ANNO II – N. 1 - GENNAIO-MARZO 2007
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ANNO II – N. 1 – GENNAIO-MARZO 2007
SOMMARIO
MAROPATI…edintorni
PERIODICOD’INFORMAZIONEDELLA
SEZIONENUOVOP.S.I.
DIMAROPATI
1
IO ACCUSO!
di Vincenzo Gallizzi
3
LE ARANCE DELLA SALUTE
di Fiorenzo Silvestro
5
LE CHIESE DI TRITANTI ALLA FINE DEL ‘500
di Giovanni Quaranta
7
LA PAGINA DEGLI ACROSTICI
di Domenico Cavallari
8
PER I DEMOLITI E GLI SGOMBRATI
di Fiorenzo Silvestro
9
IL MARCHESATO
di Giorgio Castella
Direttoreeditoriale:
Dott.VincenzoGallizzi
Redazione:
SezioneNuovoP.S.I.
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11
FRANCO SERGIO: IL PARTIGIANO ALIOSCIA
di Giovanni Mobilia
13
ANTONIO PIROMALLI
di Rocco Liberti
15
RICORDANDO ANTONIO PIROMALLI
di Domenico Cavallari
16
“ZZIPÀNGULI A PROVA”
di Domenico Scarfò
17
LA PRIMAVERA NELLA POESIA
di Luigi Massara
19
RICCHEZZE ARTISTICHE DA SCOPRIRE
AD ANOIA SUPERIORE di Marco Papasidero
21
LA QUESTIONE DELLO STEMMA COMUNALE DI
MAROPATI di Giovanni Quaranta
25
MONTALE E LA BRETAGNA, UN NUOVO CAPITOLO
di Vincenzo Pascale
IL CONTRIBUTO DEL PALERMITANO AGOSTINO
GALLO PER IL SERTO POETICO IN MEMORIA DI
OTTAVIA FAZZARI VALENSISE di Giovanni Russo
27
SUPPLEMENTO
FEDE E FOLKLORE NEI RITI DELLA SETTIMANA
SANTA IN CALABRIA di Umberto Di Stilo
MAROPATI … e dintorni
IO ACCUSO!
di Vincenzo Gallizzi
S
ono passati ormai quasi tre anni di
questa strana, allegra e fallimentare amministrazione comunale e non si
contano più i guasti che ha prodotto
nel tessuto sociale di questo paese,
che una volta era invidiato e stimato
per tutte le grandi iniziative intraprese
che avevano trasformato questa piccola cittadina in un punto di riferimento
provinciale e regionale, sia per lo sviluppo culturale che politico e per le
grandi infrastrutture realizzate.
Due assessori stanchi dell’insufficienza di questa amministrazione si
sono dimessi perché ogni iniziativa per
far migliorare il paese veniva stroncata
dal vicesindaco (sindaco come al solito
consenziente e sottomesso).
Maropati vive in una forma di apatia
generale, di indifferenza mista a nervosismo e malumore perché sono molto evidenti i segnali di illegalità di questa giunta che si regge solo per il silenzio-assenso delle
Istituzioni che
avrebbero il diritto-dovere di sciogliere
l’ amministrazione, evitando l’agonia e
la paralisi che durano da molto tempo.
Nessun altro paese della provincia
di Reggio Calabria vive calpestando le
leggi dello Stato come succede a Maropati con l’indifferenza della Prefettura e delle Istituzioni che portano a
radicare nella cittadinanza la convinzione che si può vivere nell’illegalità
senza che intervenga lo Stato per correggere e punire.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
Un mese fa abbiamo denunciato
concorsi banditi per favorire amici,
tanto che circolavano in maniera
scandalosa i nomi dei vincitori.
Anzi per un concorso è stato modificato il bando adeguandolo alla mancanza di titoli di uno dei possibili vincitori.
Il 9 marzo 2007 la Giunta comunale
dà incarico, con delibera, al vicesindaco di trovare, indicare e nominare un
tecnico per redigere il progetto per la
costruzione della sede della Fondazione Seminara (già finanziata dall’On.le
Zavettieri tre anni fa) e di una sala di
dibattito e rappresentazione delle opere dello Scrittore. Dopo pochi secondi,
una seconda delibera di Giunta, sempre del 9 marzo 2007, approvava il
progetto del consulente tecnico del vicesindaco (stipendiato dal Comune e
probabilmente, forse, pagato pure per
il progetto).
Se questo è legale, allora ogni cittadino ha il diritto di violare la legge ed
agire tutelando solo i propri interessi
personali.
Far credere che un progetto così
complesso può essere redatto in pochi
secondi e farlo approvare nella stessa
seduta di giunta è si o no una illegalità?
La risposta la vogliamo dal Prefetto,
dalla Procura della Repubblica e da
tutti gli uomini di buon senso.
E poi ancora…
1
MAROPATI … e dintorni
Nell’ultimo Consiglio comunale per
l’approvazione del bilancio di previsione, il vicesindaco (sempre lui!!!) ha fatto approvare dai sette consiglieri di
maggioranza (i sette dell’Ave Maria) un
progetto preliminare (redatto dal solito
compiacente amico?) per collegare viale Fortunato Seminara con via XXV
Aprile per convogliare nel depuratore
la rete fognaria e le acque reflue che
vanno nel vallone Scicalà, quindi una
strada fatta in galleria. Spesa prevista:
almeno 30 milioni di euro (sessanta
miliardi di lire)!!!
I pochi cittadini presenti, che hanno
capito che anche questa è una beffa, si
sono messi a ridere per la buffonata.
Chi potrebbe finanziare un’opera inutile che costa 60 miliardi? La strada
che collega viale Fortunato Seminara
con via XXV Aprile esiste, è comoda ed
è a scorrimento veloce: il tragitto di
quasi un chilometro si percorre in un
minuto. Oltre il danno anche la beffa!
Ormai si ride di Maropati perché si
pensa che oltre ai sette consiglieri siano diventati imbecilli anche gli altri
cittadini che permettono la sopravvivenza di questa Amministrazione che
tanto danno sta facendo alla credibilità e alla dignità dei maropatesi.
Un grido di allarme si leva ormai da
tutti i cittadini che amano il loro paese. La Prefettura e il Ministero
dell’Interno sono avvisati!
All’orizzonte, se continua ad essere
tollerato questo disprezzo della legge di
questi amministratori che ormai rappresentano solo sé stessi, i cittadini
pensano e vedono, come risposta, la
creazione a Maropati di una seconda
“Repubblica di Caulonia” per “cacciare
i Farisei dal Tempio” e ripristinare la
difesa delle Leggi.
All’On.le Giacomo Mancini
Carissimo Giacomo,
la mia solidarietà, la mia stima è quella di tutti i
veri socialisti, tutti intorno a Te per le grandi iniziative intraprese e per resistere alle minacce dei “soliti
ignoti” e alle diffamazioni di certa sinistra frettolosamente proiettata ad ostacolare l’ascesa meritata
del discendente di una grande famiglia socialista e a
rinverdire la gloria dell’On.le Pietro Mancini e del
grande On.le Giacomo Mancini, segretario nazionale
del P.S.I.
Con stima
Vincenzo Gallizzi
2
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
LE ARANCE
DELLA SALUTE
di Fiorenzo Silvestro
N
on so quanti, tra i cittadini di Maropati, si
siano veramente resi conto del danno che è stato
arrecato alla nostra comunità con l’incomprensibile ed assurda decisione di dire no alla costruzione della Pedemontana.
Sessanta miliardi di
vecchie lire. Era questo
l’importo del finanziamento che l’Unione Europea,
attraverso l’Amministrazione Provinciale di Reggio
Calabria, aveva stanziato
per la costruzione del tratto di Pedemontana ricadente nel territorio del nostro comune.
Queste sono – nel nostro caso erano – le cosiddette infrastrutture: opere
strategiche e per questo
indispensabili per tutte
quelle comunità che vogliono avviare processi di
sviluppo; è davvero triste
dirlo, ma noi vi abbiamo
rinunciato, con convinzione ed insistenza, perché
abbiamo ritenuto più importante
salvaguardare
alcune piante di arancio.
Ma al di là delle ragioni
che sul momento sono
state addotte per giustificare tale scelta, credo che
alla stragrande maggioranza dei nostri concittadini e soprattutto alle giovani generazioni, dovrà
essere dato conto dei come e dei perché i nostri
“manager di primo pelo”
hanno voluto privare Maropati di un’opera così
importante.
Degli
amministratori
normali, infatti, avrebbero
superato qualsiasi ostacolo pur di ottenere finanziamenti da destinare al
miglioramento della viabilità locale, i nostri, invece,
hanno respinto con ostinazione tali contributi, reputandoli altamente dannosi per la locale economia
oltre
che
per
l’ambiente.
