1
MAROPATI…e dintorni
… e dintorni
ANNO I – N. 1 – PERIODICO DI INFORMAZIONE DELLA SEZIONE NUOVO PSI DI MAROPATI
MARZO 2006 DIRETTORE EDITORIALE Dott. Vincenzo Gallizzi
FACCIAMO GRANDE MAROPATI!
Il successo del primo numero del nostro periodico ci induce e ci incoraggia ad
andare avanti, proseguendo nel valido tentativo di aprire un dialogo
costruttivo con la popolazione ed isolare quei pochi facinorosi che hanno
portato indietro l’orologio della storia. Il paese è di tutti noi, di tutti i
Maropatesi, è la casa di tutti e tutti dovremmo sentire il dovere, l’orgoglio e il
diritto di collaborare per fare questo paese grande.
Chi non ha i numeri per operare questa ricostruzione culturale e strutturale
dovrebbe mettersi da parte. La nostra volontà, la nostra iniziativa, stenta a
penetrare nella barriera costruita dai nostri avversari a difesa delle loro manie
di vendetta, d’odio e di persecuzione.
Continua a pag. 2
IL PAESE SUPERPULITO!
Strada di Mòrvani
Con rispetto per il nobile servizio ecologico della Nettezza Urbana,
constatiamo che nel nostro paese tutto si sta uniformando a questo nuovo
modus vivendi che ha come protagonista la Scopa!
Tutto ruota intorno ad essa: operai e LSU che diventano, dalla sera alla
mattina, provetti spazzini; tutti, a turno, sperimentano le qualità
filantropiche della scopa e del bidone e chi si rifiuta viene licenziato in
tronco!
Continua a pag. 2
IN QUESTO NUMERO
SPETTEGULESS
Si dice che...
FERDINANDO
ALVARO
Un grande dimenticato
SCINTILLE
IN CONSIGLIO
COMUNALE
LA FANCIULLEZZA
DI GIORGIO CASTELLA
A pag. 15
A pag. 8
A pag. 7
A pag. 3
2
MAROPATI…e dintorni
FARE GRANDE MAROPATI
L’assenza di cultura provoca imbarbarimento dei rapporti civili e le loro ritorsioni hanno distrutto la
Fondazione Seminara e finiranno per bloccare ogni iniziativa di ammodernamento e miglioramento
del nostro paese.
Ho paura che sarà difficile dialogare con loro, che pure sono cresciuti alla
nostra scuola di socialismo, perché effettivamente non sono i colonnelli che
io speravo poiché stanno portando inesorabilmente il paese
nell’oscurantismo, nell’indifferenza, nella sfiducia e nella rassegnazione.
E allora, se è così, noi dovremo saltare l’attenzione nei loro riguardi, perché
si sono convinti a non passare alla storia come i continuatori di un’epoca
brillante; riporremo la fiducia verso i giovani, i loro figli e i nostri figli, i
nostri nipoti consegnando a loro il timone che li abilita ad essere i
protagonisti insieme a noi del migliore avvenire del nostro paese.
Cioè, dopo il fallimento della seconda generazione, noi punteremo i
riflettori della simpatia e del rispetto verso i giovani della terza generazione:
con loro è possibile il dialogo per costruire la piattaforma unitaria che in passato ha fatto di
Maropati un punto di riferimento della Provincia e della Regione.
I paesi vicini: Giffone, Galatro e soprattutto Anoia crescono e crescono bene; Maropati è tornato
indietro di 60 anni! I Consiglieri prendano coscienza della grave responsabilità e prendano,
finalmente, le distanze dal duo Vicesindaco-Sindaco per salvare il paese.
Lo ripeto: il paese è di tutti noi e deve crescere con lo sforzo di tutti, chi non rema deve scendere
dalla barca. Al timone devono esserci uomini di provata esperienza che hanno sacrificato i migliori
anni della loro vita per fare grande Maropati.
Vincenzo Gallizzi
IGIENE SICURA AL CENTO PER CENTO!
Per mantenere lindo il paese, il responsabile dell’Ufficio Tecnico cura
personalmente la gestione del Servizio, scegliendo e acquistando
accuratamente sia i macchinari sia i detersivi.
Per coinvolgere la popolazione di Maropati e Tritanti a questo nuovo corso
storico, non si è badato a spese: quello delle pulizie è l’aumento più
consistente nel bilancio comunale!!!
A chi chiede spiegazioni sulle mancate promesse, il “Duetto” così si giustifica:
<<Non ci sono i soldi per sistemare le strade di campagna o per illuminare il paese…Non ci sono
rimasti soldi da utilizzare per lo sport, cultura, spettacolo, scuola, istruzione…
Del resto siamo sicuri che gli anziani, i giovani e i più deboli sopporteranno tali sacrifici per una
giusta causa…in nome dell’igiene sicura al cento per cento!>>.
Signor Mastro Lindo
LO SAPEVATE CHE…
jjj
Questa Amministrazione ha stanziato un Contributo economico in favore di una Associazione
di Volontariato di Giffone denominata “S. Bartolomeo”.
Le Associazioni di volontariato maropatesi, però, non vengono considerate. Perché?
3
MAROPATI…e dintorni
LA FANCIULLEZZA RITROVATA
di Giorgio Castella
Non riesco a staccarmi dal paese
natìo e ogni scusa è buona per
recarmi presso la casa paterna, ma
anche per rivisitare tutto il paese, con
il desiderio di rivivere la mia
fanciullezza.
La mia casa si trova sulla Via Vittorio
Veneto, al numero 25; provo sempre
una grande emozione nell’aprire
quell’uscio; poi accendo la luce e
spalanco le finestre: tutto ciò mi dà la
sensazione di rompere la mia solitudine. A passo lento giro tutte le
stanze, osservando attentamente gli
oggetti dell’abitazione.
Nella stanza da letto mi stendo un
poco sulla branda, non perché ho
sonno, ma perché chiudendo gli occhi
riesco a rievocare alcuni episodi della
mia adolescenza, quando dormivo
assieme a mio fratello e a mio padre e
mi abbracciavo a loro per non sentir
freddo. La casa, con tutti gli oggetti e
i personaggi che furono inizia ad
animarsi: ricordo quando mettevo la
tegola di terracotta nel braciere e poi
l’avvolgevo in un panno per riscaldarmi, nelle notti gelide, i piedi
infreddoliti; il vociare gioioso di mia
sorella, quando ci alzavamo al
mattino presto, tutte e due, per impastare con le nostre manine la
farina bianca mista al granturco per
fare il pane.
Dal balcone, dove io e mia sorella
abbiamo subito le sevizie della matrigna, mi affaccio e non vedo più il
lastricato di pietra dove spesso facevo
dei grandi scivoloni grazie ai cciappetti, dei pezzi di ferro che il calzolaio
metteva sotto gli scarponi per farli
durare più a lungo. Proprio davanti
alla mia casa, Carmelo il Banditore,
dalla voce chiara e tuonante, con
accento siciliano, annunciava tutti gli
avvenimenti del paese, sia comunali
che politici: <<…Si avvertono tutte le
persone…>>, il suo accento mi è
rimasto impresso nella memoria,
come le poesie che s’imparano a
scuola.
Carmelo al mattino presto faceva lo
spazzino e, girando con il carretto,
manteneva pulito il paese.
Più in là, sotto il portico, era la sosta
preferita degli zingari, artigiani che si
dilettavano a lavorare il ferro battuto,
facendo palette per prendere il fuoco,
bracieri e treppiedi; stagnavano padelle e pentole, barattando il lavoro
con olio, vino e fichi secchi; erano veri
nomadi: non rubavano e avevano
guadagnato la stima e la solidarietà
della gente.
In Piazza Castello, a breve distanza
dalla mia casa, nel mese di settembre, si svolgeva la festa di S.
Rocco, compatrono del paese. Ad
organizzarla era il sarto mastro
Giovanni che, per allietare le serate,
chiamava un’orchestra di suonatori
dilettanti, diretta dal “maestro”
Riniti di Galatro.
Tutti lo chiamavano “Maestro”, ma, in
confidenza, non conosceva affatto la
musica; io scoppiavo a ridere solo a
guardarlo, per il portamento che assumeva: si presentava con eleganza,
come se fosse una grande personalità. L’orchestra iniziava a suonare
canzonette popolari, mentre gli organizzatori avevano preparato per il
“maestro” una bacchetta sottile di
ferro per dirigere l’orchestra.
Con la complicità dei musicanti e del
pubblico iniziava il vero spettacolo: si
4
agitava tutto, faceva inchini ai nostri
applausi, si comportava come un vero
maestro intento a dirigere una grande
orchestra.
Era tutto felice, anche quando, come
omaggio alla sua direzione artistica,
gli offrivamo fiori puzzolenti, medaglie
di cartone e attestati su carta da
pacchi, fra gli applausi della gente
entusiasta e di noi ragazzi che
gridavamo a squarciagola: “Viva il
maestro Riniti!>>.
Alla fine del concerto, come si fa per
una grande star, lo portavamo sulle
spalle in un breve giro di grande
trionfo.
Il 23 aprile, festa di san Giorgio,
Patrono del paese, a tarda sera, per
tradizione, in tutte le vie del paese
venivano (e vengono) accesi i fuochi
in mezzo alla strada, in segno di
devozione e purificazione. I contadini,
nei giorni che precedevano la festa,
portavano fasci di rami di ulivi e viti,
accatastandoli davanti alle case.
Ad allietare la serata intorno al fuoco
MAROPATI…e dintorni
erano i gruppi folkloristici che
invitavano la gente a ballare la
tarantella.
Io ero uno dei tanti ragazzi che
andava a saltare i fuochi in tutto il
paese, nonostante i continui richiami
di mio padre: saltavo le fiamme
quando erano altissime, era una cosa
affascinante! E non mi curavo che
tornavo a casa con i capelli bruciati.
A tarda notte ogni abitante riempiva il
braciere di fuoco purificato, per
benedire la propria casa e la cenere
veniva portata in campagna, il giorno
seguente, sperando in un buon
raccolto.
Appagato dal tempo trascorso a casa,
chiudo la porta e il mio stato d’animo
quasi mi suggerisce da dove iniziare
la passeggiata.
Mi reco verso il centro del paese a
passo lento; nella Via Cavour la porta
della fòrgia di mastro Biasi è chiusa
da anni, ma è rimasta la grande
bùccula (anello di ferro) attaccata al
muro che serviva per legare asini,
muli e cavalli quando venivano
portati per essere ferrati. Nella fucina
si
fabbricavano
anche
accette,
roncole e zappe di ogni genere e il
piccolo vicolo era un via vai di
contadini che si recavano ad
acquistare gli antichi arnesi del
lavoro quotidiano.
Sempre sulla stessa via, più avanti
c’era la stalla di massaro Mico che
aveva un grande gregge e produceva
formaggio e ricotte: mi pare di sentire
5
ancora l’odore pungente dell’ovile e
quello genuino dei prodotti caserecci
imbevuti di sapori ormai scomparsi.
