Luigi Arcieri, Emanuele Bignamini, Maria Michela Damiani,
Rosanna Giulio, Maria Elisabetta Minniti, Sara Zazza
Un’introduzione per la comprensione e per l'intervento
a cura di
Emanuele Bignamini
Edizioni Publiedit
A CURA DI
INDICE
Emanuele Bignamini
Luigi Arcieri
Educatore professionale, ha maturato esperienze
negli ambiti di sostegno alla genitorialità,
dell'infanzia, degli adolescenti ed effettua attività
formative per operatori sociosanitari. Dal 1998
lavora per l'Unità Operativa autonoma Patologie
da Dipendenza dell'ASL 3 di Torino e dal
settembre del 2001 è responsabile del Servizio
Drop In
Maria Michela Damiani
E’ educatore professionale e mediatore dei
conflitti familiari e di comunità. Dopo una breve
esperienza nel centro accoglienza del Gruppo
Abele, dal 1993 lavora nei Servizi per le
Dipendenze. Attualmente presso i Servizi
dell'ASL 3 di Torino è inserita in particolare nelle
équipes del trattamento diagnostico e del
reinserimento lavorativo.
Premessa
1
Introduzione
3
LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE
9
0
Le teorie psicologiche
0
Gli studi sociali
13
0
La neurobiologia e la medicina
14
UNA RAPPRESENTAZIONE DELLA
TOSSICODIPENDENZA INTEGRATA
E FONDATA SCIENTIFICAMENTE
17
0
Tipi di relazione soggetto - sostanza
18
0
Significati e funzioni
della relazione individuo - sostanza
22
0
La tossicodipendenza, le tossicodipendenze
24
0
Dipendenza: una definizione
26
0
La psicopatologia della dipendenza:
nuclei specifici
27
Rosanna Giulio
Psicologa e psicoterapeuta, lavora nell'ambito
delle patologie da dipendenza dal 1992 e dal 2000
è responsabile del Servizio Pronta Assistenza per
Tossicodipendenti dell'Asl 3 di Torino. È componente della Commissione regionale per i Servizi a
bassa soglia.
9
Maria Elisabetta Minniti
Laureata in Scienze della Formazione,
è
educatrice professionale, counsellor professionista formata presso il Centro di Psicologia ad
Analisi Transazionale di Milano e membro del
(Coordinamento Nazionale Counsellor Professionisti). Lavora nella Unità Operativa Patologie
da Dipendenza della ASL 3 di Torino con l'incarico di responsabile degli inserimenti lavorativi e
di un progetto di prevenzione presso le Scuole
Medie Inferiori.
LA RELAZIONE TERAPEUTICA
CON IL PAZIENTE TOSSICODIPENDENTE
31
IL TRATTAMENTO
35
Sara Zazza
CONCLUSIONE
Si è laureata in Psicologia Clinica presso
l'Università La Sapienza di Roma nel 1989, e
specializzata in Psicoterapia ad orientamento
sistemico-relazionale a Torino nel 1994. Dal
1993 svolge la sua attività clinica presso l'U.O.A.
Patologie da Dipendenza A.S.L. 3 di Torino, dove
dal 2000 è Responsabile della fase di Trattamento
Diagnostico.
I contenuti sono stati elaborati
sulla base di testi e documenti
prodotti in lavori collettivi da tutta l’Unità Operativa Patologie da
Dipendenza dell’ASL 3 di Torino
0
Aspetti da tenere presente
35
0
Un modello organizzativo
per gestire i trattamenti
47
64
Edizione e realizzazione
PUBLIEDIT s.a.s.
Editoria, Informazione, Organizzazione
12100 CUNEO - Via Roma, n°22
00165 ROMA - Vicolo Silvestri, n°51
Sito internet: www.publieditweb.it -
e-mail: [email protected]
Finito di stampare nel mese di Novembre 2006
Stampa: TIPOLITOEUROPA - Cuneo
Tutti i diritti sono riservati agli autori e all’Editore.
PREMESSA
PREMESSA
“Noi non siamo portatori di un pensiero originale…
siamo artigiani chiamati a lavorare ad un manufatto
già avviato da altri…
a perfezionare qualcosa che già esiste”
E. Ferrero, La misteriosa storia del papiro di Artemidoro
In occasione di vari incontri formativi con Operatori della riabilitazione e dei
progetti di reinserimento sociale, così come con Insegnanti e anche con
Operatori sanitari che si avvicinavano per la prima volta alle patologie da
dipendenza, ci è stato chiesto dove si potevano trovare le cose che noi
presentavamo.
Abbiamo dovuto allora renderci conto di due cose: che quello che proponevamo
suscitava molto interesse e non era affatto scontato e neanche così
comunemente diffuso; che non avevamo indicazioni bibliografiche da dare (o
meglio: ne avremmo dovuto dare numerose, con il rischio, per chi avesse voluto
approfondire, di disperdersi), perché la nostra rielaborazione delle conoscenze
sulle dipendenze da sostanze, pur non costituendo un pensiero troppo “privato”,
era di fatto una sintesi di diversi contributi e stimoli, sintesi non disponibile nelle
pubblicazioni oggi reperibili in Italia.
Per necessità abbiamo allora pensato di riorganizzare in un documento scritto
quanto presentiamo solitamente in modo discorsivo.
Ne è nato questo libretto, che vuol servire da introduzione alla dimensione
clinica delle dipendenze.
Ovviamente, tra dire e scrivere c'è una bella differenza e un po' della
immediatezza comunicativa favorita dalla interazione con l'ascoltatore si perde.
Scrivere in più di uno, poi, richiede un confronto non solo sui contenuti, ma
anche sui limiti e sulle modalità.
Insomma, ci abbiamo messo più di un anno, in mezzo a tutto il resto delle cose
da fare.
I destinatari sono Operatori che, in ragione del loro lavoro, pur non essendo
specialisti del settore, vengono in contatto con persone dipendenti da sostanze:
ad esempio Educatori delle cooperative sociali che seguono progetti di borselavoro, Assistenti Sociali di servizi del Comune o di altri servizi sanitari,
Insegnanti che devono conoscere meglio la problematica, etc. ...
Il discorso non vuole essere una “trattazione”, quindi non si propone di essere
esaustivo: sul piano informativo è certo carente, intenzionalmente selettivo
(richiede, quindi, un atto di fiducia e una lettura critica).
Si propone, invece, di dare una idea, sufficientemente precisa, di che cosa sia la
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
1
PREMESSA
dipendenza da sostanze, o meglio di come possiamo pensarla oggi dal punto di
vista clinico.
Un'idea che aiuti a non banalizzare la patologia e i problemi connessi, a non
banalizzare il lavoro degli specialisti delle dipendenze, a non pensare di sapere
già tutto, a non pensare che non ci sia niente da scoprire e che non ci sia una
continua evoluzione culturale nel campo.
Insomma, a non semplificare troppo e a non ridurre sistematicamente un
accadimento così complesso a problemi di cattiva volontà, di cattive amicizie o
di intossicazione.
In particolare, vogliamo rappresentare l'idea che la tossicodipendenza non è
soltanto un modo del singolo per esprimere disagio (cosa da cui
conseguirebbe che, in cambio dell'agio, si potrebbe rinunciare alla droga), ma
è una vera e propria patologia che interviene con profonde trasformazioni
della (e nella) persona.
Già solo questa “rivoluzione culturale” può aiutare a vedere i pazienti e i
progetti che li riguardano con altri occhi e con altra intelligenza.
Speriamo di aver dato un contributo in questo senso.
2
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
Si discute molto di tossicodipendenza, in tutti gli ambienti, e si ha generalmente
l'idea di sapere di che cosa si sta parlando. In genere se ne parla in occasione di
qualche fatto di cronaca nera, oppure negli scontri politici di tipo elettorale. Si
discute di soluzioni, di cause, ma in genere non ci si sofferma a chiarire che cosa
si intenda per tossicodipendenza: questo rimane implicito, sottinteso (quindi
indefinito ed equivoco) e le differenze nel significato di fondo, ben presenti e
amplificate da un linguaggio di solito impreciso, generano pretestuose ed
astratte contrapposizioni che a loro volta alimentano le polemiche.
Se cerchiamo di estrapolare, dai discorsi che si sentono correntemente fare, le
sottostanti visioni sulla tossicodipendenza, possiamo ricondurle a tre
schematizzazioni generali.

La tossicodipendenza è interpretata come una “debolezza morale” della
persona. La persona è vista come debole in senso generale, per sua natura o
perché ha ricevuto una educazione sbagliata o inadeguata (è stata “viziata”),
preferisce indulgere nel piacere e nel disimpegno, non sa sacrificarsi per
raggiungere obiettivi degni, mette in atto soluzioni sbagliate, devianti, cerca
scorciatoie ai problemi della vita. Potremmo chiamare questa visione della
tossicodipendenza “moralistica” - e non “morale”-, perché si fonda su una
visione colpevolizzante e usa i criteri di “buono o cattivo”: ad esempio
considera fondamentale la “buona volontà”. Questa visione, che è una
filosofia della vita e non solo una interpretazione della tossicodipendenza, si
fonda su due pilastri: 1) il comportamento è determinato sostanzialmente
dalla volontà, volontà che si può “esercitare”, quindi la dimensione razionale
dovrebbe prevalere su ogni altra (bisogno, emozione); 2) la volontà sceglie
tra “buono” e “cattivo” in un contesto in cui gli elementi in gioco sono chiari,
oggettivi, fissi. Per quanto apparentemente rassicurante (un funzionamento
dell'essere umano così semplice dà l'impressione di poter controllare
razionalmente la società e i destini individuali) questo pensiero si scontra con
l'esperienza di vita (chi non ha mai fatto “buoni propositi”? e come è andata?)
ed è, potenzialmente, fonte di conflitti e di divisioni: “io sono convinto/mi
sforzo di essere razionale; quindi il pensiero che io elaboro è razionale;
quindi ciò che non coincide con il mio pensiero non è razionale, è
potenzialmente un male; quindi devo correggere il male con il mio bene”.

Oppure il tossicodipendente può essere visto come debole ma in senso
relativo, in quanto ha dovuto affrontare traumi straordinariamente gravi
(lutti, privazioni, violenze) che avrebbero messo a dura prova chiunque, di
fronte ai quali il soggetto non ha potuto far altro che lasciarsi andare, non
riuscendo a reagire adeguatamente; analogamente, invece di situazioni
eclatanti traumatiche, la persona potrebbe essere stata sfortunata e aver
avuto una situazione di vita particolarmente svantaggiosa e problematica
(prolungati stati di carenze affettive e di cure familiari inadeguate,
disoccupazione, povertà, etc) alla quale non ha saputo o potuto reagire.
Potremmo chiamare questa visione “psico-sociologistica”, perché prende in
considerazione elementi di sofferenza psichica o di povertà sociale come
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
3
INTRODUZIONE
determinanti. Il presupposto, è che il soggetto sia per sua natura buono (si
ricorda il mito illuministico del buon selvaggio), e che se si rimuovessero le
cause psicosociali di malessere, potrebbe ritrovare un equilibrio e recuperare
un funzionamento adeguato.

A queste visioni della questione se ne associa in genere una che considera la
tossicodipendenza come una “intossicazione”, cioè una situazione in cui la
droga assunta altera il normale funzionamento (mentale e fisico) del soggetto attraverso un meccanismo di tipo biologico (visione “medicalistica”). Da
questo punto di vista, si considera che la droga possa rendere il soggetto
meno consapevole e meno lucido, creare una dipendenza fisica che obbliga a
continuare l'assunzione e quindi determinare un bisogno di droga che
costringe il tossicodipendente ad uno specifico comportamento (ricerca di
soldi, di sostanza, ripetizione del ciclo).
L'interpretazione della tossicodipendenza sottostante questa visione è
rivelata dal rimedio che viene di solito proposto: la disintossicazione.
L'idea di fondo è che l'uso di droghe sia una specie di avvelenamento, come
quello da funghi, e che un buon lavaggio (gastrico o “del sangue”, come a
volte chiedono i pazienti) possa riportare l'organismo a funzionare bene
come prima. Ripulito l'organismo (chi ricorda l'UROD? È la disintossicazione
ultra rapida da oppiacei, che suscitò l'interesse dei media circa dieci anni fa,
proposta come sperimentazione anche dal Ministero della Sanità e dal S.
Raffaele di Milano. L'idea che rapidamente si potesse liberare l'organismo,
anche solo sul piano biologico, dalle droghe, corrispondeva a un desiderio e a
un movimento emotivo, più che alle razionali conoscenze scientifiche o
cliniche) non resta che esercitare la “buona volontà” (e si torna alle prime
due ipotesi).
Naturalmente, nonostante la loro ampia diffusione, questi punti di vista non
possono essere assunti da chi si occupa professionalmente di assistenza ai
tossicodipendenti senza una adeguata valutazione della loro fondatezza (clinica
e scientifica).
Si deve però sottolineare che sottoporre a verifica questi punti di vista non è
affatto semplice.
Queste visioni della tossicodipendenza sono in genere affermate animatamente
dai loro sostenitori, con una passione e un coinvolgimento che fa pensare che
siano solitamente fondate sulle emozioni e sulle reazioni che suscitano alcune
esperienze personali, più che su elementi di distaccata e fredda riflessione. In
effetti, è difficile trovare qualcuno che prima di esprimere opinioni e giudizi sulla
tossicodipendenza si sia documentato adeguatamente: in genere ci si
accontenta di generalizzare le proprie esperienze e di utilizzare ciò che, nelle
diverse voci pubbliche (giornali, tv, etc), fa da cassa di risonanza per le proprie
convinzioni.
In altri termini, se ad esempio si partecipa di persona ad un fatto in cui un
tossicodipendente compie una azione drammatica (in genere un reato, o anche
una overdose), la reazione emotiva che questo fatto suscita facilmente si fisserà
e produrrà una specie di “imprinting” per cui da quel momento tutti i
tossicodipendenti susciteranno (automaticamente e inconsapevolmente) una
4
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
INTRODUZIONE
“pre-comprensione” emotiva negativa.
Così come se si partecipa ad un gesto di aiuto e di solidarietà verso un
tossicodipendente, a seconda dell'esito che questo gesto avrà si fisseranno
sensazioni positive o negative che tenderanno a generalizzarsi. Oltretutto, la
associazione del concetto di tossicodipendenza con i “tossici da strada”

(sporchi, barcollanti, pericolosi, nullafacenti, senza rispetto. Sono una piccola
minoranza sui “tossici” totali, ma hanno più impatto emotivo loro degli altri, così
come basta un episodio di malasanità per definire tutta la categoria dei medici)
sollecita in chiunque sentimenti di rifiuto e ostilità.
Negli scambi con altri ci si troverà a dire “i tossicodipendenti sono fatti in questo
e quel modo; infatti a me è successo che…”.
Sarà poi molto facile trovare nelle notizie di cronaca elementi che confermano il
proprio vissuto.
Il vissuto emotivo si trasformerà quindi in opinione e in convinzione
(“razionalizzazione”: trasformare in un pensiero articolato e razionale ciò che si
è fissato sulla base di una reazione emotiva) e potrà spingere la persona che
ormai “pensa” in questo modo ad agire di conseguenza.
Questi sono i normalissimi meccanismi con cui si formano le opinioni nelle
persone, opinioni che sono quasi sempre fondate su esperienze ed emozioni,
più che su una conoscenza anche dove la razionalità (lo studio, la ricerca, il
dubbio, la critica) potrebbe o dovrebbe avere un ruolo adeguato.
Questi meccanismi sono talmente generali e funzionano in tutti al punto che gli
“stereotipi” (cioè i modi di pensare automatici) possono essere utilizzati
consapevolmente per trarre in inganno (si pensi ad esempio al truffatore che
voglia derubare qualcuno: deve vestirsi e comportarsi in modo da ispirare
fiducia, sentimento fortemente irrazionale, che si può basare anche su una
impressione superficiale) oppure, più positivamente, per comunicare qualcosa
(si pensi alla pubblicità oppure alle regole di comportamento secondo la buona
educazione, che rassicurano l'altro sulle proprie intenzioni non aggressive).
Del resto è normale che chi non ha un interesse specifico e professionale sulla
tossicodipendenza si accontenti di avere una opinione generale, senza porsi il
problema di dover davvero “studiare” e approfondire criticamente l'argomento.
Nessuno può pensare di avere sempre e comunque opinioni fondate e razionali
su qualsiasi tema: su molte cose ci si dovrà per forza fidare di qualcuno, che sia
in grado di dare una spiegazione convincente ai riscontri che i singoli possono
avere nelle proprie esperienze (e, di nuovo, in una specie di circolo chiuso
emozionale, facilmente si sarà portati a fidarci di persone che assomigliano a
chi, nelle nostre esperienze precedenti, si è dimostrato degno di fiducia).
Insomma, in realtà funzioniamo molto sulla base di sensazioni, intuizioni ed
emozioni, più che sulla razionalità e questo è normale ed è anche funzionale (se
va bene, si risparmia tempo, non si può mica controllare sempre tutto!). Questo
va bene in generale.
Qualche problema si crea invece se sono coloro che hanno qualche potere
decisionale a basare le proprie decisioni esclusivamente su simili processi
conoscitivi.
Certo, tutti i cittadini esercitano il loro potere sulla società attraverso il voto; ma
sono soprattutto gli amministratori e i tecnici che prendono le decisioni che poi
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
5
INTRODUZIONE
influenzano il tipo di risposta della società ad un determinato problema.
Se anche loro (politici, direttori, operatori professionali) si accontentano di
questo (peraltro normale) processo di conoscenza della realtà, basato sulle
proprie reazioni emotive alle proprie particolari esperienze, si può andare
incontro ad errori di valutazione e di scelta, a sprechi economici, a misure
inefficaci e a volte dannose e pericolose.
Infatti, ognuna delle visioni della tossicodipendenza sopra descritte genera
conseguenze pratiche.
Se il tossicodipendente è visto come un soggetto con “debolezza morale” è
chiaro che la scelta di intervento sul problema sarà guidata dalla necessità di
“correggere” questa debolezza.
Potranno essere preferiti sistemi più persuasivi o più repressivi (dalla
rieducazione tollerante alla punizione più intransigente) a seconda dell'animo e
della cultura di chi deve scegliere, ma la filosofia di intervento sarà la stessa.
Il soggetto dovrà seguire norme e regole, adeguare il suo comportamento,
dimostrare che la sua volontà è cambiata (è diventata “buona volontà”)
attraverso una serie di prove (rispetto di proibizioni e di limitazioni, lavoro,
ubbidienza).
Si sa, però, che la “tentazione” è sempre in agguato e che “il lupo perde il pelo,
ma non il vizio”; questo approccio “rieducativo” richiede quindi un elevato
investimento nel mantenere nel tempo dei sistemi di controllo esterno del
comportamento del tossicodipendente, dato che non ci si può del tutto fidare dei
cambiamenti osservabili e si pensa di non avere strumenti per sapere che cosa
“davvero” è cambiato all'interno della persona (sono ben noti episodi di detenuti
che hanno finto per lungo tempo di essere riabilitati, pur di ottenere i loro scopi).
Su questi presupposti si fonda, ad esempio, l'idealizzazione di strumenti di
intervento che “chiudano” il tossicodipendente in un ambiente in grado di
controllarlo completamente (tipo le istituzioni totalizzanti).
Se invece la tossicodipendenza è “spiegata” come un eccesso di svantaggi e di
sfortune che hanno sopraffatto il soggetto, si cercherà di ridurre il suo handicap,
di riparare ai torti, di compensare le carenze, aspettandosi che, finalmente
compreso e ricompensato di quanto patito in passato, il soggetto possa
abbandonare la falsa consolazione e il pericoloso rifugio della droga. Anche
questo approccio richiede enormi investimenti di tipo “riabilitativo”; come si fa a
stabilire quanto e che cosa è necessario per riparare i danni?
Basta dare un lavoro, una casa?
Basta essere indulgenti e comprensivi per compensare le trascuratezze subite?
E fino a quando?
E se dopo un grande investimento di risorse sul cambiamento di una persona
questa ricade nella droga e delude il terapeuta, che cosa di deve pensare?
Forse verrà il dubbio che quanto offerto dalla riabilitazione sia stato poco
gratificante per il soggetto a fronte della gravità dei traumi subiti, e si
moltiplicheranno gli investimenti sempre ovviamente nella stessa direzione
(una specie di “accanimento riabilitativo”, messo in atto da chi non si sente di
prendere atto del fallimento degli sforzi terapeutici fatti o che non può
6
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
INTRODUZIONE
sopportare l'idea di aver abbandonato qualcuno al suo destino perché lui - il
terapeuta - non riesce ad incidere sulla situazione).
Se si considera la tossicodipendenza una intossicazione, si privilegeranno gli
interventi medici finalizzati a riportare la “normalità” nel funzionamento
dell'organismo. Le cure, finalizzate a superare la crisi di astinenza che spesso
danno alcune droghe, creano aspettative un po' illusorie: che il soggetto,
finalmente libero dal bisogno della droga che era mantenuto dalla
intossicazione, finalmente consapevole di sé e della sua situazione e non più
annebbiato dalle sostanze, rendendosi conto di come stava male prima e di
come sta bene dopo, decida di astenersi per il futuro dall'assumere nuovamente
le sostanze tossiche.
Qui prevale la visione “naturalistica” dell'uomo, per cui si pensa in genere che,
se la persona è libera, sceglie il bene invece del male. Liberato dal bisogno di
droga grazie alle cure, il soggetto vivrà secondo i saggi consigli medici per
preservare la sua salute.
Su questa teoria si sono fatti fortissimi investimenti, in realtà soprattutto da
parte delle famiglie dei tossicodipendenti che hanno pagato forti somme per le
costose cure di disintossicazione rapida o per “cure del sonno”, generalmente
offerte da privati.
Tutte e tre queste visioni affrontano il problema della tossicodipendenza con
interventi che si prefiggono la “soluzione” in modo definitivo e completo e,
ovviamente, si confrontano tutte e tre con esiti che frequentemente sono visti
come fallimenti: la persistenza (senza soluzione di continuità, oppure con
ricadute cicliche) della tossicodipendenza.
Alla fine, le tre teorie tendono ad unificarsi in un atteggiamento
sostanzialmente espulsivo: se dopo avere avuto tutte le cure necessarie
(rieducative, riabilitative e mediche) il soggetto non cambia il suo
comportamento, allora … “se lo vuole proprio”.
Gettata la spugna, il terapeuta lascia lo spazio al censore, che abbandona il
soggetto al suo destino e che interviene solo per impedire che questi causi
danno alla società.
A questo punto però si propone un scelta critica: il fallimento degli interventi
correttivi dimostra essenzialmente quanto siano incurabili i tossicodipendenti
oppure ci dice qualcosa anche sulla validità delle teorie sulla tossicodipendenza
che hanno fondato le cure messe in atto?
Qui si introduce la possibilità che il dubbio metodico aiuti a rivedere criticamente
le diverse impostazioni, a cercare interpretazioni più rispondenti alla realtà e
che possano informare interventi di cura più efficaci. Si pone quindi la necessità
di studiare, di ricercare, di “conoscere”. Ed è proprio questo che verrà proposto
in questo libretto: elementi nuovi, provenienti da diverse aree di ricerca, che
integrati tra loro e confrontati con l'osservazione professionale di molti di casi e
con il parere di molti clinici, possono essere rielaborati in una visione
scientificamente fondata della tossicodipendenza, che orienti interventi più
utili, più rispondenti alla realtà del problema che si vuole affrontare.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
7
INTRODUZIONE
RIASSUNTO

Ognuno ha bisogno di farsi una opinione sul mondo in cui vive, per
potervisi collocare.

Ma solo su alcune cose e' effettivamente possibile farsi opinioni
approfondite e documentate.

Su molti temi si deve necessariamente fare riferimento alle
particolari esperienze personali e ci si deve affidare al parere di
persone che ci sembrano (anche se non se ne ha la prova) degne di
fiducia.

In questo modo si sono affermati, nell'opinione pubblica, tre modi di
vedere la tossicodipendenza che non sono fondati scientificamente,
ma che si sono dimostrati “convincenti”: un modo moralistico, un
modo psico-sociologistico, un modo medicalistico.

Queste tre visioni della tossicodipendenza prevalgono normalmente
anche tra chi ha potere di scelta sugli interventi da attuare verso la
tossicodipendenza.

Prevalgono cosi' interventi (certi tipi di interventi rieducativi,
riabilitativi, medici) che hanno come destino comune di verificare
quanto siano in realta' incurabili i tossicodipendenti

Finiscono cosi' per rinforzare un atteggiamento di abbandono del
problema, che a sua volta puo' alimentare o la rinuncia e il
disinteresse oppure colpi di coda per una “soluzione finale” della
tossicodipendenza.

In realta', il fallimento degli interventi puo' essere determinato anche
da premesse teoriche (su che cosa e' la tossicodipendenza) troppo
emotive e poco razionali.

Alla ricerca di interventi piu' efficaci e piu' rispondenti alla realta' del
problema si propone un percorso che inizi proprio dalla domanda
“come possiamo pensare la tossicodipendenza?”.
8
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE
LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE


“…la navicella del nostro sapere
può
avanzare
solo
se
usiamo
le conoscenze già acquisite

come un remo”
E. Ferrero, La misteriosa storia del papiro di Artemidoro

Il nostro percorso inizia da una verifica molto sintetica (non vogliamo fare un
trattato! Ogni singolo paragrafo potrebbe essere un libro, ma qui ci interessa
richiamare solo alcuni dati di riferimento) di ciò che gli studi scientifici hanno
prodotto come conoscenze oggi disponibili sulla tossicodipendenza.

