Mondiali in Brasile, si temeva la protesta per le spese pazze della Coppa del Mondo. Per ora gli unici cortei sono sotto l’ospedale di Neymar y(7HC0D7*KSTKKQ( +[!"!_!"!. Domenica 6 luglio 2014 – Anno 6 – n° 184 e 1,30 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA DIALOGO TRA UN GUFO E IL 40,8% Ecco cosa accadrà se le “riforme” di Renzi, Berlusconi & C. entreranno in vigore: un regime da “uomo solo al comando” senza opposizioni né controlli né garanzie. Cari lettori, scriveteci il vostro pensiero sul modo migliore di opporci al rischio di questo disegno incostituzionale e piduista » pag. 2 - 3 di Antonio Padellaro di Marco Travaglio oi Gufi non vi rassegnate V mai eh, sempre a parlare male di Renzi, sempre a cerca- 1. re qualcosa che non va, a spaccare il capello in quattro, a fare gli spiritosi perfino quando il premier da solo prende di petto coraggiosamente i tedeschi e la potentissima Bundesbank e dice che l’Europa è dei cittadini e non dei banchieri. Parole sacrosante, ma osserviamo che andrebbero dette ai tanti italiani vessati dalle banche, quelli a cui il governo del Renzi medesimo si appresta a dare il colpo di grazia reintroducendo l’infame anatocismo, cioè gli interessi pagati sugli interessi, vero strozzinaggio di Stato. È stato già precisato che quella norma sarà tolta, ma per voi esistono solo le brutte notizie. Del resto al “Fatto” vivete di quelle: tanto peggio tanto meglio, non è vero? Se e quando l’infamia sarà eliminata lo scriveremo volentieri, i giornali dovrebbero servire a denunciare le storture, non a pubblicare le veline governative. Ma quali veline, l’informazione dovrebbe farsi carico dello sforzo del premier e dei suoi ministri per superare una crisi devastante. Dovreste scrivere piuttosto che la Borsa ha ripreso a crescere così come l’interesse dei grandi investitori per il nostro Paese. L’Italia cambia verso non è solo uno slogan. Segue a pag. 2 - 3 CAMERA. Con l’Italicum e le sue liste bloccate, sarà ancora composta da 630 deputati nominati dai segretari dei partiti più grandi. Quelli medio-piccoli saranno esclusi da soglie di accesso altissime. Il primo classificato (anche col 20%) avrà il 55% e potrà governare da solo, confiscando il potere legislativo, che di fatto coinciderà con l’esecutivo a colpi di decreti e fiducie. 2. SENATO. Con la riforma costituzionale, sarà formato da 100 senatori non eletti: 95 scelti dai consigli regionali (74 tra i consiglieri e 21 tra i sindaci) e 5 dal Quirinale. Sarà dominato dal primo partito e comunque non potrà più controllare il governo: niente fiducia né voto sulle leggi (solo pareri non vincolanti, salvo per le norme costituzionali). 3. OPPOSIZIONE. I partiti di opposizione saranno decimati dall’Italicum. I dissenzienti dei partiti governativi potranno essere espulsi e sostituiti in commissione (vedi Mauro e Mineo). La “ghigliottina” entra in Costituzione: corsia preferenziale per le leggi del governo da approvare in 2 mesi, con divieto di ostruzionismo e emendamenti strozzati. 4. 5 li designano le supreme magistrature). Difficile che la Consulta possa ancora bocciare leggi incostituzionali o dar torto al potere politico nei conflitti con gli altri poteri dello Stato. 6. CAPO DELLO STATO. Se lo sceglierà il capo del governo e del primo partito dopo il terzo scrutinio, quando la maggioranza dei 2/3 scende al 51%. Col 55% dei deputati, gli basteranno 33 senatori. Dopo il precedente presidenzialista di Napolitano, il Colle potrà arrogarsi enormi poteri d’interferenza in tutti i campi, giustizia in primis. CSM E MAGISTRATI. Anticipando la pensione delle toghe da 75 a 70 anni, il governo decapita gli uffici giudiziari. I nuovi capi li nominerà il nuovo Csm, con 1/3 di laici vicini al governo e un presidente e un vice fedelissimi al governo, previo ok del Guardasigilli. Progetto di dirottare i giudizi disciplinari dal Csm a un’Alta Corte per 2/3 politica, cioè governativa. 5. PROCURATORI E PM. Dopo la lettera di Napolitano e il voto del Csm sul caso Bruti-Robledo, il procuratore capo diventa padre-padrone dei pm, pri- CORTE COSTITUZIONALE. Il governo controllerà 10 dei 15 “giudici delle leggi”: i 5 nominati dal Parlamento e i 5 scelti dal capo dello Stato (gli altri ISTRUZIONI PER L’USO 7. vati dell’autonomia e dell’indipendenza “interne”. Per assoggettare Procure e Tribunali, basterà controllare un pugno di capi, senza più il bilanciamento del “potere diffuso” dei singoli pm. 8. IMMUNITÀ. Superata dai tempi e screditata dagli abusi, l’immunità parlamentare da arresti e intercettazioni rimane financo per i senatori non più eletti. Il voto a maggioranza semplice consente al governo di mettere in salvo i suoi uomini alla Camera e di nominare senatori “scudati” i sindaci e i consiglieri regionali nei guai con la giustizia. 9. INFORMAZIONE. Senza abolire la Gasparri né toccare i conflitti d’interessi, la tv rimane proprietà » A GAMBA TESA » Verso il nuovo Consiglio superiore Csm, la campagna elettorale via sms del sottosegretario Alla vigilia dell’elezione dei nuovi componenti, Cosimo Ferri (Giustizia) scatenato: spinge i “suoi” candidati di Magistratura Indipendente, alla faccia Mascali » pag. 4 della separazione dei poteri e del conflitto d’interessi Vespa, “il Fatto” e il contratto a sua insaputa Palombi e Tecce » pag. 5 IL VIDEO ONLINE Se il Califfo al-Baghdadi arriva a Roma... Stefano Disegni » pag. 11 dei partiti: il governo domina la Rai (rapinata di 150 milioni e indebolita dall’evasione del canone) e B. controlla Mediaset. I giornali restano in mano a editori impuri: aziende perlopiù ricattabili dal governo e bisognose di aiuti pubblici per stati di crisi e prepensionamenti. 10. CITTADINI. Espropriati del diritto di scegliere i deputati e di eleggere i senatori, oltreché della sovranità nazionale (delegata a misteriose autorità europee), non avranno altre armi che i referendum abrogativi (sempre più spesso bocciati dalla Consulta) e le leggi d’iniziativa popolare: ma per queste la riforma costituzionale alza la soglia da 50 a 250 mila firme. VOCI LIBERE A TU PER TU Biagi: “Garibaldi, la mia Rai e quell’editto del piccolo uomo” D’Agostino: “Io, ‘spia’ dei potenti tra Dago e la sfiga di Gianni Agnelli” Mazzetti » pag. 12 - 13 Pagani » pag. 16 - 17 Udi Furio Colombo SCUOLA, LA RIFORMA SI FA A CASO » pag. 22 LA CATTIVERIA Papa Francesco arriva in Molise “Visto che esiste?” » www.spinoza.it 2 DEMOCRAZIA DOMENICA 6 LUGLIO 2014 M inzolini teme il tweet #forzaitalia staiserena IO MI FIDO dei miei interlocutori e sono convinto che sulle riforme sia indispensabile dialogare con tutti. Ma non sono un grullo e non vorrei mai ritrovarmi a leggere un tweet di Matteo Renzi come “forzaitaliastaiserena”. Insomma, non intendiamo fare la fine di Enrico Letta”. Il se- natore Augusto Minzolini (Fi), intervistato dal Messaggero, riflette così sull’accordo sulle riforme. “C’è una cosa che proprio non comprendo: Renzi”, continua l’ex direttore del Tg1, “è estremamente puntiglioso sulla non elettività dei senatori. Ma al governo deve interessare il il Fatto Quotidiano superamento del bicameralismo perfetto. Che il Senato sia elettivo o meno, non è essenziale. A meno che non sia frutto di un calcolo: la riforma potrebbe essere approvata già a gennaio. A quel punto, in teoria, si potrebbe anche votare. Ma non con un Senato elettivo che non è contemplato dall’Italicum”. Minzolini in Senato guida la fronda azzurra contro l’accordo sulle riforme. “Non vorrei”, conclude il senatore, “che la non elettività del Senato sia una via di fuga per il governo, se le cose non andassero per il verso di Renzi”. L’UOMO SOLO AL COMANDO IL PACCHETTO ISTITUZIONALE DI RENZI & B. MINA IL SISTEMA DI CONTRAPPESI FRA POTERI DELLO STATO di Marco Travaglio U nendo i puntini delle varie riforme vaganti tra governo e Parlamento, costituzionali e ordinarie, ma anche di certe prassi quotidiane passate sotto silenzio per trasformarsi subito in precedenti pericolosi, come le continue interferenze del Quirinale nell’autonomia del Parlamento, della magistratura e della stampa, viene fuori un disegno che inquieta. Una democrazia verticale, cioè ben poco democratica: sconosciuta, anzi opposta ai principi ispiratori della Costituzione, fondata invece su un assetto orizzontale in ossequio alla separazione e all’equilibrio dei poteri. Ce n’è abbastanza per dare ragione all’allarme inascoltato dei giuristi di Libertà e Giustizia sulla “svolta autoritaria”. All’insaputa del popolo italiano, mai consultato sulla riscrittura della Costituzione, e fors’anche di molti parlamentari ignoranti o distratti, il combinato disposto di leggi, decreti e prassi – di per sé all’apparenza innocue – rischia di costruire un sistema illiberale e piduista fondato sullo strapotere del più forte e sul depotenziamento degli organi di controllo e garanzia. Il pericolo è una dittatura della maggioranza (“democratura”, direbbe Giovanni Sartori) a disposizione del primo “uomo solo al comando” che se ne impossessa, diventando intoccabile, incontrollabile, non contendibile, dunque invincibile. Vediamo come e perché. Nella speranza di suscitare un dibattito fra i lettori e nel Palazzo. Prima che sia troppo tardi. 1. CAMERA. La legge elettorale Italicum made in Renzi, Boschi, Berlusconi e Verdini conferma le liste bloccate (incostituzionali) del Porcellum, con la sola differenza che saranno un po’ più corte. La sostanza è che i 630 deputati saranno ancora nominati dai segretari dei partiti maggiori. Quelli medio-piccoli in- vece resteranno fuori da Montecitorio grazie a soglie di sbarramento spropositate: 4,5% per quelli coalizzati, l’8% per quelli che corrono da soli e il 12% per le coalizioni. Per ottenere subito il premio di maggioranza, il primo partito (o coalizione) deve raccogliere almeno il 37% dei voti: nel qual caso gli spetta il 55% dei seggi, pari a 340 deputati. Se invece nessuno arriva al 37%, i primi due classificati si sfidano al ballottaggio e chi vince (con almeno il 51%, è ovvio) incassa 327 deputati. Cioè: chi ha meno voti (37% o più) ha più seggi e chi ha più voti (51% o più) ha meno seggi. Una follia. Ma non basta: prendiamo una coalizione con un partitone al 20% e cinque partitini al 4% ciascuno. Totale: 40%, con premio al primo turno. Siccome nessuno dei partitini alleati supera il “DEMOCRATURA” Il suo modello è un super-premier senza opposizione Una pericolosa dittatura della maggioranza 4,5%, il partito del 20% incamera il 55% dei seggi. E governa da solo, confiscando il potere legislativo, che di fatto coincide con l’esecutivo a colpi di decreti e fiducie. 2. SENATO. Con la riforma costituzionale, il “Senato delle Autonomie” sarà formato da 100 senatori non eletti: 95 saranno scelti dai consigli regionali (74 tra i consiglieri e 21 tra i sindaci) e 5 dal Quirinale (più i senatori a vita). Sindaci e con- siglieri scadranno ciascuno insieme alle rispettive giunte comunali e regionali, trasformando Palazzo Madama in un albergo a ore: andirivieni continuo e maggioranze affidate al caso, anzi al caos. Di norma anche il Senato sarà appannaggio della maggioranza di governo. E comunque non potrà più controllare l’esecutivo: i senatori non voteranno più la fiducia né saranno chiamati ad approvare, emendare, bocciare le leggi. Esprimeranno solo pareri non vincolanti, salvo per le norme costituzionali. E seguiteranno a eleggere con i deputati il capo dello Stato e i membri del Csm e della Consulta di nomina parlamentare. 3. OPPOSIZIONE. Nell’unico ramo del Parlamento ancora dotato del potere legislativo, cioè la Camera, i dissensi interni ai partiti di governo potranno essere spenti con il metodo Mineo e Mauro: chi non garantisce il voto favorevole in commissione alle leggi volute dall'esecutivo sarà essere espulso e sostituito da un soldatino del premier. Quanto al dissenso esterno, i partiti di opposizione saranno in parte decimati dalle soglie dell’Italicum. Per i superstiti, la riforma costituzionale disarma le minoranze istituzionalizzando la “ghigliottina” calata dalla presidente Laura Boldrini contro il M5S che tentava di impedire la conversione in legge del decreto-regalo alle banche: corsia preferenziale per i ddl e i dl del governo, che andranno subito all’ordine del giorno per essere approvati entro due mesi, con sostanziale divieto di ostruzionismo e strozzatura degli emendamenti. 4. CAPO DELLO STATO. Malgrado lo snaturamento del Senato, che finora contribuiva per 1/3 all’Assemblea dei mille grandi elettori (nel 2013 erano 319 senatori, 630 deputati e 58 delegati regionali) e in futuro sarà relegato al 10%, nessuna modifica è prevista per l’elezione del presidente della Repubblica. Quindi potrà sceglierselo il premier (anche se ha preso soltanto il 20% dei voti) dopo il terzo scrutinio, quando la maggioranza dei 2/3 scende al 51%. Forte del 55% dei deputati da lui nominati, gli basteranno 33 senatori per raggiungere la maggioranza semplice dell’Assemblea e mandare al Quirinale un suo fedelissimo. Il che trasforma il ruolo di “garanzia” del Presidente in una funzione gregaria del governo e della maggioranza: il capo del primo partito si sceglie il capo dello Stato che poi lo nomina capo del governo e firma i suoi ministri e poi le sue leggi e decreti. Inoltre, dopo il precedente “monarchico-presidenzialista” di Napolitano, a colpi di invasioni di campo, il nuovo inquilino del Quirinale potrà arrogarsi enormi poteri d’interferenza in tutti i campi, giustizia in primis. 5. CORTE COSTITUZIONALE. Se tutto cambia nella selezione di deputati e senatori, nulla cambia nell’elezione dei giudici costituzionali. Chi va al governo con l’Italicum (anche col 20% dei voti) controllerà direttamente o indirettamente ben 10 dei 15 giudici costituzionali: i 5 nominati dal Parlamento e i 5 scelti dal capo dello Stato (gli altri 5 li designano le varie magistrature). Così, occupati i poteri esecutivo e legislativo, il premier espugna anche il supremo organo di garanzia costituzionale. E sarà molto difficile che la Consulta possa ancora bocciare le leggi incostituzionali, o dare torto al potere politico nei conflitti di attribuzione con gli altri poteri dello Stato. 6. CSM E MAGISTRATI. Anche la norma del governo Renzi che anticipa la pensione dei magi- strati dagli attuali 75 anni a 70 può diventare una lesione dell’indipendenza della magistratura. Il risultato infatti è la decapitazione degli uffici giudiziari, guidati perlopiù da magistrati ultrasettantenni. E i nuovi capi di procure, tribunali e Cassazione li nominerà il nuovo Csm, che sarà eletto nei prossimi giorni: per 2/3 (membri togati) dai magistrati e per 1/3 (membri laici). I laici, dopo l’accordo Renzi-B., saranno tutti (tranne forse uno indicato dai 5Stelle) di osservanza governativa. Tra questi verrà poi scelto il vicepresidente, indicato dal premier, mentre il presidente sarà Napolitano e poi il suo successore, anch’egli di stretta obbedienza renziana. Così i nuovi vertici della magistratura li sceglierà il Csm più “governativo” degli ultimi 40 anni, previo “concerto” del ministro della Giustizia Orlando. Ad aumentare l’influenza politica c’è poi il SEGUE DALLA PRIMA di Antonio Padellaro Il Gufo a colloquio con il 40,8% ffettivamente in tema di slogan e di annunci Renzi E conosce pochi rivali. Per non parlare del famoso cronoprogramma. A febbraio le riforme, a marzo il lavoro, ad aprile la pubblica amministrazione, a maggio il fisco, a giugno la giustizia, boom. Molte “linee guida”, molte conferenze stampa corredate da effetti speciali. Per fare una legge non basta comunicarla, ma bisogna che diventi operativa, che faccia sentire i suoi effetti nella vita reale e non solo nei titoli dei tg. In pochi mesi Renzi sta facendo una rivoluzione che non si era vista in vent’anni. Non è colpa sua se la velocità con cui agisce non è quella del Parlamento e di certe conventicole che anche nel Pd cercano di creare problemi per conservare i loro piccoli privilegi. Quando ha potuto decidere da solo, dieci milioni di italiani hanno ricevuto e continueranno a ricevere 80 euro in più nella busta paga. IL 40,8%: DOPO C’È SOLO IL DILUVIO Voi del “Fatto” dovete avere più rispetto per gli 11 milioni e 173 mila elettori che hanno votato l’ultima ciambella di salvataggio per non annegare Voi Gufi dicevate che erano solo promesse elettorali: dovreste chiedere scusa piuttosto che seminare dubbi. È vero, gli 80 euro promessi da Renzi sono stati mantenuti, un colpo elettorale magistrale che alle Europee gli ha fatto piovere addosso un plebiscito di voti. Chapeau. Tutti gli indicatori della crisi continuano tuttavia ad annunciare burrasca: la crescita non si vede, i giovani senza lavoro sono la maggioranza e mancano perfino i soldi per la cassa integrazione. Sono disastri che Renzi ha ereditato, ma non si dica che è l’uomo dei miracoli. Quanto alle conventicole, è lui che dopo aver proclamato ai quattro venti la rottamazione della vecchia classe dirigente, non ha fatto altro che arruolare mandarini e ras del potere locale. Grazie a loro ha stravinto le primarie, ma questa è gente che poi presenta il conto. discutere. Questa dell’ultima speranza è una furbata che non fa onore a Renzi e a chi la spaccia quotidianamente come vera, giornaloni compresi. In una democrazia degna di questo nome, non esistono uomini della Provvidenza. Quelli che abbiamo conosciuto, da Mussolini a Berlusconi, hanno fatto solo disastri. Nessuno se lo augura, ma se Renzi dovesse fallire una democrazia degna di questo nome dovrebbe avere non una ma dieci alternative. Come avverrà in America per il dopo Obama o in Francia per il dopo Hollande o in Germania per il dopo Merkel. Lì nessuno si fascia in anticipo la testa dicendo: poveri noi come faremo? In Italia il problema è un altro: con le cosiddette riforme istituzionali si cerca unicamente di blindare il potere dell’uomo di Rignano in modo da renderlo inattaccabile per un decennio almeno. È un progetto condiviso da molti dentro e fuori l’Italia: dal Per carità, se siamo al “dopo di me il diluvio”, è inutile IL GUFO: UNTI DAL SIGNORE NON SERVONO In una democrazia degna di questo nome non esistono uomini della Provvidenza. Quelli che abbiamo conosciuto, da Mussolini a Berlusconi, hanno fatto solo disastri In quel 40,8 per cento raccolto da Renzi non c’è solo l’apprezzamento per gli 80 euro che comunque rappresentano una svolta storica visto che c'è un governo che dà invece di prendere. Dovreste, invece, avere più rispetto per gli 11 milioni e 173 mila elettori che votando Renzi hanno votato l’ultima ciambella di salvataggio per non annegare. Voi lo criticate anche quando starnutisce, ma se lui fallisce per l’Italia è davvero la fine e questo la gente l’ha capito. AUTORITARIA il Fatto Quotidiano Iauspica l blog di Grillo referendum e prevede conflitti C’È UNA POSSIBILITÀ che alla votazione in Senato le modifiche costituzionali non ottengano i 2/3 e se ciò accadrà la Costituzione renziana dovrà andare al referendum confermativo. È quanto auspica, sul blog di Grillo, Viviana Vi in un post dal titolo “Democrazia in pericolo”: “Una volta FATECI LARGO Matteo Renzi e, a sinistra, Napolitano Nei tondi: Vietti, Boschi, B., Finocchiario e Bruti Liberati progetto ideato da Violante e ventilato da Renzi di togliere al Csm i procedimenti disciplinari di secondo grado per far giudicare i magistrati da un’Alta Corte nominata per 1/3 dal Parlamento e per 1/3 dal Quirinale, cioè a maggioranza partitica. 7. PROCURATORI E PM. Per normalizzare le procure della Repubblica non c’è neppure bisogno di una legge: basta la lettera di Napolitano al vicepresidente del Csm Vietti che ha modificato il voto del Csm sul caso Bruti Liberati-Robledo e ha imposto una lettura molto restrittiva dell’ordinamento giudiziario Mastella-Castelli del 2006-2007: il procuratore capo diventa il padre-padrone dell'azione penale e dei singoli pm, che vengono espropriati della garanzia costituzionale di autonomia e indipendenza “interna” (contro le interferenze e i soprusi dei capi). Secondo il Quirinale, “a differenza del giu- dice, le garanzie di indipendenza ‘interna’ del Pm riguardano l’Ufficio nel suo complesso e non il singolo magistrato” (e chissà mai chi può insidiare l’indipendenza “interna” di un’intera Procura). Così, nel silenzio del Csm e dell’Anm, il procuratore viene autorizzato addirittura a violare le regole organizzative da lui stesso stabilite, togliendo fascicoli scomodi gli aggiunti e ai sostituti, e avocandoli a sé senza dare spiegazioni. Per assoggettare procure e tribunali, basterà controllare un pugno di procuratori, senza più il bilanciamento del “potere diffuso” dei singoli pm. 8. IMMUNITÀ. L’articolo 68, concepito dai padri costituenti per tutelare i parlamentari di minoranza da eventuali iniziative persecutorie di giudici troppo vicini al governo su reati politici, diventa sempre più uno strumento del governo per Quirinale alla Confindustria all’Europa che teme di andare gambe all’aria se non si mette mano al nostro gigantesco debito pubblico. È la democrazia autoritaria di cui parliamo oggi in queste pagine e che si sta realizzando pezzo dopo pezzo nella indifferenza generale, con l’eccezione, bisogna dirlo, del M5S rimasto a presidiare l’opposizione. Temiamo che il perimetro della democrazia vada restringendosi. Pensiamo che in cambio della cosiddetta governabilità non si possa stravolgere la Costituzione eliminando via via tutele e contrappesi. Siamo solo un giornale, ma quando l’anno scorso il governo Letta e cosiddetti “Saggi” quirinaleschi tentarono la manomissione della Carta attraverso la modifica dell’articolo 138, la manovra fu sventata anche per merito delle quasi 500 mila firme che raccogliemmo in poche settimane. Siamo pronti a ripeterci. La parola ora passa ai lettori. imposto un Senato fedelissimo al governo – scrive Viviana Vi sul blog di Grillo –, poiché quel Senato avrà poteri di modifica della Costituzione, possiamo dire con certezza cosa farà Renzi poi”. Secondo Viviana “è prevedibile che, se da una parte il governo sarà sempre più forte, dall’al- mettere i propri uomini al riparo dalla giustizia. L’immunità parlamentare, prevista in Costituzione per le Camere elettive, viene estesa a un Senato non elettivo, composto da sindaci e consiglieri regionali che per legge ne sono sprovvisti. Basterà che un consiglio regionale li nomini senatori, e nel tragitto dalla loro città a Roma verranno coperti dallo scudo impunitario, che impedirà a magistrati di arrestarli, intercettarli e perquisirli senza l’ok di Palazzo Madama. Il voto sulle autorizzazioni a procedere rimane sia alla Camera sia al Senato a maggioranza semplice (51%). Il che consentirà alle forze di governo (anche col 20% di elettori, ma col 55% di deputati) di salvare i propri fedelissimi a Montecitorio e di nascondere a Palazzo Madama i sindaci e i consiglieri regionali delinquenti. E poi, volendo, di mandare in galera gli esponenti dell’opposizione. 9. INFORMAZIONE. Le due leggi che l’hanno assoggettata al potere politico nel Ventennio B. – la Gasparri sulle tv e la Frattini sul conflitto d’interessi – restano più che mai in vigore. E nessuno, neppure a parole, si propone di cancellarle. Così la televisione rimane quasi tutta proprietà dei partiti. Il governo domina la Rai (rapinata di 150 milioni, indebolita dall’evasione del canone, fiaccata dai pessimi rapporti fra Renzi e il dg Gubitosi, e in preda alla consueta corsa sul carro del vincitore). E Berlusconi controlla controlla Mediaset (anch’essa talmente in crisi da riservare al governo Renzi trattamenti di superfavore). Intanto i giornali restano in mano a editori impuri: imprenditori, finanzieri, banchieri, palazzinari (per non parlare di veri o finti partiti, con milioni di fondi pubblici), perlopiù titolari di aziende assistite e/o in crisi e dunque ricattabili dal governo, anche per la continua necessità di sostegni pubblici per stati di crisi e prepensionamenti. Governativi per vocazione o per conformismo o per necessità. 10. CITTADINI. Espropriati del diritto di scegliersi i parlamentari, scippati della sovranità nazionale (delegata a misteriose e imperscrutabili autorità europee), i cittadini non ancora rassegnati a godersi lo spettacolo di una destra e di una sinistra sempre più simili e complici, che fingono di combattersi solo in campagna elettorale, possono rifugiarsi in movimenti anti-sistema ancora troppo acerbi per proporsi come alternativa di governo (come il M5S); o inabissarsi nel non-voto (che sfiora ormai il 50%). In teoria, la Costituzione prevede alcuni strumenti di democrazia diretta. Come i referendum abrogativi: che però, prevedibilmente, saranno sempre più spesso bocciati dalla Consulta normalizzata. E le leggi d’iniziativa popolare (peraltro quasi mai discusse dal Parlamento): ma i padri ricostituenti hanno pensato anche a queste, quintuplicando la soglia delle firme necessarie, da 50 a 250 mila. Casomai qualcuno s’illudesse ancora di vivere in una democrazia. DOMENICA 6 LUGLIO 2014 tra il saccheggio del Paese e il dilagare della corruzione e delle mafie aumenteranno l’instabilità e i disordini. Considerato che le risorse a disposizione del governo per sopire il disagio sono ormai ridotte all’osso e che la corruzione è già adesso dilagante, è prevedibile che il regime col- 3 lassi rapidamente, in 3 o al massimo 5 anni”. E poi la blogger aggiunge: “A quel punto è impossibile prevedere cosa succederà. Potrebbe essere una rinascita del Paese con la fine del regime e il carcere per tutti i suoi capi, ma anche una balcanizzazione con veri e propri conflitti armati”. Renzi: “Io difendo la Ue dai tecnocrati” (e le riforme dal Pd) FA IL DEMOCRATICO IN EUROPA, MA SU SENATO E ITALICUM AZZERA IL DIBATTITO. MINEO: “TELEMACO NON FA PRIGIONIERI” di Marco Palombi I l vantaggio di Matteo Renzi, in questo momento, è che pur dicendo sostanzialmente delle ovvietà, le racconta a una platea che le ha dimenticate. Ieri, per dire, anche a Bolzano è tornato sulle vicende europee, quelle in cui è impegnato in un duro scontro per evitare una manovra economica tagliagambe da una ventina di miliardi di euro in autunno: “L’Europa non può diventare la patria delle burocrazie e delle banche, ma vive solo se mette in comune i valori e gli interessi dei cittadini. Non serve a niente condividere una moneta se non condividi un destino. Dobbiamo difendere l’Europa dall’assalto della tecnocrazia”. DOPO LA GUERRA ai buro- crati romani, ora c’è l’assalto ai tecnocrati brussellesi (fraseologia che potrebbe non dispiacere a certo elettorato grillino). Altra ovvietà dimenticata: “C’è bisogno di una qualità che l’Italia ha perso: la fiducia in se stessi. Abbiamo perso autorevolezza perché abbiamo perso autostima. Per anni l’Italia si è raccontata come un insieme di problemi, ma noi non siamo solo questo: ci sono valori educativi e culturali come la scommessa sul bello”. Difficile che il presidente del Consiglio in questo modo convinca Angela Merkel o i falchi rigoristi, ma d’altronde Libertà&giustizia di Gianluca Roselli non è nemmeno il suo obiettivo: sono gli italiani a dover capire il motivo del suo braccio di ferro coi partner Ue. L’altro tavolo su cui Renzi gioca la sua partita è quello interno e anche qui la situazione non è facile. Il modello one man band del premier – che detta la linea, poi la corregge, infine la capovolge e chiede a tutti di annuire – non funziona appieno con gruppi parlamentari che non sono sua diretta emanazione: la minoranza interna continua a chiedere modifiche tanto sul Senato delle Autonomie (che sia composto da membri eletti) quanto sull’Italicum (no alle liste bloccate e rimodulazione al premio di maggioranza). Le critiche della fronda sono peraltro diventate irritazione venerdì, quando i parlamentari LA CITAZIONE “Porto un libro in Ue se non mi cacciano” CONSEGNERÒ all’Europa un libretto di Chesterton Napoleone a Notting Hill se non mi buttano fuori prima...”