Vicino alla chiesa di S. Giorgio c’era il
bar di Santino e Totò, attrezzato di
biliardino e televisore, punto di
ritrovo dei giovani del paese, attirati
dalla visione delle partite di calcio e
del festival di San Remo.
A pochi passi sorgevano i palazzi dei
benestanti del paese, con la loro
chiesetta privata per distinguersi dalla gente comune.
La sartoria di Domenico, “Mico” in
segno d’affetto, si trovava di fronte
all’entrata secondaria della chiesa. Mi
soffermai a lungo davanti alla porta
chiusa, ma i miei occhi riuscivano lo
stesso a penetrare nell’interno e
rivedere i volti dei ragazzi della mia
stessa età che si recavano a imparare
il mestiere e che riprendevano vita e
movenze
attraverso
reminiscenze
apparentemente sopite.
La sartoria era punto di riferimento
per tutti i giovani, si discuteva dei
problemi umani e politici, si cresceva,
si diventava grandi, si acquisivano i
valori della dignità e sensibilità. La
parete era tappezzata di manifesti di
film e strumenti di lavoro; nel tardo
pomeriggio facevano sosta alcuni
musicanti che, ad orecchio, suonavano la fisarmonica, il mandolino e la
chitarra, dando inizio a un vero
spettacolo. La sartoria, dal punto di
vista professionale, era rinomata,
tanto che aveva parecchi clienti dei
paesi vicini. Molti ragazzi, dopo aver
imparato il mestiere sono emigrati nel
nord e oggi sono dei professionisti
affermati.
Riprendo la mia passeggiata e
incontro Luigi. Era un tipo sorridente
e scherzoso Luigi; parlandomi delle
baracche che erano state costruite
nell’omonimo rione dopo il terremoto
del 1908 e abitate dalla povera gente,
si soffermava poco sulle condizioni di
MAROPATI…e dintorni
miseria, preferendo raccontare le sue
diavolerie di ragazzo arguto che
andava ad orecchiare e spiare,
attraverso le vistose feritoie delle
logore costruzioni, l’intimità delle
ragazze. Giunto di fronte al municipio
incontro Ciccio, seduto sulla gradinata di una casa, intento a gustarsi la sigaretta appena accesa.
Ciccio era il figlio di un mugnaio
benestante di Giffone, per questo lo
chiamavano “Riccimen”. Aveva una
barba lunga, indossava due cappotti,
tenendoli a mani libere, sulle spalle e,
dato il loro peso, faticava non poco a
camminare. Quando parlava era
tranquillo e sorridente, rifiutava il
lavoro, non chiedeva l’elemosina per
accumulare denaro, per lui aveva
poco valore. Nessuno ha mai saputo
il perché del suo modo di vivere o di
quale delusione della vita era stato
colpito.
Decisi di salutare il mio amico
Aurelio, persona distinta e riservata,
di grande cultura, con una vasta
6
esperienza di docente di matematica
e materie scientifiche in Toscana e
Calabria. Pur avendo una bella età ha
uno spirito giovane, la massima
lucidità nell’affrontare i problemi sociali. La sua abitazione si trova in
una strada stretta e in salita.
Con la speranza che fosse in casa,
suonai il campanello. Ad aprire la
porta fu proprio lui che, nonostante
non vedesse bene, mi riconobbe dalla
voce e mi fece entrare, abbracciandomi commosso, come quando
un padre rivede il proprio figlio.
Aurelio m’invitò a seguirlo nell’avito
giardino adorno di piante e canne di
bambù dove iniziammo a conversare
della vita familiare e degli avve nimenti politici. Con lui potevo
parlare di tutto, non dà consigli,
ascolta e poi dice sempre: <<Io, se
fossi in te farei così…Io la penso
MAROPATI…e dintorni
così…>>, dandoti tanti elementi di
giudizio, ma, soprattutto, facendo
emergere il concetto di libertà,
arricchito dall’esperienza e dai valori
della vita.
La giornata era trascorsa veloce e,
nonostante facesse buio tardi, ritornavo presso la casa paterna a passo
lento.
Improvvisamente vidi Totò, l’amico
della mia fanciullezza davanti alla
sua casa di legno, antisismica,
costruita dopo il terremoto.
Ci abbracciammo con affetto, improvvisando una breve conversazione. Poi,
carico
d’entusiasmo,
ritornai
a
Cinquefrondi presso la mia famiglia,
felice per la fanciullezza ritrovata.
Giorgio Castella
CORTEI NUZIALI
Maropati anni 50
Maropati anni 60
LO SAPEVATE CHE…
Dopo aver distrutto e oscurato la Fondazione Seminara, adesso i nostri amministratori
hanno oscurato il paese!
Hanno cambiato le lampade dell’abitato, sostituendole con lampadine che riducono di
almeno il 50% la luminosità delle strade del paese.
jjj
7
MAROPATI…e dintorni
SCINTILLE IN CONSIGLIO COMUNALE
L’intervento del Gruppo di Minoranza al Consiglio Comunale del 28.2.2006
ha mandato in escandescenza il Vicesindaco Arcangelo Fiorello.
Riceviamo e pubblichiamo, dal Gruppo della Minoranza consiliare, il testo dell’intervento:
Il Gruppo Consiliare di Minoranza è
fortemente
critico
verso
le
scelte
amministrative effettuate dal Sindaco e dal
Vicesindaco, votando contro il bilancio previsionale 2006.
Sono stati accesi dei mutui per l’acquisto di
automezzi (bob-kat, ecc.) che servirebbero
per la manutenzione di strade, facendo gravare sul bilancio comunale una spesa annua
dovuta oltre alla rata del mutuo, alla manutenzione dei mezzi, alle polizze assicurative,
ai costi per la 626, ai costi per l’operatore,
ecc., per constatare dopo 5 anni che tali macchine non sono più utilizzabili perché vecchie
e usurate, mentre sarebbe stato meglio e più
economico affidarsi, come nel passato, a ditte
locali che sarebbero intervenute con efficienza a meno costi. È enorme la spesa per la
gestione dei rifiuti solidi urbani, anche qui,
oltre al mutuo da pagare per l’autocompattatore, c’è la spesa sulla 626,
pagamenti sullo straordinario degli operai,
polizze assicurative, manutenzioni, e inoltre
spese da sostenere per cause di ingiustizia sul
lavoro, di mobbing e bossing.
Sono aumentate le spese legali per contenziosi vari, espropri ATERP, lavori abusivi effettuati dal Responsabile dell’Ufficio Tecnico;
cittadini che, continuamente, devono fare ri-
corso alla Legge per far valere i propri diritti.
Ovviamente poi i conti non tornano, e come
fare per compensare tali spese? Si effettuano
tagli
dappertutto,
dalla
riduzione
dell’illuminazione pubblica alla riduzione di
fondi nel settore dell’istruzione e cultura, nel
settore dello sport e della ricreazione riducendo pesantemente di 13.000 euro tali attività, offrendo così sempre meno servizi ai
giovani ed ai cittadini.
Ma il fallimento di questa amministrazione si
manifesta maggiormente nel campo delle opere pubbliche:
1. finanziamenti per strade provinciali persi;
2. sono trascorsi due anni e ancora non sono
iniziati i lavori finanziati dall’Amministrazione precedente;
3. Nonostante i frequenti viaggi della speranza effettuati dal Sindaco e dal Vice a Catanzaro e altrove, Maropati non ha ottenuto
neanche un nuovo finanziamento.
Il disagio tra la popolazione è enorme, come
è enorme la critica verso l’operato del Sindaco e del suo Vice.
I Consiglieri di Minoranza
Tale intervento ha suscitato l’ira del signor
Vicesindaco, che ha offeso il Gruppo di Minoranza, al punto che l’insegnante Annunziata
Sigillò, non sopportando i toni e i modi del
signor Fiorello, in forma di protesta, ha abbandonato la seduta consiliare.
Al gruppo di Minoranza, e in particolare
alla Consigliera Sigillò, va tutta la solidarietà e la comprensione della Redazione del
giornale e dei tanti cittadini.
8
MAROPATI…e dintorni
FERDINANDO ALVARO
Un sonettista dimenticato
di Giovanni Mobilia
Rovistando tra le carte ingiallite di un antico archivio privato, mi sono imbattuto, con grande
stupore, in un libretto olografo di liriche, per lo più sonetti, dalla grafia raffinata e intieramente
confezionato a mano, rispettando perfettamente gli schemi dell’arte legatoria.
Il titolo dell’originale edizione tascabile (misura 15 x 10) di 108 pagine, con indice finale annesso, è
Quel che vorrei. Autore un maropatese dimenticato: Ferdinando Alvaro.
Nato a Maropati il 5
marzo 1881, da
Giuseppe e Filomena Mazzitelli, fin da
ragazzo coltivò, da
autodidatta, l’amore
per la poesia e il
sapere. Le liriche
raccolte sono tutte
di fine Ottocento e
inizio Novecento.
Bisogna quindi correggere quei pochi studiosi che si sono
interessati del poeta maropatese e che hanno
riportato nella biografia, come certezza, che
<<Ferdinando Alvaro scrive a partire dagli
anni 30, tante poesie di argomento vario, ma
rimaste inedite>> 1 .
La difficoltà economica che non gli consentì
di studiare (frequentò solo fino alla terza
elementare) e pubblicare i suoi scritti, lo
stimolò a ingegnarsi diversamente, facendosi
conoscere, almeno localmente, attraverso la
confezione e distribuzione di alcuni di questi
opuscoletti che, probabilmente, venivano
passati di mano in mano.
L’unica pubblicazione editoriale dell’Alvaro
porta la data 1954 e il titolo accattivante di
Sonetti Proverbiali. Il poeta contava allora 73
anni. Si tratta di una raccolta di 100 sonetti,
un gioiellino, nei quali l’Autore, come scrive
Ernesto Puzzanghera nella Prefazione, ci offre
<<un lavoro di arte e di umana e saggia
poesia, dal tono bonario e paterno>>.
1
I. Lo Schiavo-A. Orso-U. Verzì Borgese, Poeti e
scrittori, Vol. I Calabria Letteraria Editrice, p. 300.
Quattro anni dopo la pubblicazione, il 24
agosto del 1959, all’età di 78 anni,
Ferdinando Alvaro muore.
La prima poesia del manoscritto rinvenuto
(Quel che vorrei), che dà il titolo a tutto il
volumetto, è datata, insieme a qualche altra,
1898. La raccolta è composta, nella parte
iniziale, da versi d’amore “angelicato”, come
si addice alla penna ispirata di un adolescente
innamorato di fine Ottocento, romantico,
sensibile e riservato, tanto da non svela re il
nome dell’amata alla quale indirizza i suoi
versi infuocati con il semplice titolo di A chi
so io, A Lei, Alla stessa oppure “Quando”:
Quando dal labbro tuo, fanciulla mia,
Un detto amico udir mi sarà dato?
Quando diventerai cotanto pia,
Da sorridere a me, tuo innamorato?
