Mondiali in Brasile, si temeva la protesta per le spese pazze della Coppa del Mondo. Per ora gli unici cortei sono sotto l’ospedale di Neymar
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Domenica 6 luglio 2014 – Anno 6 – n° 184
e 1,30 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA
DIALOGO
TRA UN GUFO
E IL 40,8%
Ecco cosa accadrà se le “riforme” di Renzi, Berlusconi & C. entreranno in vigore: un regime da
“uomo solo al comando” senza opposizioni né controlli né garanzie. Cari lettori, scriveteci il vostro
pensiero sul modo migliore di opporci al rischio di questo disegno incostituzionale e piduista
» pag. 2 - 3
di Antonio Padellaro
di Marco Travaglio
oi Gufi non vi rassegnate
V
mai eh, sempre a parlare
male di Renzi, sempre a cerca-
1.
re qualcosa che non va, a spaccare il capello in quattro, a fare
gli spiritosi perfino quando il
premier da solo prende di petto
coraggiosamente i tedeschi e
la potentissima Bundesbank e
dice che l’Europa è dei cittadini
e non dei banchieri.
Parole sacrosante, ma osserviamo che andrebbero dette
ai tanti italiani vessati dalle
banche, quelli a cui il governo del Renzi medesimo si
appresta a dare il colpo di
grazia reintroducendo l’infame anatocismo, cioè gli interessi pagati sugli interessi,
vero strozzinaggio di Stato.
È stato già precisato che quella
norma sarà tolta, ma per voi
esistono solo le brutte notizie.
Del resto al “Fatto” vivete di
quelle: tanto peggio tanto meglio, non è vero?
Se e quando l’infamia sarà
eliminata lo scriveremo volentieri, i giornali dovrebbero servire a denunciare le
storture, non a pubblicare le
veline governative.
Ma quali veline, l’informazione dovrebbe farsi carico dello
sforzo del premier e dei suoi
ministri per superare una crisi
devastante. Dovreste scrivere
piuttosto che la Borsa ha ripreso a crescere così come l’interesse dei grandi investitori per
il nostro Paese. L’Italia cambia
verso non è solo uno slogan.
Segue a pag. 2 - 3
CAMERA. Con l’Italicum e le sue liste bloccate, sarà ancora composta
da 630 deputati nominati dai segretari dei partiti più grandi. Quelli medio-piccoli saranno esclusi da soglie di accesso altissime. Il primo classificato (anche col
20%) avrà il 55% e potrà governare da solo,
confiscando il potere legislativo, che di fatto
coinciderà con l’esecutivo a colpi di decreti e
fiducie.
2.
SENATO. Con la riforma costituzionale, sarà formato da 100 senatori non eletti: 95 scelti dai consigli
regionali (74 tra i consiglieri e 21 tra i sindaci) e 5 dal Quirinale. Sarà dominato dal primo partito e comunque non potrà più controllare il governo: niente fiducia né voto sulle leggi (solo pareri non vincolanti, salvo per
le norme costituzionali).
3.
OPPOSIZIONE. I partiti di opposizione saranno decimati dall’Italicum. I dissenzienti dei partiti governativi potranno essere espulsi e sostituiti
in commissione (vedi Mauro e Mineo). La
“ghigliottina” entra in Costituzione: corsia
preferenziale per le leggi del governo da approvare in 2 mesi, con divieto di ostruzionismo e emendamenti strozzati.
4.
5 li designano le supreme magistrature). Difficile che la Consulta possa ancora bocciare
leggi incostituzionali o dar torto al potere politico nei conflitti con gli altri poteri dello Stato.
6.
CAPO DELLO STATO. Se lo sceglierà il capo del governo e del primo partito dopo il terzo scrutinio,
quando la maggioranza dei 2/3 scende al
51%. Col 55% dei deputati, gli basteranno
33 senatori. Dopo il precedente presidenzialista di Napolitano, il Colle potrà arrogarsi
enormi poteri d’interferenza in tutti i campi,
giustizia in primis.
CSM E MAGISTRATI. Anticipando la pensione delle toghe da 75 a
70 anni, il governo decapita gli uffici giudiziari. I nuovi capi li nominerà il nuovo Csm, con 1/3 di laici vicini al governo e un
presidente e un vice fedelissimi al governo,
previo ok del Guardasigilli. Progetto di dirottare i giudizi disciplinari dal Csm a un’Alta
Corte per 2/3 politica, cioè governativa.
5.
PROCURATORI E PM. Dopo la lettera di Napolitano e il voto del Csm
sul caso Bruti-Robledo, il procuratore capo diventa padre-padrone dei pm, pri-
CORTE COSTITUZIONALE. Il governo controllerà 10 dei 15 “giudici
delle leggi”: i 5 nominati dal Parlamento e i 5 scelti dal capo dello Stato (gli altri
ISTRUZIONI PER L’USO
7.
vati dell’autonomia e dell’indipendenza “interne”. Per assoggettare Procure e Tribunali,
basterà controllare un pugno di capi, senza
più il bilanciamento del “potere diffuso” dei
singoli pm.
8.
IMMUNITÀ. Superata dai tempi e
screditata dagli abusi, l’immunità
parlamentare da arresti e intercettazioni rimane financo per i senatori non più
eletti. Il voto a maggioranza semplice consente al governo di mettere in salvo i suoi
uomini alla Camera e di nominare senatori
“scudati” i sindaci e i consiglieri regionali nei
guai con la giustizia.
9.
INFORMAZIONE. Senza abolire
la Gasparri né toccare i conflitti
d’interessi, la tv rimane proprietà
» A GAMBA TESA » Verso il nuovo Consiglio superiore
Csm, la campagna
elettorale via sms
del sottosegretario
Alla vigilia dell’elezione dei nuovi componenti, Cosimo Ferri (Giustizia)
scatenato: spinge i “suoi” candidati di Magistratura Indipendente, alla faccia
Mascali » pag. 4
della separazione dei poteri e del conflitto d’interessi
Vespa, “il Fatto”
e il contratto
a sua insaputa
Palombi e Tecce » pag. 5
IL VIDEO ONLINE
Se il Califfo
al-Baghdadi
arriva a Roma...
Stefano Disegni » pag. 11
dei partiti: il governo domina la Rai (rapinata di 150 milioni e indebolita dall’evasione del canone) e B. controlla Mediaset.
I giornali restano in mano a editori impuri:
aziende perlopiù ricattabili dal governo e
bisognose di aiuti pubblici per stati di crisi
e prepensionamenti.
10.
CITTADINI. Espropriati
del diritto di scegliere i
deputati e di eleggere i
senatori, oltreché della sovranità nazionale (delegata a misteriose autorità europee), non avranno altre armi che i referendum abrogativi (sempre più spesso bocciati dalla Consulta) e le leggi
d’iniziativa popolare: ma per queste la
riforma costituzionale alza la soglia da
50 a 250 mila firme.
VOCI LIBERE
A TU PER TU
Biagi: “Garibaldi,
la mia Rai
e quell’editto
del piccolo uomo”
D’Agostino: “Io,
‘spia’ dei potenti
tra Dago e la sfiga
di Gianni Agnelli”
Mazzetti » pag. 12 - 13
Pagani » pag. 16 - 17
Udi Furio Colombo
SCUOLA,
LA RIFORMA
SI FA A CASO
» pag. 22
LA CATTIVERIA
Papa Francesco arriva
in Molise
“Visto che esiste?”
» www.spinoza.it
2
DEMOCRAZIA
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
M
inzolini teme
il tweet #forzaitalia
staiserena
IO MI FIDO dei miei interlocutori e
sono convinto che sulle riforme sia
indispensabile dialogare con tutti.
Ma non sono un grullo e non vorrei
mai ritrovarmi a leggere un tweet di
Matteo Renzi come “forzaitaliastaiserena”. Insomma, non intendiamo
fare la fine di Enrico Letta”. Il se-
natore Augusto Minzolini (Fi), intervistato dal Messaggero, riflette
così sull’accordo sulle riforme. “C’è
una cosa che proprio non comprendo: Renzi”, continua l’ex direttore
del Tg1, “è estremamente puntiglioso sulla non elettività dei senatori.
Ma al governo deve interessare il
il Fatto Quotidiano
superamento del bicameralismo
perfetto. Che il Senato sia elettivo o
meno, non è essenziale. A meno che
non sia frutto di un calcolo: la riforma potrebbe essere approvata
già a gennaio. A quel punto, in teoria, si potrebbe anche votare. Ma
non con un Senato elettivo che non
è contemplato dall’Italicum”. Minzolini in Senato guida la fronda azzurra contro l’accordo sulle riforme.
“Non vorrei”, conclude il senatore,
“che la non elettività del Senato sia
una via di fuga per il governo, se le
cose non andassero per il verso di
Renzi”.
L’UOMO SOLO AL COMANDO
IL PACCHETTO ISTITUZIONALE DI RENZI & B. MINA IL SISTEMA DI CONTRAPPESI FRA POTERI DELLO STATO
di Marco Travaglio
U
nendo i puntini delle
varie riforme vaganti
tra governo e Parlamento, costituzionali
e ordinarie, ma anche di certe prassi
quotidiane passate sotto silenzio
per trasformarsi subito in precedenti pericolosi, come le continue
interferenze del Quirinale nell’autonomia del Parlamento, della magistratura e della stampa, viene
fuori un disegno che inquieta. Una
democrazia verticale, cioè ben poco democratica: sconosciuta, anzi
opposta ai principi ispiratori della
Costituzione, fondata invece su un
assetto orizzontale in ossequio alla
separazione e all’equilibrio dei poteri. Ce n’è abbastanza per dare ragione all’allarme inascoltato dei
giuristi di Libertà e Giustizia sulla
“svolta autoritaria”. All’insaputa
del popolo italiano, mai consultato
sulla riscrittura della Costituzione,
e fors’anche di molti parlamentari
ignoranti o distratti, il combinato
disposto di leggi, decreti e prassi –
di per sé all’apparenza innocue – rischia di costruire un sistema illiberale e piduista fondato sullo strapotere del più forte e sul depotenziamento degli organi di controllo e
garanzia. Il pericolo è una dittatura
della maggioranza (“democratura”, direbbe Giovanni Sartori) a disposizione del primo “uomo solo al
comando” che se ne impossessa,
diventando intoccabile, incontrollabile, non contendibile, dunque invincibile. Vediamo come e perché.
Nella speranza di suscitare un dibattito fra i lettori e nel Palazzo. Prima che sia troppo tardi.
1. CAMERA. La legge elettorale
Italicum made in Renzi, Boschi,
Berlusconi e Verdini conferma
le liste bloccate (incostituzionali) del Porcellum, con la sola differenza che saranno un po’ più
corte. La sostanza è che i 630 deputati saranno ancora nominati dai segretari dei partiti maggiori. Quelli medio-piccoli in-
vece resteranno fuori da Montecitorio grazie a soglie di sbarramento spropositate: 4,5% per
quelli coalizzati, l’8% per quelli
che corrono da soli e il 12% per
le coalizioni. Per ottenere subito il premio di maggioranza, il
primo partito (o coalizione) deve raccogliere almeno il 37% dei
voti: nel qual caso gli spetta il
55% dei seggi, pari a 340 deputati. Se invece nessuno arriva al
37%, i primi due classificati si
sfidano al ballottaggio e chi vince (con almeno il 51%, è ovvio)
incassa 327 deputati. Cioè: chi
ha meno voti (37% o più) ha più
seggi e chi ha più voti (51% o
più) ha meno seggi. Una follia.
Ma non basta: prendiamo una
coalizione con un partitone al
20% e cinque partitini al 4% ciascuno. Totale: 40%, con premio
al primo turno. Siccome nessuno dei partitini alleati supera il
“DEMOCRATURA”
Il suo modello
è un super-premier
senza opposizione
Una pericolosa
dittatura
della maggioranza
4,5%, il partito del 20% incamera il 55% dei seggi. E governa da
solo, confiscando il potere legislativo, che di fatto coincide con
l’esecutivo a colpi di decreti e fiducie.
2. SENATO. Con la riforma costituzionale, il “Senato delle
Autonomie” sarà formato da
100 senatori non eletti: 95 saranno scelti dai consigli regionali (74 tra i consiglieri e 21 tra i
sindaci) e 5 dal Quirinale (più i
senatori a vita). Sindaci e con-
siglieri scadranno ciascuno insieme alle rispettive giunte comunali e regionali, trasformando Palazzo Madama in un albergo a ore: andirivieni continuo e maggioranze affidate al
caso, anzi al caos. Di norma anche il Senato sarà appannaggio
della maggioranza di governo.
E comunque non potrà più controllare l’esecutivo: i senatori
non voteranno più la fiducia né
saranno chiamati ad approvare,
emendare, bocciare le leggi.
Esprimeranno solo pareri non
vincolanti, salvo per le norme
costituzionali. E seguiteranno a
eleggere con i deputati il capo
dello Stato e i membri del Csm e
della Consulta di nomina parlamentare.
3. OPPOSIZIONE. Nell’unico
ramo del Parlamento ancora
dotato del potere legislativo,
cioè la Camera, i dissensi interni ai partiti di governo potranno essere spenti con il metodo
Mineo e Mauro: chi non garantisce il voto favorevole in commissione alle leggi volute dall'esecutivo sarà essere espulso e
sostituito da un soldatino del
premier. Quanto al dissenso
esterno, i partiti di opposizione
saranno in parte decimati dalle
soglie dell’Italicum. Per i superstiti, la riforma costituzionale
disarma le minoranze istituzionalizzando la “ghigliottina” calata dalla presidente Laura Boldrini contro il M5S che tentava
di impedire la conversione in
legge del decreto-regalo alle
banche: corsia preferenziale per
i ddl e i dl del governo, che andranno subito all’ordine del
giorno per essere approvati entro due mesi, con sostanziale divieto di ostruzionismo e strozzatura degli emendamenti.
4. CAPO DELLO STATO. Malgrado lo snaturamento del Senato, che finora contribuiva per
1/3 all’Assemblea dei mille
grandi elettori (nel 2013 erano
319 senatori, 630 deputati e 58
delegati regionali) e in futuro
sarà relegato al 10%, nessuna
modifica è prevista per l’elezione del presidente della Repubblica. Quindi potrà sceglierselo
il premier (anche se ha preso
soltanto il 20% dei voti) dopo il
terzo scrutinio, quando la maggioranza dei 2/3 scende al 51%.
Forte del 55% dei deputati da lui
nominati, gli basteranno 33 senatori per raggiungere la maggioranza semplice dell’Assemblea e mandare al Quirinale un
suo fedelissimo. Il che trasforma il ruolo di “garanzia” del
Presidente in una funzione gregaria del governo e della maggioranza: il capo del primo partito si sceglie il capo dello Stato
che poi lo nomina capo del governo e firma i suoi ministri e
poi le sue leggi e decreti. Inoltre,
dopo il precedente “monarchico-presidenzialista” di Napolitano, a colpi di invasioni di
campo, il nuovo inquilino del
Quirinale potrà arrogarsi enormi poteri d’interferenza in tutti
i campi, giustizia in primis.
5. CORTE COSTITUZIONALE.
Se tutto cambia nella selezione
di deputati e senatori, nulla
cambia nell’elezione dei giudici
costituzionali. Chi va al governo con l’Italicum (anche col
20% dei voti) controllerà direttamente o indirettamente ben
10 dei 15 giudici costituzionali:
i 5 nominati dal Parlamento e i 5
scelti dal capo dello Stato (gli altri 5 li designano le varie magistrature). Così, occupati i poteri
esecutivo e legislativo, il premier espugna anche il supremo
organo di garanzia costituzionale. E sarà molto difficile che la
Consulta possa ancora bocciare
le leggi incostituzionali, o dare
torto al potere politico nei conflitti di attribuzione con gli altri
poteri dello Stato.
6. CSM E MAGISTRATI. Anche
la norma del governo Renzi che
anticipa la pensione dei magi-
strati dagli attuali 75 anni a 70
può diventare una lesione
dell’indipendenza della magistratura. Il risultato infatti è la
decapitazione degli uffici giudiziari, guidati perlopiù da magistrati ultrasettantenni. E i nuovi
capi di procure, tribunali e Cassazione li nominerà il nuovo
Csm, che sarà eletto nei prossimi giorni: per 2/3 (membri togati) dai magistrati e per 1/3
(membri laici). I laici, dopo l’accordo Renzi-B., saranno tutti
(tranne forse uno indicato dai
5Stelle) di osservanza governativa. Tra questi verrà poi scelto
il vicepresidente, indicato dal
premier, mentre il presidente
sarà Napolitano e poi il suo successore, anch’egli di stretta obbedienza renziana. Così i nuovi
vertici della magistratura li sceglierà il Csm più “governativo”
degli ultimi 40 anni, previo
“concerto” del ministro della
Giustizia Orlando. Ad aumentare l’influenza politica c’è poi il
SEGUE DALLA PRIMA
di Antonio
Padellaro
Il Gufo a colloquio con il 40,8%
ffettivamente in tema di slogan e di annunci Renzi
E
conosce pochi rivali. Per non parlare del famoso cronoprogramma. A febbraio le riforme, a marzo il lavoro, ad
aprile la pubblica amministrazione, a maggio il fisco, a giugno la giustizia, boom. Molte “linee guida”, molte conferenze stampa corredate da effetti speciali. Per fare una
legge non basta comunicarla, ma bisogna che diventi operativa, che faccia sentire i suoi effetti nella vita reale e non
solo nei titoli dei tg.
In pochi mesi Renzi sta facendo una rivoluzione che non si era vista
in vent’anni. Non è colpa sua se la velocità con cui agisce non è
quella del Parlamento e di certe conventicole che anche nel Pd
cercano di creare problemi per conservare i loro piccoli privilegi.
Quando ha potuto decidere da solo, dieci milioni di italiani hanno
ricevuto e continueranno a ricevere 80 euro in più nella busta paga.
IL 40,8%: DOPO C’È SOLO IL DILUVIO
Voi del “Fatto” dovete avere più rispetto
per gli 11 milioni e 173 mila elettori che hanno votato
l’ultima ciambella di salvataggio per non annegare
Voi Gufi dicevate che erano solo promesse elettorali: dovreste
chiedere scusa piuttosto che seminare dubbi.
È vero, gli 80 euro promessi da Renzi sono stati mantenuti,
un colpo elettorale magistrale che alle Europee gli ha fatto
piovere addosso un plebiscito di voti. Chapeau. Tutti gli
indicatori della crisi continuano tuttavia ad annunciare burrasca: la crescita non si vede, i giovani senza lavoro sono la
maggioranza e mancano perfino i soldi per la cassa integrazione. Sono disastri che Renzi ha ereditato, ma non si
dica che è l’uomo dei miracoli. Quanto alle conventicole, è
lui che dopo aver proclamato ai quattro venti la rottamazione della vecchia classe dirigente, non ha fatto altro che
arruolare mandarini e ras del potere locale. Grazie a loro ha
stravinto le primarie, ma questa è gente che poi presenta il
conto.
discutere. Questa dell’ultima speranza è una furbata che non
fa onore a Renzi e a chi la spaccia quotidianamente come
vera, giornaloni compresi. In una democrazia degna di questo nome, non esistono uomini della Provvidenza. Quelli
che abbiamo conosciuto, da Mussolini a Berlusconi, hanno
fatto solo disastri. Nessuno se lo augura, ma se Renzi dovesse
fallire una democrazia degna di questo nome dovrebbe avere non una ma dieci alternative. Come avverrà in America
per il dopo Obama o in Francia per il dopo Hollande o in
Germania per il dopo Merkel. Lì nessuno si fascia in anticipo
la testa dicendo: poveri noi come faremo? In Italia il problema è un altro: con le cosiddette riforme istituzionali si
cerca unicamente di blindare il potere dell’uomo di Rignano
in modo da renderlo inattaccabile per un decennio almeno.
È un progetto condiviso da molti dentro e fuori l’Italia: dal
Per carità, se siamo al “dopo di me il diluvio”, è inutile
IL GUFO: UNTI DAL SIGNORE NON SERVONO
In una democrazia degna di questo nome non esistono
uomini della Provvidenza. Quelli che abbiamo conosciuto,
da Mussolini a Berlusconi, hanno fatto solo disastri
In quel 40,8 per cento raccolto da Renzi non c’è solo l’apprezzamento per gli 80 euro che comunque rappresentano una svolta
storica visto che c'è un governo che dà invece di prendere. Dovreste,
invece, avere più rispetto per gli 11 milioni e 173 mila elettori che
votando Renzi hanno votato l’ultima ciambella di salvataggio per
non annegare. Voi lo criticate anche quando starnutisce, ma se lui
fallisce per l’Italia è davvero la fine e questo la gente l’ha capito.
AUTORITARIA
il Fatto Quotidiano
Iauspica
l blog di Grillo
referendum
e prevede conflitti
C’È UNA POSSIBILITÀ che alla votazione in Senato le modifiche costituzionali non ottengano i 2/3 e se ciò
accadrà la Costituzione renziana dovrà andare al referendum confermativo. È quanto auspica, sul blog di
Grillo, Viviana Vi in un post dal titolo
“Democrazia in pericolo”: “Una volta
FATECI LARGO
Matteo
Renzi e, a sinistra, Napolitano
Nei tondi: Vietti, Boschi, B.,
Finocchiario e Bruti Liberati
progetto ideato da Violante e
ventilato da Renzi di togliere al
Csm i procedimenti disciplinari di secondo grado per far giudicare i magistrati da un’Alta
Corte nominata per 1/3 dal Parlamento e per 1/3 dal Quirinale,
cioè a maggioranza partitica.
7. PROCURATORI E PM. Per
normalizzare le procure della
Repubblica non c’è neppure bisogno di una legge: basta la lettera di Napolitano al vicepresidente del Csm Vietti che ha modificato il voto del Csm sul caso
Bruti Liberati-Robledo e ha imposto una lettura molto restrittiva dell’ordinamento giudiziario
Mastella-Castelli
del
2006-2007: il procuratore capo
diventa il padre-padrone dell'azione penale e dei singoli pm,
che vengono espropriati della
garanzia costituzionale di autonomia e indipendenza “interna” (contro le interferenze e i
soprusi dei capi). Secondo il
Quirinale, “a differenza del giu-
dice, le garanzie di indipendenza ‘interna’ del Pm riguardano
l’Ufficio nel suo complesso e
non il singolo magistrato” (e
chissà mai chi può insidiare
l’indipendenza “interna” di
un’intera Procura). Così, nel silenzio del Csm e dell’Anm, il
procuratore viene autorizzato
addirittura a violare le regole
organizzative da lui stesso stabilite, togliendo fascicoli scomodi gli aggiunti e ai sostituti, e
avocandoli a sé senza dare spiegazioni. Per assoggettare procure e tribunali, basterà controllare un pugno di procuratori, senza più il bilanciamento
del “potere diffuso” dei singoli
pm.
8. IMMUNITÀ. L’articolo 68,
concepito dai padri costituenti
per tutelare i parlamentari di
minoranza da eventuali iniziative persecutorie di giudici
troppo vicini al governo su reati
politici, diventa sempre più uno
strumento del governo per
Quirinale alla Confindustria all’Europa che teme di
andare gambe all’aria se non
si mette mano al nostro gigantesco debito pubblico. È
la democrazia autoritaria di
cui parliamo oggi in queste
pagine e che si sta realizzando pezzo dopo pezzo nella
indifferenza generale, con
l’eccezione, bisogna dirlo,
del M5S rimasto a presidiare
l’opposizione. Temiamo che
il perimetro della democrazia vada restringendosi.
Pensiamo che in cambio
della cosiddetta governabilità non si possa stravolgere
la Costituzione eliminando
via via tutele e contrappesi.
Siamo solo un giornale, ma
quando l’anno scorso il governo Letta e cosiddetti “Saggi”
quirinaleschi tentarono la manomissione della Carta attraverso la modifica dell’articolo 138, la manovra fu sventata
anche per merito delle quasi 500 mila firme che raccogliemmo in poche settimane. Siamo pronti a ripeterci. La
parola ora passa ai lettori.
imposto un Senato fedelissimo al governo – scrive Viviana Vi sul blog di
Grillo –, poiché quel Senato avrà poteri di modifica della Costituzione,
possiamo dire con certezza cosa farà
Renzi poi”. Secondo Viviana “è prevedibile che, se da una parte il governo sarà sempre più forte, dall’al-
mettere i propri uomini al riparo dalla giustizia. L’immunità
parlamentare, prevista in Costituzione per le Camere elettive, viene estesa a un Senato non
elettivo, composto da sindaci e
consiglieri regionali che per
legge ne sono sprovvisti. Basterà che un consiglio regionale li
nomini senatori, e nel tragitto
dalla loro città a Roma verranno coperti dallo scudo impunitario, che impedirà a magistrati
di arrestarli, intercettarli e perquisirli senza l’ok di Palazzo
Madama. Il voto sulle autorizzazioni a procedere rimane
sia alla Camera sia al Senato a maggioranza semplice (51%). Il che consentirà
alle forze di governo (anche col 20% di elettori, ma
col 55% di deputati) di salvare i propri fedelissimi a
Montecitorio e di nascondere a
Palazzo Madama i sindaci e i
consiglieri regionali delinquenti. E poi, volendo, di mandare in
galera gli esponenti dell’opposizione.
9. INFORMAZIONE. Le due leggi che l’hanno assoggettata al
potere politico nel Ventennio
B. – la Gasparri sulle tv e la Frattini sul conflitto d’interessi – restano più che mai in vigore. E
nessuno, neppure a parole, si
propone di cancellarle. Così la
televisione rimane quasi tutta
proprietà dei partiti. Il governo
domina la Rai (rapinata di 150
milioni, indebolita dall’evasione del canone, fiaccata dai pessimi rapporti fra Renzi e il dg
Gubitosi, e in preda alla consueta corsa sul carro del vincitore).
E Berlusconi controlla controlla Mediaset (anch’essa talmente
in crisi da riservare al governo
Renzi trattamenti di superfavore). Intanto i giornali restano in
mano a editori impuri: imprenditori, finanzieri, banchieri, palazzinari (per non parlare di veri o finti partiti, con milioni di
fondi pubblici), perlopiù titolari di aziende assistite e/o in crisi
e dunque ricattabili dal governo, anche per la continua necessità di sostegni pubblici per stati
di crisi e prepensionamenti.
Governativi per vocazione o
per conformismo o per necessità.
10. CITTADINI. Espropriati del
diritto di scegliersi i parlamentari, scippati della sovranità nazionale (delegata a misteriose e
imperscrutabili autorità europee), i cittadini non ancora rassegnati a godersi lo spettacolo
di una destra e di una sinistra
sempre più simili e complici,
che fingono di combattersi solo
in campagna elettorale, possono rifugiarsi in movimenti anti-sistema ancora troppo acerbi
per proporsi come alternativa
di governo (come il M5S); o inabissarsi nel non-voto (che sfiora
ormai il 50%). In teoria, la Costituzione prevede alcuni strumenti di democrazia diretta.
Come i referendum abrogativi:
che però, prevedibilmente, saranno sempre più spesso bocciati dalla Consulta normalizzata. E le leggi d’iniziativa popolare (peraltro quasi mai discusse dal Parlamento): ma i padri ricostituenti hanno pensato
anche a queste, quintuplicando
la soglia delle firme necessarie,
da 50 a 250 mila. Casomai qualcuno s’illudesse ancora di vivere in una democrazia.
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
tra il saccheggio del Paese e il dilagare della corruzione e delle mafie
aumenteranno l’instabilità e i disordini. Considerato che le risorse a disposizione del governo per sopire il
disagio sono ormai ridotte all’osso e
che la corruzione è già adesso dilagante, è prevedibile che il regime col-
3
lassi rapidamente, in 3 o al massimo
5 anni”. E poi la blogger aggiunge: “A
quel punto è impossibile prevedere
cosa succederà. Potrebbe essere una
rinascita del Paese con la fine del regime e il carcere per tutti i suoi capi,
ma anche una balcanizzazione con
veri e propri conflitti armati”.
Renzi: “Io difendo
la Ue dai tecnocrati”
(e le riforme dal Pd)
FA IL DEMOCRATICO IN EUROPA, MA SU SENATO E ITALICUM
AZZERA IL DIBATTITO. MINEO: “TELEMACO NON FA PRIGIONIERI”
di Marco Palombi
I
l vantaggio di Matteo
Renzi, in questo momento, è che pur dicendo sostanzialmente
delle ovvietà, le racconta a una
platea che le ha dimenticate.