Le conoscenze scientifiche sono state prodotte all'interno di diversi ambiti di
studio: la psicologia, la sociologia, la neurobiologia.

LE TEORIE PSICOLOGICHE
Una delle prime discipline che ha cercato di spiegare la tossicodipendenza e di

individuarne il significato è la psicologia, che ha elaborato diversi modelli di
interpretazione sui quali si fondano diverse strategie di intervento e di
trattamento. Nell'ambito delle teorie psicologiche, possiamo schematicamente
individuare tre approcci che si sono maggiormente impegnati nello studio delle

tossicodipendenze: psicodinamico, relazionale, cognitivo-comportamentale.
L'approccio psicodinamico

I modelli individuali ad orientamento psicodinamico spiegano la
tossicodipendenza come un tentativo fallimentare e illusorio di superare e
risolvere un profondo disagio e una sofferenza, dei quali la persona spesso non
è consapevole, trattandosi di un malessere molto profondo e con radici nelle
primissime esperienze di vita. Alla base di questa sofferenza ci sarebbero
carenze risalenti a fasi molto precoci dello sviluppo del bambino (0-3 anni), e
relative quindi alla relazione con la madre o con chi si occupa della sua crescita
(il care-giver). Per motivi diversi, l'adulto che accudisce il bambino non riesce a
mettersi in sintonia con lui e a riconoscere i suoi bisogni. Il bambino cresce con
delle “mancanze” (innanzitutto il non riconoscimento come persona differente
dalla madre) che non sono immediatamente evidenti, ma che minano la sua
possibilità di sentirsi sicuro di sé e capace, cioè autonomo.
Nell'esperienza clinica, possiamo notare questa “incompetenza” nell'accudire i
propri figli nelle madri che parlano di essi come se fossero ancora neonati e non
invece adolescenti o giovani adulti, come se sentissero il figlio come un prolungamento di loro stesse e non come una persona autonoma. Di solito queste
mamme raccontano che loro non hanno mai bisogno di parole: “non c'è bisogno
che lui parli perché so sempre cosa pensa e cosa vuole”. Questa espressione ci
segnala la presenza di un problema nel rapporto con il figlio: la madre non
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
9
LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE
Suggerimenti
Per approfondire
L’approccio psicodinamico
Claude Olievenstein individua un meccanismo particolare nello sviluppo psicoaffettivo che correla con la tossicodipendenza.
L'autore parla di una tossicodipendenza
nucleare prodotta dal fallimento della fase
dello “specchio infranto”. Fra i 6-18 mesi il
bambino dovrebbe costituire un Io diverso
da quello della madre e la madre, come uno
specchio, dovrebbe rinviargli un'immagine
unitaria e differenziata da sé.
A differenza della psicosi, dove la fase
“dello specchio” non si realizza (per cui
bambino non si vede per nulla), qui, appena
ha luogo il riconoscimento avviene anche la
frattura, lo specchio si infrange rimandando
una immagine frammentata e incompleta, a
pezzi, che riporta al precedente stato di
indifferenziazione del sé.
Questa esperienza apre una ferita, che in
seguito il tossicomane cercherà di
annullare con l'assunzione della sostanza
stupefacente.
Olivenstein C.: Il destino del tossicomane,
Borla, 1984.
Jean Bergeret descrive tre tipologie di
tossicomani:
- Tossicomani con struttura nevrotica:
presentano insufficiente capacità di
mentalizzazione, il conflitto viene
espresso attraverso comportamenti e
non verbalizzato, la persona assume
atteggiamenti autopunitivi, fra cui l'uso
di sostanze stupefacenti, per i sensi di
colpa dovuti a intenti aggressivi o
inaccettabili.
- Tossicomani a struttura psicotica: presentano un Sé frammentato, l'assunzione
di droghe è utilizzato come difesa dell'Io
con due funzioni: creare un mondo
artificiale in cui la dimensione psicotica
può ritrovarsi; giustificare la perdita di
contatto con la realtà con l'uso di
sostanze.
- Tossicomani ad organizzazione depressiva: la crisi adolescenziale non è stata
integrata e ciò comporta l'assenza del
desiderio e di un immaginazione oggettuale. I pazienti si presentano con caratteristiche dipendenti ed investimenti oggettuali non chiari.
Bergeret J.: Chi è il tossicomane, Dedalo,
1983.
10
considera che ci possano essere differenze fra i
pensieri e le emozioni che le appartengono e
quelli del figlio. In questo modo, fin dalla prima
infanzia, il figlio non è facilitato nell'espressione
dei suoi desideri ed emozioni, non può affermare
se stesso e differenziarsi e non riesce sviluppare
una propria identità sicura. Avrà quindi difficoltà
personali e relazionali nell'affermarsi, nel riconoscere e perseguire le sue finalità, nelle situazioni
di conflitto interpersonale, negli scambi affettivi:
qualsiasi aspetto della sua vita potrà essere fonte
di frustrazione, di senso di impotenza e di rabbia.
La persona cercherà di calmare o di non sentire
queste emozioni spiacevoli in diversi modi e, se
verrà a contatto con le droghe, potrà usarle come
“anestetico”. L'uso di droghe darà al soggetto,
oltre al vantaggio diretto del sollievo dai contenuti mentali angosciosi, anche un alibi: “ho difficoltà nella vita perché mi drogo e non per altri tipi di
problemi”.
È un pensiero rassicurante: se la causa di tutti i
mali è la droga, la soluzione di tutti i mali è a
portata di mano: basta smettere (“è vero che non
smetto, ma se volessi…”).
Il soggetto può cullarsi nel sogno onnipotente di
avere a portata di mano la soluzione di ogni male
e di fare un gioco in cui vince sempre: se si droga
ottiene sollievo, se smette trionfa (vale però
anche il contrario, è un gioco in cui perde sempre: se si droga viene biasimato, se smette tutto
il suo fallimento gli piomba addosso. Questa
ambiguità e questa doppia valenza è tipica della
psicologia del tossicodipendente).
Bisogna sottolineare che questo meccanismo
psicopatogenetico non è considerato specifico
per la tossicodipendenza, ma viene chiamato in
causa dalle scuole psicodinamiche come spiegazione di molte e diverse situazioni patologiche,
interpretate come diversi tentativi di trovare
soluzione alla sofferenza di base.
L'uso di droga è considerato analogo ad un
qualsiasi altro sintomo psicologico, cioè contemporaneamente ricerca di sollievo dal disagio e
segnale del disagio stesso.
La tossicodipendenza è quindi considerata
l'espressione di un malessere e non un malessere
in sé.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE
L'approccio relazionale
I modelli relazionali, che considerano le patologie
individuali come “sintomo” di un malessere che
riguarda tutto il sistema relazionale in cui il
singolo è inserito, hanno studiato i tipi di
organizzazione familiare del tossicodipendente e
formulato ipotesi sulla trasmissione di carenze
affettive nelle generazioni.
Alcuni modelli descrivono un padre non in grado
di avere un rapporto soddisfacente con la moglie,
né di essere un punto di riferimento forte per i
figli.
La tossicodipendenza del figlio, in questo caso,
offre la possibilità ai coniugi di coprire i loro
conflitti con la comune preoccupazione per lo star
male del figlio: lo spostamento di attenzione
permette la stabilità della coppia.
Questi genitori sembrano convinti che non ci
sarebbero problemi nella loro famiglia se il figlio
non fosse tossicodipendente e raccontano la loro
storia familiare come se prima della “scoperta”
della tossicodipendenza fossero felici.
Altri modelli individuano l'elemento critico nella
scarsa attenzione dei genitori nei confronti del
figlio, mancanza di cui i genitori non sono
consapevoli.
Spesso, entrambi i genitori hanno alle loro spalle
storie cariche di sofferenza rispetto alle
attenzioni ricevute a loro volta come figli.
Poiché si impara dal proprio contesto come
comportarsi nelle relazioni, si tende a riproporre,
in questo caso con i propri figli, le modalità
(carenti, patologiche) apprese dai genitori.
Anche nei modelli relazionali, come già visto in
quelli psicodinamici, non c'è univocità nell'
evidenziare il fattore patogeno, né viene
individuato un meccanismo patogenetico
specifico della tossicodipendenza.
I diversi meccanismi riconosciuti sono alla base
anche di altre diverse situazioni patologiche.
Un elemento comune al modello individuale
psicodinamico e a quello relazionale è che considerano la tossicodipendenza l'espressione di una
sofferenza, un sintomo di una patologia “altra”
che si è costituita attraverso traumi dello sviluppo, o nelle dinamiche della famiglia e che il futuro
Suggerimenti
Per approfondire
L’approccio relazionale
Luigi Cancrini ha recentemente rivisto la
sua classica tipologia e riprende il tipo di
organizzazione della famiglia del
tossicodipendente, definendo tre aree
problematiche che individuano significati
diversi del comportamento patologico.
Tossicodipendenze di area traumatica
(tipo A): si evidenzia nella storia della
persona un trauma ben definito (lutti,
separazioni, delusioni).
L'entrata nella tossicodipendenza può
avvenire a breve distanza dal trauma e
assume un significato di negazione dello
stesso (elaborazione patologica del lutto
che corrisponde al disturbo di adattamento
del DSM IV).
Tossicodipendenze di area nevrotica (tipo
B): la tossicodipendenza è legata all'emergere di problemi relativi all'individuazione
del sé nell'adolescenza che rimette in
discussione un precedente equilibrio
affettivo.
Il conflitto non è riconoscibile e non è
consapevole.
Tossicomanie di area border-line e sociopatiche (tipi C e D): la droga permette di
controllare i sintomi di un disturbo
psichico pre-esistente (che corrisponde ai
disturbi di personalità del DSM IV).
Cancrini L.: Specchio delle mie brame,
Frassinelli, 2003.
Stefano Cirillo e Colleghi hanno elaborato
un modello detto “trigenerazionale”,
secondo il quale gli aspetti patologici di
rapporto tra genitori e figli vengono
trasmessi da una generazione all'altra e si
manifestano come patologia evidente
nell'arco di tre generazioni.
Il rispecchiamento da parte del figlio nei
confronti del genitore dello stesso sesso
negli aspetti non elaborati di perdita
costituisce il fattore patogeno. Vi
sarebbero tre principali forme di scambio
relazionale patogeno genitori-figli:
Accudimento mimato: chi si occupa del
bambino propone un accudimento non
fondato sui reali bisogni del figlio e lo
scambio relazionale diventa illusorio (“mi
occupo di te per soddisfare i miei bisogni
di genitore, a mia volta figlio non risolto”).
Accudimento strumentale contro l'altro
coniuge: uno dei due genitori, più spesso la
madre, è ipercoinvolto nella relazione con
il figlio, ma questo iperinvestimento è lo
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
11
LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE
Suggerimenti per approfondire
strumento che gli permette di alimentare la
guerra contro l'altro coniuge (il figlio
rimane confuso e non riesce a decodificare
“l'imbroglio” ).
Abbandono: per i genitori, i figli sembrano
non esserci e ciò viene da loro giustificato
adducendo necessità oggettive , senza che
sia percepibile un progetto di famiglia.
Cirillo S., Berrini R., Cambiaso G., Mazza
R.: La famiglia del tossicodipendente,
Cortina, 1996.
Cirillo S., Cambiaso R., Mazza R.: Il padre
del tossicodipendente, La Rivista di
Servizio Sociale, 1/2000.
Suggerimenti
Per approfondire
L’approccio
cognitivo-comportamentale
Marlatt e Gordon propongono un modello
cognitivo dell'abuso di sostanze. Questo
modello, partendo dalle definizione di
“disturbo da abuso di sostanza” (DSM IV e
ICD 10) pensa alla tossicodipendenza
come un processo che si instaura per fasi e
tempi diversi (inizio, abuso, dipendenza) e
concentra la sua attenzione su come
interrompere il comportamento di
dipendenza.
Descrivono sette stadi, in rapporto circolare
fra di loro, del processo di mantenimento
della dipendenza.
1. Stimoli a rischio elevati: è la variabile
più associata alle ricadute. Gli stimoli
possono essere esterni (rivedere luoghi
o persone associate all'abuso di
sostanze)
o interni (stati emotivi
particolari che riattivano i ricordi di
episodi passati di utilizzo delle droghe).
2. Credenze maladattive: si tratta di
convinzioni disfunzionali relative alle
droghe e al loro uso (es. “sniffare” è
meno grave che “bucare”).
3. Pensieri automatici: sono espressioni,
idee, esclamazioni che aumentano il
desiderio dell'uso (“è capodanno”, “chi
se ne importa!”)
4. Appetizione patologica e bisogno
compulsivo di assumere sostanze: si
tratta di sensazioni fisiche (craving) che
inducono al comportamento di abuso
che viene ricercato per avere sollievo
dalla compulsione.
12
tossicodipendente si è trovato a fronteggiare
senza adeguate risorse (cognitive, emotive e
affettive).
Al “sintomo” tossicodipendenza non viene
dedicata particolare attenzione se non per capire
a che cosa d'altro può rimandare.
Coerentemente con questa visione, è condizione
preliminare ad ogni tentativo terapeutico la
sospensione dell'assunzione di sostanze.
La persistenza del comportamento tossicomanico costituisce, in genere, un impedimento
insuperabile al trattamento psicoterapeutico.
L'approccio cognitivo-comportamentale
Le teorie cognitivo-comportamentali non formulano ipotesi sulle possibili cause remote della
patologia, ma studiano come funzionano il
pensiero e il comportamento e cercano di attuare
delle strategie e delle tecniche per aiutare a
prevenire, gestire, contenere, non ripetere gli
schemi che mantengono la disfunzione.
La teoria cognitiva ipotizza che molta parte dei
problemi psicologici siano il risultato di come le
persone rappresentano sé stesse e il mondo.
Questa teoria si sofferma su ciò che accade alla
persona e cerca di chiarire quali siano i pensieri,
le convinzioni, le emozioni, i comportamenti
rispetto alla droga.
L'analisi di ciò che si fa, si pensa, si sente può
mettere in evidenza delle false credenze che
devono essere corrette attraverso un adeguato
apprendimento.
Le false credenze (“se non mi buco, non sono
tossicodipendente”, “il metadone è una droga”,
“bere una volta non mi farà ricadere
nell'alcolismo”, etc.), se non affrontate, possono
ostacolare il percorso di cambiamento della
persona che chiede aiuto per smettere di essere
dipendente. L'intervento ha prevalentemente
l'obiettivo di dare alla persona strumenti di
autovalutazione rispetto alla propria situazione e
di suggerire tecniche per gestirla diversamente.
L'approccio comportamentale, spesso integrato
da quello cognitivo, considera gli aspetti condizionabili del comportamento, mettendo in luce gli
automatismi patologici acquisiti e proponendo
altri automatismi, più sani, con cui sostituirli.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE
GLI STUDI SOCIALI
Gli studi sociali ipotizzano che i fattori che
favoriscono lo sviluppo della tossicodipendenza
siano da ricercare non nel singolo, nei genitori o
nella famiglia, ma nell'ambiente sociale e
culturale nel quale la persona si trova inserita.
La tossicodipendenza è intesa come espressione
di disadattamento e di devianza, quindi si
ricercano quali siano i fattori problematici di
ordine socio-culturale in concomitanza dei quali il
fenomeno droga si è manifestato, come
comportamento di massa e come fatto
generazionale.
Questi studi interpretano il dilagare dei fenomeni
di tossicodipendenza come manifestazione di
una crisi più complessiva di un modello di società
e di un meccanismo di sviluppo basati sulla spinta
al consumo e sul tentativo di dare una risposta
individuale alle difficoltà e ai disagi tipici della
condizione giovanile.
La mancanza di momenti di aggregazione nei
quartieri periferici delle grandi città o nei
quartieri inospitali dei centri storici, la triste
prospettiva della disoccupazione, della
sottoccupazione, del lavoro precario o
dequalificato, così come la competizione
esasperata, la crescita “obbligata”, la perdita di
umanità nelle relazioni, favoriscono l'uso di
droghe sia come evasione da una realtà senza
speranza sia come “doping” per sostenere la
prestazione, in particolare tra i giovani, privati
della loro identità culturale e confusi dai modelli
consumistici.
Inoltre l'uso di droga, favorendo una forma di
aggregazione (per quanto alienata) tra i giovani,
compensa l'isolamento nel quale la società li
confina: l'appartenenza ad un gruppo fornisce
un'identità condivisa e riconosciuta, anche se
fittizia.
La sociologia dà un importante contributo alla
comprensione dei modelli culturali che
influenzano la diffusione del tipo di sostanza
stupefacente.
Ad esempio, l'importanza sociale di essere “su di
giri”, iperattivi ed euforici a tutti i costi, favorisce
le droghe i cui effetti sostengono queste condi-
Suggerimenti per approfondire
L’approccio
cognitivo - comportamentale
5. Pensieri permissivi: sono i pensieri che
permettono di dare una veste razionale
di giustificazione al comportamento di
abuso (“sono stato astinente per tre
mesi ora assumo droga e mi metto alla
prova per vedere se riesco a fermarmi
dopo una volta”).
6. Strategie strumentali per procurarsi la
droga: comportamenti messi in atto per
ricercare e procurarsi droga (aspettare
ad un angolo di una certa piazza ad un
certa ora).
7. L'uso di sostanze in grado di indurre
dipendenza: analisi di situazioni ad alto
rischio che potrebbero presentarsi che
devono essere gestite in modo
opportuno.
Per ogni componente si attuano specifici
interventi terapeutici, discussi, elabo-rati e
concordati con il paziente, finalizzati a
modificare gli schemi di pensiero e di
comportamento.
Marlat G. A., Gordon J.R.: Relapse
prevention, Guilford, 1985.
Mascetti W.: Il comportamento d'abuso e la
dipendenza, in: Manuale di Psicoterapia
Cognitiva, a cura di G. Bara, Bollati
Boringhieri, 2003.
Marsha Linehan descrive un modello di
trattamento (terapia dialettico comportamentale - TDC) per pazienti con disturbo
borderline di personalità che è stato
adattato alla terapia delle tossicodipendenze. Il modello è basato sull'idea
dell'efficacia del “doppio setting”: psicoterapia individuale e terapia di gruppo. Il
contratto ha una durata minima di un anno.
La psicoterapia individuale imposta l'intero
trattamento sulla base della costruzione di
una gerarchia di priorità con il paziente e un
ordine di problemi e di mete da affrontare.
La terapia di gruppo (skills training) ha
l'obiettivo di far apprendere una serie di
abilità utili ad adattarsi alla vita quotidiana
(abilità di consapevolezza, regolazioni
delle emozioni, tolleranza alla sofferenza e
all'angoscia). I due setting di intervento
procedono parallelamente e servono uno di
rinforzo all'altro.
Linehan M.: Il trattamento cognitivocomportamentale del disturbo border-line,
Raffaello Cortina Editore, 2001.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
13
LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE
Suggerimenti
Per approfondire
Gli studi sociali
Alexander considera adattivo l'uso di
droghe.
Quando i giovani non riescono a
mantenere un equilibrio fra caratteristiche
individuali e richieste del proprio contesto
sociale (avere abilità sociali, raggiungere
con successo i propri obiettivi, acquisire
uno status e un ruolo riconosciuti)
sperimentano un fallimento dell'integrazione sociale.
Tale fallimento è considerato causa del
comportamento di “addiction” che si
configura come un tentativo di adattamento non riuscito.
Alexander B.K., Hadaway P.F.: The
empirical and theoretical bases for an
adaptive model of addiction, The Journal
of Drug Issues, n.1, pp.37-65, 1990.
zioni (cocaina, ecstasy) e riduce la diffusione di
sostanze più sedative (oppiacei).
Notevole importanza viene attribuita anche alle
“politiche commerciali” dei trafficanti di droga e
alle strategie istituzionali di contrasto: dagli
equilibri tra le parti contrapposte derivano gli
spostamenti delle scelte dei “clienti”, influendo
pesantemente anche sugli aspetti epidemiologici
e clinici del fenomeno.
Conseguentemente, per intervenire nella situazione viene considerato necessario un profondo
impegno civile di rinnovamento, il ripensamento
del modello di sviluppo, delle politiche sociali e
delle forme di prevenzione, della gestione dei
contesti urbani e delle funzioni di istituzioni come
la scuola.
L'ipotesi è che dando ai giovani la possibilità e gli
strumenti per costruirsi un'identità e un futuro
con un contesto di vita adeguato si possa incidere
sui determinanti macrosociali del fenomeno.
LA NEUROBIOLOGIA E LA MEDICINA
Negli ultimi dieci anni, la neurobiologia ha dato importanti contributi per la
comprensione dei meccanismi che stanno alla base della tossicodipendenza.
È stato dimostrato che le sostanze capaci di indurre tossicodipendenza sono tali
perché in grado di stimolare i “centri della gratificazione” presenti nel sistema
nervoso centrale (in realtà si tratta di una serie di centri nervosi collegati tra loro
a costituire un sistema complesso, che collega la percezione dello stimolo
piacevole, con la sua interpretazione cognitiva e con la fissazione nella memoria
del comportamento che ha provocato lo stimolo).
Questi centri nervosi hanno un preciso significato finalistico: premiano con una
intensa sensazione di piacere quei comportamenti che garantiscono la
sopravvivenza dell'individuo e della specie, come alimentarsi e riprodursi.
Dal punto di vista evolutivo, quindi, il piacere ha il significato di una conferma
che si sta mettendo in atto un comportamento considerato vantaggioso, utile,
positivo.
Le droghe (in particolare: oppiacei, coca e derivati, cannabinoidi, nicotina e
alcol) sono in grado di sostituirsi agli stimoli naturali e, producendo la
sensazione di piacere, di far riconoscere (o meglio scambiare) ai centri della
gratificazione il comportamento tossicomanico come se fosse un
comportamento positivo e utile, di importanza vitale.
I centri della gratificazione sono a loro volta collegati con i centri della memoria
e del controllo degli impulsi, che fissano il ricordo di quanto accaduto (del
comportamento adottato e del piacere ricavato) e riducono la capacità di
controllo, strutturando così le basi per la rievocazione e la ripetizione della
assunzione di droga.
14
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE
La ripetizione della assunzione di droga, oltre ai noti problemi di tolleranza (=
necessità di aumentare la dose per mantenere nel tempo lo stesso livello di
effetto) e di astinenza (= malessere acuto, mortale nel caso dell'alcol,
conseguente alla brusca interruzione della assunzione abituale di una
sostanza), crea delle modificazioni nel funzionamento e nella organizzazione
dei centri nervosi coinvolti (modificazioni neuroplastiche).
Il cervello si organizza in modo da funzionare prevedendo la presenza della
droga e, se questa viene a mancare, “protesta” suscitando una sensazione
spiacevole che induce il soggetto a ripetere l'assunzione.
Il reiterarsi del comportamento tossicomanico e la difficoltà a sospenderlo sono
legati a questi meccanismi.
Sul desiderio della sostanza gli studi si stanno raffinando sempre di più.
È stato dimostrato che l'intensità delle prime esperienze con la droga si fissano
nella memoria come un parametro di riferimento del piacere che il soggetto può
provare.
Conosciuta l'intensità di quella gratificazione, il soggetto trova tutti gli altri
piaceri molto modesti, non del tutto soddisfacenti.
Pertanto, cerca con tutti i suoi mezzi di rinnovare l'esperienza della droga.
C'è però un problema: dopo le prime volte, l'azione stimolante della droga,
viene contrastata da meccanismi biologici controadattatori ne che riducono
l'effetto.
Però il soggetto ha interiorizzato nella sua memoria un “piacere di riferimento”
che non viene più soddisfatto né dagli stimoli “naturali” né dalla sostanza; la
memoria della esperienza fatta alimenta il desiderio, che però non si riesce più a
soddisfare (non è più “come la prima volta”), che riporta nostalgicamente e
ossessivamente il soggetto a riprovarci “ancora una volta”, perpetuando il
comportamento sulla base della dialettica desiderio-insoddisfazione.
Gli studi neurobiologici stanno sempre di più migliorando la conoscenza sui
meccanismi specifici della tossicodipendenza.
Certamente già oggi, rispetto a pochi anni fa, abbiamo molti elementi in più per
comprendere i meccanismi biologici che sono sottesi ai comportamenti clinici
che possiamo osservare.
Suggerimenti
Per approfondire
Felice Nava ha scritto un manuale moderno, completo e accessibile sugli
aspetti neurobiologici della tossicodipendenza. Vengono riportati i dati
scientifici che possono sostenere la comprensione degli aspetti patologici
La neurobiologia e la medicina della tossicodipendenza
Ovviamente, il sistema limbico è oggetto di particolare attenzione.
Il sistema limbico è costituito da corteccia prefrontale, ippocampo, ipotalamo, talamo.
I suoi nuclei, in particolare l'accumbens e l'amigdala e le vie dopaminergiche che li collegano tra loro e li connettono
con altri centri nervosi sono le strutture specificamente implicate nei meccanismi della gratificazione e della
motivazione.
Il meccanismo attraverso cui la diverse sostanze d'abuso aumentano la trasmissione dopaminergica nel nucleo
accumbens è diverso a seconda della loro classe farmacologica di appartenenza. Studi di neuroimmagine hanno
mostrato che durante stati di intossicazione o durante il craving vi è un'attivazione delle regioni frontali attraverso i
circuiti neuronali che controllano il piacere (nucleo accumbens), la motivazione (corteccia orbitofrontale), la memoria
(l'amigdala e l'ippocampo) e le funzioni cognitive (corteccia pre-frontale e giro cingolato).
Nava F.: Manuale di neurobiologia e clinica delle dipendenze, Franco Angeli, 2004.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
15
LE CONOSCENZE SCIENTIFICHE
RIASSUNTO

La tossicodipendenza è stata oggetto di studio da parte di molte
discipline come sociologia, psicologia, medicina.