Quando le mani tue stringer mi sia
Possibile e baciar, mio bene amato?
Quando il mio cor, che tanto ciò desia,
Il tuo sarà strettamente legato?
Come ben sai, da lungo pezzo anelo
Che tu, mio solo amor, voglia riamarmi;
Ma è stato il core tuo finor di gelo.
Non vo’ creder però che vuoi trattarmi
Sempre così; ma, dillo, Angel del Cielo,
Quand’è che tu vorrai felice farmi?
E al sì della fanciulla amata, il poeta esplode
in canti di ringraziamento, coinvolgendo la
natura circostante e, perfino, la fiumara che da
millenni scorre alle porte dell’abitato:
9
Ad Eja
Eja, bel fiume del paese mio,
Davvero t’amo d’infinito amore,
Perché la donna mia, quel vago fiore,
Era co’ piè ne l’acque tue, quand’io
Vidi la prima volta farsi pio
Suo cor, che innanzi crudel sprezzatore
S’era di me mostrato in tutte l’ore.
Sì, t’amo immensamente, o dolce rio!
Credo che allora tu, pietà sentendo
Di me, ch’oltremisura era dolente,
La consigliasti a sentir mio chiamo.
Grazie infinite pertanto ti rendo;
E finché parlar posso, eternamente
Ripetere ti voglio: Io t’amo, io t’amo.
È del 2 agosto 1900 l’ode “In morte di sua
maestà Umberto I°, re di questa sconsolata
Italia, Grande per fulgidissime virtù
pubbliche e private, ucciso proditoriamente
da un codardo, sera del 29 luglio 1900”.
Spiccano qua e là sonetti in cui vengono
rievocati luoghi e contrade del paese:
Ciccarella, il Bosco di Mòrvani, ecc.
Interessante è la lirica Al molto reverendo
signor Francesco Guerrisi del cav. Antonio,
quando venne consacrato Sacerdote, datata
22 dicembre 1901, in cui augura al novello
presbitero lunga e felice vita nonché fedeltà
verso Cristo che l’ha scelto per suo ministro:
Che Iddio ti dia lunga e felice vita;
Che tu possa per sempre dimostrarti
Di Lui servo fedele, e che, finita
Tua stanza in terra, debba Egli mandarti
Dove più splende sua gloria infinita.
Purtroppo, vano fu l’augurio del Poeta al neo
Sacerdote che, come raccontano le cronache
del tempo, invaghitosi di una donna del luogo,
Carmeluzza, soprannominata poi “La Prèvita”, a lei si unì e per lei fu spretato.
Non mancano accenti penosi per la morte di
persone care e familiari, dal nonno alla
sorella, morta la sera del 9 ottobre 1902, versi
MAROPATI…e dintorni
strazianti, ma imbevuti di una fede profonda e
incrollabile:
Tu però sei contenta, perché Dio
Nell’Almo regno suo ti riportò,
Dond’eri scesa in questo mondo rio
Per volere di Lui che tutto può.
Porta la data 22 giugno 1903 un sonetto
intitolato Autoritratto in cui il poeta ci dà una
descrizione particolareggiata del suo aspetto
fisico giovanile:
Io tengo un crine liscio e castagnino;
Occhi un po’ grandi e di simil colore;
Fronte bassa, ma pur non da cretino;
Pallido alquanto il volto in tutte l’ore.
Magro son io, ed ho naso aquilino;
Del regolar mia bocca non va fuore;
Il mento imberbe e sporgente un pochino;
Pochi peli sul labbro superiore.
Ho un core che ama più che amar si suole,
Ch’odia e disprezza pure oltre ogni dire,
Che in sé albergare slealtà non suole.
Amico son della malinconia;
Divoto son di Cirra al biondo Sire;
Amante vero della Patria mia.
Ecco, mi fermo qui, ho aggiunto – spero – un
altro piccolo tassello a quel puzzle poliedrico
di cui è fatta la storia di uomini e cose.
Ognuno di noi è tenuto a portare il suo
pezzetto di storia e incastrarlo con gli altri.
Solo così potremmo far rivivere pagine
stupende del passato i cui protagonisti sono
sempre sognatori e poeti, eroi e paladini.
10
CARMELO OCELLO:
UNA BANDIERA DEL
SOCIALISMO GALATRESE
Ero tutto intento a trovare degli appunti nelle
mie carte, siamo quasi in campagna elettorale
ed io sono molto impegnato nel Nuovo PSI,
quando mi è capitato tra le mani un vecchio
foglio ingiallito con delle rime scritte.
L’ho subito riconosciuto, era una poesia, forse
la più bella del poeta e scrittore Carmelo
Ocello, primo Segretario della Sezione PSI di
Galatro che cantava la sua amata terra natia:
Tutto s’infiora dal cielo alla terra
Tutto s’infiora di mille splendori
La terra più ricca di mille tesori.
Parole dolci, parole di vero amore di un
socialista verso la sua terra.
Ed ho subito ricordato il suo animo dolce, il
suo animo buono che ho conosciuto attraverso
i suoi scritti ed attraverso i ricordi che di Lui
avevano e raccontavano quelli che lo avevano
conosciuto a fondo.
Lo ricordiamo come l’Emilio Lussu della
Calabria per l’analogia di un episodio del suo
libro “Rovine di guerra” con quello del
grande scrittore socialista sardo nel quale
MAROPATI…e dintorni
mette a nudo la sua vera indole di calabrese e
di socialista.
Sono ormai ottantuno anni che Carme lo
Ocello se n’è andato e molti uomini della
sinistra galatrese non lo ricordano più perché
non leggono i suoi scritti e non mettono a
frutto, come Amministratori od aspiranti tali,
la sua esperienza e la sua sapienza, non
esaltano Galatro come “la terra più ricca di
mille tesori”, non fanno nulla per farla
ritornare tale, dimenticando i grandi valori
socialisti di libertà, solidarietà e sete di
giustizia sociale.
Ora tutto è abbandonato, non esistono valori e
non esistono idealità, la cultura socialista è
stata quasi completamente distrutta e per la
terra dei mille tesori ormai da tempo “si
scurau lu jornu”.
Carmelo Ocello lasciò questa terra il 1°
gennaio del 1925, la sua bara è stata ricoperta
con la bandiera socialista, oggi cimelio
presente nella sezione del Nuovo PSI, e la
banda che lo ha accompagnato al cimitero ha
suonato la marcia “Gigli e fiori” perché, a
regime fascista consolidato, non ha potuto
suonare l’Inno dei lavoratori.
Egli per tutti i socialisti galatresi e calabresi
dovrebbe essere un esempio e le sue azioni un
preciso punto di riferimento.
Nicola Franzè
LA DISTRUZIONE DELLA FONDAZIONE SEMINARA
La volontà dei duo Vicesindaco-Sindaco, all’ombra del teorema:
“Muoia Sansone con tutti i Filistei”, di eliminare la Fondazione
Fortunato Seminara dalla scena culturale regionale e nazionale ha
avuto successo.
Tra dimissionati e revocati, 19 professionisti sono stati eliminati
perché volevano fare cultura e non la guerra al dott. Gallizzi (un
primato negativo in tutta l’Italia).
Ipocrita giustificazione degli Amministratori: abbiamo applicato la
legge sull’incompatibilità tra parenti!
Bene: io potevo essere parente del Sindaco…e che “parente”! Ma gli altri 18, come si giustificano?
Per quanto ci riguarda, i due membri revocati dalla Provincia nel periodo iniziale della mia
presidenza (due validi professionisti che avevano deciso di non partecipare più alle riunioni del
Consiglio d’Amministrazione ed in effetti erano assenti dagli incontri da più di sei mesi, perché
influenzati dall’ipotetico e inesistente “Circolo S. Pertini”) potevano essere riconfermati, anche
11
MAROPATI…e dintorni
perché, per uno dei due, stavo costruendo la piattaforma (ed era noto a tutti) come futuro Presidente
della Fondazione. La risposta fu negativa: non intendevano partecipare alle riunioni.
La totale incapacità gestionale dell’attuale dirigenza della Fondazione ha completato il quadro
negativo: nessuna funzione culturale nazionale o regionale: il fallimento per mancanza di uditorio
della tre giorni culturale del dicembre 2005. Infine la perdita totale dei finanziamenti (non sono stati
chiesti, cioè non è stata fatta domanda) del Ministero per i Beni Culturali, dell’Amministrazione
Provinciale, della Banca Antonveneta il cui rappresentante era stato revocato con atto irresponsabile
ed arbitrario della Presidente. Neanche il Comune di Maropati ha dato il suo contributo!
L’ultimo gesto infame, senza nessun motivo o giustificazione, la revoca (la terza) del sottoscritto ad
un mese dalla scadenza naturale.
Noi ormai non ci interessiamo più della Fondazione Seminara perché distrutta dai Caini, ma ci
riserviamo il diritto-dovere, appena ritorneremo alla guida del paese (perché questo è certo:
ritorneremo!) di ricominciare da zero per ricostruire le prospettive luminose della Fondazione: la
cultura è la pietra miliare attorno a cui cresce un paese.
Vincenzo Gallizzi
GENERAZIONE DEL NUOVO MILLENNIO
di Antonio Papasidero
La società odierna sta subendo continui cambiamenti in tutti i settori, i giovani e gli anziani sono le
categorie che più risentono di questi mutamenti. A livello sociale, la quasi
maggioranza dei giovani del nuovo millennio sta subendo un processo di
standardizzazione e omologazione. Fortunatamente, almeno una parte di giovani va ancora contro corrente, discostandosi dalla massa, segnale sicuro di
una via positiva. Gli adolescenti dovrebbero impegnarsi sempre e molto di
più nella scuola, la quale, grazie all’aiuto dei professori, accresce il bagaglio
culturale e sociale. L’istruzione è l’energia che, attraverso l’insegnamento
metodico, mira a dare una formazione umana e culturale. Dal punto di vista
didattico si studiano molti autori apparentemente lontani dalla cultura del presente: da Boccaccio, Petrarca e Dante a Manzoni, Leopardi e Foscolo e tanti altri. Le opere sono i
Poemi Omerici, La Divina Commedia, I Promessi Sposi, A Zacinto, I Sepolcri, tragedie come
L‘Adelchi, Ermengarda…
L’attualità della formazione “scolastica” sta nel fatto che gli allievi, stando a contatto tra loro, imparano a confrontarsi, socializzare e adottare i buoni comportamenti del vivere assieme.
