1 MAROPATI…e dintorni … e dintorni ANNO I – N. 1 – PERIODICO DI INFORMAZIONE DELLA SEZIONE NUOVO PSI DI MAROPATI MARZO 2006 DIRETTORE EDITORIALE Dott. Vincenzo Gallizzi FACCIAMO GRANDE MAROPATI! Il successo del primo numero del nostro periodico ci induce e ci incoraggia ad andare avanti, proseguendo nel valido tentativo di aprire un dialogo costruttivo con la popolazione ed isolare quei pochi facinorosi che hanno portato indietro l’orologio della storia. Il paese è di tutti noi, di tutti i Maropatesi, è la casa di tutti e tutti dovremmo sentire il dovere, l’orgoglio e il diritto di collaborare per fare questo paese grande. Chi non ha i numeri per operare questa ricostruzione culturale e strutturale dovrebbe mettersi da parte. La nostra volontà, la nostra iniziativa, stenta a penetrare nella barriera costruita dai nostri avversari a difesa delle loro manie di vendetta, d’odio e di persecuzione. Continua a pag. 2 IL PAESE SUPERPULITO! Strada di Mòrvani Con rispetto per il nobile servizio ecologico della Nettezza Urbana, constatiamo che nel nostro paese tutto si sta uniformando a questo nuovo modus vivendi che ha come protagonista la Scopa! Tutto ruota intorno ad essa: operai e LSU che diventano, dalla sera alla mattina, provetti spazzini; tutti, a turno, sperimentano le qualità filantropiche della scopa e del bidone e chi si rifiuta viene licenziato in tronco! Continua a pag. 2 IN QUESTO NUMERO SPETTEGULESS Si dice che... FERDINANDO ALVARO Un grande dimenticato SCINTILLE IN CONSIGLIO COMUNALE LA FANCIULLEZZA DI GIORGIO CASTELLA A pag. 15 A pag. 8 A pag. 7 A pag. 3 2 MAROPATI…e dintorni FARE GRANDE MAROPATI L’assenza di cultura provoca imbarbarimento dei rapporti civili e le loro ritorsioni hanno distrutto la Fondazione Seminara e finiranno per bloccare ogni iniziativa di ammodernamento e miglioramento del nostro paese. Ho paura che sarà difficile dialogare con loro, che pure sono cresciuti alla nostra scuola di socialismo, perché effettivamente non sono i colonnelli che io speravo poiché stanno portando inesorabilmente il paese nell’oscurantismo, nell’indifferenza, nella sfiducia e nella rassegnazione. E allora, se è così, noi dovremo saltare l’attenzione nei loro riguardi, perché si sono convinti a non passare alla storia come i continuatori di un’epoca brillante; riporremo la fiducia verso i giovani, i loro figli e i nostri figli, i nostri nipoti consegnando a loro il timone che li abilita ad essere i protagonisti insieme a noi del migliore avvenire del nostro paese. Cioè, dopo il fallimento della seconda generazione, noi punteremo i riflettori della simpatia e del rispetto verso i giovani della terza generazione: con loro è possibile il dialogo per costruire la piattaforma unitaria che in passato ha fatto di Maropati un punto di riferimento della Provincia e della Regione. I paesi vicini: Giffone, Galatro e soprattutto Anoia crescono e crescono bene; Maropati è tornato indietro di 60 anni! I Consiglieri prendano coscienza della grave responsabilità e prendano, finalmente, le distanze dal duo Vicesindaco-Sindaco per salvare il paese. Lo ripeto: il paese è di tutti noi e deve crescere con lo sforzo di tutti, chi non rema deve scendere dalla barca. Al timone devono esserci uomini di provata esperienza che hanno sacrificato i migliori anni della loro vita per fare grande Maropati. Vincenzo Gallizzi IGIENE SICURA AL CENTO PER CENTO! Per mantenere lindo il paese, il responsabile dell’Ufficio Tecnico cura personalmente la gestione del Servizio, scegliendo e acquistando accuratamente sia i macchinari sia i detersivi. Per coinvolgere la popolazione di Maropati e Tritanti a questo nuovo corso storico, non si è badato a spese: quello delle pulizie è l’aumento più consistente nel bilancio comunale!!! A chi chiede spiegazioni sulle mancate promesse, il “Duetto” così si giustifica: <<Non ci sono i soldi per sistemare le strade di campagna o per illuminare il paese…Non ci sono rimasti soldi da utilizzare per lo sport, cultura, spettacolo, scuola, istruzione… Del resto siamo sicuri che gli anziani, i giovani e i più deboli sopporteranno tali sacrifici per una giusta causa…in nome dell’igiene sicura al cento per cento!>>. Signor Mastro Lindo LO SAPEVATE CHE… jjj Questa Amministrazione ha stanziato un Contributo economico in favore di una Associazione di Volontariato di Giffone denominata “S. Bartolomeo”. Le Associazioni di volontariato maropatesi, però, non vengono considerate. Perché? 3 MAROPATI…e dintorni LA FANCIULLEZZA RITROVATA di Giorgio Castella Non riesco a staccarmi dal paese natìo e ogni scusa è buona per recarmi presso la casa paterna, ma anche per rivisitare tutto il paese, con il desiderio di rivivere la mia fanciullezza. La mia casa si trova sulla Via Vittorio Veneto, al numero 25; provo sempre una grande emozione nell’aprire quell’uscio; poi accendo la luce e spalanco le finestre: tutto ciò mi dà la sensazione di rompere la mia solitudine. A passo lento giro tutte le stanze, osservando attentamente gli oggetti dell’abitazione. Nella stanza da letto mi stendo un poco sulla branda, non perché ho sonno, ma perché chiudendo gli occhi riesco a rievocare alcuni episodi della mia adolescenza, quando dormivo assieme a mio fratello e a mio padre e mi abbracciavo a loro per non sentir freddo. La casa, con tutti gli oggetti e i personaggi che furono inizia ad animarsi: ricordo quando mettevo la tegola di terracotta nel braciere e poi l’avvolgevo in un panno per riscaldarmi, nelle notti gelide, i piedi infreddoliti; il vociare gioioso di mia sorella, quando ci alzavamo al mattino presto, tutte e due, per impastare con le nostre manine la farina bianca mista al granturco per fare il pane. Dal balcone, dove io e mia sorella abbiamo subito le sevizie della matrigna, mi affaccio e non vedo più il lastricato di pietra dove spesso facevo dei grandi scivoloni grazie ai cciappetti, dei pezzi di ferro che il calzolaio metteva sotto gli scarponi per farli durare più a lungo. Proprio davanti alla mia casa, Carmelo il Banditore, dalla voce chiara e tuonante, con accento siciliano, annunciava tutti gli avvenimenti del paese, sia comunali che politici: <<…Si avvertono tutte le persone…>>, il suo accento mi è rimasto impresso nella memoria, come le poesie che s’imparano a scuola. Carmelo al mattino presto faceva lo spazzino e, girando con il carretto, manteneva pulito il paese. Più in là, sotto il portico, era la sosta preferita degli zingari, artigiani che si dilettavano a lavorare il ferro battuto, facendo palette per prendere il fuoco, bracieri e treppiedi; stagnavano padelle e pentole, barattando il lavoro con olio, vino e fichi secchi; erano veri nomadi: non rubavano e avevano guadagnato la stima e la solidarietà della gente. In Piazza Castello, a breve distanza dalla mia casa, nel mese di settembre, si svolgeva la festa di S. Rocco, compatrono del paese. Ad organizzarla era il sarto mastro Giovanni che, per allietare le serate, chiamava un’orchestra di suonatori dilettanti, diretta dal “maestro” Riniti di Galatro. Tutti lo chiamavano “Maestro”, ma, in confidenza, non conosceva affatto la musica; io scoppiavo a ridere solo a guardarlo, per il portamento che assumeva: si presentava con eleganza, come se fosse una grande personalità. L’orchestra iniziava a suonare canzonette popolari, mentre gli organizzatori avevano preparato per il “maestro” una bacchetta sottile di ferro per dirigere l’orchestra. Con la complicità dei musicanti e del pubblico iniziava il vero spettacolo: si 4 agitava tutto, faceva inchini ai nostri applausi, si comportava come un vero maestro intento a dirigere una grande orchestra. Era tutto felice, anche quando, come omaggio alla sua direzione artistica, gli offrivamo fiori puzzolenti, medaglie di cartone e attestati su carta da pacchi, fra gli applausi della gente entusiasta e di noi ragazzi che gridavamo a squarciagola: “Viva il maestro Riniti!>>. Alla fine del concerto, come si fa per una grande star, lo portavamo sulle spalle in un breve giro di grande trionfo. Il 23 aprile, festa di san Giorgio, Patrono del paese, a tarda sera, per tradizione, in tutte le vie del paese venivano (e vengono) accesi i fuochi in mezzo alla strada, in segno di devozione e purificazione. I contadini, nei giorni che precedevano la festa, portavano fasci di rami di ulivi e viti, accatastandoli davanti alle case. Ad allietare la serata intorno al fuoco MAROPATI…e dintorni erano i gruppi folkloristici che invitavano la gente a ballare la tarantella. Io ero uno dei tanti ragazzi che andava a saltare i fuochi in tutto il paese, nonostante i continui richiami di mio padre: saltavo le fiamme quando erano altissime, era una cosa affascinante! E non mi curavo che tornavo a casa con i capelli bruciati. A tarda notte ogni abitante riempiva il braciere di fuoco purificato, per benedire la propria casa e la cenere veniva portata in campagna, il giorno seguente, sperando in un buon raccolto. Appagato dal tempo trascorso a casa, chiudo la porta e il mio stato d’animo quasi mi suggerisce da dove iniziare la passeggiata. Mi reco verso il centro del paese a passo lento; nella Via Cavour la porta della fòrgia di mastro Biasi è chiusa da anni, ma è rimasta la grande bùccula (anello di ferro) attaccata al muro che serviva per legare asini, muli e cavalli quando venivano portati per essere ferrati. Nella fucina si fabbricavano anche accette, roncole e zappe di ogni genere e il piccolo vicolo era un via vai di contadini che si recavano ad acquistare gli antichi arnesi del lavoro quotidiano. Sempre sulla stessa via, più avanti c’era la stalla di massaro Mico che aveva un grande gregge e produceva formaggio e ricotte: mi pare di sentire 5 ancora l’odore pungente dell’ovile e quello genuino dei prodotti caserecci imbevuti di sapori ormai scomparsi. Vicino alla chiesa di S. Giorgio