Luigi Arcieri, Emanuele Bignamini, Maria Michela Damiani, Rosanna Giulio, Maria Elisabetta Minniti, Sara Zazza Un’introduzione per la comprensione e per l'intervento a cura di Emanuele Bignamini Edizioni Publiedit A CURA DI INDICE Emanuele Bignamini Luigi Arcieri Educatore professionale, ha maturato esperienze negli ambiti di sostegno alla genitorialità, dell'infanzia, degli adolescenti ed effettua attività formative per operatori sociosanitari. Dal 1998 lavora per l'Unità Operativa autonoma Patologie da Dipendenza dell'ASL 3 di Torino e dal settembre del 2001 è responsabile del Servizio Drop In Maria Michela Damiani E’ educatore professionale e mediatore dei conflitti familiari e di comunità. Dopo una breve esperienza nel centro accoglienza del Gruppo Abele, dal 1993 lavora nei Servizi per le Dipendenze. Attualmente presso i Servizi dell'ASL 3 di Torino è inserita in particolare nelle équipes del trattamento diagnostico e del reinserimento lavorativo. Premessa 1 Introduzione 3 LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE 9 0 Le teorie psicologiche 0 Gli studi sociali 13 0 La neurobiologia e la medicina 14 UNA RAPPRESENTAZIONE DELLA TOSSICODIPENDENZA INTEGRATA E FONDATA SCIENTIFICAMENTE 17 0 Tipi di relazione soggetto - sostanza 18 0 Significati e funzioni della relazione individuo - sostanza 22 0 La tossicodipendenza, le tossicodipendenze 24 0 Dipendenza: una definizione 26 0 La psicopatologia della dipendenza: nuclei specifici 27 Rosanna Giulio Psicologa e psicoterapeuta, lavora nell'ambito delle patologie da dipendenza dal 1992 e dal 2000 è responsabile del Servizio Pronta Assistenza per Tossicodipendenti dell'Asl 3 di Torino. È componente della Commissione regionale per i Servizi a bassa soglia. 9 Maria Elisabetta Minniti Laureata in Scienze della Formazione, è educatrice professionale, counsellor professionista formata presso il Centro di Psicologia ad Analisi Transazionale di Milano e membro del (Coordinamento Nazionale Counsellor Professionisti). Lavora nella Unità Operativa Patologie da Dipendenza della ASL 3 di Torino con l'incarico di responsabile degli inserimenti lavorativi e di un progetto di prevenzione presso le Scuole Medie Inferiori. LA RELAZIONE TERAPEUTICA CON IL PAZIENTE TOSSICODIPENDENTE 31 IL TRATTAMENTO 35 Sara Zazza CONCLUSIONE Si è laureata in Psicologia Clinica presso l'Università La Sapienza di Roma nel 1989, e specializzata in Psicoterapia ad orientamento sistemico-relazionale a Torino nel 1994. Dal 1993 svolge la sua attività clinica presso l'U.O.A. Patologie da Dipendenza A.S.L. 3 di Torino, dove dal 2000 è Responsabile della fase di Trattamento Diagnostico. I contenuti sono stati elaborati sulla base di testi e documenti prodotti in lavori collettivi da tutta l’Unità Operativa Patologie da Dipendenza dell’ASL 3 di Torino 0 Aspetti da tenere presente 35 0 Un modello organizzativo per gestire i trattamenti 47 64 Edizione e realizzazione PUBLIEDIT s.a.s. Editoria, Informazione, Organizzazione 12100 CUNEO - Via Roma, n°22 00165 ROMA - Vicolo Silvestri, n°51 Sito internet: www.publieditweb.it - e-mail: [email protected] Finito di stampare nel mese di Novembre 2006 Stampa: TIPOLITOEUROPA - Cuneo Tutti i diritti sono riservati agli autori e all’Editore. PREMESSA PREMESSA “Noi non siamo portatori di un pensiero originale… siamo artigiani chiamati a lavorare ad un manufatto già avviato da altri… a perfezionare qualcosa che già esiste” E. Ferrero, La misteriosa storia del papiro di Artemidoro In occasione di vari incontri formativi con Operatori della riabilitazione e dei progetti di reinserimento sociale, così come con Insegnanti e anche con Operatori sanitari che si avvicinavano per la prima volta alle patologie da dipendenza, ci è stato chiesto dove si potevano trovare le cose che noi presentavamo. Abbiamo dovuto allora renderci conto di due cose: che quello che proponevamo suscitava molto interesse e non era affatto scontato e neanche così comunemente diffuso; che non avevamo indicazioni bibliografiche da dare (o meglio: ne avremmo dovuto dare numerose, con il rischio, per chi avesse voluto approfondire, di disperdersi), perché la nostra rielaborazione delle conoscenze sulle dipendenze da sostanze, pur non costituendo un pensiero troppo “privato”, era di fatto una sintesi di diversi contributi e stimoli, sintesi non disponibile nelle pubblicazioni oggi reperibili in Italia. Per necessità abbiamo allora pensato di riorganizzare in un documento scritto quanto presentiamo solitamente in modo discorsivo. Ne è nato questo libretto, che vuol servire da introduzione alla dimensione clinica delle dipendenze. Ovviamente, tra dire e scrivere c'è una bella differenza e un po' della immediatezza comunicativa favorita dalla interazione con l'ascoltatore si perde. Scrivere in più di uno, poi, richiede un confronto non solo sui contenuti, ma anche sui limiti e sulle modalità. Insomma, ci abbiamo messo più di un anno, in mezzo a tutto il resto delle cose da fare. I destinatari sono Operatori che, in ragione del loro lavoro, pur non essendo specialisti del settore, vengono in contatto con persone dipendenti da sostanze: ad esempio Educatori delle cooperative sociali che seguono progetti di borselavoro, Assistenti Sociali di servizi del Comune o di altri servizi sanitari, Insegnanti che devono conoscere meglio la problematica, etc. ... Il discorso non vuole essere una “trattazione”, quindi non si propone di essere esaustivo: sul piano informativo è certo carente, intenzionalmente selettivo (richiede, quindi, un atto di fiducia e una lettura critica). Si propone, invece, di dare una idea, sufficientemente precisa, di che cosa sia la La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 1 PREMESSA dipendenza da sostanze, o meglio di come possiamo pensarla oggi dal punto di vista clinico. Un'idea che aiuti a non banalizzare la patologia e i problemi connessi, a non banalizzare il lavoro degli specialisti delle dipendenze, a non pensare di sapere già tutto, a non pensare che non ci sia niente da scoprire e che non ci sia una continua evoluzione culturale nel campo. Insomma, a non semplificare troppo e a non ridurre sistematicamente un accadimento così complesso a problemi di cattiva volontà, di cattive amicizie o di intossicazione. In particolare, vogliamo rappresentare l'idea che la tossicodipendenza non è soltanto un modo del singolo per esprimere disagio (cosa da cui conseguirebbe che, in cambio dell'agio, si potrebbe rinunciare alla droga), ma è una vera e propria patologia che interviene con profonde trasformazioni della (e nella) persona. Già solo questa “rivoluzione culturale” può aiutare a vedere i pazienti e i progetti che li riguardano con altri occhi e con altra intelligenza. Speriamo di aver dato un contributo in questo senso. 2 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento INTRODUZIONE INTRODUZIONE Si discute molto di tossicodipendenza, in tutti gli ambienti, e si ha generalmente l'idea di sapere di che cosa si sta parlando. In genere se ne parla in occasione di qualche fatto di cronaca nera, oppure negli scontri politici di tipo elettorale. Si discute di soluzioni, di cause, ma in genere non ci si sofferma a chiarire che cosa si intenda per tossicodipendenza: questo rimane implicito, sottinteso (quindi indefinito ed equivoco) e le differenze nel significato di fondo, ben presenti e amplificate da un linguaggio di solito impreciso, generano pretestuose ed astratte contrapposizioni che a loro volta alimentano le polemiche. Se cerchiamo di estrapolare, dai discorsi che si sentono correntemente fare, le sottostanti visioni sulla tossicodipendenza, possiamo ricondurle a tre schematizzazioni generali. La tossicodipendenza è interpretata come una “debolezza morale” della persona. La persona è vista come debole in senso generale, per sua natura o perché ha ricevuto una educazione sbagliata o inadeguata (è stata “viziata”), preferisce indulgere nel piacere e nel disimpegno, non sa sacrificarsi per raggiungere obiettivi degni, mette in atto soluzioni sbagliate, devianti, cerca scorciatoie ai problemi della vita. Potremmo chiamare questa visione della tossicodipendenza “moralistica” - e non “morale”-, perché si fonda su una visione colpevolizzante e usa i criteri di “buono o cattivo”: ad esempio considera fondamentale la “buona volontà”. Questa visione, che è una filosofia della vita e non solo una interpretazione della tossicodipendenza, si fonda su due pilastri: 1) il comportamento è determinato sostanzialmente dalla volontà, volontà che si può “esercitare”, quindi la dimensione razionale dovrebbe prevalere su ogni altra (bisogno, emozione); 2) la volontà sceglie tra “buono” e “cattivo” in un contesto in cui gli elementi in gioco sono chiari, oggettivi, fissi. Per quanto apparentemente rassicurante (un funzionamento dell'essere umano così semplice dà l'impressione di poter controllare razionalmente la società e i destini individuali) questo pensiero si scontra con l'esperienza di vita (chi non ha mai fatto “buoni propositi”? e come è andata?) ed è, potenzialmente, fonte di conflitti e di divisioni: “io sono convinto/mi sforzo di essere razionale; quindi il pensiero che io elaboro è razionale; quindi ciò che non coincide con il mio pensiero non è razionale, è potenzialmente un male; quindi devo correggere il male con il mio bene”. Oppure il tossicodipendente può essere visto come debole ma in senso relativo, in quanto ha dovuto affrontare traumi straordinariamente gravi (lutti, privazioni, violenze) che avrebbero messo a dura prova chiunque, di fronte ai quali il soggetto non ha potuto far altro che lasciarsi andare, non riuscendo a reagire adeguatamente; analogamente, invece di situazioni eclatanti traumatiche, la persona potrebbe essere stata sfortunata e aver avuto una situazione di vita particolarmente svantaggiosa e problematica (prolungati stati di carenze affettive e di cure familiari inadeguate, disoccupazione, povertà, etc) alla quale non ha saputo o potuto reagire. Potremmo chiamare questa visione “psico-sociologistica”, perché prende in considerazione elementi di sofferenza psichica o di povertà sociale come La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 3 INTRODUZIONE determinanti. Il presupposto, è che il soggetto sia per sua natura buono (si ricorda il mito illuministico del buon selvaggio), e che se si rimuovessero le cause psicosociali di malessere, potrebbe ritrovare un equilibrio e recuperare un funzionamento adeguato. A queste visioni della questione se ne associa in genere una che considera la tossicodipendenza come una “intossicazione”, cioè una situazione in cui la droga assunta altera il normale funzionamento (mentale e fisico) del soggetto attraverso un meccanismo di tipo biologico (visione “medicalistica”). Da questo punto di vista, si considera che la droga possa rendere il soggetto meno consapevole e meno lucido, creare una dipendenza fisica che obbliga a continuare l'assunzione e quindi determinare un bisogno di droga che costringe il tossicodipendente ad uno specifico comportamento (ricerca di soldi, di sostanza, ripetizione del ciclo). L'interpretazione della tossicodipendenza sottostante questa visione è rivelata dal rimedio che viene di solito proposto: la disintossicazione. L'idea di fondo è che l'uso di droghe sia una specie di avvelenamento, come quello da funghi, e che un buon lavaggio (gastrico o “del sangue”, come a volte chiedono i pazienti) possa riportare l'organismo a funzionare bene come prima. Ripulito l'organismo (chi ricorda l'UROD? È la disintossicazione ultra rapida da oppiacei, che suscitò l'interesse dei media circa dieci anni fa, proposta come sperimentazione anche dal Ministero della Sanità e dal S. Raffaele di Milano. L'idea che rapidamente si potesse liberare l'organismo, anche solo sul piano biologico, dalle droghe, corrispondeva a un desiderio e a un movimento emotivo, più che alle razionali conoscenze scientifiche o cliniche) non resta che esercitare la “buona volontà” (e si torna alle prime due ipotesi). Naturalmente, nonostante la loro ampia diffusione, questi punti di vista non possono essere assunti da chi si occupa professionalmente di assistenza ai tossicodipendenti senza una adeguata valutazione della loro fondatezza (clinica e scientifica). Si deve però sottolineare che sottoporre a verifica questi punti di vista non è affatto semplice. Queste visioni della tossicodipendenza sono in genere affermate animatamente dai loro sostenitori, con una passione e un coinvolgimento che fa pensare che siano solitamente fondate sulle emozioni e sulle reazioni che suscitano alcune esperienze personali, più che su elementi di distaccata e fredda riflessione. In effetti, è difficile trovare qualcuno che prima di esprimere opinioni e giudizi sulla tossicodipendenza si sia documentato adeguatamente: in genere ci si accontenta di generalizzare le proprie esperienze e di utilizzare ciò che, nelle diverse voci pubbliche (giornali, tv, etc), fa da cassa di risonanza per le proprie convinzioni. In altri termini, se ad esempio si partecipa di persona ad un fatto in cui un tossicodipendente compie una azione drammatica (in genere un reato, o anche una overdose), la reazione emotiva che questo fatto suscita facilmente si fisserà e produrrà una specie di “imprinting” per cui da quel momento tutti i tossicodipendenti susciteranno (automaticamente e inconsapevolmente) una 4 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento INTRODUZIONE “pre-comprensione” emotiva negativa. Così come se si partecipa ad un gesto di aiuto e di solidarietà verso un tossicodipendente, a seconda dell'esito che questo gesto avrà si fisseranno sensazioni positive o negative che tenderanno a generalizzarsi. Oltretutto, la associazione del concetto di tossicodipendenza con i “tossici da strada” (sporchi, barcollanti, pericolosi, nullafacenti, senza rispetto. Sono una piccola minoranza sui “tossici” totali, ma hanno più impatto emotivo loro degli altri, così come basta un episodio di malasanità per definire tutta la categoria dei medici) sollecita in chiunque sentimenti di rifiuto e ostilità. Negli scambi con altri ci si troverà a dire “i tossicodipendenti sono fatti in questo e quel modo; infatti a me è successo che…”. Sarà poi molto facile trovare nelle notizie di cronaca elementi che confermano il proprio vissuto. Il vissuto emotivo si trasformerà quindi in opinione e in convinzione (“razionalizzazione”: trasformare in un pensiero articolato e razionale ciò che si è fissato sulla base di una reazione emotiva) e potrà spingere la persona che ormai “pensa” in questo modo ad agire di conseguenza. Questi sono i normalissimi meccanismi con cui si formano le opinioni nelle persone, opinioni che sono quasi sempre fondate su esperienze ed emozioni, più che su una conoscenza anche dove la razionalità (lo studio, la ricerca, il dubbio, la critica) potrebbe o dovrebbe avere un ruolo adeguato. Questi meccanismi sono talmente generali e funzionano in tutti al punto che gli “stereotipi” (cioè i modi di pensare automatici) possono essere utilizzati consapevolmente per trarre in inganno (si pensi ad esempio al truffatore che voglia derubare qualcuno: deve vestirsi e comportarsi in modo da ispirare fiducia, sentimento fortemente irrazionale, che si può basare anche su una impressione superficiale) oppure, più positivamente, per comunicare qualcosa (si pensi alla pubblicità oppure alle regole di comportamento secondo la buona educazione, che rassicurano l'altro sulle proprie intenzioni non aggressive). Del resto è normale che chi non ha un interesse specifico e professionale sulla tossicodipendenza si accontenti di avere una opinione generale, senza porsi il problema di dover davvero “studiare” e approfondire criticamente l'argomento. Nessuno può pensare di avere sempre e comunque opinioni fondate e razionali su qualsiasi tema: su molte cose ci si dovrà per forza fidare di qualcuno, che sia in grado di dare una spiegazione convincente ai riscontri che i singoli possono avere nelle proprie esperienze (e, di nuovo, in una specie di circolo chiuso emozionale, facilmente si sarà portati a fidarci di persone che assomigliano a chi, nelle nostre esperienze precedenti, si è dimostrato degno di fiducia). Insomma, in realtà funzioniamo molto sulla base di sensazioni, intuizioni ed emozioni, più che sulla razionalità e questo è normale ed è anche funzionale (se va bene, si risparmia tempo, non si può mica controllare sempre tutto!). Questo va bene in generale. Qualche problema si crea invece se sono coloro che hanno qualche potere decisionale a basare le proprie decisioni esclusivamente su simili processi conoscitivi. Certo, tutti i cittadini esercitano il loro potere sulla società attraverso il voto; ma sono soprattutto gli amministratori e i tecnici che prendono le decisioni che poi La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 5 INTRODUZIONE influenzano il tipo di risposta della società ad un determinato problema. Se anche loro (politici, direttori, operatori professionali) si accontentano di questo (peraltro normale) processo di conoscenza della realtà, basato sulle proprie reazioni emotive alle proprie particolari esperienze, si può andare incontro ad errori di valutazione e di scelta, a sprechi economici, a misure inefficaci e a volte dannose e pericolose. Infatti, ognuna delle visioni della tossicodipendenza sopra descritte genera conseguenze pratiche. Se il tossicodipendente è visto come un soggetto con “debolezza morale” è chiaro che la scelta di intervento sul problema sarà guidata dalla necessità di “correggere” questa debolezza. Potranno essere preferiti sistemi più persuasivi o più repressivi (dalla rieducazione tollerante alla punizione più intransigente) a seconda dell'animo e della cultura di chi deve scegliere, ma la filosofia di intervento sarà la stessa. Il soggetto dovrà seguire norme e regole, adeguare il suo comportamento, dimostrare che la sua volontà è cambiata (è diventata “buona volontà”) attraverso una serie di prove (rispetto di proibizioni e di limitazioni, lavoro, ubbidienza). Si sa, però, che la “tentazione” è sempre in agguato e che “il lupo perde il pelo, ma non il vizio”; questo approccio “rieducativo” richiede quindi un elevato investimento nel mantenere nel tempo dei sistemi di controllo esterno del comportamento del tossicodipendente, dato che non ci si può del tutto fidare dei cambiamenti osservabili e si pensa di non avere strumenti per sapere che cosa “davvero” è cambiato all'interno della persona (sono ben noti episodi di detenuti che hanno finto per lungo tempo di essere riabilitati, pur di ottenere i loro scopi). Su questi presupposti si fonda, ad esempio, l'idealizzazione di strumenti di intervento che “chiudano” il tossicodipendente in un ambiente in grado di controllarlo completamente (tipo le istituzioni totalizzanti). Se invece la tossicodipendenza è “spiegata” come un eccesso di svantaggi e di sfortune che hanno sopraffatto il soggetto, si cercherà di ridurre il suo handicap, di riparare ai torti, di compensare le carenze, aspettandosi che, finalmente compreso e ricompensato di quanto patito in passato, il soggetto possa abbandonare la falsa consolazione e il pericoloso rifugio della droga. Anche questo approccio richiede enormi investimenti di tipo “riabilitativo”; come si fa a stabilire quanto e che cosa è necessario per riparare i danni? Basta dare un lavoro, una casa? Basta essere indulgenti e comprensivi per compensare le trascuratezze subite? E fino a quando? E se dopo un grande investimento di risorse sul cambiamento di una persona questa ricade nella droga e delude il terapeuta, che cosa di deve pensare? Forse verrà il dubbio che quanto offerto dalla riabilitazione sia stato poco gratificante per il soggetto a fronte della gravità dei traumi subiti, e si moltiplicheranno gli investimenti sempre ovviamente nella stessa direzione (una specie di “accanimento riabilitativo”, messo in atto da chi non si sente di prendere atto del fallimento degli sforzi terapeutici fatti o che non può 6 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento INTRODUZIONE sopportare l'idea di aver abbandonato qualcuno al suo destino perché lui - il terapeuta - non riesce ad incidere sulla situazione). Se si considera la tossicodipendenza una intossicazione, si privilegeranno gli interventi medici finalizzati a riportare la “normalità” nel funzionamento dell'organismo. Le cure, finalizzate a superare la crisi di astinenza che spesso danno alcune droghe, creano aspettative un po' illusorie: che il soggetto, finalmente libero dal bisogno della droga che era mantenuto dalla intossicazione, finalmente consapevole di sé e della sua situazione e non più annebbiato dalle sostanze, rendendosi conto di come stava male prima e di come sta bene dopo, decida di astenersi per il futuro dall'assumere nuovamente le sostanze tossiche. Qui prevale la visione “naturalistica” dell'uomo, per cui si pensa in genere che, se la persona è libera, sceglie il bene invece del male. Liberato dal bisogno di droga grazie alle cure, il soggetto vivrà secondo i saggi consigli medici per preservare la sua salute. Su questa teoria si sono fatti fortissimi investimenti, in realtà soprattutto da parte delle famiglie dei tossicodipendenti che hanno pagato forti somme per le costose cure di disintossicazione rapida o per “cure del sonno”, generalmente offerte da privati. Tutte e tre queste visioni affrontano il problema della tossicodipendenza con interventi che si prefiggono la “soluzione” in modo definitivo e completo e, ovviamente, si confrontano tutte e tre con esiti che frequentemente sono visti come fallimenti: la persistenza (senza soluzione di continuità, oppure con ricadute cicliche) della tossicodipendenza. Alla fine, le tre teorie tendono ad unificarsi in un atteggiamento sostanzialmente espulsivo: se dopo avere avuto tutte le cure necessarie (rieducative, riabilitative e mediche) il soggetto non cambia il suo comportamento, allora … “se lo vuole proprio”. Gettata la spugna, il terapeuta lascia lo spazio al censore, che abbandona il soggetto al suo destino e che interviene solo per impedire che questi causi danno alla società. A questo punto però si propone un scelta critica: il fallimento degli interventi correttivi dimostra essenzialmente quanto siano incurabili i tossicodipendenti oppure ci dice qualcosa anche sulla validità delle teorie sulla tossicodipendenza che hanno fondato le cure messe in atto? Qui si introduce la possibilità che il dubbio metodico aiuti a rivedere criticamente le diverse impostazioni, a cercare interpretazioni più rispondenti alla realtà e che possano informare interventi di cura più efficaci. Si pone quindi la necessità di studiare, di ricercare, di “conoscere”. Ed è proprio questo che verrà proposto in questo libretto: elementi nuovi, provenienti da diverse aree di ricerca, che integrati tra loro e confrontati con l'osservazione professionale di molti di casi e con il parere di molti clinici, possono essere rielaborati in una visione scientificamente fondata della tossicodipendenza, che orienti interventi più utili, più rispondenti alla realtà del problema che si vuole affrontare. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 7 INTRODUZIONE RIASSUNTO Ognuno ha bisogno di farsi una opinione sul mondo in cui vive, per potervisi collocare. Ma solo su alcune cose e' effettivamente possibile farsi opinioni approfondite e documentate. Su molti temi si deve necessariamente fare riferimento alle particolari esperienze personali e ci si deve affidare al parere di persone che ci sembrano (anche se non se ne ha la prova) degne di fiducia. In questo modo si sono affermati, nell'opinione pubblica, tre modi di vedere la tossicodipendenza che non sono fondati scientificamente, ma che si sono dimostrati “convincenti”: un modo moralistico, un modo psico-sociologistico, un modo medicalistico. Queste tre visioni della tossicodipendenza prevalgono normalmente anche tra chi ha potere di scelta sugli interventi da attuare verso la tossicodipendenza. Prevalgono cosi' interventi (certi tipi di interventi rieducativi, riabilitativi, medici) che hanno come destino comune di verificare quanto siano in realta' incurabili i tossicodipendenti Finiscono cosi' per rinforzare un atteggiamento di abbandono del problema, che a sua volta puo' alimentare o la rinuncia e il disinteresse oppure colpi di coda per una “soluzione finale” della tossicodipendenza. In realta', il fallimento degli interventi puo' essere determinato anche da premesse teoriche (su che cosa e' la tossicodipendenza) troppo emotive e poco razionali. Alla ricerca di interventi piu' efficaci e piu' rispondenti alla realta' del problema si propone un percorso che inizi proprio dalla domanda “come possiamo pensare la tossicodipendenza?”. 