AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
63° Corso
di Formazione Base
11 ottobre – 08 novembre 2011
AVO TORINO
Via S. Marino, 10 - 10134 Torino
Tel 011 318 76 34
Tel e Fax 011 319 89 18
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Programma del 63° Corso di Formazione Base
Martedì
11/10/11
Presentazione del Corso
Roselena Testore, Consigliere, Responsabile Formazione Base
AVO Torino: dallo Statuto al Servizio
Maria Teresa Emanuel, Presidente AVO Torino
L’AVO nel contesto del volontariato piemontese
Leonardo Patuano, Presidente AVO Regionale
Il volontario nel rapporto con il malato
Elena Ferrario, Curatrice formazione su AVO Torino Informa
Giovedì
13/10/11
L’ascolto nella relazione d’aiuto
Nadia Gandolfo, Consigliere, Responsabile Formazione Permanente
L’ospedale pediatrico
Paola Pecco, già primario Ospedale Infantile Regina Margherita
Martedì
18/10/11
L’anziano e i suoi problemi: bisogni reali e desideri
Maurizio Rocco, Medico Geriatra Ospedale Molinette
Diritti e risorse per le persone ricoverate
Maria Cristina Odiard, Assistente Sociale Ospedale Mauriziano
Giovedì
20/10/11
L’approccio al malato oncologico
Monica Seminara, Psicologa psicoterapeuta, collaboratrice FARO
Norme d’igiene per i volontari in ospedale
Simona Fantino, Infermiera Prevenzione Infezioni al Martini
Martedì
25/10/11
Motivazioni del volontariato
don Sergio Messina, Assistente Spirituale Villa Cristina
L’organizzazione AVO all’interno degli ospedali
Maria Vittoria Faga, Consigliere, Responsabile Ospedali
Giovedì
27/10/11
Il Gruppo e l’Associazione
Laura Montanaro, già responsabile Formazione Permanente
Norme di Sicurezza per i volontari in ospedale
Antonio Gallo, volontario AVO Mauriziano
Etica: uno sguardo sui dilemmi del nostro tempo
Michela Galetti, già responsabile Formazione Continua OIRM Sant’Anna
Giovedì
03/11/11
L’AVO incontra la Multicultura
Ruben Nasi, Operatore Gruppo Abele
AVO Giovani
Marco Sarti, Consigliere AVO Giovani
AVO Torino Informa
Eugenia Berardo, Responsabile Giornale AVO Torino Informa
Il Disagio Psichico
Tania Margiotta, Psicoterapeuta – Consulente Villa Cristina
Martedì
08/11/11
L’uomo fragile: la malattia, la sofferenza e la cura
Francesco Scaroina, Direttore Dipartimento Medicina S. Giovanni Bosco
Conclusioni
partecipanti al corso
da Giovedì 10/11 Colloqui a gruppi per inserimento in ospedale
a Venerdì 11/11 Gruppo Formazione e Responsabili Ospedale
Mercoledì
22/02/12
Dopo il tirocinio: esperienze a confronto
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Presentazione del Corso
“... Il coraggio di non lasciarli soli ...”
Oggi si parla tanto di coraggio ... siamo circondati da tante nuance di coraggio nel nostro
quotidiano ed ognuno di noi non è esente da almeno una:
coraggio di lottare,
coraggio di dire le proprie idee,
coraggio di ―andare‖ contro corrente,
coraggio di amare,
il coraggio di andare avanti,
ecc...
... ma cosa davvero significa avere coraggio?
Leggendo la definizione della Garzanti non ho potuto fare a meno che pensare all’AVO ...
sembrava scritta per noi ... la prima definizione è adatta alle persone che cerchiamo di aiutare:
“forza d’animo nell’affrontare il pericolo o nell’avviare difficili imprese”
la seconda per noi Volontari:
“esortazione a non perdersi d’animo”.
La Vostra scelta di seguire un cammino di Volontariato è una prova di coraggio che la vita non
impone ma può fare di Voi persone coraggiose ...
Il coraggio di diventare Volontari sembrerebbe radicato nella capacità che l’individuo ha di
alleviare le sofferenze di chi soffre ... ma questa è solo una parte del coraggio ...
Diventare Volontari significa in primis mettersi in discussione, avere la forza di leggersi dentro, ed
essere ―veri‖ con se stessi. Solo chi ha il coraggio di accettare il proprio ―io‖ sarà capace di creare
e costruire con i più deboli un ―viaggio‖ insieme.
Ci vuole coraggio, soprattutto nel mondo di oggi, a mettere da parte il proprio ―io‖, i propri spazi e
priorità per gli altri ...
Ci vuole coraggio a comunicare fiducia e positività verso il futuro a chi è toccato da un profondo
vissuto emotivo ...
Ci vuole coraggio ad aiutare il malato a ritrovare un’identità e una forza per continuare a lottare e
...
soprattutto credere in chi ha coraggio ...!
Maria Teresa Emanuel
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
AVO Torino: dallo Statuto al Servizio
Maria Teresa EMANUEL – Presidente AVO Torino
AVO TORINO: LA NOSTRA MISSION
AVO: associazione nata grazie all’idea del Professor Longhini nel 1975 a Milano
Alcuni dati significativi dell’AVO:
244 AVO operative;
30.000 volontari in attività;
521 strutture di ricovero;
3.500.000 ore di servizio prestate in un anno
FederAVO: nasce nel 1978
AVO Torino
nasce nel 1981 grazie ad un piccolo gruppo di Volontari. Primo servizio presso l’Ospedale
Gradenigo.
Alcuni dati significativi dell’AVO Torino:
985 Volontari;
16 strutture ospedaliere e case di riposo
81.000 ore di servizio prestate in un anno
…Mission AVO: aiutare chi soffre…
AVO TORINO: I NOSTRI VALORI
AVO si basa su valori molto ben radicati che permettono di agire ogni giorno.
I Volontari AVO vivono e credono in questi principi che sono i principali driver del loro
Volontariato:
Solidarietà
Condivisione
Motivazione
Gratuità
Senso di Appartenenza e Lavoro di squadra
Coraggio di Tutelare i diritti dei pazienti
Schierarsi dalla parte dei più bisognosi
AVO TORINO: LE NOSTRE COMPETENZE
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
AVO Torino ha costruito la propria credibilità verso i malati e le istituzioni attraverso le competenze
professionali che ha sempre cercato di perfezionare con il tempo.
La formazione e la specializzazione dei Volontari sono priorità del nostro Volontariato
per
poter
ottimizzare il servizio al paziente.
Nel corso del tempo abbiamo costruito, impegnando molte risorse sia interne che esterne, training di
base e specifici per venire incontro a tutte le esigenze del malato. Questo è stato voluto con ―forza‖ e
passione dalla nostra Associazione per dare al Volontario tutti gli strumenti per svolgere al meglio il
proprio servizio.
Le nostre competenze sono il nostro migliore ―biglietto da visita‖ per accrescere la nostra visibilità
nella società e veicolare i nostri valori e capacità nel mondo del Volontariato.
In conclusione, la formazione e il focus sulle competenze dei nostri Volontari sono e saranno sempre
un nostro obiettivo primario per essere all’avanguardia e preparati per offrire il miglior servizio al
paziente.
Lo statuto
Denominazione, sede, durata, oggetto e finalità, rapporti con Federavo, patrimonio ed entrate
Soci (tirocinanti, ordinari,..), diritti e doveri dei soci, accettazione delle richieste di ammissione a
socio, decadenza da socio
Organi dell’associazione:
Assemblea dei soci
Consiglio esecutivo
Presidente del Consiglio esecutivo
Collegio dei revisori dei conti
Commissione di disciplina
Gratuità cariche ed incarichi, divieto distribuzione utili, scioglimento associazione
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
L’ AVO nel contesto del volontariato piemontese
Leonardo PATUANO – Presidente AVO Piemonte
L’inizio di un corso base è sempre un’emozione, ci si pone dinanzi alla domanda, come possiamo
trasmettere le motivazioni di ciò che proviamo a persone che si accingono ad entrare in
un’Associazione come la nostra, l’AVO.
Ma l’emozione deve lasciare il posto alla razionalità con il compito di illustrare chi siamo, cosa
facciamo, qual è il nostro compito presso le strutture dove la sofferenza è di casa. La nostra
Associazione ha raggiunto di traguardi importanti, e questo ci sollecita a riflettere sulla nostra storia
appena trascorsa e i cambiamenti che vi sono stati al mutare della situazione sociale.
La medicina compie passi da gigante, consenso informato, degenze brevi,
badanti, acqua in bottigliette di plastica, acqua gel....
Il presente c’impegna a guardare al futuro per interpretare e svolgere meglio la nostra missione
rivolta alla persona, che in una società sempre più tecnologica come quell’attuale, di pari passo
deve sviluppare l’umanizzazione dei luoghi dove siamo presenti, i nostri servizi sono, non solo di
carattere pratico ma, sempre più, di un supporto molto importante, l’ascolto, mi rendo conto e lo
sappiamo tutti, che è la cosa più difficile.
Il nostro fondatore, il Prof. Erminio Longhini nel lontano 1975 ebbe l’intuizione che forse mancava un
anello di congiunzione, (tra malato, parenti e struttura ospedaliera) rappresentato dall’opera ricca e
disinteressata del Volontario.
Da allora siamo cresciuti, ed oggi alla FederAvo fanno parte 246 AVO locale, siamo presenti in circa
500 strutture ospedaliere e case di riposo con 30.000 volontari e più di 3.500.000 ore effettuate.
In particolare, l’AVO Regionale Piemonte raggruppa 17 AVO locale, operiamo in 34 comuni e 65
strutture tra ospedali e Case di Riposo, con circa 3.000 volontari e circa 330.000 ore di servizio.
Tutto ciò comporta impegno, ma soprattutto formazione.
Dalla formazione di base per i nuovi volontari, a quella ancora più importante che è la formazione
permanente.
Come ha rilevato il Prof. Longhini, nel suo intervento al 18° Convegno di Sibari nel 2008, quasi
ottantenne e sempre pronto a spronarci per nuove sfide.
“Non abbiate paura, ma tenete presente che preparazione, formazione,
conoscenza sono
le basi portanti del nostro volontariato”
Sì, perché dobbiamo farci interpreti delle nuove esigenze e bisogni emergenti, per questa ragione la
nostra preparazione deve essere all’altezza dei tempi che mutano, che in ogni caso non esclude la
spontaneità dei volontari, persone uniche e irripetibili.
Com’è stato affermato più volte, noi non ci sostituiamo a nessuno nei compiti o funzioni, ma
integriamo, per questo motivo il nostro operato è fluido, chiaro, sereno e senza secondi fini.
Come possiamo rapportarci con l’attuale sistema?
Apro una breve parentesi di memoria:
Il Servizio Sanitario Nazionale nel 2008 ha compiuto 30 anni, infatti, con la legge 883 del 1978 si
sancisce la: Universalità, globalità e uguaglianza dell’assistenza e alle cure sanitarie nel rispetto
dell’art. 32 della Costituzione sulla tutela della salute.
In questi anni il bisogno di sanità è in continuo aumento e in rapida trasformazione, ma spesso la
ricerca medica non va di pari passo con l’attenzione alla persona, c’è quindi la necessità di umanizzare
l’ambiente ospedaliero affinché il malato, la persona possa essere curata nel suo insieme, fisico
morale e spirituale.
Chiudo questa parentesi con una frase di Franz Kafka:
Scrivere una ricetta è facile, parlare con un sofferente è molto più difficile.
Per sostenere la tesi che ―l’ascolto e un sorriso, sono terapia nella relazione d’aiuto‖.
La FederAvo da qualche tempo avanza un’esplicita richiesta, che i volontari siano essi stessi
protagonisti con le loro idee, le proposte e la loro presenza siano da stimolo per perseguire
l’umanizzazione dei luoghi dove ―l’uomo soffre‖ e alla crescita della nostra Associazione.
Concludo con una frase del tema che ha caratterizzato il Convegno di Sibari:
―maggiore è la conoscenza di se e la condivisione del percorso formativo, maggiore è la possibilità di
superare i rischi, trasformando le difficoltà in opportunità di crescita,
―AIUTARSI PER AIUTARE
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Il volontario
nel rapporto con il malato
Elena FERRARIO - Volontaria ospedale Martini
Curatrice della rubrica di formazione di “AVO Torino informa”
PREMESSA
Diventare volontario ospedaliero significa avere ben chiaro che ci si occuperà di PERSONE che
attraversano momenti particolarmente difficili della loro vita: quelli della malattia, che implicano dolore,
paura, solitudine. Per occuparsi bene di loro non basta la buona volontà del futuro volontario.
Occorrono conoscenze e strumenti appropriati.
Perciò il Corso di base e il tirocinio che vi fa seguito, vanno intesi solo come le prime due tappe di un
percorso di crescita umana e professionale che il volontario dovrà seguire lungo tutto il periodo che
questi dedicherà al servizio dell’ammalato.
CHI E’ L’AMMALATO ? QUALI I SUOI BISOGNI ?
Per essere di aiuto agli altri occorre prima di tutto sapere con chi si ha a che fare e quali sono le sue
necessità.
L’ammalato deve ricevere non quello che il volontario ritiene possa essergli utile in base al
proprio giudizio, ma quello di cui l’ammalato ha effettivamente bisogno.
L’ammalato è una persona. Ogni persona è strutturata attorno a varie dimensioni:
1.
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4.
5.
Fisica: immagine di sé, dieta e alimentazione, sport, relax, ecc.
Mentale: interessi, ricordi, motivazioni, aspettative, atteggiamenti.
Sociale: amicizie, ruoli familiari e sociali, rapporto con l’ambiente, lavoro.
Emotiva: sentimenti, affetti, legami, perdite, ferite, meccanismi di difesa.
Spirituale: ricerca di scopo, valori etici, spiritualità, religione, virtù.
La salute nasce dall’equilibrio di queste cinque dimensioni. Quando questo equilibrio si rompe, insorge
la malattia. La malattia rende fragili. Il ricovero ospedaliero crea situazioni di dipendenza: dai medici,
dagli infermieri, dalle terapie, dall’assistenza dei familiari o di terze persone. La dipendenza è la forma
di disagio che accomuna tutti i ricoverati. Tuttavia occorre tener presente che non esiste un
ammalato uguale all’altro. Ognuno è la somma di tante biografie:
1.
2.
3.
4.
5.
Biografia fisica.
Biografia cognitiva
Biografia professionale - sociale
Biografia affettiva.
Biografia spirituale.
Le biografie variano enormemente da individuo a individuo, così come variano enormemente gli
atteggiamenti e le reazioni delle persone di fronte alla malattia.
Da quanto precede emerge chiaramente che i bisogni dell’ammalato rientrano in due fasce distinte:
A. Bisogni di ordine materiale, COMUNI A TUTTI, legati alla dipendenza: assumere i
pasti, essere accompagnati al bagno o in altro luogo dell’ospedale, essere aiutati nei
movimenti, procurarsi cose inaccessibili: un caffè, un giornale, ecc.
La risposta ai bisogni della fascia A non richiede nessuna preparazione particolare. Bastano pochi
accorgimenti che si imparano presto durante il tirocinio.
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Di solito vi è una tendenza un po’ troppo unilaterale a privilegiare questo genere di servizi perché:
-
così si è sempre fatto (forza della tradizione).
sono facili da eseguire per il volontario (non richiedono l’impegno dei bisogni di fascia
B).
la gratificazione è sicura e immediata ( FARE delle cose, farne tante, permette di
contabilizzare l’entità dei servizi del volontario).
Gli aiuti relativi a questa fascia, pur preziosi in determinate situazioni, hanno un carattere
essenzialmente utilitario.
*Un errore da evitare fin dall’inizio: ritenere che l’opera del volontario consista prevalentemente
nel soddisfare i bisogni della fascia A.
B. Bisogni individuali, DIFFERENTI DA PERSONA A PERSONA, legati alle biografie di
ognuno. Riguardano la sfera degli STATI D’ANIMO: mettono in gioco capacità di
ascolto, di sostegno, di conforto, di condivisione, di dare risposte.
La risposta ai bisogni della fascia B richiede l’esercizio di attitudini di base (empatia, disponibilità
all’ascolto, pazienza, umiltà) sostenuto da competenze specifiche da acquisire o da perfezionare a
poco a poco: familiarità col linguaggio dei sentimenti, capacità di riconoscerli, capacità di accoglierli
(contro la tendenza a soffocarli). Inoltre sono richiesti: sviluppo delle capacità di osservazione,
attenzione al linguaggio verbale, riconoscimento dei linguaggi non verbali (espressioni del volto e del
corpo), sensibilità.
La tendenza a schivare questo genere di aiuti è forte perché:
- richiedono impegno,disponibilità e conoscenze appropriate.
- obbligano al confronto con noi stessi, con le nostre ansie, con le nostre paure e a
metterci sempre in discussione.
- non sempre gratificano, anzi, possono essere ansiogeni.
Gli aiuti relativi a questa fascia sono benefici, sananti
“medicina” per il paziente.
per l’ammalato: il volontario
si fa
*Una verità di cui occorre convincersi da subito: “Per non perdere l’appuntamento del cuore”
(Pangrazzi, 2005), i bisogni individuali, che nascono dagli stati d’animo del paziente, sono
assolutamente prioritari nella relazione d’aiuto.
DEONTOLOGIA DEL VOLONTARIO
Da quanto precede si possono ricavare svariate indicazioni da tenere presenti in vista di un servizio
volontario responsabile ed efficace. Ecco intanto un principio generale:
La gratuità che caratterizza il
professionalità.
servizio volontario, non deve mai andare a scapito della
Professionalità significa:
I° Interpretare il servizio come un impegno equiparabile ad un lavoro part-time, che comporta pertanto
delle regole:
a. puntualità e regolarità nei turni settimanali, evitando le assenze per proprio comodo o per futili
motivi.
b. segnalazione tempestiva al responsabile del proprio reparto di eventuali assenze
improrogabili.
c. ordine e sobrietà nell’aspetto, richiesti dall’ambiente in cui si opera: camice pulito, capelli
raccolti, trucco leggero, niente sfoggio di gioielli.
d. spirito di collaborazione e di franca amicizia con i colleghi ed il coordinatore del proprio
reparto.
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
II° Svolgere il servizio con competenza:
a. essere discreti, silenziosi, non imporsi mai ai malati, ma proporsi con grande levità.
b. non disdegnare i servizi più semplici ma sempre tenendo presente l’opportunità di agevolare
nell’altro l’espressione dei sentimenti.
c. in tale prospettiva, mai ricorrere, nel colloquio col malato, ad espressioni che banalizzino o
facciano passare la voglia di confidarsi: ― non pianga‖… ―non dica così‖…‖suvvia, faccia un
pensiero positivo‖…‖ non deve aver paura per così poco”…
d. tenere presente che negli incontri è il malato, non noi, ad occupare la scena. Lasciargli spazio
significa far tacere i nostri bisogni di protagonismo. Ascoltare piuttosto che parlare, (per
proporre le nostre ricette, i nostri consigli, o, peggio ancora, per parlare di noi). Evitare altresì
le chiacchiere da intrattenimento puntando invece a scambi più sostanziali.
III° Fare il punto, a casa propria, sul servizio svolto:
a. Prendere nota, per non dimenticare, degli incontri più significativi o più problematici.
b. Dare una propria valutazione al servizio che abbiamo svolto, evitando gli eccessi di severità o
di indulgenza. Mettere in conto, soprattutto agli inizi, possibili errori di approccio, risposte
maldestre, battute inopportune.
c. Mettere in programma la possibilità, anzi il dovere, di migliorare le proprie prestazioni,
utilizzando coscienziosamente le risorse utili alla propria crescita personale: utilizzo della
biblioteca per documentarsi su aspetti del servizio che fanno problema, lettura attenta del
nostro giornale che propone sempre delle rubriche di formazione, partecipazione alle iniziative
formative promosse dalla struttura in cui operiamo o dalla segreteria centrale.(Formazione
permanente).
Conclusivamente:
Avere sempre presente, per il nostro volontariato e per la nostra vita che:
1. Non conta tanto il FARE quanto invece il COME si fa.
2. La soddisfazione più bella che potremo ricavare dal nostro servizio (a parte la
gratitudine che talvolta riceveremo dagli ammalati), consisterà nella consapevolezza di
avere messo tutto l’amore e tutta la competenza possibili nello svolgimento del compito
che ci siamo assunti.
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
L’ascolto nella relazione d’aiuto
Nadia GANDOLFO – Consigliera Esecutivo AVO Torino
Coordinatrice Responsabili Formazione
Premessa
La relazione di aiuto è quella specifica modalità relazionale che mette in comunicazione chi ha
bisogno di aiuto e chi fornisce aiuto.
Ogni relazione è un sistema, in quanto ognuno dei due influenza l’altro attraverso le parole, i
comportamenti e, a sua volta, ne resta influenzato. Anche la relazione volontario- assistito è da
leggersi in questa chiave. Il fatto che si denomini ―relazione di aiuto‖ è motivato dalla fatto che uno dei
due ha qualche necessità. Essa infatti é connotata come a-simmetrica tra le due persone che entrano
in relazione: nel nostro caso uno dei due ha meno salute, meno serenità, meno contatti sociale e
quindi minori relazioni affettive…
Il malato, aldilà delle sue difficoltà è una persona con una sua storia, un passato, una saggezza…che
forse, al momento, non può emergere. La sofferenza può ricondurre l’uomo nella sua dimensione più
nuda e sincera: è in grado di togliersi le maschere sociali.
La relazione di aiuto si svolge contemporaneamente nel reale e nel simbolico: intervengono elementi di
cui si è consapevoli ed altri che agiscono inconsciamente.
Scattano in entrambi (volontario e assistito) emozioni, vissuti, reazioni comportamentali che hanno
implicanze affettive.
Saper leggere, riconoscere e accettare le proprie emozioni, apprendere a comunicarle attraverso le
parole e attraverso il corpo senza permettere loro di straripare in modo incontrollato è l’obiettivo che si
pongono gli incontri di formazione e di scambio di esperienze che si attivano periodicamente nella
varie strutture, a livello di gruppi di reparto.
La ―mission‖ dell’AVO: Presenza e Ascolto.
Attraverso un ascolto consapevole e competente dei messaggi verbali e non verbali, delle intenzioni
implicite riguardanti sé e l’altro, il volontario si impegna per fornire un servizio di qualità.
Il servizio AVO infatti non si incentra sul fare, ma sulla Presenza e Ascolto.
La presenza implica stare accanto all’altro con autenticità e fiducia per creare le condizioni per un
dialogo a livello di partecipazione dei sentimenti. Ma queste condizioni da sole non bastano. Un
dialogo pienamente umano richiede agli interlocutori alcuni atteggiamenti o modi di essere capaci di
creare quella situazione emotiva in cui entrambi si trovino a proprio agio, sperimentino la gioia di stare
insieme: Si tratta di una presenza corretta in quanto permette all’interlocutore di essere se stesso e di
autorivelarsi con sincerità.
La Presenza è da intendersi in senso olistico: essere con la mente e con il cuore, creando in noi uno
spazio di attenzione per l’altro. E’dunque la nostra autenticità che si mette in gioco quando si entra in
relazione con l’altro.
Il volontario può diventare un animatore del tempo; la sua presenza può costituire un punto di
riferimento temporale, quando non sono carenti nel malato le coordinate spazio-temporali, a causa del
fluire sempre identico, ripetitivo degli eventi che cadenzano la giornata.
Spesso il volontario è chiamato a cercare dentro di sé e soprattutto nei gruppi di scambio di esperienze
la comprensione dei bisogni profondi dell’altro, cercando così di dare ―anima‖ ad aspetti della vita
mummificati dalla consuetudine o dallo scoraggiamento.