Ieri, per dire, anche a Bolzano
è tornato sulle vicende europee, quelle in cui è impegnato
in un duro scontro per evitare
una manovra economica tagliagambe da una ventina di
miliardi di euro in autunno:
“L’Europa non può diventare
la patria delle burocrazie e
delle banche, ma vive solo se
mette in comune i valori e gli
interessi dei cittadini. Non
serve a niente condividere
una moneta se non condividi
un destino. Dobbiamo difendere l’Europa dall’assalto della tecnocrazia”.
DOPO LA GUERRA ai buro-
crati romani, ora c’è l’assalto ai
tecnocrati brussellesi (fraseologia che potrebbe non dispiacere a certo elettorato grillino). Altra ovvietà dimenticata: “C’è bisogno di una qualità
che l’Italia ha perso: la fiducia
in se stessi. Abbiamo perso autorevolezza perché abbiamo
perso autostima. Per anni
l’Italia si è raccontata come un
insieme di problemi, ma noi
non siamo solo questo: ci sono
valori educativi e culturali come la scommessa sul bello”.
Difficile che il presidente del
Consiglio in questo modo
convinca Angela Merkel o i
falchi rigoristi, ma d’altronde
Libertà&giustizia
di Gianluca Roselli
non è nemmeno il suo obiettivo: sono gli italiani a dover
capire il motivo del suo braccio di ferro coi partner Ue.
L’altro tavolo su cui Renzi gioca la sua partita è quello interno e anche qui la situazione
non è facile. Il modello one
man band del premier – che
detta la linea, poi la corregge,
infine la capovolge e chiede a
tutti di annuire – non funziona appieno con gruppi parlamentari che non sono sua diretta emanazione: la minoranza interna continua a chiedere modifiche tanto sul Senato delle Autonomie (che sia
composto da membri eletti)
quanto sull’Italicum (no alle
liste bloccate e rimodulazione
al premio di maggioranza). Le
critiche della fronda sono peraltro diventate irritazione venerdì, quando i parlamentari
LA CITAZIONE
“Porto un libro in Ue
se non mi cacciano”
CONSEGNERÒ all’Europa
un libretto di
Chesterton
Napoleone a
Notting Hill se
non mi buttano fuori prima...”. Così Matteo Renzi cita
il libro, con protagonista un
sindaco pazzo “tema su cui
sono sensibile”, auspica una
rivoluzione della Ue per tenere
insieme il popolo europeo.
hanno letto sul Corriere della
Sera il dossier con le modifiche
alla legge elettorale preparato
dal ministro Maria Elena Boschi: verrà inviato a Forza Italia la prossima settimana e
prevede la nomina diretta per i
capolista e le preferenze per gli
altri candidati (ma solo del
partito vincitore). Un pastrocchio.
L’OLTRANZISMO di Renzi sta
persino riavvicinando le molte anime della cosiddetta sinistra del Pd. Matteo Orfini, per
dire, presidente del partito e
oppositore interno assai tenero col premier/segretario, ieri
ha dato “ragione a Bersani”:
“Con un impianto ipermaggioritario e questa riforma costituzionale, si corre il rischio
che una minoranza del Paese
si prenda tutto”. Corradino
Mineo invece, il senatore Pd
estromesso dalla commissione Affari costituzionali per
reato d’opinione, ritiene che i
Bersani, i D’Alema e i Cuperlo
non abbiamo capito la natura
del renzismo: “La generazione
Telemaco non fa prigionieri”.
Anche Massimo Mucchetti –
che fu tra i 14 senatori a schierarsi con Mineo – la vede male: “Non c’è nessun freno. Se il
Pd ha restaurato il centralismo democratico comunista
lo dica”. Comunque, è l’avvertimento, “sulle materie costituzionali i senatori del gruppo
Pd hanno piena libertà di coscienza e di voto”. E a Palazzo
Madama, si sa, i numeri sono
ballerini.
Sandra Bonsanti
“Matteo despota
e re Giorgio tace”
l Parlamento viene
I
messo in sordina dal
governo. Il futuro Sena-
to è un pasticcio, mentre
la Camera viene indebolita a vantaggio dell’esecutivo”. Da quando a
Palazzo Madama è partito il cammino delle riforme costituzionali,
Sandra Bonsanti, ex direttore del Tirreno e presidente di Libertà e Giustizia, non ha risparmiato critiche all’operato di Matteo Renzi. E il suo
giudizio è ancora molto severo.
Cosa la lascia perplessa della strategia renziana?
Innanzitutto la riforma della Costituzione è un
affare troppo serio per metterla nei termini “o si
fa come dico io o salta tutto”. Il dibattito è stato
totalmente sottratto al Parlamento, stralciata
ogni discussione, bandita ogni critica. Non si
ascolta nessuno e chi non è d’accordo viene ad-
ditato come gufo o sabotatore. Insultare chi
non è d’accordo con te è antidemocratico.
Poi?
Non capisco perché Renzi si sia fissato con il
Senato non elettivo. Non mi sembra un buon
modo di iniziare un processo riformatore quello di chiudere un ramo del Parlamento.
Il premier parla di scelta in nome del risparmio e
della governabilità...
Se voleva risparmiare bastava diminuire deputati e senatori. La governabilità è lo stesso spauracchio che agitava Berlusconi. Ma se c’è la volontà politica e la capacità di governare, non c’è
bisogno di stravolgere la Costituzione. Qui, invece, siamo di fronte a una deriva autoritaria
volta a strozzare le prerogative parlamentari in
favore del potere dell’esecutivo.
Lei crede che il Quirinale dovrebbe farsi sentire?
Il capo dello Stato è il garante della Carta. Vedo
però che Napolitano non muove un dito. Si vede che gli va bene così.
4
TRA LE TOGHE
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
M
essina, fuga
di notizie in
tribunale: 3 arresti
SONO FINITI AI DOMICILIARI in tre, per ipotesi
di reato che vanno dall’abuso di ufficio al peculato,
fino all’accesso abusivo al sistema informatico.
Ma promette di allargarsi, l’inchiesta di Messina
sulla fuga di notizie a palazzo di Giustizia. Ieri sono
stati messi agli arresti gli investigatori privati Matteo Molonia e Antonio Brigandì, per l’ex Guardia
di Finanza Francesco Giusti. A detta del sostituto
il Fatto Quotidiano
procuratore Alessia Giorgianni, Molonia e Brigandì avrebbero svolto la loro attività senza licenza,
mentre Giusti avrebbe scambiato del pesce sequestrato con il destinatario del provvedimento.
Secondo la Gazzetta del Sud, i carabinieri hanno
notificato i domiciliari anche a un finanziere, un
carabiniere, un poliziotto e un ufficiale giudiziario
in servizio al Tribunale. Decine le perquisizioni.
Csm, Ferri fa campagna
Sms per due candidati
IL SOTTOSEGRETARIO ALLA GIUSTIZIA AI MAGISTRATI: “ALLE ELEZIONI VOTATE GLI
AMICI LORENZO PONTECORVO E LUCA FORTELEONI”. E DAI GIUDICI SALE LA PROTESTA
di Antonella Mascali
I
l sottosegretario alla
Giustizia Cosimo Ferri
irrompe nella campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio superiore
della magistratura. Ha fatto girare un sms chiedendo il voto
per due candidati di Magistratura Indipendente. Alcuni magistrati di altre correnti, ma anche di Mi, si sono infuriati per
quella che ritengono una indebita ingerenza di un esponente
del governo nelle elezioni. Il
Fatto ha letto il messaggio che
Ferri ha inviato al cellulare di
un magistrato-elettore: “Per le
prossime elezioni del Csm mi
permetto di chiederti di valutare gli amici Lorenzo Pontecorvo (giudice) e Luca Forteleoni (pm). Ti ringrazio per la
squisita attenzione, Cosimo
Ferri”.
PONTECORVO è un giudice del
tribunale di Roma, mentre Forteleoni è pm a Nuoro. Entrambi
sono pupilli di Ferri, che di Magistratura Indipendente è stato
il segretario. Ma anche da sottosegretario alla Giustizia degli
ultimi due governi è rimasto il
leader della corrente di destra
delle toghe. L’sms è arrivato -
secondo quanto ci hanno raccontato diverse fonti - a decine
di magistrati.
Un candidato al Csm ha scritto
sulla mailing di Magistratura
Indipendente un lungo messaggio, a tratti sarcastico: “Un
autorevole componente del governo (Ferri, ndr) invita i colleghi a votare per due candidati
al Csm. E indovinate un po’?
Nessuno dei due sono io! Chis-
sa perché? …Visto che c’è, potrebbe anche farci sapere per il
collegio di legittimità (quello
della Cassazione, ndr) se ha un
suo candidato o se il voto può
essere libero:)))”.
IL CANDIDATO al Csm non
“ferriano” lancia online anche
alcune domande ai colleghi e,
tra il serio e il faceto, si rivolge
pure ai rappresentanti politici:
M5S Billi: “Morto
il Giorgio sbagliato”
e ne è andato Giorgio. Quello sbagliato. #faS
letti”. È il tweet con cui venerdì sera la responsabile web a Montecitorio del M5s, Debora
Billi, ha commentato la morte dello scrittore, facendo un chiaro e macabro riferimento a Giorgio
Napolitano. Sufficienti per scatenare subito una
bufera sul web. Ieri mattin Billi si è ufficialmente
scusata: “Le battute infelici scappano, speriamo
stavolta siano scappate per sempre. Desidero scusarmi personalmente con il Presidente Napolitano
e con il M5s”. Ma dalla politica piovono condanne.
Debora Serracchiani (Pd) scrive di “brutali attacchi
personali al Presidente”, mentre esponenti di vari
partiti hanno chiesto il licenziamento della responsabile web.
“Che ne pensano tutti gli altri
candidati, di corrente e non, e
gli amici elettori, di una simpatica campagna elettorale condotta da uno stimatissimo politico-magistrato per due magistrati-candidati al Csm? Che ne
pensano i media, i cittadini, le
forze politiche, il ministro, il
presidente del consiglio dei ministri, il capo dello Stato e così
via? Nulla, eh? Mica è un atto
formale del governo, diranno.
In effetti è solo un sms. Oddio,
uno. Magari qualcuno in più.
Ma a chi volete che importi? In
mancanza di una delibera del
consiglio dei ministri che ci dica quali sono i candidati al Csm
graditi, accontentiamoci di
qualche semplice sms. In fondo
il governo vuole riformare il
Csm, no? Ecco, magari il voto
via sms su suggerimento del governo semplificherebbe tanto le
cose ed eviterebbe quelle costose e fastidiose telefonate per sostenere questo o quel magistrato per questo o quell’incarico.
Ovviamente, si fa per scherzare:))) Mica crederemo veramente che basta un sms a fare
cambiare idea a un magistrato
elettore, no? Saluti a tutti e buone elezioni anche a chi non ha le
idee chiare sugli insegnamenti
di Charles-Louis de Secondat,
Il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri LaPresse
barone de La Brède e, a tempo
perso, di Montesquieu. Indubbiamente idee antiquate”.
UN ALTRO MAGISTRATO , ap-
partenente ad Area, la corrente
di sinistra, vorrebbe l’intervento del ministro della Giustizia:
“Penso che la vicenda imponga
un immediato chiarimento da
parte dell’interessato: o gli sms
sono stati fatti ‘usurpando’ nome e volontà del magistrato
sottosegretario Ferri; o il ministro Orlando deve prendere atto del coinvolgimento diretto
di un esponente governativo
nella campagna elettorale per
un diverso organo costituzionale, trarne o farne trarre le
conseguenze”.
Il Fatto ha cercato il sottosegretario al telefono, senza ricevere
risposta. Tra i magistrati non
manca l’autocritica: “Anche a
noi magistrati il culto del familismo amorale e del ‘A Fra’ che
te serve?’ non dispiacciono poi
così tanto, visto che le telefonate e altri tipi di contatto non sono mai a senso unico, e che ormai nessuno sembra più scandalizzarsi del fatto che - ad
esempio - in un determinato
posto vada un amico degli amici, e non un altro professionalmente più valido ma.... meno
incline alle pubbliche relazioni”. Le elezioni per i membri togati del Csm si svolgono oggi e
domani. Per la prima volta ci
sono state le primarie dell’Anm
con tutte le correnti. Primaria
anche per Altra proposta, che
ha scelto i candidati con un
complesso sorteggio.
LA RIFORMA/1
di Bruno
R
Tinti
enzi è uomo di marketing. Ma anche il miglior
marketing deve essere credibile. Se si promette la luna a
gente che la sta chiedendo da
venti anni e che non l’ha mai
ottenuta, si deve anche spiegare come si pensa di fargliela
avere. Altrimenti ti prendono
per l’ennesimo imbroglione.
Ecco, i suoi 12 punti in materia
di riforma della Giustizia, sono incredibili. Nel senso che
tutti li condividono; ma chi è
del mestiere sa benissimo che
sono irrealizzabili. Prendiamo
i primi 2 (per ora, gli altri seguiranno).
Promesse, promesse:
la nuova Giustizia secondo Renzi
citazione e lo notifica al convenuto: ci vedremo davanti al
giudice tra 90 giorni (termine
minimo, prima non si può per
legge). L’avvocato del convenuto gli risponde con una
“comparsa di costituzione e risposta”. I due atti sono depositati in Tribunale. Scaduti i 90
giorni, gli avvocati spiegano al
Matteo Renzi LaPresse giudice quello che hanno già
raccontato nella citazione e
nella comparsa di risposta. Il giudice si “ri1 - Giustizia civile: riduzione dei tempi – un anno serva” e rinvia a 30 giorni; deve pur capire di
cosa si tratta. Ma siccome ha centinaia di proin primo grado
Si può fare, basta buttare nel cestino l’attuale cessi, in realtà rinvierà a 60 giorni minimo,
codice di procedura. Il fatto è che il processo quando non di più. Ma nemmeno a questa
civile è fatto di “atti”: citazioni, comparse di udienza si fa qualcosa di concreto perché gli
costituzione e risposta, memorie, reclami. Bi- avvocati chiedono termine per memorie: risogna abolirli, altrimenti i tempi non si ridu- scriveranno le stesse cose che hanno già scritto
cono. Oggi come oggi, gli atti previsti dal co- nella citazione e nella comparsa di costituzione.
dice di procedura civile e i termini che si de- Il giudice è obbligato a concederlo: minimo di
vono rispettare tra un atto e l’altro ammontano, legge 30 giorni. Depositate le memorie, il giuda soli, a 11 mesi e 5 giorni. Possibile? Sì, certo. dice deve assegnare un nuovo termine di 30
Nel processo civile le parti si chiamano attore giorni perché ognuno possa replicare all’altro; e
(quello che pretende qualcosa) e convenuto ne assegnerà un altro di 20 giorni per ulteriori
(quello che dice di non dover dare nulla). L’at- repliche. Dopodiché, siccome si deve leggere
tore va da un avvocato che prepara un atto di tutto, si prende 30 giorni per studiare gli atti. E
finalmente si comincia. Teoricamente sono
passati solo 9 mesi e 20 giorni; ma bisogna
aggiungerci 1 mese e 15 giorni di sospensione
dei termini: le vacanze giudiziarie che vanno
dal 1° agosto al 15 settembre. Tutto fermo per
legge. Così si arriva a 11 mesi e 5 giorni, appunto.
IL PROCESSO VERO E PROPRIO parte da qui: si
devono interrogare i testimoni di tutt’e due le
parti, fare le perizie e quanto altro serve per
capire chi ha ragione e chi ha torto. Tutto questo si fa nell’ “udienza”. Quante ne servono?
Non si sa, dipende dal numero dei testimoni,
dalla complessità delle perizie, dai reclami che
ogni avvocato può fare in corso di causa e che
interrompono il processo fino a che il Collegio
(altri 3 giudici) decide. E, soprattutto, dipende
da quanti altri processi ha il giudice perché, più
ne ha, più i rinvii tra un’udienza e l’altra saranno lunghi: proprio come dal dentista. “Dottore, quando mi può visitare?”. “Tra 1 mese”.
“Ma come?”. “Prima non posso, guardi la mia
agenda”. Alla fine gli avvocati depositano le loro
comparse conclusionali (ognuno spiega perché
lui ha ragione e l’altro ha torto) e poi finalmente
ci sarà la sentenza. In media, oggi, un processo
civile in primo grado dura 3 anni, quando va
bene.
Si può fare diversamente? Certo che sì. Gli avvocati scrivono tutto quello che hanno da dire,
scambiandosi tra di loro lettere e documenti. Si
sentono i testimoni ognuno alla presenza
dell’altro. Ognuno si fa le sue perizie. Poi vanno
dal giudice e gli danno tutti gli “atti”. E, dopo un
po’ (quanto? Dipende sempre dal numero dei
processi che ogni giudice ha in carico) arriva la
sentenza. Non è una cosa fantascientifica; più o
meno è quello che avviene negli Stati Uniti.
Però una giustizia civile così
costa un sacco di soldi: ognuno
dovrebbe pagarsi i suoi periti,
le spese di trasferta per i testimoni, un’organizzazione di
ufficio ben diversa dall’attuale segretaria divisa
tra 2 o 3 avvocati che fa anche da centralinista.
Diventerebbe una giustizia per ricchi. Meglio o
peggio di una giustizia che non funziona per
niente? Mah.
2 - Giustizia civile: dimezzamento dell’arretrato.
Che si fa con i processi cominciati con il vecchio
sistema? Certo, si potrebbe restituire tutto alle
parti: da oggi il codice è cambiato, tocca a voi
istruire il processo, datevi da fare e tornate
quando avete finito. E chi non ha soldi? E poi:
l’arretrato c’è perché i giudici che ci sono non
riescono a smaltire i milioni di cause che hanno
e che ogni anno aumentano. Se lo si vuole dimezzare, si deve mettere in conto che, per x anni
– se si adotta il sistema nuovo – o per xxx anni
– se si continua con il sistema attuale, non potranno fare altro. E i processi nuovi chi li fa?
Altri giudici, si capisce. Ora, a parte che, su circa
10.000 giudici previsti in organico, ne mancano
1.200; a parte che il Paese, più di 200/300 nuovi
giudici all’anno non li dà; sta di fatto che ogni
nuovo giudice richiede corrispondenti risorse
(uffici, computer, personale amministrativo).
Chi paga? Dove sono i miliardi necessari per
una riforma del genere? Capito perché c’è una
differenza tra il marketing e l’imbonimento da
fiera?
TELE-VISIONI
il Fatto Quotidiano
FFloris
reccero: “Contro
il primo
editto di Renzi”
Caro direttore,
vedo che insistete sostenendo che
il mio contratto prevederebbe
43mila euro lordi per gli speciali di
Porta a Porta in prima serata.
Purtroppo non è vero. Poiché il
“Fatto” ha sempre avuto a
disposizione i miei contratti (e mai
quelli dei miei colleghi) ben prima
che se ne parlasse in Cda e
conosce da sempre dettagli che
dovrebbero essere a disposizione
dei soli uffici amministrativi, ti
prego di pubblicare la fotocopia
dell’articolo del contratto in cui si
parlerebbe dei 43.000 euro.
Cordialità,
Bruno Vespa
di Marco Palombi
e Carlo Tecce
L
a sprezzatura, fin da
monsignor Della Casa, è virtù massima
del gentiluomo. Per
questo apprezziamo che Bruno
Vespa non sappia quanto guadagna. Noi, che siamo così volgarmente attenti alla vile moneta, glielo ricordiamo dunque
volentieri. Partiamo dagli speciali: per quelli sulle elezioni
americane e italiane, stagione
2012/2013, Vespa ha incassato
43.000 euro cadauno. E per
quattro puntate - fra dimissioni
di Benedetto XVI e due per il
presidente della Repubblica –
ha percepito 30.000 euro. E così
per apparizioni improvvise e
copiose, ricorrenze, eventi,
chiose a margine di film.
FORSE VESPA non ricorda, ma
il documento di viale Mazzini
che pubblichiamo qui accanto –
un resoconto degli uffici al dg
Luigi Gubitosi - può risultare
utile alla sua memoria. Il contratto di Vespa risalente al 2010,
che sta per essere rinnovato in
questi giorni, è stato prolungato
già l’anno scorso con cifre sostanzialmente invariate. Non è
facile districarsi fra opzioni, minimi garantiti, Porta a Porta
extra, ma offriamo a Vespa una
guida alla lettura del suo contratto.
Il totale, per cominciare: 6,32
milioni di euro nel triennio
(2010/2013), di cui un importo
base di 1,5 milioni di euro a stagione (valido anche nel
2013/2014). A parte una limatura al costo unitario di Porta
Porta (da settembre 2013) oltre
la centesima serata, lo stipendio
era (è) così composto: 13.000
euro per le prime 100 trasmissioni, 12.000 per le successive.
Di extra, nel triennio, Vespa ha
cumulato 901.000 euro.
A questi soldi vanno sommate
le “prestazioni aggiuntive” da
30.000 o 43.000 euro, a volte
della durata di mezz’ora. Il 29
marzo 2013 - come ha scritto
anche Aldo Fontarosa su Repubblica – Vespa è andato in onda
per 30 minuti, l’azienda voleva
liquidarlo con 20.000 euro, ma
il giornalista ne ha voluti
30.000. “Da evidenziare che
analogo rifiuto fu opposto dal
collaboratore anche per il venerdì santo del 2012”, scrive la
Rai. Le tradizioni, pare evidente, non vanno abbandonate.
L’anfitrione di Porta a Porta ha
concesso una limatura ai 12.000
euro per le puntate che superano la centesima, peraltro già
previste in palinsesto, ma in-
FLORIS HA FATTO BENE ad andare a
La7. Prende più soldi? Bene, è il mercato. È Renzi che l’ha fatto fuori, questo
è il suo primo editto”: a dirlo è Carlo
Freccero, che è stato ospite del programma di Rai Radio2 “Un Giorno da
Pecora”. Chi pensa potrebbe sostituirlo? “Non lo so, non ne ho idea, ormai
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
sono tutti renziani, anche i conduttori
televisivi”. Bianca Berlinguer, direttrice
del Tg3, come la vedrebbe? “No, assolutamente, lei è troppo renziana”. Allora Maurizio Mannoni, altro giornalista del Tg3? “Lui è ultrarenziano”. Il
nome più accreditato, in questi giorni,
pare esser quello di Gerardo Greco,
conduttore di Agorà, che ha sostituto il
direttore di Rai3 (Andrea Vianello) nella fascia mattutina. Freccero non è
d’accordo, crede che la scelta
dell’azienda cadrà su qualche altro
giornalista: “No, la sua sarebbe la soluzione più semplice e ‘telefonata’, non
ci credo”.
VESPA ACCONTENTATO
GUIDA AL CONTRATTO
DEL CONDUTTORE
L’ANFITRIONE DI “PORTA A PORTA” CI INVITA A PUBBLICARE
I DOCUMENTI CHE DIMOSTRANO DI AVER LAVORATO ANCHE
A 43.000 EURO A SERA. IN 3 ANNI HA INCASSATO 6,3 MILIONI
spiegabilmente pagate a parte.
Per il resto, stesso trattamento
per la stagione 2013/2014: 1,5
milioni di euro di garantito più
extra. Nel prossimo futuro, è vero, Vespa dovrà subire un taglio: invece di due milioni e passa l’anno dovrà forse accontentarsi di 1,8/1,9 milioni di euro.
Ma dovrà faticare molto, fare altre interviste speciali in prima
serata come quella a Matteo
Renzi. Pagata quanto? A prezzo
pieno, 43.000 euro, con lo sconto a 30.000 oppure stavolta
20.000 son bastati? Se Vespa
vuole ne possiamo parlare.
Giovanni Floris e Maurizio Crozza a “Ballarò” Dlm
TRASLOCHI
A Rai3 di “Ballarò”
resta solo il nome
OLTRE AL GIORNALISTA, A LA7 ANDRANNO CROZZA,
PAGNONCELLI E UN PEZZO DELLA REDAZIONE
o puoi chiamare Vucciria, Orientale, Porta Pia, ma come
L
sarà il “mercato” di Ballarò senza Giovanni Floris? Quando la trattativa era ancora inchiodata e non smembrata, la Rai
Bruno Vespa, conduttore di “Porta a Porta” dal 1996 LaPresse
PRIVILEGI
Dal 2010, senza tagli,
percepisce 1,5 milioni
di euro fissi, ai quali
vanno aggiunti gli
speciali su Rai1:
e il prezzo lo fa lui
5
CARTA CANTA
ha presentato i palinsesti ai giornalisti e agli investitori e ha
rassicurato il pubblico: non vi preoccupate, Ballarò è previsto,
ogni martedì, sempre su Rai3. Consolazione che non consola
il pubblico di affezionati. Qui non c’entrano i contratti, le
clausole, i trattamenti economici, qui c’entra quel che offri ai
telespettatori.
Il formato di una trasmissione non fa il contenuto, ma il
contenuto fa la trasmissione: tautologico, elementare.
Non è ancora ufficiale, ma Floris è diretto a La7. Avrà una
striscia quotidiana e un programma serale che, pare, dovrebbe cercare di drenare ascolti da Rai3 proprio il martedì.
Dentro o fuori, intorno o accanto a una copertina, ci sarà
Maurizio Crozza: dunque la Rai avrà Ballarò, ma non avrà il
comico genovese. Munito di cartelli o di lavagnette, ci sarà
Nando Pagnoncelli: dunque la Rai avrà Ballarò, ma non il
sondaggista di riferimento. I collaboratori di Floris lo seguiranno da Urbano Cairo: dunque la Rai avrà Ballarò, ma
non la redazione (gran parte) che confezionava Ballarò. Sarà
più bello, più efficace e più di successo, chissà, però il Ballarò
di Rai3 non sarà il Ballarò di Floris. Allora perché non ribattezzarlo? Tanto per essere onesti con il pubblico. Una
premura che non fa difetto.
Car. Tec.
Un estratto della lettera interna Rai su Vespa
DA ARCORE A GANDHI
La Bonev si dedica alle “anime smarrite”
di Tommaso Rodano
a multiforme carriera di
L
Michelle Bonev è giunta a
uno snodo cruciale. “Il cambia-
mento sociale inizia da qui”, ha
promesso, raggiante, ieri pomeriggio, presentando le attività filantropiche dell’associazione che porta il suo nome.
Lei, un tempo attrice, oggi si
propone come leader spirituale
di una “comunità numerosissima”, che si è raccolta su Facebook attorno al carisma dell’artista bulgara. “L’associazione
Michelle Bonev – si legge sul
depliant distribuito all’ingresso – non ha fini di lucro e si propone di promuovere i valori
della verità, dell’amore e della
giustizia, in ogni loro forma ed
aspetto, la piena e completa tutela e rispetto dei diritti umani
e delle libertà fondamentali”.
L’ambizione non manca.
Per il lancio dell’iniziativa di
Michelle, in verità, l’affluenza è
piuttosto scarsa. Partecipano
una dozzina di signori e signore di mezza età. “Ogni persona
qui è vera – dice lei – non è una
comparsa. Meglio 10 in carne
ed ossa che 500 sui social network”. Gli “associati”, che Michelle definisce “anime smarri-
te”, hanno espressioni serie,
contrite: sono fulminati dalla
personalità della Bonev.
Come Cristiano, che si racconta senza reticenze: “Sono veramente meravigliato dal suo coraggio. In questa società moderna così arida, dove le persone sono divise, qui ci si unisce: crediamo in una linea guida, in una teosofia (sic!) innescata dalla signora Michelle”.
Poi c’è Stefania, arrivata addirittura da Bergamo: “C’è molto conflitto, in questa società.
C’è un disegno per portare le
persone all’odio. Il contrario
della nostra associazione”.
Dopo il cinema, l’associazione no profit, ecco Michelle Bonev con il fidanzato Jacopo Umberto Pizzi
PERSINO IN QUESTO clima
ecumenico, si pronuncia l’ennesimo atto d’accusa nei confronti della classe dirigente: “I
politici sono lontani dalla gente
– arringa la Bonev – ma sono
tutti finiti, al capolinea”. Non
starà mica diventando grillina?
“Giammai – replica lei, tutt’altro che ironica – io sono gandhiana”.
Michelle, prima della svolta
spirituale e del volontariato, era
nota alle cronache per il suo fulminante percorso artistico: fu
addirittura menzionata in un
Festival di Venezia, vincendo
un oscuro premio creato proprio per lei, attrice e sceneggiatrice bulgara fino a quel momento pressoché sconosciuta.