Immaginate se gli amministratori del comune di
Bagnara, al tempo della
costruzione dell’autostrada SA-RC, si fossero opposti alla realizzazione del
ponte, o se quelli di
Mammola avessero impe-
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
dito la costruzione del
tratto di superstrada che
ricade nel loro territorio e
che porta sul versante ionico: le stesse opere
avrebbero perso di senso
in quanto si sarebbero notevolmente attenuati i benefici che, al contrario, ne
sono derivati dalla loro
completa realizzazione.
Così come le opere appena citate, il tratto della
Pedemontana che avrebbe
interessato il nostro comune
costituiva
uno
stralcio di un’opera molto
più grande ed importante
che era stata pensata, nella sua interezza, proprio
per creare quelle condizioni di crescita economica la cui mancanza ha da
sempre penalizzato i centri dell’entroterra. Inoltre,
bisognava guardare al futuro del nostro comune, ai
suoi possibili sviluppi nel
settore dei servizi, del
commercio, del turismo
rurale e persino della
stessa agricoltura nonché
agli interessi dei Maropatesi di domani, dei nostri
figli che, probabilmente,
3
MAROPATI … e dintorni
non immaginano il loro
futuro in campagna a raccogliere arance. Infine, bisognava considerare che
la maggior parte di quei
sessanta miliardi sarebbero stati spesi nel nostro
comune in mano d’opera,
forniture di calcestruzzi e
inerti, movimenti di terra,
noleggi di mezzi da cantiere, trasporti, carburanti
ecc. Diciamo pure che
qualcuno, per un bel pò di
tempo, avrebbe lavorato
incrementando i propri
redditi. Ma a tutto questo
avete detto no.
Avete detto si, invece,
con delibera di Consiglio
n. 04 del 23 gennaio
2006, all’acquisto di un
autocarro con gru e di un
bob-cat, indebitando senza alcuna necessità il comune attraverso la contrazione di un mutuo con
la Cassa Depositi e Prestiti per un importo complessivo di 175.000,00 euro: scusate, ma per fare
cosa, l’impresa di costruzioni? Non c’è niente, se
non una errata valutazione dei bisogni e delle priorità della nostra comunità
che giustifichi un tale assurdo investimento.
La cosa ancora più triste è che con il continuo
ricorso all’indebitamento
state irreversibilmente ed
inutilmente ingessando il
bilancio dell’ente, impegnando queste somme
non per sostenere nuove
4
iniziative o per creare
nuovi posti di lavoro (come avevate promesso in
campagna
elettorale),
bensì per acquisire beni
dai quali non solo non ricaveremo alcun beneficio,
ma il loro utilizzo creerà
condizioni di svantaggio
ulteriore per le piccole imprese locali, che si vedranno costrette ad eliminare dal loro elenco-clienti
anche l’amministrazione
comunale.
Ma tornando alla strada, ed in particolare alle
diverse problematiche sorte nella fase preliminare e
che tanto hanno acceso il
dibattito politico maropatese, credo che sarebbe
stato necessario proprio in
quella fase ed al solo fine
di non perdere il finanziamento, esprimere un
parere favorevole e senza
condizioni; tutti gli altri
problemi (il tracciato, i piloni, la valle di Jola, il rilevato, lo sbancamento, la
provincia, il comune, e
non vorrei dimenticare le
tanto amate arance) potevano essere risolti anche
dopo avere appaltato i lavori, con una o più varianti da far approvare in corso d’opera. In ogni caso la
strada andava realizzata.
Quello che disorienta ed
al contempo scoraggia i
cittadini è che nessuno
all’interno della maggioranza consigliare ha sostenuto un’altra tesi o ha
ritenuto comunque di dissentire dalla linea tracciata dai maggiorenti: tutti
d’accordo.
Tutto questo ci riporta
indietro nel tempo e precisamente al lontano 16
gennaio 1888 quando il
Conte di Riva così descriveva l’attività del Consiglio
comunale di Maropati:
«Quel che il sindaco fa è
ben fatto; e gli altri battono
le mani ed applaudiscono
a quell’uno, seguendolo
“veluti pecora quae natura
prona atque ventri oboedentia finxit” direbbe Sallustio».
È proprio questa vostra,
come
definirla…
sudditanza psicologica…,
che ha consentito a
quell’uno di emergere,
anche troppo, ed a tutti
gli altri di precipitare
nell’abisso dell’anonimato
(Sindaco compreso).
L’atteggiamento
fin
troppo
remissivo
di
quest’ultimo poi, se da un
lato potrebbe apparire
come il prodotto di una
scelta ponderata e consapevole, dall’altro ha finito
inevitabilmente per frustrare il sostegno e le
aspettative dei suoi personali elettori, i quali non
potevano certo prevedere
una così decisa quanto
imbarazzante involuzione.
Di tutto questo però, io
personalmente, vi sono
grato.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
LE CHIESE DI TRITANTI
ALLA FINE DEL ’500
di Giovanni Quaranta
A
lla fine del ‘500, Tritanti costituiva il casale più piccolo della baronia di Anoia che era
soggetta alla signoria feudale della famiglia Ruffo di
Sinopoli mentre, dal punto di vista ecclesiastico,
era assoggettata all’autorità del vescovo di Mileto.
Il 4 novembre 1586, il
piccolo borgo ricevette la
visita del presule miletese
Mons. Marco Antonio Del
Tufo il quale, accompagnato dal protonotario
Mons. Giovanni Comparino, si apprestò ad effettuare la S. Visita delle chiese del casale.
Gli atti1 riportano che la
prima chiesa ad essere visitata fu la parrocchiale
sotto il titolo di Santo Filogeni la quale fu ritrovata
essere stata consacrata e
così anche l’altare maggiore come apparse per croci
segni et sugelli. L’altare era
adornato con tre tovaglie,
due candelieri e avanti altare di tela morella2, al di
sopra era sistemata una
custodia di legno di fuori
indorata dentro la quale si
trovava un vaso di legno
dove era conservato il SS.
Sacramento.
Al cospetto del vescovo
si presentò don Vincenzo
Condò il quale disse di essere cappellano dell’università, e di servire la detta parrocchiale perchè è
povera e senza entrata
alcuna e gli eletti e
l’università hanno pensiero
perchè non ha altro che la
comunanza di dieci tumuli
di grano germano e, inoltre, aggiunse che la stessa parrocchiale possedeva
solo una casa terrana ed
orticello dietro la detta
chiesa e un piede di gelso.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
Non mancò di enumerare i suppellettili sacri che
erano tutti conservati dal
cappellano e consistevano
in: una croce di legno dorata con la tovaglia, un
calice con la coppa e la
patena di argento, una
pianeta di damasco paonazzo3, un’altra di tela
bianca, due camici forniti
di ogni cosa, un messale,
un paio di ferri per fabbricare le ostie, un candeliere di ottone, quattro tovaglie ed una cassa.
5
MAROPATI … e dintorni
Il vescovo ordinò a Felice Condina e Consalvo
Seminara, eletti del casale, che nel termine di due
mesi, si provvedesse a
guarnire la custodia dalla
parte di dentro di taffità
carmosino e di fare un vaso di argento per il SS. Sacramento. Riscontrò che
gli olii santi si conservavano dentro la custodia in
vasi di stagno.
Fu dato mandato al
cappellano, sotto pena arbitraria, di conservare il
vaso con gli olii santi nella
sacrestia dentro un armadio a muro chiuso a chiave, che nella visita agli infermi gli stessi olii dovevano essere trasportati
dentro una scatola di avorio (o di altro materiale
consimile) coperta con un
drappo di seta, e la bambace4
utilizzata
per
l’unzione degli infermi dopo essere stata riportata
in chiesa doveva essere
bruciata e le ceneri riposte
nel sacrario.
Visitò il fonte battesimale e ritrovò che l’acqua
era conservata dentro un
vaso di creta.
Ordinò agli eletti presenti che entro il termine
di sei mesi si facesse un
fonte di marmo o di altra
pietra dura che non fonda, e sopra una custodia
di legname di sotto guarnito di piastra di rame
stagnata e sopra una cupola seu truglia di tavole
con le sue porte et chiavi et
in quello debbia5 conservare l’acqua battesmale.
6
Sopra l’altare maggiore
vi era un quadro fatto in
tela con l’immagine della
Madonna SS.ma, di San
Rocco, San Sebastiano e
San Pietro. La chiesa era
a intera pianta piana, con
sepolture, con due porte
con serrature e chiavi,
fonte di acqua benedetta,
due campane sonanti ed
un confessorio di legname.
In seguito mons. Vescovo visitò l’altra chiesa sotto il titolo di San Nicola la
quale non era stata consacrata
e
nemmeno
l’altare. Quest’ultimo - sopra il quale c’era un grande crocefisso fatto in tavola - era adornato di tovaglie, due candelieri ed
avanti altare di panno
giallo. Asserirono non possedere cosa alcuna di entrata, perchè si serve con li
vestimenti della parrocchiale,
e
che
era
l’università a farla servire
di elemosine sostenendo il
peso della celebrazione di
una messa la settimana.