L’ascolto è una forma di comunicazione spesso sconosciuta, in quanto uno dei bisogni fondamentali
della natura dell’uomo sembra essere : parlare e parlare di sé.
E’ una verità così appariscente che può sembrare banale. Eppure nell’uomo d’oggi c’è un immenso
bisogno di dire, dire…qualsiasi cosa pur di comunicare con qualcuno. Tutti, con gli espedienti più
accorti, vanno a caccia di qualcuno che li ascolti. Ne consegue che la relazione di aiuto più efficace e
più gradita consiste non nell’abbondanza doviziosa di parole, ma nella disponibilità ad ascoltarla. La
scelta di ―regalare l’ascolto‖ è un metro che commisura bene la disponibilità al servizio e il beneficio
dell’incontro.
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Ascoltare è un atteggiamento attivo perché richiede un’attenta presenza di sé ed un investimento di
tutte le energie in ciò che si sta compiendo , come è già stato sottolineato per la presenza il volontario
è lì ―con la mente e con il cuore‖.
Ascoltare correttamente è molto faticoso per l’attenzione che richiede, per il coinvolgimento emotivo
che ne deriva, talvolta per la non condivisione di ciò che si ascolta, facendo in tal modo tacere la
nostra comunicazione intrapsichica, il nostro vissuto che colui che parla ridesta in noi.
Saper ascoltare è saper far tacere se stessi e dare precedenza all’altro; offrire ascolto è offrire
ospitalità: è accogliere in noi, in un certo senso, colui che parla con la sua interiorità e viverla insieme
almeno per poco. IL sentirsi ascoltati lascia appunto l’impressione di vivere in un altro o, meglio, di
avere qualcuno in cui vivere.
L’attenzione al linguaggio non verbale
Purtroppo la nostra cultura sopravvaluta l’importanza del linguaggio verbale, perché si pensa che
attraverso le parole possiamo essere più efficaci, farci capire meglio dagli altri.
Il linguaggio non verbale è in realtà il più immediato, il più veritiero . Accompagna e appoggia il
linguaggio verbale, anche se non ne siamo consapevoli; mentre si parla si gesticola, si assume una
certa postura che è molto eloquente circa il rapporto che stiamo stabilendo con l’altro. La stessa
vicinanza o lontananza dal malato (spazio prossemico) può essere letta come relazione affettuosa
oppure come invasività spaziale - relazionale non richiesta.
Avendo ridimensionato il potere della parola è vitale soffermarci sull’importanza del silenzio.
Il silenzio è una comunicazione senza suoni, è intensità di linguaggio in assenza di parole. Un ascolto
corretto sa fare uso ponderato delle pause di silenzio.
Spesso dinanzi ai silenzi dell’interlocutore si prova disagio e imbarazzo e si corre il rischio di riempirlo
con interventi inappropriati. I momenti di pausa e di silenzio danno a colui che parla la conferma
tangibile che si è lì per lui, senza fretta; non si hanno al momento motivi personali per intervenire, si è lì
non per parlare di noi, ma per stare con lui.
A conclusione una riflessione.
La relazione di aiuto come atto di gratuità, è un ―bene relazionale‖ a cui spesso nella nostra società
non si dà valore. Interessanti sono le ragioni individuate dal professor Bruni dell’Università
MilanoBicocca.
- La gratuità è legata alla sofferenza e la cultura contemporanea occidentale non accetta più il dolore,
fa di tutto per rimuoverlo.
- Il mercato tende a vendere merci che ―simulano‖ i beni relazionali veri, dalla televisione come
―mistificatrice‖ di rapporti veri con gli altri, alle nuove tecnologie..
- I beni relazionali sono costosi, vulnerabili, fragili in quanto richiedono reciprocità.
- Il grande errore cui induce l’estendersi della logica del mercato è associare la gratuità al ―gratis‖ .ad
un prezzo nullo, al non valore.
In realtà la gratuità corrisponde ad un prezzo ―infinito‖ e davanti alla logica del ―prezzo‖, le agenzie di
socializzazione, in particolare la famiglia e la scuola devono insegnare l’arte della gratuità, che ricorda
che i beni più importanti non possono essere ‖prezzati‖.
Il lavoro è importante ma il valore della gratuità lo è di più.
Si può vivere senza lavorare, ma si muore presto senza dare e ricevere amore.
Soltanto se si sperimenta la gratuità si può essere buoni lavoratori, costruttori di comunità di lavoro,
perché anche in società ricche, come in quelle più povere, resta vero che ―L’uomo felice ha bisogno di
amici‖ (Aristotele)
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
L’ospedale pediatrico
Dott.sa Paola PECCO – già primario Ospedale Infantile Regina Margherita
STORIA ED EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI UMANIZZAZIONE NELLE STRUTTURE
OSPEDALIERE
UMANIZZARE L’OSPEDALE: COSA SIGNIFICA?
RENDERE L’OSPEDALE PIÙ ATTENTO AI BISOGNI DELLA PERSONA (BAMBINO)?
Preoccuparsi di umanizzare l’ Ospedale è un eccezionale successo nel percorso di promozione della
dignità delle persone
BREVI CENNI DI STORIA PIÙ ANTICHI E PIU’ RECENTI
In Europa, fino all’800, il bambino non era oggetto di interesse né per le Istituzioni né per la Scienza
Medica
La Pediatria è una scienza che nasce in ritardo rispetto alle altre scienze mediche.
Il primo testo di pediatria ―De Morbis Puerorum‖ di G. Mercuriali esce nel 1583 e, per 2 secoli, rimane
pressoché l’unico
Era diviso in tre parti:
1°parte: Malattie esterne
2° parte: Malattie interne
3°parte: I vermi
Fino alla fine del 700 la cultura Pediatrica non esisteva per diffuso disinteresse dei medici verso
l’infanzia le cui cure venivano delegate alle madri o alle nutrici.
I medici ritenevano impossibile curare esseri che non erano capaci di dire di cosa soffrivano.
LA PEDIATRIA COME SCIENZA HA POCO PIÙ DI 100 ANNI
Il primo manuale di Pediatria è stato stampato a Torino nel 1892: ―Delle malattie dei bambini e delle
loro cure‖ di F.Capasso.
Nel 1882 l’Università di Padova, per prima, istituisce l’Insegnamento della Pediatria, separato da quello
della Medicina Generale e dell’Ostetricia.
Nel 1901 il Ministro Nasi inserisce la Pediatria nel Piano di Studi del Corso di Laurea in Medicina come
complementare e nel 1906 come obbligatorio.
Anche l’Ospedale Pediatrico è ―giovane‖.
Nel 1769 George Amstrong fondò il primo Ambulatorio Pediatrico pubblico e gratuito, sostenuto da
elargizioni caritatevoli.
Nel 1802 viene inaugurato a Parigi il primo Ospedale Pediatrico: l’Hopital des Enfants malades.
Nel 1834 viene inaugurato un Ospedale Pediatrico a S.Pietroburgo.
Nel 1852 il Great Ormon Street Hospital a Londra.
A Torino nel 1845 nasce il 1° Ospedale Pediatrico in Italia: l’Opera Pia Barolo (S. Filomena) voluto
dalla Marchesa Giulia Falletti di Barolo.
Nel 1880, in una casa di Corso Dante, il Dott. S. Lauria cominciò a ricoverare bambini.
Nel 1883 un Regio Decreto riconobbe quella casa come l’Ospedaletto Infantile della città di Torino; la
sua sopravvivenza era affidata alla carità e alle donazioni.
Nel 1901 l’ Ospedaletto si trasferisce in un edificio di nuova costruzione sito in via Menabrea 6 e
prende il nome di Ospedale Infantile Regina Margherita.
Tra gli anni ’70 e ’80 l’O.I.R.M. si amplia e si trasferisce completamente nell’attuale sede di Piazza
Polonia.
Nel 1926 era nato il Koelliker.
Solo agli inizi del ’900 anche in altre città italiane nascono gli Ospedali Pediatrici (Ancona, Trieste,
Brescia, Roma, Genova, Firenze).
a
Quindi la 1 conquista ―umanizzante‖ per il bambino è stata l’Ospedale Pediatrico.
Per questo preoccuparsi di umanizzare l’Ospedale Pediatrico è un eccezionale successo nel
percorso di promozione della dignità del bambino.
Anche la conquista del rispetto del bambino è recente.
All’inizio del 1900:
I neonati venivano fasciati in modo che non si potevano muovere per paura che le manovre
dell’accudimento procurassero danni alla loro fragile struttura ossea.
Venivano lasciati nella loro culla e ci si occupava di loro solo per i pasti e per i cambi dei
panni.
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Tutti, medici, nonni e genitori pensavano che i neonati non provassero sensazioni e che
neppure vedessero.
Nel 1968 due medici inglesi scrivevano:
―Raramente i bambini hanno bisogno di analgesici perché tollerano il dolore molto bene‖ (Swafford e
Allen)
DALLA CONSIDERAZIONE DEL BAMBINO AL RICONOSCIMENTO DEI SUOI DIRITTI.
Anche il riconoscimento dei diritti dei bambini è un traguardo recente.
I DIRITTI DEI BAMBINI - Riferimenti normativi.
Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del
fanciullo - New York 1989
Ratifica della convenzione di N.Y in Italia - Legge 27.5.1991 n. 176
Istituzione della Commissione parlamentare per l’infanzia e dell’ Osservatorio per l’infanzia –
Legge 23.12.1997 n. 45
DM 24.4.2000-Progetto obiettivo Materno - Infantile relativo al PSN triennio 1998-2000
Nel progetto obiettivo si dice::
―Il ricovero deve essere garantito in strutture idonee all’età dei minori e non in strutture dedicate agli
adulti‖
A QUESTI DOCUMENTI SI ISPIRA LA ―CARTA DEL BAMBINO IN OSPEDALE‖ ELABORATA DAGLI
OSPEDALI ADERENTI ALLA CONFERENZA DEGLI OSPEDALI
PEDIATRICI - Trieste 2002
Art. 6: Il bambino ha diritto alla tutela del proprio sviluppo fisico,psichico e relazionale.
Ha diritto alla sua vita di relazione.
Ha diritto a non essere trattato con mezzi di contenzione.
O.I.R.M. Fino alla fine degli anni ’70: i bambini ricoverati venivano contenuti con il ―corsetto‖ perché
non cadessero dal letto dato che i genitori non potevano stare con loro.
O.I.R.M. Negli anni ’80: la durata dei ricoveri per patologie ―normali‖ poteva durare anche 2 settimane.
Negli anni ’80 nel mio reparto le ―notizie‖ ai parenti venivano date in corridoio: il medico stava seduto
dietro la scrivania e i genitori stavano in fila, in piedi, in attesa del loro turno.
FINO AL 2000:
Nel Reparto di Pediatria ospedaliera non esisteva un servizio per i parenti.
Nel Reparto di Pediatria ospedaliera non esisteva una sala giochi.
Nel Reparto di Pediatria ospedaliera non esisteva uno studio per i Medici.
I bambini che arrivavano in Ospedale in condizioni critiche venivano curati con grande dedizione, il
personale infermieristico assisteva e accudiva i bambini con capacità e con amorevolezza, la cultura
dell’umanizzazione entra in Ospedale con l’Aziendalizzazione.
PARE CHIARO CHE UMANIZZARE L’ASSISTENZA PEDIATRICA, ANCHE NELL’OSPEDALE, HA
SIGNIFICATI AMPI , DI TIPO ORGANIZZATIVO E CULTURALE
UMANIZZAZIONE DI BASE
UMANIZZARE è rispettare il bambino come essere umano fin da quando nasce (e anche prima) e
assisterlo nel modo che è migliore per lui. Da questo presupposto deriva tutto il resto. I vari processi di
umanizzazione sono solo strumenti necessari ma non sufficienti.
UMANITA’ E UMANIZZAZIONE
Non c’è umanizzazione senza umanità che è empatia, ascolto, attenzione, disponibilità e fiducia
reciproca
L’UMANIZZAZIONE ha diverse componenti e diversi destinatari, effettori e mezzi:
Bambino
Genitori
Personale sanitario
Direzione
Fondi pubblici
Fondi privati
Volontariato
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
L’UMANIZZAZIONE ha molteplici aspetti:
Ricovero solo quando è necessario
Degenza breve
Dimissione protetta
DH-DS
Ospedalizzazione domiciliare
Monitoraggio domiciliare
Presenza costante di un famigliare
Attenzione all’ansia,alla paura,al dolore
Comunicazione adeguata con i parenti
Nome del bambino sopra il letto
Orario pasti
Scelta del menù
Consenso informato o informazione anche al bambino
Privacy
Approccio…‖Posso visitarti?‖
Il Cappellano in Ospedale
Una Casa di Accoglienza e Appoggio per i parenti
UMANIZZARE a tutte le età!
La terapia intensiva neonatale
Presenza dei genitori
Allattamento materno
Possibilità di toccare il bambino e prenderlo in braccio
Attenzione ai segnali comportamentali del neonato per una ―care‖ personalizzata (Programma
NIDCAP)
IL DOLORE IN OSPEDALE. Cosa si fa:
Terapia del dolore
Prevenzione del dolore da manovre diagnostiche o terapeutiche.
Dal 2005 è operativo il COSD (Comitato ospedale senza dolore).
UMANIZZAZIONE VUOLE DIRE ANCHE QUESTO e anche attenzione ai segnali più manifesti o più
nascosti indicativi di violenza fisica o psicologica. Cosa si è fatto:
Corsi di sensibilizzazione
Ambulatorio dedicato (Bambi)
UMANIZZARE significa anche pensare ai genitori e fornire loro una sistemazione decorosa e
confortevole. Cosa si è fatto:
Letto per le mamme
Possibilità di usufruire della mensa
UMANIZZARE significa organizzarsi per accogliere gli stranieri. Cosa si è fatto:
Informazioni in lingue diverse
Mediatrice Culturale
FUNZIONI della Mediatrice culturale.
Interpretariato linguistico.
Informazioni sui ―codici culturali‖ dell’utenza straniera per contribuire al rapporto medicopaziente
Veicolo di educazione sanitaria
Evitare il senso di isolamento degli stranieri
Sicuramente ho dimenticato molte cose ma, per farsele venire in mente, è utile fermarsi e chiedersi:
―Se io fossi al suo posto, cosa vorrei?‖
UMANIZZAZIONE DI LUSSO
I BISOGNI DEL BAMBINO:
La routine
Gli affetti
Lo svago
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
CIOE’
La routine è il sonno, il pasto, la scuola, il gioco…
Gli affetti sono i genitori, i parenti, gli amici…
Lo svago è tutto il resto…
―UN BAMBINO IN OZIO ha minori possibilità di essere sereno di un bambino che ha cose interessanti
da fare‖ (Rapporto Platt, 1959). Un bambino sereno guarisce prima (Paola Pecco)
.
A TUTTE LE ETA’
Il neonato e il lattante percepiscono e comunicano soprattutto attraverso le sensazioni, il contatto e il
tono della voce piuttosto che attraverso il significato delle parole.
COSA SI FA:
Massaggio infantile
Rooming-in
Nel 1982, per iniziativa di ITER-Centri Cultura per l’Infanzia è nato il Gruppo Gioco in Ospedale. MA
NON E’ SOLO GIOCO ! Il Gruppo Gioco in Ospedale svolge un’azione significativa di
accoglienza,accompagnamento e sostegno dei bambini ricoverati attraverso il gioco. Il Gioco, portato
nelle camere del bambino o in sala gioco è una occasione di normalità e distrazione ma anche
momento di informazione e di comunicazione.
E’ anche occasione di collaborazione con il personale sanitario e strumento per far crescere l’
attenzione verso i bisogni del bambino.
Le attività di G.G.O.
Sale Giochi
Biblioteca
Numerosi progetti
Le sale giochi all’O.I.R.M. sono state realizzate e sono gestite a seconda dei reparti dal G.G.O. o
dall’ABIO.
LA BIBLIOTECA: BIBLIOMOUSE è collocata all’ ingresso dell’Ospedale e gestita dal G.G.O. Accoglie i
bambini ed i loro genitori e dà i libri in prestito ai bambini ricoverati.
GLI ALTRI PROGETTI: ( con collaborazioni diverse)
Operazione in Gioco
La Storia cancella paura
Che ci faccio in Ospedale?
Il colore prende il volo
Le favole dei nonni
Il filo di Arianna
...
Tutti gli Ospedali Pediatrici hanno le loro iniziative di umanizzazione:
Musicoterapia
Pet-therapy
Spettacoli
Sale giochi
Pitture sui muri
…..
LA SCUOLA IN OSPEDALE ALL’O.I.R.M.:
1993: Scuola Media
1996: Scuola Elementare
2000: Scuola materna
2001: Scuola media Superiore
La scuola in Ospedale dà al bambino la sensazione di normalità, la scuola in Ospedale dà al bambino
Speranza.
E POI CI SONO I CLOWN!
I Clown in corsia sono uno svago per i bambini e, talvolta, anche un’occasione di allegria per il
Personale.
NON lavorano tutti allo stesso modo: alcuni gruppi stringono rapporti personali e duraturi con i bimbi,
altri no ma sicuramente sono sempre molto graditi.
I CLOWN DOTTORI DI TEODORA
DAL 2001 è arrivato in alcuni reparti dell’O.I.R.M. un Clown-Dottore, in arte Dottor Otto (e altri )
Tra i BISOGNI DEL BAMBINO (La routine, gli affetti, lo svago) IL CLOWN DOTTORE si colloca
NELLO SVAGO E NEGLI AFFETTI.
Il Clown (di Teodora) non è un volontario ma è un Artista che dedica parte del suo tempo e tutte le sue
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
competenze, non solo artistiche, ai bambini ricoverati. Lavora nelle camere, con i singoli bambini in
modo sommesso e, prima di entrare, ―bussa alla porta‖. Prima di iniziare, riceve le informazioni dal
Personale del Reparto. A fine lavoro condivide la sua esperienza con il Personale del Reparto. Il
Clown Dottore non è un semplice Clown, non è uno che viene a fare uno spettacolo, il lavoro del
Clown Dottore è un atto artistico professionale ed insieme un momento di empatia in stretta
interazione con l’Equipe Ospedaliera, nel rispetto delle singole competenze, in interazione anche con i
Famigliari dei bambini, nel rispetto della loro sensibilità e dello stato d’animo contingente.
E ANCORA NEGLI OSPEDALI PEDIATRICI vengono organizzati spettacoli per i bambini, vengono
festeggiate le festività (es: Natale), si ricevono le visite programmate dei calciatori, si distribuiscono i
regali a Natale, etc..
E ANCORA ALL’O.I.R.M c’è ―FORMA‖ che è La Fondazione Ospedale Regina Margherita ed ha tra gli
scopi principali l’Umanizzazione dell’Ospedale (Bambinizzazione).
L’ Umanizzazione socializzante ha anche i suoi lati negativi:
Favorisce le infezioni ospedaliere
Può creare confusione
Mancato rispetto dei bisogni degli altri
Ma da quando ci sono le sale gioco e tutto il resto..
I bambini sono più contenti
Le mamme sono più rilassate
Il Reparto è più ordinato
Tutti lavorano meglio
TUTTE LE PERSONE CHE COLLABORANO ALL’UMANIZZAZIONE DI ―LUSSO‖ CI INSEGNANO AD
ESSERE PIU’ ATTENTI AI BISOGNI DEI BAMBINI.
Nella Pediatria adesso vedete:
I bordi colorati in tutte le stanze
Oggetti carini pendenti dal soffitto
Tante Mongolfiere in sala Prelievi
Più attenzione…
MA L’UMANIZZAZIONE DELL’OSPEDALE PEDIATRICO NON PUO’ RIGUARDARE SOLO IL
BAMBINO
ANCHE I GENITORI DEI BAMBINI MALATI HANNO DEI BISOGNI.
Un figlio malato può essere un grosso problema ed un grande dolore. L’ ingresso in Ospedale è
sempre e comunque un momento di disorientamento, di senso di dipendenza, di timore... Le
Associazioni di Volontariato operanti nell’Ospedale si propongono di venire incontro anche ai bisogni
dei genitori.
LE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO strutturate all’O.I.R.M. sono:
A.A.B.C., A.B.I.O., A.V.O., U.G.I., UNITRE.
All’O.I.R.M. i Volontari A.V.O. sono presenti in Neurochirurgia, Ortopedia, Chirurgia A e B, Nefrologia,
Centro ustionati, Reparto lattanti, Neuro-Psichiatria Infantile, Pneumologia ed intervengono, su
richiesta, in chirurgia neonatale e neonati a rischio.
Le altre Associazioni di Volontariato che collaborano con l’O.I.R.M. sono 34, alcune dedicate a
patologie specifiche, altre mirate al sostegno economico, altre a case di accoglienza. Quasi tutte
(35/41) dichiarano come prima attività: ACCOGLIENZA E ASCOLTO.
ASCOLTO delle domande, delle incertezze, delle ansie, del pianto.
ACCOGLIENZA ―familiare‖, amica, rassicurante, informativa, di conforto e di confort. I dubbi e
le domande dei pazienti e dei genitori sono tanti e la possibilità e la disponibilità dei Sanitari
non sono sufficienti. I VOLONTARI fanno da ―ponte‖ tra il paziente e la struttura che spesso
incute timore.
TUTTE LE PERSONE CHE COLLABORANO ALL’UMANIZZAZIONE DI ―LUSSO‖ CI INSEGNANO AD
ESSERE PIU’ ATTENTI AI BISOGNI DEI BAMBINI E DEI GENITORI.
L’UMANIZZAZIONE NON E’ IN ELENCO NEL PRONTUARIO TERAPEUTICO OSPEDALIERO MA
AGISCE IN SINERGIA CON LE MEDICINE CHE VI SONO ELENCATE.
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L’anziano e i suoi problemi:
bisogni reali e desideri
Dott. Maurizio ROCCO - geriatra 1° livello Istituto di Geriatria Ospedale Molinette di Torino
NOTE INTRODUTTIVE E SITUAZIONE DEMOGRAFICA
In questi ultimi decenni si è venuta accentuando la questione ―anziani‖, l’incremento della durata della
vita dato, sia dai progressi della medicina che ha contribuito a debellare molte malattie e a permettere
di controllarne l’evoluzione di molte altre che dalle migliorate condizioni di vita, a prolungare in maniera
molto significativa la durata della vita. Oggi in Italia la durata media della vita è di circa 83-84 anni per
la donna, di 76-77 per l’uomo; un secolo fa era di circa 50 anni. Quindi si vive molto più a lungo e,
fortunatamente nella maggior parte dei casi in condizioni di salute migliori.
Si è avuto nel corso di pochi decenni un cambiamento radicale della distribuzione della popolazione
nelle varie fasce di età, dovuto da un lato da questo prolungamento della durata della vita e dall’altro
lato da un consistente calo delle nascite, non si era mai verificato precedentemente che il numero di
anziani (per convenzione la popolazione dai 65 anni in su) superasse il numero dei bambini (dai 15
anni in giù). L’allungamento della durata della vita è una grande conquista, è chiaro che provoca anche
dei problemi e degli scompensi, dal punto di vista pensionistico sia per il netto aumento del numero dei
pensionati che per l’allungamento del periodo in cui si gode della pensione; dal punto di vista sanitario
poi è chiaro che l'aumento del numero di anziani determina un aumento della spesa in quanto tra gli
anziani è concentrata la maggior parte della spesa sanitaria (maggiore consumo di farmaci, maggiore
necessità di cure ospedaliere) e dal punto di vista assistenziale con un maggior carico per le famiglie
di parenti anziani da dover seguire ed assistere ed anche con una maggiore richiesta di
istituzionalizzazione.