. Così Matteo Renzi cita il libro, con protagonista un sindaco pazzo “tema su cui sono sensibile”, auspica una rivoluzione della Ue per tenere insieme il popolo europeo. hanno letto sul Corriere della Sera il dossier con le modifiche alla legge elettorale preparato dal ministro Maria Elena Boschi: verrà inviato a Forza Italia la prossima settimana e prevede la nomina diretta per i capolista e le preferenze per gli altri candidati (ma solo del partito vincitore). Un pastrocchio. L’OLTRANZISMO di Renzi sta persino riavvicinando le molte anime della cosiddetta sinistra del Pd. Matteo Orfini, per dire, presidente del partito e oppositore interno assai tenero col premier/segretario, ieri ha dato “ragione a Bersani”: “Con un impianto ipermaggioritario e questa riforma costituzionale, si corre il rischio che una minoranza del Paese si prenda tutto”. Corradino Mineo invece, il senatore Pd estromesso dalla commissione Affari costituzionali per reato d’opinione, ritiene che i Bersani, i D’Alema e i Cuperlo non abbiamo capito la natura del renzismo: “La generazione Telemaco non fa prigionieri”. Anche Massimo Mucchetti – che fu tra i 14 senatori a schierarsi con Mineo – la vede male: “Non c’è nessun freno. Se il Pd ha restaurato il centralismo democratico comunista lo dica”. Comunque, è l’avvertimento, “sulle materie costituzionali i senatori del gruppo Pd hanno piena libertà di coscienza e di voto”. E a Palazzo Madama, si sa, i numeri sono ballerini. Sandra Bonsanti “Matteo despota e re Giorgio tace” l Parlamento viene I messo in sordina dal governo. Il futuro Sena- to è un pasticcio, mentre la Camera viene indebolita a vantaggio dell’esecutivo”. Da quando a Palazzo Madama è partito il cammino delle riforme costituzionali, Sandra Bonsanti, ex direttore del Tirreno e presidente di Libertà e Giustizia, non ha risparmiato critiche all’operato di Matteo Renzi. E il suo giudizio è ancora molto severo. Cosa la lascia perplessa della strategia renziana? Innanzitutto la riforma della Costituzione è un affare troppo serio per metterla nei termini “o si fa come dico io o salta tutto”. Il dibattito è stato totalmente sottratto al Parlamento, stralciata ogni discussione, bandita ogni critica. Non si ascolta nessuno e chi non è d’accordo viene ad- ditato come gufo o sabotatore. Insultare chi non è d’accordo con te è antidemocratico. Poi? Non capisco perché Renzi si sia fissato con il Senato non elettivo. Non mi sembra un buon modo di iniziare un processo riformatore quello di chiudere un ramo del Parlamento. Il premier parla di scelta in nome del risparmio e della governabilità... Se voleva risparmiare bastava diminuire deputati e senatori. La governabilità è lo stesso spauracchio che agitava Berlusconi. Ma se c’è la volontà politica e la capacità di governare, non c’è bisogno di stravolgere la Costituzione. Qui, invece, siamo di fronte a una deriva autoritaria volta a strozzare le prerogative parlamentari in favore del potere dell’esecutivo. Lei crede che il Quirinale dovrebbe farsi sentire? Il capo dello Stato è il garante della Carta. Vedo però che Napolitano non muove un dito. Si vede che gli va bene così. 4 TRA LE TOGHE DOMENICA 6 LUGLIO 2014 M essina, fuga di notizie in tribunale: 3 arresti SONO FINITI AI DOMICILIARI in tre, per ipotesi di reato che vanno dall’abuso di ufficio al peculato, fino all’accesso abusivo al sistema informatico. Ma promette di allargarsi, l’inchiesta di Messina sulla fuga di notizie a palazzo di Giustizia. Ieri sono stati messi agli arresti gli investigatori privati Matteo Molonia e Antonio Brigandì, per l’ex Guardia di Finanza Francesco Giusti. A detta del sostituto il Fatto Quotidiano procuratore Alessia Giorgianni, Molonia e Brigandì avrebbero svolto la loro attività senza licenza, mentre Giusti avrebbe scambiato del pesce sequestrato con il destinatario del provvedimento. Secondo la Gazzetta del Sud, i carabinieri hanno notificato i domiciliari anche a un finanziere, un carabiniere, un poliziotto e un ufficiale giudiziario in servizio al Tribunale. Decine le perquisizioni. Csm, Ferri fa campagna Sms per due candidati IL SOTTOSEGRETARIO ALLA GIUSTIZIA AI MAGISTRATI: “ALLE ELEZIONI VOTATE GLI AMICI LORENZO PONTECORVO E LUCA FORTELEONI”. E DAI GIUDICI SALE LA PROTESTA di Antonella Mascali I l sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri irrompe nella campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio superiore della magistratura. Ha fatto girare un sms chiedendo il voto per due candidati di Magistratura Indipendente. Alcuni magistrati di altre correnti, ma anche di Mi, si sono infuriati per quella che ritengono una indebita ingerenza di un esponente del governo nelle elezioni. Il Fatto ha letto il messaggio che Ferri ha inviato al cellulare di un magistrato-elettore: “Per le prossime elezioni del Csm mi permetto di chiederti di valutare gli amici Lorenzo Pontecorvo (giudice) e Luca Forteleoni (pm). Ti ringrazio per la squisita attenzione, Cosimo Ferri”. PONTECORVO è un giudice del tribunale di Roma, mentre Forteleoni è pm a Nuoro. Entrambi sono pupilli di Ferri, che di Magistratura Indipendente è stato il segretario. Ma anche da sottosegretario alla Giustizia degli ultimi due governi è rimasto il leader della corrente di destra delle toghe. L’sms è arrivato - secondo quanto ci hanno raccontato diverse fonti - a decine di magistrati. Un candidato al Csm ha scritto sulla mailing di Magistratura Indipendente un lungo messaggio, a tratti sarcastico: “Un autorevole componente del governo (Ferri, ndr) invita i colleghi a votare per due candidati al Csm. E indovinate un po’? Nessuno dei due sono io! Chis- sa perché? …Visto che c’è, potrebbe anche farci sapere per il collegio di legittimità (quello della Cassazione, ndr) se ha un suo candidato o se il voto può essere libero:)))”. IL CANDIDATO al Csm non “ferriano” lancia online anche alcune domande ai colleghi e, tra il serio e il faceto, si rivolge pure ai rappresentanti politici: M5S Billi: “Morto il Giorgio sbagliato” e ne è andato Giorgio. Quello sbagliato. #faS letti”. È il tweet con cui venerdì sera la responsabile web a Montecitorio del M5s, Debora Billi, ha commentato la morte dello scrittore, facendo un chiaro e macabro riferimento a Giorgio Napolitano. Sufficienti per scatenare subito una bufera sul web. Ieri mattin Billi si è ufficialmente scusata: “Le battute infelici scappano, speriamo stavolta siano scappate per sempre. Desidero scusarmi personalmente con il Presidente Napolitano e con il M5s”. Ma dalla politica piovono condanne. Debora Serracchiani (Pd) scrive di “brutali attacchi personali al Presidente”, mentre esponenti di vari partiti hanno chiesto il licenziamento della responsabile web. “Che ne pensano tutti gli altri candidati, di corrente e non, e gli amici elettori, di una simpatica campagna elettorale condotta da uno stimatissimo politico-magistrato per due magistrati-candidati al Csm? Che ne pensano i media, i cittadini, le forze politiche, il ministro, il presidente del consiglio dei ministri, il capo dello Stato e così via? Nulla, eh? Mica è un atto formale del governo, diranno. In effetti è solo un sms. Oddio, uno. Magari qualcuno in più. Ma a chi volete che importi? In mancanza di una delibera del consiglio dei ministri che ci dica quali sono i candidati al Csm graditi, accontentiamoci di qualche semplice sms. In fondo il governo vuole riformare il Csm, no? Ecco, magari il voto via sms su suggerimento del governo semplificherebbe tanto le cose ed eviterebbe quelle costose e fastidiose telefonate per sostenere questo o quel magistrato per questo o quell’incarico. Ovviamente, si fa per scherzare:))) Mica crederemo veramente che basta un sms a fare cambiare idea a un magistrato elettore, no? Saluti a tutti e buone elezioni anche a chi non ha le idee chiare sugli insegnamenti di Charles-Louis de Secondat, Il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri LaPresse barone de La Brède e, a tempo perso, di Montesquieu. Indubbiamente idee antiquate”. UN ALTRO MAGISTRATO , ap- partenente ad Area, la corrente di sinistra, vorrebbe l’intervento del ministro della Giustizia: “Penso che la vicenda imponga un immediato chiarimento da parte dell’interessato: o gli sms sono stati fatti ‘usurpando’ nome e volontà del magistrato sottosegretario Ferri; o il ministro Orlando deve prendere atto del coinvolgimento diretto di un esponente governativo nella campagna elettorale per un diverso organo costituzionale, trarne o farne trarre le conseguenze”. Il Fatto ha cercato il sottosegretario al telefono, senza ricevere risposta. Tra i magistrati non manca l’autocritica: “Anche a noi magistrati il culto del familismo amorale e del ‘A Fra’ che te serve?’ non dispiacciono poi così tanto, visto che le telefonate e altri tipi di contatto non sono mai a senso unico, e che ormai nessuno sembra più scandalizzarsi del fatto che - ad esempio - in un determinato posto vada un amico degli amici, e non un altro professionalmente più valido ma.... meno incline alle pubbliche relazioni”. Le elezioni per i membri togati del Csm si svolgono oggi e domani. Per la prima volta ci sono state le primarie dell’Anm con tutte le correnti. Primaria anche per Altra proposta, che ha scelto i candidati con un complesso sorteggio. LA RIFORMA/1 di Bruno R Tinti enzi è uomo di marketing. Ma anche il miglior marketing deve essere credibile. Se si promette la luna a gente che la sta chiedendo da venti anni e che non l’ha mai ottenuta, si deve anche spiegare come si pensa di fargliela avere. Altrimenti ti prendono per l’ennesimo imbroglione. Ecco, i suoi 12 punti in materia di riforma della Giustizia, sono incredibili. Nel senso che tutti li condividono; ma chi è del mestiere sa benissimo che sono irrealizzabili. Prendiamo i primi 2 (per ora, gli altri seguiranno). Promesse, promesse: la nuova Giustizia secondo Renzi citazione e lo notifica al convenuto: ci vedremo davanti al giudice tra 90 giorni (termine minimo, prima non si può per legge). L’avvocato del convenuto gli risponde con una “comparsa di costituzione e risposta”. I due atti sono depositati in Tribunale. Scaduti i 90 giorni, gli avvocati spiegano al Matteo Renzi LaPresse giudice quello che hanno già raccontato nella citazione e nella comparsa di risposta. Il giudice si “ri1 - Giustizia civile: riduzione dei tempi – un anno serva” e rinvia a 30 giorni; deve pur capire di cosa si tratta. Ma siccome ha centinaia di proin primo grado Si può fare, basta buttare nel cestino l’attuale cessi, in realtà rinvierà a 60 giorni minimo, codice di procedura. Il fatto è che il processo quando non di più. Ma nemmeno a questa civile è fatto di “atti”: citazioni, comparse di udienza si fa qualcosa di concreto perché gli costituzione e risposta, memorie, reclami. Bi- avvocati chiedono termine per memorie: risogna abolirli, altrimenti i tempi non si ridu- scriveranno le stesse cose che hanno già scritto cono. Oggi come oggi, gli atti previsti dal co- nella citazione e nella comparsa di costituzione. dice di procedura civile e i termini che si de- Il giudice è obbligato a concederlo: minimo di vono rispettare tra un atto e l’altro ammontano, legge 30 giorni. Depositate le memorie, il giuda soli, a 11 mesi e 5 giorni. Possibile? Sì, certo. dice deve assegnare un nuovo termine di 30 Nel processo civile le parti si chiamano attore giorni perché ognuno possa replicare all’altro; e (quello che pretende qualcosa) e convenuto ne assegnerà un altro di 20 giorni per ulteriori (quello che dice di non dover dare nulla). L’at- repliche. Dopodiché, siccome si deve leggere tore va da un avvocato che prepara un atto di tutto, si prende 30 giorni per studiare gli atti. E finalmente si comincia. Teoricamente sono passati solo 9 mesi e 20 giorni; ma bisogna aggiungerci 1 mese e 15 giorni di sospensione dei termini: le vacanze giudiziarie che vanno dal 1° agosto al 15 settembre. Tutto fermo per legge. Così si arriva a 11 mesi e 5 giorni, appunto. IL PROCESSO VERO E PROPRIO parte da qui: si devono interrogare i testimoni di tutt’e due le parti, fare le perizie e quanto altro serve per capire chi ha ragione e chi ha torto. Tutto questo si fa nell’ “udienza”. Quante ne servono? Non si sa, dipende dal numero dei testimoni, dalla complessità delle perizie, dai reclami che ogni avvocato può fare in corso di causa e che interrompono il processo fino a che il Collegio (altri 3 giudici) decide. E, soprattutto, dipende da quanti altri processi ha il giudice perché, più ne ha, più i rinvii tra un’udienza e l’altra saranno lunghi: proprio come dal dentista. “Dottore, quando mi può visitare?”. “Tra 1 mese”. “Ma come?”. “Prima non posso, guardi la mia agenda”. Alla fine gli avvocati depositano le loro comparse conclusionali (ognuno spiega perché lui ha ragione e l’altro ha torto) e poi finalmente ci sarà la sentenza. In media, oggi, un processo civile in primo grado dura 3 anni, quando va bene. Si può fare diversamente? Certo che sì. Gli avvocati scrivono tutto quello che hanno da dire, scambiandosi tra di loro lettere e documenti. Si sentono i testimoni ognuno alla presenza dell’altro. Ognuno si fa le sue perizie. Poi vanno dal giudice e gli danno tutti gli “atti”. E, dopo un po’ (quanto? Dipende sempre dal numero dei processi che ogni giudice ha in carico) arriva la sentenza. Non è una cosa fantascientifica; più o meno è quello che avviene negli Stati Uniti. Però una giustizia civile così costa un sacco di soldi: ognuno dovrebbe pagarsi i suoi periti, le spese di trasferta per i testimoni, un’organizzazione di ufficio ben diversa dall’attuale segretaria divisa tra 2 o 3 avvocati che fa anche da centralinista. Diventerebbe una giustizia per ricchi. Meglio o peggio di una giustizia che non funziona per niente? Mah. 2 - Giustizia civile: dimezzamento dell’arretrato. Che si fa con i processi cominciati con il vecchio sistema? Certo, si potrebbe restituire tutto alle parti: da oggi il codice è cambiato, tocca a voi istruire il processo, datevi da fare e tornate quando avete finito. E chi non ha soldi? E poi: l’arretrato c’è perché i giudici che ci sono non riescono a smaltire i milioni di cause che hanno e che ogni anno aumentano. Se lo si vuole dimezzare, si deve mettere in conto che, per x anni – se si adotta il sistema nuovo – o per xxx anni – se si continua con il sistema attuale, non potranno fare altro. E i processi nuovi chi li fa? Altri giudici, si capisce. Ora, a parte che, su circa 10.000 giudici previsti in organico, ne mancano 1.200; a parte che il Paese, più di 200/300 nuovi giudici all’anno non li dà; sta di fatto che ogni nuovo giudice richiede corrispondenti risorse (uffici, computer, personale amministrativo). Chi paga? Dove sono i miliardi necessari per una riforma del genere? Capito perché c’è una differenza tra il marketing e l’imbonimento da fiera? TELE-VISIONI il Fatto Quotidiano FFloris reccero: “Contro il primo editto di Renzi” Caro direttore, vedo che insistete sostenendo che il mio contratto prevederebbe 43mila euro lordi per gli speciali di Porta a Porta in prima serata. Purtroppo non è vero. Poiché il “Fatto” ha sempre avuto a disposizione i miei contratti (e mai quelli dei miei colleghi) ben prima che se ne parlasse in Cda e conosce da sempre dettagli che dovrebbero essere a disposizione dei soli uffici amministrativi, ti prego di pubblicare la fotocopia dell’articolo del contratto in cui si parlerebbe dei 43.000 euro. Cordialità, Bruno Vespa di Marco Palombi e Carlo Tecce L a sprezzatura, fin da monsignor Della Casa, è virtù massima del gentiluomo. Per questo apprezziamo che Bruno Vespa non sappia quanto guadagna. Noi, che siamo così volgarmente attenti alla vile moneta, glielo ricordiamo dunque volentieri. Partiamo dagli speciali: per quelli sulle elezioni americane e italiane, stagione 2012/2013, Vespa ha incassato 43.000 euro cadauno. E per quattro puntate - fra dimissioni di Benedetto XVI e due per il presidente della Repubblica – ha percepito 30.000 euro. E così per apparizioni improvvise e copiose, ricorrenze, eventi, chiose a margine di film. FORSE VESPA non ricorda, ma il documento di viale Mazzini che pubblichiamo qui accanto – un resoconto degli uffici al dg Luigi Gubitosi - può risultare utile alla sua memoria. Il contratto di Vespa risalente al 2010, che sta per essere rinnovato in questi giorni, è stato prolungato già l’anno scorso con cifre sostanzialmente invariate. Non è facile districarsi fra opzioni, minimi garantiti, Porta a Porta extra, ma offriamo a Vespa una guida alla lettura del suo contratto. Il totale, per cominciare: 6,32 milioni di euro nel triennio (2010/2013), di cui un importo base di 1,5 milioni di euro a stagione (valido anche nel 2013/2014). A parte una limatura al costo unitario di Porta Porta (da settembre 2013) oltre la centesima serata, lo stipendio era (è) così composto: 13.000 euro per le prime 100 trasmissioni, 12.000 per le successive. Di extra, nel triennio, Vespa ha cumulato 901.000 euro. A questi soldi vanno sommate le “prestazioni aggiuntive” da 30.000 o 43.000 euro, a volte della durata di mezz’ora. Il 29 marzo 2013 - come ha scritto anche Aldo Fontarosa su Repubblica – Vespa è andato in onda per 30 minuti, l’azienda voleva liquidarlo con 20.000 euro, ma il giornalista ne ha voluti 30.000. “Da evidenziare che analogo rifiuto fu opposto dal collaboratore anche per il venerdì santo del 2012”, scrive la Rai. Le tradizioni, pare evidente, non vanno abbandonate. L’anfitrione di Porta a Porta ha concesso una limatura ai 12.000 euro per le puntate che superano la centesima, peraltro già previste in palinsesto, ma in- FLORIS HA FATTO BENE ad andare a La7. Prende più soldi? Bene, è il mercato. È Renzi che l’ha fatto fuori, questo è il suo primo editto”: a dirlo è Carlo Freccero, che è stato ospite del programma di Rai Radio2 “Un Giorno da Pecora”. Chi pensa potrebbe sostituirlo? “Non lo so, non ne ho idea, ormai DOMENICA 6 LUGLIO 2014 sono tutti renziani, anche i conduttori televisivi”. Bianca Berlinguer, direttrice del Tg3, come la vedrebbe? “No, assolutamente, lei è troppo renziana”. Allora Maurizio Mannoni, altro giornalista del Tg3? “Lui è ultrarenziano”. Il nome più accreditato, in questi giorni, pare esser quello di Gerardo Greco, conduttore di Agorà, che ha sostituto il direttore di Rai3 (Andrea Vianello) nella fascia mattutina. Freccero non è d’accordo, crede che la scelta dell’azienda cadrà su qualche altro giornalista: “No, la sua sarebbe la soluzione più semplice e ‘telefonata’, non ci credo”. VESPA ACCONTENTATO GUIDA AL CONTRATTO DEL CONDUTTORE L’ANFITRIONE DI “PORTA A PORTA” CI INVITA A PUBBLICARE I DOCUMENTI CHE DIMOSTRANO DI AVER LAVORATO ANCHE A 43.000 EURO A SERA. IN 3 ANNI HA INCASSATO 6,3 MILIONI spiegabilmente pagate a parte. Per il resto, stesso trattamento per la stagione 2013/2014: 1,5 milioni di euro di garantito più extra. Nel prossimo futuro, è vero, Vespa dovrà subire un taglio: invece di due milioni e passa l’anno dovrà forse accontentarsi di 1,8/1,9 milioni di euro. Ma dovrà faticare molto, fare altre interviste speciali in prima serata come quella a Matteo Renzi. Pagata quanto? A prezzo pieno, 43.000 euro, con lo sconto a 30.000 oppure stavolta 20.000 son bastati? Se Vespa vuole ne possiamo parlare. Giovanni Floris e Maurizio Crozza a “Ballarò” Dlm TRASLOCHI A Rai3 di “Ballarò” resta solo il nome OLTRE AL GIORNALISTA, A LA7 ANDRANNO CROZZA, PAGNONCELLI E UN PEZZO DELLA REDAZIONE o puoi chiamare Vucciria, Orientale, Porta Pia, ma come L sarà il “mercato” di Ballarò senza Giovanni Floris? Quando la trattativa era ancora inchiodata e non smembrata, la Rai Bruno Vespa, conduttore di “Porta a Porta” dal 1996 LaPresse PRIVILEGI Dal 2010, senza tagli, percepisce 1,5 milioni di euro fissi, ai quali vanno aggiunti gli speciali su Rai1: e il prezzo lo fa lui 5 CARTA CANTA ha presentato i palinsesti ai giornalisti e agli investitori e ha rassicurato il pubblico: non vi preoccupate, Ballarò è previsto, ogni martedì, sempre su Rai3. Consolazione che non consola il pubblico di affezionati. Qui non c’entrano i contratti, le clausole, i trattamenti economici, qui c’entra quel che offri ai telespettatori. Il formato di una trasmissione non fa il contenuto, ma il contenuto fa la trasmissione: tautologico, elementare. Non è ancora ufficiale, ma Floris è diretto a La7. Avrà una striscia quotidiana e un programma serale che, pare, dovrebbe cercare di drenare ascolti da Rai3 proprio il martedì. Dentro o fuori, intorno o accanto a una copertina, ci sarà Maurizio Crozza: dunque la Rai avrà Ballarò, ma non avrà il comico genovese. Munito di cartelli o di lavagnette, ci sarà Nando Pagnoncelli: dunque la Rai avrà Ballarò, ma non il sondaggista di riferimento. I collaboratori di Floris lo seguiranno da Urbano Cairo: dunque la Rai avrà Ballarò, ma non la redazione (gran parte) che confezionava Ballarò. Sarà più bello, più efficace e più di successo, chissà, però il Ballarò di Rai3 non sarà il Ballarò di Floris. Allora perché non ribattezzarlo? Tanto per essere onesti con il pubblico. Una premura che non fa difetto. Car. Tec. Un estratto della lettera interna Rai su Vespa DA ARCORE A GANDHI La Bonev si dedica alle “anime smarrite” di Tommaso Rodano a multiforme carriera di L Michelle Bonev è giunta a uno snodo cruciale. “Il cambia- mento sociale inizia da qui”, ha promesso, raggiante, ieri pomeriggio, presentando le attività filantropiche dell’associazione che porta il suo nome. Lei, un tempo attrice, oggi si propone come leader spirituale di una “comunità numerosissima”, che si è raccolta su Facebook attorno al carisma dell’artista bulgara. “L’associazione Michelle Bonev – si legge sul depliant distribuito all’ingresso – non ha fini di lucro e si propone di promuovere i valori della verità, dell’amore e della giustizia, in ogni loro forma ed aspetto, la piena e completa tutela e rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali”. L’ambizione non manca. Per il lancio dell’iniziativa di Michelle, in verità, l’affluenza è piuttosto scarsa. Partecipano una dozzina di signori e signore di mezza età. “Ogni persona qui è vera – dice lei – non è una comparsa. Meglio 10 in carne ed ossa che 500 sui social network”. Gli “associati”, che Michelle definisce “anime smarri- te”, hanno espressioni serie, contrite: sono fulminati dalla personalità della Bonev. Come Cristiano, che si racconta senza reticenze: “Sono veramente meravigliato dal suo coraggio. In questa società moderna così arida, dove le persone sono divise, qui ci si unisce: crediamo in una linea guida, in una teosofia (sic!) innescata dalla signora Michelle”. Poi c’è Stefania, arrivata addirittura da Bergamo: “C’è molto conflitto, in questa società. C’è un disegno per portare le persone all’odio. Il contrario della nostra associazione”. Dopo il cinema, l’associazione no profit, ecco Michelle Bonev con il fidanzato Jacopo Umberto Pizzi PERSINO IN QUESTO clima ecumenico, si pronuncia l’ennesimo atto d’accusa nei confronti della classe dirigente: “I politici sono lontani dalla gente – arringa la Bonev – ma sono tutti finiti, al capolinea”. Non starà mica diventando grillina? “Giammai – replica lei, tutt’altro che ironica – io sono gandhiana”. Michelle, prima della svolta spirituale e del volontariato, era nota alle cronache per il suo fulminante percorso artistico: fu addirittura menzionata in un Festival di Venezia, vincendo un oscuro premio creato proprio per lei, attrice e sceneggiatrice bulgara fino a quel momento pressoché sconosciuta. Per inventarsi una targa e una cerimonia di premiazione del suo Goodbye Mama si mobilitò personalmente il ministro dei Beni Culturali di allora, Sandro Bondi. Il perché di tanta, improvvisa gloria, lo avrebbe spiegato in seguito la stessa Bonev: i rapporti molto intimi con l’ex premier, Silvio Berlusconi. Ma quando ha vuotato il sacco “sul sistema corrotto” di cui si è trovata a far parte, Michelle se l’è presa anche con l’attuale compagna di Berlusconi, Francesca Pascale. Sul suo blog, la Bonev ha svelato il segreto della presunta omosessualità della first lady di Palazzo Grazioli. Per tutta risposta, il suo sito è stato sequestrato e Michelle si è bec- cata una querela per diffamazione (lei replica su twitter: “Hanno chiuso il mio blog ma nessuno potrà fermare la verità”). Ma ora il corpo e lo spirito della Bonev sono lontani da quel passato torbido. Si è fidanzata con Jacopo (“ex commesso di Mediaworld”) e la sua vita è dedicata al servizio per gli altri: “Ho sostenuto da sola tutte le spese dell’associazione”. Anche quelle della splendida villa sull’Appia Antica dove ha trovato la sede per il suo impegno civile (e una vecchia piscina abusiva, ora mimetizzata con un tettuccio di erba sintetica), nel cuore della regina viarum. 