non abituato a contestazioni in pubblico –
forse è la prima volta che le affronta – Ahmadinejad ha replicato: “Mi
insultate, ma vi risponderò con calma”. Ha spiegato ai ragazzi che li
amava, nonostante fossero “svergognati” sul libro paga degli USA.
E mentre alcuni studenti bruciavano ritratti del presidente proprio
sotto il suo naso, ha parlato di sè
in terza persona: “E’ un onore bruciare per gli ideali della nazione,
gli americani devono sapere che
se anche il corpo di Ahmadinejad
fosse bruciato mille volte, non indietreggerà di un centimetro”. Il
pubblico ha urlato “menzogna” e il
leader iraniano ha aggiunto: “Il
vero dittatore sono gli USA, Ahmadinejad è e rimarrà solo uno studente”.
Ma dopo 17 mesi di regime,
che ha fatto tacere le voci di dissenso, la rabbia studentesca sembra tornare. Nei giorni precedenti
tale contestazione si sono avute
proteste contro la repressione di
docenti indipendenti, contro il peggiorare della situazione economica e anche contro il “degrado dell’immagine internazionale del Paese”, dovuto al braccio di ferro sul
nucleare e sull’antisemitismo di
Ahmadinejad.
Nella contestazione degli studenti del Politecnico (il 70% studentesse) si identifica l’anima inquieta dell’Iran. Sono stati gli studenti ad accendere la miccia della
Rivoluzione contro lo Scià, che pur
aveva fondato l’Università di Teheran nel 1934 e permesso l’ammissione ai corsi nelle stesse aule, di
maschi e femmine, nonostante
l’opposizione del clero Sciita. Pre-
LO SCANDALO DI RIETI
REVOCATA LA DELIBERA SU VIA PAVOLINI
Disegno di Scalarini sull'Avanti!
Nel corso di un Consiglio comunale a Rieti è stato approvato
con i voti favorevoli dell’Unione,
del PRI e l’astensione di Forza Italia, UDC, Nuova DC e il voto contrario di AN un ordine del giorno
che impone alla Giunta municipale di ritirare la delibera del 3 agosto con la quale si voleva intitolare una Via sul Monte Termillino
al gerarca fascista e fondatore
delle Brigate Nere Alessandro
Pavolini.
Grande vittoria dell’Unione e
delle forze democratiche ed antifasciste che hanno così bloccato
l’ennesimo tentativo revisionista e
mistificatore della Storia che la
Giunta di centro destra voleva
portare avanti.
Tutti i consiglieri dell’Unione
sono intervenuti in maniera appassionata per difendere la matrice e
la tradizione popolare, socialista,
democratica ed antifascista della
Città di Rieti, che la Giunta Emili
voleva violentare con un provvedimento vergognoso e intollerabile. La democrazia italiana è nata
dalla Resistenza e dalla lotta antifascista ed è intollerabile che ci
sia ancora qualcuno che lo voglia
mettere in discussione.
I Gruppi Consiliari dell’Unione
so il potere nel 1979, l’ayatollah
Khomeini impose invece la segregazione dei sessi, licenziò i professori contrari al governo clericale e
chiuse poi le Università.
Le attuali proteste non saranno sufficienti a far crollare il regime, anche perchè gli studenti non
hanno un leader: i loro capi sono
stati uccisi o arrestati durante le dimostrazioni del 1999, quando le
milizie entrarono in un dormitorio
dell’Università e colpirono gli studenti. Purtroppo l’ex-presidente
Khatami, che si atteggiava a riformatore, li ha abbandonati e si è appartato.
Tuttavia i giovani dissidenti
esprimono lo scontento degli iraniani nei confronti della dittatura,
sempre più isolata politicamente
sulla scena internazionale anche
per i suoi programmi nucleari e
missilistici, minacciati da sanzioni
dell’ONU. Il presidente iraniano è
un estremista fanatico: vuole crearsi un’immagine nel mondo islamico perchè l’Iran non è un Paese
arabo, né sunnita. Attaccando Israele pensa di ottenere le simpatie
degli arabi e dei sunniti, uscendo
così dal ghetto in cui lo relega il
fatto di appartenere all’ala sciita,
minoritaria all’interno dell’Islam.
Comunque, la conferenza sull’Olocausto con il suo assurdo negazionismo, ha suscitato la reazione dell’Occidente: “E’ un evento inquietante – ha detto il premier israeliano Olmert – che dimostra la
profondità dell’odio e del fondamentalismo radicale del governo
iraniano. Le dichiarazioni contraddicono i fatti storici, riconosciuti
dalla comunità internazionale. Negando la Shoah – la più estrema
forma di genocidio mai avvenuta
– Ahmadinejad ha sfidato la nozione di diritti umani universali, sviluppata dalla comunità internazionale dopo e a causa dell’Olocausto”.
Il Vaticano si è schierato senza esitazioni contro la conferenza:
“La Shoah è stata un’immane tragedia, dinanzi alla quale non si può
restare indifferenti. Il ricordo di quei
terribili fatti deve rimanere un monito per le coscienze, al fine di eliminare i conflitti”.
La ferma posizione della S.
Sede ha trovato ampi consensi nel
Governo italiano, francese, americano e inglese. “Incredibilmente
scioccante” ha definito la conferenza il premier inglese Tony Blair,
che ha allargato il discorso al fatto
che l’Iran rappresenta una “significativa minaccia strategica” per
tutto il Medio Oriente. Il pensiero
di Blair corre alle ribollenti crisi in
Iraq, in Libano, nei Territori palestinesi.
Alle inquietudini di Londra ha
fatto eco il vice premier e ministro
degli Esteri Massimo D’Alema, che
ha definito la conferenza sull’Olocausto organizzata a Teheran
“una cosa inqualificabile”.
Il cancelliere tedesco Angela
Merkel, ha espresso un duro giudizio nel corso di una conferenza
stampa congiunta a Berlino con il
primo ministro israeliano: “Non accetteremo mai cose simili. Respingiamo con la più grande fermezza
iniziative del genere. La Germania
non accetterà mai questo tipo di
avvenimenti”.
Anche Parigi si è indignata per
“la rinascita delle tesi negazioniste o revisioniste” mentre il Dipartimento di Stato USA ha parlato di
“gesto vergognoso e stupefacente” e l’Unione Europea ha espresso “profonda preoccupazione”.
Prese di posizione che si sommano ai timori di instabilità del
mondo: “Il terrorismo è la quarta
guerra mondiale”, ha ricordato il
cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, durante la
conferenza stampa in Vaticano per
la presentazione del Messaggero
per la Pace firmato da Ratzinger.
Infine una tegola su Teheran:
la Corte europea di giustizia ha
emesso una sentenza secondo cui
è illegale la decisione del Consiglio dell’UE di inserire i Mujahdin
del Popolo iraniani nella “lista
nera” delle organizzazioni terroristiche. La signora Maryam Rajavi, presidente del Consiglio della
Resistenza dell’Iran, ha detto che
ora i mujahdin potranno ottenere
il diritto di asilo e non essere più
sottoposti alle restrizioni conseguenti all’inserimento nella “lista
nera”.
Gli abbonati che si trasferiscono sono pregati di comunicare tempestivamente il loro nuovo indirizzo all’Amministrazione del nostro
giornale per evitare disguidi postali.
“La mia storia - aveva scritto
Piergiorgio Welby - è simile a
quella di tanti altri distrofici.
Ricordare come tutto sia iniziato non è facile. Forse fu una
caduta immotivata o il bicchiere,
troppo spesso sfuggito di mano,
ecc. ma quello che nessun distrofico può scordare è il giorno in
cui il medico, dopo la biopsia
muscolare e l’elettromiografia, ti
comunica la diagnosi: Distrofia
Muscolare Progressiva”. Ha 18
anni Welby, quando nel 1963 i
medici gli accertano questa malattia genetica. Sembra abbia ancora pochi anni di vita. Ma le cose
vanno diversamente. Così il ragazzo continua a vivere e a soffrire. Dalle difficoltà di presa,
fino all’irrigidimento delle gambe. Ormai Welby non si fa più
nessuna illusione. Comincia ad
attendere la crisi respiratoria che
lo soffocherà. E ai familiari dichiara di non voler essere intubato. Ma quando Mina, sua moglie, vede che al marito manca il
respiro, lo porta in ospedale. Così
Piergiorgio si trova attaccato ad
un respiratore artificiale.
Paralizzato, con la vita appesa a quel tubo che lo tortura, comunica attraverso il computer il
suo dolore al mondo. Scrive anche un libro “Lasciatemi morire”,
dove la sua drammatica vicenda
fa riflettere sul senso della vita e
della morte. Al di là di anestetizzanti proiezioni, siano quelle del
regno dei cieli o quelle dell’edonismo rampante, Welby recupera la dimensione umana del tragico: “Forse la ‘colpa’ è del cristianesimo che, sottraendo la
morte all’irreparabile dell’individualità che non torna per ridurla
a peccato-morte-resurrezione, ha
liquidato definitivamente il tragico. Oppure è il riflesso pavloviano di chi non vuole ammettere
che l’eutanasia non è ‘una battaglia ideologica dei sani’”, ma una
possibilità di cui gli uomini, o
meglio “i mortali” (nel senso greco del termine) non possono fare
a meno perché, come scrive Euripide nelle “Troiane”: “Il non
nascere è uguale al morire, ma è
meglio morire che vivere nel dolore”.
Un lucido, tragico grido scuote le coscienze e richiama lo Stato al suo ruolo di civile legislatore: “in Italia, ci si ostina a non
voler dare una risposta a questa
domanda : “C’è un diritto alla
morte così come c’è un diritto alla
vita?”. (...) “La morte, o meglio,
la volontà di affrontare i problemi che accompagnano la fine della vita, è la grande assente dalle
nostre coscienze” (…) “Ci vorrebbero silenziosi, ci vorrebbero
costringere in un ruolo che non
ci appartiene, ma noi ci faremo
sentire, parleremo con le impersonali voci sintetiche offerteci
dalla tecnologia, chiederemo,
chiederemo, chiederemo… fino a
quando, se non l’assordante silenzio di Dio, cesserà almeno l’ingiustificabile silenzio dell’Uomo.
Com’è difficile vivere e morire in
un Paese dove il Governo fa i mi-
FEDELTA' A
RITA COMOGLIO
Ancora attiva, nonostante i
suoi 94 anni, nel direttivo dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti (ANPPIA), Rita Comoglio,
nata e residente a Torino, ha
una lunga militanza nelle file del
P.C.I. Suo marito, Ermes Bazzanini, durante la Resistenza
era stato commissario politico
della XI Divisione “Garibaldi” nel
Cuneese.
A distanza di tanti anni e di
tanti eventi, Rita Comoglio affronta con la serenità e con la
saggezza che le sono abituali,
questo periodo storico così intristito da guerre, violenze, riflussi reazionari. Si è abbonata a
L’INCONTRO in anni lontani, riconoscendo in esso un’identità
democratica, fedele all’antifascismo, alla Resistenza, alla difesa dei diritti civili. Condividendo
le battaglie progressiste del nostro giornale ci ha espresso più
volte il suo pensiero sui problemi politici italiani e internazionali
rafforzando, con il suo assenso,
le nostre opinioni.
Ma il suo assenso si è manifestato anche con una partecipazione alla sottoscrizione
permanente “Perché viva L’INCONTRO”. Invece di rinviare ad
un lascito testamentario il suo
aiuto al giornale, ha voluto donarlo ora, consapevole delle difficoltà economiche attuali de
L’INCONTRO. Così Rita, modesta pensionata, ha donato un
generoso contributo al nostro
giornale.
Vogliamo ringraziarla pubblicamente perché tale gesto significa apprezzamento per il
nostro lavoro giornalistico e incitamento a proseguirlo nella
fede di comuni ideali.
ABBONAMENTI PER IL 2007
Con il prossimo numero il nostro mensile
entrerà nel 59° anno di ininterrotta pubblicazione e di fedeltà al suo programma politico-culturale a difesa dei diritti civili, contro ogni discriminazione di razza, religione, ideologia e contro
ogni minaccia autoritaria, per la pace e la collaborazione internazionale.
Purtroppo il servizio di distribuzione postale
fa pervenire le copie del giornale ai destinatari in
ritardo, a danno dell’attualità e dell’informazione. Confidiamo che i lettori comprendano come
i ritardi non dipendono dal giornale, ma dalle
Poste italiane.
Per garantire la vita de L’INCONTRO invitiamo i lettori a spedirci l’abbonamento ordinario
(euro 9) o quello sostenitore (euro 25 o più) o
quello per l’estero (euro 25).
L’invio del giornale sarà sospeso a chi risulta
moroso da oltre un anno.
Agli abbonati chiediamo di rinnovare subito
l’abbonamento (inviandoci anche le quote arretrate), di procurarci nuove adesioni, di mandarci
elenchi di nominativi a cui spediremo copie in
saggio, di partecipare alla sottoscrizione permanente “Perché viva L’INCONTRO”.
A quanti ci invieranno uno o più abbonamenti
per un totale di almeno euro 25, spediremo in
omaggio un libro.
I versamenti possono essere fatti sul conto
corrente postale n. 26188102 intestato a L’INCONTRO, oppure mediante assegni bancari o
vaglia postali.
racoli e la Conferenza episcopale ‘fa’ le leggi”.
Militante radicale e membro
dell’ “Associazione Luca Coscioni”, fin dal 2002 Welby ha dato
il suo volto alla battaglia contro
l’accanimento terapeutico e per
l’eutanasia, affinché ognuno possa essere proprietario di se stesso sempre. Per questo sarà soprattutto ricordato.
I suoi familiari, con l’assistenza di un medico anestesista
di Cremona, il 20 dicembre hanno messo fine alla sua tortura. Il
Vicariato di Roma ha rifiutato i
funerali religiosi, che si tributano anche ai delinquenti e ai mafiosi. La salma di Welby, portata
in spalla da amici e militanti radicali, è stata salutata da un lungo applauso.