Aveva una campana so-
nante, era coperta a tetti
ed aveva la porta con serratura e chiave.
La successiva chiesa visitata fu quella di San Sebastiano, la quale fu ritrovata consacrata e così
anche l’altare come apparve per segni croci et
sugelli
e
Relazione.
L’altare era adornato di
tre tovaglie, due candelieri
ed avanti altare di tela
bianca e sopra vi era un
quadro fatto in tavola con
l’immagine della Madonna
SS.ma, di San Nicola e
San Sebastiano. Dissero
non avere cosa alcuna di
entrata e che si dice una
messa la settimana e si
serve con li vestimenti della parrocchiale. La chiesa
era lastracata; aveva due
sepolture, un crocefisso attaccato ad una trave, fonte
d’acqua benedetta, porta
con la serratura e due
campane sonanti. Fu ordinato di fare una crocetta di
legno sopra l’altare.
A conclusione della visita, fu ordinato al cappellano della parrocchiale
che debbia continuare la
dottrina
cristiana
et
esporre alcuna parola del
santo evangelio secondo
la sua capacità e debbia
far guardare le feste.
Note:
1ARCHIVIO
STORICO DELLA
DIOCESI DI MILETO, Sante Visite, vol. IV, pp. 799v-801v.
2 Di colore tendente al nero.
3 Di colore tendente al violaceo.
4 Bambagia, cotone in fiocchi.
5 Deve.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
LA PAGINA DEGLI ACROSTICI
di Domenico Cavallari
U
n acrostico (dal greco tardo akróstichon, composto di ákros, «estremo» e stíchos, «verso») è
un elaborato poetico in cui le lettere o le sillabe o le parole iniziali di ciascun verso formano
un nome o una frase, a loro volta denominati acronimo. In origine l'acrostico aveva probabilmente una funzione magica.
Si possiedono esempi di acrostici già in composizioni sacre babilonesi, per esempio quella che
presentava così il nome del suo autore: «Saggil-kinam-ubbib, sacerdote degli incantesimi di Babilonia». Altri esempi di acrostici dell'antichità sono alcuni Salmi della Bibbia, i cosiddetti "Salmi alfabetici" in cui l'inizio di ogni verso presenta, nell'ordine, tutte le lettere dell'alfabeto (Salmi 25,
34, 119).
I più antichi esempi di acrostici in greco risalgono ad Arato e a Nicandro; vi sono numerosi acrostici tra gli epigrammi dell'Antologia Palatina e nell'opera di Dionisio il Periegeta.
Nella letteratura latina, Cicerone testimonia che Ennio fu autore di acrostici; più tardi gli argomenti in versi delle commedie di Plauto, presentano in acrostici il titolo delle commedie stesse.
Fra i poeti cristiani, acrostici furono composti da Commodiano nelle sue Instructiones.
La tradizione dell'acrostico continuò nel Medioevo e poi nella letteratura italiana: molto famoso
è l'acrostico costituito dai capoversi delle terzine dell'Amorosa visione con cui il Boccaccio dedicò
l'opera a Maria d'Aquino.
Celebre è anche la scritta "Viva VERDI" che i patrioti italiani utilizzavano, durante il Risorgimento, per significare Vittorio Emanuele Re D' Italia.
Maropatesi, della nostra bella terra innamorati,
Amano ravvivare eventi e fatti dimenticati,
Riescono con sacrificio di tempo e denaro,
Ovviare, con fattività, ad ogni comportamento avaro.
Professionisti con la giornata già impegnata,
Agiscono con ammirevole volontà integrata.
Tanti altri paesani, previsti, sono dei detrattori,
Impegnati a criticare. Aridi nelle menti e nei cuori.
È bene aiutare, invece, questi pochi volenterosi,
Dando qualsiasi apporto, essere quindi operosi.
In diecimila e più siamo i Maropatesi emigrati,
Non dobbiamo ritenerci esclusi come dimenticati,
Tutti dovremo concorrere all’iniziativa, affiatati.
Operando in pieno, per non sentirci emarginati.
Riuniamo le nostre forze miei cari paesani,
Non restiamo inattivi: muoviamo menti e mani,
Inviamo sostegni, per dare a Maropati, un migliore domani.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
7
MAROPATI … e dintorni
CRONACHE DAL COMUNE
PER I DEMOLITI E GLI SGOMBRATI
di Fiorenzo Silvestro
C
on delibera n. 83 del 14/12/2004 la
giunta comunale di Maropati ha
provveduto a modificare il Regolamento
sull’Ordinamento degli uffici e dei servizi
al fine di poter attribuire ad uno o più
componenti dell’organo esecutivo la responsabilità di uffici e servizi ed il potere
di adottare atti anche di natura tecnica e
gestionale: a seguito di tale modifica il
Sindaco ha attribuito all’assessore Fiorello la responsabilità dei servizi tecnici e
tecnico manutentivi. In merito a tale incarico intendo far rilevare (soprattutto a
chi è direttamente interessato) che lo
stesso è stato assunto in evidente contrasto con quanto disposto dagli artt. 61
e 62 dello Statuto comunale che, in merito, così dispongono: Art. 61 c. 1 “Il Comune disciplina con appositi atti la dotazione organica del personale e, in conformità alle norme del presente statuto,
l’organizzazione degli uffici e dei servizi
sulla base della distinzione tra funzione
8
politica e di controllo attribuita al consiglio
comunale, al sindaco e alla giunta e funzione di gestione amministrativa attribuita
al direttore generale e ai responsabili degli
uffici e dei servizi”.
Art. 62 c. 2 “I regolamenti si uniformano al principio secondo cui agli organi di
governo è attribuita la funzione politica di
indirizzo e di controllo…; al direttore e ai
funzionari responsabili spetta, … la gestione amministrativa, tecnica e contabile
secondo principi di professionalità e responsabilità”.
Risulta evidente, pertanto, che le modifiche
apportate
al
Regolamento
sull’Ordinamento degli uffici e dei servizi
con la delibera sopra citata sono nettamente difformi dai principi espressi dal
nostro Statuto, ai quali, invece, il Regolamento dovrebbe uniformarsi per espressa previsione.
Sulla base delle considerazioni esposte
ed in conformità alle norme statutarie
sopra richiamate che, lo ricordo a me
stesso, sono sovraordinate a quelle regolamentari, permane l’impossibilità per il
Consigliere Fiorello di ricoprire l’incarico
di Responsabile dei servizi tecnici e tecnico manutentivi, almeno sino a quando il
Consiglio non provvederà a modificare lo
Statuto comunale.
Non pochi dubbi sorgono, infine, anche in merito alla regolarità dei provvedimenti adottati dallo stesso in tale
veste.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
IL MARCHESATO
di Giorgio Castella
l’inverno fu
Quell’anno
lungo; spesso nelle ore
pomeridiane mi recavo
presso la casa dei miei
nonni materni a “Fantino”.
Era costruita con mattoni di creta e pitturata
bianca; all’esterno vi era
una pianta di quercia con
i rami molto estesi e un
fusto secolare.
La casetta aveva forma
geometrica
rettangolare,
composta da tre stanze: la
prima matrimoniale, arredata da un letto sul quale
non riuscivo a salire, in
quanto i materassi pieni
di foglie di granturco erano molto alti, da un angoliera di castagno, un comò
di noce e un baule che
mio nonno aveva portato
dall’America
durante
l’emigrazione. Nella seconda stanza, in un angolo della parete, vi era un
letto e poi tante giare per
conservare l’olio. La terza
stanza era adibita a cucina. Oltre al forno per fare
il pane, vi era un grande
focolare circondato da
panche di castagno dove
prendevamo posto tutti i
nipoti; spesso ci divertivamo con un soffietto fatto
di canna a soffiare sul
fuoco per vedere la fiamma più alta, ma spesso,
prendendo troppo fiato,
facevamo volare la cenere.
Ricordo che avevo i capelli molto folti e mi grattavo la testa; mia nonna
Concetta,
vedendomi,
prendeva un pettine che
aveva i denti strettissimi e
iniziava
a
spettinarmi
poggiandomi la testa sopra un foglio di carta; nel
pettinarmi cadevano tanti
pidocchi che poi buttava
insieme alla carta nel fuoco, lo scoppiettìo che provocavano mi dava la sensazione che fossero dei
fuochi pirotecnici.
Avere i pidocchi era un
fatto normale che impegnava mamme e nonne a
spidocchiare figli e nipoti.
La mamma di un mio
compagno dai capelli ricci,
non potendo sottoporre il
figlio al pettine stretto, era
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
costretta a prendere la
pompa riempita di DDT
per innaffiargli la testa.