Non è stata messa in evidenza un causa unica che possa spiegarla, e
nessuna disciplina da sola riesce a render conto completamente di
questo fenomeno.

In genere, le diverse discipline scientifiche applicano alla
tossicodipendenza meccanismi esplicativi generali e non specifici
(questo vale, per ora, di piu’ per psicologia e sociologia e meno per la
medicina che sta scoprendo le specifiche azioni biologiche delle
sostanze).

Analogamente, non vi sono molte proposte di specifiche tecniche di
intervento messe a punto proprio per la tossicodipendenza

Appare sempre piu' chiaramente che una sola prospettiva non
consente di fare grossi passi avanti nella comprensione e nella
gestione clinica della tossicodipendenza.

Emerge la necessità di un punto di vista che tenga insieme i diversi
aspetti e i diversi fattori: ogni punto di vista preso in esame deve
essere considerato una parte in relazione ad altre e non il tutto.
16
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
UNA VISIONE INTEGRATA
UNA RAPPRESENTAZIONE
DELLA TOSSICODIPENDENZA INTEGRATA

E FONDATA SCIENTIFICAMENTE

In questo capitolo intendiamo presentare i risultati del tentativo che abbiamo
fatto
di collegare i modelli teorici, i dati provenienti dall'esperienza clinica e i dati

derivanti dalle più recenti ricerche scientifiche per arrivare ad una
rappresentazione della tossicodipendenza fondata scientificamente, che ci
fornisca un'interpretazione integrata della patologia e che ci guidi nella cura.
*****
L'esperienza
di
lavoro
nei
Servizi
per
 tossicodipendenti consente di osservare
una notevole varietà di modalità con cui individui diversi (o lo stesso individuo in
tempi
diversi) assumono le sostanze.

Il significato che queste ultime di volta in volta assumono, indica che esistono
diversi tipi di rapporto tra l'individuo e la sostanza. La tossicodipendenza,
infatti,
non è qualcosa che sta “dentro” l'individuo o “dentro” la sostanza, ma è

qualcosa che scaturisce dalla relazione tra di essi, relazione che si sviluppa in un
dato ambiente ed è condizionata dalle caratteristiche di entrambi. Quindi, non
bisogna ricercare le cause della tossicodipendenza solo nelle caratteristiche del
soggetto, così come non bisogna considerare onnipotenti le sostanze, come se
potessero loro da sole determinare la patologia rendendo schiavo il malcapitato.
Ugualmente, l'ambiente da solo non potrà creare dal nulla i tossicodipendenti.
Affinché la “reazione” tra i diversi componenti produca la dipendenza sono
necessarie alcune condizioni.
Nel caso del soggetto interverranno la sua capacità (biologica) di rispondere alla
sostanza con una reazione intensa; la sua disposizione (emotiva e cognitiva) a
fare l'esperienza e ad attribuirle un particolare significato. Il contesto ambientale (disponibilità di sostanze diverse, costi della droga, leggi e repressione,
appartenenza sociale e culturale del soggetto, campagne informative incentivanti o disincentivanti certi stili di vita, possibilità/prospettive di realizzarsi in
modo soddisfacente o meno) porrà le condizioni in cui l'esperienza avviene. Per
quanto riguarda la sostanza, avrà rilievo la sua potenza d'azione farmacologica
e la sua potenza d'azione suggestiva, determinata dal valore che la
La dipendenza è il risultato della interazione
collettività attribuisce a quella
soggetto - oggetto
sostanza (sostanza proibita oppure
socialmente accettata; pesante
oppure leggera; elitaria oppure
SOSTANZA
SOGGETTO
AMBIENTE
volgare; etc). L'incontro tra sogfarmacologia
costituzione
simbologia
esperienza
getto e sostanza, in uno specifico
contesto, può determinare diverse
possibilità di legame e di relazione:
PATOLOGIA
dal punto di vista clinico se ne
DA DIPENDENZA
possono schematizzare quattro
tipi.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
17
UNA VISIONE INTEGRATA
TIPI DI RELAZIONE SOGGETTO-SOSTANZA
È possibile che la sostanza, anche se ha un elevato potenziale tossicomanigeno,
venga assunta senza che questo comporti alcun problema: ad esempio, nella
nostra cultura, è possibile per qualcuno bere alcolici in modo del tutto “sano” (o
meglio, culturalmente - e quindi anche dal punto di vista medico - accettato),
senza che ne conseguano disturbi fisici e problemi di comportamento o relazionali. In questo caso si parla di “uso” della sostanza (uso voluttuario, ludico,
ricreativo, sociale). È un discorso difficile da accettare per altre sostanze (a
parte forse la nicotina) con le quali abbiamo ben poca dimestichezza e che
culturalmente sono rappresentate come esclusivamente “cattive”. Ma, almeno
per l'alcol, pur essendo una sostanza potentissima dal punto di vista tossicomanigeno e che determina una elevata quota di patologie e danni sociali, è un
discorso possibile e realistico.
Se invece l'assunzione della sostanza causa problemi essenzialmente in
relazione al contesto in cui avviene il consumo, si parla di “abuso”; il contesto
può essere di tipo normativo (divieti per Legge), di tipo sanitario (consigli di
astenersi per proteggersi da rischi), di tipo relazionale (conflittualità all'interno
del proprio contesto di vita).
Si sottolinea che, in questo caso, la relazione soggetto-sostanza crea dei
problemi per il fatto che l'assumere la sostanza diventa, per il soggetto, più
importante di altri aspetti della sua vita, del rispetto dei divieti o di norme di
prudenza o di opportunità. Non vi è però una situazione di esclusività totale e di
legame indissolubile sul piano biologico e sul piano psicologico. Questo concetto
è affermato, in modo abbastanza simile, nel DSM-IV (Manuale Diagnostico della
Associazione Psichiatrica Americana, IV edizione).
DSM IV. Criteri diagnostici per l'Abuso di Sostanze
A. Una modalità patologica d'uso di una sostanza, che porta a menomazione
o a disagio clinicamente significativi, come manifestato da una (o più) delle
condizioni seguenti, ricorrenti entro un periodo di 12 mesi:
1) uso ricorrente della sostanza risultante in una incapacità di adempiere ai
principali compiti connessi con il ruolo sul lavoro, a scuola o a casa (per es.
ripetute assenze o scarse prestazioni lavorative correlate all'uso delle
sostanze; assenze, sospensioni o espulsioni da scuola correlate alle sostanze; trascuratezza nella cura dei bambini o della casa)
2) ricorrente uso della sostanza in situazioni fisicamente rischiose (per es.
guidando un'automobile o facendo funzionare dei macchinari in uno stato
di menomazione per l'uso della sostanza)
3) ricorrenti problemi legali correlati alle sostanze (per es. arresti per condotta
molesta correlata alle sostanze)
4) uso continuativo della sostanza nonostante persistenti o ricorrenti problemi
sociali o interpersonali causati o esacerbati dagli effetti della sostanza (per
es. discussioni coniugali sulle conseguenze dell'intossicazione, scontri
fisici).
B. I sintomi non hanno mai soddisfatto i criteri per Dipendenza da Sostanze di
questa classe di sostanze.
18
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
UNA VISIONE INTEGRATA
Si parla invece di “dipendenza” (tossico-dipendenza) quando l'assunzione
continuativa della droga diventa una necessità per compensare od equilibrare
un'alterazione del funzionamento dell'individuo causata dall'assunzione della
droga stessa.
Il modo di funzionare del soggetto (biologico: il sistema della gratificazione,
della memoria e della motivazione; psicologico: l'emotività, il significato
attribuito alle cose e i valori, la progettualità e in senso di identità; culturale:
identità di ruolo, collocazione nella rete sociale) viene trasformato a contatto
con la droga, che successivamente diventa un elemento indispensabile e
centrale dalla cui presenza dipende il soggetto per “sembrare normale”.
Il ciclo della dipendenza si sviluppa dal desiderio di assumere la sostanza (il
craving o “fame” durante la carenza), accompagnato da agitazione, malessere
e senso di urgenza, alla ricerca-assunzione con successivo stato di
soddisfazione, sedazione e recupero dello stare bene.
Il soggetto mostra segni evidenti di malessere quando gli viene a mancare la
sostanza, mentre sembra “a posto” quando ha
assunto la sostanza.
Questo ciclo è tipico soprattutto delle sostanze La semplice crisi di astinenza, così
come la capacità, acquisita con
con effetti tranquillanti, come gli oppiacei.
l'abitudine,
di sopportare alte dosi di
Come capita nelle diete, quando il soggetto si è
sostanze (“tolleranza”), non sono
saziato, cambia il suo modo di ragionare e di elementi che, da soli, consentono di
sentire, è lucido e può far prevalere la sua parte fare diagnosi di tossicodipendenza.
razionale e il sentire comune, emergono Si pensi, ad esempio, alle persone che
addirittura i sensi di colpa e di autocritica, con il devono assumere morfina per gravi
sindrome dolorose (spesso tumori).
concepimento di buoni propositi (ad esempio, Dopo qualche tempo, la dose iniziale
ripromettendosi di non assumere mai più la non basta più e bisogna aumentarla
per avere gli stessi effetti antidolorifici
sostanza).
In questo momento il soggetto non sta menten- (fenomeno della tolleranza).
Così, se si interrompe la morfina,
do: “sente” davvero quello che pensa e dice, ma avranno disturbi da astinenza da
pensa e dice in un determinato stato d'animo e in oppiacei.
Tuttavia, se non compaiono altri
una determinata condizione biopsicologica.
elementi (che sono discussi qui di
Il problema è che, altrettanto sinceramente, il
seguito; in particolare il desiderio
soggetto cambierà del tutto il suo pensiero e il della sostanza, che la fa diventare
suo stato d'animo quando tornerà a sentire la prima ragione di vita) non bastano
“fame” per la sostanza: prevarranno allora le questi due elementi, che sono normali
ragioni per “trasgredire la dieta” (le minimizza- adattamenti biologici, per pensare che
la persona sia tossicodipendente.
zioni delle conseguenze, le credenze sbagliate, le Pertanto, le paure dei medici
scuse, etc).
nell'impiegare la morfina nelle
Nella dipendenza vi è una sistematica oscillazio- sindromi dolorose estreme (“non
ne tra poli estremi: il voler smettere e il voler voglio far diventare il paziente un
tossicodipendente”) sono basate sulla
continuare, veri entrambi perché accompagnati sostanziale non conoscenza di che
da pensieri e sentimenti che il soggetto prova cosa sia la tossicodipendenza e sulla
davvero, ed entrambi falsi perché rappresentano paura di non saper gestire adeguatamente, anche sul piano psicologico, le
solo una parte del soggetto, spezzato dalla droga terapie con oppiacei.
in due dimensioni che non comunicano tra loro.
Nota a margine
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
19
UNA VISIONE INTEGRATA
Nota a margine
Le parole rispecchiano il pensiero e,
nelle tossicodipendenze, l'approssimazione con cui viene utilizzata la
terminologia indica quanta riflessione
bisogna ancora fare.
Oltre ai termini classici come
tossicodipendenza e tossicomania, si
utilizza da qualche tempo la dicitura
dipendenze patologiche, tanto diffusa
quanto insensata, come se esistessero le
dipendenze non patologiche da eroina,
cocaina, alcol e compagnia bella.
La dipendenza è un meccanismo di
risposta dell'organismo a determinate
condizioni, così come lo sono
l'infiammazione o la degenerazione.
Sul piano clinico noi osserviamo le
patologie che si generano in conseguenza dei meccanismi patogenetici e
ogni patologia avrà un suo nome
particolare.
In senso generale, quindi, possiamo
correttamente parlare di patologie da
dipendenza e, nello specifico, di
dipendenza da…(eroina, alcol, etc).
Gli anglosassoni utilizzano il termine
addiction, che è considerato la somma
di drug dependence + craving.
La “drug dependence” corrisponde
alla condizione biologica di tolleranza
e astinenza, mentre il “craving” si
riferisce all'aspetto di desiderio impulsivo/compulsivo verso la sostanza.
Si ricorda che il termine “addiction”
deriva da un istituto giuridico romano,
in forza del quale il debitore insolvente
veniva addetto al creditore affinché
pagasse il debito in sospeso con il suo
lavoro: era una schiavitù temporanea.
In italiano “addiction” non è
traducibile: il “termine addetto” non
ha più connotazioni necessariamente
negative come la schiavitù e anche
“dedito” ha una valenza neutra: si può
essere dediti all'alcol, ma anche dediti
alla famiglia.
Suggerimenti
Per approfondire
Tipi di relazione:
soggetto - sostanza
Bignamini E., Bombini R.: Considerazioni
sul pensiero e sul linguaggio delle
“tossicodipendenze”, Medicina delle
Tossicodipendenze, XI, 38, marzo 2003.
20
Si parla invece di “mania” (tossico-mania)
quando la modalità di assunzione della sostanza
non apporta, come detto prima, equilibrio e
compenso nel funzionamento del soggetto e non
consente una ripresa apparentemente “normale”
delle funzioni cognitive, emotive, biologiche, ma
anzi amplifica sempre di più lo squilibrio
dell'individuo.
Il soggetto, provando gli effetti euforizzanti della
sostanza non si soddisfa e non cessa di
conseguenza l'assunzione; anzi, si esalta e per
continuare a provare il piacere che la sostanza dà
e per intensificarlo sempre di più, avvicina
sempre di più le somministrazioni.
La “fame” di sostanza aumenta a mano a mano
che gli effetti sono percepiti sempre più
intensamente.
L'esito di un tale comportamento è un parossismo
che spesso si conclude con l'intossicazione acuta
che può dare gravi effetti collaterali (disturbi
psicotici o cardiovascolari).
Questo tipo di relazione patologica con la
sostanza è frequente nei consumatori di “crack” o
simili varianti della cocaina, in cui il soggetto,
consuma in poche ore tutta la quantità di
sostanza che ha a disposizione, anche quando si
era fatto una “scorta” che avrebbe dovuto durare
più giorni.
Nella mania, per quanto si possa individuare una
ripetizione del comportamento, non si può
individuare un vero e proprio “ciclo”.
La mania si colloca in una retta potenzialmente
infinita, che si interrompe per esaurimento e non
per soddisfazione.
Appena ripreso, il soggetto torna se possibile alla
assunzione della sostanza (o almeno vi torna il
suo pensiero), senza quegli intervalli di pseudo
lucidità, di sazietà o di senso di colpa che sono
presenti nella dipendenza e che consentono,
almeno apparentemente, un contatto col
soggetto.
Per questo è molto più difficile ottenere
collaborazione alla terapia nei casi di mania che
nei casi di dipendenza.
Questa distinzione tra (tossico)dipendenza e
(tossico)mania, secondo noi molto evidente e
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
UNA VISIONE INTEGRATA
molto importante sul piano clinico, non è rilevata dai comuni manuali
diagnostici, che distinguono solo tra abuso e dipendenza; in genere,
“tossicomania” e “tossicodipendenza” vengono utilizzati come termini
interscambiabili.
Qui di seguito si riportano i criteri per la diagnosi di dipendenza del DSM-IV.
La descrizione della sindrome è piuttosto naif, e i criteri diagnostici sono
piuttosto banali e ripetitivi, girano attorno ad un unico concetto (il problema del
controllo della sostanza) senza mai metterlo fuoco.
Soprattutto, non dicono nulla del rapporto tra soggetto e sostanza, mentre la
dipendenza è, per definizione, un problema di rapporto.
DSM IV. Criteri diagnostici per la Dipendenza da Sostanze
Una modalità patologica d'uso della sostanza che conduce a menomazione o
a disagio clinicamente significativi, come manifestato da tre (o più) delle
condizioni seguenti, che ricorrono in un qualunque momento dello stesso
periodo di 12 mesi:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
tolleranza, come definita da ciascuno dei seguenti: a)il bisogno di dosi
notevolmente più elevate della sostanza per raggiungere
l'intossicazione o l'effetto desiderato; b) un effetto notevolmente
diminuito con l'uso continuativo della stessa quantità della sostanza
astinenza, come manifestata da ciascuno dei seguenti: a) la
caratteristica sindrome di astinenza per la sostanza (descritta per ogni
sostanza); b) la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta
per attenuare o evitare i sintomi di astinenza
la sostanza è spesso assunta in quantità maggiori o per periodi più
lunghi rispetto a quanto previsto dal soggetto
desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l'uso
di sostanza
una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a
procurarsi la sostanza (per es. recandosi in visita da più medici o
guidando per lunghe distanze), per assumerla (per es. fumando “in
catena”) o a riprendersi dai suoi effetti
interruzione o riduzione di importanti attività sociali, lavorative o
ricreative a causa dell'uso della sostanza
uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere
un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica,
verosimilmente causato o esacerbato dalla sostanza (per es. il soggetto
continua ad usare cocaina malgrado il riconoscimento di una
depressione indotta da cocaina, oppure continua a bere malgrado il
riconoscimento del peggioramento di un'ulcera a causa dell'assunzione
di alcol).
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
21
UNA VISIONE INTEGRATA
SIGNIFICATI E FUNZIONI
DELLA RELAZIONE INDIVIDUO-SOSTANZA
Quando una persona incontra, anche casualmente, una sostanza per la prima
volta, non vi è possibilità di predire se diventerà tossicodipendente.
Perché questo si verifichi devono esserci e realizzarsi alcune condizioni.
Per prima cosa l'incontro deve rappresentare un'esperienza estremamente
significativa, al punto da indurre la persona a cercare di ripeterla.
In secondo luogo, la sostanza deve essere in grado di trasformare il
funzionamento del soggetto in cui agisce e il soggetto deve essere un “terreno”
capace di rispondere adeguatamente agli stimoli della sostanza.
Componendo le diverse teorie che cercano dispiegare perchè un soggetto si
avvicini alle droghe e perché si abbia ripetizione del comportamento dopo la
prima esperienza, si possono riconoscere almeno quattro possibilità di genesi
della tossicodipendenza, tutte con significativi riscontri nella pratica clinica. Sul
piano diagnostico, quindi, si dovrà cercare di capire quale delle quattro ipotesi si
applica al soggetto reale che, di volta in volta, si ha davanti.
Funzione autoterapeutica
La sostanza può avere una funzione di “autoterapia”: da parte del soggetto può
esserci un inconsapevole tentativo di annullare o
ridurre la sofferenza che prova per una qualche
Suggerimenti
patologia preesistente alla tossicodipendenza
Per approfondire
(depressione, disturbi dei rapporti con la realtà; a
volte può essere anche una patologia organica
Funzione autoterapeutica
dolorosa o invalidante).
Tossicodipendenza secondaria auto- L'uso di sostanze sarebbe quindi, almeno all'inizio
terapeutica. La tossicodipendenza ha una
e nelle intenzioni (più o meno consapevoli) di chi
funzione difensiva-adattiva.
Il comportamento del tossicomane è il le assume, in qualche modo “adattivo”, finalizzariflesso di una incapacità di prendersi cura
to cioè a “curare” una sofferenza e la disfunzione
di sé in altro modo.
Una precoce carenza nello sviluppo porta che ne consegue. Gli effetti certamente positivi
la persona a interiorizzare in modo delle sostanze (miglioramento dell'umore,
inadeguato le figure genitoriali: il tossicosensazione di superare più facilmente i propri
dipendente è incapace di autoproteggersi.
L'assunzione di droga è vista come il problemi) fanno sì che il soggetto ne tragga
disperato tentativo di compensare le apparentemente vantaggio e ripeta l'assunzione.
deficienze dell'Io (regola-zione degli stati
affettivi, autostima) ed offre al tossicodi- In seguito, la potenza trasformatrice della droga
p e n d e n t e n o n s o l o s o l l i e v o m a induce i cambiamenti bio-psicologici che sopra
l'esperienza di funzionare meglio e di
sono stati illustrati e determina lo strutturarsi
un'accresciuta capacità di farcela.
Khantzian E.J.: A contemporary psycho- della dipendenza.
dynamic approach to drug abuse A quel punto, gli apparenti vantaggi iniziali sono
treatment, Am. J. Drug Alcohol Abuse, 12,
del tutto persi, ma il comportamento tossicomapp213-222, 1988.
nico si è ormai strutturato e si automantiene.
Funzione di potenziamento o tossicodipendenza finzionale
La sostanza può avere la funzione di far sentire la persona “migliorata”.
Anche senza avere in precedenza vere e proprie patologie, un soggetto può
22
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
UNA VISIONE INTEGRATA
sentirsi insoddisfatto di come è (nel rapporto con
gli altri, nelle sue performance, nei risultati che
ottiene): sotto l'effetto di sostanze ha
l'impressione di essere molto migliore (più
capace nei rapporti interpersonali, più disinibito,
più soddisfatto).
L'innesco, sarebbe quindi il tentativo di favorire
l'aumento dell'autostima e del senso di efficacia,
con un miglioramento nella percezione di sé.
Da qui la spinta e ripetere l'assunzione e la
progressione del meccanismo di dipendenza.
Funzione di disvelamento
La tossicodipendenza può svilupparsi come
qualcosa di nuovo, in discontinuità con il prima:
l'esperienza degli effetti delle droghe mette la
persona in contatto con una dimensione del
piacere mai sperimentata prima.
L'avvicinamento alle sostanze, in questo caso,
non avviene per una sofferenza preesistente:
anzi, l'esperienza tossicomanica, favorita dalle
caratteristiche ambientali e culturali, è consumata in una ricerca di godimento ulteriore da parte
di un soggetto già di per sé soddisfatto. In questo
caso, più che nei due casi precedenti, è evidente
l'azione trasformativa operata dalle sostanze:
l'esperienza di piacere indotta da esse rappresenta un salto di qualità nelle esperienze del soggetto, una sorta di “scoperta” con un valore di
conoscenza, che diventa punto di riferimento e di
confronto con le altre esperienze. Dopo aver
sperimentato la droga, ogni altra esperienza
appare ben poco gratificante; la vita precedente,
per quanto fino a quel momento svolta con
soddisfazione, appare “a posteriori” ben poca
cosa a fronte dei nuovi orizzonti aperti dalla
nuova esperienza. L'infelicità viene introdotta
dalla droga e assume un valore retroattivo (“dopo
aver provato la droga mi rendo conto di quanto
era vuota e insoddisfacente la mia vita precedente”). La ripetizione del comportamento è sostenuta dalla perdita di senso (o meglio di sensazioni) della vita “senza droga” e dalla necessità di
compensare la depressione innestata dalla droga
stessa. Successivamente, anche in questo caso,
subentrano i meccanismi trasformativi che
automantengono la tossicodipendenza.
Suggerimenti
Per approfondire
Funzione di potenziamento
o tossicodipendenza finzionale
Tossicodipendenza secondaria da potenziamento o finzionale.
La tossicodipendenza è collegata ad una
specifica sofferenza del Sé che si crede
privo di valore e privo di significato; ha
cioè un nucleo d'invalidazione.
Le droghe, o più in generale gli oggetti di
dipendenza, hanno la funzione di
consentire di superare questa condizione.
La tossicodipendenza può essere intesa
come l'esito di una patologia di autoconsapevolezza rispetto a questa sofferenza
psicologica strutturata del Sé.
Rigliano P.: Doppia diagnosi, Raffaello
Cortina Editore, 2004.
Rigliano P.: Piaceri drogati, Feltrinelli,
Milano, 2004.
Suggerimenti
Per approfondire
Funzione di disvelamento
Tossicodipendenza primaria da disvelamento.
Sul piano emotivo e cognitivo, l'esperienza
gratificante indotta dalla assunzione delle
sostanze, produce un effetto di “disvelamento”: la vita condotta fino a quel
momento viene rivelata come ben poco
soddisfacente a confronto con il godimento disponibile attraverso la sostanza.
Il soggetto, grazie alla sua capacità di
risposta biopsicologica alle sostanze
(risposta intensamente gratificante)
cambia i suoi parametri di riferimento
cognitivi ed emotivi, per cui la vita
“normale” senza droga diventa qualcosa di
riduttivo, dominata dal senso della
mancanza e della rinuncia.
Bignamini E., Bombini R.: Approccio
psicodinamico al tossicodipendente, Riv.
Psicologia Individuale, XXXII, 56, lugdic. 2004.
Bignamini E., Bompard A.: Approccio
psicodinamico alla relazione terapeutica,
Animazione Sociale, n. 6/7, 2004.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
23
UNA VISIONE INTEGRATA
Funzione di ricondizionamento sensoriale
In altri casi ancora, lo stesso meccanismo
Suggerimenti
descritto al punto precedente assume una
Per approfondire
connotazione diversa. Invece di prevalere gli
aspetti cognitivi ed emotivi, proiettati sul senso
Funzione autoterapeutica
della vita, prevalgono le sensazioni fisiche,
Tossicodipendenza primaria da riconinnescando una dinamica di tipo psicosomatico.
dizionamento sensoriale
Gli effetti della droga, intensamente Vi sono evidenze scientifiche che ci siano delle
piacevoli, diventano per i soggetto punto
regolazioni del sistema della gratificazione
di riferimento dello “star bene”: avviene
un “sensorializzazione” delle emozioni e costituzionalmente diverse tra gli individui
una somatizzazione degli stati psichici, (qualcosa che potrebbe riferirsi anche alle
con riduzione della capacità di mentalizzare i propri contenuti e di esprimerli a antiche intuizioni sui temperamenti: collerico,
sanguigno, melanconico, flemmatico?).
parole (alessitimia secondaria).
Il soggetto è polarizzato sul suo corpo e Alcuni soggetti vivono, senza saperlo e come loro
sulla ricerca del mantenimento di un
“benessere” che presuppone l'assunzione “naturale” caratteristica, un livello di benessere e
di sostanze, in quanto ogni altro farmaco o soddisfazione inadeguato; come se fossero, sul
la condizione “senza farmaci” appaiono piano biologico, sempre alla ricerca di “qualcosa”
insoddisfacenti.
Bignamini E., Bombini R.: Approccio che li soddisfi, ma senza averne cognizione (qui
psicodinamico al tossicodipendente, Riv. sta la differenza con le tossicodipendenze
Psicologia Individuale, XXXII, 56, lug“finzionali” di Rigliano).
dic. 2004.
Bignamini E., Bompard A.: Approccio Culturalmente, i soggetti ridefiniscono la loro
psicodinamico alla relazione terapeutica, situazione come “normale” (eventualmente con il
Animazione Sociale, n. 6/7, 2004.
corredo di filosofia spicciola che paragona la vita
alla scala del pollaio) e non patologica o problematica. L'esperienza degli effetti
della sostanza “salda” la disfunzione del sistema di gratificazione con l'effetto
farmacologico, che assume qui non tanto il significato di un plusvalore, quanto
di integratore fisio(pato)logico.
Le emozioni vengono trasformate in sensazioni fisiche, vi è una incapacità di
“pensarsi” e di descrivere a parole i propri stati interiori, tutta l'attenzione è
catalizzata dal corpo.
In questo caso, la sostanza si struttura come un elemento critico del benessere
fisico del soggetto, che avverte lo stato “normale” (senza la droga) come
spiacevole e pericoloso, in quanto non sufficientemente “protetto” dalla
sofferenza attraverso la sostanza.
LA TOSSICODIPENDENZA, LE TOSSICODIPENDENZE
A questo punto possiamo considerare che il rapporto tra soggetto e sostanze
tossicomanigene abbia avvii diversi e assuma caratteristiche diverse.
Queste diversità sono inter-individuali (ogni individuo ha i suoi percorsi, diversi
da quelli degli altri) e intra-individuali (lo stesso individuo può attraversare fasi
diverse in cui cambia il suo rapporto con le sostanze).
È possibile però indicare delle tipologie, che hanno unicamente valore
esemplificativo, ma aiutano a rappresentarsi che non esiste una sola
tossicodipendenza, ma che, invece, le tossicodipendenze sono molte.
Certamente esistono innumerevoli varianti nello sviluppare il proprio modo di
24
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
UNA VISIONE INTEGRATA
essere tossicodipendente e ogni individuo è unico e irripetibile: attenzione,
però, a rifugiarsi nella indeterminatezza e nel soggettivismo. Un tentativo di
organizzazione della realtà, pur essendo una riduzione della complessità, aiuta
la conoscenza attraverso il riconoscimento. A questo vuole contribuire lo
schema qui proposto, con l'intenzione, più che di creare etichette che chiudono
il discorso, di sottolineare come sia necessario approfondire adeguatamente la
diagnosi differenziale per poter effettuare interventi mirati.
Se incrociamo le modalità di rapporto patologiche con le sostanze (quindi
abuso, dipendenza e mania, escludendo ovviamente l'uso, che non comporta
aspetti patologici. Ricordiamo solo che è possibile una assunzione di sostanze
senza che ciò costituisca un problema) con i significati che l'esperienza
tossicomanica ha per i diversi soggetti e con le diverse patogenesi, otteniamo
una tabella come questa, ricca di sfumature:
PATOLOGIA SECONDARIA
AUTO
SECONDARIA
\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\
AUTO
PATOLOGIA TERAPEUTICA
TERAPEUTICA
RELAZIONE
SECONDARIA
FINZIONALE
SECONDARIA
FINZIONALE
PRIMARIA
PRIMARIA
DA PRIMARIA
SENSORIALE
PRIMARIA
DISVELAMENTO
DA
DISVELAMENTO SENSORIALE
ABUSO
ABUSO
DIPENDENZA
DIPENDENZA
MANIA
MANIA
A fronte della infinita variabilità delle storie personali, che rischia di diluire ogni
conoscenza nella indeterminatezza, e a fronte del riduzionismo che vede la
tossicodipendenza come un unico problema omogeneo (per cui la diagnosi è
banale e la terapia ancora di più), possiamo cercare di tenere presente alcuni
elementi che ci aiutano ad articolare la nostra visione del problema e ad essere
concreti allo stesso tempo.
Le dodici ipotesi diagnostiche sopra rappresentate sono, lo ricordiamo ancora,
l'esito della miscela reattiva delle caratteristiche del soggetto, della sostanza e
dell'ambiente che funge da medium.
Nella “dipendenza secondaria autoterapeutica” il soggetto viene a contatto con
la sostanza in una condizione psicologica, più o meno consapevole, di ricerca di
sollievo da una profonda sofferenza (psichica o anche fisica). Il tipo di sostanza
utilizzata e “fissata” nella abitudine ha la capacità di soddisfare il soggetto
sedandolo: le sue caratteristiche farmacologiche, quindi, sono determinanti nel
caratterizzare il quadro clinico. In certi stati psichici in cui la caduta nella
depressione è una grave minaccia per il paziente, ad esempio negli stati di
euforia maniacale, il soggetto cercherà di mantenere alto il suo livello di
eccitazione utilizzando stimolanti, ad esempio la cocaina. Le caratteristiche
farmacologiche della cocaina potranno dare un quadro clinico di “mania
secondaria autoterapeutica”. L'incontro “illuminante” con il piacere artificiale, a
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
25
UNA VISIONE INTEGRATA
seconda delle caratteristiche psicologiche del soggetto, potrà essere seguito da
un completo abbandono alla sostanza, che darà un quadro, ad esempio, di
“dipendenza primaria da disvelamento”, oppure potrà avere come conseguenza
un ricorso alla sostanza solo in certe occasioni, magari problematiche, che
configurano un quadro di “abuso primario da disvelamento”.
Questi sono solo alcuni esempi che vogliono rappresentare schematicamente
come “ingredienti” diversi e “dosi” diverse non possono dare sempre e
comunque un unico esito: la famosa tossicodipendenza. Lo sforzo di
diagnosticare quadri clinici diversi spinge ed aiuta a riconoscere il paziente e a
personalizzare il trattamento.
DIPENDENZA: UNA DEFINIZIONE
Una delle maggiori difficoltà che si riscontra ancora oggi è quella di trovare una
definizione non riduttiva della tossicodipendenza, che riesca a ricomporre e
tenere insieme i diversi aspetti biologico, intrapsichico e comportamentale e i
diversi elementi che la costituiscono. Esaminando le definizioni di
tossicodipendenza disponibili nella letteratura, emergono molte diverse
rappresentazioni proposte di solito come alternative, focalizzate per lo più sulle
ipotesi circa le cause della tossicodipendenza, ma anche sugli aspetti
diagnostici e clinici, relativi cioè al trattamento. Spesso le argomentazioni
sostenute dai numerosi autori si riferiscono ad ambiti diversi e possono essere
considerate aspetti diversi di diversi oggetti di ricerca. Come tali è possibile
tentare di tenerli insieme in un livello più generale di teorizzazione.
Raccogliendo gli elementi ricorrenti nelle definizioni e integrandoli con le più
recenti acquisizioni scientifiche, possiamo definire la tossicodipendenza come
“una condizione patologica, correlata ad una alterazione del sistema della
gratificazione, caratterizzata da craving e da una coartazione delle modalità e
dei mezzi con cui il soggetto si procura piacere”.
Questa definizione non prende in considerazione la questione relativa
all'eziologia (alle cause) della dipendenza, perché non è possibile, in base alle
attuali conoscenze, individuare una unica causa specifica. Considera possibili
diverse ipotesi eziologiche, ed enuclea dimensioni a livello patogenetico,
psicologico, comportamentale, che sono specifiche e comuni alle diverse
declinazioni cliniche, perché si adatta alle dipendenze da sostanze stupefacenti,
alle dipendenze da gioco d'azzardo, cibo, sesso, lavoro, rischio, violenza,
shopping (etc., etc.). L'aspetto centrale della definizione è la dinamica “ricercadi piacere/felicità-senso” e la gratificazione è vista come un meccanismo
sostenuto sia da sistemi neurobiologici sia da meccanismi psicologici in un
modo indistinguibile sul piano dell'essere. Il piacere/felicità-senso è il concetto
sul quale si basa e si motiva l'approccio multidisciplinare generalmente
praticato nei Servizi per le tossicodipendenze, in quanto richiede per il
trattamento approcci non solo medico-farmacologici, ma anche sociologici e
pedagogici (riferiti ai modelli culturali prevalenti e allo stile di vita) e psicologici,
fondati sulla riattribuzione di significati e sulla differenza fra piacere e felicità.
La dipendenza è intesa come patologia della relazione: tra soggetto dipendente
26
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
UNA VISIONE INTEGRATA
ed oggetto della dipendenza si sviluppa una relazione affettiva ed emotiva,
basata sulle forti sensazioni di vita che la sostanza può dare; su questo
ritorneremo dopo, quando parleremo della psicopatologia.
Questa definizione ci aiuta anche a distinguere gli aspetti specifici che
costituiscono il quadro patologico e che ci servono per fare diagnosi, dagli
aspetti aspecifici, di ordine economico e socioculturale, che possono subentrare
e complicare il quadro. Infatti, spesso, il tossicodipendente è riconosciuto per le
sue caratteristiche di disadattamento, marginalità, povertà, devianza, (e
potremmo aggiungere: sporcizia, invadenza, mancanza di rispetto e di misura,
aggressività, etc) che sono i segni più visibili e che creano problemi e allarme
sociale; queste stigmate sono quelle che generalmente identificano il
tossicodipendente, mentre invece esse riguardano aspetti secondari e neanche
molto frequenti. Questi elementi riguardano una minoranza di pazienti, circa il
10-20%. L'80-90% dei tossicodipendenti è assolutamente indistinguibile, da
questo punto di vista, dalla popolazione normale. In effetti, quello che tutti i
tossicodipendenti (poveri o ricchi, colti o ignoranti, con precedenti penali o no)
hanno in comune è ciò che caratterizza la patologia, cioè la relazione con la
sostanza. Gli altri elementi sono fattori concomitanti, che si determinano per
circostanze ambientali e per accadimenti esterni, che possono aggravare il
quadro complessivo, peggiorare la prognosi e complicare la cura, ma non
costituiscono la condizione patologica di tossicodipendenza.
Suggerimenti
Per approfondire
Il lavoro di ricerca sulle definizioni della tossicodipendenza può essere
approfondito nell'articolo:
Bignamini E. et Al.: Per una ridefinizione del concetto di
tossicodipendenza, Dal Fare Al Dire, X, n° 1/2001.
Dipendenza: una definizione
La definizione di tossicodipendenza è sviluppata e discussa in tutte le
sue implicazioni in: Bignamini E. et Al.: Dipendenza da sostanze e patologia psichiatrica. Percorsi di ricerca sulla
comorbilità, Editeam, Bologna, 2002.
LA PSICOPATOLOGIA DELLA DIPENDENZA:
NUCLEI SPECIFICI
I soggetti che diventano tossicodipendenti, come più volte detto, sono trasformati dalla droga. Per effetto di questa trasformazione, pur essendo soggetti
molto diversi tra loro (nelle loro condizioni di base e nel loro modo di funzionare)
le specificità della loro struttura psichica vengono ridotte e almeno in parte
omologate. La tendenza ad assomigliarsi dei tossicodipendenti ha portato a
pensare che già prima di diventarlo fossero simili tra loro e che un individuo
potesse diventare tossicodipendente perché aveva una predisposizione simile a
quella degli altri tossicodipendenti. Molte ricerche sono state fatte sulla cosiddetta “personalità premorbosa” (cioè presente prima della malattia) del tossicodipendente, per verificare se esisteva un profilo di personalità specifico che
favorisse l'insorgere della tossicodipendenza. Queste ricerche, ad oggi, hanno
essenzialmente confermato che si può diventare tossicodipendenti a partire da
qualsiasi struttura di personalità; il rischio (cioè la probabilità statistica, non la
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
27
UNA VISIONE INTEGRATA
certezza) è più alto in alcune situazioni che in altre, ma in realtà nessuna è
esclusa: questa conclusione è coerente con la visione multifattoriale delle cause
della tossicodipendenza (ad esempio, una solida struttura di personalità può
non essere sufficiente a proteggere dalla tossicodipendenza se i fattori ambientali o la reattività biologica alle sostanze sono molto sfavorevoli), mentre la
struttura di personalità costituisce solo uno, per quanto importante, degli
elementi in gioco. La convergenza dei tossicodipendenti verso un modo di
essere e di funzionare omologato, quindi, è determinato da un fattore che
interviene dopo l'esperienza degli effetti della droga: si può quindi parlare di un
modo di essere “postmorboso” (che si attiva a partire dalla strutturazione della
patologia). A prescindere, dunque, dalla precedente struttura psichica, si
possono riconoscere gli effetti della trasformazione tossicomanica in alcuni
modi di funzionamento psichico che i tossicodipendenti, sempre con modulazioni individuali, condividono.
1 - Coartazione del desiderio
La capacità di desiderare, di cercare e di ricavare piacere è ridotta e “specializzata”. Il tossicodipendente prova poco piacere in attività che non siano collegate
con la droga. Progetti, aspirazioni, finalità, sono radicalmente impoveriti. La
gratificazione (nelle sue varie forme: soddisfazione, gioia, godimento, felicità;
piacere intellettuale, spirituale, fisico,…) può essere considerato il premio che
tutti desiderano: guida sottilmente e costantemente ogni azione. La differenza
sostanziale tra i soggetti tossicodipendenti e quelli non-tossicodipendenti sta
nella diversità e numerosità delle cose che si possono desiderare (nella ampiezza dello sguardo desiderante sul mondo) e nella flessibilità con cui si persegue e
si ottiene il piacere. Il tossicodipendente è molto “specializzato”: desidera una
unica cosa ed è molto rigido nel suo schema di ottenimento del piacere. È da
sottolineare che anche ricerche neurobiologiche danno conferma di ciò: è stato
osservato (con tecniche che registrano l'attività cerebrale) che i centri del
piacere del tossicomane rispondono in modo meno intenso agli stimoli piacevoli
“naturali”, che invece sollecitano molto i soggetti “normali”, mentre reagiscono
intensamente solo a stimoli collegati alla droga.
2 - Ambivalenza verso la rinuncia e lutto per la perdita
Il desiderio di liberarsi dalla droga e quello di continuare ad assumerla coesistono e fanno oscillare il soggetto costantemente da un polo all'altro, determinando una condizione di grande instabilità psicologica ed emotiva.
La rinuncia alla droga è vissuta come un lutto, costituisce la perdita di un oggetto importante per la vita del soggetto (ricordiamo: la droga, attraverso il premio
della gratificazione, fa credere al cervello di essere un elemento “buono” e
“necessario”); ma questa perdita non è definitiva, perché la sostanza è sempre
disponibile e facilmente reperibile. Il “lutto” per la droga non è il confronto con
una perdita definitiva, irrimediabile, come in un lutto vero e proprio, ma con una
rinuncia che dipende solo dalla volontà del soggetto e che si può sempre cambiare. In pratica, è come se il tossicodipendente fosse abitato da due “menti”:
una prevalentemente razionale, capace di valutare anche gli aspetti negativi
della droga e quelli positivi dell'astenersi da essa; e una prevalentemente
28
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
UNA VISIONE INTEGRATA
istintiva, che vuole ottenere la soddisfazione della droga a qualsiasi costo (i
neurobiologi collocano la prima funzione mentale nella corteccia prefrontale e la
seconda nel sistema limbico). La dialettica tra queste due menti ha una evoluzione che può portare al prevalere dell'una delle due (grazie o nonostante l'aiuto
terapeutico) oppure ad un sostanziale stallo, in cui emozioni e pensieri sono
costantemente e rapidamente in cambiamento, creando una situazione di
grande incertezza. Da sottolineare che la rinuncia alla droga costituisce sempre
e comunque una perdita e quindi il soggetto si trova in una condizione di sofferenza e depressione.
3 - Rimpianto per la dimensione tragico/eroica
La vita da tossicodipendente, per quanto tragica, pericolosa e orrida, è densa di
intense emozioni che la vita “normale” certamente non offre. La rinuncia alla
droga lascia un senso di vuoto e di insignificanza, che alimenta la nostalgia e il
rimpianto per una vita disperata, ma che sembrava essere “piena”. La vita
“normale” (alzarsi, andare al lavoro, tornare a casa e ricominciare; fare cose
che si è costretti a fare per avere mezzi di sopravvivenza che non consentono
poi grandi colpi di testa, avere pochissimo tempo “libero” che spesso diventa
solo un tempo “vuoto”) non ha grandi capacità attrattive per chi ha vissuto
attimi di straordinaria tensione, capaci di sospendere il tempo.
4 - Discontinuita' del se' (del senso della propria storia e del senso della
propria identita')
Il soggetto non riesce a rendersi ragione dei suoi cambiamenti: è come se la sua
vita, trasformata dalla droga, fosse spezzata in periodi (prima della droga,
durante, dopo) e non fosse possibile trovare un senso di continuità e di costanza
nella propria storia personale. Ciò è almeno in parte vero (perché il soggetto è
stato trasformato dalla droga, che ha introdotto una discontinuità nella sua
esistenza) e mette il soggetto nella condizione di non saper più riconoscere “chi
è” realmente (quello di prima o quello dopo? E in che relazione sono i due?).
Questa situazione corrisponde al continuo cambiamento di repertorio di
emozioni, di pensieri e di decisioni nei confronti della droga, che alimenta
l'instabilità e l'incertezza del soggetto.
5 - Impulsivita'/compulsione.
Il potenziamento di strutture cerebrali sottocorticali, operato dalle sostanze,
favorisce la riduzione della capacità di controllare gli impulsi e di integrarli con
competenze razionali superiori. A seconda che la capacità di controllo sia nulla
(come nella luna di miele con la droga, un innamoramento totalizzante che fa
perdere la testa) oppure parziale, come avviene quando alcune capacità critiche
di tipo inibitorio e razionale vengono recuperate per l'intervento di fattori
esterni (accadimenti drammatici, intervento di altre persone) o interni (riduzione della intensità della gratificazione per fenomeni biologici), si ha un comportamento impulsivo (= il soggetto non ci prova neanche a resistere, non vuole
resistere) oppure compulsivo (= il soggetto vorrebbe resistere, ma non ce la fa,
prova una situazione di conflittualità interna). Il soggetto trasformato dalla
droga funziona come se non fosse in grado di mediare tra i propri desideri e il
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
29
UNA VISIONE INTEGRATA
passaggio all'atto, con una perdita della capacità
di rappresentarsi i propri stati d'animo (dementalizzazione), di esprimere a parole i propri sentiImpulsività
menti e le proprie sensazioni (alessitimia seconPer un approfondimento sul tema daria), di ricondurre a stati mentali e a sentimenti
ciò che prova e che invece attribuisce a sensaziodell'impulsività di può vedere:
Cappa C., Bignamini E.: Impulsività e ni fisiche (sensorializzazione), di dare prospettive
Dipendenza: dall'adolescenza all'età di tempo e di significato alle cose e alle persone
adulta, Dal Fare al Dire, XV, n°2/2006.
(designificazione delle relazioni). Si crea un
quadro di funzionamento psichico molto simile a quello di certi disturbi mentali
(come certi disturbi di personalità).
Suggerimenti
per approfondire
RIASSUNTO