Nel 2000 la popolazione italiana era di circa 57 milioni e mezzo di individui Nel 2000 la popolazione di
età maggiore o uguale a 65 aa. era composta da 10.363.459 abitanti pari a quasi il 18% del totale di
cui 6.142.415 femmine e 4.221.044 maschi. Secondo le proiezioni dell’ISTAT nel 2025 la popolazione
di età maggiore di 65 anni potrebbe ammontare a poco più di 14.000.000 di individui con un
incremento di circa il 41%. Nel 2000 la popolazione di età maggiore o uguale a 80 aa. era composta da
2.259.865 abitanti pari a quasi il 4% del totale di cui 1.534.896 femmine e 724.969 maschi. Sempre
secondo le proiezioni dell’ISTAT nel 2025 la popolazione di più 80 aa. potrebbe ammontare a circa
4.700.000 di abitanti cioè più del doppio rispetto a quella del 2000, tutto ciò con una popolazione totale
prevista sostanzialmente stabile costituendo circa l’8% della popolazione totale italiana.
E’ proprio in età avanzata, 80 e più anni, che si manifestano più frequentemente le alterazioni che
rendono l’anziano più fragile, che rendono più probabile la perdita dell’autosufficienza, ed è proprio
questa la fascia di età in cui si prevede il maggior incremento numerico e percentuale, quindi i vari
servizi sociali devono essere pronti ad affrontare le esigenze di questa parte di popolazione più fragile.
Esporre i problemi dell’anziano è un compito molto arduo perché ogni persona anziana è diversa
dall’altra, con sue problematiche particolari connesse al suo stato di salute, ad eventuali malattie
sofferte in epoca precedente, alle sue esperienze di vita, Ci sono comunque dei tratti comuni, delle
peculiarità che coinvolgono le persone anziane nella loro globalità. Innanzitutto bisogna constatare che
la migliore qualità della vita ed i progressi della medicina, non solo hanno determinato l’allungamento
della durata della vita, ma hanno anche ritardato i processi di invecchiamento. L’OMS considera
sempre 65 anni il limite dell’età geriatrica, ma in realtà, almeno nei paesi più sviluppati a 65 anni la
maggior parte delle persone è in condizioni fisiche tali da non poter essere ancora definita come
anziana, il passaggio dall’età adulta all’età geriatrica (intendendosi per età geriatrica quella in cui le
manifestazioni più tipiche dell’invecchiamento si rendono ben evidenti) si è spostato di almeno 5 anni.
MODIFICAZIONI NELLA PERSONA ANZIANA
Nell’anziano avvengono una serie di modificazioni fisiche e funzionali che non sono classificabili come
malattie, pur dando luogo a dei disturbi, in quanto colpiscono in misura più o meno intensa tutte le
persone anziane, esse sono pertanto parte integrante del processo di invecchiamento.
•
•
•
•
Perdita di pigmento di peli e capelli
Formazione di rughe della cute per perdita di tessuto connettivo elastico e di liquidi nel
sottocute.
Presbiopia, cioè difficoltà nel mettere a fuoco le immagini vicine agli occhi.
Presbiacusia (riduzione della capacità uditiva per le frequenze acute) e riduzione dell’acuità
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
•
•
•
•
•
uditiva.
Allungamento dei tempi di reazione e di risposta ai test
Aumento di volume della prostata con difficoltà nella minzione (nei soggetti di sesso maschile)
Perdita della massa ossea (osteoporosi)
Riduzione della massa magra (muscoli e organi parenchimatosi)
Maggiore instabilità e difficoltà nel mantenere l’equilibrio.
Vi sono poi modificazioni ambientali e sociali che influiscono sullo status della persona anziana, il
pensionamento con l’allontanamento dalla vita lavorativa, a volte desiderato, ma a volte subìto
determina un cambiamento del ruolo della persona e specie chi aveva investito molto sul lavoro,
tralasciando magari altri interessi, deve adattarsi ad una situazione con un ruolo sociale diverso, con
molto tempo da impiegare non sapendo bene come, deve insomma trovare un nuovo modo di come
impegnare la propria giornata. Le donne ex lavoratrici si adattano sicuramente meglio al
pensionamento, essendo molto importante anche il ruolo familiare nella vita della donna, molti uomini
invece si sentono a disagio in questa situazione e possono andare incontro anche a crisi depressive o
comunque a stress, è importante per tutti prepararsi al pensionamento con anticipo cercando di
programmare occupazioni ed interessi alternativi al lavoro una volta che questo cessa.
Altri cambiamenti importanti che possono scompensare i soggetti anziani sono i cambiamenti
dell’aspetto fisico, il vedersi con un aspetto diverso, con i segni degli anni che passano è
indubbiamente un’esperienza poco gradevole, su questo vengono in aiuto in parte gli interventi di
cosmesi (ed eventualmente di chirurgia plastica) per cercare di rendere meno evidenti gli aspetti
esteriori dell’invecchiamento, in parte con un supporto anche psicologico si aiuta il soggetto a non
perdere la sicurezza in se stesso in presenza di cambiamenti esteriori.
Un momento di particolare tensione che può colpire abbastanza frequentemente il soggetto anziano è
lo stato di vedovanza, la perdita del coniuge determina un senso di abbandono e di solitudine nel
coniuge superstite che va aiutato e supportato da parte dei familiari e della rete di amicizie che il
soggetto può avere, le statistiche ci dicono che c’è un significativo aumento della mortalità nel primo
anno di stato vedovile rispetto ai soggetti di pari età coniugati, quindi la tensione che determina la
perdita del coniuge influisce spesso anche sullo stato di salute con possibile insorgenza di patologie
anche gravi. Le vedove sono molto più numerose dei vedovi e le donne reagiscono generalmente
meglio degli uomini al lutto per la perdita del coniuge.
Concludendo si può affermare che la preoccupazione preponderante nei soggetti anziani è la paura
della malattia, in particolare di contrarre una malattia che determini la perdita dell’autosufficienza,
timore questo molto spesso maggiore di quello della morte stessa.
L’ANZIANO E LA MALATTIA
L’invecchiamento è caratterizzato da un processo di involuzione che coinvolge tutti gli organi e gli
apparati del nostro organismo, questo progressivo deterioramento determina una maggiore facilità di
contrarre malattie o disturbi connessi al cattivo funzionamento di questo o di quell’organo. La malattia
nell’anziano presenta alcune peculiari caratteristiche che si elencano.
1. Presentazione spesso atipica con sintomi a volte lievi, a volte insoliti (specie per le malattie
infettive).
2. Coesistenza di più malattie importanti nello stesso soggetto
3. Alta probabilità di avere malattie croniche tendenzialmente invalidanti con rischio elevato di perdita
dell’autosufficienza.
4. Facilità di eventi patologici a ―cascata‖ (da una prima malattia ne seguono altre con aggravamento
del quadro clinico).
5. Difficoltà nel dare una giusta cura (intolleranza ad alcuni farmaci, contrasto tra una terapia efficace
per una certa malattia ma che spesso è controindicata per altre patologie concomitanti).
6. Coesistenza di problemi di deterioramento cognitivo (demenza) che complicano il quadro clinico
con seri problemi di ordine assistenziale nella gestione della malattia.
7. Spesso il soggetto anziano è in terapia con molti farmaci, il che può complicare la diagnosi ed il
successivo trattamento, frequentemente non sa riferire la terapia seguita a domicilio, in uno studio
effettuato recentemente si è visto che solo il 15% dei pazienti di età maggiore di 65 anni era in
grado di esporre correttamente i farmaci che assumeva.
Un altro problema nella cura delle malattie dell’anziano è costituito dalla difficoltà nella
somministrazione dei farmaci, infatti l’anziano ha maggiori difficoltà nel rispettare la prescrizione
medica (dimenticanze, alterazioni visive ecc.), i farmaci spesso hanno effetti imprevedibili, in
particolare tendono ad accumularsi più facilmente nell’organismo
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Vi è una determinata categoria di anziani che sono quelli che maggiormente riassumono le
caratteristiche dei soggetti in età avanzata necessitanti di cure mediche ed assistenza, sono i
cosiddetti anziani fragili. Si definisce come ―anziano fragile‖:
•
•
•
•
•
un soggetto di età avanzata o molto avanzata
affetto da multiple patologie croniche
clinicamente instabile
frequentemente disabile
spesso con associate problematiche di tipo socio-economico (solitudine, povertà).
Le due caratteristiche fondamentali che differenziano l’andamento delle malattie nell’anziano rispetto
ad un soggetto adulto sono:
•
•
la maggiore facilità con cui il soggetto anziano può perdere l’autosufficienza;
la frequente presenza di un deterioramento cognitivo
Alla domanda: chi è il tipico paziente geriatrico?
La risposta è: pensa al più anziano, al più malato, al più complicato ed al più fragile dei tuoi pazienti…
affetto di solito da multiple malattie, la cui presentazione è spesso atipica, è portatore di deficit
funzionali. I suoi problemi di salute sono cronici, progressivi, solo in parte reversibili‖
L’ANZIANO E L’ALIMENTAZIONE
Spesso l’alimentazione dell’anziano è impropria per alcuni motivi quali:
• Alterazioni dentarie
• Riduzione del senso del gusto
• Depressione del tono dell’umore con perdita dell’appetito
• Impoverimento nel cucinare (tipica è la cena con solo caffelatte in soggetti che
precedentemente avevano altre abitudini alimentari)
• Riduzione del senso della sete
L’anziano ha delle necessità alimentari che si diversificano dall’adulto:
a)
b)
c)
d)
Maggiore apporto proteico
Maggiore apporto di Sali di calcio
Riduzione leggera dell’apporto calorico
Adeguato apporto idrico (l’anziano sente poco la sete e patisce molto la disidratazione anche
lieve)
SERVIZI TERRITORIALI PER GLI ANZIANI CON PROBLEMI DI SALUTE E DI ASSISTENZA
Assistenza Domiciliare Programmata (ADP) in cui il medico di famiglia visita periodicamente il suo
assistito che non è in grado di recarsi presso lo studio medico, Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)
in cui il malato viene seguito dal medico di famiglia e dall’equipe infermieristica dell’ASL che effettua al
domicilio del paziente interventi quali medicazioni, terapia infusionale per via venosa, mobilizzazione
del soggetto ecc. si tratta di interventi programmati e concordati con il medico mutualista. Vi sono poi i
servizi assistenziali di supporto domiciliare alle persone anziane specie se sole (colf, pasti caldi a
domicilio), sussidi di tipo economico (assegno di cura), dispositivi di telesoccorso; da menzionare
inoltre i centri diurni per malati di demenza gestiti dalle ASL.
*********************
ISTITUZIONI DI RICOVERO PER ANZIANI
Fino ad alcuni decenni fa esistevano gli ospizi o case di riposo, luoghi di ricovero assai spesso
definitivo per persone bisognose di assistenza per motivazioni sociali o sanitarie e non
necessariamente anziane; non essendoci disposizioni legislative che dessero un orientamento su quali
dovessero essere i parametri a cui attenersi per la loro edificazione e sulla tipologia di utenti da
ospitare, le case di riposo continuarono a sorgere senza regole particolari, alcune erano piccole con
pochi posti letto, altre assai grandi, alcune ben funzionanti, altre carenti; questi istituti di assistenza
accoglievano una popolazione assai eterogenea composta da persone anziane autosufficienti e non
autosufficienti, da persone adulte con problemi di disabilità fisica o con turbe psichiche di entità non
così grave da richiedere il ricovero presso le strutture manicomiali ma comunque tali da non consentire
loro una normale vita di relazione o anche solo da persone senza una dimora, tutte radunate in una
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
stessa struttura con erogazione di servizi non sempre idonei alle diverse tipologie degli utenti, affidate
a personale spesso non adeguatamente preparato e a volte numericamente insufficiente, spesso
sovraffollate e con scarsi controlli da parte degli enti preposti. Tutto ciò ha contribuito a creare
nell’opinione pubblica il concetto dell’ospizio o della casa di riposo come un ghetto in cui venivano
accolte persone necessitanti di aiuto a cui veniva fornita un’assistenza molto spesso carente ed
approssimativa.
Istituzionalizzazione: le strutture che ospitano le persone anziane si dividono in due gruppi:
Residenze assistenziali (RA) ove sono ospitati anziani autosufficienti in cui viene fornito vitto, alloggio,
servizi di svago e di intrattenimento (biblioteca, bar, interventi di animazione ecc.) con un minimo di
assistenza sanitaria fornita da un infermiere presente per alcune ore della giornata per interventi quali
medicazioni, terapia iniettiva ecc.
Residenze sanitarie assistenziali (RSA) in cui sono ospitati anziani non autosufficienti con necessità
sanitarie ed assistenziali elevate. E’con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22/12/89
in cui vengono date le linee guida per la realizzazione delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA)
intese come superamento delle vecchie case di riposo, su modello delle ―nursing home‖ anglosassoni,
riprendiamo dal testo del decreto la definizione di RSA: ―si definisce residenza sanitaria assistenziale
una struttura extraospedaliera finalizzata a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie, assistenziali e di
recupero a persone anziane non autosufficienti. Presupposto per la fruizione della residenza sanitaria
assistenziale è la comprovata mancanza di un idoneo supporto familiare che consenta di erogare a
domicilio i trattamenti sanitari continui e l’assistenza necessaria.‖
Rispetto alle vecchie case di riposo il legislatore ha voluto precisare che:
a)
le RSA sono destinate ad una popolazione anziana non autosufficiente, sono quindi escluse
altre categorie di persone disabili,
b)
che un fine fondamentale del ricovero è il recupero funzionale,
c)
che il soggetto possa accedervi solo quando si sia verificata l’impossibilità di poter fornire
l’assistenza necessaria presso il suo domicilio.
Nelle RSA le persone ospitate non sono autosufficienti quindi necessitano di un’assistenza continua
nello svolgimento delle normali attività della vita quotidiana (vestirsi, lavarsi, alimentarsi ecc.) per cui
l’organico deve avere un congruo numero di operatori professionali in grado di eseguire sugli ospiti
queste operazioni. Le figure professionali adibite a tali mansioni sono gli OSS (Operatori Socio
Sanitari), nell’organico di una RSA è inoltre prevista un’assistenza infermieristica continuativa con una
presenza di infermieri professionali sufficiente a garantire le necessità degli ospiti; l’assistenza medica
è generalmente fornita dai medici di famiglia coordinati da un medico geriatra, in alcune RSA
l’assistenza medica è invece fornita direttamente da medici ospedalieri (preferibilmente geriatri). Nelle
RSA l’assistenza sanitaria ha un carattere di intensività solo leggermente inferiore a quella fornita
dall’ospedale, si tratta infatti di ospiti con patologie croniche che spesso si riacutizzano con necessità
di periodi di cure intensive alternati a fasi di relativo compenso.
Alcuni letti delle RSA devono inoltre essere destinati ai ricoveri di sollievo, una forma di ricovero
temporaneo in cui per importanti motivi (es. malattia del care-giver) la famiglia non è temporaneamente
in grado di fornire la necessaria assistenza al congiunto anziano, si tende ora ad estendere il ricovero
di sollievo anche a situazioni di stress del care-giver in modo da dargli un periodo di pausa dall’onere
di assistenza del familiare anziano.
L’accesso a questi servizi avviene tramite l’esame del paziente da parte dell’Unità di Valutazione
Geriatrica (UVG), un team formato dal medico geriatra, da un’assistente sociale, da un infermiere
professionale o da un caposala con esperienza nella cura e nell’assistenza di soggetti anziani che
valuta l’idoneità ed il grado di urgenza della domanda (es. gli anziani che non hanno parenti e che
hanno perso l’autosufficienza hanno la precedenza su tutti gli altri nell’ingresso in una RSA).
La geriatria ha introdotto un diverso approccio al malato basato sull’analisi della persona nella sua
globalità esaminando i problemi clinici del paziente, il suo grado di autonomia e il contesto
dell’ambiente familiare in cui vive. L’esame di tutti questi aspetti costituisce la ―Valutazione
Multidimensionale Geriatrica‖
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20
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
SERVIZI OSPEDALIERI PER ANZIANI
Da uno studio effettuato al Pronto Soccorso di Medicina dell’Ospedale Molinette è risultato che con
l’aumentare dell’età aumenta la percentuale delle persone che vengono ricoverate tra tutte quelle che
si recano al Pronto Soccorso, passando dal 10% circa dei soggetti di età inferiore ai 65 anni a più del
50% dei soggetti di età superiore ai 90 anni, quindi maggiore è l’età dei soggetti che si recano al
Pronto Soccorso e maggiore è la probabilità che siano portatori di patologie di una serietà tale da
rendere necessario il ricovero. Proprio per far fronte a questa necessità di cure ospedaliere delle
persone anziane, in particolare di quelle molto anziane ed in considerazione del fatto che gli anziani
tollerano male il ricovero, bisogna che si rafforzi ulteriormente nel territorio la rete di controllo delle
persone anziane fragili nel territorio, con il potenziamento di servizi quali l’Assistenza Domiciliare
Integrata (ADI), l’Assistenza Domiciliare Programmata (ADP), in associazione con i Servizi Sociali per
poter soddisfare anche esigenze di tipo sociale; in tal modo, con un assiduo controllo delle persone
anziane a casa si riduce nettamente la necessità di dover ricorrere alle cure ospedaliere.
In caso di ricovero in ospedale l’anziano può contare, almeno negli ospedali più grandi, sulla presenza
di un reparto di geriatria ove le sue esigenze ed i suoi problemi sono valutati globalmente non
soffermandosi ai soli problemi di salute. Per il limitato numero di reparti di Geriatria esistenti, la
maggior parte degli anziani ricoverati finisce però in altre Divisioni ospedaliere. Come alternativa al
ricovero ospedaliero da menzionare l’Ospedalizzazione a Domicilio.
Nel mese di Luglio 1984, le autorità sanitarie del Comune di Torino decisero di dare inizio ad un
progetto sperimentale di ospedalizzazione a domicilio. Nel 1985 alcuni infermieri furono assegnati al
servizio e alcuni medici appartenenti alla Divisione di Geriatria furono autorizzati ad effettuare visite a
domicilio e a prescrivere tutto ciò che fosse necessario, come in ospedale; ad essi sono state fornite
autovetture dedicate.
Secondo la definizione del Piano Sanitario Nazionale 2002-2004 è definita come Ospedalizzazione a
Domicilio quella forma di assistenza in cui le strutture ospedaliere seguono a domicilio, con il proprio
personale, pazienti che necessitano di prestazione di particolare complessità, tali da richiedere un
processo assistenziale di tipo ospedaliero; a Torino presso la Divisione di Geriatria dell’Ospedale
Molinette è attivo dal 1985 un servizio di ospedalizzazione domiciliare che, per organizzazione ed
ampiezza della tipologia dei malati seguiti, è finora unico in Italia.
A casa i malati vengono seguiti e curati portando le strumentazioni, le tecnologie ed il personale
dell’ospedale, superando la concezione di un ospedale chiuso al suo interno ma che si espande nel
territorio, vengono seguiti malati in condizioni cliniche anche molto gravi, con patologie complesse ed
una situazione clinica instabile, in caso di improvviso aggravamento delle condizioni del soggetto
l'equipe interviene d'urgenza a casa del malato; al termine del ricovero il paziente viene dimesso dal
servizio e riaffidato alle cure del medico di famiglia.
Fondamentale per il successo del ricovero a domicilio è la collaborazione della famiglia nel percorso di
assistenza e di cura del malato, i risultati finora conseguiti sono buoni con successo delle prestazioni
sanitarie fornite paragonabili a quelle di un ricovero ospedaliero tradizionale e con notevole gradimento
da parte dei fruitori del servizio. Riteniamo che questo ricovero alternativo a quello tradizionale sia di
grande sollievo per gli anziani (e non solo per loro) che tollerano male lo spostamento e la degenza in
ospedale; come soleva affermare il prof. Fabris ideatore dell'Ospedalizzazione a Domicilio ―curare ed
assistere a casa quando si può, è meglio‖.
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21
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Diritti e risorse per le persone ricoverate
Maria Cristina ODIARD – Assistente Sociale
Azienda Ospedaliera – Ordine Mauriziano di Torino – uff. servizio sociale
NOTE INFORMATIVE PER LE PERSONE CON RIDOTTA AUTONOMIA
1
RICONOSCIMENTO DI INVALIDITÀ CIVILE (legge n° 118/71, D.M. 05/02/92)
L'invalidità è la difficoltà a svolgere alcune funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione a causa
di una menomazione o di un deficit fisico, psichico o intellettivo, della vista o dell'udito non derivante da
cause di servizio, di guerra o di lavoro.
Dal 1 aprile 2010 è cambiata la procedura di presentazione della domanda, che va rivolta
all’INPS e non più all’ASL di competenza.
E’ necessario:
1. compilazione del certificato da parte di un medico (in formato digitale e non cartaceo)
2. consegna della domanda ad un Patronato abilitato a trasmetterla all’INPS
(o diretta per persone che abbiano richiesto ed ottenuto dall’INPS il relativo PIN)
Per maggiori informazioni www.inps.it
- Si verrà convocati per la visita entro 30 giorni dalla domanda. Nel caso in cui l'interessato
fosse impossibilitato a presentarsi, per gravi condizioni di salute, è possibile richiedere una
visita domiciliare inviando un certificato del medico curante.
- Si riceverà a casa, in seguito, il verbale in cui è indicato l'esito della visita, caratterizzato da un
codice e la percentuale di invalidità civile riconosciuta.
- Nel caso in cui una persona già dichiarata invalida presenti un peggioramento delle proprie
condizioni di salute, può presentare domanda di aggravamento.
Possibili benefici derivanti dal riconoscimento di invalidità civile:
- ESENZIONE TICKET (partecipazione alla spesa sanitaria)
Le persone cui è riconosciuta un’invalidità pari o superiore al 67% possono usufruire dell’esenzione
totale, sia per quanto riguarda i farmaci sia per gli esami di diagnostica strumentale e di laboratorio,
per qualunque patologia diagnosticata.
- ASSEGNO MENSILE PER INVALIDI PARZIALI
Viene erogato agli invalidi civili di età compresa tra i 18 e i 65 anni, cui sia stata riconosciuta
un’invalidità superiore al 74%, non collocati al lavoro, che non fruiscano di nessun altro trattamento
pensionistico di invalidità e che abbiano un reddito personale inferiore ad euro 4.378,27 (lordi).
Importo mensile: euro 256,67
- PENSIONE MENSILE PER INVALIDI TOTALI
Viene erogata agli invalidi civili di età compresa tra 18 e 65 anni, cui sia stata accertata un’invalidità
del 100% e che abbiano un reddito personale inferiore ad euro 14.886,28 (lordi) Importo mensile: euro
256,67
- INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO (legge n° 18/1980)
E’ prevista - senza limiti di età e di reddito - agli invalidi civili totalmente inabili (100%) e ―con
impossibilità a deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore‖ o ―con necessità di
assistenza non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita‖.
Indennità di
accompagnamento mensile: euro 480,47
1
Azienda Ospedaliera - Ordine Mauriziano di Torino - ufficio di servizio sociale (febbraio 2010)
22
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
- AUSILI e PROTESI
In caso di necessità di ausili (carrozzina, letto ortopedico, deambulatore) o protesi, si ha diritto
all’erogazione gratuita, da parte dell’ASL, presentando all’ufficio protesi dell’ A.S.L. di residenza:

la prescrizione (redatta da un medico specialista su apposito modulo)

il verbale di riconoscimento dell’invalidità civile o la ricevuta della presentazione della domanda di
riconoscimento di invalidità civile.