Giunta l’estate, mio padre mi conduceva da
mastr’Angiolino, il barbiere che si trovava in Piazza
Castello, che mi faceva un
taglio cortissimo: finalmente, sentivo la testa che
mi respirava e per la gioia
infilavo il capo sotto il getto della fontana che si trovava al centro della piazza.
Quanti ricordi! … le case, gli alberi, i tuguri, i vicoli, i viottoli…
La strada più breve per
raggiungere le campagne
si trovava all’estremità del
paese ed era conosciuta
come “la Petraia”, in contrada Donna Cà.
Nel
periodo
estivo,
quando diventava buio,
non vedendo giungere mio
9
MAROPATI … e dintorni
padre dalla campagna mi
preoccupavo e gli andavo
incontro aspettandolo impaziente seduto su un
sasso, proprio sulla “Petraia”, e gioendo appena lo
intravedevo.
La Petraia era una strada fatta di sassi, ripida e
larga, che congiungeva il
paese con il torrente Eja e
con la Provinciale. Era
continuamente
percorsa
da mulattieri e contadini
che si recavano, in modo
particolare, nelle terre del
Marchese: campi fertili e
pianeggianti che producevano agrumi, olio, frutta e
vino. Il latifondo che si
estendeva per decine di
chilometri, veniva attraversato da una strada diritta e polverosa con ai
bordi grossi pioppi.
Mio padre aveva deciso
di andare nel nostro piccolo vigneto a solfatare
l’uva contro i parassiti.
Era un lavoro che doveva
svolgersi al mattino presto, altrimenti i raggi del
sole facevano volare lo zolfo creando arrossamenti
agli occhi.
Quel giorno mi svegliai
di buon mattino e andai
con mio padre. A passo
svelto ci avviammo verso il
vigneto. Giunti nelle vicinanze, la strada che faceva da confine con le terre
del Marchese era bloccata
da uomini e donne che
avevano in mano dei cartelli dove era scritto:
«OGGI SCIOPERO GENERALE! BASTA CON I
SALARI DA FAME! RI-
10
SPETTO DELL’ORARIO DI
LAVORO!».
Dopo una breve conversazione con gli scioperanti, ci fecero passare;
mio padre promise che, finito di solfatare il vigneto,
si ritornava indietro.
Al nostro ritorno la
strada era affollata di
braccianti provenienti dai
paesi limitrofi; si era formato un lungo corteo che
si congiungeva con la
strada provinciale.
Alla testa del corteo vi
erano le bandiere rosse
delle Camere del Lavoro di
Galatro, Feroleto, Anoia e
Maropati e tanti cartelli.
Ad un tratto si levò un
canto delle donne che faceva eco in tutta la vallata; poi un coro di voci che
urlava: «Basta con lo
sfruttamento!». Il corteo
accompagnato dallo sventolio delle bandiere rosse,
si diresse verso la palazzina di campagna del Marchese; il suo accesso era
impedito dai fattori e dalle
Forze dell’Ordine.
La strada era ormai
strapiena di scioperanti
che spingevano verso il
cancello, reclamando con
forza diritti dovuti.
Dopo una lunga attesa,
una delegazione delle Camere del Lavoro fu ricevuta dal delegato del Marchese e dagli agrari del
territorio.
Mentre le trattative erano in corso, uomini e
donne cantavano i canti
del movimento operaio e
discutevano
delle
loro
condizioni di vita.
La delegazione ritornò
dopo diverse ore. C’era
grande attesa tra i lavoratori che, vedendoli arrivare, si accalcarono intorno
desiderosi di sapere. Il Segretario della Camera del
Lavoro salì su un sasso
che si trovava ai bordi della strada prese dalle tasche della giacca nera di
velluto un foglio di carta
dove
c’era
sottoscritto
l’accordo con i rappresentanti degli agrari. Nel silenzio assoluto e volti ansiosi e attenti, il Segretario
della Camera del Lavoro
con voce alta illustrava
punto per punto l’accordo
sottoscritto. Alla fine si levò un gran sussulto di
gioia: «Abbiamo vinto, abbiamo vinto!»
La vittoria dei braccianti preoccupò il Marchese e
gli agrari che decisero di
assumere dei guardiani
con il compito di controllare quei lavoratori impegnati nelle lotte sindacali
ed impedire nuovi scioperi.
In tutti i paesi della
Piana si parlò della manifestazione sindacale al
marchesato e di come si
era riusciti ad ottenere
l’aumento salariale e il rispetto dell’orario di lavoro.
Da quel risultato le
Camere del Lavoro si apprestavano a nuove lotte
sindacali, sfidando l’arroganza dei guardiani pagati
per sottomettere la povera
gente.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
FRANCO SERGIO:
Il partigiano Alioscia
di Giovanni Mobilia
P
ochi, a Maropati, conoscono la storia
del partigiano Franco Sergio a cui il
Comune ha dedicato, nel 1981, la Piazzetta un tempo intitolata a S. Lucia.
Il motivo della scelta sta nel fatto che
proprio lì, in una casetta oggi abbandonata, egli visse parte della sua vita.
Oggi, ne ricordano le gesta le parole
sintetiche ed espressive scritte su una
lapide:
IN QUESTA CASA VISSE FRANCO SERGIO,
PARTIGIANO COMBATTENTE CADUTO SOTTO IL
PIOMBO NAZI-FASCISTA IL 15/02/1945
A SERRAVALLE LANGHE (CN).
FULGIDO ESEMPIO DI SCELTA POLITICA E
DI SACRIFICIO DA ADDITARE
ALLE GIOVANI GENERAZIONI.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
Francesco Michele Natalino Sergio,
questo era il suo nome completo, nacque
il 25 dicembre 1919 nella vicina Cinquefrondi.
I genitori si trasferirono per lavoro ad
Anoia, mentre lui rimase con la nonna a
Cinquefrondi, dove imparò il mestiere di
calzolaio che gli procurò da vivere.
Più tardi, con la famiglia, venne ad
abitare a Maropati, in Piazza S. Lucia,
dove visse fino alla chiamata alle armi.
Dal Foglio Matricolare e dagli studi di
Nuccia Guerrisi si scopre che partecipò a
diverse operazioni belliche e venne congedato il 1° maggio del ’39. Fece subito
domanda per partire volontario e quasi
sei mesi dopo, con il grado di sergente,
venne mandato a Casale Monferrato e nel
1941 partì per Tripoli, in Libia.
Non mancano da quel momento gli atti di
coraggio ed eroismo nel contatto continuo con la morte. In uno di questi, nel
tentativo di salvare un commilitone, che
aveva preso fuoco per lo scoppio di un
bidone di benzina, rischiò di morire per le
ustioni riportate.
Dopo due mesi di continui ricoveri in
ospedali militari tornò a Maropati con
una licenza di convalescenza di quattro
mesi.
Il 22 maggio del 1944 disertò dal Regio
Esercito e si arruolò con i partigiani della
“VI Divisione Garibaldi Langhe” al comando del tenente di cavalleria Giovanni
Latilla detto Nanni, con il nome di battaglia “Alioscia”.
Durante un rastrellamento venne però
catturato e, trovato armato, condannato
alla fucilazione. La pena poteva essere
molto mitigata se avesse parlato, se aves-
11
MAROPATI … e dintorni
se rivelato il luogo dove erano nascosti gli
altri partigiani (circa 20). Ma Franco Sergio non parlò.
Dopo uno spicciativo processo tenutosi
in una stanza del Municipio di Serravalle
Langhe (CN), il 14 febbraio del 1945, alle
ore 15, venne portato davanti al muro del
camposanto e fucilato.
Oggi, il suo corpo riposa nel piccolo
cimitero di Maropati in un piazzale che
potrebbe chiamarsi “degli Eroi”, accanto
al Recinto della Memoria, dove riposano
altri uomini illustri di Maropati, a testimonianza che i grandi ideali di pace, libertà e giustizia nascono dalle menti, si
propagano con le parole e si perpetuano
con gli atti d’eroismo.
L’URTIMU NGUSCIU
CUNTRA LU PATRUNI
Mentendu pedi ‘mbandu a nu senteri,
Nu ciucci orbu e carricu, nciampau.
Senza sapìri undi sbatti o speri,
Sberzàu, s’arrumbulàu … si scafunàu!
Ma sutt’a lu cafùni poi nchiumbàu
A l’anch’allàriu sup’a nnu pileri,
Cu la catreva rrutta, e… nguscijau…
Povaru sbenturatu di sumeri!
Lu patruni, sciancatu, mpasamau!
E gridandu: isci ccà, lu rincurrìu
E di la cuda, nterra, l’acchiappàu.
Lu ciucciu, chi la vuci canuscìu,
Sbuffàu natru ngusciùni… e s’astutàu!