Per inventarsi una targa e una
cerimonia di premiazione del
suo Goodbye Mama si mobilitò
personalmente il ministro dei
Beni Culturali di allora, Sandro
Bondi. Il perché di tanta, improvvisa gloria, lo avrebbe spiegato in seguito la stessa Bonev: i
rapporti molto intimi con l’ex
premier, Silvio Berlusconi. Ma
quando ha vuotato il sacco “sul
sistema corrotto” di cui si è trovata a far parte, Michelle se l’è
presa anche con l’attuale compagna di Berlusconi, Francesca
Pascale. Sul suo blog, la Bonev
ha svelato il segreto della presunta omosessualità della first
lady di Palazzo Grazioli. Per
tutta risposta, il suo sito è stato
sequestrato e Michelle si è bec-
cata una querela per diffamazione (lei replica su twitter:
“Hanno chiuso il mio blog ma
nessuno potrà fermare la verità”). Ma ora il corpo e lo spirito
della Bonev sono lontani da
quel passato torbido. Si è fidanzata con Jacopo (“ex commesso
di Mediaworld”) e la sua vita è
dedicata al servizio per gli altri:
“Ho sostenuto da sola tutte le
spese dell’associazione”. Anche
quelle della splendida villa
sull’Appia Antica dove ha trovato la sede per il suo impegno
civile (e una vecchia piscina
abusiva, ora mimetizzata con
un tettuccio di erba sintetica),
nel cuore della regina viarum.
6
C’ERA UNA VOLTA IL NORD
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
L’
addio a Facebook
della mamma
di Aldrovandi
PATRIZIA Moretti, madre di Federico Aldrovandi
annuncia il suo addio a Facebook. “Ho chiuso l’account perché tutto è già stato detto. Le sentenze
sono definitive. Chi vuol capire ha capito. Agli altri
addio”, scrive la donna in un post pubblicato proprio
sulla pagina creata a sostegno di Federico, morto a
Ferrara nel 2009. La sentenza di cui parla Moretti
riguarda la condanna di quattro poliziotti ritenuti in
il Fatto Quotidiano
via definitiva i responsabili della morte del diciottenne. “Federico – si legge nel post – adesso ha moltissime voci che ringrazio una per una”. La pagina
Facebook è stata uno degli strumenti principali utilizzati da Moretti per tenere viva l’attenzione sul
processo. L’epilogo giudiziario è arrivato pochi giorni fa, con la notizia sequestro dei beni e di un quinto
dello stipendio agli agenti condannati.
Divisi e in odore di ‘ndrine
Ecco i dem lungo il Po
DOPO GLI SCANDALI DI ‘NDRANGHETA, ALCUNI ISCRITTI PD SI SONO FATTI
UN CIRCOLO A PARTE, MA IL PARTITO HA COMMISSARIATO TUTTI: ONESTI E COLLUSI
di Sandra
I
Amurri
inviata a Viadana
l ponte sul Po divide
Brescello – che ha dato
i natali ai celebri personaggi di Guareschi,
Don Camillo e Peppone – da
Viadana, a sud della provincia di Mantova nella Bassa
Padana. Un ponte che marca
anche la linea di confine tra
due ‘ndrine rivali. Su una
sponda spadroneggia quella
di Nicolino Grande Aracri di
Cutro, capo dell’omonima
cosca, arrestato per aver ucciso, bruciato e gettato in un
tombino la collaboratrice di
giustizia
Lea
Garofalo.
Sull’altra quella degli Arena
di Isola Capo Rizzuto che si è
infiltrata nel tessuto economico, sociale e anche politico.
“Fin dentro il circolo del Pd
di Viadana nell’indifferenza
dei dirigenti provinciali, regionali e nazionali”, spiega
Paolo Zanazzi, capogruppo
dei democratici in consiglio
comunale, fuoriuscito dal circolo assieme ad altri militanti
per fondare quello di Cogozzo - Cicognara.
IL PD, dopo aver fatto per
molto tempo il pesce in barile,
li ha commissariati entrambi,
generando l’indignazione dei
militanti del nuovo circolo
fuoriusciti proprio a causa di
iscritti non proprio immacolati a Viadana.
Andiamo con ordine. Il 17
marzo del 2013 Claudio Meneghetti , dirigente del partito
regionale e autore di La ‘ndragheta all’assalto delle terre dei
Gonzaga, invia una lettera
all’allora segretario regionale
del Pd, oggi ministro renziano all’agricoltura, Maurizio
Martina per metterlo in guardia sulle possibili infiltrazioni
mafiose nel circolo di Viadana e segnalando circa una
quarantina di tessere sospette.
Tra queste c’è anche quella
dell’assessore alle Nuove povertà, Carmine Tipaldi, che,
IL LIBRO PROIBITO
Perfino la presentazione
di un testo contro
la mafia è diventata
un percorso a ostacoli:
problemi per la piazza
e appoggi revocati
secondo la Dda, sarebbe una
delle persone citate nella telefonata intercettata tra Nicola Lentini, “rappresentante
del clan Arena per la zona
emiliana”, con un mafioso di
Cutro: “Ci possono dare 30,
40, 50 anni, che importa? Ormai Viadana è nostra”. Assessore che si è dimesso quando
Storie italiane
di Nando
dalla Chiesa
ettiamola così: questo è un diario di
M
bordo, una testimonianza doverosa di
un militante dell’antimafia che in vita sua ne
l’intercettazione è divenuta
pubblica incassando la solidarietà di Giorgio Penazzi, sindaco Pd per quattro anni. Alle
elezioni amministrative Carmine Tipaldi, con 316 preferenze, era risultato il più votato.
UN CASO EMBLEMATICO è
quello che riguarda la presentazione del libro di Nando
dalla
Chiesa,
Manifesto
dell’antimafia. “Faccio fatica
a raccontare fatti incredibili
che però fotografano lo stato
in cui versa il Pd – premette
Paolo Zanazzi, ex capogruppo dei democratici in Comune e cofondatore del nuovo
circolo Cogozzo-Cicognara
–. Il commissario Fabrizio
Santantonio, telefona al nostro segretario, Daniele Mozzi
definendo l’iniziativa illegittima in quanto solo lui può usare il simbolo del partito. Il
compagno risponde che già
siamo stati commissariati come se fossimo noi responsabili degli iscritti in odore di
mafia dell’altro circolo e ora ci
impedisce anche di organizzare un’iniziativa sulla legalità
come la presentazione del libro di dalla Chiesa? E non è
finita. Chiedo all’ufficio tecnico del Comune l’autorizzazione per la piazza, dapprima
si rifugiano dietro a mille scuse fino a quando non scopriamo, è tutto documentato, che
il commissario del Pd aveva
inviato una nota al dirigente
in cui gli chiedeva di sospendere l’autorizzazione. Il commissario del partito dice
all’ufficio tecnico del Comune di negarci l’autorizzazione
per la presentazione del libro
di Dalla Chiesa. Alzo la voce e
alla fine l’ingegnere ci rilascia
l’autorizzazione anche senza
l’ok del commissario. E non è
ancora finita. Diana De Marchi, responsabile legalità della
segreteria nazionale candidata di Civati, mi chiede di inserire il suo nome nel comunicato stampa che presentava
Ansa
VOTI A PACCHI
La denuncia
della segretaria
provinciale:
“A una cena elettorale
mi hanno offerto
350 preferenze”
l’evento. Il giorno dopo mi invia una serie di sms per dirmi
di toglierlo perché crea problemi al Pd milanese. Non ho
cancellato il suo nome e le ho
risposto di essermi pentito di
averla votata. Quando ha appreso che l’iniziativa aveva
avuto molto successo mi ha
chiamato per dirmi: ‘se lo
avessi saputo sarei venuta lo
stesso’. Da rabbrividire: così si
è ridotto questo partito”. Un
partito che nel circolo di Viadana conta anche tessere fatte
nel bar Mymont, quello gestito e frequentato da calabresi trapiantati lì.
“HO VISSUTO una cosa stra-
nissima –racconta Antonella
Forattini, segretaria provinciale –. Nel febbraio 2013 durante una cena elettorale sono
stata avvicinata da alcune persone che mi hanno offerto
350 preferenze e io ho rifiutato”. E di fronte a uno scenario così allarmante “l’attuale ministro Martina e tanti altri come lui si sono girati
dall’altra parte – rincara la dose Meneghetti –. Nonostante
Roberto Vitali, presidente
della commissione regionale
abbia cercato in tutti i modi di
sollecitare il loro intervento.
La mia lettera riservata è anche finita nelle mani del presidente della commissione di
garanzia Candido Roveda che
l’ha consegnata al circolo di
Viadana. Dopo poco Roveda
si dimette, si candida a segretario per i renziani e vince a
Viadana per 140 a zero”. Questa storia che sembra inventata finisce, per ora, con il Pd
che, non potendo più chiudere gli occhi, commissaria
entrambi i circoli. “Come se
anche noi avessimo tesserati
pregiudicati”, ribatte Zanazzi
che non vuole arrendersi di
fronte al fatto che, forse, anche per il suo partito le tessere
e i voti non hanno né sapore
né odore.
Il virus
Un Paese che si arrende un pezzo alla volta
appena finita una bufera d’acqua. La presentazione, prevista in piazza, è stata spostata sotto i portici. Che sono già affollati
ha viste, studiate e sentite tante. E che una all’ora dell’inizio, file di sedie bianche che gli
sera capita a Viadana, ricca provincia man- organizzatori continuano ad allungare e altovana, invitato da militanti locali del Pd che largare all’esterno dei portici. Al tavolo un
vogliono dare la sveglia all’ambiente. Strat- membro del circolo anti-‘ndrangheta del Pd
locale (commissariato come
tonare gli ignavi, gridare che
l’altro), un esponente dell’ascon la ‘ndrangheta non si
sociazionismo e il corrisponpuò convivere. “Per favore,
FUOCHI FATUI
dente della Gazzetta di Manvieni a presentare il tuo Matova. Non ci vuole molto per
nifesto dell’Antimafia, ce n’è
“Il paese è nostro”,
capire che l’atmosfera è eletbisogno”. È la sera di martedì
trica. Che i presenti (c’è an1 luglio quando arrivo a Viaesclamano gli affiliati
che qualcuno di Forza Italia)
dana dopo un passaggio alla
I segni ci sono tutti,
vogliono ribellarsi a qualcobiblioteca comunale di Mansa.
tova. Ho già scoperto dai toa partire dagli incendi
ni tirati, preoccupati, usati
VENGONO SUBITO in mente
nell’occasione dall’ex sindal’inconfondibile prova
gli incontri fatti negli ultimi
co del capoluogo, Fiorenza
della presenza mafiosa anni a Desio, Lonate PozzoBrioni, che deve esserci quallo, Bordighera, i comuni docosa di grave nell’aria. La
ve i clan calabresi avevano afclassica cortina di ferro, già
vista innumerevoli volte, da Palermo a Mi- fermato il loro dominio contrastati da un
lano, tirata su, stavolta anche a sinistra, in pugno di persone senza ascolto nei partiti.
difesa del solito argomento: l’inesistenza del- Questa è zona di tradizioni democratiche.
la mafia in provincia, la rimozione male- Eppure è successo qualcosa che ha sconvolto
detta; magari pure la derisione o l’alzata di tutto. “Viadana è nostra”, giurava gongolanspalle verso chi denuncia. Affetto da pro- do nel 2006 un giovane esponente dei clan in
tagonismo, mosso da ragioni personali. È una telefonata. Una millanteria? No, i segni ci
sono tutti. Gli incendi, linguaggio inconfondibile e prova provata della presenza mafiosa.
Le imprese edili calabresi infarcite di pregiudicati che crescono nel mezzo di una crisi
che non risparmia nessuno. L’ingresso di tesserati sconosciuti nel maggior partito di governo (il Pd), provenienza Isola di Capo Rizzuto e zone confinanti. Gli avvertimenti che
giungono sibillini a chi promuove in consiglio comunale un questionario da dare ai
cittadini sulla percezione della presenza mafiosa, nulla di forte, per carità, ma loro capiscono e prendono cappello lo stesso. O l’assessore che porta un ferito da arma da fuoco
in ospedale asserendo di averlo raccolto per
strada come un buon samaritano: uno sconosciuto, dice; mentre l’interessato lo dichiara amico suo. Eccetera eccetera. Un oratore
racconta che chi ha dato i volantini della serata è stato seguito e oggetto di attenzioni
non amichevoli. Il giornalista aggiunge che
quando ha indagato sull’accoglienza riservata al questionario, si è imbattuto nel vittimismo. Ce l’hanno con noi perché siamo
calabresi, è un pregiudizio razzista. Obietto
che i veri razzisti sono gli uomini dei clan,
visto che in tutte le conversazioni intercettate
identificano se stessi con “la Calabria”. Mi
viene poi detto che i più tosti nell’innalzare la
bandiera vittimista non ne vogliono però sa-
pere di prendere le distanze dagli Arena, il
clan che a Isola di Capo Rizzuto spadroneggia che è un piacere.
“È ACCADUTO tutto quello che dici nel libro.
Le tre C, i complici, i codardi e i cretini.
L’avessimo saputo prima… Anche il gemellaggio che dici, pure quello abbiamo fatto,
con la processione del loro santo. Ma ti rendi
conto?”. Mi rendo conto. L’ho visto decine di
volte. È così che conquistano i paesi, che si
mette nelle loro mani un pezzo d’Italia dopo
l’altro. Con le autorità che concedono le white list a imprese assai discusse, per non avere
grane con il Tar. Con i partiti più preoccupati
dei loro equilibri interni che dei drammi del
paese e che proprio non ci riescono a pensare
come se fossero lo Stato. Metti una cosa dietro l’altra e alla fine succede la cosa più logica:
vincono loro. Soprattutto se chi si ribella viene commissariato.
MANIFESTO DELL’ANTIMAFIA
Questo il libro presentato
da dalla Chiesa a Viadana
UN GIORNO IN ITALIA
il Fatto Quotidiano
“U
n francese
alla guida dello Ior,
il Papa cede”
LO IOR, la Banca Vaticana da tempo al centro di
scandali e – soprattutto – in cima alle priorità di
rinnovamento della Chiesa avviata dalla volontà
riformatrice di papa Francesco, ha un nuovo presidente. Lo riporta il sito Dagospia.com, secondo cui
al vertice dell’Istituto Opere Religiose sarebbe stato nominato il francese Jean Baptiste De Franssu.
Secondo quanto scritto dal sito di Roberto D’Ago-
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
7
stino, il successore dell’attuale presidente Ernst
von Freyberg-Eisenberg sarebbe stato indicato con
forza dal cardinale australiano George Pell, dal febbraio 2014 primo prefetto della Segreteria per
l’economia. In caso di bocciatura di De Franssu sempre secondo Dagospia - Pell avrebbe minacciato le dimissioni. Di fronte all’aut-aut papa Francesco avrebbe ceduto, avallando la decisione.
Milanese raccomandava
il fidanzato della figlia
L’EX BRACCIO DESTRO DI TREMONTI ADESSO SI TROVA IN ISOLAMENTO. NELLE CARTE
DEL MOSE TUTTI I FAVORI E I CONTATTI CON I FINANZIERI PRIMA DELLE MANETTE
di Davide
Vecchi
e Antonio Massari
I
l primo giorno cruciale
è il 29 aprile 2010:
quando, per la prima
volta, Marco Milanese
incontra il re del Mose, Giovanni Mazzacurati. Il secondo
è il 16 giugno 2010: il giorno
successivo al pagamento, secondo l’accusa, della tangente
di 500 mila euro da parte di
Mazzacurati. E in questi 48
giorni Milanese ha fatto partire, dal proprio cellulare, almeno sessanta tra telefonate e
sms indirizzati esclusivamente agli uomini del “sistema
corruttivo”. Da venerdì Milanese è in una cella d’isolamento, nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dove
sta elaborando la linea difensiva con il suo difensore, l’avvocato Bruno Larosa. La difesa che punterà anche a valutare il suo stato di salute: Milanese, spiega Larosa, che l’ha
incontrato in queste ore, un
anno fa ha subito un infarto.
Domani incontrerà il gip per
l’interrogatorio di garanzia.
L’accusa è pesante: corruzione. Secondo la procura veneziana ha intascato 500mila euro per favorire il finanziamento di 400 milioni di euro, deciso dal Cipe nel 2010, destinato al Mose.
ALTRI 500 mila euro, invece,
li avrebbe intascati per coinvolgere l’ex generale della
guardia di finanza, Emilio
Spaziante, nel “monitoraggio”
delle indagini svolte dalla procura veneziana. In quei mesi
l’imprenditore Roberto Meneguzzo, tramite tra Mazzacurati
e Milanese, riportava colloqui
e sms – ricevuti da Milanese al “re del Mose”: “Il nostro
amico mi ha detto che è confermato che domani va il Mose
in Cipe”. E aggiunge: “Ha parlato con il suo Capo”, cioè Tremonti. E ancora: girava direttamente un sms, ricevuto poco
prima da Milanese, nel quale
era scritto: “Al consiglio di domani sera c’è la norma per
Mose... Avverti il nostro amico
e tranquillizzalo!”. Il “nostro
amico” era Mazzacurati. “Tremonti mi aveva detto di occuparmi di Mazzacurati personalmente perché era un
rompicoglioni – è la versione
di Milanese – e non voleva che
lo contattasse continuamente.
E io contattavo Meneguzzo
per evitare che Mazzacurati
continuasse a rompere le scatole a me”. Milanese, che in
queste ore ha incontrato il suo
avvocato, in cella si sfoga così:
“Ma come potevo, io, gestire
400 milioni di euro? Non poteva farlo neanche Giulio Tremonti. E infatti c’era uno stallo
tra lui e Altero Matteoli: Tremonti chiedeva che fosse il ministero delle Infrastrutture, a
stanziare i 400 milioni necessari per il Mose, mentre Matteoli diceva che lui, dal suo dicastero, non intendeva spostare un centesimo, perché aveva
già impegnato il miliardo che
aveva a disposizione. E poi, se
avessi voluto intascare dei soldi, mi sarei fatto affidare una
consulenza: scrivevo dieci pareri in un anno e incassavo
centinaia di migliaia di eu-
LA SUA DIFESA
“Volevo proteggere mio
genero che ha
partecipato al concorso
per l’accademia delle
Fiamme Gialle. Non deve
pagare per me”
ro...”. Ma è per “l’intenso pericolo di reiterazione”, oltre alla “pericolosità sociale eccezionalmente elevata”, che Milanese è finito in carcere due
giorni fa. Gli investigatori
hanno intercettato il telefono
intestato a sua figlia e hanno
scoperto tre episodi, descritti
in un’informativa depositata il
2 luglio, allegata all’ordine
d’arresto firmata dal gip veneziano Alberto Scaramuzza.
“Come sta andando il ragazzo?”, chiede Milanese, chiamando un generale della GdF,
per avere informazioni sul fidanzato della figlia che, l’11
marzo scorso, ha partecipato
al concorso per l’accademia
ufficiali delle fiamme gialle a
Bergamo. “Non volevo influenzare nessuno – è in sintesi
la sua difesa – ma soltanto
chiedere che il mio futuro genero non fosse penalizzato
dalle mie vicende: ormai ho
molti nemici nella GdF, ma
non è giusto che il fidanzato di
mia figlia, paghi per le mie vicissitudini”. A detta di Milanese, la risposta dell’ufficiale
sarebbe stata piuttosto piccata:
“Se il ragazzo merita bene, se è
incapace non passa”.
IL SECONDO episodio riguar-
da una “a utenze del quartier
generale della Gdf presso il comando generale in Roma”. Sul
punto, la difesa di Milanese, è
piuttosto circostanziata. In un
processo a Napoli l’accusa sostiene che Milanese abbia ancora un ruolo nella GdF. “Ci
siamo riservati di produrre la
documentazione che dimostra
il contrario – spiega Larosa Abbiamo il verbale del sottufficiale del Comando Generale,
che ci consegna il foglio matricolare di Milanese, specificando di averlo consegnato
‘previa richiesta telefonica’
dello stesso Milanese. Tutto
qui”.
Infine, secondo l’accusa, Milanese è intervenuto negli ul-
Marco Milanese Ansa
timi mesi sul ministero della
Salute, per intercedere in merito alla commercializzazione
di un’acqua minerale, e per
questo viene contattato da un
uomo del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza. “In questa vicenda conclude Larosa - ho un ruolo
preciso: una cliente mi aveva
chiesto di vendere la sua fonte
d’acqua minerale. Ho chiesto a
Milanese, al quale avrei versato una parcella come consulente e collega, di verificare
se esistevano le condizioni per
la vendita. Milanese ha verificato che la venditrice non era
in possesso della licenza e, dopo quella telefonata, mi ha avvertito: sono certo che, tra le
intercettazioni, c’è anche quella con me, che fuga ogni dubbio sulla situazione”.
L’inchiesta Eni e i silenzi della stampa
DOPO LO SCOOP DEL “FATTO”, NOTIZIE CON IL CONTAGOCCE SULL’INDAGINE MILANESE. ECCO PERCHÉ
di Valeria
Pacelli
trani silenzi dell’informaS
zione sulla notizia che riguarda l’Eni: la più grande so-
cietà quotata in borsa è indagata per corruzione internazionale dalla Procura di
Milano. Ma in pochissimi
sembrano essersene accorti.
Non hanno scritto una riga i
quotidiani nazionali, tranne il
Sole 24 ore che pur essendo il
giornale della Confidustria ha
dedicato ampio spazio alla vicenda, e il Corriere della Sera
che almeno l’ha pubblicata in
un basso pagina. Né Repubblica, né Libero e Il Giornale,
tantomeno La Stampa e Il Messaggero sembra si siano accorte del fatto.
E NEPPURE i Tg di tutte le reti
hanno ritenuto di dover informare i propri telespettatori. Così l’informazione su una
vicenda di corruzione internazionale di un colosso - per
di più controllato dal governo
- è stata “silenziata”.
Solo un’agenzia di stampa
straniera, la Reuters (tra le più
importanti al mondo) ha ripreso lo scoop del Fatto di venerdì aggiungendo anche una
notizia: che oltre l’Eni, come
persona giuridica e l’imprenditore Gianluca di Nardo, sarebbero indagati anche l’ex
presidente Eni, Paolo Scaroni
e il lobbista Luigi Bisignani.
Non hanno seguito l’esempio
della Reuters le agenzie italiane
Agi (che è di proprietà dell’Eni
stessa) e Adnkronos. E soltanto
alle 20.39 di ieri sera, c’è stato
il primo lancio dell’Ansa, dopo che il direttore Contu era
stato contattato dal nostro
giornale. L’inchiesta riguarda
l’acquisizione nel 2011 di un
giacimento petrolifero al largo della Nigeria dal valore di
un miliardo e 300 milioni di
euro. L’Eni, secondo l’ipotesi
degli investigatori, avrebbe
pagato un miliardo e 92 milioni per il più grande giacimento off-shore del Paese
africano pur sapendo che
quella somma poi sarebbe finita alla società Malabu, riferibile
all’ex
ministro
dell’Energia nigeriano che di
fatto si era auto-assegnato la
concessione nel 1998. L’inchiesta è stata confermata anche dall’Eni che il 4 luglio ha
fatto sapere di aver “ricevuto
la notizia dell’apertura di
un’indagine da parte della
procura di Milano riguardo
l’acquisizione del blocco Opl
245 in Nigeria da parte di Eni
e Shell; la procura ha richiesto
la trasmissione di alcuni documenti”.
Il peso dell’Eni sembra intimidire gran parte l’informazione italiana e si capisce perchè. Solo nel 2012 - secondo i
dati Nielsen - tra emittenti televisive, quotidiani a pagamento, cinema e radio, il colosso ha investito nel settore
quasi 64 milioni di euro. Una
spesa che si è ridotta nell’anno
successivo, rimanendo comunque considerevole: nel
2013 sono stati spesi in pubblicità 52 milioni e 816 mila
euro.
Ai quotidiani a pagamento
sono stati destinati 6 milioni
700 mila euro nel 2012 e altri 6
milioni e 300 mila euro nel
2013. Le somme per la televisione sono ancora più elevate: la Rai ha ottenuto nel
2012 quasi 13 milioni di euro,
cifra ridotta l’anno successivo, arrivando a poco più di 8
milioni. Mentre Mediaset non
ha sentito la crisi incassando
quasi 26 milioni nel 2012 e
altri 23 nel 2013.
Neanche una riga, abbiamo
detto, su Libero e Il Giornale. Gli
stessi quotidiani che negli anni scorsi, anche con l’intermediazione di Bisignani, come
ammette lui stesso, avrebbe
incassato dall’Eni cifre consistenti di pubblicità. Lo racconta il lobbista ai magistrati
napoletani nel 2011, quando è
stato interrogato nell’ambito
dell’inchiesta sulla loggia P4.
Bisignani spiega ai pm che in
un certo periodo a raccogliere
la pubblicità per Libero e Il
Giornale era la concessionaria
di Daniela Santanchè, la società Visibilia. In questo ambito, Bisignani rivela di aver
facilitato i rapporti tra la concessionaria, che lavorava per i
giornali berlusconiani, e l’Eni.
“Feci stringere rapporti fra la
Santanchè e la famiglia Angelucci - mette a verbale il 14
marzo 2011 Luigi Bisignani in particolare Giorgio e AnLuigi Bisignani Ansa
INFORMAZIONE
Il Corriere dedica alla
vicenda un basso
pagina, Repubblica e
Tg se ne dimenticano
L’Ansa preferisce
aspettare due giorni
tonio. Costoro avevano difficoltà a raccogliere pubblicità
per il giornale Libero. A questo
punto la Santanchè e gli Angelucci, dopo un periodo iniziale nel corso del quale la
Santanchè operava come
free-lance, portando molti
clienti a Libero soprattutto nel
settore della moda, in seguito
istituzionalizzò questo suo
rapporto con gli Angelucci
con un’iniziativa che io stesso
gli consigliai, cioè la costituzione di una vera e propria
concessionaria di pubblicità,
denominata Visibilia”.
IL RACCONTO di Bisignani
continua spiegando che i rapporti Santanchè-Angelucci
iniziarono a deteriorarsi
quando la Visibilia iniziò a
“raccogliere pubblicità con Il
Giornale in concomitanza del
passaggio di Feltri dalla direzione di Libero a quella del
Giornale.”
Il lobbista aggiunge nel verbale ai magistrati: “Io sono
amico dell’Eni perchè sono
molto legato a Paolo Scaroni e
da sempre all’Eni. Ho facilitato la costituzione dei rapporti commerciali tra Visibilia (ovvero tra la Santanchè ) e
Eni, Enel e Poste”. Ancora oggi la Visibilia è la concessionaria di pubblicità de Il Giornale, di cui è direttore Alessandro Sallusti, compagno
della Santanchè, il quale ha
preferito non dare notizia
dell’inchiesta sull’Eni.
8
C’ERA UNA VOLTA
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
Bdenunciano
ologna, operaie
la Yoox:
“Trattate da schiave”
il Fatto Quotidiano
RIMPROVERI CONTINUI, ritorsioni, vessazioni fino a vere e proprie molestie. Questo accade - secondo la denuncia presentata da undici operaie - nei
magazzini Yoox all’interporto di Bologna. Si tratta
dei capannoni dai quali partono gli ordini del gigante
dello shopping online, in perenne crescita (+25%) e
con un ricavo netto, nel 2013, di mezzo miliardo di
euro. La procura di Bologna ha aperto un fascicolo
Non c’è solo la crisi che deprime i consumi, anche il commercio
online sta divorando i piccoli negozi: “Le persone entrano per
guardare la merce che comprano poi sui siti a prezzi più bassi”
Ad Avellino i centri commerciali sono deserti, a Urbino i negozi
si offrono ai cinesi. Ma c’è anche chi, come Peter a Milano - costretto
a chiudere per la concorrenza digitale - è rinato online
di Virginia della Sala
G
iovanni è operaio in una fabbrica conciaria. Si rigira tra le
mani il tablet in un negozio
Unieuro, borbotta qualcosa
che assomiglia a “bello, bello,
mi piace”. Scatta una foto,
chiede al commesso se si può inserire la sim
card. Poi lo ripone sullo scaffale ed esce. Non ha
guardato altro. “Al momento non posso acquistarlo - spiega - ma quando avrò i soldi lo comprerò su internet”. Ci sono tre dati per tracciare
il quadro del commercio italiano, il comportamento di Giovanni li riassume tutti. Si potrebbe partire dal più recente, quello rilevato
giovedì dall’Istat, secondo cui nei primi tre mesi
dell’anno la spesa delle famiglie per i consumi è
aumentata dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e allo stesso periodo del 2013. Non succedeva dal almeno due anni. Si passa poi al dato
di Confcommercio, diffuso a fine giugno, che in
contro tendenza racconta di 50mila esercizi
commerciali che nel primi cinque mesi di quest’anno hanno cessato la loro attività. Al centro
di questi numeri, c’è il terzo dato: l’aumento
costante del commercio online che coinvolge
ogni mese dieci milioni di italiani e che in un
anno muove 14 miliardi di euro. In Italia è in
crescita, più che negli altri paesi europei. Nel
2013 il 29% delle imprese commerciali ha dichiarato di avere un punto vendita virtuale, il
37% si è detto pronto ad avviarlo. I clienti ordinano sul web perché costa meno e ci sono più
servizi, ma non si rinuncia al negozio fisico. La
sopravvivenza dei commercianti, però, dipenderà sempre più dalle grandi piattaforme di
vendita online come Amazon e dalla visibilità
che riusciranno a conquistare sul web.