c’era il bar di Santino e Totò, attrezzato di biliardino e televisore, punto di ritrovo dei giovani del paese, attirati dalla visione delle partite di calcio e del festival di San Remo. A pochi passi sorgevano i palazzi dei benestanti del paese, con la loro chiesetta privata per distinguersi dalla gente comune. La sartoria di Domenico, “Mico” in segno d’affetto, si trovava di fronte all’entrata secondaria della chiesa. Mi soffermai a lungo davanti alla porta chiusa, ma i miei occhi riuscivano lo stesso a penetrare nell’interno e rivedere i volti dei ragazzi della mia stessa età che si recavano a imparare il mestiere e che riprendevano vita e movenze attraverso reminiscenze apparentemente sopite. La sartoria era punto di riferimento per tutti i giovani, si discuteva dei problemi umani e politici, si cresceva, si diventava grandi, si acquisivano i valori della dignità e sensibilità. La parete era tappezzata di manifesti di film e strumenti di lavoro; nel tardo pomeriggio facevano sosta alcuni musicanti che, ad orecchio, suonavano la fisarmonica, il mandolino e la chitarra, dando inizio a un vero spettacolo. La sartoria, dal punto di vista professionale, era rinomata, tanto che aveva parecchi clienti dei paesi vicini. Molti ragazzi, dopo aver imparato il mestiere sono emigrati nel nord e oggi sono dei professionisti affermati. Riprendo la mia passeggiata e incontro Luigi. Era un tipo sorridente e scherzoso Luigi; parlandomi delle baracche che erano state costruite nell’omonimo rione dopo il terremoto del 1908 e abitate dalla povera gente, si soffermava poco sulle condizioni di MAROPATI…e dintorni miseria, preferendo raccontare le sue diavolerie di ragazzo arguto che andava ad orecchiare e spiare, attraverso le vistose feritoie delle logore costruzioni, l’intimità delle ragazze. Giunto di fronte al municipio incontro Ciccio, seduto sulla gradinata di una casa, intento a gustarsi la sigaretta appena accesa. Ciccio era il figlio di un mugnaio benestante di Giffone, per questo lo chiamavano “Riccimen”. Aveva una barba lunga, indossava due cappotti, tenendoli a mani libere, sulle spalle e, dato il loro peso, faticava non poco a camminare. Quando parlava era tranquillo e sorridente, rifiutava il lavoro, non chiedeva l’elemosina per accumulare denaro, per lui aveva poco valore. Nessuno ha mai saputo il perché del suo modo di vivere o di quale delusione della vita era stato colpito. Decisi di salutare il mio amico Aurelio, persona distinta e riservata, di grande cultura, con una vasta 6 esperienza di docente di matematica e materie scientifiche in Toscana e Calabria. Pur avendo una bella età ha uno spirito giovane, la massima lucidità nell’affrontare i problemi sociali. La sua abitazione si trova in una strada stretta e in salita. Con la speranza che fosse in casa, suonai il campanello. Ad aprire la porta fu proprio lui che, nonostante non vedesse bene, mi riconobbe dalla voce e mi fece entrare, abbracciandomi commosso, come quando un padre rivede il proprio figlio. Aurelio m’invitò a seguirlo nell’avito giardino adorno di piante e canne di bambù dove iniziammo a conversare della vita familiare e degli avve nimenti politici. Con lui potevo parlare di tutto, non dà consigli, ascolta e poi dice sempre: <<Io, se fossi in te farei così…Io la penso MAROPATI…e dintorni così…>>, dandoti tanti elementi di giudizio, ma, soprattutto, facendo emergere il concetto di libertà, arricchito dall’esperienza e dai valori della vita. La giornata era trascorsa veloce e, nonostante facesse buio tardi, ritornavo presso la casa paterna a passo lento. Improvvisamente vidi Totò, l’amico della mia fanciullezza davanti alla sua casa di legno, antisismica, costruita dopo il terremoto. Ci abbracciammo con affetto, improvvisando una breve conversazione. Poi, carico d’entusiasmo, ritornai a Cinquefrondi presso la mia famiglia, felice per la fanciullezza ritrovata. Giorgio Castella CORTEI NUZIALI Maropati anni 50 Maropati anni 60 LO SAPEVATE CHE… Dopo aver distrutto e oscurato la Fondazione Seminara, adesso i nostri amministratori hanno oscurato il paese! Hanno cambiato le lampade dell’abitato, sostituendole con lampadine che riducono di almeno il 50% la luminosità delle strade del paese. jjj 7 MAROPATI…e dintorni SCINTILLE IN CONSIGLIO COMUNALE L’intervento del Gruppo di Minoranza al Consiglio Comunale del 28.2.2006 ha mandato in escandescenza il Vicesindaco Arcangelo Fiorello. Riceviamo e pubblichiamo, dal Gruppo della Minoranza consiliare, il testo dell’intervento: Il Gruppo Consiliare di Minoranza è fortemente critico verso le scelte amministrative effettuate dal Sindaco e dal Vicesindaco, votando contro il bilancio previsionale 2006. Sono stati accesi dei mutui per l’acquisto di automezzi (bob-kat, ecc.) che servirebbero per la manutenzione di strade, facendo gravare sul bilancio comunale una spesa annua dovuta oltre alla rata del mutuo, alla manutenzione dei mezzi, alle polizze assicurative, ai costi per la 626, ai costi per l’operatore, ecc., per constatare dopo 5 anni che tali macchine non sono più utilizzabili perché vecchie e usurate, mentre sarebbe stato meglio e più economico affidarsi, come nel passato, a ditte locali che sarebbero intervenute con efficienza a meno costi. È enorme la spesa per la gestione dei rifiuti solidi urbani, anche qui, oltre al mutuo da pagare per l’autocompattatore, c’è la spesa sulla 626, pagamenti sullo straordinario degli operai, polizze assicurative, manutenzioni, e inoltre spese da sostenere per cause di ingiustizia sul lavoro, di mobbing e bossing. Sono aumentate le spese legali per contenziosi vari, espropri ATERP, lavori abusivi effettuati dal Responsabile dell’Ufficio Tecnico; cittadini che, continuamente, devono fare ri- corso alla Legge per far valere i propri diritti. Ovviamente poi i conti non tornano, e come fare per compensare tali spese? Si effettuano tagli dappertutto, dalla riduzione dell’illuminazione pubblica alla riduzione di fondi nel settore dell’istruzione e cultura, nel settore dello sport e della ricreazione riducendo pesantemente di 13.000 euro tali attività, offrendo così sempre meno servizi ai giovani ed ai cittadini. Ma il fallimento di questa amministrazione si manifesta maggiormente nel campo delle opere pubbliche: 1. finanziamenti per strade provinciali persi; 2. sono trascorsi due anni e ancora non sono iniziati i lavori finanziati dall’Amministrazione precedente; 3. Nonostante i frequenti viaggi della speranza effettuati dal Sindaco e dal Vice a Catanzaro e altrove, Maropati non ha ottenuto neanche un nuovo finanziamento. Il disagio tra la popolazione è enorme, come è enorme la critica verso l’operato del Sindaco e del suo Vice. I Consiglieri di Minoranza Tale intervento ha suscitato l’ira del signor Vicesindaco, che ha offeso il Gruppo di Minoranza, al punto che l’insegnante Annunziata Sigillò, non sopportando i toni e i modi del signor Fiorello, in forma di protesta, ha abbandonato la seduta consiliare. Al gruppo di Minoranza, e in particolare alla Consigliera Sigillò, va tutta la solidarietà e la comprensione della Redazione del giornale e dei tanti cittadini. 8 MAROPATI…e dintorni FERDINANDO ALVARO Un sonettista dimenticato di Giovanni Mobilia Rovistando tra le carte ingiallite di un antico archivio privato, mi sono imbattuto, con grande stupore, in un libretto olografo di liriche, per lo più sonetti, dalla grafia raffinata e intieramente confezionato a mano, rispettando perfettamente gli schemi dell’arte legatoria. Il titolo dell’originale edizione tascabile (misura 15 x 10) di 108 pagine, con indice finale annesso, è Quel che vorrei. Autore un maropatese dimenticato: Ferdinando Alvaro. Nato a Maropati il 5 marzo 1881, da Giuseppe e Filomena Mazzitelli, fin da ragazzo coltivò, da autodidatta, l’amore per la poesia e il sapere. Le liriche raccolte sono tutte di fine Ottocento e inizio Novecento. Bisogna quindi correggere quei pochi studiosi che si sono interessati del poeta maropatese e che hanno riportato nella biografia, come certezza, che <<Ferdinando Alvaro scrive a partire dagli anni 30, tante poesie di argomento vario, ma rimaste inedite>> 1 . La difficoltà economica che non gli consentì di studiare (frequentò solo fino alla terza elementare) e pubblicare i suoi scritti, lo stimolò a ingegnarsi diversamente, facendosi conoscere, almeno localmente, attraverso la confezione e distribuzione di alcuni di questi opuscoletti che, probabilmente, venivano passati di mano in mano. L’unica pubblicazione editoriale dell’Alvaro porta la data 1954 e il titolo accattivante di Sonetti Proverbiali. Il poeta contava allora 73 anni. Si tratta di una raccolta di 100 sonetti, un gioiellino, nei quali l’Autore, come scrive Ernesto Puzzanghera nella Prefazione, ci offre <<un lavoro di arte e di umana e saggia poesia, dal tono bonario e paterno>>. 