La tossicodipendenza è spesso vista unicamente come una patologia
secondaria ad altri problemi preesistenti.

Ciò è vero solo in alcuni casi, mentre in altri si deve riconoscere che
l'esperienza delle sostanze ha una potenza trasformativa sul
soggetto tale che la condizione preesistente perde importanza.

Si deve riconoscere che le droghe sono capaci di operare
trasformazioni radicali nel modo di pensare e di sentire di un
soggetto anche del tutto “normale”.

Il soggetto può stabilire diversi tipi di relazione con le sostanze:
! Uso: l'assunzione della sostanza non viene evidenziata come
problema né dall'individuo, né dal contesto relazionale, né dal
punto di vista giuridico o sanitario.
! Abuso: l'assunzione è un problema per il contesto in cui avviene
(conflitti relazionali, compromissione del proprio ruolo sociale,
problemi giuridici o sanitari).
! Dipendenza: l'assunzione diventa una modalità obbligata che è
messa in atto per colmare una disfunzione neuro-biologica,
emotiva, cognitiva indotta dall' assunzione ripetuta della
sostanza stessa.
! Mania: l'assunzione peggiora nel tempo il funzionamento
neurobiologico, emotivo, cognitivo, comportamentale
dell'individuo, allontanando la possibilità di una ripresa di un
equilibrio utile a un funzionamento normale.

All'interno di un contesto di cura, in particolare nella fase diagnostica,
è fondamentale definire il tipo di relazione perché rappresenta la
base sulla quale si costruisce il trattamento.

Sulla base del tipo di relazione soggetto-sostanza e del tipo di
cambiamento determinato dalla droga nel soggetto si possono
riconoscere diversi tipi di tossicodipendenza (schematicamente ne
sono stati indicati 12).

Considerare la tossicodipendenza come una patologia della relazione
e come effetto di una trasformazione del soggetto, ci consente di
definirla e individuarne le caratteristiche psicopatologiche unitarie.
30
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
LA RELAZIONE TERAPEUTICA
LA RELAZIONE TERAPEUTICA
CON IL PAZIENTE TOSSICODIPENDENTE
Sopra si è già definita la tossicodipendenza come una patologia della relazione:
la relazione (in particolare quella tra il soggetto e il suo oggetto del desiderio),
quindi, è l'oggetto del trattamento, è ciò che ci si propone di modificare.
Tuttavia, essa è anche lo strumento della cura, il mezzo terapeutico attraverso il
quale si può favorire il cambiamento.
E' quindi un elemento centrale sul quale focalizzare l'attenzione.
Le modalità relazionali del paziente con patologia da dipendenza sono piuttosto
tipiche, derivano da elementi specifici del suo funzionamento psichico così
come sopra illustrato e sono simili a quelle che si manifestano in altri tipi di
patologie quali i disturbi di personalità (in particolare, il cosiddetto disturbo

borderline: nella persona dipendente è però l'effetto trasformativo della
dipendenza da sostanze stupefacenti che induce un funzionamento psicologico

di questo genere e non necessariamente la presenza di un pre-esistente
disturbo di personalità).