Maria Mantello
*
PER GENOCIDIO IN ETIOPIA
CONDANNATO A MORTE
L’EX TIRANNO MENGISTU
L’Alto Tribunale Federale Etiopico ha condannato in contumacia
alla pena di morte Mengistu Hailè
Mariam e undici complici per il reato di genocidio e sequestro di
beni. Nel 1997, quando era militare, detronizzò con un golpe il regime imperiale del Negus e instaurò
una dittatura marxista con il sostegno dell’URSS. Voleva creare una
nuova Etiopia socialista, ma per
raggiungere questo obiettivo represse nel sangue ogni opposizione specialmente nelle regioni più
arretrate e ribelli. Si calcola che per
garantire il suo potere, fece uccidere circa 100 mila persone fra cui
centinaia di ufficiali, dignitari di corte, il patriarca ortodosso.
La caduta dell’URSS lo lasciò
senza alleati e complici. Nel 1991
il suo regime venne rovesciato da
un giovane marxista-leninista Meles Zenawi, poi divenuto alleato degli USA. Mengistu fuggì nello Zimbabwe con moglie e figli, trovando
ospitalità in un Paese governato da
un altro despota, Robert Mungabe, che ha rifiutato di consegnarlo
alla Giustizia etiopica. Finalmente
a distanza di anni, è stato riconosciuto colpevole. Nel 2007 nella
piazza Meskal di Addis Abeba si
celebrerà il millenario dell’Etiopia
restituita alle sue tradizioni.
Periscopio
SENATORI A VITA
Da qualche tempo politici e
giornali del Centro-Destra contestano il diritto di voto ai senatori a vita.
Evidentemente questa avversione
dipende dall’esigua maggioranza
(2–3 voti) su cui può contare il Governo di Centro-Sinistra a Palazzo
Madama. Senza la partecipazione
dei senatori a vita (Andreotti, Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Levi-Montalcini, Pinin-Farina) una legge potrebbe essere respinta e il Governo messo in minoranza.
La polemica degli oppositori si
basa sul concetto che i senatori
vengono nominati dal Capo dello
Stato e non scelti dagli elettori e che
l’art. 58 della Costituzione afferma
“i senatori sono eletti a suffragio
universale e diretto”.
Si tratta di una polemica infondata, mai aperta in quasi 60 anni
di regime democratico. Infatti la Costituzione della Repubblica prevede (art. 59) la nomina a “senatore
di diritto a vita di chi è stato Presidente della Repubblica” e la nomina a “senatore di diritto a vita di 5
cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo
sociale, scientifico, artistico e letterario”. Il Presidente della Repubblica pertanto con la nomina dei 5
senatori a vita (attualmente sono
solo 2) esercita un potere conferitogli dalla Costituzione.
Se è legittima la presenza dei
senatori a vita è logico che essi
debbono svolgere la funzione per
cui cono stati nominati e vengono
retribuiti come gli altri senatori.
Quale può essere la loro funzione,
non meramente decorativa per autorevolezza e longevità, se non
quella di esercitare il diritto-dovere
di voto?
ANNO LVIII - N. 10 - DICEMBRE 2006
2
NELLA GIORNATA MONDIALE DEI DIRITTI Periscopio RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
UMANI MORTO L'EX DITTATORE PINOCHET MAXI-STIPENDI Resistenza
Proprio nella Giornata mondiale dei diritti umani è morto a
Santiago, all’età di 91 anni, Augusto Pinochet, negatore di tali
diritti.
La sua ascesa nelle Forze Armate del Cile avvenne in concomitanza dell’Operazione Condor
organizzata dal governo americano al tempo di Nixon e Kissinger, tramite la CIA. Il capo dei
Servizi Segreti cileni, Manuel
Contreras, lavorava con elementi sovversivi di Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay
per impedire l’avvento di governi progressisti.
Quando nel 1970 vinse le elezioni l’Unidad Popular e capo del
governo divenuto il socialista Salvador Allende, con il programma
di avviare il Paese verso una società socialista democratica, gli
USA prepararono il golpe con
l’accordo della Democrazia Cristiana, il Partito Nazionale e settori delle Forze Armate.
Il 23 agosto 1973 Allende
ebbe l’ingenuità di nominare il
gen. Pinochet capo dell’esercito,
su raccomandazione del suo predecessore, gen. Carlos Prats (poi
assassinato a Buenos Aires dai
seguaci di Pinochet). Prestò giuramento di fedeltà, ma venti giorni dopo, l’11 settembre guidò il
golpe per rovesciare Allende. Lo
sciopero nazionale dei conduttori dei mezzi di trasporto, organizzato dalla CIA, aveva paralizzato il Paese. Sull’onda del disagio
e delle proteste, fu più agevole
l’insurrezione.
chet ricevette due affettuosi messaggi di auguri da parte di Giovanni Paolo II e dal Segretario
di Stato Vaticano, Sodano, contenenti la “benedizione apostolica speciale” e il ricordo dell’incontro personale durante la visita pastorale in Cile, confermando all’ex-dittatore “l’espressione
della mia più alta e distinta considerazione pastorale”.
La coppia Wojtyla-Sodano
non abbandonò Pinochet quando venne arrestato a Londra: fecero pressioni sulla Camera dei
Lords affinché non venisse concessa la sua estradizione in Spagna, richiesta dal giudice Garzon.
Nel febbraio 2000 durante la visita papale in Cile, rassicurarono il nuovo presidente cileno
Eduardo Frei che il Vaticano si
sarebbe impegnato a fondo per
la liberazione di Pinochet. Infine, criticando il governo costituitosi Parte Civile nel processo
contro Pinochet, i vescovi fecero un appello pubblico alla “conciliazione e al perdono”.
Nonostante il sostegno degli
USA e la protezione della Chiesa, Pinochet è stato abbandonato dalla maggior parte dei suoi fedeli e ripudiato dalla coscienza
democratica dell’Umanità, come
si è visto ai suoi funerali. L’exdittatore ha scritto la pagina peggiore della Storia del Cile, ha
macchiato le mani sue e delle
Forze Armate con il sangue di
migliaia di compatrioti. Ha distrutto l’esistenza di generazioni di cileni, diviso il Paese per
chissà quanti anni, ridotto la popolazione – durante la dittatura
– ai più bassi livelli di sviluppo e
più alti livelli di povertà, disoccupazione e corruzione. Il Cile è
tornato a modernizzarsi soltanto dopo la fine della dittatura: nel
1990 il 40% della popolazione
era povera, oggi lo è al 18%; l’inflazione era vicina al 22 percento, oggi è intorno al 2%. La stabilità economica è stata raggiunta con la democrazia, che a sua
volta ha svolto un benefico effetto nell’America Latina. Infatti gli
sviluppi giudiziari a carico di Pinochet hanno spinto le vittime di
abusi e violenze a pretendere giustizia. Così l’anno scorso la Corte Suprema argentina ha annullato le leggi che garantivano l’immunità agli ex-ufficiali – ora sotto processo – per i crimini commessi durante la dittatura 19761983.
Un Movimento internazionale, stimolato dagli eccidi in Bosnia e Ruanda, ha portato all’istituzione da parte dell’ONU della
Corte Penale Internazionale per
perseguire il genocidio, i crimini
contro l’Umanità e i crimini di
guerra.
Si è dunque fatta molta strada dai giorni in cui i potenti potevano agire, in America, in Africa, in Asia come volevano sapendo di non dover rispondere dei
loro atti.
Il caso di Pinochet è dunque
un precedente di cui non si potrà
non tenere conto.
Alfredo Ventura
IL PAPA CONTRO GLI ABUSI
SESSUALI SU MINORI
DA PARTE DEL SACERDOTE
Il palazzo presidenziale della Moneda a Santiago fu bombardato da cielo e da terra. Allende,
piuttosto di finire nelle mani dei
golpisti, si suicidò.
Subito ebbe inizio la repressione. Pinochet, nominato Presidente della Repubblica, chiuse
il Parlamento e i mezzi di comunicazione vicini ideologicamente ad Allende. Mise fuorilegge i
Partiti politici e le organizzazioni sindacali. Trasformò lo stadio
nazionale in un campo di concentramento per i prigionieri politici, migliaia dei quali mai più ritrovati. Il suo regime fu condannato 16 volte dall’ONU per violazione dei diritti umani.
Nel corso degli anni il regime si rese responsabile di atrocità orrende: prigionieri gettati
vivi nell’Oceano da aerei militari (come in Argentina), 3197 vittime tra morti accertati e “desaparecidos”, 28 mila torturati (fra
cui l’attuale presidente del Cile
Michelle Bachelet, il cui padre
era stato assassinato dai militari). Nel clima di terrore quasi un
milione di cittadini scelsero l’esilio per evitare le persecuzioni da
parte della DINA, la polizia segreta del colonnello Contreras.
Dei personaggi riparati all’estero, alcuni furono assassinati
da sicari del regime, come Orlando Latelier, ex-ministro della
Difesa del governo Allende, per
le strade di Washington.
Pinochet, rieletto presidente
nel 1981 guidò il Paese per 17
anni, grazie al sostegno degli
USA, del mondo economico-finanziario fautore di un programma neoliberista di privatizzazione degli Enti pubblici, e di settori della Chiesa cattolica.
Finalmente, nel 1988 un referendum sul rinnovo del mandato presidenziale a Pinochet – da
lui stesso sollecitato nella convinzione del consenso popolare – gli
fu sfavorevole. Il Paese potè riaffacciarsi alla democrazia. Fu eletto presidente Patricio Aylwin.
Ma lui rimase comandante in
capo dell’esercito per altri 8 anni,
nonostante le accuse di omicidio,
tortura, sequestro di persona,
appropriazione indebita, evasione fiscale, corruzione amministrativa.
Durante i tre lustri dell’interminabile transizione politica,
solo 46 persone vennero condannate per violazione dei diritti
umani, ma 24 di esse sono già state scarcerate avendo subito pene
lievi.
La sorte di Pinochet mutò
improvvisamente nel 1998 allorché, recatosi in una clinica di
Londra per un intervento chirurgico, venne arrestato su richiesta
del giudice spagnolo Baltasar
Garzon per i crimini commessi a
danno di cittadini spagnoli in
Cile. Nella capitale britannica
trascorse 500 giorni agli arresti
domiciliari e poi potè rientrare
in patria, per ragioni di salute.
Qui venne incriminato per diverse gravi accuse, cosicché dovette
rinunciare alla carica di senatore
a vita. Nel 2004 la Corte Suprema del Cile gli revocò l’immunità di cui godeva in quanto ex-presidente. Venne imputato in 9
processi, bloccati dal riconosciuto stato di semi-nfermità mentale. Venne accertato da un Comitato investigativo del Senato
USA che Pinochet aveva depositato alla Riggs Bank in conti segreti 28 milioni di dollari, creando società off-shore attraverso
cui riciclava il denaro ottenuto illecitamente.
Il 18 febbraio 1993, giorno
delle sue “nozze d’oro”, Pino-
Ricevendo in Vaticano
una delegazione di vescovi
dell’Irlanda (ove la piaga della pedofilia tra i sacerdoti ha
avuto una forte risonanza)
Benedetto XVI ha letto un
messaggio severo, rivolto
però alla Chiesa universale
colpita anche in altri Paesi,
compresa l’Italia, da episodi
di violenza sessuale su minori da parte di membri della Chiesa.
Il Papa ha detto: “Gli abusi sessuali su minori sono
ancora più tragici quando ad
abusare è un uomo di Chiesa. Le ferite causate da tali
atti agiscono in profondità ed
è un’operazione urgente ricostruire la fiducia e la sicurezza là dove esse sono state
compromesse. Di fronte a simili eventi occorre stabilire la
verità di quanto è accaduto
adottando qualsiasi misura
necessaria a prevenire la
possibilità che i fatti si ripetano, garantire che i principii di giustizia siano pienamente rispettati e soprattutto portare sostegno alle vittime e a tutti quanti siano colpiti da questi enormi crimini”.
Nello scorso settembre
un reportage della BBC (la
Radio-TV inglese) aveva accusato Ratzinger – non ancora papa – di aver condotto una campagna sistematica per coprire abusi sessuali su minori commessi
dai preti. “Crimini sessuali e
il Vaticano” s’intitolava l’inchiesta che riferiva una
“Istruzione” denominata
“Crimen Sollicitationis” emanata nel 1962 dal Sant’Uffizio (in allora presieduto da
Ratzinger), documento segreto che forniva indicazioni sull’atteggiamento prudente da tenersi di fronte ad
atti impuri commessi da
membri del clero su minori
di 18 anni.
Si raccomandava ai vescovi, piuttosto che di denunciare immediatamente i
casi di cui fossero venuti a
conoscenza alle autorità giudiziarie competenti, di tenere tutto sotto traccia, cercando di invitare le persone
coinvolte (le vittime e i loro
familiari) a non parlarne.
Inoltre, quando lo scandalo
dilagò negli USA e l’episcopato americano chiese l’allontanamento immediato di
tutti i sacerdoti accusati di
aver abusato di bambini,
l’allora cardinale Ratzinger
avrebbe indotto Giovanni
Paolo II a non applicare la
“tolleranza zero”.
Quanto alla situazione in
Irlanda, un’inchiesta del
2002 rivelò che su 4 adulti
uno è stato abusato sessualmente da bambino, nella
maggioranza all’interno della famiglia o nella frequentazione di chiese e seminari. I vescovi erano informati
ma si limitavano a trasferire i corruttori in altra parrocchia. Infine, per fronteggiare le conseguenze economiche di tali illeciti e i processi civili, l’arcivescovo di
Dublino, mons. Kevin Mc Namara contrasse un’assicurazione per tutelare la sua diocesi dal rischio di risarcimento danni. Tutti i vescovi hanno seguito il suo esempio prima che lo scandalo esplodesse.