1 I. Lo Schiavo-A. Orso-U. Verzì Borgese, Poeti e scrittori, Vol. I Calabria Letteraria Editrice, p. 300. Quattro anni dopo la pubblicazione, il 24 agosto del 1959, all’età di 78 anni, Ferdinando Alvaro muore. La prima poesia del manoscritto rinvenuto (Quel che vorrei), che dà il titolo a tutto il volumetto, è datata, insieme a qualche altra, 1898. La raccolta è composta, nella parte iniziale, da versi d’amore “angelicato”, come si addice alla penna ispirata di un adolescente innamorato di fine Ottocento, romantico, sensibile e riservato, tanto da non svela re il nome dell’amata alla quale indirizza i suoi versi infuocati con il semplice titolo di A chi so io, A Lei, Alla stessa oppure “Quando”: Quando dal labbro tuo, fanciulla mia, Un detto amico udir mi sarà dato? Quando diventerai cotanto pia, Da sorridere a me, tuo innamorato? Quando le mani tue stringer mi sia Possibile e baciar, mio bene amato? Quando il mio cor, che tanto ciò desia, Il tuo sarà strettamente legato? Come ben sai, da lungo pezzo anelo Che tu, mio solo amor, voglia riamarmi; Ma è stato il core tuo finor di gelo. Non vo’ creder però che vuoi trattarmi Sempre così; ma, dillo, Angel del Cielo, Quand’è che tu vorrai felice farmi? E al sì della fanciulla amata, il poeta esplode in canti di ringraziamento, coinvolgendo la natura circostante e, perfino, la fiumara che da millenni scorre alle porte dell’abitato: 9 Ad Eja Eja, bel fiume del paese mio, Davvero t’amo d’infinito amore, Perché la donna mia, quel vago fiore, Era co’ piè ne l’acque tue, quand’io Vidi la prima volta farsi pio Suo cor, che innanzi crudel sprezzatore S’era di me mostrato in tutte l’ore. Sì, t’amo immensamente, o dolce rio! Credo che allora tu, pietà sentendo Di me, ch’oltremisura era dolente, La consigliasti a sentir mio chiamo. Grazie infinite pertanto ti rendo; E finché parlar posso, eternamente Ripetere ti voglio: Io t’amo, io t’amo. È del 2 agosto 1900 l’ode “In morte di sua maestà Umberto I°, re di questa sconsolata Italia, Grande per fulgidissime virtù pubbliche e private, ucciso proditoriamente da un codardo, sera del 29 luglio 1900”. Spiccano qua e là sonetti in cui vengono rievocati luoghi e contrade del paese: Ciccarella, il Bosco di Mòrvani, ecc. Interessante è la lirica Al molto reverendo signor Francesco Guerrisi del cav. Antonio, quando venne consacrato Sacerdote, datata 22 dicembre 1901, in cui augura al novello presbitero lunga e felice vita nonché fedeltà verso Cristo che l’ha scelto per suo ministro: Che Iddio ti dia lunga e felice vita; Che tu possa per sempre dimostrarti Di Lui servo fedele, e che, finita Tua stanza in terra, debba Egli mandarti Dove più splende sua gloria infinita. Purtroppo, vano fu l’augurio del Poeta al neo Sacerdote che, come raccontano le cronache del tempo, invaghitosi di una donna del luogo, Carmeluzza, soprannominata poi “La Prèvita”, a lei si unì e per lei fu spretato. Non mancano accenti penosi per la morte di persone care e familiari, dal nonno alla sorella, morta la sera del 9 ottobre 1902, versi MAROPATI…e dintorni strazianti, ma imbevuti di una fede profonda e incrollabile: Tu però sei contenta, perché Dio Nell’Almo regno suo ti riportò, Dond’eri scesa in questo mondo rio Per volere di Lui che tutto può. Porta la data 22 giugno 1903 un sonetto intitolato Autoritratto in cui il poeta ci dà una descrizione particolareggiata del suo aspetto fisico giovanile: Io tengo un crine liscio e castagnino; Occhi un po’ grandi e di simil colore; Fronte bassa, ma pur non da cretino; Pallido alquanto il volto in tutte l’ore. Magro son io, ed ho naso aquilino; Del regolar mia bocca non va fuore; Il mento imberbe e sporgente un pochino; Pochi peli sul labbro superiore. Ho un core che ama più che amar si suole, Ch’odia e disprezza pure oltre ogni dire, Che in sé albergare slealtà non suole. Amico son della malinconia; Divoto son di Cirra al biondo Sire; Amante vero della Patria mia. Ecco, mi fermo qui, ho aggiunto – spero – un altro piccolo tassello a quel puzzle poliedrico di cui è fatta la storia di uomini e cose. Ognuno di noi è tenuto a portare il suo pezzetto di storia e incastrarlo con gli altri. Solo così potremmo far rivivere pagine stupende del passato i cui protagonisti sono sempre sognatori e poeti, eroi e paladini. 10 CARMELO OCELLO: UNA BANDIERA DEL SOCIALISMO GALATRESE Ero tutto intento a trovare degli appunti nelle mie carte, siamo quasi in campagna elettorale ed io sono molto impegnato nel Nuovo PSI, quando mi è capitato tra le mani un vecchio foglio ingiallito con delle rime scritte. L’ho subito riconosciuto, era una poesia, forse la più bella del poeta e scrittore Carmelo Ocello, primo Segretario della Sezione PSI di Galatro che cantava la sua amata terra natia: Tutto s’infiora dal cielo alla terra Tutto s’infiora di mille splendori La terra più ricca di mille tesori. Parole dolci, parole di vero amore di un socialista verso la sua terra. Ed ho subito ricordato il suo animo dolce, il suo animo buono che ho conosciuto attraverso i suoi scritti ed attraverso i ricordi che di Lui avevano e raccontavano quelli che lo avevano conosciuto a fondo. Lo ricordiamo come l’Emilio Lussu della Calabria per l’analogia di un episodio del suo libro “Rovine di guerra” con quello del grande scrittore socialista sardo nel quale MAROPATI…e dintorni mette a nudo la sua vera indole di calabrese e di socialista. Sono ormai ottantuno anni che Carme lo Ocello se n’è andato e molti uomini della sinistra galatrese non lo ricordano più perché non leggono i suoi scritti e non mettono a frutto, come Amministratori od aspiranti tali, la sua esperienza e la sua sapienza, non esaltano Galatro come “la terra più ricca di mille tesori”, non fanno nulla per farla ritornare tale, dimenticando i grandi valori socialisti di libertà, solidarietà e sete di giustizia sociale. Ora tutto è abbandonato, non esistono valori e non esistono idealità, la cultura socialista è stata quasi completamente distrutta e per la terra dei mille tesori ormai da tempo “si scurau lu jornu”. Carmelo Ocello lasciò questa terra il 1° gennaio del 1925, la sua bara è stata ricoperta con la bandiera socialista, oggi cimelio presente nella sezione del Nuovo PSI, e la banda che lo ha accompagnato al cimitero ha suonato la marcia “Gigli e fiori” perché, a regime fascista consolidato, non ha potuto suonare l’Inno dei lavoratori. Egli per tutti i socialisti galatresi e calabresi dovrebbe essere un esempio e le sue azioni un preciso punto di riferimento. Nicola Franzè LA DISTRUZIONE DELLA FONDAZIONE SEMINARA La volontà dei duo Vicesindaco-Sindaco, all’ombra del teorema: “Muoia Sansone con tutti i Filistei”, di eliminare la Fondazione Fortunato Seminara dalla scena culturale regionale e nazionale ha avuto successo. Tra dimissionati e revocati, 19 professionisti sono stati eliminati perché volevano fare cultura e non la guerra al dott. Gallizzi (un primato negativo in tutta l’Italia). Ipocrita giustificazione degli Amministratori: abbiamo applicato la legge sull’incompatibilità tra parenti! Bene: io potevo essere parente del Sindaco…e che “parente”! Ma gli altri 18, come si giustificano? Per quanto ci riguarda, i due membri revocati dalla Provincia nel periodo iniziale della mia presidenza (due validi professionisti che avevano deciso di non partecipare più alle riunioni del Consiglio d’Amministrazione ed in effetti erano assenti dagli incontri da più di sei mesi, perché influenzati dall’ipotetico e inesistente “Circolo S. Pertini”) potevano essere riconfermati, anche 11 MAROPATI…e dintorni perché, per uno dei due, stavo costruendo la piattaforma (ed era noto a tutti) come futuro Presidente della Fondazione. La risposta fu negativa: non intendevano partecipare alle riunioni. La totale incapacità gestionale dell’attuale dirigenza della Fondazione ha completato il quadro negativo: nessuna funzione culturale nazionale o regionale: il fallimento per mancanza di uditorio della tre giorni culturale del dicembre 2005. Infine la perdita totale dei finanziamenti (non sono stati chiesti, cioè non è stata fatta domanda) del Ministero per i Beni Culturali, dell’Amministrazione Provinciale, della Banca Antonveneta il cui rappresentante era stato revocato con atto irresponsabile ed arbitrario della Presidente. Neanche il Comune di Maropati ha dato il suo contributo! L’ultimo gesto infame, senza nessun motivo o giustificazione, la revoca (la terza) del sottoscritto ad un mese dalla scadenza naturale. Noi ormai non ci interessiamo più della Fondazione Seminara perché distrutta dai Caini, ma ci riserviamo il diritto-dovere, appena ritorneremo alla guida del paese (perché questo è certo: ritorneremo!) di ricominciare da zero per ricostruire le prospettive luminose della Fondazione: la cultura è la pietra miliare attorno a cui cresce un paese. Vincenzo Gallizzi GENERAZIONE DEL NUOVO MILLENNIO di Antonio Papasidero La società odierna sta subendo continui cambiamenti in tutti i settori, i giovani e gli anziani sono le categorie che più risentono di questi mutamenti. A livello sociale, la quasi maggioranza dei giovani del nuovo millennio sta subendo un processo di standardizzazione e omologazione. Fortunatamente, almeno una parte di giovani va ancora contro corrente, discostandosi dalla massa, segnale sicuro di una via positiva. Gli adolescenti dovrebbero impegnarsi sempre e molto di più nella scuola, la quale, grazie all’aiuto dei professori, accresce il bagaglio culturale e sociale. L’istruzione è l’energia che, attraverso l’insegnamento metodico, mira a dare una formazione umana e culturale. Dal punto di vista didattico si studiano molti autori apparentemente lontani dalla cultura del presente: da Boccaccio, Petrarca e Dante a Manzoni, Leopardi e Foscolo e tanti altri. Le opere sono i Poemi Omerici, La Divina Commedia, I Promessi Sposi, A Zacinto, I Sepolcri, tragedie come L‘Adelchi, Ermengarda… L’attualità della formazione “scolastica” sta nel fatto che gli allievi, stando a contatto tra loro, imparano a confrontarsi, socializzare e adottare i buoni comportamenti del vivere assieme. La ricerca di nuove esperienze, nuove emozioni, a volte risulta utile perché aiuta a scoprire il proprio essere, la propria personalità, aumentando il livello di autostima; altre volte, però, si cade nella ricerca di ideali fugaci e passeggeri. L’uso tecnologico di alcuni strumenti fa decrescere la fantasia dei giovani, condizionandoli persino sullo stile di vita. Spesso nelle varie scuole si fanno dei dibattiti su temi di attualità. Dopo i fatti dell’undici settembre, si va verso nuove tematiche di discussioni, occorre recuperare lo storico ritardo in termine di conoscenza della cultura mussulmana; è doverosa e urgente una rinnovata presa di coscienza, occorre guardare anche ad altre realtà diverse dalla nostra, come la satira dei vignettisti danesi che hanno fatto delle caricature su Maometto, suscitando le ire (incendi alle varie ambasciate) e l’indignazione dei popoli islamici. Poi il cronico conflitto israelo-palestinese, la guerra in Iraq con le tensioni mediorientali che ormai tutti conosciamo. Ringrazio tutti i collaboratori che hanno creato questo giornale concedendomi di esporre alcune tematiche giovanili riguardo la scuola. Un plauso al giovane Papasidero; speriamo che venga seguito da altri studenti. I giovani si devono porre al centro dell’attenzione e della simpatia del paese. 