La ricerca di nuove esperienze, nuove emozioni, a volte risulta utile perché aiuta a scoprire il proprio essere, la propria personalità, aumentando il livello di autostima; altre volte, però, si cade nella
ricerca di ideali fugaci e passeggeri. L’uso tecnologico di alcuni strumenti fa decrescere la fantasia
dei giovani, condizionandoli persino sullo stile di vita. Spesso nelle varie scuole si fanno dei dibattiti su temi di attualità. Dopo i fatti dell’undici settembre, si va verso nuove tematiche di discussioni, occorre recuperare lo storico ritardo in termine di conoscenza della cultura mussulmana; è
doverosa e urgente una rinnovata presa di coscienza, occorre guardare anche ad altre realtà diverse
dalla nostra, come la satira dei vignettisti danesi che hanno fatto delle caricature su Maometto, suscitando le ire (incendi alle varie ambasciate) e l’indignazione dei popoli islamici. Poi il cronico
conflitto israelo-palestinese, la guerra in Iraq con le tensioni mediorientali che ormai tutti conosciamo.
Ringrazio tutti i collaboratori che hanno creato questo giornale concedendomi di esporre alcune tematiche giovanili riguardo la scuola.
Un plauso al giovane Papasidero; speriamo che venga seguito da altri studenti. I giovani si devono
porre al centro dell’attenzione e della simpatia del paese.
12
MAROPATI…e dintorni
Le favole di Pedro
Dall’Inganno alla Beffa
Nelle fredde notti invernali,
davanti al focolare, i nostri
nonni raccontano che in un
paese della Calabria, tanto
tempo fa, un cittadino onesto
e conosciuto per la rettitudine
e la diligenza di comportamento, nel realizzare, con i
propri sacrifici, un fabbricato
per la molitura delle olive, si
affidò a un Geometra del
luogo, affinché progettasse ed
eseguisse i lavori del proprio
capannone a regola d’arte e secondo le allora vigenti disposizioni di Legge.
Tale professionista eseguì l’opera prontamente, senza curarsi, però, d’informare il
committente che mancava la necessaria e indispensabile concessione edilizia.
Il povero frantoiano, convinto che tutto era stato eseguito regolarmente, liquidò,
pagando generosamente, lo scaltro Geometra.
Passano tanti anni e un giorno, improvvisamente, il professionista diventa Sindaco.
Si ricorda allora del povero frantoiano e, per farsi beffa di lui, tramite il suo Vice, gli
fa pervenire un ordine di demolizione sul quel capannone, denunciandolo, inoltre,
penalmente, perché non è in possesso della concessione edilizia!
“Giustizia fatta!!!”, disse tra sé e sé l’integerrimo Sindaco…
Ma, l’abile Amministratore, nel fare giustizia, omise, però, di denunciare alla Procura
della Repubblica il Geometra Direttore dei lavori, cioè lui medesimo, colpevole di
aver eseguito la costruzione senza la concessione edilizia e di aver ingannato il
povero frantoiano.
Ben presto l’episodio fece il giro di tutti i paesi, suscitando lo stupore prima e l’ilarità
poi… Alle richieste di paesani sbalorditi di cotanto ardire, sulla spiegazione
dell’omessa denuncia del Direttore dei lavori da parte del Sindaco, il Primo Cittadino,
dichiarò candidamente: “Non ci sono atti al Comune in cui risulta che il Geometra,
me medesimo, abbia svolto la direzione dei lavori del frantoio”…
Ma… il diavolo fa le pentole e non i coperchi! Esiste, infatti, un atto al Comune, con
tanto di protocollo, in cui lo scaltro Geometra dichiara di accettare la direzione dei
lavori del frantoio, con firma in calce.
MORALE DELLA FAVOLA: Lu menzognaru avi d’aviri bona memoria!
Pedro
13
MAROPATI…e dintorni
L’ANGOLO DEI POETI
GIUSEPPE SIGILLÒ
BELLA GINESTRA
Bella ginestra dai bei fiori ornata
Il cielo s’allegrò quando sei nata
perché non hai bisogno di coltura
per rendere la selva profumata.
Si guarda all’azalea e alla rosa
e tu pur tra gli sterpi sei pomposa;
in tempi di carestia sei stata amata
e ti raccolse pria il contadinello
per far sul focolare la fiammata
quando la neve facea mulinello;
e ti raccolse pur la lavandara
quando ti fè bollir nella caldaia
per trar da te la stoppa alla fiumara.
Nei tempi tristi tu non fosti amara,
pur se la stoffa tua era pungente
vestisti per tant’anni l’umil gente.
Adesso te ne stai dimenticata
penando tra le spine nella boscaglia;
ma non ti lacrimar bella ginestra
se l’uomo alla tua vista più non fa festa,
all’uopo tu sei stata generosa
ma tanto, tanto, tanto
e questo basta.
Giuseppe Sigillò
Il prof. Giuseppe Sigillò è nato a
Maropati (RC) il 12 marzo 1938 ed ivi
risiede in Via Montebello, 66.
Ha conseguito il Diploma di Abilitazione Magistrale presso l’Istituto
Magistrale di Palmi (RC) e la Laurea
in Lettere presso l’Università di
Messina. È stato ammesso nel ruolo
ordinario, a seguito di Concorso
Magistrale, ed ha prestato servizio
quale insegnante elementare nel
Circolo Didattico di Giffone (RC).
Ottenuto il passaggio alla Scuola
Media, ha insegnato Lettere presso la
Scuola Media di Taurianova (RC).
Attualmente in pensione, vive nella
frazione di Tritanti ed è autore delle
seguenti opere: Raccolta di Poesie
pubblicate nel 1970 presso la Casa
Editrice “Gabrieli” di Roma; Pubblicazione di un brano di letteratura
nel “Centone n. 2” di Bologna.
Pubblicazione di una raccolta di poesie
presso la Casa Editrice “Albatros” di
Roma.
Nel 1979 l’Accademia “Hera Lacinia”
di Catanzaro gli ha conferito il primo
premio “Ulivo d’Argento 1979” per
aver saputo richiamare l’attenzione
sulla ricostruzione dei valori spirituali
mediante la creazione di opere di
ampio respiro e di notevole validità
artistico-letteraria. Recentemente è
stato incluso tra gli scrittori italiani del
II° dopoguerra nell’Antologia “La
Poesia Contemporanea” dell’Editore
Guido Miano – Milano.
Cesare Mulè nella presentazione della
raccolta di Poesie “Voci Vere”
(Edizioni Meridionali – Catanzaro,
1989) di Giuseppe Sigillò, ha scritto:
<<…In Sigillò Giuseppe la pedagogia
della vita si fa poesia attenta alla
celebrazione della fenomenologia e
insieme al recupero delle cose portate
via nel fluire del tempo. Questo è il
“quadrante” in cui si colloca in
coerenza con il toponimo del suo
luogo natale già illustrato dal
disperato e amaro levarsi della voce
di Fortunato Seminara>>.
14
MAROPATI…e dintorni
IN MORTE
DI ANTONIO FURFARO
di Andrea Frezza Nicoletta
Il diaframma oscuro ed osceno, or assai tetro
e impenetrabile ci appare, dismagando, repentino l’orrido atroce lenzuolo nero, funereo,
irrimediabile, ineluttabile che soverchia e sovrasta le mortali, caduche, spoglie umane sublimate nella cortina eterna del ridivenire resurrezionale cristiano.
Il diaframma fluviale che separa e divide, incessantemente il mondo fallace e provvido dei
vivi da quello improvvido dei morti inferi, invalicabile, altissimo e insormontabile della
morte iniqua e brutale. Improba e vile, che relega e riduce crudelmente l’uomo all’atona,
diafana, neutra Non- materia. La disfatta! Pria
mirabilmente fatta, or barbaramente disfatta.
La disfatta dell’uomo, ed è il tragico inabissarsi subitaneo agli inferi delle anime estinte e
redente, così, in un fiat infausto e tragico,
dall’uomo al nihil!
Disumana, empia, ferina e dissennata la vile
esecranda azione che ti disfece e ti rese dis-
umano, immemore, vacuo e orbato di vita rigogliosa ora dissolta, frantumata, e infranta
dalla cruda spietatezza infernale del fato pagano e ingrato che armare volle la spietata e
truce mano affine, e ancor decretò senza diritto di appello alcuno di recidere il sacro filo
dell’esistenza.
E or, povera cara, vana, nuda materia sì parimenti aurea e cara a chi ti conobbe e amò, simulacro di chi fu e or non è più! L’opera diabolica di chi vilmente inferse i reiterati colpi
trucidatori, aprì la cortina eterna che cela il
palcoscenico ove recita, e s’adopra l’angelo
nero provvisto di falce mietitrice, ed ebbe sicuro successo la morte alfine!! Il perimento
della vil materia, del corpo matereale, della
martoriata carne fu il tuo scarno successo. Ma
la vita eterna sarà concessa allo spirito, che ti
animò vivido e fulgente, vivificato ora
dall’alito benigno e imperituro del ricordo incessante e forte di chi t’ebbe caro.
QUESTO GIORNALE
È ANCHE TUO.
Storia, Cultura, Politica, Arte…
COLLABORA CON NOI SU
MAROPATI…e Dintorni
Redazione
Sezione Nuovo PSI
Via Portici -89020 MAROPATI (RC)
Tel. 347-6475737
E-mail [email protected]
Stampato in proprio
Maropati (cartolina anni 40) Corso Umberto
15
MAROPATI…e dintorni
SPETTEGULESS
Si dice che….
Nel Programma Elettorale della Lista “Unità e Democrazia”, i nostri
lungimiranti Amministratori avevano promesso:
<<Il nostro intento sarà quello di avvalersi delle Professionalità del
luogo per la realizzazione di opere Pubbliche... >>.
Invece… andando a spulciare le prime delibere, scopriamo che la nuova
Giunta ha affidato dei lavori a Tecnici non del paese ma a forestieri, molto vicini allo studio tecnico del “Rappresentante” di questa Maggioranza.
Si dice che… nel laboratorio di questo tecnico lavora anche il figlio del
“Rappresentante”! Se le cose stanno così, sia mo arrivati al paradosso: qui
si ingozzano solo: “Cola, fra’ Cola e lu Prijuri”!
***
<<Miglioramento e Completamento della Pubblica illuminazione>>.
E invece… dopo quasi due anni di amministrazione hanno cominciato a eliminare le luci già
esistenti, sostituendole con altre a bassa illuminazione. Avevano iniziato partendo dalla Provinciale,
però, dopo due giorni, hanno rimesso quelle di prima per paura di una sollevazione popolare in
loco. Poi le stesse lampadine hanno trovato posto sul Corso Umberto e in Via Indipendenza.
Speriamo che il nostro Don Chisciotte senza macchia e senza paura cambi idea, perché altrimenti
dovrà ingegnarsi a come riempire la sua “Lumera” di olio e illuminare tutto il Paese a lui
enormemente devoto.
***
Hanno chiamato la loro lista Unità e Democrazia:
<<Unità come Unità nelle scelte prerogative e Democrazia, perché a Maropati
ci sia Democrazia per amministrare la cosa pubblica…>>.
E invece… durante una seduta del Consiglio Comunale, nella quale si doveva eleggere la
Commissione Elettorale, alcuni Consiglieri al momento di votare si sono voltati nella direzione del
Vicesindaco e quest’ultimo, girando il proprio foglio, ha fatto “copiare” la sua votazione.
Tutto il resto è LIBERTÀ.