6 C’ERA UNA VOLTA IL NORD DOMENICA 6 LUGLIO 2014 L’ addio a Facebook della mamma di Aldrovandi PATRIZIA Moretti, madre di Federico Aldrovandi annuncia il suo addio a Facebook. “Ho chiuso l’account perché tutto è già stato detto. Le sentenze sono definitive. Chi vuol capire ha capito. Agli altri addio”, scrive la donna in un post pubblicato proprio sulla pagina creata a sostegno di Federico, morto a Ferrara nel 2009. La sentenza di cui parla Moretti riguarda la condanna di quattro poliziotti ritenuti in il Fatto Quotidiano via definitiva i responsabili della morte del diciottenne. “Federico – si legge nel post – adesso ha moltissime voci che ringrazio una per una”. La pagina Facebook è stata uno degli strumenti principali utilizzati da Moretti per tenere viva l’attenzione sul processo. L’epilogo giudiziario è arrivato pochi giorni fa, con la notizia sequestro dei beni e di un quinto dello stipendio agli agenti condannati. Divisi e in odore di ‘ndrine Ecco i dem lungo il Po DOPO GLI SCANDALI DI ‘NDRANGHETA, ALCUNI ISCRITTI PD SI SONO FATTI UN CIRCOLO A PARTE, MA IL PARTITO HA COMMISSARIATO TUTTI: ONESTI E COLLUSI di Sandra I Amurri inviata a Viadana l ponte sul Po divide Brescello – che ha dato i natali ai celebri personaggi di Guareschi, Don Camillo e Peppone – da Viadana, a sud della provincia di Mantova nella Bassa Padana. Un ponte che marca anche la linea di confine tra due ‘ndrine rivali. Su una sponda spadroneggia quella di Nicolino Grande Aracri di Cutro, capo dell’omonima cosca, arrestato per aver ucciso, bruciato e gettato in un tombino la collaboratrice di giustizia Lea Garofalo. Sull’altra quella degli Arena di Isola Capo Rizzuto che si è infiltrata nel tessuto economico, sociale e anche politico. “Fin dentro il circolo del Pd di Viadana nell’indifferenza dei dirigenti provinciali, regionali e nazionali”, spiega Paolo Zanazzi, capogruppo dei democratici in consiglio comunale, fuoriuscito dal circolo assieme ad altri militanti per fondare quello di Cogozzo - Cicognara. IL PD, dopo aver fatto per molto tempo il pesce in barile, li ha commissariati entrambi, generando l’indignazione dei militanti del nuovo circolo fuoriusciti proprio a causa di iscritti non proprio immacolati a Viadana. Andiamo con ordine. Il 17 marzo del 2013 Claudio Meneghetti , dirigente del partito regionale e autore di La ‘ndragheta all’assalto delle terre dei Gonzaga, invia una lettera all’allora segretario regionale del Pd, oggi ministro renziano all’agricoltura, Maurizio Martina per metterlo in guardia sulle possibili infiltrazioni mafiose nel circolo di Viadana e segnalando circa una quarantina di tessere sospette. Tra queste c’è anche quella dell’assessore alle Nuove povertà, Carmine Tipaldi, che, IL LIBRO PROIBITO Perfino la presentazione di un testo contro la mafia è diventata un percorso a ostacoli: problemi per la piazza e appoggi revocati secondo la Dda, sarebbe una delle persone citate nella telefonata intercettata tra Nicola Lentini, “rappresentante del clan Arena per la zona emiliana”, con un mafioso di Cutro: “Ci possono dare 30, 40, 50 anni, che importa? Ormai Viadana è nostra”. Assessore che si è dimesso quando Storie italiane di Nando dalla Chiesa ettiamola così: questo è un diario di M bordo, una testimonianza doverosa di un militante dell’antimafia che in vita sua ne l’intercettazione è divenuta pubblica incassando la solidarietà di Giorgio Penazzi, sindaco Pd per quattro anni. Alle elezioni amministrative Carmine Tipaldi, con 316 preferenze, era risultato il più votato. UN CASO EMBLEMATICO è quello che riguarda la presentazione del libro di Nando dalla Chiesa, Manifesto dell’antimafia. “Faccio fatica a raccontare fatti incredibili che però fotografano lo stato in cui versa il Pd – premette Paolo Zanazzi, ex capogruppo dei democratici in Comune e cofondatore del nuovo circolo Cogozzo-Cicognara –. Il commissario Fabrizio Santantonio, telefona al nostro segretario, Daniele Mozzi definendo l’iniziativa illegittima in quanto solo lui può usare il simbolo del partito. Il compagno risponde che già siamo stati commissariati come se fossimo noi responsabili degli iscritti in odore di mafia dell’altro circolo e ora ci impedisce anche di organizzare un’iniziativa sulla legalità come la presentazione del libro di dalla Chiesa? E non è finita. Chiedo all’ufficio tecnico del Comune l’autorizzazione per la piazza, dapprima si rifugiano dietro a mille scuse fino a quando non scopriamo, è tutto documentato, che il commissario del Pd aveva inviato una nota al dirigente in cui gli chiedeva di sospendere l’autorizzazione. Il commissario del partito dice all’ufficio tecnico del Comune di negarci l’autorizzazione per la presentazione del libro di Dalla Chiesa. Alzo la voce e alla fine l’ingegnere ci rilascia l’autorizzazione anche senza l’ok del commissario. E non è ancora finita. Diana De Marchi, responsabile legalità della segreteria nazionale candidata di Civati, mi chiede di inserire il suo nome nel comunicato stampa che presentava Ansa VOTI A PACCHI La denuncia della segretaria provinciale: “A una cena elettorale mi hanno offerto 350 preferenze” l’evento. Il giorno dopo mi invia una serie di sms per dirmi di toglierlo perché crea problemi al Pd milanese. Non ho cancellato il suo nome e le ho risposto di essermi pentito di averla votata. Quando ha appreso che l’iniziativa aveva avuto molto successo mi ha chiamato per dirmi: ‘se lo avessi saputo sarei venuta lo stesso’. Da rabbrividire: così si è ridotto questo partito”. Un partito che nel circolo di Viadana conta anche tessere fatte nel bar Mymont, quello gestito e frequentato da calabresi trapiantati lì. “HO VISSUTO una cosa stra- nissima –racconta Antonella Forattini, segretaria provinciale –. Nel febbraio 2013 durante una cena elettorale sono stata avvicinata da alcune persone che mi hanno offerto 350 preferenze e io ho rifiutato”. E di fronte a uno scenario così allarmante “l’attuale ministro Martina e tanti altri come lui si sono girati dall’altra parte – rincara la dose Meneghetti –. Nonostante Roberto Vitali, presidente della commissione regionale abbia cercato in tutti i modi di sollecitare il loro intervento. La mia lettera riservata è anche finita nelle mani del presidente della commissione di garanzia Candido Roveda che l’ha consegnata al circolo di Viadana. Dopo poco Roveda si dimette, si candida a segretario per i renziani e vince a Viadana per 140 a zero”. Questa storia che sembra inventata finisce, per ora, con il Pd che, non potendo più chiudere gli occhi, commissaria entrambi i circoli. “Come se anche noi avessimo tesserati pregiudicati”, ribatte Zanazzi che non vuole arrendersi di fronte al fatto che, forse, anche per il suo partito le tessere e i voti non hanno né sapore né odore. Il virus Un Paese che si arrende un pezzo alla volta appena finita una bufera d’acqua. La presentazione, prevista in piazza, è stata spostata sotto i portici. Che sono già affollati ha viste, studiate e sentite tante. E che una all’ora dell’inizio, file di sedie bianche che gli sera capita a Viadana, ricca provincia man- organizzatori continuano ad allungare e altovana, invitato da militanti locali del Pd che largare all’esterno dei portici. Al tavolo un vogliono dare la sveglia all’ambiente. Strat- membro del circolo anti-‘ndrangheta del Pd locale (commissariato come tonare gli ignavi, gridare che l’altro), un esponente dell’ascon la ‘ndrangheta non si sociazionismo e il corrisponpuò convivere. “Per favore, FUOCHI FATUI dente della Gazzetta di Manvieni a presentare il tuo Matova. Non ci vuole molto per nifesto dell’Antimafia, ce n’è “Il paese è nostro”, capire che l’atmosfera è eletbisogno”. È la sera di martedì trica. Che i presenti (c’è an1 luglio quando arrivo a Viaesclamano gli affiliati che qualcuno di Forza Italia) dana dopo un passaggio alla I segni ci sono tutti, vogliono ribellarsi a qualcobiblioteca comunale di Mansa. tova. Ho già scoperto dai toa partire dagli incendi ni tirati, preoccupati, usati VENGONO SUBITO in mente nell’occasione dall’ex sindal’inconfondibile prova gli incontri fatti negli ultimi co del capoluogo, Fiorenza della presenza mafiosa anni a Desio, Lonate PozzoBrioni, che deve esserci quallo, Bordighera, i comuni docosa di grave nell’aria. La ve i clan calabresi avevano afclassica cortina di ferro, già vista innumerevoli volte, da Palermo a Mi- fermato il loro dominio contrastati da un lano, tirata su, stavolta anche a sinistra, in pugno di persone senza ascolto nei partiti. difesa del solito argomento: l’inesistenza del- Questa è zona di tradizioni democratiche. la mafia in provincia, la rimozione male- Eppure è successo qualcosa che ha sconvolto detta; magari pure la derisione o l’alzata di tutto. “Viadana è nostra”, giurava gongolanspalle verso chi denuncia. Affetto da pro- do nel 2006 un giovane esponente dei clan in tagonismo, mosso da ragioni personali. È una telefonata. Una millanteria? No, i segni ci sono tutti. Gli incendi, linguaggio inconfondibile e prova provata della presenza mafiosa. Le imprese edili calabresi infarcite di pregiudicati che crescono nel mezzo di una crisi che non risparmia nessuno. L’ingresso di tesserati sconosciuti nel maggior partito di governo (il Pd), provenienza Isola di Capo Rizzuto e zone confinanti. Gli avvertimenti che giungono sibillini a chi promuove in consiglio comunale un questionario da dare ai cittadini sulla percezione della presenza mafiosa, nulla di forte, per carità, ma loro capiscono e prendono cappello lo stesso. O l’assessore che porta un ferito da arma da fuoco in ospedale asserendo di averlo raccolto per strada come un buon samaritano: uno sconosciuto, dice; mentre l’interessato lo dichiara amico suo. Eccetera eccetera. Un oratore racconta che chi ha dato i volantini della serata è stato seguito e oggetto di attenzioni non amichevoli. Il giornalista aggiunge che quando ha indagato sull’accoglienza riservata al questionario, si è imbattuto nel vittimismo. Ce l’hanno con noi perché siamo calabresi, è un pregiudizio razzista. Obietto che i veri razzisti sono gli uomini dei clan, visto che in tutte le conversazioni intercettate identificano se stessi con “la Calabria”. Mi viene poi detto che i più tosti nell’innalzare la bandiera vittimista non ne vogliono però sa- pere di prendere le distanze dagli Arena, il clan che a Isola di Capo Rizzuto spadroneggia che è un piacere. “È ACCADUTO tutto quello che dici nel libro. Le tre C, i complici, i codardi e i cretini. L’avessimo saputo prima… Anche il gemellaggio che dici, pure quello abbiamo fatto, con la processione del loro santo. Ma ti rendi conto?”. Mi rendo conto. L’ho visto decine di volte. È così che conquistano i paesi, che si mette nelle loro mani un pezzo d’Italia dopo l’altro. Con le autorità che concedono le white list a imprese assai discusse, per non avere grane con il Tar. Con i partiti più preoccupati dei loro equilibri interni che dei drammi del paese e che proprio non ci riescono a pensare come se fossero lo Stato. Metti una cosa dietro l’altra e alla fine succede la cosa più logica: vincono loro. Soprattutto se chi si ribella viene commissariato. MANIFESTO DELL’ANTIMAFIA Questo il libro presentato da dalla Chiesa a Viadana UN GIORNO IN ITALIA il Fatto Quotidiano “U n francese alla guida dello Ior, il Papa cede” LO IOR, la Banca Vaticana da tempo al centro di scandali e – soprattutto – in cima alle priorità di rinnovamento della Chiesa avviata dalla volontà riformatrice di papa Francesco, ha un nuovo presidente. Lo riporta il sito Dagospia.com, secondo cui al vertice dell’Istituto Opere Religiose sarebbe stato nominato il francese Jean Baptiste De Franssu. Secondo quanto scritto dal sito di Roberto D’Ago- DOMENICA 6 LUGLIO 2014 7 stino, il successore dell’attuale presidente Ernst von Freyberg-Eisenberg sarebbe stato indicato con forza dal cardinale australiano George Pell, dal febbraio 2014 primo prefetto della Segreteria per l’economia. In caso di bocciatura di De Franssu sempre secondo Dagospia - Pell avrebbe minacciato le dimissioni. Di fronte all’aut-aut papa Francesco avrebbe ceduto, avallando la decisione. Milanese raccomandava il fidanzato della figlia L’EX BRACCIO DESTRO DI TREMONTI ADESSO SI TROVA IN ISOLAMENTO. NELLE CARTE DEL MOSE TUTTI I FAVORI E I CONTATTI CON I FINANZIERI PRIMA DELLE MANETTE di Davide Vecchi e Antonio Massari I l primo giorno cruciale è il 29 aprile 2010: quando, per la prima volta, Marco Milanese incontra il re del Mose, Giovanni Mazzacurati. Il secondo è il 16 giugno 2010: il giorno successivo al pagamento, secondo l’accusa, della tangente di 500 mila euro da parte di Mazzacurati. E in questi 48 giorni Milanese ha fatto partire, dal proprio cellulare, almeno sessanta tra telefonate e sms indirizzati esclusivamente agli uomini del “sistema corruttivo”. Da venerdì Milanese è in una cella d’isolamento, nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dove sta elaborando la linea difensiva con il suo difensore, l’avvocato Bruno Larosa. La difesa che punterà anche a valutare il suo stato di salute: Milanese, spiega Larosa, che l’ha incontrato in queste ore, un anno fa ha subito un infarto. Domani incontrerà il gip per l’interrogatorio di garanzia. L’accusa è pesante: corruzione. Secondo la procura veneziana ha intascato 500mila euro per favorire il finanziamento di 400 milioni di euro, deciso dal Cipe nel 2010, destinato al Mose. ALTRI 500 mila euro, invece, li avrebbe intascati per coinvolgere l’ex generale della guardia di finanza, Emilio Spaziante, nel “monitoraggio” delle indagini svolte dalla procura veneziana. In quei mesi l’imprenditore Roberto Meneguzzo, tramite tra Mazzacurati e Milanese, riportava colloqui e sms – ricevuti da Milanese al “re del Mose”: “Il nostro amico mi ha detto che è confermato che domani va il Mose in Cipe”. E aggiunge: “Ha parlato con il suo Capo”, cioè Tremonti. E ancora: girava direttamente un sms, ricevuto poco prima da Milanese, nel quale era scritto: “Al consiglio di domani sera c’è la norma per Mose... Avverti il nostro amico e tranquillizzalo!”. Il “nostro amico” era Mazzacurati. “Tremonti mi aveva detto di occuparmi di Mazzacurati personalmente perché era un rompicoglioni – è la versione di Milanese – e non voleva che lo contattasse continuamente. E io contattavo Meneguzzo per evitare che Mazzacurati continuasse a rompere le scatole a me”. Milanese, che in queste ore ha incontrato il suo avvocato, in cella si sfoga così: “Ma come potevo, io, gestire 400 milioni di euro? Non poteva farlo neanche Giulio Tremonti. E infatti c’era uno stallo tra lui e Altero Matteoli: Tremonti chiedeva che fosse il ministero delle Infrastrutture, a stanziare i 400 milioni necessari per il Mose, mentre Matteoli diceva che lui, dal suo dicastero, non intendeva spostare un centesimo, perché aveva già impegnato il miliardo che aveva a disposizione. E poi, se avessi voluto intascare dei soldi, mi sarei fatto affidare una consulenza: scrivevo dieci pareri in un anno e incassavo centinaia di migliaia di eu- LA SUA DIFESA “Volevo proteggere mio genero che ha partecipato al concorso per l’accademia delle Fiamme Gialle. Non deve pagare per me” ro...”. Ma è per “l’intenso pericolo di reiterazione”, oltre alla “pericolosità sociale eccezionalmente elevata”, che Milanese è finito in carcere due giorni fa. Gli investigatori hanno intercettato il telefono intestato a sua figlia e hanno scoperto tre episodi, descritti in un’informativa depositata il 2 luglio, allegata all’ordine d’arresto firmata dal gip veneziano Alberto Scaramuzza. “Come sta andando il ragazzo?”, chiede Milanese, chiamando un generale della GdF, per avere informazioni sul fidanzato della figlia che, l’11 marzo scorso, ha partecipato al concorso per l’accademia ufficiali delle fiamme gialle a Bergamo. “Non volevo influenzare nessuno – è in sintesi la sua difesa – ma soltanto chiedere che il mio futuro genero non fosse penalizzato dalle mie vicende: ormai ho molti nemici nella GdF, ma non è giusto che il fidanzato di mia figlia, paghi per le mie vicissitudini”. A detta di Milanese, la risposta dell’ufficiale sarebbe stata piuttosto piccata: “Se il ragazzo merita bene, se è incapace non passa”. IL SECONDO episodio riguar- da una “a utenze del quartier generale della Gdf presso il comando generale in Roma”. Sul punto, la difesa di Milanese, è piuttosto circostanziata. In un processo a Napoli l’accusa sostiene che Milanese abbia ancora un ruolo nella GdF. “Ci siamo riservati di produrre la documentazione che dimostra il contrario – spiega Larosa Abbiamo il verbale del sottufficiale del Comando Generale, che ci consegna il foglio matricolare di Milanese, specificando di averlo consegnato ‘previa richiesta telefonica’ dello stesso Milanese. Tutto qui”. Infine, secondo l’accusa, Milanese è intervenuto negli ul- Marco Milanese Ansa timi mesi sul ministero della Salute, per intercedere in merito alla commercializzazione di un’acqua minerale, e per questo viene contattato da un uomo del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza. “In questa vicenda conclude Larosa - ho un ruolo preciso: una cliente mi aveva chiesto di vendere la sua fonte d’acqua minerale. Ho chiesto a Milanese, al quale avrei versato una parcella come consulente e collega, di verificare se esistevano le condizioni per la vendita. Milanese ha verificato che la venditrice non era in possesso della licenza e, dopo quella telefonata, mi ha avvertito: sono certo che, tra le intercettazioni, c’è anche quella con me, che fuga ogni dubbio sulla situazione”. L’inchiesta Eni e i silenzi della stampa DOPO LO SCOOP DEL “FATTO”, NOTIZIE CON IL CONTAGOCCE SULL’INDAGINE MILANESE. ECCO PERCHÉ di Valeria Pacelli trani silenzi dell’informaS zione sulla notizia che riguarda l’Eni: la più grande so- cietà quotata in borsa è indagata per corruzione internazionale dalla Procura di Milano. Ma in pochissimi sembrano essersene accorti. Non hanno scritto una riga i quotidiani nazionali, tranne il Sole 24 ore che pur essendo il giornale della Confidustria ha dedicato ampio spazio alla vicenda, e il Corriere della Sera che almeno l’ha pubblicata in un basso pagina. Né Repubblica, né Libero e Il Giornale, tantomeno La Stampa e Il Messaggero sembra si siano accorte del fatto. E NEPPURE i Tg di tutte le reti hanno ritenuto di dover informare i propri telespettatori. Così l’informazione su una vicenda di corruzione internazionale di un colosso - per di più controllato dal governo - è stata “silenziata”. Solo un’agenzia di stampa straniera, la Reuters (tra le più importanti al mondo) ha ripreso lo scoop del Fatto di venerdì aggiungendo anche una notizia: che oltre l’Eni, come persona giuridica e l’imprenditore Gianluca di Nardo, sarebbero indagati anche l’ex presidente Eni, Paolo Scaroni e il lobbista Luigi Bisignani. Non hanno seguito l’esempio della Reuters le agenzie italiane Agi (che è di proprietà dell’Eni stessa) e Adnkronos. E soltanto alle 20.39 di ieri sera, c’è stato il primo lancio dell’Ansa, dopo che il direttore Contu era stato contattato dal nostro giornale. L’inchiesta riguarda l’acquisizione nel 2011 di un giacimento petrolifero al largo della Nigeria dal valore di un miliardo e 300 milioni di euro. L’Eni, secondo l’ipotesi degli investigatori, avrebbe pagato un miliardo e 92 milioni per il più grande giacimento off-shore del Paese africano pur sapendo che quella somma poi sarebbe finita alla società Malabu, riferibile all’ex ministro dell’Energia nigeriano che di fatto si era auto-assegnato la concessione nel 1998. L’inchiesta è stata confermata anche dall’Eni che il 4 luglio ha fatto sapere di aver “ricevuto la notizia dell’apertura di un’indagine da parte della procura di Milano riguardo l’acquisizione del blocco Opl 245 in Nigeria da parte di Eni e Shell; la procura ha richiesto la trasmissione di alcuni documenti”. Il peso dell’Eni sembra intimidire gran parte l’informazione italiana e si capisce perchè. Solo nel 2012 - secondo i dati Nielsen - tra emittenti televisive, quotidiani a pagamento, cinema e radio, il colosso ha investito nel settore quasi 64 milioni di euro. Una spesa che si è ridotta nell’anno successivo, rimanendo comunque considerevole: nel 2013 sono stati spesi in pubblicità 52 milioni e 816 mila euro. Ai quotidiani a pagamento sono stati destinati 6 milioni 700 mila euro nel 2012 e altri 6 milioni e 300 mila euro nel 2013. Le somme per la televisione sono ancora più elevate: la Rai ha ottenuto nel 2012 quasi 13 milioni di euro, cifra ridotta l’anno successivo, arrivando a poco più di 8 milioni. Mentre Mediaset non ha sentito la crisi incassando quasi 26 milioni nel 2012 e altri 23 nel 2013. Neanche una riga, abbiamo detto, su Libero e Il Giornale. Gli stessi quotidiani che negli anni scorsi, anche con l’intermediazione di Bisignani, come ammette lui stesso, avrebbe incassato dall’Eni cifre consistenti di pubblicità. Lo racconta il lobbista ai magistrati napoletani nel 2011, quando è stato interrogato nell’ambito dell’inchiesta sulla loggia P4. Bisignani spiega ai pm che in un certo periodo a raccogliere la pubblicità per Libero e Il Giornale era la concessionaria di Daniela Santanchè, la società Visibilia. In questo ambito, Bisignani rivela di aver facilitato i rapporti tra la concessionaria, che lavorava per i giornali berlusconiani, e l’Eni. “Feci stringere rapporti fra la Santanchè e la famiglia Angelucci - mette a verbale il 14 marzo 2011 Luigi Bisignani in particolare Giorgio e AnLuigi Bisignani Ansa INFORMAZIONE Il Corriere dedica alla vicenda un basso pagina, Repubblica e Tg se ne dimenticano L’Ansa preferisce aspettare due giorni tonio. Costoro avevano difficoltà a raccogliere pubblicità per il giornale Libero. A questo punto la Santanchè e gli Angelucci, dopo un periodo iniziale nel corso del quale la Santanchè operava come free-lance, portando molti clienti a Libero soprattutto nel settore della moda, in seguito istituzionalizzò questo suo rapporto con gli Angelucci con un’iniziativa che io stesso gli consigliai, cioè la costituzione di una vera e propria concessionaria di pubblicità, denominata Visibilia”. IL RACCONTO di Bisignani continua spiegando che i rapporti Santanchè-Angelucci iniziarono a deteriorarsi quando la Visibilia iniziò a “raccogliere pubblicità con Il Giornale in concomitanza del passaggio di Feltri dalla direzione di Libero a quella del Giornale.” Il lobbista aggiunge nel verbale ai magistrati: “Io sono amico dell’Eni perchè sono molto legato a Paolo Scaroni e da sempre all’Eni. Ho facilitato la costituzione dei rapporti commerciali tra Visibilia (ovvero tra la Santanchè ) e Eni, Enel e Poste”. Ancora oggi la Visibilia è la concessionaria di pubblicità de Il Giornale, di cui è direttore Alessandro Sallusti, compagno della Santanchè, il quale ha preferito non dare notizia dell’inchiesta sull’Eni. 8 C’ERA UNA VOLTA DOMENICA 6 LUGLIO 2014 Bdenunciano ologna, operaie la Yoox: “Trattate da schiave” il Fatto Quotidiano RIMPROVERI CONTINUI, ritorsioni, vessazioni fino a vere e proprie molestie. Questo accade - secondo la denuncia presentata da undici operaie - nei magazzini Yoox all’interporto di Bologna. Si tratta dei capannoni dai quali partono gli ordini del gigante dello shopping online, in perenne crescita (+25%) e con un ricavo netto, nel 2013, di mezzo miliardo di euro. La procura di Bologna ha aperto un fascicolo Non c’è solo la crisi che deprime i consumi, anche il commercio online sta divorando i piccoli negozi: “Le persone entrano per guardare la merce che comprano poi sui siti a prezzi più bassi” Ad Avellino i centri commerciali sono deserti, a Urbino i negozi si offrono ai cinesi. Ma c’è anche chi, come Peter a Milano - costretto a chiudere per la concorrenza digitale - è rinato online di Virginia della Sala G iovanni è operaio in una fabbrica conciaria. Si rigira tra le mani il tablet in un negozio Unieuro, borbotta qualcosa che assomiglia a “bello, bello, mi piace”. Scatta una foto, chiede al commesso se si può inserire la sim card. Poi lo ripone sullo scaffale ed esce. Non ha guardato altro. “Al momento non posso acquistarlo - spiega - ma quando avrò i soldi lo comprerò su internet”. Ci sono tre dati per tracciare il quadro del commercio italiano, il comportamento di Giovanni li riassume tutti. Si potrebbe partire dal più recente, quello rilevato giovedì dall’Istat, secondo cui nei primi tre mesi dell’anno la spesa delle famiglie per i consumi è aumentata dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e allo stesso periodo del 2013. Non succedeva dal almeno due anni. Si passa poi al dato di Confcommercio, diffuso a fine giugno, che in contro tendenza racconta di 50mila esercizi commerciali che nel primi cinque mesi di quest’anno hanno cessato la loro attività. Al centro di questi numeri, c’è il terzo dato: l’aumento costante del commercio online che coinvolge ogni mese dieci milioni di italiani e che in un anno muove 14 miliardi di euro. In Italia è in crescita, più che negli altri paesi europei. Nel 2013 il 29% delle imprese commerciali ha dichiarato di avere un punto vendita virtuale, il 37% si è detto pronto ad avviarlo. I clienti ordinano sul web perché costa meno e ci sono più servizi, ma non si rinuncia al negozio fisico. La sopravvivenza dei commercianti, però, dipenderà sempre più dalle grandi piattaforme di vendita online come Amazon e dalla visibilità che riusciranno a conquistare sul web. Unieuro, come molte catene, ha invece capito che il futuro delle vendite è a metà strada tra il negozio che affaccia sulla strada provinciale e il sito internet. “È conveniente