12 MAROPATI…e dintorni Le favole di Pedro Dall’Inganno alla Beffa Nelle fredde notti invernali, davanti al focolare, i nostri nonni raccontano che in un paese della Calabria, tanto tempo fa, un cittadino onesto e conosciuto per la rettitudine e la diligenza di comportamento, nel realizzare, con i propri sacrifici, un fabbricato per la molitura delle olive, si affidò a un Geometra del luogo, affinché progettasse ed eseguisse i lavori del proprio capannone a regola d’arte e secondo le allora vigenti disposizioni di Legge. Tale professionista eseguì l’opera prontamente, senza curarsi, però, d’informare il committente che mancava la necessaria e indispensabile concessione edilizia. Il povero frantoiano, convinto che tutto era stato eseguito regolarmente, liquidò, pagando generosamente, lo scaltro Geometra. Passano tanti anni e un giorno, improvvisamente, il professionista diventa Sindaco. Si ricorda allora del povero frantoiano e, per farsi beffa di lui, tramite il suo Vice, gli fa pervenire un ordine di demolizione sul quel capannone, denunciandolo, inoltre, penalmente, perché non è in possesso della concessione edilizia! “Giustizia fatta!!!”, disse tra sé e sé l’integerrimo Sindaco… Ma, l’abile Amministratore, nel fare giustizia, omise, però, di denunciare alla Procura della Repubblica il Geometra Direttore dei lavori, cioè lui medesimo, colpevole di aver eseguito la costruzione senza la concessione edilizia e di aver ingannato il povero frantoiano. Ben presto l’episodio fece il giro di tutti i paesi, suscitando lo stupore prima e l’ilarità poi… Alle richieste di paesani sbalorditi di cotanto ardire, sulla spiegazione dell’omessa denuncia del Direttore dei lavori da parte del Sindaco, il Primo Cittadino, dichiarò candidamente: “Non ci sono atti al Comune in cui risulta che il Geometra, me medesimo, abbia svolto la direzione dei lavori del frantoio”… Ma… il diavolo fa le pentole e non i coperchi! Esiste, infatti, un atto al Comune, con tanto di protocollo, in cui lo scaltro Geometra dichiara di accettare la direzione dei lavori del frantoio, con firma in calce. MORALE DELLA FAVOLA: Lu menzognaru avi d’aviri bona memoria! Pedro 13 MAROPATI…e dintorni L’ANGOLO DEI POETI GIUSEPPE SIGILLÒ BELLA GINESTRA Bella ginestra dai bei fiori ornata Il cielo s’allegrò quando sei nata perché non hai bisogno di coltura per rendere la selva profumata. Si guarda all’azalea e alla rosa e tu pur tra gli sterpi sei pomposa; in tempi di carestia sei stata amata e ti raccolse pria il contadinello per far sul focolare la fiammata quando la neve facea mulinello; e ti raccolse pur la lavandara quando ti fè bollir nella caldaia per trar da te la stoppa alla fiumara. Nei tempi tristi tu non fosti amara, pur se la stoffa tua era pungente vestisti per tant’anni l’umil gente. Adesso te ne stai dimenticata penando tra le spine nella boscaglia; ma non ti lacrimar bella ginestra se l’uomo alla tua vista più non fa festa, all’uopo tu sei stata generosa ma tanto, tanto, tanto e questo basta. Giuseppe Sigillò Il prof. Giuseppe Sigillò è nato a Maropati (RC) il 12 marzo 1938 ed ivi risiede in Via Montebello, 66. Ha conseguito il Diploma di Abilitazione Magistrale presso l’Istituto Magistrale di Palmi (RC) e la Laurea in Lettere presso l’Università di Messina. È stato ammesso nel ruolo ordinario, a seguito di Concorso Magistrale, ed ha prestato servizio quale insegnante elementare nel Circolo Didattico di Giffone (RC). Ottenuto il passaggio alla Scuola Media, ha insegnato Lettere presso la Scuola Media di Taurianova (RC). Attualmente in pensione, vive nella frazione di Tritanti ed è autore delle seguenti opere: Raccolta di Poesie pubblicate nel 1970 presso la Casa Editrice “Gabrieli” di Roma; Pubblicazione di un brano di letteratura nel “Centone n. 2” di Bologna. Pubblicazione di una raccolta di poesie presso la Casa Editrice “Albatros” di Roma. Nel 1979 l’Accademia “Hera Lacinia” di Catanzaro gli ha conferito il primo premio “Ulivo d’Argento 1979” per aver saputo richiamare l’attenzione sulla ricostruzione dei valori spirituali mediante la creazione di opere di ampio respiro e di notevole validità artistico-letteraria. Recentemente è stato incluso tra gli scrittori italiani del II° dopoguerra nell’Antologia “La Poesia Contemporanea” dell’Editore Guido Miano – Milano. Cesare Mulè nella presentazione della raccolta di Poesie “Voci Vere” (Edizioni Meridionali – Catanzaro, 1989) di Giuseppe Sigillò, ha scritto: <<…In Sigillò Giuseppe la pedagogia della vita si fa poesia attenta alla celebrazione della fenomenologia e insieme al recupero delle cose portate via nel fluire del tempo. Questo è il “quadrante” in cui si colloca in coerenza con il toponimo del suo luogo natale già illustrato dal disperato e amaro levarsi della voce di Fortunato Seminara>>. 14 MAROPATI…e dintorni IN MORTE DI ANTONIO FURFARO di Andrea Frezza Nicoletta Il diaframma oscuro ed osceno, or assai tetro e impenetrabile ci appare, dismagando, repentino l’orrido atroce lenzuolo nero, funereo, irrimediabile, ineluttabile che soverchia e sovrasta le mortali, caduche, spoglie umane sublimate nella cortina eterna del ridivenire resurrezionale cristiano. Il diaframma fluviale che separa e divide, incessantemente il mondo fallace e provvido dei vivi da quello improvvido dei morti inferi, invalicabile, altissimo e insormontabile della morte iniqua e brutale. Improba e vile, che relega e riduce crudelmente l’uomo all’atona, diafana, neutra Non- materia. La disfatta! Pria mirabilmente fatta, or barbaramente disfatta. La disfatta dell’uomo, ed è il tragico inabissarsi subitaneo agli inferi delle anime estinte e redente, così, in un fiat infausto e tragico, dall’uomo al nihil! Disumana, empia, ferina e dissennata la vile esecranda azione che ti disfece e ti rese dis- umano, immemore, vacuo e orbato di vita rigogliosa ora dissolta, frantumata, e infranta dalla cruda spietatezza infernale del fato pagano e ingrato che armare volle la spietata e truce mano affine, e ancor decretò senza diritto di appello alcuno di recidere il sacro filo dell’esistenza. E or, povera cara, vana, nuda materia sì parimenti aurea e cara a chi ti conobbe e amò, simulacro di chi fu e or non è più! L’opera diabolica di chi vilmente inferse i reiterati colpi trucidatori, aprì la cortina eterna che cela il palcoscenico ove recita, e s’adopra l’angelo nero provvisto di falce mietitrice, ed ebbe sicuro successo la morte alfine!! Il perimento della vil materia, del corpo matereale, della martoriata carne fu il tuo scarno successo. Ma la vita eterna sarà concessa allo spirito, che ti animò vivido e fulgente, vivificato ora dall’alito benigno e imperituro del ricordo incessante e forte di chi t’ebbe caro. QUESTO GIORNALE È ANCHE TUO. Storia, Cultura, Politica, Arte… COLLABORA CON NOI SU MAROPATI…e Dintorni Redazione Sezione Nuovo PSI Via Portici -89020 MAROPATI (RC) Tel. 347-6475737 E-mail [email protected] Stampato in proprio Maropati (cartolina anni 40) Corso Umberto 15 MAROPATI…e dintorni SPETTEGULESS Si dice che…. Nel Programma Elettorale della Lista “Unità e Democrazia”, i nostri lungimiranti Amministratori avevano promesso: <<Il nostro intento sarà quello di avvalersi delle Professionalità del luogo per la realizzazione di opere Pubbliche... >>. Invece… andando a spulciare le prime delibere, scopriamo che la nuova Giunta ha affidato dei lavori a Tecnici non del paese ma a forestieri, molto vicini allo studio tecnico del “Rappresentante” di questa Maggioranza. Si dice che… nel laboratorio di questo tecnico lavora anche il figlio del “Rappresentante”! Se le cose stanno così, sia mo arrivati al paradosso: qui si ingozzano solo: “Cola, fra’ Cola e lu Prijuri”! *** <<Miglioramento e Completamento della Pubblica illuminazione>>. E invece… dopo quasi due anni di amministrazione hanno cominciato a eliminare le luci già esistenti, sostituendole con altre a bassa illuminazione. Avevano iniziato partendo dalla Provinciale, però, dopo due giorni, hanno rimesso quelle di prima per paura di una sollevazione popolare in loco. Poi le stesse lampadine hanno trovato posto sul Corso Umberto e in Via Indipendenza. Speriamo che il nostro Don Chisciotte senza macchia e senza paura cambi idea, perché altrimenti dovrà ingegnarsi a come riempire la sua “Lumera” di olio e illuminare tutto il Paese a lui enormemente devoto. *** Hanno chiamato la loro lista Unità e Democrazia: <<Unità come Unità nelle scelte prerogative e Democrazia, perché a Maropati ci sia Democrazia per amministrare la cosa pubblica…>>. E invece… durante una seduta del Consiglio Comunale, nella quale si doveva eleggere la Commissione Elettorale, alcuni Consiglieri al momento di votare si sono voltati nella direzione del Vicesindaco e quest’ultimo, girando il proprio foglio, ha fatto “copiare” la sua votazione. Tutto il resto è LIBERTÀ. *** << Saranno privilegiate e promosse, ove è possibile, tutte quelle forme di assistenza domiciliare che consentiranno al cittadino la permanenza nel proprio Habitat, realizzando accordi di programma con l’Azienda Sanitaria e con tutte le Istituzioni preposte…>>. E invece… si vede che non è stato possibile, perché i nostri anziani, se non hanno da parte qualche euro per pagarsi una badante extracomunitaria, sono destinati all’ospizio (sempre se trovano posto). *** <<Realizzazione di una rete per la raccolta e lo smaltimento delle acque Bianche in Maropati Centro e Frazione Tritanti…>. E invece…alcuni pozzetti per il riflusso delle acque piovane sono stati sostituiti con il comune cemento, vedasi a Maropati in Via Roma e Via G. D’Annunzio. 