- CONTRASSEGNO SPECIALE PER LA LIBERA CIRCOLAZIONE E LA SOSTA DEI VEICOLI AL
SERVIZIO DI PERSONE DISABILI
I cittadini con gravi difficoltà di deambulazione o non vedenti possono richiedere al proprio Comune, il
contrassegno di libera circolazione, da esibire sull’auto.
Ha validità in tutto il territorio nazionale ed europeo. In particolari condizioni di invalidità e di viabilità è
possibile anche ottenere uno ―spazio sosta‖ riservato.
Dove: Comune di Torino - Divisione Ambiente e Mobilità - Ufficio Permessi di Circolazione Piazzale
Valdo Fusi (via Cavour angolo via Accademia Albertina)
Tel 011.442.9033 - 011.442.9034 dal lunedì al venerdì 8,30/12,30
- TRASPORTI
Le persone con invalidità civile riconosciuta superiore al 70% hanno diritto ad una tesserino per la
libera circolazione sulle linee urbane ed extraurbane e ferroviarie (treni regionali ed alcuni
extraregionali)
Dove: GTT, corso Francia 6, Torino dal lunedì al venerdì dalle ore 8,30 alle ore 12,30
- Le Ferrovie dello Stato rilasciano, agli invalidi riconosciuti al 100% con indennità di
accompagnamento, la "Carta blu" che permette di viaggiare su tutto il territorio nazionale, pagando un
solo biglietto valido per due persone.
Dove: Biglietteria Stazione Porta Nuova o agenzie viaggio convenzionate
- Per i pazienti con gravi difficoltà motorie o affetti da cecità totale, il Comune di Torino eroga dei buoni
taxi per disabili, al costo di un biglietto ATM per le tratte urbane.
Dove: Servizio Buoni Taxi, via Palazzo di Città, 9/11 Torino tel. 011.442.16.33 –
dal lun. al giov. 9.00/12.30 – 13,30/15.00, ven. 9.00 /12.30
- RICONOSCIMENTO DELLO STATO DI HANDICAP - Legge 5/02/92 n° 104
Il parente, anche non convivente, lavoratore dipendente, che assiste una persona dichiarata
handicappata in situazione di gravità (art. 3 comma 3), ha diritto a 3 giorni al mese di permessi
retribuiti.
Occorre presentare domanda seguendo la stessa procedura dell’invalidità civile.
E’ possibile richiedere visita contestuale per invalidità civile e legge 104/92.
- ALTRE AGEVOLAZIONI PER PERSONE CON GRAVI DIFFICOLTA’ MOTORIE
Superamento barriere architettoniche (installazione di ascensori, montacarichi, allargamento
porte etc.); IVA agevolata e detrazioni Irpef per l’acquisto di veicoli adattati per il trasporto di
persone disabili; esonero dal pagamento della tassa automobilistica per veicoli adattati al
trasporto di persone disabili.
Maggiori informazioni sul sito www.handylex.org
U.V.G. Unità Valutativa Geriatrica
Le persone anziane, con limitata autonomia, possono presentare domanda all’U.V.G. della propria
A.S.L. affinché ne vengano valutate le necessità sanitarie ed assistenziali.
L’ASL in collaborazione con il Servizio Sociale Territoriale (presente in tutti comuni o consorzi di
comuni) può così offrire servizi di sostegno all’anziano quali: assegno di cura, assistenza domiciliare,
affidamento familiare, telesoccorso, pasti a domicilio o, eventualmente, inserimento in case di riposo
(RAF, RSA).
23
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Corso A.V.O. 3 marzo 2011
Premessa
Art 32 della Costituzione:
Parliamo di diritti, di risorse,
di leggi e di ciò che può
essere d’utilità alle persone
ricoverate in ospedale...
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce
cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti
dal rispetto della persona umana.
assistente sociale maria cristina odiard
Benessere
da ben – essere = "stare bene" o
"esistere bene“
è uno stato che coinvolge tutti gli
aspetti dell'essere umano: fisico,
emotivo, mentale, sociale e
spirituale
Carta europea dei diritti del malato
Bruxelles, 15 novembre 2002
Diritto al rispetto di standard di qualità
Diritto alla sicurezza
Diritto all’innovazione
Diritto ad evitare le sofferenze e il
dolore non necessari
 Diritto ad un trattamento
personalizzato
 Diritto al reclamo ed al risarcimento




Competenza:
Assistenza =
Carta europea dei diritti del malato
Bruxelles, 15 novembre 2002







Diritto a misure preventive
Diritto all’accesso
Diritto alla informazione
Diritto al consenso
Diritto alla libera scelta
Diritto alla privacy
Diritto al rispetto del tempo dei
pazienti
Competenza:
Sanità=Regione
ASL, ASO = azienda
ospedaliera, distretto,
MMG = medico di medicina
generale, UVG = unità di
valutazione geriatrica,
servizio di salute mentale,
servizio dipendenze, cure
domiciliari, etc.
Per persone nonautosufficienti
ASL E SERVIZIO SOCIALE TERRITORIALE DEL COMUNE
Comune o Consorzi di Comuni
U.V.G.
Servizio Sociale Territoriale
per persone autosufficienti =
assistenza domiciliare, telesoccorso,
pasti a domicilio, volontariato, etc.
P.A.I.
Piano assistenziale individualizzato
assistenza domiciliare, affidamento, assegno di cura
o inserimento in RSA (residenza sanitaria
assistenziale) con retta parziale
24
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Integrazione socio sanitaria
Principali diritti e risorse:
 Riconoscimento invalidità civile
 Sanità
 Assistenza
Continuità
Continuità
assistenziale
assistenziale
 Indennità di accompagnamento
 Esenzione ticket per patologia o per
invalidità
 Prescrizione gratuita ausili e protesi
Lungodegenza, lungoassistenza, letti di sollievo, cure
domiciliari, ADI, fisioterapia a domicilio, RSA, etc...
Principali diritti e risorse
 Riconoscimento stato di handicap:
permessi lavorativi per i parenti e/o
lavoratori, agevolazioni
 Trasporti pubblici gratuiti
 Trasporti e taxi per disabili
 Superamento barriere architettoniche
 Permesso di transito e parcheggi
riservati
Diritti per i pazienti in età
lavorativa (18/65 anni)
 Pensione mensile per invalidi totali
 Assegno mensile per invalidi parziali
 Collocamento mirato
 Permessi per terapia salvavita
 Riconoscimento stato di handicap
 Assegno ordinario di invalidità
 Pensione di inabilità totale
ma vorremmo anche parlare di
 ciò che dovrebbe funzionare e non
funziona...
 ciò che dovrebbe essere per tutti e
non lo è...
 ciò che sarebbe tanto semplice
prevedere ed invece...
 ciò che spetta di diritto ma...
 ciò che potremmo fare noi!!!
25
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
L’approccio al malato oncologico
Dott.sa Monica SEMINARA
Psicologa-psicoterapeuta (Collabor. con la Fondazione Faro )
AVVICINARSI AL MALATO ONCOLOGICO
Avvicinarsi al malato oncologico e alle sue tematiche interiori significa avvicinarsi ai grandi temi della
esistenza umana.. il dolore, la malattia, la morte.
Cancro come malattia mitica metafora del dolore e della morte
Malattie ugualmente gravi e spesso con minori possibilità di cura non presentano i contenuti terrificanti
che vengono normalmente collegati alle malattie tumorali.
La malattia tumorale rappresenta la grande paura del nostro secolo. Eredita la paura atavica nell'Uomo
della morte per consunzione.
La malattia tumorale viene associata alla morte e al dolore (associazione spesso non realistica, infatti
sono molti i malati che guariscono e altrettanti coloro che non hanno un dolore). Appartiene ad un'area
tabù.
La società contemporanea, come grandi storici hanno descritto, vive a differenza di altri periodi della
storia una forte difficoltà a integrare la morte nella vita, nella propria "visione del mondo". L'enfasi sui
progressi della scienza , sulla potenza e la forza della cultura occidentale induce negli individui una
certa difficoltà ad accettare la precarietà della vita, la necessità della resa di fronte a tutto ciò che è
ineluttabile, ad accettare sostanzialmente il limite costituito dalla morte.
Il percorso emotivo dell'ammalato di tumore e della sua famiglia
Accanto al decorso della malattia, quando questa risulta inguaribile, il malato attraversa un percorso
emotivo, psicologico ed esistenziale che comprende tutta la gamma delle emozioni, un bilancio della
propria vita e la ridefinizione dei valori e dei principi di riferimento interiori.
Se le condizioni sono favorevoli, il percorso evolve fisiologicamente verso l'accettazione della propria
malattia, del proprio destino. Accettazione intesa come punto di arrivo di un percorso interiore difficile e
faticoso.
Come il malato anche la sua famiglia viene investita in maniera massiccia dagli eventi legati alla
malattia con ripercussioni sulle relazioni tra i componenti, sui ruoli famigliari, come il malato, attraverso
un percorso interiore che, nelle situazioni migliori può sfociare nell'accettazione.
Fase di diagnosi
- Choc. Fase caratterizzata da stupore attonito.
- Negazione come reazione difensiva. Allo stupore segue un'irruzione nel mondo interno del malato di
disperazione e angoscia. ll fantasma della morte è presente fin dalla diagnosi e pone al malato
l'imperativo di un'elaborazione e riadattamento interiore come condizione indispensabile per poter
vivere ancora il tempo che si ha davanti lungo o corto che sia.
- Crisi del principio di identità interruzione dei progetto di vita.
- Rabbia.
- Collera (perché proprio a me).
- La lotta. Strategia di adattamento alla malattia.
Fase recidiva e aggravamento
Cambiamento dell'immagine corporea che altera il principio di identità. Perdita del ruolo sociale.
- Ribellione Interna. Reattività spostata talvolta sui sanitari o sui famigliari.
26
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
- Depressione.
- Impotenza.
- Vergogna.
- Colpa.
Fase di inguaribilità
- La negoziazione. È una fase emotiva che implica una certa accettazione del proprio destino e una
ridefinizione di obiettivi a breve termine. ("io lotterò per arrivare a vedere mio figlio sposato", "Se
rinuncerò a questo ...". Il malato in questa fase viene a patti con la sua malattia. Gli obiettivi di vita
vengono spostati a breve termine. È una fase emotiva molto vicina all'accettazione.
- L'accettazione. Punto di arrivo di un difficile e doloroso percorso esistenziale e psicologico. Punto di
equilibro. Dolore quieto. Condizione che porta il malato a far decantare la rabbia e la disperazione
per trovare una sorta di serenità interiore. Disinvestimento nei confronti del mondo che anticipa la
separazione.
La famiglia
Anche la famiglia attraversa fasi parallele a quelle del malato passando lungo un percorso che dalla
incredulità o dal rifiuto iniziale diviene disperazione con sentimenti di perdita del proprio congiunto
vissuto come destinato a morire. Successivamente a questo primo impatto si struttura in genere nella
famiglia uno stile di adattamento che caratterizzerà la relazione tra il malato e la sua famiglia dando la
tonalità emotiva che accompagnerà anche le fasi di aggravamento e le settimane che precedono la
morte. Anche per la famiglia accedere alla accettazione implica aprirsi a sentimenti di resa,
rassegnazione, di affetto e comprensione del malato. Quando questo avviene si delinea quel raro
scenario in cui la fase terminale rappresenta un periodo di commiato dal proprio congiunto, un tempo
prezioso per condividere sentimenti, vissuti, desideri e paure. Si verifica talvolta un periodo di intimità
che dà forza sia al malato che al famigliare.
I luoghi in cui si muore
- Morire in casa
Recupero della intimità.
Maggiore presenza affettiva.
Qualità della vita.
Identità. Ruolo.
Rapporti con gli operatori più personalizzati.
Maggiore peso per la famiglia.
- Morire in ospedale
Annullamento della sacralità che c'è nel compiersi di una vita.
Mancanza di intimità.
Spersonalizzazione.
Rischio di accanimento terapeutico.
Ovunque avvenga: restituire al morire la sacralità che la società moderna ci ha sottratto.
Iniziare un'esperienza di volontariato per porgere aiuto ad ammalati di tumore è una scelta
emotivamente pregnante e coinvolgente, che mette in contatto con la sofferenza, con il dolore ed
inevitabilmente apre domande e riflessioni sui grandi temi dell'esistenza umana.
Il malato di tumore, fin dalla diagnosi, si trova a dover affrontare nel suo mondo interno il tema della
morte come possibilità reale di fine della vita.
Le malattie oncologiche, più di altre malattie ugualmente gravi, mobilitano la paura della morte e del
dolore e si prestano ad essere vissute come "male oscuro", subdolo, ignoto e per questo
particolarmente angoscianti.
27
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Nel nostro contesto culturale i tumori rappresentano la malattia mitica per eccellenza, la grande paura
del nostro secolo.
II malato nella fase iniziale della malattia è dominato da emozioni di paura ed angoscia, che mettono in
crisi i riferimenti interni e lo stesso principio di identità della persona. Identità intesa come fine del
progetto di vita, quindi il dissolversi della individualità, ma anche intesa come immagine di sé fisica: la
malattia e la terapia alterano il corpo e pongono la necessità di ri-accettazione della propria immagine
corporea (si pensi al cambiamento corporeo per interventi chirurgici mutilanti o alle alterazioni del viso
per la perdita dei capelli e della peluria a seguito della chemio-terapia).
Le emozioni di paura ed angoscia che dominano la fase iniziale della malattia lasciano generalmente
spazio anche alla speranza e alle strategie di lotta. La voglia di lottare, la speranza di guarire,
accompagnano il malato spesso sino alla fase finale della malattia, convivendo con la consapevolezza
della gravità della propria situazione.
La rabbia, la ribellione sono sentimenti che in alcuni momenti costituiscono dei carichi emotivi molto
pesanti per il malato. Egli prova un senso di ingiustizia e di ribellione interna per la sventura che lo ha
colpito. "perché è successo proprio a me?" "Che cosa ho fatto di male?" sono le domande che
ricorrono e sottintendono ai sentimenti di rabbia.
L'accettazione della malattia quando non è curabile, l'accettazione del proprio destino è la condizione
psicologica ed esistenziale che può portare il malato a superare la rabbia e la disperazione e a trovare
una sorta di quiete interiore, di serenità nel prepararsi alla separazione della morte.
Lo choc iniziale e la paura di vedere sgretolare la propria identità ed il proprio mondo.
La lotta e la speranza di guarire.
La rabbia, la ribellione contro il destino e l'ingiustizia della vita.
L'accettazione come condizione esistenziale difficile ma indispensabile per una morte serena.
Questo è il percorso emotivo dei malato, ma anche dei suoi famigliari, anche se non sempre,
purtroppo, comprende l'accettazione finale. L'accettazione è la condizione per una morte dignitosa,
quieta, serena e rappresenta l'obbiettivo che ci auguriamo tutti noi operatori oncologici e
semplicemente persone che vogliono porgere aiuto a quanti si trovino ad affrontare la tappa più difficile
della vita umana.
E se il compito più difficile è del malato che deve trovare dentro di sé le risorse per far fronte alla
propria fine, è compito di tutti noi che lo circondiamo favorire le condizioni perché ciò possa avvenire:
con l'utilizzo della medicina palliativa per il controllo dei sintomi, soprattutto del dolore
con il riconoscimento della legittimità dei suoi sentimenti, delle sue paure e dei suoi desideri,
senza ignorare né penalizzare anche le richieste che possono sembrarci più incomprensibili
condividendo e favorendo intorno a lui un clima emotivo di calore e comprensione umana.
Bibliografia
Ariès Ph. Storia della morte in Occidente ed. Garzanti Milano 1978
Vovelle M. La morte e l'Occidente ed. Ed. Laterza Bari 1986
Kubbler-Ross E. La morte e il morire Ed. Tavistock Londra 1969
Lovera G. (a cura di) Il malato tumorale Ed. Medico Scientifiche Torino 1999
28
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
L’approccio
al malato
oncologico
La malattia ONCOLOGICA,
l’ospite inquietante
aspetti psicologici
Corso formazione volontari AVO
TORINO, 22 marzo 2011
MONICA SEMINARA
Un lungo viaggio nel tunnel
della malattia cancro
Fasi di malattia
• Diagnosi: shockshock-negazionenegazione-rabbiarabbia-vergognavergogna-colpacolpa-
• LUNGO : il tempo
• VIAGGIO: le fasi, le tappe
• TUNNEL: caratteristiche
• MALATTIA: esperienza personale
• Terapia: il potere del “fare”
fare” – lotta, combattimento
• Remissione
• Recidiva: delusione angoscia profonda percezione
e familiare
paura depressione …
del rischio di morte
• Progressione negoziazione, aumento tollerabilità
tollerabilità,
adattamento
• Aggravamento
quali i veri bisogni? Assistenza
Domiciliare. Accettazione, disinvestimento
• Terminalità
Terminalità Il ruolo della medicina palliativa
• Morte: commiato, separazione, lutto
LA MALATTIA COME ESPERIENZA
La persona, malata. E la sua personalità
personalità.
• Punto di vista fisiologico
• Piano emotivoemotivo-affettivo
Quale malattia ha quel malato?
Quale malato ha quella malattia?
Attenzione ai fattori personali
implicati nell’
nell’esperienza di malattia,
elementi che influenzano individualmente
il modo di percepirla ed interpretarla.
Il vissuto di minaccia derivante
dalla malattia:
• Pericolo di sofferenza fisica
• Minaccia all’
all’identità
identità (cambiamento dell’
dell’immagine di sé
sé)
• Minaccia al quotidiano:condizione lavorativa, autonomia
•
•
e possibilità
possibilità di realizzazione, ruoli sociali
Minaccia per la propria vita relazionale (turbamento degli
equilibri)
Minaccia per la propria sicurezza, sia sul piano fisiologico
(rischio di morte, invalidità
invalidità, menomazione…
menomazione…) che sul
piano economico.
La
L’inizio
della fin malattia?...un’esperienz
e a.
La com
p ag n
a d i un
a vita
e di Dio
La punizion
Un’occ
asione
per r
e capir isvegliarsi
e…
29
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Il morente oncologico italiano
La famiglia:
reazioni alla malattia
• Aggressività
Aggressività e rifiuto
Lotta per la qualità
qualità della vita
senza mai rinunciare a lottare per la quantità
quantità e la
speranza della vita
• Reazioni di chiusura, congiura del silenzio
• Reazione regressiva che pone il malato in
La speranza dipende da ciò che
accade dentro le persone,
non da ciò che accade.
una condizione di dipendenza
• Reazioni costruttive
Lo scenario psicologico
del malato oncologico
Pensieri e stati d’animo:
il malato, il familiare
• Evento malattia
• Impatto emotivo - destabilizzazione
• Smarrimento – Perdita – Crisi - Disagio psichico
• Situazione criticacritica-Reazione critica
• Vissuti emotivi di angoscia (Paura(Paura-Speranza)
Necessità
Necessità fondamentali:
• Ritrovamento del senso di sicurezza e stabilità
stabilità
• Espressione ed elaborazione del disagio
• Processo di ricostruzione interna e concreta
BISOGNI PSICOLOGICI
Accudimento protezione guida sostegno
Reazioni psicologiche difensive alla
malattia
•
•
•
•
Legittimazione
del
disagio del
malato oncologico:
Regressione
Negazione
Proiezione
Isolamento
ASCOLTO
ACCOGLIENZA
Consapevolezza,
accettazione, elaborazione
e adattamento
come risposta
CONTENIMENTO
GESTIONE
SUPPORTO
MORIRE: quando, come, dove e perché
perché?
Il processo del morire
E. KublerKubler-Ross
le 5 fasi
del processo del morire:
ANGOSCIA DI MORTE, DI SEPARAZIONE, DI PERDITA
…di persone care…
… di parti di sè
•
•
•
•
•
1. la negazione
2. la ribellione
3. il patteggiamento
4. la depressione e l’
l’isolamento
5. l’
l’accettazione
30
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
COSA POSSIAMO FARE
LA RISPOSTA
Ci sono cose
che NON si possono accettare
• Sapere:
Sapere: Formazione
• Saper fare: l’utilizzo dello strumento adeguato –
la relazione d’
d’aiuto
Coscienza della dimensione del limite
• Saper essere:
essere: dediti, desiderare il bene
dell’
dell’altro - lo sguardo umanitario
• Saper divenire:
divenire: ogni volta nella
personalizzazione della relazione –
aiutare=amare l’l’altro come se stesso
Ciò che conta nella vita
e di fronte alla morte
è non sentirsi abbandonati e soli
G. Ghirotti
Lezione appresa dall’esperienza
La speranza non è ottimismo e non è la convinzione che ciò che si
sta facendo avrà successo
•Impotenza e incontro col limite
•Capacità di OSPITALITA’
del disagio altrui
•La capacità di SOPPORTARE
per RENDERE SOPPORTABILE
la convivenza con l’evento
destabilizzante
•Il valore psicologico del FARE
•L’IMPORTANZA di saper STARE
•Il valore della SCELTA volontaria
La speranza è la certezza che quello che si fa ha un senso,
Che abbiamo successo o meno.
V. Havel
Helen Keller
Il mondo è pieno di sofferenze …
Ma è altrettanto pieno di persone che
le hanno superate!
E tante altre le supereranno
grazie al VOSTRO PREZIOSO AIUTO!
Grazie per quanto farete e per come lo farete!
Buon Lavoro!!!
31
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Norme d’igiene per i volontari in ospedale
Simona FANTINO - Infermiera prevenzione infezioni correlate all’assistenza - ospedale Martini
La malattia
Alterazione dello stato fisiologico dell'organismo, capace di ridurre, modificare negativamente o
persino eliminare le funzionalità normali del corpo.
Che cosa sono le malattie infettive
Sono patologie dovute al contagio da parte di microrganismi (batteri, virus, miceti, parassiti, ecc.)
dell'organismo umano con conseguente sviluppo di sintomi caratteristici di quella specifica malattia.
La sola presenza del microrganismo nel corpo umano non significa sempre MALATTIA.
La colonizzazione
L’infezione va distinta dalla "colonizzazione", definita come la moltiplicazione a livello locale di
microrganismi senza apparenti reazioni tessutali o sintomi clinici.
Come si contraggono
La possibilità che si verifichi l'INFEZIONE o la MALATTIA INFETTIVA dipende da vari fattori:
Contatto con il microrganismo in causa
Caratteristiche del microrganismo (patogenicità, virulenza e invasività)
Suscettibilità dell’individuo
Norme comportamentali per i volontari in ospedale
Igiene delle mani
Camice
Capelli
Monili
Uso di guanti
Trasmissione tramite le mani del personale
Nella trasmissione dei patogeni nosocomiali dall’ambiente ospedaliero o da un paziente all’altro, il
veicolo più frequentemente implicato è rappresentato dalle mani del personale sanitario.
Trasmissione tramite le mani : step 1 - The Lancet Infectious Diseases 2006
Germi presenti sulla cute del paziente e sulle superfici dell’ambiente circostante
Trasmissione tramite le mani : step 2
Germi trasferiti sulle mani degli operatori
Trasmissione tramite le mani : step 3 - Germi che sopravvivono sulle mani
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Trasmissione tramite le mani : step 4
Una igiene delle mani scorretta significa mantenere le mani contaminate
Trasmissione tramite le mani : step 5
Mani contaminate trasmettono germi
Prima Sfida Mondiale per la Sicurezza del Paziente
―Le cure pulite sono cure più sicure‖
Obiettivo: Ridurre le Infezioni Correlate alle Pratiche Assistenziali
Igiene delle mani come pietra miliare
L’igiene delle mani è la
misura più efficace per
ridurre
le
infezioni
associate
all’assistenza
sanitaria
33
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
I 5 MOMENTI FONDAMENTALI PER L’IGIENE DELLE MANI
Effettua l’igiene delle mani
dopo aver toccato un
paziente o l’ambiente
immediatamente
circostante, uscendo dalla
stanza!