Lu ciucciàru… la cud’abbandunau!
Cu sa? cu chiju ngùsciu chi scramàu
Lu ciucciu, ntra la testa chi pensàu!
(Pasquale Creazzo)
12
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
ANTONIO PIROMALLI
(Maropati 1920 - Polistena 2003)*
di Rocco Liberti
C
ol prof. Piromalli, scrittore in particolare di letteratura calabrese e
italiana, ispettore ministeriale, docente
di filologìa e storia all’università di
Cassino, ho avuto il primo incontro ad
Oppido in casa di mons. Pignataro in
sulla metà degli anni ’60, ma non so
dirne la data esatta.
Subito dopo gli avrò inviato il mio
lavoro su Gioia Tauro, se con una cartolina senza data (non si rileva nemmeno dal timbro postale) teneva a ringraziarmi. Nel prosieguo mi è capitato
di rivederlo a Palmi in occasione di un
corso da lui tenuto al Comune ed in
qualche convegno organizzato dalla
Deputazione di Storia Patria a Reggio.
Così ad un bel momento, vengo a leggere in un suo articolo apparso sul periodico “Gazzettino del Jonio” con titolo
“Lettere vanitose” (16 marzo 1972) e
appresso nell’omonimo volume1:
Un ottimo opuscolo è Oppido e Tresilico nei registri parrocchiali di Rocco Liberti (estr. da Studi Meridionali 1971),
puntuale, attento ai fatti generali e ai
documenti, informato, equilibrato. Noi ci
auguriamo che il Liberti allarghi le sue
indagini agli altri paesi della Piana e
pensi a un’opera complessiva.
Successivamente, in data 10 aprile
1976 il prof. Piromalli, trovandosi ad
attendere ad una monografia sul paese
natale, mi richiedeva copia di miei lavori stimati utili alla sua opera e, cioè,
“Gioia Tauro”, “Folklore di Calabria” e
“Le terre e i paesi della Piana di Gioia
Tauro nel periodo di transizione bizantino-normanno”. Cosa che feci, ma con
susseguente lettera del 16 giugno
1977, replicando d’inviargli quanto a
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
mio parere gli sarebbe riuscito utile,
teneva a dirmi che avevo ragione per
Rocco De Zerbi, in quanto l’assistente
gli aveva saltato il lavoro di schedatura. Non rammento in merito quale fosse stato il mio riscontro precedente.
Probabilmente, aveva attinenza con
quanto da lui non scritto sul noto uomo politico e scrittore nella “Storia della letteratura calabrese” appena edita
in 2a edizione.
Dopo alquanto tempo ho ricevuto
una illustrata datata 6 gennaio 1982 da
Roma, dove il professore risiedeva, con
la quale, con calligrafia quasi impossibile a decifrarsi, mi faceva pervenire il
suo grazie per una recensione ad un
volumetto che riportava le composizioni
del poeta polistenese Vincenzo Rovere,
al quale aveva premesso una sua prefazione. Quindi, mi richiedeva ancora copia del mio lavoro “Folklore della Calabria”, di cui avrebbe trattato in un convegno che si sarebbe svolto in Romagna, ma il volume era andato presto esaurito. Sono trascorsi ancora un buon
numero di anni, quando con altra cartolina del 18 gennaio 1986 è venuto a
domandarmi notizie su Andrea Mazzitelli, noto patriota di Parghelia, avendo
13
MAROPATI … e dintorni
letto una mia recensione ad un libro
che ne trattava. Aveva scorto la nota in
“Calabria Letteraria” frettolosamente in
treno, dove l’aveva pur lasciata distrattamente. C’era in lui, comunque,
l’intenzione di richiedere copia della
pubblicazione. Parimenti voleva informazioni sulla circostanza che l’abate
Jerocades fosse stato ad Oppido intorno al 1775, ma sicuramente, come poi
gli ho comunicato, equivocava con Gregorio Aracri.
L’1 giugno 1989 il prof. Piromalli,
avendone avuto sentore, è venuto a
chiedermi il lavoro dal titolo “Sanfedisti, giacobini e briganti nella Piana di
Gioia” adducendo a motivo ch’egli
stesso si stava occupando del medesimo argomento. Me ne ringraziava il 9
agosto e, segnalandomi qualche imprecisione, teneva a
giudicare l’opera un
ottimo contributo per
le novità riguardanti
la Piana. Domandava anche maggiori lumi su Francesco Antonio Grimaldi. Dopo tanto
tempo mi ha ricontattato l’8 marzo del 1999, quindi dopo
ben 10 anni, pregandomi di voler effettuare per lui col tempo una ricerca
presso l’archivio di stato di Palmi al fine di conoscere se gli atti del notaio
Pasquale Jaconis di Maròpati rivestissero un qualche valore storico. Gli sarebbe stata sufficiente anche la sola
descrizione del contenuto. Inutile dire
che mi son fatto un dovere di provvedere
sollecitamente
al
desiderio
dell’amico, ma la mia fatica si è resa
purtroppo infruttuosa. Comunque, egli
veniva come di consueto e cioè con la
scarsamente leggibile cartolina a ringraziarmene. Questo il suo riscontro:
sono tranquillo perché Lei della nostra
Piana ha visto tutto. Contemporanea-
14
mente esprimeva gratitudine per due
lavori che gli avevo inviato e mi avvisava dell’uscita di una rivista da lui diretta. Si trattava di “Letteratura & Società”
avviata
proprio
nell’anno
dall’editore Pellegrini, di cui mi invierà
poi i primi due numeri.
Ancora un periodo senza riscontri. Il
30 maggio 2002 si rifaceva vivo da Rimini informandomi che in un convegno
ivi tenuto si è parlato molto della storia
di Aiello e, chiedendomi di riferirgli
qualcosa in merito. Reiterava il 2 agosto sempre da quella città e così si esprimeva in merito al mio volume sulla
storia di quell’antico centro, di cui il
Comune gli aveva inviato copia fotostatica: È un ottimo lavoro, rigoroso, completo, aperto ai collegamenti con la storia italiana. Ottima
la trattazione della
famiglia dei Cybo
che mi interessa per
taluni studi che
conduco da tempo
sulla
cultura
di
Massa, Carrara e
della Lunigiana. In
particolare, teneva
a
domandarmi
maggiori lumi su
alcuni personaggi ed un parere in merito a qualche sua interpretazione.
Ho visto per l’ultima volta il prof. Piromalli il 14 aprile 2003 a Taurianova,
dove si era recato per la presentazione
del volume che raccoglie le opere latine
di Francesco Sofia Alessio ed è stato
un incontro particolarmente caloroso,
documentato da una fotografia scattata da un’amica, che, purtroppo, non
sono riuscito mai ad avere. Ne ho approfittato per fargli dono di un paio di
pubblicazioni di suo interesse. Veniva
a ringraziarmene il susseguente 8
maggio e, dicendosi più di tutto contento dell’incontro fatto, mi avvisava
che stava per andare in Romagna. Dopo appena un mese, il 7 giugno deceAnno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
deva inopinatamente a Polistena, mentre
si recava all’ennesimo convegno culturale.
Piromalli, che ha pubblicato importanti
studi di letteratura italiana di carattere
nazionale (parecchio considerata l’opera
La cultura a Ferrara al tempo di L. Ariosto2, ha prodotto varie opere d’interesse
calabrese, come Fortunato Seminara3, La
letteratura calabrese, ch’ebbe tre edizioni4, Antologia della letteratura calabrese5.
Nel 1978 dava alle stampe con Brenner
in Cosenza una ben documentata monografia sul paese natale, appunto, Maropati con sottotitolo Storia di un feudo e di
un’usurpazione.
Note:
Rubbettino, Soveria Mannelli 1985, p. 26.
Firenze 1952.
3 Pellegrini, Cosenza 1966.
4 Ivi 1965; Guida, Napoli 1977 ed ancora Pellegrini in 2
tomi 1996.
5 Assieme a Carmine Chiodo, Pellegrini 2000.
1
2
Foto a pag. 13: L’autore (a sinistra) con il Prof. Antonio
Piromalli (a destra).
Foto a pag. 14: Il Prof. Antonio Piromalli, qualche minuto prima della conferenza tenuta nel Salone Municipale di Taurianova. Assieme a lui: Ciccio Modafferi,
Giovanni Russo, Enzo Agostino e Rocco Liberti.
(*) Pubblicato in «Storicittà», XIV (2005), n.136,
pp. 58-59.
Le foto sono tratte dal sito internet
www.polistenaonline.it
RICORDANDO ANTONIO PIROMALLI
di Domenico Cavallari
stato mio insegnante di materie letterarie.
Lui, citando un libro di mio nonno (Giuseppe Cavallari)1 e riferendosi a Maropati,
era solito dire:
“Il più umile seno di mare, ha le sue tempeste come l’oceano”.