Criteri diagnostici
per Disturbo Borderline di Personalità (DSM-IV)

Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali,
dell'immagine di sé e dell'umore e una marcata impulsività, comparse nella
prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque dei seguenti
elementi:
1) sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono
2) un quadro di relazioni interpersonali instabili ed intense, caratterizzate
dall'alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione
3) alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente
e persistentemente instabili
4) impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il
soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata,
abbuffate
5) ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o comportamento
automutilante
6) instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell'umore

7) sentimenti cronici di vuoto
8) rabbia immotivata ed intensa o difficoltà a controllare la rabbia
9)
ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo

stress
Questa non è la sede per approfondire il raffronto tra funzionamento
psichico del tossicodipendente e quello del borderline, che sono e

rimangono due condizioni diverse.
Si vuole tuttavia stimolare la riflessione sul significato di alcuni dati:
l'elevata frequenza di disturbi borderline di personalità tra i
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
31
LA RELAZIONE TERAPEUTICA
tossicodipendenti rilevata in tutti gli studi va interpretata come una
predisposizione dei borderline a diventare tossicodipendenti o come una
tendenza dei tossicodipendenti a funzionare come borderline?
Per quello che ci interessa qui, basta prendere atto che è possibile porsi
delle domande che cambiano radicalmente i quadri di riferimento.
Gli elementi descritti nel capitolo precedente quali: avidità, impulsività, vissuto
di lutto, rimpianto, prevalenza del registro somatico e sensoriale e dell'agito,
determinano la qualità e il tipo di relazione che la persona dipendente costruisce
con chi gli sta intorno e tentano di provocare nell'interlocutore “reazioni” dello
stesso tipo e sullo stesso registro e, come tali, non utili per un cambiamento.
I soggetti vivono una condizione di instabilità emotiva, con oscillazioni fra
bisogno del legame e attacco distruttivo (cercano solidarietà e aiuto, ma poi
provocano sentimenti ostili e sadici), con conseguenti frequenti rapide
fluttuazioni della distanza relazionale.
Queste oscillazioni sono parte integrante del tipo di relazione che questi
soggetti hanno con gli altri e sono espressione della loro sofferenza psicologica
e contemporaneamente la alimentano e la mantengono.
La relazione è caratterizzata da frammentazione e discontinuità; le relazioni
appaiono brevi, intense, non creano una storia della relazione stessa (o
addirittura la cancellano: si pensi ai cambiamenti che avvengono nei rapporti
familiari) che è agita nel qui ed ora, non è inserita in un senso più ampio per la
vita della persona e non entra nel suo sistema di significati, finché quest'ultimo
rimane centrato sulla sostanza stupefacente.
La persona tossicodipendente pretende attenzione esclusiva, imposta relazioni
al fine di avere una risposta immediata ai suoi bisogni, mette in gioco elementi
di seduttività e manipolazione.
Nel momento in cui avviene la richiesta di aiuto spesso l'interlocutore non è
percepito come soggetto nella sua realtà e individualità, ma è interpretato sulla
base di aspettative, timori, sentimenti che sono inconsapevoli e proiettivi, che
derivano dal mondo interno del paziente.
Spesso il soggetto agisce come se si aspettasse un risarcimento per le
sofferenze sopportate a causa della droga per cui, paradossalmente, invece di
mostrarsi “pentito” e umile, pretende come atti dovuti attenzioni e sacrifici da
parte degli altri. Analogamente, si attende una ricompensa per l'enorme
sacrificio che sta facendo, rinunciando ad una cosa così preziosa come è per lui
la sostanza stupefacente.
È facile intuire come queste aspettative, inconsapevoli da parte del paziente,
determinino incomprensioni, attriti e a volte veri e propri conflitti se il terapeuta, a sua volta, considera più adeguato e si attende dal paziente un atteggiamento contrito ed espiatorio (per le cattive azioni commesse dal tossicodipendente vizioso) e non riesce a comprendere (non giustificare) la prospettiva e i
vissuti del paziente.
Inoltre, la persona, in forte stato di ambivalenza verso le sostanze, avvertendo
la “falsità” e la “mancanza di genuinità” della sua richiesta di aiuto e del suo
modo di stare in relazione, teme di essere smascherata o a sua volta ingannata,
e si manifestano nella relazione, in modi diversi, rabbia, sentimenti di indegnità
32
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
LA RELAZIONE TERAPEUTICA
ed inadeguatezza, dolore depressivo.
I diversi sentimenti, che vanno dalla richiesta e desiderio di protezione alla
paura dell'inganno, producono nella relazione con l'altro forti emozioni sia di
vicinanza affettiva sia di allontanamento.
L'affettività che si esprime è intensa, ed è necessario conoscere queste
dinamiche per non esserne sorpresi, non ritenerle abnormi ed immotivate, non
esserne travolti.
L'avidità, il tutto e subito che caratterizza la relazione con la sostanza
stupefacente, l'incapacità di tollerare l'attesa, il sentimento di poter annientare
gli ostacoli che si frappongono fra sé e il proprio obiettivo sono elementi che
condizionano pesantemente anche le modalità con le quali il soggetto presenta
la sua richiesta di aiuto, e il suo modo di prefigurarsi la cura: la persona chiede
una soluzione immediata al suo problema, che deve essere risolto rapidamente
ed in modo indolore.
L'impulso alla ricerca e all'uso della sostanza stupefacente, che irrompe e
trasforma il desiderio in bisogno urgente, sovvertendo il valore delle cose e
alterando ogni equilibrio o ordine precedente, si traduce in discontinuità
emotiva, cognitiva, relazionale e comportamentale.
I contenuti mentali angoscianti che non riescono a trovare espressione verbale,
né ad avere accesso al livello simbolico e a processi di elaborazione, vengono
giocati sul corpo, che diventa così il luogo del dolore fisico e mentale, dolore che
viene esibito ed esasperato.
In un contesto terapeutico, queste caratteristiche vanno riconosciute ed
accettate come punto di partenza per accompagnare il paziente da una
relazione passivo-richiedente ad una relazione di ri-conoscimento sia di sé e dei
propri bisogni sia dell'altro come soggetto “reale”.
L'ambivalenza va accettata in entrambe le sue due facce per costruire
un'alleanza terapeutica: il terapeuta riconosce l'esistenza della parte che ha
nostalgia della sostanza stupefacente, ma anche di quella che vuole/può
rinunciare; l'intervento terapeutico è volto a sostenere e rafforzare gli aspetti
che rendono possibile il cambiamento.
Nella relazione terapeutica con questi pazienti, particolare importanza hanno
dunque tutti quei “dispositivi” che consentono all'operatore di mantenere la
giusta distanza e di modulare presenza e assenza, vicinanza e lontananza a
seconda delle fasi e dei momenti.
Per tutte queste caratteristiche non si può immaginare di aiutare la persona con
problemi di dipendenza affidandosi all'intensità affettiva del legame o al
desiderio di soccorrere e rendersi utili.
Molti genitori, fidanzate, mariti, mogli, figli, amici, vicini di casa ci hanno
provato con dispendio di energia altissima, con la sensazione di aver buttato nel
nulla i loro sforzi ricavandone inevitabilmente un senso di frustrazione di
impotenza e di rabbia (che si rivolge, poi, contro il paziente).
La reazione a questa situazione spesso è l'attribuzione all'altro della colpa del
fallimento, della volontà di non guarire, l'accusa di cattiveria o di falsità, di
mancanza riconoscenza per l'impegno profuso con tanta dedizione e con tanto
sforzo.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
33
LA RELAZIONE TERAPEUTICA
Le modalità relazionali sopra descritte, coinvolgenti e drammatiche, spesso
fanno dimenticare che ci si trova di fronte ad una patologia e che, come in tutte
le patologie, bisogna avere una specifica competenza per affrontarle.
La specificità di questo ambito rispetto ad altri, comporta la necessità di essere
“specialisti” della gestione della relazione attraverso modalità che tengono a
bada il coinvolgimento affettivo e che si concentrano sul “contratto” di lavoro:
questo è il cuore del trattamento.
34
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
IL TRATTAMENTO
“Non si può condurre gli uomini al bene;
si può condurli solo da qualche parte.
Il bene è al di fuori dello spazio dei fatti.”
L. Wittgenstein, Pensieri diversi
In questo capitolo presentiamo alcuni spunti sul trattamento organizzato del
tossicodipendente. Nella nostra esperienza di lavoro, abbiamo cercato di
elaborare un modo possibile di intervento che fosse coerente con le premesse
concettuali e con le finalità della cura.
Presentiamo prima gli aspetti che vanno tenuti presenti nell'avvicinarsi alla
progettazione della cura e, successivamente, una loro possibile declinazione in
un modello organizzativo.
ASPETTI DA TENERE PRESENTE
Visto il fenomeno della tossicodipendenza da un punto di vista sociale,
psicologico, biologico con particolare attenzione ai fattori che lo determinano,
non si può eludere la domanda: che fare? Gli interventi professionali devono
riuscire a tradurre le conoscenze teoriche in azioni utili alla risoluzione dei
problemi o al miglioramento dello stile di vita.
Tradurre le conoscenze teoriche in “azioni utili” vuol dire integrare
pragmaticamente saperi e prassi per confrontarsi quotidianamente non con la
tossicodipendenza, ma con Gino, Paolo, Tiziana…persone che la
tossicodipendenza la vivono. Non è facile.
È opportuno esplicitare un'evidenza statistica significativa dal punto di vista
sociale e importante per le implicazioni cliniche: i pazienti seguiti dai Servizi (si
usa qui genericamente Servizi intendendo sia quelli pubblici sia quelli privati, sia
ambulatoriali sia residenziali, anche se, per la nostra pratica quotidiana, abbiamo in mente soprattutto i SERT o, più modernamente, i SERD) per le dipendenze, in prevalenza, appartengono a fasce sociali “deboli”. Purtroppo è vero che a
qualcuno “spetta” una vita più difficile che ad altri; alcune di queste persone
hanno avuto genitori non adeguati (perché “malati” o semplicemente perché
incapaci di accudire, dare calore, dare dignità di esistere), hanno storie di
povertà (non solo economica ma anche, se non soprattutto, affettiva e culturale), sono cresciute in contesti fortemente intrisi di illegalità e violenza, hanno
sperimentato precoci esperienze - dirette ed indirette - di detenzione: in questi
casi diventa difficile persino instaurare una qualsiasi relazione, un contatto che
permetta di veicolare messaggi di sostegno.
Spesso occorre molto tempo per poter ipotizzare insieme al paziente un percorso di cambiamento. A volte la professionalità degli operatori del settore emerge
proprio nel saper aspettare, stimolando l'acquisizione di consapevolezza
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
35
IL TRATTAMENTO
dell'inadeguatezza e della pericolosità dello stile di vita, agendo in modo che il
paziente impari ad avere fiducia nel Servizio, che maturi in lui la motivazione ad
un cambiamento evolutivo e che possa cercare un senso a una vita che sembra
non averne. Proprio perché individui unici e irripetibili, i consumatori di sostanze che sviluppano dipendenza, non possono essere solo “catalogati” secondo le
teorie di riferimento, ma devono anche essere accolti e "scoperti" nella loro
individualità.
I vari fattori chiamati in causa per fornire, sul piano generale, delle spiegazioni
teoriche sul fenomeno, non sono necessariamente le “cause” concrete della
tossicodipendenza di un particolare soggetto se non diventano, attraverso la
cura, realtà suscettibili di essere investite di senso dalla persona e da chi la
circonda.
L'individuazione del particolare significato ad esse accordato permette di
cogliere le ragioni del passaggio ad un certo agire.
Teoria dei tipi logici di Russell
Il rischio di confondere tipi logici può portare spesso a errori grossolani, che
nel lavoro con le persone sarebbe auspicabile evitare. Di fatto è però molto
facile incorrere in formulazioni di pensieri che intersecano livelli logici diversi.
Ecco alcuni esempi illuminanti:

Il nome non è la cosa nominata ma è di tipo logico diverso, superiore a
quello della cosa nominata.

La classe è di tipo logico diverso, superiore a quelli dei suoi membri.

La mappa è di tipo logico diverso dal territorio.
Analogamente non si deve confondere la patologia con il malato.
Teoria dei tipi logici di Bertrand Russell citata in: Bateson G., Mente e natura, Adelphi,
Milano, 1984.
L'equilibrismo del paziente
Ancor prima di accedere al Servizio e diventare un paziente, il tossicodipendente ha esperito l'arte dell'equilibrista.
Assumere sostanze stupefacenti vuol dire effettuare continui aggiustamenti tra
la clandestinità dell'uso, la dimensione del piacere, le regole sociali e morali, i
problemi e i rischi sanitari connessi all'uso di sostanze. Vuol dire anche
conciliare il proprio modo di considerarsi e di vedere il mondo con la realtà del
proprio consumo.
Situazione emblematica di Piera
Utilizziamo questo caso perché mette in evidenza la difficoltà che molti utenti incontrano quando
l'uso di sostanze stupefacenti mette in crisi la loro realtà tanto da non poterla più gestire.
Piera si presenta al Servizio, è nervosa ed un po' aggressiva, ha subito uno scontro con altri
utenti presenti nel Servizio. Chiede di poter parlare con un operatore e la richiesta viene
soddisfatta senza attesa.
Piera è una ragazza di 28 anni, molto curata nell'aspetto, ha un buon livello di istruzione (è in
36
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
possesso di un Diploma Universitario) e prende le distanze dagli altri utenti, che ai suoi occhi
sono degli “scoppiati”. Nella prima parte del colloquio Piera critica il Servizio (o meglio critica gli
utenti del Servizio), dimostra un'interpretazione paranoica della realtà: “quei due mi
guardavano e parlavano di me e l'altra signora continuava a puntarmi”. Dopo aver accolto il suo
sfogo, l'operatore chiede quale è il motivo che l'ha portata a rivolgersi al Servizio.
Piera resta per qualche secondo in silenzio poi inizia a piangere e non riesce più ad esprimersi.
Dopo venti minuti di contenimento emotivo, Piera riesce a rilassarsi e racconta che, dopo
quattro anni di uso crescente di cocaina, la situazione, che lei gestiva senza problemi, le è
scappata di mano: si rende conto di essere ultimamente troppo nervosa, non è più in grado di
sostenere le spese per l'alloggio (vive sola); i familiari che hanno sempre disapprovato le sue
scelte di vita, ora che hanno “scoperto” il suo problema si sono definitivamente allontanati; un
fermo di polizia durante l'acquisto di una dose ha comportato la sospensione della patente,
problema che avrà una ricaduta negativa sul lavoro, dove “non sanno e non sospettano niente”,
anche se da tre mesi è in malattia, prima per un mal di schiena poi per depressione…
In molti casi il consumo di sostanze può diventare problematico: dall'uso, che
viene percepito come volontario e controllabile, si passa ad un comportamento
di abuso, dipendenza, mania.
L'equilibrio si rompe; per ogni consumatore di sostanze stupefacenti questa
condizione si situa in momenti differenti del percorso di vita e della storia di
tossicodipendenza, per qualcuno accade dopo qualche mese di uso, per altri
dopo anni.
E' il momento della crisi, del non riuscire a rendere compatibile la propria
normalità (famiglia, lavoro, amici…) con la continua ricerca della sostanza e il
suo consumo.

Qualche volta è un evento particolare che svela l'abitudine dell'uso/abuso nel
contesto di riferimento del paziente: un fermo delle forze dell'ordine, il