A STATALI
L’Associazione Consumatori
“CODACONS” e il settimanale della RAI-TV “REPORT” hanno pubblicamente denunciato lo scandalo di maxi-stipendi, emolumenti e
liquidazioni percepiti dai grandi manager dello Stato. Pertanto la Procura della Repubblica di Roma ha
aperto un’inchiesta affidando ai Carabinieri del Nucleo Operativo e
agli agenti del Nucleo Speciale
della Guardia di Finanza di visitare gli uffici di ALITALIA, ENEL, ENI,
POSTE, ANAS, SVILUPPO ITALIA, RAI-TV acquisendo tutta la documentazione relativa alle somme
percepite dai manager, ai contratti, alle delibere dei Consigli di amministrazione.
Anzitutto è emerso l’eccessivo
numero di consiglieri d’amministrazione dei grandi gruppi pubblici
controllati dallo Stato: 111 consiglieri nella società POSTE, 197
nella RAI-TV, 165 nell’ENEL, 316
nelle FERROVIE. “Stipendi oro” e
super-liquidazioni ai top-manager:
ad esempio 9,5 milioni di euro intascati da Paolo Scaroni nel passaggio dall’ENEL all’ENI; 6,7 milioni percepiti da Giancarlo Cimoli nel
passaggio dalle FERROVIE ad
ALITALIA, ove ora guadagna, nella sua qualità di presidente e direttore generale dell’azienda in stato
di fallimento, ben 2 milioni e 791
mila euro all’anno, cioè sei volte di
più di quanto percepisce l’amministratore delegato di AIR FRANCE
e il triplo rispetto a quello di BRITISH AIRWAYS, due Compagnie
con bilanci in attivo.
A sua volta COMINCIALITALIA.NET
ha denunciato l’ex-presidente delle FERROVIE Elio Catania, che
dopo aver percepito uno stipendio
annuo di 2,5 milioni di euro, ha ottenuto una liquidazione di quasi 7
milioni, sebbene l’azienda chiuda il
bilancio di quest’anno con perdite
vicine ai 2 miliardi di euro.
Quanto all’ex-direttore generale della RAI-TV, Alfredo Meocci,
sembra che fosse incompatibile
nella sua carica per cui il Consiglio
d’Amministrazione che lo aveva
eletto avrebbe commesso il reato
di abuso d’ufficio.
D’altra parte il TAR del Lazio,
il 21 luglio scorso, ha confermato
la sanzione comminata dall’Authority, che aveva condannato la RAITV a pagare una multa di 14,3 milioni di euro e il manager a versarne altri 372 mila.
In seguito a queste vicende, il
Governo è intervenuto inserendo
nella legge Finanziaria un massimo di 500 mila euro (750 mila per
le Società quotate in Borsa) di stipendio annuale al dirigente di
aziende pubbliche. Sembra che
tale tetto venga ridotto a 250 mila
euro.
Qualche deputato ha proposto
“emolumenti legati ai risultati e sanzioni in caso di deficit”. Di fronte a
perplessità di qualche membro del
governo, il ministro Di Pietro ha dichiarato: “Noi siamo contro lo sperpero del pubblico denaro. Sarebbe interessante sapere se anche
gli altri lo sono…”
Il Rapporto “Ferns” rivelò più di 100 casi di pedofilia commessi tra il 1962 e il
2002 da 21 sacerdoti, poi
deceduti o in pensione o sospesi.
Un’altra inchiesta fu
condotta a Dublino, ove nel
marzo 2006 la diocesi ha rivelato che ben 102 dei suoi
sacerdoti erano accusati di
abusi sessuali su minori.
L’inchiesta estesa dal 1940
a oggi aveva preso in esame
2800 sacerdoti, diocesani o
religiosi. Otto preti della capitale sono stati condannati in sede giudiziaria. Dei
105 processi civili intentati
contro la Chiesa, 40 sono
ancora in corso. E intanto il
governo ha deciso di creare
una Commissione per esaminare la situazione a partire dal 1975.
Nel frattempo la credibilità della Chiesa ha avuto un
crollo vertiginoso. In un Paese dove il tasso di pratica
*
religiosa era al 90 per cenSECONDO L’ECONOMIST
to, si è scesi sotto il 70 per
cento, e sotto il 30 per cenL’ITALIA
E’ UNA
to per i giovani. Le vocazioni sono cadute, negli Anni “DEMOCRAZIA DIFETTOSA”
90, in maniera tale da proL’Italia è al 34° posto, nella
vocare la chiusura di sette graduatoria delle “democrazie diseminari in 12 anni.
fettose” e fuori dal gruppo delle
“democrazie piene” nell’annuale
*
“index of democracy” pubblicato
INTITOLARE AL PAPA LA dalla “Economist Intelligence
STAZIONE “TERMINI”? Unit” un centro studi del settimanale economico britannico “The
Dopo un’assemblea delle Associazioni laiche romane, è stato Economist”.
La classifica, stilata in base a
emesso il seguente comunicato.
5 indicatori sui quali si prendono
La decisione presa da Walter voti da 0 a 10 – procedura elettoVeltroni di intitolare a Giovanni Pa- rale e pluralismo, funzionamento
olo II la Stazione “Termini” della del governo, partecipazione policapitale della Repubblica rappre- tica, cultura politica e libertà civisenta l’ennesimo attacco al carat- li – pone il nostro Paese alle spaltere laico delle istituzioni e la nele delle principali democrazie ocgazione del pluralismo culturale,
politico e religioso della società cidentali, ma anche delle Isole
contemporanea italiana. Il Sinda- Mauritius, del Costa Rica, delco di Roma ha perso ogni rispetto l’Uruguay, del Cile e del Sudafriper i cittadini che dissentono dalle ca. Ai vertici si piazzano tre Paesi
opinioni e dalle convinzioni della del Nord Europa (Svezia, Islanda
gerarchia ecclesiastica, venendo e Olanda) mentre le tre peggiori
meno al più elementare concetto risultano la Corea del Nord (ultidi democrazia. La Consulta per la ma), la Repubblica centrafricana
LIBERTA’ DI PENSIERO E LA
e il Ciad.
LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI,
creata dal Comune di Roma, non
è stata nemmeno consultata in materia; anzi, non ha avuto nemmeno una risposta quando ha richiesto al Sindaco, oltre un anno e
mezzo fa, un chiarimento in materia. La formalizzazione del nuovo
nome della Stazione Termini di
Roma è avvenuta il 23 dicembre
scorso, all’insaputa del grande
pubblico, mentre era in corso uno
sciopero dei mezzi di informazione. Ritenendo inaccettabile tale
comportamento da parte del Sindaco Veltroni e considerando assolutamente inutile la nostra posizione di membri della Consulta
PER LA LIBERTA’ DI PENSIERO
E LA LAICITA’ DELLE ISTITUZIONI del Comune di Roma, dichiariamo attraverso il presente comunicato la nostra uscita irrevocabile
dalla Consulta stessa.
Le Associazioni firmatarie:
Associazione Italialaica.it
Associazione Nazionale del
Libero Pensiero “Giordano
Bruno”
Associazione Società
laica e plurale
C.R.I.D.E.S.
EKEDEA
Fondazione Critica liberale
L’Assemblea delle Associazioni laiche romane invita tutti i cittadini a far sentire la propria protesta sui giornali, sul sito del Comune di Roma e al “call center” 060606 contro lo stravolgimento del
nome storico della Stazione di
Roma.
*
DIBATTITO DELLA
“GIORDANO BRUNO”
SULL'EUTANASIA
Su “Eutanasia il problema di
una scelta” la Sezione di Torino
ha organizzato, la sera del 21 dicembre, un interessante dibattito nel salone dell’Istituto Tecnico Industriale “Avogadro”.
Vi hanno preso parte come relatori il presidente di EXIT,
dott. Emilio Coveri, il preside
dell’Istituto Sociale, prof. Antonello Famà e il dott. Jean Jacques Peyronel, evangelico.
Moderatore l’avv. Bruno
Segre.
ABBONATEVI!
L’abbonamento a
L’INCONTRO è una
scelta di libertà, di
progresso sociale, di
laicismo. Aiutando il
giornale, ne favorite le
sue battaglie di idee e
testimoniate il Vostro
favore ai valori della
democrazia, alla difesa dei diritti civili.
Rosario Bentivegna: “Via Rasella, la Storia mistificata” carteggio con Bruno Vespa, introduzione di Sergio Luzzatto, edit. Manifestolibri, Roma, 2006, euro
15,00
Il giornalista Bruno Vespa,
noto conduttore della trasmissione RAI-TV “Porta a Porta”, dal
1994 va pubblicando, verso la fine
di ogni anno, un libro-strenna dedicato alle vicende dell’Italia contemporanea. Negli ultimi due volumi: “La Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi” (2004) e “Vincitori e Vinti” (2005) Vespa ha sostituito il suo ruolo di cronista con
quello di storico, imitato da un
altro giornalista, Giampaolo Pansa, con analoghe ambizioni storiografiche.
Un personaggio del librostrenna del 2004 Rosario Bentivegna, dirigente dei G.A.P. (Gruppi Azione Patriottica), partigiano
comunista, due volte decorato,
autore con altri 11 compagni dell’attentato di via Rasella a Roma
il 23 marzo 1944 (che uccise 33
militari delle Forze d’occupazione tedesca e qualche civile, cui seguì la strage di 335 prigionieri assassinati alle Fosse Ardeatine) rimase sorpreso di quanto riportato nel libro. Infatti esso, in due
paginette, riferiva quasi tutti i
luoghi comuni espressi in 60 anni
da una letteratura qualunquista
sull’episodio e sui suoi protagonisti.
Il prof. Bentivegna (docente
universitario, autore dei libri
“Achtung Banditen!” Milano,
2004 e “Operazione via Rasella,
verità e menzogne”, Roma, 1996)
chiese pertanto a Vespa di rettificare il testo in quanto storicamente inesatto e lesivo della sua
reputazione. Quali erano i punti
controversi?
1) Anzitutto l’asserzione di
avvisi del Comando nazista affissi sui muri per invitare gli autori
dell’attentato a consegnarsi onde
evitare la rappresaglia di 10 fucilazioni di prigionieri italiani per
ogni tedesco ucciso. Mai furono
affissi tali manifesti. Una ventina di ore dopo l’attentato ebbe
luogo la strage delle Ardeatine. I
giornali non diedero notizia dell’attentato, ma solo della rappresaglia. Durante i processi ai criminali nazisti, Kappler e Kesselring esclusero l’esistenza di
ogni avvertimento preventivo della ritorsione decisa e attuata con
la massima rapidità e segretezza.
2) L’attacco partigiano di via
Rasella è stato riconosciuto legittimo dai Tribunali Militari italiani, dai processi a Kappler,
Priebke e Haas, dalla magistratura penale sino alla Corte di
Cassazione, dalla magistratura
civile in tutti i gradi di giudizio
fino alla Corte di Cassazione a
Sezioni Unite.
La Cassazione prosciolse i
gappisti denunciati proclamando
la legittimità di quell’attacco militare e la validità del comportamento di “soldati combattenti per
la libertà” e contro l’invasione tedesca.
3) L’on. De Gasperi avrebbe
espresso ad Andreotti un giudizio
negativo su via Rasella. Ciò appare contraddittorio con il fatto
che il presidente del Consiglio rivendicò all’Italia al tavolo della
pace, l’onore della Resistenza e ai
partigiani il merito di aver combattuto con eroismo contro gli occupanti nazisti. Inoltre gli atti di
concessione delle medaglie al valore militare ai gappisti romani
portano proprio la firma di De
Gasperi.
4) L’episodio di via Rasella
sarebbe avvenuto contro il parere del CLN, che non aveva autorizzato azioni militari contro gli
occupanti. In realtà il CLN emise
un comunicato, il 28 marzo 1944,
nel quale si rivendicava a “patrioti italiani” l’ “atto di guerra” condotto contro i poliziotti delle SS,
si condannava la strage delle Ardeatine e si sollecitavano gli italiani, in memoria dei martiri, alla
vendetta in nome di Roma, proseguendo senza tregua la lotta
per la liberazione della Patria.
5) I componenti dell’XI Compagnia del 3° Battaglione delle SS
Polizei Regiment Bozen, periti
nell’attentato – attuato personalmente da Carlo Salinari, Franco
Calamandrei, Carla Capponi, Rosario Bentivegna, Gino Mangiavacchi, Pasquale Balsamo, Ernesto Borghesi, Mario Fiorentini,
Francesco Correli, Giulio Cortini,
Raoul Falcioni, Laura Garroni,
Duilio Grigioni, Marisa Musu,
Lucia Ottobrini, Silvio Serra, Fernando Vitaliano – erano italiani
dell’Alto Adige di lingua tedesca,
postisi al servizio del nazismo, “A
che serviva decimare un battaglione non formato dalle truppe scelte di Reder?”, si chiede Vespa per
banalizzare l’episodio, dimenticando che la polizia tedesca (appunto quella colpita in via Rasella) operava rastrellamenti in tutta l’Europa occupata, deportava
prigionieri politici, realizzava la
“soluzione finale del problema
ebraico”, partecipava agli eccidi
delle popolazioni civili. Insomma
più dei militari tedeschi, meritavano di essere annientati proprio
i reparti polizieschi, spesso formati da alleati di carneficine, come
lituani, polacchi, croati, ucraini,
ungheresi, altoatesini, italiani,
tutti collaborazionisti spietati e
corrotti.
Il volume ospita il carteggio
intercorso fra il prof. Bentivegna
e Vespa. Lettere dell’uno, corroborate da circostanze inoppugnabili, lettere dell’altro, impacciate
sui fatti, ma risolute nella condanna dell’attentato, pur con la
promessa di qualche rettifica in
future edizioni del suo libro.
Perciò è stato opportuno pubblicare il carteggio per chiarire
ancora una volta la realtà storica
di via Rasella, nel quadro della
Resistenza romana, nella figura
dei protagonisti, nella ricostruzione fatta dalle sentenze della magistratura e dalle analisi di storici seri.