Usava la penna come un cesello, sia nel recensire le opere di Seminara, che nella sua
esaustiva monografia storica di Maropati.
È
Piromalli fu un esaustivo e un chiaro scrittore,
In ogni sua opera ha, per Maropati, un cenno d’amore.
Ricorda i fatti storici, con completa documentazione,
Ora del proprio paese, ora dello Stato e della Regione.
Maropati ha nel suo nome fatalità e sofferenza,
Alle quali bisogna aggiungere, del popolo, la pazienza.
La penna di Piromalli è sempre un cesello:
L’ha usata, bene, nello scrivere la storia del paesello.
In ogni suo scritto impegnò cuore e cervello.
LEGGETE E MEDITATE… GLI SCANDALI DI MAROPATI denunziati dal Conte di Riva
(Giulio Moro) da Lugano. Napoli, 10 gennaio 1889.
1
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
15
MAROPATI … e dintorni
Dal confinato Spetteguless riceviamo e pubblichiamo
“ZZIPÀNGULI … A PROVA”
di Domenico Scarfò
I
l Consiglio dei Ministri, ha approvato un
Decreto, col quale si tutelano i diritti delle persone, anche dello stesso sesso, che
vogliono vivere in Convivenza: questo nuovo istituto paragona le unioni al matrimonio (sia esso civile che religioso).
Pur condividendo, l’estensione dei diritti
alle persone che vogliono Convivere liberamente, ho delle perplessità su come si concretizzi l’unione di due persone. Il suddetto
Decreto, permette che, l’Unione di due persone, possa avvenire anche attraverso una
semplice lettera. Essendo un passionale,
debbo sottolineare come la cosa mi sembra
un po’ fredda, bisognava farla in modo serio. Per non parlare del nome che gli hanno
dato, “Dico”. L’ex Presidente del Consiglio
Andreotti, ebbe modo di dire una battuta: “
I Dico è meglio che li rimettono nel frigo,
aspettando tempi migliori”. Credo che questa legge non passerà, perché specie nel
Senato dove la maggioranza è risicata si
ascoltano voci discordanti.
Ma, dopo la crisi sulla politica estera, nei
dodici punti, essenziali che permettono a
Prodi di andare avanti, i Dico, sono stati
messi da parte, forse avranno capito che,
non era tempo dei “Zzipànguli a Prova”.
Meno male che, nel passato pericolo, non
esisteva la voce delle adozioni. Spiego subito
il perché? Se due persone dello stesso sesso
avessero l’opportunità di adottare un figlio,
cosa succederebbe nell’equilibrio psicologico
del bambino? Non oso nemmeno immaginare. Io sono un insegnante, vedo nelle
scuole la differenza che c’è tra un bambino
che è figlio di genitori divorziati e un altro
che ha una famiglia solida alle spalle.
Con questo non voglio mettere in discussione il diritto al divorzio, ma un bambino
16
che ha i genitori divorziati è sballottato da
una parte all’altra, come se fosse un pacco
postale. Il bambino, invece, che ha una famiglia solida è molto più sereno e vive la
sua fanciullezza nella spensieratezza.
Una cosa che fa riflettere, in questi giorni, è l’atteggiamento della Chiesa Cattolica:
pare che voglia emanare un testo, con il
quale viene spiegato ai cattolici come comportarsi in merito. Questo potrebbe fare
pensare che solamente i fedelissimi della
Chiesa abbiano il buon senso e le persone
laiche, invece, siano intrise di cattive idee.
Le maggioranze cambiano, ma è giusto
che portino avanti il loro programma elettorale; i cittadini le hanno votate, sapendo a
cosa andavano incontro e devono essere
giudicate da loro, senza nessuna interferenza. Il concordato tra lo Stato Italiano e
la Chiesa riprende il vecchio concetto dal
quale si evince che i due soggetti sono “Autonomi” nelle loro decisioni, in piena libertà
nel proprio ambito. Per quanto riguarda la
libertà personale, una ricercatrice ha scoperto che, nel Quattrocento, a Genova si
praticavano i Matrimoni tra persone dello
stesso sesso. Due uomini, non legati da
vincoli di parentela, si giuravano d’avanti al
notaio della Curia, di vivere insieme, di assistersi reciprocamente in caso di malattia
e ciascuno indicava l’altro come erede al
momento della morte.
Perché la Chiesa di allora – se la notizia
fosse vera – non si ribellò?
E la Chiesa di oggi, perché non intraprende quella pulizia, di cui parla il Papa,
nei Seminari in modo che non ci troviamo
tra dieci anni a riparlare dei DICO preti?
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
LA PRIMAVERA NELLA POESIA
di Luigi Massara
Sandro Botticelli, La Primavera, Galleria degli Uffizi, Firenze.
poeti, vedendo il cielo farsi più
Quanti
azzurro e le gemme spuntare sugli al-
Odi greggi belar, muggire armenti;
gli altri augelli contenti, a gara insieme ...
beri, hanno riconosciuto in questi segni
l’arrivo della primavera!
Alceo, uno dei più grandi poeti lirici greci, in un frammento in dialetto eolico, dice:
Quasimodo manifesta nel modo che
segue il suo stato d’animo di fronte alla
visione della primavera:
Io già sento primavera
che s’avvicina coi suoi fiori:
versatemi presto una tazza
di vino dolcissimo.
Leopardi nel “Passero solitario”, con
questi versi sublimi, suscita nell’animo di
chi legge un senso di viva partecipazione:
...Primavera d’intorno
brilla nell’aria, e pe li campi esulta,
si ch’a mirarla intenerisce il core.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
Ed ecco sul tronco
si rompono le gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato nel botro.
E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era.
17
MAROPATI … e dintorni
Anch’io, tempo fa, ho scritto un sonetto dialettale dal titolo “Aria di Primavera”,
in cui immagini liete si confondono con
un senso di malinconia:
Quandu lu fundu mbernu si ndi jia
E l’aria ndi paria c’avia cangiatu,
no’ nc’era sira chi nno nsi nescia
pe’ ffora ‘ntra lu Corsu alluminatu.
Giràvamu cu’ l’amici lu paisi,
parlandu di palluni e ddi cotrari,
e ccerti voti, tantu di l’arrisi,
nd’avemu a ccorchi mmuru d’appojari.
Ndi ndi jemu a la casa poi cuntenti
Cu’ la promessa pemmu ndi vidimu
La sira dopu e mmu ndi divertimu.
Mo li cosi cangiaru ‘nteramenti:
atri penseri ‘n testa ndi trasiru,
tanti cumpagni nostri scumpariru.
Ma quando la natura si risveglia e si
mostra nella sua veste migliore, ci richiama irresistibilmente alla gioia.
Per la poetessa indiana Naidu Sajini
nella gioia si dimenticano le preoccupazioni e si attinge forza per meglio affrontare le difficoltà della vita:
Dovremo oggi ricordare i dolori?
Oggi che dolce c’invita
La stagione benedetta dei fiori?
Chiediamo a prestito il canto
dagli uccelli
e la danza dall’onda leggera.
Verranno i giorni di tristezza e di pianto:
Ma oggi,
oggi è primavera.
Godiamo, allora anche noi questa bella
stagione con tutte le sue caratteristiche
fatte di colori, di suoni e di odori, che si
spiegano tra gli aranceti, tra gli oliveti,
tra le vigne spoglie, prima che ceda il
passo alla gran calura dell’estate!
18
SALVATORE PISANO, Eva sei tu, Ed. Maropati e Dintorni, Maropati 2006, pp. 30.
La lettura delle liriche del Pisano, a volte
fresche e bonarie, altre volte dense di velata
malinconia, ma sempre sentenziose e sagge
nella chiosa conclusiva, ci conferma che per
scrivere e poetare non occorre essere grandi
letterati, è indispensabile solo avere un animo
semplice e gentile e scrivere e pensare con il
linguaggio del cuore, comprensibile a tutti:
grandi e piccoli, colti e illetterati.
La poesia, pura espressione dell’animo,
può essere comunicata anche in forme gioiose,
libere da canoni e tabù. È una caratteristica
del Pisano, quella di irrompere a volte con liriche in vernacolo parlato in cui prevale
l’aspetto fonico più che quello sintatticolessicale.
Al maestro Salvatore Pisano, Accademico
dei Sartori, i complimenti della Redazione di
Maropati e Dintorni con l’auspicio che possano
veder la luce ulteriori lavori letterari.
Ad maiora!
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
RICCHEZZE ARTISTICHE DA SCOPRIRE
AD ANOIA SUPERIORE
di Marco Papasidero
A
noia Superiore, piccolo centro della
piana di Gioia Tauro, è un paese antico, molto antico, la cui fondazione risalirebbe persino all’epoca della Magna
Grecia per opera di alcuni pastori nomadi
che, inizialmente, stabilirono su queste
colline i loro insediamenti. Cenni di quel
periodo sono ormai perduti a causa dei
violenti terremoti che si sono verificati,
ma anche per la scarsa tutela del patrimonio artistico perpetrata in passato.