Effettua l’igiene delle
mani prima di toccare
un paziente mentre ti
avvicini!
Effettua l’igiene delle mani uscendo dalla
stanza, dopo aver toccato qualsiasi
oggetto o mobile nelle immediate
vicinanze del paziente, anche in assenza
di un contatto diretto con il paziente
Quali sono gli esempi più frequenti di questa indicazione?
VOLONTARI
Esempi di contatto con il paziente:
Gesti di cortesia e di comfort:
stringere la mano
aiutare un paziente a cambiare postura
Contatto diretto:
aiutare un paziente a camminare
34
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Esempi di contatto con ciò che sta attorno al paziente (ambiente
circostante):
regolare una sponda del letto, pulire il comodino
La frizione con prodotti idro-alcolici è la soluzione ottimale per migliorare l’aderenza
Lavaggio con acqua e sapone solo se mani visibilmente sporche o dopo esposizione a fluidi
biologici
L’utilizzo di prodotti idro-alcolici è il gold standard in tutte le altre situazioni cliniche.
La frizione con prodotti idro-alcolici è la soluzione per superare il problema della mancanza di
tempo:
Lavaggio delle mani: 1 to 1.5 min
Frizione con prodotto alcolico: 15 to 20 sec.
35
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Monili ed oggetti vari
I Guanti
sono
indicati
Se si prevede di contaminarsi con sangue, liquidi organici, secrezioni, escrezioni,
membrane mucose, cute non integra ed oggetti contaminati
Si devono sostituire tra un paziente ed il successivo e tra procedure e manovre sullo
stesso paziente
Si devono rimuovere subito dopo l’uso (per prevenire contaminazioni crociate anche
nei confronti dell’ambiente) ed occorre effettuare il lavaggio delle mani
Guanti: non sono indicati per …
Misurare la temperatura e la pressione
Valutare il polso
Praticare iniezioni intramuscolari o sottocutanee
Lavare e vestire il paziente
Trasportare il paziente
Pulire occhi e orecchie
Distribuire i pasti e raccogliere le stoviglie
Cambiare le lenzuola
Spostare il comodino, il letto, la sedia
36
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Motivazioni del volontariato
don Sergio MESSINA - Assistente religioso casa di cura Villa Cristina
GLI STADI DI GIUDIZIO MORALE SECONDO KOHLBERG
Kohlberg ha svolto una grande mole di indagini in parecchi paesi di culture diverse per confermare la
sua tesi, cioè che il giudizio morale si sviluppa attraverso una serie di riorganizzazione cognitive, da lui
chiamate stadi. Quindi lo sviluppo morale non può, per Kohlberg, avvenire mediante un, processo di
inculcamento delle regole e delle virtù, ma solo attraverso un processo che richiede la trasformazione
delle strutture affettive e cognitive e dipende dalla stimolazione dell'ambiente sociale. Educare alla
moralità, non significa solo insegnare contenuti nei metodi perché, i principi morali vengano appresi ed
interiorizzati; significa anche conoscere i processi attraverso i quali si sviluppa la capacità di percepire
il valore morale e i modo che aiutino (o ostacolino) tali processi. Se queste condizioni vengono a
mancare si pregiudica, nella persona, la possibilità di far progredire il giudizio morale. Gli studi di
Kohlberg sonò di grande aiuto per tutti coloro che hanno a che fare con un codice di deontologia
professionale, la cui comprensione dipende dal grado di sviluppo morale che è stato raggiunto dalla
persona; rappresentano inoltre uno strumento di verifica dei comportamenti professionali all'interno
dell'équipe.
Livello pre – convenzionale
È il livello delle regole culturali, delle etichette di bene e di male, di giusto e di sbagliato attuate o in
base alle conseguenze edonistiche – fisiche dell'azione (punizione, ricompensa, scambio di favori)
oppure in base al poter fisico di coloro che enunciano le regole.
Stadio 1: orientamento alla punizione ed alla obbedienza. Ciò che determina la bontà o la malizia di un
atto per la persona a questo livello di sviluppo (il ragazzo come dato fisiologico), sono le
conseguenze fisiche dell'atto stesso. Evitare la punizione e la deferenza illimitata al potere
diventano l'optimum morale .
Stadio 2: orientamento relativista strumentale. L'azione giusta é quella che, in modo strumentale,
soddisfa i bisogni miei e occasionalmente i bisogni degli altri. Le relazioni umane sono viste
in modo simile a quelle commerciali; sono presenti elementi di onestà, reciprocità, e
condivisione egualitaria, ma questi elementi sono interpretati in modo fisico o pragmatico.
Livello convenzionale
A questo livello la persona può mantenere le aspettative della scuola, dei gruppo o della nazione e ciò
è visto come valido in se stesso, senza considerare le immediate o ovvie conseguenze.
L'atteggiamento è quello di conformità ad aspettative personali, all'ordine sociale e di lealtà all'ordine
costituito.
Stadio 3:orientamento interpersonale del bravo ragazzo. È buono quel comportamento che piace agli
altri gli aiuta ed è approvato da essi. C'è molta conformità alla immagine stereotipa di ciò
che costituisce un comportamento normale e proprio dalia maggioranza degli uomini. Il
comportamento è spesso giustificato dalle intenzioni: la buona intenzione diventa per la
prima volta importante. Si guadagna l'approvazione altrui con l'essere simpatica e gentile.
Stadio 4:orientamento alla legge ed all'ordine costituito. C'è un orientamento verso l'autorità, le regole
fisse ed il mantenimento dell'ordine sociale. Il comportamento giusto consiste nel fare il
proprio dovere, mostrare rispetto per l'autorità, l'ordine sociale per il desiderio, fine a se
stesso, di mantenere tale ordine.
Livello post – convenzionale, autonomo o di principio
A questo livello c'è un chiaro sforzo per definire i, valori morali e i principi che hanno validità ed
applicazione a prescindere dall'autorità dei gruppi o delle persone, che definiscono questi principi e a
prescindere dalle identificazioni dell'individuo con questi gruppi.
Stadio 5: orientamento democratico verso il contratto sociale. I valori personali sono considerati come
relativi e vengono subordinati al raggiungimento del bene comune e alla salvaguardia dei
diritti fondamentali di ogni individuo. Questa è la moralità ufficiale delle carte costituzionali
dei Paesi democratici.
37
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Stadio 6: orientamento al principio etico universale. Il giusto è definito dalla coscienza individuale in
accordo con principi etici scelti autonomamente: principio universale di giustizia, di
reciprocità, di uguaglianza dei diritti umani, di rispetto per la dignità degli esseri umani visti
come persone.
QUALITÀ DEGLI STADI MORALI
1. Gli stadi costituiscono una sequenza invariata. Si deve progredire attraverso gli stadi in ordine
e non si può, arrivare ad uno stadio più alto senza passare attraverso gli stadi che lo
precedono. Ad esempio, non si può, arrivare allo stadio quattro, senza passare rispettivamente
attraverso gli stadi uno, due, tre. Lo sviluppo morale è crescita e, come tutte le crescite,
avviene secondo una sequenza predeterminata. Aspettarsi che qualcuno riesca ad acquisire
una alta moralità in una notte sarebbe come pretendere che qualcuno cammini prima che
abbia imparato a trascinarsi carponi.
2. Nello sviluppo per stadi i soggetti non possono comprendere il ragionamento morale di uno
stadio che sia due stadi superiore al proprio. — una persona allo stadio due, che separa bene
e male in base al proprio piacere personale, non può comprendere il ragionamento dello
stadio quattro che giustifica una azione in base a doveri fissi e non a promesse di ricompensa
o piacere. Poiché lo stadio quattro richiede un orientamento completamente diverso da quello
del ragionamento allo sta dio due, per essere capito devono realizzarsi vari riadattamenti
cognitivi.
3. Nello sviluppo per stadi i soggetti sono cognitivamente attratti a ragionare secondo un livello
che è superiore di una unità rispetto al loro proprio predominante livello.
Una persona, che è allo stadio uno, sarà attratta dallo stadio due e così via. Kohlberg sostiene che il
ragionamento ad uno stadio più alto è cognitivamente adeguato che un ragionamento ad uno stadio
più basso: risolve infatti i dilemmi in modo più soddisfacente.
4. Nello sviluppo per stadi il movimento da uno stadio all'altro avviene quando si crea uno
squilibrio cognitivo cioè quando la prospettiva cognitiva di una persona non è più adeguata ad
affrontare un dato dilemma morale.
Di fronte a situazioni complesse la persona vede la inadeguatezza delle sue ragioni e cerca
sempre più adeguato per risolvere i propri dilemmi. Se in una data situazione la struttura
attuale non può risolvere un problema l'organismo cognitivo si adatta ad una struttura
risolverlo. Se invece l'orientamento di una persona non è disturbato (cioè non c'è alcuno
cognitivo) è più difficile l'acquisizione di uno stadio superiore.
un modo
cognitiva
che può
squilibrio
5. Quando la persona ha raggiunto un elevato stadio di ragionamento morale accetterà solo
ragioni più alte come determinanti la sua azione e, acquisito detto stadio, tende a
mantenervisi, anche se può offrire, in determinate situazioni, risposte morali di basso livello.
Molte volte noi ci scopriamo a dare risposte morali opportunistiche, ma solo perché sono istintive e
immediate, non ragionate. In realtà quando prendiamo decisioni ponderate le ragioni vincenti sono
quelle tipiche dello stadio cui apparteniamo.
38
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
L’organizzazione AVO
all’interno degli ospedali
Maria Vittoria FAGA – Consigliera Esecutivo AVO Torino,
Coordinatrice Responsabili Ospedali
“… ciò che lega la barca al molo è la corda
e la corda è fatta di fibre,
ma la forza della corda non dipende dalle fibre
che la percorrono dall’inizio alla fine,
per tutta la sua lunghezza:
dipende dal fatto che ci sono innumerevoli fibre
parzialmente sovrapposte.
L’intreccio è un’opera di costruzione.”
Siamo
iamo presenti con:
N° 985 Volontari
che prestano servizio
per un totale di circa 81.000 ore/annue
dati 2010
AVO
Torino
Wittgenstein
Ruolo e compiti
Siamo impegnati con:
Chi sono e cosa fanno le:
N° 16 Responsabili di Ospedale
N° 15 Responsabili di Formazione
N° 38 Coordinatori
Responsabili di Ospedale
e le Coordinatrici
AVO
Torino
Responsabili di Ospedale
AVO
Torino
Coordinatrici di reparto
Rapporti con i Volontari
Rapporti con la Struttura
Rapporti con i Volontari
Rapporti con l’
l’Associazione
AVO
Torino
AVO
Torino
39
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Dove siamo presenti:
Gradenigo
Martini
Mauriziano
San Giovanni Antica Sede
Istituto Riposo per la Vecchiaia
Regina Margherita
San Giovanni Battista Molinette
Oftalmico
S. Anna
San Giovanni Bosco
C.T.O. Centro Traumatologico Ortopedico
Maria Adelaide
Centro diurno Aurora
Villa Cristina
Senior Residence R.S.A.
R.S.A.
R.S.A. di via Botticelli
Gradenigo
Orario standard dal luned ì al venerdì
venerdì
AVO
Torino
•
•
•
•
•
•
•
Medicina
Gastroenterologia
Ortopedia
Lungodegenza
Riabilitazione
Oncologia
Pronto Soccorso
Martini
Mauriziano
Orario standard dal luned ì al venerdì
venerdì
Orario standard dal lunedì
lunedì al venerdì
venerdì
•
•
•
•
Accoglienza
Cardiologia
Chirurgia
Degenza
temporanea
• Geriatria
• Medicina
• Nefrologia
•
•
•
•
•
•
Accogl.
Accogl. Neurologia
Neurologia
Ortopedia
Pediatria
Pronto Soccorso
ISI (Informazione Sanitaria
Immigrati)
• RSA via Gradisca 10
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Ospedale Infantile
San Giovanni antica sede
Regina Margherita
Orario standard dal lunedì
lunedì al venerdì
venerdì
•
•
Medicina Generale 1
Medicina Generale 2
Medicina generale lunga degenza
Riabilitazione funzionale
Dialisi
Chirurgia Vascolare
Ortopedia
Accoglienza
Punto d'ascolto
Pronto Soccorso
Orario 8 ÷ 21 dal lunedì
lunedì alla domenica
Accoglienza
Radioterapia
•
•
•
•
•
Lattanti
Neuropsichiatria
Chirurgia
Neurochirurgia
Chirurgia neonatale
•
•
•
•
•
Pneumologia
Ortopedia
DEA degenza temporanea
Centro Ustionati
Pediatria (day hospital
bimbi down)
Molinette
Orario standard dal lunedì
lunedì al venerdì
venerdì
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Triage (prima accoglienza di Pronto Soccorso)
Pronto Soccorso
Medicina 4
Medicina 6
Medicina 10
Neurologia
Pneumologia
Oncologia 1
Oncologia 2
Oftalmico
Orario pasti dal luned ì al venerdì
venerdì
•
•
•
•
Clinica Oculistica
Glaucomi e Traumatologia
Oculistica generale
Pediatria
40
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Sant’Anna
Orario standard dal lunedì
lunedì al venerdì
venerdì
•
•
•
•
•
•
•
Ginecologia AA-B-C
Ginecologia Oncologica AA-B-C
Ginecologia A I° clinica
Ginecologia B II°
II° clinica
Accettazione (Pronto Soccorso)
Day Hospital Oncologico
Ostetricia alta complessità
complessità (sett. 2C e 2C)
Maria Adelaide
Orario standard dal lunedì
lunedì al venerdì
venerdì
• Recupero funzionale
San Giovanni Bosco
Orario standard dal luned ì al venerdì
venerdì
•
•
•
•
Geriatria
Ortopedia
Medicina A
Medicina B
Centro Diurno Aurora
Orario standard dal lunedì
lunedì al venerdì
venerdì
• Assistenza malati di Alzheimer
C.T.O. Centro Traumatologico Ortopedico
Orario standard dal lunedì
lunedì al venerdì
venerdì
Presidio psichiatrico "Villa
Cristina"
• Accoglienza
Solo pomeriggio dal lunedì
lunedì al venerdì
venerdì (anche sabato)
• Assistenza Area A - B - C (rep. masch., femm. e misto)
Senior Residence R.S.A.
R.S.A.
Solo pomeriggio dal lunedì
lunedì al venerdì
venerdì
• Residenza Sanitaria Assistenziale
Segreteria via san Marino
• lunedì
lunedì e giovedì
giovedì
• mercoledì
mercoledì e venerdì
venerdì
17 ÷ 19
10 ÷ 12
Istituto Riposo per la Vecchiaia
Orario standard dal lunedì
lunedì al venerdì
venerdì
• Casa Protetta
41
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Il Gruppo e l’Associazione
Laura MONTANARO - Volontaria ospedale Martini
(già responsabile di formazione del Consiglio Esecutivo)
Art. 10 del Decalogo AVO:
……Ogni volontario deve impegnarsi ad alimentare l’amicizia e la cordialità nel gruppo, perché questo
calore umano si riversi sul malato e sull’Associazione.
La società moderna ci spinge sempre più verso l’individualismo e purtroppo anche il mondo del lavoro
porta sempre più ad ignorare i bisogni fondamentali della persona, anzi preme per una competizione
senza regole e ci riporta alle leggi della giungla, della sopravvivenza in cui tutto è permesso. Entrare
nel mondo del volontariato è un tuffo in una dimensione diversa, diametralmente opposta a quella che
abbiamo appena esaminata.
Per di più, a differenza di altri volontariati che vengono svolti in maniera individuale, il nostro, l’AVO, è
per sua natura un volontariato di gruppo. Noi indossiamo un camice che ci rende uguali agli occhi di
chi ci incontra, sia il malato o il parente, ma anche il personale ospedaliero e dobbiamo confrontarci
con i colleghi per poter mantenere quelle caratteristiche di uniformità di servizio che ci
contraddistinguono.
Cosa vuol dire?
Si sceglie l’AVO per stare vicino ai malati e la vostra attenzione è giustamente focalizzata su questo
aspetto che è lo scopo del nostro servizio, quella che oggi si chiama la ―mission‖.
Quest’aspetto lo approfondirete, e lo state già facendo, con esperti e psicologi che vi parleranno della
relazione che si instaurerà tra voi e il malato e vi daranno importanti spunti di riflessione. Noi oggi,
invece rifletteremo insieme sull’altro aspetto del volontariato AVO: il gruppo, l’associazione.
Ci siamo resi conto nel tempo che è una cosa difficile da coltivare, da far crescere se non c’è già in
partenza questo modo di interpretare l’associazione, questa apertura verso gli altri volontari che
operano nell’associazione.
Il passaggio dal tu al noi richiede un notevole sforzo anzi è una faticaccia.
Proviamo ad esaminare i vantaggi e le difficoltà di appartenere ad un gruppo.
Vantaggi:
- tutelati dall’associazione (convenzione, assicurazione, organizzazione)
- scambio di esperienze e di idee
- confronto
- condivisione
- stimolo
- appoggio emotivo
- legame.
Il gruppo è scambio di energie:
Ognuno di noi con il suo comportamento, determina l’andamento del gruppo, anche i silenzi, il posto a
sedere scelto durante le riunioni, ecc. sono importanti. Ognuno prende posizione anche se non ne ha
l’impressione.
Il gruppo ha una forza ben superiore alla somma delle singole forze dei partecipanti per cui il gruppo
deve diventare coesione di energie.
Difficoltà:
obbligo al rispetto delle regole. Non posso fare come voglio, ma devo attenermi alle regole
dell’Associazione. Devo rispettare l’orario di servizio, avere un determinato comportamento che
l’AVO mi insegna, partecipare alle riunioni.
perdita di individualità. Il gruppo è un insieme di diversità, ma proprio l’accettazione
dell’individualità di molti crea ricchezze di idee e di comportamenti, potenzialità che possono
portare a grandi risultati.
fatica. Perdita di tempo, parole, talvolta si fa più in fretta a fare da soli, ma il rischio è di ritrovarsi
da soli, mentre condividendo con gli altri le proprie esperienze e le proprie idee, ci si migliora.
sofferenza. Occorre imparare a stare con gli altri, è un esercizio di tolleranza perché accettare i
difetti, le diversità degli altri ci può far star male.
Come ci relazioniamo in un gruppo?
42
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
In un libro molto interessante che vi consiglio di leggere ―Dalle parole al dialogo‖ di G. Colombero, ho
letto una spiegazione dei comportamenti degli individui che mi è molto piaciuta e che vi propongo.
Ci sono quattro modi di stare nella relazione interpersonale:
Essere tra:
indicativa di una relazione povera, si sta e basta, è assenza di dialogo, l’altro è un altro, un diverso, un
forestiero: lo conosco e lo ignoro. Il vero estraneo è colui che non genera né amore né odio, è
emotivamente lontano, è come se non ci fosse.
Si può essere uniti nella posizione del ―tra‖ per opportunità o per furbizia, per tornaconto: si è uniti non
nel segno dell’affetto ma dell’affitto.
Essere tra è la forma di relazione che si vive andando per strada, nei supermercati, sui mezzi di
trasporto ma anche nei condomini, negli ambienti di lavoro, qualche volta, purtroppo, anche in famiglia.
La stazione ferroviaria rappresenta il provvisorio, vivere come transitare, il luogo dell’estraneità.
Essere con:
Questa forma di relazione delinea l’Io–tu e non l’Io-lui , cioè si manifesta con la comunione con gli altri.
L’elemento che lega non è più l’efficienza o la convenienza ma l’affetto la gioia di stare ―insieme con‖.
Si riconosce all’altro il diritto di essere diverso: lo si accetta così com’è.
Imparo a non fare dell’altro una mia proiezione, cioè pretendere che sia una copia di me stesso,
rispetto la sua interiorità come diritto e come valore.
Questa è una delle più difficili conquiste che può fare una persona, ma è la più necessaria.
L’essere con non fugge la gente, la ama, è l’espressione più alta dell’amicizia e della benevolenza.
Vive la vita come un dono, anche gli aspetti meno piacevoli.
Essere per:
Esprime la massima apertura del Tu, è l’espressione di una vita dedita agli altri. Essere per è uno stile
di vita.
Non sono persone che rinunciano a realizzare se stesse e i propri bisogni, sono persone che trovano
la propria realizzazione portandosi al di là di se stessi.
Sono persone che non riescono ad essere felici da sole, per loro vivere è aiutare a vivere, farsi dono.
Invece di impostare la propria vita concentrandosi su se stessi, escono da se stessi per scoprire gli altri
e da questo atteggiamento nasce l’altruismo.
Attraverso la crescita morale e spirituale la persona impara ad uscire dall’atteggiamento narcisistico e
si apre alla disponibilità.
Soltanto chi è libero dall’ossessione di se stesso è disponibile.
Essere in:
Si può realizzare soltanto attraverso la relazione personale con l’assoluto o Dio.
All’uomo posso dire ―sono con te e per te‖ e mai potrò dire ―sono in te‖.
All’uomo posso dire ―credo a te‖ , ma ―credo in te‖ lo riservo all’assoluto, a Dio.
Di cosa vive un gruppo?
Stima
Prima di tutto di sé, quindi accettarsi con i propri difetti.
Poi accettare l’altro (io valgo, tu vali).
Come posso accogliere il malato se non faccio l’esperienza di essere accolto?
Prima di stimare bisogna conoscersi, ma noi quanta fatica siamo disposti a fare per conoscerci?
Sincerità
Per conoscersi occorre togliersi le maschere, essere sinceri e non temere di dare fastidio, avere il
coraggio di esprimere le proprie idee, rendersi conto che sono le idee diverse, naturalmente espresse
con educazione, che aiutano a crescere nel gruppo che, altrimenti, si appiattisce sulle idee del
conduttore.
Non avere paura dei conflitti: senza conflitti non si vive, solo bisogna imparare a gestirli in maniera
proficua.
Spiritualità’
43
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Come comunicazione empatica, come capacità di avvicinare il malato.
Diversi tipi di gruppo:
Federavo – la federazione nazionale che riunisce più di 240 AVO in Italia
Associazione – L’AVO di Torino
Ospedale – siamo in 14 strutture cittadine
Reparto
Turno
Diverse realtà ma tutte unite dal medesimo sforzo di portare avanti una presenza vicino al malato che
dia il senso della fraternità, dell’amicizia e della condivisione.
Diverse realtà e quindi anche diverse modalità di partecipazione.
AVO, scuola di impegno e di tolleranza
Anzi, a questo proposito vorrei fare una parentesi per riflettere sul lavoro organizzativo della nostra
Associazione.
Ricordatevi che tutto quello che avete già trovato da quando vi siete iscritti a questo corso ma
soprattutto quello che troverete negli ospedali è frutto del lavoro gratuito di molte persone, le
responsabili in testa ma non dimentichiamo la segreteria e il Consiglio Esecutivo, persone che si
impegnano praticamente ogni giorno dell’anno perché ci sia sempre qualche volontario in corsia vicino
ai malati.
Credo che questo fatto vada sempre ricordato, soprattutto quando, e potrà anche capitare, troverete
qualche piccola pecca nell’organizzazione. Io propongo sempre ai nuovi volontari di considerare
quest’aspetto del nostro servizio perché state entrando a far parte di un mondo nuovo, il volontariato,
che ha canoni di giudizio diversi rispetto a quelli che nostra società moderna ci propone. Invece di
giudicare il lavoro degli altri bisogna comprendere la fatica di questo lavoro e, nei limiti del possibile,
lasciarsi coinvolgere per aiutare il gruppo affinchè il nostro servizio al malato sia sempre più
professionale.