Unieuro, come molte catene, ha invece capito
che il futuro delle vendite è a metà strada tra il
negozio che affaccia sulla strada provinciale e il
sito internet. “È conveniente acquistare dal sito
– spiega Giovanni – C’è proprio scritto che con
il prezzo web si risparmia il 40%. Poi si può
scegliere la consegna a domicilio o il ritiro in
negozio. Io abito qui vicino e sono venuto a
controllare che mi piacesse davvero. Anche
perché non so neanche quanti siano 16 pollici.
Non credo che potrei mai comprare alla cieca”.
SERRANDE GIÙ, L’ECATOMBE È NEI NUMERI
Avellino, Campania. Un piccolo capoluogo di
provincia con tre centri commerciali che nel
corso degli anni si sono svuotati. Su ogni piano
si contano almeno due negozi chiusi e i volantini dei “Fuori tutto” sono accartocciati tra le
porte e le saracinesche abbassate. I parcheggi
hanno centinaia di posti auto vuoti, solo di tanto
in tanto qualcuno fa jogging. “Non c’è mai stata
grande affluenza - racconta la cassiera del discount al piano terra - ma di sicuro non si è mai
vista così poca affluenza”.
Secondo i dati di uno studio dell’Osservatorio
sulla demografia delle imprese, realizzato dal
centro studi di Confcommercio, nei primi cinque mesi del 2014 in Italia 52.716 imprese commerciali hanno cessato la loro attività. Ne sono
nate circa 30mila, con un saldo negativo di circa
25.000 unità. In pratica, per ogni nuovo negozio
aperto, ne chiudono due. “Siamo nel mezzo di
una crisi che a questo punto sembra non finire
mai - spiega Mariano Bella, capo dell’ufficio studi di Confcommercio - e soprattutto nel mezzogiorno il distacco con il resto del Paese si è
fatto molto grave. Per avviare una ripresa si dovrebbe iniziare a ridurre la spesa pubblica e ad
alleggerire la pressione fiscale. L’ideale sarebbe
vivere in un Paese in cui la controparte istituzionale fosse almeno neutrale, se non amica,
nei confronti del settore produttivo”.
Intanto, il consumatore ha cambiato mentalità.
Si è accorto che all’aumento dei prezzi in negozio corrispondeva una loro diminuzione sul
web, soprattutto sulle grandi piattaforme di
eCommerce. Il dato parallelo a quello di Confcommercio, infatti, è dell’osservatorio Netcomm del Politecnico di Milano che stima un
aumento delle vendite online del 17% nel 2014,
con un fatturato di circa 13,2 miliardi di euro.
Secondo i dati, 20 milioni di italiani hanno acquistato online almeno una volta nella vita.
Quasi 10 milioni comprano su internet una volta al mese e nei primi mesi del 2014 sono state
circa 50 milioni le operazioni di acquisto online
in Italia, di cui il 65 % per beni materiali. Inoltre,
70 miliardi di euro di acquisti al dettaglio, su un
totale di 700 miliardi, sono decisi informandosi
sul web.
“L’eCommerce non è né un ostacolo né un avversario del commercio tradizionale, ma è una
risorsa essenziale per chi voglia anche solo incrementare la propria visibilità - spiega Mariano
Bella - I problemi nascono quando il commercio online crea incertezze sul pagamento delle
imposte. Mi riferisco a quei siti che lavorano in
Italia ma che hanno residenze fiscali all’estero. Il
nostro paese ospita la loro produzione ma non
trae giovamento dalle loro tasse”.
INTERNET TOGLIE, INTERNET DÀ
Milano, via Mascheroni, nei pressi di piazza della Conciliazione. Peter Panton ha dovuto chiudere la sua libreria “English Bookshop” dopo 35
anni di attività. “Pochi sanno che in origine il
termine browsing, quello usato oggi per indicare l’atto di cercare su internet, era attribuito
alle librerie. Si riferiva allo sfogliare i libri, al
cercare tra gli scaffali, al curiosare nelle pile impolverate. Da quando c’è internet - racconta
Panton - non c’è più la scoperta. Le persone non si avventurano nei negozi ma comprano
direttamente ciò che vogliono
sul web. Per chi vende, per me,
questo si traduce nel non riuscire più a sostenere le spese di
un locale fisico. I conti, l’affitto,
i quattro dipendenti”. La sua
cantina è stipata di scatoloni.
Ci sono 20mila libri, conservati
in ordine alfabetico. Panton
parla di internet come la causa
della fine della sua attività. Da
internet però è pronto a ripartire. “Dovrò provare a venderli
online - spiega Peter, che non
ha perso tempo e ha già il suo
piccolo sito e nel tempo libero
crea applicazioni per smartphone e tablet – E so che dovrò cederli in stock. Ho già
provato a vendere i singoli volumi ma c’è bisogno di manutenzione del sito, di
continui aggiornamenti, di visibilità. Forse non
si pagherà quanto l’affitto di un locale, ma l’investimento di tempo è notevole”.
A Urbino, città di Raffaello Sanzio, nel 2013
sono stati chiusi almeno 25 negozi su 100 e ci
sono decine di locali sfitti. Sta per chiudere un
orafo in via Raffaello, ha chiuso il Koala, storico
negozio di articoli d’epoca che ha anche pubblicato l’annuncio di vendita sul sito www.vendereaicinesi.it (con migliaia di annunci di vendita di imprese italiane, tradotti in cinese). Hanno chiuso i punti vendita di sigarette elettroniche in via Mazzini. All’entrata della città, nei
pressi di Porta Valbona, da 50 anni c’è “Amicucci Belle Arti”. In vetrina sono esposti colori a
tempera, tele, cavalletti e materiale di cancelleria. È una delle due sedi. L’altra, fuori dalle
mura della città, è il punto da cui si gestisce la
vendita online. “Abbiamo aperto da qualche an-
L’ANNO ZERO DEI NEGOZI
“PROVANO DA NOI
E COMPRANO SUL WEB”
no un sito web - raccontano i proprietari, padre
e due figli - e non si può negare che le vendite su
internet compensino il calo fisiologico di quelle
in negozio”.
Più della metà dei prodotti è venduta sul web.
Così ha conservato i vecchi clienti e ne ha conquistati di nuovi da tutto il mondo. “La nostra
fortuna - spiegano - è essere un negozio specializzato in prodotti per l’arte, in una città d’arte. Gli studenti delle accademie imparano a conoscerci qui e, quando iniziano a lavorare, continuano a rifornirsi da noi da ogni parte d’Italia.
Con internet questo passaggio è diventato più
semplice. Ci ha aiutato a fidelizzare il nostro
cliente anche oltre i confini territoriali”.
ANCHE ONLINE GRANDI CONTRO PICCOLI
Il negozio fisico è una necessità. Il cliente ha
bisogno di toccare il prodotto, di testarne la qualità prima di spendere. “Il problema è che spesso
CRISI
Manichini abbandonati
ad Avellino,
dove anche
i centri
commerciali
cominciano
a chiudere
i battenti.
A destra, lavoratori cinesi
di un negozio
online
LaPresse
C’ERA UNA VOLTA
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
9
QUELLI CHE RESISTONO
Solo lusso e alimentari
reggono ancora
GLI UNICI RIMASTI IN PIEDI? Lusso e alimentari. Sono queste le tipologie di negozi che hanno
mostrato una qualche forma di resistenza all’avanzata inarrestabile dell’eCommerce. Davanti ai dati
- eccetto i settori già menzionati - contenuti nelle
serie storiche pubblicate dall’Istat, campeggia
sempre e solo il segno meno. Dalla farmaceutica ai
giocattoli, dai casalinghi ai mobili, non c’è tipologia di bene che non rimanga sempre più invenduto
nelle vetrine o negli scaffali dei negozi tradizionali.
Dal 2010 il record negativo l’ha fatto registrare il
settore degli strumenti musicali e della foto-ottica
(-5,6%); ma l’andamento negativo riguarda anche
la cartolibreria (-3,8%), l’abbigliamento (-3,3%),
e le calzature (-2,6%). Nel eCommerce invece, i
settori che denotano in assoluto una percentuale
di crescita maggiore in termini di giro d’affari sono,
oltre all’abbigliamento (salito del 27%), l’informatica e i viaggi, con la vendita dei coupon delle compagnie aeree e dei villaggi turistici arrivate a 53
milioni di euro nel solo 2013.
ANCHE IL PAPA CONTRARIO
Aperture tutto l’anno,
il flop del decreto Monti
LA LIBERALIZZAZIONE delle aperture del commercio - introdotta due anni fa dal Salva-Italia del
Governo Monti - non è servita a rilanciare i consumi ma ha favorito solo i grandi centri commerciali: “I previsti effetti benefici sono tuttora non
pervenuti, e il settore ha perso tra il 2012 e il 2013
oltre 100mila posti di lavoro, registrando 28,5 miliardi di minori consumi da parte delle famiglie”. È
il quadro che emerge da un’indagine condotta da
Confesercenti sulla norma entrata in vigore a gennaio 2012 che rende possibile l’apertura 24 ore al
giorno tutti i giorni dell’anno, domeniche e festività
incluse. Una sponda ai piccoli commercianti è arrivata ieri da Papa Francesco. Bergoglio ha parlato
delle domeniche lavorative, spiegando che “lavorare nei festivi non è vera libertà". Un parziale ritorno al passato potrebbe arrivare con la proposta
di legge Pd in discussione alla Camera che introduce 12 giorni di chiusura obbligatoria. La convergenza con Fi, Sc e M5s arriverà probabilmente con
un emendamento che ne dimezza il numero.
SVENDITA TOTALE
Un negozio chiuso. Sotto, un’immagine tratta da uno dei tanti siti
dove i commercianti vendono l’attività ad acquirenti cinesi Ansa
le persone entrano, provano le scarpe e poi non
le comprano” racconta Maria, commessa da due
anni. Non sa dire se poi le acquistino su internet
ma “non lo escluderei - commenta ridendo visto che prima di iniziare a lavorare qui l’ho
fatto anch’io perché costavano molto meno”.
La soluzione per i negozianti sembrerebbe quindi semplice: aprire un sito internet e risparmiare
sui costi. Niente affitto, niente bollette, se non il
dominio e il magazzino. “È parzialmente vero
che questo potrebbe apportare benefici - spiega
Alessandro Perego, responsabile scientifico dell'Osservatorio eCommerce del Politecnico di
Milano - ma un sito internet scomparirebbe nel
mare dell’offerta del web. È per questo che in
Italia il 70% del fatturato del commercio online
è realizzato da pochi grandi operatori. Se si vuole sopravvivere nel commercio virtuale, al piccolo commerciante conviene affacciare il suo
negozio su queste piattaforme, pagando la
tariffa richiesta e la percentuale”.
L’ITALIA CONQUISTATA DALLA RETE
Tra i maggiori operatori nella vendita online
in Italia c’è Amazon, un’azienda statunitense
di commercio elettronico che da vent’anni
distribuisce prodotti in tutto il mondo e che
dal 2010 è anche sul mercato italiano. Conta su
una crescita continua e su un fatturato che nel
quarto trimestre del 2013 era pari a 25,59 miliardi di dollari, con un utile netto di 239 milioni
di dollari (il 20% in più rispetto all’anno precedente) e circa 12.000 aziende private in Italia
vendono sfruttando la visibilità della sua piattaforma, 7000 si appoggiano anche ai suoi magazzini. “A ben vedere, grazie al commercio
online le persone comprano di più e comprano
cose che altrimenti non avrebbero acquistato. Il
60% dei prodotti in vendita su Amazon, poi,
proviene dai magazzini dell’azienda. Il restante
40% è frutto dei venditori diretti che ospitiamo
sulla piattaforma. Pagano 34 euro al mese, più il
15-20% sui guadagni, e hanno la possibilità di
vendere anche all’estero”.
Dietro la struttura virtuale c’è l’Amazon fisico
con i suoi tre punti di gestione italiani a Milano,
dove lavorano 220 persone, a Castel San Giovanni, vicino Piacenza, dove tra 70.000 metri
quadrati di scaffali lavorano 420 persone a
tempo indeterminato per gestire più di un
milione di pezzi e a Cagliari, dove lavorano
200 persone. Un’azienda che con circa mille
unità lavorative gestisce otto milioni di
utenti da tutta Italia. “Sono figlio di una ex
libraia di Torino - racconta Angioni - e so
cosa vuol dire chiudere un’attività, non
poter più dare lavoro ai dipendenti perché
non si riesce a rientrare nelle spese. Il mondo
cambia. Il consumatore decide l’andamento del
mercato e il successo delle nuove tecnologie. È
vero che il progresso riduce la manodopera, ma
è la storia del mondo. Non esistono aziende cattive, ma aziende che sanno prosperare grazie
all’innovazione”.
Per Angioni è internet a cambiare le regole del
gioco, come nel caso di una nuova applicazione
americana, Amazon Fresh, che permette di fare
la spesa al supermercato comodamente da casa.
Si apre il frigo, si inquadra il codice a barre del
prodotto da ordinare, si autorizza la transazione
dallo smartphone o dal pc e il giorno dopo il
supermercato recapita la spesa, fresca, a casa.
“Le persone hanno buon senso – conclude Angioni - si muovono in base alla convenienza del
momento. ECommerce e negozi potranno vivere insieme. Non si escluderanno. Quando nel
cuore della notte avrò voglia di leggere un libro,
scaricherò l’ebook. Quando starò passeggiando
in città, lo comprerò in un negozio”.
10
NON SOLO ILVA
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
A
Priolo e Milazzo
pure il rischio-sisma:
“Verrebbe giù tutto”
UNA DELLE AREE a più alto rischio sismico d’Europa e con la più alta concentrazione di impianti petrolchimici del continente. Gli stabilimenti di Milazzo (Messina) e Priolo (Siracusa), non sono solo
classificati come siti contaminati (Sin) ma anche a
“Rischio di incidente rilevante”. “Un terremoto di alta o bassa intensità - atteso nella zona - causerebbe
danni ingenti agli stabilimenti”, ha spiegato ad apri-
il Fatto Quotidiano
le Giuseppe Maschio, docente di chimica all’Università di Messina e membro della Commissione
nazionale grandi rischi. Stessa conclusione di un
rapporto del Cnr mai divulgato dalle autorità ma
confermato dall’ex direttore dell’Arpa Sicilia, Salvatore Cocina: “A Priolo, se di media intensità verrebbe giù metà dei manufatti, se di elevata intensità,
tutto collasserebbe”.
LE 57 TARANTO D’ITALIA
BONIFICHE MAI FATTE
E MALATTIE IN AUMENTO
ALMENO UN SITO PER REGIONE, LA MAGGIOR PARTE AL NORD:
6 MILIONI DI ITALIANI VIVONO ACCANTO A BOMBE ECOLOGICHE
LO STUDIO SENTIERI: + 90% DI TUMORI IN DIECI ANNI
di Marco Palombi
C
i siamo spesso occupati, e a ragione,
nella settimana appena trascorsa della
situazione di Taranto: inquinamento,
morti, vite sequestrate dalle polveri,
istituzioni prigioniere della propria inconsistenza, un rapporto perverso tra Stato e grandi
aziende che sopravvive sull’equivoco della scelta obbligata tra vita e lavoro. Eppure quel che
abbiamo raccontato per Taranto può essere
moltiplicato almeno per 57 (e questo senza tener conto dei siti militari). La mappa che vedete
accanto è infatti quella delle Taranto sparse per
l’Italia: almeno una per regione, la maggior parte nel Centro-Nord. Tecnicamente si chiamano
SIN, siti di interesse nazionale: sono quel che
resta di qualche decennio di industria chimica,
di petrolio, di metallurgia, di una vecchia fiducia nel progresso buono di per sé. Ora stanno
lì, spesso abbandonati, e continuano in silenziosa osmosi a vendicarsi della terra che li ospita
senza che nessuno - governo, regioni, privati faccia niente. Anzi no, per non generalizzare va
detto che Mario Monti è riuscito a ridurli di ben
18 unità: non facendo le bonifiche, per carità,
ma semplicemente affidando 18 bombe ecologiche alla cura delle regioni e togliendola a quella dello Stato (nella cartina, le vedete in rosso).
Un pezzo di decrescita non proprio felice in
quello che fu chiamato decreto Crescita. Fuori
dalle magie burocratiche, però, fanno sempre
57 siti e - se si eccettua l’Acna di Cengio, in
Liguria, e poco altro - non c’è uno di questi posti
in cui si possa dire che siano iniziati davvero i
lavori di messa in sicurezza del territorio.
NON SOLO TARANTO e Brindisi in Puglia, non
solo Priolo e Gela in Sicilia, non solo Bagnoli o il
martoriato litorale Domizio: ci sono Brescia,
Mantova, Trieste, Trento, Massa Carrara, Milano e Sesto San Giovanni, Fidenza, Venezia, la
laguna di Grado e decine di altri luoghi che l’immaginario collettivo non associa a disperazione
e morte. La pianura padana e persino su fino alle
Alpi sono punteggiate di Sin. Circa sei milioni di
italiani – facendo un conto a spanne – vivono in
zone contaminate, in cui l’incidenza delle malattie è straordinariamente più rilevante che nel
resto della penisola. Un solo dato. L’ultimo aggiornamento dello studio Sentieri (acronimo
che sta per Studio Epidemiologico Nazionale dei
Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio
da Inquinamento) rivela che nei Sin i tumori
sono aumentati fino al 90% in soli dieci anni
(almeno a stare ai dati dei 18 siti in cui esiste il
Registro dei tumori, che pure sarebbe obbligatorio per legge). Anche i ricoveri in eccesso aumentano esponenzialmente: a Milazzo (+55%
per gli uomini e +24% per le donne) e a Taranto
(+45 e +32), ma pure nella ricca Brescia dell’area
Caffaro (+79 e +71%) e ai Laghi di Mantova (+84
Un tramonto chimico a Marghera Ansa
e + 91), a pochi chilometri dalle dolcezze metafisiche del Festivaletteratura.
Di fronte a questi dati, correre a bonificare sarebbe una priorità morale, oltre che un obbligo
di legge, eppure non c’è traccia di fretta nell’atteggiamento delle autorità. I soldi pubblici sono
pochi e spesso male usati (alla Procura di Palermo è aperta un’inchiesta sull’uso dei fondi
europei per le bonifiche in Sicilia), i responsabili
privati difficilmente pagano per i danni arrecati
alla collettività.
Forse il motivo risiede nel fatto che a scorrere
l’elenco delle aziende coinvolte si trova un bel
pezzo del capitalismo che opera in Italia: oltre
all’Ilva, l’Eni (un po’ dovunque nella penisola),
l’Enel, la Ies a Mantova, Thyssen Krup a Terni,
Nuovo Pignone e Solvay in Toscana, Erg, Tamoil, Eternit, la Saras dei Moratti in Sardegna.
DI FRONTE a questa situazione “la reazione dei
governi, invece di far rispettare la legge, è quella
di cercare un’alleanza con la grande industria”,
dice Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi italiani:
“In una serie di provvedimenti si è cercato, con
la scusa delle semplificazioni, di ridurre la portata del principio ‘chi inquina paga’, caricando
sulla collettività spese che andrebbero sostenute
da chi è responsabile del problema”. Enrico Let-
Ipad e pc, tutte le tasse di Franceschini
ta tentò il colpo di mano diretto proprio sulle
bonifiche dei Sin, ma pure il governo di Matteo
Renzi non sembra essersi liberato dalla sindrome dell’appeasement con la grande industria:
“Nell’ultimo decreto Ambiente firmato dall’attuale ministro Gian Luca Galletti – spiega Bonelli – si alzano i livelli tollerati di inquinamento
per i siti militari col risultato che ora le bonifiche
in molti posti si potrà evitare di farle addirittura
per legge. E pure sugli scarichi in mare si consente di elevare i limiti in rapporto alla produzione: quando in futuro andremo a chiedere agli
inquinatori di bonificare le acque, ci diranno che
hanno inquinato a norma di legge”.
Il ministro della
Cultura, Dario
Franceschini Ansa
PER UN COMPUTER 5,2 EURO, PER LE TV 4, NOVE PER UNA CHIAVETTA USB. ECCO IL DECRETO “SCRITTO” DA SIAE
di Chiara
Daina
ronto dal 20 giugno e firmato dal ministro
P
dei Beni culturali Dario Franceschini, il
decreto sull’equo compenso (che garantisce il
diritto d’autore anche sui contenuti digitali copiati o registrati su apparecchi elettronici) per
salvaguardare il diritto d’autore, che prevede
nuove “tasse” su pc, smartphone, tablet, televisori e pendrive Usb, non ha ancora fatto la sua
apparizione in Gazzetta Ufficiale e neanche sul
sito web del ministero. Ilfattoquotidiano.it, però,
grazie all’avvocato Guido Scorza (blogger del
nostro sito), ha potuto leggerlo in anteprima e
trarne qualche conseguenza. Innanzitutto la
beffa di Franceschini: “Con questo intervento si legge sul comunicato stampa che annunciava
il decreto - si garantisce il diritto degli autori e
degli artisti alla giusta remunerazione delle loro
attività creative, senza gravare sui consumatori”. Come è possibile che gli aumenti tariffari
da oltre 150 milioni di euro all’anno (che finiranno nelle casse della Siae) non graveranno
anche sulle tasche dei consumatori italiani?
Com’è più probabile e come sempre accade, i
produttori di informatica e tecnologia scaricheranno l’aggravio fiscale sul prezzo finale del
prodotto, cioè sui cittadini tutti. In sostanza,
siamo di fronte a un aumento di tasse mascherato.
INTANTO, ecco le principali novità che il mi-
nistero della Cultura, d’accordo con il presidente della Siae Gino Paoli, ha stabilito in nome
della tutela del diritto d’autore per copia privata:
5,20 euro di “tassa” per un computer, stessa cifra
per uno smartphone o un tablet con capacità di
memoria superiore a 32 giga, quattro euro per
televisori dotati di capacità di registrazione, cui
dovranno sommarsi altri euro per l’hard disk
(fino a 20 euro) o pendrive Usb (9 euro). Ma c’è
l’inghippo. La legge prevede che il ministero dei
Beni culturali aggiorni le tabelle dei compensi
dopo aver consultato il Comitato permanente
sul diritto d’autore e le associazioni di categoria
dei produttori di tecnologia. La Siae quindi è
esclusa dai lavori. Solo in teoria, però. Perché
nella pratica è intervenuta parecchio. Anzi ha
proprio dettato il testo, poi recepito fino alla
virgola dal ministro Franceschini. Basta confrontare il decreto, ancora nascosto nel Palazzo,
col testo diffuso da Siae tra gli addetti ai lavori
nei mesi scorsi per non trovare le differenze.
Da una parte il bastone, dall’altra la carota. An-
che se ne avremmo fatto francamente a meno: la
Siae nel frattempo
ha ridotto l’equo
compenso sui dispositivi che ormai conserviamo
in soffitta, come i registratori Vhs o i vecchi
cellulari. Non è un caso, forse, che il predecessore di Franceschini, Massimo Bray, durante
il governo Letta, avesse commissionato una ricerca di mercato per verificare se gli italiani si
dilettassero a confezionare copie private. Risultato: sono sempre di meno i cittadini che
copiano. Anche perché ormai si guarda e si
ascolta in streaming. Quel decreto, dunque ha
sempre meno ragione di esistere.
ROTTAMATORE
il Fatto Quotidiano
A
l Qaeda, l’ultima
minaccia: bombe
negli smartphone
LA NOTIZIA sembra uscita da un
film d’azione americano, ma a quanto
pare si tratta di una minaccia concreta. Funzionari dell’antiterrorismo
americani, citati dal quotidiano britannico Telegraph, rivelano che
l’esperto di bombe di al Qaeda,
Ibrahim Hassan al-Asiri, avrebbe
messo a punto un nuovo esplosivo in
grado di eludere gli attuali controlli di
sicurezza negli aeroporti. La bomba
di nuova generazione potrebbe essere contenuta all’interno di uno smartphone. Gli aeroporti internazionali
hanno già stabilito lo stato di allerta e
chiunque viaggi in possesso di un di-
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
11
spositivo cellulare della Apple o della
Samsung, a quanto pare sarà sottoposto a controlli molto più approfonditi. Gli americani inoltre temono che
al-Asiri stia lavorando persino a un
esplosivo che verrebbe inserito con
un’operazione chirurgica direttamente nel corpo del terrorista-kamikaze.
Il Califfo ci mette la faccia
e il suo video invade il web
AL-BAGHDADI MOSTRA PER LA PRIMA VOLTA LA PROPRIA IMMAGINE IN UN FILMATO
DIFFUSO SU TWITTER: LA LEADERSHIP SUGLI INTEGRALISTI SUNNITI È SEMPRE PIÙ FORTE
di Giampiero Gramaglia
I
l califfo esce dall’ombra e
va alla conquista del
web: Abu Bakr al-Baghdadi pronuncia un
sermone in una moschea di
Mosul, la seconda città
dell’Iraq, nel Nord, presa dalle
milizie jihadiste, e lo posta online, invitando tutti i musulmani
a ubbidirgli.
Il messaggio, una predica nel
venerdì di festa, all’ora della
preghiera comune, non ha la ieraticità dei video di Osama bin
Laden, postura da profeta e mitra accanto, che giungevano
dalle montagne al confine tra
Afghanistan e Pakistan. Ma la
sua diffusione prova che il leader dello Stato islamico auto-proclamatosi califfo tra Siria
e Iraq si propone come leader di
tutta la comunità musulmana,
o almeno dell’area integralista e
sunnita, incurante delle scomuniche comminategli. E gli
jihadisti, oltre che i successi militari sul terreno, cercano quelli
mediatici sul web.
LA NOTIZIA del video arriva da
twitter, sui profili di militanti
“portavoce” di al-Baghdadi e
milizie – fra di essi, un cileno di
25 anni. Una strategia di comunicazione che, più che bin Laden e il suo successore Ayman al
Zawahiri, non a loro agio con i
tweet, ricorda i talebani 2.0 del
mullah Omar, con veri addetti
stampa e profili sui social media. Internet è uno strumento di
propaganda, ma anche di raccolta di fondi: dai social network, arrivano alla galassia di al
Qaeda finanziamenti cospicui,
stimati in miliardi di dollari, e
migliaia di volontari reclutati
ovunque nel Mondo. Per Angel
Rabasa, dell’Iiss (International
Institute for Strategic Studies),
già analista dell’Amministrazione Usa, “dei 10mila volontari
stranieri giunti in Siria per combattere Assad, 2mila venivano
dall’Europa”.
In un precedente messaggio, solo audio, diffuso dopo la proclamazione del califfato, al-Baghdadi aveva detto il 2 luglio che
“è dovere religioso di tutti i musulmani riunirsi nel califfato
islamico” e aveva promesso di
reagire “all’oppressione dei musulmani nel mondo”. “Superate
le divergenze e rimanete uniti:
se seguirete le mie indicazioni, e
se Allah lo vuole, vi porterò alla
conquista di Roma e del Mondo
intero”. Una minaccia simbolica, avevano prudentemente
reagito le autorità italiane, ma
da prendere sul serio.
Il video di al-Baghdadii non è
stato ancora “autenticato”
dall’intelligence occidentale.
Grande barba, tunica e turbante
neri, volto ancora giovane, l’uomo indicato come “principe dei
credenti Abu Bakr al-Baghdadi” è molto somigliante all’identikit fornito mesi fa dai servizi di
sicurezza americani e giordani.
Gli Stati Uniti hanno posto su di
lui una taglia di dieci milioni. E
Washington e Riad concordano
nel giudicare “una minaccia” il
califfato. Nel giro di un mese, le
milizie si sono impossessate di
larghe parti del territorio siriano e iracheno. Gli echi delle loro
imprese contagiano il Libano e i
Territori. A Baghdad, il premier
al Maliki, che gli Usa hanno scaricato, non vuole passare la mano, ma non riesce a organizzare
una controffensiva né politica
né militare. E i curdi, che hanno
preso Kirkuk, stanno delimitando i nuovi confini del loro
territorio e preparano il referendum per indipendenza.