16 MAROPATI…e dintorni <<Sistemazione ed ammodernamento strade interne e Centri Abitati…>. E invece… questa sistemazione è stata sostituita con la classica e banale “Ripezzatina” che durerà pochissimo e andrà via con le prime piogge. Vedasi ultimo intervento sulle strade Comunali. *** <<Costruire nel medio termine una vasca di accumulo di acqua a monte della vallata dell’Eja per irrigare tutti i terreni fino ad arrivare alla c/da Mastrologo…>. E invece… i nostri contadini nel periodo estivo si devono arrangiare per irrigare i propri agrumeti, non sapendo che questa Amministrazione Comunale è d’accordo con una Cooperativa privata denominata “San Michele” intenzionata a costruire una Centrale idroelettrica nel Comune di Galatro e che le acque dell’Eja e del Pòtamo saranno presto deviate in altro Comune. *** <<Revisione del Programma di Fabbricazione…>. E invece… a due anni del mandato amministrativo tutto questo è finito nel dimenticatoio, alla faccia della coerenza! *** <<Ampliamento e miglioramento dei Cimiteri>>. E invece… le liste di attesa e le richiesta per l’acquisto di suolo cimiteriale sono ancora tutte sul tavolo dell’ufficio Tecnico, perché? *** MORALE DELLA…REALTA’ Caro signor Sindaco, Geom. Eugenio Gallizzi, perché non va a rileggersi il Programma da Lei controfirmato in calce? In tutta onestà dovrà riconoscere che, alla luce dei fatti, l’operato della sua Amministrazione ha tradito sia il Progetto sia il mandato espresso dal popolo che è e rimane il supremo giudice di questo paese, al di là di cosa possa dire qualsiasi Don Chisciotte di turno. Per i motivi sopra espressi (fallimento totale di tutti gli impegni programmatici), è bene che rifletta su quanto sopra esposto e sulla realtà attuale di Maropati. La invito, quindi, conoscendoLa come persona che si guadagna il pane lavorando, a rassegnare le dimissioni dalla carica di Sindaco di questo paese, anche perché, diciamocelo chiaro: chi è il vero Sindaco di questo paese? Domenico Scarfò LO SAPEVATE CHE… Le imprese, gli Artigiani e i Commercianti di Maropati non vengono tutelati da questi Amministratori che preferiscono i forestieri e gli Ambulanti che non pagano le tasse. Perché? jjj 17 MAROPATI…e dintorni MAROPATI I FATTI TRAGICI DEL 6 GENNAIO 1923 di Vincenzo Gallizzi PREMESSA È bene precisare subito: stiamo rievocando l’eccidio del 6 gennaio 1923 non per rinvangare separazioni e odi di quell’epoca e, soprattutto, non per rinfocolare fatti di sangue e da questo o per questo stimolare risentimenti tra famiglie e discendenze di quelle famiglie e spingere allo scontro tra partiti o fazioni diverse e opposte. La nostra funzione è nobile: quei fatti delittuosi appartengono al passato, frutto di un irrazionale odio politico, e vengono relegati al 1923, al tempo in cui la lotta politica era cruenta e, facilmente, ci si faceva prendere la mano da istinti tribali. Si usciva dalla prima guerra mondiale che molti lutti aveva portato nelle case dei Maropatesi e Tritantesi. Da qualche anno si era fuori dalla terribile pandemia “La Spagnola”, che aveva portato uno o due morti per ogni famiglia, e la ripresa alla vita dopo due grandi disastri portava le stimmate di un tragico fatalismo. La nostra funzione oggi è quella di rievocare, di ricordare i fatti storici che appartengono alla nostra memoria e al nostro passato. I fatti sono successi e noi abbiamo il diritto e il dovere di tramandare ai posteri una testimonianza indistruttibile su quegli eventi costati la vita a due compagni socialisti: Vincenzo Cordiano e Vincenzo Cavallaro. Questa riflessione deve servire oggi ai giovani per indurli a usare metodi democratici per far valere le proprie tesi e mai le armi, perchè la vita è sacra e deve essere difesa sempre, sia la nostra che quella degli avversari. La divisione tra famiglie o gruppi di famiglie era uno stato di fatto che si tramandava da generazioni e che esplodeva in modo esagitato e clamoroso ad ogni consultazione amministrativa o politica. I Socialisti avevano costituito una Lega contadina collegata con una cooperativa di consumo che forniva anche generi alimentari con sconto per gli iscritti ed avevano come punto di riferimento l’on. Francesco Arcà, il primo deputato socialista calabrese, nativo di Anoia e poi trasferitosi a Roma. La cooperativa e la Lega contadina erano diretti 18 da Raffaele Francone e Stefano Carbone. A Maropati i socialisti erano patrocinati dalle famiglie Cordiano Vincenzo e Cordiano Raffaele (quest’ultimo è stato Sindaco dal 1922 e per tutto il ’23); dalla famiglia Cavallaro: i fratelli Paolo e Vincenzo ; da Angelo Franzè nella cui bottega di sarto spesso si riunivano i compagni e dal Carbone, nella cui baracca, all’inizio del paese, adibita a laboratorio di fotografia, avvenivano vere e proprie riunioni politiche, essendo Stefano Carbone attivo socialista e molto audace, coraggioso e irrequieto dirigente del Partito Socialista locale. Dall’altra parte le famiglie che venivano dal Partito Liberale, che aveva avuto in passato l’on. Alessi di Cittanova come referente e che si schierarono subito con il Fascismo sin dalla fondazione (1922). La parte fascista era rappresentata dalla famiglia Gatto, dalla famiglia Nicoletta e da parte della famiglia Cavallari. ANTEFATTI Un giorno, durante il 1887 o giù di lì, Raffaele Vincenzo Cavallaro zio di uno dei protagonisti, abitante sull’ex strada S. Lucia Superiore, oggi Corso Umberto I°, nella casa adiacente la Chiesa di S. Lucia, per motivi che non sappiamo, ferì al braccio, con un colpo di rivoltella, l’avv. Nicolet- ta, in contrada “Fontanelle” (oggi Condello Fontanelle) che, in compagnia di Achille Cordiano, si stava recando alla “macchina olearia” (Frantoio) in località “Frevaru”. Il fratello di Vincenzo, Giuseppe, condannò fortemente il gesto, mentre la sorella Annunziata, per proteggerlo, convocò a casa sua, sulla Via Risorgimento, la sorella del latitante Giuseppe Pronestì, soprannominato “Il Sonnino”, promettendole una somma di danaro (circa 200 lire) se suo fratello si accollava il ferimento del Nicoletta. Passarono tanti anni e, durante la vendemmia, nella salita della strada che porta in Contrada Pescàno, si verificò uno scontro tra le famiglie Francone (schierate con il Partito Socialista) e Umberto Gatto (personaggio dichiaratamente fascista). Nel diverbio tra i Francone e il Gatto furono distrutti i barili di mosto che erano stati caricati sugli asini. Un altro giorno, nell’Ufficio Postale, diretto da Michele Cordiano, Raffaele Francone, amico dell’Ufficiale di Posta, guardando il ritratto del Re appeso alla parete, per dimostrare coraggio e disprezzo verso la Monarchia, davanti a molte persone in fila che aspettavano il loro turno, diede uno sputo al quadro. Tra le persone che facevano la fila vi erano Attilio Zagarella, messo esattoriale, dipendente dall’esattore MAROPATI…e dintorni Vittorio Cavallari, e Umberto Gatto, rivale come abbiamo detto del Francone. Subito si scatenò una violenta discussione. L’Ufficiale Postale mando via tutti e chiuse la Posta. Fuori si verificò una rissa: Raffaele Francone assieme a suo fratello Antonio (Maresciallo dei Carabinieri) aggredirono Umberto Gatto ed Eugenio Cavallari, studente universitario che si trovava là per caso. Eugenio Cavallari, figlio di Fortunato, appartenente alla famiglia Cavallari soprannominati “I barbuti”, era anche cugino dei Nicoletta. Insomma, c’erano dissapori vecchi, alimentati continuamente da nuovi, tra le famiglie Cavallaro-Cordiano da una parte e Cavallari-Nicoletta-Gatto dall’altra. IL FATTO Il 6 gennaio 1923, giorno dell’Epifania, don Peppino Francone, Cavaliere della Corona d’Italia, per l’antica consuetudine di “Battezzare” in tale data il Bambinello, essendo lui medesimo Padrino della tradizionale e curiosa cerimonia, fece venire il complesso bandistico di Polistena per suonare nel pomeriggio, durante la festa. Finiti i festeggiamenti, mentre la banda si avviava suonando all’uscita del paese per tornare a Polistena, si unirono al corteo, davanti alla chiesa di San Giorgio, Umberto Gatto, Francesco Nicoletta e 19 Guglielmo Cavallari (appartenenti al Partito Nazionale Fascista) e Vincenzo Cordiano, Vincenzo Cavallaro, Angelo Franzè e Raffaele Francone (appartenenti al Partito Socialista). Mentre l’orchestra intonava “Il Piave” , Gatto e Cavallari chiesero al Maestro di suonare “Giovinezza”. Questi si scusò dicendo che non erano preparati a suonare questo pezzo. Si racconta che, quando la banda passò davanti alla casa di Stefano Carbone (ex baracca), maestro di fotografia e uomo di cultura, alcuni fascisti lanciarono parole di scherno e di offesa verso la famiglia Carbone. Il professore Carbone non era maropatese di nascita: egli proveniva da Rizziconi e aveva sposato una donna del luogo. Quando il gruppo bandistico arrivò sulla provinciale, Guglielmo Cavallari, che era in testa al corteo, alzò il braccio per fermare la banda. Non sappiamo se il Cavallari fermò la Banda perché stava per iniziare a suonare “Bandiera Rossa” come pezzo richiesto dai Socialisti. Fatto sta che a questo punto Raffaele Francone, che aveva in mano un bastone, diede un colpo a Guglielmo Cavallari. Questi cercò d’estrarre una pistola, ma i due cugini, Vincenzo Cavallaro e Vincenzo Cordiano lo disarmarono prontamente. Vicino al Cavallari c’era Francesco Nicoletta. Ci fu una colluttazione generale e Umberto Gatto sparò alle spalle Vincenzo Cordiano e Vincenzo Cavallaro. I due cugini caddero a terra in una pozza di sangue. Paolo Cavallaro, fratello di