***
<< Saranno privilegiate e promosse, ove è possibile, tutte quelle forme di assistenza domiciliare
che consentiranno al cittadino la permanenza nel proprio Habitat, realizzando accordi di
programma con l’Azienda Sanitaria e con tutte le Istituzioni preposte…>>.
E invece… si vede che non è stato possibile, perché i nostri anziani, se non hanno da parte qualche
euro per pagarsi una badante extracomunitaria, sono destinati all’ospizio (sempre se trovano posto).
***
<<Realizzazione di una rete per la raccolta e lo smaltimento delle acque Bianche
in Maropati Centro e Frazione Tritanti…>.
E invece…alcuni pozzetti per il riflusso delle acque piovane sono stati sostituiti con il comune cemento, vedasi a Maropati in Via Roma e Via G. D’Annunzio.
16
MAROPATI…e dintorni
<<Sistemazione ed ammodernamento strade interne e Centri Abitati…>.
E invece… questa sistemazione è stata sostituita con la classica e banale “Ripezzatina” che durerà
pochissimo e andrà via con le prime piogge. Vedasi ultimo intervento sulle strade Comunali.
***
<<Costruire nel medio termine una vasca di accumulo di acqua a monte della vallata dell’Eja
per irrigare tutti i terreni fino ad arrivare alla c/da Mastrologo…>.
E invece… i nostri contadini nel periodo estivo si devono arrangiare per irrigare i propri agrumeti,
non sapendo che questa Amministrazione Comunale è d’accordo con una Cooperativa privata
denominata “San Michele” intenzionata a costruire una Centrale idroelettrica nel Comune di
Galatro e che le acque dell’Eja e del Pòtamo saranno presto deviate in altro Comune.
***
<<Revisione del Programma di Fabbricazione…>.
E invece… a due anni del mandato amministrativo tutto questo è finito nel dimenticatoio, alla faccia
della coerenza!
***
<<Ampliamento e miglioramento dei Cimiteri>>.
E invece… le liste di attesa e le richiesta per l’acquisto di suolo cimiteriale sono ancora tutte sul
tavolo dell’ufficio Tecnico, perché?
***
MORALE DELLA…REALTA’
Caro signor Sindaco, Geom. Eugenio Gallizzi, perché non va a rileggersi il Programma da Lei
controfirmato in calce?
In tutta onestà dovrà riconoscere che, alla luce dei fatti, l’operato della sua Amministrazione ha
tradito sia il Progetto sia il mandato espresso dal popolo che è e rimane il supremo giudice di questo
paese, al di là di cosa possa dire qualsiasi Don Chisciotte di turno.
Per i motivi sopra espressi (fallimento totale di tutti gli impegni programmatici), è bene che rifletta
su quanto sopra esposto e sulla realtà attuale di Maropati.
La invito, quindi, conoscendoLa come persona che si guadagna il pane lavorando, a rassegnare le
dimissioni dalla carica di Sindaco di questo paese, anche perché, diciamocelo chiaro: chi è il vero
Sindaco di questo paese?
Domenico Scarfò
LO SAPEVATE CHE…
Le imprese, gli Artigiani e i Commercianti di Maropati non vengono tutelati da questi
Amministratori che preferiscono i forestieri e gli Ambulanti che non pagano le tasse.
Perché?
jjj
17
MAROPATI…e dintorni
MAROPATI
I FATTI TRAGICI DEL 6 GENNAIO 1923
di Vincenzo Gallizzi
PREMESSA
È bene precisare subito:
stiamo rievocando l’eccidio
del 6 gennaio 1923 non per
rinvangare separazioni e odi
di quell’epoca e, soprattutto,
non per rinfocolare fatti di
sangue e da questo o per
questo stimolare risentimenti tra famiglie e discendenze
di quelle famiglie e spingere
allo scontro tra partiti o
fazioni diverse e opposte.
La nostra funzione è nobile:
quei fatti delittuosi appartengono al passato, frutto di
un irrazionale odio politico,
e vengono relegati al 1923,
al tempo in cui la lotta
politica era cruenta e,
facilmente, ci si faceva
prendere la mano da istinti
tribali.
Si usciva dalla prima guerra
mondiale che molti lutti
aveva portato nelle case dei
Maropatesi e Tritantesi. Da
qualche anno si era fuori
dalla terribile pandemia “La
Spagnola”,
che
aveva
portato uno o due morti per
ogni famiglia, e la ripresa
alla vita dopo due grandi
disastri portava le stimmate
di un tragico fatalismo.
La nostra funzione oggi è
quella di rievocare, di
ricordare i fatti storici che
appartengono alla nostra
memoria e al nostro passato.
I fatti sono successi e noi
abbiamo il diritto e il dovere
di tramandare ai posteri una
testimonianza indistruttibile
su quegli eventi costati la
vita a due compagni
socialisti: Vincenzo Cordiano e Vincenzo Cavallaro.
Questa riflessione deve
servire oggi ai giovani per
indurli a usare metodi
democratici per far valere le
proprie tesi e mai le armi,
perchè la vita è sacra e deve
essere difesa sempre, sia la
nostra che quella degli
avversari.
La divisione tra famiglie o
gruppi di famiglie era uno
stato di fatto che si tramandava da generazioni e che
esplodeva in modo esagitato
e clamoroso ad ogni consultazione amministrativa o
politica.
I Socialisti avevano costituito una Lega contadina
collegata con una cooperativa di consumo che forniva
anche generi alimentari con
sconto per gli iscritti ed
avevano come punto di
riferimento l’on. Francesco
Arcà, il primo deputato
socialista calabrese, nativo
di Anoia e poi trasferitosi a
Roma. La cooperativa e la
Lega contadina erano diretti
18
da Raffaele Francone e Stefano Carbone.
A Maropati i socialisti
erano patrocinati dalle
famiglie Cordiano Vincenzo
e Cordiano Raffaele (quest’ultimo è stato Sindaco dal
1922 e per tutto il ’23);
dalla famiglia Cavallaro: i
fratelli Paolo e Vincenzo ;
da Angelo Franzè nella cui
bottega di sarto spesso si
riunivano i compagni e dal
Carbone, nella cui baracca,
all’inizio del paese, adibita
a laboratorio di fotografia,
avvenivano vere e proprie
riunioni politiche, essendo
Stefano Carbone attivo
socialista e molto audace,
coraggioso e irrequieto dirigente del Partito Socialista
locale.
Dall’altra parte le famiglie
che venivano dal Partito
Liberale, che aveva avuto in
passato l’on. Alessi di
Cittanova come referente e
che si schierarono subito
con il Fascismo sin dalla
fondazione (1922).
La parte fascista era rappresentata dalla famiglia
Gatto, dalla famiglia Nicoletta e da parte della famiglia Cavallari.
ANTEFATTI
Un giorno, durante il 1887 o
giù di lì, Raffaele Vincenzo
Cavallaro zio di uno dei
protagonisti, abitante sull’ex
strada S. Lucia Superiore,
oggi Corso Umberto I°,
nella casa adiacente la
Chiesa di S. Lucia, per
motivi che non sappiamo,
ferì al braccio, con un colpo
di rivoltella, l’avv. Nicolet-
ta, in contrada “Fontanelle”
(oggi Condello Fontanelle)
che, in compagnia di
Achille Cordiano, si stava
recando alla “macchina
olearia”
(Frantoio)
in
località “Frevaru”.
Il fratello di Vincenzo,
Giuseppe, condannò fortemente il gesto, mentre la
sorella Annunziata, per proteggerlo, convocò a casa
sua, sulla Via Risorgimento,
la sorella del latitante
Giuseppe Pronestì, soprannominato “Il Sonnino”,
promettendole una somma
di danaro (circa 200 lire) se
suo fratello si accollava il
ferimento del Nicoletta.
Passarono tanti anni e,
durante la vendemmia, nella
salita della strada che porta
in Contrada Pescàno, si
verificò uno scontro tra le
famiglie Francone (schierate con il Partito Socialista) e
Umberto Gatto (personaggio dichiaratamente fascista).
Nel diverbio tra i Francone
e il Gatto furono distrutti i
barili di mosto che erano
stati caricati sugli asini.
Un altro giorno, nell’Ufficio
Postale, diretto da Michele
Cordiano, Raffaele Francone, amico dell’Ufficiale di
Posta, guardando il ritratto
del Re appeso alla parete,
per dimostrare coraggio e
disprezzo verso la Monarchia, davanti a molte
persone in fila che aspettavano il loro turno, diede
uno sputo al quadro.
Tra le persone che facevano
la fila vi erano Attilio
Zagarella, messo esattoriale,
dipendente
dall’esattore
MAROPATI…e dintorni
Vittorio Cavallari, e Umberto Gatto, rivale come
abbiamo detto del Francone.
Subito si scatenò una violenta discussione. L’Ufficiale Postale mando via
tutti e chiuse la Posta.
Fuori si verificò una rissa:
Raffaele Francone assieme
a suo fratello Antonio (Maresciallo dei Carabinieri)
aggredirono Umberto Gatto
ed
Eugenio
Cavallari,
studente universitario che si
trovava là per caso. Eugenio
Cavallari, figlio di Fortunato, appartenente alla
famiglia Cavallari soprannominati “I barbuti”, era
anche cugino dei Nicoletta.
Insomma, c’erano dissapori
vecchi, alimentati continuamente da nuovi, tra le famiglie Cavallaro-Cordiano da
una parte e Cavallari-Nicoletta-Gatto dall’altra.
IL FATTO
Il 6 gennaio 1923, giorno
dell’Epifania, don Peppino
Francone, Cavaliere della
Corona d’Italia, per l’antica
consuetudine di “Battezzare” in tale data il
Bambinello, essendo lui
medesimo Padrino della
tradizionale e curiosa cerimonia, fece venire il complesso bandistico di Polistena per suonare nel pomeriggio, durante la festa.
Finiti i festeggiamenti, mentre la banda si avviava
suonando all’uscita del
paese per tornare a Polistena, si unirono al corteo,
davanti alla chiesa di San
Giorgio, Umberto Gatto,
Francesco
Nicoletta
e
19
Guglielmo Cavallari (appartenenti al Partito Nazionale
Fascista) e Vincenzo Cordiano, Vincenzo Cavallaro,
Angelo Franzè e Raffaele
Francone (appartenenti al
Partito Socialista). Mentre
l’orchestra intonava “Il
Piave” , Gatto e Cavallari
chiesero al Maestro di
suonare “Giovinezza”.
Questi si scusò dicendo che
non erano preparati a suonare questo pezzo.
Si racconta che, quando la
banda passò davanti alla
casa di Stefano Carbone (ex
baracca), maestro di fotografia e uomo di cultura,
alcuni fascisti lanciarono
parole di scherno e di offesa
verso la famiglia Carbone.
Il professore Carbone non
era maropatese di nascita:
egli proveniva da Rizziconi
e aveva sposato una donna
del luogo.