L’evoluzione culturale e artistica del paese è ravvisabile nelle sue due chiese: S.
Sebastiano martire, che sorge nel centro
storico accanto ad antichi palazzi e scorci
suggestivi, e Maria SS. Assunta, edificio
moderno, sobrio ma al tempo stesso suggestivo.
L’attuale chiesa di S. Sebastiano risale
al 1831, data in cui venne ricostruita dopo il terribile terremoto del 1783 che fece
202 morti e radendo tutto al suolo. Fonti
attendibili confermano l’esistenza del culto del Santo fin dal 1586. La chiesa presenta una sobria facciata con un portone
ligneo e un’antica iscrizione. All’interno
sono presenti numerose opere pittoriche
alcune, in discreto stato di conservazione, altre bisognose di restauro. Un’unica
navata conduce all’altare maggiore sopra
il quale, in una teca lignea, è riposta la
statua del Santo abbigliato con vesti militari e arricchita da tre piume del colore
della bandiera italiana sull’elmo. Il soffitto è in legno e al centro è collocata una tela raffigurante il supplizio di S. Sebastiano che, sotto l’Imperatore Diocleziano,
venne condannato a morte perché cristiaAnno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
no; legato ad un albero fu ricoperto di
frecce ma si salvò miracolosamente. Solo
in seguito trovò la morte sotto le legnate
dei suoi persecutori.
La pavimentazione è molto antica proprio come gli altari laterali e gli affreschi
che si trovano sull’abside. Vicino
all’altare maggiore ci sono anche due teche in legno contenenti le statue della
vergine Addolorata e di S. Rocco.
Il 20 gennaio vengono celebrati i festeggiamenti in onore del Santo con
l’accensione di un grande falò votivo. I
giorni precedenti le persone del paese
portano fusti, ceppi e ramoscelli che verranno bruciati insieme alle grandi querce
tagliate la mattina del 19 da una processione festosa guidata dal parroco.
L’accensione, che viene preceduta dalla
benedizione delle querce, vede accorrere
molte persone curiose o semplicemente
legate alle tradizioni del paese. In occasione della festa vengono aperte alcune
cantine che offrono ai visitatori il vino
19
MAROPATI … e dintorni
novello e una banda
musicale
allieta
l’atmosfera con le sue
melodie.
Poco distante sorge la
chiesa dell’Assunta. Costruita nel 1934, è un
suggestivo edificio a croce greca sormontato da
una possente cupola ricoperta da lamine di
rame. Accanto l’agile
campanile a cuspide che
riporta a numeri romani
la data della fondazione.
Il portone di entrata è
affiancato da due sottili
colonne classiche e sormontato da un gruppo
scultoreo raffigurante due angeli. La
chiesa è costituita da una sola navata e
presenta un interno sobrio ma molto interessante. Le pareti sono ricoperte di
stelle dipinte mentre il tetto non è affrescato ma decorato solo da una piccola
colomba bianca, simbolo di pace e di speranza. Nelle cappelle laterali sono collocate delle pregevoli opere scultoree come
ad esempio un Crocefisso ligneo o una
statua della Madonna, mentre sull’altare
maggiore è posta l’effige della vergine Assunta, opera lignea attribuita all’artista
serrese Vincenzo Scrivo. L’edificio è stato
più volte rimaneggiato mantenendo totalmente intatto il suo aspetto originario.
Nel giorno di Ferragosto si celebra una
grande festa in
onore
della
Madonna che
attira centinaia
di persone. Nei
giorni
prima
della festa si
svolge la tradizionale quindicina di preghiera e delle serate
musicali. I festeggiamenti culminano nel 15 agosto
20
con la processione per le
vie del paese, lo spettacolo musicale di un noto
artista e i tradizionali
fuochi d’artificio. Tra le
poche bancarelle che allietano la serata si possono trovare i prodotti
tipici calabresi come ad
esempio i pomodori secchi o i “mostaccioli”.
Ad Anoia Superiore è
di particolare interesse
artistico anche il borgo
che sorge nella parte più
alta del paese presso la
chiesa di S. Sebastiano.
Sulle vecchie strade si
affacciano antichi palazzi o case contadine per lo più disabitate.
Tra queste stradine si possono sentire i
dolci profumi che richiamano la vita di
una volta impressa indelebilmente sul
volto delle persone anziane che ricordano
la loro gioventù con nostalgia. Lo scorcio
più suggestivo è quello della piazzetta intitolata al generale Pasquale dove si trova
un’effigie del Santo protettore del paese e
un tipico balconcino ad arco che collega
le due case più antiche, per lo più adibite
a cantine per il vino.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
LA QUESTIONE DELLO STEMMA
COMUNALE DI MAROPATI
di Giovanni Quaranta
A
lcuni anni fa, nel corso delle mie ricerche ebbi modo di imbattermi in alcuni
documenti sui quali erano impressi gli
stemmi utilizzati dai comuni di Anoia e Maropati nel corso dell’800. La cosa mi incuriosì particolarmente in quanto, a differenza
del timbro utilizzato dal comune di Anoia
che era già conosciuto come sigillo universitario, quello di Maropati rappresentava
una vera novità.
Iniziai a quel punto uno
studio per cercare di ricostruire la storia di questi
«emblemi comunali». Il Comune di Anoia, valutata la
bontà della ricerca e delle
argomentazioni prospettate
decise di intraprendere l’iter
che portò al cambio dello
stemma. Per Maropati, nonostante la segnalazione fatte
alle due ultime Amministrazioni, ancora oggi non si è intrapresa nessuna iniziativa
per dotare il Comune di uno stemma «storicamente rilevante». Pensiamo possa interessare, a questo punto, pubblicare il nostro
studio1 corredandolo di una proposta per un
futuro stemma comunale.
Gli stemmi comunali
Lo stemma ed il gonfalone sono i segni
distintivi dell’Ente comunale e ne rappresentano la Comunità. I Comuni, in qualità
di "Enti Territoriali" possono fregiarsi dello
stemma purché conforme alla regolamentazione prevista negli articoli da 54 a 128
del Regio Decreto 7 giugno 1943 n° 652; e
possono avvalersi della specifica tutela da
parte dello Stato dopo che l'Ufficio Araldico
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha provveduto alla stesura dell'apposito decreto di concessione. Secondo
quanto disposto dalla Legge, lo stemma
deve possedere i “requisiti di storicità” per
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
ottenere la prescritta approvazione da parte dell’Ufficio Araldico presso la Presidenza
del Consiglio dei Ministri ed il conseguente
decreto di concessione del Presidente della
Repubblica controfirmato dal Presidente
del Consiglio dei Ministri.
Dopo
oltre
mezzo
secolo
dall’approvazione della Costituzione Repubblicana ed un secolo e mezzo
dall’Unità d’Italia, ancora diversi Comuni utilizzano degli
stemmi non ufficiali (e per ufficiale si intende regolarmente rilasciato dagli organi competenti)
oppure degli stemmi regolarmente rilasciati ma che non
hanno nessuna valenza storica
e che fra l’altro presentano dei
veri e propri errori dal punto di
vista araldico.
Lo stemma attuale
Erano gli inizi degli anni ’70, quando
diversi comuni della zona interna della
Piana di Gioia Tauro si attivarono per dotarsi di uno stemma. Con D.P.R. del 10
luglio 1974 veniva concesso l’attuale
stemma al comune di Melicucco, il quale
benchè se ne conoscesse l’esatta raffigurazione perché riprodotto in un’incisione del
17032, non aveva ancora avuto la concessione da parte dello Stato italiano. Spostandoci di qualche chilometro, ritroviamo
il comune di Anoia, al quale con D.P.R. del
27 luglio 1972, veniva rilasciato lo stemma
che, privo di ogni fondamento storico, è
stato utilizzato per oltre un trentennio e di
recente sostituito3. Nello stesso periodo
anche Maropati, alla stregua degli altri
due comuni viciniori, si era attivata per il
rilascio dello stemma dando incarico ad
uno studio araldico perché ne individuasse le antiche insegne. La ricerca si fermò
nel momento in cui fu individuato, presso
21
MAROPATI … e dintorni
l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, un
documento dell’anno 1810 recante un
timbro raffigurante l’aquila coronata stringente tra gli artigli delle saette e la scritta
«Comune di Maropati – 1808»4, senza indagare su quale legame potesse avere
quello stemma con la storia di quel comune. Da allora si incominciò ad utilizzare
quello stemma ed ancora oggi, a quanto ci
risulta, viene utilizzato senza che sia stato
rilasciato il prescritto decreto di concessione.