ritrovamento di una siringa in casa, le assenze sul posto di lavoro, la costante

ricerca di denaro.
Tale scoperta può assumere significati differenti, portando alcuni a riconoscere
immediatamente la necessità di chiedere aiuto, mentre altri minimizzeranno
l'evento e passerà ancora del tempo prima che formulino a se stessi o a qualcun
altro una richiesta.
La persona, in ogni caso, arriva alla richiesta di aiuto e al Servizio con delle
aspettative, dopo un percorso di pensieri e di emozioni rispetto alla propria
situazione, che sente di non saper più gestire e che le provoca disagio; si è
creata una rappresentazione del proprio bisogno che esprime attraverso una
richiesta, a volte anche precisa e circoscritta e spesso presentata come urgente
e senza alternative; si è già costruita una rappresentazione (un pre-giudizio)
del Servizio, spesso parlando con altri utenti che già lo frequentano o attraverso
contatti con i servizi a bassa soglia.
Individuo e sistema
Nessun individuo è un'isola, ma è inserito in un contesto relazionale variegato.
Dai parenti stretti, agli amici, ai colleghi di lavoro e fino al “politico” che esercita
un potere in grado di influenzare la vita di tutti: ognuno è legato agli altri
attraverso fili sottili.
Sono comunque i gruppi primari e in particolare la famiglia, che costituiscono la
rete relazionale più significativa per ogni individuo.
In tal senso è prezioso il contributo dell'approccio sistemico, che considera i
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
37
IL TRATTAMENTO
problemi umani non solo propri del singolo, bensì come manifestazioni di crisi
del contesto relazionale in cui il singolo è inserito.
Non sono più “anormali” esclusivamente i singoli, ma le situazioni e il rapporto
tra individuo e ambiente.
Da una parte il soggetto è portatore di sintomi propri, dall'altra può presentare
sintomi che in realtà esprimono problematiche del sistema relazionale di
riferimento: l'intervento terapeutico può essere inutile o rischioso se non tiene
conto delle reazioni che i mutamenti produrranno sulla famiglia o sui gruppi di
riferimento.
In relazione a questi concetti il trattamento può essere rivolto esclusivamente al
singolo o coinvolgere familiari e altre persone significative della sua rete:
questo aspetto va negoziato con il paziente (e la negoziazione fa già parte del
processo di chiarificazione del problema e di motivazione al trattamento) in
quanto bisogna tenere conto che, dal punto di vista propriamente operativo,
esistono dei vincoli normativi relativi al diritto all'anonimato e alla privacy, che
devono essere affrontati ed esplicitati con i pazienti: per Legge, il soggetto può
richiedere che nessuna informazione che lo riguardi venga comunicata ad altri,
o viceversa concordare che il trattamento includa, direttamente o
indirettamente, altre persone a lui legate. Allo stesso modo un familiare può
rivolgersi al Servizio chiedendo un sostegno per sé anche indipendentemente
dal paziente. I Servizi possono predisporre interventi rivolti alla famiglia: dal
colloquio di supporto per i genitori e/o i partner, in difficoltà nel gestire il
rapporto con il tossicodipendente; a gruppi, tra cui quelli di auto-mutuo aiuto,
che permettono alle famiglie di confrontarsi per esprimere i disagi e apprendere
modalità di comportamento esperite da altre famiglie; a interventi terapeutici
che permettono di modificare sostanzialmente le dinamiche relazionali interne
al gruppo familiare.
Meno codificati sono gli interventi con altri soggetti della rete sociale di
riferimento, che per lo più si limitano a counselling con amici o colleghi di lavoro
o insegnanti che si interrogano sul da farsi.
Situazione emblematica di Carlo
La dinamica tra Carlo, sua madre e il Servizio, qui descritta, aiuta a comprendere quanto i
trattamenti terapeutici devono tenere conto dei sistemi relazionali dei clienti.
Carlo ha 28 anni, vive con la madre (76 anni) ed è l'ultimo di otto figli; il penultimo, anch'egli
tossicodipendente, è attualmente in carcere. Carlo segue in modo irregolare una terapia
farmacologica con metadone.
La madre si presenta al Ser.D., perché non è più in grado di sopportare la situazione.
Viene accolta da un operatore della segreteria che cerca di capire cosa sia accaduto, se Carlo è a
conoscenza dell'arrivo della madre al Ser.D. e, vista la grande agitazione della signora, come
eventualmente riuscire a contenerla.
Non c'è stato alcun episodio particolare che l' ha fatta arrivare fino al Servizio, semplicemente
non se la sente di “cacciare” il figlio fuori casa, ma neppure di sopportare la situazione così
com'è.
La signora non parla correttamente l'italiano, si esprime in modo molto colorito, con parolacce e
minacce del tipo “non lo sopporto più, se non si trova una soluzione, una di queste notti gli do
fuoco mentre dorme”, espressioni che, ad un approfondimento, si rivelano come una
verbalizzazione piuttosto primitiva di un forte disagio ma prive di una reale pericolosità. Rifiuta
un colloquio successivo, perché “è mio figlio che dovete aiutare”.
Le viene proposto un incontro, al quale avrebbe potuto presentarsi con il figlio per discutere
38
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
della situazione di conflitto.
La signora torna il giorno dopo per dire che sarebbe venuta al colloquio: ricomincia la sua
lamentazione, dice che deve essere aiutata, perché lei non ce la fa più e che questo figlio le ha
dato problemi fin da quando lo aveva nella “pancia”, perché quando era rimasta incinta era già
vecchia e si vergognava di aspettare l'ennesimo figlio…
La signora urlava e non si rendeva conto che nello spazio di segreteria era ascoltata da molte
persone.
L'operatore che la accoglie la invita a parlare di queste cose nel colloquio concordato.
All'incontro la signora si presenta con il figlio, Carlo, il quale sembra calmo e un po' in imbarazzo
per il comportamento della madre; ogni tanto ascoltandola sorride, ogni tanto si mostra
preoccupato.
La signora è ancora molto agitata, inizia a parlare dell'altro figlio tossicodipendente, Davide,
rispetto al quale si sente molto male perché ha fatto lei la denuncia che lo ha portato all'attuale
carcerazione.
Parla con tristezza di Davide e sembra persino confonderlo con Carlo.
Gli altri figli sanno della situazione, ma hanno la loro famiglia a cui badare. Dice che da un po' di
tempo sta pensando di mettere fuori di casa i figli, vendere la casa e andare in un istituto per
anziani. Tra un po' di tempo Davide uscirà dal carcere e questo la agita ancora di più.
Carlo dice di aver capito e di dover andare via di casa, ma la signora dice che la situazione non le
piace per niente “si deve curare, deve andare in una comunità…”. Nel corso di quel colloquio e in
quelli successivi il discorso sulla comunità viene approfondito.
E' chiaramente più una esigenza della madre che del figlio, tuttavia Carlo si dimostra
interessato. Gli operatori decidono di usare la disponibilità di Carlo ad entrare in una struttura
con l'obiettivo di effettuare un approfondimento diagnostico, visto che le sue modalità di
frequenza del Ser.D. non avevano consentito di andare oltre un mero contenimento dell'uso
attraverso il trattamento farmacologico sostitutivo.
Carlo viene inserito in una struttura di accoglienza dove riuscirà a concludere una valutazione
diagnostica che porterà ad identificare un disturbo psicotico associato alla tossicodipendenza,
che rende ragione in misura ancora maggiore della sua difficoltà a prendere iniziative per curasi
e ad aderire sufficientemente al trattamento.
La diagnosi ha permesso di perfezionare il trattamento farmacologico e la gestione del paziente.
La madre, dopo qualche giorno dall' inserimento in comunità, venne ricoverata per problemi di
salute: gli eventi resero evidente agli operatori che la madre, che effettivamente stava male,
non era in grado di prendersi cura di sé se non garantiva una sorta di accudimento per il figlio nel
periodo della sua assenza.
L'intervento su un caso di tossicodipendenza è sempre complesso e complicato
da altri fattori: in questa situazione, il problema di salute personale della madre
del paziente e la sua scarsa capacità di esprimere in modo razionale e articolato
le sue difficoltà ha messo a dura prova le capacità gestionali e cliniche degli
operatori, anche se proprio lei ha messo in moto con forza il processo che ha
portato ad un cambiamento significativo.
La situazione di Carlo è chiaramente un caso in cui il problema del significato
della propria esistenza individuale è trasceso dalle necessità di cura.
Il mercato delle sostanze
La tossicodipendenza può essere considerata una delle malattie sociali del
nostro tempo, malattie legate alle grandi difficoltà nella percezione di un futuro
migliore: minacce ambientali e catastrofi “naturali”, inquinamento, mancanza
di lavoro, terrorismo, cinismo,… prospettive che possono indurre molti alla
convinzione che non esista un senso, una finalità da perseguire, una meta o
qualcosa da realizzare.
Se passiamo dall'approccio psico-antropologico del fenomeno ad un'analisi più
tipicamente sociologica, sono centrali (e, di nuovo, rilevanti dal punto di vista
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
39
IL TRATTAMENTO
clinico) l'elevata mutabilità e la vivacità del mercato delle sostanze stupefacenti, legali ed illegali.
Mai come in questo momento storico le sostanze sono state contemporaneamente così facilmente reperibili, poco costose e differenziate.
Questo fiorente mercato ha un'impressionante potere di penetrazione nei
diversi contesti sociali che, spesso, si mescolano tra loro proprio in funzione del
consumo di sostanze.
Il mercato delle sostanze stupefacenti ha subito lo stesso cambiamento del
normale mercato dei consumi.
Si verifica un processo di globalizzazione e trasformazione della piccola
distribuzione, attraverso cui la droga diventa un prodotto da commercializzare
come qualsiasi altro bene: si acquista allora un pacchetto completo,
comprensivo anche della situazione in cui si reperiscono e si consumano le
sostanze stupefacenti: i contesti d'uso delle cosiddette droghe ricreazionali, la
discoteca, il rave, lo stadio, sono solo alcuni esempi.
Il mercato acquisisce allora una maggiore capacità di penetrazione, si lega
all'immaginario e al simbolico, i consumi sono più diffusi; la tossicodipendenza
diventa un effetto collaterale della società centrata sul consumo e sulla
manipolazione dei bisogni.
Le rappresentazioni
Come abbiamo visto nella introduzione, fa parte della condizione umana
interagire con il mondo attraverso le proprie rappresentazioni; il rischio è di
utilizzare in modo automatico e generalizzato i propri schemi interpretativi,
cedendo a facili riduzionismi concettuali.
Gli stessi tossicodipendenti, spesso, condividono gli schemi concettuali della
società in cui vivono, compresi i pre-giudizi su se stessi, ricorrendo a
semplificazioni e riduzionismi sui problemi di dipendenza e considerandosi
anch'essi come viziosi, intossicati, deboli, etc.
La relazione paziente-operatore si gioca su reciproche rappresentazioni che in
modo circolare si influenzano, modificando le rappresentazioni precedenti e
condizionando il comportamento.
Una delle funzioni più importanti che sottostanno alla relazione di aiuto è
relativa alla rappresentazione di sé del paziente.
Il fatto stesso di doversi rivolgere ad un Servizio specialistico, facilita
l'identificazione totalizzante con il problema: “sono un tossicodipendente”.
Proprio la considerazione di questo presupposto, però, permette all'operatore di
favorire un processo di oggettivazione dei problemi, di valorizzazione della
persona e della sua storia, sostenendo/accompagnando il paziente nel
passaggio dalla proposizione “sono un tossicodipendente” all'altra: “sono una
persona con un problema di dipendenza”.
Si è già detto precedentemente come anche l'operatore sia impregnato dei
luoghi comuni quanto alla propria rappresentazione delle problematiche di
dipendenza: oltre alla formazione e all'esperienza, il continuo interrogarsi sui
propri modi di intervenire e il confronto con il gruppo di lavoro aiutano a
prendere coscienza dei propri schemi mentali e ad individuare cornici teoriche e
pratiche di riferimento che qualificano l'agire professionale.
40
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
Dal riduzionismo alla complessità
Il riduzionismo è una trappola cognitiva sia per gli utenti sia per il Servizio e
attraverso processi di semplificazione, apparentemente risolutori, ostacola una
visione multifocale e multiprospettica dei problemi.
La tendenza al riduzionismo operata dai clienti si può osservare sia rispetto alla
visione della propria dipendenza e della propria identità, sia nelle fantasie sulla
facilità di soluzione del problema: “… voglio uno scalare veloce”, oppure: “… mi
bastano due mesi in un centro crisi”, sono richieste ricorrenti ed emblematiche
d'eccessive semplificazioni, che, se non affrontate, limitano le possibilità
d'azione. Questa tendenza può portare ad una situazione d'empasse: l'utente
richiede soluzioni (apparentemente) tempestive e concrete, l'operatore, per
contro, è perfettamente consapevole che le richieste del cliente sono
inadeguate e il soddisfacimento di queste darà un esito inefficace.
In ogni caso, è accogliendo la persona che le si permette di stare nella relazione
di aiuto e di modificare in seguito la sua richiesta. Il caso che segue presenta
una situazione in cui la domanda di aiuto si è resa via via più complessa.
Situazione emblematica di Luigi
Luigi si presenta al Servizio chiedendo di essere inserito urgentemente in comunità.
La necessità dell'operatore di conoscerlo per capire il senso, la finalità e le probabilità di efficacia
della sua richiesta, anche per individuare la tipologia di comunità più adatta a lui, gli creano
insofferenza. Luigi riferisce di aver avuto delle indicazioni da alcuni amici rispetto ad una
comunità chiamata “XYZ” e di aver preso già contatti con questa.
Racconta di aver parlato con un operatore della comunità e di essere convinto che solo entrando
in questa struttura potrà risolvere i suoi problemi di dipendenza.
L'operatore risponde a Luigi che non vuole contraddirlo: la comunità ha aiutato molti a superare
problemi di tossicodipendenza e potrebbe aiutare anche lui; gli garantisce anche che prenderà
contatti con il collega della comunità terapeutica, e nel comunicarglielo intende valorizzare
l'iniziativa presa da Luigi. Sottolinea infine che un percorso di comunità inizia prima ancora di
entrarci: bisogna arrivare all'inserimento sapendo quali sono i problemi che impediscono, nel
proprio quotidiano, di fare una vita soddisfacente, per iniziare ad impostare, in un luogo
protetto, dei cambiamenti.
Il discorso dell'operatore permette di dare significato all'intervista semistrutturata che viene
proposta al paziente con la finalità di far emergere i suoi vissuti in merito al problema della
tossicodipendenza, al suo stato di salute psico-fisica ed alle eventuali problematiche sociali
(lavoro, problemi legali, situazione relazionale). Dal colloquio emerge che la comunità è un
modo per allontanarsi dalla tossicodipendenza, ma, forse, ancor di più, dai familiari che, dal
momento della sua richiesta di aiuto, hanno creato un sistema di controllo per cui non lo
lasciano mai solo durante tutto l'arco della giornata e lui si sente soffocare. Luigi dichiara anche
di essere preoccupato rispetto alla sua tossicodipendenza. In passato aveva sempre usato
eroina solo per via endonasale, mentre da poco tempo è passato all'uso per via endovena,
cambiando completamente il suo rapporto con la sostanza. Adesso si sente molto più
“dipendente” perché quando usa l'eroina perde coscienza ed il controllo della realtà, mettendosi
in situazioni di pericolo.
Dall'intervista emergono anche elementi di storia personale difficili: fratelli legati ad ambienti
malavitosi che sono morti, il suo matrimonio fallito, i suoi precedenti delinquenziali.
All'appuntamento successivo Luigi non si presenta. Arrivano, fuori appuntamento, la madre e la
sorella del paziente, allarmate per l'aggravarsi della situazione del loro congiunto, che non
rispetta più il controllo da loro imposto ma esce di casa, facendo chiaramente sospettare una
nuova ricaduta nell'uso di eroina. L'operatore, vincolato dal dovere dell'anonimato e dal segreto
professionale, propone alle due donne di ripresentarsi al Servizio insieme a Luigi: solo così
potranno parlare liberamente.
Luigi viene arrestato. Durante il colloquio in carcere la richiesta del paziente è totalmente
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
41
IL TRATTAMENTO
modificata, la comunità non è più necessaria; adesso per Luigi è importante ragionare sul suo
rapporto con la sostanza e si chiede perché non riesce a fare a meno dell'eroina. Si rende conto
di ricercare con la droga un particolare stato di benessere, ovvero l'annichilimento del disagio
provocato da un senso di vuoto interiore che avverte da sempre e che gli provoca sofferenza.
Luigi riflette su questo senso di vuoto e prova a capirne l'origine: vivere sapendo che ti hanno
ucciso due fratelli, dover venire via dalla Sicilia per non perderne altri, fa crescere, dice Luigi, in
un altro modo. Il livello di consapevolezza, la disponibilità al confronto, sembrano molto
aumentati in Luigi. Nel suo modo di parlare si avverte anche che non vede modi diversi
dall'eroina per non avvertire la propria angoscia. Questo sarà il focus del trattamento.
Avere come riferimento epistemologico la teoria della complessità permette,
attraverso un'adeguata relazione terapeutica, di accogliere le istanze del
cliente, visto come soggetto attivo con competenze e saperi.
L'accoglimento del mondo interno del cliente consente di lavorare insieme sui
significati e di ampliare le prospettive.
Gli stimoli contestuali del mondo del consumo di sostanze, non sono né uguali
per tutti, né stabili nel tempo. Infatti, lo stesso intervento terapeutico ha esiti
differenti in soggetti diversi, ma anche nello stesso individuo, in momenti
differenti della sua vita.
L'operatore favorisce la ri-appropriazione da parte del cliente di una “identità
più ampia”, fatta anche delle risorse che gli hanno permesso di gestire la situazione fino a quel momento e che saranno ancora utili fino a quando non saranno
individuate altre risorse, interne ed esterne alla persona, che permetteranno un
processo di cambiamento.
Teoria della complessità
Tre principi ci possono aiutare a pensare alla complessità:
1. il primo è di tipo dialogico, ci consente di mantenere la dualità in seno
all'unità e di associare termini complementari e insieme antagonisti.
Si riferisce alle tensioni (di genere, dell'ordine e del disordine, etc) per le
quali l'esistenza fenomenica e il principio di riproduzione dipendono l'uno
dall'altro;
2. il secondo riguarda il ricorso all'organizzazione, in termini di processo che
si auto-costruisce, si auto-organizza e si auto-produce.
Il richiamo al processo offre la possibilità di cogliere la ricorsività e di
considerare le dinamiche dei prodotti e degli effetti, contemporaneamente,
come cause e produttori di ciò che li produce (l'uomo produce la società,
che produce l'uomo);
3. il terzo è definito ologrammatico. Il principio attiene alla peculiarità per la
quale il più piccolo punto dell'immagine dell'ologramma contiene la quasi
totalità dell'informazione dell'oggetto rappresentato.
Ciò rende possibile la conoscenza delle parti attraverso il tutto e del tutto
attraverso le parti (per esempio, in biologia una sola cellula del nostro
organismo contiene la quasi totalità delle nostre informazioni genetiche).
Morin E., Introduzione al pensiero complesso, Sperling e Kupfer, Milano, 1993
42
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
La relazione d’aiuto
Siamo partiti dalla rappresentazione dei pregiudizi e delle pre-comprensioni,
spesso fuorvianti, che esistono nel campo delle dipendenze, ne abbiamo
analizzato le più comuni ipotesi di lettura, per guadagnare un terreno di
maggior definizione e complessità, fondato scientificamente.
Qui non si vuole negare che esistono alcuni meccanismi ed alcuni
comportamenti comuni tra i diversi soggetti; ridondanze che, dopo una
conoscenza più profonda e grazie alla presenza di una relazione, lasciano subito
affiorare storie individuali molto diverse, significati personali e differenti dati
alla pratica tossicomanica.
L'effetto trasformativo derivante dall'assunzione delle sostanze stupefacenti,
come detto precedentemente, agisce per ognuno in modo differente e su base
individuale.
Che cosa vuol dire allora concretamente trattare soggetti con una dipendenza
più o meno strutturata?
Spesso quando si descrive il comportamento del tossicodipendente si parla di
manipolazione e strumentalizzazione per indicare delle modalità di relazione
attraverso cui i soggetti tentano di usare gli altri, operatori compresi, per
raggiungere i propri scopi e in particolare l'obiettivo di mantenere la
dipendenza, che genera piacere e pienezza del proprio sé.
Anche in questo caso occorre rimanere nella relazione con il paziente,
accogliendone le parti che desiderano sinceramente un cambiamento e quelle
che esprimono sofferenza, evitando invece di sottostare ad ogni richiesta.
Il riconoscimento prioritario del cliente come persona pone le basi per un
rapporto dialogico, necessario per la costruzione della relazione di aiuto.
La premessa necessaria per innescare un processo terapeutico di cambiamento
risiede nella possibilità di tale relazione.
L'attore principale del processo di cambiamento è il soggetto, accanto a tutte le
dinamiche che possono o no influenzare il suo comportamento.
La centralità del soggetto significa che egli partecipa alla costruzione di se
stesso in modo squisitamente personale e originale, sia come tossicodipendente, sia come soggetto capace di cambiamento.
Attraverso l'ascolto e la comprensione della visione del mondo del paziente,
l'operatore cerca di individuare le aree problematiche e di intravedere possibili
prospettive future.
Il trattamento, attraverso processi riflessivi e/o attraverso esperienze concrete,
dovrebbe rafforzare le risorse potenziali e concretizzare delle possibilità di
evoluzione, che tengano conto delle dimensioni di ecologia e di sostenibilità
della nuova situazione che si viene a creare.
Il trattamento si realizza a condizione che l'operatore e il paziente, in modo
negoziale e partecipato, creino una collaborazione attorno a degli obiettivi
condivisi.
È qui completamente fuori luogo ogni tipo di sospetto che possa far pensare ad
una proposta di rapporto paritario: l'uguaglianza sta nell'appartenenza alla
categoria di uomini (la nostra specie), la "disparità" sta nell'avere costruito
come individui delle competenze diverse rispetto alla "tossicodipendenza", oltre
che ad essere comunque biologicamente e psicologicamente distinti.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
43
IL TRATTAMENTO
L'operatore non sa procurarsi la sostanza, non sa trovarsi una vena, non sa cosa
è un “flash”… invece, è tenuto a conoscere le teorie di riferimento, le ricerche
scientifiche e a saper utilizzare degli strumenti tecnico-professionali.
Situazione emblematica di Sandro
Sandro è un tossicodipendente di 30 anni.
Orfano del padre, vive con i suoi fratelli, tutti ormai adulti, da quando la madre è andata a
convivere con un altro compagno. “Ho deciso, non ce la faccio più, sto male e vorrei entrare
prima a XXX e poi proseguire per la comunità”. XXX è il luogo dove il paziente è già stato, inserito
circa un anno fa in un Centro Crisi per un periodo di disassuefazione dal metadone, dove si è
trovato molto bene ed ha iniziato ad aprirsi con gli operatori.
Spesso è depresso ed usa la sostanza da solo, non frequentando altri tossicodipendenti, con
valenza di autocura. Sandro è visibilmente in difficoltà; dopo l'inserimento in centro crisi aveva
proseguito per un certo tempo i colloqui di sostegno con un operatore presso l'ambulatorio, ma
poi li aveva interrotti fino ad oggi, quando si è presentato con questa richiesta. Ora Sandro
piange e non vede alcun modo di prendersi cura di sé: “…non posso farcela da solo, voglio
andare subito via da Torino”.
Il compito dell'operatore oggi è molto penoso, visto che conosce Sandro e l'evoluzione della sua
domanda di cura e deve inoltre comunicare un vincolo: il Ser.D. ha dovuto introdurre l'uso della
lista d'attesa per l'accesso ai progetti di comunità, a causa di problemi di bilancio dell'A.S.L.
Nel corso del colloquio riemerge la situazione di profonda disperazione in cui Sandro si trova, la
sensazione di fallimento ed i pensieri di suicidio che si sono riaffacciati.
L'operatore comunica la preoccupazione per la sua incolumità e cerca di stimolare Sandro a
pensare cosa può fare per proteggersi, dando la sua disponibilità a sostenerlo.
Restituisce anche l'impossibilità di farsi carico totalmente della sua sofferenza e ribadisce che
lui ha le risorse per effettuare un cambiamento.
All'appuntamento successivo Sandro dice: “Ho cercato dei modi per stare meno male, ho
ricominciato la cura con l'antidepressivo che mi ha proposto il medico del Ser.D. perché ho
verificato che mi fa stare meglio e poi ho iniziato a dare il bianco in casa insieme a mio fratello,
per occupare il tempo.
Avere il tempo occupato per me è molto importante, infatti quando lavoro va meglio”.
Sandro ha potuto fare l'esperienza importante, riparativa, di rendersi conto
delle proprie risorse e delle proprie capacità di agire, riconoscendo che aveva
delle idee di risoluzione magica dei problemi e mettendo in atto
autonomamente dei comportamenti autoprotettivi.
Ciò ha permesso all'operatore di misurare la possibilità dell'intervento
contrattuale; delimitare cosa poteva realisticamente fare per lui in quel
momento e cosa il paziente poteva fare, è stata non solo una necessità
organizzativa, ma un'azione contrattuale per entrambi.
Il contributo delle neuroscienze
Le recenti ricerche nell'ambito della neurobiologia hanno permesso di
comprendere aspetti molto importanti del fenomeno delle dipendenze. La
capacità di adattamento e la plasticità proprie del cervello consentono delle
trasformazioni che non sono automaticamente percepibili su un piano di
consapevolezza cognitiva.
Le esperienze scolpiscono e modificano gradualmente le persone,
impercettibilmente, costantemente, tanto da renderle sempre un po'
sconosciute a se stesse. Per certi versi tutto questo può essere inquietante, per
altri è fantastico, è ciò che permette di evolvere, di cambiare.
44
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
Un caso storico
Un caso molto noto agli studiosi, quello di Phineas Gage nel 1848, ha permesso di mettere in
relazione i comportamenti umani e il “carattere” con le modifiche della struttura del cervello.
Lo spunto lo fornì un “esperimento” involontario; a causa di un incidente sul lavoro molto
grave, un minatore, Phineas Gage, persona mite, gentile e regolare, ebbe un grave danno
cerebrale, però compatibile con la sopravvivenza, nella regione cerebrale fronto-orbitale.
Quando si riprese dall'incidente, il suo carattere era del tutto diverso: il suo medico curante
scriveva “… L'equilibrio tra le sue facoltà intellettive e le sue tendenze bestiali sembra distrutto.”
Il gentile Phineas Gage era diventato aggressivo, violento, sregolato, senza “freni morali”.
Riportiamo questo caso per la sua importanza storica e per il modo
clamoroso in cui ha reso evidente la correlazione (tutta da studiare e da
interpretare, ovviamente) tra cambiamenti della struttura cerebrale e
cambiamenti delle espressioni psichiche e comportamentali.
Tutte le esperienze modificano, inconsapevolmente per noi, il nostro cervello.
Verrebbe da dire che tale trasformazione è subdola, in quanto non è qualcosa
che si è vissuto e poi dimenticato, ma è accaduta senza essere stata esperita.
Non è l'unico processo di questo genere che può accadere all'uomo: per
esempio ogni malattia prevede, in genere, un periodo di incubazione, non
esperito dal soggetto, prima che compaiano i sintomi. L'uso di sostanze
stupefacenti è un'esperienza esponenzialmente più pregnante di altre possibili
esperienze. Oltre alla eccezionalità dell'effetto chimico, le dinamiche e i ruoli
della piazza sono fortemente invischianti: tutto l'impegnativo lavoro per
recuperare denaro, la ricerca del pusher e la tensione per sfuggire ai controlli
delle Forze dell'Ordine, la pericolosità della vita nell'illegalità e i rituali
individuali e collettivi del consumo, esercitano un costante condizionamento
nella relazione tra il soggetto e la sostanza. La sostanza va a creare alterazioni
in una zona particolare del cervello, quella più arcaica, che interessa gli istinti di
sopravvivenza della specie. E' questo aspetto che rende sbagliato considerare
la cura della dipendenza come una lotta contro una sostanza che ha intossicato
l'organismo o contro una volontà debole che non può fare a meno di un piacere
chimico. Già prima abbiamo considerato che il cambiamento operato dalla
sostanza determina una serie di conseguenze che ricordiamo sinteticamente:
1.
il fondamentale equivoco della gratificazione da droga, interpretato dai
centri nervosi come una gratificazione conseguente ad un
comportamento di importanza vitale (sono gli stessi centri che, proprio
grazie alla gratificazione, garantiscono la sopravvivenza dell'individuo e
della specie spingendo il soggetto a certi comportamenti);
2.
il controllo dei centri cerebrali superiori, che elaborano razionalmente le
scelte, viene significativamente ridotto, mentre i centri che spingono al
comportamento impulsivo acquisiscono una maggiore potenza;
3.
la memoria della gratificazione si fissa in modo profondo come esperienza
di riferimento del soggetto, influenzando le sue valutazioni emotivocognitive. Questi meccanismi sostengono il problema principale nel
trattamento del tossicodipendente: la sua ambivalenza, l'oscillazione tra
il volere una cosa e volerne un'altra, la sua instabilità nelle emozioni e nel
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
45
IL TRATTAMENTO
modo di pensare, il suo ridotto autocontrollo e la sua inaffidabilità nel
tempo.
Identità e cambiamento
Nel percorso del trattamento del tossicodipendente, favorire l'espressione della
sua visione di se stesso è sostanziale. In tal senso diventa importante
ricostruire la storia di vita e, all'interno di essa, la storia di tossicodipendenza,
approfondendo cosa lo ha attratto e spinto a provare la sostanza e le modalità
con cui si è avvicinato a quel mondo (in quale periodo della sua vita, come si
percepiva in quel momento, in che rapporto era con le proprie reti: la famiglia, il
gruppo dei pari…). E, ancora, in che modo lo sperimentare le sostanze si è
trasformato in abitudine, come si sono trasformate le relazioni, come si sono
costruiti i pensieri intorno a tale cambiamento e quali trasformazioni si sono
verificate nella sua vita. Il riconoscimento di se stessi come attori protagonisti
della propria storia, favorisce la riscoperta della propria identità. Il ragionare su
chi si è stati, su chi si è, chi si sarebbe voluto essere e chi si vorrebbe essere,
permette di collocare la propria identità nello scarto tra l'Io Reale e quello
Ideale, riscoprendo la possibilità di orientare la propria vita e permettendo
l'assunzione della responsabilità delle proprie scelte. Si può riconoscere, allora,
un proprio ideale di sé che non coincide con il sé reale, ma che lo orienta. Il
riconoscersi persone che non possono tutto, che hanno anzi molti limiti, ma
sono in costante tensione verso un cambiamento evolutivo, permette di dare un
senso alla propria vita: si può passare dal circuito chiuso costituito dal “solito
giro” che caratterizza la giornata del dipendente da sostanze, al circuito aperto
che consente variazioni e arricchimenti esperienziali. La rinuncia al piacere
immediato della sostanza (che per la maggior parte dei clienti del Ser.D.,
abusatori assuefatti, è scelta di sentire i “morsi” della carenza), diventa un
modo per raggiungere la soddisfazione di possedere la propria persona, di poter
scegliere della propria vita senza doversi muovere sotto il giogo della parte di sé
che reclama soddisfazioni immediate.
La multidisciplinarità del servizio
In base a queste premesse epistemologiche diventa necessario andare a
verificare la prassi operativa, affinché non si sviluppino procedure in antitesi con
quanto detto. La complessità del fenomeno rende necessario un approccio
multidisciplinare che coniughi campi di intervento teoricamente distanti: area
sanitaria, area pedagogica, area psicologica ed area sociale. Di fatto i servizi
che si occupano di patologie da dipendenza sono oramai da anni orientati alla
presa in carico multiprofessionale dei pazienti. Mentre nella medicina normale
un approccio multidisciplinare rappresenta un approccio raffinato e moderno (si
pensi al contributo di psicologi e dietologi in cardiologia), nella medicina delle
dipendenze l'approccio interdisciplinare è una necessità, che fortunatamente
appartiene (anche se ha avuto alcune deformità) alla cultura e alla storia dei
Servizi. Gli operatori delle varie discipline, oltre alle loro specifiche competenze
tecniche, devono acquisire la capacità di lavorare in gruppo. E' nel lavoro di
équipe che le diverse visioni vengono integrate, ricomposte e rilette, evitando il
rischio di perseguire obiettivi diversi o addirittura tra loro contrastanti.
46
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
UN MODELLO ORGANIZZATIVO
PER GESTIRE I TRATTAMENTI
In conformità a quanto stabilito dal T. U. 309/90, i Servizi per le patologie da
dipendenza devono occuparsi di prevenzione, cura e di riabilitazione dei
soggetti tossicodipendenti. Hanno dunque un ampio campo di azione, che va
dagli interventi di prevenzione nelle scuole, alla disintossicazione da sostanze
stupefacenti, alla definizione di progetti di riabilitazione, anche in
collaborazione con strutture esterne al Servizio (ad esempio, le comunità
terapeutiche).
Come più volte ribadito, il fenomeno delle dipendenze non è statico, ma in
continua evoluzione, impone pertanto delle periodiche revisioni dell'assetto
organizzativo dei servizi. Anche le nuove scoperte scientifiche ampliano le
teorie di riferimento e indicano nuove modalità di intervento. A tal proposito
tutti i Servizi per le tossicodipendenze, nel rivedere periodicamente la loro
organizzazione, devono tenere conto dei vincoli legislativi, delle conoscenze
scientifiche, delle risorse e del contesto socio-politico, delle mutazioni del
mercato delle sostanze e delle modalità di consumo.
Come condizione necessaria per organizzare un Servizio bisogna che il gruppo
di lavoro definisca in modo chiaro e sufficientemente condiviso quali sono i
riferimenti teorici e concettuali che stanno alla base e orientano le prassi
quotidiane: si individua così la cultura del Servizio. Questa continua attenzione
alla cornice di riferimento permette da una parte di ricondurre le azioni
professionali quotidiane ad una area di senso, di significato e di finalità
condivisi, dall'altra, paradossalmente, rende più liberi gli operatori di
intervenire in modo creativo, in quanto, se una filosofia deve tradursi, per
maggiore efficienza, in protocolli di intervento, nella pratica quotidiana è
possibile che tali protocolli vengano considerati come strumenti tecnici e
rispettati con elasticità, o ne vengano inventati di nuovi, che risultino più efficaci
o migliorativi della qualità dell'intervento.
Dalla cultura del Servizio possono scaturire diverse articolazioni organizzative,
che saranno influenzate anche dalle caratteristiche del contesto territoriale di
riferimento (rispetto alla prevalenza della popolazione con problemi di
dipendenza, alla disponibilità di risorse, all'accessibilità degli ambulatori…).
Alla ricerca di un modello operativo: come può essere pensato (e
sperimentato) un Servizio per le Patologie da Dipendenza.
Nelle poche righe di seguito, viene sommariamente presentata l'elaborazione
che, in un paio d'anni di lavoro con la supervisione di Achille Orsenigo dello
Studio APS di Milano, la UOA specialistica della ASL 3 di Torino ha attuato, per
mettere in dialettica la visione teorica con l'attività di cura concreta. Lo scopo di
questa presentazione è solo di dare una idea della necessità e della possibilità di
cercare l'efficienza attraverso la coerenza tra pensiero e azione.
L'UOA Patologie da Dipendenza è composta da due Ser.D. che hanno
competenza su due distretti diversi, dal SAD (Servizio Assistenza Detenuti), da
un Servizio per le dipendenze da sostanze legali e da comportamenti (che si
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
47
IL TRATTAMENTO
occupa di alcologia, tabagismo e gioco d'azzardo patologico) e da Pr.Assi.
(Servizio di Pronta Assistenza). Gli operatori hanno l'opportunità di lavorare con
un criterio di multi-appartenenza rispetto a specifiche aree di intervento (es. un
operatore di un Ser.D. può far parte del Servizio di alcologia, degli inserimenti
lavorativi ed altro ancora). Inoltre, le occasioni di incontro e confronto sono
garantite grazie ad una pianificazione delle riunioni di Unità Operativa e dalle
iniziative di formazione, che vengono organizzate in relazione alle necessità
emergenti. Il monitoraggio delle attività è seguito dai Responsabili e integrato
alle altre aree, attraverso il Consiglio di Unità Operativa e il Consiglio di
Direzione.
Molte attività dell'Unità Operativa sono rivolte al territorio, considerato in
termini di comunità locale. Gli interventi di questo genere sono riconducibili
all'area della prevenzione (es. interventi nelle scuole) e all'area culturale e di
informazione (es. organizzazione di iniziative pubbliche, come per il 1°
dicembre, Giornata Mondiale della Solidarietà all'AIDS/HIV, convegni, seminari,
etc).
La diversificazione degli ambiti di lavoro si è resa necessaria (e probabilmente lo
sarà sempre più), per differenziare i tipi di intervento.
La molteplicità dei contesti permette di accogliere i pazienti nelle loro diverse
fasi motivazionali e di perseguire obiettivi ad esse connessi.
Nel suo insieme, la Uoa è stata pensata
a partire dalla concezione della
dipendenza come una patologia della
relazione: pazienti diversi o lo stesso
paziente in momenti diversi sono in
posizioni relazionali (verso se stessi,
verso la droga, verso il Servizio di
cura) molto diverse.
Per mantenere il contatto con il
paziente e il significato della relazione
di cura si è pensato di creare ambiti e
percorsi in grado di offrire modalità
relazionali e servizi diversi e di
collegarsi tra loro non in modo lineare,
ma come nodi di una rete.
La segreteria
L'accesso al Servizio avviene normalmente attraverso un servizio di segreteria.
La segreteria, pur offrendo servizi anche di tipo organizzativo (appuntamenti,
gestione di informazioni), non è svolta da personale amministrativo in quanto è
considerata critica la formazione alla gestione della relazione con pazienti
piuttosto difficili.
Quando il soggetto con un problema di dipendenza, diretto o indiretto, afferisce
al Servizio esprimendo una richiesta di aiuto, è il delicato momento
dell'accoglienza.
Tale situazione è sicuramente favorita dall'accessibilità delle sedi operative che
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La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
devono essere facilmente raggiungibili e devono avere ampi orari di apertura al
pubblico.
Spesso la persona che si rivolge al Servizio si presenta accompagnata da un
soggetto della sua rete sociale (amico, parente, operatore di altri servizi…) che
ha anche lui le sue rappresentazioni del problema; la sua presenza influenza il
modo di porre le domande da parte del paziente e anche il modo di dare le
risposte da parte dell'operatore.
Ecco un esempio della gestione di un caso da parte della “segreteria”.
Situazione emblematica di Donatella
La signora Donatella, trentenne, è sposata con Vinicio e ha una figlia di sei anni; si presenta al
Ser.D. al sesto mese di gravidanza, chiede con toni molto gentili di poter parlare con due
operatori che già conosce ma che in quel momento non sono presenti in Servizio.
Chiede allora se suo marito, Vinicio, stia frequentando il SerD. Viene allora fatta accomodare in
una stanza per approfondire il significato della sua domanda.
A quel punto Donatella, emotivamente in difficoltà, comincia a raccontare che da un po' di mesi
ha constatato segnali di malessere nel marito, che secondo lei ha ripreso a fare uso di droghe.
In passato, circa sei-sette anni fa, Vinicio era stato seguito dal Servizio e sembrava aver
superato le problematiche di abuso attraverso un lungo programma.
Le cose si erano sistemate, aveva trovato un lavoro stabile, ma ultimamente erano evidenti
delle difficoltà, visto che da un po' di tempo Vinicio non portava soldi a casa.
La signora è spinta dai suoi familiari a lasciare il marito, in quanto evidentemente non è in grado
di fare né il marito, né il padre: lei non è capace di farlo; anche se delusa, gli è molto affezionata.
E' anche molto preoccupata per sé, perché teme di non essere reintegrata al lavoro a conclusione maternità, date le piccole dimensioni dell'azienda in cui è impiegata.
L'operatore le chiede se il marito sa che lei è venuta al SerD. Risponde che con suo marito non
riesce a parlare, anche perché è sempre presente la bambina e non vuole che questa sappia che
il padre ha avuto o ha ancora problemi di droga. Le viene chiesto se secondo lei Vinicio sarebbe
contento di sapere che lei è venuta a chiedere consigli al SerD. Secondo Donatella, il marito
sarebbe disposto a permetterle di collaborare ad un programma, come era accaduto in passato,
e lei lo farebbe volentieri.
Viene detto alla signora che a questo punto è indispensabile che lei parli con il marito. Sembra
che non ci siano spazi in cui la coppia riesca da sola a parlarsi liberamente nell'arco della
giornata. Le si chiede se non può provare a lasciare la figlia ai suoi genitori, che sembrano molto
presenti e disponibili. La signora Donatella annuisce.
A questo punto si prova a chiederle, immaginandosi di riuscire a organizzare questo spazio di
confronto con il marito, se le riesce facile pensare a come affrontare il discorso lui.
La signora, mettendosi a piangere, inizia a elencare gli evidenti segni di ricaduta nell'uso di
sostanze di Vinicio, segni che gli rendono necessario ripresentarsi al SerD. Si esplicita che si ha
ben presente la sua preoccupazione, la sua frustrazione per la possibile ricaduta, ma anche la
sua disponibilità a sostenere il marito e si ribadisce l'invito a parlargli.
La signora sembra rassicurata da queste prospettive. Le vengono comunicati gli orari in cui le
sarà possibile ricontattare l'operatore che la ha accolta, sottolineando l'importanza di
comunicare gli sviluppi della situazione. Le viene inoltre garantito che sarebbero stati consultati
gli operatori che avevano seguito il marito in passato per definire un eventuale appuntamento di
coppia, o per lei sola, nel caso di rifiuto da parte del marito di presentarsi al Servizio.
Il Servizio, attraverso la fase di segreteria così come sopra intesa, ha la preziosa
opportunità di iniziare a costruire una relazione di aiuto basata sulla fiducia; gli
strumenti tecnici e l'adeguatezza relazionale consentono di raccogliere importanti informazioni, indispensabili per avviare la fase diagnostica.
Gli ingredienti fondamentali di tale adeguatezza relazionale sono la capacità di
ascoltare e di sospendere giudizi e valutazioni prematuri.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
49
IL TRATTAMENTO
L'accoglienza “dell'altro” è facilitata dalle seguenti disposizioni professionali:
1. un atteggiamento di interesse aperto, consapevole dei preconcetti e dei
pregiudizi, al fine di incoraggiare l'espressione spontanea dell'altro;
2. un atteggiamento non giudicante, che permetta di ricevere ed accettare i
vissuti del cliente senza critiche, né colpevolizzazioni;
3. un atteggiamento di non-direttività, cosicché il cliente possa avere l'iniziativa
nelle presentazione dei problemi;
4. un'intenzione autentica di comprendere l'altro, per cogliere i significati che la
situazione ha per il cliente;
5. uno sforzo costante all'attenzione, che permetta di rimanere obiettivi e di
registrare/analizzare tutto ciò che avviene durante il colloquio.
Rogers C.R.: La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970
Tutti gli ambulatori dell'UOA, attraverso la loro funzione di segreteria, devono
essere in grado di “raccogliere” una richiesta di presa in carico, verificando che
esistano le premesse per poterle dare seguito, per poi inviare il paziente alla
sede del trattamento, dove saranno di fatto avviate le procedure necessarie.
Il trattamento diagnostico
Un'équipe multiprofessionale (medico, psicologo, educatore, assistente
sociale, infermiere) si occupa di valutare le situazioni dei soggetti che si
presentano per la prima volta al Servizio o che si ripresentano dopo un lungo
periodo di assenza, tale da far ritenere necessaria una rivalutazione: è il gruppo
di lavoro che si occupa del trattamento diagnostico. Si parla di “trattamento”, in
quanto si è constatato che nel momento in cui si avvia un percorso di
valutazione, inevitabilmente già si interviene sui problemi specifici che sono
presentati dal paziente: viene pertanto impostato subito, se è opportuno, un
trattamento sanitario, e vengono già offerte alcune consulenze (lavorative,
legali, psicologiche). Naturalmente si cerca di contenere gli interventi al qui ed
ora, senza attribuire ad essi il significato di un cura complessiva, nell'attesa di
avere una visione più completa ed approfondita della situazione. I feedback a
queste prime proposte di trattamento, sono fonte di importanti osservazioni,
utili per completare la valutazione.
Si distinguono percorsi di trattamento diagnostico diversi in base a chi si
presenta al Servizio: il tossicodipendente da solo; il tossicodipendente insieme
alla sua rete sociale (in genere la famiglia); la famiglia del tossicodipendente
(senza il portatore del problema).
Nel primo caso, per la valutazione vengono effettuati visite mediche, controlli
sanitari e colloqui psico-sociali. Gli operatori dell'area psico-sociale propongono
una intervista strutturata (ASI) che indaga su più ambiti: situazione di salute,
situazione lavorativa, situazione legale, situazione socio-relazionale, situazione
psichica. L'intervista mira a permettere al paziente di esprimere una richiesta di
aiuto, diversificata per ognuno dei suddetti ambiti, sulla base della percezione
della propria situazione personale. Successivi colloqui di approfondimento
50
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
permettono di circostanziare ulteriormente le problematiche che richiedono un
intervento e di stabilire le priorità.
Un secondo strumento diagnostico utilizzato (MAC/E) permette di individuare la
fase di motivazione al cambiamento in cui si trova il paziente, dando
conseguentemente indicazioni sui trattamenti più adeguati da proporre. Gli
operatori intervengono quindi inizialmente con due strumenti comuni a tutti,
l'A.S.I. e il MAC/E appunto, e con i successivi colloqui approfondiscono le
tematiche emerse; possono inoltre chiedere un approfondimento a un collega
con una professionalità specifica per meglio definire particolari problemi (ad
esempio, se si hanno seri dubbi sulla presenza di problemi psicologici, può
essere richiesto un approfondimento diagnostico attraverso specifici test).
In questa fase di trattamento è fondamentale favorire il riconoscimento da
parte del paziente della sua condizione di “portatore di un problema” e ridurre il
rischio della sua identificazione con il problema.
Tutto ciò si può realizzare stimolando il cliente a descrivere la propria persona al
di là del comportamento di abuso. Il chiedere che lavoro svolge, se quel lavoro
gli dà soddisfazione, se ha moglie e figli,… sono sottolineature di altri aspetti
della persona, di ruoli che essa agisce. In tal modo si accoglie la persona, non
annichilendola di fronte al suo problema. E' anche un modo per incominciare a
ri-dimensionare il problema. Accompagnare un individuo nell'esplorazione della
complessità dei propri sistemi relazionali, degli interessi, delle conoscenze e
abilità, dei valori e di altre dimensioni sociali e psichiche, significa anche offrirgli
un'opportunità per aumentare il proprio grado di consapevolezza di sé; un sé
che proprio in quanto portatore di parti positive deve anche essere
salvaguardato, per esempio, non fissandogli gli appuntamenti durante il suo
orario di lavoro, se ha un'occupazione, per evitare che entri in conflitto con il
contesto lavorativo.
Nel caso in cui il paziente si presenti con la sua famiglia è possibile avviare un
trattamento diagnostico differente, secondo il modello sistemico: in tal caso i
colloqui vengono effettuati con l'intero gruppo e solo alcuni specifici interventi
vengono proposti esclusivamente al portatore del problema (trattamenti
sanitari, consulenze specifiche come quella di orientamento al lavoro,…). Una
volta raccolti dati sufficienti per una valutazione diagnostica, il caso verrà
discusso in équipe e si procederà all'individuazione dell'intervento più
adeguato, considerando ancora la possibilità di continuare a trattare il gruppo
nella sua interezza.
Infine si può verificare la situazione in cui si presenta solo la famiglia (o anche
solo un componente della stessa), senza il “vero paziente”. In tal caso il gruppo
di trattamento diagnostico valuterà attraverso alcuni colloqui la necessità di
interventi terapeutici familiari, oppure di colloqui di sostegno o semplicemente
di un intervento di counselling.
Attraverso il lavoro di gruppo, che garantisce un'analisi multiprospettica e
favorisce l'omogeneità del processo di valutazione, l'équipe del trattamento
diagnostico elabora, entro un tempo di due-tre mesi, i dati raccolti, formula una
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
51
IL TRATTAMENTO
diagnosi ed una prognosi, ed esprime alcune indicazioni terapeutiche attraverso
una descrizione della situazione del paziente, che metta in evidenza, in
particolare, le risorse e i limiti, le possibilità trattamentali e il livello di
motivazione al cambiamento.
Sulla base di tale valutazione, che dovrà tenere in considerazione in particolare
le modalità di rapporto che il soggetto ha instaurato con il Servizio, viene
individuato l'operatore di riferimento e il cliente viene avviato alla tipologia di
trattamento ritenuto più adeguato:
 Trattamento a legame debole
 Trattamento di base
 Trattamento integrativo.
Il trattamento a legame debole
La relazione a legame debole è il tipo di rapporto possibile tra Servizio e utenti
non in grado, in quel momento, di negoziare e rispettare un contratto
terapeutico individuale esplicito e formale; il rapporto stesso non prevede
necessariamente continuità, anzi mette in conto una certa imprevedibilità dei
futuri accadimenti, in modo correlato allo stile di vita altamente instabile del
paziente.
In molte attività del lavoro sociale finalizzate a sostenere la sopravvivenza fisica,
a sostenere situazioni di grave emarginazione e povertà (nell'area della salute
mentale, della tossicodipendenza, in carcere, … in tutti i percorsi assistenziali e
riabilitativi) è possibile riconoscere molteplici “relazioni a legame debole”, in
quanto attivate in setting informali, in contatti occasionali, discontinui, a volte
imposte da regole istituzionali, quindi non richieste ma subite, finalizzate a
obiettivi assistenziali per fronteggiare l'emergenza.
Tali relazioni a legame debole possono essere vissute, rilette e ridefinite come
opportunità per scambi di messaggi significativi, capaci di “curare” anche la
mente oltre che assistere e sostenere la sopravvivenza fisica; opportunità per
costruire nel “qui ed ora” un momento di incontro, di riconoscimento di sé e
dell'altro, quali partecipi e protagonisti di una comune vicenda umana.
La relazione a legame debole, senza patto terapeutico, non prevede
necessariamente continuità, diventa “significativa” in quanto luogo autonomo
di scambio tra due soggetti: operatore/utente.
Dela Ranci: La relazione a legame debole nell'intervento sociale: aspetti teorici e tecnici,
Prospettive sociali e sanitarie, anno XXXI n. 4 marzo 2001.
Il principio del legame debole è stato introdotto nell'ambito delle
tossicodipendenze per connotare una relazione che si sviluppa nel corso di
interventi puntuali, idealmente conclusi nel singolo incontro, che non
prevedono necessariamente continuità (anche se costruiscono una storia) e che
sono spesso motivati e mediati da qualcosa di concreto e utile per il
tossicodipendente (come se il Servizio si esponesse volontariamente all'uso
manipolativo da parte del paziente), ma che assumono una forte significatività
52
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
per la persona che li sperimenta. Le finalità principali del trattamento a legame
debole sono la tutela della vita e della salute (riguardo alla sopravvivenza e alla
prevenzione secondaria) e il mantenimento di una relazione terapeutica.
In altri termini il trattamento a legame debole è finalizzato ad attivare ciò che
serve per tutelare la vita del paziente e migliorarne la qualità (dalla qualità
dell'igiene fino al livello di dignità umana), orientando gli interventi verso la
costruzione di relazioni di fiducia che incidano sulla motivazione al
cambiamento e consentano lo sviluppo di progettualità.
Le principali caratteristiche del contesto a legame debole sono:
- riduzione al minimo dei requisiti, degli ostacoli e delle difficoltà relativi
all'accesso e alla fruizione del Servizio (condizione basilare dei servizi a
bassa soglia). Questo ha a che fare con la raggiungibilità del Servizio, con gli
orari e con la “semplificazione” del contesto di cura (meno procedure e
burocrazia);
- flessibilità nella gestione del trattamento: non vengono fissati degli
appuntamenti (il paziente si può presentare in qualsiasi momento dell'orario
di apertura con la garanzia di ricevere attenzione) e non viene individuato un
operatore di riferimento.
Gli operatori agiscono e si propongono come gruppo e i legami deboli si
possono collocare in una pluralità di relazioni (reticolo), anziché in rapporti
esclusivi e più formali.
La quantità di tempo dedicata ai trattamenti non è preordinato, dipende dalla
situazione nel suo complesso, così come l'attivazione dei diversi
professionisti. Questo tipo di organizzazione permette al cliente di scegliere
quando e con chi parlare: egli è libero di decidere se affrontare qualche
problematica con gli operatori, di scegliere il momento e l'operatore preferito
tra quelli in turno. Laddove sia l'operatore a proporsi, il paziente è libero di
accettare o meno la proposta;
- “prossimità” degli operatori, intesa come possibilità di contatto diretto (non
filtrato o mediato da altri) del cliente con i professionisti a cui fare la richiesta.
In questo, la variabile “tempo” è significativa e permette avvicinamenti
graduali (anche in termini di prossimità fisica);
- pragmaticità e appetibilità; la presenza contemporanea di un gruppo di
professionisti che, in ambiti differenziati, ma nello stesso luogo, permetta il
facile accesso a prestazioni professionali diversificate (counselling, visite
mediche, sostegno emotivo, etc), aumenta il vissuto di discrezionalità da
parte del cliente ed abbassa le conflittualità;
- una trasparente proposta collettiva, che chiarisce il tipo di servizi e di
prestazioni che il paziente può aspettarsi.
Rispetto alle offerte del Servizio, gli operatori devono prestare particolare
attenzione nell'effettuare valutazioni generalmente complesse e tempestive
delle richieste, spesso formulate in modo inadeguato o addirittura non
espresse (richieste di aiuto non esplicitate).
Il trattamento a legame debole è rivolto a persone che non sono in grado di
rispondere, anche solo in una particolare fase della loro vita, a proposte di cura
che presuppongono accordi all'interno di un rapporto strutturato con il Servizio,
né hanno la capacità di costruire e mantenere un'alleanza terapeutica.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
53
IL TRATTAMENTO
Sono quei pazienti che dimostrano una scarsa adesione al trattamento e le cui
modalità relazionali si esplicano prevalentemente attraverso il registro
somatico e dell'agito, anziché tramite la verbalizzazione e lo scambio con l'altro.
Il trattamento di base
Il trattamento di base mira a consolidare le condizioni necessarie e sufficienti
per poter intraprendere un percorso terapeutico regolato da un accordo sugli
obiettivi e sui metodi.
Questo accordo si traduce in un contratto terapeutico individuale, esplicito e
formalizzato.
Dal punto di vista relazionale, in questa fase, si riesce ad ottenere l'accettazione
da parte del paziente dei contenuti e delle modalità proposti dal Servizio, anche
se il livello di ambivalenza è molto forte e si ha spesso a che fare con una
adesione mimata ed esteriore, e non profonda e collegata con la condivisione
del senso.
Le finalità di questo tipo di trattamento si articolano su due livelli:
1) a breve termine