Quando il gruppo bandistico
arrivò sulla provinciale,
Guglielmo Cavallari, che
era in testa al corteo, alzò il
braccio per fermare la
banda. Non sappiamo se il
Cavallari fermò la Banda
perché stava per iniziare a
suonare “Bandiera Rossa”
come pezzo richiesto dai
Socialisti. Fatto sta che a
questo
punto
Raffaele
Francone, che aveva in
mano un bastone, diede un
colpo a Guglielmo Cavallari.
Questi cercò d’estrarre una
pistola, ma i due cugini,
Vincenzo Cavallaro e Vincenzo Cordiano lo disarmarono prontamente. Vicino al
Cavallari c’era Francesco
Nicoletta. Ci fu una colluttazione generale e Umberto
Gatto sparò alle spalle Vincenzo Cordiano e Vincenzo
Cavallaro.
I due cugini caddero a terra
in una pozza di sangue.
Paolo Cavallaro, fratello di
Vincenzo, che era presente
e armato, cominciò a sparare contro il Nicoletta e
riuscì a ferirlo.
Ci fu una confusione generale, i suonatori abbandonarono gli strumenti e scapparono.
Vincenzo Cordiano veniva
portato morente a casa su
una sedia, mentre Vincenzo
Cavallaro veniva medicato e
alloggiato nella casa del
prof. Stefano Carbone.
Si dice che il Maresciallo
dei Carabinieri fu poco
solerte nel prevenire la
situazione e nel condurre le
indagini.
Furono arrestati Guglielmo
Cavallari, Umberto Gatto,
Raffaele Francone, Stefano
Carbone, Angelo Franzè e
altri testimoni.
In un primo momento si
divulgò la notizia che
l’intervento di sutura sulle
ferite di Vincenzo Cavallaro
era riuscito.
MAROPATI…e dintorni
Il giorno dei funerali del
cugino, però, diede alcuni
pugni sul comodino in
segno di dolore e di affetto.
Nessuno si accorse che si
erano rotti i punti di sutura e
l’anziana madre, signora
Napoli (cugina del sen.
Romano) quando si rese
conto che il figlio sanguinava cercò di chiamare il
medico. Ma era troppo
tardi. Poco dopo, nella casa
del prof. Stefano Carbone,
decedeva anche Vincenzo
Cavallaro. II processo si
iniziò in pieno regime
fascista e ne subì il clima
intimidatorio, tanto che,
malgrado l’energica arringa
dell’avvo cato Gaetano Sardiello, si concluse con
l’assoluzione degli imputati
e anzi, per qualcuno di loro,
si dovette sopportare l’encomio da parte delle autorità
fasciste. Ma la cosa più
umiliante fu messa in opera
dai magistrati di Palmi che
fecero arrestare i testimoni
veritieri che erano presenti
al fatto di sangue, tra cui
Angelo Franzè. La stessa
sorte toccò al processo nei
vari gradi di giudizio. Dopo
la Liberazione e la caduta
del Fascismo, in sede di
revisione del processo, grazie all’avv. Sardiello e al
senatore Enrico Molè, la
verità fu consacrata e i
colpevoli furono finalmente
condannati.
AVVISO AI LETTORI
Se avete un elaborato e desiderate che venga
pubblicato nel giornale, contattate il
347-6475737 o inviatelo a
[email protected]
20
MAROPATI…e dintorni
COMMEMORATA A POLISTENA SABATO 18 FEBBRAIO
LA NOBILE FIGURA DEL PROF. FRANCESCO IERACE
Francesco Ierace nasce a Polistena il 17 settembre del
1919. Laureato in lettere. Insegnante nelle scuole elementari, nelle scuole di avviamento professionale, nelle
scuole medie. Socialista, fu per molti anni protagonista
della scena politica del proprio comune. Rivestì, in particolare, la carica di sindaco nel 1952-1956, alla testa di
una coalizione socialcomunista. Le defezioni, anche clamorose, all’interno del suo partito non gli impedirono di
completare il suo mandato. Nonostante le notevoli difficoltà economico- finanziarie e la netta ostilità della Prefettura di Reggio Calabria, riuscì a realizzare ed avviare
importanti opere pubbliche (sistemazione delle strade interne, completamento delle fognature, l’acquisto del primo automezzo per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti urbani, la costruzione del mercato coperto ecc.) che conferirono al paese, povero e fiaccato dalla recente guerra e
dalle ristrettezze economiche che ne
seguirono,
un’immagine meno rurale e più moderna.
È ancora designato a diventare sindaco della cittadina nel 1965, a capo di un’amministrazione di
sinistra (PCI, PSI, PSIUP), allorquando, in circostanze inquietanti e mai del tutto chiarite, un consigliere del P.C.I. si rese irreperibile per un lungo periodo, facendo mancare il proprio voto e vanificando la possibilità di formare la costituenda maggioranza.
Rimase sempre fedele agli ideali socialisti. Molto stimato dalla Federazione, fu nominato Commissario in diverse sezioni e apprezzato per la sua capacità di mediatore e abile ricompositore di contrasti.
La sua lealtà per la Patria la dimostrò quando fu fatto prigioniero dai Tedeschi a Rodi e poi nei
campi di prigionia in Polonia e Germania. Rifiutò i benefici che gli potevano derivare se avesse
scelto di giurare fedeltà ai Repubblichini e ai Nazisti e optò per la Monarchia contro i Tedeschi, pur
sapendo delle sevizie e delle sofferenze che l’attendevano.
In quel campo di concentramento c’erano 2000 prigionieri, ma solo 145 rifiutarono di giurare fedeltà ai Tedeschi e Repubblichini. Oltre al sottotenente Ierace, c’erano il sottotenente Bartolomeo
Daniele, pure di Polistena, il tenente Domenico Oliva di S. Giorgio Morgeto, il Capitano Virgilio
Carmignani, il capitano Lorenzo Serena e il capitano Costantino Belluscio. Furono chiamati “gli eroi di Biala Podlaska”, tutti resistenti al fascismo e al Nazismo.
LO SAPEVATE CHE…
Partono a raffica, nel Comune di Maropati, le ordinanze di sgombero per le costruzioni di case abitate da almeno 20 anni ed edificate da tantissimo tempo. Con un po’
di buon senso e di mediazione da parte degli Amministratori queste situazioni si potevano sanare, evitando tante sofferenze alla povera gente.
jjj
21
MAROPATI…e dintorni
OMOLOGAZIONE E GLOBALIZZAZIONE
NEI PAESI DEL SUD D’ITALIA
di Vincenzo Fusco
Nel lontano 1974, in
un articolo pubblicato
sul
“Messaggero”,
Pier Paolo Pasolini
avvertiva circa i pericoli e le insidie del fenomeno dell’omologazione, di cui, del resto, già Marcuse aveva indicato gli effetti devastanti sulla ga lassia
della classe operaia. Negli anni Sessanta, infatti, di fronte al crescente fenomeno di “estraneamento” della classe operaia rispetto al
suo ruolo tradizionalmente antagonistico nei
confronti del ceto padronale- imprenditoriale,
il Marcuse sceglieva di puntare sui giovani
(donde le sconvolgenti rivolte studentesche
del ‘68) per trasformare in senso egualitario e
libertario la società civile. Pasolini, dal suo
canto, seguì con trepidazione e sincero rammarico l’incalzante processo di omologazione
che stava a quel tempo interessando da vicino
la civiltà contadina, sino a completamente distruggerne etica e valori, provocando, tra
l’altro, come struggentemente egli annotava,
la “scomparsa delle lucciole”.
Lo spopolamento delle campagne, il consequenziale deserto determinato dalla fuga dei
giovani dai luoghi nativi, la crisi del tradizionale sistema economico agricolo a vantaggio
della impersonale e abnorme conversione industriale (che eufemisticamente, veniva denominata “boom economico”) diveniva così
lo scenario deprimente della vita delle popolazioni meridionali. Pasolini assisteva a tali
eventi con viva attenzione ed allarme, in
quanto il concetto di sviluppo che lui va gheggiava per il contadiname (non solo del Sud!)
era riferito ad un potenziamento della produzione agricola attraverso l’introduzione, per
1a via istituzionale, nonché l’utilizzazione in
loco, dei ritrovati della scienza e della tecnica,
in modo da rendere il prodotto commercialmente ottimale.
Ciò avrebbe favorito l’occupazione, impedendo la lacerante diaspora dei giovani dalle
zone econo micamente depresse.
Sulla medesima linea si era del resto mosso,
sin dal 1967, lo scrittore di Maropati, Fortunato Seminara. In “L’altro pianeta”, infatti egli non aveva esitato, paventando lo spettro,
appunto, dell’omologazione, a denunciare il
pericolo costituito dall’emigrazione dei giovani contadini calabresi verso le zone industrializzate d’Italia e d’Europa, in quanto, “se
è vero che dietro a loro se ne (andava) la Calabria arcaica coi metodi di lavoro primitivi,
coi carri che rotolavano lenti sulle strade polverose, con l’economia familiare..., coi vecchi
costumi, credenze e ubbie”, era non men vera
e pressante l’incertezza dei vantaggi: “Si saranno buttati dietro le spalle un passato carico
di umiliazioni e di stenti propri delle generazioni precedenti, avranno nuove abitazioni,
nuove idee, nuovo modo di pensare, di amare
e di odiare. Migliore? Chi lo sa!...”. Seminara
(come poi Pasolini) svolgerà così in chiare intonazioni “nostalgiche” il tema della scomparsa della civiltà contadina, in una fase storica in cui appariva troppo brusco e scardinante il passaggio del vecchio al nuovo, specie nei territori e nei paesi del profondo Sud
d’Italia.
Ai nostri giorni, la trionfante globalizzazione,
succeduta all’omologazione degli anni Sessanta-Settanta, non solo si avvale delle cond izioni di miseria imposte dal sottosviluppo,
ma, proprio per i territori del profondo Sud,
facendosi forte della logica dell’economia di
mercato che la connota, impone in termini
non sostenibili le proprie leggi e i propri disegni strategici. In particolare, nel territorio della Piana di Gioia Tauro, la dominante macchina globalizzante, mentre impone, senza
22
possibilità di alternative, il consumo di merci
prodotte in territori e presso Stati anche da esso lontanissimi, non teme assolutamente la
sporadica e, sotto certi aspetti, patetica offerta
di similari merci indigene.
Se il processo di omologazione appariva a suo
tempo come l’ennesima condanna storica del
Sud, il prezzo da pagare per sopravvivere, ma,
tuttavia, verso il quale continuava a sussistere
una sia pure timida speranza di un’inversione
di tendenza, l’odierno globalismo si pone, al
contrario, come una sorta di “male necessario”, una sorta di treno che occorre senza indugi o remora prendere per guadagnarsi il titolo di “ cittadino del mondo”.
Tale ineludibile fenomeno costringe ancora
MAROPATI…e dintorni
una volta il profondo Sud d’Italia, particolarmente le zone economicamente più depresse, come, appunto, la Piana di Gioia Tauro, a
fare da ricettacolo passivo nei confronti delle
merci così accortamente confezionate e offerte dal capitalismo internazionale della produzione e del mercato.