8 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE “…la navicella del nostro sapere può avanzare solo se usiamo le conoscenze già acquisite come un remo” E. Ferrero, La misteriosa storia del papiro di Artemidoro Il nostro percorso inizia da una verifica molto sintetica (non vogliamo fare un trattato! Ogni singolo paragrafo potrebbe essere un libro, ma qui ci interessa richiamare solo alcuni dati di riferimento) di ciò che gli studi scientifici hanno prodotto come conoscenze oggi disponibili sulla tossicodipendenza. Le conoscenze scientifiche sono state prodotte all'interno di diversi ambiti di studio: la psicologia, la sociologia, la neurobiologia. LE TEORIE PSICOLOGICHE Una delle prime discipline che ha cercato di spiegare la tossicodipendenza e di individuarne il significato è la psicologia, che ha elaborato diversi modelli di interpretazione sui quali si fondano diverse strategie di intervento e di trattamento. Nell'ambito delle teorie psicologiche, possiamo schematicamente individuare tre approcci che si sono maggiormente impegnati nello studio delle tossicodipendenze: psicodinamico, relazionale, cognitivo-comportamentale. L'approccio psicodinamico I modelli individuali ad orientamento psicodinamico spiegano la tossicodipendenza come un tentativo fallimentare e illusorio di superare e risolvere un profondo disagio e una sofferenza, dei quali la persona spesso non è consapevole, trattandosi di un malessere molto profondo e con radici nelle primissime esperienze di vita. Alla base di questa sofferenza ci sarebbero carenze risalenti a fasi molto precoci dello sviluppo del bambino (0-3 anni), e relative quindi alla relazione con la madre o con chi si occupa della sua crescita (il care-giver). Per motivi diversi, l'adulto che accudisce il bambino non riesce a mettersi in sintonia con lui e a riconoscere i suoi bisogni. Il bambino cresce con delle “mancanze” (innanzitutto il non riconoscimento come persona differente dalla madre) che non sono immediatamente evidenti, ma che minano la sua possibilità di sentirsi sicuro di sé e capace, cioè autonomo. Nell'esperienza clinica, possiamo notare questa “incompetenza” nell'accudire i propri figli nelle madri che parlano di essi come se fossero ancora neonati e non invece adolescenti o giovani adulti, come se sentissero il figlio come un prolungamento di loro stesse e non come una persona autonoma. Di solito queste mamme raccontano che loro non hanno mai bisogno di parole: “non c'è bisogno che lui parli perché so sempre cosa pensa e cosa vuole”. Questa espressione ci segnala la presenza di un problema nel rapporto con il figlio: la madre non La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 9 LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE Suggerimenti Per approfondire L’approccio psicodinamico Claude Olievenstein individua un meccanismo particolare nello sviluppo psicoaffettivo che correla con la tossicodipendenza. L'autore parla di una tossicodipendenza nucleare prodotta dal fallimento della fase dello “specchio infranto”. Fra i 6-18 mesi il bambino dovrebbe costituire un Io diverso da quello della madre e la madre, come uno specchio, dovrebbe rinviargli un'immagine unitaria e differenziata da sé. A differenza della psicosi, dove la fase “dello specchio” non si realizza (per cui bambino non si vede per nulla), qui, appena ha luogo il riconoscimento avviene anche la frattura, lo specchio si infrange rimandando una immagine frammentata e incompleta, a pezzi, che riporta al precedente stato di indifferenziazione del sé. Questa esperienza apre una ferita, che in seguito il tossicomane cercherà di annullare con l'assunzione della sostanza stupefacente. Olivenstein C.: Il destino del tossicomane, Borla, 1984. Jean Bergeret descrive tre tipologie di tossicomani: - Tossicomani con struttura nevrotica: presentano insufficiente capacità di mentalizzazione, il conflitto viene espresso attraverso comportamenti e non verbalizzato, la persona assume atteggiamenti autopunitivi, fra cui l'uso di sostanze stupefacenti, per i sensi di colpa dovuti a intenti aggressivi o inaccettabili. - Tossicomani a struttura psicotica: presentano un Sé frammentato, l'assunzione di droghe è utilizzato come difesa dell'Io con due funzioni: creare un mondo artificiale in cui la dimensione psicotica può ritrovarsi; giustificare la perdita di contatto con la realtà con l'uso di sostanze. - Tossicomani ad organizzazione depressiva: la crisi adolescenziale non è stata integrata e ciò comporta l'assenza del desiderio e di un immaginazione oggettuale. I pazienti si presentano con caratteristiche dipendenti ed investimenti oggettuali non chiari. Bergeret J.: Chi è il tossicomane, Dedalo, 1983. 10 considera che ci possano essere differenze fra i pensieri e le emozioni che le appartengono e quelli del figlio. In questo modo, fin dalla prima infanzia, il figlio non è facilitato nell'espressione dei suoi desideri ed emozioni, non può affermare se stesso e differenziarsi e non riesce sviluppare una propria identità sicura. Avrà quindi difficoltà personali e relazionali nell'affermarsi, nel riconoscere e perseguire le sue finalità, nelle situazioni di conflitto interpersonale, negli scambi affettivi: qualsiasi aspetto della sua vita potrà essere fonte di frustrazione, di senso di impotenza e di rabbia. La persona cercherà di calmare o di non sentire queste emozioni spiacevoli in diversi modi e, se verrà a contatto con le droghe, potrà usarle come “anestetico”. L'uso di droghe darà al soggetto, oltre al vantaggio diretto del sollievo dai contenuti mentali angosciosi, anche un alibi: “ho difficoltà nella vita perché mi drogo e non per altri tipi di problemi”. È un pensiero rassicurante: se la causa di tutti i mali è la droga, la soluzione di tutti i mali è a portata di mano: basta smettere (“è vero che non smetto, ma se volessi…”). Il soggetto può cullarsi nel sogno onnipotente di avere a portata di mano la soluzione di ogni male e di fare un gioco in cui vince sempre: se si droga ottiene sollievo, se smette trionfa (vale però anche il contrario, è un gioco in cui perde sempre: se si droga viene biasimato, se smette tutto il suo fallimento gli piomba addosso. Questa ambiguità e questa doppia valenza è tipica della psicologia del tossicodipendente). Bisogna sottolineare che questo meccanismo psicopatogenetico non è considerato specifico per la tossicodipendenza, ma viene chiamato in causa dalle scuole psicodinamiche come spiegazione di molte e diverse situazioni patologiche, interpretate come diversi tentativi di trovare soluzione alla sofferenza di base. L'uso di droga è considerato analogo ad un qualsiasi altro sintomo psicologico, cioè contemporaneamente ricerca di sollievo dal disagio e segnale del disagio stesso. La tossicodipendenza è quindi considerata l'espressione di un malessere e non un malessere in sé. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE L'approccio relazionale I modelli relazionali, che considerano le patologie individuali come “sintomo” di un malessere che riguarda tutto il sistema relazionale in cui il singolo è inserito, hanno studiato i tipi di organizzazione familiare del tossicodipendente e formulato ipotesi sulla trasmissione di carenze affettive nelle generazioni. Alcuni modelli descrivono un padre non in grado di avere un rapporto soddisfacente con la moglie, né di essere un punto di riferimento forte per i figli. La tossicodipendenza del figlio, in questo caso, offre la possibilità ai coniugi di coprire i loro conflitti con la comune preoccupazione per lo star male del figlio: lo spostamento di attenzione permette la stabilità della coppia. Questi genitori sembrano convinti che non ci sarebbero problemi nella loro famiglia se il figlio non fosse tossicodipendente e raccontano la loro storia familiare come se prima della “scoperta” della tossicodipendenza fossero felici. Altri modelli individuano l'elemento critico nella scarsa attenzione dei genitori nei confronti del figlio, mancanza di cui i genitori non sono consapevoli. Spesso, entrambi i genitori hanno alle loro spalle storie cariche di sofferenza rispetto alle attenzioni ricevute a loro volta come figli. Poiché si impara dal proprio contesto come comportarsi nelle relazioni, si tende a riproporre, in questo caso con i propri figli, le modalità (carenti, patologiche) apprese dai genitori. Anche nei modelli relazionali, come già visto in quelli psicodinamici, non c'è univocità nell' evidenziare il fattore patogeno, né viene individuato un meccanismo patogenetico specifico della tossicodipendenza. I diversi meccanismi riconosciuti sono alla base anche di altre diverse situazioni patologiche. Un elemento comune al modello individuale psicodinamico e a quello relazionale è che considerano la tossicodipendenza l'espressione di una sofferenza, un sintomo di una patologia “altra” che si è costituita attraverso traumi dello sviluppo, o nelle dinamiche della famiglia e che il futuro Suggerimenti Per approfondire L’approccio relazionale Luigi Cancrini ha recentemente rivisto la sua classica tipologia e riprende il tipo di organizzazione della famiglia del tossicodipendente, definendo tre aree problematiche che individuano significati diversi del comportamento patologico. Tossicodipendenze di area traumatica (tipo A): si evidenzia nella storia della persona un trauma ben definito (lutti, separazioni, delusioni). L'entrata nella tossicodipendenza può avvenire a breve distanza dal trauma e assume un significato di negazione dello stesso (elaborazione patologica del lutto che corrisponde al disturbo di adattamento del DSM IV). Tossicodipendenze di area nevrotica (tipo B): la tossicodipendenza è legata all'emergere di problemi relativi all'individuazione del sé nell'adolescenza che rimette in discussione un precedente equilibrio affettivo. Il conflitto non è riconoscibile e non è consapevole. Tossicomanie di area border-line e sociopatiche (tipi C e D): la droga permette di controllare i sintomi di un disturbo psichico pre-esistente (che corrisponde ai disturbi di personalità del DSM IV). Cancrini L.: Specchio delle mie brame, Frassinelli, 2003. Stefano Cirillo e Colleghi hanno elaborato un modello detto “trigenerazionale”, secondo il quale gli aspetti patologici di rapporto tra genitori e figli vengono trasmessi da una generazione all'altra e si manifestano come patologia evidente nell'arco di tre generazioni. Il rispecchiamento da parte del figlio nei confronti del genitore dello stesso sesso negli aspetti non elaborati di perdita costituisce il fattore patogeno. Vi sarebbero tre principali forme di scambio relazionale patogeno genitori-figli: Accudimento mimato: chi si occupa del bambino propone un accudimento non fondato sui reali bisogni del figlio e lo scambio relazionale diventa illusorio (“mi occupo di te per soddisfare i miei bisogni di genitore, a mia volta figlio non risolto”). Accudimento strumentale contro l'altro coniuge: uno dei due genitori, più spesso la madre, è ipercoinvolto nella relazione con il figlio, ma questo iperinvestimento è lo La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 11 LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE Suggerimenti per approfondire strumento che gli permette di alimentare la guerra contro l'altro coniuge (il figlio rimane confuso e non riesce a decodificare “l'imbroglio” ). Abbandono: per i genitori, i figli sembrano non esserci e ciò viene da loro giustificato adducendo necessità oggettive , senza che sia percepibile un progetto di famiglia. Cirillo S., Berrini R., Cambiaso G., Mazza R.: La famiglia del tossicodipendente, Cortina, 1996. Cirillo S., Cambiaso R., Mazza R.: Il padre del tossicodipendente, La Rivista di Servizio Sociale, 1/2000. Suggerimenti Per approfondire L’approccio cognitivo-comportamentale Marlatt e Gordon propongono un modello cognitivo dell'abuso di sostanze. Questo modello, partendo dalle definizione di “disturbo da abuso di sostanza” (DSM IV e ICD 10) pensa alla tossicodipendenza come un processo che si instaura per fasi e tempi diversi (inizio, abuso, dipendenza) e concentra la sua attenzione su come interrompere il comportamento di dipendenza. Descrivono sette stadi, in rapporto circolare fra di loro, del processo di mantenimento della dipendenza. 1. Stimoli a rischio elevati: è la variabile più associata alle ricadute. Gli stimoli possono essere esterni (rivedere luoghi o persone associate all'abuso di sostanze) o interni (stati emotivi particolari che riattivano i ricordi di episodi passati di utilizzo delle droghe). 2. Credenze maladattive: si tratta di convinzioni disfunzionali relative alle droghe e al loro uso (es. “sniffare” è meno grave che “bucare”). 3. Pensieri automatici: sono espressioni, idee, esclamazioni che aumentano il desiderio dell'uso (“è capodanno”, “chi se ne importa!”) 4. Appetizione patologica e bisogno compulsivo di assumere sostanze: si tratta di sensazioni fisiche (craving) che inducono al comportamento di abuso che viene ricercato per avere sollievo dalla compulsione. 12 tossicodipendente si è trovato a fronteggiare senza adeguate risorse (cognitive, emotive e affettive). Al “sintomo” tossicodipendenza non viene dedicata particolare attenzione se non per capire a che cosa d'altro può rimandare. Coerentemente con questa visione, è condizione preliminare ad ogni tentativo terapeutico la sospensione dell'assunzione di sostanze. La persistenza del comportamento tossicomanico costituisce, in genere, un impedimento insuperabile al trattamento psicoterapeutico. L'approccio cognitivo-comportamentale Le teorie cognitivo-comportamentali non formulano ipotesi sulle possibili cause remote della patologia, ma studiano come funzionano il pensiero e il comportamento e cercano di attuare delle strategie e delle tecniche per aiutare a prevenire, gestire, contenere, non ripetere gli schemi che mantengono la disfunzione. La teoria cognitiva ipotizza che molta parte dei problemi psicologici siano il risultato di come le persone rappresentano sé stesse e il mondo. Questa teoria si sofferma su ciò che accade alla persona e cerca di chiarire quali siano i pensieri, le convinzioni, le emozioni, i comportamenti rispetto alla droga. L'analisi di ciò che si fa, si pensa, si sente può mettere in evidenza delle false credenze che devono essere corrette attraverso un adeguato apprendimento. Le false credenze (“se non mi buco, non sono tossicodipendente”, “il metadone è una droga”, “bere una volta non mi farà ricadere nell'alcolismo”, etc.), se non affrontate, possono ostacolare il percorso di cambiamento della persona che chiede aiuto per smettere di essere dipendente. L'intervento ha prevalentemente l'obiettivo di dare alla persona strumenti di autovalutazione rispetto alla propria situazione e di suggerire tecniche per gestirla diversamente. L'approccio comportamentale, spesso integrato da quello cognitivo, considera gli aspetti condizionabili del comportamento, mettendo in luce gli automatismi patologici acquisiti e proponendo altri automatismi, più sani, con cui sostituirli. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE GLI STUDI SOCIALI Gli studi sociali ipotizzano che i fattori che favoriscono lo sviluppo della tossicodipendenza siano da ricercare non nel singolo, nei genitori o nella famiglia, ma nell'ambiente sociale e culturale nel quale la persona si trova inserita. La tossicodipendenza è intesa come espressione di disadattamento e di devianza, quindi si ricercano quali siano i fattori problematici di ordine socio-culturale in concomitanza dei quali il fenomeno droga si è manifestato, come comportamento di massa e come fatto generazionale. Questi studi interpretano il dilagare dei fenomeni di tossicodipendenza come manifestazione di una crisi più complessiva di un modello di società e di un meccanismo di sviluppo basati sulla spinta al consumo e sul tentativo di dare una risposta individuale alle difficoltà e ai disagi tipici della condizione giovanile. La mancanza di momenti di aggregazione nei quartieri periferici delle grandi città o nei quartieri inospitali dei centri storici, la triste prospettiva della disoccupazione, della sottoccupazione, del lavoro precario o dequalificato, così come la competizione esasperata, la crescita “obbligata”, la perdita di umanità nelle relazioni, favoriscono l'uso di droghe sia come evasione da una realtà senza speranza sia come “doping” per sostenere la prestazione, in particolare tra i giovani, privati della loro identità culturale e confusi dai modelli consumistici. Inoltre l'uso di droga, favorendo una forma di aggregazione (per quanto alienata) tra i giovani, compensa l'isolamento nel quale la società li confina: l'appartenenza ad un gruppo fornisce un'identità condivisa e riconosciuta, anche se fittizia. La sociologia dà un importante contributo alla comprensione dei modelli culturali che influenzano la diffusione del tipo di sostanza stupefacente. Ad esempio, l'importanza sociale di essere “su di giri”, iperattivi ed euforici a tutti i costi, favorisce le droghe i cui effetti sostengono queste condi- Suggerimenti per approfondire L’approccio cognitivo - comportamentale 5. Pensieri permissivi: sono i pensieri che permettono di dare una veste razionale di giustificazione al comportamento di abuso (“sono stato astinente per tre mesi ora assumo droga e mi metto alla prova per vedere se riesco a fermarmi dopo una volta”). 6. Strategie strumentali per procurarsi la droga: comportamenti messi in atto per ricercare e procurarsi droga (aspettare ad un angolo di una certa piazza ad un certa ora). 7. L'uso di sostanze in grado di indurre dipendenza: analisi di situazioni ad alto rischio che potrebbero presentarsi che devono essere gestite in modo opportuno. Per ogni componente si attuano specifici interventi terapeutici, discussi, elabo-rati e concordati con il paziente, finalizzati a modificare gli schemi di pensiero e di comportamento. Marlat G. A., Gordon J.R.: Relapse prevention, Guilford, 1985. Mascetti W.: Il comportamento d'abuso e la dipendenza, in: Manuale di Psicoterapia Cognitiva, a cura di G. Bara, Bollati Boringhieri, 2003. Marsha Linehan descrive un modello di trattamento (terapia dialettico comportamentale - TDC) per pazienti con disturbo borderline di personalità che è stato adattato alla terapia delle tossicodipendenze. Il modello è basato sull'idea dell'efficacia del “doppio setting”: psicoterapia individuale e terapia di gruppo. Il contratto ha una durata minima di un anno. La psicoterapia individuale imposta l'intero trattamento sulla base della costruzione di una gerarchia di priorità con il paziente e un ordine di problemi e di mete da affrontare. La terapia di gruppo (skills training) ha l'obiettivo di far apprendere una serie di abilità utili ad adattarsi alla vita quotidiana (abilità di consapevolezza, regolazioni delle emozioni, tolleranza alla sofferenza e all'angoscia). I due setting di intervento procedono parallelamente e servono uno di rinforzo all'altro. Linehan M.: Il trattamento cognitivocomportamentale del disturbo border-line, Raffaello Cortina Editore, 2001. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 13 LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE Suggerimenti Per approfondire Gli studi sociali Alexander considera adattivo l'uso di droghe. Quando i giovani non riescono a mantenere un equilibrio fra caratteristiche individuali e richieste del proprio contesto sociale (avere abilità sociali, raggiungere con successo i propri obiettivi, acquisire uno status e un ruolo riconosciuti) sperimentano un fallimento dell'integrazione sociale. Tale fallimento è considerato causa del comportamento di “addiction” che si configura come un tentativo di adattamento non riuscito. Alexander B.K., Hadaway P.F.: The empirical and theoretical bases for an adaptive model of addiction, The Journal of Drug Issues, n.1, pp.37-65, 1990. zioni (cocaina, ecstasy) e riduce la diffusione di sostanze più sedative (oppiacei). Notevole importanza viene attribuita anche alle “politiche commerciali” dei trafficanti di droga e alle strategie istituzionali di contrasto: dagli equilibri tra le parti contrapposte derivano gli spostamenti delle scelte dei “clienti”, influendo pesantemente anche sugli aspetti epidemiologici e clinici del fenomeno. Conseguentemente, per intervenire nella situazione viene considerato necessario un profondo impegno civile di rinnovamento, il ripensamento del modello di sviluppo, delle politiche sociali e delle forme di prevenzione, della gestione dei contesti urbani e delle funzioni di istituzioni come la scuola. L'ipotesi è che dando ai giovani la possibilità e gli strumenti per costruirsi un'identità e un futuro con un contesto di vita adeguato si possa incidere sui determinanti macrosociali del fenomeno. LA NEUROBIOLOGIA E LA MEDICINA Negli ultimi dieci anni, la neurobiologia ha dato importanti contributi per la comprensione dei meccanismi che stanno alla base della tossicodipendenza. È stato dimostrato che le sostanze capaci di indurre tossicodipendenza sono tali perché in grado di stimolare i “centri della gratificazione” presenti nel sistema nervoso centrale (in realtà si tratta di una serie di centri nervosi collegati tra loro a costituire un sistema complesso, che collega la percezione dello stimolo piacevole, con la sua interpretazione cognitiva e con la fissazione nella memoria del comportamento che ha provocato lo stimolo). Questi centri nervosi hanno un preciso significato finalistico: premiano con una intensa sensazione di piacere quei comportamenti che garantiscono la sopravvivenza dell'individuo e della specie, come alimentarsi e riprodursi. Dal punto di vista evolutivo, quindi, il piacere ha il significato di una conferma che si sta mettendo in atto un comportamento considerato vantaggioso, utile, positivo. Le droghe (in particolare: oppiacei, coca e derivati, cannabinoidi, nicotina e alcol) sono in grado di sostituirsi agli stimoli naturali e, producendo la sensazione di piacere, di far riconoscere (o meglio scambiare) ai centri della gratificazione il comportamento tossicomanico come se fosse un comportamento positivo e utile, di importanza vitale. I centri della gratificazione sono a loro volta collegati con i centri della memoria e del controllo degli impulsi, che fissano il ricordo di quanto accaduto (del comportamento adottato e del piacere ricavato) e riducono la capacità di controllo, strutturando così le basi per la rievocazione e la ripetizione della assunzione di droga. 14 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE La ripetizione della assunzione di droga, oltre ai noti problemi di tolleranza (= necessità di aumentare la dose per mantenere nel tempo lo stesso livello di effetto) e di astinenza (= malessere acuto, mortale nel caso dell'alcol, conseguente alla brusca interruzione della assunzione abituale di una sostanza), crea delle modificazioni nel funzionamento e nella organizzazione dei centri nervosi coinvolti (modificazioni neuroplastiche). Il cervello si organizza in modo da funzionare prevedendo la presenza della droga e, se questa viene a mancare, “protesta” suscitando una sensazione spiacevole che induce il soggetto a ripetere l'assunzione. Il reiterarsi del comportamento tossicomanico e la difficoltà a sospenderlo sono legati a questi meccanismi. Sul desiderio della sostanza gli studi si stanno raffinando sempre di più. È stato dimostrato che l'intensità delle prime esperienze con la droga si fissano nella memoria come un parametro di riferimento del piacere che il soggetto può provare. Conosciuta l'intensità di quella gratificazione, il soggetto trova tutti gli altri piaceri molto modesti, non del tutto soddisfacenti. Pertanto, cerca con tutti i suoi mezzi di rinnovare l'esperienza della droga. C'è però un problema: dopo le prime volte, l'azione stimolante della droga, viene contrastata da meccanismi biologici controadattatori ne che riducono l'effetto. Però il soggetto ha interiorizzato nella sua memoria un “piacere di riferimento” che non viene più soddisfatto né dagli stimoli “naturali” né dalla sostanza; la memoria della esperienza fatta alimenta il desiderio, che però non si riesce più a soddisfare (non è più “come la prima volta”), che riporta nostalgicamente e ossessivamente il soggetto a riprovarci “ancora una volta”, perpetuando il comportamento sulla base della dialettica desiderio-insoddisfazione. Gli studi neurobiologici stanno sempre di più migliorando la conoscenza sui meccanismi specifici della tossicodipendenza. Certamente già oggi, rispetto a pochi anni fa, abbiamo molti elementi in più per comprendere i meccanismi biologici che sono sottesi ai comportamenti clinici che possiamo osservare. Suggerimenti Per approfondire Felice Nava ha scritto un manuale moderno, completo e accessibile sugli aspetti neurobiologici della tossicodipendenza. Vengono riportati i dati scientifici che possono sostenere la comprensione degli aspetti patologici La neurobiologia e la medicina della tossicodipendenza Ovviamente, il sistema limbico è oggetto di particolare attenzione. Il sistema limbico è costituito da corteccia prefrontale, ippocampo, ipotalamo, talamo. I suoi nuclei, in particolare l'accumbens e l'amigdala e le vie dopaminergiche che li collegano tra loro e li connettono con altri centri nervosi sono le strutture specificamente implicate nei meccanismi della gratificazione e della motivazione. Il meccanismo attraverso cui la diverse sostanze d'abuso aumentano la trasmissione dopaminergica nel nucleo accumbens è diverso a seconda della loro classe farmacologica di appartenenza. Studi di neuroimmagine hanno mostrato che durante stati di intossicazione o durante il craving vi è un'attivazione delle regioni frontali attraverso i circuiti neuronali che controllano il piacere (nucleo accumbens), la motivazione (corteccia orbitofrontale), la memoria (l'amigdala e l'ippocampo) e le funzioni cognitive (corteccia pre-frontale e giro cingolato). Nava F.: Manuale di neurobiologia e clinica delle dipendenze, Franco Angeli, 2004. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 15 LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE RIASSUNTO La tossicodipendenza è stata oggetto di studio da parte di molte discipline come sociologia, psicologia, medicina. Non è stata messa in evidenza un causa unica che possa spiegarla, e nessuna disciplina da sola riesce a render conto completamente di questo fenomeno. In genere, le diverse discipline scientifiche applicano alla tossicodipendenza meccanismi esplicativi generali e non specifici (questo vale, per ora, di piu’ per psicologia e sociologia e meno per la medicina che sta scoprendo le specifiche azioni biologiche delle sostanze). Analogamente, non vi sono molte proposte di specifiche tecniche di intervento messe a punto proprio per la tossicodipendenza Appare sempre piu' chiaramente che una sola prospettiva non consente di fare grossi passi avanti nella comprensione e nella gestione clinica della tossicodipendenza. Emerge la necessità di un punto di vista che tenga insieme i diversi aspetti e i diversi fattori: ogni punto di vista preso in esame deve essere considerato una parte in relazione ad altre e non il tutto. 