Durante la predica durata poco
più d’un quarto d'ora, al-Ba-
ghdadi s’è rivolto ai fedeli da un
ambone in pietra decorato con
ricami di pietra, salmodiando
versi del Corano, prima di guidare la preghiera intonando sure. Il califfo ha innanzitutto elogiato il Ramadan, il mese sacro
L’imam se l’è poi presa con i miscredenti e gli ipocriti, esaltando le “vittorie dei musulmani” a
“Occidente e Oriente”.
Poche ore prima della diffusione del video, Yusuf al-Qaradawi, eminente teologo del sunni-
POST OSAMA
La nuova strategia di comunicazione
è lontana da quella dei tempi di bin Laden,
che non era a suo agio con la Rete e i tweet
dell’Islam, in corso.
AL-BAGHDADI, ha esaltato i
mujahidin (i combattenti per la
jihad), esortandoli a fare il loro
“sforzo” sulla via di Dio, perché
“l’annuncio del califfato è un
dovere di tutti i musulmani”.
smo, aveva espresso l’ennesima
sconfessione, una vera e propria
“scomunica” – diremmo noi –
del califfato.
Qaradawi è stato lapidario:
“Quel califfato è vietato dalla
sharia, la legge coranica, ed è
nullo”.
Il califfo dello “Stato islamico” Abu Bakr al-Baghdadi Ansa
MISSIONE IMPOSSIBILE
La conquista di Roma si blocca sul Gra
di Stefano
Disegni
armata dell’ISIS scelse male
L’
l’ora per conquistare Roma. Alle 8,30 rimase imbottigliata sul Rac-
cordo, altezza Settebagni. Non sapevano, i truci guerriglieri di Allah, che
a quell’ora ‘a ggente vanno a lavorà.
Tra fuori di testa che smadonnavano,
stereo a dumìla, moto e
motorini che sciamavano
de qua e de là (uno col Kawasaki enduro gli passò sul
tetto dell’autoblindo) e am-
dalle revolverate partite da due o tre
macchine di laziali.
In verità i guerriglieri di Allah non
sapevano nemmeno perché l’esercito
italiano li avesse lasciati arrivare fin là
senza opporre resistenza, anzi, facendogli strada. Dopo sei ore di coda sotto il sole, i mezzi dell’armata islamica,
guidati da barbuti un po’ in deliquio e
IL FALLIMENTO
L’armata islamica vuole
espugnare la Città Eterna
ma trova buche, traffico
infinito, cortei in centro
e abusivi ovunque. Non
resta che tornare indietro
bulanze bloccate sulla corsia d’emergenza dal Suv di qualche fìo de ‘na
mignotta che ci aveva provato e mo’
stava a litigà coi portantini, i barbuti
giustizieri dell’Islam non sapevano
che pesci prendere e come imporre il
Corano auto per auto, dato che tra
una e l’altra non ci passava manco
una sogliola in verticale.
QUALCUNO DI LORO sparò in aria,
un po’ per intimidire, un po’ per farsi
strada. Gli rispose una salva di revolverate da un pullman di tifosi della
Curva Sud che videro in loro dei compagni di strada e di lotta e sventolarono lo striscione “C’è un solo capitano”, immediatamente perforato
otto automezzi lasciarono i cingoli
sulle doline carsiche che sulla Casilina
sfasciavano le sospensioni a residenti
e non, per gli scossoni un barbuto che
guidava senza cintura ci rimise gli incisivi (“A’ Fidelcastro, fa’ causa ar Comune, po’ esse che ariva quarche sordo ai tu’ nipoti!” gli gridarono da un
bar).
Un po’ scossi, i
conquistatori venuti dal Levante
decisero di fermare
la colonna e fare il
punto, onde elaborare una strategia
di attacco.
Fermare una colonna. A Roma.
Dove non c’è par-
IL CORTEO
Un’immagine delle
milizie siriane
dell’Isis, durante una
parata a Raqqa
LaPresse
coi crampi agli avambracci, saltarono
l’uscita e siccome quella dopo era
chiusa perché stavano a potà ‘e siepi,
si fecero altre tre ore di coda fino al
cavalcavia e altre sei in senso inverso,
gli ultimi due chilometri sulla corsia
d’emergenza tra i vaffanculo di quelli
in coda che non li facevano rientrare
così ve imparate, li mortacci vostri,
finché imboccarono l’uscita giusta e si
avviarono alla conquista del simbolo
della Cristianità.
Sei blindati sparirono subito in una
voragine sull’asfalto della Prenestina
(“Mortacci de Marino, ieri c’è sparito
un purmino de suore e lui sta a cambià l’acqua ai pesci” commentò er sor
Quinto da dentro all’edicola). Altri
cheggio nemmeno per un monopattino. Sciami di ausiliari del traffico
con banda gialla sbucarono anche dai
tombini, assetati di sangue e di multe.
La velocità felina con cui infilavano
contestazioni sotto i tergicristallo delle autoblindo, sulle motocorazzate e
perfino su tre carri armati con invito a
presentarsi entro cinque giorni negli
uffici della Municipale pena sequestro del mezzo, mandò fuori di testa i
miliziani di Allah (“Poracci, nun ce
so’ abbituati” diceva la gente intorno),
che decisero di ammazzare tutti gli
ausiliari, rinunciando subito dopo
perché erano troppi, e pure se i passanti si offrivano de da’ ‘na mano, non
potevano sprecare tutte quelle muni-
zioni. Lasciato un altro considerevole
numero di mezzi e persone in una
voragine a Portonaccio, usata dai romani per fare free-climbing, l’Armata
dell’ISIS arrivò finalmente al Lungotevere.
Cioè, quasi, perché ce stava ‘a manifestazzione. Anzi, ‘e manifestazzioni. I Sindacati, I Gay e i Diritti degli
Invisibili, che non si capiva se si parlava di Terzo Mondo o di Fantascienza, ma il risultato era lo stesso, per
arrivare in centro dovevi passare per
Ostia Lido.
UNA FOLTA barriera di transenne,
pure sull’acqua del fiume, non sia mai
qualche cittadino provasse a fregare i
vigili col motoscafo, ribloccò la colonna islamica i cui componenti dovettero incazzarsi per fermare i rumeni che volevano lavargli i parabrezza e lucidargli gli obici, furono
borseggiati dai Rom, ognuno con accanto l’assistente sociale per il reinserimento, si dovettero fare le foto insieme ai centurioni con l’orologio altrimenti gli tagliavano le gomme e furono costretti a regalare rose rosse al
compagno di equipaggio sennò quel
cazzo di indiano non se n’annava
più.
Le gomme poi gliele fregarono mentre discutevano con quelli di Equitalia
che intimavano il pagamento delle
sanzioni per superamento di varco attivo da parte di tutta la colonna, ‘na
botta. “È l’Inferno come lo descrive il
Profeta! Anzi, peggio!” disse Al-Baghdadi ordinando la ritirata. Ma scelsero male l’ora per uscire da Roma.
Non sapevano, i guerriglieri di Allah,
che a quell’ora, sul Raccordo ce sta er
rientro. Dopo undici ore senza fare
un metro, assetati, affamati, qualcuno
in fin di vita, capirono perché l’esercito italiano li aveva lasciati arrivare
fin là.
12
Biografia di un giornalista straordinario
Il colloquio con Loris Mazzetti è del 2004,
due anni dopo l’allontanamento di una delle più
autorevoli voci dell’Italia libera che il Caimano
impose all’azienda
50
(Fine)
Biagi: “Cara Rai,
nessun rancore
Sei come Garibaldi”
FINISCE CON L’INTERVISTA AL GRANDE GIORNALISTA LA SERIE DEL “FATTO”. ENZO INIZIÒ
A VIALE MAZZINI NEL 1961. DOPO 41 ANNI, CHE LO HANNO RESO UNO DEI VOLTI PIÙ AMATI
DELLA NOSTRA TELEVISIONE, BERLUSCONI PRETESE LA SUA CACCIATA. “NON SONO
ARRABBIATO, CREDO DI AVER FATTO UN BUON LAVORO E DI ESSERE STATO UNA PERSONA
CORRETTA. NON SARÀ LA FAZIOSITÀ DI QUESTI PICCOLI UOMINI A FARMI CAMBIARE IDEA”
E
di Loris Mazzetti
nzo, per la gente, come dovrebbe essere la televisione?
La televisione in genere, con i difetti che sono
dovuti alle diverse stagioni politiche, è lo specchio della vita di un paese con la deformazione
che comporta il mezzo perché, tu mi insegni, che
se uno è ripreso in primo piano è un conto, le
parole prendono un certo rilievo, se è ripreso in
campo lungo è un’altra questione. La Rai ha avuto un grande merito, principalmente quello di
riempire tante solitudini, poi ha unificato il linguaggio degli italiani, neanche Garibaldi ha potuto fare tanto. Ha insegnato molte cose e penso
che sia stata una delle scoperte più importanti del
ventesimo secolo.
La tua lunga stagione in Rai, si è interrotta per un
editto bulgaro, sei stato accusato di aver fatto
“un uso criminoso della televisione”. Tutto quello
che è successo poi lo conosciamo molto bene, ha
prodotto il tuo allontanamento e quello di tanti
altri. Cosa hai provato?
Guarda, lo dico anche con un po’ di vergogna:
niente. Ne abbiamo parlato tante volte, ci siamo
arrabbiati, l’abbiamo considerata una grande
violenza, ma dentro non ho provato niente, perché alla mia età sono altre le cose che ti segnano.
Ho avuto a che fare, quando avevo poco più di
vent’anni, con Adolf Hitler, sono stato per 24 ore
con una pistola in mano a un tedesco puntata alla
testa... Non provo rancore nei confronti della
Rai, le devo tanto e le voglio bene. Anche se so
che la televisione è fatta da uomini che hanno le
loro idee, le loro faziosità, oggi ragionano in una
certa maniera, ma non possono essere piccoli
uomini a farmi pensare diversamente.
Quando, durante una trasmissione di Rai Tre, dedicata ai 50 anni della Rai, “Il Fatto” è stato votato come il miglior programma, tu eri già stato
messo in condizione di non fare la tv, la nostra redazione chiusa. Di fronte a questa inaspettata
notizia che cosa hai provato?
Ho provato tristezza, perché con te, con la mia
troupe, ho passato gran parte della mia vita. Mi è
stata tolta l’occasione di continuare a stare con
quelle persone, i miei amici, che con me hanno
condiviso tante avventure, a volte anche abbastanza pericolose, sempre insieme: dove io andavo voi c’eravate, dove voi andavate io ero con
voi. Non abbiamo mai pensato che quando i
mortai tuonavano, potessero tuonare per alcuni
e per altri no. Quando arrivai al telegiornale, il
giornalista stava in un albergo e la troupe in un
altro, c’era un trattamento economico differenziato, fui io a convincere la Rai che era sbagliato.
Vorrei solo che fosse riconosciuto che in quegli
anni, quando potevamo fare la televisione, ci siamo comportati come persone per bene.
Se ti dessero la possibilità di tornarla a fare, rifaresti “Il Fatto” o che altro?
Farei un programma diverso: un viaggio in Italia,
il continuo di Cara Italia, per vedere come vive
certa gente, se in questi anni è cambiata la loro
vita, come arrivano alla fine del mese. Partirei
raccontando la realtà di un piccolo paese, la storia di un farmacista di provincia, il caffè dove si
te e lo ripeto: noi giornalisti facciamo delle domande ma non possiamo suggerire le risposte.
La Rai oggi è poco aperta alle proposte esterne, si
trova raramente qualcuno alla ricerca di nuove
idee, sempre più si è trasformata in un’azienda di
servizi, conta chi ha i diritti dei format. Non è
sempre stato così: c’erano strutture che avevano
il compito di sperimentare, si provavano autori,
attori, registi in terza serata, che dopo la gavetta,
se avevano i numeri, trovavano il loro spazio.
C’era la ricerca dei talenti.
Una volta non c’erano gli appalti, credo che oggi
più della metà della produzione sia esterna. Sono
più di diecimila i dipendenti della Rai, e siccome
non sono tutti degli imbecilli, anzi c’è tanta gente
INCONTRI STORICI
Le sue domande, un racconto del secolo breve
OGGI si conclude l’iniziativa del Fatto Quotidiano dedicata alle grandi
interviste di Enzo Biagi, iniziata l’11 luglio dello scorso anno. Con cadenza settimanale sono stati riproposti ai lettori alcuni dei celebri colloqui
del giornalista con i personaggi che hanno fatto la storia del Novecento
italiano e internazionale. A cominciare dalle conversazioni con personalità controverse, come il banchiere Michele Sindona, affiliato alla loggia P2 e collegato a Cosa Nostra, Luciano Liggio, detto lu Lucianeddu,imputato nel maxiprocesso a Cosa Nostra tra il 1986 e il 1987, e l’ex brigatista, poi pentito, Patrizio Peci. Biagi ha incontrato e intervistato anche grandi Capi di Stato
europei, come Francois Mitterand e Margaret Thatcher, o protagonisti della storia degli Stati Uniti, come Robert Kennedy, il leader afroamericano Malcom X e la leggenda del pugilato Cassius
Clay. Altre interviste sono state dedicate alla storia del nostro Paese: Biagi ha incontrato il segretario del Pci Enrico Berlinguer, Pierpaolo Pasolini, lo scrittore Primo Levi (con il quale ebbe una
conversazione sugli orrori della Seconda guerra mondiale, alla quale lo stesso Biagi prese parte
nel ruolo di partigiano antifascista) e l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini.
ritrovano, la vita della famiglia media: quella
realtà sociale che spesso i tg trascurano.
Visto quello che ti è accaduto e la tua lunga esperienza, con il senno di poi, forse era meglio la televisione della lottizzazione?
Per tanti anni ho fatto la televisione che volevo
fare e non posso dire di aver subito delle censure,
a parte qualche episodio che poi si è risolto con il
programma che andava in onda qualche giorno
dopo. Allora l’opinione pubblica contava più di
oggi. Sono stato accusato di aver fatto un’intervista a Benigni. Una cosa è certa: la rifarei anche
domattina. Considero Benigni un italiano da
esportazione e lo ha dimostrato anche con i tre
Oscar vinti. Non ha mai voluto un soldo per venire ai miei programmi, è un vero amico. Se involontariamente con il mio lavoro ho offeso
qualcuno, spero di no, gli chiedo scusa. Appartengo anch’io al genere umano: ho anch’io i miei
difetti e le mie faziosità. Ma quando ci sono dei
tipi che non mi piacciono, la mia tendenza è
quella di farglielo sapere. L’ho già detto tante vol-
Il mio allontanamento
l’ho considerato
una violenza, ma alla mia età
sono altre le cose
che ti segnano: ho avuto
a che fare, quando avevo
vent’anni, con Adolf Hitler
e sono stato con una pistola
in mano a un tedesco
puntata alla testa
di prim’ordine, non ci sarebbe bisogno di spostare tutto all’esterno. I risultati si vedono: tra i
programmi della Rai e quelli di Mediaset non ci
sono più differenze.
Come dovrebbe essere una tv di qualità?
Non dovrebbe essere uno strumento di propaganda per una causa o per l’altra. Dovrebbe essere senza demagogia, con il rispetto delle persone, con la consapevolezza, in chi la fa, che si
rivolge a milioni di persone: l’unico padrone è il
pubblico che paga il canone.
È di moda parlare di informazione manipolata,
come si può manipolare l’informazione?
Si fa il contrario di quello che ti ha detto la mamma quando avevi cinque anni: “Non si devono
dire le bugie”. Oggi, purtroppo, si raccontano.
Poi c’è chi le racconta meglio, chi peggio. Però i
fatti hanno una logica ineluttabile e qualcuno ha
detto: “I nostri atti ci seguono”. Per qualche personaggio, se Dio vuole, anche quelli giudiziari.
Prima o poi quello che è buono o quello che è
cattivo viene fuori.
Le bugie hanno le gambe corte con tanti media,
con Internet: nel tempo la verità si conosce.
Non dimenticare mai che c’è la tendenza ad adeguarsi. Diceva Flaiano: “Gli italiani accorrono
sempre in soccorso ai vincitori”. Cominciano
così le memorie di Charlie Chaplin: “Il successo
rende simpatici”. Secondo me non è sempre vero, però aiuta.
Ti rispondo anch’io con una citazione, Carl Popper: “Chi controlla l’informazione televisiva controlla la democrazia”
Sì, hai ragione perché chi controlla la televisione,
controlla il mezzo di comunicazione dominante.
La notizia la si può raccontare in tanti modi, facciamo un esempio: un bambino che vede una
bicicletta la prende e scappa via. La notizia può
essere raccontata: un bambino la prende perché
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
13
LA FIRMA
Nell’illustrazione a centro pagina,
Enzo Biagi visto da Emanuele Fucecchi. A destra, in
una strada a Bologna. In basso, un’immagine
dell’intervista a Biagi di Loris Mazzetti, realizzata
nel 2004 Ansa
L’editto bulgaro arrivò
con una raccomandata
LA TV DI STATO LO CACCIÒ SENZA NEMMENO UNA TELEFONATA. LUI RISPOSE
CON IRONIA: “PECCATO, POTEVANO RISPARMIARE I SOLDI DEL FRANCOBOLLO”
S
i conclude oggi il ricordo del Fatto Quotidiano
dedicato a Enzo Biagi:
un viaggio di un anno
attraverso le sue straordinarie
interviste che lo resero popolare
in Italia e nel mondo. Uno degli
ultimi speciali della trasmissione il Fatto, in onda su Rai1, lo
realizzammo nel 2001 a New
York. Ricordo l’affetto con cui
Biagi fu accolto dal sindaco Rudolph Giuliani. Una delle interviste pubblicate è stata la sua,
quando nel 1985, da procuratore
federale della Grande Mela, arrestò i padrini di Cosa nostra
americana. L’autorevolezza del
grande giornalista ci consentì di
essere la prima troupe a entrare
nel Ground Zero dal giorno della
tragedia delle Torri Gemelle, ci
accompagnò il comandate dei
vigili del fuoco di New York Daniel Nigro, uno degli eroi dell’11
settembre.
L’INTERVISTA a Biagi, che il Fat-
to Quotidiano pubblica oggi, l’ho
realizzata alla fine del 2004 in occasione di un convegno di Articolo21 dedicato alla tv di qualità. Qualche mese dopo l’editto
bulgaro (18 aprile 2002), il contratto di Biagi con la Rai venne
disdetto da una raccomandata
con ricevuta di ritorno. Per il
giornalista, quarantun’anni di
onorato lavoro, fu un’offesa indimenticabile: “Sarebbe bastata
una telefonata, avrebbero rispar-
ha sempre sognato di avere la bicicletta, oppure,
il bambino è un ladro, un precoce delinquente.
Infine: era un gioco, il bambino non sa che certi
giochi vengono contemplati anche dal codice
penale. Ognuno ha il suo punto di vista nel raccontare le cose, ma deve farlo con onestà.
Come mai hai iniziato a fare la televisione? Tu eri
già stato direttore di Epoca, eri già una grande firma del giornalismo.
Mi fu proposto da Ettore Bernabei, direttore generale della Rai, che mi chiamò nel 1961 a dirigere il telegiornale. Erano gli anni dell’apertura
ai socialisti, io ero amico di Nenni. Capii subito
che non era aria per me, mi accusarono, come
sempre è accaduto quando mi hanno mandato
Sono andato a salutare
l’urna del mio amico
Indro Montanelli e gli ho detto:
“Tu sostenevi che certi
personaggi dovevamo provarli,
ma ho l’impressione che
abbiamo sbagliato la dose”
Pensavo rischiassimo
una “dittatura morbida”
Oggi forse toglierei l’aggettivo
miato i soldi della raccomandata”, fu il suo commento. Su Rai1
il Fatto venne sostituito da
Max&Tux. “Solenghi e Lopez sono vittime della solidarietà a Biagi che ha provocato un accanimento senza precedenti nei confronti del programma”, disse il
direttore della rete Del Noce di
fronte all’insuccesso. Striscia la
notizia, all’esordio di Max&Tux
fece il suo record: 47% di share
con 14 milioni di telespettatori.
Per il direttore generale Saccà la
coppia avrebbe dovuto contrastare il programma di Antonio
Ricci. Gli stessi surrogati del Fatto, da Batti e ribatti a Qui radio
Londra, tutti flop, pagarono la
scarsa autorevolezza dei conduttori. Tutti presuntuosamente
convinti che andare in onda nella fascia di maggior ascolto fosse
sinonimo di successo, dimenticando che Biagi, lo spazio di approfondimento dopo il tg, lo
aveva creato negli anni con Spot,
Il Caso, Una Storia.
Biagi sin da bambino aveva sognato di fare il giornalista. Lo
scrisse anche in un tema alle medie: “Lo immaginavo un vendicatore capace di riparare torti e
ingiustizie, forse perché uno dei
libri che hanno lasciato in me un
segno è stato Martin Eden di Jack
London e perché ero convinto
che quel mestiere mi avrebbe
portato a scoprire il mondo”. Era
rimasto affascinato dalla fotografia, pubblicata su un giornale,
via dai giornali, di essere comunista. Dopo un
anno lasciai il telegiornale e inventai RT, il primo
rotocalco televisivo e per 41 anni non ho mai
smesso, fino a settembre 2002 quando mi mandarono una raccomandata con ricevuta di ritorno per dirmi che il mio contratto non si rinnovava più. Potevano risparmiarsi quei soldi, bastava una telefonata...
Chi sono stati i tuoi punti di riferimento?
Indro Montanelli, Orio Vergani, Dino Buzzati,
Vittorio G. Rossi. Soprattutto Montanelli, al
quale sono stato profondamente legato. Sono orgoglioso perché siamo diventati compaesani: mi
hanno dato la cittadinanza di Fucecchio. Quel
giorno andai al cimitero dove c’è la sua urna e
di un inviato speciale, Mino Doletti: sulla sua valigia erano attaccate tante etichette di alberghi. Doletti era stato a Hollywood e aveva conosciuto anche Jean Harlow, famosa attrice
soprannominata la “bionda platino”. “Non pensavo di diventare
il futuro Henry Stanley, chiamato un giorno da un direttore di
un qualunque Herald per ricevere
l’incarico di rintracciare un intraprendente missionario, il David Livingstone di turno, disperso in una boscaglia dell’Africa
misteriosa”, scrisse Biagi. Il suo
modello era Emilio Di Crescenzio, redattore del Resto del Carlino
che aveva seguito fino a Vienna i
centauri della Decima Legio, loro in moto e lui sull’automobile,
e mandava le sue corrispondenze in cui dentro c’era tutto: Franz
Schubert, gli Elmi di Acciaio, la
tragedia di Mayerling, e il sincero cameratismo tra gli ex nemici del Piave, riappacificati, finalmente, sulle rive del Danubio.
QUANDO INCONTRAI Biagi per
l’intervista eravamo convinti che
quella della Rai fosse una porta
chiusa per sempre. Il presidente
Petruccioli, dopo qualche mese
dalla nomina, gli confidò che se
Berlusconi fosse rimasto a Palazzo Chigi un suo ritorno in tv
sarebbe stato impossibile.
Invece, alle politiche del 2007,
Prodi sconfisse l’ex Cavaliere e
chiesi se potevo rimanere solo con lui. Gli ho
detto: “Indro tu dicevi che certi personaggi dovevamo provarli, ma ho l’impressione che abbiamo sbagliato la dose”.
Mi ricordo quando lo intervistammo a “Il Fatto”,
aveva appena ricevuto una lettera anonima con
minacce di morte ed era stato accusato di essere
diventato anche lui comunista. Durante quell’intervista, diventata poi famosa perché messa nella lista di quelle che non dovevi fare, tu gli dicesti:
“Io ho la sensazione che andremo incontro a una
dittatura morbida”. Hai sbagliato l’aggettivo.
Sì, oggi lo cambierei, anzi lo toglierei proprio.
Umberto Eco, citando il tuo caso e di tutti gli altri
epurati, lo ha definito un regime mediatico. Ma
Biagi, nonostante le precarie
condizioni di salute, il 22 aprile,
alla vigilia del suo ottantasettesimo compleanno, ritornò in onda su Rai 3: “La rete che più mi
assomiglia” disse, sconfiggendo
definitivamente Berlusconi che
sin dal 1984 aveva fatto carte false per portarlo via alla Rai.
In questi giorni, finalmente, la tv
pubblica è tornata a essere centrale nel dibattito sulla riforma
del sistema radiotelevisivo, si
parla di rinnovo della concessione, di privatizzazione, di riforma
della tv regionale e, soprattutto, è
finita un’ipocrisia: l’immagine
dell’azienda, negli anni, è stata
fortemente deteriorata e necessita di essere rilanciata.
Tutte le manifestazioni pubbliche che ci furono dopo l’editto
bulgaro contro la Rai di Saccà e
del presidente Baldassarre; le
cause vinte da Santoro, Ruotolo,
Iacona e da tanti altri; la transazione che fu fatta con Biagi
perché non facesse a sua volta
causa per il suo allontanamento,
quanto male hanno fatto all’immagine e alle casse della Rai?
Biagi, come ha dimostrato il ricordo del Fatto Quotidiano è
l’immagine pulita del giornalismo italiano, il simbolo del cronista dalla schiena dritta, una
delle bandiere della Rai a cui lui
ha voluto bene: “Non possono
essere piccoli uomini a farmi
pensare diversamente”.
L. M.
perché la televisione è così importante, riesce a
inventare anche quello che non esiste?
Lo dimostra la vicenda di un imprenditore che
non era votato alla politica, ma che disponendo
delle televisioni è diventato presidente del Consiglio. È uno strumento che non ha bisogno di
aggiunte: uno si siede e la guarda, mentre il giornale va comprato, poi va letto, ed è già una fatica.
Un messaggio dato dalla televisione, da un telegiornale, arriva sicuramente alla gente.
Il cittadino come può difendersi?
Può solo decidere di non guardare certa roba o di
guardarla con spirito libero e critico. Non mi pare che le ultime apparizioni di quell’imprenditore, ricordando un po’ i commenti fatti sui dati
d’ascolto, abbiano avuto grande successo di pubblico. Certo viviamo una grande anomalia, ma il
Cavaliere è stato eletto democraticamente alla
guida del nostro paese, quindi, rispecchia la volontà degli italiani.
Che consiglio daresti a un giovane che vuole fare
il giornalista?
Diceva un illustre collega: “Sempre meglio che
lavorare”. È un mestiere che ti tiene in contatto
con la vita, che ti fa partecipare agli eventi, alle
storie, che ti rende testimone di tutti i fatti che
accadono nella tua epoca. L’unico consiglio che
posso dare è quello di essere sempre curioso, di
voler vedere, dove è possibile, i fatti con i propri
occhi. Gli interessa raccontare? Lo faccia.
Enzo per concludere, la televisione oltre alla popolarità cosa ti ha dato?
Contatti umani con persone a cui sono rimasto
legato, amici e conoscenze di viaggio. Non mi
interessava farmi vedere: non basta apparire, bisogna aver qualche cosa da dire. Mi ha dato la
possibilità di raccontare la vita della gente, nel
bene e nel male. Alla Rai devo tanto e le sono
molto grato.
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ALTRI MONDI
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
USA INCENDIO LETALE PER QUATTRO BIMBI
Un incendio ha provocato la morte di quattro
bambini (uno di appena un mese) a Filadelfia,
nella stessa casa, dopo che otto abitazioni sono
state inghiottite dalle fiamme. Le persone hanno
tentato, senza successo, di portare in salvo
i bambini che erano rimasti intrappolati. LaPresse
UCRAINA FILORUSSI IN FUGA DA SLOVYANSK
I separatisti dell’Est hanno lasciato Slovyansk, al centro degli scontri
tra Kiev e le truppe filorusse. L’esercito ha ripreso il controllo.
La notizia è stata confermata sia dal presidente ucraino Poroshenko
che da Mosca. Feriti 150 separatisti, portati a Donetsk. LaPresse
GERUSALEMME RAPITI, PESTATI,
UMILIATI: VITA DA ADOLESCENTI
NELLA PARTE EST ANCORA SCONTRI: L’AUTOPSIA HA RIVELATO CHE ABU KHDEIR
È STATO BRUCIATO VIVO. PICCHIATO A SANGUE E ARRESTATO IL CUGINO TARIQ
di Roberta
C
Zunini
i sono giorni in cui la
storia, quella con la
‘A’ maiuscola, si declina sui volti, si legge negli sguardi. Ieri era il volto tumefatto e lo sguardo impaurito del quindicenne Tariq
Abu Khdeir, il cugino di
Mohammed Abu Khdeir, il
ragazzino palestinese di 16 anni rapito e ucciso in un presunto atto di cieca vendetta da
parte di estremisti israeliani
per l’omicidio di tre giovani
ebrei che vivevano in una colonia nei Territori palestinesi
occupati. Mentre venivano
diffusi i primi risultati dell’autopsia sul corpo di Mohammed, dai quali emerge che è
stato ucciso nel più atroce dei
modi, cioè bruciato vivo, un
canale televisivo palestinese
mandava in onda il video agghiacciante di due soldati
israeliani che si accanivano
per alcuni minuti su una persona di esile corporatura.