Il lavoro del Bentivegna fornisce dunque un ulteriore e definitivo contributo, arricchito da
una perspicua introduzione di
Sergio Luzzatto, una sintesi della Resistenza di Roma “città ribelle” e una preziosa appendice (i
componenti dei GAP centrali del
PCI a Roma, gli atti parlamentari relativi a via Rasella, le verità
processuali su via Rasella e le
Fosse Ardeatine).
Questo libro, denso di notizie
poco note, di indiscrezioni, di attestazioni rigorose, sull’ambiente
politico, militare, giornalistico romano prima, durante e dopo la
Resistenza, offre, al di là della
smentita alle mistificazioni di
Vespa, molti motivi di interesse
per il lettore curioso e scevro da
pregiudizi politici.
Lorenza Cutugno
Giornali
Ombretta Freschi: “IL SECOLO XIX - un giornale e una città,
1886-2004” prefazione di Valerio
Castronovo, editori Laterza, Bari,
2005.
Nell’aprile 1886 nacque a Genova il quotidiano “Il Secolo XIX”,
che esce tuttora, fortemente radicato nella realtà locale. Appoggiato dalla società Ansaldi divenne proprietà della famiglia Perrone, che tuttora lo possiede nell’ambito del Gruppo Editoriale
Genovese.
“Il Secolo XIX” nel 1899 fu il
primo quotidiano ad uscire in sei
pagine e poi ad usare il telefono
per ricevere rapidamente le notizie. Diventò interventista alla
pari del “Corriere della Sera” e di
altri fogli per indurre il Governo
Salandra ad entrare in guerra a
fianco della Francia e della Gran
Bretagna contro gli Imperi Centrali. Altri giornali, come “Il Popolo d’Italia” fondato nel 1914 e
diretto da Mussolini, finanziato
dai francesi, si erano convertiti al
Movimento nazionalista, che invocava l’intervento nel conflitto
definito “la quarta guerra del Risorgimento”.
Tra i personaggi che polemizzavano contro “l’infezione germanica” e la Banca Commerciale Italiana, ad esso collegata, si distinse un ex-prete, Giovanni Preziosi, direttore della rivista “La Vita
Italiana” e leader dell’antisemitismo nel nostro Paese sino all’aprile 1945, allorché si suicidò.
I roventi attacchi di Preziosi contro la Germania per sollecitare
l’interventismo italiano nel 1915
si contraddicono con la sua partecipazione, nel 1943 come ministro del governo nazifascista di
Salò: l’antico nemico era diventato un alleato.
Molti episodi, poco noti, della
politica italiana nel corso di un
secolo sono riportati nell’eccellente libro storiografico di Ombretta
Freschi, promosso dal Centro di
studi sul giornalismo “Gino Pe-
stelli”, che ha sede a Torino ed è
presieduto da Alberto Sinigaglia.
Il testo della Freschi è molto interessante sia per la copiosa documentazione storica ottenuta negli archivi e nelle testimonianze
di alcuni protagonisti del quotidiano, sia per lo stile scorrevole
che agevola la lettura.
Come ricorda il prof. Castronovo nella prefazione, “Il Secolo
XIX”, sotto la direzione dei giornalisti Ottone, Perrone e Tito,
condusse “vigorose campagne di
stampa sia per il divorzio e altri
diritti civili, sia a difesa dei principii antifascisti e dello Stato di
diritto”. L’opera si inserisce nella
serie di libri dedicata ai principali quotidiani che si pubblicano nel
nostro Paese, offrendo così un panorama sempre più completo della storia del giornalismo italiano.
Laicismo
Carlo Augusto Viano: “Laici
in ginocchio”, Laterza Editore,
Roma/Bari, 2006, pag. 128, euro
10
È un coraggioso testo in difesa della laicità dello Stato con
notevoli spunti anticlericali e di
critica antireligiosa. Si devono
respingere al mittente taluni discorsi di Benedetto XVI fatti con
“piglio altezzoso di un funzionario teutonico in trasferta”. Parimenti appaiono provocatorie le
sue frasi in cui auspica una laicità “sana” per assorbire gli appelli
orgogliosi che faceva Ciampi alla
laicità dello Stato.
Purtroppo certi politici in preda a “crampi religiosi” hanno vanificato l’impegno di Ciampi su
questo argomento. I tradimenti
pro-Vaticano degli statisti italiani sono una pessima tradizione
che, per l’autore, comprende anche Spadolini, secondo il quale la
Chiesa cattolica avrebbe svolto
sempre una funzione positiva in
Italia: suo indegno erede l’ex presidente del Senato, Pera.
Il libro comprende vari riferimenti ai testi di storia filoclericali in uso nelle scuole: sono stati
manipolati i programmi della
scuola secondaria con pesanti interventi censori e una revisione
della Storia nazionale a favore del
Vaticano. Lo strumento giuridico
per tale prevaricazione è stato
l’articolo 7 della Costituzione in
contrasto con la libertà religiosa
garantita dalla stessa carta costituzionale.
Il cristianesimo non è una religione dell’amore poiché cova
un’impostazione totalitaria abbattutasi in maniera “costante e
soffocante” sull’Italia. Si devono
rifiutare i Concordati tra Stato e
Chiesa, accordi mediante i quali
la Chiesa cerca di condizionare la
libertà dello Stato. Anche dalla
revisione dei Concordati (ad
esempio quello di Craxi nel 1984),
la Chiesa ne esce sempre avvantaggiata, almeno finanziariamente. A questo proposito l’autore accenna “ai pesanti scandali finanziari” in cui fu coinvolto il Vaticano.
Si deve rilanciare una cultura laica, indipendente dalla tradizione religiosa dello spiritualismo cristiano rifacendosi specialmente all’illuminismo settecentesco per continuare la sua storica
battaglia per liberare le menti
dall’oscurantismo medievale. Le
religioni sono fonti di guerra e di
odio, generano superstizioni, paure, soggezioni individuali, coprono condotte negative e si reggono
su imposture e promesse inattendibili. Le loro attività assistenziali “sono spesso usate per catturare adepti”.
L’autore contesta “la complicità della Chiesa con chiunque le
offra privilegi materiali” e riferisce le connivenze clericofasciste
e la politica antifemminile del Vaticano. Si assiste ad una ripresa
dei sogni di dominio universale
del Papato contro cui bisogna battersi per una società laica che difenda gli individui dalle intrusioni di credenze e autorità religiose.
Pierino Marazzani
Cartamoneta
Guido Crapanzano e Ermelindo Giulianini: “La cartamoneta
italiana” vol. 1, 6° edizione, edizioni Spirali, Milano, 2006, euro
12.
che per le Colonie, i Possedimenti, le Occupazioni militari durante le due guerre mondiali, ed inoltre le banconote delle Occupazioni straniere (americana, tedesca,
jugoslava) dei territori italiani.
Di ogni banconota viene stampata la riproduzione a colori, con
tutte le indicazioni utili (data, tiratura, stampa, quotazioni commerciali nei vari gradi MB, BB,
SPL, FDS).
Alcune pagine relative alla
classificazione della rarità, consentono al collezionista di orientarsi nell’acquisto e nello scambio delle banconote.
Pertanto il catalogo, splendidamente stampato e documentato, risulta uno strumento utilissimo a collezionisti e studiosi per
la serietà delle ricerche effettuate in archivi e biblioteche e per la
profonda competenza dei due autori.
Sicor
*
Luigi Gambone: “Sulla mia
strada verso casa”, memorie Consiglio Regionale del Piemonte,
Gruppo consigliare SDI, Torino,
2006
Leandro Castellani: “Te la do
io la TV” la menzogna eretta a sistema nelle riflessioni di un teleterrorista, ed. Scipioni, Valentano, 2006, euro 4
Carmelo R. Viola: “Mafia per
non dire capitalismo” prefazione
di Nicola Lo Bianco, edizioni fuori commercio, quaderno in tre
tomi del Centro Studi biologia sociale, Acireale, 2006
Federico Zucchelli: “Viva
l’ozio, abbasso il negozio” l’ozio è
il padre degli sfizi, ed. Scipioni,
Valentano, 2006, euro 4
Carlo Colombelli: “La guerra
non ci dà pace” donne e guerre
contemporanee, edito dall’Istituto Piemontese per la storia della
Resistenza e della società contemporanea, Torino, 2005, euro
Due appassionati studiosi di 12,50
storia e di numismatica, Guido
Crapanzano e Ermelindo GiuliaEdward
Westermarck:
nini, noti anche come organizza- “L’amore omosessuale”, origine e
tori di congressi, musei, esposizio- sviluppo delle idee morali, a cura
ni in Italia ed all’estero, hanno di Massimo Consoli, Roma, 2005,
compilato un testo fondamentale euro 7
sulla cartamoneta stampata nel
nostro Paese dal 1866 ad oggi.
“TORINO 1945-1980 – ProfiIl catalogo delle banconote li di amministratori della Città”
(biglietti di Stato, biglietti consor- a cura dell’Associazione tra i conziali, buoni di cassa, ecc.) com- siglieri comunali (presidente
prende quanto venne emesso dal- Dante Notaristefano), Torino,
la Banca d’Italia sia per l’interno 2006
3
ANNO LVIII - N. 10 - DICEMBRE 2006
VOTATA DALLA CAMERA UNA LEGGE
ROM E SINTI VITTIME DEL NAZISMO CHE INTRODUCE IL REATO DI TORTURA
IL GENOCIDIO DEGLI ZINGARI
II
La “soluzione finale” della
“questione zingara” fu decretata il 16 dicembre 1942,
quando Himmler firmò l’ordine di internare o trasferire
tutti gli Zingari ad Auschwitz.
Proprio Auschwitz risulta il
lager sul quale esiste maggiore documentazione sulla prigionia dei Rom e dei Sinti,
probabilmente anche perché
qui, tra il febbraio del 1943 e
l’estate del 1944, funzionò una
sezione appositamente riservata a loro: il campo B II E di
Birkenau, per famiglie, lo Zigeunerlager. Era un recinto
solo per loro, vicino ai crematori, dove gli Zingari vivevano in condizioni particolari,
ossia diverse da quelle di tutti gli altri prigionieri.
Nello Zigeunerlager Rom e
Sinti erano radunati in una
sezione speciale, circondata
da filo spinato attraversato da
corrente elettrica ad alta tensione. Le famiglie restavano
unite: uomini con donne, genitori con figli, mariti con mogli. Subito destinati alle loro
baracche, appena arrivati erano tatuati e rasati a zero, ma
poi nessuno si preoccupava
più dei loro capelli, che ricrescevano. Le donne potevano
partorire (il primo bimbo venne alla luce l’11 marzo 1943,
quando il lager esisteva da
pochissimo tempo, e da quel
giorno vennero regolarmente
registrate nascite), nessuno
lavorava e, soprattutto, i prigionieri Rom e Sinti non erano sottoposti alle terribili selezioni per le camere a gas
come per tutti gli altri deportati. Una volta entrati nell’area B II E Rom e Sinti erano, in definitiva, quasi abbandonati alla loro sorte.
Molti altri prigionieri, che
li vedevano da altre selezioni
nel campo, consideravano tutto questo un privilegio. E purtroppo tale lo hanno considerato anche alcuni storici che
hanno parlato della vita nello
Zigeunerlager come di una
condizione particolare e meno
difficile che per la maggior
parte degli altri prigionieri.
Una simile presentazione dei
fatti risulta, però, offensiva di
fronte alla loro sorte. Come ha
ricordato Ulrich Koning lo Zigeunerlager non corrispondeva ad alcun progetto umanitario. Lo mostra persino il libro mastro del campo di Birkenau che ci restituisce l’altissimo livello di mortalità
dello Zigeunerlager dove, dei
circa 300 bambini nati nel
periodo della sua esistenza,
nessuno sopravvisse. Le condizioni dello Zigeunerlager
erano spaventose. Nella primavera del 1943 il numero dei
Rom a Birkenau era di
16.000: le baracche erano sovraffollate ed in un blocco da
300 persone ce n’erano 1.000.
Hermann Langbein ricorda
quando, come medico dell’infermeria, si trovò nel campo
degli Zingari: “Su un pagliericcio giacciono sei bambini
che hanno pochi giorni di vita.
Che aspetto hanno! Le membra sono secche e il ventre è
gonfio. Nelle brande li accanto sono le madri, occhi esausti e ardenti di febbre. Una
canta piano una ninna-nanna.
A quella va meglio che a tutte, ha perso la ragione, mi dicono… Al muro è annessa una
baracchetta di legno… E’ la
stanza dei cadaveri. Ne ho già
visti molti nel campo. Ma qui
mi ritraggo spaventato. Una
montagna di corpi alta più di
due metri. Quasi tutti bambini. In cima scorrazzano i topi”.
NELLE CAMERE
A GAS
La storia dello Zigeunerlager termina la notte tra il 2 e
il 3 agosto 1944, quando i circa 4.000 Rom e Sinti sopravvissuti nello Zigeunerlager
vengono condotti nelle camere a gas. Le testimonianze su
quella tragica notte sono agghiaccianti: “L’ora dell’annientamento è suonata anche
per i 4.000 detenuti del campo zingaro. La procedura è
stata la stessa applicata per
il campo ceco. Prima di tutto
divieto di uscire dalle baracche. Poi le SS e i cani poliziotto hanno cacciato gli Zingari
dalle baracche e li hanno fatti allineare. Hanno distribuito a ciascuno le razioni di
pane e salamini. Una razione
per tre giorni. Hanno detto
loro che li portavano in un altro campo e gli Zingari ci hanno creduto… Il blocco degli
Zingari sempre così rumoroso, s’è fatto muto e deserto. Si
ode solo il fruscio dei fili spinati e porte e finestre lasciate aperte che sbattono di continuo”.