16 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento UNA VISIONE INTEGRATA UNA RAPPRESENTAZIONE DELLA TOSSICODIPENDENZA INTEGRATA E FONDATA SCIENTIFICAMENTE In questo capitolo intendiamo presentare i risultati del tentativo che abbiamo fatto di collegare i modelli teorici, i dati provenienti dall'esperienza clinica e i dati derivanti dalle più recenti ricerche scientifiche per arrivare ad una rappresentazione della tossicodipendenza fondata scientificamente, che ci fornisca un'interpretazione integrata della patologia e che ci guidi nella cura. ***** L'esperienza di lavoro nei Servizi per tossicodipendenti consente di osservare una notevole varietà di modalità con cui individui diversi (o lo stesso individuo in tempi diversi) assumono le sostanze. Il significato che queste ultime di volta in volta assumono, indica che esistono diversi tipi di rapporto tra l'individuo e la sostanza. La tossicodipendenza, infatti, non è qualcosa che sta “dentro” l'individuo o “dentro” la sostanza, ma è qualcosa che scaturisce dalla relazione tra di essi, relazione che si sviluppa in un dato ambiente ed è condizionata dalle caratteristiche di entrambi. Quindi, non bisogna ricercare le cause della tossicodipendenza solo nelle caratteristiche del soggetto, così come non bisogna considerare onnipotenti le sostanze, come se potessero loro da sole determinare la patologia rendendo schiavo il malcapitato. Ugualmente, l'ambiente da solo non potrà creare dal nulla i tossicodipendenti. Affinché la “reazione” tra i diversi componenti produca la dipendenza sono necessarie alcune condizioni. Nel caso del soggetto interverranno la sua capacità (biologica) di rispondere alla sostanza con una reazione intensa; la sua disposizione (emotiva e cognitiva) a fare l'esperienza e ad attribuirle un particolare significato. Il contesto ambientale (disponibilità di sostanze diverse, costi della droga, leggi e repressione, appartenenza sociale e culturale del soggetto, campagne informative incentivanti o disincentivanti certi stili di vita, possibilità/prospettive di realizzarsi in modo soddisfacente o meno) porrà le condizioni in cui l'esperienza avviene. Per quanto riguarda la sostanza, avrà rilievo la sua potenza d'azione farmacologica e la sua potenza d'azione suggestiva, determinata dal valore che la La dipendenza è il risultato della interazione collettività attribuisce a quella soggetto - oggetto sostanza (sostanza proibita oppure socialmente accettata; pesante oppure leggera; elitaria oppure SOSTANZA SOGGETTO AMBIENTE volgare; etc). L'incontro tra sogfarmacologia costituzione simbologia esperienza getto e sostanza, in uno specifico contesto, può determinare diverse possibilità di legame e di relazione: PATOLOGIA dal punto di vista clinico se ne DA DIPENDENZA possono schematizzare quattro tipi. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 17 UNA VISIONE INTEGRATA TIPI DI RELAZIONE SOGGETTO-SOSTANZA È possibile che la sostanza, anche se ha un elevato potenziale tossicomanigeno, venga assunta senza che questo comporti alcun problema: ad esempio, nella nostra cultura, è possibile per qualcuno bere alcolici in modo del tutto “sano” (o meglio, culturalmente - e quindi anche dal punto di vista medico - accettato), senza che ne conseguano disturbi fisici e problemi di comportamento o relazionali. In questo caso si parla di “uso” della sostanza (uso voluttuario, ludico, ricreativo, sociale). È un discorso difficile da accettare per altre sostanze (a parte forse la nicotina) con le quali abbiamo ben poca dimestichezza e che culturalmente sono rappresentate come esclusivamente “cattive”. Ma, almeno per l'alcol, pur essendo una sostanza potentissima dal punto di vista tossicomanigeno e che determina una elevata quota di patologie e danni sociali, è un discorso possibile e realistico. Se invece l'assunzione della sostanza causa problemi essenzialmente in relazione al contesto in cui avviene il consumo, si parla di “abuso”; il contesto può essere di tipo normativo (divieti per Legge), di tipo sanitario (consigli di astenersi per proteggersi da rischi), di tipo relazionale (conflittualità all'interno del proprio contesto di vita). Si sottolinea che, in questo caso, la relazione soggetto-sostanza crea dei problemi per il fatto che l'assumere la sostanza diventa, per il soggetto, più importante di altri aspetti della sua vita, del rispetto dei divieti o di norme di prudenza o di opportunità. Non vi è però una situazione di esclusività totale e di legame indissolubile sul piano biologico e sul piano psicologico. Questo concetto è affermato, in modo abbastanza simile, nel DSM-IV (Manuale Diagnostico della Associazione Psichiatrica Americana, IV edizione). DSM IV. Criteri diagnostici per l'Abuso di Sostanze A. Una modalità patologica d'uso di una sostanza, che porta a menomazione o a disagio clinicamente significativi, come manifestato da una (o più) delle condizioni seguenti, ricorrenti entro un periodo di 12 mesi: 1) uso ricorrente della sostanza risultante in una incapacità di adempiere ai principali compiti connessi con il ruolo sul lavoro, a scuola o a casa (per es. ripetute assenze o scarse prestazioni lavorative correlate all'uso delle sostanze; assenze, sospensioni o espulsioni da scuola correlate alle sostanze; trascuratezza nella cura dei bambini o della casa) 2) ricorrente uso della sostanza in situazioni fisicamente rischiose (per es. guidando un'automobile o facendo funzionare dei macchinari in uno stato di menomazione per l'uso della sostanza) 3) ricorrenti problemi legali correlati alle sostanze (per es. arresti per condotta molesta correlata alle sostanze) 4) uso continuativo della sostanza nonostante persistenti o ricorrenti problemi sociali o interpersonali causati o esacerbati dagli effetti della sostanza (per es. discussioni coniugali sulle conseguenze dell'intossicazione, scontri fisici). B. I sintomi non hanno mai soddisfatto i criteri per Dipendenza da Sostanze di questa classe di sostanze. 18 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento UNA VISIONE INTEGRATA Si parla invece di “dipendenza” (tossico-dipendenza) quando l'assunzione continuativa della droga diventa una necessità per compensare od equilibrare un'alterazione del funzionamento dell'individuo causata dall'assunzione della droga stessa. Il modo di funzionare del soggetto (biologico: il sistema della gratificazione, della memoria e della motivazione; psicologico: l'emotività, il significato attribuito alle cose e i valori, la progettualità e in senso di identità; culturale: identità di ruolo, collocazione nella rete sociale) viene trasformato a contatto con la droga, che successivamente diventa un elemento indispensabile e centrale dalla cui presenza dipende il soggetto per “sembrare normale”. Il ciclo della dipendenza si sviluppa dal desiderio di assumere la sostanza (il craving o “fame” durante la carenza), accompagnato da agitazione, malessere e senso di urgenza, alla ricerca-assunzione con successivo stato di soddisfazione, sedazione e recupero dello stare bene. Il soggetto mostra segni evidenti di malessere quando gli viene a mancare la sostanza, mentre sembra “a posto” quando ha assunto la sostanza. Questo ciclo è tipico soprattutto delle sostanze La semplice crisi di astinenza, così come la capacità, acquisita con con effetti tranquillanti, come gli oppiacei. l'abitudine, di sopportare alte dosi di Come capita nelle diete, quando il soggetto si è sostanze (“tolleranza”), non sono saziato, cambia il suo modo di ragionare e di elementi che, da soli, consentono di sentire, è lucido e può far prevalere la sua parte fare diagnosi di tossicodipendenza. razionale e il sentire comune, emergono Si pensi, ad esempio, alle persone che addirittura i sensi di colpa e di autocritica, con il devono assumere morfina per gravi sindrome dolorose (spesso tumori). concepimento di buoni propositi (ad esempio, Dopo qualche tempo, la dose iniziale ripromettendosi di non assumere mai più la non basta più e bisogna aumentarla per avere gli stessi effetti antidolorifici sostanza). In questo momento il soggetto non sta menten- (fenomeno della tolleranza). Così, se si interrompe la morfina, do: “sente” davvero quello che pensa e dice, ma avranno disturbi da astinenza da pensa e dice in un determinato stato d'animo e in oppiacei. Tuttavia, se non compaiono altri una determinata condizione biopsicologica. elementi (che sono discussi qui di Il problema è che, altrettanto sinceramente, il seguito; in particolare il desiderio soggetto cambierà del tutto il suo pensiero e il della sostanza, che la fa diventare suo stato d'animo quando tornerà a sentire la prima ragione di vita) non bastano “fame” per la sostanza: prevarranno allora le questi due elementi, che sono normali ragioni per “trasgredire la dieta” (le minimizza- adattamenti biologici, per pensare che la persona sia tossicodipendente. zioni delle conseguenze, le credenze sbagliate, le Pertanto, le paure dei medici scuse, etc). nell'impiegare la morfina nelle Nella dipendenza vi è una sistematica oscillazio- sindromi dolorose estreme (“non ne tra poli estremi: il voler smettere e il voler voglio far diventare il paziente un tossicodipendente”) sono basate sulla continuare, veri entrambi perché accompagnati sostanziale non conoscenza di che da pensieri e sentimenti che il soggetto prova cosa sia la tossicodipendenza e sulla davvero, ed entrambi falsi perché rappresentano paura di non saper gestire adeguatamente, anche sul piano psicologico, le solo una parte del soggetto, spezzato dalla droga terapie con oppiacei. in due dimensioni che non comunicano tra loro. Nota a margine La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 19 UNA VISIONE INTEGRATA Nota a margine Le parole rispecchiano il pensiero e, nelle tossicodipendenze, l'approssimazione con cui viene utilizzata la terminologia indica quanta riflessione bisogna ancora fare. Oltre ai termini classici come tossicodipendenza e tossicomania, si utilizza da qualche tempo la dicitura dipendenze patologiche, tanto diffusa quanto insensata, come se esistessero le dipendenze non patologiche da eroina, cocaina, alcol e compagnia bella. La dipendenza è un meccanismo di risposta dell'organismo a determinate condizioni, così come lo sono l'infiammazione o la degenerazione. Sul piano clinico noi osserviamo le patologie che si generano in conseguenza dei meccanismi patogenetici e ogni patologia avrà un suo nome particolare. In senso generale, quindi, possiamo correttamente parlare di patologie da dipendenza e, nello specifico, di dipendenza da…(eroina, alcol, etc). Gli anglosassoni utilizzano il termine addiction, che è considerato la somma di drug dependence + craving. La “drug dependence” corrisponde alla condizione biologica di tolleranza e astinenza, mentre il “craving” si riferisce all'aspetto di desiderio impulsivo/compulsivo verso la sostanza. Si ricorda che il termine “addiction” deriva da un istituto giuridico romano, in forza del quale il debitore insolvente veniva addetto al creditore affinché pagasse il debito in sospeso con il suo lavoro: era una schiavitù temporanea. In italiano “addiction” non è traducibile: il “termine addetto” non ha più connotazioni necessariamente negative come la schiavitù e anche “dedito” ha una valenza neutra: si può essere dediti all'alcol, ma anche dediti alla famiglia. Suggerimenti Per approfondire Tipi di relazione: soggetto - sostanza Bignamini E., Bombini R.: Considerazioni sul pensiero e sul linguaggio delle “tossicodipendenze”, Medicina delle Tossicodipendenze, XI, 38, marzo 2003. 20 Si parla invece di “mania” (tossico-mania) quando la modalità di assunzione della sostanza non apporta, come detto prima, equilibrio e compenso nel funzionamento del soggetto e non consente una ripresa apparentemente “normale” delle funzioni cognitive, emotive, biologiche, ma anzi amplifica sempre di più lo squilibrio dell'individuo. Il soggetto, provando gli effetti euforizzanti della sostanza non si soddisfa e non cessa di conseguenza l'assunzione; anzi, si esalta e per continuare a provare il piacere che la sostanza dà e per intensificarlo sempre di più, avvicina sempre di più le somministrazioni. La “fame” di sostanza aumenta a mano a mano che gli effetti sono percepiti sempre più intensamente. L'esito di un tale comportamento è un parossismo che spesso si conclude con l'intossicazione acuta che può dare gravi effetti collaterali (disturbi psicotici o cardiovascolari). Questo tipo di relazione patologica con la sostanza è frequente nei consumatori di “crack” o simili varianti della cocaina, in cui il soggetto, consuma in poche ore tutta la quantità di sostanza che ha a disposizione, anche quando si era fatto una “scorta” che avrebbe dovuto durare più giorni. Nella mania, per quanto si possa individuare una ripetizione del comportamento, non si può individuare un vero e proprio “ciclo”. La mania si colloca in una retta potenzialmente infinita, che si interrompe per esaurimento e non per soddisfazione. Appena ripreso, il soggetto torna se possibile alla assunzione della sostanza (o almeno vi torna il suo pensiero), senza quegli intervalli di pseudo lucidità, di sazietà o di senso di colpa che sono presenti nella dipendenza e che consentono, almeno apparentemente, un contatto col soggetto. Per questo è molto più difficile ottenere collaborazione alla terapia nei casi di mania che nei casi di dipendenza. Questa distinzione tra (tossico)dipendenza e (tossico)mania, secondo noi molto evidente e La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento UNA VISIONE INTEGRATA molto importante sul piano clinico, non è rilevata dai comuni manuali diagnostici, che distinguono solo tra abuso e dipendenza; in genere, “tossicomania” e “tossicodipendenza” vengono utilizzati come termini interscambiabili. Qui di seguito si riportano i criteri per la diagnosi di dipendenza del DSM-IV. La descrizione della sindrome è piuttosto naif, e i criteri diagnostici sono piuttosto banali e ripetitivi, girano attorno ad un unico concetto (il problema del controllo della sostanza) senza mai metterlo fuoco. Soprattutto, non dicono nulla del rapporto tra soggetto e sostanza, mentre la dipendenza è, per definizione, un problema di rapporto. DSM IV. Criteri diagnostici per la Dipendenza da Sostanze Una modalità patologica d'uso della sostanza che conduce a menomazione o a disagio clinicamente significativi, come manifestato da tre (o più) delle condizioni seguenti, che ricorrono in un qualunque momento dello stesso periodo di 12 mesi: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) tolleranza, come definita da ciascuno dei seguenti: a)il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza per raggiungere l'intossicazione o l'effetto desiderato; b) un effetto notevolmente diminuito con l'uso continuativo della stessa quantità della sostanza astinenza, come manifestata da ciascuno dei seguenti: a) la caratteristica sindrome di astinenza per la sostanza (descritta per ogni sostanza); b) la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza la sostanza è spesso assunta in quantità maggiori o per periodi più lunghi rispetto a quanto previsto dal soggetto desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l'uso di sostanza una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza (per es. recandosi in visita da più medici o guidando per lunghe distanze), per assumerla (per es. fumando “in catena”) o a riprendersi dai suoi effetti interruzione o riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa dell'uso della sostanza uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica, verosimilmente causato o esacerbato dalla sostanza (per es. il soggetto continua ad usare cocaina malgrado il riconoscimento di una depressione indotta da cocaina, oppure continua a bere malgrado il riconoscimento del peggioramento di un'ulcera a causa dell'assunzione di alcol). La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 21 UNA VISIONE INTEGRATA SIGNIFICATI E FUNZIONI DELLA RELAZIONE INDIVIDUO-SOSTANZA Quando una persona incontra, anche casualmente, una sostanza per la prima volta, non vi è possibilità di predire se diventerà tossicodipendente. Perché questo si verifichi devono esserci e realizzarsi alcune condizioni. Per prima cosa l'incontro deve rappresentare un'esperienza estremamente significativa, al punto da indurre la persona a cercare di ripeterla. In secondo luogo, la sostanza deve essere in grado di trasformare il funzionamento del soggetto in cui agisce e il soggetto deve essere un “terreno” capace di rispondere adeguatamente agli stimoli della sostanza. Componendo le diverse teorie che cercano dispiegare perchè un soggetto si avvicini alle droghe e perché si abbia ripetizione del comportamento dopo la prima esperienza, si possono riconoscere almeno quattro possibilità di genesi della tossicodipendenza, tutte con significativi riscontri nella pratica clinica. Sul piano diagnostico, quindi, si dovrà cercare di capire quale delle quattro ipotesi si applica al soggetto reale che, di volta in volta, si ha davanti. Funzione autoterapeutica La sostanza può avere una funzione di “autoterapia”: da parte del soggetto può esserci un inconsapevole tentativo di annullare o ridurre la sofferenza che prova per una qualche Suggerimenti patologia preesistente alla tossicodipendenza Per approfondire (depressione, disturbi dei rapporti con la realtà; a volte può essere anche una patologia organica Funzione autoterapeutica dolorosa o invalidante). Tossicodipendenza secondaria auto- L'uso di sostanze sarebbe quindi, almeno all'inizio terapeutica. La tossicodipendenza ha una e nelle intenzioni (più o meno consapevoli) di chi funzione difensiva-adattiva. Il comportamento del tossicomane è il le assume, in qualche modo “adattivo”, finalizzariflesso di una incapacità di prendersi cura to cioè a “curare” una sofferenza e la disfunzione di sé in altro modo. Una precoce carenza nello sviluppo porta che ne consegue. Gli effetti certamente positivi la persona a interiorizzare in modo delle sostanze (miglioramento dell'umore, inadeguato le figure genitoriali: il tossicosensazione di superare più facilmente i propri dipendente è incapace di autoproteggersi. L'assunzione di droga è vista come il problemi) fanno sì che il soggetto ne tragga disperato tentativo di compensare le apparentemente vantaggio e ripeta l'assunzione. deficienze dell'Io (regola-zione degli stati affettivi, autostima) ed offre al tossicodi- In seguito, la potenza trasformatrice della droga p e n d e n t e n o n s o l o s o l l i e v o m a induce i cambiamenti bio-psicologici che sopra l'esperienza di funzionare meglio e di sono stati illustrati e determina lo strutturarsi un'accresciuta capacità di farcela. Khantzian E.J.: A contemporary psycho- della dipendenza. dynamic approach to drug abuse A quel punto, gli apparenti vantaggi iniziali sono treatment, Am. J. Drug Alcohol Abuse, 12, del tutto persi, ma il comportamento tossicomapp213-222, 1988. nico si è ormai strutturato e si automantiene. Funzione di potenziamento o tossicodipendenza finzionale La sostanza può avere la funzione di far sentire la persona “migliorata”. Anche senza avere in precedenza vere e proprie patologie, un soggetto può 22 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento UNA VISIONE INTEGRATA sentirsi insoddisfatto di come è (nel rapporto con gli altri, nelle sue performance, nei risultati che ottiene): sotto l'effetto di sostanze ha l'impressione di essere molto migliore (più capace nei rapporti interpersonali, più disinibito, più soddisfatto). L'innesco, sarebbe quindi il tentativo di favorire l'aumento dell'autostima e del senso di efficacia, con un miglioramento nella percezione di sé. Da qui la spinta e ripetere l'assunzione e la progressione del meccanismo di dipendenza. Funzione di disvelamento La tossicodipendenza può svilupparsi come qualcosa di nuovo, in discontinuità con il prima: l'esperienza degli effetti delle droghe mette la persona in contatto con una dimensione del piacere mai sperimentata prima. L'avvicinamento alle sostanze, in questo caso, non avviene per una sofferenza preesistente: anzi, l'esperienza tossicomanica, favorita dalle caratteristiche ambientali e culturali, è consumata in una ricerca di godimento ulteriore da parte di un soggetto già di per sé soddisfatto. In questo caso, più che nei due casi precedenti, è evidente l'azione trasformativa operata dalle sostanze: l'esperienza di piacere indotta da esse rappresenta un salto di qualità nelle esperienze del soggetto, una sorta di “scoperta” con un valore di conoscenza, che diventa punto di riferimento e di confronto con le altre esperienze. Dopo aver sperimentato la droga, ogni altra esperienza appare ben poco gratificante; la vita precedente, per quanto fino a quel momento svolta con soddisfazione, appare “a posteriori” ben poca cosa a fronte dei nuovi orizzonti aperti dalla nuova esperienza. L'infelicità viene introdotta dalla droga e assume un valore retroattivo (“dopo aver provato la droga mi rendo conto di quanto era vuota e insoddisfacente la mia vita precedente”). La ripetizione del comportamento è sostenuta dalla perdita di senso (o meglio di sensazioni) della vita “senza droga” e dalla necessità di compensare la depressione innestata dalla droga stessa. Successivamente, anche in questo caso, subentrano i meccanismi trasformativi che automantengono la tossicodipendenza. Suggerimenti Per approfondire Funzione di potenziamento o tossicodipendenza finzionale Tossicodipendenza secondaria da potenziamento o finzionale. La tossicodipendenza è collegata ad una specifica sofferenza del Sé che si crede privo di valore e privo di significato; ha cioè un nucleo d'invalidazione. Le droghe, o più in generale gli oggetti di dipendenza, hanno la funzione di consentire di superare questa condizione. La tossicodipendenza può essere intesa come l'esito di una patologia di autoconsapevolezza rispetto a questa sofferenza psicologica strutturata del Sé. Rigliano P.: Doppia diagnosi, Raffaello Cortina Editore, 2004. Rigliano P.: Piaceri drogati, Feltrinelli, Milano, 2004. Suggerimenti Per approfondire Funzione di disvelamento Tossicodipendenza primaria da disvelamento. Sul piano emotivo e cognitivo, l'esperienza gratificante indotta dalla assunzione delle sostanze, produce un effetto di “disvelamento”: la vita condotta fino a quel momento viene rivelata come ben poco soddisfacente a confronto con il godimento disponibile attraverso la sostanza. Il soggetto, grazie alla sua capacità di risposta biopsicologica alle sostanze (risposta intensamente gratificante) cambia i suoi parametri di riferimento cognitivi ed emotivi, per cui la vita “normale” senza droga diventa qualcosa di riduttivo, dominata dal senso della mancanza e della rinuncia. Bignamini E., Bombini R.: Approccio psicodinamico al tossicodipendente, Riv. Psicologia Individuale, XXXII, 56, lugdic. 2004. Bignamini E., Bompard A.: Approccio psicodinamico alla relazione terapeutica, Animazione Sociale, n. 6/7, 2004. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 23 UNA VISIONE INTEGRATA Funzione di ricondizionamento sensoriale In altri casi ancora, lo stesso meccanismo Suggerimenti descritto al punto precedente assume una Per approfondire connotazione diversa. Invece di prevalere gli aspetti cognitivi ed emotivi, proiettati sul senso Funzione autoterapeutica della vita, prevalgono le sensazioni fisiche, Tossicodipendenza primaria da riconinnescando una dinamica di tipo psicosomatico. dizionamento sensoriale Gli effetti della droga, intensamente Vi sono evidenze scientifiche che ci siano delle piacevoli, diventano per i soggetto punto regolazioni del sistema della gratificazione di riferimento dello “star bene”: avviene un “sensorializzazione” delle emozioni e costituzionalmente diverse tra gli individui una somatizzazione degli stati psichici, (qualcosa che potrebbe riferirsi anche alle con riduzione della capacità di mentalizzare i propri contenuti e di esprimerli a antiche intuizioni sui temperamenti: collerico, sanguigno, melanconico, flemmatico?). parole (alessitimia secondaria). Il soggetto è polarizzato sul suo corpo e Alcuni soggetti vivono, senza saperlo e come loro sulla ricerca del mantenimento di un “benessere” che presuppone l'assunzione “naturale” caratteristica, un livello di benessere e di sostanze, in quanto ogni altro farmaco o soddisfazione inadeguato; come se fossero, sul la condizione “senza farmaci” appaiono piano biologico, sempre alla ricerca di “qualcosa” insoddisfacenti. Bignamini E., Bombini R.: Approccio che li soddisfi, ma senza averne cognizione (qui psicodinamico al tossicodipendente, Riv. sta la differenza con le tossicodipendenze Psicologia Individuale, XXXII, 56, lug“finzionali” di Rigliano). dic. 2004. Bignamini E., Bompard A.: Approccio Culturalmente, i soggetti ridefiniscono la loro psicodinamico alla relazione terapeutica, situazione come “normale” (eventualmente con il Animazione Sociale, n. 6/7, 2004. corredo di filosofia spicciola che paragona la vita alla scala del pollaio) e non patologica o problematica. L'esperienza degli effetti della sostanza “salda” la disfunzione del sistema di gratificazione con l'effetto farmacologico, che assume qui non tanto il significato di un plusvalore, quanto di integratore fisio(pato)logico. Le emozioni vengono trasformate in sensazioni fisiche, vi è una incapacità di “pensarsi” e di descrivere a parole i propri stati interiori, tutta l'attenzione è catalizzata dal corpo. In questo caso, la sostanza si struttura come un elemento critico del benessere fisico del soggetto, che avverte lo stato “normale” (senza la droga) come spiacevole e pericoloso, in quanto non sufficientemente “protetto” dalla sofferenza attraverso la sostanza. LA TOSSICODIPENDENZA, LE TOSSICODIPENDENZE A questo punto possiamo considerare che il rapporto tra soggetto e sostanze tossicomanigene abbia avvii diversi e assuma caratteristiche diverse. Queste diversità sono inter-individuali (ogni individuo ha i suoi percorsi, diversi da quelli degli altri) e intra-individuali (lo stesso individuo può attraversare fasi diverse in cui cambia il suo rapporto con le sostanze). È possibile però indicare delle tipologie, che hanno unicamente valore esemplificativo, ma aiutano a rappresentarsi che non esiste una sola tossicodipendenza, ma che, invece, le tossicodipendenze sono molte. Certamente esistono innumerevoli varianti nello sviluppare il proprio modo di 24 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento UNA VISIONE INTEGRATA essere tossicodipendente e ogni individuo è unico e irripetibile: attenzione, però, a rifugiarsi nella indeterminatezza e nel soggettivismo. Un tentativo di organizzazione della realtà, pur essendo una riduzione della complessità, aiuta la conoscenza attraverso il riconoscimento. A questo vuole contribuire lo schema qui proposto, con l'intenzione, più che di creare etichette che chiudono il discorso, di sottolineare come sia necessario approfondire adeguatamente la diagnosi differenziale per poter effettuare interventi mirati. Se incrociamo le modalità di rapporto patologiche con le sostanze (quindi abuso, dipendenza e mania, escludendo ovviamente l'uso, che non comporta aspetti patologici. Ricordiamo solo che è possibile una assunzione di sostanze senza che ciò costituisca un problema) con i significati che l'esperienza tossicomanica ha per i diversi soggetti e con le diverse patogenesi, otteniamo una tabella come questa, ricca di sfumature: PATOLOGIA SECONDARIA AUTO SECONDARIA \\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\ AUTO PATOLOGIA TERAPEUTICA TERAPEUTICA RELAZIONE SECONDARIA FINZIONALE SECONDARIA FINZIONALE PRIMARIA PRIMARIA DA PRIMARIA SENSORIALE PRIMARIA DISVELAMENTO DA DISVELAMENTO SENSORIALE ABUSO ABUSO DIPENDENZA DIPENDENZA MANIA MANIA A fronte della infinita variabilità delle storie personali, che rischia di diluire ogni conoscenza nella indeterminatezza, e a fronte del riduzionismo che vede la tossicodipendenza come un unico problema omogeneo (per cui la diagnosi è banale e la terapia ancora di più), possiamo cercare di tenere presente alcuni elementi che ci aiutano ad articolare la nostra visione del problema e ad essere concreti allo stesso tempo. Le dodici ipotesi diagnostiche sopra rappresentate sono, lo ricordiamo ancora, l'esito della miscela reattiva delle caratteristiche del soggetto, della sostanza e dell'ambiente che funge da medium. Nella “dipendenza secondaria autoterapeutica” il soggetto viene a contatto con la sostanza in una condizione psicologica, più o meno consapevole, di ricerca di sollievo da una profonda sofferenza (psichica o anche fisica). Il tipo di sostanza utilizzata e “fissata” nella abitudine ha la capacità di soddisfare il soggetto sedandolo: le sue caratteristiche farmacologiche, quindi, sono determinanti nel caratterizzare il quadro clinico. In certi stati psichici in cui la caduta nella depressione è una grave minaccia per il paziente, ad esempio negli stati di euforia maniacale, il soggetto cercherà di mantenere alto il suo livello di eccitazione utilizzando stimolanti, ad esempio la cocaina. Le caratteristiche farmacologiche della cocaina potranno dare un quadro clinico di “mania secondaria autoterapeutica”. L'incontro “illuminante” con il piacere artificiale, a La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 25 UNA VISIONE INTEGRATA seconda delle caratteristiche psicologiche del soggetto, potrà essere seguito da un completo abbandono alla sostanza, che darà un quadro, ad esempio, di “dipendenza primaria da disvelamento”, oppure potrà avere come conseguenza un ricorso alla sostanza solo in certe occasioni, magari problematiche, che configurano un quadro di “abuso primario da disvelamento”. Questi sono solo alcuni esempi che vogliono rappresentare schematicamente come “ingredienti” diversi e “dosi” diverse non possono dare sempre e comunque un unico esito: la famosa tossicodipendenza. Lo sforzo di diagnosticare quadri clinici diversi spinge ed aiuta a riconoscere il paziente e a personalizzare il trattamento. DIPENDENZA: UNA DEFINIZIONE Una delle maggiori difficoltà che si riscontra ancora oggi è quella di trovare una definizione non riduttiva della tossicodipendenza, che riesca a ricomporre e tenere insieme i diversi aspetti biologico, intrapsichico e comportamentale e i diversi elementi che la costituiscono. Esaminando le definizioni di tossicodipendenza disponibili nella letteratura, emergono molte diverse rappresentazioni proposte di solito come alternative, focalizzate per lo più sulle ipotesi circa le cause della tossicodipendenza, ma anche sugli aspetti diagnostici e clinici, relativi cioè al trattamento. Spesso le argomentazioni sostenute dai numerosi autori si riferiscono ad ambiti diversi e possono essere considerate aspetti diversi di diversi oggetti di ricerca. Come tali è possibile tentare di tenerli insieme in un livello più generale di teorizzazione. Raccogliendo gli elementi ricorrenti nelle definizioni e integrandoli con le più recenti acquisizioni scientifiche, possiamo definire la tossicodipendenza come “una condizione patologica, correlata ad una alterazione del sistema della gratificazione, caratterizzata da craving e da una coartazione delle modalità e dei mezzi con cui il soggetto si procura piacere”. Questa definizione non prende in considerazione la questione relativa all'eziologia (alle cause) della dipendenza, perché non è possibile, in base alle attuali conoscenze, individuare una unica causa specifica. Considera possibili diverse ipotesi eziologiche, ed enuclea dimensioni a livello patogenetico, psicologico, comportamentale, che sono specifiche e comuni alle diverse declinazioni cliniche, perché si adatta alle dipendenze da sostanze stupefacenti, alle dipendenze da gioco d'azzardo, cibo, sesso, lavoro, rischio, violenza, shopping (etc., etc.). L'aspetto centrale della definizione è la dinamica “ricercadi piacere/felicità-senso” e la gratificazione è vista come un meccanismo sostenuto sia da sistemi neurobiologici sia da meccanismi psicologici in un modo indistinguibile sul piano dell'essere. Il piacere/felicità-senso è il concetto sul quale si basa e si motiva l'approccio multidisciplinare generalmente praticato nei Servizi per le tossicodipendenze, in quanto richiede per il trattamento approcci non solo medico-farmacologici, ma anche sociologici e pedagogici (riferiti ai modelli culturali prevalenti e allo stile di vita) e psicologici, fondati sulla riattribuzione di significati e sulla differenza fra piacere e felicità. La dipendenza è intesa come patologia della relazione: tra soggetto dipendente 26 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento UNA VISIONE INTEGRATA ed oggetto della dipendenza si sviluppa una relazione affettiva ed emotiva, basata sulle forti sensazioni di vita che la sostanza può dare; su questo ritorneremo dopo, quando parleremo della psicopatologia. Questa definizione ci aiuta anche a distinguere gli aspetti specifici che costituiscono il quadro patologico e che ci servono per fare diagnosi, dagli aspetti aspecifici, di ordine economico e socioculturale, che possono subentrare e complicare il quadro. Infatti, spesso, il tossicodipendente è riconosciuto per le sue caratteristiche di disadattamento, marginalità, povertà, devianza, (e potremmo aggiungere: sporcizia, invadenza, mancanza di rispetto e di misura, aggressività, etc) che sono i segni più visibili e che creano problemi e allarme sociale; queste stigmate sono quelle che generalmente identificano il tossicodipendente, mentre invece esse riguardano aspetti secondari e neanche molto frequenti. Questi elementi riguardano una minoranza di pazienti, circa il 10-20%. L'80-90% dei tossicodipendenti è assolutamente indistinguibile, da questo punto di vista, dalla popolazione normale. In effetti, quello che tutti i tossicodipendenti (poveri o ricchi, colti o ignoranti, con precedenti penali o no) hanno in comune è ciò che caratterizza la patologia, cioè la relazione con la sostanza. Gli altri elementi sono fattori concomitanti, che si determinano per circostanze ambientali e per accadimenti esterni, che possono aggravare il quadro complessivo, peggiorare la prognosi e complicare la cura, ma non costituiscono la condizione patologica di tossicodipendenza. Suggerimenti Per approfondire Il lavoro di ricerca sulle definizioni della tossicodipendenza può essere approfondito nell'articolo: Bignamini E. et Al.: Per una ridefinizione del concetto di tossicodipendenza, Dal Fare Al Dire, X, n° 1/2001. Dipendenza: una definizione La definizione di tossicodipendenza è sviluppata e discussa in tutte le sue implicazioni in: Bignamini E. et Al.: Dipendenza da sostanze e patologia psichiatrica. Percorsi di ricerca sulla comorbilità, Editeam, Bologna, 2002. LA PSICOPATOLOGIA DELLA DIPENDENZA: NUCLEI SPECIFICI I soggetti che diventano tossicodipendenti, come più volte detto, sono trasformati dalla droga. Per effetto di questa trasformazione, pur essendo soggetti molto diversi tra loro (nelle loro condizioni di base e nel loro modo di funzionare) le specificità della loro struttura psichica vengono ridotte e almeno in parte omologate. La tendenza ad assomigliarsi dei tossicodipendenti ha portato a pensare che già prima di diventarlo fossero simili tra loro e che un individuo potesse diventare tossicodipendente perché aveva una predisposizione simile a quella degli altri tossicodipendenti. Molte ricerche sono state fatte sulla cosiddetta “personalità premorbosa” (cioè presente prima della malattia) del tossicodipendente, per verificare se esisteva un profilo di personalità specifico che favorisse l'insorgere della tossicodipendenza. Queste ricerche, ad oggi, hanno essenzialmente confermato che si può diventare tossicodipendenti a partire da qualsiasi struttura di personalità; il rischio (cioè la probabilità statistica, non la La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 27 UNA VISIONE INTEGRATA certezza) è più alto in alcune situazioni che in altre, ma in realtà nessuna è esclusa: questa conclusione è coerente con la visione multifattoriale delle cause della tossicodipendenza (ad esempio, una solida struttura di personalità può non essere sufficiente a proteggere dalla tossicodipendenza se i fattori ambientali o la reattività biologica alle sostanze sono molto sfavorevoli), mentre la struttura di personalità costituisce solo uno, per quanto importante, degli elementi in gioco. La convergenza dei tossicodipendenti verso un modo di essere e di funzionare omologato, quindi, è determinato da un fattore che interviene dopo l'esperienza degli effetti della droga: si può quindi parlare di un modo di essere “postmorboso” (che si attiva a partire dalla strutturazione della patologia). A prescindere, dunque, dalla precedente struttura psichica, si possono riconoscere gli effetti della trasformazione tossicomanica in alcuni modi di funzionamento psichico che i tossicodipendenti, sempre con modulazioni individuali, condividono. 1 - Coartazione del desiderio La capacità di desiderare, di cercare e di ricavare piacere è ridotta e “specializzata”. Il tossicodipendente prova poco piacere in attività che non siano collegate con la droga. Progetti, aspirazioni, finalità, sono radicalmente impoveriti. La gratificazione (nelle sue varie forme: soddisfazione, gioia, godimento, felicità; piacere intellettuale, spirituale, fisico,…) può essere considerato il premio che tutti desiderano: guida sottilmente e costantemente ogni azione. La differenza sostanziale tra i soggetti tossicodipendenti e quelli non-tossicodipendenti sta nella diversità e numerosità delle cose che si possono desiderare (nella ampiezza dello sguardo desiderante sul mondo) e nella flessibilità con cui si persegue e si ottiene il piacere. Il tossicodipendente è molto “specializzato”: desidera una unica cosa ed è molto rigido nel suo schema di ottenimento del piacere. È da sottolineare che anche ricerche neurobiologiche danno conferma di ciò: è stato osservato (con tecniche che registrano l'attività cerebrale) che i centri del piacere del tossicomane rispondono in modo meno intenso agli stimoli piacevoli “naturali”, che invece sollecitano molto i soggetti “normali”, mentre reagiscono intensamente solo a stimoli collegati alla droga. 2 - Ambivalenza verso la rinuncia e lutto per la perdita Il desiderio di liberarsi dalla droga e quello di continuare ad assumerla coesistono e fanno oscillare il soggetto costantemente da un polo all'altro, determinando una condizione di grande instabilità psicologica ed emotiva. La rinuncia alla droga è vissuta come un lutto, costituisce la perdita di un oggetto importante per la vita del soggetto (ricordiamo: la droga, attraverso il premio della gratificazione, fa credere al cervello di essere un elemento “buono” e “necessario”); ma questa perdita non è definitiva, perché la sostanza è sempre disponibile e facilmente reperibile. Il “lutto” per la droga non è il confronto con una perdita definitiva, irrimediabile, come in un lutto vero e proprio, ma con una rinuncia che dipende solo dalla volontà del soggetto e che si può sempre cambiare. In pratica, è come se il tossicodipendente fosse abitato da due “menti”: una prevalentemente razionale, capace di valutare anche gli aspetti negativi della droga e quelli positivi dell'astenersi da essa; e una prevalentemente 28 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento UNA VISIONE INTEGRATA istintiva, che vuole ottenere la soddisfazione della droga a qualsiasi costo (i neurobiologi collocano la prima funzione mentale nella corteccia prefrontale e la seconda nel sistema limbico). La dialettica tra queste due menti ha una evoluzione che può portare al prevalere dell'una delle due (grazie o nonostante l'aiuto terapeutico) oppure ad un sostanziale stallo, in cui emozioni e pensieri sono costantemente e rapidamente in cambiamento, creando una situazione di grande incertezza. Da sottolineare che la rinuncia alla droga costituisce sempre e comunque una perdita e quindi il soggetto si trova in una condizione di sofferenza e depressione. 3 - Rimpianto per la dimensione tragico/eroica La vita da tossicodipendente, per quanto tragica, pericolosa e orrida, è densa di intense emozioni che la vita “normale” certamente non offre. La rinuncia alla droga lascia un senso di vuoto e di insignificanza, che alimenta la nostalgia e il rimpianto per una vita disperata, ma che sembrava essere “piena”. La vita “normale” (alzarsi, andare al lavoro, tornare a casa e ricominciare; fare cose che si è costretti a fare per avere mezzi di sopravvivenza che non consentono poi grandi colpi di testa, avere pochissimo tempo “libero” che spesso diventa solo un tempo “vuoto”) non ha grandi capacità attrattive per chi ha vissuto attimi di straordinaria tensione, capaci di sospendere il tempo. 4 - Discontinuita' del se' (del senso della propria storia e del senso della propria identita') Il soggetto non riesce a rendersi ragione dei suoi cambiamenti: è come se la sua vita, trasformata dalla droga, fosse spezzata in periodi (prima della droga, durante, dopo) e non fosse possibile trovare un senso di continuità e di costanza nella propria storia personale. Ciò è almeno in parte vero (perché il soggetto è stato trasformato dalla droga, che ha introdotto una discontinuità nella sua esistenza) e mette il soggetto nella condizione di non saper più riconoscere “chi è” realmente (quello di prima o quello dopo? E in che relazione sono i due?). Questa situazione corrisponde al continuo cambiamento di repertorio di emozioni, di pensieri e di decisioni nei confronti della droga, che alimenta l'instabilità e l'incertezza del soggetto. 5 - Impulsivita'/compulsione. Il potenziamento di strutture cerebrali sottocorticali, operato dalle sostanze, favorisce la riduzione della capacità di controllare gli impulsi e di integrarli con competenze razionali superiori. A seconda che la capacità di controllo sia nulla (come nella luna di miele con la droga, un innamoramento totalizzante che fa perdere la testa) oppure parziale, come avviene quando alcune capacità critiche di tipo inibitorio e razionale vengono recuperate per l'intervento di fattori esterni (accadimenti drammatici, intervento di altre persone) o interni (riduzione della intensità della gratificazione per fenomeni biologici), si ha un comportamento impulsivo (= il soggetto non ci prova neanche a resistere, non vuole resistere) oppure compulsivo (= il soggetto vorrebbe resistere, ma non ce la fa, prova una situazione di conflittualità interna). Il soggetto trasformato dalla droga funziona come se non fosse in grado di mediare tra i propri desideri e il La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 29 UNA VISIONE INTEGRATA passaggio all'atto, con una perdita della capacità di rappresentarsi i propri stati d'animo (dementalizzazione), di esprimere a parole i propri sentiImpulsività menti e le proprie sensazioni (alessitimia seconPer un approfondimento sul tema daria), di ricondurre a stati mentali e a sentimenti ciò che prova e che invece attribuisce a sensaziodell'impulsività di può vedere: Cappa C., Bignamini E.: Impulsività e ni fisiche (sensorializzazione), di dare prospettive Dipendenza: dall'adolescenza all'età di tempo e di significato alle cose e alle persone adulta, Dal Fare al Dire, XV, n°2/2006. (designificazione delle relazioni). Si crea un quadro di funzionamento psichico molto simile a quello di certi disturbi mentali (come certi disturbi di personalità). Suggerimenti per approfondire RIASSUNTO La tossicodipendenza è spesso vista unicamente come una patologia secondaria ad altri problemi preesistenti. Ciò è vero solo in alcuni casi, mentre in altri si deve riconoscere che l'esperienza delle sostanze ha una potenza trasformativa sul soggetto tale che la condizione preesistente perde importanza. Si deve riconoscere che le droghe sono capaci di operare trasformazioni radicali nel modo di pensare e di sentire di un soggetto anche del tutto “normale”. Il soggetto può stabilire diversi tipi di relazione con le sostanze: ! Uso: l'assunzione della sostanza non viene evidenziata come problema né dall'individuo, né dal contesto relazionale, né dal punto di vista giuridico o sanitario. ! Abuso: l'assunzione è un problema per il contesto in cui avviene (conflitti relazionali, compromissione del proprio ruolo sociale, problemi giuridici o sanitari). ! Dipendenza: l'assunzione diventa una modalità obbligata che è messa in atto per colmare una disfunzione neuro-biologica, emotiva, cognitiva indotta dall' assunzione ripetuta della sostanza stessa. ! Mania: l'assunzione peggiora nel tempo il funzionamento neurobiologico, emotivo, cognitivo, comportamentale dell'individuo, allontanando la possibilità di una ripresa di un equilibrio utile a un funzionamento normale. All'interno di un contesto di cura, in particolare nella fase diagnostica, è fondamentale definire il tipo di relazione perché rappresenta la base sulla quale si costruisce il trattamento. Sulla base del tipo di relazione soggetto-sostanza e del tipo di cambiamento determinato dalla droga nel soggetto si possono riconoscere diversi tipi di tossicodipendenza (schematicamente ne sono stati indicati 12). Considerare la tossicodipendenza come una patologia della relazione e come effetto di una trasformazione del soggetto, ci consente di definirla e individuarne le caratteristiche psicopatologiche unitarie. 30 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento LA RELAZIONE TERAPEUTICA LA RELAZIONE TERAPEUTICA CON IL PAZIENTE TOSSICODIPENDENTE Sopra si è già definita la tossicodipendenza come una patologia della relazione: la relazione (in particolare quella tra il soggetto e il suo oggetto del desiderio), quindi, è l'oggetto del trattamento, è ciò che ci si propone di modificare. Tuttavia, essa è anche lo strumento della cura, il mezzo terapeutico attraverso il quale si può favorire il cambiamento. E' quindi un elemento centrale sul quale focalizzare l'attenzione. Le modalità relazionali del paziente con patologia da dipendenza sono piuttosto tipiche, derivano da elementi specifici del suo funzionamento psichico così come sopra illustrato e sono simili a quelle che si manifestano in altri tipi di patologie quali i disturbi di personalità (in particolare, il cosiddetto disturbo borderline: nella persona dipendente è però l'effetto trasformativo della dipendenza da sostanze stupefacenti che induce un funzionamento psicologico di questo genere e non necessariamente la presenza di un pre-esistente disturbo di personalità). Criteri diagnostici per Disturbo Borderline di Personalità (DSM-IV) Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé e dell'umore e una marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque dei seguenti elementi: 1) sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono 2) un quadro di relazioni interpersonali instabili ed intense, caratterizzate dall'alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione 3) alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili 4) impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate 5) ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o comportamento automutilante 6) instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell'umore 7) sentimenti cronici di vuoto 8) rabbia immotivata ed intensa o difficoltà a controllare la rabbia 9) ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress Questa non è la sede per approfondire il raffronto tra funzionamento psichico del tossicodipendente e quello del borderline, che sono e rimangono due condizioni diverse. Si vuole tuttavia stimolare la riflessione sul significato di alcuni dati: l'elevata frequenza di disturbi borderline di personalità tra i La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 31 LA RELAZIONE TERAPEUTICA tossicodipendenti rilevata in tutti gli studi va interpretata come una predisposizione dei borderline a diventare tossicodipendenti o come una tendenza dei tossicodipendenti a funzionare come borderline? Per quello che ci interessa qui, basta prendere atto che è possibile porsi delle domande che cambiano radicalmente i quadri di riferimento. Gli elementi descritti nel capitolo precedente quali: avidità, impulsività, vissuto di lutto, rimpianto, prevalenza del registro somatico e sensoriale e dell'agito, determinano la qualità e il tipo di relazione che la persona dipendente costruisce con chi gli sta intorno e tentano di provocare nell'interlocutore “reazioni” dello stesso tipo e sullo stesso registro e, come tali, non utili per un cambiamento. I soggetti vivono una condizione di instabilità emotiva, con oscillazioni fra bisogno del legame e attacco distruttivo (cercano solidarietà e aiuto, ma poi provocano sentimenti ostili e sadici), con conseguenti frequenti rapide fluttuazioni della distanza relazionale. Queste oscillazioni sono parte integrante del tipo di relazione che questi soggetti hanno con gli altri e sono espressione della loro sofferenza psicologica e contemporaneamente la alimentano e la mantengono. La relazione è caratterizzata da frammentazione e discontinuità; le relazioni appaiono brevi, intense, non creano una storia della relazione stessa (o addirittura la cancellano: si pensi ai cambiamenti che avvengono nei rapporti familiari) che è agita nel qui ed ora, non è inserita in un senso più ampio per la vita della persona e non entra nel suo sistema di significati, finché quest'ultimo rimane centrato sulla sostanza stupefacente. La persona tossicodipendente pretende attenzione esclusiva, imposta relazioni al fine di avere una risposta immediata ai suoi bisogni, mette in gioco elementi di seduttività e manipolazione. Nel momento in cui avviene la richiesta di aiuto spesso l'interlocutore non è percepito come soggetto nella sua realtà e individualità, ma è interpretato sulla base di aspettative, timori, sentimenti che sono inconsapevoli e proiettivi, che derivano dal mondo interno del paziente. Spesso il soggetto agisce come se si aspettasse un risarcimento per le sofferenze sopportate a causa della droga per cui, paradossalmente, invece di mostrarsi “pentito” e umile, pretende come atti dovuti attenzioni e sacrifici da parte degli altri. Analogamente, si attende una ricompensa per l'enorme sacrificio che sta facendo, rinunciando ad una cosa così preziosa come è per lui la sostanza stupefacente. È facile intuire come queste aspettative, inconsapevoli da parte del paziente, determinino incomprensioni, attriti e a volte veri e propri conflitti se il terapeuta, a sua volta, considera più adeguato e si attende dal paziente un atteggiamento contrito ed espiatorio (per le cattive azioni commesse dal tossicodipendente vizioso) e non riesce a comprendere (non giustificare) la prospettiva e i vissuti del paziente. Inoltre, la persona, in forte stato di ambivalenza verso le sostanze, avvertendo la “falsità” e la “mancanza di genuinità” della sua richiesta di aiuto e del suo modo di stare in relazione, teme di essere smascherata o a sua volta ingannata, e si manifestano nella relazione, in modi diversi, rabbia, sentimenti di indegnità 32 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento LA RELAZIONE TERAPEUTICA ed inadeguatezza, dolore depressivo. I diversi sentimenti, che vanno dalla richiesta e desiderio di protezione alla paura dell'inganno, producono nella relazione con l'altro forti emozioni sia di vicinanza affettiva sia di allontanamento. L'affettività che si esprime è intensa, ed è necessario conoscere queste dinamiche per non esserne sorpresi, non ritenerle abnormi ed immotivate, non esserne travolti. L'avidità, il tutto e subito che caratterizza la relazione con la sostanza stupefacente, l'incapacità di tollerare l'attesa, il sentimento di poter annientare gli ostacoli che si frappongono fra sé e il proprio obiettivo sono elementi che condizionano pesantemente anche le modalità con le quali il soggetto presenta la sua richiesta di aiuto, e il suo modo di prefigurarsi la cura: la persona chiede una soluzione immediata al suo problema, che deve essere risolto rapidamente ed in modo indolore. L'impulso alla ricerca e all'uso della sostanza stupefacente, che irrompe e trasforma il desiderio in bisogno urgente, sovvertendo il valore delle cose e alterando ogni equilibrio o ordine precedente, si traduce in discontinuità emotiva, cognitiva, relazionale e comportamentale. I contenuti mentali angoscianti che non riescono a trovare espressione verbale, né ad avere accesso al livello simbolico e a processi di elaborazione, vengono giocati sul corpo, che diventa così il luogo del dolore fisico e mentale, dolore che viene esibito ed esasperato. In un contesto terapeutico, queste caratteristiche vanno riconosciute ed accettate come punto di partenza per accompagnare il paziente da una relazione passivo-richiedente ad una relazione di ri-conoscimento sia di sé e dei propri bisogni sia dell'altro come soggetto “reale”. L'ambivalenza va accettata in entrambe le sue due facce per costruire un'alleanza terapeutica: il terapeuta riconosce l'esistenza della parte che ha nostalgia della sostanza stupefacente, ma anche di quella che vuole/può rinunciare; l'intervento terapeutico è volto a sostenere e rafforzare gli aspetti che rendono possibile il cambiamento. Nella relazione terapeutica con questi pazienti, particolare importanza hanno dunque tutti quei “dispositivi” che consentono all'operatore di mantenere la giusta distanza e di modulare presenza e assenza, vicinanza e lontananza a seconda delle fasi e dei momenti. Per tutte queste caratteristiche non si può immaginare di aiutare la persona con problemi di dipendenza affidandosi all'intensità affettiva del legame o al desiderio di soccorrere e rendersi utili. Molti genitori, fidanzate, mariti, mogli, figli, amici, vicini di casa ci hanno provato con dispendio di energia altissima, con la sensazione di aver buttato nel nulla i loro sforzi ricavandone inevitabilmente un senso di frustrazione di impotenza e di rabbia (che si rivolge, poi, contro il paziente). La reazione a questa situazione spesso è l'attribuzione all'altro della colpa del fallimento, della volontà di non guarire, l'accusa di cattiveria o di falsità, di mancanza riconoscenza per l'impegno profuso con tanta dedizione e con tanto sforzo. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 33 LA RELAZIONE TERAPEUTICA Le modalità relazionali sopra descritte, coinvolgenti e drammatiche, spesso fanno dimenticare che ci si trova di fronte ad una patologia e che, come in tutte le patologie, bisogna avere una specifica competenza per affrontarle. La specificità di questo ambito rispetto ad altri, comporta la necessità di essere “specialisti” della gestione della relazione attraverso modalità che tengono a bada il coinvolgimento affettivo e che si concentrano sul “contratto” di lavoro: questo è il cuore del trattamento. 34 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO IL TRATTAMENTO “Non si può condurre gli uomini al bene; si può condurli solo da qualche parte. Il bene è al di fuori dello spazio dei fatti.” L. Wittgenstein, Pensieri diversi In questo capitolo presentiamo alcuni spunti sul trattamento organizzato del tossicodipendente. Nella nostra esperienza di lavoro, abbiamo cercato di elaborare un modo possibile di intervento che fosse coerente con le premesse concettuali e con le finalità della cura. Presentiamo prima gli aspetti che vanno tenuti presenti nell'avvicinarsi alla progettazione della cura e, successivamente, una loro possibile declinazione in un modello organizzativo. ASPETTI DA TENERE PRESENTE Visto il fenomeno della tossicodipendenza da un punto di vista sociale, psicologico, biologico con particolare attenzione ai fattori che lo determinano, non si può eludere la domanda: che fare? Gli interventi professionali devono riuscire a tradurre le conoscenze teoriche in azioni utili alla risoluzione dei problemi o al miglioramento dello stile di vita. Tradurre le conoscenze teoriche in “azioni utili” vuol dire integrare pragmaticamente saperi e prassi per confrontarsi quotidianamente non con la tossicodipendenza, ma con Gino, Paolo, Tiziana…persone che la tossicodipendenza la vivono. Non è facile. È opportuno esplicitare un'evidenza statistica significativa dal punto di vista sociale e importante per le implicazioni cliniche: i pazienti seguiti dai Servizi (si usa qui genericamente Servizi intendendo sia quelli pubblici sia quelli privati, sia ambulatoriali sia residenziali, anche se, per la nostra pratica quotidiana, abbiamo in mente soprattutto i SERT o, più modernamente, i SERD) per le dipendenze, in prevalenza, appartengono a fasce sociali “deboli”. Purtroppo è vero che a qualcuno “spetta” una vita più difficile che ad altri; alcune di queste persone hanno avuto genitori non adeguati (perché “malati” o semplicemente perché incapaci di accudire, dare calore, dare dignità di esistere), hanno storie di povertà (non solo economica ma anche, se non soprattutto, affettiva e culturale), sono cresciute in contesti fortemente intrisi di illegalità e violenza, hanno sperimentato precoci esperienze - dirette ed indirette - di detenzione: in questi casi diventa difficile persino instaurare una qualsiasi relazione, un contatto che permetta di veicolare messaggi di sostegno. Spesso occorre molto tempo per poter ipotizzare insieme al paziente un percorso di cambiamento. A volte la professionalità degli operatori del settore emerge proprio nel saper aspettare, stimolando l'acquisizione di consapevolezza La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 35 IL TRATTAMENTO dell'inadeguatezza e della pericolosità dello stile di vita, agendo in modo che il paziente impari ad avere fiducia nel Servizio, che maturi in lui la motivazione ad un cambiamento evolutivo e che possa cercare un senso a una vita che sembra non averne. Proprio perché individui unici e irripetibili, i consumatori di sostanze che sviluppano dipendenza, non possono essere solo “catalogati” secondo le teorie di riferimento, ma devono anche essere accolti e "scoperti" nella loro individualità. I vari fattori chiamati in causa per fornire, sul piano generale, delle spiegazioni teoriche sul fenomeno, non sono necessariamente le “cause” concrete della tossicodipendenza di un particolare soggetto se non diventano, attraverso la cura, realtà suscettibili di essere investite di senso dalla persona e da chi la circonda. L'individuazione del particolare significato ad esse accordato permette di cogliere le ragioni del passaggio ad un certo agire. Teoria dei tipi logici di Russell Il rischio di confondere tipi logici può portare spesso a errori grossolani, che nel lavoro con le persone sarebbe auspicabile evitare. Di fatto è però molto facile incorrere in formulazioni di pensieri che intersecano livelli logici diversi. Ecco alcuni esempi illuminanti: Il nome non è la cosa nominata ma è di tipo logico diverso, superiore a quello della cosa nominata. La classe è di tipo logico diverso, superiore a quelli dei suoi membri. La mappa è di tipo logico diverso dal territorio. Analogamente non si deve confondere la patologia con il malato. Teoria dei tipi logici di Bertrand Russell citata in: Bateson G., Mente e natura, Adelphi, Milano, 1984. L'equilibrismo del paziente Ancor prima di accedere al Servizio e diventare un paziente, il tossicodipendente ha esperito l'arte dell'equilibrista. Assumere sostanze stupefacenti vuol dire effettuare continui aggiustamenti tra la clandestinità dell'uso, la dimensione del piacere, le regole sociali e morali, i problemi e i rischi sanitari connessi all'uso di sostanze. Vuol dire anche conciliare il proprio modo di considerarsi e di vedere il mondo con la realtà del proprio consumo. Situazione emblematica di Piera Utilizziamo questo caso perché mette in evidenza la difficoltà che molti utenti incontrano quando l'uso di sostanze stupefacenti mette in crisi la loro realtà tanto da non poterla più gestire. Piera si presenta al Servizio, è nervosa ed un po' aggressiva, ha subito uno scontro con altri utenti presenti nel Servizio. Chiede di poter parlare con un operatore e la richiesta viene soddisfatta senza attesa. Piera è una ragazza di 28 anni, molto curata nell'aspetto, ha un buon livello di istruzione (è in 36 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO possesso di un Diploma Universitario) e prende le distanze dagli altri utenti, che ai suoi occhi sono degli “scoppiati”. Nella prima parte del colloquio Piera critica il Servizio (o meglio critica gli utenti del Servizio), dimostra un'interpretazione paranoica della realtà: “quei due mi guardavano e parlavano di me e l'altra signora continuava a puntarmi”. Dopo aver accolto il suo sfogo, l'operatore chiede quale è il motivo che l'ha portata a rivolgersi al Servizio. Piera resta per qualche secondo in silenzio poi inizia a piangere e non riesce più ad esprimersi. Dopo venti minuti di contenimento emotivo, Piera riesce a rilassarsi e racconta che, dopo quattro anni di uso crescente di cocaina, la situazione, che lei gestiva senza problemi, le è scappata di mano: si rende conto di essere ultimamente troppo nervosa, non è più in grado di sostenere le spese per l'alloggio (vive sola); i familiari che hanno sempre disapprovato le sue scelte di vita, ora che hanno “scoperto” il suo problema si sono definitivamente allontanati; un fermo di polizia durante l'acquisto di una dose ha comportato la sospensione della patente, problema che avrà una ricaduta negativa sul lavoro, dove “non sanno e non sospettano niente”, anche se da tre mesi è in malattia, prima per un mal di schiena poi per depressione… In molti casi il consumo di sostanze può diventare problematico: dall'uso, che viene percepito come volontario e controllabile, si passa ad un comportamento di abuso, dipendenza, mania. L'equilibrio si rompe; per ogni consumatore di sostanze stupefacenti questa condizione si situa in momenti differenti del percorso di vita e della storia di tossicodipendenza, per qualcuno accade dopo qualche mese di uso, per altri dopo anni. E' il momento della crisi, del non riuscire a rendere compatibile la propria normalità (famiglia, lavoro, amici…) con la continua ricerca della sostanza e il suo consumo. Qualche volta è un evento particolare che svela l'abitudine dell'uso/abuso nel contesto di riferimento del paziente: un fermo delle forze dell'ordine, il ritrovamento di una siringa in casa, le assenze sul posto di lavoro, la costante ricerca di denaro. Tale scoperta può assumere significati differenti, portando alcuni a riconoscere immediatamente la necessità di chiedere aiuto, mentre altri minimizzeranno l'evento e passerà ancora del tempo prima che formulino a se stessi o a qualcun altro una richiesta. La persona, in ogni caso, arriva alla richiesta di aiuto e al Servizio con delle aspettative, dopo un percorso di pensieri e di emozioni rispetto alla propria situazione, che sente di non saper più gestire e che le provoca disagio; si è creata una rappresentazione del proprio bisogno che esprime attraverso una richiesta, a volte anche precisa e circoscritta e spesso presentata come urgente e senza alternative; si è già costruita una rappresentazione (un pre-giudizio) del Servizio, spesso parlando con altri utenti che già lo frequentano o attraverso contatti con i servizi a bassa soglia. Individuo e sistema Nessun individuo è un'isola, ma è inserito in un contesto relazionale variegato. Dai parenti stretti, agli amici, ai colleghi di lavoro e fino al “politico” che esercita un potere in grado di influenzare la vita di tutti: ognuno è legato agli altri attraverso fili sottili. Sono comunque i gruppi primari e in particolare la famiglia, che costituiscono la rete relazionale più significativa per ogni individuo. In tal senso è prezioso il contributo dell'approccio sistemico, che considera i La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 37 IL TRATTAMENTO problemi umani non solo propri del singolo, bensì come manifestazioni di crisi del contesto relazionale in cui il singolo è inserito. Non sono più “anormali” esclusivamente i singoli, ma le situazioni e il rapporto tra individuo e ambiente. Da una parte il soggetto è portatore di sintomi propri, dall'altra può presentare sintomi che in realtà esprimono problematiche del sistema relazionale di riferimento: l'intervento terapeutico può essere inutile o rischioso se non tiene conto delle reazioni che i mutamenti produrranno sulla famiglia o sui gruppi di riferimento. In relazione a questi concetti il trattamento può essere rivolto esclusivamente al singolo o coinvolgere familiari e altre persone significative della sua rete: questo aspetto va negoziato con il paziente (e la negoziazione fa già parte del processo di chiarificazione del problema e di motivazione al trattamento) in quanto bisogna tenere conto che, dal punto di vista propriamente operativo, esistono dei vincoli normativi relativi al diritto all'anonimato e alla privacy, che devono essere affrontati ed esplicitati con i pazienti: per Legge, il soggetto può richiedere che nessuna informazione che lo riguardi venga comunicata ad altri, o viceversa concordare che il trattamento includa, direttamente o indirettamente, altre persone a lui legate. Allo stesso modo un familiare può rivolgersi al Servizio chiedendo un sostegno per sé anche indipendentemente dal paziente. I Servizi possono predisporre interventi rivolti alla famiglia: dal colloquio di supporto per i genitori e/o i partner, in difficoltà nel gestire il rapporto con il tossicodipendente; a gruppi, tra cui quelli di auto-mutuo aiuto, che permettono alle famiglie di confrontarsi per esprimere i disagi e apprendere modalità di comportamento esperite da altre famiglie; a interventi terapeutici che permettono di modificare sostanzialmente le dinamiche relazionali interne al gruppo familiare. Meno codificati sono gli interventi con altri soggetti della rete sociale di riferimento, che per lo più si limitano a counselling con amici o colleghi di lavoro o insegnanti che si interrogano sul da farsi. Situazione emblematica di Carlo La dinamica tra Carlo, sua madre e il Servizio, qui descritta, aiuta a comprendere quanto i trattamenti terapeutici devono tenere conto dei sistemi relazionali dei clienti. Carlo ha 28 anni, vive con la madre (76 anni) ed è l'ultimo di otto figli; il penultimo, anch'egli tossicodipendente, è attualmente in carcere. Carlo segue in modo irregolare una terapia farmacologica con metadone. La madre si presenta al Ser.D., perché non è più in grado di sopportare la situazione. Viene accolta da un operatore della segreteria che cerca di capire cosa sia accaduto, se Carlo è a conoscenza dell'arrivo della madre al Ser.D. e, vista la grande agitazione della signora, come eventualmente riuscire a contenerla. Non c'è stato alcun episodio particolare che l' ha fatta arrivare fino al Servizio, semplicemente non se la sente di “cacciare” il figlio fuori casa, ma neppure di sopportare la situazione così com'è. La signora non parla correttamente l'italiano, si esprime in modo molto colorito, con parolacce e minacce del tipo “non lo sopporto più, se non si trova una soluzione, una di queste notti gli do fuoco mentre dorme”, espressioni che, ad un approfondimento, si rivelano come una verbalizzazione piuttosto primitiva di un forte disagio ma prive di una reale pericolosità. Rifiuta un colloquio successivo, perché “è mio figlio che dovete aiutare”. Le viene proposto un incontro, al quale avrebbe potuto presentarsi con il figlio per discutere 38 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO della situazione di conflitto. La signora torna il giorno dopo per dire che sarebbe venuta al colloquio: ricomincia la sua lamentazione, dice che deve essere aiutata, perché lei non ce la fa più e che questo figlio le ha dato problemi fin da quando lo aveva nella “pancia”, perché quando era rimasta incinta era già vecchia e si vergognava di aspettare l'ennesimo figlio… La signora urlava e non si rendeva conto che nello spazio di segreteria era ascoltata da molte persone. L'operatore che la accoglie la invita a parlare di queste cose nel colloquio concordato. All'incontro la signora si presenta con il figlio, Carlo, il quale sembra calmo e un po' in imbarazzo per il comportamento della madre; ogni tanto ascoltandola sorride, ogni tanto si mostra preoccupato. La signora è ancora molto agitata, inizia a parlare dell'altro figlio tossicodipendente, Davide, rispetto al quale si sente molto male perché ha fatto lei la denuncia che lo ha portato all'attuale carcerazione. Parla con tristezza di Davide e sembra persino confonderlo con Carlo. Gli altri figli sanno della situazione, ma hanno la loro famiglia a cui badare. Dice che da un po' di tempo sta pensando di mettere fuori di casa i figli, vendere la casa e andare in un istituto per anziani. Tra un po' di tempo Davide uscirà dal carcere e questo la agita ancora di più. Carlo dice di aver capito e di dover andare via di casa, ma la signora dice che la situazione non le piace per niente “si deve curare, deve andare in una comunità…”. Nel corso di quel colloquio e in quelli successivi il discorso sulla comunità viene approfondito. E' chiaramente più una esigenza della madre che del figlio, tuttavia Carlo si dimostra interessato. Gli operatori decidono di usare la disponibilità di Carlo ad entrare in una struttura con l'obiettivo di effettuare un approfondimento diagnostico, visto che le sue modalità di frequenza del Ser.D. non avevano consentito di andare oltre un mero contenimento dell'uso attraverso il trattamento farmacologico sostitutivo. Carlo viene inserito in una struttura di accoglienza dove riuscirà a concludere una valutazione diagnostica che porterà ad identificare un disturbo psicotico associato alla tossicodipendenza, che rende ragione in misura ancora maggiore della sua difficoltà a prendere iniziative per curasi e ad aderire sufficientemente al trattamento. La diagnosi ha permesso di perfezionare il trattamento farmacologico e la gestione del paziente. La madre, dopo qualche giorno dall' inserimento in comunità, venne ricoverata per problemi di salute: gli eventi resero evidente agli operatori che la madre, che effettivamente stava male, non era in grado di prendersi cura di sé se non garantiva una sorta di accudimento per il figlio nel periodo della sua assenza. L'intervento su un caso di tossicodipendenza è sempre complesso e complicato da altri fattori: in questa situazione, il problema di salute personale della madre del paziente e la sua scarsa capacità di esprimere in modo razionale e articolato le sue difficoltà ha messo a dura prova le capacità gestionali e cliniche degli operatori, anche se proprio lei ha messo in moto con forza il processo che ha portato ad un cambiamento significativo. La situazione di Carlo è chiaramente un caso in cui il problema del significato della propria esistenza individuale è trasceso dalle necessità di cura. Il mercato delle sostanze La tossicodipendenza può essere considerata una delle malattie sociali del nostro tempo, malattie legate alle grandi difficoltà nella percezione di un futuro migliore: minacce ambientali e catastrofi “naturali”, inquinamento, mancanza di lavoro, terrorismo, cinismo,… prospettive che possono indurre molti alla convinzione che non esista un senso, una finalità da perseguire, una meta o qualcosa da realizzare. Se passiamo dall'approccio psico-antropologico del fenomeno ad un'analisi più tipicamente sociologica, sono centrali (e, di nuovo, rilevanti dal punto di vista La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 39 IL TRATTAMENTO clinico) l'elevata mutabilità e la vivacità del mercato delle sostanze stupefacenti, legali ed illegali. Mai come in questo momento storico le sostanze sono state contemporaneamente così facilmente reperibili, poco costose e differenziate. Questo fiorente mercato ha un'impressionante potere di penetrazione nei diversi contesti sociali che, spesso, si mescolano tra loro proprio in funzione del consumo di sostanze. Il mercato delle sostanze stupefacenti ha subito lo stesso cambiamento del normale mercato dei consumi. Si verifica un processo di globalizzazione e trasformazione della piccola distribuzione, attraverso cui la droga diventa un prodotto da commercializzare come qualsiasi altro bene: si acquista allora un pacchetto completo, comprensivo anche della situazione in cui si reperiscono e si consumano le sostanze stupefacenti: i contesti d'uso delle cosiddette droghe ricreazionali, la discoteca, il rave, lo stadio, sono solo alcuni esempi. Il mercato acquisisce allora una maggiore capacità di penetrazione, si lega all'immaginario e al simbolico, i consumi sono più diffusi; la tossicodipendenza diventa un effetto collaterale della società centrata sul consumo e sulla manipolazione dei bisogni. Le rappresentazioni Come abbiamo visto nella introduzione, fa parte della condizione umana interagire con il mondo attraverso le proprie rappresentazioni; il rischio è di utilizzare in modo automatico e generalizzato i propri schemi interpretativi, cedendo a facili riduzionismi concettuali. Gli stessi tossicodipendenti, spesso, condividono gli schemi concettuali della società in cui vivono, compresi i pre-giudizi su se stessi, ricorrendo a semplificazioni e riduzionismi sui problemi di dipendenza e considerandosi anch'essi come viziosi, intossicati, deboli, etc. La relazione paziente-operatore si gioca su reciproche rappresentazioni che in modo circolare si influenzano, modificando le rappresentazioni precedenti e condizionando il comportamento. Una delle funzioni più importanti che sottostanno alla relazione di aiuto è relativa alla rappresentazione di sé del paziente. Il fatto stesso di doversi rivolgere ad un Servizio specialistico, facilita l'identificazione totalizzante con il problema: “sono un tossicodipendente”. Proprio la considerazione di questo presupposto, però, permette all'operatore di favorire un processo di oggettivazione dei problemi, di valorizzazione della persona e della sua storia, sostenendo/accompagnando il paziente nel passaggio dalla proposizione “sono un tossicodipendente” all'altra: “sono una persona con un problema di dipendenza”. Si è già detto precedentemente come anche l'operatore sia impregnato dei luoghi comuni quanto alla propria rappresentazione delle problematiche di dipendenza: oltre alla formazione e all'esperienza, il continuo interrogarsi sui propri modi di intervenire e il confronto con il gruppo di lavoro aiutano a prendere coscienza dei propri schemi mentali e ad individuare cornici teoriche e pratiche di riferimento che qualificano l'agire professionale. 