acquistare dal sito – spiega Giovanni – C’è proprio scritto che con il prezzo web si risparmia il 40%. Poi si può scegliere la consegna a domicilio o il ritiro in negozio. Io abito qui vicino e sono venuto a controllare che mi piacesse davvero. Anche perché non so neanche quanti siano 16 pollici. Non credo che potrei mai comprare alla cieca”. SERRANDE GIÙ, L’ECATOMBE È NEI NUMERI Avellino, Campania. Un piccolo capoluogo di provincia con tre centri commerciali che nel corso degli anni si sono svuotati. Su ogni piano si contano almeno due negozi chiusi e i volantini dei “Fuori tutto” sono accartocciati tra le porte e le saracinesche abbassate. I parcheggi hanno centinaia di posti auto vuoti, solo di tanto in tanto qualcuno fa jogging. “Non c’è mai stata grande affluenza - racconta la cassiera del discount al piano terra - ma di sicuro non si è mai vista così poca affluenza”. Secondo i dati di uno studio dell’Osservatorio sulla demografia delle imprese, realizzato dal centro studi di Confcommercio, nei primi cinque mesi del 2014 in Italia 52.716 imprese commerciali hanno cessato la loro attività. Ne sono nate circa 30mila, con un saldo negativo di circa 25.000 unità. In pratica, per ogni nuovo negozio aperto, ne chiudono due. “Siamo nel mezzo di una crisi che a questo punto sembra non finire mai - spiega Mariano Bella, capo dell’ufficio studi di Confcommercio - e soprattutto nel mezzogiorno il distacco con il resto del Paese si è fatto molto grave. Per avviare una ripresa si dovrebbe iniziare a ridurre la spesa pubblica e ad alleggerire la pressione fiscale. L’ideale sarebbe vivere in un Paese in cui la controparte istituzionale fosse almeno neutrale, se non amica, nei confronti del settore produttivo”. Intanto, il consumatore ha cambiato mentalità. Si è accorto che all’aumento dei prezzi in negozio corrispondeva una loro diminuzione sul web, soprattutto sulle grandi piattaforme di eCommerce. Il dato parallelo a quello di Confcommercio, infatti, è dell’osservatorio Netcomm del Politecnico di Milano che stima un aumento delle vendite online del 17% nel 2014, con un fatturato di circa 13,2 miliardi di euro. Secondo i dati, 20 milioni di italiani hanno acquistato online almeno una volta nella vita. Quasi 10 milioni comprano su internet una volta al mese e nei primi mesi del 2014 sono state circa 50 milioni le operazioni di acquisto online in Italia, di cui il 65 % per beni materiali. Inoltre, 70 miliardi di euro di acquisti al dettaglio, su un totale di 700 miliardi, sono decisi informandosi sul web. “L’eCommerce non è né un ostacolo né un avversario del commercio tradizionale, ma è una risorsa essenziale per chi voglia anche solo incrementare la propria visibilità - spiega Mariano Bella - I problemi nascono quando il commercio online crea incertezze sul pagamento delle imposte. Mi riferisco a quei siti che lavorano in Italia ma che hanno residenze fiscali all’estero. Il nostro paese ospita la loro produzione ma non trae giovamento dalle loro tasse”. INTERNET TOGLIE, INTERNET DÀ Milano, via Mascheroni, nei pressi di piazza della Conciliazione. Peter Panton ha dovuto chiudere la sua libreria “English Bookshop” dopo 35 anni di attività. “Pochi sanno che in origine il termine browsing, quello usato oggi per indicare l’atto di cercare su internet, era attribuito alle librerie. Si riferiva allo sfogliare i libri, al cercare tra gli scaffali, al curiosare nelle pile impolverate. Da quando c’è internet - racconta Panton - non c’è più la scoperta. Le persone non si avventurano nei negozi ma comprano direttamente ciò che vogliono sul web. Per chi vende, per me, questo si traduce nel non riuscire più a sostenere le spese di un locale fisico. I conti, l’affitto, i quattro dipendenti”. La sua cantina è stipata di scatoloni. Ci sono 20mila libri, conservati in ordine alfabetico. Panton parla di internet come la causa della fine della sua attività. Da internet però è pronto a ripartire. “Dovrò provare a venderli online - spiega Peter, che non ha perso tempo e ha già il suo piccolo sito e nel tempo libero crea applicazioni per smartphone e tablet – E so che dovrò cederli in stock. Ho già provato a vendere i singoli volumi ma c’è bisogno di manutenzione del sito, di continui aggiornamenti, di visibilità. Forse non si pagherà quanto l’affitto di un locale, ma l’investimento di tempo è notevole”. A Urbino, città di Raffaello Sanzio, nel 2013 sono stati chiusi almeno 25 negozi su 100 e ci sono decine di locali sfitti. Sta per chiudere un orafo in via Raffaello, ha chiuso il Koala, storico negozio di articoli d’epoca che ha anche pubblicato l’annuncio di vendita sul sito www.vendereaicinesi.it (con migliaia di annunci di vendita di imprese italiane, tradotti in cinese). Hanno chiuso i punti vendita di sigarette elettroniche in via Mazzini. All’entrata della città, nei pressi di Porta Valbona, da 50 anni c’è “Amicucci Belle Arti”. In vetrina sono esposti colori a tempera, tele, cavalletti e materiale di cancelleria. È una delle due sedi. L’altra, fuori dalle mura della città, è il punto da cui si gestisce la vendita online. “Abbiamo aperto da qualche an- L’ANNO ZERO DEI NEGOZI “PROVANO DA NOI E COMPRANO SUL WEB” no un sito web - raccontano i proprietari, padre e due figli - e non si può negare che le vendite su internet compensino il calo fisiologico di quelle in negozio”. Più della metà dei prodotti è venduta sul web. Così ha conservato i vecchi clienti e ne ha conquistati di nuovi da tutto il mondo. “La nostra fortuna - spiegano - è essere un negozio specializzato in prodotti per l’arte, in una città d’arte. Gli studenti delle accademie imparano a conoscerci qui e, quando iniziano a lavorare, continuano a rifornirsi da noi da ogni parte d’Italia. Con internet questo passaggio è diventato più semplice. Ci ha aiutato a fidelizzare il nostro cliente anche oltre i confini territoriali”. ANCHE ONLINE GRANDI CONTRO PICCOLI Il negozio fisico è una necessità. Il cliente ha bisogno di toccare il prodotto, di testarne la qualità prima di spendere. “Il problema è che spesso CRISI Manichini abbandonati ad Avellino, dove anche i centri commerciali cominciano a chiudere i battenti. A destra, lavoratori cinesi di un negozio online LaPresse C’ERA UNA VOLTA il Fatto Quotidiano DOMENICA 6 LUGLIO 2014 9 QUELLI CHE RESISTONO Solo lusso e alimentari reggono ancora GLI UNICI RIMASTI IN PIEDI? Lusso e alimentari. Sono queste le tipologie di negozi che hanno mostrato una qualche forma di resistenza all’avanzata inarrestabile dell’eCommerce. Davanti ai dati - eccetto i settori già menzionati - contenuti nelle serie storiche pubblicate dall’Istat, campeggia sempre e solo il segno meno. Dalla farmaceutica ai giocattoli, dai casalinghi ai mobili, non c’è tipologia di bene che non rimanga sempre più invenduto nelle vetrine o negli scaffali dei negozi tradizionali. Dal 2010 il record negativo l’ha fatto registrare il settore degli strumenti musicali e della foto-ottica (-5,6%); ma l’andamento negativo riguarda anche la cartolibreria (-3,8%), l’abbigliamento (-3,3%), e le calzature (-2,6%). Nel eCommerce invece, i settori che denotano in assoluto una percentuale di crescita maggiore in termini di giro d’affari sono, oltre all’abbigliamento (salito del 27%), l’informatica e i viaggi, con la vendita dei coupon delle compagnie aeree e dei villaggi turistici arrivate a 53 milioni di euro nel solo 2013. ANCHE IL PAPA CONTRARIO Aperture tutto l’anno, il flop del decreto Monti LA LIBERALIZZAZIONE delle aperture del commercio - introdotta due anni fa dal Salva-Italia del Governo Monti - non è servita a rilanciare i consumi ma ha favorito solo i grandi centri commerciali: “I previsti effetti benefici sono tuttora non pervenuti, e il settore ha perso tra il 2012 e il 2013 oltre 100mila posti di lavoro, registrando 28,5 miliardi di minori consumi da parte delle famiglie”. È il quadro che emerge da un’indagine condotta da Confesercenti sulla norma entrata in vigore a gennaio 2012 che rende possibile l’apertura 24 ore al giorno tutti i giorni dell’anno, domeniche e festività incluse. Una sponda ai piccoli commercianti è arrivata ieri da Papa Francesco. Bergoglio ha parlato delle domeniche lavorative, spiegando che “lavorare nei festivi non è vera libertà". Un parziale ritorno al passato potrebbe arrivare con la proposta di legge Pd in discussione alla Camera che introduce 12 giorni di chiusura obbligatoria. La convergenza con Fi, Sc e M5s arriverà probabilmente con un emendamento che ne dimezza il numero. SVENDITA TOTALE Un negozio chiuso. Sotto, un’immagine tratta da uno dei tanti siti dove i commercianti vendono l’attività ad acquirenti cinesi Ansa le persone entrano, provano le scarpe e poi non le comprano” racconta Maria, commessa da due anni. Non sa dire se poi le acquistino su internet ma “non lo escluderei - commenta ridendo visto che prima di iniziare a lavorare qui l’ho fatto anch’io perché costavano molto meno”. La soluzione per i negozianti sembrerebbe quindi semplice: aprire un sito internet e risparmiare sui costi. Niente affitto, niente bollette, se non il dominio e il magazzino. “È parzialmente vero che questo potrebbe apportare benefici - spiega Alessandro Perego, responsabile scientifico dell'Osservatorio eCommerce del Politecnico di Milano - ma un sito internet scomparirebbe nel mare dell’offerta del web. È per questo che in Italia il 70% del fatturato del commercio online è realizzato da pochi grandi operatori. Se si vuole sopravvivere nel commercio virtuale, al piccolo commerciante conviene affacciare il suo negozio su queste piattaforme, pagando la tariffa richiesta e la percentuale”. L’ITALIA CONQUISTATA DALLA RETE Tra i maggiori operatori nella vendita online in Italia c’è Amazon, un’azienda statunitense di commercio elettronico che da vent’anni distribuisce prodotti in tutto il mondo e che dal 2010 è anche sul mercato italiano. Conta su una crescita continua e su un fatturato che nel quarto trimestre del 2013 era pari a 25,59 miliardi di dollari, con un utile netto di 239 milioni di dollari (il 20% in più rispetto all’anno precedente) e circa 12.000 aziende private in Italia vendono sfruttando la visibilità della sua piattaforma, 7000 si appoggiano anche ai suoi magazzini. “A ben vedere, grazie al commercio online le persone comprano di più e comprano cose che altrimenti non avrebbero acquistato. Il 60% dei prodotti in vendita su Amazon, poi, proviene dai magazzini dell’azienda. Il restante 40% è frutto dei venditori diretti che ospitiamo sulla piattaforma. Pagano 34 euro al mese, più il 15-20% sui guadagni, e hanno la possibilità di vendere anche all’estero”. Dietro la struttura virtuale c’è l’Amazon fisico con i suoi tre punti di gestione italiani a Milano, dove lavorano 220 persone, a Castel San Giovanni, vicino Piacenza, dove tra 70.000 metri quadrati di scaffali lavorano 420 persone a tempo indeterminato per gestire più di un milione di pezzi e a Cagliari, dove lavorano 200 persone. Un’azienda che con circa mille unità lavorative gestisce otto milioni di utenti da tutta Italia. “Sono figlio di una ex libraia di Torino - racconta Angioni - e so cosa vuol dire chiudere un’attività, non poter più dare lavoro ai dipendenti perché non si riesce a rientrare nelle spese. Il mondo cambia. Il consumatore decide l’andamento del mercato e il successo delle nuove tecnologie. È vero che il progresso riduce la manodopera, ma è la storia del mondo. Non esistono aziende cattive, ma aziende che sanno prosperare grazie all’innovazione”. Per Angioni è internet a cambiare le regole del gioco, come nel caso di una nuova applicazione americana, Amazon Fresh, che permette di fare la spesa al supermercato comodamente da casa. Si apre il frigo, si inquadra il codice a barre del prodotto da ordinare, si autorizza la transazione dallo smartphone o dal pc e il giorno dopo il supermercato recapita la spesa, fresca, a casa. “Le persone hanno buon senso – conclude Angioni - si muovono in base alla convenienza del momento. ECommerce e negozi potranno vivere insieme. Non si escluderanno. Quando nel cuore della notte avrò voglia di leggere un libro, scaricherò l’ebook. Quando starò passeggiando in città, lo comprerò in un negozio”. 10 NON SOLO ILVA DOMENICA 6 LUGLIO 2014 A Priolo e Milazzo pure il rischio-sisma: “Verrebbe giù tutto” UNA DELLE AREE a più alto rischio sismico d’Europa e con la più alta concentrazione di impianti petrolchimici del continente. Gli stabilimenti di Milazzo (Messina) e Priolo (Siracusa), non sono solo classificati come siti contaminati (Sin) ma anche a “Rischio di incidente rilevante”. “Un terremoto di alta o bassa intensità - atteso nella zona - causerebbe danni ingenti agli stabilimenti”, ha spiegato ad apri- il Fatto Quotidiano le Giuseppe Maschio, docente di chimica all’Università di Messina e membro della Commissione nazionale grandi rischi. Stessa conclusione di un rapporto del Cnr mai divulgato dalle autorità ma confermato dall’ex direttore dell’Arpa Sicilia, Salvatore Cocina: “A Priolo, se di media intensità verrebbe giù metà dei manufatti, se di elevata intensità, tutto collasserebbe”. LE 57 TARANTO D’ITALIA BONIFICHE MAI FATTE E MALATTIE IN AUMENTO ALMENO UN SITO PER REGIONE, LA MAGGIOR PARTE AL NORD: 6 MILIONI DI ITALIANI VIVONO ACCANTO A BOMBE ECOLOGICHE LO STUDIO SENTIERI: + 90% DI TUMORI IN DIECI ANNI di Marco Palombi C i siamo spesso occupati, e a ragione, nella settimana appena trascorsa della situazione di Taranto: inquinamento, morti, vite sequestrate dalle polveri, istituzioni prigioniere della propria inconsistenza, un rapporto perverso tra Stato e grandi aziende che sopravvive sull’equivoco della scelta obbligata tra vita e lavoro. Eppure quel che abbiamo raccontato per Taranto può essere moltiplicato almeno per 57 (e questo senza tener conto dei siti militari). La mappa che vedete accanto è infatti quella delle Taranto sparse per l’Italia: almeno una per regione, la maggior parte nel Centro-Nord. Tecnicamente si chiamano SIN, siti di interesse nazionale: sono quel che resta di qualche decennio di industria chimica, di petrolio, di metallurgia, di una vecchia fiducia nel progresso buono di per sé. Ora stanno lì, spesso abbandonati, e continuano in silenziosa osmosi a vendicarsi della terra che li ospita senza che nessuno - governo, regioni, privati faccia niente. Anzi no, per non generalizzare va detto che Mario Monti è riuscito a ridurli di ben 18 unità: non facendo le bonifiche, per carità, ma semplicemente affidando 18 bombe ecologiche alla cura delle regioni e togliendola a quella dello Stato (nella cartina, le vedete in rosso). Un pezzo di decrescita non proprio felice in quello che fu chiamato decreto Crescita. Fuori dalle magie burocratiche, però, fanno sempre 57 siti e - se si eccettua l’Acna di Cengio, in Liguria, e poco altro - non c’è uno di questi posti in cui si possa dire che siano iniziati davvero i lavori di messa in sicurezza del territorio. NON SOLO TARANTO e Brindisi in Puglia, non solo Priolo e Gela in Sicilia, non solo Bagnoli o il martoriato litorale Domizio: ci sono Brescia, Mantova, Trieste, Trento, Massa Carrara, Milano e Sesto San Giovanni, Fidenza, Venezia, la laguna di Grado e decine di altri luoghi che l’immaginario collettivo non associa a disperazione e morte. La pianura padana e persino su fino alle Alpi sono punteggiate di Sin. Circa sei milioni di italiani – facendo un conto a spanne – vivono in zone contaminate, in cui l’incidenza delle malattie è straordinariamente più rilevante che nel resto della penisola. Un solo dato. L’ultimo aggiornamento dello studio Sentieri (acronimo che sta per Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) rivela che nei Sin i tumori sono aumentati fino al 90% in soli dieci anni (almeno a stare ai dati dei 18 siti in cui esiste il Registro dei tumori, che pure sarebbe obbligatorio per legge). Anche i ricoveri in eccesso aumentano esponenzialmente: a Milazzo (+55% per gli uomini e +24% per le donne) e a Taranto (+45 e +32), ma pure nella ricca Brescia dell’area Caffaro (+79 e +71%) e ai Laghi di Mantova (+84 Un tramonto chimico a Marghera Ansa e + 91), a pochi chilometri dalle dolcezze metafisiche del Festivaletteratura. Di fronte a questi dati, correre a bonificare sarebbe una priorità morale, oltre che un obbligo di legge, eppure non c’è traccia di fretta nell’atteggiamento delle autorità. I soldi pubblici sono pochi e spesso male usati (alla Procura di Palermo è aperta un’inchiesta sull’uso dei fondi europei per le bonifiche in Sicilia), i responsabili privati difficilmente pagano per i danni arrecati alla collettività. Forse il motivo risiede nel fatto che a scorrere l’elenco delle aziende coinvolte si trova un bel pezzo del capitalismo che opera in Italia: oltre all’Ilva, l’Eni (un po’ dovunque nella penisola), l’Enel, la Ies a Mantova, Thyssen Krup a Terni, Nuovo Pignone e Solvay in Toscana, Erg, Tamoil, Eternit, la Saras dei Moratti in Sardegna. DI FRONTE a questa situazione “la reazione dei governi, invece di far rispettare la legge, è quella di cercare un’alleanza con la grande industria”, dice Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi italiani: “In una serie di provvedimenti si è cercato, con la scusa delle semplificazioni, di ridurre la portata del principio ‘chi inquina paga’, caricando sulla collettività spese che andrebbero sostenute da chi è responsabile del problema”. Enrico Let- Ipad e pc, tutte le tasse di Franceschini ta tentò il colpo di mano diretto proprio sulle bonifiche dei Sin, ma pure il governo di Matteo Renzi non sembra essersi liberato dalla sindrome dell’appeasement con la grande industria: “Nell’ultimo decreto Ambiente firmato dall’attuale ministro Gian Luca Galletti – spiega Bonelli – si alzano i livelli tollerati di inquinamento per i siti militari col risultato che ora le bonifiche in molti posti si potrà evitare di farle addirittura per legge. E pure sugli scarichi in mare si consente di elevare i limiti in rapporto alla produzione: quando in futuro andremo a chiedere agli inquinatori di bonificare le acque, ci diranno che hanno inquinato a norma di legge”. Il ministro della Cultura, Dario Franceschini Ansa PER UN COMPUTER 5,2 EURO, PER LE TV 4, NOVE PER UNA CHIAVETTA USB. ECCO IL DECRETO “SCRITTO” DA SIAE di Chiara Daina ronto dal 20 giugno e firmato dal ministro P dei Beni culturali Dario Franceschini, il decreto sull’equo compenso (che garantisce il diritto d’autore anche sui contenuti digitali copiati o registrati su apparecchi elettronici) per salvaguardare il diritto d’autore, che prevede nuove “tasse” su pc, smartphone, tablet, televisori e pendrive Usb, non ha ancora fatto la sua apparizione in Gazzetta Ufficiale e neanche sul sito web del ministero. Ilfattoquotidiano.it, però, grazie all’avvocato Guido Scorza (blogger del nostro sito), ha potuto leggerlo in anteprima e trarne qualche conseguenza. Innanzitutto la beffa di Franceschini: “Con questo intervento si legge sul comunicato stampa che annunciava il decreto - si garantisce il diritto degli autori e degli artisti alla giusta remunerazione delle loro attività creative, senza gravare sui consumatori”. Come è possibile che gli aumenti tariffari da oltre 150 milioni di euro all’anno (che finiranno nelle casse della Siae) non graveranno anche sulle tasche dei consumatori italiani? Com’è più probabile e come sempre accade, i produttori di informatica e tecnologia scaricheranno l’aggravio fiscale sul prezzo finale del prodotto, cioè sui cittadini tutti. In sostanza, siamo di fronte a un aumento di tasse mascherato. INTANTO, ecco le principali novità che il mi- nistero della Cultura, d’accordo con il presidente della Siae Gino Paoli, ha stabilito in nome della tutela del diritto d’autore per copia privata: 5,20 euro di “tassa” per un computer, stessa cifra per uno smartphone o un tablet con capacità di memoria superiore a 32 giga, quattro euro per televisori dotati di capacità di registrazione, cui dovranno sommarsi altri euro per l’hard disk (fino a 20 euro) o pendrive Usb (9 euro). Ma c’è l’inghippo. La legge prevede che il ministero dei Beni culturali aggiorni le tabelle dei compensi dopo aver consultato il Comitato permanente sul diritto d’autore e le associazioni di categoria dei produttori di tecnologia. La Siae quindi è esclusa dai lavori. Solo in teoria, però. Perché nella pratica è intervenuta parecchio. Anzi ha proprio dettato il testo, poi recepito fino alla virgola dal ministro Franceschini. Basta confrontare il decreto, ancora nascosto nel Palazzo, col testo diffuso da Siae tra gli addetti ai lavori nei mesi scorsi per non trovare le differenze. Da una parte il bastone, dall’altra la carota. An- che se ne avremmo fatto francamente a meno: la Siae nel frattempo ha ridotto l’equo compenso sui dispositivi che ormai conserviamo in soffitta, come i registratori Vhs o i vecchi cellulari. Non è un caso, forse, che il predecessore di Franceschini, Massimo Bray, durante il governo Letta, avesse commissionato una ricerca di mercato per verificare se gli italiani si dilettassero a confezionare copie private. Risultato: sono sempre di meno i cittadini che copiano. Anche perché ormai si guarda e si ascolta in streaming. Quel decreto, dunque ha sempre meno ragione di esistere. ROTTAMATORE il Fatto Quotidiano A l Qaeda, l’ultima minaccia: bombe negli smartphone LA NOTIZIA sembra uscita da un film d’azione americano, ma a quanto pare si tratta di una minaccia concreta. Funzionari dell’antiterrorismo americani, citati dal quotidiano britannico Telegraph, rivelano che l’esperto di bombe di al Qaeda, Ibrahim Hassan al-Asiri, avrebbe messo a punto un nuovo esplosivo in grado di eludere gli attuali controlli di sicurezza negli aeroporti. La bomba di nuova generazione potrebbe essere contenuta all’interno di uno smartphone. Gli aeroporti internazionali hanno già stabilito lo stato di allerta e chiunque viaggi in possesso di un di- DOMENICA 6 LUGLIO 2014 11 spositivo cellulare della Apple o della Samsung, a quanto pare sarà sottoposto a controlli molto più approfonditi. Gli americani inoltre temono che al-Asiri stia lavorando persino a un esplosivo che verrebbe inserito con un’operazione chirurgica direttamente nel corpo del terrorista-kamikaze. Il Califfo ci mette la faccia e il suo video invade il web AL-BAGHDADI MOSTRA PER LA PRIMA VOLTA LA PROPRIA IMMAGINE IN UN FILMATO DIFFUSO SU TWITTER: LA LEADERSHIP SUGLI INTEGRALISTI SUNNITI È SEMPRE PIÙ FORTE di Giampiero Gramaglia I l califfo esce dall’ombra e va alla conquista del web: Abu Bakr al-Baghdadi pronuncia un sermone in una moschea di Mosul, la seconda città dell’Iraq, nel Nord, presa dalle milizie jihadiste, e lo posta online, invitando tutti i musulmani a ubbidirgli. Il messaggio, una predica nel venerdì di festa, all’ora della preghiera comune, non ha la ieraticità dei video di Osama bin Laden, postura da profeta e mitra accanto, che giungevano dalle montagne al confine tra Afghanistan e Pakistan. Ma la sua diffusione prova che il leader dello Stato islamico auto-proclamatosi califfo tra Siria e Iraq si propone come leader di tutta la comunità musulmana, o almeno dell’area integralista e sunnita, incurante delle scomuniche comminategli. E gli jihadisti, oltre che i successi militari sul terreno, cercano quelli mediatici sul web. LA NOTIZIA del video arriva da twitter, sui profili di militanti “portavoce” di al-Baghdadi e milizie – fra di essi, un cileno di 25 anni. Una strategia di comunicazione che, più che bin Laden e il suo successore Ayman al Zawahiri, non a loro agio con i tweet, ricorda i talebani 2.0 del mullah Omar, con veri addetti stampa e profili sui social media. Internet è uno strumento di propaganda, ma anche di raccolta di fondi: dai social network, arrivano alla galassia di al Qaeda finanziamenti cospicui, stimati in miliardi di dollari, e migliaia di volontari reclutati ovunque nel Mondo. Per Angel Rabasa, dell’Iiss (International Institute for Strategic Studies), già analista dell’Amministrazione Usa, “dei 10mila volontari stranieri giunti in Siria per combattere Assad, 2mila venivano dall’Europa”. In un precedente messaggio, solo audio, diffuso dopo la proclamazione del califfato, al-Baghdadi aveva detto il 2 luglio che “è dovere religioso di tutti i musulmani riunirsi nel califfato islamico” e aveva promesso di reagire “all’oppressione dei musulmani nel mondo”. “Superate le divergenze e rimanete uniti: se seguirete le mie indicazioni, e se Allah lo vuole, vi porterò alla conquista di Roma e del Mondo intero”. Una minaccia simbolica, avevano prudentemente reagito le autorità italiane, ma da prendere sul serio. Il video di al-Baghdadii non è stato ancora “autenticato” dall’intelligence occidentale. Grande barba, tunica e turbante neri, volto ancora giovane, l’uomo indicato come “principe dei credenti Abu Bakr al-Baghdadi” è molto somigliante all’identikit fornito mesi fa dai servizi di sicurezza americani e giordani. Gli Stati Uniti hanno posto su di lui una taglia di dieci milioni. E Washington e Riad concordano nel giudicare “una minaccia” il califfato. Nel giro di un mese, le milizie si sono impossessate di larghe parti del territorio siriano e iracheno. Gli echi delle loro imprese contagiano il Libano e i Territori. A Baghdad, il premier al Maliki, che gli Usa hanno scaricato, non vuole passare la mano, ma non riesce a organizzare una controffensiva né politica né militare. E i curdi, che hanno preso Kirkuk, stanno delimitando i nuovi confini del loro territorio e preparano il referendum per indipendenza. Durante la predica durata poco più d’un quarto d'ora, al-Ba- ghdadi s’è rivolto ai fedeli da un ambone in pietra decorato con ricami di pietra, salmodiando versi del Corano, prima di guidare la preghiera intonando sure. Il califfo ha innanzitutto elogiato il Ramadan, il mese sacro L’imam se l’è poi presa con i miscredenti e gli ipocriti, esaltando le “vittorie dei musulmani” a “Occidente e Oriente”. Poche ore prima della diffusione del video, Yusuf al-Qaradawi, eminente teologo del sunni- POST OSAMA La nuova strategia di