Aiutare il gruppo vuol dire anche solo partecipare costantemente e in maniera attiva alle nostre riunioni
proprio perché il successo o l’insuccesso di una riunione dipende, in maniera preponderante,
dall’impegno di chi vi partecipa e quindi da tutti noi.
Non negatevi al gruppo, ai colleghi, li privereste delle vostre esperienze e delle vostre riflessioni che
insieme alle altre sono la ricchezza di tutti.
Torniamo a quello che abbiamo detto all’inizio del nostro incontro: voi siete venuti qui per iniziare un
servizio vicino alle persone sofferenti, certo, questo è il nostro scopo primario, ma avvicinarsi al mondo
del volontariato vuol dire anche un’altra cosa, molto bella che scoprirete poco per volta, ma soltanto se
voi sarete disponibili al cambiamento, se voi vi lascerete coinvolgere dall’Associazione.
Far parte di un’associazione come la nostra, che è condotta esclusivamente da volontari che
liberamente scelgono di impegnarsi per far sì che tante persone generose possano andare ogni giorno
in tanti ospedali a porgere la loro amicizia ai malati, è una cosa bellissima che a noi riempie di orgoglio
che vogliamo trasferire a voi.
Ma non ignoriamo che è un cammino faticoso, vuol dire mettersi in discussione, sapere che non
sempre le nostre idee saranno vincenti.
L’amicizia che è nata tra noi volontari vi posso dire che è profonda. Chi ha avuto esperienze di dolore
sa che può contare sui colleghi perché ci conosciamo, ci rispettiamo, ci vogliamo bene al di là delle
differenze che ci contraddistinguono. Purtroppo però non tutte le persone che si avvicinano alla nostra
associazione hanno la voglia e la pazienza di accettare la fatica di questo cammino.
La fatica è il prezzo da pagare per crescere.
Io mi auguro che la maggior parte di voi, come detto prima, non si neghi al gruppo ma abbia voglia di
intraprendere questo cammino di crescita personale che vi assicuro, vi arricchirà. Spero di essere
riuscita con queste mie parole a trasmettervi un po’ di quell’orgoglio che noi volontari AVO sentiamo
nell’appartenere ad un’associazione come questa.
Vicini al malato ma anche vicini ai colleghi che condividono con noi questo magnifico progetto
dell’AVO, questa è la sfida che vi lanciamo e che siamo sicuri raccoglierete con frutti proficui.
44
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
CI IMPEGNIAMO NOI E NON GLI ALTRI
Ci impegniamo noi e non gli altri
unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto né chi sta in basso,
né chi crede né chi non crede.
Ci impegniamo
senza pretendere che altri s’impegnino,
con noi o per suo conto,
come noi o in altro modo.
Ci impegniamo
senza giudicare chi non s’impegna,
senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna.
Ci impegniamo
per trovare un senso alla vita,
a questa vita, alla nostra vita,
una ragione che non sia una delle tante ragioni,
che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore.
Ci impegniamo
non per riordinare il mondo,
non per rifarlo su misura, ma per amarlo;
per amare
anche quello che non possiamo accettare,
anche quello che non è amabile,
anche quello che pare rifiutarsi all’amore.
Ci impegniamo
perché noi crediamo all’amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta per impegnarci perpetuamente.
Primo Mazzolari
Bibliografia: - ―Dalle parole al dialogo‖ G. Colombero - ed. S. Paolo
―Il gruppo, luogo di crescita‖ p. A. Pangrazzi - ed. Camilliane
― Proposte AVO‖ G. Pelucchi – ed. Paoline
― Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo‖ Quaglino, Casagrande, Castellano - ed.
Cortina
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Norme di sicurezza per il volontario in
Ospedale
Antonio GALLO - Volontario AVO al Mauriziano
Norme di Sicurezza per i
volontari in ospedale
Come ogni azienda italiana le attività dei dipendenti devono
essere svolte nel rispetto della normativa vigente in rapporto
alla sicurezza del posto di lavoro (D.Lgs 81/08).
Le strutture ospedaliere hanno tutte già predisposto ambienti
a norma e indicazioni sul comportamento in caso di
emergenza, per i propri dipendenti ed i lavoratori ospiti.
Anche i Volontari Ospedalieri sono inseriti (limitatamente ai
compiti loro assegnati) in tali strutture.
Di seguito sono elencate alcune indicazioni per i V.O.
Per i Volontari Ospedalieri, vale quanto segue:
 In relazione alle attività di supporto alla persona svolte
dal personale volontario non sono da prevedersi
operazioni di assistenza sanitaria sui pazienti o contatti
diretti con apparecchiature sanitarie, né con farmaci o
sostanze ad uso sanitario.
 Al fine di operare in completa sicurezza i volontari
dovranno fare riferimento alla figura del preposto (es.
caposala) per le corrette procedure e informazioni
necessarie, attenendosi alla sue indicazioni. (per casi
semplici riferirsi al proprio coordinatore)
 Particolare attenzione va posta alle procedure da attuarsi
in caso di emergenze (es. incendi, fumo, …) Le regole
comportamentali del Volontario sono contenute nel
mansionario e nello statuto, ma più in dettaglio sono
definite per ogni ospedale coerentemente ai reparti in cui
si opera.
Misure di Prevenzione da rispettare :
o Divieto di fumo in tutti gli ambienti.
o Non manomettere nessuna strumentazione o
dispositivo di sicurezza
o Non accumulare rifiuti, ne ostruire vie di accesso
o Non utilizzare apparecchiature elettriche senza
autorizzazione
o Prendere visione
– della cartellonistica,
– delle istruzioni di sicurezza affisse e
– delle planimetrie per individuare le vie di fuga ed i
centri di raccolta.
Indicazioni operative per i nuovi
volontari :
• Affiancare il tutor per le prime 30 ore di servizio
e farsi spiegare le regole di comportamento
provandole sul campo.
• Seguire le sue istruzioni nei casi di emergenza.
• Al momento del passaggio a socio tirocinante, la
responsabile dell’Ospedale vi farà prendere
visione della documentazione sui rischi
ospedalieri e sul piano di emergenza, e sulle
regole comportamentali vigenti nel reparto in cui
opererete.
• Successivamente, secondo pianificazione
interna all’Ospedale, seguirete un breve corso
di informazione
Alcuni esempi del MANSIONARIO:
 rispetto degli orari
 determinati servizi chiesti dall’ammalato (deambulazione,
sistemazione dei cuscini, ecc. ) devono essere autorizzati dal
personale responsabile.
 Non indagare sulla malattia, né parlarne con l’interessato. Bisogna
rispettare il segreto professionale.
 Non effettuare operazioni di trasporto di materiale sanitario
(provette, sacche di sangue, pappagalli, …) né interventi su
regolazioni di flebo, … In genere non si deve mai effettuare le
attività di competenza del personale sanitario.
 Evitare tutti i contatti fisici che possano danneggiare il paziente
(sollevamento dal letto, sistemazione sulla sedia a rotelle, …), o
infettarlo o esserne infettato.
 Non fornire al paziente generi di conforto non autorizzati
 Divieto di accesso ad ambienti operativi (di medicazione, di analisi,
di diagnostica, di disinfezione.)
 Di fronte a cadute, svenimenti o ferite dei pazienti chiamare subito il
personale sanitario più vicino e non intervenire direttamente sul
paziente stesso
 In caso di evacuazione, non si deve agire sul salvataggio dei
pazienti ma avvertire, presidiare e mettersi in salvo senza ostacolare
Comportamento e procedure di emergenza:
 Provvedere, se necessario, ad allontanare le persone
in condizioni di immediato pericolo, in attesa dei
soccorsi, senza pregiudicare la propria incolumità
 Raggiungere l’esterno dell’edificio seguendo i
precorsi predisposti
 Non usare mai gli ascensori
 Nei locali invasi dal fumo raggiungere la porta con
percorso perimetrale
 Per le scale invase dal fumo procedere a carponi a
ritroso
 Prima di aprire un porta sfiorare la maniglia con il
dorso della mano, se scotta, non aprire.
 Mai farsi prendere dal panico
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Etica:
uno sguardo sui dilemmi del nostro tempo
Michela GALETTI – già Responsabile formazione continua ASO Regina Margherita e Sant’Anna
Viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le ―passioni tristi‖. Il filosofo non si
riferiva alla tristezza del pianto, ma a un senso pervasivo di impotenza e incertezza che ci porta alla
chiusura in noi stessi e a vivere il mondo come una minaccia alla quale bisogna rispondere ―armando‖i
nostri figli.
Viviamo nella disgregazione, frutto di un opulento progresso che ci costringe a fare i conti con la
perdita di fiducia, con la delusione nei confronti di quella scienza che non sembra più contribuire alla
felicità degli uomini..
Studiosi, scienziati e mistici ritengono che una delle caratteristiche essenziali della nostra cultura
occidentale sia la ―frammentazione‖, intesa come radicata tendenza alla divisione dei linguaggi della
conoscenza e dei modi di vivere.
La civiltà moderna, industriale in cui predomina una visione analitica, riduttiva e materialistica
dell’esistenza, adotta inconsapevolmente un modello dicotomico, basato sulla divisione cartesiana tra
materia e coscienza, tra corpo e anima tra scienza e spiritualità tra l’uomo e la donna. Questa
concezione, risultato di una lunga serie di eventi storici, è espressione di un essere umano senza
integrità che vive una profonda divisione tra anima e corpo, testa e cuore, tra le sue qualità maschilirazionali e femminili-affettive, tra i suoi istinti e la sua coscienza, che vive separato dalla naturalezza
dell’essere e che continua a riflettere questa percezione frammentata nel mondo che crea intorno a se
stesso.
Le ricerche in psiconeurofisiologia evidenziano che la frammentazione dell’esperienza umana si riflette
neurofisiologicamente sulla frammentazione funzionale delle differenti aree cerebrali, più precisamente
su una bassa coerenza nelle comunicazioni sia tra i tre cervelli rettile-istintivo, mammifero-emozionale
e umano-mentale che tra l’emisfero razionale e intuitivo creando quello stato, che il neurofisiologo Paul
MacLean chiamava ―schizofisiologia‖.
La più grave mancanza di questa cultura frammentata è la sua incapacità a comprendere l’unità
vivente, la sacralità della vita e un’intollerabile mancanza di cuore. Questa dicotomia della coscienza
ha prodotto conseguenze che si ripercuotono su tutta l’umanità e sull’intero pianeta quali una scienza
―senza anima‖, un’economia disumana e una concezione del mondo meccanica, senza etica ne
finalità. Il risultato di questa politica cieca e inconsapevole della globalità dei processi e delle relazioni
ha causato i drammatici effetti di devastazione degli ecosistemi, inquinamento, sfruttamento, abusi.. Il
punto di svolta è l’educazione orientata all’unità, all’unità nella diversità, in una parola al paradigma
olistico che è un gioco circolare di conoscenza. Il suo assunto è che conoscere se stessi rappresenta
la chiave per la conoscenza della vita di cui siamo parte integrante diventando co-creatori del
processo di crescita e di evoluzione della coscienza globale di sé e del pianeta.
Nutrire la consapevolezza che siamo figli delle leggi generali della complessità che abbiamo appena
iniziato ad esplorare e che siamo figli della storia, una storia lunga quattro miliardi di anni vuol dire
alimentare devozione e rispetto per la vita e per i suoi recessi ancora nascosti, vuol dire riconoscere
che la vita nel suo eterno movimento scorre caotica e complessa e che la conoscenza scientifica sui
sistemi dinamici non lineari, sulla fisica quantistica sta spalancando le porte ad nuova frontiera, la
frontiera dell’homo olistico.
L’effetto farfalla, il cui battito d’ali in Brasile può determinare un tifone nel Texas è ad esempio uno
degli innumerevoli campi di esplorazione. Noi ―soggetti consapevoli‖ abbiamo già sperimentato che un
sorriso, uno sguardo, un atteggiamento, un input apparentemente insignificante può determinare un
tifone nel cuore e modificare una vita. Anche l’intuito clinico non è da sottovalutare, un segno, un
evento non catalogato, una situazione particolare sempre per l’effetto farfalla possono far prospettare
un inquadramento diagnostico esatto.
Ma che cosa posso fare io per sostenere e guidare il cambiamento in atto? La risposta è semplice ed è
stata espressa migliaia di volte nei diversi luoghi del pianeta ed è pilastro fondamentale nel
cristianesimo, nell’ebraismo, nell’islam, nell’induismo e nel confucianesimo: si tratta della regola aurea
che prescrive di fare agli altri tutto ciò che si vorrebbe che gli altri facciano per noi.
Forse sta qui la motivazione che spinge una persona a diventare volontario in ospedale al servizio
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
della persona e quindi all’opera dell’Essere umano. Porsi domande basilari sulla malattia è certamente
importante, ma confrontarsi con le domande riguardanti la complicata natura dell’uomo ci orienta verso
la comprensione di noi stessi, presupposto per la comprensione dell’altro.
Decine di rapporti vengono iniziati, mantenuti, conclusi da ognuno nell’opera di volontariato, ogni
rapporto però è unico e ogni rapporto ci offre nuove opportunità per migliorarci ed acquisire una
sempre maggior autocoscienza e l’ineguagliabile possibilità di sviluppare questa dote.
Pensiamo ad esempio, alla nascita come inizio della vita, ma quando viene messa a repentaglio e
sgretola il senso del venire al mondo ci mette in crisi: operare in queste circostanze è difficile per gli
operatori sanitari, è difficile per tutti se non si è preparati a creare con la famiglia uno spazio di
domanda più che di risposta. Allora impegnamoci anche noi volontari a creare le condizioni di dicibilità
del dolore per ricostruire nuovi orizzonti, impegnamoci a dare spazio più alle domande che alle
risposte, impegnamoci a far proliferare questo spazio proprio là dove sembra non esserci più tempo né
spazio.
Impariamo però a distinguere che cosa possiamo cambiare da che cosa non possiamo cambiare per
non cadere nel paradosso e peggiorare la ―nostra‖ crisi esacerbando le nostre preoccupazioni, i nostri
dubbi, le nostre paure ed ampliando la sensazione d'incertezza e di impotenza.
Come ci suggerisce S. Covey impariamo a riconoscere i problemi collocandoli nella ―zona di
preoccupazione‖ o nella ―zona di influenza‖ della crisi per mettere a fuoco quello che possiamo
cambiare con le nostre azioni.
Albert Einstein diceva che la crisi è la migliore benedizione che ci può accadere - tanto alle persone
quanto ai Paesi - poiché questa porta allo sviluppo personale e al progresso. Considerava che la
creatività nasce dall'angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura ed è nella crisi che appaiono
l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Spiegava che chi supera una crisi supera se stesso senza
rimanere "superato". Indicava che, senza crisi, non ci sono sfide e senza sfide la vita si trasforma in
una routine che si va trasformando in una lenta agonia. Citava che, senza crisi, non ci sono meriti. É
nella crisi che affiora il meglio di ciascuno. Tuttavia, diceva anche che parlare della crisi è promuoverla
e suggeriva che, invece di guardarla, è meglio lavorare duramente per non finire intrappolati nella vera
crisi che minaccia la nostra vita, cioè la tragedia di non voler lottare per superare le crisi che ci tocca
vivere.
In conclusione quello che il bruco interpreta come la crisi finale della sua vita è quello che in
termini reali noi chiamiamo farfalla!
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
L’AVO incontra la Multicultura
Ruben NASI – Operatore Gruppo Abele
Salute e Migranti nei Servizi di Accoglienza di Torino
1. Italia: Crisi non solo economica ma anche sociale
Il contesto sociale ed economico italiano è in un periodo di forte crisi. Sono sempre più diffuse derive
intolleranti, che spingono al conflitto, in particolare tra le fasce più fragili della popolazione. La crisi
economica colpisce in particolare i cittadini più deboli, ma non solo: molte persone che fino a poco
tempo fa erano in una condizione dignitosa e di autosufficienza sono cadute in povertà, a causa della
perdita del lavoro e/o della casa, per via di separazioni dal partner e dalla famiglia.
La crisi non è quindi solo economica ma soprattutto sociale, nelle città, nei servizi, nelle istituzioni.
I cittadini migranti risultano essere una delle fasce maggiormente colpite, sia per il clima di forte
intolleranza sia per le restrizioni legislative. La Legge n. 94 del 15/07/2009 (il famoso ―Pacchetto
Sicurezza‖) prevede norme che rendono ancora più complessa la vita di queste persone, a partire da
un diritto fondamentale quale è quello alla salute, garantito dalla nostra Costituzione ad ogni individuo
con l’art. 32. ―La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti
imposti dal rispetto della persona umana‖.
L’esperienza dell’Associazione Gruppo Abele fa emergere una serie di criticità in relazione a questo
tema.
2. Cittadini stranieri: regolari ed irregolari
I cittadini stranieri, in particolare quelli irregolari, difficilmente si rivolgono a strutture sanitarie
pubbliche, per paura di essere denunciati. Tutto ciò avviene tanto per gli uomini quanto per le donne,
le quali inoltre non accettano facilmente di essere visitate da personale di sesso maschile. Si aggiunge
poi il problema linguistico ed il basso numero di mediatori culturali all'interno dei servizi, oltre ad una
scarsa conoscenza dei servizi presenti sul territorio.
2.1 Sostanze e dipendenze
Questa situazione di forte vulnerabilità porta in molti casi la persona a cadere nel labirinto delle
sostanze e della dipendenza, non solo da eroina e/o cocaina ma anche per l’utilizzo e l’abuso di alcool
e psicofarmaci, spesso assunti insieme. Gli psicofarmaci hanno un costo molto basso sul mercato e
sono facilmente reperibili. Parlando di cittadini di nazionalità marocchina, vi sono numerosi casi di
persone che utilizzavano ed abusavano di tali sostanze già in patria, in particolare chi arriva dalle
grandi città come Casablanca. Si tratta di un fenomeno nuovo, sul quale quindi non si hanno ancora le
necessarie conoscenze e gli adeguati strumenti di intervento e prevenzione. Le risorse dei Sert per la
popolazione straniera sono scarse: non vi è un numero adeguato di mediatori culturali, la presa in
carico di un cittadino irregolare va a discrezione del singolo Sert e, al termine di un ipotetico percorso
di uscita dalla dipendenza, non è possibile ottenere un permesso di soggiorno. Tutto ciò ovviamente
non facilita l’accesso ai servizi e rende molto alto il rischio di ricadute. Il percorso risulta ancora più
difficile a causa della mancanza della famiglia, elemento di forte sostegno per il singolo.
3. Stranieri neocomunitari
La dipendenza da sostanze, più che altro da alcool, vede una forte diffusione anche tra la popolazione
dell’Est Europa, in particolare proveniente dalla Romania. L’entrata nell’UE non ha alzato di molto il
livello di qualità della vita della popolazione romena, e molte persone non sono riuscite ad emergere
ed a trovare una via per uscire da una condizione di forte emarginazione. Tutto ciò porta appunto
all'abuso ed alla dipendenza da alcool, sostanza che è inoltre legale e quindi socialmente accettata. In
Romania è un elemento culturale, strumento di convivialità ed automedicazione, e quindi risulta più
difficile la presa di coscienza dell’individuo, il riconoscimento che vi è un problema da affrontare. Per
quanto riguarda l’accesso al SSN la popolazione neocomunitaria si trova in un’area ―grigia‖ della
legislazione vigente. Per l’iscrizione è necessario essere registrati all'anagrafe ed avere una residenza.
Non vi è diritto alla tessera ISI, in quanto la persona si trova regolarmente sul territorio italiano. Fino a
poco tempo fa veniva fornito il codice STP (straniero temporaneamente presente). Attualmente i
cittadini comunitari possono richiedere il codice ENI (europeo non iscrivibile). Tali procedure non
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
vedono però normative e di conseguenza diritti chiari e facilmente esigibili.
4. Rifugiati politici
La città di Torino negli ultimi anni ha visto l’arrivo di moltissime persone con lo status di Rifugiato
Politico o titolari di Protezione Sussidiaria. Il Gruppo Abele ha seguito da vicino tali dinamiche e le
vicende che questo fenomeno ha fatto nascere. Rispetto al tema salute, questi uomini e queste donne
si ritrovano anch’essi in una zona ―grigia‖, non ben definita dalle leggi attuali. Tutto ciò ha reso
necessario un Protocollo di Intesa tra Prefettura di Torino, Questura di Torino, Provincia di Torino e
Regione Piemonte, così da poter garantire l’iscrizione al SSN e l’esenzione dal ticket. Questa
situazione risulta paradossale in quanto solo attraverso lo strumento del Protocollo di Intesa tra i
soggetti interessati si è potuto garantire il diritto alla salute a persone che arrivano nel nostro paese per
fuggire dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni. Tale provvedimento non risulta tra l’altro così
conosciuto. Anche rispetto a questa fascia di popolazione emerge l’urgenza di avere maggiore
personale che si occupi della traduzione e della mediazione culturale all'’interno dei servizi.
5. Tratta e prostituzione
Vi è infine la situazione delle donne vittime tratta, rese schiave e costrette a prostituirsi nelle nostre
strade. Proprio per la loro condizione queste donne non hanno alcun tipo di documento, sottratto
all'entrata nel nostro paese o ancora prima, durante il lungo viaggio verso l’Italia. Tutto ciò rende
complessa l’iscrizione all'ISI, e di conseguenza i diritti che ne conseguono non risultano così
facilmente esigibili. Il permesso di soggiorno per motivi sanitari viene concesso raramente, non
permette alla persona di lavorare e quindi un ipotetico percorso di inclusione sociale. Questo
documento difficilmente viene rinnovato o è possibile convertirlo, ed in più non permette di ottenere
esenzioni che determinano il pagamento di diverse prestazioni, alcune di queste molto care e di
conseguenza non sostenibili dalla persona.
6. Torino - Italia: presente e prospettive future
La situazione della città di Torino sottolinea l’estrema delicatezza del momento storico che stiamo
vivendo, una fase nella quale la mancanza di risorse rischia di spostare il conflitto sociale dal tema del
lavoro a quello dei servizi, del welfare, sempre più privo di risposte adeguate alle esigenze delle
persone. Questa situazione rischia di delegare al privato sociale i compiti che devono essere anche e
soprattutto del pubblico e delle istituzioni. Abbiamo tutti la responsabilità di continuare ad accogliere e
sostenere le persone che incontriamo quotidianamente, di lavorare maggiormente in rete e di ricoprire
un ruolo che non deve essere solo di assistenza ma anche ed in particolare culturale, per diffondere
principi diversi dai contenuti che purtroppo vedono maggior spazio sui media e di conseguenza
maggior consenso. Solo attraverso un costante lavoro che miri all'incontro con la cittadinanza, e
rafforzi il legame sociale tra le persone e con le istituzioni potremo essere realmente portatori di
speranza e di cambiamento.
“La speranza ha due figli: la rabbia e il coraggio.
La rabbia, nel vedere come vanno le cose.
Il coraggio, di vedere come potrebbero andare”.
Sant’Agostino
A cura di Ruben Nasi (operatore gruppo Abele)
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
AVO Giovani
Marco SARTI -Consigliere Esecutivo AVO Torino
• L’A.V.O. Giovani rappresenta la forza, la vitalità
e il futuro dell’A.V.O. Torino.
• L’A.V.O. Giovani è composto da giovani
volontari con un’età compresa tra i 18 ai 40
anni, che offrono il loro tempo per diverse
attività sia presso gli ospedali, cercando di dare
un po’ di sollievo e di portare solidarietà ai
pazienti, sia in diverse manifestazioni cittadine,
tramite l’allestimento di stand per promuovere e
per far conoscere la propria associazione.
ATTIVITA’
• Servizio in ospedale. La sua missione principale.