Vincenzo, che era presente e armato, cominciò a sparare contro il Nicoletta e riuscì a ferirlo. Ci fu una confusione generale, i suonatori abbandonarono gli strumenti e scapparono. Vincenzo Cordiano veniva portato morente a casa su una sedia, mentre Vincenzo Cavallaro veniva medicato e alloggiato nella casa del prof. Stefano Carbone. Si dice che il Maresciallo dei Carabinieri fu poco solerte nel prevenire la situazione e nel condurre le indagini. Furono arrestati Guglielmo Cavallari, Umberto Gatto, Raffaele Francone, Stefano Carbone, Angelo Franzè e altri testimoni. In un primo momento si divulgò la notizia che l’intervento di sutura sulle ferite di Vincenzo Cavallaro era riuscito. MAROPATI…e dintorni Il giorno dei funerali del cugino, però, diede alcuni pugni sul comodino in segno di dolore e di affetto. Nessuno si accorse che si erano rotti i punti di sutura e l’anziana madre, signora Napoli (cugina del sen. Romano) quando si rese conto che il figlio sanguinava cercò di chiamare il medico. Ma era troppo tardi. Poco dopo, nella casa del prof. Stefano Carbone, decedeva anche Vincenzo Cavallaro. II processo si iniziò in pieno regime fascista e ne subì il clima intimidatorio, tanto che, malgrado l’energica arringa dell’avvo cato Gaetano Sardiello, si concluse con l’assoluzione degli imputati e anzi, per qualcuno di loro, si dovette sopportare l’encomio da parte delle autorità fasciste. Ma la cosa più umiliante fu messa in opera dai magistrati di Palmi che fecero arrestare i testimoni veritieri che erano presenti al fatto di sangue, tra cui Angelo Franzè. La stessa sorte toccò al processo nei vari gradi di giudizio. Dopo la Liberazione e la caduta del Fascismo, in sede di revisione del processo, grazie all’avv. Sardiello e al senatore Enrico Molè, la verità fu consacrata e i colpevoli furono finalmente condannati. AVVISO AI LETTORI Se avete un elaborato e desiderate che venga pubblicato nel giornale, contattate il 347-6475737 o inviatelo a [email protected] 20 MAROPATI…e dintorni COMMEMORATA A POLISTENA SABATO 18 FEBBRAIO LA NOBILE FIGURA DEL PROF. FRANCESCO IERACE Francesco Ierace nasce a Polistena il 17 settembre del 1919. Laureato in lettere. Insegnante nelle scuole elementari, nelle scuole di avviamento professionale, nelle scuole medie. Socialista, fu per molti anni protagonista della scena politica del proprio comune. Rivestì, in particolare, la carica di sindaco nel 1952-1956, alla testa di una coalizione socialcomunista. Le defezioni, anche clamorose, all’interno del suo partito non gli impedirono di completare il suo mandato. Nonostante le notevoli difficoltà economico- finanziarie e la netta ostilità della Prefettura di Reggio Calabria, riuscì a realizzare ed avviare importanti opere pubbliche (sistemazione delle strade interne, completamento delle fognature, l’acquisto del primo automezzo per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti urbani, la costruzione del mercato coperto ecc.) che conferirono al paese, povero e fiaccato dalla recente guerra e dalle ristrettezze economiche che ne seguirono, un’immagine meno rurale e più moderna. È ancora designato a diventare sindaco della cittadina nel 1965, a capo di un’amministrazione di sinistra (PCI, PSI, PSIUP), allorquando, in circostanze inquietanti e mai del tutto chiarite, un consigliere del P.C.I. si rese irreperibile per un lungo periodo, facendo mancare il proprio voto e vanificando la possibilità di formare la costituenda maggioranza. Rimase sempre fedele agli ideali socialisti. Molto stimato dalla Federazione, fu nominato Commissario in diverse sezioni e apprezzato per la sua capacità di mediatore e abile ricompositore di contrasti. La sua lealtà per la Patria la dimostrò quando fu fatto prigioniero dai Tedeschi a Rodi e poi nei campi di prigionia in Polonia e Germania. Rifiutò i benefici che gli potevano derivare se avesse scelto di giurare fedeltà ai Repubblichini e ai Nazisti e optò per la Monarchia contro i Tedeschi, pur sapendo delle sevizie e delle sofferenze che l’attendevano. In quel campo di concentramento c’erano 2000 prigionieri, ma solo 145 rifiutarono di giurare fedeltà ai Tedeschi e Repubblichini. Oltre al sottotenente Ierace, c’erano il sottotenente Bartolomeo Daniele, pure di Polistena, il tenente Domenico Oliva di S. Giorgio Morgeto, il Capitano Virgilio Carmignani, il capitano Lorenzo Serena e il capitano Costantino Belluscio. Furono chiamati “gli eroi di Biala Podlaska”, tutti resistenti al fascismo e al Nazismo. LO SAPEVATE CHE… Partono a raffica, nel Comune di Maropati, le ordinanze di sgombero per le costruzioni di case abitate da almeno 20 anni ed edificate da tantissimo tempo. Con un po’ di buon senso e di mediazione da parte degli Amministratori queste situazioni si potevano sanare, evitando tante sofferenze alla povera gente. jjj 21 MAROPATI…e dintorni OMOLOGAZIONE E GLOBALIZZAZIONE NEI PAESI DEL SUD D’ITALIA di Vincenzo Fusco Nel lontano 1974, in un articolo pubblicato sul “Messaggero”, Pier Paolo Pasolini avvertiva circa i pericoli e le insidie del fenomeno dell’omologazione, di cui, del resto, già Marcuse aveva indicato gli effetti devastanti sulla ga lassia della classe operaia. Negli anni Sessanta, infatti, di fronte al crescente fenomeno di “estraneamento” della classe operaia rispetto al suo ruolo tradizionalmente antagonistico nei confronti del ceto padronale- imprenditoriale, il Marcuse sceglieva di puntare sui giovani (donde le sconvolgenti rivolte studentesche del ‘68) per trasformare in senso egualitario e libertario la società civile. Pasolini, dal suo canto, seguì con trepidazione e sincero rammarico l’incalzante processo di omologazione che stava a quel tempo interessando da vicino la civiltà contadina, sino a completamente distruggerne etica e valori, provocando, tra l’altro, come struggentemente egli annotava, la “scomparsa delle lucciole”. Lo spopolamento delle campagne, il consequenziale deserto determinato dalla fuga dei giovani dai luoghi nativi, la crisi del tradizionale sistema economico agricolo a vantaggio della impersonale e abnorme conversione industriale (che eufemisticamente, veniva denominata “boom economico”) diveniva così lo scenario deprimente della vita delle popolazioni meridionali. Pasolini assisteva a tali eventi con viva attenzione ed allarme, in quanto il concetto di sviluppo che lui va gheggiava per il contadiname (non solo del Sud!) era riferito ad un potenziamento della produzione agricola attraverso l’introduzione, per 1a via istituzionale, nonché l’utilizzazione in loco, dei ritrovati della scienza e della tecnica, in modo da rendere il prodotto commercialmente ottimale. Ciò avrebbe favorito l’occupazione, impedendo la lacerante diaspora dei giovani dalle zone econo micamente depresse. Sulla medesima linea si era del resto mosso, sin dal 1967, lo scrittore di Maropati, Fortunato Seminara. In “L’altro pianeta”, infatti egli non aveva esitato, paventando lo spettro, appunto, dell’omologazione, a denunciare il pericolo costituito dall’emigrazione dei giovani contadini calabresi verso le zone industrializzate d’Italia e d’Europa, in quanto, “se è vero che dietro a loro se ne (andava) la Calabria arcaica coi metodi di lavoro primitivi, coi carri che rotolavano lenti sulle strade polverose, con l’economia familiare..., coi vecchi costumi, credenze e ubbie”, era non men vera e pressante l’incertezza dei vantaggi: “Si saranno buttati dietro le spalle un passato carico di umiliazioni e di stenti propri delle generazioni precedenti, avranno nuove abitazioni, nuove idee, nuovo modo di pensare, di amare e di odiare. Migliore? Chi lo sa!...”. Seminara (come poi Pasolini) svolgerà così in chiare intonazioni “nostalgiche” il tema della scomparsa della civiltà contadina, in una fase storica in cui appariva troppo brusco e scardinante il passaggio del vecchio al nuovo, specie nei territori e nei paesi del profondo Sud d’Italia. Ai nostri giorni, la trionfante globalizzazione, succeduta all’omologazione degli anni Sessanta-Settanta, non solo si avvale delle cond izioni di miseria imposte dal sottosviluppo, ma, proprio per i territori del profondo Sud, facendosi forte della logica dell’economia di mercato che la connota, impone in termini non sostenibili le proprie leggi e i propri disegni strategici. In particolare, nel territorio della Piana di Gioia Tauro, la dominante macchina globalizzante, mentre impone, senza 22 possibilità di alternative, il consumo di merci prodotte in territori e presso Stati anche da esso lontanissimi, non teme assolutamente la sporadica e, sotto certi aspetti, patetica offerta di similari merci indigene. Se il processo di omologazione appariva a suo tempo come l’ennesima condanna storica del Sud, il prezzo da pagare per sopravvivere, ma, tuttavia, verso il quale continuava a sussistere una sia pure timida speranza di un’inversione di tendenza, l’odierno globalismo si pone, al contrario, come una sorta di “male necessario”, una sorta di treno che occorre senza indugi o remora prendere per guadagnarsi il titolo di “ cittadino del mondo”. Tale ineludibile fenomeno costringe ancora MAROPATI…e dintorni una volta il profondo Sud d’Italia, particolarmente le zone economicamente più depresse, come, appunto, la Piana di Gioia Tauro, a fare da ricettacolo passivo nei confronti delle merci così accortamente confezionate e offerte dal capitalismo internazionale della produzione e del mercato. La quasi totale assenza, ad esempio, di una politica a favore delle aziende del Sud, costrette ad operare isolatamente, al di fuori di un’opportuna filosofia cooperativistica rende questi “nostri” luoghi simili a terre colonizzate dai mastodontici ingranaggi delle grandi società internazionali, nei confronti della cui efficienza operativa nemmeno le aziende produttive del Nord d’Italia riescono a spuntarla. LA NOSTRA STORIA Tritanti: proclamazione della Repubblica Tritanti: Processione di sant’Atenogene Articoli e foto possono essere riprodotti per scopi culturali purché si citi la fonte e l’autore. La maggior parte delle foto pubblicate a corredo del testo e rielaborate graficamente, fanno parte della Fototeca privata di Giovanni Mobilia. Molte di esse sono state donate all’Amministrazione comunale precedente e si trovano esposte in Municipio. 