la continuità terapeutica, che permette di mantenere la relazione in
modo da incentivare l'alleanza terapeutica, avendo come obiettivo quello
di ridurre le interruzioni e gli abbandoni. Tutto ciò si concretizza ponendo
attenzione ai tempi del paziente in modo da sviluppare la sua capacità di
aderire alle modalità di rapporto con il Servizio;

la gestione dei bisogni sanitari, che vuol dire monitorare lo stato di salute
fisica e psichica dei pazienti e prevenire e/o contenere le eventuali
complicanze correlate all'uso di sostanze. In tal senso, è ricorrente il
manifestarsi di sintomi “di sofferenza” proprio durante le fasi di
stabilizzazione e di astinenza dall'uso;

la gestione dei bisogni psicosociali espressi e non espressi, che
sottintende la presa in carico degli aspetti legali, lavorativi, familiari,
abitativi e altri ancora che siano ritenuti trattabili;
2) a medio/lungo termine

la stabilizzazione nel
trattamento di base (prevenendo possibili
regressioni);

la mobilizzazione verso un trattamento integrativo.
In questa fase si lavora essenzialmente sulla motivazione del paziente,
cercando di mobilizzarla dalle posizioni più refrattarie al cambiamento verso
quelle più potenzialmente evolutive.
Stadi della motivazione
L'analisi dei fattori motivazionali che spingono al cambiamento si può
effettuare valutando tre aspetti distinti:
1. quanto il paziente si sente pronto a cambiare, mediante la collocazione nel
modello degli stadi del cambiamento;
2. quanto ritiene di essere in grado di cambiare, mediante una valutazione
della fiducia nelle proprie possibilità (autoefficacia);
3. quanto forte sente la spinta al cambiamento, mediante una valutazione
54
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
delle sue contraddizioni interne (frattura interiore).
Per autoefficacia, si intende la fiducia di un individuo nella propria capacità di
attuare un comportamento prestabilito. Si tratta di un insieme di valutazioni del
soggetto rispetto alla propria possibilità di raggiungere un obiettivo specifico in
un tempo determinato.
Esistono significative relazioni fra il livello di autoefficacia e la disponibilità ad
effettuare un trattamento terapeutico. Un livello di autoefficacia molto basso
richiede una strategia di incoraggiamento, mentre un livello di autoefficacia
molto alto può ostacolare l'entrata in terapia, poiché l'individuo è convinto di
vincere la dipendenza con uno sforzo minimo.
Bandura A.: Self-efficacy: toward a unifying theory of behavioural change, Psychological
Rev., n° 84, 1977.
Per frattura interiore si intende la percezione delle contraddizioni esistenti tra la
propria attuale condizione ed importanti aspirazioni, valori e mete ideali; essa
trae le sue origini dalla teoria della dissonanza cognitiva e può essere intesa

come la consapevolezza del conflitto che si pone quando la situazione presente
(comportamenti, atteggiamenti, ecc.) restituisce una "definizione"
incompatibile con la propria immagine di Sé.
La percezione di una contraddizione tra ciò che si pensa di essere e ciò che si
vorrebbe essere è, solo in certe condizioni, un pungolo che spinge a rivedere e

modificare il comportamento: la percezione di una frattura interiore è dolorosa
e la sua ampiezza deve essere "ridotta", entro breve tempo, con qualsiasi mezzo,
anche in maniera patologica.
Miller W.R., Rollnick S.: Motivational Interview. Preparing people to change addictive

behaviour, 1991. Trad it.: Il colloquio di motivazione, Edizioni Centro Studi Erikson,
Trento, 1994.

Una interessante prospettiva per comprendere i processi del cambiamento ci
viene offerta dal modello transteorico di Prochaska e DiClemente che indica come