IL PESTAGGIO è avvenuto
mercoledì scorso quando fu
trovato il corpo del giovane
palestinese di Shufat, il quartiere di Gerusalemme est già
territorio occupato. Quel pomeriggio decine di giovani palestinesi scesero in strada per
protestare e i soldati, come
sempre, avevano subito tentato di bloccare la manifestazione con gas lacrimogeni, pallottole di gomma e arresti dopo i consueti pestaggi. Secondo i media, la persona piccola e
magra pestata a sangue dai militari sarebbe proprio Tareq, il
cugino di Mohammed, che un
pestaggio, indipendentemente
dall’identità degli autori, l’ha
subito. Come testimoniano
inequivocabilmente le fotografie del suo volto. Le autorità
israeliane si difendono parlando di riprese “non obiettive” e
di “montaggio” non corretto.
Ma il Consiglio sulle relazioni
americano-islamiche afferma
che il video mostra effettivamente i militari accanirsi sul
giovane Tariq Abu Khdeir, che
è cittadino statunitense perché
vive in Florida con la famiglia.
NEL VIDEO si vedono due uo-
mini in uniforme dell’esercito
israeliano picchiare la persona
immobilizzata soprattutto sulla testa, con pugni e calci, per
poi calpestarla. Quando la sollevano, sono costretti a trasportarla via di peso, perché
apparentemente priva di coscienza. Tariq è stato arrestato
e poi portato in ospedale ma è
ancora in stato di detenzione,
dovrebbe essere liberato nelle
prossime ore. Avraham Burg,
ex presidente ebreo israeliano
della Knesset (parlamento
israeliano, ndr) nei giorni successivi al rapimento dei tre
giovani coloni israeliani, dopo
aver constatato che l’opinione
pubblica aveva accolto con
sollievo le orribili manifestazioni di giubilo di alcuni palestinesi, aveva avuto l’onestà e
il coraggio di scrivere: “Noi ci
assolviamo dicendo che loro
distribuiscono dolci per festeggiare il rapimento. La loro
felicità ci rassicura. Più i palestinesi sono felici per questi
rapimenti, più ci sentiamo
esentati dall’interessarci alla
loro sofferenza... così gli israeliani possono rimuovere il fatto che tutta la società palesti-
La mamma di Tariq mostra il volto tumefatto del figlio, accanto il sedicenne Mohammed, rapito e ucciso LaPresse
TRASCINATO VIA
L’esercito israeliano
parla di video
manipolato ma
la piccola vittima è
di nazionalità americana
e scoppia il caso
nese è una società di sequestrati. E lo siamo anche noi
quando, prestando servizio
militare, entriamo nelle loro
case di notte, a sorpresa e con
violenza. Se la cattura e l’omicidio di ragazzi innocenti è di
per sé una raffinata forma di
crudeltà in grado di terrorizzare un popolo intero, il passo
ulteriore è proprio questa assoluta negazione dell’altro
che ne consegue”. Per la prima volta dopo anni di silenzio
e rospi mandati giù, anche gli
arabi con cittadinanza israeliana, concentrati soprattutto
nel nord di Israele hanno organizzato manifestazioni di
protesta. E intanto a Gaza, da
dove sono stati lanciati nuovi
razzi su Israele si attendono le
bombe da un cielo sempre più
nero.
Far West Libia, sparito tecnico italiano
SI TEME IL SEQUESTRO: È IMPIEGATO DELLA PIACENTINI COSTRUZIONI, ERA DIRETTO CON DUE COLLEGHI A ZUWARA
di Nancy Porsia
Tuttavia i tre operai non sono mai giunti sul posto di
n altro italiano risulta
lavoro. Ritrovata la macchidisperso da ieri in Lina, le chiavi erano ancora
bia. Si chiama Marco Vallisa
inserite nel quadro, ma dei
ed è scomparso a Zuwara,
tre operai i colleghi non
città sulla costa al confine
hanno trovato alcuna traccon la Tunisia. Era uscito
cia. La dinamica della scomintorno alle 10:30 insieme ai
parsa richiama a grandi lisuoi due colleghi, Petar MaMarco Vallisa Ansa nee quanto accaduto a Giatic, bosniaco e Emilio Gafunluca Salviato di Trebaseleri, macedone, per recarsi al porto della ghe, tecnico dell’azienda friulana Ravacittà dove la società italiana Piacentini nelli, scomparso lo scorso marzo e anCostruzioni S.p.a. sta portando avanti il cora disperso, e ai calabresi Francesco
progetto di espansione del porto. Un lo- Scalise e Luciano Gallo, operai della croro collega li ha visti uscire in auto dalla tonese General World di Crotone, rapiti
foresteria al centro città, dove i dipen- lo scorso gennaio e liberati dopo 20
denti della società di Modena vivono. giorni. La scomparsa dei tre lavoratori
U
della Piacentini Costruzioni S.p.a. costituisce un precedente importante.
Mentre Salviato, Scalise e Gallo sono
stati rapiti nelle vicinanze della città di
Derna, nella regione orientale della Cirenaica, roccaforte dei gruppi salafiti in
Libia, Vallisa e i suoi due colleghi sono
scomparsi a Zuwara. A Ovest del Paese,
dove i gruppi salafiti fanno fatica a guadagnare terreno, la città della minoranza culturale berbera o Amazigh, come si
dice nella lingua parlata dalla popolazione locale, è considerata una delle città ritenute più sicure in Libia. Zuwara
vanta anche il Bureau dell’Anti Crimine, uno degli esperimenti più riusciti di
forze di sicurezza nel panorama della
Libia post Gheddafi. Al di là del triste
primato che la città vanta come maggior
snodo del traffico di esseri umani dalla
Libia verso l’Europa, fino a ieri non si
era registrato alcun attacco alla comunità internazionale. “La comunità locale
è sotto shock - racconta al Fatto una fonte - nulla faceva prevedere un attacco”.
Poi spiega “Non dovrebbe trattarsi di
fondamentalisti”. In Libia oggi la situazione è completamente fuori controllo.
Mentre le istituzioni nazionali, nate con
la rivoluzione del 2011 che ha posto fine
al regime pluridecennale di Gheddafi,
sono andate sfaldandosi sotto il peso
delle milizie armate ex rivoluzionarie, la
lista dei rapimenti, compresi membri
della comunità diplomatica, è andata
velocemente aumentando.
il Fatto Quotidiano
ALTRI MONDI
POLONIA INCIDENTE AEREO, MORTI 11 PARÀ
Undici persone hanno perso la vita in un incidente
aereo avvenuto vicino Czestochowa, nel sud della
Polonia. Solo una persona è sopravvissuta ed è stata trasportata in ospedale, dopo che l’aereo privato, appartenente a una scuola di paracadutismo, si
è schiantato al suolo. Ansa
REGNO UNITO PEDOFILIA A WESTMINSTER
Continuano gli scandali di pedofilia in Gran Bretagna: fra i sospettati, membri del parlamento. Il premier Cameron ha ordinato di avviare un’inchiesta
su un dossier che rivelava casi di pedofilia già negli
anni 80, oggi introvabile. Sotto accusa era finito
Lord Brittan, all’epoca ministro dell’Interno. LaPresse
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
15
Il doppio gioco della spia
mette nei guai la Merkel
BERLINO, DOPO LO SCANDALO DELLA CANCELLIERA “ASCOLTATA” DALLA NSA ERA
STATA ISTITUITA UNA COMMISSIONE. UN AGENTE HA VENDUTO I RISULTATI AGLI USA
La cancelliera Merkel con il presidente americano Obama Ansa
di Mattia Eccheli
I
Berlino
l clima è quasi da “guerra
fredda”. Gelo tra alleati
“storici” come Germania e Stati Uniti, i cui
rapporti erano già alterati dopo
le rivelazioni che l’Nsa - l’agenzia di spionaggio americana aveva messo sotto controllo il
cellulare di Angela Merkel.
L’arresto di un agente del servizio informazioni tedesco
(Bnd) accusato di aver passato
agli americani documenti segreti anche sulla Commissione
d’inchiesta parlamentare rischia di lacerare ulteriormente
rapporti. Jürgen Hardt, l’incaricato del governo tedesco delle
relazioni bilaterali, ha fatto sapere di aspettarsi un pieno
chiarimento da parte americana. E, soprattutto, l’ambasciatore John B. Emerson è stato
convocato presso il Ministero
degli Esteri: un atto diplomatico di grande rilevanza.
senza conseguenze: “Tutto conduce alla cancelleria”, ha sintetizzato Bernd Riexinger. Che ha
anche precisato che “il Bnd è
cieco sul fronte atlantico”. Le
certezze sono ancora poche, ma
le ripercussioni sono sicure.
Forse con effetti retroattivi, che
potrebbero coinvolgere l’ex uomo di fiducia della cancelliera
che troppo velocemente aveva
rassicurato la Germania sulle
intercettazioni: Roland Pofalla,
destinato ai vertici delle ferrovie tedesche, rischia di venire richiamato in causa. Suo malgrado, Berlino è tornata la capitale
degli intrighi, anche se lo scambio di denaro e materiale sarebbe avvenuto in Austria con un
emissario americano. L’uomo
avrebbe intascato 25.000 euro
LO SCAMBIO
L’emissario americano
ha incontrato in Austria
il “traditore” della Bnd
che avrebbe intascato
25 mila euro in cambio
di 218 documenti
Donna a terra, l’agente infierisce
IL SOSPETTO che il funziona-
rio fosse un agente doppio al
soldo degli Usa, non è piaciuto
oltreoceano. Il New York Times
ha riportato la minaccia di un
anonimo esponente di alto rango dell’amministrazione Obama di interrompere la discussione in corso per fare chiarezza
sul caso Nsa. “Negli stati di diritto i parlamenti controllano i
servizi segreti e non viceversa”,
si è lamentato Konstantin von
Notz, esponente dei Verdi e
membro della Commissione
d’inchiesta.
Adesso i tedeschi vogliono scoprire a chi il giovane agente passava le informazioni. Le opposizioni, Linke in testa, hanno già
detto che il caso non può restare
LOS ANGELES, VIDEO INCHIODA IL POLIZIOTTO
Un agente della California Highway picchia una donna di
colore ma viene ripreso da un automobilista. La vittima
era in stato confusionale vicino a una autostrada. LaPresse
per 218 documenti, tre dei quali
relativi alle attività della Commissione, tutti sottratti e memorizzati su una chiave Usb.
NEGLI OSCURI contorni che
ancora avvolgono la vicenda, il
31enne arrestato sarebbe un
funzionario di livello intermedio, attivo come “agente doppio” già da due anni. Secondo il
quotidiano Bild Zeitung, avrebbe
ricevuto direttive direttamente
dall’Ambasciata americana: come da copione, nei thriller berlinesi si tratta sempre dell’addetto culturale. L’uomo sarebbe
tuttavia stato pizzicato dopo
aver tentato di piazzare il materiale anche ai russi.
Alcune fonti dicono che avrebbe fatto lo stesso in precedenza
con gli americani e potrebbe
trattarsi più di un mercenario (e
forse ingenuo) impiegato alla
ricerca di denaro facile che di
una vera e propria spia a doppio
servizio, ma il silenzio di Angela
Merkel e del ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier
sembra indicare qualcosa di
estremamente serio. Anche
perché gli 007 tedeschi si aspettavano tentativi di infiltrazione
per tenere sotto controllo le attività della Commissione e avevano fornito ai membri dei cellulari criptati. La situazione è
delicata e questa volta la Germania non sembra intenzionata a nascondere la testa sotto la
sabbia.
I tedeschi si fidano sempre meno degli americani. E gli americani – che hanno nei britannici un alleato di ferro in Europa – vogliono conoscere le
mosse della Germania, specialmente nei rapporti con la Russia anche alla luce della crisi
Ucraina.
TIPI DA CINEMA
Il grande vecchio
che odiava i Clinton
MORTO SCAFIE, IL PETROLIERE CHE SCAVAVA NEL
PASSATO DELLA COPPIA ALLA RICERCA DI SCANDALI
di Angela Vitaliano
New York
ecentemente i dottori mi hanno detto che ho una forma
incurabile di cancro. Molti, a cui non piaccio, si rallegreR
ranno per questa notizia. Naturalmente, io non posso condi-
videre il loro entusiasmo”. Aveva preso “carta e penna”, Richard
Scaife, il 18 maggio scorso, per annunciare, con il suo stile senza
fronzoli, in un editoriale pubblicato dal suo Tribune-Review, che
gli restava poco da vivere. La morte è sopraggiunta venerdì,
nemmeno due mesi dopo. Richard Mellon Scaife, 82 anni, era un
miliardario, erede, per parte di sua madre Sarah, dell’enorme
fortuna dei Mellon, una delle famiglie piu influenti del paese,
con interessi nelle banche, nel petrolio e nell’alluminio. La sua
notorietà era emersa in relazione all’ascesa al potere di Bill Clinton che aveva avversato in tutti i modi, sin da
quando l’ex presidente era governatore
dell’Arkansas. Una vera ossessione che portò
Scaife a usare le pagine del suo giornale per
attaccare la “coppia presidenziale” e i suoi soldi per finanziare The American spectator, la rivista che aveva lanciato il cosiddetto “Arkansas Project” per investigare sulla vita dei Clinton e che per primo aveva reso note le accuse di
R. Scaife LaPresse
molestia sessuale presentate da Paula Jones
contro Bill. Scaife cercò in tutti i modi di collegare il presidente, e soprattutto la first lady, alla morte di Vincent Foster, un consigliere della Casa Bianca, ed ex socio di Hillary nello studio legale che aveva a Little Rock, trovato ucciso da
un colpo sparato in bocca in un parco di Washington nel 1993.
Tre inchieste, compresa quella di Kenneth Starr che poi divenne
il giudice inquisitore che portò Bill Clinton al processo di impeachment per il Sexgate, hanno stabilito che si trattò di un suicidio. Ma Scaife non era persuaso: arrivò anche a mettere in discussione il lavoro e la lealtà di Starr, considerato una vera e propria star del firmamento conservatore: “Forse Ken Starr era una
talpa che lavorava per i democratici", disse. Fervente conservatore, Scaife, aveva sempre investito denaro a sostegno dei repubblicani: memorabili i 990mila dollari dati per rimpinguare le casse
della campagna per la rielezione di Richard Nixon nel 1972.
Romania, la Securitate “pazza” per Ikea
L’OPERAZIONE “SCANDINAVICA” PERMISE AL REGIME DI CEAUSESCU DI OTTENERE CIRCA 15 MILIONI DI EURO L’ANNO
di Carlo Antonio Biscotto
cavare negli archivi segreti
S
degli ex Paesi comunisti è
come aggirarsi nell’inconscio
di quei brutali regimi. L’ultima
novità arriva dalla Romania:
durante gli anni di Ceausescu la
polizia segreta del dittatore rumeno riceveva somme a sei zeri
dall’Ikea nel quadro di un accordo che l’azienda svedese
aveva stipulato con una locale
fabbrica di mobili. Questa almeno la spiegazione ufficiale
che emerge dai documenti entrati in possesso del quotidiano
inglese Guardian.
La realtà è che solo una piccola
percentuale delle ingenti somme versate dall’Ikea finiva alla
fabbrica di mobili; il resto ter-
minava il suo viaggio su conti
correnti controllati e gestiti
dalla Securitate. L’Ikea era a conoscenza di tutto ed era consapevole di contribuire a finanziare la polizia segreta. La dirigenza di Ikea nega, ma ha avviato una indagine interna.
Impossibile impedire che una
notizia del genere riapra vecchie ferite. Sembra che durante
la guerra fredda l’Ikea si sia servita di prigionieri politici della
Germania dell’Est per fabbricare i suoi prodotti e abbassare
il costo della manodopera. La
Romania con le sue enormi riserve di legno e un bacino di
potenziali operai inesauribile
non poteva non attirare l’interesse del gigante svedese
dell’arredamento. Dai docu-
menti si apprende che verso la
metà degli anni ’80 l’Ikea versava alla Romania circa 15 milioni di euro l’anno. La Securitate che aveva il compito di torturare e uccidere i veri o presunti nemici politici di Ceausescu, pare abbia accumulato
MOBILI E SEGRETI
La vicenda salta fuori
dagli archivi
della polizia politica
la dirigenza svedese
nega ma avvia
una “indagine” interna
una fortuna valutabile in miliardi di dollari con i sequestri
di persona e altre attività criminali.
NEGLI ARCHIVI della Securita-
te, l’Ikea aveva il nome in codice
di “Scandinavica”. Innumerevoli gli appunti e i memo che
riguardano l’azienda svedese.
In uno, a firma del maggiore Eftimie Gelu, si legge: “Ikea ha
trasferito su un nostro conto
corrente di comodo la somma
di 163.005 corone svedesi”. Il
maggiore Gelu è in realtà Constantin Anghelache, attualmente presidente della Dinamo
Bucarest che partecipa al campionato di calcio rumeno. Secondo i documenti, parte di
questo denaro, trattenuti gli in-
teressi, veniva girato a Berlino
Est in esecuzione dell’accordo
siglato con l’Ikea. In sostanza la
Banca per il commercio estero
della Romania incassava il denaro versato dall’Ikea, tratteneva gli interessi e una commissione e girava la somma restante alla Germania Est forse in pagamento dei lavoratori forniti
alle fabbriche dell’Ikea. L’operazione “Scandinavica” fu chiusa nel 1988 alla vigilia del crollo
dell’impero comunista. Per oltre sette anni il partner commerciale dell’Ikea in Romania
produsse sedie, letti, librerie,
che finivano nei negozi Ikea europei. Henrik Elm, dirigente
dell’Ikea, ha precisato che questa era una pratica comune
all’epoca e che comunque l’Ikea
Un negozio Ikea Ansa
aveva rapporti alla luce del sole
solamente con la società rumena Tehnoforestexport. Il contratto tra Ikea e Tehnoforestexport non faceva cenno ai pagamenti a favore di terzi. Roxana Bratu, esperta di corruzione
nei regimi totalitari e ricercatrice all’Università di Londra, ha
detto: “Sono molti gli indizi che
fanno pensare ad accordi poco
puliti, quali la sovra-fatturazione, mascherata dagli svedesi
sotto forma di ‘commissioni’ o
‘spese generali’”.
16
DOMENICA6LUGLIO 2014
SECONDO
TEMPO
S P E T TAC O L I . S P O RT. I DE E
Dagospia
di Malcom
I
Pagani
Roberto D’Agostino
Il gioco del potere: a ognuno
la sua fiction e il suo reality
l posto fisso in banca: “Un colpo di vocato Agnelli portava sfiga. Fine della rubrica. vavamo a ballare con Bob Marley e i Rolling
culo che festeggiai comprando una Barbara Palombelli mi consigliò di aprirmi un Stones al di là delle ideologie. Mi ricordo an500, quando non hai una lira non ti posto mio. Un’oasi in cui mettere i frammenti cora lo slogan: It’s only Rock and roll. Erano
metti a fare l’intellettualino”, la vita dannunziani che amavo e che sono il pane di anni in cui la disco music era considerata roba
che diventa ricorrenza: “Siamo Internet. Barbara la conoscevo dall’epoca in da fascisti, i compagni che volevano ballare
quasi al trentennale di Quelli della cui da segretaria di redazione dell’Europeo di rischiavano il pestaggio e in cui, in piena lotta
Notte, con Arbore orchestravamo i provini fer- Sechi, veniva a prendersi i miei articoli in ban- armata, il riflusso aveva devastato in profonmando a caso i passanti in Villa Borghese”, le ca. Le diedi retta e feci bene. Cambiare oriz- dità l’equlibrio psichico di una generazione instesse camicie a fiori con cui in epoca Beat zonte aiuta. Quando si chiude una porta si tera.
attese Fernanda Pivano in un albergo romano: spalanca sempre un portone. L’importante è La politica era importante?
“Ero con Paolo Zaccagnini e mi aspettavo avere lo spirito del tempo, inventarsi qualcosa, Prima della morte di Moro non c’era stato
sabato senza corteo. Una volta, durante la vicomparisse una papessa, una simil Patti Smith, non lamentarsi mai.
sita del Segretario di Stato Americano Rogers a
una stracciarola, una zingara. Si fece invece Lei è nato a Roma, quartiere San Lorenzo.
avanti la donna che dava del tu a Hemingway e All’epoca aveva una geografia rurale. Un borgo Roma, ce la vediamo brutta. La Polizia carica.
aveva scritto l’introduzione a Kerouac, una delimitato dalla ferrovia, dal cimitero e dalla Io, la mia prima moglie e un gruppo di magentilissima signora bionda con il tailleur e il ferita mai rimarginata del bombardamento del nifestanti ci rifugiamo dentro l’Upim. I celerini
filo di perle. Mi insegnò che l’abito non fa il ’43. In Pizzeria si andava con i cibi propri. presidiano le entrate. Lei è terrorizzata: “Se ti
monaco. Lei non aveva necessità di mettersi gli C’erano le bische, i ladruncoli, la vita semplice. arrestano perdi il posto in banca”. Mi compro
zoccoli, esattamente come io in banca non in- Papà era impiegato alla Breda. Ci lasciò un un completo grigio e usciamo nell’assoluta indossavo la bandana”. Tra 24 ore Roberto polmone. Mamma lavorava con busti e reg- differenza della folla.
D’Agostino festeggerà 66 anni e mentre il sole giseni. Io balbettavo e portavo le lenti. Oggi Dopo il 9 maggio 1978 cambiò tutto?
taglia la stanza, la tosse riempie le pause e lui sembra incredibile, ma a metà degli Anni 50 La violenza si fece insopportabile. Dopo l’esedispensa mentine in forma anatomica: “Lo avere gli occhiali ti esponeva al linciaggio dei cuzione di Moro, movimenti e persone cervuole un cazzetto?” dice di essere felice e di compagni: “Cecato”, “Quattrocchi”, mi grida- carono il loro posto sulla mappa. Qualcuno
aver trovato un antidoto “ai metallari”. Quelli vano di tutto. Durante l’interrogazione poi era impugnò la P38, altri si chiusero in casa, altri
che telefonano: “conversazioni terribili”, ur- l’inferno. Mi bloccavo su una sillaba, sudavo, e ancora si persero per sempre dietro l’eroina. I
lano: “L’ultima, Bianca Berlinguer” e sublima- al culmine del calvario, mentre pronunciavo pusher te la davano gratis, per fartela provare.
no la rabbia con l’insulto: “Fassino non scher- sillabe scomposte: “Mbb, mbb, mbb”, alle mie Carlo Rivolta, la persona che con generosità mi
zava, ma il campione insuperabile della pa- spalle sghignazzavano. Siccome il lato positvo spinse a L’Europeo, morì così. Sechi, faceva un
rolaccia a mezzo cornetta resta l’ex Dg Rai, Pier del cancro esiste sempre e con me non voleva giornale meraviglioso. Costosissimo e straorLuigi Celli”. Da un orecchio, D’Agostino non
sente bene: “Sono proAvevo una rubrica su
prio sordo”. Così se gli
altri esagerano: “con
L’Espresso. Si chiamava
l’espediente non mi
sfondano”. Dopo quasi
“Spia”, 5 pagine alla settimana,
tre quinquenni di Dagospia, indefinite rimostranze e querele che raun mazzo mai visto. Scrissi
ramente travalicano la
soporosa liturgia della
che il marito di Miuccia Prada
città in cui è nato:
“Montezemolo mi ha
aveva detto che l’avvocato
accusato di diffamazione, sostiene che c’è una
Agnelli portava sfiga. Fine
campagna a suoi danni,
pretende 2 milioni di
di tutto. Barbara Palombelli
euro. Ma se lo incontro
gli stringo la mano come mi è capitato l’altra
mi consigliò di aprire un posto
sera con Azzurra Caltagirone. Su di lei e su Camio. Così nacque Dagospia
sini avevo scritto di tut1985, D’Agostino (primo a sinistra) e la squadra di “Quelli della Notte”
to, messo in dubbio la
durata del matrimonio,
parlare nessuno, ne approfittai per leggere. dinario. Una sorta di New Yorker con la grafica
giocato sui pettegolezzi”.
Qualche Dostoevskij toccò anche a me. Poi di Milton Glaser e la redazione piena di teste:
Invece?
Eravamo al Maxxi. Baci e abbracci. Una gior- mia madre mi mandò da un logopedista, im- Dossena, Minetti, Mughini, Chessa. Lì avevo
nalista del Messaggero, incredula, mi fa: “Non parai a respirare e anche se ancora adesso dico incontrato Federico Zeri.
riuscirei mai a essere tanto naturale”. “È la pissicologia, migliorai. Poi dio creò le classi Nel cui nome litigò con Sgarbi in una famosa
forza di Roma” le ho risposto. “Alla fine gli miste e all’improvviso ci trovammo al bordel- puntata dell’Istruttoria di Ferrara.
attriti si risolvono. Ci si sbrana in Parlamento e lo. Oltre il cancello della scuola c’era il Crazy Zeri era micidiale. Potevi essergli amico, ma se
si sentiva tradito, prima ti estrometteva dalla
poi ci si attovaglia al Bolognese”. È una fi- Horse.
cerchia e poi ti cancellava per sempre. Sgarbi,
losofia criticabile, ma sento di poterla vivere A casa non c’era una lira.
senza doppiezze. Ho fatto tante cazzate e ho Ho lavorato in una fabbrica di legnami, come cresciuto alla formidabile palestra dialettica
sbagliato spesso, ma non me la sono mai presa ragioniere alla Breda, poi, grazie a una rac- del Costanzo Show, di Zeri era stato adepto. Poi
con qualcuno perché avevo un affare personale comandazione, alla Cassa di Risparmio di Ro- ci aveva litigato e da allora, eravamo amici
da risolvere. So devo trovare il coraggio di ma per 12 anni. La filiale era a Centocelle. La anche noi, l’avevo perso di vista. Ferrara ci
chiedere scusa so dove bussare. Quando mi giornata tosta. Le file infinite. La banca mi ha mise insieme perché sapeva che due galli in un
dicono: “Ce l’hai con me” mi vien da ridere. insegnato a concentrarmi. Eri in prima linea. pollaio avrebbero potuto dar spettacolo.
Lavoro 12 ore al giorno. Il mio problema non Se facevi un errore, pagavi di tasca tua. Mi E così fu.
sono ossessioni o cattiverie, ma il tempo che mi capitò di confondere sterline inglesi e austra- In studio, su un trespolo, oltre al semiologo
liane, far felice un cliente nel cambio di valuta Volli, c’era anche Corrado Guzzanti. Ma l’inmanca per ascoltare i miei dischi preferiti.
e rimetterci una fetta di stipendio. Capii cosa quadratura era stretta su di noi e Sgarbi picA chi gode dell’attenzione del suo sito la spiesignificasse attenzione. La sera, a turno finito, chiava duro. Si dava un gran tono da progazione non basta.
Ai tanti che si lagnano lo dico sempre: il sito si andavo in radio. La musica mi piaceva. 10 anni fessore, ma io sapevo che aveva affrontato 3
chiama Dagospia, non I Dieci Comandamenti. prima in Via Asiago, con Renato Zero, Lo- volte l’esame per ottenere la cattedra e che per
Non sono con lo scalpello in cima al monte a redana Bertè e le solite 100 persone che fa- 3 volte era stato respinto. Allora, ormai stretto
cevano la spola tra la chiesa laica di Renzo all’angolo, mi giocai l’asso: “Professore di
ffà Mosè.
Arbore e il Piper, ero stato di casa. A metà dei che?” dissi. Lui perse la testa, non capì più un
Dagospia nacque da una crisi.