23 MAROPATI…e dintorni Alle radici dell’ispirazione estetica di Corrado Alvaro di Antonio Floccari Corrado Alvaro (San Luca 1895 — Roma 1956), come quasi ogni altro scrittore calabrese, trasse la linfa vitale della sua ispirazione artistica da un nucleo autobiografico in connubio con gli infiniti rigagnoli provenienti dai massimi romanzieri, poeti, tragediografi, commediografi dall’antichità greco-romana per giungere ai suoi contemporanei. Codesto percorso estetico di Corrado Alvaro, ma anche di Mario La Cava, di Fortunato Seminara, trovò motivazione negli strati più profondi della loro personalità: alla base un mondo d’origine rustico, paesano, calabrese, messo lì come un grumo che non si riesce a superare, e su di esso tutto l’accumulo culturale da intellettuale impegnato costantemente nell’esistenza. Il connubio estetico nell’atto vivo della creatività, sovente - e si tratta dei momenti più elevati esteticamente -, in Corrado Alvaro si connota in una categoria lirica con un’impronta partecipativa caratterizzata da tipici sentimenti dell’anima calda meridionale. Alvaro guardò alla Calabria, alle rustiche ed avvenenti terre aspromontane, con alla base la presenza di una sublimazione del desiderio permanente dello stargli abbracciato come in un sogno. Probabilmente, questo suo itinerario estetico gli derivò anche dall’aver lasciato la Calabria in cerca di affermazioni letterarie nei grandi circuiti delle metropoli. In ciò, emblematico è il flusso narrante dei 75 racconti del 1955 ed ancor prima in L‘amata alla finestra e poi nel suo capolavoro, racconto lungo, Gente in Aspromonte del 1930. Alvaro e La Cava ebbero fondamenta estetiche provenienti dalla sublime tradizione cla ssica greca e romana in simbiosi: Eschilo, Sofocle, Euripide, Luciano Di Samorata, Eliodoro, Petronio, Apuleio, ma anche Omero, Ovidio, Catullo, Virgilio. E poi i grandi filoni europei, soprattutto francesi e russi, con presenze significative di autori epocali tedeschi. Alvaro, così La Cava e Seminara, ebbe un problema molto difficoltoso da superare nella sua ispirazione: quello del messaggio, della comunicazione, della trasformazione del pensiero in parola. Sentì la necessità di dare alla propria parola un’appartenenza linguistica che, per l’ancestrale debolezza dell’accettazione nei grandi simulacri della cultura che conta, non poteva essere l’idioma calabro; per cui, occorreva dare al proprio io narrante una Lingua letteraria nobile, elevata, con i crismi della forma che sarebbe piaciuta anche a Benedetto Croce. È evidente che, optando per la Lingua letteraria proveniente dai riverberi artistici più significativi di tutti i tempi, essenzialmente, si tradiva l’idioma calabrese ritenuto indegno della parlata letteraria. E fu così che Alvaro tentò la sintesi linguistica prodotto dei titani della Letteratura Universale, non riuscendoci sempre, guadagnandosi le critiche spesso non dolci dei maggiori esperti del suo tempo. E La Cava rimase eternamente innamorato del canto letterario dell’Ellade; e Fortunato Seminara scrisse i suoi romanzi con la parlata di Fucini e dei maggiori nove llieri toscani. Spesso rimbomba il rimprovero a chi parla in dialetto, quasi sia un rustico, una vergogna della civiltà: un collegamento tangibile esiste con i nostri maggiori scrittori. E mentre la Sicilia è orgogliosa da sempre per i suoi Verga, Pirandello, Capuana che elessero l’idioma siculo nel grande alveo della Letteratura, e così anche la Campania di De Filippo per il partenopeo, ancora, nelle nostre contrade, non si riesce ad andare oltre gli eventi rinascimentali, allorché le grandi Banche toscane s’impadronirono dell’economia italiana e, di conseguenza, della sovrastruttura cultura. 24 MAROPATI…e dintorni CORAÌSIMA Fino ad alcuni anni addietro la caratteristica “pupa di pezza” si appendeva alle finestre delle abitazioni mercoledì delle Ceneri e rimaneva penzoloni e dondolante fino a Sabato di Pasqua…. di Umberto Di Stilo Fino a qualche decennio addietro dalle finestre delle modeste case che costituivano il tessuto urbano dei nostri paesi interni, sin da mercoledì delle Ceneri, appesa ad un bastone, pendeva una strana “pupattola” realizzata con ritagli di stoffa nera e stracci, che simboleggiava la Quaresima, ovvero il periodo di “magra” e di astinenza che, dopo le scorpacciate dei giorni di carnevale, iniziava con la ricorrenza delle Ceneri e si concludeva quaranta giorni dopo, con la festività di Pasqua. Questa strana “pupa di pezza” fatta in casa e coi capelli raccolti da un fazzoletto, indossava un grembiule fornito di tasca, tra le mani reggeva il fuso e la conocchia mentre ai piedi aveva un’arancia (o una patata, o una mela; raramente una cipolla) in cui erano conficcate sette penne. Tutti la conoscevano col nome di “Coraìsima”, (cioè Quaresima) ed essa stava a simboleggiare l’austerità, le privazioni e il digiuno. Ancora oggi, in determinati ambienti rurali o nelle piccole comunità agricole, una donna di fisico magro e malandata nell’abbigliamento, viene dispregiativamente definita “Coraisima”, come la cenciosa e brutta protagonista femminile di certe farse popolari che, nel pomeriggio di martedì di carnevale, venivano recitate nelle piazze di tutti quei paesi che affondano le loro radici nella civiltà contadina. In quegli stessi paesi le persone anziane ricordano e, con un velo di nostalgia per i tempi passati, amano ancora ripetere la scherzosa filastrocca popolare in cui “Coraìsima” veniva descritta come una grande e disordinata divoratrice, ma anche come un’imperdonabile bugiarda: Coraìsima, codu stortu, nci mangiau li cavuli all’ortu, e l’ardica alla sipala Coraìsima menzognara. Con la variante (da noi registrata a Laureana, dalla viva voce di un’attempata Signora): Coraìsima codu stortu non dassasti cavuli all’ortu e mancu frundi alla sipala Coraìsima menzognara. Quale che fosse il carattere di quella donna, la rustica bambola di stoffa che la rappresentava restava appesa alla finestra per tutto il periodo della Quaresima e sabato di Pasqua veniva bruciata. Ad Eranova (e in altri centri marinari) “Coraìsima” veniva seppellita nella sabbia sulla riva del mare 25 MAROPATI…e dintorni mentre in altri paesi veniva lacerata pubblicamente in piazza. Le sette penne (tante quante sono le domeniche del periodo della Quaresima) conficcate nell’arancia venivano tolte una ogni domenica, e c’era tutto un rituale da compiere, con preghiere da recitare e la penna che doveva essere bruciata o buttata distante dalla propria abitazione, quasi a voler allontanare dalla famiglia la carestia ed il periodo di magra. Caratteristica principale di “Coraìsima” era il suo continuo dondolare. Bastava un debole alito di vento perché la nera pupattola si spostasse da una parte all’altra, disegnando nel vuoto un arco che, anche al più distratto dei passanti, richiamava alla memoria l’incertezza della vita ed i possibili cambiamenti dell’uomo. Quel movimento ritmico, con valore quasi di una danza, inoltre, nei tempi antichi ha sempre assunto il valore di un linguaggio sacro e profetico. Secondo alcuni studiosi, l’esposizione della pupattola all’aria aperta, perché potesse oscillare al vento, doveva essere intesa come il desiderio di purificazione dei peccati e, in particolare, del male morale contratto durante le allegrie e le orge dei giorni di Carnevale. D’altra parte già Virgilio, nelle Georgiche, si era soffermato a descrivere come nel culto agreste di Dioniso la purificazione avveniva mediante l’oscillazione di piccole immagini che, appese ai rami di un pino, dondolavano sotto il soffiare del vento. Nelle “Feriae Latinae”, poi, è ricordato che “avevano luogo feste popolari in cui si appendevano oscilla agli alberi (…) come mezzo di scongiuro contro i mali influssi spiritici e a vantaggio dell’agricoltura”. Quella della purificazione mediante sospensione al vento, dunque, era tradizione già molto diffusa anche al tempo dei romani. Solo che col passare degli anni e dei secoli e con la diffusione del cristianesimo l’oscillazione della pupattola abbandonò gli originari significati scaramantici per assumere quelli di incitamento alla preparazione spirituale per l’imminente festività pasquale. Il fuso e la conocchia per alcuni simboleggiavano l’operosità delle nostre donne che sin da piccole venivano avviate proprio al paziente lavoro della filatura. In effetti, quei semplici arnesi da lavoro, reminiscenza della mitologia classica, stavano a sottolineare come la vita fosse sempre legata ad un sottile filo di lana che, anche nelle mani di un’esperta filatrice, rischiava di spezzarsi da un momento all’altro. Elemento didascalico sulla fugacità della vita, dunque, ma anche sulla precarietà del tempo se è vero che proprio il fuso e la conocchia stavano a significare che il tempo della Quaresima e, quindi, dei sacrifici, veniva pur’esso ”filato”, vale a dire “misurato” e contenuto nel breve spazio di quaranta giorni. D’altra parte a misurare questo tempo c’erano anche le penne che, conficcate nell’arancia, venivano strappate col passare delle settimane. Dunque il numero delle penne assumeva una funzione cronometrica; stava a scandire il tempo che passa, quasi che si trattasse di un rudimentale quanto pratico calendario figurato. Ed è per questo che le penne assumevano il valore ed il significato di un rituale antico, materializzavano il tempo inteso come tempo passato e