Nel gennaio del 1945 i
Rom rimasti ad Auschwitz
erano pochissimi: all’appello
del 7 gennaio – dieci giorni
prima della liberazione – risposero solo quattro uomini.
Non è facile sapere quanti Rom morirono ad Auschwitz, così come non si conosce con precisione nemmeno il numero di quelli uccisi
in quella tragica notte. Secondo le fonti più accreditate circa 23.000 Rom morirono in
quel lager. Altrettanto difficile stabilire il numero totale
dei Rom vittime del nazismo:
le cifre ufficiali indicano circa 500.000 persone ma sembrano non tenere conto di
molti dati e scontare la carenza di documentazione. Il materiale d’archivio testimonia
che molti Rom, oltrechè nei
lager, furono uccisi nelle esecuzioni di massa nei territori
dell’est e tanti altri furono
sterilizzati e rimessi in libertà.
Il numero totale dei Rom
uccisi sotto la dittatura nazista non è documentabile. Soprattutto perché è incerto il
numero dei Sinti e dei Rom
presenti in Europa prima della guerra, visto che molti non
erano registrati alla nascita e
cambiavano luogo e nominativo nel corso della loro vita;
e poi perché – diversamente
dagli Ebrei – non vivevano in
comunità e quindi dopo la
guerra, anche se si fosse voluto, non sarebbe stato facile
contare i superstiti; e infine
perché il popolo rom ha una
concezione della memoria diversa dalla nostra.
IN ITALIA
In Italia la ricerca è ancora molto “mancante” – soprattutto a livello accademico –
come lo è, d’altra parte, anche
quella sull’internamento nel
nostro Paese che non vuole riconoscere le proprie congruità con il nazismo e quindi le
proprie responsabilità nelle
politiche di persecuzione razziale attuate in tutta Europa.
Gli studi di Carlo Spartaco
Capogreco (nel libro “I campi
del duce”) e di studenti universitari stanno aprendo nuove prospettive di lavoro su
questi argomenti. Fino a pochi anni fa sulla persecuzione fascista dei Rom e dei Sinti esistevano solo rare fonti
orali e documenti sparsi. Tra
questi la presenza di Sinti e
Rom nel campo di Ferramonti (uno dei più grandi campi
di concentramento italiani
esistito dal 1941 al 1943) o
l’arrivo di alcuni Rom italiani nel lager austriaco di Lackenbach, luogo di morte per
migliaia di Sinti e Rom europei. Nelle testimonianze orali (raccolte soprattutto da Mirella Tarpati del Centro Studi Zingari di Roma) invece,
alcuni ricordavano luoghi di
prigionia italiani come Perdasdefogu (in Sardegna), Agnone (in Molise), Tossiccia (in
Abruzzo) e le isole Tremiti.
Considerato però anche il
fatto che i testimoni Rom e
Sinti utilizzano la memoria in
modo molto diverso da quello
in cui siamo abituati, basandosi su un’oralità che, nel tramandare, trasforma il ricordo, e tenendo anche presente
che non sappiamo ancora quasi nulla su come vivevano
Rom e Sinti nel nostro Paese
durante gli anni del fascismo,
va detto che le testimonianze
orali non sono sufficienti a illuminare i tempi, né le modalità della persecuzione. Si suole affermare che in Italia la
politica discriminatoria era
indirizzata essenzialmente
contro gli stranieri per ragioni di ordine e sicurezza. Secondo questa interpretazione
fu l’occupazione della Jugoslavia e la conseguente fuga
di molti Rom da quel Paese a
indurre le autorità fasciste a
internarli, cosa certamente
anche vera ma che non comprende e spiega la totalità dei
fatti.
La documentazione conservata all’Archivio centrale
dello Stato fornisce infatti ipotesi di studio diverse, riguardanti anche i Rom e i Sinti italiani.
Quello che i fascisti pensavano di Sinti e Rom emerge
chiaramente da una circolare
ministeriale del 1926 che ordina di espellere tutti gli “Zingari stranieri” presenti nel
regno per epurare il territorio
nazionale della presenza di
carovane di Zingari, di cui è
superfluo ricordare la pericolosità per la sicurezza e per
l’igiene pubblica, per le loro
caratteristiche abitudini di
vita.
Il primo ordine di internamento vero e proprio, e che riguarda anche Rom e Sinti italiani, risale all’11 settembre
1940, quando una circolare
del Ministero degli Interni, indirizzata a tutte le prefetture, ordina rastrellamenti di
Zingari e loro concentramento in tutto il Paese, “sotto rigorosa sorveglianza in località meglio adatte di ciascuna
provincia”. Quasi subito, e da
tutto il Paese (Udine, Ferrara, Aosta, Bolzano, Ascoli Piceno, Trieste, Verona, Campobasso), giungono al Ministero
telegrammi di risposta che informano sulle persone catturate e spesso chiedono cosa
fare.
Se questi documenti ci
consentono, solo di immaginare persecuzione e prigionia,
indicando solo intenzioni, senza fornire informazioni sull’effettività dell’internamento,
altri documenti ci permettono
invece un ulteriore passo
avanti. Si tratta dei fascicoli
personali degli arrestati. Pagine lasciate per decenni negli schedari dell’Archivio Centrale, lettere e corrispondenze varie tra Ministero e Prefetture che riguardano determinate persone rom e sinte
negli anni dal 1928 al 1943.
L'INTERNAMENTO
Sembra, di leggere storie
di oggi: vicende di giostrai, allevatori di cavalli, calderai che
battono il rame e il ferro, uomini e donne che girovagano
vendendo portafiori di vimini
o stoffe ricamate e che vengono continuamente arrestati ed
espulsi dal territorio italiano
nel quale cercano di continuare a vivere, accerchiati da norme e regole che glielo impediscono, trascinandoli, contemporaneamente, nella tragedia
della seconda guerra mondiale. Quasi tutti prima vengono
ripetutamente arrestati, schedati e espulsi, poi, a partire
dalla fine del 1940, e quindi
dall’emanazione dell’ordine di
internamento, reclusi, imprigionati in diversi luoghi.
I prigionieri rom erano ovviamente sottoposti alle regole generali dell’internamento
in Italia, che prevedevano due
tipi di procedure: il “campo di
concentramento” e il “soggiorno obbligato” in una data località, il cosiddetto “internamento libero”, i cui prigionieri dovevano vivere in un luogo determinato, senza potersi
spostare e costretti, per esempio, a lavorare. Entrambi i tipi
di internamento avvenivano,
solitamente, in luoghi isolati
e piccoli paesi, in condizioni di
vita dure, regolate da un’infinità di norme rigide e spesso
crudeli, di controllo e sorveglianza, delle quali, per Rom
e Sinti, la più tremenda era
senza dubbio la mancanza di
libertà e l’impossibilità di spostarsi liberamente e mantenere i contatti con l’esterno.
Questa documentazione ci
permette di affermare, l’effettività dell’internamento e che
il regime fascista adottò verso Rom e Sinti provvedimenti
distinguibili in almeno due
fasi (ovviamente intrecciate al
contesto più generale della
guerra e della conseguente politica di internamento): la prima, che precede il settembre
1940, e la seconda che va dal
1940 al 1943 (anno dell’armistizio che segna l’inizio dell’occupazione tedesca).
Prima del 1940 Rom e Sinti venivano quasi sempre arrestati e subito espulsi dal
Regno, accompagnati al confine e lì abbandonati, tanto
che generalmente rientravano
quasi subito e la procedura si
ripeteva periodicamente. Dalla fine del 1940, invece, la politica di espulsione si trasforma in politica di internamenAllo sterminio nazista degli Zingari la rivista anarchica
A ha dedicato un doppio dvd,
che comprende saggi, testimonianze, documentari, cantoni
tzigane, interviste. Per acquistare tale dvd (durata 2 ore,
comprensivo di libretto di 72
pagine) al prezzo di 30 euro,
con sconti sino a 20 per più copie, inviare assegno bancario o
postale all’Editrice A, casella
postale 17120, Milano 20170
La Camera dei Deputati, il 13
dicembre, ha approvato con 466
voti a favore e uno solo contrario, la norma che introduce il reato di tortura nel nostro codice
penale.
Il testo, modificato in Aula
con alcuni emendamenti della
Commissione Giustizia, di AN e
di FI, stabilisce che “è punito con
la pena della reclusione da tre a
dodici anni chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge ad
una persona forti sofferenze fisiche o mentali”, allo scopo di ottenere “informazioni o confessioni” su atti commessi (o sospetta
di averli commessi) in prima persona o da altri soggetti.
La norma introduce come
possibili moventi della tortura
to. E in queste carte la realtà
della prigionia emerge in tutta la sua evidenza, ed emergono anche alcuni dei luoghi
dove Rom e Sinti erano reclusi.
Se alcuni, come Vinchiaturo (Cb), le Isole Tremiti e la
Sardegna risultano, per il momento, solo come casi isolati,
ci sono altri luoghi dove la politica di internamento fascista
nei confronti di Rom e Sinti
si fa più chiara. In particolare a Boiano, Agnone e Tossiccia.
A Boiano, in provincia di
Campobasso, è certa la presenza di Rom e Sinti almeno
nell’estate del 1941. Ma forse
anche prima visto che altri
documenti relativi al campo,
recentemente rintracciati (per
esempio da Rosa Corbelletto,
che in una tesi di laurea propone nuovi documenti sull’internamento di Rom e Sinti in
Italia) segnalano due famiglie, in totale 17 persone, assegnate a questo campo già
nel dicembre 1940. I prigionieri erano alloggiati fuori dal
paese, nella vecchia Manifattura Tabacchi, composta da
cinque capannoni freddi e
umidi e in condizioni così precarie e terribili da indurre
persino funzionari e amministratori fascisti a tentare opere di manutenzione e risanamento, e infine a trasferire
gran parte dei prigionieri in
altri luoghi. Ma non gli “Zingari”, che furono invece trasferiti solo alla chiusura di
Boiano avvenuta nell’agosto
del 1941. Erano, allora, 65
Rom e Sinti, di cui 21 minori
di 15 anni.
E da Boiano arrivarono ad
Agnone, un paesino vicino a
Isernia, dove il campo si trovava fuori dal paese, a 850
metri di altezza, allestito in
un ex convento benedettino
requisito dai fascisti. In questo campo i documenti non
solo attestano la presenza di
Rom e Sinti ma addirittura
fanno supporre che, almeno
da un certo periodo in poi, e
probabilmente dalla fine del
1941, il campo fosse destinato esclusivamente a loro. Dai
documenti si capisce che gli
Zingari arrivano, trasferiti
anche da altri campi, nel luglio 1941 quando si pensa di
adibire il campo solo per loro.
Nel luglio 1942 ne risultano
250. Ci sono lettere e corrispondenze che indicano anche
che nel gennaio 1943 venne
istituita una scuola per i bambini rom, o più precisamente
“per l’educazione intellettuale e religiosa dei figli minorenni degli Zingari colà internati”. Il 23 aprile 1943 un documento attesta la presenza di
146 internati zingari e sottolinea che tutto procede bene,
compresa la scuola che si occupa di “toglierli dalle loro
abitudini randagie e amorali”.
GLI ELENCHI
Ma gli elenchi del campo
devono ancora essere rintracciati e studiati: non si capisce
come possano passare da 250
a 130 come attestato e nel giro
di soli tre mesi e poi perché
esistono testimonianze, come
quella di Tommaso Bogdan,
che anticipa il suo arresto e il
suo internamento ad Agnone
già dal 1940. È una testimonianza molto intensa, raccolta recentemente, nella quale
Tommaso Bagdan, che oggi
vive in un campo sosta a
Roma, ricorda anche i suoi
due fratelli morti di stenti ad
Agnone e i suoi genitori che
non sopravvissero alla fuga
dal campo quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre, qui
come anche in altri campi, i
fascisti aprirono le porte ordinando ai prigionieri di andarsene.
Il campo di Tossiccia, infine, è uno dei più noti. Funzionante dall’ottobre 1940, venne smantellato con l’armistizio. Prima di allora, però, vi
erano rinchiusi anche Rom e
Sinti. Disponiamo infatti di
due elenchi che documentano
la presenza di almeno 108 di
loro nel mese di luglio 1942.
Tossiccia era uno dei peggiori
campi dell’Italia centrale. Gli
internati vivevano ammassati in tre case, una delle quali
riservata agli Zingari, in condizioni intollerabili: gli edifici erano privi di finestre, non
c’era acqua e le fogne allagavano continuamente la zona.
Ci sono pochissime informazioni, e assolutamente
frammentarie, sul destino dei
Rom e dei Sinti nel periodo
dell’occupazione tedesca e della Repubblica Sociale e soprattutto sul destino di coloro che, a quell’epoca, si trovavano già imprigionati e segnalati. Si deve riflettere sulle
eventuali responsabilità italiane nel trasferimento e nella successiva eliminazione dei
prigionieri Rom e Sinti nei
campi di sterminio hitleriani.
Da segnalare la testimonianza, indiretta, della partigiana
Laura Conti che, internata a
Gries di Bolzano, ricorda tra
i prigionieri “bambini zingari
italiani e spagnoli” che vivevano con le madri nell’unica
baracca femminile e “parlavano solo la loro lingua, per cui
fu difficile sapere qualcosa su
di loro”. E quella del sinto Vittorio Mayer (che riuscì a salvarsi nascondendo la sua origine e diventando violinista
nell’esercito tedesco) che ricorda la sorella Edvige morta
a vent’anni nel campo di Bolzano.
Grazie al lavoro di alcuni
storici e studiosi caparbi, oggi
possiamo almeno affermare
con certezza che anche nel nostro Paese i fascisti perseguitavano, discriminavano, arrestavano e imprigionavano
Rom e Sinti e che organizzavano luoghi di internamento
solo per loro, dove venivano
imprigionati e schedati come
Zingari.