Avevo una rubrica su L’Espresso. Si chiamava 70, un decennio atroce, iniziai a collaborare cazzo e mi tirò dell’acqua. A quel punto diSpia. Cinque pagine alla settimana di notizie, con qualche rivista e mi proposero di fare il Dj. menticai di essere in tv, ricordai di essere stato
un mazzo mai visto. Scrissi che il marito di Per un paio di meravigliose stagioni misi dischi un ragazzo di strada e mi sfiorò la tentazione di
Miuccia Prada, Bertelli, aveva detto che l’av- sul piatto e animai le serate del Titan. Pro- rompergli la minerale sul capo. Grazie al cielo
ROMANO DI SAN LORENZO
Roberto D’Agostino, creatore e anima del sito
Dagospia.com, online dal 22 marzo 2000,
è nato a Roma il 7 luglio 1948 Foto di Dino Ignani
lui intercettò la bottiglia e io rapido, con la
mano libera, gli diedi uno schiaffo. Il segno del
disprezzo massimo. Sgarbi inveì e poi se la
prese con Ferrara: “La devi tagliare” minacciava. La puntata era registrata.
E Ferrara?
“Col cazzo che la taglio” ripeteva. “È una chicca
assoluta, la mando in onda”. Io approfitto del
caos e scivolo fuori dallo studio per cercare un
il Fatto Quotidiano
STAMPA SPAGNOLA:
“SUAREZ AL BARÇA”
Luis Suarez è un giocatore
del Barcellona. A dare per
fatto l’accordo è il
quotidiano El Mundo
Deportivo, secondo cui il
'Pistolerò firmerà con la sua
nuova squadra un
contratto di cinque stagioni
TOUR: KITTEL PRIMA
MAGLIA GIALLA
Il tedesco batte Sagan
e Navardauskas sul
traguardo di Harrogate
e vince la prima tappa.
Mark Cavendish causa
una caduta a meno 250
metri e il suo Tour
potrebbe già essere finito
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
17
ROBBIE WILLIAMS
CADE DAL PALCO
Durante un concerto
a Newcastle l’ex Take
That è inciampato nel
corso di una
coreografia, rovinando
sulla prima fila. Una
fan ha riportato la
frattura del braccio
gliamento.
Lei ne avevo scritto a lungo su “Moda” diretto
da Vittorio Corona, il padre di Fabrizio.
“Quando esce dalla sua camera da letto” spiegai ad Arbore “la persona non è più quel che è,
ma quel che vorrebbe essere agli occhi del
mondo”. Rimase interdetto.
Non capì?
Oggi ognuno è la sua fiction e ambisce al suo
reality, alla plastica rappresentazione di sé, al
suo selfie. Nel 1985 non era facile intuirlo, ma
a me pareva che lo choc culturale e liberatorio
degli Anni 80, poi piegato nella valutazione a
posteriori dalla condanna del craxismo, fosse
epocale e meritasse un racconto a sé. Renzo,
che è sempre stato pragmatico, volle la prova
empirica. Mi fece fermare il primo essere umano che passava per la strada. L’esperimento gli
piacque: “Ti mettiamo sotto l’ingresso, Roberto”. A quel punto mi posi lo scrupolo di non
esagerare. Di vestirmi da clown. Di agghindarmi con il turbante per non dare alla gag il
peso sinistro del giudizio morale. Chi ero per
dare le pagelle? Bisognava alleggerire. Lo facemmo e ci divertimmo molto. Mi vestii anche
da critico televisivo. Facendo leva sulla distinzione tra apocalittici e integrati delinata da
Umberto Eco iniziai a dileggiare gli intellettuali che si confrontavano per la prima volta
con fumetti e canzonette senza mai perdere il
timbro altero da Gruppo 63 e il loro ridicolo
tono di superiorità. Il corto circuito funzionò e
dopo la prima settimana segnata dai pessimi
ascolti, Quelli della notte prese il volo.
L’edonismo reaganiano. I tormentoni legati a
Milan Kundera.
Renzo lo chiamava la Milan, forse perché Milan gli sembrava un nome femminile. La verità
è che L’insostenibile leggerezza dell’essere non
l’aveva letto nessuno. Non i dirigenti Rai, non
Renzo e tantomeno io che mi ero fatto bastare
la recensione di Severino Cesari su Il Manifesto. Gli rubavo le frasi e le rielaboravo a modo
Bisignani? Cercavo notizie da chi le aveva
Lo chiamavo per averne su
Berlusconi come chiamavo
Rovati all’epoca di Prodi o Velardi per D’Alema. La vicenda
Woodcock mi fece male, mi
spaventò, ebbi paura di essere
arrestato e non capivo il perché
Mai successo nulla del genere
colse anche un po’ di ubriacatura. Ci riconoscevano per strada, non essere turbati dalla
popolarità è un esercizio complicato. Quando
ci salutammo, scimmiottai il discorso sul cono
d’ombra che Scalfari amava ripetere a chi si
azzardava ad abbandonare il tempio di Repubblica: “Finirete tutti a leccarlo, il cono d’ombra”. Continuai con la tv, a Domenica In, poi
girai il mio primo e unico film, Mutande pazze,
una fenomenologia dell’arrivismo paratelevisivo baciata da una certa lungimiranza. Il titolo
iniziale doveva essere Brividi di sesso e lividi di
successo. Mutande pazze non lo voleva nessuno. “È pornografico”, giuravano. Fu Enrico
Vanzina a convincere Cecchi Gori.
Sul suo assoluto cinismo si favoleggia.
Nei rapporti personali sono curioso. Né cinico
né snob, anzi più compassionevole che cinico.
Però il cinismo politico è parte di me. È figlio
dell’esperienza e della mia passione per la storia. Non ce l’ho con Renzi e da un certo punto
di vista mi auguro che ce la faccia, ma di fronte
a certi entusiasmi, alle slavine di bava e alle
sinfonie in gloria del giovane Matteo, provo
imbarazzo. Fare il contropelo al potere è un
dovere giornalistico, non un hobby.
Come si finanzia Dagospia?
Con la pubblicità ed è per questo che è in crisi.
Mettere contenuti a pagamento non funziona e
senza pubblicità mancano gli introiti. Un tempo i giornali per gli editori erano una barriera.
Una polizza Kasco senza la quale in tanti sarebbero finiti in galera. Una volta tramontati
gli editori puri, la stampa italiana vive un tragico rito di passaggio, accende gli ultimi fuochi
e osserva nello specchio una decadenza che è
speculare a quella dell’economia. È finita,
l’economia. Sono sparite le aziende, non c’è più
nulla. Né idee né idologie. Solo comitati d’affari. Piersilvio Berlusconi che regge il pitale a
Renzi è emblematico. Quando l’impero rischia
di dissolversi vengono giù anche le barricate. Il
Paese tenta di salvarsi, ma è troppo gracile e
temo non ce la farà.
Con Diego Della Valle, amico di Renzi, ha fatto
pace?
Della Valle si inventò la campagna Dagostrunz. Per descrivermi come un rifiuto della
società affittò carri di carnevale, impiantò un
merchandising in tema, mandò il Kit di Dagostrunz con tazze, cappellini e magliette persino in Banca D’Italia. Quando vidi una mongolfiera sopra la mia casa di Sabaudia rimasi
basito: “Ma perché butta tutti ‘sti soldi?” Quando il camioncino di Dagostrunz, immagino per
puro caso, arrivò a un passo dalla scuola di mio
figlio Rocco che aveva 14 anni, mia moglie
Anna si incazzò non poco.
L’hanno criticata aspramente per i suoi rapporti con Bisignani.
Cercavo notizie da chi le notizie le aveva. Mi
hanno messo sotto inchiesta per avergli offerto
uno spaghetto, non perché tramassi operazioni
finanziarie in Lussemburgo o in Svizzera.
Chiamavo Bisignani per avere nuove su Berlusconi come chiamavo la buonanima di Rovati all’epoca di Prodi o
Velardi, quando regnava
D’Alema. La vicenda
Woodcock mi fece male,
mi spaventò, ebbi paura di
essere arrestato e non capivo il perché. Non mi era
mai successo nulla del genere.
Le guerre imbiancano e gli
anni sono 66.
L’unica soluzione ai problemi dell’età è la filosofia
Zen. Per vivere senza infelicità ho due precetti.
Ce li espone?
po’ di pace. Trovo Chiara Valentini, la mia
fidanzata di allora che litiga a testa bassa con
Lino Jannuzzi, storico compagno di merende
di Giuliano. Ferrara fu grandioso. Mi è sempre
piaciuto. Testa acuta e penna rapida. Uno dei
pochissimi in grado di scrivere un articolo in
tempo reale senza indulgere all’osservazione
del proprio ombelico.
Lei in tv era già stato con Arbore.
La storia di Quelli della Notte, un programma
da cui discendono tutti i Saturday Night live
del nostro secolo, va raccontata bene. La trasmissione si sarebbe dovuta chiamare Musica e
puttanate. Renzo non aveva le idee chiarissime. Ci incontrammo alla Casina Valadier.
Gli proposi una look parade. Un racconto del
mostruoso, bombastico cambiamento delle
classi sociali degli Anni 80 attraverso l’abbi-
“Quando non c’è soluzione, non esiste il problema”.
E poi il secondo: “Meglio
una fine spaventosa che
1991, il celebre schiaffo in tv a Vittorio Sgarbi uno spavento senza fine”.
Nella mia vita ho prolunmio per ragionare sui Ricchi e Poveri o su gato situazioni incresciose sbattendo la testa su
amori impossibili. Ma non mi sono mai sentito
Raffaella Carrà.
né sono stato migliore di nessuno. Tra persone,
Poi come tutte le cose belle finì anche Quelli
la partita è sempre doppia. Si perde e si vince,
della notte.
Per rifare una cosa del genere ci vorrebbe un ma lo si fa sempre in due. E dopo il buio, torna
grande direttore d’orchestra come Renzo. Co- la luce. Abbiamo qualche strano meccanismo
nosceva i trucchi del gusto nazionalpopolare. cerebrale e una fortuna grande. Ci piace ridere.
La tv è un mestiere difficile. Collettivo. Bisogna La tragedia di oggi diventa la sempre farsa di
essere abili a definire ruoli e competenze. Ci domani.
19
SECONDO TEMPO
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
Messi non fa il fenomeno,
ma l’Argentina avanza
il Fatto Quotidiano
Errani-Vinci, trionfo a Wimbledon
UNO A ZERO AL BELGIO GRAZIE A UN GRAN GOL DI HIGUAÍN DOPO 8’. LA “PULCE”
DIVORA IL RADDOPPIO AL 83’ E PER POCO I “DIAVOLI ROSSI” NON PAREGGIANO
di Roberto
Beccantini
questrato dalla ragion di stato: argentini a custodia del
gruzzolo, belgi costretti a inventarsi un copione lontano
dalle loro corde, attaccare
senza offrire il contropiede.
L’
Argentina “con”
Messi e non sempre “di” Messi accede orgogliosamente alle semifinali. Di Maria aveva liquidato la Svizzera.
Higuain sgonfia il Belgio.
Uno a zero a San Paolo, uno a
zero a Brasilia. Quando il gioco si fa duro, gli scarti obesi si
riducono a diete fachiresche.
È la legge del calcio.
Come già tra Germania e
Francia, anche tra Argentina
e Belgio hanno deciso l’esperienza, gli episodi. Sabella ha
vinto con la forza e l’equilibrio della fabbrica, ottenendo
lavoro sporco e proficuo persino dai capi, Pulce inclusa.
Sorprese in avvio, le guarnigioni di Wilmots hanno attaccato molto e prodotto poco. Non per pigrizia - questo
no, questo mai - ma per logorio mentale. Il nerbo di Garay e Mascherano ha permesso ai bi-campioni di assorbire
persino l’infortunio di Di Maria. Morale: la macchina del
tango sa disarmare gli avversari, specialmente se lenti,
goffi. E al diavolo le rime baciate.
Argentina-Belgio fu la semifinale del Mondiale messicano, nel 1986. La risolse Diego
Maradona, con una doppietta. Era tutto un altro calcio, e
tutto un altro Belgio, rigorosamente bianco: lo allenava
Guy Thys, con Pfaff tra i pali un signor portiere, prima che
un grande «attore» - e poi Gerets, Grun, Vercauteren, Ceulemans. Valloni, fiamminghi
e un figlio di siciliani: Scifo.
LA RIPRESA non sfugge alla
Di Maria, Higuaín e Messi dopo il gol del “Pipita” Ansa
IN SEMIFINALE
Come già tra Germania
e Francia, anche qui
decidono esperienza
ed episodi. Vittoria con
la forza e l’equilibrio
collaudato della fabbrica
Da Maradona a Messi: chissà
cosa ha celebrato Brasilia, se
uno storico passaggio di consegne o una lapide da seppellire in archivio. Un solo cambio, Wilmots: Mirallas al posto di Mertens. Più ampio il
dosaggio di Sabella: Basanta
per Rojo, squalificato, Demichelis per Fernandez, Biglia
per Gago.
Schema di riferimento, il
4-2-3-1. La partita s’infiamma già all’8’: l’istinto suggerisce a Higuain, in agguato
dentro l’area, di non domare
un rimpallo. Il destro, secco,
fulmina Courtois. Agli argentini non sembra vero. Tocca
agli avversari sporgersi dal
davanzale. Mascherano e Biglia – Mascherano, soprattutto – calibrano il fuoco di sbarramento. Cercano, i belgi, il
dribbling di Hazard e il tiro di
De Bruyne. Gli avversari fanno massa, delegando a Di Maria e Messi il traffico in uscita.
Kompany zompa su tutto e su
tutti: lo stile, spiccio, ricorda i
“liberi” d’antan. È il 32’,
quando l’Argentina perde Di
Maria, uno dei più efficaci
“sabotatori” di bunker su
piazza. Problemi muscolari
alla coscia destra. Lo sostituisce Perez. I sudamericani lasciano l’iniziativa ai rivali: si
arrangiassero. Fellaini, Witsel, Mirallas non trovano varchi. Neppure Alderweireld e
Vertonghen, sulle fasce, là dove Zabaleta non tollera intrusi.
Una punizione di Messi, appena alta, e un’incornata di
Mirallas, appena fuori, suggellano un primo tempo se-
logica dei valori e delle esigenze. Per esporsi, il Belgio si
espone, ma lo fa senza arte,
ruminando calcio, come se fisicamente fosse alla canna del
gas. I rossi si spaccano, Higuain se li mangia in campo
aperto, tunnel a Kompany e
traversa (55’). Wilmots non
ne può più: richiama Origi e
Mirallas, uno peggio dell’altro; spazio a Lukaku e Mertens. Una risorsa può essere la
testa di Fellaini, ma servono
cross, e Vertonghen boccheggia. Palacio avvicenda un Lavezzi generoso ma sfinito.
Tutti per uno e uno per tutti,
l’Argentina. La resa di Hazard, rimpiazzato da Chadli,
accompagna il ruvido braccio
di ferro verso il più scontato
degli epiloghi. Sabella toglie
Higuain, il migliore, e blinda il
fortino con Gago. O la va o la
spacca: Van Buyten centravanti è l’estremo giro di roulette. Messi – sì, proprio lui –
si divora il raddoppio e poco
ci manca che, dall’ennesima
mischia, il Belgio non estragga
il biglietto del pareggio: Garay
fa scudo con il corpo. Un pirata così sarebbe piaciuto a
Salgari.
Il metro buonista di Rizzoli si
ferma a tre «gialli»: Hazard,
Alderweireld, Biglia. Ne
avrebbe meritato uno anche
Messi, ma nessuno è perfetto.
L’INFORTUNIO
Neymar, la rabbia di Rio:
“L’hanno fatto fuori”
di Valeria Saccone
Rio De Janeiro
équiem per il Mondiale di
R
Neymar. Ieri in Brasile si
respirava una strana miscela di
allegria e tristezza: soddisfazione per aver vinto la partita contro la Colombia; saudade per
l’aggressione – perché tutti ne
parlano in questi termini – contro Neymar, l’astro indiscusso
della Canarinha: “Stavano andando a caccia di Neymar
dall’inizio della partita. E siccome Neymar è sveglio e molto
giovane, credevamo che stesse
esagerando quando cadeva e
chiedeva il fallo. Poi è successo
quello che non sarebbe dovuto
succedere. E l’arbitro ha sbagliato perché avrebbe dovuto
dare qualche cartellino giallo
durante il primo tempo”, afferma Ierê Ferreira, fotografo e
musicista.
“Zúñiga è entrato con cattiveria, già aveva colpito il ginocchio di Hulk prima e non si era
beccato nemmeno il cartellino
giallo. Quindi aveva licenza per
picchiare. Ed è assurdo che l’arbitro, che avrebbe dovuto proteggere il crack, abbia rovinato
la festa del calcio”, dice André
Balocco, redattore del giornale
O Dia. Lo sconforto affiora nelle
parole di molte persone ieri a
Rio de Janeiro. “Per me è un
giorno molto triste. Non so se
riusciremo a vincere i Mondiali
senza Neymar. E se ce la faremo,
non sarà la stessa cosa, perché la
Copa era sua, del nostro fuoriclasse”, afferma Daniele Apone,
impresaria de São Paulo che vive a Rio da due anni.
“È triste perché Neymar aveva
lavorato tanto per stare lì. Però è
ancora giovane, ci saranno altri
Mondiali per lui. Per lo meno
adesso la squadra del Brasile dovrà sforzarsi di più e magari
avrà anche l’opportunità di dimostrare che la vittoria non dipende esclusivamente da Ne-
ymar”, dice Márcia Ponte, tifosa carioca. Anche il presidente
Dilma Rousseff e l’ex calciatore
Roberto Carlos hanno mostrato la loro solidarietà su Twitter.
LE LACRIME di Neymar ieri pre-
sagivano il peggior scenario.
Non erano semplici lacrime di
dolore. Erano la rappresentazione della sconfitta. Una disfatta che non ha colto subito i migliaia di tifosi brasiliani riuniti
all’Alrizão, strada del quartiere
popolare di Tijuca, nella zona
nord di Rio. L’atmosfera era di
totale euforia, con gli abitanti
delle varie favelas pacificate ammassati in un recinto decorato
con il verde e il giallo della bandiera, i volti dipinti, il sorriso
Neymar a terra, in lacrime LaPresse
PROSSIMO MATCH
Martedì contro i tedeschi,
oltre al numero 10,
mancherà anche lo
squalificato Thiago Silva
Il Paese teme un nuovo
“Maracanazo”
stampato, la birra annaffiando
gli spettatori al grido di
“Goooooool!”.
La festa era talmente animata
che non c’era spazio perniente
altro. Tuttavia oggi alcuni credono che questo requiem sia
esagerato. “È deplorabile quello
che è successo ieri. Un’aggressione gratuita che ha espulso Neymar dalla competizione, però è
anche vero che i mezzi di comunicazione stanno dando un peso
enorme all’infortunio. Stanno
creando un clima di commozione sproporzionato”, critica Luiz
Baltar, fotografo dell’agenzia
Imagens do Povo, creata nella favela Maré per offrire una voce
critica. “Neymar si frattura una
vertebra e il Brasile si ferma. Un
viadotto costruito di fretta e furia cade, uccide due persone e
nessuno ne vuole sapere”, denuncia Thiago Firmino, guida
turistica di Santa Marta, la prima
favela pacificata di Rio, in riferimento a un recente incidente a
Belo Horizonte. Adesso tutti si
domandano come sarà la semifinale contro la Germania, l’8 luglio. Un osso duro non solo senza Neymar. Mancherà anche
Thiago Silva. E torna l’incubo
del “Maracanazo”.
PRIMO SUCCESSO ITALIANO DELLA STORIA
La coppia azzurra conquista l’unico torneo del Grande
Slam Slam che non avevano ancora vinto; battuta
nettamente (6-1, 6-3) la coppia Mladenovic-Babos Ansa
GP D’INGHILTERRA
Silverstone, disastro
Ferrari: mai così
indietro nella griglia
ROSSE PENULTIME IN PISTA: PARTE MALE LA “CURA”
DEL NUOVO RESPONSABILE CORSE MATTIACCI
di Alessio Schiesari
hiamarla doccia gelata è
C
forse troppo facile, ma
rende l’idea di quanto accadu-
to a Silverstone. La Ferrari affogata sotto la pioggia, subendo una doppia umiliante eliminazione alla prima qualifica, è
la più brutta che si ricordi. Fernando Alonso ha fatto segnare
il 19imo tempo, Kimi Raikkonen il 20imo (anche se, causa
penalizzazioni altrui, partiranno rispettivamente dalla piazza
16 e 18). Peggio di loro solo le
Caterham, meglio perfino le
Marussia. Si potrebbe dare la
colpa alla sfiga: le due rosse sono uscite dai box troppo tardi e
non sono riuscite a sfruttare un
momento di pausa dell’acquazzone che ha guastato la pista e l’avvio del nuovo corso
Ferrari. Negli ultimi giorni il
nuovo Team Principal, Marco
Mattiacci – arrivato a Maranello per sostituire Domenicali –,
aveva lanciato i primi proclami. Rileggere l’agguerrito “abbiamo sostituito la cultura della prudenza con la cultura del
rischio” alla luce del tracollo
nelle qualifiche è un esercizio
perfido. Così come quel “lavorare per Ferrari ed essere Ferrari ci obbliga a essere primi”:
belle parole, ma quantomeno
avventate in una stagione in
cui le rosse non hanno nemmeno sfiorato il podio. Così
come annunciare la rottamazione – che nel vocabolario di
Mattiacci corrisponde alla voce “discontinuità tecnica” –
dalle colonne della Gazzetta
dello Sport, indicando senza giri di parole quali saranno le
prossime teste a cadere in casa
Ferrari: i vertici delle aree motore e telaio. Pensare che il
marchiano errore di ieri sia
frutto di una vendetta dell’area
tecnica verso il nuovo corso è
solo dietrologia, ma che in questo momento le acque in Ferrari siano parecchio agitate è il
segreto di Pulcinella.
Dopo avere concluso la sua
breve giornata in pista con un
testacoda, Fernando Alonso,
pur senza prendersela con nessuno ha fatto capire quale sia il
clima in casa Ferrari. L’asturiano è ricorso ai massimi sistemi
per non sprofondare nella delusione: “Se tutto va bene, ci sono elogi per la squadra. Se tutto
va male, sappiamo che il pomeriggio diventa duro. Il confine
è sottile: stavolta non è andata
bene, non pensavamo di chiudere in questa posizione”, salvo poi far trapelare tutta la propria insofferenza per una stagione in cui il peggio non sembra mai avere fine: “In quella
che è stata la nostra migliore
gara, l’Austria, siamo arrivati
quinti. Oggi, anche se fossimo
IMBARAZZANTE
Fernando Alonso
diciannovesimo,
Raikkonen ventesimo
Peggio di loro solo
le Caterham, meglio
perfino le Marussia
partiti settimi, avremmo lottato per qualche punto”.
Lo stesso errore di previsione
commesso dalle due Ferrari ha
rovinato le qualifiche della
Williams di Felipe Massa
(15imo in griglia). Dalla pole
partirà la Mercedes di Nico Rosberg, seguito dalla Red Bull di
Sebastian Vettel, dalla McLaren di Jenson Button e dalla
Force India di Nico Hulkenberg. Solo sesto l’idolo di casa
(e compagno di squadra di Rosberg) Lewis Hamilton. Anche
lui è incappato in un errore di
previsione meteo. L’inglese,
dopo avere conquistato la pole
provvisoria, è rientrato ai box
rinunciando all’ultimo tentativo a disposizione. Intanto però
la pista si stava asciugando e
tutti quelli rimasti dentro gli
sono passati davanti. Hamilton si è assunto tutte le colpe:
“Ho scelto io di uscire per primo. Ma non è mai giusto o, meglio, non azzecco mai la scelta.
Speriamo di farlo prima o
poi”.
20
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
a cura di
Stefano
Disegni
BIOCRAZIA
NICOLAS SARKOZY
(FRANCIA, 1955)
Attenti a quei due
di edelman
n Sarkozy è l’uomo che ha governato la
Francia dal 2007 al 2012. Beati quei popoli cui basta un quinquennio.
n È citato in sette inchieste della magistratura francese. Sta tentando di
umiliare Berlusconi un’altra volta.
n Sarkozy è accusato di finanziamenti
illeciti provenienti dalla Libia di Gheddafi. Ricorderete la fretta di cancellare
le prove.
n Il governo francese: “Nicolas Sarkozy
è un cittadino uguale agli altri”. Per dire
quanto è diffusa la corruzione.
n Dopo il fermo giudiziario, Sarkozy
non ha escluso di tornare in politica.
Anche se è un nascondiglio affollatissimo.
n In realtà la carriera politica di Sarkozy
sembrerebbe irrimediabilmente compromessa. Come quella di chiunque riesca a perdere con Hollande.
n Sarkozy è nato da genitori di origine
straniera. Ma non puoi generalizzare,
Marine.
n Sarkozy ha parlato di “magistratura
politicizzata” e di “giustizia a orologeria”. Credeva di essere Napoleone e invece è Cicchitto.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
21
GIOVANNI FLORIS Il conduttore di Ballarò lascia viale Mazzini e approda a La7 LaPresse
TG PAPI
SALI E SCENDI
Dopo Telemaco, ecco
Sigfrido e Brunilde
di Paolo Ojetti
un giorno Angela Merkel si
E
presentò a Bruxelles con elmo,
corna, trecce bionde, sottanone si-
millamierato e ascia bipenne: “Sono
generazione Brunilde”. Risatine e
baciamani. Al seguito, il ministro
Schäuble, agitando lo spadone:
“Non toccatela, sono generazione
Sigfrido”. E qui nessuno rise, ci fu
solo un pesante imbarazzo. Poche le
reazioni per Hollande che dal suo
metro e sessantanove andava proclamando: “Je suis la génération De
Gaulle” che, scalzo, toccava i due
metri. Assodato che i giornali quotidiani nazionali e che i telegiornali
hanno destinato una quota delle
forze redazionali alla rilettura
dell’opera omnia di Omero per non
fare brutte figure con il nuovo Timoniere, perché Telemaco? Deve
essersi trattato di un rimasuglio di
liceo, visto che l’Odissea vede per lo
più il rampollo di Ulisse chiuso nel
palazzo avito in attesa del “nòstos”
di quel vagabondo di suo padre.
Telemaco era un represso vendicativo (in questa storia Floris non
c’entra) con paranoica missione di
sorveglianza della virtù materna.
Forse, senza quel figlio occhiuto,
Penelope avrebbe finito la tela e si
sarebbe concessa al più macho dei
Proci, mettendo termine alla sua
bianca ventennale vedovanza.
In fondo, Ulisse s’era dato all’avventura nel Mediterraneo, tornando a
Itaca non per “il debito amore lo
qual dovea Penelope far lieta”, ma
quando finì la benzina, alla prima
apparizione fulminando il povero
cane Argo (chissà se Dudù sarebbe
più resistente). Ci sono anche dubbi
sulla paternità: quanti anni aveva
Telemaco e da quanti anni Ulisse
era a spasso? Tutti sanno che Ulisse
e i suoi fedelissimi fecero strage dei
Proci (qui identificabili con quelli
della Bundesbank) con un rito da
Cosa nostra mentre stavano banchettando; e forse per questo i sassoni della Ue non hanno gradito.
RENZI non è il primo politico in ma-
schera. Scalfari dipinse Craxi come
Ghino di Tacco, il brigante che ricattava i viandanti democristiani.
Per via della statura l’aretino Fanfani
fu il “mezzo toscano”, Andreotti era
“la volpe”, Forlani accettò “il coniglio mannaro” dalla penna di Pansa.
Berlinguer fu a lungo il “sardomuto”
e Togliatti ancora oggi è “il Migliore”. De Mita fu bollato da Agnelli come “intellettuale della Magna Grecia” (cosa c’entra la Grecia, ironizzò
Montanelli). Il “Caimano” di Moretti ha segnato a vita Berlusconi. Ma
erano tutti graffi e profili che provenivano dall’esterno. Matteo Renzi
ha svoltato, è la prima auto investitura. In attesa de “l’État c’est moi”.
C’era una volta Raitre
Anatomia di un declino
di Carlo
Tecce
osì Rai3 non ha senso. E il senso
C
non l’ha perduto perché Giovanni
Floris, un giornalista identitario di un
canale identitario se n’è andato.
Il senso di Rai3, ridotta un tempo di
sinistra non allegorica seppur non allergica a logiche di divisione e condivisione di un potere mediatico, era la
produzione di formazione e di informazione: notizie, cultura e società. Il
terzo segmento di viale Mazzini ha
sempre risposto a un pubblico interessato, di certo appassionato di politica, di spettacolo non becero, di serie
tv non ruffiane. Ci sono ancora insediamenti di un’epoca smarrita, forse
perché il rinnovamento non è stato
mai applicato o forse, piuttosto, perché il rinnovamento è stato applicato
male: la mezz’ora di Lucia Annunziata,
le inchieste di Milena Gabanelli e Riccardo Iacona, la satira fresca di Gazebo
insieme riempiono (bene) un palinsesto, ma non rappresentano il palinsesto. Vuoi incentivare l’approfondimento, che senso ha centellinare le
puntate di Gabanelli e Iacona? Vuoi
rientrare al centro di dibattito, che
senso ha non estendere la mezz’ora di
Lucia Annunziata? Vuoi svecchiare il
profilo dei telespettatori, che senso ha
ridurre (anziché) ampliare lo spazio di
Gazebo?