comunicazione è lontana da quella dei tempi di bin Laden, che non era a suo agio con la Rete e i tweet dell’Islam, in corso. AL-BAGHDADI, ha esaltato i mujahidin (i combattenti per la jihad), esortandoli a fare il loro “sforzo” sulla via di Dio, perché “l’annuncio del califfato è un dovere di tutti i musulmani”. smo, aveva espresso l’ennesima sconfessione, una vera e propria “scomunica” – diremmo noi – del califfato. Qaradawi è stato lapidario: “Quel califfato è vietato dalla sharia, la legge coranica, ed è nullo”. Il califfo dello “Stato islamico” Abu Bakr al-Baghdadi Ansa MISSIONE IMPOSSIBILE La conquista di Roma si blocca sul Gra di Stefano Disegni armata dell’ISIS scelse male L’ l’ora per conquistare Roma. Alle 8,30 rimase imbottigliata sul Rac- cordo, altezza Settebagni. Non sapevano, i truci guerriglieri di Allah, che a quell’ora ‘a ggente vanno a lavorà. Tra fuori di testa che smadonnavano, stereo a dumìla, moto e motorini che sciamavano de qua e de là (uno col Kawasaki enduro gli passò sul tetto dell’autoblindo) e am- dalle revolverate partite da due o tre macchine di laziali. In verità i guerriglieri di Allah non sapevano nemmeno perché l’esercito italiano li avesse lasciati arrivare fin là senza opporre resistenza, anzi, facendogli strada. Dopo sei ore di coda sotto il sole, i mezzi dell’armata islamica, guidati da barbuti un po’ in deliquio e IL FALLIMENTO L’armata islamica vuole espugnare la Città Eterna ma trova buche, traffico infinito, cortei in centro e abusivi ovunque. Non resta che tornare indietro bulanze bloccate sulla corsia d’emergenza dal Suv di qualche fìo de ‘na mignotta che ci aveva provato e mo’ stava a litigà coi portantini, i barbuti giustizieri dell’Islam non sapevano che pesci prendere e come imporre il Corano auto per auto, dato che tra una e l’altra non ci passava manco una sogliola in verticale. QUALCUNO DI LORO sparò in aria, un po’ per intimidire, un po’ per farsi strada. Gli rispose una salva di revolverate da un pullman di tifosi della Curva Sud che videro in loro dei compagni di strada e di lotta e sventolarono lo striscione “C’è un solo capitano”, immediatamente perforato otto automezzi lasciarono i cingoli sulle doline carsiche che sulla Casilina sfasciavano le sospensioni a residenti e non, per gli scossoni un barbuto che guidava senza cintura ci rimise gli incisivi (“A’ Fidelcastro, fa’ causa ar Comune, po’ esse che ariva quarche sordo ai tu’ nipoti!” gli gridarono da un bar). Un po’ scossi, i conquistatori venuti dal Levante decisero di fermare la colonna e fare il punto, onde elaborare una strategia di attacco. Fermare una colonna. A Roma. Dove non c’è par- IL CORTEO Un’immagine delle milizie siriane dell’Isis, durante una parata a Raqqa LaPresse coi crampi agli avambracci, saltarono l’uscita e siccome quella dopo era chiusa perché stavano a potà ‘e siepi, si fecero altre tre ore di coda fino al cavalcavia e altre sei in senso inverso, gli ultimi due chilometri sulla corsia d’emergenza tra i vaffanculo di quelli in coda che non li facevano rientrare così ve imparate, li mortacci vostri, finché imboccarono l’uscita giusta e si avviarono alla conquista del simbolo della Cristianità. Sei blindati sparirono subito in una voragine sull’asfalto della Prenestina (“Mortacci de Marino, ieri c’è sparito un purmino de suore e lui sta a cambià l’acqua ai pesci” commentò er sor Quinto da dentro all’edicola). Altri cheggio nemmeno per un monopattino. Sciami di ausiliari del traffico con banda gialla sbucarono anche dai tombini, assetati di sangue e di multe. La velocità felina con cui infilavano contestazioni sotto i tergicristallo delle autoblindo, sulle motocorazzate e perfino su tre carri armati con invito a presentarsi entro cinque giorni negli uffici della Municipale pena sequestro del mezzo, mandò fuori di testa i miliziani di Allah (“Poracci, nun ce so’ abbituati” diceva la gente intorno), che decisero di ammazzare tutti gli ausiliari, rinunciando subito dopo perché erano troppi, e pure se i passanti si offrivano de da’ ‘na mano, non potevano sprecare tutte quelle muni- zioni. Lasciato un altro considerevole numero di mezzi e persone in una voragine a Portonaccio, usata dai romani per fare free-climbing, l’Armata dell’ISIS arrivò finalmente al Lungotevere. Cioè, quasi, perché ce stava ‘a manifestazzione. Anzi, ‘e manifestazzioni. I Sindacati, I Gay e i Diritti degli Invisibili, che non si capiva se si parlava di Terzo Mondo o di Fantascienza, ma il risultato era lo stesso, per arrivare in centro dovevi passare per Ostia Lido. UNA FOLTA barriera di transenne, pure sull’acqua del fiume, non sia mai qualche cittadino provasse a fregare i vigili col motoscafo, ribloccò la colonna islamica i cui componenti dovettero incazzarsi per fermare i rumeni che volevano lavargli i parabrezza e lucidargli gli obici, furono borseggiati dai Rom, ognuno con accanto l’assistente sociale per il reinserimento, si dovettero fare le foto insieme ai centurioni con l’orologio altrimenti gli tagliavano le gomme e furono costretti a regalare rose rosse al compagno di equipaggio sennò quel cazzo di indiano non se n’annava più. Le gomme poi gliele fregarono mentre discutevano con quelli di Equitalia che intimavano il pagamento delle sanzioni per superamento di varco attivo da parte di tutta la colonna, ‘na botta. “È l’Inferno come lo descrive il Profeta! Anzi, peggio!” disse Al-Baghdadi ordinando la ritirata. Ma scelsero male l’ora per uscire da Roma. Non sapevano, i guerriglieri di Allah, che a quell’ora, sul Raccordo ce sta er rientro. Dopo undici ore senza fare un metro, assetati, affamati, qualcuno in fin di vita, capirono perché l’esercito italiano li aveva lasciati arrivare fin là. 12 Biografia di un giornalista straordinario Il colloquio con Loris Mazzetti è del 2004, due anni dopo l’allontanamento di una delle più autorevoli voci dell’Italia libera che il Caimano impose all’azienda 50 (Fine) Biagi: “Cara Rai, nessun rancore Sei come Garibaldi” FINISCE CON L’INTERVISTA AL GRANDE GIORNALISTA LA SERIE DEL “FATTO”. ENZO INIZIÒ A VIALE MAZZINI NEL 1961. DOPO 41 ANNI, CHE LO HANNO RESO UNO DEI VOLTI PIÙ AMATI DELLA NOSTRA TELEVISIONE, BERLUSCONI PRETESE LA SUA CACCIATA. “NON SONO ARRABBIATO, CREDO DI AVER FATTO UN BUON LAVORO E DI ESSERE STATO UNA PERSONA CORRETTA. NON SARÀ LA FAZIOSITÀ DI QUESTI PICCOLI UOMINI A FARMI CAMBIARE IDEA” E di Loris Mazzetti nzo, per la gente, come dovrebbe essere la televisione? La televisione in genere, con i difetti che sono dovuti alle diverse stagioni politiche, è lo specchio della vita di un paese con la deformazione che comporta il mezzo perché, tu mi insegni, che se uno è ripreso in primo piano è un conto, le parole prendono un certo rilievo, se è ripreso in campo lungo è un’altra questione. La Rai ha avuto un grande merito, principalmente quello di riempire tante solitudini, poi ha unificato il linguaggio degli italiani, neanche Garibaldi ha potuto fare tanto. Ha insegnato molte cose e penso che sia stata una delle scoperte più importanti del ventesimo secolo. La tua lunga stagione in Rai, si è interrotta per un editto bulgaro, sei stato accusato di aver fatto “un uso criminoso della televisione”. Tutto quello che è successo poi lo conosciamo molto bene, ha prodotto il tuo allontanamento e quello di tanti altri. Cosa hai provato? Guarda, lo dico anche con un po’ di vergogna: niente. Ne abbiamo parlato tante volte, ci siamo arrabbiati, l’abbiamo considerata una grande violenza, ma dentro non ho provato niente, perché alla mia età sono altre le cose che ti segnano. Ho avuto a che fare, quando avevo poco più di vent’anni, con Adolf Hitler, sono stato per 24 ore con una pistola in mano a un tedesco puntata alla testa... Non provo rancore nei confronti della Rai, le devo tanto e le voglio bene. Anche se so che la televisione è fatta da uomini che hanno le loro idee, le loro faziosità, oggi ragionano in una certa maniera, ma non possono essere piccoli uomini a farmi pensare diversamente. Quando, durante una trasmissione di Rai Tre, dedicata ai 50 anni della Rai, “Il Fatto” è stato votato come il miglior programma, tu eri già stato messo in condizione di non fare la tv, la nostra redazione chiusa. Di fronte a questa inaspettata notizia che cosa hai provato? Ho provato tristezza, perché con te, con la mia troupe, ho passato gran parte della mia vita. Mi è stata tolta l’occasione di continuare a stare con quelle persone, i miei amici, che con me hanno condiviso tante avventure, a volte anche abbastanza pericolose, sempre insieme: dove io andavo voi c’eravate, dove voi andavate io ero con voi. Non abbiamo mai pensato che quando i mortai tuonavano, potessero tuonare per alcuni e per altri no. Quando arrivai al telegiornale, il giornalista stava in un albergo e la troupe in un altro, c’era un trattamento economico differenziato, fui io a convincere la Rai che era sbagliato. Vorrei solo che fosse riconosciuto che in quegli anni, quando potevamo fare la televisione, ci siamo comportati come persone per bene. Se ti dessero la possibilità di tornarla a fare, rifaresti “Il Fatto” o che altro? Farei un programma diverso: un viaggio in Italia, il continuo di Cara Italia, per vedere come vive certa gente, se in questi anni è cambiata la loro vita, come arrivano alla fine del mese. Partirei raccontando la realtà di un piccolo paese, la storia di un farmacista di provincia, il caffè dove si te e lo ripeto: noi giornalisti facciamo delle domande ma non possiamo suggerire le risposte. La Rai oggi è poco aperta alle proposte esterne, si trova raramente qualcuno alla ricerca di nuove idee, sempre più si è trasformata in un’azienda di servizi, conta chi ha i diritti dei format. Non è sempre stato così: c’erano strutture che avevano il compito di sperimentare, si provavano autori, attori, registi in terza serata, che dopo la gavetta, se avevano i numeri, trovavano il loro spazio. C’era la ricerca dei talenti. Una volta non c’erano gli appalti, credo che oggi più della metà della produzione sia esterna. Sono più di diecimila i dipendenti della Rai, e siccome non sono tutti degli imbecilli, anzi c’è tanta gente INCONTRI STORICI Le sue domande, un racconto del secolo breve OGGI si conclude l’iniziativa del Fatto Quotidiano dedicata alle grandi interviste di Enzo Biagi, iniziata l’11 luglio dello scorso anno. Con cadenza settimanale sono stati riproposti ai lettori alcuni dei celebri colloqui del giornalista con i personaggi che hanno fatto la storia del Novecento italiano e internazionale. A cominciare dalle conversazioni con personalità controverse, come il banchiere Michele Sindona, affiliato alla loggia P2 e collegato a Cosa Nostra, Luciano Liggio, detto lu Lucianeddu,imputato nel maxiprocesso a Cosa Nostra tra il 1986 e il 1987, e l’ex brigatista, poi pentito, Patrizio Peci. Biagi ha incontrato e intervistato anche grandi Capi di Stato europei, come Francois Mitterand e Margaret Thatcher, o protagonisti della storia degli Stati Uniti, come Robert Kennedy, il leader afroamericano Malcom X e la leggenda del pugilato Cassius Clay. Altre interviste sono state dedicate alla storia del nostro Paese: Biagi ha incontrato il segretario del Pci Enrico Berlinguer, Pierpaolo Pasolini, lo scrittore Primo Levi (con il quale ebbe una conversazione sugli orrori della Seconda guerra mondiale, alla quale lo stesso Biagi prese parte nel ruolo di partigiano antifascista) e l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. ritrovano, la vita della famiglia media: quella realtà sociale che spesso i tg trascurano. Visto quello che ti è accaduto e la tua lunga esperienza, con il senno di poi, forse era meglio la televisione della lottizzazione? Per tanti anni ho fatto la televisione che volevo fare e non posso dire di aver subito delle censure, a parte qualche episodio che poi si è risolto con il programma che andava in onda qualche giorno dopo. Allora l’opinione pubblica contava più di oggi. Sono stato accusato di aver fatto un’intervista a Benigni. Una cosa è certa: la rifarei anche domattina. Considero Benigni un italiano da esportazione e lo ha dimostrato anche con i tre Oscar vinti. Non ha mai voluto un soldo per venire ai miei programmi, è un vero amico. Se involontariamente con il mio lavoro ho offeso qualcuno, spero di no, gli chiedo scusa. Appartengo anch’io al genere umano: ho anch’io i miei difetti e le mie faziosità. Ma quando ci sono dei tipi che non mi piacciono, la mia tendenza è quella di farglielo sapere. L’ho già detto tante vol- Il mio allontanamento l’ho considerato una violenza, ma alla mia età sono altre le cose che ti segnano: ho avuto a che fare, quando avevo vent’anni, con Adolf Hitler e sono stato con una pistola in mano a un tedesco puntata alla testa di prim’ordine, non ci sarebbe bisogno di spostare tutto all’esterno. I risultati si vedono: tra i programmi della Rai e quelli di Mediaset non ci sono più differenze. Come dovrebbe essere una tv di qualità? Non dovrebbe essere uno strumento di propaganda per una causa o per l’altra. Dovrebbe essere senza demagogia, con il rispetto delle persone, con la consapevolezza, in chi la fa, che si rivolge a milioni di persone: l’unico padrone è il pubblico che paga il canone. È di moda parlare di informazione manipolata, come si può manipolare l’informazione? Si fa il contrario di quello che ti ha detto la mamma quando avevi cinque anni: “Non si devono dire le bugie”. Oggi, purtroppo, si raccontano. Poi c’è chi le racconta meglio, chi peggio. Però i fatti hanno una logica ineluttabile e qualcuno ha detto: “I nostri atti ci seguono”. Per qualche personaggio, se Dio vuole, anche quelli giudiziari. Prima o poi quello che è buono o quello che è cattivo viene fuori. Le bugie hanno le gambe corte con tanti media, con Internet: nel tempo la verità si conosce. Non dimenticare mai che c’è la tendenza ad adeguarsi. Diceva Flaiano: “Gli italiani accorrono sempre in soccorso ai vincitori”. Cominciano così le memorie di Charlie Chaplin: “Il successo rende simpatici”. Secondo me non è sempre vero, però aiuta. Ti rispondo anch’io con una citazione, Carl Popper: “Chi controlla l’informazione televisiva controlla la democrazia” Sì, hai ragione perché chi controlla la televisione, controlla il mezzo di comunicazione dominante. La notizia la si può raccontare in tanti modi, facciamo un esempio: un bambino che vede una bicicletta la prende e scappa via. La notizia può essere raccontata: un bambino la prende perché il Fatto Quotidiano DOMENICA 6 LUGLIO 2014 13 LA FIRMA Nell’illustrazione a centro pagina, Enzo Biagi visto da Emanuele Fucecchi. A destra, in una strada a Bologna. In basso, un’immagine dell’intervista a Biagi di Loris Mazzetti, realizzata nel 2004 Ansa L’editto bulgaro arrivò con una raccomandata LA TV DI STATO LO CACCIÒ SENZA NEMMENO UNA TELEFONATA. LUI RISPOSE CON IRONIA: “PECCATO, POTEVANO RISPARMIARE I SOLDI DEL FRANCOBOLLO” S i conclude oggi il ricordo del Fatto Quotidiano dedicato a Enzo Biagi: un viaggio di un anno attraverso le sue straordinarie interviste che lo resero popolare in Italia e nel mondo. Uno degli ultimi speciali della trasmissione il Fatto, in onda su Rai1, lo realizzammo nel 2001 a New York. Ricordo l’affetto con cui Biagi fu accolto dal sindaco Rudolph Giuliani. Una delle interviste pubblicate è stata la sua, quando nel 1985, da procuratore federale della Grande Mela, arrestò i padrini di Cosa nostra americana. L’autorevolezza del grande giornalista ci consentì di essere la prima troupe a entrare nel Ground Zero dal giorno della tragedia delle Torri Gemelle, ci accompagnò il comandate dei vigili del fuoco di New York Daniel Nigro, uno degli eroi dell’11 settembre. L’INTERVISTA a Biagi, che il Fat- to Quotidiano pubblica oggi, l’ho realizzata alla fine del 2004 in occasione di un convegno di Articolo21 dedicato alla tv di qualità. Qualche mese dopo l’editto bulgaro (18 aprile 2002), il contratto di Biagi con la Rai venne disdetto da una raccomandata con ricevuta di ritorno. Per il giornalista, quarantun’anni di onorato lavoro, fu un’offesa indimenticabile: “Sarebbe bastata una telefonata, avrebbero rispar- ha sempre sognato di avere la bicicletta, oppure, il bambino è un ladro, un precoce delinquente. Infine: era un gioco, il bambino non sa che certi giochi vengono contemplati anche dal codice penale. Ognuno ha il suo punto di vista nel raccontare le cose, ma deve farlo con onestà. Come mai hai iniziato a fare la televisione? Tu eri già stato direttore di Epoca, eri già una grande firma del giornalismo. Mi fu proposto da Ettore Bernabei, direttore generale della Rai, che mi chiamò nel 1961 a dirigere il telegiornale. Erano gli anni dell’apertura ai socialisti, io ero amico di Nenni. Capii subito che non era aria per me, mi accusarono, come sempre è accaduto quando mi hanno mandato Sono andato a salutare l’urna del mio amico Indro Montanelli e gli ho detto: “Tu sostenevi che certi personaggi dovevamo provarli, ma ho l’impressione che abbiamo sbagliato la dose” Pensavo rischiassimo una “dittatura morbida” Oggi forse toglierei l’aggettivo miato i soldi della raccomandata”, fu il suo commento. Su Rai1 il Fatto venne sostituito da Max&Tux. “Solenghi e Lopez sono vittime della solidarietà a Biagi che ha provocato un accanimento senza precedenti nei confronti del programma”, disse il direttore della rete Del Noce di fronte all’insuccesso. Striscia la notizia, all’esordio di Max&Tux fece il suo record: 47% di share con 14 milioni di telespettatori. Per il direttore generale Saccà la coppia avrebbe dovuto contrastare il programma di Antonio Ricci. Gli stessi surrogati del Fatto, da Batti e ribatti a Qui radio Londra, tutti flop, pagarono la scarsa autorevolezza dei conduttori. Tutti presuntuosamente convinti che andare in onda nella fascia di maggior ascolto fosse sinonimo di successo, dimenticando che Biagi, lo spazio di approfondimento dopo il tg, lo aveva creato negli anni con Spot, Il Caso, Una Storia. Biagi sin da bambino aveva sognato di fare il giornalista. Lo scrisse anche in un tema alle medie: “Lo immaginavo un vendicatore capace di riparare torti e ingiustizie, forse perché uno dei libri che hanno lasciato in me un segno è stato Martin Eden di Jack London e perché ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo”. Era rimasto affascinato dalla fotografia, pubblicata su un giornale, via dai giornali, di essere comunista. Dopo un anno lasciai il telegiornale e inventai RT, il primo rotocalco televisivo e per 41 anni non ho mai smesso, fino a settembre 2002 quando mi mandarono una raccomandata con ricevuta di ritorno per dirmi che il mio contratto non si rinnovava più. Potevano risparmiarsi quei soldi, bastava una telefonata... Chi sono stati i tuoi punti di riferimento? Indro Montanelli, Orio Vergani, Dino Buzzati, Vittorio G. Rossi. Soprattutto Montanelli, al quale sono stato profondamente legato. Sono orgoglioso perché siamo diventati compaesani: mi hanno dato la cittadinanza di Fucecchio. Quel giorno andai al cimitero dove c’è la sua urna e di un inviato speciale, Mino Doletti: sulla sua valigia erano attaccate tante etichette di alberghi. Doletti era stato a Hollywood e aveva conosciuto anche Jean Harlow, famosa attrice soprannominata la “bionda platino”. “Non pensavo di diventare il futuro Henry Stanley, chiamato un giorno da un direttore di un qualunque Herald per ricevere l’incarico di rintracciare un intraprendente missionario, il David Livingstone di turno, disperso in una boscaglia dell’Africa misteriosa”, scrisse Biagi. Il suo modello era Emilio Di Crescenzio, redattore del Resto del Carlino che aveva seguito fino a Vienna i centauri della Decima Legio, loro in moto e lui sull’automobile, e mandava le sue corrispondenze in cui dentro c’era tutto: Franz Schubert, gli Elmi di Acciaio, la tragedia di Mayerling, e il sincero cameratismo tra gli ex nemici del Piave, riappacificati, finalmente, sulle rive del Danubio. QUANDO INCONTRAI Biagi per l’intervista eravamo convinti che quella della Rai fosse una porta chiusa per sempre. Il presidente Petruccioli, dopo qualche mese dalla nomina, gli confidò che se Berlusconi fosse rimasto a Palazzo Chigi un suo ritorno in tv sarebbe stato impossibile. Invece, alle politiche del 2007, Prodi sconfisse l’ex Cavaliere e chiesi se potevo rimanere solo con lui. Gli ho detto: “Indro tu dicevi che certi personaggi dovevamo provarli, ma ho l’impressione che abbiamo sbagliato la dose”. Mi ricordo quando lo intervistammo a “Il Fatto”, aveva appena ricevuto una lettera anonima con minacce di morte ed era stato accusato di essere diventato anche lui comunista. Durante quell’intervista, diventata poi famosa perché messa nella lista di quelle che non dovevi fare, tu gli dicesti: “Io ho la sensazione che andremo incontro a una dittatura morbida”. Hai sbagliato l’aggettivo. Sì, oggi lo cambierei, anzi lo toglierei proprio. Umberto Eco, citando il tuo caso e di tutti gli altri epurati, lo ha definito un regime mediatico. Ma Biagi, nonostante le precarie condizioni di salute, il 22 aprile, alla vigilia del suo ottantasettesimo compleanno, ritornò in onda su Rai 3: “La rete che più mi assomiglia” disse, sconfiggendo definitivamente Berlusconi che sin dal 1984 aveva fatto carte false per portarlo via alla Rai. In questi giorni, finalmente, la tv pubblica è tornata a essere centrale nel dibattito sulla riforma del sistema radiotelevisivo, si parla di rinnovo della concessione, di privatizzazione, di riforma della tv regionale e, soprattutto, è finita un’ipocrisia: l’immagine dell’azienda, negli anni, è stata fortemente deteriorata e necessita di essere rilanciata. Tutte le manifestazioni pubbliche che ci furono dopo l’editto bulgaro contro la Rai di Saccà e del presidente Baldassarre; le cause vinte da Santoro, Ruotolo, Iacona e da tanti altri; la transazione che fu fatta con Biagi perché non facesse a sua volta causa per il suo allontanamento, quanto male hanno fatto all’immagine e alle casse della Rai? Biagi, come ha dimostrato il ricordo del Fatto Quotidiano è l’immagine pulita del giornalismo italiano, il simbolo del cronista dalla schiena dritta, una delle bandiere della Rai a cui lui ha voluto bene: “Non possono essere piccoli uomini a farmi pensare diversamente”. L. M. perché la televisione è così importante, riesce a inventare anche quello che non esiste? Lo dimostra la vicenda di un imprenditore che non era votato alla politica, ma che disponendo delle televisioni è diventato presidente del Consiglio. È uno strumento che non ha bisogno di aggiunte: uno si siede e la guarda, mentre il giornale va comprato, poi va letto, ed è già una fatica. Un messaggio dato dalla televisione, da un telegiornale, arriva sicuramente alla gente. Il cittadino come può difendersi? Può solo decidere di non guardare certa roba o di guardarla con spirito libero e critico. Non mi pare che le ultime apparizioni di quell’imprenditore, ricordando un po’ i commenti fatti sui dati d’ascolto, abbiano avuto grande successo di pubblico. Certo viviamo una grande anomalia, ma il Cavaliere è stato eletto democraticamente alla guida del nostro paese, quindi, rispecchia la volontà degli italiani. Che consiglio daresti a un giovane che vuole fare il giornalista? Diceva un illustre collega: “Sempre meglio che lavorare”. È un mestiere che ti tiene in contatto con la vita, che ti fa partecipare agli eventi, alle storie, che ti rende testimone di tutti i fatti che accadono nella tua epoca. L’unico consiglio che posso dare è quello di essere sempre curioso, di voler vedere, dove è possibile, i fatti con i propri occhi. Gli interessa raccontare? Lo faccia. Enzo per concludere, la televisione oltre alla popolarità cosa ti ha dato? Contatti umani con persone a cui sono rimasto legato, amici e conoscenze di viaggio. Non mi interessava farmi vedere: non basta apparire, bisogna aver qualche cosa da dire. Mi ha dato la possibilità di raccontare la vita della gente, nel bene e nel male. Alla Rai devo tanto e le sono molto grato. 