Per concludere, qualche
parola sul dopoguerra. Nei
vari processi contro i nazisti
responsabili di crimini contro
l’umanità – primo tra tutti
quello di Norimberga – nessuno decise di sentire testimonianze di Rom e Sinti. E ancora 15 anni dopo, al processo di Gerusalemme, nonostante Eichmann si fosse dimostrato consapevole della deportazione degli Zingari, il
capo di imputazione che riguardava questo argomento
venne annullato.
Nel dopoguerra anche Robert Ritter e i suoi collaboratori continuarono a vivere più
o meno indisturbati. Nessuno
di loro venne mai condannato.
anche “motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o
sessuale”.
La legge prevede due circostanze aggravanti. La pena è
aumentata se a commettere queste violenze è “un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico
servizio”, o “se dal fatto deriva
una lesione grave o gravissima”.
La pena è raddoppiata, infine,
se la vittima muore.
L’approvazione della nuova
norma è stata accompagnata da
positivi commenti bipartisan. La
legge ha avuto un lungo cammino parlamentare. Nella scorsa
legislatura l’attuale maggioranza circoscriveva il reato soltanto
alle forze di polizia. Oggi, maggioranza e opposizione hanno
trovato una mediazione condivisa da tutti.
Secondo Paolo Gambescia,
(Ulivo) “tale norma rappresenterà uno strumento in più per colpire coloro i quali usano metodi
infami per fare violenza nei confronti di altri cittadini o non cittadini italiani che vivono nel nostro territorio, comunque indifesi. Noi volevamo dare una risposta forte a fenomeni che ripugnano la coscienza e la civiltà di
questo Paese”. Per il presidente
della Commissione Giustizia della Camera, Pino Pisicchio (Italia
dei Valori) “Il provvedimento
può proporsi come modello per
altri Paesi europei, visto che abbiamo adottato l’espressione
“chiunque”, quindi non solo i
pubblici ufficiali, ma anche mafiosi o chiunque esercita un’azione violenta, può macchiarsi del
reato di tortura”.
Per Francesco Caruso (Rifondazione Comunista) “la proposta di legge serve da monito affinché non si ripetano mai più
sospensioni dei diritti e della democrazia come quelle avvenute
nella caserma Bolzaneto, nei
giorni del G8 di Genova nel luglio 2001, e nella caserma Raniero di Napoli, nei giorni delle
contestazioni contro il Global
Forum a marzo dello stesso
anno”. Per Gabriele Frigato (Ulivo) affinché “non ci sia più una
Guantanamo”.
Ora la legge passerà al Senato per il voto definitivo.
LA TORTURA DISTRUGGE CORPO
E MENTE DELLA VITTIMA
I
Nonostante Convenzioni
internazionali e Costituzioni
nazionali pongano fuori legge
ogni trattamento inumano e
degradante, la pratica della tortura è ancora attuale all’inizio
del XXI secolo.
Da migliaia di anni gli uomini praticano la tortura sui
loro simili. L’uso della violenza ha attraversato e unito come
un filo nero quasi tutti i popoli
dall’antichità ad oggi: come
mezzo d’indagine giudiziaria,
come presunto mezzo di ricerca della verità e come strategia
di terrore.
Tracce di tale usanza si ritrovano già tra gli assiro-babilonesi, dominatori della Mesopotamia tra il 2000 e il 612 a.C..
Presso questa civiltà pene corporali, fustigazione, mutilazione e castrazione erano prassi
ordinaria.
Sembra che nell’Antico
Egitto, invece, la tortura non
fosse usata sul popolo, vista la
sua rassegnata docilità, ma riservata ai faraoni, ai dignitari
di corte e alle alte cariche dello
Stato.
Nessuna società si è sottratta all’uso della tortura: sia tra
gli atzechi, sia tra gli aborigeni
dell’area australe era una costante nei riti d’iniziazione nel
passaggio tra l’età dell’adolescenza e la vita adulta, mettendo spesso a rischio la vita dell’iniziato.
Nell’antica Roma l’imperatore Tiberio intratteneva i suoi
ospiti facendoli assistere a supplizi, mentre Caligola si serviva delle grida dei torturati
come sottofondo per allietare i
propri banchetti. Gli stessi
spettacoli dei gladiatori furono
una forma organizzata di tortura. Anche se in seguito alla
diffusione del cristianesimo la
pratica della tortura subì una
certa attenuazione, con qualche
eccezione di breve durata essa
continuò ad imperversare.
I cinesi furono famosi fin
dall’antichità per le raffinate
tecniche dei loro supplizi, tuttavia la tortura come pratica
giudiziaria non era nata in
Cina, ma nel Vicino Oriente,
agli albori della civiltà.
In Occidente la tortura diventò strumento giudiziario
nel Medioevo, dopo la caduta
dei regni barbarici e con l’affermarsi del sistema comunale e
IL RISARCIMENTO delle prime entità statali euroLa sottovalutazione, o la pee: la giustizia non fu più amnegazione, della “questione
zingara” nel dopoguerra, nasconde anche il problema molto complesso e concreto dei risarcimenti dovuti alle vittime
del nazismo. Nonostante la
Convenzione di Bonn – imposta dagli Alleati alla Germania nel 1945 – prescrivesse il
pagamento di riparazioni e
indennizzi a quanti erano stati perseguitati, nel caso dei
Rom e dei Sinti questo fu negato e tutte le loro istanze di
risarcimento eluse dalla magistratura tedesca. Col tempo
però, la discussione sullo sterminio dei Rom si dovette confrontare sempre più con le
prove documentarie che man
mano emergevano e che proministrata dal privato ma dalvavano il carattere razziale
lo Stato e il carnefice divenne
della persecuzione di Rom e
una figura immancabile presso
Sinti.
ogni corte. Non solo sul terriLe autorità tedesche certorio italiano, ma in tutta Eucarono di barcamenarsi nel
più totale cinismo e disprezzo ropa si accolse il rinnovato difrazzista. Se prima i giudici, fondersi della tortura, ecceziocon una sentenza assurda, ri- ne fatta per la sola Inghilterra,
conobbero la persecuzione che nel rifiutare la tortura in
razziale solo a partire dal de- quanto crudele e arbitraria cocreto di internamento ad Au- ercizione della libertà personaschwitz (1942), poi si trince- le, diede prova di una sensibirarono dietro al fatto che non lità d’avanguardia, tesa alla tuesisteva un organismo rap- tela della dignità fisica e menpresentativo del popolo zinga- tale degli individui.
La tortura ha vissuto diverro al quale affidare i risarcise stagioni: una delle più terrimenti.
Fu infine solo nel 1980 che bili si è avuta sul finire del XV
il governo tedesco riconobbe secolo, quando in Spagna, sotufficialmente che Rom e Sinti to il regno di Isabella di Castiavevano subìto “sotto il regi- glia e Ferdinando d’Aragona,
me nazista nell’Europa occu- nacque la Nuova Inquisizione.
pata, una persecuzione raz- L’Inquisizione romana nacque
ziale”, ma non si verificò al- invece nel 1542 e fu lo strumento privilegiato dalla Chiesa per
cun risarcimento.
Giovanna Boursier combattere i propri “nemici”
servendosi di metodi di persuasione estremamente efficaci come strumento di repressione. Tra le forme di persecuzione violenta, la caccia alle streghe fu – soprattutto nel XVII
secolo – il fenomeno attraverso cui l’odio popolare verso
“maghi e streghe”, fu reso ufficiale dall’Inquisizione: la ricerca dei “segni di Satana” sul corpo dei torturati e le confessioni
estorte, legalizzarono ogni forma di violenza e di crudeltà sia
fisica che psicologica.
In Italia, nel 1630, nelle città colpite dalla piaga della peste, si scatenava la “caccia all’untore” che avrebbe mietuto,
quali vittime di tortura, circa
140.000 morti solo a Milano.
Con l’inizio dell’“età dei
lumi”, nel XVIII secolo, s’impose finalmente l’idea dell’abolizione della tortura, sia nelle
opere di autori come Voltaire,
sia tra i sovrani europei. Così
nei territori austriaci, germanici, e slavi dell’impero, nel 1776,
l’imperatrice Maria Teresa abolì formalmente ogni pratica della tortura. Nel 1764 il saggio
“Dei Delitti e delle Pene” di
Cesare Beccaria inchiodò alle
proprie responsabilità “l’irregolarità delle procedure criminali”. Accolta favorevolmente
dalla critica del tempo, l’opera
sancì un punto di partenza,
nella storia della coscienza comune sul problema della tortura.
Scrive Beccaria “(…) un
uomo non può dirsi reo prima
della sentenza, né la società
può togliergli la pubblica protezione, prima che sia provato
che ne ha violato i patti; quale
diritto dunque autorizza un
giudice a dare una pena a un
cittadino quando ancora si dubita che sia reo? O il diritto è
certo, o allora abbia la pena stabilita dalle leggi; se incerto, non
si deve tormentare un innocente (…) che il dolore divenga il
crogiuolo della verità… Questo
è il mezzo sicuro di assolvere i
robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti”.
L’influsso di quest’opera fu
decisivo nella soppressione
della tortura in vari Paesi europei e il suo divieto nella Costituzione degli Stati Uniti, pochi anni dopo.
In Italia, dopo l’unificazione, la tortura restava uno dei
principali “ferri del mestiere”
della polizia e dei carabinieri,
benché ufficialmente abolita.
Già dal 1860 un netto peggioramento si era avuto nelle carceri, all’interno delle quali non
si risparmiavano crudeltà verso i prigionieri.
Il Novecento si apre con gli
orrori della prima guerra mondiale. Già prima del suo scoppio, nelle questure, nelle caserme, negli uffici della guardia di
finanza, e soprattutto all’ombra
della legge, gli arrestati erano
sottoposti a pratiche efferate.
Tutto il secolo è stato tristemente segnato dalla violenza sull’uomo: infatti l’affermarsi di
un sempre più rapido progresso scientifico e tecnologico è
stato sfruttato per un aumento
delle violenze, in particolare di
quelle “organizzate” dagli Stati. A metà del Novecento il perfezionismo nella pratica della
tortura da parte delle SS naziste fu imitato dai fascisti durante il periodo della Repubblica
La “garrota” usata in Spagna
di Salò, verso i partigiani della
Resistenza.
I nazisti, con lucida follia,
costruirono campi di concentramento e di sterminio, dove
la tortura assunse la veste di
una condizione esistenziale
con la quale milioni di uomini,
in particolare ebrei, zingari e
omosessuali dovettero confrontarsi ogni giorno. Alla fine
della seconda guerra mondiale, con la vittoria degli Alleati
e l’apertura dei lager, folle di
spettri si affacciarono alla coscienza civile e sociale del mondo colpevole e ignaro.
Un situazione per certi
aspetti analoga si delineò nell’Unione Sovietica, dove già all’inizio degli anni Trenta era
stata creata l’estesa rete dei gulag siberiani, in cui i prigionieri morirono a milioni: gruppi
etnici, oppositori e contadini,
questi ultimi sterminati in seguito alla decisione di collettivizzare la terra. Dal 1939 Stalin autorizzò ufficialmente la
polizia ad impiegare la tortura
come mezzo d’inquisizione,
che spesso assunse vesti ideologiche e psicologiche. Nell’Unione Sovietica il sistema
dei campi di concentramento
sopravvisse fino agli anni Ottanta.
La guerra d’Algeria, negli
anni Cinquanta, è stato uno degli esempi più eclatanti di
come, complici del sadismo, la
brutalità, la paura e l’abuso di
potere, potesse autoalimentarsi quel controllo materiale e
psicologico delle popolazioni
che avrebbe reso possibile il
proseguimento del dominio coloniale. La tortura non è soltanto mezzo per ottenere una confessione ma è parte integrante
di una strategia militare volta
ad ottenere l’eliminazione dei
nemici.
Lo stesso avvenne nel Vietnam, dove civiltà ed umanità
sono sprofondate negli abissi
dell’incoscienza lasciando dietro di sé infinite sofferenze. In
Cambogia, a metà degli anni
Settanta, la presa del potere da
parte dei Khmer rossi coincise
con l’abolizione della proprietà privata e dell’educazione che
portò a quattro anni di terrore
e costò la vita ad oltre un milione di persone, molte delle
quali furono torturate prima di
essere uccise.
Il colpo di Stato del 21 aprile 1967 del colonnello Papadopoulos, in Grecia, inaugurò un
altro oscuro periodo in cui i
dissidenti, i sospetti, i nemici
dello Stato furono sistematicamente torturati con pratiche tra
le più cruente. La tortura divenne pratica amministrativa e
uno dei tratti caratterizzanti di
alcune dittature sudamericane.
In molti di questi Paesi la tortura non fu soltanto comune
strumento di polizia ma divenne attività pianificata.
In Cile le torture iniziarono
nel 1973, subito dopo il golpe
dei militari comandati da Pinochet, che sistematicamente perseguitarono gli oppositori politici; la repressione da parte
della polizia politica portò all’arresto di migliaia di persone
che vennero torturate. In Argentina, tra il 1976 e il 1983,
durante il regime militare i prigionieri erano rinchiusi in celle simili a bare, senza luce, soffocanti: le vittime (desaparecidos) sono state oltre 30.000, alcune buttate in mare dagli aerei. In epoche diverse ogni nazione ha praticato la tortura, in
tempi di guerra e di tensioni
sociali particolarmente gravi.
(continua)
*
INCHIESTA
SUI MILITARI COLPITI
DA URANIO IMPOVERITO
In seguito ai troppi casi di
militari e civili che in zone di conflitti sono stati colpiti dagli effetti
dell’uso di uranio impoverito nei
proiettili, è stata deliberata dal
Senato, l’11 ottobre 2006, una
Commissione parlamentare d’inchiesta.
Essa ha il compito di indagare sui casi di morte e gravi
malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle
missioni militari all’estero, nei
poligoni di tiro e nei siti in cui
vengono stoccati munizionamenti, anche sulla base dei dati epidemiologici disponibili, riferiti
alle popolazioni civili nei teatri
di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale in relazione all’esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno, con particolare attenzione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio
impoverito e della dispersione
nell’ambiente di nanoparticelle di
minerali pesanti prodotte dalle
esplosioni di materiale bellico e
a eventuali interazioni.