•
Promozione. Far conoscere la propria
associazione, tramite l’allestimento di banchetti
durante eventi particolari (giornate del
volontariato, mercatini di Natale…)
51
AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
.
• Promozione. Far conoscere la propria
associazione nelle scuole e diffondere la cultura
della solidarietà.
• Gite e creazione di una rete d’amicizia.
Incontrarsi con i volontari delle altre A.V.O.
nazionali per capire come sono strutturate, per
confrontarsi sulle attività passate e future e per
scambiarsi consigli ed idee.
Vedersi e divertirsi anche al di fuori dell’ambito
del volontariato (apericena, discoteca) per
creare un gruppo più unito.
COME PARTECIPARE
•
L’A.V.O. Giovani è un gruppo sempre aperto a
nuove idee e proposte e all’arrivo di nuovi
giovani volontari.
Per contattarlo: [email protected]
• L’A.V.O. Giovani si riunisce periodicamente per
organizzare il proprio lavoro durante gli eventi,
ma soprattutto, per confrontarsi sul servizio
offerto, sul come migliorarlo e per condividere le
proprie proposte.
COME ESSERE INFORMATI
• L’A.V.O. Giovani ha una propria rubrica nel
giornale dell’associazione “AvoTorinoInforma”
per rendere partecipi delle loro esperienze anche
gli altri volontari.
• L’AVO GIOVANI ha una propria sezione “AVO
GIOVANI” sul sito www.avotorino.it (foto,
articoli, news, bacheca)
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
AVO Torino Informa
Eugenia BERARDO –Responsabile Giornale AVO Torino Informa
AVO TORINO INFORMA è il nostro periodico
che esce tre volte all’anno (marzo, giugno e
novembre), a colori e in formato 16 pagine.
La tiratura media è di 1.300 copie per ogni uscita;
copia del giornale è spedita per posta (usufruendo
di una tariffa speciale) a tutti i soci (Volontari in
servizio e non in servizio), a Enti, Associazioni,
Autorità cittadine e a tutte le AVO del Piemonte e
delle altre regioni.
Il gruppo di redazione è attualmente composto da
8 volontari, ma tutti possono concorrere con
consigli, proposte, critiche ecc. perché il nostro è
un giornale fatto da volontari (nessuno di noi è
giornalista o esperto) per i volontari.
Il piano editoriale è strutturato in rubriche.
L’obiettivo è quello di creare un periodico di
informazione e di formazione, utile a far conoscere
la nostra realtà associativa, ma non solo. A questo
scopo la Redazione si impegna a
scegliere
argomenti di formazione e riflessione che possano
essere di stimolo al confronto e di suggerimento
per la nostra vita e per il nostro impegno di
volontari.
Uno spazio importante è riservato all’ AVO GIOVANI, per dar voce al loro gruppo e alle loro
iniziative.
Per la realizzazione del nostro giornale sono importanti riflessioni, testimonianze, storie e poesie che
ci pervengono dai volontari.
Scrive James Hillman ne “La forza del carattere”: “Le storie che raccontiamo alla fine si prendono cura di noi.
Se ti arrivano delle storie abbine cura. E impara a regalarle dove ce c’è bisogno. A volte una persona per
sopravvivere ha bisogno di una storia più ancora che di cibo. Ecco perché inseriamo queste storie nella memoria
gli uni degli altri. È il nostro modo di prenderci cura di noi stessi.
Il sig. Giuseppe, anziano e malato, nel giorno di san Valentino mi chiese di andare a
comprare una rosa per sua moglie che gli avrebbe fatto visita all’ora del pranzo,
dicendo: «Sa, l’ho sempre comprata io, ma questa volta proprio non posso farlo! Per
favore, può farlo lei?»
Emilio
Amo questo servizio e ogni venerdì esco
dall’ospedale felice anche se ho dato solo un
cambio, fatto sorridere un bimbo o ascoltato le
paure di una mamma. Il giorno dopo li penso uno
per uno i “miei” bimbi, e qualcuno mi rimane nel
cuore a lungo, forse per sempre. Talvolta è difficile
accettare che una piccola vita abbia già sofferto
tanto. Ma il venerdì
successivo sono pronta a
ripartire, e a regalare il poco che posso regalare. Un
caro saluto e un abbraccio
Loredana
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
Il Disagio Psichico
Tania MARGIOTTA –Medico Psichiatra - Psicoterapeuta
Il contatto con la sofferenza disorienta sempre, ponendoci di fronte alla possibilità di un
sentire altro. Vorremmo partecipare nel giusto modo, ma non sappiamo esattamente quale
sia; un modo sereno e maturo, probabilmente, che rimandi al paziente uno stare felice, fatto
di umanità e di corpo.
La sofferenza psichica ci confonde maggiormente, ponendoci di fronte un’entità senza volto,
senza nome, senza una reale e definitiva localizzazione. Non sappiamo esattamente chi l’abbia
prodotta, né come si sia sviluppata e tanto meno quale sia l’organo, l’apparato malati, e ancor
più oscura e misteriosa sarà la via della guarigione.
Stiamo accanto a colui che soffre e non sappiamo dove appoggiare il nostro punto di leva, non
capiamo esattamente cosa dare perché lui sappia riappropriarsi della vitalità che sicuramente
gli era appartenuta. E noi vorremmo concedergli almeno una pausa dal dolore, ma temiamo
che ogni nostra parola o gesto possa essere frainteso, reinterpretato secondo la grammatica di
quel disagio, facendolo ulteriormente sprofondare nella sofferenza di sempre. Si perpetua e si
amplifica così una sofferenza vaga, un disagio. Si perpetua nel contatto col mondo, reale o
immaginato, ma sempre un contatto frainteso, filtrato dal disagio stesso, mai realmente
affrancato da lotte interiori.
Se la partecipazione al dolore altrui è sempre problematica, lo è ancor di più quando il dolore
è psichico-esistenziale, perché sentiamo che la nostra partecipazione a quel mondo potrebbe
essere incorporata nel disagio stesso fino ad alimentarlo.
Così un’osservazione troppo spontanea sull’abbigliamento di un paziente paranoico potrebbe
includerci nel suo delirio, una consolazione troppo calorosa ad una persona depressa
potrebbe scatenargli la rabbia di chi è convinto di non essere capito e il nostro intervento
sarebbe ai suoi occhi superficiale, o ancora un ragionamento troppo particolareggiato a una
persona delirante potrebbe confonderlo e renderlo aggressivo.
E così via; sentiamo che la relazione, linguistica e non, che si instaura tra persone può entrare
a far parte del mondo di malattia e esserne inclusa, inglobata nel delirio, nel malessere.
Questo ci destabilizza e ci spaventa quando stiamo accanto a un malato di mente.
Il disagio psichico infatti intacca sempre la relazione col mondo.
Per la persona depressa non c’è piacere, non c’è speranza che possa farla approdare ad una
nuova progettualità, che pur sarebbe la sua salvezza. Il conforto, agli occhi di un depresso, ha
un colore altro dal nostro; anziché luogo di incontro e condivisione diviene condizione amara
di una ineluttabile sofferenza destinata a ripetersi.
Per il giovane psicotico l’allentamento dei nessi associativi lo fa perdere in una solitudine
irrimediabile; se lui ogni volta non è in grado di ricostruire una storia di senso, noi restiamo
distanti e non sappiamo quale possa essere la parola che lo guarisce, in grado di ricucire un
rapporto col mondo frammentato. Sentiamo il timore che ogni nostro dire possa ledere
ulteriormente il labile legame rimasto e incorporarci nello scacco relazionale.
E ancora; la rabbia travolgente del paziente borderline sembra non avere rimedio. Il suo
odio verso i genitori, gli amici, fino a includere tutto il mondo interiore, non dà lo spazio
perché ci sia la possibilità di inserirci nella sua emozione e ri-dimensionarla, relativizzarla ad
un accaduto normale, alleggerirla di quel pathos distruttivo, di quella drammatica
irreversibilità. Il paziente borderline vive ogni defallance relazionale come definitiva e
amplificata; l’emozione che lo pervade chiude ad ogni possibile futuro relazionale, e lui ne
resta ingabbiato, soffrendo ulteriormente di quella sua stessa emozione, in un assurdo gioco
di proiezioni e identificazioni.
Così pure l’apparente buon umore del paziente maniacale si palesa, nel contatto relazionale,
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
come chiusura autocentrata, esaltazione fatua, la sua vulcanica progettualità non ha
fondamento, ma se proviamo a inserirci con un buon senso di realtà, ridimensionando il suo
progetto, scateniamo in lui la rabbia che trasforma l’eu-foria in dis-foria furiosa.
Nel linguaggio della malattia mentale è scardinato il senso profondo di questo nostro-stareinsieme, e le parole così come i gesti, ogni volta fraintendibili, sono integrati nella forma
mentis che ha generato la sofferenza.
In questo sta proprio il perpetuarsi del disagio psichico.
La persona potrà guarire soltanto quando avrà risanato davvero il suo contatto col mondo,
uscendo dalla fraintendibilità che sempre si offre ai rapporti umani.
Se la patologia mentale nasce all’interno del mondo relazionale è proprio in quel mondo che
potrà trovare la via di guarigione.
Per questo motivo le psicoterapie curano, perché attraverso la parola sana del terapeuta
viene guarito il mondo interiore del paziente, e i fantasmi lasciano lo spazio ad una relazione
vera, per quanto faticosa o conflittuale, ma vera.
E’ proprio dalla relazione che dobbiamo partire per “guarirci”, e voi, che svolgete questa bella
e sana attività di volontariato in ospedali e cliniche, avrete più di altri l’opportunità di
conoscere i modi dello stare accanto.
Li affronteremo insieme, nel corso dell’incontro formativo.
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
L’uomo fragile:
la malattia, la sofferenza, la cura
Breve storia e alcune riflessioni sull’assistenza al disagio fisico e psichico del malato
Dott. Francesco SCAROINA - Direttore Dipartimento Medico Ospedale S. Giovanni Bosco - TorinoDirettore SC Medicina Interna B
“Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità
il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.
Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero
forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, carcerato e siete venuti a trovarmi, malato e mi
avete visitato”. (Matteo 25,37)
Caritas e Infirmitas sono concetti centrali nella spiritualità cristiana: essi completano la predisposizione
filantropica presente nei precetti ebraici e nella patristica tardoantica.
Caritas ha tre significati:
Deus caritas est (la natura del Dio vivente)
Domus caritatis (un luogo d’assistenza)
Caritas (elemosina)
All’inizio del medio Evo la cultura cristiana e sociale, in occidente, fa propri tutti e tre i significati e dà
vita a Cesarea, in Cappadocia, per volontà di S. Basilio, il primo Ospedale di carità cristiana. Siamo nel
380: seguirà l’esempio la dama Fabiola in Roma.
Dopo il 600, sempre a partenza dall’Oriente, la gerarchia ecclesiastica si impegna nella fondazione di
Ospedali in una articolata tipologia di denominazioni che rimarrà uno dei tratti caratteristici
dell'Ospedale bizantino: xenodochium (per gli stranieri), ptocheion (per i poveri), pandocheion (per i
pellegrini), gerontocomio, orfanatrofio, brefotrofio, ecc. In occidente, oltre agli ospedali monastici,
sorgeranno ospedali laici, per lo più sede di Università, e qui si formeranno i primi Collegi dei Maestri o
Sapienti laici, da cui prenderanno nome di "Sapienza" le Scuole stesse.
La storia della medicalizzazione, intesa come impegno specifico nella cura dei malati parte dunque
dall'ospedale medievale e si articola in varie fasi di cui la prima, non a caso, coincide con l'esperienza
medica monastica e arriva, cronologicamente, al XIV secolo: si tratta di un periodo denso di
avvenimenti in cui l'esperienza monastica ha un ruolo determinante nella definizione dell'uomo
"malato". Il nesso povertà-malattia è il presupposto per una assistenza indifferenziata, indirizzata sia al
pellegrino che si ammala, sia al malato in pellegrinaggio e finalizzata a rimettere questo viator in
cammino, affinché si compia il percorso che è, nello stesso tempo, itinerario materiale e spirituale. Il
nome e il concetto di infermo in questo periodo è strettamente legato, se non sovrapponibile, a quello
di povero, rappresentando una categoria composita, senza eccessiva distinzione tra necessità
economica e richiesta sanitaria. Sotto l'autorità dei vescovi, nei comuni, sorgono case ospitali urbane,
mentre, sotto l'autorità degli abati, vengono allestite nei monasteri strutture specializzate in cui sono
ricoverati i monaci malati, assistiti da un monaco infirmitario pratico di medicina. L'ampiezza dei locali
destinati ai monaci malati fa immaginare, però, una progressiva apertura anche a persone esterne al
monastero che condividono con i monaci l'esperienza della malattia e della guarigione, voluta da Dio e
finalizzata a riscattare l'umanità malata nel corpo e nello spirito, in quanto peccatrice.
L’impegno dei governi e dei Signori è praticamente nullo: il costume è di portare l’attività medica
direttamente in casa, se il ceto è già leggermente superiore alla condizione del povero. Solo per il
povero esiste, dunque, il ricovero e il Medio Evo cristiano dà quindi fondamento etico all'hospitalitas
come comandamento e servizio al bisognoso, le cui premesse erano già state individuate nelle sette
opere di misericordia corporale: <<L'ospedale medioevale riunirà in sé le funzioni di tre diverse
strutture moderne, proponendosi come struttura sanitaria, ricovero per i poveri, punto di accoglienza
per i pellegrini>>. L'evoluzione dell'assistenza ospedaliera medioevale documenta chiaramente la
caratteristica di una ideologia della salute in cui la priorità spetta alla componente spirituale, mentre la
sanità fisica è subordinata alla cura di un corpo che deve essere tutelato in quanto contenitore
dell'anima. Nel Medio Evo la malattia viene vissuta in modo ambiguo, come male evidente e, nello
stesso tempo, bene potenziale: la malattia è frutto della punizione divina in seguito al peccato
originale, ma è contemporaneamente un'occasione di redenzione, per cui è necessario sopportarla e
accettarla con piena sottomissione alla volontà di Dio.
In base alla convinzione che la malattia è via perfectionis, la Chiesa elaborerà poi un sistema di
medicina teurgica, indicando nell'impegno spirituale il mezzo per combattere la sofferenza fisica: lo
stadio iniziale della guarigione sarà l'allontanamento della causa di malattia, cioè del peccato. Di
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conseguenza la confessione diventa l'atto più urgente al momento dell'ammissione in un ospedale e la
figura del medico, in questo quadro ideologico, diventa accessoria, data anche la generalizzata
impotenza dei mezzi terapeutici a disposizione.
La rarità o l'assenza di interventi medici, infatti, non ha una influenza decisiva sulle sorti del malato
ospedalizzato.
In tali strutture rivestiranno un ruolo fondamentale gli amministratori e il personale e se anche verrà
contemplata la figura del medico, l'assunto ideologico imporrà necessariamente come prioritaria la
figura del capellano, o di più religiosi, incaricati di officiare i servizi.
La pietas, cioè l'amore verso Dio, cresce progressivamente nella cultura sociale e sempre più si
esprime nella caritas, cioè nell'amore verso il prossimo, traducendosi nelle opere di misericordia
corporale, tra le quali assume importanza primaria quella di «visitare gli infermi» e servirli. Il servus Dei
si trasforma in servus infirmorum. Il nome e il concetto di infirmus, cioè di malato, è, come già detto,
strettamente legato al nome e al concetto di pauper, di povero: all'uno e all'altro si applica idealmente
la figura del Cristo, povera creatura sofferente. I due nomi e concetti verranno progressivamente
collegati e considerati sinonimi, citati in un solo fiato nella locuzione ricorrente: pauperes infirmi. Tra
essi si realizzerà uno scambio reciproco di significati, facendo dell'uno e dell'altro, alternativamente, un
attributo e un sostantivo: l'«infermo povero» e il «povero infermo».
Se l'infermo povero sarà il malato indigente che sperimenta quanto più dura sia la malattia nell'estrema
povertà, il povero infermo è il paziente da compatire, con il quale patire insieme, cum pati,
intrattenendo con lui un rapporto di compassione e di simpatia.
"Servi degli infermi" diventeranno pertanto coloro che, religiosi o laici, fratres o sorores, famuli o
famulae, conversi o conversae, intratterranno questo rapporto di servizio caritatevole. In questa
antropologia caritativa il servitore degli infermi non farà distinzione tra una superiore cura dell'anima e
una inferiore cura del corpo; non distinguerà tra una salute cui ambire e una salvezza cui aspirare. Le
pratiche, sacre e profane insieme, dunque, esercitate dai curanti dei conventi o dai monaci infirmitarii
faranno del mestiere un'attività che con il tempo, attraverso un'attenta imitatio e una puntuale repetitio,
diventerà sempre più approssimata all'«arte magistrale» esercitata dai maestri di chirurgia.
Se la somministrazione di purganti e clisteri diventerà 1'«arte delle evacuazioni», la pratica del salasso
con le sue regole fisse e le sue varie modalità esecutive diventerà 1'«arte della flebotomia»,
perfezionata e sofisticata, dando vita al primo embrione di medicina moderna. Per ogni malattia, o
peccato corporeo, si individuerà una vena particolare da incidere e una ben determinata quantità di
sangue da cavare.
Le pratiche della chirurgia dei conventi, più perfezionate e diffuse, tendono poco per volta, nei secoli, a
laicizzarsi e a svolgersi anche fuori le mura conventuali finendo per risultare inconciliabili con i veri fini
del monachesimo. San Girolamo aveva già ammonito in una delle sue epistole: monachi officium est
lugentis, non legentis (i monachi devono avere occhi per piangere di contrizione, non per leggere).
Loro compito non era la lettura dei codici e dei testi di medicina da trascrivere, tradurre e chiosare, né
tantomeno la pratica delle osservazioni mediche e delle operazioni chirurgiche, ma quello irrinunciabile
della preghiera.
Nascono i primi Ospedali laici, voluti dai Comuni.
Nel 1248 vengono poste le prime fondamenta, in Firenze, di un ospedale che diventerà modello per
tutta l’Europa: l’Ospedale di S. Maria Nuova, fondato da Folco Portinari, figlio di Ricovero Portinari e
padre di Beatrice, l’ispiratrice di Dante. Emerge in questo periodo, finalmente, nelle comunità una
grande attenzione per i malati e le persone infortunate, ancora su base volontaria, e, sempre, in
Firenze, l'Arciconfraternita della Misericordia costituisce la prima istituzione di soccorso organizzato,
seppur di ispirazione cristiana. Un merito da attribuire alla Misericordia sarà quello di utilizzare
personale laico e volontario per i suoi servizi di soccorso. L'espletamento del servizio prevede
l'anonimato del soccorritore che indossa un cappuccio, detto buffa, e il primo strumento adottato per il
trasporto dei malati è la zana, specie di gerla dentro la quale si mette l'infortunato che viene trasportato
a spalla. Negli anni successivi verrà utilizzato il cataletto a mano che poteva essere usato fino a tre
miglia dalla città di Firenze. Successivamente, nasceranno altre Misericordie che svolgeranno tale
servizio in tantissime località della Toscana.
Poi inizia il mondo rinascimentale e il progredire verso il mondo moderno.
Assistere gli infermi, sentimento e pratica che accompagna la storia dell’uomo, porta sempre a
pensare che la malattia sia un attentato alla pienezza della vita: diminuzione delle forze,
menomazione, minaccia e incrinatura dell'intera sfera relazionale.
La nostra cultura e la nostra esperienza della malattia, propria e altrui, molto ha raccolto dalla
tradizione ebraica e molto è rimasto nella comune interpretazione antropologica.
Per la Scrittura la vita è relazione con Dio e con gli altri uomini, e la malattia è un attentato alla
pienezza della vita non solo per la diminuzione delle forze e per le menomazioni che provoca a livello
fisico, ma anche per la minaccia o l'incrinatura dell'intera sfera relazionale che essa comporta.
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Nella consuetudine ebraica è consentita la reistenza al dolore per vincerlo: l’obiettivo assoluto è una
vita senza male e senza dolore.
Ma la Scrittura mostra anche le tensioni e i conflitti che l'insorgere della malattia può causare fra il
malato e i suoi famigliari: accenna al fatto che certe malattie emarginano l'uomo dalla società e ne
provocano l'allontanamento dalla sua stessa famiglia, costringendolo a vivere fuori dal consorzio
sociale. Mostra come la reintegrazione nel proprio ambiente sociale e famigliare sia spesso parte
costitutiva della guarigione.
Manca, comunque, nell’AT la positiva proposta di un modello etico per l’opera di misericordia :‖visitare
gli infermi‖.
Nel libro di Giobbe viene attestata l'usanza della visita al malato da parte di amici (Gb 2,11-13) o di
parenti (Gb 42,11) o di conoscenti: sempre si tratta della visita compiuta da persone legate al malato
da rapporti di amicizia o di parentela.
Ma colpisce il fatto che si tratta di amici che diventan nemici, di presenze che arrivano ad essere
sentite come ostili da parte del malato.
Beato l'uomo che ha cura del debole,
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
Veglierà su di lui il Signore …
… non lo abbandonerà alle brame dei nemici.
Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore;
gli darai sollievo nella sua malattia.
I nemici mi augurano il male:
«Quando morirà e perirà il suo nome?».
Chi viene a visitarmi dice il falso,
il suo cuore accumula malizia
e uscito fuori sparla.
Qui nasce il sospetto del malato verso chi lo visita: essi sanno e non dicono, anzi, dicono il falso! Forse
si tratta solo di parole di circostanza, inconsistenti, vuote, non all'altezza della serietà della situazione,
che essi dicono davanti a lui quando lo vanno a trovare, mentre fuori, nelle piazze, con le altre persone
dicono tutt'altro circa la situazione del malato.
O almeno il malato intuisce, sospetta questa doppiezza.
Il malato si sente oggetto di discorso, in balia di altri: il suo dolore e il suo dramma restano estranei agli
altri.
Possiamo trarre, da questa brevissima lettura delle nostre tradizioni, che la questione è non solo se
visitare un malato o no, ma come visitare il malato: occorre entrare nell'ottica che non si ha potere sul
malato.
Questo significa che la visita al malato è un'arte delicata e fine.
Ha scritto l'esegeta Norbert Lohfink: "Chi è malato dipende da altri. Chi giace in un letto deve aspettare
finché qualcuno va a visitarlo. E quando qualcuno arriva l'ammalato deve guardarlo dal basso all'alto"
Chiunque va a visitare un malato sa che deve mettersi allo stesso livello degli occhi del malato per
poter comunicare con lui. Insomma, gli amici di Giobbe ci dicono che non bastano le sole buone
intenzioni per compiere in modo adeguato una visita a un malato, anzi, queste intenzioni possono
essere pericolose.
Occorre pertanto porsi una domanda: perché vado a trovare un malato? Perché vado a visitarlo? Gli
amici di Giobbe sono rafforzati dalla sua debolezza, si nutrono della sua debolezza e impotenza.
Vanno da lui, ma in realtà non lo incontrano!
Per indicare la visita al malato l'ebraico usa un verbo che significa "vedere", ma questo "andare a
vedere il malato" significa più in profondità "ascoltare" il malato stesso, lasciare che sia il malato a
guidare il rapporto, non fare nulla di più di quanto egli consente.
Se il verbo ebraico usato per dire visitare è vedere, è anche bene ricordare che vedere implica
apprezzamento, considerazione, provvidenza, conoscenza.
Essere visti-visitati deve cioè significare un essere apprezzati e dunque stimati e considerati, avere
significatro per qualcuno.