14 ALTRI MONDI DOMENICA 6 LUGLIO 2014 Pianeta terra il Fatto Quotidiano USA INCENDIO LETALE PER QUATTRO BIMBI Un incendio ha provocato la morte di quattro bambini (uno di appena un mese) a Filadelfia, nella stessa casa, dopo che otto abitazioni sono state inghiottite dalle fiamme. Le persone hanno tentato, senza successo, di portare in salvo i bambini che erano rimasti intrappolati. LaPresse UCRAINA FILORUSSI IN FUGA DA SLOVYANSK I separatisti dell’Est hanno lasciato Slovyansk, al centro degli scontri tra Kiev e le truppe filorusse. L’esercito ha ripreso il controllo. La notizia è stata confermata sia dal presidente ucraino Poroshenko che da Mosca. Feriti 150 separatisti, portati a Donetsk. LaPresse GERUSALEMME RAPITI, PESTATI, UMILIATI: VITA DA ADOLESCENTI NELLA PARTE EST ANCORA SCONTRI: L’AUTOPSIA HA RIVELATO CHE ABU KHDEIR È STATO BRUCIATO VIVO. PICCHIATO A SANGUE E ARRESTATO IL CUGINO TARIQ di Roberta C Zunini i sono giorni in cui la storia, quella con la ‘A’ maiuscola, si declina sui volti, si legge negli sguardi. Ieri era il volto tumefatto e lo sguardo impaurito del quindicenne Tariq Abu Khdeir, il cugino di Mohammed Abu Khdeir, il ragazzino palestinese di 16 anni rapito e ucciso in un presunto atto di cieca vendetta da parte di estremisti israeliani per l’omicidio di tre giovani ebrei che vivevano in una colonia nei Territori palestinesi occupati. Mentre venivano diffusi i primi risultati dell’autopsia sul corpo di Mohammed, dai quali emerge che è stato ucciso nel più atroce dei modi, cioè bruciato vivo, un canale televisivo palestinese mandava in onda il video agghiacciante di due soldati israeliani che si accanivano per alcuni minuti su una persona di esile corporatura. IL PESTAGGIO è avvenuto mercoledì scorso quando fu trovato il corpo del giovane palestinese di Shufat, il quartiere di Gerusalemme est già territorio occupato. Quel pomeriggio decine di giovani palestinesi scesero in strada per protestare e i soldati, come sempre, avevano subito tentato di bloccare la manifestazione con gas lacrimogeni, pallottole di gomma e arresti dopo i consueti pestaggi. Secondo i media, la persona piccola e magra pestata a sangue dai militari sarebbe proprio Tareq, il cugino di Mohammed, che un pestaggio, indipendentemente dall’identità degli autori, l’ha subito. Come testimoniano inequivocabilmente le fotografie del suo volto. Le autorità israeliane si difendono parlando di riprese “non obiettive” e di “montaggio” non corretto. Ma il Consiglio sulle relazioni americano-islamiche afferma che il video mostra effettivamente i militari accanirsi sul giovane Tariq Abu Khdeir, che è cittadino statunitense perché vive in Florida con la famiglia. NEL VIDEO si vedono due uo- mini in uniforme dell’esercito israeliano picchiare la persona immobilizzata soprattutto sulla testa, con pugni e calci, per poi calpestarla. Quando la sollevano, sono costretti a trasportarla via di peso, perché apparentemente priva di coscienza. Tariq è stato arrestato e poi portato in ospedale ma è ancora in stato di detenzione, dovrebbe essere liberato nelle prossime ore. Avraham Burg, ex presidente ebreo israeliano della Knesset (parlamento israeliano, ndr) nei giorni successivi al rapimento dei tre giovani coloni israeliani, dopo aver constatato che l’opinione pubblica aveva accolto con sollievo le orribili manifestazioni di giubilo di alcuni palestinesi, aveva avuto l’onestà e il coraggio di scrivere: “Noi ci assolviamo dicendo che loro distribuiscono dolci per festeggiare il rapimento. La loro felicità ci rassicura. Più i palestinesi sono felici per questi rapimenti, più ci sentiamo esentati dall’interessarci alla loro sofferenza... così gli israeliani possono rimuovere il fatto che tutta la società palesti- La mamma di Tariq mostra il volto tumefatto del figlio, accanto il sedicenne Mohammed, rapito e ucciso LaPresse TRASCINATO VIA L’esercito israeliano parla di video manipolato ma la piccola vittima è di nazionalità americana e scoppia il caso nese è una società di sequestrati. E lo siamo anche noi quando, prestando servizio militare, entriamo nelle loro case di notte, a sorpresa e con violenza. Se la cattura e l’omicidio di ragazzi innocenti è di per sé una raffinata forma di crudeltà in grado di terrorizzare un popolo intero, il passo ulteriore è proprio questa assoluta negazione dell’altro che ne consegue”. Per la prima volta dopo anni di silenzio e rospi mandati giù, anche gli arabi con cittadinanza israeliana, concentrati soprattutto nel nord di Israele hanno organizzato manifestazioni di protesta. E intanto a Gaza, da dove sono stati lanciati nuovi razzi su Israele si attendono le bombe da un cielo sempre più nero. Far West Libia, sparito tecnico italiano SI TEME IL SEQUESTRO: È IMPIEGATO DELLA PIACENTINI COSTRUZIONI, ERA DIRETTO CON DUE COLLEGHI A ZUWARA di Nancy Porsia Tuttavia i tre operai non sono mai giunti sul posto di n altro italiano risulta lavoro. Ritrovata la macchidisperso da ieri in Lina, le chiavi erano ancora bia. Si chiama Marco Vallisa inserite nel quadro, ma dei ed è scomparso a Zuwara, tre operai i colleghi non città sulla costa al confine hanno trovato alcuna traccon la Tunisia. Era uscito cia. La dinamica della scomintorno alle 10:30 insieme ai parsa richiama a grandi lisuoi due colleghi, Petar MaMarco Vallisa Ansa nee quanto accaduto a Giatic, bosniaco e Emilio Gafunluca Salviato di Trebaseleri, macedone, per recarsi al porto della ghe, tecnico dell’azienda friulana Ravacittà dove la società italiana Piacentini nelli, scomparso lo scorso marzo e anCostruzioni S.p.a. sta portando avanti il cora disperso, e ai calabresi Francesco progetto di espansione del porto. Un lo- Scalise e Luciano Gallo, operai della croro collega li ha visti uscire in auto dalla tonese General World di Crotone, rapiti foresteria al centro città, dove i dipen- lo scorso gennaio e liberati dopo 20 denti della società di Modena vivono. giorni. La scomparsa dei tre lavoratori U della Piacentini Costruzioni S.p.a. costituisce un precedente importante. Mentre Salviato, Scalise e Gallo sono stati rapiti nelle vicinanze della città di Derna, nella regione orientale della Cirenaica, roccaforte dei gruppi salafiti in Libia, Vallisa e i suoi due colleghi sono scomparsi a Zuwara. A Ovest del Paese, dove i gruppi salafiti fanno fatica a guadagnare terreno, la città della minoranza culturale berbera o Amazigh, come si dice nella lingua parlata dalla popolazione locale, è considerata una delle città ritenute più sicure in Libia. Zuwara vanta anche il Bureau dell’Anti Crimine, uno degli esperimenti più riusciti di forze di sicurezza nel panorama della Libia post Gheddafi. Al di là del triste primato che la città vanta come maggior snodo del traffico di esseri umani dalla Libia verso l’Europa, fino a ieri non si era registrato alcun attacco alla comunità internazionale. “La comunità locale è sotto shock - racconta al Fatto una fonte - nulla faceva prevedere un attacco”. Poi spiega “Non dovrebbe trattarsi di fondamentalisti”. In Libia oggi la situazione è completamente fuori controllo. Mentre le istituzioni nazionali, nate con la rivoluzione del 2011 che ha posto fine al regime pluridecennale di Gheddafi, sono andate sfaldandosi sotto il peso delle milizie armate ex rivoluzionarie, la lista dei rapimenti, compresi membri della comunità diplomatica, è andata velocemente aumentando. il Fatto Quotidiano ALTRI MONDI POLONIA INCIDENTE AEREO, MORTI 11 PARÀ Undici persone hanno perso la vita in un incidente aereo avvenuto vicino Czestochowa, nel sud della Polonia. Solo una persona è sopravvissuta ed è stata trasportata in ospedale, dopo che l’aereo privato, appartenente a una scuola di paracadutismo, si è schiantato al suolo. Ansa REGNO UNITO PEDOFILIA A WESTMINSTER Continuano gli scandali di pedofilia in Gran Bretagna: fra i sospettati, membri del parlamento. Il premier Cameron ha ordinato di avviare un’inchiesta su un dossier che rivelava casi di pedofilia già negli anni 80, oggi introvabile. Sotto accusa era finito Lord Brittan, all’epoca ministro dell’Interno. LaPresse DOMENICA 6 LUGLIO 2014 15 Il doppio gioco della spia mette nei guai la Merkel BERLINO, DOPO LO SCANDALO DELLA CANCELLIERA “ASCOLTATA” DALLA NSA ERA STATA ISTITUITA UNA COMMISSIONE. UN AGENTE HA VENDUTO I RISULTATI AGLI USA La cancelliera Merkel con il presidente americano Obama Ansa di Mattia Eccheli I Berlino l clima è quasi da “guerra fredda”. Gelo tra alleati “storici” come Germania e Stati Uniti, i cui rapporti erano già alterati dopo le rivelazioni che l’Nsa - l’agenzia di spionaggio americana aveva messo sotto controllo il cellulare di Angela Merkel. L’arresto di un agente del servizio informazioni tedesco (Bnd) accusato di aver passato agli americani documenti segreti anche sulla Commissione d’inchiesta parlamentare rischia di lacerare ulteriormente rapporti. Jürgen Hardt, l’incaricato del governo tedesco delle relazioni bilaterali, ha fatto sapere di aspettarsi un pieno chiarimento da parte americana. E, soprattutto, l’ambasciatore John B. Emerson è stato convocato presso il Ministero degli Esteri: un atto diplomatico di grande rilevanza. senza conseguenze: “Tutto conduce alla cancelleria”, ha sintetizzato Bernd Riexinger. Che ha anche precisato che “il Bnd è cieco sul fronte atlantico”. Le certezze sono ancora poche, ma le ripercussioni sono sicure. Forse con effetti retroattivi, che potrebbero coinvolgere l’ex uomo di fiducia della cancelliera che troppo velocemente aveva rassicurato la Germania sulle intercettazioni: Roland Pofalla, destinato ai vertici delle ferrovie tedesche, rischia di venire richiamato in causa. Suo malgrado, Berlino è tornata la capitale degli intrighi, anche se lo scambio di denaro e materiale sarebbe avvenuto in Austria con un emissario americano. L’uomo avrebbe intascato 25.000 euro LO SCAMBIO L’emissario americano ha incontrato in Austria il “traditore” della Bnd che avrebbe intascato 25 mila euro in cambio di 218 documenti Donna a terra, l’agente infierisce IL SOSPETTO che il funziona- rio fosse un agente doppio al soldo degli Usa, non è piaciuto oltreoceano. Il New York Times ha riportato la minaccia di un anonimo esponente di alto rango dell’amministrazione Obama di interrompere la discussione in corso per fare chiarezza sul caso Nsa. “Negli stati di diritto i parlamenti controllano i servizi segreti e non viceversa”, si è lamentato Konstantin von Notz, esponente dei Verdi e membro della Commissione d’inchiesta. Adesso i tedeschi vogliono scoprire a chi il giovane agente passava le informazioni. Le opposizioni, Linke in testa, hanno già detto che il caso non può restare LOS ANGELES, VIDEO INCHIODA IL POLIZIOTTO Un agente della California Highway picchia una donna di colore ma viene ripreso da un automobilista. La vittima era in stato confusionale vicino a una autostrada. LaPresse per 218 documenti, tre dei quali relativi alle attività della Commissione, tutti sottratti e memorizzati su una chiave Usb. NEGLI OSCURI contorni che ancora avvolgono la vicenda, il 31enne arrestato sarebbe un funzionario di livello intermedio, attivo come “agente doppio” già da due anni. Secondo il quotidiano Bild Zeitung, avrebbe ricevuto direttive direttamente dall’Ambasciata americana: come da copione, nei thriller berlinesi si tratta sempre dell’addetto culturale. L’uomo sarebbe tuttavia stato pizzicato dopo aver tentato di piazzare il materiale anche ai russi. Alcune fonti dicono che avrebbe fatto lo stesso in precedenza con gli americani e potrebbe trattarsi più di un mercenario (e forse ingenuo) impiegato alla ricerca di denaro facile che di una vera e propria spia a doppio servizio, ma il silenzio di Angela Merkel e del ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier sembra indicare qualcosa di estremamente serio. Anche perché gli 007 tedeschi si aspettavano tentativi di infiltrazione per tenere sotto controllo le attività della Commissione e avevano fornito ai membri dei cellulari criptati. La situazione è delicata e questa volta la Germania non sembra intenzionata a nascondere la testa sotto la sabbia. I tedeschi si fidano sempre meno degli americani. E gli americani – che hanno nei britannici un alleato di ferro in Europa – vogliono conoscere le mosse della Germania, specialmente nei rapporti con la Russia anche alla luce della crisi Ucraina. TIPI DA CINEMA Il grande vecchio che odiava i Clinton MORTO SCAFIE, IL PETROLIERE CHE SCAVAVA NEL PASSATO DELLA COPPIA ALLA RICERCA DI SCANDALI di Angela Vitaliano New York ecentemente i dottori mi hanno detto che ho una forma incurabile di cancro. Molti, a cui non piaccio, si rallegreR ranno per questa notizia. Naturalmente, io non posso condi- videre il loro entusiasmo”. Aveva preso “carta e penna”, Richard Scaife, il 18 maggio scorso, per annunciare, con il suo stile senza fronzoli, in un editoriale pubblicato dal suo Tribune-Review, che gli restava poco da vivere. La morte è sopraggiunta venerdì, nemmeno due mesi dopo. Richard Mellon Scaife, 82 anni, era un miliardario, erede, per parte di sua madre Sarah, dell’enorme fortuna dei Mellon, una delle famiglie piu influenti del paese, con interessi nelle banche, nel petrolio e nell’alluminio. La sua notorietà era emersa in relazione all’ascesa al potere di Bill Clinton che aveva avversato in tutti i modi, sin da quando l’ex presidente era governatore dell’Arkansas. Una vera ossessione che portò Scaife a usare le pagine del suo giornale per attaccare la “coppia presidenziale” e i suoi soldi per finanziare The American spectator, la rivista che aveva lanciato il cosiddetto “Arkansas Project” per investigare sulla vita dei Clinton e che per primo aveva reso note le accuse di R. Scaife LaPresse molestia sessuale presentate da Paula Jones contro Bill. Scaife cercò in tutti i modi di collegare il presidente, e soprattutto la first lady, alla morte di Vincent Foster, un consigliere della Casa Bianca, ed ex socio di Hillary nello studio legale che aveva a Little Rock, trovato ucciso da un colpo sparato in bocca in un parco di Washington nel 1993. Tre inchieste, compresa quella di Kenneth Starr che poi divenne il giudice inquisitore che portò Bill Clinton al processo di impeachment per il Sexgate, hanno stabilito che si trattò di un suicidio. Ma Scaife non era persuaso: arrivò anche a mettere in discussione il lavoro e la lealtà di Starr, considerato una vera e propria star del firmamento conservatore: “Forse Ken Starr era una talpa che lavorava per i democratici", disse. Fervente conservatore, Scaife, aveva sempre investito denaro a sostegno dei repubblicani: memorabili i 990mila dollari dati per rimpinguare le casse della campagna per la rielezione di Richard Nixon nel 1972. Romania, la Securitate “pazza” per Ikea L’OPERAZIONE “SCANDINAVICA” PERMISE AL REGIME DI CEAUSESCU DI OTTENERE CIRCA 15 MILIONI DI EURO L’ANNO di Carlo Antonio Biscotto cavare negli archivi segreti S degli ex Paesi comunisti è come aggirarsi nell’inconscio di quei brutali regimi. L’ultima novità arriva dalla Romania: durante gli anni di Ceausescu la polizia segreta del dittatore rumeno riceveva somme a sei zeri dall’Ikea nel quadro di un accordo che l’azienda svedese aveva stipulato con una locale fabbrica di mobili. Questa almeno la spiegazione ufficiale che emerge dai documenti entrati in possesso del quotidiano inglese Guardian. La realtà è che solo una piccola percentuale delle ingenti somme versate dall’Ikea finiva alla fabbrica di mobili; il resto ter- minava il suo viaggio su conti correnti controllati e gestiti dalla Securitate. L’Ikea era a conoscenza di tutto ed era consapevole di contribuire a finanziare la polizia segreta. La dirigenza di Ikea nega, ma ha avviato una indagine interna. Impossibile impedire che una notizia del genere riapra vecchie ferite. Sembra che durante la guerra fredda l’Ikea si sia servita di prigionieri politici della Germania dell’Est per fabbricare i suoi prodotti e abbassare il costo della manodopera. La Romania con le sue enormi riserve di legno e un bacino di potenziali operai inesauribile non poteva non attirare l’interesse del gigante svedese dell’arredamento. Dai docu- menti si apprende che verso la metà degli anni ’80 l’Ikea versava alla Romania circa 15 milioni di euro l’anno. La Securitate che aveva il compito di torturare e uccidere i veri o presunti nemici politici di Ceausescu, pare abbia accumulato MOBILI E SEGRETI La vicenda salta fuori dagli archivi della polizia politica la dirigenza svedese nega ma avvia una “indagine” interna una fortuna valutabile in miliardi di dollari con i sequestri di persona e altre attività criminali. NEGLI ARCHIVI della Securita- te, l’Ikea aveva il nome in codice di “Scandinavica”. Innumerevoli gli appunti e i memo che riguardano l’azienda svedese. In uno, a firma del maggiore Eftimie Gelu, si legge: “Ikea ha trasferito su un nostro conto corrente di comodo la somma di 163.005 corone svedesi”. Il maggiore Gelu è in realtà Constantin Anghelache, attualmente presidente della Dinamo Bucarest che partecipa al campionato di calcio rumeno. Secondo i documenti, parte di questo denaro, trattenuti gli in- teressi, veniva girato a Berlino Est in esecuzione dell’accordo siglato con l’Ikea. In sostanza la Banca per il commercio estero della Romania incassava il denaro versato dall’Ikea, tratteneva gli interessi e una commissione e girava la somma restante alla Germania Est forse in pagamento dei lavoratori forniti alle fabbriche dell’Ikea. L’operazione “Scandinavica” fu chiusa nel 1988 alla vigilia del crollo dell’impero comunista. Per oltre sette anni il partner commerciale dell’Ikea in Romania produsse sedie, letti, librerie, che finivano nei negozi Ikea europei. Henrik Elm, dirigente dell’Ikea, ha precisato che questa era una pratica comune all’epoca e che comunque l’Ikea Un negozio Ikea Ansa aveva rapporti alla luce del sole solamente con la società rumena Tehnoforestexport. Il contratto tra Ikea e Tehnoforestexport non faceva cenno ai pagamenti a favore di terzi. Roxana Bratu, esperta di corruzione nei regimi totalitari e ricercatrice all’Università di Londra, ha detto: “Sono molti gli indizi che fanno pensare ad accordi poco puliti, quali la sovra-fatturazione, mascherata dagli svedesi sotto forma di ‘commissioni’ o ‘spese generali’”. 16 DOMENICA6LUGLIO 2014 SECONDO TEMPO S P E T TAC O L I . S P O RT. I DE E Dagospia di Malcom I Pagani Roberto D’Agostino Il gioco del potere: a ognuno la sua fiction e il suo reality l posto fisso in banca: “Un colpo di vocato Agnelli portava sfiga. Fine della rubrica. vavamo a ballare con Bob Marley e i Rolling culo che festeggiai comprando una Barbara Palombelli mi consigliò di aprirmi un Stones al di là delle ideologie. Mi ricordo an500, quando non hai una lira non ti posto mio. Un’oasi in cui mettere i frammenti cora lo slogan: It’s only Rock and roll. Erano metti a fare l’intellettualino”, la vita dannunziani che amavo e che sono il pane di anni in cui la disco music era considerata roba che diventa ricorrenza: “Siamo Internet. Barbara la conoscevo dall’epoca in da fascisti, i compagni che volevano ballare quasi al trentennale di Quelli della cui da segretaria di redazione dell’Europeo di rischiavano il pestaggio e in cui, in piena lotta Notte, con Arbore orchestravamo i provini fer- Sechi, veniva a prendersi i miei articoli in ban- armata, il riflusso aveva devastato in profonmando a caso i passanti in Villa Borghese”, le ca. Le diedi retta e feci bene. Cambiare oriz- dità l’equlibrio psichico di una generazione instesse camicie a fiori con cui in epoca Beat zonte aiuta. Quando si chiude una porta si tera. attese Fernanda Pivano in un albergo romano: spalanca sempre un portone. L’importante è La politica era importante? “Ero con Paolo Zaccagnini e mi aspettavo avere lo spirito del tempo, inventarsi qualcosa, Prima della morte di Moro non c’era stato sabato senza corteo. Una volta, durante la vicomparisse una papessa, una simil Patti Smith, non lamentarsi mai. sita del Segretario di Stato Americano Rogers a una stracciarola, una zingara. Si fece invece Lei è nato a Roma, quartiere San Lorenzo. avanti la donna che dava del tu a Hemingway e All’epoca aveva una geografia rurale. Un borgo Roma, ce la vediamo brutta. La Polizia carica. aveva scritto l’introduzione a Kerouac, una delimitato dalla ferrovia, dal cimitero e dalla Io, la mia prima moglie e un gruppo di magentilissima signora bionda con il tailleur e il ferita mai rimarginata del bombardamento del nifestanti ci rifugiamo dentro l’Upim. I celerini filo di perle. Mi insegnò che l’abito non fa il ’43. In Pizzeria si andava con i cibi propri. presidiano le entrate. Lei è terrorizzata: “Se ti monaco. Lei non aveva necessità di mettersi gli C’erano le bische, i ladruncoli, la vita semplice. arrestano perdi il posto in banca”. Mi compro zoccoli, esattamente come io in banca non in- Papà era impiegato alla Breda. Ci lasciò un un completo grigio e usciamo nell’assoluta indossavo la bandana”. Tra 24 ore Roberto polmone. Mamma lavorava con busti e reg- differenza della folla. D’Agostino festeggerà 66 anni e mentre il sole giseni. Io balbettavo e portavo le lenti. Oggi Dopo il 9 maggio 1978 cambiò tutto? taglia la stanza, la tosse riempie le pause e lui sembra incredibile, ma a metà degli Anni 50 La violenza si fece insopportabile. Dopo l’esedispensa mentine in forma anatomica: “Lo avere gli occhiali ti esponeva al linciaggio dei cuzione di Moro, movimenti e persone cervuole un cazzetto?” dice di essere felice e di compagni: “Cecato”, “Quattrocchi”, mi grida- carono il loro posto sulla mappa. Qualcuno aver trovato un antidoto “ai metallari”. Quelli vano di tutto. Durante l’interrogazione poi era impugnò la P38, altri si chiusero in casa, altri che telefonano: “conversazioni terribili”, ur- l’inferno. Mi bloccavo su una sillaba, sudavo, e ancora si persero per sempre dietro l’eroina. I lano: “L’ultima, Bianca Berlinguer” e sublima- al culmine del calvario, mentre pronunciavo pusher te la davano gratis, per fartela provare. no la rabbia con l’insulto: “Fassino non scher- sillabe scomposte: “Mbb, mbb, mbb”, alle mie Carlo Rivolta, la persona che con generosità mi zava, ma il campione insuperabile della pa- spalle sghignazzavano. Siccome il lato positvo spinse a L’Europeo, morì così. Sechi, faceva un rolaccia a mezzo cornetta resta l’ex Dg Rai, Pier del cancro esiste sempre e con me non voleva giornale meraviglioso. Costosissimo e straorLuigi Celli”. Da un orecchio, D’Agostino non sente bene: “Sono proAvevo una rubrica su prio sordo”. Così se gli altri esagerano: “con L’Espresso. Si chiamava l’espediente non mi sfondano”. Dopo quasi “Spia”, 5 pagine alla settimana, tre quinquenni di Dagospia, indefinite rimostranze e querele che raun mazzo mai visto. Scrissi ramente travalicano la soporosa liturgia della che il marito di Miuccia Prada città in cui è nato: “Montezemolo mi ha aveva detto che l’avvocato accusato di diffamazione, sostiene che c’è una Agnelli portava sfiga. Fine campagna a suoi danni, pretende 2 milioni di di tutto. Barbara Palombelli euro. Ma se lo incontro gli stringo la mano come mi è capitato l’altra mi consigliò di aprire un posto sera con Azzurra Caltagirone. Su di lei e su Camio. Così nacque Dagospia sini avevo scritto di tut1985, D’Agostino (primo a sinistra) e la squadra di “Quelli della Notte” to, messo in dubbio la durata del matrimonio, parlare nessuno, ne approfittai per leggere. dinario. Una sorta di New Yorker con la grafica giocato sui pettegolezzi”. Qualche Dostoevskij toccò anche a me. Poi di Milton Glaser e la redazione piena di teste: Invece? Eravamo al Maxxi. Baci e abbracci. Una gior- mia madre mi mandò da un logopedista, im- Dossena, Minetti, Mughini, Chessa. Lì avevo nalista del Messaggero, incredula, mi fa: “Non parai a respirare e anche se ancora adesso dico incontrato Federico Zeri. riuscirei mai a essere tanto naturale”. “È la pissicologia, migliorai. Poi dio creò le classi Nel cui nome litigò con Sgarbi in una famosa forza di Roma” le ho risposto. “Alla fine gli miste e all’improvviso ci trovammo al bordel- puntata dell’Istruttoria di Ferrara. attriti si risolvono. Ci si sbrana in Parlamento e lo. Oltre il cancello della scuola c’era il Crazy Zeri era micidiale. Potevi essergli amico, ma se si sentiva tradito, prima ti estrometteva dalla poi ci si attovaglia al Bolognese”. È una fi- Horse. cerchia e poi ti cancellava per sempre. Sgarbi, losofia criticabile, ma sento di poterla vivere A casa non c’era una lira. senza doppiezze. Ho fatto tante cazzate e ho Ho lavorato in una fabbrica di legnami, come cresciuto alla formidabile palestra dialettica sbagliato spesso, ma non me la sono mai presa ragioniere alla Breda, poi, grazie a una rac- del Costanzo Show, di Zeri era stato adepto. Poi con qualcuno perché avevo un affare personale comandazione, alla Cassa di Risparmio di Ro- ci aveva litigato e da allora, eravamo amici da risolvere. So devo trovare il coraggio di ma per 12 anni. La filiale era a Centocelle. La anche noi, l’avevo perso di vista. Ferrara ci chiedere scusa so dove bussare. Quando mi giornata tosta. Le file infinite. La banca mi ha mise insieme perché sapeva che due galli in un dicono: “Ce l’hai con me” mi vien da ridere. insegnato a concentrarmi. Eri in prima linea. pollaio avrebbero potuto dar spettacolo. Lavoro 12 ore al giorno. Il mio problema non Se facevi un errore, pagavi di tasca tua. Mi E così fu. sono ossessioni o cattiverie, ma il tempo che mi capitò di confondere sterline inglesi e austra- In studio, su un trespolo, oltre al semiologo liane, far felice un cliente nel cambio di valuta Volli, c’era anche Corrado Guzzanti. Ma l’inmanca per ascoltare i miei dischi preferiti. e rimetterci una fetta di stipendio. Capii cosa quadratura era stretta su di noi e Sgarbi picA chi gode dell’attenzione del suo sito la spiesignificasse attenzione. La sera, a turno finito, chiava duro. Si dava un gran tono da progazione non basta. Ai tanti che si lagnano lo dico sempre: il sito si andavo in radio. La musica mi piaceva. 