La Commissione, composta
da 21 senatori nominati dal presidente del Senato in proporzione al numero dei componenti i
Gruppi parlamentari, dovrà concludere i propri lavori entro un
anno dal suo insediamento.
ANNO LVIII - N. 10 - DICEMBRE 2006
4
L'ANNUALE RAPPORTO DELL'UNICEF
TRIBUNA PACIFISTA DENUNCIATA LA CONDIZIONE DI
RUSSIA E USA VENDONO DONNE E BAMBINI NEL MONDO
ARMI AL TERZO MONDO
Secondo il “Rapporto” commissionato dal governo americano all’esperto Richard Grimmett
del “Conventional Arms Transfers to Developing Nations” la
Russia è attualmente lo Stato più
impegnato nella vendita di armi
ai Paesi in via di sviluppo, cioè i
più poveri. Nel triennio 20022005 ha inviato ad essi il 95,6%
del totale delle proprie commesse di armamenti, ammontanti a
23.791 milioni di dollari.
Le aree in cui i russi concentrano i loro investimenti sono
l’Iran (1,7 miliardi di dollari), la
Siria (800 milioni), lo Yemen
(500), la Libia e Israele (300 milioni ognuno). L’Egitto, tradizionalmente rifornito dagli USA,
starebbe trattando con la Russia
l’acquisto di aerei d’addestramento Mig-At e aerei da combattimento Mig-29.
Nei vari settori d’armamenti, l’Iran ha acquistato sistemi di
difesa missilistica, la Cina aerei
militari, l’India carri armati, oltre forniture a tutti di “kalashnikov”.
In Asia, la Russia detiene un
primato assoluto: con 16 miliardi di dollari nel triennio 2001/
2005 – contro gli 11,6 degli
americani – è il primo fornitore
di India e Cina, a cui invia regolarmente forze aeree e navali, e
con cui nel 2005 ha siglato ben
otto contratti tra governi (non si
contano i contratti commerciali
tra aziende produttrici).
In Africa la Russia è seconda, scavalcata dalla Francia che
nel 2005 ha avuto il primato nella vendita di armi per 900 milioni di dollari, seguita da Germania, Gran Bretagna, USA (157
milioni).
Per quanto riguarda la cessione di armi da parte americana, risulta che gli USA sono al
primo posto nella classifica mondiale. Infatti nel 2005 hanno trasferito armi nel mondo per
55,887 milioni di dollari. In Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina hanno inviato il
59,50% di quella cifra. In particolare le forniture nell’America
Latina sono state di 7,4 miliardi
di dollari.
Complessivamente gli USA
hanno partecipato ad un terzo
di tutte le vendite di armi nel mondo. Tuttavia il Pentagono ha perso le tracce di 14.030 forniture
d’armi (circa il 4% del totale) all’Iraq dal 2003.
AUMENTANO LE SPESE
PER LE FORZE ARMATE
L’annuale Rapporto dell’UNICEF: “The state of the world’s children 2007 – Women and
Children” (La condizione dell’infanzia nel mondo 2007) – pubblicato in occasione del 60° anniversario della fondazione dell’UNICEF, una delle istituzioni dell’ONU – denuncia la discriminazione femminile.
“Milioni di donne in tutto il
mondo sono soggette a violenze
fisiche e sessuali, con limitata
possibilità di ricorso alla giustizia. A causa della discriminazione di genere, le bambine hanno
minori probabilità di andare a
scuola: nei Paesi in via di sviluppo, quasi una bambina su cinque
iscritta alla scuola primaria non
completa gli studi. La violenza
fisica registra anche il crudele fenomeno delle mutilazioni genitali
subite da 130 milioni fra donne e
bambine, mentre è più elevato il
rischio contagio AIDS per le donne che spesso non conoscono le
modalità di trasmissione del virus”.
Inoltre le donne non sempre
hanno poi voce nelle decisioni
familiari fondamentali, che possono avere conseguenze negative per i bambini. La possibilità
per le donne di avere il controllo
della loro stessa vita e di prendere le decisioni che riguardano
la famiglia sono strettamente legate alla nutrizione, alla salute e
all’istruzione del bambino: “nelle famiglie dove sono le donne ad
assumere le decisioni fondamentali, la quota di risorse destinate
ai bambini è di gran lunga maggiore rispetto a quelle in cui le
donne hanno un ruolo meno incisivo”.
Notevoli anche le disuguaglianze lungo il corso dell’esistenza. Risultati anagrafici e di censimento in Asia rivelano una percentuale insolitamente alta di nascite di bambini maschi e una
sproporzione tra maschi e femmine sotto i 5 anni, soprattutto
“Nella Finanziaria dei tagli e dei risparmi del governo
Prodi, il rischio è che aumentino di oltre 2 miliardi di euro,
cioè dell’11%, le spese belliche, i fondi per le Forze armate e il finanziamento pubblico al comparto militar-industriale” - segnala Luca Kocci
di Adista. Se nel 2006 la spesa totale – comprendente cioè
il funzionamento ordinario
delle quattro Forze armate, le
missioni militari all’estero e
gli armamenti – era di 18 miliardi e 862 milioni di euro (di
cui 17.782 milioni dal bilancio della Difesa e 1.080 aggiunti dalla Finanziaria), per
il 2007 si prevede una spesa
complessiva di 21 miliardi e
144 milioni di euro (18.134
milioni dal bilancio preventivo della Difesa e 3.010 aggiunti dalla legge Finanziaria
in discussione proprio in queste settimane).
A far lievitare la spesa,
una serie di motivi: i costi
sempre più elevati per il mantenimento delle Forze Armate (da qualche anno, dopo
l’abolizione della leva obbligatoria, formate solo da soldati
di professione) che assorbono
il 72 per cento dell’intero bilancio (nel 2002, in base ai
dati forniti ad Adista dalla
campagna “Sbilanciamoci!”,
tale voce di spesa incideva
solo per il 48 per cento); le
missioni militari all’estero,
diventate sempre più numerose e costose; l’acquisto di
nuovi armamenti; la partecipazione dell’Italia a programmi di riarmo in partnership
con diversi Paesi europei
(Gran Bretagna, Germania e
Spagna per la costruzione del
cacciabombardiere Eurofighter) ed extra-europei (Stati Uniti, , Canada, , Australia
e Turchia oltre a Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia e
Olanda per la progettazione
e costruzione di un altro tipo
di cacciabombardiere, l’F35Lightnight II).
E’ confermato lo stanziamento di cento milioni per il
2007, 210 milioni per il 2008,
310 milioni per il 2009 e 310
milioni per gli anni successivi. Sono finanziate le attività
previste dalla legge 805/85 in
favore delle imprese italiane
del settore aeronautico (comma 482). Il comma 483 rifinanzia gli interventi autoriz-
zati dalla legge 140/99 per il
settore aeronautico e duale,
con particolare riferimento all’elettronica. Il comma 484
provvede ad assicurare continuità al programma di coproduzione internazionale relativo all’aereo Eurofighter.
Pure confermato lo stanziamento di 1,7 miliardi di
euro per il 2007, 1,550 miliardi euro per il 2008 e di 1,2 miliardi di euro per il 2009. Il
Fondo è destinato a finanziare i programmi di investimento pluriennali, sia per esigenze di difesa nazionale, sia in
attuazione di accordi internazionali. Per gli anni successivi al 2009 viene previsto il rifinanziamento mediante ricorso alla legge finanziaria
degli anni futuri.
Il Fondo destinato a provvedere alla rimessa in efficienza dello strumento militare mediante sostituzione, ripristino e manutenzione ordinaria e straordinaria di mezzi, materiali, sistemi infrastrutture, ecc è stato ridotto
di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e
2009. Di conseguenza lo stanziamento è fissato in 350 milioni (invece di 400 milioni)
per il 2007, di 450 milioni (invece di 500 milioni) per ciascuno degli anni 2008 e 2009.
Per ciascuno degli anni
2007, 2008 e 2009 si spenderà 1 miliardo di euro per la
partecipazione italiana a missioni internazionali. Tale fondo è istituito nell’ambito del
bilancio del Ministero dell’Economia. Il termine per le
autorizzazioni di spesa per le
missioni internazionali in scadenza il 31.12.2006 è prorogato al 31.1.2007.
Per la Cooperazione allo
sviluppo lo stanziamento è
aumentato di 50 milioni per
ciascuno degli anni 2007, 2008
e 2009 prelevati dal fondo per
la manutenzione militare
Per il programma navale
FREMM viene confermato lo
stanziamento di 60 milioni
per il 2007, 135 milioni per
ciascuno degli anni 2008 e
2009 e dal 2010 fino al 2022
1.665 milioni di euro.
Infine è confermato lo
stanziamento di 2,254 milioni di euro per ciascuno degli
anni 2007,2008 e 2009 per le
operazioni umanitarie di sminamento.
BAN KI MOON
NEO SEGRETARIO ONU
Thant. Lo stile del nuovo Segretario appare improntato
alla prudenza: un tratto che
alcuni membri del Consiglio di
Sicurezza, come gli Stati Uniti, hanno trovato attraente
dopo la gestione di Annan, giudicata da Washington troppo
aggressiva. Ban Ki Moon ha
promesso di ricucire gli strap- Telefono nemico
pi tra Stati membri e di pilotaNell’articolo “Telefono nemico”
re l’elefantiaca burocrazia del- pubblicato sul numero di noveml’ONU attraverso una drasti- bre de L’INCONTRO è stato omesso quanto avvenne a danno di Roca cura dimagrante.
*
L’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato la designazione, fatta dal Consiglio
di Sicurezza, del nuovo Segretario Generale (l’ottavo nel
corso degli anni) che sostituirà dal 1 gennaio 2007 l’attuale
Segretario Kofi Annan, alla
scadenza del mandato. Tra sei
candidati è stato scelto l’ex-ministro degli esteri sud-coreano Ban Ki Moon, 62 anni, già
ambasciatore presso l’ONU a
Washington, consigliere presidenziale per la politica estera e dal 2004 capo della diplomazia della Corea del Sud.
Il timone del Palazzo di
Vetro torna dunque asiatico
dopo 15 anni dell’Africa (tra
Annan e il predecessore Boutros Ghali) e per la prima volta dai tempi del birmano U
RITIRATI DALL’IRAQ
I MILITARI ITALIANI
Dopo 3 anni e mezzo i militari della missione “Antica
Babilonia” – che dal giugno
2003 sono stati impegnati nella
base di Nassiriya – hanno lasciato il territorio dell’Iraq, tornando in Italia. Durante la permanenza a Nassiriya i militari
hanno avviato 800 progetti di
assistenza (sanità, istruzione,
ecc.) ottenendo l’apprezzamento della popolazione locale. La
missione, che ha avvicendato
circa 30 mila uomini, è costata
la vita a 32 militari e 2 civili in
seguito all’attacco dei terroristi islamici. Si è così conclusa
un’esperienza contestata dai
pacifisti per il sostegno dato dai
militari italiani all’occupazione dell’Iraq da parte delle Forze americane.
in India e Cina, suggerendo la
pratica di feticidi e infanticidi selettivi a danno delle bambine nei
due Paesi più popolosi del mondo, nonostante le iniziative dirette a sradicare tali pratiche. Se più
di 115 milioni di bambini in età
di istruzione primaria non frequentano la scuola, per ogni 100
bambini che non la frequentano
sono ben 115 le bambine nella
medesima situazione.
Il Rapporto rileva che “le
donne spesso lavorano di più ma
guadagnano e possiedono di
meno degli uomini”. L’UNICEF
pur riconoscendo “progressi per
quanto riguarda l’inserimento
delle donne nella forza lavoro”
rileva che questi “sono stati però
minori se si considera il miglioramento delle condizioni lavorative, il riconoscimento del lavoro non pagato, l’eliminazione
della pratiche e delle leggi discriminatorie sui diritti di proprietà
e di successione, il sostegno per
l’assistenza all’infanzia”.
Viene denunciata anche la
scarsa rappresentanza delle donne nella vita politica in ambito
locale e nazionale, mentre il loro
coinvolgimento può contribuire
allo sviluppo di legislazioni più
attente alla condizione di donne,
bambini e famiglie.
L’influenza delle donne nei
parlamenti incoraggia mutamenti nell’agenda delle proprietà dei
loro colleghi maschi, ma “nonostante i progressi, le donne restano ampiamente escluse dalla politica”.
Nel luglio 2006, le donne costituivano – a livello mondiale –
meno del 17 p.c. di tutti i parlamentari, in un rapporto di circa
1 a 6. Con gli attuali tassi di progresso, la parità nei parlamenti
nazionali non sarà raggiunta prima del 2068.
“Il conseguimento del terzo
Obiettivo di sviluppo del millennio (promuovere l’uguaglianza di
genere e potenziare il ruolo del-
le donne) contribuirà al raggiungimento di tutti gli altri obiettivi:
dalla riduzione della povertà e
della fame alla protezione della
vita dei bambini, la promozione
della salute materna, l’istruzione
universale, la lotta all’AIDS, alla
malaria e alle altre malattie dell’infanzia, contribuendo anche a
garantire la sostenibilità ambientale”.
Anche un Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) fornisce dati molto
interessanti: 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini (dati
del 2002) sono vittime di violenze fisiche o sessuali. Il 36 p.c. delle donne fra 20 e 24 anni sono
sposate o convivono prima dei 18
anni, soprattutto nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale. Ogni minuto una donna muore per complicanze durante il parto, per un totale di 500.000 vittime ogni anno.
Il 99% di queste morti avviene nei Paesi in via di sviluppo
(90% concentrati in Africa e
Asia).