sia necessario adeguare il tipo di intervento alla motivazione del paziente e al
suo grado di disponibilità al cambiamento.
Quest'ultimo aspetto viene sintetizzato dalla possibilità di collocare il paziente
in sei diverse posizioni:
al primo stadio, di Precontemplazione, caratterizzato dalla assenza di un
riconoscimento della dipendenza come un problema, segue lo stadio di
Contemplazione, caratterizzato dall'emergere di dubbi e contraddizioni che
portano ad una sempre più marcata ambivalenza sull'uso della sostanza. Dopo
questo stadio, se si accentua la spinta al cambiamento, si raggiunge lo stadio
della
Determinazione, a volte chiamato anche Preparazione, in cui viene ricercata
attivamente una soluzione che, una volta messa concretamente in atto, porta il
paziente nello stadio della
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
55
IL TRATTAMENTO
Azione, in cui i cambiamenti vengono concretamente sperimentati. Se hanno
successo, dopo qualche tempo (circa sei mesi) il paziente entra nella fase di
Mantenimento, in cui le nuove abitudini hanno il tempo di consolidarsi fino ad
un eventuale definitivo abbandono del problema.
Questo percorso, assai spesso, non è lineare, bensì "ciclico" in quanto in
qualsiasi momento del processo può verificarsi una
Ricaduta che riporta il paziente agli stadi precedenti.
Il modello transteorico suggerisce che i vari interventi possono favorire o meno
un avanzamento nel processo di cambiamento a seconda dello stadio in cui il
paziente si trova: non esistono quindi interventi giusti o sbagliati di per sé, ma
solo trattamenti opportuni o meno, momento per momento.
Guelfi G.P., Spiller V., Motivazione e stadi del cambiamento nelle tossicodipendenze, Il
Vaso di Pandora, II, 4, 1994.
Strumento fondamentale di lavoro è la gestione del contratto terapeutico, la cui
definizione richiede spesso una lunga negoziazione, utilissima dal punto di vista
terapeutico perché offre una formidabile occasione di confronto sulle
rappresentazioni del problema e delle soluzioni, sulle finalità perseguibili con la
terapia e sulla regolazione dello scambio relazionale. Si cerca di sviluppare una
alleanza terapeutica di tipo contrattuale/compor-tamentale, che persegue
l'accordo su scopi e mezzi del trattamento per raggiungere obiettivi definiti. Una
alleanza più di tipo affettivo-relazionale, in cui il paziente esperisce il terapeuta
come empatico, genuino, affidabile, comprensivo è più un lontano obiettivo che
un presupposto iniziale, proprio per le caratteristiche di funzionamento psichico
del tossicodipendente prima descritte.
Il trattamento integrativo
Il trattamento integrativo è finalizzato alla elaborazione-risoluzione del
rapporto di dipendenza, alla promozione di una diversa percezione di sé,
all'utilizzo di risorse dimenticate, al favorire il processo evolutivo interrotto
dall'uso di sostanze. Obiettivo secondario e conseguente, ma non meno
importante, è la fine del rapporto terapeutico con il Servizio.
Sul piano relazionale, la fase del trattamento integrativo si realizza quando
Servizio e paziente non solo trovano un accordo sul come regolare il loro
rapporto di cura, ma anche una condivisione sul significato del
comportamento patologico e sulle finalità da perseguire, tra le quali deve
essere necessariamente inclusa la interruzione della assunzione di
sostanze; pur rimanendo tratti di ambivalenza, il paziente riesce a
collaborare alla terapia portando un suo contributo originale e creativo,
premessa per la ri-costruzione di sé e della autonomizzazione.
Nel rapporto terapeutico si esplora il significato della dipendenza nella
biografia individuale per capire il senso che la persona dà a questa
esperienza. Nel procedere del trattamento quindi, l'uso di sostanze diventa
sempre meno importante, tende a collocarsi sullo sfondo di differenti
56
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
problematiche di tipo relazionale ed affettivo.
Si attiva così un processo di ristrutturazione del sé, che passa per l'aumento
della consapevolezza delle istanze personali e soggettive nella costruzione
della propria visione del mondo; si sostiene il soggetto nel cogliere le
valenze del ruolo attivo da lui giocato e delle sue responsabilità, e perciò
del suo potere in termini di cambiamento.
La relazione d'aiuto, il prendersi cura e il concetto di salute, sono al tempo
stesso i presupposti indispensabili e gli strumenti utilizzabili in questa
particolare fase del trattamento.
La possibilità di poter costruire insieme (operatore e paziente del Servizio)
questo percorso coincide con la possibilità di instaurare una alleanza
terapeutica all'interno di una relazione in cui entrambi i poli
sono
attivamente in gioco.
Non in ultimo è da tenere presente la ricorsività dei cicli di vita e la presenza
di diverse fasi della motivazione al cambiamento.
Una buona relazione terapeutica, una fase motivazionale di determinazione
possono modificarsi sotto l'influenza di molti fattori del contesto sociale,
delle relazioni vissute dal paziente, dando luogo a dei ritorni al vecchio stile
di vita o al ricorso a vecchie modalità di soluzione dei problemi.
Anche i più recenti studi confermano che per uscire dalla dipendenza
occorre un tempo variabilmente lungo e affermano che i meccanismi di
dipendenza sono condizioni che permangono a lungo nella vita della
persona; ciò rende difficile valutare quando si può considerare terminato un
percorso di riabilitazione.
Il ricorso al progetto condiviso, attraverso gli obiettivi che individua, le
tappe intermedie e le sue dimensioni di coerenza e verificabilità, può
mettere al riparo dal rischio, che spesso si verifica nei servizi pubblici, di
non dimettere mai i pazienti, o all’opposto, di “autodimissioni” non
concordate da parte dei pazienti.
Alcune volte occorre concordare dei percorsi che permettano ai pazienti di
sperimentarsi in progetti territoriali (situazione abitativa, problematiche
legali, lavoro ecc.), altre volte occorre l'inserimento in strutture
residenziali.
Le comunità residenziali
Le strutture comunitarie costituiscono un'importante risorsa: a volte sono un
passaggio obbligato nel complesso percorso di cura.
A seconda della loro strutturazione, le comunità terapeutiche possono essere
contesti in cui è possibile sperimentarsi senza sostanze, nella relazione con gli
altri, nel riconoscimento della propria storia e delle proprie caratteristiche,
nella ricerca di strade future percorribili. Le comunità terapeutiche, in verità
spesso usate male, superficialmente o a sproposito, possono avere, all'interno di
un percorso di cambiamento, il valore di palestre in cui allenarsi per poi
rilanciarsi nella realtà quotidiana, come fase propedeutica alla più complessa
quotidianità sociale “esterna”, che sarà il contesto in cui si dovrà vivere.
Dalle prime comunità nate all'inizio degli anni Settanta ad oggi, si è verificata
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
57
IL TRATTAMENTO
un'enorme trasformazione.
Le prime comunità si distinguevano in due grandi tipologie, diverse soprattutto
per la filosofia con cui consideravano l'uomo e la tossicodipendenza.
Vi erano quelle che si ispiravano alla filosofia delle comunità di vita vere e
proprie; individuavano nel vivere insieme e nel condividere le realtà difficili di
ciascuno una funzione indirettamente terapeutica. In alcuni casi si
organizzavano come comuni e avevano uno spirito di contestazione della
società, ritenuta, per il suo cinismo e l'assenza di valori umani, contesto
inadeguato per i giovani, ai quali era necessario invece offrire ambiti di vita più
semplici e più ricchi di rapporti umani. Ovviamente, era molto difficile per una
persona “riabilitata” in una comunità di questo tipo trovarsi bene nella società
esterna: molti dei pazienti che facevano un “buon percorso” finivano per
rimanere a vita nella comunità stessa. L'altra tipologia, che prende spunto in
origine dai gruppi americani degli alcolisti anonimi, nasce fin da subito con
l'intento di aiutare la persona tossicodipendente ad eliminare un vizio dannoso
per sé e per la società. All'interno delle comunità viene individuato un percorso
che, attraverso regole molto rigide e il costante confronto con il gruppo
comunitario, aiuta la persona ad espiare la colpa di essere stato un debole e
favorisce l'assunzione di responsabilità via via più importanti, che la
aiuteranno infine a reinserirsi nel contesto sociale più allargato, sapendo a
questo punto comportarsi in modo adeguato. Sono
comunità che
richiedevano una adesione nel comportamento osservabile, quindi esteriore, alle
regole proposte: non sempre questo adeguamento nel comportamento
corrispondeva ad un cambiamento di stile di vita interiorizzato e, fuori dal
contesto contenitivo e regolatorio della comunità, la persona correva il rischio
di perdere riferimenti e ricadere. Nel corso di questi anni le comunità,
indipendentemente dalla filosofia originaria di appartenenza, sono andate
sempre di più omologando le prassi di intervento, aiutate anche dalle norme
legislative che hanno definito le caratteristiche che dovevano avere per poter
accogliere i pazienti.
L'attuale costellazione delle comunità si differenzia al suo interno per lo più
per la tipologia di pazienti a cui si rivolge e per il tipo di servizi offerti:
i centri crisi sono strutture che accolgono persone ancora assuefatte alle
sostanze stupefacenti e garantiscono al loro interno il trattamento
farmacologico necessario (compreso il metadone). La disintossicazione e
l'orientamento a progetti più evolutivi sono i servizi principali che offrono ai
pazienti;
le comunità di accoglienza sono quelle che propongono le attività normali di
vita comune con finalità terapeutiche; spesso impegnano i pazienti in attività
lavorative, per lo più agricole o artigianali. Il servizio che offrono è
principalmente quello di garantire uno spazio-tempo di stacco dal contesto di
appartenenza del tossicodipendente, fattore critico nel mantenimento del
comportamento patologico;
le comunità terapeutiche, attraverso specifici interventi individuali e di gruppo
58
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
e attraverso attività con valenze che vanno dal pedagogico allo
psicoterapeutico, hanno l'obiettivo di permettere al tossicodipendente di
rielaborare il precedente stile di vita e di acquisire consapevolezza e
competenze che gli permettano di rapportarsi al mondo esterno secondo uno
stile di vita diverso;
le comunità per doppia diagnosi trattano soggetti che presentano sia
problematiche psichiatriche che di tossicodipendenza e offrono elevate
competenze specialistiche di tipo psicodiagnostico, psicoterapeutico e
psicofarmacologico .
Il lavoro come mobilizzatore di possibilità evolutive
Come discusso nella parte dedicata a chiarire il concetto di patologia da
dipendenza, gli aspetti di “svantaggio” o di povertà non costituiscono gli
elementi centrali del problema sul piano clinico. Perché allora un Servizio
sanitario dovrebbe occuparsi di problemi che potrebbero riguardare più
l'assistenza sociale che la clinica? Certamente, un tempo si equivocava
facilmente tra un atteggiamento filantropico, inteso a compensare svantaggi
sociali, e un atteggiamento clinico, che grossolanamente ignorava la radicale
importanza delle esperienze concrete nei processi di cambiamento. Il lavoro o
l'inserimento socio-lavorativo (come spesso viene chiamato il processo di
espressione delle risorse della persona) non è solo inteso come scambio “forza
lavoro/denaro”, in cui diventa centrale l'obiettivo della retribuzione economica. Al contrario, vengono valorizzati e riconosciuti gli aspetti affettivi, il
riconoscimento sociale e le componenti utili per il processo di identificazione e
di crescita personale.
Tale processo allora è in grado di trasformare la mente, trasformare il comportamento e trasformare la relazione con sé e con l'altro. Il lavoro è uno, non
l'unico, degli assi su cui si dipana il processo, in quanto vi sono altre tre direttrici di senso: si tratta del luogo di abitazione, delle relazioni affettive, dei saperi
intesi come le competenze acquisite, o come le risorse che il soggetto riconosce come proprie. Questi ambiti costituiscono spesso un ponte tra la dimensione interna ed esterna, tra la cura nel/del Servizio e la vita autonoma del
(ex)paziente nella società civile. Questo passaggio allarga il campo della
azione riabilitativa e tiene insieme aspetti differenti che in una logica circolare
si influenzano a vicenda. Così, a volte, le vicende affettive prendono il sopravvento rispetto al senso del lavoro, altre volte succede il contrario: il lavoro
diventa un ambito di riconoscimento sociale che interagisce con l'autostima.
Gli strumenti maggiormente utilizzati in questo ambito sono i tirocini formativi, le borse lavoro e i progetti all'interno delle cooperative sociali, così come
stabilito dalla legge 381/91. Questi dispositivi rimandano alla necessità di
operare con attenzione alla progettazione sociale, alle ricadute in termini di
politica dei servizi e dell'integrazione lavorativa delle fasce deboli nel mercato
del lavoro, in quanto questi percorsi, che iniziano tramite i servizi sanitari,
hanno la necessità di essere delle esperienze vere, reali, proseguibili nel tempo,
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
59
IL TRATTAMENTO
che comportano dei costi sociali ed economici.
L'esperienza concreta, inoltre, ci insegna che la dipendenza a volte comporta
un congelamento della capacità di fare con delle ricadute pesanti in termini di
salute e questo dato richiede investimenti per riabilitare alla vita attiva e per
riavviare processi di inclusione sociale, di appartenenza al contesto produttivo
e sociale più ampio.
Contesti di accoglienza sempre più difficili da trovare e da sostenere, se non in
uscita dall'ottica della competitività e dell'individualismo.
Situazione emblematica di Lorenzo
Lorenzo ha 33 anni, la madre è inserita in una comunità alloggio per pazienti psichiatrici, il padre
è deceduto molti anni fa. Lui ed i fratelli hanno avuto esperienze di affido familiare durante la
minore età. Negli anni Lorenzo è stato diverse volte in carcere ed è tossicodipendente da quando
aveva 19 anni. Nel corso del colloquio al termine del programma terapeutico in comunità,
l'operatore chiede a Lorenzo se ritiene che il percorso gli sia servito e relativamente a quali
aspetti: “ io ero sempre stato un tipo concreto e razionale, fai questo… fai quello. Mi porto via le
emozioni, obiettivo che l'operatrice mi aveva dato in seconda fase e penso che quello sia stato il
meglio per me: le emozioni… e poi ascoltarmi, non essere testa dura in questo periodo delicato,
di transizione, devo passare da una cosa all'altra…mi porto via il lavoro fatto sugli atteggiamenti
che avevo nei confronti dell'autorità,…finalmente ho parlato molto della mia famiglia. Poi mi
porto via il rapporto con mia madre…che è cresciuto, anche se mia mamma è sempre mia
mamma. Mi preoccupano molto le responsabilità che da domani devo affrontare… magari poi ce
la faccio benissimo. Non ho più paura di far vedere le mie debolezze… avevo il controllo su tutto,
non mi facevo mai vedere quando stavo male. … E sa cos'è cambiato? Ho comprato un
telefonino e l'ho comprato in negozio, in regola e con la garanzia, non l'ho rubato e non sono
andato a Porta Palazzo a comprarlo rubato…sono le soddisfazioni di questo periodo. Cose pulite
che ho imparato lì”.
Spesso nella pratica clinica si sottovaluta quanto sia importante il sostegno nel
reinserimento. Frequentemente, ci si illude che quando una persona ha completato un percorso territoriale e/o comunitario è in grado di affrontare la realtà
autonomamente. Di fatto, la fase finale, di normalizzazione è una delle fasi più
delicate: l'impatto con il proprio ambiente di vita è difficilissimo, è colmo di
ricordi di quando si era in difficoltà, è sentirsi osservati per capire se si è realmente cambiati, è sentirsi esclusi per quel che si era e non ancora inclusi per
quel che si potrebbe essere; tenendo in considerazione che essere diversamente da quanto si era in passato è una condizione ignota, da costruire.
La Pronta Assistenza
La Pronta Assistenza (Pr.Assi.) è un Servizio per l'accoglienza, l'orientamento,
la prevenzione secondaria e terziaria delle complicanze droga-correlate e il
recupero delle persone tossicodipendenti. L'idea di una Pronta Assistenza, sorta
a seguito di una serie di osservazioni sulle modalità di assistenza in atto nei
Servizi per le Tossicodipendenze e alla revisione della letteratura relativa alle
esperienze terapeutiche in altri paesi, prende la forma di progetto nel 1996. La
progettazione coinvolge operatori del Ser.T, operatori del privato sociale (Gruppo Abele), soggetti appartenenti ad iniziative autogestite presenti in Torino
(giornale di strada Polvere, gruppo di auto aiuto Fluxo), ed utenti del Ser.T.
Nell'aprile 1997 si apre il Drop-In, il primo in Piemonte e uno dei primi in Italia;
60
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
da aprile 1998 il Drop-In è aperto 6 giorni su 7 con orario 15.00 - 19.30.
Nel 1999 vi è una svolta importante rappresentata dalla erogazione di un
finanziamento regionale ad hoc (la Regione aveva riconosciuta la validità del
progetto e la sua funzione sovrazonale, essendo l'unico servizio del genere in
Piemonte e avendo una elevata quota di utilizzatori da tutte le ASL) e dalla
decisione della ASL di dare una sede adeguata al Servizio cresciuto, ristrutturando locali resisi disponibili nell'area dell'Ospedale Amedeo di Savoia. A
completare il mosaico delle risorse, anche Associazioni private: “Monte
Analogo”, associazione di Amici del Servizio Pubblico per le Tossicodipendenze,
che dona arredi ed attrezzature, l'Associazione “Isola di Arran”, che offre volontariamente consulenza legale, volontari e piccoli sponsor. L'orario del Drop-In
viene ulteriormente ampliato: l'apertura è 365 giorni all'anno dalle 15.00 alle
20.30. Nel febbraio 2001 la Pronta Assistenza assume la sua attuale fisionomia,
con l'attivazione anche del modulo sanitario: agli interventi socioassistenziali,
educativi e psicologici, si affianca anche l'assistenza medica e infermieristica,
offerta al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 15 alle 19,30.
La Pronta Assistenza è composta da due moduli, uno di tipo socio-educativo
(Drop-In), focalizzato sugli interventi di assistenza sociale, educativi, psicologici, l'altro di tipo sanitario, dedicato agli interventi medici ed infermieristici. I due
moduli sono strettamente connessi tra loro e lavorano in integrazione.
E' un Servizio facilmente ed immediatamente accessibile, senza filtri o attese
per l'accesso, ubicato nel comprensorio dell'Ospedale Amedeo di Savoia, ma
aperto sulla strada con un ingresso indipendente. Il modulo socio-educativo è
un centro di ascolto e orientamento dove sono anche attivi sportelli specifici per
consulenze su assistenza sociale, salute, problemi legali, e propone anche
laboratori e varie attività socializzanti e riabilitative (sportive, culturali, ricreative). E' un'accoglienza che offre la possibilità di sperimentare modalità di rapporto diverse da quelle di una quotidianità centrata sulla ricerca e sull'uso di
sostanze e condotta con stili relazionali improntati alla passività e alla devianza,
un luogo dove i rapporti interpersonali positivi sono favoriti da un continuo
lavoro di facilitazione dell'auto-aiuto e dell'iniziativa personale da parte degli
operatori, un luogo di sviluppo di pratiche di “empowerment”, cioè della possibilità di diventare consapevoli delle proprie abilità individuali e di gruppo, e di
svilupparle. L'intervento si avvale della metodologia del supporto tra pari o
“peer support”. E' un contesto relazionale adatto a favorire una comunicazione
diretta, aperta e fluida fra gli operatori e i frequentatori, centrata sul “qui e ora”,
che rende possibile l'espressione dei propri problemi e delle proprie difficoltà, e
rende possibile anche un'efficace passaggio di informazioni di educazione
sanitaria, per la tutela della propria ed altrui salute, e per lo sviluppo di atteggiamenti di responsabilità verso se stessi e verso la collettività e di maggior consapevolezza, usando anche il periodo di consumo di sostanze per costruire una
relazione positiva con la persona tossicodipendente.
Anche il modulo sanitario è facilmente ed immediatamente accessibile, senza
filtri o attese per l'accesso; vi vengono erogate prestazioni per i problemi di
dipendenza, visite mediche per le patologie correlate, terapie d'urgenza,
medicazioni, screening per la situazione infettivologica (in particolare epatiti,
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
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IL TRATTAMENTO
HIV, tbc, infezioni sessuali) , vaccinazioni per l'epatite B e tetano, colloqui di
counselling sanitario, contenimento, sostegno, orientamento, invio.
Da un lato rappresenta un elemento innovativo colmando un vuoto nella rete
dei Servizi per quanto riguarda le risposte possibili alle richieste sanitarie
urgenti e dall'altro rappresenta un miglioramento nelle procedure già in atto
negli Ambulatori del Ser.T, annullando i tempi di attesa per le visite mediche e
differenziando le offerte e le sedi del trattamento.
Il Servizio è strutturato per effettuare interventi “just in time” per un'ampia
gamma di situazioni “improvvise” (urgenti, emergenti, impreviste), erogando
diversi tipi di prestazione (psicologica, sociale, educativa, medica), di elevata
qualità professionale (capaci, cioè di riconoscere la complessità del bisogno del
paziente e di elaborare risposte articolate ed integrate con le risorse della rete
esterna del sistema di cura), efficaci nella comunicazione e nel rapporto con gli
utenti e punto di riferimento nel sistema di cura complessivo.
L'organizzazione del Servizio e la capacità degli operatori di accogliere, prendersi cura, accompagnare, genera una relazione significativa che inizia spesso
con un accudimento di tipo materno (cura del corpo e dei bisogni primari), e
giunge a far maturare domande di cambiamenti più evolutive e complesse, per
rispondere alle quali si è affinata la capacità di lavorare in stretto collegamento
ed integrazione con gli altri Servizi che gestiscono il trattamento, così come si è
progressivamente costruita una rete dei Servizi che si occupano di aspetti
diversi delle stesse persone, con l'obiettivo di agevolare il cliente nel raggiungimento e nella fruizione delle risorse del territorio, sia quelle formali che quelle
informali di aiuto, creando occasioni di conoscenza e scambio.
Un aspetto fondante di Pr.Assi. è quindi il lavoro di rete.
Questo si sviluppa con diverse Agenzie e Servizi del territorio cittadino, regionale e nazionale. Sono direttamente in contatto continuo con Pr.Assi. i Dormitori
cittadini, comunali e non, le Mense, comunali e non, i Servizi Sociali, i Servizi
socio assistenziali, il Settore Adulti in Difficoltà, servizi di assistenza quali
Endurance (ASL 5), Ambulatorio medico Porta Nuova (ASL 1), Ambulatori ISI,
il Cottolengo, i Servizi Vincenziani, servizi del Gruppo Abele.
Nella gestione dei singoli casi la rete si estende a Cooperative, volontari,
Associazioni, Comunità. Il Servizio aderisce al tavolo sociale della
Circoscrizione. Gli utilizzatori del Servizio principalmente sono soggetti tossicodipendenti con condizioni multiproblematiche, con motivazione al trattamento
anche parziale e instabile, che richiedono interventi tempestivi e altamente
integrati dal punto di vista sociosanitario. Presentano bisogni di tipo sanitario
(gestione della intossicazione o della astinenza, condizioni di salute generali,
patologie infettive e psicopatologie associate) e anche di tipo relazionale
(compromissione dei legami familiari e sociali, mancanza di un interlocutore
privilegiato per il confronto e il sostegno) e socio-assistenziali (mancanza di
fonti legali di sostentamento, assenza di documenti personali, situazioni giuridiche trascurate). Nel Servizio di Pronta Assistenza i pazienti trovano una risposta
alle necessità di assistenza immediata, dai bisogni di sussistenza a quelli
sanitari, a quelli relazionali e affettivi con restituzione della dignità personale;
trovano un punto di riferimento stabile dove reperire informazioni per orientarsi
62
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
IL TRATTAMENTO
tra le diverse agenzie del territorio, in campo sanitario, dell'assistenza sociale,
del mercato del lavoro e della casa. Il Servizio produce anche materiale informativo cartaceo. I pazienti possono usufruire di accompagnamenti terapeutici
verso i servizi ambulatoriali e di sostegno ai progetti di inserimento in centro
crisi e comunità residenziali, e sono così facilitati nella realizzazione di progetti
articolati che prevedono il coinvolgimento di altre agenzie; trovano inoltre la
possibilità di recuperare e sviluppare le proprie risorse tramite attività culturali,
sportive, socializzanti, laboratori di tipo espressivo (empowerment). Le diagnosi e gli avvii precoci alle cure evitano gravi degenerazioni delle condizioni
sanitarie e psicosociali, e la possibilità di iniziare una relazione terapeutica, in un
contesto di facile accessibilità, innesca meccanismi di consapevolezza sullo
stato della propria salute e sulla possibilità di prendersene cura. Inoltre, la
Pronta Assistenza può offrire gestione di situazioni critiche e orientamento nel
sistema dei servizi a familiari e persone vicine ai tossicodipendenti.
Uno dei risultati più significativi della Pronta Assistenza è quello di venire a
contatto con soggetti che non sono mai stati seguiti, o che non lo sono più, da un
Ser.T. o da una Comunità (cosiddetto “sommerso” e “ri-sommerso”).
Si evidenzia che, mentre il 58% dei passaggi si riferisce a soggetti già in contatto con i SERT e gli altri Servizi, il 42% riguarda soggetti mai entrati in contatto
con il sistema di cura o che ne sono usciti, abbandonandolo.
Circa il 15% del sommerso viene inviato e messo in contatto con i diversi Servizi
territoriali competenti per le problematiche presentate. Il 2-3% viene anche
fisicamente accompagnato, sia per le condizioni della persona, sia per garantire
l'esito dell'invio.
RIASSUNTO

La concezione di patologia deve essere declinata in una serie di
caratteristiche che costituiscono la definizione concreta dell'oggetto
di lavoro (di che cosa ci occupiamo?) e la specificazione delle finalità e
delle modalità con cui si interviene (come lo facciamo e perché?).

Nella organizzazione di un Servizio per la cura delle tossicodipendenze ci si trova a confronto con persone e con problemi estremamente
variabili e spesso drammatici e urgenti.

Pertanto la risposta ai problemi non sempre può essere codificata
attraverso protocolli, perché è impossibile prevedere tutte le
specificità di ogni situazione possibile.

L'efficienza del Servizio è quindi data da una cornice generale, che
collega con la massima coerenza possibile gli aspetti teorici e quelli
organizzativi, consentendo all'operatore di muoversi liberamente a
seconda delle necessità, ma all'interno di un “perimetro” e attraverso
collegamenti che garantiscono il senso dell'insieme.

Le fasi di sviluppo della relazione tra il paziente e il Servizio possono
essere sottolineate e accompagnate da un percorso tra i nodi della
rete di cura, attraverso la gestione del contratto negoziato, esplicitato
e concordato e la cura di una relazione motivante.
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
63
CONCLUSIONE
CONCLUSIONE
Questo è, almeno nelle linee generali e in forma un po' semplificata, quello che il
nostro gruppo di lavoro ha elaborato attraverso l'esperienza clinica, lo studio e il
confronto con l'esterno.
Purtroppo, la complessità del problema, le scarse o solo recenti conoscenze in
merito e le visioni prevalenti che tendono a minimizzare gli aspetti sanitari (biopsicologici) e i bisogni di cura correlati e ad enfatizzare gli aspetti “riabilitativi”,
costituiscono ad oggi il maggiore ostacolo ad un approccio corretto alla
tossicodipendenza.
Quando sarà possibile che la Medicina delle Dipendenze sia vista come una delle
specializzazioni “normali” dell'assistenza sanitaria? Quando sarà possibile
considerare la Medicina delle Dipendenze solo un pezzetto della risposta della
Società alla “questione droga” e non necessariamente una specie di luogo
totalizzante che deve dare risposte “complessive”?
Un profondo processo di cambiamento culturale ci aspetta. Ciò che ci consola è
che è un processo inevitabile; ciò che ci dispiace è che probabilmente non ne
vedremo gli sviluppi.
Ci auguriamo comunque che questo libretto possa costituire uno stimolo allo
sviluppo della cultura sulle tossicodipendenze anche tra chi non
necessariamente se ne deve occupare in modo professionale.
64
La dipendenza da sostanze: un’introduzione per la comprensione e per l’intervento
PRESENTAZIONE
Questa introduzione alla dipendenza da sostanze è il frutto della riflessione clinica, delle
sperimentazioni organizzative e delle esperienze formative sviluppate dalla Unità Operativa
Patologie da Dipendenza della ASL 3 di Torino. Nel suo intento di integrazione e di sintesi,
costituisce un'opera originale nel panorama editoriale italiano, dove abbondano pubblicazioni
di grande livello, ma scarseggiano strumenti per la formazione di base che abbiano un taglio
clinico e operativo. Volutamente lineare, l'esposizione accompagna il lettore dalla individuazione dei pregiudizi che di solito informano l'approccio e il discorso sulle dipendenze ad una visione
che integra le più moderne acquisizioni scientifiche (medico-biologiche e psicologiche) con la
realtà della clinica e della relazione “viva” con la persona dipendente.
Indirizzato ad Operatori che, in ragione del loro lavoro, pur non essendo specialisti del settore,
vengono in contatto con persone dipendenti da sostanze (ad esempio Educatori delle cooperative sociali che seguono progetti di borse-lavoro, Assistenti Sociali di servizi del Comune o di
altri servizi sanitari, Insegnanti che devono conoscere meglio la problematica, etc.), il volume
può essere utile anche per Operatori Sanitari in fase di formazione specialistica, come avvicinamento alla clinica e al pensiero delle dipendenze.
Emanuele Bignamini (1956) si laurea in Medicina e si specializza in Psichiatria a Torino; si
perfeziona in Medicina Psicosomatica a Roma.
È Analista Predidatta della Società Italiana di Psicologa Individuale. Dirige la UOA Patologie da
Dipendenza della ASL 3 di Torino, che ha ottenuto diversi riconoscimenti per la qualità (nel 1997 il
premio “Cento progetti per i Cittadini”del Ministero Funzione Pubblica; nel 2001 il primo premio
assoluto al “Forum PA - Sanità” del Ministero della Sanità; nel 2004 il terzo premio al concorso “Sei
progetti per favorire l'integrazione socio-sanitaria” di Federsanità ANCI Piemonte).
Svolge attività di formazione a livello nazionale per Ministeri, Regioni, ASL, Università, Enti privati.
È membro del Direttivo Nazionale della Federazione dei Servizi delle Dipendenze FEDERSERD.
È Docente di “Psicopatologia e Clinica delle Tossicodipendenze” presso la Scuola di Specializzazione
in Psicoterapia della SAIGA di Torino.
È Consigliere, responsabile dell'area psicoterapica, e Docente della Scuola Superiore di Medicina
delle Tossicodipendenze, promossa dalle Università di Pisa, Siena e Cagliari.
E’ componente del Comitato di Redazione della Rivista “Dal Fare al Dire” periodico di informazione e
confronto sulle patologie da dipendenza.
Ha al suo attivo, tra pubblicazioni e relazioni a Congressi di livello nazionale, oltre 100 lavori
scientifici. Tra le sue opere il volume “Dipendenza da Sostanze e Patologia Psichiatrica. Percorsi di
ricerca sulla comorbilità”, pubblicato nel 2002 per Editeam.
€ 2,85 (i.i.)
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