IL MESCOLAMENTO dei sapori non dà
nessun sapore rilevante: questa è Rai3.
Vuoi sperimentare il reality impegnato, si chiamava Masterpiece (ricordate?
Se l’avete conosciuto), e perché non
insisti, perché non lo mandi in prima
serata anche se fa pochi ascolti? Vuoi
sfruttare la burocratica, antiquata e barocca macchina redazionale, fai più telegiornali, fai più edizioni locali, fai lavorare quei giornalisti.
Ci sono tante maniere per risollevare
una rete senza spendere troppi soldi o
trovando i soldi da spendere, e Urbano
Cairo e La7 lo dimostrano, ma c’è soltanto una maniera scolastica, sesquipedale, per affondare un canale che,
per anni, ha svolto quel mistico ruolo
di servizio pubblico: non avere idee.
Non esiste un giornalista insostituibile,
questo lo dicono tutti i direttori che
non si sentono sostituibili. Ma se
Gli ascolti
di venerdì
BRASILE-COLOMBIA
Spettatori 7,42 mln Share 37,4%
PANE AMORE E...
Spettatori 1,57 mln Share 7,12%
un’azienda comprende che la trattativa
con Giovanni Floris è intricata, affannosa, e non ha la volontà (editoriale-economica) per investire su questo
conduttore, un minuto dopo, deve annunciare l’alternativa, la soluzione, deve rilanciare. E non deve ordinare semplicemente un trasloco di un collega
amico.
Gli abbonati vogliono davvero una televisione pubblica votata al risparmio neanche il Mondiale di calcio si può
vedere - che offre roba di secondo livello (quando è fortunata)?
Quando ragionano di riforma in viale
Mazzini (e con scarsa complicità morale), tentano di indossare il coraggio
giurando che la vendita di un canale è
possibile. Tutto è possibile. Anche se il
canale non ha un prezzo se non ha i
contenuti, dunque non ha acquirenti.
Ogni volta che s’affronta l’ipotesi di
cedere un pezzo, si fa il nome di Rai2. E
perché no di Rai3? O Rai1? O Rai
Sport. Pazienza per i nostalgici: ma se
Rai3 non deve avere più un senso, diteci che senso ha il resto? Il resto di
cosa, poi?
Twitter: @Teccecarlo
DUE SETTIMANE PER...
Spettatori 2,27 mln Share 10,5%
THE LIBRARIAN
Spettatori 1,23 mln Share 5,65%
22
SECONDO TEMPO
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
il Fatto Quotidiano
FRANCESCO IN MOLISE
TURBOESECUTIVO
L’ultima del Governo:
riforma della scuola a caso
di Furio
Colombo
S
entite questa: “Taglieremo una delle
quattro sedi ministeriali, il Palazzo della
ricerca, all’Eur, oggi in affitto.
Ho scoperto che per i 1.200
dipendenti ministeriali ci sono 80 metri quadrati a testa.
Per ogni studente italiano, in
classe, ce ne sono otto”. Autore della dichiarazione (che
cito da la Repubblica, 2 luglio) è il sottosegretario
all’Istruzione Roberto Reggi.
Nessuno studente la passerebbe liscia, in un tema scolastico, con un simile salto logico. Infatti a) non sappiamo
che cosa è, e che cosa si fa, nel
Palazzo della ricerca e se sia
uno spreco o una attività indispensabile, con tutta quella
gente (1.200) che passa le ore
di lavoro nella solitudine di
vastissime stanze vuote; b)
non sappiamo se il rapporto
fra dipendenti e vastità della
costruzione sia dovuto alla
precedente spensieratezza di
una quarantina di governi,
oppure se il rapporto 80 metri-una persona sia determinato dal fatto che la costruzione prevede aree vuote per
ragioni di progetto (per
esempio vastissima area di
ingresso, balconi sproporzionati); impossibile vedere la
connessione fra gli 80 metri
di cui godono i perdigiorno
che saranno immediatamente aboliti dal rigoroso sottosegretario, e gli otto metri destinati agli studenti. Il salto
logico è pauroso. Come dire
che il problema delle carceri
troppo affollate si risolve
abolendo i saloni troppo
grandi del ministero della
Giustizia in Via Arenula.
PERÒ è un parere autorevole,
e i poveri insegnanti dovranno tenerne conto. Pare che
Reggi sia il vero riformatore
della nuova scuola italiana o
così ci viene presentato, e lui
incoraggia affermando “Ho
scoperto... Che significa una
severa ispezione in prima
persona in una remota sede
ministeriale all’Eur” (Sud di
Roma) .
Sentite questa. Domanda:
“Volete togliere un anno ai licei?” Risposta: “È un’altra
scelta europea. E poi se vuoi
fare più musica, più storia
dell’arte e non hai soldi, devi
rimodulare quello che hai”.
Quando sia stata compiuta la
scelta europea, e se sia vincolante non è detto. Ma è il
concetto che spaventa: se tagli
un anno di scuola, hai più soldi, se hai più soldi, insegni più
e meglio per gli anni che ti
restano. Inevitabile una riflessione che sembra sfuggita al
riformatore: se invece di un
anno se ne tagliano due, il risparmio permetterebbe ancora più musica e più storia
dell’arte. Dunque con tre anni
di meno si raggiungerebbe
una scuola d’eccellenza, anche se resterà qualche ragazzino in più per la strada.
L’affermazione, nel Paese europeo che ha la più alta percentuale di abbandono scolastico prima del diploma, appare di una leggerezza allarmante. Ma proprio questo è il
tratto tipico del giovane governo Renzi, un tratto che si
ripresenta intatto, dopo le
prove di chiarezza, rigore logico e consapevolezza delle
condizioni reali, dimostrate
nella riforma del Senato
(composto di sindaci con immunità parlamentare), nella
riforma della Pubblica Amministrazione (mobilità forzata dei dipendenti entro cinquanta chilometri), nella legge Franceschini (nei musei
pagano soltanto i vecchi) e
che già si intravedono nella
riforma della Giustizia (soprattutto un bel taglio alle fastidiose intercettazioni).
Sono rappresentazioni che
puntano a meravigliare, con
taglio spettacolare in cui deve
Matteo Renzi Ansa
COLLAUDATO
Il meccanismo renziano
è sempre la dichiarazione
per meravigliare: dire
qualcosa di sorprendente,
non necessariamente
qualcosa di vero e di utile
esserci sempre qualcosa di
sorprendente, ma non necessariamente qualcosa di vero e
di utile. Soprattutto nessun
rapporto con fatti e persone e
pubblico realmente coinvolti
nei settori “riformati”. Ma
nella “Riforma della Scuola”
(responsabile il ministro
Giannini, direttore dei lavori
il sottosegretario Reggi) ci sono altre cose incredibili nel
senso di radicalmente separati dalla realtà. Uno è che le
supplenze saranno fatte dagli
insegnanti già in ruolo e già al
lavoro nell’Istituto che ha bisogno di un supplente. In altre parole, il prof Rossi, se necessario (e se non vuole essere
trasferito, nell’ambito di 50
chilometri) deve insegnare in
Prima A, ma contemporaneamente assumere anche la supplenza della Prima B. Altro
che “fermare l’attimo”.
UN’ALTRA è che i giorni di
scuola passeranno da 208 a
230. Tutti diranno “bravi! così si studia di più!”, dimenticando che, intanto, viene
annunciato il taglio niente
meno che di un anno intero di
liceo, perché altrimenti i soldi
non bastano per insegnare
musica e storia dell’arte (senza badare al fatto che, nelle
scuole italiane, la musica non
si insegna). Tra le “idee nuove” per un nuovo mondo della scuola, c’è anche il principio che, in teoria, è possibile
compensare i docenti che lavarono di più, pagando qualcosa in più. Non si dice quanto. Si dice però che la decisione spetta ai dirigenti scolastici. Diventano, in tal modo, depositari di un arbitrio
che promette tempesta.
Ma è bene essere preparati alla vera grande novità: senza
soldi e senza supplenti, le
scuole non solo funzioneranno 230 giorni e non 208, ma
dovranno anche restare aperte dalle ore 7 alle ore 22 di
ogni giorno scolastico. Difficile capire che cosa può avere
motivato, in un mondo informato di genitori, insegnanti,
cittadini, una affermazione
così priva di ogni possibile
rapporto con la realtà. Ma c’è
una risposta. Siamo qui a parlarne. Con l’aiuto dei media,
dimenticheremo (salvo le famiglie e gli insegnanti) questi
penosi dettagli e sentiremo
dire: beh, dopo tutto hanno
fatto anche la riforma della
scuola. E purtroppo ci saranno giornali che prenderanno
tutto come se fosse possibile,
come se fosse vero.
FATTI DI VITA
di Silvia
Truzzi
n MERCOLEDÌ sulla Stampa Paolo Di Paolo rifletteva sulle letture scolastiche dell’estate, “I libri delle
vacanze. Come imparare a odiare i classici”. Si parte
da una constatazione: a giugno, nelle classifiche dei
libri più venduti si affacciano tre o quattro titoli di
Italo Calvino e Se questo è un uomo di Primo Levi.
Sono le letture consigliate (o imposte) dalla scuola
per le vacanze, il “canone scolastico”. Si domanda Di
Paolo se non sia ora di aggiornarlo. Con l’avvertenza
che suggerire letture agli studenti è una responsabilità, si veda il caso di Melania Mazzucco che con
il suo Sei come sei, storia di un amore omosessuale,
ha suscitato un putiferio al liceo Giulio Cesare di
Roma. Perché non un saggio scientifico, filosofico,
un testo giornalistico, su un tema che appassiona i
ragazzi? Perché non organizzare un’assemblea e
sceglierlo tutti insieme invece che imporlo dall’alto?
Il tema del rapporto tra i classici e la produzione
contemporanea al lettore è una vecchia storia. Che
ciascuno può riscrivere anche in base al grado d’interesse che prova per l’epoca che gli è coeva.
Lavoro, la voce del Papa
nel silenzio della politica
di Marco Politi
S
uccede che soltanto il
Papa batte insistentemente sul tema della
disoccupazione, del
precariato, delle generazioni
perdute in fila alla mensa dei
poveri. Non è un bene. Segnala
una sordità insistente delle
classi dirigenti politiche, economiche, finanziarie rispetto a
una crisi gigantesca che non richiede una generica “ripresa”,
ma una reinvenzione del modo di gestire l’economia come
fu il New Deal negli Stati Uniti
dopo la crisi del 1929.
Papa Francesco, nel Molise su
invito dell’arcivescovo Giancarlo Bregantini da sempre
impegnato sui temi del lavoro
e del contrasto alla malavita
organizzata, ha invocato una
scossa culturale, perché altrimenti dalla grande stagnazione non si esce. “Dio rompe gli
schemi”, ha esclamato nel corso dell’incontro con i rappresentanti del mondo del lavoro
e dell’industria. “Se non rompiamo gli schemi, non andremo mai avanti. Perché Dio ci
spinge a questo, a essere creativi verso il futuro”. È necessario, ha affermato, un “patto
per il lavoro”.
“Non avere lavoro – ha esclamato – non è soltanto non avere il necessario per vivere, no.
Noi possiamo mangiare tutti i
giorni: andiamo alla Caritas,
andiamo a un’associazione…
ci danno da mangiare”. Non è
questo il punto. “Il problema è
non portare il pane a casa: questo è grave, e questo toglie la
dignità! Il problema più grave
è la dignità. Per questo dobbiamo lavorare e difendere la nostra dignità, che dà il lavoro”.
NON C’È NULLA da aggiunge-
re. Vangelo sine glossa (senza
ulteriori delucidazioni) dicevano i teologi un tempo. Il
punto è l’inerzia della politica.
L’inerzia delle classi dirigenti
europee nonostante le dichiarazioni ufficiali faticosamente
elaborate. Il punto – in Italia – è
la scandalosa inerzia del governo nonostante i proclami roboanti di Matteo Renzi.
Flashback. Ascoltiamo il premier nel discorso al Senato del
24 febbraio per il voto di fiducia: “Noi partiremo, entro il
mese di marzo, con la discussione parlamentare del cosiddetto Piano per il lavoro, che,
modificando uno strumento
universale a sostegno di chi
perde il posto di lavoro, interverrà attraverso nuove regole
normative, anche profondamente innovative… Nel piano
per il lavoro che presenteremo
a marzo ci sarà una sorta di piano industriale per i singoli settori: sulle energie alternative…
sulla chimica verde, sull’innovazione tecnologica applicata
alla ricerca, sugli investimenti
veri e profondi che si possono
fare contro il dissesto idrogeologico…”.
Non è successo nulla di nulla.
Se ne parlerà nel 2015. Niente è
cambiato nelle fabbriche di
Papa Francesco LaPresse
EMERGENZA
L’inerzia del governo,
nonostante i proclami,
è scandalosa. Non è
successo nulla. Non c’è
un piano per contrastare
la disoccupazione
schiavi cinesi in Toscana o tra
gli schiavi raccoglitori di pomodori a Rosarno o tra i sikh
dell’agro pontino, che si drogano per resistere a 12 ore di
lavoro quotidiano. Nessun piano per il lavoro per contrastare
la disoccupazione giovanile,
che raggiunge il 46 per cento.
In un paese, dove il precariato
ha assunto dimensioni abnormi, l’Uomo del Tweet (che fug-
ge dalla conferenza stampa a
Bruxelles) ha emanato un decreto che autorizza le aziende a
praticare per ben tre anni la
servitù del precariato. Come
definire altrimenti – se non
servitù legale – la situazione di
chi fa lo stesso lavoro del “compagno di banco” e prende molto meno soldi grazie a contratti
fasulli pensati per una flessibilità fasulla (perché le attività
cui si dedicano i precari sono
del tutto “stabili” per anni).
Che cosa fa il governo Renzi
per questi ventenni-trentenni,
nel frattempo anche quarantenni, se non seminare slogan,
speculando sul loro disperato
bisogno di speranza per acchiappare voti?
ASCOLTANDO il Papa, rileg-
gendo le encicliche sociali di
Giovanni Paolo II e la Caritas
in veritate di Benedetto XVI, si
coglie il senso di una solida
“cultura della società”, una cultura del bene comune. Una visione di criteri e valori intorno
a cui organizzare il vivere insieme. Una visione del genere
nel Telemaco de noantri e nella
sua piccola corte è difficile trovarla.
Il dramma sta qui. Il “Salvatore”, verso cui tutti si rivolgono
ansiosamente, sa maneggiare
efficacemente gli strumenti del
potere e della comunicazione.
Altro non ha in testa. Ma è privo – anche ambienti tradizionalmente moderati se ne stanno accorgendo a malincuore –
di una autentica e rinnovatrice
cultura di governo.
Si guardino i gesti concreti attraverso cui costruisce alleanze
di potere. Niente Google-Tax
sui profitti miliardari tramite
internet, niente Imu-Tasi alle
scuole private per accontentare la gerarchia cattolica, niente
Imu-Tasi alle cliniche private
convenzionate nonostante le
rette altissime, esaltazione del
modello Marchionne che rifiuta il contratto nazionale e le
norme di Confindustria e si irrita delle regole Consob, robusti regali alle banche attraverso
la rivalutazione delle quote
Bankitalia.
Omero c’entra poco, il destino
dei precari ancora meno. Galleggino come possono.
Il dibattito sull’utilità dei classici
della letteratura? Per favore no
Riguardo al canone scolastico però valgono anche
altre considerazioni. Da quando ho memoria sento
dire che è incomprensibile il motivo per cui al ginnasio ti fanno leggere I promessi sposi: noioso, arcaico, intriso di retorica cattolica. Che dovremmo
leggere al liceo, Va’ dove ti porta il cuore? Senza dire
che una sola lettura del romanzo manzoniano non
basta, né a capirlo né ad amarlo come merita.
E infatti l’approccio scolastico dovrebbe essere
un’iniziazione. Su questo concetto s’innesta la questione delle letture sui banchi: se non cresci in una
famiglia dove circolano libri, la scuola ha anche questa responsabilità. La formazione ha soprattutto il
compito di fornire strumenti per la costruzione di
uno spirito critico che diventi bussola, anzi navigatore satellitare per orientarsi. Sul rapporto tra sesso e potere ha certamente più da dire (e con che
meraviglia!) Splendori e miserie delle cortigiane di Balzac di Cinquanta sfumature di grigio, per restare nel
campo dei bestseller. Le cronache dei giornali sono
piene di scandali finanziari, speculazioni che travolgono piccoli risparmiatori: esattamente ciò di cui
si occupa Zola ne L’Argent. Sono solo due esempi per
dire che classico non è affatto sinonimo di vecchio,
semmai di universale. Forse, è un’ipotesi, i professori
fanno leggere agli studenti Il barone rampante perché
racconta con grazia la ribellione, l’individuazione,
l’isolamento adolescenziale.
NEL 1981 lo stesso Calvino scrisse un articolo
sull’Espresso, Italiani vi esorto a leggere i classici. “Citerò Cioran: ‘Mentre veniva preparata la Cicuta, Socrate stava imparando un’aria di flauto. A cosa ti
serve, gli fu chiesto. A sapere quest’aria prima di
morire’”. L’idea dell’utilità necessaria è una delle più
grandi scemenze del tempo presente. La citazione di
Cioran risponde benissimo anche a un’affermazione
finale (e incomprensibile) di Di Paolo: “Il vecchio e
sterile slogan sul ‘piacere della lettura’ non ha nessun effetto: è ora di abbandonarlo, e di concentrarsi
sulle ragioni per cui vale la pena leggere”. Gratuitamente, per puro piacere, si fanno ovviamente le
cose più gustose.
@silviatruzzi1
n
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 6 LUGLIO 2014
23
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
Comico, scrittore...
Minchia signor Faletti
La morte di Giorgio Faletti mi ha provocato un
profondo dispiacere. Ma
quello che proprio non
capisco è lo sforzo di molti commentatori di mettere insieme la sua carriera da comico, con quella
di scrittore, come se ironia e cultura fossero caratteristiche incompatibili tra loro e ci volesse un
certo impegno per farle
combaciare. A me invece
è capitato quasi sempre
di trovare nelle persone
più profonde, anche un
aspetto gioviale. E questo
abbinamento
simpatia-intelligenza si vede
anche in molti personaggi pubblici. Basti pensare
alla famosa foto della linguaccia di Einstein o per
rimanere ai nostri giorni,
la perfetta coerenza
dell’irresistibile Serra di
Cuore con quello maturo
dei commenti politici; il
Benigni pirotecnico della
battuta e insieme commovente cantore di Dante. E tanti altri. Diffido invece di chi si sente un intellettuale serioso, sempre intento a sorvegliarsi
perché non gli sfugga una
risata o una battuta. Pensando così di essere intellettualmente fotogenico.
Ciao, caro Faletti, grazie
per le risate del Drive in,
per i tuoi gialli e per averci inchiodato sulla sedia
cantando “Signor Tenente”.
convincono solo che siamo un paese alla fame o
che gli italiani hanno come metro di giudizio il denaro. Quest’ultima ipotesi sarebbe peggio della
prima. Oltre l’immunità
per i non eletti al possibile
futuro Senato aspettiamoci, allora, anche di
peggio.
Roberto Maria Bacci
Di che morte moriremo
in Europa?
L’Europa sembra lontana ma mentre migliaia di
Gas (gruppi di acquisto
solidale) in Italia stanno
migliorando la loro alimentazione con l’uso di
prodotti biologici a km 0,
a New York una commissione europea sta trattando con gli Stati Uniti perché migliaia di sostanze
chimiche potenzialmen-
difendere l’economia del
sistema sanitario con il
controllo sui prezzi dei
farmaci per l’immissione
nel prontuario della mutua e stanno lavorando
perché questo possa essere giudicato dal tribunale
estero più compiacente
come un attentato al libero commercio. Secondo
il mandato dell’unione
europea l’accordo deve
fornire il più alto livello
possibile di protezione
giuridica. Tutti i documenti di questo trattato
transatlantico (Ttip) devono rimanere confidenziali per garantire un clima di fiducia fra i negoziatori in altre parole deve svolgersi in segreto.
Ma i cittadini dell’Europa hanno il diritto di sapere di che morte moriranno visto che verranno
Dna,
ciò che dice,
ciò che tace
CARO FURIO COLOMBO sono un
ricercatore della Facoltà di Medicina e
Chirurgia della Sapienza di Roma e sento la necessità di chiarire qualcosa sul
Dna e le infinite discussioni nelle inchieste. Non vi è dubbio che la prova del
Dna identifichi con precisione un individuo. Quello che nessuno dice, compresi
gli inquirenti, è che il Dna è facilmente
ottenibile e trasportabile, per esempio il
Dna di una persona estranea sul corpo
della vittima. La domanda degli inquirenti dovrebbe essere non se il Dna corrisponde in modo perfetto a un’ipotesi
di
indagine,
ma
come
è
arrivato nel punto e sul corpo in cui è
stato trovato.
a prove certe ma di incerta provenienza,
stanno preparando la strada a una poderosa difesa capace di smontare una costruzione che sembra nascere perfetta.
Improvvisamente però si allarga, come se
la rigorosa indagine fosse sfuggita al controllo tecnico e giuridico per cedere alle
esigenze (molto più folcloristiche) dello
spettacolo. Purtroppo, come era già accaduto con il caso Amanda Knox, i media
sono a disposizione per offrire palcoscenico, tempo e spazio alle persone che ricordano tante cose così tanto tempo dopo e
solo dopo la prova del Dna. Non per buttare tutto in politica, ma senza dubbio
l’esondazione di una inchiesta che sembrava nata sobria e rigorosa, comincia
nell’istante in cui Angelino Alfano, il più
inadeguato ministro degli interni italiano
dopo Maroni, reclama il merito di avere
scovato il colpevole della morte di Yara,
parla in modo intempestivo, aggiunge notizie e dettagli che non sono ancora divulgabili o confermati, provocando il furore
(giusto, adesso si capisce) dei giudici che
stavano lavorando al caso ed erano giunti
a una svolta. Giudici e carabinieri avevano ragione di indignarsi: da quel momento la rigorosa e pazientissima ricerca diventa un circo. E la domanda della dottoressa Bianchini nella lettera qui pubblicata è legittima. Non fa che anticipare,
con buon senso, oltre che per esperienza
scientifica, ciò che dirà la difesa. Al momento, se c’è un colpevole sicuro (quanto
meno di danno alle indagini) è Angelino
Alfano.
Gabriella Bianchini
COME ACCADE RARAMENTE in questa rubrica indico il nome completo di chi
ci scrive perché la lettera è documento di
esperienza scientifica e chiede attenzione
e precisione. La lettera infatti riporta alla
mente quella sequenza di prove scientifiche e clamorose contraddizioni che hanno
segnato in modo così negativo tutte le fasi
del processo Amanda Knox. Ciò che, come in quel processo, si nota nell’inchiesta
Yara è la concitazione, l’enfasi sui dettagli, la pioggia di rivelazioni, dove fatti
scientifici (il Dna) fatti caratteriali (il presunto colpevole certe sere non stava a casa) e una pioggia di testimonianze e ricordi trattenuti per quattro anni e finalmente liberati, si accumulano intorno a una
ipotesi che è cruciale ma troppo discussa
in pubblico. Anche coloro che si sono già
persuasi del muratore mostro devono
avere notato che tutte queste rivelazioni e
improvvise testimonianze che si aggiungo
la vignetta
Massimo Marnetto
DIRITTO DI REPLICA
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
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80 euro non bastano
per convincermi di Renzi
All’azzardo della sua politica, Renzi regala l’immunità ai Senatori del
possibile futuro Senato di
non eletti. Mi piacerebbe
sapere se il 40,8% degli
italiani che hanno votato
Pd nelle ultime elezioni
europee condividono la
scelta. Vedo un Renzi
sempre più appiattito agli
equilibri del potere e agli
interessi di casta. Dall’inizio nutro dubbi sulla persona Renzi e ancora oggi
non c’è nulla che riesca a
farmi cambiare opinione.
Gli 80 euro nelle buste paga, ma non di tutti, mi
te pericolose entrino nella loro catena alimentare
in nome del libero commercio. Nessuno stato
potrà più limitare l’ingresso degli Ogm. I sognatori vorrebbero unificare le tutele dei lavoratori in tutti i paesi dell’Europa e a New York si sta
lavorando per un’erosione dei diritti dei lavoratori. Molti hanno difeso la
libertà su Internet e si sta
lavorando per rendere
più vincolante la difesa
della proprietà intellettuale. Si sta tentando di
toccati i diritti di tutti?
Non è il caso che gli europei si muovano insieme?
Luciano Mignoli
Il movente dei ladri
all’insegna dell’odio
Davvero i corrotti rubano solo per farsi la villa al
mare, o perché obbligati
dal sistema? Secondo
me i corrotti che stanno
rovinando l’Italia sono
mossi da un sentimento
di cui nessuno parla.
L’odio. Un funzionario
pubblico, per tradire
l’istituzione per cui lavora, la deve prima detestare. O forse detesta
l’intero ambito professionale in cui lavora, o
addirittura
l’Italia.
L’odio, il nemico immaginario, offrono un solido alibi alla coscienza
dei ladri, una giustificazione verso se stessi. Ma
vista la quantità di scandali, io credo che l’odio
dia anche la forza per rubare. Per violare la legge,
per tramare nell’ombra,
per mettersi soldi non
propri in tasca, ci vuole
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Luca D’Aprile, Peter Gomez,
Marco Tarò, Marco Travaglio, Lorenzo Fazio
coraggio. Ci vuole una
motivazione sufficiente
per assumersi tali rischi.
E a mio avviso, è il disprezzo verso il proprio
Paese e verso tutti noi, il
movente decisivo.
Francesco Degni
“Tu uomo bianco parli
con lingua biforcuta”
Oggi ho ascoltato la frase
di Matteo Renzi in presenza di Manuel Barroso. “L’Europa deve avere
la capacità di coinvolgere i cittadini Europei’’.
Bella frase ma chissà per-
ché mi sono venuti in
mente quei western dove
i pelle rossa dicevano “tu
uomo bianco parli con
lingua biforcuta”. Renzi
mi deve spiegare perché
tratta gli italiani da pellerossa visto che con le
sue “controriforme” costituzionali sta facendo
esattamente il contrario
di quello che dichiara per
l’Europa. Li sta escludendo del tutto dalle decisioni politiche nazionali. Con i deputati nominati e il senato elettivo
abolito.
A pag 9 del Fatto si legge il
seguente titolo: “Ronchi
mente. Non siamo noi i
più inquinati”, poi si legge: “Trento, sebbene abbia dei valori lievemente
superiori alla media, se
comparata con le altre regioni italiane, non è fra le
province dove è maggiore la presenza di IPA” che
riflette esattamente quello che avevo detto. E cioè:
l’aria di Trento è buona
nonostante il livello degli
IPA sia alto. Facevo questo esempio non per sostenere che Trento sia inquinata, ma, all’opposto,
per sostenere lo scarso significato del valore degli
IPA (idrocarburi policiclici aromatici), famiglia
molto ampia che comprende centinaia di sostanze, poche delle quali
sono pericolose: per questo gli IPA non sono regolati né con obiettivi di
qualità, né con limiti di
legge. Quanto all’intervista a Bonelli, agli insulti
non rispondo: del resto
nella vita valgono i fatti e
forse qualcuno è in grado
di confrontare ciò che ha
fatto lui e quello che ho
fatto io per l’ambiente e
trarre qualche conclusione. Mi basta ricordare
che c’è un comunicato
scritto del Wwf, di Legambiente e di Greenpeace nazionali che chiedono la mia riconferma a
Commissario per l’ambiente dell’Ilva. Ho distribuito una relazione
ufficiale dell’Arpa sulla
qualità dell’aria a Taranto nel 2013. Non ho mai
sostenuto che il piombo
non sia pericoloso, anzi
ho detto che lo è sicuramente ,specie per i bambini. Sull’Ilva ho detto
che “esce di tutto” anche
se non ricordo quantità
di piombo. Non dispongo ora, da quando ho lasciato l’incarico all’Ilva,
dei dati diretti aggiornati
sulle emissioni reali per
fare una verifica. Ma mi
riservo di informarmi.
Edo Ronchi
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