La quasi totale assenza, ad esempio, di una
politica a favore delle aziende del Sud, costrette ad operare isolatamente, al di fuori di
un’opportuna filosofia cooperativistica rende
questi “nostri” luoghi simili a terre colonizzate dai mastodontici ingranaggi delle grandi
società internazionali, nei confronti della cui
efficienza operativa nemmeno le aziende produttive del Nord d’Italia riescono a spuntarla.
LA NOSTRA STORIA
Tritanti: proclamazione della Repubblica
Tritanti: Processione di sant’Atenogene
Articoli e foto possono essere riprodotti per scopi culturali
purché si citi la fonte e l’autore.
La maggior parte delle foto pubblicate a corredo del testo e rielaborate graficamente, fanno parte della Fototeca privata di Giovanni Mobilia. Molte di esse sono state donate
all’Amministrazione comunale precedente e si trovano esposte in Municipio.
23
MAROPATI…e dintorni
Alle radici dell’ispirazione estetica di Corrado Alvaro
di Antonio Floccari
Corrado Alvaro (San Luca 1895 — Roma 1956), come quasi
ogni altro scrittore calabrese, trasse la linfa vitale della sua ispirazione artistica da un nucleo autobiografico in connubio con
gli infiniti rigagnoli provenienti dai massimi romanzieri, poeti,
tragediografi, commediografi dall’antichità greco-romana per
giungere ai suoi contemporanei. Codesto percorso estetico di
Corrado Alvaro, ma anche di Mario La Cava, di Fortunato Seminara, trovò motivazione negli strati più profondi della loro
personalità: alla base un mondo d’origine rustico, paesano, calabrese, messo lì come un grumo che non si riesce a superare, e
su di esso tutto l’accumulo culturale da intellettuale impegnato
costantemente nell’esistenza. Il connubio estetico nell’atto vivo
della creatività, sovente - e si tratta dei momenti più elevati esteticamente -, in Corrado Alvaro si connota in una categoria lirica con un’impronta partecipativa caratterizzata da tipici sentimenti dell’anima calda meridionale.
Alvaro guardò alla Calabria, alle rustiche ed avvenenti terre aspromontane, con alla base la presenza di una sublimazione del
desiderio permanente dello stargli abbracciato come in un sogno. Probabilmente, questo suo itinerario estetico gli derivò anche dall’aver lasciato la Calabria in cerca di affermazioni letterarie nei
grandi circuiti delle metropoli. In ciò, emblematico è il flusso narrante dei 75 racconti del 1955 ed
ancor prima in L‘amata alla finestra e poi nel suo capolavoro, racconto lungo, Gente in Aspromonte
del 1930. Alvaro e La Cava ebbero fondamenta estetiche provenienti dalla sublime tradizione cla ssica greca e romana in simbiosi: Eschilo, Sofocle, Euripide, Luciano Di Samorata, Eliodoro, Petronio, Apuleio, ma anche Omero, Ovidio, Catullo, Virgilio. E poi i grandi filoni europei, soprattutto
francesi e russi, con presenze significative di autori epocali tedeschi.
Alvaro, così La Cava e Seminara, ebbe un problema molto difficoltoso da superare nella sua ispirazione: quello del messaggio, della comunicazione, della trasformazione del pensiero in parola. Sentì
la necessità di dare alla propria parola un’appartenenza linguistica che, per l’ancestrale debolezza
dell’accettazione nei grandi simulacri della cultura che conta, non poteva essere l’idioma calabro;
per cui, occorreva dare al proprio io narrante una Lingua letteraria nobile, elevata, con i crismi della
forma che sarebbe piaciuta anche a Benedetto Croce.
È evidente che, optando per la Lingua letteraria proveniente dai riverberi artistici più significativi di
tutti i tempi, essenzialmente, si tradiva l’idioma calabrese ritenuto indegno della parlata letteraria.
E fu così che Alvaro tentò la sintesi linguistica prodotto dei titani della Letteratura Universale, non
riuscendoci sempre, guadagnandosi le critiche spesso non dolci dei maggiori esperti del suo tempo.
E La Cava rimase eternamente innamorato del canto letterario dell’Ellade; e Fortunato Seminara
scrisse i suoi romanzi con la parlata di Fucini e dei maggiori nove llieri toscani. Spesso rimbomba il
rimprovero a chi parla in dialetto, quasi sia un rustico, una vergogna della civiltà: un collegamento
tangibile esiste con i nostri maggiori scrittori. E mentre la Sicilia è orgogliosa da sempre per i suoi
Verga, Pirandello, Capuana che elessero l’idioma siculo nel grande alveo della Letteratura, e così
anche la Campania di De Filippo per il partenopeo, ancora, nelle nostre contrade, non si riesce ad
andare oltre gli eventi rinascimentali, allorché le grandi Banche toscane s’impadronirono
dell’economia italiana e, di conseguenza, della sovrastruttura cultura.
24
MAROPATI…e dintorni
CORAÌSIMA
Fino ad alcuni anni addietro la caratteristica “pupa di pezza” si appendeva alle finestre delle
abitazioni mercoledì delle Ceneri e rimaneva penzoloni e dondolante fino a Sabato di Pasqua….
di Umberto Di Stilo
Fino a qualche decennio addietro dalle finestre delle
modeste case che costituivano il tessuto urbano dei
nostri paesi interni, sin da mercoledì delle Ceneri,
appesa ad un bastone, pendeva una strana “pupattola”
realizzata con ritagli di stoffa nera e stracci, che
simboleggiava la Quaresima, ovvero il periodo di
“magra” e di astinenza che, dopo le scorpacciate dei
giorni di carnevale, iniziava con la ricorrenza delle
Ceneri e si concludeva quaranta giorni dopo, con la
festività di Pasqua. Questa strana “pupa di pezza” fatta
in casa e coi capelli raccolti da un fazzoletto, indossava
un grembiule fornito di tasca, tra le mani reggeva il fuso
e la conocchia mentre ai piedi aveva un’arancia (o una
patata, o una mela; raramente una cipolla) in cui erano
conficcate sette penne. Tutti la conoscevano col nome di
“Coraìsima”, (cioè Quaresima) ed essa stava a
simboleggiare l’austerità, le privazioni e il digiuno.
Ancora oggi, in determinati ambienti rurali o nelle
piccole comunità agricole, una donna di fisico magro e
malandata nell’abbigliamento, viene dispregiativamente
definita “Coraisima”, come la cenciosa e brutta
protagonista femminile di certe farse popolari che, nel
pomeriggio di martedì di carnevale, venivano recitate nelle piazze di tutti quei paesi che affondano
le loro radici nella civiltà contadina.
In quegli stessi paesi le persone anziane ricordano e, con un velo di nostalgia per i tempi passati,
amano ancora ripetere la scherzosa filastrocca popolare in cui “Coraìsima” veniva descritta come
una grande e disordinata divoratrice, ma anche come un’imperdonabile bugiarda:
Coraìsima, codu stortu,
nci mangiau li cavuli all’ortu,
e l’ardica alla sipala
Coraìsima menzognara.
Con la variante (da noi registrata a Laureana, dalla viva voce di un’attempata Signora):
Coraìsima codu stortu
non dassasti cavuli all’ortu
e mancu frundi alla sipala
Coraìsima menzognara.
Quale che fosse il carattere di quella donna, la rustica bambola di stoffa che la rappresentava restava
appesa alla finestra per tutto il periodo della Quaresima e sabato di Pasqua veniva bruciata. Ad
Eranova (e in altri centri marinari) “Coraìsima” veniva seppellita nella sabbia sulla riva del mare
25
MAROPATI…e dintorni
mentre in altri paesi veniva lacerata pubblicamente in piazza. Le sette penne (tante quante sono le
domeniche del periodo della Quaresima) conficcate nell’arancia venivano tolte una ogni domenica,
e c’era tutto un rituale da compiere, con preghiere da recitare e la penna che doveva essere bruciata
o buttata distante dalla propria abitazione, quasi a voler allontanare dalla famiglia la carestia ed il
periodo di magra. Caratteristica principale di “Coraìsima” era il suo continuo dondolare. Bastava
un debole alito di vento perché la nera pupattola si spostasse da una parte all’altra, disegnando nel
vuoto un arco che, anche al più distratto dei passanti, richiamava alla memoria l’incertezza della
vita ed i possibili cambiamenti dell’uomo. Quel movimento ritmico, con valore quasi di una danza,
inoltre, nei tempi antichi ha sempre assunto il valore di un linguaggio sacro e profetico.
Secondo alcuni studiosi, l’esposizione della pupattola all’aria aperta, perché potesse oscillare al
vento, doveva essere intesa come il desiderio di purificazione dei peccati e, in particolare, del male
morale contratto durante le allegrie e le orge dei giorni di Carnevale. D’altra parte già Virgilio, nelle
Georgiche, si era soffermato a descrivere come nel culto agreste di Dioniso la purificazione
avveniva mediante l’oscillazione di piccole immagini che, appese ai rami di un pino, dondolavano
sotto il soffiare del vento. Nelle “Feriae Latinae”, poi, è ricordato che “avevano luogo feste popolari
in cui si appendevano oscilla agli alberi (…) come mezzo di scongiuro contro i mali influssi
spiritici e a vantaggio dell’agricoltura”. Quella della purificazione mediante sospensione al vento,
dunque, era tradizione già molto diffusa anche al tempo dei romani. Solo che col passare degli anni
e dei secoli e con la diffusione del cristianesimo l’oscillazione della pupattola abbandonò gli
originari significati scaramantici per assumere quelli di incitamento alla preparazione spirituale per
l’imminente festività pasquale. Il fuso e la conocchia per alcuni simboleggiavano l’operosità delle
nostre donne che sin da piccole venivano avviate proprio al paziente lavoro della filatura. In effetti,
quei semplici arnesi da lavoro, reminiscenza della mitologia classica, stavano a sottolineare come la
vita fosse sempre legata ad un sottile filo di lana che, anche nelle mani di un’esperta filatrice,
rischiava di spezzarsi da un momento all’altro. Elemento didascalico sulla fugacità della vita,
dunque, ma anche sulla precarietà del tempo se è vero che proprio il fuso e la conocchia stavano a
significare che il tempo della Quaresima e, quindi, dei sacrifici, veniva pur’esso ”filato”, vale a dire
“misurato” e contenuto nel breve spazio di quaranta giorni. D’altra parte a misurare questo tempo
c’erano anche le penne che, conficcate nell’arancia, venivano strappate col passare delle settimane.
Dunque il numero delle penne assumeva una funzione cronometrica; stava a scandire il tempo che
passa, quasi che si trattasse di un rudimentale quanto pratico calendario figurato. Ed è per questo
che le penne assumevano il valore ed il significato di un rituale antico, materializzavano il tempo
inteso come tempo passato e tempo ancora da passare, dando speranza alla vita e facendo guardare
con fiducia all’immediato futuro (il tempo del “dopo Quaresima”). Mentre nelle penne, dunque, era
simboleggiato il computo delle settimane, nel fuso e nella conocchia c’era il millenario simbolismo
della “Signora dei Destini” capace di regolare il destino dell’uomo, l’accadere degli eventi fino alla
regolazione dei corpi celesti ed al conseguente ordine dell’universo.