Colui che visita l’altro nella malattia gli narra l’interesse per lui attraverso l’interesse che lui stesso
manifesta al malato, gli narra la provvidenza attraverso il proprio prendersi cura di lui, gli narra la
conoscenza attraverso la relazione e la conoscenza in cui entra con lui.
Visitandolo, fa emergere la significatività che il malato ha.
Guai se dovesse avvenire il contrario! E cioè che la visita al malato diventasse un modo per essere
rassicurati nella propria significatività.
Il malato chiede di essere ascoltato, compreso, raggiunto in ciò che egli è.
Il malato ha bisogno di affetto, di cose semplici, di parole dolci e di aiuti concreti e di essere tutelato nei
suoi diritti.
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Ascoltare è permettere di essere presente l’altro.
Tra le increspature che caratterizzano oggi la complessità organizzativa della nostra Sanità – forse
ancora poco apprezzata, ma certo di grande impegno - sempre alta è mantenuta dagli operatori
sanitari l’attenzione alla dignità della persona malata, sentita come condotta orientata al suo ―servizio‖,
non esclusa la riserva delle risorse esterne.
Le stesse regole deontologiche rafforzano questa forza nella relazione oltre la mission professionale.
In tempi antichi e recenti molti gruppi volontaristici si sono affacciati sulla soglia dell’Ospedale e hanno
chiesto l’autorizzazione alla sua frequenza, per ―umanizzare‖ la vita all’interno delle corsie, là dove, di
pari passo al progredire della scienza medica si correva il rischio di far scadere l’importanza del malato
o ricoverato in quanto persona.
Questo disagio, o inevitabile prezzo richiesto dalla tecnica, è diventato presto evidente allorché la
Medicina ha centrato i suoi obiettivi più sulle tecnologie più sofisticate che sulla relazione umana.
E’ incontestabile che i successi, in termini di efficacia e di risultati sono a vantaggio della tecnologia e
della ricerca, disumanizzanti, forse, ma sicuramente più precisi.
Ma all’uomo malato tutto ciò non basta: non per un delirio di incontentabilità, ma per una intrinseca
esigenza di accompagnamento umano alla sofferenza.
Il malato conta e conterà sempre sulla misericordia e sulla caritas e mai rinuncerà alla citazione
evangelica di Matteo: “Ero malato e mi avete visitato”.
Una soluzione, quindi, è sempre stata presente nel tormentato percorso della malattia, quella
dell’impegno volontaristico.
Il volontariato, ben guidato, ovviamente, comprendendo che la sofferenza umana non può essere vinta
solo con la tecnica, ha proposto l’inserimento nella struttura pubblica di alcuni collaboratori che, senza
sostituire alcuno, si offrono per riempire i vuoti che l’evoluzione tecnica e sociale ha creato nel rapporto
malato-struttura. Magari, anche, per riempire i varchi che lo stesso nucleo familiare lascia aperti!
Il motto è: “costruire ponti, non solitudini”.
Forza nella debolezza.
Il Cardinale Veuillot aveva lasciato questa sua impressione, parlando a un gruppo di volontari: ―Noi
sappiamo pronunciare belle frasi sulla malattia: io stesso ne ho parlato con calore. A volte è meglio
non dire niente: noi ignoriamo quello che è veramente la malattia".
E Paul Ricoeur aveva completato: "L'enigma del male e l'enigma dell'irriducibile sofferenza resiste ad
ogni sapienza e sanziona lo scacco di ogni discorso, soprattutto del discorso concettuale”.
Più che parlare di malattia occorrerebbe osservare e ascoltare il malato, colui che nella sua situazione
di sofferenza ha veramente qualcosa da dirci o da insegnarci, colui che può rivelare noi a noi stessi,
mettendoci alle strette circa il "serio" della vita.
È essenziale rischiare una parola su questa realtà che fa parte di ogni vita umana, perché se la parola
è ciò che specifica l'uomo, è nell'atto di parlare che noi potremmo inventare dei cammini di senso.
Dunque, fra l'impotenza del mutismo e la presunzione arrogante delle parole certe e definitive, ci è
chiesto di usare una parola, una parola umile che, sorgendo dal silenzio, riviva in se stessa il
dinamismo pasquale della morte-resurrezione.
Nessun uomo conosce una strada che aggiri il dolore, ma piuttosto una strada che con il prossimo ( e
se ci crede … anche con Dio) lo attraversi.
Nella realtà, più che la sofferenza, noi incontriamo uomini e donne sofferenti: la malattia noi la vediamo
nel volto e nel corpo di persone afflitte da malattie diversissime. Imaginiamo l'angoscia del
sieropostivo, o la rassegnazione del portatore di handicap fisici, oppure ancora il disagio sociale del
malato segnato da malattie psichiche, o l'assenza tormentata del demente.
E così tante altri diversissime situazioni.
Vi è una maniera assolutamente peculiare con cui ciascuno reagisce alla stessa malattia, maniera che
è afferente alla biografia e all'esperienza personale del malato, al suo mondo di riferimenti culturali
religiosi.
Se la malattia rischia di spersonalizzare il malato, è anche vero che il malato personalizza la malattia. Il
che significa che ciascuno, della sua malattia e a misura di ciò che gli è possibile, e grazie all'aiuto di
chi eventualmente lo assiste e accompagna, è chiamato alla responsabilità di "dotare di senso" la
propria sofferenza.
II malato è chiamato ad assumere la lotta contro il suo male proprio nella situazione di debolezza in cui
lo pone la malattia.
E una debolezza molteplice: non solo fìsica, ma che investe il livello psichico, affettivo, relazionale.
Il malato è una totalità che soffre.
Nella malattia tutte le relazioni, con se stesso, con gli altri, con le cose e con Dio, subiscono un
profondo mutamento.
Il rapporto con il corpo, con il tempo, con la parola e dunque con gli altri è profondamente sconvolto
per il malato che si trova in una situazione di radicale bisogno.
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Vi è come un'umiliante regressione a uno stato di dipendenza dagli altri, ci si trova consegnati in mano
di altri, in una avvilente riduzione all'impotenza.
Il malato conosce l'esperienza della fragilità, della finitezza, della distanza e dell'estraneità da sé e
dagli altri; patisce la malattia come drammatica epifania del limite.
In Ospedale, allora, può avvenire l’incontro, e l'incontro è il luogo privilegiato dell'espressione
dell'esperienza spirituale.
Perché avvenga vero incontro occorre però entrare nell'accettazione della propria impotenza e
limitatezza: solo allora sarà possibile il riconoscimento reciproco, sarà possibile l'incontro come
condivisione della povertà di ciascuno.
Lì si sperimenta la potenza della debolezza del malato: essa rivela le ribellioni, le oscurità del cuore, le
presunzioni, le illusioni, le superficialità, le inadeguatezze che abitano in chi Io accompagna e gli è
accanto.
Nel libro islamico del Qur’an, sura il Profeta ricorda: «La carità è un obbligo per ogni musulmano, e
colui che non avesse i mezzi faccia una buona azione o eviti di commetterne una sbagliata. Questa è
la sua carità. Il sorriso ai vostri fratelli è carità, la vostra esortazione a compiere buone azioni è carità,
così come proibire le cose vietate è carità, dare indicazioni della strada a coloro che si sono persi è
carità e la vostra assistenza ad un malato è carità»
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CARTA DEI VALORI DEL VOLONTARIATO
(FONTE FEO-FIVOL)
www.fivol.it
Un punto di arrivo, per una nuova partenza. L’oggi del volontariato è reso possibile grazie a quel ricco passato e a
quelle radici religiose, ideologiche, culturali da cui proviene e da cui attinge forza e provocazioni per ri-progettare il
futuro. Ma ri-progettare presuppone ri-pensare: la spinta ideale, i modi attraverso i quali essa si è venuta
realizzando, il rapporto con una comunità locale, nazionale, mondiale in continua trasformazione, le condizioni per
una sempre più significativa presenza negli scenari futuri.
Occorre che ogni volontario e ogni organizzazione abbiano chiari gli elementi fondanti del proprio "essere",
adottare criteri di un "agire" che sia coerente testimonianza di dimensione ideale, per svolgere quella che Luciano
Tavazza definiva la duplice missione: "di promotore della cultura e della prassi della solidarietà e di agente del
mutamento sociale" e che si specifica principalmente in due ruoli: la dimensione attiva, attraverso la gratuita
presenza nel quotidiano; la dimensione politica, quale soggetto sociale che partecipa alla rimozione degli ostacoli
che generano svantaggio, esclusione, degrado e perdita di coesione sociale.
La Carta dei valori intende fotografare, nei suoi aspetti essenziali, questo momento del volontariato ed è il risultato
di un esercizio di autentica scrittura collettiva. L’iniziale traccia (proposta da FIVOL e Gruppo Abele) è stata
portata a conoscenza del mondo del volontariato ed è stata corretta, integrata, discussa e, alla fine, migliorata
grazie all’apporto di numerosissime organizzazioni, di singoli volontari, di studiosi. Un metodo di lavoro che ha
fatto emergere il connotato chiave dell’essere e del fare volontariato: camminare insieme su un piano di impegno
civico e di cittadinanza solidale.
______________________________________________________________________
I. PRINCIPI FONDANTI
1.
Volontario è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio
tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per l’umanità intera.
Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei
destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni.
2.
I volontari esplicano la loro azione in forma individuale, in aggregazioni informali, in
organizzazioni strutturate; pur attingendo, quanto a motivazioni, a radici culturali e/o religiose
diverse, essi hanno in comune la passione per la causa degli esseri umani e per la costruzione di
un mondo migliore.
3.
Il volontariato è azione gratuita. La gratuità è l’elemento distintivo dell’agire volontario e lo rende
originale rispetto ad altre componenti del terzo settore e ad altre forme di impegno civile. Ciò
comporta assenza di guadagno economico, libertà da ogni forma di potere e rinuncia ai vantaggi
diretti e indiretti. In questo modo diviene testimonianza credibile di libertà rispetto alle logiche
dell’individualismo, dell’utilitarismo economico e rifiuta i modelli di società centrati esclusivamente
sull’"avere" e sul consumismo.
I volontari traggono dalla propria esperienza di dono motivi di arricchimento sul piano interiore e
sul piano delle abilità relazionali.
4.
Il volontariato è, in tutte le sue forme e manifestazioni, espressione del valore della relazione e
della condivisione con l’altro. Al centro del suo agire ci sono le persone considerate nella loro
dignità umana, nella loro integrità e nel contesto delle relazioni familiari, sociali e culturali in cui
vivono. Pertanto considera ogni persona titolare di diritti di cittadinanza, promuove la conoscenza
degli stessi e ne tutela l’esercizio concreto e consapevole, favorendo la partecipazione di tutti allo
sviluppo civile della società.
5.
Il volontariato è scuola di solidarietà in quanto concorre alla formazione dell’uomo solidale e di
cittadini responsabili. Propone a tutti di farsi carico, ciascuno per le proprie competenze, tanto dei
problemi locali quanto di quelli globali e, attraverso la partecipazione, di portare un contributo al
cambiamento sociale. In tal modo il volontariato produce legami, beni relazionali, rapporti fiduciari
e cooperazione tra soggetti e organizzazioni concorrendo ad accrescere e valorizzare il capitale
sociale del contesto in cui opera.
6.
Il volontariato è esperienza di solidarietà e pratica di sussidiarietà: opera per la crescita della
comunità locale, nazionale e internazionale, per il sostegno dei suoi membri più deboli o in stato
di disagio e per il superamento delle situazioni di degrado. Solidale è ogni azione che consente la
fruizione dei diritti, la qualità della vita per tutti, il superamento di comportamenti discriminatori e di
svantaggi di tipo economico e sociale, la valorizzazione delle culture, dell’ambiente e del territorio.
Nel volontariato la solidarietà si fonda sulla giustizia.
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7.
Il volontariato è responsabile partecipazione e pratica di cittadinanza solidale in quanto si
impegna per rimuovere le cause delle diseguaglianze economiche, culturali, sociali, religiose e
politiche e concorre all’allargamento, tutela e fruizione dei beni comuni. Non si ferma all’opera di
denuncia ma avanza proposte e progetti coinvolgendo quanto più possibile la popolazione nella
costruzione di una società più vivibile.
8.
Il volontariato ha una funzione culturale ponendosi come coscienza critica e punto di diffusione
dei valori della pace, della non violenza, della libertà, della legalità, della tolleranza e facendosi
promotore, innanzitutto con la propria testimonianza, di stili di vita caratterizzati dal senso della
responsabilità, dell’accoglienza, della solidarietà e della giustizia sociale. Si impegna perché tali
valori diventino patrimonio comune di tutti e delle istituzioni.
9.
Il volontariato svolge un ruolo politico: partecipa attivamente ai processi della vita sociale
favorendo la crescita del sistema democratico; soprattutto con le sue organizzazioni sollecita la
conoscenza ed il rispetto dei diritti, rileva i bisogni e i fattori di emarginazione e degrado, propone
idee e progetti, individua e sperimenta soluzioni e servizi, concorre a programmare e a valutare le
politiche sociali in pari dignità con le istituzioni pubbliche cui spetta la responsabilità primaria
della risposta ai diritti delle persone.
_____________________________________________________________________
II. ATTEGGIAMENTI E RUOLI
a) I volontari
10. I volontari sono chiamati a vivere la propria esperienza in modo coerente con i valori e i
principi che fondano l’agire volontario. La dimensione dell’essere è per il volontario ancora più
importante di quella del fare.
11. I volontari nell’esercitare il diritto-dovere di cittadinanza costituiscono un patrimonio da
promuovere e da valorizzare, sia da parte delle istituzioni che delle organizzazioni che li
impegnano. Pertanto esse devono rispettarne lo spirito, le modalità operative, l’autonomia
organizzativa e la creatività.
12. I volontari sono tenuti a conoscere fini, obiettivi, struttura e programmi dell’organismo in cui
operano e partecipano, secondo le loro possibilità, alla vita e alla gestione di questo nel pieno
rispetto delle regole stabilite e delle responsabilità.
13. I volontari svolgono i loro compiti con competenza, responsabilità, valorizzazione del lavoro di
équipe e accettazione della verifica costante del proprio operato. Essi garantiscono, nei limiti della
propria disponibilità, continuità di impegno e portano a compimento le azioni intraprese.
14. I volontari si impegnano a formarsi con costanza e serietà, consapevoli delle responsabilità che
si assumono soprattutto nei confronti dei destinatari diretti dei loro interventi. Essi ricevono
dall’organizzazione in cui operano il sostegno e la formazione necessari per la loro crescita e per
l’attuazione dei compiti di cui sono responsabili.
15. I volontari riconoscono, rispettano e difendono la dignità delle persone che incontrano e si
impegnano a mantenere una totale riservatezza rispetto alle informazioni ed alle situazioni di cui
vengono a conoscenza. Nella relazione di aiuto essi attuano un accompagnamento riservato e
discreto, non impositivo, reciprocamente arricchente, disponibile ad affiancare l’altro senza volerlo
condizionare o sostituirvisi. I volontari valorizzano la capacità di ciascuno di essere attivo e
responsabile protagonista della propria storia.
16. I volontari impegnati nei servizi pubblici e in organizzazioni di terzo settore, costituiscono una
presenza preziosa se testimoniano un "camminare insieme" con altre competenze e profili
professionali in un rapporto di complementarietà e di mutua collaborazione. Essi costituiscono una
risorsa valoriale nella misura in cui rafforzano le motivazioni ideali, le capacità relazionali e il
legame al territorio dell’organizzazione in cui operano.
17. I volontari ricevono dall’organismo di appartenenza o dall’Ente in cui prestano servizio copertura
assicurativa per i danni che subiscono e per quelli economici e morali che potrebbero causare a
terzi nello svolgimento della loro attività di volontariato. Per il principio della gratuità i volontari
possono richiedere e ottenere esclusivamente il rimborso delle spese realmente sostenute per
l’attività di volontariato svolta.
_____________________________________________________________________
b)
Le organizzazioni di volontariato
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18. Le organizzazioni di volontariato si ispirano ai principi della partecipazione democratica
promuovendo e valorizzando il contributo ideale e operativo di ogni aderente. È compito
dell’organizzazione riconoscere e alimentare la motivazione dei volontari attraverso un lavoro di
inserimento, affiancamento e una costante attività di sostegno e supervisione.
19. Le organizzazioni di volontariato perseguono l’innovazione socio-culturale a partire dalle
condizioni e dai problemi esistenti. Pertanto propongono idee e progetti, rischiando e
sperimentando interventi per conto della comunità in cui operano. Evitano in ogni caso di produrre
percorsi separati o segreganti e operano per il miglioramento dei servizi per tutti.
20. Le organizzazioni di volontariato collaborano con le realtà e le istituzioni locali, nazionali e
internazionali, mettendo in comune le risorse, valorizzando le competenze e condividendo gli
obiettivi. Promuovono connessioni e alleanze con altri organismi e partecipano a coordinamenti e
consulte per elaborare strategie, linee di intervento e proposte socio-culturali. Evitano altresì di
farsi carico della gestione stabile di servizi che altri soggetti possono realizzare meglio.
21. Le organizzazioni di volontariato svolgono un preciso ruolo politico e di impegno civico anche
partecipando alla programmazione e alla valutazione delle politiche sociali e del territorio.
Nel rapporto con le istituzioni pubbliche le organizzazioni di volontariato rifiutano un ruolo di
supplenza e non rinunciano alla propria autonomia in cambio di sostegno economico e politico.
Non si prestano ad una delega passiva che chieda di nascondere o di allontanare marginalità e
devianze che esigono risposte anche politiche e non solo interventi assistenziali e di primo aiuto.
22. Le organizzazioni di volontariato devono principalmente il loro sviluppo e la qualità del loro
intervento alla capacità di coinvolgere e formare nuove presenze, comprese quelle di alto
profilo professionale. La formazione accompagna l’intero percorso dei volontari e ne sostiene
costantemente l’azione, aiutandoli a maturare le proprie motivazioni, fornendo strumenti per la
conoscenza delle cause dell’ingiustizia sociale e dei problemi del territorio, attrezzandoli di
competenze specifiche per il lavoro e la valutazione dei risultati.
23. Le organizzazioni di volontariato sono tenute a fare propria una cultura della comunicazione
intesa come strumento di relazione, di promozione culturale e di cambiamento, attraverso cui
sensibilizzano l’opinione pubblica e favoriscono la costruzione di rapporti e sinergie a tutti i livelli.
Coltivano e diffondono la comunicazione con ogni strumento privilegiando - dove è possibile - la
rete informatica per migliorare l’accesso alle informazioni, ai diritti dei cittadini, alle risorse
disponibili. Le organizzazioni di volontariato interagiscono con il mondo dei mass media e dei suoi
operatori perché informino in modo corretto ed esaustivo sui temi sociali e culturali di cui si
occupano.
24. Le organizzazioni di volontariato ritengono essenziale la legalità e la trasparenza in tutta la loro
attività e particolarmente nella raccolta e nell’uso corretto dei fondi e nella formazione dei bilanci.
Sono disponibili a sottoporsi a verifica e controllo, anche in relazione all’organizzazione interna.
Per esse trasparenza significa apertura all’esterno e disponibilità alla verifica della coerenza tra
l’agire quotidiano e i principi enunciati.
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
IL DECALOGO DEL VOLONTARIO AVO
II volontario, dopo aver approfondite le motivazioni che lo hanno indotto a scegliere come attività sociale il servizio
ospedaliero, e dopo aver vagliato le sue disponibilità di tempo, sceglie e stabilisce con il coordinatore il giorno e
l'orario per il suo turno settimanale di servizio.
Egli sa che la sua presenza in ospedale vuole essere un gesto di amicizia, di solidarietà, di impegno nei confronti
dell'ammalato ricoverato per rendere più umano l'ambiente dell'ospedale. Egli perciò prende atto che i suoi doveri
principali sono:
1) Essere presente nel giorno della settimana stabilito.
Rispettare gli orari.
Non abbandonare il servizio prima dello scadere dell'orario. Trascorrere l'orario di servizio nel
proprio reparto e non altrove. Se avesse necessità di cambiare giorno o orario di servizio dovrà
prendere accordi con il responsabile.
Se per motivi di salute o per un impegno inderogabile non potesse svolgere il suo turno di servizio
dovrà avvisare il responsabile e trovare egli stesso un collega che lo sostituisca.
Se dovesse allontanarsi dalla città per periodi più o meno lunghi (impegni di lavoro o vacanze)
dovrà avvisare tempestivamente il responsabile.
2) Il volontario presterà servizio con il camice sempre in ordine e con il distintivo.
Dovrà attenersi ad alcune semplici, ma importanti norme igieniche: non sedersi o appoggiare effetti
personali sui letti, lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone all'inizio ed al termine di ogni
servizio.
La sua presenza dovrà essere costante, non saltuaria.
3) Il volontario sa che non sostituisce il personale ospedaliero: non ne ha la competenza.
Egli offrirà volentieri un aiuto quando e dove l'infermiere di turno lo richiedesse, sempre però, sotto
la sua responsabilità.
4) La specificità del volontario è la presenza e l'ascolto, ove per presenza si intenda l'esserci con la
mente, con il cuore, con il desiderio di partecipare e di condividere la sofferenza e le preoccupazioni dell'ammalato e per ascolto si intenda la capacità di tacere perché parli l'altro, la capacità
di sollecitare l'altro a parlare, la pazienza di attendere che l'altro parli consentendogli di esprimersi
con le sue parole, con la sua lentezza, senza interrompere, senza spazientirsi e senza sovrapporsi
a ciò che dice l'ammalato.
5) II volontario non conosce, né deve indagare per conoscere, la malattia di cui il paziente è affetto.
6) II volontario deve il massimo rispetto all'ammalato di qualunque età ed estrazione sociale egli sia.
Non deve dare del tu. Non deve proporre argomenti religiosi o politici. Non deve in alcun modo
imporre le proprie idee.
7) Nessun ammalato deve sentirsi escluso dall'attenzione e dalle cure del volontario. Egli deve
passare accanto ad ogni letto, salutare tutti gli ammalati e soffermarsi in particolare presso coloro
che sembrano più soli o più bisognosi di aiuto. Determinati servizi richiesti dall'ammalato
(deambulare, mettere cuscini, ecc.) devono essere necessariamente autorizzati dal personale
responsabile.
8) Il volontario, consapevole che la sua presenza ha lo scopo di rendere più umano l'ambiente
ospedaliero, offrirà calma e delicatezza. Infonderà fiducia nell'Istituzione. Favorirà e incoraggerà i
rapporti tra l'ammalato, i medici e i paramedici, perché possa avere le informazioni che desidera ed
esserne tranquillizzato. L'ammalato non deve sentirsi escluso o ignorato dall'équipe medica.
9) II volontario si farà portatore di serenità e di speranza, incoraggiando l'ammalato a sopportare disagi
e sofferenza. Si farà motore esterno dove sentirà stanchezza, depressione e voglia di abbandonare
la lotta. Conforterà anche i parenti, infondendo loro coraggio e fiducia.
10) II volontario deve partecipare alle riunioni di gruppo ed alle iniziative di aggiornamento promosse
dall'Associazione perché, mettere in comune esperienze, soddisfazioni, difficoltà e proposte è utile
all'Associazione e ai volontari.
Ogni volontario deve accogliere con grande amicizia i nuovi volontari perché non si sentano
disorientati o spaventati all'inizio del loro servizio.
Inoltre, ogni volontario deve impegnarsi ad alimentare l'amicizia e la cordialità nel gruppo, perché
questo calore umano si riversi sull'ammalato e sull'Associazione.
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AVO Torino – 63° Corso di Formazione Base
“Non abbiate paura,
ma tenete presente che
preparazione,
formazione,
conoscenza
sono le
basi portanti
del vostro
volontariato”
E. Longhini
Fondatore dell'AVO
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