10 anni fessore, ma io sapevo che aveva affrontato 3 chiama Dagospia, non I Dieci Comandamenti. prima in Via Asiago, con Renato Zero, Lo- volte l’esame per ottenere la cattedra e che per Non sono con lo scalpello in cima al monte a redana Bertè e le solite 100 persone che fa- 3 volte era stato respinto. Allora, ormai stretto cevano la spola tra la chiesa laica di Renzo all’angolo, mi giocai l’asso: “Professore di ffà Mosè. Arbore e il Piper, ero stato di casa. A metà dei che?” dissi. Lui perse la testa, non capì più un Dagospia nacque da una crisi. Avevo una rubrica su L’Espresso. Si chiamava 70, un decennio atroce, iniziai a collaborare cazzo e mi tirò dell’acqua. A quel punto diSpia. Cinque pagine alla settimana di notizie, con qualche rivista e mi proposero di fare il Dj. menticai di essere in tv, ricordai di essere stato un mazzo mai visto. Scrissi che il marito di Per un paio di meravigliose stagioni misi dischi un ragazzo di strada e mi sfiorò la tentazione di Miuccia Prada, Bertelli, aveva detto che l’av- sul piatto e animai le serate del Titan. Pro- rompergli la minerale sul capo. Grazie al cielo ROMANO DI SAN LORENZO Roberto D’Agostino, creatore e anima del sito Dagospia.com, online dal 22 marzo 2000, è nato a Roma il 7 luglio 1948 Foto di Dino Ignani lui intercettò la bottiglia e io rapido, con la mano libera, gli diedi uno schiaffo. Il segno del disprezzo massimo. Sgarbi inveì e poi se la prese con Ferrara: “La devi tagliare” minacciava. La puntata era registrata. E Ferrara? “Col cazzo che la taglio” ripeteva. “È una chicca assoluta, la mando in onda”. Io approfitto del caos e scivolo fuori dallo studio per cercare un il Fatto Quotidiano STAMPA SPAGNOLA: “SUAREZ AL BARÇA” Luis Suarez è un giocatore del Barcellona. A dare per fatto l’accordo è il quotidiano El Mundo Deportivo, secondo cui il 'Pistolerò firmerà con la sua nuova squadra un contratto di cinque stagioni TOUR: KITTEL PRIMA MAGLIA GIALLA Il tedesco batte Sagan e Navardauskas sul traguardo di Harrogate e vince la prima tappa. Mark Cavendish causa una caduta a meno 250 metri e il suo Tour potrebbe già essere finito DOMENICA 6 LUGLIO 2014 17 ROBBIE WILLIAMS CADE DAL PALCO Durante un concerto a Newcastle l’ex Take That è inciampato nel corso di una coreografia, rovinando sulla prima fila. Una fan ha riportato la frattura del braccio gliamento. Lei ne avevo scritto a lungo su “Moda” diretto da Vittorio Corona, il padre di Fabrizio. “Quando esce dalla sua camera da letto” spiegai ad Arbore “la persona non è più quel che è, ma quel che vorrebbe essere agli occhi del mondo”. Rimase interdetto. Non capì? Oggi ognuno è la sua fiction e ambisce al suo reality, alla plastica rappresentazione di sé, al suo selfie. Nel 1985 non era facile intuirlo, ma a me pareva che lo choc culturale e liberatorio degli Anni 80, poi piegato nella valutazione a posteriori dalla condanna del craxismo, fosse epocale e meritasse un racconto a sé. Renzo, che è sempre stato pragmatico, volle la prova empirica. Mi fece fermare il primo essere umano che passava per la strada. L’esperimento gli piacque: “Ti mettiamo sotto l’ingresso, Roberto”. A quel punto mi posi lo scrupolo di non esagerare. Di vestirmi da clown. Di agghindarmi con il turbante per non dare alla gag il peso sinistro del giudizio morale. Chi ero per dare le pagelle? Bisognava alleggerire. Lo facemmo e ci divertimmo molto. Mi vestii anche da critico televisivo. Facendo leva sulla distinzione tra apocalittici e integrati delinata da Umberto Eco iniziai a dileggiare gli intellettuali che si confrontavano per la prima volta con fumetti e canzonette senza mai perdere il timbro altero da Gruppo 63 e il loro ridicolo tono di superiorità. Il corto circuito funzionò e dopo la prima settimana segnata dai pessimi ascolti, Quelli della notte prese il volo. L’edonismo reaganiano. I tormentoni legati a Milan Kundera. Renzo lo chiamava la Milan, forse perché Milan gli sembrava un nome femminile. La verità è che L’insostenibile leggerezza dell’essere non l’aveva letto nessuno. Non i dirigenti Rai, non Renzo e tantomeno io che mi ero fatto bastare la recensione di Severino Cesari su Il Manifesto. Gli rubavo le frasi e le rielaboravo a modo Bisignani? Cercavo notizie da chi le aveva Lo chiamavo per averne su Berlusconi come chiamavo Rovati all’epoca di Prodi o Velardi per D’Alema. La vicenda Woodcock mi fece male, mi spaventò, ebbi paura di essere arrestato e non capivo il perché Mai successo nulla del genere colse anche un po’ di ubriacatura. Ci riconoscevano per strada, non essere turbati dalla popolarità è un esercizio complicato. Quando ci salutammo, scimmiottai il discorso sul cono d’ombra che Scalfari amava ripetere a chi si azzardava ad abbandonare il tempio di Repubblica: “Finirete tutti a leccarlo, il cono d’ombra”. Continuai con la tv, a Domenica In, poi girai il mio primo e unico film, Mutande pazze, una fenomenologia dell’arrivismo paratelevisivo baciata da una certa lungimiranza. Il titolo iniziale doveva essere Brividi di sesso e lividi di successo. Mutande pazze non lo voleva nessuno. “È pornografico”, giuravano. Fu Enrico Vanzina a convincere Cecchi Gori. Sul suo assoluto cinismo si favoleggia. Nei rapporti personali sono curioso. Né cinico né snob, anzi più compassionevole che cinico. Però il cinismo politico è parte di me. È figlio dell’esperienza e della mia passione per la storia. Non ce l’ho con Renzi e da un certo punto di vista mi auguro che ce la faccia, ma di fronte a certi entusiasmi, alle slavine di bava e alle sinfonie in gloria del giovane Matteo, provo imbarazzo. Fare il contropelo al potere è un dovere giornalistico, non un hobby. Come si finanzia Dagospia? Con la pubblicità ed è per questo che è in crisi. Mettere contenuti a pagamento non funziona e senza pubblicità mancano gli introiti. Un tempo i giornali per gli editori erano una barriera. Una polizza Kasco senza la quale in tanti sarebbero finiti in galera. Una volta tramontati gli editori puri, la stampa italiana vive un tragico rito di passaggio, accende gli ultimi fuochi e osserva nello specchio una decadenza che è speculare a quella dell’economia. È finita, l’economia. Sono sparite le aziende, non c’è più nulla. Né idee né idologie. Solo comitati d’affari. Piersilvio Berlusconi che regge il pitale a Renzi è emblematico. Quando l’impero rischia di dissolversi vengono giù anche le barricate. Il Paese tenta di salvarsi, ma è troppo gracile e temo non ce la farà. Con Diego Della Valle, amico di Renzi, ha fatto pace? Della Valle si inventò la campagna Dagostrunz. Per descrivermi come un rifiuto della società affittò carri di carnevale, impiantò un merchandising in tema, mandò il Kit di Dagostrunz con tazze, cappellini e magliette persino in Banca D’Italia. Quando vidi una mongolfiera sopra la mia casa di Sabaudia rimasi basito: “Ma perché butta tutti ‘sti soldi?” Quando il camioncino di Dagostrunz, immagino per puro caso, arrivò a un passo dalla scuola di mio figlio Rocco che aveva 14 anni, mia moglie Anna si incazzò non poco. L’hanno criticata aspramente per i suoi rapporti con Bisignani. Cercavo notizie da chi le notizie le aveva. Mi hanno messo sotto inchiesta per avergli offerto uno spaghetto, non perché tramassi operazioni finanziarie in Lussemburgo o in Svizzera. Chiamavo Bisignani per avere nuove su Berlusconi come chiamavo la buonanima di Rovati all’epoca di Prodi o Velardi, quando regnava D’Alema. La vicenda Woodcock mi fece male, mi spaventò, ebbi paura di essere arrestato e non capivo il perché. Non mi era mai successo nulla del genere. Le guerre imbiancano e gli anni sono 66. L’unica soluzione ai problemi dell’età è la filosofia Zen. Per vivere senza infelicità ho due precetti. Ce li espone? po’ di pace. Trovo Chiara Valentini, la mia fidanzata di allora che litiga a testa bassa con Lino Jannuzzi, storico compagno di merende di Giuliano. Ferrara fu grandioso. Mi è sempre piaciuto. Testa acuta e penna rapida. Uno dei pochissimi in grado di scrivere un articolo in tempo reale senza indulgere all’osservazione del proprio ombelico. Lei in tv era già stato con Arbore. La storia di Quelli della Notte, un programma da cui discendono tutti i Saturday Night live del nostro secolo, va raccontata bene. La trasmissione si sarebbe dovuta chiamare Musica e puttanate. Renzo non aveva le idee chiarissime. Ci incontrammo alla Casina Valadier. Gli proposi una look parade. Un racconto del mostruoso, bombastico cambiamento delle classi sociali degli Anni 80 attraverso l’abbi- “Quando non c’è soluzione, non esiste il problema”. E poi il secondo: “Meglio una fine spaventosa che 1991, il celebre schiaffo in tv a Vittorio Sgarbi uno spavento senza fine”. Nella mia vita ho prolunmio per ragionare sui Ricchi e Poveri o su gato situazioni incresciose sbattendo la testa su amori impossibili. Ma non mi sono mai sentito Raffaella Carrà. né sono stato migliore di nessuno. Tra persone, Poi come tutte le cose belle finì anche Quelli la partita è sempre doppia. Si perde e si vince, della notte. Per rifare una cosa del genere ci vorrebbe un ma lo si fa sempre in due. E dopo il buio, torna grande direttore d’orchestra come Renzo. Co- la luce. Abbiamo qualche strano meccanismo nosceva i trucchi del gusto nazionalpopolare. cerebrale e una fortuna grande. Ci piace ridere. La tv è un mestiere difficile. Collettivo. Bisogna La tragedia di oggi diventa la sempre farsa di essere abili a definire ruoli e competenze. Ci domani. 19 SECONDO TEMPO DOMENICA 6 LUGLIO 2014 Messi non fa il fenomeno, ma l’Argentina avanza il Fatto Quotidiano Errani-Vinci, trionfo a Wimbledon UNO A ZERO AL BELGIO GRAZIE A UN GRAN GOL DI HIGUAÍN DOPO 8’. LA “PULCE” DIVORA IL RADDOPPIO AL 83’ E PER POCO I “DIAVOLI ROSSI” NON PAREGGIANO di Roberto Beccantini questrato dalla ragion di stato: argentini a custodia del gruzzolo, belgi costretti a inventarsi un copione lontano dalle loro corde, attaccare senza offrire il contropiede. L’ Argentina “con” Messi e non sempre “di” Messi accede orgogliosamente alle semifinali. Di Maria aveva liquidato la Svizzera. Higuain sgonfia il Belgio. Uno a zero a San Paolo, uno a zero a Brasilia. Quando il gioco si fa duro, gli scarti obesi si riducono a diete fachiresche. È la legge del calcio. Come già tra Germania e Francia, anche tra Argentina e Belgio hanno deciso l’esperienza, gli episodi. Sabella ha vinto con la forza e l’equilibrio della fabbrica, ottenendo lavoro sporco e proficuo persino dai capi, Pulce inclusa. Sorprese in avvio, le guarnigioni di Wilmots hanno attaccato molto e prodotto poco. Non per pigrizia - questo no, questo mai - ma per logorio mentale. Il nerbo di Garay e Mascherano ha permesso ai bi-campioni di assorbire persino l’infortunio di Di Maria. Morale: la macchina del tango sa disarmare gli avversari, specialmente se lenti, goffi. E al diavolo le rime baciate. Argentina-Belgio fu la semifinale del Mondiale messicano, nel 1986. La risolse Diego Maradona, con una doppietta. Era tutto un altro calcio, e tutto un altro Belgio, rigorosamente bianco: lo allenava Guy Thys, con Pfaff tra i pali un signor portiere, prima che un grande «attore» - e poi Gerets, Grun, Vercauteren, Ceulemans. Valloni, fiamminghi e un figlio di siciliani: Scifo. LA RIPRESA non sfugge alla Di Maria, Higuaín e Messi dopo il gol del “Pipita” Ansa IN SEMIFINALE Come già tra Germania e Francia, anche qui decidono esperienza ed episodi. Vittoria con la forza e l’equilibrio collaudato della fabbrica Da Maradona a Messi: chissà cosa ha celebrato Brasilia, se uno storico passaggio di consegne o una lapide da seppellire in archivio. Un solo cambio, Wilmots: Mirallas al posto di Mertens. Più ampio il dosaggio di Sabella: Basanta per Rojo, squalificato, Demichelis per Fernandez, Biglia per Gago. Schema di riferimento, il 4-2-3-1. La partita s’infiamma già all’8’: l’istinto suggerisce a Higuain, in agguato dentro l’area, di non domare un rimpallo. Il destro, secco, fulmina Courtois. Agli argentini non sembra vero. Tocca agli avversari sporgersi dal davanzale. Mascherano e Biglia – Mascherano, soprattutto – calibrano il fuoco di sbarramento. Cercano, i belgi, il dribbling di Hazard e il tiro di De Bruyne. Gli avversari fanno massa, delegando a Di Maria e Messi il traffico in uscita. Kompany zompa su tutto e su tutti: lo stile, spiccio, ricorda i “liberi” d’antan. È il 32’, quando l’Argentina perde Di Maria, uno dei più efficaci “sabotatori” di bunker su piazza. Problemi muscolari alla coscia destra. Lo sostituisce Perez. I sudamericani lasciano l’iniziativa ai rivali: si arrangiassero. Fellaini, Witsel, Mirallas non trovano varchi. Neppure Alderweireld e Vertonghen, sulle fasce, là dove Zabaleta non tollera intrusi. Una punizione di Messi, appena alta, e un’incornata di Mirallas, appena fuori, suggellano un primo tempo se- logica dei valori e delle esigenze. Per esporsi, il Belgio si espone, ma lo fa senza arte, ruminando calcio, come se fisicamente fosse alla canna del gas. I rossi si spaccano, Higuain se li mangia in campo aperto, tunnel a Kompany e traversa (55’). Wilmots non ne può più: richiama Origi e Mirallas, uno peggio dell’altro; spazio a Lukaku e Mertens. Una risorsa può essere la testa di Fellaini, ma servono cross, e Vertonghen boccheggia. Palacio avvicenda un Lavezzi generoso ma sfinito. Tutti per uno e uno per tutti, l’Argentina. La resa di Hazard, rimpiazzato da Chadli, accompagna il ruvido braccio di ferro verso il più scontato degli epiloghi. Sabella toglie Higuain, il migliore, e blinda il fortino con Gago. O la va o la spacca: Van Buyten centravanti è l’estremo giro di roulette. Messi – sì, proprio lui – si divora il raddoppio e poco ci manca che, dall’ennesima mischia, il Belgio non estragga il biglietto del pareggio: Garay fa scudo con il corpo. Un pirata così sarebbe piaciuto a Salgari. Il metro buonista di Rizzoli si ferma a tre «gialli»: Hazard, Alderweireld, Biglia. Ne avrebbe meritato uno anche Messi, ma nessuno è perfetto. L’INFORTUNIO Neymar, la rabbia di Rio: “L’hanno fatto fuori” di Valeria Saccone Rio De Janeiro équiem per il Mondiale di R Neymar. Ieri in Brasile si respirava una strana miscela di allegria e tristezza: soddisfazione per aver vinto la partita contro la Colombia; saudade per l’aggressione – perché tutti ne parlano in questi termini – contro Neymar, l’astro indiscusso della Canarinha: “Stavano andando a caccia di Neymar dall’inizio della partita. E siccome Neymar è sveglio e molto giovane, credevamo che stesse esagerando quando cadeva e chiedeva il fallo. Poi è successo quello che non sarebbe dovuto succedere. E l’arbitro ha sbagliato perché avrebbe dovuto dare qualche cartellino giallo durante il primo tempo”, afferma Ierê Ferreira, fotografo e musicista. “Zúñiga è entrato con cattiveria, già aveva colpito il ginocchio di Hulk prima e non si era beccato nemmeno il cartellino giallo. Quindi aveva licenza per picchiare. Ed è assurdo che l’arbitro, che avrebbe dovuto proteggere il crack, abbia rovinato la festa del calcio”, dice André Balocco, redattore del giornale O Dia. Lo sconforto affiora nelle parole di molte persone ieri a Rio de Janeiro. “Per me è un giorno molto triste. Non so se riusciremo a vincere i Mondiali senza Neymar. E se ce la faremo, non sarà la stessa cosa, perché la Copa era sua, del nostro fuoriclasse”, afferma Daniele Apone, impresaria de São Paulo che vive a Rio da due anni. “È triste perché Neymar aveva lavorato tanto per stare lì. Però è ancora giovane, ci saranno altri Mondiali per lui. Per lo meno adesso la squadra del Brasile dovrà sforzarsi di più e magari avrà anche l’opportunità di dimostrare che la vittoria non dipende esclusivamente da Ne- ymar”, dice Márcia Ponte, tifosa carioca. Anche il presidente Dilma Rousseff e l’ex calciatore Roberto Carlos hanno mostrato la loro solidarietà su Twitter. LE LACRIME di Neymar ieri pre- sagivano il peggior scenario. Non erano semplici lacrime di dolore. Erano la rappresentazione della sconfitta. Una disfatta che non ha colto subito i migliaia di tifosi brasiliani riuniti all’Alrizão, strada del quartiere popolare di Tijuca, nella zona nord di Rio. L’atmosfera era di totale euforia, con gli abitanti delle varie favelas pacificate ammassati in un recinto decorato con il verde e il giallo della bandiera, i volti dipinti, il sorriso Neymar a terra, in lacrime LaPresse PROSSIMO MATCH Martedì contro i tedeschi, oltre al numero 10, mancherà anche lo squalificato Thiago Silva Il Paese teme un nuovo “Maracanazo” stampato, la birra annaffiando gli spettatori al grido di “Goooooool!”. La festa era talmente animata che non c’era spazio perniente altro. Tuttavia oggi alcuni credono che questo requiem sia esagerato. “È deplorabile quello che è successo ieri. Un’aggressione gratuita che ha espulso Neymar dalla competizione, però è anche vero che i mezzi di comunicazione stanno dando un peso enorme all’infortunio. Stanno creando un clima di commozione sproporzionato”, critica Luiz Baltar, fotografo dell’agenzia Imagens do Povo, creata nella favela Maré per offrire una voce critica. “Neymar si frattura una vertebra e il Brasile si ferma. Un viadotto costruito di fretta e furia cade, uccide due persone e nessuno ne vuole sapere”, denuncia Thiago Firmino, guida turistica di Santa Marta, la prima favela pacificata di Rio, in riferimento a un recente incidente a Belo Horizonte. Adesso tutti si domandano come sarà la semifinale contro la Germania, l’8 luglio. Un osso duro non solo senza Neymar. Mancherà anche Thiago Silva. E torna l’incubo del “Maracanazo”. PRIMO SUCCESSO ITALIANO DELLA STORIA La coppia azzurra conquista l’unico torneo del Grande Slam Slam che non avevano ancora vinto; battuta nettamente (6-1, 6-3) la coppia Mladenovic-Babos Ansa GP D’INGHILTERRA Silverstone, disastro Ferrari: mai così indietro nella griglia ROSSE PENULTIME IN PISTA: PARTE MALE LA “CURA” DEL NUOVO RESPONSABILE CORSE MATTIACCI di Alessio Schiesari hiamarla doccia gelata è C forse troppo facile, ma rende l’idea di quanto accadu- to a Silverstone. La Ferrari affogata sotto la pioggia, subendo una doppia umiliante eliminazione alla prima qualifica, è la più brutta che si ricordi. Fernando Alonso ha fatto segnare il 19imo tempo, Kimi Raikkonen il 20imo (anche se, causa penalizzazioni altrui, partiranno rispettivamente dalla piazza 16 e 18). Peggio di loro solo le Caterham, meglio perfino le Marussia. Si potrebbe dare la colpa alla sfiga: le due rosse sono uscite dai box troppo tardi e non sono riuscite a sfruttare un momento di pausa dell’acquazzone che ha guastato la pista e l’avvio del nuovo corso Ferrari. Negli ultimi giorni il nuovo Team Principal, Marco Mattiacci – arrivato a Maranello per sostituire Domenicali –, aveva lanciato i primi proclami. Rileggere l’agguerrito “abbiamo sostituito la cultura della prudenza con la cultura del rischio” alla luce del tracollo nelle qualifiche è un esercizio perfido. Così come quel “lavorare per Ferrari ed essere Ferrari ci obbliga a essere primi”: belle parole, ma quantomeno avventate in una stagione in cui le rosse non hanno nemmeno sfiorato il podio. Così come annunciare la rottamazione – che nel vocabolario di Mattiacci corrisponde alla voce “discontinuità tecnica” – dalle colonne della Gazzetta dello Sport, indicando senza giri di parole quali saranno le prossime teste a cadere in casa Ferrari: i vertici delle aree motore e telaio. Pensare che il marchiano errore di ieri sia frutto di una vendetta dell’area tecnica verso il nuovo corso è solo dietrologia, ma che in questo momento le acque in Ferrari siano parecchio agitate è il segreto di Pulcinella. Dopo avere concluso la sua breve giornata in pista con un testacoda, Fernando Alonso, pur senza prendersela con nessuno ha fatto capire quale sia il clima in casa Ferrari. L’asturiano è ricorso ai massimi sistemi per non sprofondare nella delusione: “Se tutto va bene, ci sono elogi per la squadra. Se tutto va male, sappiamo che il pomeriggio diventa duro. Il confine è sottile: stavolta non è andata bene, non pensavamo di chiudere in questa posizione”, salvo poi far trapelare tutta la propria insofferenza per una stagione in cui il peggio non sembra mai avere fine: “In quella che è stata la nostra migliore gara, l’Austria, siamo arrivati quinti. Oggi, anche se fossimo IMBARAZZANTE Fernando Alonso diciannovesimo, Raikkonen ventesimo Peggio di loro solo le Caterham, meglio perfino le Marussia partiti settimi, avremmo lottato per qualche punto”. Lo stesso errore di previsione commesso dalle due Ferrari ha rovinato le qualifiche della Williams di Felipe Massa (15imo in griglia). Dalla pole partirà la Mercedes di Nico Rosberg, seguito dalla Red Bull di Sebastian Vettel, dalla McLaren di Jenson Button e dalla Force India di Nico Hulkenberg. Solo sesto l’idolo di casa (e compagno di squadra di Rosberg) Lewis Hamilton. Anche lui è incappato in un errore di previsione meteo. L’inglese, dopo avere conquistato la pole provvisoria, è rientrato ai box rinunciando all’ultimo tentativo a disposizione. Intanto però la pista si stava asciugando e tutti quelli rimasti dentro gli sono passati davanti. Hamilton si è assunto tutte le colpe: “Ho scelto io di uscire per primo. Ma non è mai giusto o, meglio, non azzecco mai la scelta. Speriamo di farlo prima o poi”. 20 DOMENICA 6 LUGLIO 2014 SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano a cura di Stefano Disegni BIOCRAZIA NICOLAS SARKOZY (FRANCIA, 1955) Attenti a quei due di edelman n Sarkozy è l’uomo che ha governato la Francia dal 2007 al 2012. Beati quei popoli cui basta un quinquennio. n È citato in sette inchieste della magistratura francese. Sta tentando di umiliare Berlusconi un’altra volta. n Sarkozy è accusato di finanziamenti illeciti provenienti dalla Libia di Gheddafi. Ricorderete la fretta di cancellare le prove. n Il governo francese: “Nicolas Sarkozy è un cittadino uguale agli altri”. Per dire quanto è diffusa la corruzione. n Dopo il fermo giudiziario, Sarkozy non ha escluso di tornare in politica. Anche se è un nascondiglio affollatissimo. n In realtà la carriera politica di Sarkozy sembrerebbe irrimediabilmente compromessa. Come quella di chiunque riesca a perdere con Hollande. n Sarkozy è nato da genitori di origine straniera. Ma non puoi generalizzare, Marine. n Sarkozy ha parlato di “magistratura politicizzata” e di “giustizia a orologeria”. Credeva di essere Napoleone e invece è Cicchitto. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano DOMENICA 6 LUGLIO 2014 21 GIOVANNI FLORIS Il conduttore di Ballarò lascia viale Mazzini e approda a La7 LaPresse TG PAPI SALI E SCENDI Dopo Telemaco, ecco Sigfrido e Brunilde di Paolo Ojetti un giorno Angela Merkel si E presentò a Bruxelles con elmo, corna, trecce bionde, sottanone si- millamierato e ascia bipenne: “Sono generazione Brunilde”. Risatine e baciamani. Al seguito, il ministro Schäuble, agitando lo spadone: “Non toccatela, sono generazione Sigfrido”. E qui nessuno rise, ci fu solo un pesante imbarazzo. Poche le reazioni per Hollande che dal suo metro e sessantanove andava proclamando: “Je suis la génération De Gaulle” che, scalzo, toccava i due metri. Assodato che i giornali quotidiani nazionali e che i telegiornali hanno destinato una quota delle forze redazionali alla rilettura dell’opera omnia di Omero per non fare brutte figure con il nuovo Timoniere, perché Telemaco? Deve essersi trattato di un rimasuglio di liceo, visto che l’Odissea vede per lo più il rampollo di Ulisse chiuso nel palazzo avito in attesa del “nòstos” di quel vagabondo di suo padre. Telemaco era un represso vendicativo (in questa storia Floris non c’entra) con paranoica missione di sorveglianza della virtù materna. Forse, senza quel figlio occhiuto, Penelope avrebbe finito la tela e si sarebbe concessa al più macho dei Proci, mettendo termine alla sua bianca ventennale vedovanza. In fondo, Ulisse s’era dato all’avventura nel Mediterraneo, tornando a Itaca non per “il debito amore lo qual dovea Penelope far lieta”, ma quando finì la benzina, alla prima apparizione fulminando il povero cane Argo (chissà se Dudù sarebbe più resistente). Ci sono anche dubbi sulla paternità: quanti anni aveva Telemaco e da quanti anni Ulisse era a spasso? Tutti sanno che Ulisse e i suoi fedelissimi fecero strage dei Proci (qui identificabili con quelli della Bundesbank) con un rito da Cosa nostra mentre stavano banchettando; e forse per questo i sassoni della Ue non hanno gradito. RENZI non è il primo politico in ma- schera. Scalfari dipinse Craxi come Ghino di Tacco, il brigante che ricattava i viandanti democristiani. Per via della statura l’aretino Fanfani fu il “mezzo toscano”, Andreotti era “la volpe”, Forlani accettò “il coniglio mannaro” dalla penna di Pansa. Berlinguer fu a lungo il “sardomuto” e Togliatti ancora oggi è “il Migliore”. De Mita fu bollato da Agnelli come “intellettuale della Magna Grecia” (cosa c’entra la Grecia, ironizzò Montanelli). Il “Caimano” di Moretti ha segnato a vita Berlusconi. Ma erano tutti graffi e profili che provenivano dall’esterno. Matteo Renzi ha svoltato, è la prima auto investitura. In attesa de “l’État c’est moi”. C’era una volta Raitre Anatomia di un declino di Carlo Tecce osì Rai3 non ha senso. E il senso C non l’ha perduto perché Giovanni Floris, un giornalista identitario di un canale identitario se n’è andato. Il senso di Rai3, ridotta un tempo di sinistra non allegorica seppur non allergica a logiche di divisione e condivisione di un potere mediatico, era la produzione di formazione e di informazione: notizie, cultura e società. Il terzo segmento di viale Mazzini ha sempre risposto a un pubblico interessato, di certo appassionato di politica, di spettacolo non becero, di serie tv non ruffiane. Ci sono ancora insediamenti di un’epoca smarrita, forse perché il rinnovamento non è stato mai applicato o forse, piuttosto, perché il rinnovamento è stato applicato male: la mezz’ora di Lucia Annunziata, le inchieste di Milena Gabanelli e Riccardo Iacona, la satira fresca di Gazebo insieme riempiono (bene) un palinsesto, ma non rappresentano il palinsesto. Vuoi incentivare l’approfondimento, che senso ha centellinare le puntate di Gabanelli e Iacona? Vuoi rientrare al centro di dibattito, che senso ha non estendere la mezz’ora di Lucia Annunziata? Vuoi svecchiare il profilo dei telespettatori, che senso ha ridurre (anziché) ampliare lo spazio di Gazebo? IL MESCOLAMENTO dei sapori non dà nessun sapore rilevante: questa è Rai3. Vuoi sperimentare il reality impegnato, si chiamava Masterpiece (ricordate? Se l’avete conosciuto), e perché non insisti, perché non lo mandi in prima serata anche se fa pochi ascolti? Vuoi sfruttare la burocratica, antiquata e barocca macchina redazionale, fai più telegiornali, fai più edizioni locali, fai lavorare quei giornalisti. Ci sono tante maniere per risollevare una rete senza spendere troppi soldi o trovando i soldi da spendere, e Urbano Cairo e La7 lo dimostrano, ma c’è soltanto una maniera scolastica, sesquipedale, per affondare un canale che, per anni, ha svolto quel mistico ruolo di servizio pubblico: non avere idee. Non esiste un giornalista insostituibile, questo lo dicono tutti i direttori che non si sentono sostituibili. Ma se Gli ascolti di venerdì BRASILE-COLOMBIA Spettatori 7,42 mln Share 37,4% PANE AMORE E... Spettatori 1,57 mln Share 7,12% un’azienda comprende che la trattativa con Giovanni Floris è intricata, affannosa, e non ha la volontà (editoriale-economica) per investire su questo conduttore, un minuto dopo, deve annunciare l’alternativa, la soluzione, deve rilanciare. E non deve ordinare semplicemente un trasloco di un collega amico. Gli abbonati vogliono davvero una televisione pubblica votata al risparmio neanche il Mondiale di calcio si può vedere - che offre roba di secondo livello (quando è fortunata)? Quando ragionano di riforma in viale Mazzini (e con scarsa complicità morale), tentano di indossare il coraggio giurando che la vendita di un canale è possibile. Tutto è possibile. Anche se il canale non ha un prezzo se non ha i contenuti, dunque non ha acquirenti. Ogni volta che s’affronta l’ipotesi di cedere un pezzo, si fa il nome di Rai2. E perché no di Rai3? O Rai1? O