Ma la gente del popolo che, fino a qualche decennio addietro, si affrettava ad esporre alla finestra di
casa la pupattola di pezza pazientemente confezionata, non si chiedeva quali fossero le allegorie ed i
segreti significati delle parti che componevano la “Coraìsima”. Né si chiedeva quale fosse la genesi
storica di quella tradizione antichissima. Si limitava solo ad appendere la “pupa di pezza” perché
così avevano sempre fatto i genitori e, ancora prima, i genitori dei genitori. La appendeva perché
per quaranta giorni dondolasse al vento dell’incipiente primavera e perché, settimanalmente,
potessero “spennarla”, nella segreta speranza che, ultimata quell’operazione, essa potesse essere
apportatrice di benessere e, subito dopo i giorni dell’astinenza quaresimale, potesse assicurare un
anno di prosperità e di pace alla famiglia.
Dalle finestre delle case non penzola più la “pupa” confezionata dalle ragazze con ritagli di stoffa
nera e stracci inservibili e nelle cui mani sono stati posti il fuso e la conocchia. Il progresso ha
completamente cancellato l’antica tradizione, per cui di “Coraìsima” oggi parlano solo gli anziani e,
quanti, attratti dalle tradizioni popolari, amano scavare nel passato certi che, così facendo,
riusciranno a capire in maniera completa ed approfondita il vero animo dei nostri antenati.
26
MAROPATI…e dintorni
Maropati e Santa Lucia
Il culto verso Santa Lucia a Maropati è molto antico. Dagli Atti della visita del Vescovo di Mileto,
Monsignor Marco Antonio Del Tufo, del 4 novembre 1586, si appura che la chiesa era già esistente,
assieme a quella di S. Giovanni Evangelista e della matrice di S.
Giorgio; il parroco era Don Bruno Cordiano. 1
Delle due campane, quella più antica porta, sotto l’effigie della
Martire, la data 1635 e l’iscrizione <<Don Franciscus Guarrisi>>.
L’altro bronzo proviene dalla Chiesa del Rosario, distrutta dal terremoto del 1783 e mai più ricostruita, e porta, oltre all’immagine in
rilievo della Madonna del Rosario, la data 1677.
La Chiesa di Santa Lucia fu abbattuta dai vari terremoti, ma venne
sempre riedificata.
Il Flagello, il terribile terremoto del 5 febbraio 1783, la rase completamente al suolo. In una lettera datata 19 dicembre 1787 e ind irizzata dall’Arciprete Domenico Pino al Vescovo di Mileto, si legge: <<…attesto parimenti, col mio degnissimo giuramento, come
col Flagello non rimase illesa nessuna chiesa, ma tutte, così universali come sopradetto, furono rovinate quasi sino al suolo>> 2 .
Nei secoli passati era appellata anche <<Chiesa dei Cordiano>>, probabilmente perché a costruirla o a ricostruirla fu
uno della famiglia dei Cordiano, forse un Sacerdote.
La Chiesa di S. Lucia possedeva numerosi terreni: oliveti a
Carrubbara, Ciccarella, S. Nicola, ecc. 3
Nel 1860 nella chiesa esistevano due altari: quello della Madonna del Carmine e quello dell’Immacolata. Tra i Sacerdoti
che ivi officiavano, le cronache del tempo ne ricordano uno
morto in concetto di santità, Don Pasquale Filippo. Quando
celebrava la S. Messa piangeva per la commozione e sua sorella avvicinandosi lo confortava: <<Bonu, bonu, non ciangiti!>> 4
Il terremoto del 1908 causò il crollo del campanile. La Chiesa
venne, infine, rifatta e riaperta al culto negli anni 50, grazie
all’aiuto di un cittadino residente in America.
Nella Chiesa Matrice, intitolata a San Giorgio Martire è conservato un frammento osseo di Santa Lucia. La reliquia viene
esposta durante la celebrazione della festa che cade la prima
domenica dopo il 13 dicembre. È una solennità esclusivamente religiosa, senza le attrattive spettacolari delle feste estive, ma è sentita quasi come un tempo e richiama i devoti di tutta la Piana, soprattutto gli abitanti di Giffone, Feroleto, Plaesano, Anoia e Cinquefrondi. Non mancano i curiosi e
i gitanti della domenica, attratti dalla grande fiera, un tempo esclus ivamente di bestiame, di animali
da cortile e prodotti tipici calabresi.
(tratto da “Canti e Preghiere del Popolo Maropatese” di G. Mobilia)
1
Archivio Vescovile di M ileto (AVM).
Ibidem.
3
Cfr. Antonio Piromalli, Maropati, storia di un feudo e di una usurpazione, Brenner, Cosenza, 1978, 2003.
4
Cfr. Giovanni Mobilia, Il clero di Maropati dal 1700 ad oggi.
2
27
MAROPATI…e dintorni
IL CENACOLO
Su iniziativa di Bartolomeo Mercuri e utilizzando i locali ex asilo nido recuperati e adattati
dall’ing. Mangialavori, Sindaco della precedente Amministrazione, dal 2002 opera a Maropati
il Centro di Aggregazione Sociale Casa d’Accoglienza “Il Cenacolo”.
Bartolomeo Mercuri, Presidente del “Cenacolo”, mentre riceve la Targa del “Globo Cristiano”.
Da circa 4 anni funziona a Maropati, per volontà di Bartolomeo Mercuri e dell’ex Sindaco Ing.
Francesco Mangialavori, un’iniziativa fortemente umanitaria, rivolta all’assistenza quotidiana di oltre 200 extracomunitari.
La Casa d’accoglienza “Il Cenacolo” è diretta, con molta intelligenza e generosità, da un Consiglio
d’Amministrazione guidato dallo stesso Bartolomeo Mercuri. Due volte la settimana, martedì e venerdì, la sera, gli extracomunitari vengono spostati dal loro paese di domicilio della Piana, tramite
un autobus, a Maropati, nel Centro d’Accoglienza. Qui ricevono un pasto caldo completo, viveri,
vestiario e assistenza sanitaria; infine vengono riaccompagnati nelle loro case. I casi più complessi,
secondo le patologie, vengono smistati a vari specialisti della Piana che intervengono gratuitamente.
Uno di questi extracomunitari, un Bulgaro di nome Robert Calint, affetto da una brutta sindrome
cardiaca (Wolf- Parkin Wait) con crisi di tachicardia che superava i 200 battiti /min., dopo aver
fatto il giro degli ospedali della Bulgaria e di vari nosocomi italiani, è stato salvato grazie
all’intervento dei medici del Cenacolo che lo hanno indirizzato presso l’ospedale romano San
Filippo Neri, per l’intervento risolutivo del dott. Vincenzo Loiacono, cardiologo di quell’ospedale e
calabrese. Oggi Robert sta bene, restituito alla famiglia e al suo lavoro.
Un’altra ragazza focomelica, pure Bulgara, sarà portata presto a Bologna per l’applicazione di protesi dell’arto superiore.
Questa organizzazione umanitaria si regge per l’instancabile opera del signor Bartolomeo Mercuri
(conosciuto da tutti come “Bartolino”) e l’ausilio di un gruppo di volontari.
È necessario, però, che le Istituzioni diano al più presto un valido e duraturo aiuto per evitare che
questo meritorio servizio svanisca nel nulla.
28
MAROPATI…e dintorni
MAROPATI 1950-1995
Maropati deve ricordare i suoi Sindaci che hanno trasformato il paese.
Sotto la guida dell’avv. Giovambattista Cordiano è stato costruito l’acquedotto di Tritanti, opera
di grandissima importanza civile che aveva portato l’acqua potabile
Avv. Giovanni Gallizzi
nelle case e nelle vie della frazione. Prima, per dissetarsi, i Tritantesi dovevano scendere in una scoscesa lunga settecento metri. Successivamente fu costruita la rete fognaria.
Il periodo era difficile, perché mancavano i finanziamenti, così come nel periodo, non lungo, in cui furono Sindaci il prof. Domenico
Dimoro, il Dott. Giuseppe Larosa e il prof. Vincenzo Longo. Eppure sono riusciti a costruire le Scuole Elementari di Maropati e
Tritanti.
Il massimo di opere pubbliche si realizzò sotto la guida dell’avv.
Giovanni Gallizzi che fu sindaco dal 10 giugno 1968 all’aprile del
1995; nel frattempo, col sopravvenuto boom economico erano più
facili i finanziamenti ministeriali, anche perché aveva alle spalle il
PSI unito e forte, che incuteva rispetto e stima in Calabria e a Roma, e, inoltre, la presenza del fratello nel Comitato Centrale Socialista aveva creato ottimi rapporti con i ministri.
A questo bisogna onestamente riconoscere al Sindaco, oltre alla buona volontà, un’ottima capacità
politica e amministrativa.
In quel periodo, lungo quasi 27 anni, sono state costruite opere di grand issima importanza che hanno trasformato il paese: la strada Tritanti – Cantine Cordiano, la strada Tritanti – Cimitero – Statale,
la strada Pescàno, la strada Mòrvani, il ponte che unisce il quartiere S. Rocco con il Centro del paese, il prolungamento di Via D’annunzio fino a Via Roma con l’eliminazione del deposito di spazzatura e sporcizia dello “Scorciaciucci”, la difficile strada (molto costosa) che unisce Piazza Indipendenza con la Statale (cioè il Viale della Libertà), il Municipio vecchio in Via XXV Aprile (oggi sede della Fondazione “Fortunato Seminara”), l’inizio dei lavori del nuovo Municipio.
Ed ancora: strutture sportive, la Scuola Materna, il doppio acquedotto a Tritanti e a Maropati, il
campo sportivo di Maropati, la Casa di Riposo, poi utilizzata dalla Regione per ricoverare ammalati
cronici neuro-psichici (trasferiti dal manicomio di Reggio Calabria), l’istituzione della Fondazione
Seminara (insieme a Michele Politi e all’Amministrazione Provinciale), ecc.
È giusto che Maropati ricordi con una medaglia d’oro e una pergamena i Sindaci del passato e con
la titolazione di una strada a loro nome per quelli deceduti.
Per l’avv. Giovanni Gallizzi che ha amministrato il paese per il periodo più lungo, oltre alla medaglia d’oro, la redazione del giornale propone una delibera come Presidente Onorario della Fond azione Seminara e Difensore Civico del Comune.
LA REDAZIONE DI MAROPATI E DINTORNI
nel dare appuntamento al prossimo numero del periodico
AUGURA a tutti i lettori e ai cittadini una serena SANTA PASQUA.
COPIA
OMAGGIO
Scarica

e dintorni - L`Alba della Piana