tempo ancora da passare, dando speranza alla vita e facendo guardare con fiducia all’immediato futuro (il tempo del “dopo Quaresima”). Mentre nelle penne, dunque, era simboleggiato il computo delle settimane, nel fuso e nella conocchia c’era il millenario simbolismo della “Signora dei Destini” capace di regolare il destino dell’uomo, l’accadere degli eventi fino alla regolazione dei corpi celesti ed al conseguente ordine dell’universo. Ma la gente del popolo che, fino a qualche decennio addietro, si affrettava ad esporre alla finestra di casa la pupattola di pezza pazientemente confezionata, non si chiedeva quali fossero le allegorie ed i segreti significati delle parti che componevano la “Coraìsima”. Né si chiedeva quale fosse la genesi storica di quella tradizione antichissima. Si limitava solo ad appendere la “pupa di pezza” perché così avevano sempre fatto i genitori e, ancora prima, i genitori dei genitori. La appendeva perché per quaranta giorni dondolasse al vento dell’incipiente primavera e perché, settimanalmente, potessero “spennarla”, nella segreta speranza che, ultimata quell’operazione, essa potesse essere apportatrice di benessere e, subito dopo i giorni dell’astinenza quaresimale, potesse assicurare un anno di prosperità e di pace alla famiglia. Dalle finestre delle case non penzola più la “pupa” confezionata dalle ragazze con ritagli di stoffa nera e stracci inservibili e nelle cui mani sono stati posti il fuso e la conocchia. Il progresso ha completamente cancellato l’antica tradizione, per cui di “Coraìsima” oggi parlano solo gli anziani e, quanti, attratti dalle tradizioni popolari, amano scavare nel passato certi che, così facendo, riusciranno a capire in maniera completa ed approfondita il vero animo dei nostri antenati. 26 MAROPATI…e dintorni Maropati e Santa Lucia Il culto verso Santa Lucia a Maropati è molto antico. Dagli Atti della visita del Vescovo di Mileto, Monsignor Marco Antonio Del Tufo, del 4 novembre 1586, si appura che la chiesa era già esistente, assieme a quella di S. Giovanni Evangelista e della matrice di S. Giorgio; il parroco era Don Bruno Cordiano. 1 Delle due campane, quella più antica porta, sotto l’effigie della Martire, la data 1635 e l’iscrizione <<Don Franciscus Guarrisi>>. L’altro bronzo proviene dalla Chiesa del Rosario, distrutta dal terremoto del 1783 e mai più ricostruita, e porta, oltre all’immagine in rilievo della Madonna del Rosario, la data 1677. La Chiesa di Santa Lucia fu abbattuta dai vari terremoti, ma venne sempre riedificata. Il Flagello, il terribile terremoto del 5 febbraio 1783, la rase completamente al suolo. In una lettera datata 19 dicembre 1787 e ind irizzata dall’Arciprete Domenico Pino al Vescovo di Mileto, si legge: <<…attesto parimenti, col mio degnissimo giuramento, come col Flagello non rimase illesa nessuna chiesa, ma tutte, così universali come sopradetto, furono rovinate quasi sino al suolo>> 2 . Nei secoli passati era appellata anche <<Chiesa dei Cordiano>>, probabilmente perché a costruirla o a ricostruirla fu uno della famiglia dei Cordiano, forse un Sacerdote. La Chiesa di S. Lucia possedeva numerosi terreni: oliveti a Carrubbara, Ciccarella, S. Nicola, ecc. 3 Nel 1860 nella chiesa esistevano due altari: quello della Madonna del Carmine e quello dell’Immacolata. Tra i Sacerdoti che ivi officiavano, le cronache del tempo ne ricordano uno morto in concetto di santità, Don Pasquale Filippo. Quando celebrava la S. Messa piangeva per la commozione e sua sorella avvicinandosi lo confortava: <<Bonu, bonu, non ciangiti!>> 4 Il terremoto del 1908 causò il crollo del campanile. La Chiesa venne, infine, rifatta e riaperta al culto negli anni 50, grazie all’aiuto di un cittadino residente in America. Nella Chiesa Matrice, intitolata a San Giorgio Martire è conservato un frammento osseo di Santa Lucia. La reliquia viene esposta durante la celebrazione della festa che cade la prima domenica dopo il 13 dicembre. È una solennità esclusivamente religiosa, senza le attrattive spettacolari delle feste estive, ma è sentita quasi come un tempo e richiama i devoti di tutta la Piana, soprattutto gli abitanti di Giffone, Feroleto, Plaesano, Anoia e Cinquefrondi. Non mancano i curiosi e i gitanti della domenica, attratti dalla grande fiera, un tempo esclus ivamente di bestiame, di animali da cortile e prodotti tipici calabresi. (tratto da “Canti e Preghiere del Popolo Maropatese” di G. Mobilia) 1 Archivio Vescovile di M ileto (AVM). Ibidem. 3 Cfr. Antonio Piromalli, Maropati, storia di un feudo e di una usurpazione, Brenner, Cosenza, 1978, 2003. 4 Cfr. Giovanni Mobilia, Il clero di Maropati dal 1700 ad oggi. 2 27 MAROPATI…e dintorni IL CENACOLO Su iniziativa di Bartolomeo Mercuri e utilizzando i locali ex asilo nido recuperati e adattati dall’ing. Mangialavori, Sindaco della precedente Amministrazione, dal 2002 opera a Maropati il Centro di Aggregazione Sociale Casa d’Accoglienza “Il Cenacolo”. Bartolomeo Mercuri, Presidente del “Cenacolo”, mentre riceve la Targa del “Globo Cristiano”. Da circa 4 anni funziona a Maropati, per volontà di Bartolomeo Mercuri e dell’ex Sindaco Ing. Francesco Mangialavori, un’iniziativa fortemente umanitaria, rivolta all’assistenza quotidiana di oltre 200 extracomunitari. La Casa d’accoglienza “Il Cenacolo” è diretta, con molta intelligenza e generosità, da un Consiglio d’Amministrazione guidato dallo stesso Bartolomeo Mercuri. Due volte la settimana, martedì e venerdì, la sera, gli extracomunitari vengono spostati dal loro paese di domicilio della Piana, tramite un autobus, a Maropati, nel Centro d’Accoglienza. Qui ricevono un pasto caldo completo, viveri, vestiario e assistenza sanitaria; infine vengono riaccompagnati nelle loro case. I casi più complessi, secondo le patologie, vengono smistati a vari specialisti della Piana che intervengono gratuitamente. Uno di questi extracomunitari, un Bulgaro di nome Robert Calint, affetto da una brutta sindrome cardiaca (Wolf- Parkin Wait) con crisi di tachicardia che superava i 200 battiti /min., dopo aver fatto il giro degli ospedali della Bulgaria e di vari nosocomi italiani, è stato salvato grazie all’intervento dei medici del Cenacolo che lo hanno indirizzato presso l’ospedale romano San Filippo Neri, per l’intervento risolutivo del dott. Vincenzo Loiacono, cardiologo di quell’ospedale e calabrese. Oggi Robert sta bene, restituito alla famiglia e al suo lavoro. Un’altra ragazza focomelica, pure Bulgara, sarà portata presto a Bologna per l’applicazione di protesi dell’arto superiore. Questa organizzazione umanitaria si regge per l’instancabile opera del signor Bartolomeo Mercuri (conosciuto da tutti come “Bartolino”) e l’ausilio di un gruppo di volontari. È necessario, però, che le Istituzioni diano al più presto un valido e duraturo aiuto per evitare che questo meritorio servizio svanisca nel nulla. 28 MAROPATI…e dintorni MAROPATI 1950-1995 Maropati deve ricordare i suoi Sindaci che hanno trasformato il paese. Sotto la guida dell’avv. Giovambattista Cordiano è stato costruito l’acquedotto di Tritanti, opera di grandissima importanza civile che aveva portato l’acqua potabile Avv. Giovanni Gallizzi nelle case e nelle vie della frazione. Prima, per dissetarsi, i Tritantesi dovevano scendere in una scoscesa lunga settecento metri. Successivamente fu costruita la rete fognaria. Il periodo era difficile, perché mancavano i finanziamenti, così come nel periodo, non lungo, in cui furono Sindaci il prof. Domenico Dimoro, il Dott. Giuseppe Larosa e il prof. Vincenzo Longo. Eppure sono riusciti a costruire le Scuole Elementari di Maropati e Tritanti. Il massimo di opere pubbliche si realizzò sotto la guida dell’avv. Giovanni Gallizzi che fu sindaco dal 10 giugno 1968 all’aprile del 1995; nel frattempo, col sopravvenuto boom economico erano più facili i finanziamenti ministeriali, anche perché aveva alle spalle il PSI unito e forte, che incuteva rispetto e stima in Calabria e a Roma, e, inoltre, la presenza del fratello nel Comitato Centrale Socialista aveva creato ottimi rapporti con i ministri. A questo bisogna onestamente riconoscere al Sindaco, oltre alla buona volontà, un’ottima capacità politica e amministrativa. In quel periodo, lungo quasi 27 anni, sono state costruite opere di grand issima importanza che hanno trasformato il paese: la strada Tritanti – Cantine Cordiano, la strada Tritanti – Cimitero – Statale, la strada Pescàno, la strada Mòrvani, il ponte che unisce il quartiere S. Rocco con il Centro del paese, il prolungamento di Via D’annunzio fino a Via Roma con l’eliminazione del deposito di spazzatura e sporcizia dello “Scorciaciucci”, la difficile strada (molto costosa) che unisce Piazza Indipendenza con la Statale (cioè il Viale della Libertà), il Municipio vecchio in Via XXV Aprile (oggi sede della Fondazione “Fortunato Seminara”), l’inizio dei lavori del nuovo Municipio. Ed ancora: strutture sportive, la Scuola Materna, il doppio acquedotto a Tritanti e a Maropati, il campo sportivo di Maropati, la Casa di Riposo, poi utilizzata dalla Regione per ricoverare ammalati cronici neuro-psichici (trasferiti dal manicomio di Reggio Calabria), l’istituzione della Fondazione Seminara (insieme a Michele Politi e all’Amministrazione Provinciale), ecc. È giusto che Maropati ricordi con una medaglia d’oro e una pergamena i Sindaci del passato e con la titolazione di una strada a loro nome per quelli deceduti. Per l’avv. Giovanni Gallizzi che ha amministrato il paese per il periodo più lungo, oltre alla medaglia d’oro, la redazione del giornale propone una delibera come Presidente Onorario della Fond azione Seminara e Difensore Civico del Comune. LA REDAZIONE DI MAROPATI E DINTORNI nel dare appuntamento al prossimo numero del periodico AUGURA a tutti i lettori e ai cittadini una serena SANTA PASQUA. COPIA OMAGGIO