Rai Sport. Pazienza per i nostalgici: ma se Rai3 non deve avere più un senso, diteci che senso ha il resto? Il resto di cosa, poi? Twitter: @Teccecarlo DUE SETTIMANE PER... Spettatori 2,27 mln Share 10,5% THE LIBRARIAN Spettatori 1,23 mln Share 5,65% 22 SECONDO TEMPO DOMENICA 6 LUGLIO 2014 il Fatto Quotidiano FRANCESCO IN MOLISE TURBOESECUTIVO L’ultima del Governo: riforma della scuola a caso di Furio Colombo S entite questa: “Taglieremo una delle quattro sedi ministeriali, il Palazzo della ricerca, all’Eur, oggi in affitto. Ho scoperto che per i 1.200 dipendenti ministeriali ci sono 80 metri quadrati a testa. Per ogni studente italiano, in classe, ce ne sono otto”. Autore della dichiarazione (che cito da la Repubblica, 2 luglio) è il sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi. Nessuno studente la passerebbe liscia, in un tema scolastico, con un simile salto logico. Infatti a) non sappiamo che cosa è, e che cosa si fa, nel Palazzo della ricerca e se sia uno spreco o una attività indispensabile, con tutta quella gente (1.200) che passa le ore di lavoro nella solitudine di vastissime stanze vuote; b) non sappiamo se il rapporto fra dipendenti e vastità della costruzione sia dovuto alla precedente spensieratezza di una quarantina di governi, oppure se il rapporto 80 metri-una persona sia determinato dal fatto che la costruzione prevede aree vuote per ragioni di progetto (per esempio vastissima area di ingresso, balconi sproporzionati); impossibile vedere la connessione fra gli 80 metri di cui godono i perdigiorno che saranno immediatamente aboliti dal rigoroso sottosegretario, e gli otto metri destinati agli studenti. Il salto logico è pauroso. Come dire che il problema delle carceri troppo affollate si risolve abolendo i saloni troppo grandi del ministero della Giustizia in Via Arenula. PERÒ è un parere autorevole, e i poveri insegnanti dovranno tenerne conto. Pare che Reggi sia il vero riformatore della nuova scuola italiana o così ci viene presentato, e lui incoraggia affermando “Ho scoperto... Che significa una severa ispezione in prima persona in una remota sede ministeriale all’Eur” (Sud di Roma) . Sentite questa. Domanda: “Volete togliere un anno ai licei?” Risposta: “È un’altra scelta europea. E poi se vuoi fare più musica, più storia dell’arte e non hai soldi, devi rimodulare quello che hai”. Quando sia stata compiuta la scelta europea, e se sia vincolante non è detto. Ma è il concetto che spaventa: se tagli un anno di scuola, hai più soldi, se hai più soldi, insegni più e meglio per gli anni che ti restano. Inevitabile una riflessione che sembra sfuggita al riformatore: se invece di un anno se ne tagliano due, il risparmio permetterebbe ancora più musica e più storia dell’arte. Dunque con tre anni di meno si raggiungerebbe una scuola d’eccellenza, anche se resterà qualche ragazzino in più per la strada. L’affermazione, nel Paese europeo che ha la più alta percentuale di abbandono scolastico prima del diploma, appare di una leggerezza allarmante. Ma proprio questo è il tratto tipico del giovane governo Renzi, un tratto che si ripresenta intatto, dopo le prove di chiarezza, rigore logico e consapevolezza delle condizioni reali, dimostrate nella riforma del Senato (composto di sindaci con immunità parlamentare), nella riforma della Pubblica Amministrazione (mobilità forzata dei dipendenti entro cinquanta chilometri), nella legge Franceschini (nei musei pagano soltanto i vecchi) e che già si intravedono nella riforma della Giustizia (soprattutto un bel taglio alle fastidiose intercettazioni). Sono rappresentazioni che puntano a meravigliare, con taglio spettacolare in cui deve Matteo Renzi Ansa COLLAUDATO Il meccanismo renziano è sempre la dichiarazione per meravigliare: dire qualcosa di sorprendente, non necessariamente qualcosa di vero e di utile esserci sempre qualcosa di sorprendente, ma non necessariamente qualcosa di vero e di utile. Soprattutto nessun rapporto con fatti e persone e pubblico realmente coinvolti nei settori “riformati”. Ma nella “Riforma della Scuola” (responsabile il ministro Giannini, direttore dei lavori il sottosegretario Reggi) ci sono altre cose incredibili nel senso di radicalmente separati dalla realtà. Uno è che le supplenze saranno fatte dagli insegnanti già in ruolo e già al lavoro nell’Istituto che ha bisogno di un supplente. In altre parole, il prof Rossi, se necessario (e se non vuole essere trasferito, nell’ambito di 50 chilometri) deve insegnare in Prima A, ma contemporaneamente assumere anche la supplenza della Prima B. Altro che “fermare l’attimo”. UN’ALTRA è che i giorni di scuola passeranno da 208 a 230. Tutti diranno “bravi! così si studia di più!”, dimenticando che, intanto, viene annunciato il taglio niente meno che di un anno intero di liceo, perché altrimenti i soldi non bastano per insegnare musica e storia dell’arte (senza badare al fatto che, nelle scuole italiane, la musica non si insegna). Tra le “idee nuove” per un nuovo mondo della scuola, c’è anche il principio che, in teoria, è possibile compensare i docenti che lavarono di più, pagando qualcosa in più. Non si dice quanto. Si dice però che la decisione spetta ai dirigenti scolastici. Diventano, in tal modo, depositari di un arbitrio che promette tempesta. Ma è bene essere preparati alla vera grande novità: senza soldi e senza supplenti, le scuole non solo funzioneranno 230 giorni e non 208, ma dovranno anche restare aperte dalle ore 7 alle ore 22 di ogni giorno scolastico. Difficile capire che cosa può avere motivato, in un mondo informato di genitori, insegnanti, cittadini, una affermazione così priva di ogni possibile rapporto con la realtà. Ma c’è una risposta. Siamo qui a parlarne. Con l’aiuto dei media, dimenticheremo (salvo le famiglie e gli insegnanti) questi penosi dettagli e sentiremo dire: beh, dopo tutto hanno fatto anche la riforma della scuola. E purtroppo ci saranno giornali che prenderanno tutto come se fosse possibile, come se fosse vero. FATTI DI VITA di Silvia Truzzi n MERCOLEDÌ sulla Stampa Paolo Di Paolo rifletteva sulle letture scolastiche dell’estate, “I libri delle vacanze. Come imparare a odiare i classici”. Si parte da una constatazione: a giugno, nelle classifiche dei libri più venduti si affacciano tre o quattro titoli di Italo Calvino e Se questo è un uomo di Primo Levi. Sono le letture consigliate (o imposte) dalla scuola per le vacanze, il “canone scolastico”. Si domanda Di Paolo se non sia ora di aggiornarlo. Con l’avvertenza che suggerire letture agli studenti è una responsabilità, si veda il caso di Melania Mazzucco che con il suo Sei come sei, storia di un amore omosessuale, ha suscitato un putiferio al liceo Giulio Cesare di Roma. Perché non un saggio scientifico, filosofico, un testo giornalistico, su un tema che appassiona i ragazzi? Perché non organizzare un’assemblea e sceglierlo tutti insieme invece che imporlo dall’alto? Il tema del rapporto tra i classici e la produzione contemporanea al lettore è una vecchia storia. Che ciascuno può riscrivere anche in base al grado d’interesse che prova per l’epoca che gli è coeva. Lavoro, la voce del Papa nel silenzio della politica di Marco Politi S uccede che soltanto il Papa batte insistentemente sul tema della disoccupazione, del precariato, delle generazioni perdute in fila alla mensa dei poveri. Non è un bene. Segnala una sordità insistente delle classi dirigenti politiche, economiche, finanziarie rispetto a una crisi gigantesca che non richiede una generica “ripresa”, ma una reinvenzione del modo di gestire l’economia come fu il New Deal negli Stati Uniti dopo la crisi del 1929. Papa Francesco, nel Molise su invito dell’arcivescovo Giancarlo Bregantini da sempre impegnato sui temi del lavoro e del contrasto alla malavita organizzata, ha invocato una scossa culturale, perché altrimenti dalla grande stagnazione non si esce. “Dio rompe gli schemi”, ha esclamato nel corso dell’incontro con i rappresentanti del mondo del lavoro e dell’industria. “Se non rompiamo gli schemi, non andremo mai avanti. Perché Dio ci spinge a questo, a essere creativi verso il futuro”. È necessario, ha affermato, un “patto per il lavoro”. “Non avere lavoro – ha esclamato – non è soltanto non avere il necessario per vivere, no. Noi possiamo mangiare tutti i giorni: andiamo alla Caritas, andiamo a un’associazione… ci danno da mangiare”. Non è questo il punto. “Il problema è non portare il pane a casa: questo è grave, e questo toglie la dignità! Il problema più grave è la dignità. Per questo dobbiamo lavorare e difendere la nostra dignità, che dà il lavoro”. NON C’È NULLA da aggiunge- re. Vangelo sine glossa (senza ulteriori delucidazioni) dicevano i teologi un tempo. Il punto è l’inerzia della politica. L’inerzia delle classi dirigenti europee nonostante le dichiarazioni ufficiali faticosamente elaborate. Il punto – in Italia – è la scandalosa inerzia del governo nonostante i proclami roboanti di Matteo Renzi. Flashback. Ascoltiamo il premier nel discorso al Senato del 24 febbraio per il voto di fiducia: “Noi partiremo, entro il mese di marzo, con la discussione parlamentare del cosiddetto Piano per il lavoro, che, modificando uno strumento universale a sostegno di chi perde il posto di lavoro, interverrà attraverso nuove regole normative, anche profondamente innovative… Nel piano per il lavoro che presenteremo a marzo ci sarà una sorta di piano industriale per i singoli settori: sulle energie alternative… sulla chimica verde, sull’innovazione tecnologica applicata alla ricerca, sugli investimenti veri e profondi che si possono fare contro il dissesto idrogeologico…”. Non è successo nulla di nulla. Se ne parlerà nel 2015. Niente è cambiato nelle fabbriche di Papa Francesco LaPresse EMERGENZA L’inerzia del governo, nonostante i proclami, è scandalosa. Non è successo nulla. Non c’è un piano per contrastare la disoccupazione schiavi cinesi in Toscana o tra gli schiavi raccoglitori di pomodori a Rosarno o tra i sikh dell’agro pontino, che si drogano per resistere a 12 ore di lavoro quotidiano. Nessun piano per il lavoro per contrastare la disoccupazione giovanile, che raggiunge il 46 per cento. In un paese, dove il precariato ha assunto dimensioni abnormi, l’Uomo del Tweet (che fug- ge dalla conferenza stampa a Bruxelles) ha emanato un decreto che autorizza le aziende a praticare per ben tre anni la servitù del precariato. Come definire altrimenti – se non servitù legale – la situazione di chi fa lo stesso lavoro del “compagno di banco” e prende molto meno soldi grazie a contratti fasulli pensati per una flessibilità fasulla (perché le attività cui si dedicano i precari sono del tutto “stabili” per anni). Che cosa fa il governo Renzi per questi ventenni-trentenni, nel frattempo anche quarantenni, se non seminare slogan, speculando sul loro disperato bisogno di speranza per acchiappare voti? ASCOLTANDO il Papa, rileg- gendo le encicliche sociali di Giovanni Paolo II e la Caritas in veritate di Benedetto XVI, si coglie il senso di una solida “cultura della società”, una cultura del bene comune. Una visione di criteri e valori intorno a cui organizzare il vivere insieme. Una visione del genere nel Telemaco de noantri e nella sua piccola corte è difficile trovarla. Il dramma sta qui. Il “Salvatore”, verso cui tutti si rivolgono ansiosamente, sa maneggiare efficacemente gli strumenti del potere e della comunicazione. Altro non ha in testa. Ma è privo – anche ambienti tradizionalmente moderati se ne stanno accorgendo a malincuore – di una autentica e rinnovatrice cultura di governo. Si guardino i gesti concreti attraverso cui costruisce alleanze di potere. Niente Google-Tax sui profitti miliardari tramite internet, niente Imu-Tasi alle scuole private per accontentare la gerarchia cattolica, niente Imu-Tasi alle cliniche private convenzionate nonostante le rette altissime, esaltazione del modello Marchionne che rifiuta il contratto nazionale e le norme di Confindustria e si irrita delle regole Consob, robusti regali alle banche attraverso la rivalutazione delle quote Bankitalia. Omero c’entra poco, il destino dei precari ancora meno. Galleggino come possono. Il dibattito sull’utilità dei classici della letteratura? Per favore no Riguardo al canone scolastico però valgono anche altre considerazioni. Da quando ho memoria sento dire che è incomprensibile il motivo per cui al ginnasio ti fanno leggere I promessi sposi: noioso, arcaico, intriso di retorica cattolica. Che dovremmo leggere al liceo, Va’ dove ti porta il cuore? Senza dire che una sola lettura del romanzo manzoniano non basta, né a capirlo né ad amarlo come merita. E infatti l’approccio scolastico dovrebbe essere un’iniziazione. Su questo concetto s’innesta la questione delle letture sui banchi: se non cresci in una famiglia dove circolano libri, la scuola ha anche questa responsabilità. La formazione ha soprattutto il compito di fornire strumenti per la costruzione di uno spirito critico che diventi bussola, anzi navigatore satellitare per orientarsi. Sul rapporto tra sesso e potere ha certamente più da dire (e con che meraviglia!) Splendori e miserie delle cortigiane di Balzac di Cinquanta sfumature di grigio, per restare nel campo dei bestseller. Le cronache dei giornali sono piene di scandali finanziari, speculazioni che travolgono piccoli risparmiatori: esattamente ciò di cui si occupa Zola ne L’Argent. Sono solo due esempi per dire che classico non è affatto sinonimo di vecchio, semmai di universale. Forse, è un’ipotesi, i professori fanno leggere agli studenti Il barone rampante perché racconta con grazia la ribellione, l’individuazione, l’isolamento adolescenziale. NEL 1981 lo stesso Calvino scrisse un articolo sull’Espresso, Italiani vi esorto a leggere i classici. “Citerò Cioran: ‘Mentre veniva preparata la Cicuta, Socrate stava imparando un’aria di flauto. A cosa ti serve, gli fu chiesto. A sapere quest’aria prima di morire’”. L’idea dell’utilità necessaria è una delle più grandi scemenze del tempo presente. La citazione di Cioran risponde benissimo anche a un’affermazione finale (e incomprensibile) di Di Paolo: “Il vecchio e sterile slogan sul ‘piacere della lettura’ non ha nessun effetto: è ora di abbandonarlo, e di concentrarsi sulle ragioni per cui vale la pena leggere”. Gratuitamente, per puro piacere, si fanno ovviamente le cose più gustose. @silviatruzzi1 n SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano DOMENICA 6 LUGLIO 2014 23 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo Comico, scrittore... Minchia signor Faletti La morte di Giorgio Faletti mi ha provocato un profondo dispiacere. Ma quello che proprio non capisco è lo sforzo di molti commentatori di mettere insieme la sua carriera da comico, con quella di scrittore, come se ironia e cultura fossero caratteristiche incompatibili tra loro e ci volesse un certo impegno per farle combaciare. A me invece è capitato quasi sempre di trovare nelle persone più profonde, anche un aspetto gioviale. E questo abbinamento simpatia-intelligenza si vede anche in molti personaggi pubblici. Basti pensare alla famosa foto della linguaccia di Einstein o per rimanere ai nostri giorni, la perfetta coerenza dell’irresistibile Serra di Cuore con quello maturo dei commenti politici; il Benigni pirotecnico della battuta e insieme commovente cantore di Dante. E tanti altri. Diffido invece di chi si sente un intellettuale serioso, sempre intento a sorvegliarsi perché non gli sfugga una risata o una battuta. Pensando così di essere intellettualmente fotogenico. Ciao, caro Faletti, grazie per le risate del Drive in, per i tuoi gialli e per averci inchiodato sulla sedia cantando “Signor Tenente”. convincono solo che siamo un paese alla fame o che gli italiani hanno come metro di giudizio il denaro. Quest’ultima ipotesi sarebbe peggio della prima. Oltre l’immunità per i non eletti al possibile futuro Senato aspettiamoci, allora, anche di peggio. Roberto Maria Bacci Di che morte moriremo in Europa? L’Europa sembra lontana ma mentre migliaia di Gas (gruppi di acquisto solidale) in Italia stanno migliorando la loro alimentazione con l’uso di prodotti biologici a km 0, a New York una commissione europea sta trattando con gli Stati Uniti perché migliaia di sostanze chimiche potenzialmen- difendere l’economia del sistema sanitario con il controllo sui prezzi dei farmaci per l’immissione nel prontuario della mutua e stanno lavorando perché questo possa essere giudicato dal tribunale estero più compiacente come un attentato al libero commercio. Secondo il mandato dell’unione europea l’accordo deve fornire il più alto livello possibile di protezione giuridica. Tutti i documenti di questo trattato transatlantico (Ttip) devono rimanere confidenziali per garantire un clima di fiducia fra i negoziatori in altre parole deve svolgersi in segreto. Ma i cittadini dell’Europa hanno il diritto di sapere di che morte moriranno visto che verranno Dna, ciò che dice, ciò che tace CARO FURIO COLOMBO sono un ricercatore della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Sapienza di Roma e sento la necessità di chiarire qualcosa sul Dna e le infinite discussioni nelle inchieste. Non vi è dubbio che la prova del Dna identifichi con precisione un individuo. Quello che nessuno dice, compresi gli inquirenti, è che il Dna è facilmente ottenibile e trasportabile, per esempio il Dna di una persona estranea sul corpo della vittima. La domanda degli inquirenti dovrebbe essere non se il Dna corrisponde in modo perfetto a un’ipotesi di indagine, ma come è arrivato nel punto e sul corpo in cui è stato trovato. a prove certe ma di incerta provenienza, stanno preparando la strada a una poderosa difesa capace di smontare una costruzione che sembra nascere perfetta. Improvvisamente però si allarga, come se la rigorosa indagine fosse sfuggita al controllo tecnico e giuridico per cedere alle esigenze (molto più folcloristiche) dello spettacolo. Purtroppo, come era già accaduto con il caso Amanda Knox, i media sono a disposizione per offrire palcoscenico, tempo e spazio alle persone che ricordano tante cose così tanto tempo dopo e solo dopo la prova del Dna. Non per buttare tutto in politica, ma senza dubbio l’esondazione di una inchiesta che sembrava nata sobria e rigorosa, comincia nell’istante in cui Angelino Alfano, il più inadeguato ministro degli interni italiano dopo Maroni, reclama il merito di avere scovato il colpevole della morte di Yara, parla in modo intempestivo, aggiunge notizie e dettagli che non sono ancora divulgabili o confermati, provocando il furore (giusto, adesso si capisce) dei giudici che stavano lavorando al caso ed erano giunti a una svolta. Giudici e carabinieri avevano ragione di indignarsi: da quel momento la rigorosa e pazientissima ricerca diventa un circo. E la domanda della dottoressa Bianchini nella lettera qui pubblicata è legittima. Non fa che anticipare, con buon senso, oltre che per esperienza scientifica, ciò che dirà la difesa. Al momento, se c’è un colpevole sicuro (quanto meno di danno alle indagini) è Angelino Alfano. Gabriella Bianchini COME ACCADE RARAMENTE in questa rubrica indico il nome completo di chi ci scrive perché la lettera è documento di esperienza scientifica e chiede attenzione e precisione. La lettera infatti riporta alla mente quella sequenza di prove scientifiche e clamorose contraddizioni che hanno segnato in modo così negativo tutte le fasi del processo Amanda Knox. Ciò che, come in quel processo, si nota nell’inchiesta Yara è la concitazione, l’enfasi sui dettagli, la pioggia di rivelazioni, dove fatti scientifici (il Dna) fatti caratteriali (il presunto colpevole certe sere non stava a casa) e una pioggia di testimonianze e ricordi trattenuti per quattro anni e finalmente liberati, si accumulano intorno a una ipotesi che è cruciale ma troppo discussa in pubblico. Anche coloro che si sono già persuasi del muratore mostro devono avere notato che tutte queste rivelazioni e improvvise testimonianze che si aggiungo la vignetta Massimo Marnetto DIRITTO DI REPLICA Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] 80 euro non bastano per convincermi di Renzi All’azzardo della sua politica, Renzi regala l’immunità ai Senatori del possibile futuro Senato di non eletti. Mi piacerebbe sapere se il 40,8% degli italiani che hanno votato Pd nelle ultime elezioni europee condividono la scelta. Vedo un Renzi sempre più appiattito agli equilibri del potere e agli interessi di casta. Dall’inizio nutro dubbi sulla persona Renzi e ancora oggi non c’è nulla che riesca a farmi cambiare opinione. Gli 80 euro nelle buste paga, ma non di tutti, mi te pericolose entrino nella loro catena alimentare in nome del libero commercio. Nessuno stato potrà più limitare l’ingresso degli Ogm. I sognatori vorrebbero unificare le tutele dei lavoratori in tutti i paesi dell’Europa e a New York si sta lavorando per un’erosione dei diritti dei lavoratori. Molti hanno difeso la libertà su Internet e si sta lavorando per rendere più vincolante la difesa della proprietà intellettuale. Si sta tentando di toccati i diritti di tutti? Non è il caso che gli europei si muovano insieme? Luciano Mignoli Il movente dei ladri all’insegna dell’odio Davvero i corrotti rubano solo per farsi la villa al mare, o perché obbligati dal sistema? Secondo me i corrotti che stanno rovinando l’Italia sono mossi da un sentimento di cui nessuno parla. L’odio. Un funzionario pubblico, per tradire l’istituzione per cui lavora, la deve prima detestare. O forse detesta l’intero ambito professionale in cui lavora, o addirittura l’Italia. L’odio, il nemico immaginario, offrono un solido alibi alla coscienza dei ladri, una giustificazione verso se stessi. Ma vista la quantità di scandali, io credo che l’odio dia anche la forza per rubare. Per violare la legge, per tramare nell’ombra, per mettersi soldi non propri in tasca, ci vuole il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Condirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Caporedattore Edoardo Novella Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente:Antonio Padellaro Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Luca D’Aprile, Peter Gomez, Marco Tarò, Marco Travaglio, Lorenzo Fazio coraggio. Ci vuole una motivazione sufficiente per assumersi tali rischi. E a mio avviso, è il disprezzo verso il proprio Paese e verso tutti noi, il movente decisivo. Francesco Degni “Tu uomo bianco parli con lingua biforcuta” Oggi ho ascoltato la frase di Matteo Renzi in presenza di Manuel Barroso. “L’Europa deve avere la capacità di coinvolgere i cittadini Europei’’. Bella frase ma chissà per- ché mi sono venuti in mente quei western dove i pelle rossa dicevano “tu uomo bianco parli con lingua biforcuta”. Renzi mi deve spiegare perché tratta gli italiani da pellerossa visto che con le sue “controriforme” costituzionali sta facendo esattamente il contrario di quello che dichiara per l’Europa. Li sta escludendo del tutto dalle decisioni politiche nazionali. Con i deputati nominati e il senato elettivo abolito. A pag 9 del Fatto si legge il seguente titolo: “Ronchi mente. Non siamo noi i più inquinati”, poi si legge: “Trento, sebbene abbia dei valori lievemente superiori alla media, se comparata con le altre regioni italiane, non è fra le province dove è maggiore la presenza di IPA” che riflette esattamente quello che avevo detto. E cioè: l’aria di Trento è buona nonostante il livello degli IPA sia alto. Facevo questo esempio non per sostenere che Trento sia inquinata, ma, all’opposto, per sostenere lo scarso significato del valore degli IPA (idrocarburi policiclici aromatici), famiglia molto ampia che comprende centinaia di sostanze, poche delle quali sono pericolose: per questo gli IPA non sono regolati né con obiettivi di qualità, né con limiti di legge. Quanto all’intervista a Bonelli, agli insulti non rispondo: del resto nella vita valgono i fatti e forse qualcuno è in grado di confrontare ciò che ha fatto lui e quello che ho fatto io per l’ambiente e trarre qualche conclusione. Mi basta ricordare che c’è un comunicato scritto del Wwf, di Legambiente e di Greenpeace nazionali che chiedono la mia riconferma a Commissario per l’ambiente dell’Ilva. Ho distribuito una relazione ufficiale dell’Arpa sulla qualità dell’aria a Taranto nel 2013. Non ho mai sostenuto che il piombo non sia pericoloso, anzi ho detto che lo è sicuramente ,specie per i bambini. Sull’Ilva ho detto che “esce di tutto” anche se non ricordo quantità di piombo. Non dispongo ora, da quando ho lasciato l’incarico all’Ilva, dei dati diretti aggiornati sulle emissioni reali per fare una verifica. Ma mi riservo di informarmi. Edo Ronchi Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e Prezzo 290,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e Prezzo 170,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento digitale settimanale Prezzo 4,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale mensile Prezzo 12,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale semestrale Prezzo 70,00 e • Abbonamento digitale annuale Prezzo 130,00 e Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: [email protected] • Servizio clienti [email protected] MODALITÀ DI PAGAMENTO • 7 giorni • 7 giorni * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. 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Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione: ore 22.00 Certificato ADS n° 7617 del 18/12/2013 Iscr. al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599 • Bonifico bancario intestato a: Editoriale Il Fatto S.p.A., BCC Banca di Credito Cooperativo Ag. 105, 00187 Roma, Via Sardegna n° 129 Iban IT 94J0832703239000000001739 • Versamento su c. c. postale: 97092209 intestato a Editoriale Il Fatto S.p.A. 00193 Roma , Via Valadier n° 42, Dopo aver fatto il versamento inviare un fax al numero +39 06 92912167, con ricevuta di pagamento, nome, cognome, indirizzo, telefono e tipo di abbonamento scelto • Pagamento direttamente online con carta di credito e PayPal.