Circa 14 milioni di ragazze fra
i 15 e i 19 anni partoriscono ogni
anno. Se al parto una madre ha
meno di 18 anni il rischio che il
figlio muoia entro il primo anno
di vita è 60 volte maggiore.
In Burkina Faso, Mali e Nigeria, almeno il 75% delle donne afferma che sono i mariti a
prendere decisioni per la loro salute. Lo stesso Bangladesh e Nepal per il 50% delle intervistate
e nello Stato di Gujarat (India) il
50% ha detto di non poter portare i figli dal dottore senza il permesso del marito o suocero.
In parte dell’Africa e dei Carabi, le ragazze tra i 15 e i 24 anni
corrono un rischio 6 volte maggiore rispetto ai coetanei maschi.
Le donne costituiscono circa 13,2
milioni (il 59% degli adulti) malate di AIDS nell’Africa a sud del
Sahara.
PARLANO I LETTORI
Servizi segreti
Ho letto quanto L’INCONTRO
ha scritto sul SISMI, il Servizio per
le informazioni e la sicurezza militare, che è l’organo del contro spionaggio, da tempo in crisi, dopo l’illecita cattura dell’imam Abu Omar
e le intercettazioni telefoniche a
danno di Prodi e molti altri personaggi.
Vorrei sapere quali sono gli altri organismi di controllo esistenti
in Italia.
Tullio Rossini (Livorno)
Oltre al SISMI, funziona il SISDE (Servizio per le informazioni
e la sicurezza democratica), lo
SCICO (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) effettuato dalla Guardia di Finanza, il ROS (Raggruppamento
Operativo Speciale) dell’Arma dei
Carabinieri, che opera in tre settori: criminalità-organizzata, eversione, estorsioni, il GICO (Gruppo
d’Investigazione sulla criminalitàorganizzata) che è un’unità della
Guardia di Finanza, specializzata
nell’investigazione tributaria, economica e finanziaria contro il riciclaggio, la DIGOS (Divisione Investigazioni Generali e Operazioni
Speciali) che è una Divisione operativa della Polizia impegnata nella lotta al terrorismo.
Infine il CESIS (Comitato Esecutivo per i Servizi d’Informazione
e sicurezza) che coordina i Servizi
Segreti e il COPACO (Comitato
Parlamentare di controllo per i Servizi d’Informazione e sicurezza e
per il segreto di Stato).
Tutti questi Servizi, assai onerosi per il bilancio dello Stato, a cui
non debbono giustificare le spese
d’esercito della loro attività, sono
stati istituiti per rimediare alle deviazioni dei vari SID, SIFAR, ecc
gravemente compromessi in attività illecite e contrarie ai loro compiti istituzionali.
Poiché gli scandali del SISMI
e del SISDE si ripetono da tempo
pregiudicando una retta gestione
dei rispettivi Servizi, appare necessario liquidare entrambi in quanto
strumento si speculazioni politiche,
sostituendoli con organismi che diano effettive garanzie di indipendenza e correttezza.
mano Prodi, cioè le 128 rilevazioni
abusive della posizione tributaria
sua e della moglie da parte di membri dell’Agenzia delle Entrate, del
Demanio, delle Dogane, della
Guardia di Finanza. I 128 funzionari, in gran parte di Milano, acquisirono notizie riservate in merito a
proprietà, stipendi, partecipazioni
societarie, cessioni, ecc. dei coniugi Prodi. Uno spionaggio durato
due anni mediante intercettazioni
telefoniche e computer, commettendo il reato di accesso abusivo
ad un sistema informatico protetto.
I quotidiani di centro-destra, fra
cui “IL GIORNALE” (proprietà della famiglia Berlusconi) pubblicarono alla vigilia delle elezioni, nello
scorso aprile, che Romano Prodi
e la moglie Flavia Franzoni, approfittando della legge esentasse sulle donazioni, avevano versato ai
loro figli la somma complessiva di
870 mila euro per comprar casa.
Un mezzo scandalo, poiché in pie-
na campagna elettorale il Centrodestra accusava il Centro-sinistra
di voler ripristinare la tassa sulle
successioni.
La notizia veniva riportata con
eccessivi particolari (giorno della
donazione, nome del notaio, motivo della donazione, estremi dell’atto notarile, repertorio e numero di
fascicolo), evidentemente diffusi da
ambienti politici a scopo scandalistico in vista delle elezioni. Anche
una ventina di personaggi di entrambi gli schieramenti (con prevalenza del Centro-sinistra), cioè parlamentari, finanzieri d’assalto, calciatori, gente dello spettacolo, furono oggetto dello spionaggio illegale.
Ciò premesso, occorre non ricondurre tali fatti all’attività infedele di qualche funzionario, responsabile materiale degli illeciti, ma si
risalga a chi ha autorizzato, ispirato o è stato mandante di atti lesivi
della libertà dei singoli e del rispetto della “privacy”, in particolare ai
Servizi Segreti sempre più squalificati e pericolosi.
Tullio Bassi (Roma)
Partito
Democratico
Nel complicato scenario politico attuale l’operazione per fondere nel futuro Partito Democratico le
due anime del Centro-sinistra mi
sembra sempre più avventurosa.
Intanto cosa sarà questo Partito: un nuovo soggetto politico o
una fusione tra ex-comunisti e cattolici? Nascerà da un accordo tra i
vertici o da un referendum fra gli
iscritti a DS e alla Margherita? Risulterà un novello compromesso
storico o un permanente dibattito
interno sino alla scioglimento del
Partito?
Recentemente l’on. Peppino
Caldarola ha detto che il Partito
Democratico ormai sta fra l’archivio e il frigorifero. A sua volta Walter Veltroni, Sindaco di Roma, ha
commentato: “Sono più pessimista
che nei mesi passati. Vedo troppi
‘si, ma…’ e non so se ci sia la voglia e il coraggio di compiere quel
passo”.
Per conto mio i due nodi (la
questione socialista e quella cattolica) sembrano insolubili, perché
ciascuno considera “valori non negoziabili” i propri .
Orbene, senza contenuti ideologici, nessun Partito può essere
costituito. C’è quindi il pericolo che
i contrasti interni paralizzino l’azione politica anziché rafforzarla.
Domenico Pavesi (Ravenna)
Parlamentari
Ho letto nel nuovo libro di Peter Gomez e Marco Travaglio “Onorevoli Wanted ” (Editori Riuniti,
Roma) l’elenco dei membri della
Camera dei deputati, del Senato,
del Parlamento europeo, che risultano pregiudicati, condannati in primo o secondo grado, indagati, rinviati a giudizio, beneficati da prescrizioni, amnistie, leggi speciali.
Precisamente sono 25 con condanne definitive, 57 di altre cate-
gorie legali, in totale 82, ai quali
vanno aggiunti i politici che prendevano soldi da Parmalat. Ciò significa che su 944 parlamentari,
una percentuale di circa il 10% ha
conti aperti con la Giustizia, in prevalenza per reati di corruzione
amministrativa.
Non sarebbe doveroso per la
serietà e l’importanza delle pubbliche istituzioni che la Giunta per le
elezioni controllasse la posizione
giuridica di ogni parlamentare prima del suo insediamento, escludendo dal seggio almeno i condannati con sentenza definitiva?
Ludovico Martelli (Roma)
Polonia
Nell’articolo “Una grande speranza. Il progetto DNA-SHOAH”
pubblicato sul numero di novembre
de L’INCONTRO, l’autore Gustavo
Ottolenghi usa erroneamente la locuzione “campo di sterminio polacco di Treblinka”.
Più volte l’Ambasciata della
Repubblica di Polonia a Roma ha
sollecitato i “media” italiani a non
usare mai l’espressione “lager polacco”, nonché “campo di sterminio polacco”, in quanto si tratta di
campi di concentramento e sterminio costruiti dal III Reich tedesco
sul territorio occupato della Polonia durante la seconda guerra mondiale.
Artur Soroko
Ufficio stampa dell’Ambasciata
della Polonia a Roma
Omosessuali
L’INCONTRO ha più volte difeso i diritti degli omosessuali, ma
ha ignorato l’altra faccia della medaglia. Infatti costoro esagerano
sovente non solo per deprecabili
forme di esibizionismo, ma per
comportamenti contrari ad una civile convivenza.
Nell’ospedale torinese in cui
sono stato ricoverato, ho dovuto
assistere, con ripugnanza, a gesti
osceni e ad un turpiloquio disgustoso di un omosessuale visitato da
un suo “partner”. Inoltre la promiscuità con codesti personaggi,
magari affetti da AIDS, suscita timori per la propria salute...
Lettera firmata (Torino)
È augurabile che episodi del
genere non si debbano ripetere e
che una consapevole autocritica rimedi a taluni eccessi.
Della propria omosessualità
non ci si deve né vantare, né vergognare, usando verso gli altri il rispetto che giustamente si pretende verso di sé.
Rettifica
Nella rubrica “PERISCOPIO”
su L’INCONTRO di novembre, nel
pezzo intitolato “Lady Mastella”, la
signora Linda Lanzillotta attuale ministro degli Affari Regionali, (che,
se non vado errato, dovrebbe essere la consorte dell’ex-ministro
Franco Bassanini) viene indicata
quale consorte del vice Primo Ministro Francesco Rutelli mentre la
“verace” consorte di Rutelli è la
giornalista Barbara Palombelli.
Svista di poco conto in sostanza, ma se ci mettiamo nei panni
dell’ex-radicale anticlericale e nonviolento, ora trasferitosi armi e bagagli sull’altra sponda del Tevere
al servizio del Vaticano, sentirsi attribuire un’altra moglie come minimo si sentirebbe in grande imbarazzo.
Oreste Roseo (Savona)
IMMIGRAZIONE
Si suole denigrare gli immigrati, specialmente quelli provenienti da Paesi extra-comunitari, sia dall’Africa che dall’Est
europeo. Ma si dimentica o si
finge di ignorare che molti di
questi immigrati vengono sfruttati dagli italiani. In un’intervista
al “Corriere della Sera” il Ministro dell’Interno, Giuliano Amato, ha denunciato le condizioni
degli immigrati nel nostro Paese, attribuendo colpe agli italiani, che alimentano il mercato
nero, impongono prezzi esosi
nell’affittare abitazioni, ricorrono alle prostitute, anche se minorenni.
Gli stessi giovanissimi che
lavano i vetri alle automobili ferme ai semafori sono sfruttati
anche da italiani. “Buona parte
della nostra edilizia - afferma il
Ministro - vive di lavoro nero
immigrato. Costano molto meno
e si denuncia la loro presenza
nel cantiere soltanto allorché
subiscono un incidente sul lavoro, per evitare i guai e sono i più
fortunati. Altri ricevono una
somma in contanti purché spariscano…”.
Dunque lo stesso Ministro riconosce che i nostri connazionali si lamentano per i reati commessi dagli stranieri in Italia, ma
realizzano profitti sul lavoro
nero degli immigrati. Occorre
giudicare senza pregiudizi il fenomeno dell’immigrazione e riformare la inadeguata legge
Bossi-Fini per bloccare l’afflusso dei clandestini e tutelare i
diritti degli immigrati regolari.
Silvio Minetti
*
MOSTRA SUL
PARLAMENTO
Una rassegna intitolata “La
rinascita del Parlamento dalla Liberazione alla Costituzione”, già presentata a Roma e Genova, è stata
inaugurata a Torino, in attesa di
trasferirsi a Trieste e in altre città.
La Mostra, costituita da grandi fotografie, pannelli, video dell’epoca, riproduzioni di documenti, testimonia le vicende politico-istituzionali che portarono
– dopo la Liberazione e le elezioni del 2 giugno 1946 – ai lavori
dell’Assemblea per la redazione
della Costituzione repubblicana,
rivolgendosi, con linguaggio divulgativo e interessanti filmati,
soprattutto ai giovani che non
hanno vissuto quel periodo. I numerosi manifesti e l’ampia documentazione presentata nella mostra sono frutto di ricerche effettuate da curatori negli istituti storici e in archivi anche privati di
tutta Italia.
Molti di questi provengono
dai centri piemontesi: gli istituti
storici della Resistenza di Torino e Cuneo, la fondazione Einaudi, l’Istituto Gramsci, il Centro
Studi Giorgio Catti di Torino ed
il Museo civico di Cuneo.
*
SIAMO 6,6 MILIARDI DI
PERSONE NEL MONDO
La Fondazione tedesca
per la popolazione mondiale ha reso noto, nel suo Rapporto annuale, che sulla Terra vivono attualmente 6,6
miliardi di persone. Esse aumenteranno a 9,2 miliardi di
persone entro il 2050. L’aumento si verifica soltanto
nei Paesi in via di sviluppo,
mentre l’Europa perde ogni
anno 900 mila abitanti ed invecchia sempre più.
Invitiamo i Lettori a
segnalarci i nominativi di persone o di associazioni culturali
che gradirebbero ricevere copie di saggio
de L'INCONTRO
Perché viva
La sottoscrizione “Perchè viva L’INCONTRO”
continua regolarmente.
L’elenco dei sottoscrittori è conservato presso la
nostra redazione a disposizione dei lettori. L'ottavo
elenco della sottoscrizione
si chiude con un totale di
euro 3.547,75.
Direttore responsabile
Avv. BRUNO SEGRE
Comitato di redazione
prof. Paolo Angeleri
prof. Marco Brunazzi
prof. Giorgio Giannini
arch. Gabriele Manfredi
prof. Maria Mantello
dott. Gustavo Ottolenghi
Tipolitografia ARTALE s.n.c.
V. Reiss Romoli, 261 - TORINO
Tel. 011.226.99.80 - 011226.99.90
Distribuzione: Fratelli De Vietti
Via Cebrosa, 21 - Settimo T.se
Telef. 011.896.18.11
Registr. al Tribunale di
Torino n. 481 del 9-IX-1949
Monthly printed in Italy
Rinnovate
l’abbonamento
a L’INCONTRO
Scarica

eutanasia - Associazione Nazionale del Libero Pensiero