40 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO Dal riduzionismo alla complessità Il riduzionismo è una trappola cognitiva sia per gli utenti sia per il Servizio e attraverso processi di semplificazione, apparentemente risolutori, ostacola una visione multifocale e multiprospettica dei problemi. La tendenza al riduzionismo operata dai clienti si può osservare sia rispetto alla visione della propria dipendenza e della propria identità, sia nelle fantasie sulla facilità di soluzione del problema: “… voglio uno scalare veloce”, oppure: “… mi bastano due mesi in un centro crisi”, sono richieste ricorrenti ed emblematiche d'eccessive semplificazioni, che, se non affrontate, limitano le possibilità d'azione. Questa tendenza può portare ad una situazione d'empasse: l'utente richiede soluzioni (apparentemente) tempestive e concrete, l'operatore, per contro, è perfettamente consapevole che le richieste del cliente sono inadeguate e il soddisfacimento di queste darà un esito inefficace. In ogni caso, è accogliendo la persona che le si permette di stare nella relazione di aiuto e di modificare in seguito la sua richiesta. Il caso che segue presenta una situazione in cui la domanda di aiuto si è resa via via più complessa. Situazione emblematica di Luigi Luigi si presenta al Servizio chiedendo di essere inserito urgentemente in comunità. La necessità dell'operatore di conoscerlo per capire il senso, la finalità e le probabilità di efficacia della sua richiesta, anche per individuare la tipologia di comunità più adatta a lui, gli creano insofferenza. Luigi riferisce di aver avuto delle indicazioni da alcuni amici rispetto ad una comunità chiamata “XYZ” e di aver preso già contatti con questa. Racconta di aver parlato con un operatore della comunità e di essere convinto che solo entrando in questa struttura potrà risolvere i suoi problemi di dipendenza. L'operatore risponde a Luigi che non vuole contraddirlo: la comunità ha aiutato molti a superare problemi di tossicodipendenza e potrebbe aiutare anche lui; gli garantisce anche che prenderà contatti con il collega della comunità terapeutica, e nel comunicarglielo intende valorizzare l'iniziativa presa da Luigi. Sottolinea infine che un percorso di comunità inizia prima ancora di entrarci: bisogna arrivare all'inserimento sapendo quali sono i problemi che impediscono, nel proprio quotidiano, di fare una vita soddisfacente, per iniziare ad impostare, in un luogo protetto, dei cambiamenti. Il discorso dell'operatore permette di dare significato all'intervista semistrutturata che viene proposta al paziente con la finalità di far emergere i suoi vissuti in merito al problema della tossicodipendenza, al suo stato di salute psico-fisica ed alle eventuali problematiche sociali (lavoro, problemi legali, situazione relazionale). Dal colloquio emerge che la comunità è un modo per allontanarsi dalla tossicodipendenza, ma, forse, ancor di più, dai familiari che, dal momento della sua richiesta di aiuto, hanno creato un sistema di controllo per cui non lo lasciano mai solo durante tutto l'arco della giornata e lui si sente soffocare. Luigi dichiara anche di essere preoccupato rispetto alla sua tossicodipendenza. In passato aveva sempre usato eroina solo per via endonasale, mentre da poco tempo è passato all'uso per via endovena, cambiando completamente il suo rapporto con la sostanza. Adesso si sente molto più “dipendente” perché quando usa l'eroina perde coscienza ed il controllo della realtà, mettendosi in situazioni di pericolo. Dall'intervista emergono anche elementi di storia personale difficili: fratelli legati ad ambienti malavitosi che sono morti, il suo matrimonio fallito, i suoi precedenti delinquenziali. All'appuntamento successivo Luigi non si presenta. Arrivano, fuori appuntamento, la madre e la sorella del paziente, allarmate per l'aggravarsi della situazione del loro congiunto, che non rispetta più il controllo da loro imposto ma esce di casa, facendo chiaramente sospettare una nuova ricaduta nell'uso di eroina. L'operatore, vincolato dal dovere dell'anonimato e dal segreto professionale, propone alle due donne di ripresentarsi al Servizio insieme a Luigi: solo così potranno parlare liberamente. Luigi viene arrestato. Durante il colloquio in carcere la richiesta del paziente è totalmente La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 41 IL TRATTAMENTO modificata, la comunità non è più necessaria; adesso per Luigi è importante ragionare sul suo rapporto con la sostanza e si chiede perché non riesce a fare a meno dell'eroina. Si rende conto di ricercare con la droga un particolare stato di benessere, ovvero l'annichilimento del disagio provocato da un senso di vuoto interiore che avverte da sempre e che gli provoca sofferenza. Luigi riflette su questo senso di vuoto e prova a capirne l'origine: vivere sapendo che ti hanno ucciso due fratelli, dover venire via dalla Sicilia per non perderne altri, fa crescere, dice Luigi, in un altro modo. Il livello di consapevolezza, la disponibilità al confronto, sembrano molto aumentati in Luigi. Nel suo modo di parlare si avverte anche che non vede modi diversi dall'eroina per non avvertire la propria angoscia. Questo sarà il focus del trattamento. Avere come riferimento epistemologico la teoria della complessità permette, attraverso un'adeguata relazione terapeutica, di accogliere le istanze del cliente, visto come soggetto attivo con competenze e saperi. L'accoglimento del mondo interno del cliente consente di lavorare insieme sui significati e di ampliare le prospettive. Gli stimoli contestuali del mondo del consumo di sostanze, non sono né uguali per tutti, né stabili nel tempo. Infatti, lo stesso intervento terapeutico ha esiti differenti in soggetti diversi, ma anche nello stesso individuo, in momenti differenti della sua vita. L'operatore favorisce la ri-appropriazione da parte del cliente di una “identità più ampia”, fatta anche delle risorse che gli hanno permesso di gestire la situazione fino a quel momento e che saranno ancora utili fino a quando non saranno individuate altre risorse, interne ed esterne alla persona, che permetteranno un processo di cambiamento. Teoria della complessità Tre principi ci possono aiutare a pensare alla complessità: 1. il primo è di tipo dialogico, ci consente di mantenere la dualità in seno all'unità e di associare termini complementari e insieme antagonisti. Si riferisce alle tensioni (di genere, dell'ordine e del disordine, etc) per le quali l'esistenza fenomenica e il principio di riproduzione dipendono l'uno dall'altro; 2. il secondo riguarda il ricorso all'organizzazione, in termini di processo che si auto-costruisce, si auto-organizza e si auto-produce. Il richiamo al processo offre la possibilità di cogliere la ricorsività e di considerare le dinamiche dei prodotti e degli effetti, contemporaneamente, come cause e produttori di ciò che li produce (l'uomo produce la società, che produce l'uomo); 3. il terzo è definito ologrammatico. Il principio attiene alla peculiarità per la quale il più piccolo punto dell'immagine dell'ologramma contiene la quasi totalità dell'informazione dell'oggetto rappresentato. Ciò rende possibile la conoscenza delle parti attraverso il tutto e del tutto attraverso le parti (per esempio, in biologia una sola cellula del nostro organismo contiene la quasi totalità delle nostre informazioni genetiche). Morin E., Introduzione al pensiero complesso, Sperling e Kupfer, Milano, 1993 42 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO La relazione d’aiuto Siamo partiti dalla rappresentazione dei pregiudizi e delle pre-comprensioni, spesso fuorvianti, che esistono nel campo delle dipendenze, ne abbiamo analizzato le più comuni ipotesi di lettura, per guadagnare un terreno di maggior definizione e complessità, fondato scientificamente. Qui non si vuole negare che esistono alcuni meccanismi ed alcuni comportamenti comuni tra i diversi soggetti; ridondanze che, dopo una conoscenza più profonda e grazie alla presenza di una relazione, lasciano subito affiorare storie individuali molto diverse, significati personali e differenti dati alla pratica tossicomanica. L'effetto trasformativo derivante dall'assunzione delle sostanze stupefacenti, come detto precedentemente, agisce per ognuno in modo differente e su base individuale. Che cosa vuol dire allora concretamente trattare soggetti con una dipendenza più o meno strutturata? Spesso quando si descrive il comportamento del tossicodipendente si parla di manipolazione e strumentalizzazione per indicare delle modalità di relazione attraverso cui i soggetti tentano di usare gli altri, operatori compresi, per raggiungere i propri scopi e in particolare l'obiettivo di mantenere la dipendenza, che genera piacere e pienezza del proprio sé. Anche in questo caso occorre rimanere nella relazione con il paziente, accogliendone le parti che desiderano sinceramente un cambiamento e quelle che esprimono sofferenza, evitando invece di sottostare ad ogni richiesta. Il riconoscimento prioritario del cliente come persona pone le basi per un rapporto dialogico, necessario per la costruzione della relazione di aiuto. La premessa necessaria per innescare un processo terapeutico di cambiamento risiede nella possibilità di tale relazione. L'attore principale del processo di cambiamento è il soggetto, accanto a tutte le dinamiche che possono o no influenzare il suo comportamento. La centralità del soggetto significa che egli partecipa alla costruzione di se stesso in modo squisitamente personale e originale, sia come tossicodipendente, sia come soggetto capace di cambiamento. Attraverso l'ascolto e la comprensione della visione del mondo del paziente, l'operatore cerca di individuare le aree problematiche e di intravedere possibili prospettive future. Il trattamento, attraverso processi riflessivi e/o attraverso esperienze concrete, dovrebbe rafforzare le risorse potenziali e concretizzare delle possibilità di evoluzione, che tengano conto delle dimensioni di ecologia e di sostenibilità della nuova situazione che si viene a creare. Il trattamento si realizza a condizione che l'operatore e il paziente, in modo negoziale e partecipato, creino una collaborazione attorno a degli obiettivi condivisi. È qui completamente fuori luogo ogni tipo di sospetto che possa far pensare ad una proposta di rapporto paritario: l'uguaglianza sta nell'appartenenza alla categoria di uomini (la nostra specie), la "disparità" sta nell'avere costruito come individui delle competenze diverse rispetto alla "tossicodipendenza", oltre che ad essere comunque biologicamente e psicologicamente distinti. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 43 IL TRATTAMENTO L'operatore non sa procurarsi la sostanza, non sa trovarsi una vena, non sa cosa è un “flash”… invece, è tenuto a conoscere le teorie di riferimento, le ricerche scientifiche e a saper utilizzare degli strumenti tecnico-professionali. Situazione emblematica di Sandro Sandro è un tossicodipendente di 30 anni. Orfano del padre, vive con i suoi fratelli, tutti ormai adulti, da quando la madre è andata a convivere con un altro compagno. “Ho deciso, non ce la faccio più, sto male e vorrei entrare prima a XXX e poi proseguire per la comunità”. XXX è il luogo dove il paziente è già stato, inserito circa un anno fa in un Centro Crisi per un periodo di disassuefazione dal metadone, dove si è trovato molto bene ed ha iniziato ad aprirsi con gli operatori. Spesso è depresso ed usa la sostanza da solo, non frequentando altri tossicodipendenti, con valenza di autocura. Sandro è visibilmente in difficoltà; dopo l'inserimento in centro crisi aveva proseguito per un certo tempo i colloqui di sostegno con un operatore presso l'ambulatorio, ma poi li aveva interrotti fino ad oggi, quando si è presentato con questa richiesta. Ora Sandro piange e non vede alcun modo di prendersi cura di sé: “…non posso farcela da solo, voglio andare subito via da Torino”. Il compito dell'operatore oggi è molto penoso, visto che conosce Sandro e l'evoluzione della sua domanda di cura e deve inoltre comunicare un vincolo: il Ser.D. ha dovuto introdurre l'uso della lista d'attesa per l'accesso ai progetti di comunità, a causa di problemi di bilancio dell'A.S.L. Nel corso del colloquio riemerge la situazione di profonda disperazione in cui Sandro si trova, la sensazione di fallimento ed i pensieri di suicidio che si sono riaffacciati. L'operatore comunica la preoccupazione per la sua incolumità e cerca di stimolare Sandro a pensare cosa può fare per proteggersi, dando la sua disponibilità a sostenerlo. Restituisce anche l'impossibilità di farsi carico totalmente della sua sofferenza e ribadisce che lui ha le risorse per effettuare un cambiamento. All'appuntamento successivo Sandro dice: “Ho cercato dei modi per stare meno male, ho ricominciato la cura con l'antidepressivo che mi ha proposto il medico del Ser.D. perché ho verificato che mi fa stare meglio e poi ho iniziato a dare il bianco in casa insieme a mio fratello, per occupare il tempo. Avere il tempo occupato per me è molto importante, infatti quando lavoro va meglio”. Sandro ha potuto fare l'esperienza importante, riparativa, di rendersi conto delle proprie risorse e delle proprie capacità di agire, riconoscendo che aveva delle idee di risoluzione magica dei problemi e mettendo in atto autonomamente dei comportamenti autoprotettivi. Ciò ha permesso all'operatore di misurare la possibilità dell'intervento contrattuale; delimitare cosa poteva realisticamente fare per lui in quel momento e cosa il paziente poteva fare, è stata non solo una necessità organizzativa, ma un'azione contrattuale per entrambi. Il contributo delle neuroscienze Le recenti ricerche nell'ambito della neurobiologia hanno permesso di comprendere aspetti molto importanti del fenomeno delle dipendenze. La capacità di adattamento e la plasticità proprie del cervello consentono delle trasformazioni che non sono automaticamente percepibili su un piano di consapevolezza cognitiva. Le esperienze scolpiscono e modificano gradualmente le persone, impercettibilmente, costantemente, tanto da renderle sempre un po' sconosciute a se stesse. Per certi versi tutto questo può essere inquietante, per altri è fantastico, è ciò che permette di evolvere, di cambiare. 44 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO Un caso storico Un caso molto noto agli studiosi, quello di Phineas Gage nel 1848, ha permesso di mettere in relazione i comportamenti umani e il “carattere” con le modifiche della struttura del cervello. Lo spunto lo fornì un “esperimento” involontario; a causa di un incidente sul lavoro molto grave, un minatore, Phineas Gage, persona mite, gentile e regolare, ebbe un grave danno cerebrale, però compatibile con la sopravvivenza, nella regione cerebrale fronto-orbitale. Quando si riprese dall'incidente, il suo carattere era del tutto diverso: il suo medico curante scriveva “… L'equilibrio tra le sue facoltà intellettive e le sue tendenze bestiali sembra distrutto.” Il gentile Phineas Gage era diventato aggressivo, violento, sregolato, senza “freni morali”. Riportiamo questo caso per la sua importanza storica e per il modo clamoroso in cui ha reso evidente la correlazione (tutta da studiare e da interpretare, ovviamente) tra cambiamenti della struttura cerebrale e cambiamenti delle espressioni psichiche e comportamentali. Tutte le esperienze modificano, inconsapevolmente per noi, il nostro cervello. Verrebbe da dire che tale trasformazione è subdola, in quanto non è qualcosa che si è vissuto e poi dimenticato, ma è accaduta senza essere stata esperita. Non è l'unico processo di questo genere che può accadere all'uomo: per esempio ogni malattia prevede, in genere, un periodo di incubazione, non esperito dal soggetto, prima che compaiano i sintomi. L'uso di sostanze stupefacenti è un'esperienza esponenzialmente più pregnante di altre possibili esperienze. Oltre alla eccezionalità dell'effetto chimico, le dinamiche e i ruoli della piazza sono fortemente invischianti: tutto l'impegnativo lavoro per recuperare denaro, la ricerca del pusher e la tensione per sfuggire ai controlli delle Forze dell'Ordine, la pericolosità della vita nell'illegalità e i rituali individuali e collettivi del consumo, esercitano un costante condizionamento nella relazione tra il soggetto e la sostanza. La sostanza va a creare alterazioni in una zona particolare del cervello, quella più arcaica, che interessa gli istinti di sopravvivenza della specie. E' questo aspetto che rende sbagliato considerare la cura della dipendenza come una lotta contro una sostanza che ha intossicato l'organismo o contro una volontà debole che non può fare a meno di un piacere chimico. Già prima abbiamo considerato che il cambiamento operato dalla sostanza determina una serie di conseguenze che ricordiamo sinteticamente: 1. il fondamentale equivoco della gratificazione da droga, interpretato dai centri nervosi come una gratificazione conseguente ad un comportamento di importanza vitale (sono gli stessi centri che, proprio grazie alla gratificazione, garantiscono la sopravvivenza dell'individuo e della specie spingendo il soggetto a certi comportamenti); 2. il controllo dei centri cerebrali superiori, che elaborano razionalmente le scelte, viene significativamente ridotto, mentre i centri che spingono al comportamento impulsivo acquisiscono una maggiore potenza; 3. la memoria della gratificazione si fissa in modo profondo come esperienza di riferimento del soggetto, influenzando le sue valutazioni emotivocognitive. Questi meccanismi sostengono il problema principale nel trattamento del tossicodipendente: la sua ambivalenza, l'oscillazione tra il volere una cosa e volerne un'altra, la sua instabilità nelle emozioni e nel La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 45 IL TRATTAMENTO modo di pensare, il suo ridotto autocontrollo e la sua inaffidabilità nel tempo. Identità e cambiamento Nel percorso del trattamento del tossicodipendente, favorire l'espressione della sua visione di se stesso è sostanziale. In tal senso diventa importante ricostruire la storia di vita e, all'interno di essa, la storia di tossicodipendenza, approfondendo cosa lo ha attratto e spinto a provare la sostanza e le modalità con cui si è avvicinato a quel mondo (in quale periodo della sua vita, come si percepiva in quel momento, in che rapporto era con le proprie reti: la famiglia, il gruppo dei pari…). E, ancora, in che modo lo sperimentare le sostanze si è trasformato in abitudine, come si sono trasformate le relazioni, come si sono costruiti i pensieri intorno a tale cambiamento e quali trasformazioni si sono verificate nella sua vita. Il riconoscimento di se stessi come attori protagonisti della propria storia, favorisce la riscoperta della propria identità. Il ragionare su chi si è stati, su chi si è, chi si sarebbe voluto essere e chi si vorrebbe essere, permette di collocare la propria identità nello scarto tra l'Io Reale e quello Ideale, riscoprendo la possibilità di orientare la propria vita e permettendo l'assunzione della responsabilità delle proprie scelte. Si può riconoscere, allora, un proprio ideale di sé che non coincide con il sé reale, ma che lo orienta. Il riconoscersi persone che non possono tutto, che hanno anzi molti limiti, ma sono in costante tensione verso un cambiamento evolutivo, permette di dare un senso alla propria vita: si può passare dal circuito chiuso costituito dal “solito giro” che caratterizza la giornata del dipendente da sostanze, al circuito aperto che consente variazioni e arricchimenti esperienziali. La rinuncia al piacere immediato della sostanza (che per la maggior parte dei clienti del Ser.D., abusatori assuefatti, è scelta di sentire i “morsi” della carenza), diventa un modo per raggiungere la soddisfazione di possedere la propria persona, di poter scegliere della propria vita senza doversi muovere sotto il giogo della parte di sé che reclama soddisfazioni immediate. La multidisciplinarità del servizio In base a queste premesse epistemologiche diventa necessario andare a verificare la prassi operativa, affinché non si sviluppino procedure in antitesi con quanto detto. La complessità del fenomeno rende necessario un approccio multidisciplinare che coniughi campi di intervento teoricamente distanti: area sanitaria, area pedagogica, area psicologica ed area sociale. Di fatto i servizi che si occupano di patologie da dipendenza sono oramai da anni orientati alla presa in carico multiprofessionale dei pazienti. Mentre nella medicina normale un approccio multidisciplinare rappresenta un approccio raffinato e moderno (si pensi al contributo di psicologi e dietologi in cardiologia), nella medicina delle dipendenze l'approccio interdisciplinare è una necessità, che fortunatamente appartiene (anche se ha avuto alcune deformità) alla cultura e alla storia dei Servizi. Gli operatori delle varie discipline, oltre alle loro specifiche competenze tecniche, devono acquisire la capacità di lavorare in gruppo. E' nel lavoro di équipe che le diverse visioni vengono integrate, ricomposte e rilette, evitando il rischio di perseguire obiettivi diversi o addirittura tra loro contrastanti. 46 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO UN MODELLO ORGANIZZATIVO PER GESTIRE I TRATTAMENTI In conformità a quanto stabilito dal T. U. 309/90, i Servizi per le patologie da dipendenza devono occuparsi di prevenzione, cura e di riabilitazione dei soggetti tossicodipendenti. Hanno dunque un ampio campo di azione, che va dagli interventi di prevenzione nelle scuole, alla disintossicazione da sostanze stupefacenti, alla definizione di progetti di riabilitazione, anche in collaborazione con strutture esterne al Servizio (ad esempio, le comunità terapeutiche). Come più volte ribadito, il fenomeno delle dipendenze non è statico, ma in continua evoluzione, impone pertanto delle periodiche revisioni dell'assetto organizzativo dei servizi. Anche le nuove scoperte scientifiche ampliano le teorie di riferimento e indicano nuove modalità di intervento. A tal proposito tutti i Servizi per le tossicodipendenze, nel rivedere periodicamente la loro organizzazione, devono tenere conto dei vincoli legislativi, delle conoscenze scientifiche, delle risorse e del contesto socio-politico, delle mutazioni del mercato delle sostanze e delle modalità di consumo. Come condizione necessaria per organizzare un Servizio bisogna che il gruppo di lavoro definisca in modo chiaro e sufficientemente condiviso quali sono i riferimenti teorici e concettuali che stanno alla base e orientano le prassi quotidiane: si individua così la cultura del Servizio. Questa continua attenzione alla cornice di riferimento permette da una parte di ricondurre le azioni professionali quotidiane ad una area di senso, di significato e di finalità condivisi, dall'altra, paradossalmente, rende più liberi gli operatori di intervenire in modo creativo, in quanto, se una filosofia deve tradursi, per maggiore efficienza, in protocolli di intervento, nella pratica quotidiana è possibile che tali protocolli vengano considerati come strumenti tecnici e rispettati con elasticità, o ne vengano inventati di nuovi, che risultino più efficaci o migliorativi della qualità dell'intervento. Dalla cultura del Servizio possono scaturire diverse articolazioni organizzative, che saranno influenzate anche dalle caratteristiche del contesto territoriale di riferimento (rispetto alla prevalenza della popolazione con problemi di dipendenza, alla disponibilità di risorse, all'accessibilità degli ambulatori…). Alla ricerca di un modello operativo: come può essere pensato (e sperimentato) un Servizio per le Patologie da Dipendenza. Nelle poche righe di seguito, viene sommariamente presentata l'elaborazione che, in un paio d'anni di lavoro con la supervisione di Achille Orsenigo dello Studio APS di Milano, la UOA specialistica della ASL 3 di Torino ha attuato, per mettere in dialettica la visione teorica con l'attività di cura concreta. Lo scopo di questa presentazione è solo di dare una idea della necessità e della possibilità di cercare l'efficienza attraverso la coerenza tra pensiero e azione. L'UOA Patologie da Dipendenza è composta da due Ser.D. che hanno competenza su due distretti diversi, dal SAD (Servizio Assistenza Detenuti), da un Servizio per le dipendenze da sostanze legali e da comportamenti (che si La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 47 IL TRATTAMENTO occupa di alcologia, tabagismo e gioco d'azzardo patologico) e da Pr.Assi. (Servizio di Pronta Assistenza). Gli operatori hanno l'opportunità di lavorare con un criterio di multi-appartenenza rispetto a specifiche aree di intervento (es. un operatore di un Ser.D. può far parte del Servizio di alcologia, degli inserimenti lavorativi ed altro ancora). Inoltre, le occasioni di incontro e confronto sono garantite grazie ad una pianificazione delle riunioni di Unità Operativa e dalle iniziative di formazione, che vengono organizzate in relazione alle necessità emergenti. Il monitoraggio delle attività è seguito dai Responsabili e integrato alle altre aree, attraverso il Consiglio di Unità Operativa e il Consiglio di Direzione. Molte attività dell'Unità Operativa sono rivolte al territorio, considerato in termini di comunità locale. Gli interventi di questo genere sono riconducibili all'area della prevenzione (es. interventi nelle scuole) e all'area culturale e di informazione (es. organizzazione di iniziative pubbliche, come per il 1° dicembre, Giornata Mondiale della Solidarietà all'AIDS/HIV, convegni, seminari, etc). La diversificazione degli ambiti di lavoro si è resa necessaria (e probabilmente lo sarà sempre più), per differenziare i tipi di intervento. La molteplicità dei contesti permette di accogliere i pazienti nelle loro diverse fasi motivazionali e di perseguire obiettivi ad esse connessi. Nel suo insieme, la Uoa è stata pensata a partire dalla concezione della dipendenza come una patologia della relazione: pazienti diversi o lo stesso paziente in momenti diversi sono in posizioni relazionali (verso se stessi, verso la droga, verso il Servizio di cura) molto diverse. Per mantenere il contatto con il paziente e il significato della relazione di cura si è pensato di creare ambiti e percorsi in grado di offrire modalità relazionali e servizi diversi e di collegarsi tra loro non in modo lineare, ma come nodi di una rete. La segreteria L'accesso al Servizio avviene normalmente attraverso un servizio di segreteria. La segreteria, pur offrendo servizi anche di tipo organizzativo (appuntamenti, gestione di informazioni), non è svolta da personale amministrativo in quanto è considerata critica la formazione alla gestione della relazione con pazienti piuttosto difficili. Quando il soggetto con un problema di dipendenza, diretto o indiretto, afferisce al Servizio esprimendo una richiesta di aiuto, è il delicato momento dell'accoglienza. Tale situazione è sicuramente favorita dall'accessibilità delle sedi operative che 48 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO devono essere facilmente raggiungibili e devono avere ampi orari di apertura al pubblico. Spesso la persona che si rivolge al Servizio si presenta accompagnata da un soggetto della sua rete sociale (amico, parente, operatore di altri servizi…) che ha anche lui le sue rappresentazioni del problema; la sua presenza influenza il modo di porre le domande da parte del paziente e anche il modo di dare le risposte da parte dell'operatore. Ecco un esempio della gestione di un caso da parte della “segreteria”. Situazione emblematica di Donatella La signora Donatella, trentenne, è sposata con Vinicio e ha una figlia di sei anni; si presenta al Ser.D. al sesto mese di gravidanza, chiede con toni molto gentili di poter parlare con due operatori che già conosce ma che in quel momento non sono presenti in Servizio. Chiede allora se suo marito, Vinicio, stia frequentando il SerD. Viene allora fatta accomodare in una stanza per approfondire il significato della sua domanda. A quel punto Donatella, emotivamente in difficoltà, comincia a raccontare che da un po' di mesi ha constatato segnali di malessere nel marito, che secondo lei ha ripreso a fare uso di droghe. In passato, circa sei-sette anni fa, Vinicio era stato seguito dal Servizio e sembrava aver superato le problematiche di abuso attraverso un lungo programma. Le cose si erano sistemate, aveva trovato un lavoro stabile, ma ultimamente erano evidenti delle difficoltà, visto che da un po' di tempo Vinicio non portava soldi a casa. La signora è spinta dai suoi familiari a lasciare il marito, in quanto evidentemente non è in grado di fare né il marito, né il padre: lei non è capace di farlo; anche se delusa, gli è molto affezionata. E' anche molto preoccupata per sé, perché teme di non essere reintegrata al lavoro a conclusione maternità, date le piccole dimensioni dell'azienda in cui è impiegata. L'operatore le chiede se il marito sa che lei è venuta al SerD. Risponde che con suo marito non riesce a parlare, anche perché è sempre presente la bambina e non vuole che questa sappia che il padre ha avuto o ha ancora problemi di droga. Le viene chiesto se secondo lei Vinicio sarebbe contento di sapere che lei è venuta a chiedere consigli al SerD. Secondo Donatella, il marito sarebbe disposto a permetterle di collaborare ad un programma, come era accaduto in passato, e lei lo farebbe volentieri. Viene detto alla signora che a questo punto è indispensabile che lei parli con il marito. Sembra che non ci siano spazi in cui la coppia riesca da sola a parlarsi liberamente nell'arco della giornata. Le si chiede se non può provare a lasciare la figlia ai suoi genitori, che sembrano molto presenti e disponibili. La signora Donatella annuisce. A questo punto si prova a chiederle, immaginandosi di riuscire a organizzare questo spazio di confronto con il marito, se le riesce facile pensare a come affrontare il discorso lui. La signora, mettendosi a piangere, inizia a elencare gli evidenti segni di ricaduta nell'uso di sostanze di Vinicio, segni che gli rendono necessario ripresentarsi al SerD. Si esplicita che si ha ben presente la sua preoccupazione, la sua frustrazione per la possibile ricaduta, ma anche la sua disponibilità a sostenere il marito e si ribadisce l'invito a parlargli. La signora sembra rassicurata da queste prospettive. Le vengono comunicati gli orari in cui le sarà possibile ricontattare l'operatore che la ha accolta, sottolineando l'importanza di comunicare gli sviluppi della situazione. Le viene inoltre garantito che sarebbero stati consultati gli operatori che avevano seguito il marito in passato per definire un eventuale appuntamento di coppia, o per lei sola, nel caso di rifiuto da parte del marito di presentarsi al Servizio. Il Servizio, attraverso la fase di segreteria così come sopra intesa, ha la preziosa opportunità di iniziare a costruire una relazione di aiuto basata sulla fiducia; gli strumenti tecnici e l'adeguatezza relazionale consentono di raccogliere importanti informazioni, indispensabili per avviare la fase diagnostica. Gli ingredienti fondamentali di tale adeguatezza relazionale sono la capacità di ascoltare e di sospendere giudizi e valutazioni prematuri. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 49 IL TRATTAMENTO L'accoglienza “dell'altro” è facilitata dalle seguenti disposizioni professionali: 1. un atteggiamento di interesse aperto, consapevole dei preconcetti e dei pregiudizi, al fine di incoraggiare l'espressione spontanea dell'altro; 2. un atteggiamento non giudicante, che permetta di ricevere ed accettare i vissuti del cliente senza critiche, né colpevolizzazioni; 3. un atteggiamento di non-direttività, cosicché il cliente possa avere l'iniziativa nelle presentazione dei problemi; 4. un'intenzione autentica di comprendere l'altro, per cogliere i significati che la situazione ha per il cliente; 5. uno sforzo costante all'attenzione, che permetta di rimanere obiettivi e di registrare/analizzare tutto ciò che avviene durante il colloquio. Rogers C.R.: La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970 Tutti gli ambulatori dell'UOA, attraverso la loro funzione di segreteria, devono essere in grado di “raccogliere” una richiesta di presa in carico, verificando che esistano le premesse per poterle dare seguito, per poi inviare il paziente alla sede del trattamento, dove saranno di fatto avviate le procedure necessarie. Il trattamento diagnostico Un'équipe multiprofessionale (medico, psicologo, educatore, assistente sociale, infermiere) si occupa di valutare le situazioni dei soggetti che si presentano per la prima volta al Servizio o che si ripresentano dopo un lungo periodo di assenza, tale da far ritenere necessaria una rivalutazione: è il gruppo di lavoro che si occupa del trattamento diagnostico. Si parla di “trattamento”, in quanto si è constatato che nel momento in cui si avvia un percorso di valutazione, inevitabilmente già si interviene sui problemi specifici che sono presentati dal paziente: viene pertanto impostato subito, se è opportuno, un trattamento sanitario, e vengono già offerte alcune consulenze (lavorative, legali, psicologiche). Naturalmente si cerca di contenere gli interventi al qui ed ora, senza attribuire ad essi il significato di un cura complessiva, nell'attesa di avere una visione più completa ed approfondita della situazione. I feedback a queste prime proposte di trattamento, sono fonte di importanti osservazioni, utili per completare la valutazione. Si distinguono percorsi di trattamento diagnostico diversi in base a chi si presenta al Servizio: il tossicodipendente da solo; il tossicodipendente insieme alla sua rete sociale (in genere la famiglia); la famiglia del tossicodipendente (senza il portatore del problema). Nel primo caso, per la valutazione vengono effettuati visite mediche, controlli sanitari e colloqui psico-sociali. Gli operatori dell'area psico-sociale propongono una intervista strutturata (ASI) che indaga su più ambiti: situazione di salute, situazione lavorativa, situazione legale, situazione socio-relazionale, situazione psichica. L'intervista mira a permettere al paziente di esprimere una richiesta di aiuto, diversificata per ognuno dei suddetti ambiti, sulla base della percezione della propria situazione personale. Successivi colloqui di approfondimento 50 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO permettono di circostanziare ulteriormente le problematiche che richiedono un intervento e di stabilire le priorità. Un secondo strumento diagnostico utilizzato (MAC/E) permette di individuare la fase di motivazione al cambiamento in cui si trova il paziente, dando conseguentemente indicazioni sui trattamenti più adeguati da proporre. Gli operatori intervengono quindi inizialmente con due strumenti comuni a tutti, l'A.S.I. e il MAC/E appunto, e con i successivi colloqui approfondiscono le tematiche emerse; possono inoltre chiedere un approfondimento a un collega con una professionalità specifica per meglio definire particolari problemi (ad esempio, se si hanno seri dubbi sulla presenza di problemi psicologici, può essere richiesto un approfondimento diagnostico attraverso specifici test). In questa fase di trattamento è fondamentale favorire il riconoscimento da parte del paziente della sua condizione di “portatore di un problema” e ridurre il rischio della sua identificazione con il problema. Tutto ciò si può realizzare stimolando il cliente a descrivere la propria persona al di là del comportamento di abuso. Il chiedere che lavoro svolge, se quel lavoro gli dà soddisfazione, se ha moglie e figli,… sono sottolineature di altri aspetti della persona, di ruoli che essa agisce. In tal modo si accoglie la persona, non annichilendola di fronte al suo problema. E' anche un modo per incominciare a ri-dimensionare il problema. Accompagnare un individuo nell'esplorazione della complessità dei propri sistemi relazionali, degli interessi, delle conoscenze e abilità, dei valori e di altre dimensioni sociali e psichiche, significa anche offrirgli un'opportunità per aumentare il proprio grado di consapevolezza di sé; un sé che proprio in quanto portatore di parti positive deve anche essere salvaguardato, per esempio, non fissandogli gli appuntamenti durante il suo orario di lavoro, se ha un'occupazione, per evitare che entri in conflitto con il contesto lavorativo. Nel caso in cui il paziente si presenti con la sua famiglia è possibile avviare un trattamento diagnostico differente, secondo il modello sistemico: in tal caso i colloqui vengono effettuati con l'intero gruppo e solo alcuni specifici interventi vengono proposti esclusivamente al portatore del problema (trattamenti sanitari, consulenze specifiche come quella di orientamento al lavoro,…). Una volta raccolti dati sufficienti per una valutazione diagnostica, il caso verrà discusso in équipe e si procederà all'individuazione dell'intervento più adeguato, considerando ancora la possibilità di continuare a trattare il gruppo nella sua interezza. Infine si può verificare la situazione in cui si presenta solo la famiglia (o anche solo un componente della stessa), senza il “vero paziente”. In tal caso il gruppo di trattamento diagnostico valuterà attraverso alcuni colloqui la necessità di interventi terapeutici familiari, oppure di colloqui di sostegno o semplicemente di un intervento di counselling. Attraverso il lavoro di gruppo, che garantisce un'analisi multiprospettica e favorisce l'omogeneità del processo di valutazione, l'équipe del trattamento diagnostico elabora, entro un tempo di due-tre mesi, i dati raccolti, formula una La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 51 IL TRATTAMENTO diagnosi ed una prognosi, ed esprime alcune indicazioni terapeutiche attraverso una descrizione della situazione del paziente, che metta in evidenza, in particolare, le risorse e i limiti, le possibilità trattamentali e il livello di motivazione al cambiamento. Sulla base di tale valutazione, che dovrà tenere in considerazione in particolare le modalità di rapporto che il soggetto ha instaurato con il Servizio, viene individuato l'operatore di riferimento e il cliente viene avviato alla tipologia di trattamento ritenuto più adeguato: Trattamento a legame debole Trattamento di base Trattamento integrativo. Il trattamento a legame debole La relazione a legame debole è il tipo di rapporto possibile tra Servizio e utenti non in grado, in quel momento, di negoziare e rispettare un contratto terapeutico individuale esplicito e formale; il rapporto stesso non prevede necessariamente continuità, anzi mette in conto una certa imprevedibilità dei futuri accadimenti, in modo correlato allo stile di vita altamente instabile del paziente. In molte attività del lavoro sociale finalizzate a sostenere la sopravvivenza fisica, a sostenere situazioni di grave emarginazione e povertà (nell'area della salute mentale, della tossicodipendenza, in carcere, … in tutti i percorsi assistenziali e riabilitativi) è possibile riconoscere molteplici “relazioni a legame debole”, in quanto attivate in setting informali, in contatti occasionali, discontinui, a volte imposte da regole istituzionali, quindi non richieste ma subite, finalizzate a obiettivi assistenziali per fronteggiare l'emergenza. Tali relazioni a legame debole possono essere vissute, rilette e ridefinite come opportunità per scambi di messaggi significativi, capaci di “curare” anche la mente oltre che assistere e sostenere la sopravvivenza fisica; opportunità per costruire nel “qui ed ora” un momento di incontro, di riconoscimento di sé e dell'altro, quali partecipi e protagonisti di una comune vicenda umana. La relazione a legame debole, senza patto terapeutico, non prevede necessariamente continuità, diventa “significativa” in quanto luogo autonomo di scambio tra due soggetti: operatore/utente. Dela Ranci: La relazione a legame debole nell'intervento sociale: aspetti teorici e tecnici, Prospettive sociali e sanitarie, anno XXXI n. 4 marzo 2001. Il principio del legame debole è stato introdotto nell'ambito delle tossicodipendenze per connotare una relazione che si sviluppa nel corso di interventi puntuali, idealmente conclusi nel singolo incontro, che non prevedono necessariamente continuità (anche se costruiscono una storia) e che sono spesso motivati e mediati da qualcosa di concreto e utile per il tossicodipendente (come se il Servizio si esponesse volontariamente all'uso manipolativo da parte del paziente), ma che assumono una forte significatività 52 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO per la persona che li sperimenta. Le finalità principali del trattamento a legame debole sono la tutela della vita e della salute (riguardo alla sopravvivenza e alla prevenzione secondaria) e il mantenimento di una relazione terapeutica. In altri termini il trattamento a legame debole è finalizzato ad attivare ciò che serve per tutelare la vita del paziente e migliorarne la qualità (dalla qualità dell'igiene fino al livello di dignità umana), orientando gli interventi verso la costruzione di relazioni di fiducia che incidano sulla motivazione al cambiamento e consentano lo sviluppo di progettualità. Le principali caratteristiche del contesto a legame debole sono: - riduzione al minimo dei requisiti, degli ostacoli e delle difficoltà relativi all'accesso e alla fruizione del Servizio (condizione basilare dei servizi a bassa soglia). Questo ha a che fare con la raggiungibilità del Servizio, con gli orari e con la “semplificazione” del contesto di cura (meno procedure e burocrazia); - flessibilità nella gestione del trattamento: non vengono fissati degli appuntamenti (il paziente si può presentare in qualsiasi momento dell'orario di apertura con la garanzia di ricevere attenzione) e non viene individuato un operatore di riferimento. Gli operatori agiscono e si propongono come gruppo e i legami deboli si possono collocare in una pluralità di relazioni (reticolo), anziché in rapporti esclusivi e più formali. La quantità di tempo dedicata ai trattamenti non è preordinato, dipende dalla situazione nel suo complesso, così come l'attivazione dei diversi professionisti. Questo tipo di organizzazione permette al cliente di scegliere quando e con chi parlare: egli è libero di decidere se affrontare qualche problematica con gli operatori, di scegliere il momento e l'operatore preferito tra quelli in turno. Laddove sia l'operatore a proporsi, il paziente è libero di accettare o meno la proposta; - “prossimità” degli operatori, intesa come possibilità di contatto diretto (non filtrato o mediato da altri) del cliente con i professionisti a cui fare la richiesta. In questo, la variabile “tempo” è significativa e permette avvicinamenti graduali (anche in termini di prossimità fisica); - pragmaticità e appetibilità; la presenza contemporanea di un gruppo di professionisti che, in ambiti differenziati, ma nello stesso luogo, permetta il facile accesso a prestazioni professionali diversificate (counselling, visite mediche, sostegno emotivo, etc), aumenta il vissuto di discrezionalità da parte del cliente ed abbassa le conflittualità; - una trasparente proposta collettiva, che chiarisce il tipo di servizi e di prestazioni che il paziente può aspettarsi. Rispetto alle offerte del Servizio, gli operatori devono prestare particolare attenzione nell'effettuare valutazioni generalmente complesse e tempestive delle richieste, spesso formulate in modo inadeguato o addirittura non espresse (richieste di aiuto non esplicitate). Il trattamento a legame debole è rivolto a persone che non sono in grado di rispondere, anche solo in una particolare fase della loro vita, a proposte di cura che presuppongono accordi all'interno di un rapporto strutturato con il Servizio, né hanno la capacità di costruire e mantenere un'alleanza terapeutica. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 53 IL TRATTAMENTO Sono quei pazienti che dimostrano una scarsa adesione al trattamento e le cui modalità relazionali si esplicano prevalentemente attraverso il registro somatico e dell'agito, anziché tramite la verbalizzazione e lo scambio con l'altro. Il trattamento di base Il trattamento di base mira a consolidare le condizioni necessarie e sufficienti per poter intraprendere un percorso terapeutico regolato da un accordo sugli obiettivi e sui metodi. Questo accordo si traduce in un contratto terapeutico individuale, esplicito e formalizzato. Dal punto di vista relazionale, in questa fase, si riesce ad ottenere l'accettazione da parte del paziente dei contenuti e delle modalità proposti dal Servizio, anche se il livello di ambivalenza è molto forte e si ha spesso a che fare con una adesione mimata ed esteriore, e non profonda e collegata con la condivisione del senso. Le finalità di questo tipo di trattamento si articolano su due livelli: 1) a breve termine la continuità terapeutica, che permette di mantenere la relazione in modo da incentivare l'alleanza terapeutica, avendo come obiettivo quello di ridurre le interruzioni e gli abbandoni. Tutto ciò si concretizza ponendo attenzione ai tempi del paziente in modo da sviluppare la sua capacità di aderire alle modalità di rapporto con il Servizio; la gestione dei bisogni sanitari, che vuol dire monitorare lo stato di salute fisica e psichica dei pazienti e prevenire e/o contenere le eventuali complicanze correlate all'uso di sostanze. In tal senso, è ricorrente il manifestarsi di sintomi “di sofferenza” proprio durante le fasi di stabilizzazione e di astinenza dall'uso; la gestione dei bisogni psicosociali espressi e non espressi, che sottintende la presa in carico degli aspetti legali, lavorativi, familiari, abitativi e altri ancora che siano ritenuti trattabili; 2) a medio/lungo termine la stabilizzazione nel trattamento di base (prevenendo possibili regressioni); la mobilizzazione verso un trattamento integrativo. In questa fase si lavora essenzialmente sulla motivazione del paziente, cercando di mobilizzarla dalle posizioni più refrattarie al cambiamento verso quelle più potenzialmente evolutive. Stadi della motivazione L'analisi dei fattori motivazionali che spingono al cambiamento si può effettuare valutando tre aspetti distinti: 1. quanto il paziente si sente pronto a cambiare, mediante la collocazione nel modello degli stadi del cambiamento; 2. quanto ritiene di essere in grado di cambiare, mediante una valutazione della fiducia nelle proprie possibilità (autoefficacia); 3. quanto forte sente la spinta al cambiamento, mediante una valutazione 54 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO delle sue contraddizioni interne (frattura interiore). Per autoefficacia, si intende la fiducia di un individuo nella propria capacità di attuare un comportamento prestabilito. Si tratta di un insieme di valutazioni del soggetto rispetto alla propria possibilità di raggiungere un obiettivo specifico in un tempo determinato. Esistono significative relazioni fra il livello di autoefficacia e la disponibilità ad effettuare un trattamento terapeutico. Un livello di autoefficacia molto basso richiede una strategia di incoraggiamento, mentre un livello di autoefficacia molto alto può ostacolare l'entrata in terapia, poiché l'individuo è convinto di vincere la dipendenza con uno sforzo minimo. Bandura A.: Self-efficacy: toward a unifying theory of behavioural change, Psychological Rev., n° 84, 1977. Per frattura interiore si intende la percezione delle contraddizioni esistenti tra la propria attuale condizione ed importanti aspirazioni, valori e mete ideali; essa trae le sue origini dalla teoria della dissonanza cognitiva e può essere intesa come la consapevolezza del conflitto che si pone quando la situazione presente (comportamenti, atteggiamenti, ecc.) restituisce una "definizione" incompatibile con la propria immagine di Sé. La percezione di una contraddizione tra ciò che si pensa di essere e ciò che si vorrebbe essere è, solo in certe condizioni, un pungolo che spinge a rivedere e modificare il comportamento: la percezione di una frattura interiore è dolorosa e la sua ampiezza deve essere "ridotta", entro breve tempo, con qualsiasi mezzo, anche in maniera patologica. Miller W.R., Rollnick S.: Motivational Interview. Preparing people to change addictive behaviour, 1991. Trad it.: Il colloquio di motivazione, Edizioni Centro Studi Erikson, Trento, 1994. Una interessante prospettiva per comprendere i processi del cambiamento ci viene offerta dal modello transteorico di Prochaska e DiClemente che indica come sia necessario adeguare il tipo di intervento alla motivazione del paziente e al suo grado di disponibilità al cambiamento. Quest'ultimo aspetto viene sintetizzato dalla possibilità di collocare il paziente in sei diverse posizioni: al primo stadio, di Precontemplazione, caratterizzato dalla assenza di un riconoscimento della dipendenza come un problema, segue lo stadio di Contemplazione, caratterizzato dall'emergere di dubbi e contraddizioni che portano ad una sempre più marcata ambivalenza sull'uso della sostanza. Dopo questo stadio, se si accentua la spinta al cambiamento, si raggiunge lo stadio della Determinazione, a volte chiamato anche Preparazione, in cui viene ricercata attivamente una soluzione che, una volta messa concretamente in atto, porta il paziente nello stadio della La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 55 IL TRATTAMENTO Azione, in cui i cambiamenti vengono concretamente sperimentati. Se hanno successo, dopo qualche tempo (circa sei mesi) il paziente entra nella fase di Mantenimento, in cui le nuove abitudini hanno il tempo di consolidarsi fino ad un eventuale definitivo abbandono del problema. Questo percorso, assai spesso, non è lineare, bensì "ciclico" in quanto in qualsiasi momento del processo può verificarsi una Ricaduta che riporta il paziente agli stadi precedenti. Il modello transteorico suggerisce che i vari interventi possono favorire o meno un avanzamento nel processo di cambiamento a seconda dello stadio in cui il paziente si trova: non esistono quindi interventi giusti o sbagliati di per sé, ma solo trattamenti opportuni o meno, momento per momento. Guelfi G.P., Spiller V., Motivazione e stadi del cambiamento nelle tossicodipendenze, Il Vaso di Pandora, II, 4, 1994. Strumento fondamentale di lavoro è la gestione del contratto terapeutico, la cui definizione richiede spesso una lunga negoziazione, utilissima dal punto di vista terapeutico perché offre una formidabile occasione di confronto sulle rappresentazioni del problema e delle soluzioni, sulle finalità perseguibili con la terapia e sulla regolazione dello scambio relazionale. Si cerca di sviluppare una alleanza terapeutica di tipo contrattuale/compor-tamentale, che persegue l'accordo su scopi e mezzi del trattamento per raggiungere obiettivi definiti. Una alleanza più di tipo affettivo-relazionale, in cui il paziente esperisce il terapeuta come empatico, genuino, affidabile, comprensivo è più un lontano obiettivo che un presupposto iniziale, proprio per le caratteristiche di funzionamento psichico del tossicodipendente prima descritte. Il trattamento integrativo Il trattamento integrativo è finalizzato alla elaborazione-risoluzione del rapporto di dipendenza, alla promozione di una diversa percezione di sé, all'utilizzo di risorse dimenticate, al favorire il processo evolutivo interrotto dall'uso di sostanze. Obiettivo secondario e conseguente, ma non meno importante, è la fine del rapporto terapeutico con il Servizio. Sul piano relazionale, la fase del trattamento integrativo si realizza quando Servizio e paziente non solo trovano un accordo sul come regolare il loro rapporto di cura, ma anche una condivisione sul significato del comportamento patologico e sulle finalità da perseguire, tra le quali deve essere necessariamente inclusa la interruzione della assunzione di sostanze; pur rimanendo tratti di ambivalenza, il paziente riesce a collaborare alla terapia portando un suo contributo originale e creativo, premessa per la ri-costruzione di sé e della autonomizzazione. Nel rapporto terapeutico si esplora il significato della dipendenza nella biografia individuale per capire il senso che la persona dà a questa esperienza. Nel procedere del trattamento quindi, l'uso di sostanze diventa sempre meno importante, tende a collocarsi sullo sfondo di differenti 56 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO problematiche di tipo relazionale ed affettivo. Si attiva così un processo di ristrutturazione del sé, che passa per l'aumento della consapevolezza delle istanze personali e soggettive nella costruzione della propria visione del mondo; si sostiene il soggetto nel cogliere le valenze del ruolo attivo da lui giocato e delle sue responsabilità, e perciò del suo potere in termini di cambiamento. La relazione d'aiuto, il prendersi cura e il concetto di salute, sono al tempo stesso i presupposti indispensabili e gli strumenti utilizzabili in questa particolare fase del trattamento. La possibilità di poter costruire insieme (operatore e paziente del Servizio) questo percorso coincide con la possibilità di instaurare una alleanza terapeutica all'interno di una relazione in cui entrambi i poli sono attivamente in gioco. Non in ultimo è da tenere presente la ricorsività dei cicli di vita e la presenza di diverse fasi della motivazione al cambiamento. Una buona relazione terapeutica, una fase motivazionale di determinazione possono modificarsi sotto l'influenza di molti fattori del contesto sociale, delle relazioni vissute dal paziente, dando luogo a dei ritorni al vecchio stile di vita o al ricorso a vecchie modalità di soluzione dei problemi. Anche i più recenti studi confermano che per uscire dalla dipendenza occorre un tempo variabilmente lungo e affermano che i meccanismi di dipendenza sono condizioni che permangono a lungo nella vita della persona; ciò rende difficile valutare quando si può considerare terminato un percorso di riabilitazione. Il ricorso al progetto condiviso, attraverso gli obiettivi che individua, le tappe intermedie e le sue dimensioni di coerenza e verificabilità, può mettere al riparo dal rischio, che spesso si verifica nei servizi pubblici, di non dimettere mai i pazienti, o all’opposto, di “autodimissioni” non concordate da parte dei pazienti. Alcune volte occorre concordare dei percorsi che permettano ai pazienti di sperimentarsi in progetti territoriali (situazione abitativa, problematiche legali, lavoro ecc.), altre volte occorre l'inserimento in strutture residenziali. Le comunità residenziali Le strutture comunitarie costituiscono un'importante risorsa: a volte sono un passaggio obbligato nel complesso percorso di cura. A seconda della loro strutturazione, le comunità terapeutiche possono essere contesti in cui è possibile sperimentarsi senza sostanze, nella relazione con gli altri, nel riconoscimento della propria storia e delle proprie caratteristiche, nella ricerca di strade future percorribili. Le comunità terapeutiche, in verità spesso usate male, superficialmente o a sproposito, possono avere, all'interno di un percorso di cambiamento, il valore di palestre in cui allenarsi per poi rilanciarsi nella realtà quotidiana, come fase propedeutica alla più complessa quotidianità sociale “esterna”, che sarà il contesto in cui si dovrà vivere. Dalle prime comunità nate all'inizio degli anni Settanta ad oggi, si è verificata La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 57 IL TRATTAMENTO un'enorme trasformazione. Le prime comunità si distinguevano in due grandi tipologie, diverse soprattutto per la filosofia con cui consideravano l'uomo e la tossicodipendenza. Vi erano quelle che si ispiravano alla filosofia delle comunità di vita vere e proprie; individuavano nel vivere insieme e nel condividere le realtà difficili di ciascuno una funzione indirettamente terapeutica. In alcuni casi si organizzavano come comuni e avevano uno spirito di contestazione della società, ritenuta, per il suo cinismo e l'assenza di valori umani, contesto inadeguato per i giovani, ai quali era necessario invece offrire ambiti di vita più semplici e più ricchi di rapporti umani. Ovviamente, era molto difficile per una persona “riabilitata” in una comunità di questo tipo trovarsi bene nella società esterna: molti dei pazienti che facevano un “buon percorso” finivano per rimanere a vita nella comunità stessa. L'altra tipologia, che prende spunto in origine dai gruppi americani degli alcolisti anonimi, nasce fin da subito con l'intento di aiutare la persona tossicodipendente ad eliminare un vizio dannoso per sé e per la società. All'interno delle comunità viene individuato un percorso che, attraverso regole molto rigide e il costante confronto con il gruppo comunitario, aiuta la persona ad espiare la colpa di essere stato un debole e favorisce l'assunzione di responsabilità via via più importanti, che la aiuteranno infine a reinserirsi nel contesto sociale più allargato, sapendo a questo punto comportarsi in modo adeguato. Sono comunità che richiedevano una adesione nel comportamento osservabile, quindi esteriore, alle regole proposte: non sempre questo adeguamento nel comportamento corrispondeva ad un cambiamento di stile di vita interiorizzato e, fuori dal contesto contenitivo e regolatorio della comunità, la persona correva il rischio di perdere riferimenti e ricadere. Nel corso di questi anni le comunità, indipendentemente dalla filosofia originaria di appartenenza, sono andate sempre di più omologando le prassi di intervento, aiutate anche dalle norme legislative che hanno definito le caratteristiche che dovevano avere per poter accogliere i pazienti. L'attuale costellazione delle comunità si differenzia al suo interno per lo più per la tipologia di pazienti a cui si rivolge e per il tipo di servizi offerti: i centri crisi sono strutture che accolgono persone ancora assuefatte alle sostanze stupefacenti e garantiscono al loro interno il trattamento farmacologico necessario (compreso il metadone). La disintossicazione e l'orientamento a progetti più evolutivi sono i servizi principali che offrono ai pazienti; le comunità di accoglienza sono quelle che propongono le attività normali di vita comune con finalità terapeutiche; spesso impegnano i pazienti in attività lavorative, per lo più agricole o artigianali. Il servizio che offrono è principalmente quello di garantire uno spazio-tempo di stacco dal contesto di appartenenza del tossicodipendente, fattore critico nel mantenimento del comportamento patologico; le comunità terapeutiche, attraverso specifici interventi individuali e di gruppo 58 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO e attraverso attività con valenze che vanno dal pedagogico allo psicoterapeutico, hanno l'obiettivo di permettere al tossicodipendente di rielaborare il precedente stile di vita e di acquisire consapevolezza e competenze che gli permettano di rapportarsi al mondo esterno secondo uno stile di vita diverso; le comunità per doppia diagnosi trattano soggetti che presentano sia problematiche psichiatriche che di tossicodipendenza e offrono elevate competenze specialistiche di tipo psicodiagnostico, psicoterapeutico e psicofarmacologico . Il lavoro come mobilizzatore di possibilità evolutive Come discusso nella parte dedicata a chiarire il concetto di patologia da dipendenza, gli aspetti di “svantaggio” o di povertà non costituiscono gli elementi centrali del problema sul piano clinico. Perché allora un Servizio sanitario dovrebbe occuparsi di problemi che potrebbero riguardare più l'assistenza sociale che la clinica? Certamente, un tempo si equivocava facilmente tra un atteggiamento filantropico, inteso a compensare svantaggi sociali, e un atteggiamento clinico, che grossolanamente ignorava la radicale importanza delle esperienze concrete nei processi di cambiamento. Il lavoro o l'inserimento socio-lavorativo (come spesso viene chiamato il processo di espressione delle risorse della persona) non è solo inteso come scambio “forza lavoro/denaro”, in cui diventa centrale l'obiettivo della retribuzione economica. Al contrario, vengono valorizzati e riconosciuti gli aspetti affettivi, il riconoscimento sociale e le componenti utili per il processo di identificazione e di crescita personale. Tale processo allora è in grado di trasformare la mente, trasformare il comportamento e trasformare la relazione con sé e con l'altro. Il lavoro è uno, non l'unico, degli assi su cui si dipana il processo, in quanto vi sono altre tre direttrici di senso: si tratta del luogo di abitazione, delle relazioni affettive, dei saperi intesi come le competenze acquisite, o come le risorse che il soggetto riconosce come proprie. Questi ambiti costituiscono spesso un ponte tra la dimensione interna ed esterna, tra la cura nel/del Servizio e la vita autonoma del (ex)paziente nella società civile. Questo passaggio allarga il campo della azione riabilitativa e tiene insieme aspetti differenti che in una logica circolare si influenzano a vicenda. Così, a volte, le vicende affettive prendono il sopravvento rispetto al senso del lavoro, altre volte succede il contrario: il lavoro diventa un ambito di riconoscimento sociale che interagisce con l'autostima. Gli strumenti maggiormente utilizzati in questo ambito sono i tirocini formativi, le borse lavoro e i progetti all'interno delle cooperative sociali, così come stabilito dalla legge 381/91. Questi dispositivi rimandano alla necessità di operare con attenzione alla progettazione sociale, alle ricadute in termini di politica dei servizi e dell'integrazione lavorativa delle fasce deboli nel mercato del lavoro, in quanto questi percorsi, che iniziano tramite i servizi sanitari, hanno la necessità di essere delle esperienze vere, reali, proseguibili nel tempo, La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 59 IL TRATTAMENTO che comportano dei costi sociali ed economici. L'esperienza concreta, inoltre, ci insegna che la dipendenza a volte comporta un congelamento della capacità di fare con delle ricadute pesanti in termini di salute e questo dato richiede investimenti per riabilitare alla vita attiva e per riavviare processi di inclusione sociale, di appartenenza al contesto produttivo e sociale più ampio. Contesti di accoglienza sempre più difficili da trovare e da sostenere, se non in uscita dall'ottica della competitività e dell'individualismo. Situazione emblematica di Lorenzo Lorenzo ha 33 anni, la madre è inserita in una comunità alloggio per pazienti psichiatrici, il padre è deceduto molti anni fa. Lui ed i fratelli hanno avuto esperienze di affido familiare durante la minore età. Negli anni Lorenzo è stato diverse volte in carcere ed è tossicodipendente da quando aveva 19 anni. Nel corso del colloquio al termine del programma terapeutico in comunità, l'operatore chiede a Lorenzo se ritiene che il percorso gli sia servito e relativamente a quali aspetti: “ io ero sempre stato un tipo concreto e razionale, fai questo… fai quello. Mi porto via le emozioni, obiettivo che l'operatrice mi aveva dato in seconda fase e penso che quello sia stato il meglio per me: le emozioni… e poi ascoltarmi, non essere testa dura in questo periodo delicato, di transizione, devo passare da una cosa all'altra…mi porto via il lavoro fatto sugli atteggiamenti che avevo nei confronti dell'autorità,…finalmente ho parlato molto della mia famiglia. Poi mi porto via il rapporto con mia madre…che è cresciuto, anche se mia mamma è sempre mia mamma. Mi preoccupano molto le responsabilità che da domani devo affrontare… magari poi ce la faccio benissimo. Non ho più paura di far vedere le mie debolezze… avevo il controllo su tutto, non mi facevo mai vedere quando stavo male. … E sa cos'è cambiato? Ho comprato un telefonino e l'ho comprato in negozio, in regola e con la garanzia, non l'ho rubato e non sono andato a Porta Palazzo a comprarlo rubato…sono le soddisfazioni di questo periodo. Cose pulite che ho imparato lì”. Spesso nella pratica clinica si sottovaluta quanto sia importante il sostegno nel reinserimento. Frequentemente, ci si illude che quando una persona ha completato un percorso territoriale e/o comunitario è in grado di affrontare la realtà autonomamente. Di fatto, la fase finale, di normalizzazione è una delle fasi più delicate: l'impatto con il proprio ambiente di vita è difficilissimo, è colmo di ricordi di quando si era in difficoltà, è sentirsi osservati per capire se si è realmente cambiati, è sentirsi esclusi per quel che si era e non ancora inclusi per quel che si potrebbe essere; tenendo in considerazione che essere diversamente da quanto si era in passato è una condizione ignota, da costruire. La Pronta Assistenza La Pronta Assistenza (Pr.Assi.) è un Servizio per l'accoglienza, l'orientamento, la prevenzione secondaria e terziaria delle complicanze droga-correlate e il recupero delle persone tossicodipendenti. L'idea di una Pronta Assistenza, sorta a seguito di una serie di osservazioni sulle modalità di assistenza in atto nei Servizi per le Tossicodipendenze e alla revisione della letteratura relativa alle esperienze terapeutiche in altri paesi, prende la forma di progetto nel 1996. La progettazione coinvolge operatori del Ser.T, operatori del privato sociale (Gruppo Abele), soggetti appartenenti ad iniziative autogestite presenti in Torino (giornale di strada Polvere, gruppo di auto aiuto Fluxo), ed utenti del Ser.T. Nell'aprile 1997 si apre il Drop-In, il primo in Piemonte e uno dei primi in Italia; 60 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO da aprile 1998 il Drop-In è aperto 6 giorni su 7 con orario 15.00 - 19.30. Nel 1999 vi è una svolta importante rappresentata dalla erogazione di un finanziamento regionale ad hoc (la Regione aveva riconosciuta la validità del progetto e la sua funzione sovrazonale, essendo l'unico servizio del genere in Piemonte e avendo una elevata quota di utilizzatori da tutte le ASL) e dalla decisione della ASL di dare una sede adeguata al Servizio cresciuto, ristrutturando locali resisi disponibili nell'area dell'Ospedale Amedeo di Savoia. A completare il mosaico delle risorse, anche Associazioni private: “Monte Analogo”, associazione di Amici del Servizio Pubblico per le Tossicodipendenze, che dona arredi ed attrezzature, l'Associazione “Isola di Arran”, che offre volontariamente consulenza legale, volontari e piccoli sponsor. L'orario del Drop-In viene ulteriormente ampliato: l'apertura è 365 giorni all'anno dalle 15.00 alle 20.30. Nel febbraio 2001 la Pronta Assistenza assume la sua attuale fisionomia, con l'attivazione anche del modulo sanitario: agli interventi socioassistenziali, educativi e psicologici, si affianca anche l'assistenza medica e infermieristica, offerta al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 19,30. La Pronta Assistenza è composta da due moduli, uno di tipo socio-educativo (Drop-In), focalizzato sugli interventi di assistenza sociale, educativi, psicologici, l'altro di tipo sanitario, dedicato agli interventi medici ed infermieristici. I due moduli sono strettamente connessi tra loro e lavorano in integrazione. E' un Servizio facilmente ed immediatamente accessibile, senza filtri o attese per l'accesso, ubicato nel comprensorio dell'Ospedale Amedeo di Savoia, ma aperto sulla strada con un ingresso indipendente. Il modulo socio-educativo è un centro di ascolto e orientamento dove sono anche attivi sportelli specifici per consulenze su assistenza sociale, salute, problemi legali, e propone anche laboratori e varie attività socializzanti e riabilitative (sportive, culturali, ricreative). E' un'accoglienza che offre la possibilità di sperimentare modalità di rapporto diverse da quelle di una quotidianità centrata sulla ricerca e sull'uso di sostanze e condotta con stili relazionali improntati alla passività e alla devianza, un luogo dove i rapporti interpersonali positivi sono favoriti da un continuo lavoro di facilitazione dell'auto-aiuto e dell'iniziativa personale da parte degli operatori, un luogo di sviluppo di pratiche di “empowerment”, cioè della possibilità di diventare consapevoli delle proprie abilità individuali e di gruppo, e di svilupparle. L'intervento si avvale della metodologia del supporto tra pari o “peer support”. E' un contesto relazionale adatto a favorire una comunicazione diretta, aperta e fluida fra gli operatori e i frequentatori, centrata sul “qui e ora”, che rende possibile l'espressione dei propri problemi e delle proprie difficoltà, e rende possibile anche un'efficace passaggio di informazioni di educazione sanitaria, per la tutela della propria ed altrui salute, e per lo sviluppo di atteggiamenti di responsabilità verso se stessi e verso la collettività e di maggior consapevolezza, usando anche il periodo di consumo di sostanze per costruire una relazione positiva con la persona tossicodipendente. Anche il modulo sanitario è facilmente ed immediatamente accessibile, senza filtri o attese per l'accesso; vi vengono erogate prestazioni per i problemi di dipendenza, visite mediche per le patologie correlate, terapie d'urgenza, medicazioni, screening per la situazione infettivologica (in particolare epatiti, La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 61 IL TRATTAMENTO HIV, tbc, infezioni sessuali) , vaccinazioni per l'epatite B e tetano, colloqui di counselling sanitario, contenimento, sostegno, orientamento, invio. Da un lato rappresenta un elemento innovativo colmando un vuoto nella rete dei Servizi per quanto riguarda le risposte possibili alle richieste sanitarie urgenti e dall'altro rappresenta un miglioramento nelle procedure già in atto negli Ambulatori del Ser.T, annullando i tempi di attesa per le visite mediche e differenziando le offerte e le sedi del trattamento. Il Servizio è strutturato per effettuare interventi “just in time” per un'ampia gamma di situazioni “improvvise” (urgenti, emergenti, impreviste), erogando diversi tipi di prestazione (psicologica, sociale, educativa, medica), di elevata qualità professionale (capaci, cioè di riconoscere la complessità del bisogno del paziente e di elaborare risposte articolate ed integrate con le risorse della rete esterna del sistema di cura), efficaci nella comunicazione e nel rapporto con gli utenti e punto di riferimento nel sistema di cura complessivo. L'organizzazione del Servizio e la capacità degli operatori di accogliere, prendersi cura, accompagnare, genera una relazione significativa che inizia spesso con un accudimento di tipo materno (cura del corpo e dei bisogni primari), e giunge a far maturare domande di cambiamenti più evolutive e complesse, per rispondere alle quali si è affinata la capacità di lavorare in stretto collegamento ed integrazione con gli altri Servizi che gestiscono il trattamento, così come si è progressivamente costruita una rete dei Servizi che si occupano di aspetti diversi delle stesse persone, con l'obiettivo di agevolare il cliente nel raggiungimento e nella fruizione delle risorse del territorio, sia quelle formali che quelle informali di aiuto, creando occasioni di conoscenza e scambio. Un aspetto fondante di Pr.Assi. è quindi il lavoro di rete. Questo si sviluppa con diverse Agenzie e Servizi del territorio cittadino, regionale e nazionale. Sono direttamente in contatto continuo con Pr.Assi. i Dormitori cittadini, comunali e non, le Mense, comunali e non, i Servizi Sociali, i Servizi socio assistenziali, il Settore Adulti in Difficoltà, servizi di assistenza quali Endurance (ASL 5), Ambulatorio medico Porta Nuova (ASL 1), Ambulatori ISI, il Cottolengo, i Servizi Vincenziani, servizi del Gruppo Abele. Nella gestione dei singoli casi la rete si estende a Cooperative, volontari, Associazioni, Comunità. Il Servizio aderisce al tavolo sociale della Circoscrizione. Gli utilizzatori del Servizio principalmente sono soggetti tossicodipendenti con condizioni multiproblematiche, con motivazione al trattamento anche parziale e instabile, che richiedono interventi tempestivi e altamente integrati dal punto di vista sociosanitario. Presentano bisogni di tipo sanitario (gestione della intossicazione o della astinenza, condizioni di salute generali, patologie infettive e psicopatologie associate) e anche di tipo relazionale (compromissione dei legami familiari e sociali, mancanza di un interlocutore privilegiato per il confronto e il sostegno) e socio-assistenziali (mancanza di fonti legali di sostentamento, assenza di documenti personali, situazioni giuridiche trascurate). Nel Servizio di Pronta Assistenza i pazienti trovano una risposta alle necessità di assistenza immediata, dai bisogni di sussistenza a quelli sanitari, a quelli relazionali e affettivi con restituzione della dignità personale; trovano un punto di riferimento stabile dove reperire informazioni per orientarsi 62 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento IL TRATTAMENTO tra le diverse agenzie del territorio, in campo sanitario, dell'assistenza sociale, del mercato del lavoro e della casa. Il Servizio produce anche materiale informativo cartaceo. I pazienti possono usufruire di accompagnamenti terapeutici verso i servizi ambulatoriali e di sostegno ai progetti di inserimento in centro crisi e comunità residenziali, e sono così facilitati nella realizzazione di progetti articolati che prevedono il coinvolgimento di altre agenzie; trovano inoltre la possibilità di recuperare e sviluppare le proprie risorse tramite attività culturali, sportive, socializzanti, laboratori di tipo espressivo (empowerment). Le diagnosi e gli avvii precoci alle cure evitano gravi degenerazioni delle condizioni sanitarie e psicosociali, e la possibilità di iniziare una relazione terapeutica, in un contesto di facile accessibilità, innesca meccanismi di consapevolezza sullo stato della propria salute e sulla possibilità di prendersene cura. Inoltre, la Pronta Assistenza può offrire gestione di situazioni critiche e orientamento nel sistema dei servizi a familiari e persone vicine ai tossicodipendenti. Uno dei risultati più significativi della Pronta Assistenza è quello di venire a contatto con soggetti che non sono mai stati seguiti, o che non lo sono più, da un Ser.T. o da una Comunità (cosiddetto “sommerso” e “ri-sommerso”). Si evidenzia che, mentre il 58% dei passaggi si riferisce a soggetti già in contatto con i SERT e gli altri Servizi, il 42% riguarda soggetti mai entrati in contatto con il sistema di cura o che ne sono usciti, abbandonandolo. Circa il 15% del sommerso viene inviato e messo in contatto con i diversi Servizi territoriali competenti per le problematiche presentate. Il 2-3% viene anche fisicamente accompagnato, sia per le condizioni della persona, sia per garantire l'esito dell'invio. RIASSUNTO La concezione di patologia deve essere declinata in una serie di caratteristiche che costituiscono la definizione concreta dell'oggetto di lavoro (di che cosa ci occupiamo?) e la specificazione delle finalità e delle modalità con cui si interviene (come lo facciamo e perché?). Nella organizzazione di un Servizio per la cura delle tossicodipendenze ci si trova a confronto con persone e con problemi estremamente variabili e spesso drammatici e urgenti. Pertanto la risposta ai problemi non sempre può essere codificata attraverso protocolli, perché è impossibile prevedere tutte le specificità di ogni situazione possibile. L'efficienza del Servizio è quindi data da una cornice generale, che collega con la massima coerenza possibile gli aspetti teorici e quelli organizzativi, consentendo all'operatore di muoversi liberamente a seconda delle necessità, ma all'interno di un “perimetro” e attraverso collegamenti che garantiscono il senso dell'insieme. Le fasi di sviluppo della relazione tra il paziente e il Servizio possono essere sottolineate e accompagnate da un percorso tra i nodi della rete di cura, attraverso la gestione del contratto negoziato, esplicitato e concordato e la cura di una relazione motivante. La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento 63 CONCLUSIONE CONCLUSIONE Questo è, almeno nelle linee generali e in forma un po' semplificata, quello che il nostro gruppo di lavoro ha elaborato attraverso l'esperienza clinica, lo studio e il confronto con l'esterno. Purtroppo, la complessità del problema, le scarse o solo recenti conoscenze in merito e le visioni prevalenti che tendono a minimizzare gli aspetti sanitari (biopsicologici) e i bisogni di cura correlati e ad enfatizzare gli aspetti “riabilitativi”, costituiscono ad oggi il maggiore ostacolo ad un approccio corretto alla tossicodipendenza. Quando sarà possibile che la Medicina delle Dipendenze sia vista come una delle specializzazioni “normali” dell'assistenza sanitaria? Quando sarà possibile considerare la Medicina delle Dipendenze solo un pezzetto della risposta della Società alla “questione droga” e non necessariamente una specie di luogo totalizzante che deve dare risposte “complessive”? Un profondo processo di cambiamento culturale ci aspetta. Ciò che ci consola è che è un processo inevitabile; ciò che ci dispiace è che probabilmente non ne vedremo gli sviluppi. Ci auguriamo comunque che questo libretto possa costituire uno stimolo allo sviluppo della cultura sulle tossicodipendenze anche tra chi non necessariamente se ne deve occupare in modo professionale. 64 La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento PRESENTAZIONE Questa introduzione alla dipendenza da sostanze è il frutto della riflessione clinica, delle sperimentazioni organizzative e delle esperienze formative sviluppate dalla Unità Operativa Patologie da Dipendenza della ASL 3 di Torino. Nel suo intento di integrazione e di sintesi, costituisce un'opera originale nel panorama editoriale italiano, dove abbondano pubblicazioni di grande livello, ma scarseggiano strumenti per la formazione di base che abbiano un taglio clinico e operativo. Volutamente lineare, l'esposizione accompagna il lettore dalla individuazione dei pregiudizi che di solito informano l'approccio e il discorso sulle dipendenze ad una visione che integra le più moderne acquisizioni scientifiche (medico-biologiche e psicologiche) con la realtà della clinica e della relazione “viva” con la persona dipendente. Indirizzato ad Operatori che, in ragione del loro lavoro, pur non essendo specialisti del settore, vengono in contatto con persone dipendenti da sostanze (ad esempio Educatori delle cooperative sociali che seguono progetti di borse-lavoro, Assistenti Sociali di servizi del Comune o di altri servizi sanitari, Insegnanti che devono conoscere meglio la problematica, etc.), il volume può essere utile anche per Operatori Sanitari in fase di formazione specialistica, come avvicinamento alla clinica e al pensiero delle dipendenze. Emanuele Bignamini (1956) si laurea in Medicina e si specializza in Psichiatria a Torino; si perfeziona in Medicina Psicosomatica a Roma. È Analista Predidatta della Società Italiana di Psicologa Individuale. Dirige la UOA Patologie da Dipendenza della ASL 3 di Torino, che ha ottenuto diversi riconoscimenti per la qualità (nel 1997 il premio “Cento progetti per i Cittadini”del Ministero Funzione Pubblica; nel 2001 il primo premio assoluto al “Forum PA - Sanità” del Ministero della Sanità; nel 2004 il terzo premio al concorso “Sei progetti per favorire l'integrazione socio-sanitaria” di Federsanità ANCI Piemonte). Svolge attività di formazione a livello nazionale per Ministeri, Regioni, ASL, Università, Enti privati. È membro del Direttivo Nazionale della Federazione dei Servizi delle Dipendenze FEDERSERD. È Docente di “Psicopatologia e Clinica delle Tossicodipendenze” presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della SAIGA di Torino. È Consigliere, responsabile dell'area psicoterapica, e Docente della Scuola Superiore di Medicina delle Tossicodipendenze, promossa dalle Università di Pisa, Siena e Cagliari. E’ componente del Comitato di Redazione della Rivista “Dal Fare al Dire” periodico di informazione e confronto sulle patologie da dipendenza. Ha al suo attivo, tra pubblicazioni e relazioni a Congressi di livello nazionale, oltre 100 lavori scientifici. Tra le sue opere il volume “Dipendenza da Sostanze e Patologia Psichiatrica. Percorsi di ricerca sulla comorbilità”, pubblicato nel 2002 per Editeam. € 2,85 (i.i.)