In effetti quello stemma non era una
prerogativa di quel comune, in quanto
questo era il tipo di timbro utilizzato durante la dominazione francese del primo
ottocento (1806-1815). Allora, in tutti i
territori annessi all’impero napoleonico furono totalmente sostituiti gli stemmi storici con quelli imperiali raffiguranti appunto
l’aquila coronata stringente tra gli artigli
delle saette. La stesso identico disegno è
stato riprodotto nella Guida dell’Archivio
di Stato di Reggio Calabria e riportato come “Particolare di pergamena, Napoli
1806”5. Inoltre, altri sigilli, pressoché
identici, riferiti ad altri
comuni riproducono fedelmente l’aquila imperiale francese e dimostrano
come nel periodo quello
era lo stemma standard
utilizzato da tutti i comuni. Tra questi possiamo segnalare quelli
dei comuni calabresi di ARENA6, DASÀ7 e
TROPEA8 nell’attuale provincia di Vibo Valentia; della città di CATANZARO9; dei comuni di RIZICONI e DROSI10, e VILLA
SAN GIOVANNI11 nella provincia di Reggio
Calabria.
Un altro timbro identico veniva utilizzato dal comune di PIENZA in provincia di
Siena, e la particolarità di questo sigillo è
quella di recare il nome del Municipio in
lingua francese12.
Un altro caso simile a quello dello
stemma di Maropati, probabilmente, toccò
al comune di Candidoni. Da un’analisi dello stemma in uso a quel comune, non si
può fare a meno di notare che, sebbene
disegnato con uno stile diverso, esso rappresenta inequivocabilmente il solito
stemma imperiale francese.
22
Arena
Catanzaro
Dasà
Riziconi e Drosi
Tropea
Villa S. Giovanni
Lo stemma storico
Storicamente Maropati è appartenuta al
piccolo feudo di Anoia che fu prima baronia e poi, dal 1664, marchesato sotto il
dominio della famiglia genovese dei Paravagna. Fu solo in seguito al riordino amministrativo disposto dai francesi nel 1811
che Maropati fu elevato a rango di comune
autonomo (insieme alla frazione Tritanti)13.
Prima dell’avvento dei francesi, Maropati
aveva utilizzato l’antico sigillo universitario
di Anoia raffigurante San Francesco di
Paola tra due croci14.
Questo è presente in un documento del
1788, col quale l’arciprete di Maropati
Domenico Pino ed il sindaco Saverio Cotronei facevano istanza alla Regia Giunta
di Corrispondenza per una nuova sepoltura nella Chiesa parrocchiale15. Un altro
documento del 1791, riporta una supplica al Re da parte del sindaco Pietro Mindozzi per la riedificazione della chiesa del
Rosario16.
Cessato il periodo francese, molti comuni ripresero le antiche insegne oppure,
nel caso di comuni di nuova costituzione,
ne adottarono di nuove. Fu sicuramente
questo il caso del comune di Maropati che,
da ente di recente costituzione pensò di
dotarsi di un “suo” stemma, adottando la
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
rappresentazione
dell’immagine del Santo Patrono, e cioè: San Giorgio a
cavallo nell’atto di uccidere il
drago. Questo stemma è stato da noi riscontrato nel timbro impresso su due certificati catastali allegati ad altrettanti atti notarili stipulati
dal notaio Pasquale Nicoletta
da Anoia: il primo, che porta
la data del 16 giugno 1816,
si riferisce ad una casa d’abitazione intestata a Spanò Saverio di Maropati17; mentre il secondo, che porta la data del 10 luglio 1816, si riferisce a dei terreni intestati
a Valensisi Domenico di Anoja18. Entrambi
riportano le firme del sindaco di Maropati
G. Belcaro e del cancelliere G. Iaconis, ed,
appunto, il bollo comunale con l’immagine
di San Giorgio.
Non sappiamo per quanto tempo fu utilizzato questo stemma, ma sicuramente la
scelta dell’immagine di San Giorgio non è
stata casuale: con essa la popolazione di
Maropati voleva esternare il suo attaccamento al culto del Santo Patrono. E sicuramente quella di identificare la comunità
mediante la rappresentazione nel proprio
stemma di immagini sacre non era rara e
a parte quei paesi dove anche il nome era
legato ad un Santo altri ancora avevano
l’immagine del Santo Patrono. Rimanendo
nella provincia di Reggio, molti sono i comuni che oggi hanno nel loro stemma
un’effige sacra: Reggio di Calabria19,
Agnana20, Anoia21, Canolo22, Casignana23,
Delianuova24, Cosoleto25, Galatro26, Mammola27, Molochio28, San Giorgio Morgeto29,
San Lorenzo30, Sant’Agata del Bianco31,
Santa
Cristina
d’Aspromonte32,
Sant’Eufemia d’Aspromonte33 e Taurianova34; altri, invece, nonostante vantassero
stemmi di origine molto antica ne hanno
utilizzati altri di più recente formazione35.
È auspicabile, che questi comuni (come,
anche, i tanti altri che ancora non hanno
stemmi riconosciuti), procedano ad una revisione dei propri stemmi adottando, ove se
ne riscontrasse la presenza, quelli più antichi e che comunque abbiano un nesso
storico con la Comunità locale.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
Un nuovo stemma
Alla luce di quanto fin qui
esposto, è evidente come la
comunità di Maropati abbia il
diritto di riappropriarsi della
propria storia anche attraverso il ripristino dell’antico
stemma. La nuova rappresentazione grafica rispondente alle norme in materia di
araldica pubblica, cercando
di richiamare il più possibile
l’antico sigillo del 1816, dovrebbe assolutamente riportare la figura del San Giorgio
a cavallo nell’atto di uccidere il drago. Si
ritiene comunque che, onde evitare generiche rappresentazioni che lo renderebbero
difficilmente riconoscibile tra i tantissimi
stemmi simili (riportanti l’immagine del
Santo), lo stesso potrebbe essere integrato
con la rappresentazione nel capo dello
scudo36 (in campo oro) di un’aquila nera
spiegata e linguata di rosso coronata del
campo, richiamante un particolare dello
stemma della famiglia Paravagna che nel
1727 ottenne dall’imperatore Carlo VI il titolo di «Principi di Maropati».
23
MAROPATI … e dintorni
RAFFAELE ALFREDO CATANANTI, Il Corso Amministrativo del Comune di Rizziconi (RC) dal 1809 al 2003,
Arti Grafiche Edizioni, Ardore Marina 2005, p. 22.
1 DOMENICO COPPOLA, Il patrimonio archeologicoartistico della provincia reggina nella documentazione archivistica : per una storia della sua tutela, De
Franco Editore, Reggio Calabria 2003, immagine in
copertina.
12 UMBERTO BINDI, Lo stemma araldico di Pienza,
pp. 46-47, reperito sul sito internet ufficiale del
Comune.
3 Decreto per la nuova circoscrizione delle quattordici provincie del regno di Napoli (n. 922 – Parigi, 4
maggio 1811), in GUSTAVO VALENTE, Le leggi
francesi per la Calabria, Vincenzo Ursini Editore,
Catanzaro 1983, p. 94.
4 Con D.P.R. del 5 febbraio 2005, è stato concesso
al Comune di Anoia di cambiare il proprio stemma
ripristinando quello antico con l’immagine di San
Francesco di Paola. Si veda G. QUARANTA (a cura),
Il Nuovo Stemma …, op. cit.
5 ASCZ, Giunta di Corrispondenza di Cassa Sacra,
Costruzione della Chiesa Parrocchiale. L’istanza reca
in calce l’autentica del notaio Pasquale Nicoletta da
Anoia, il quale, a proposito dello stemma, attesta “…
come mi è cognito il sigillo dell’Università medesima…”.
6 ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI (ASN), Giunta di
Corrispondenza di Cassa Sacra, Fasc. 1479, f. 1r,
1/bis r, 2r-3r.
7 SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI PALMI
(SASP), Protocollo del notaio Pasquale Nicoletta di
Anoja, anno 1816, p. 55.
8 Ibidem, p. 61.
9 San Giorgio di Lydda martire.
20 San Basilio Magno.
2 San Francesco di Paola.
22 San Nicola di Bari.
23 San Rocco di Montpellier.
24 Sant’Elia profeta.
25 Madonna delle Grazie.
26 San Nicola di Bari.
27 San Nicodemo di Mammola.
28 Beata Vergine, tenente in braccio il Divino Infante, sinistrata da San Giovanni Battista fanciullo.
29 San Giorgio di Lydda martire.
30 San Lorenzo martire.
3 Sant’Agata martire.
32 Santa Cristina martire.
33 Sant’Eufemia di Calcedonia martire.
34 San Martino di Tours.
35 Polistena, che nel 1441 aveva per stemma comunale la raffigurazione di Santa Marina vergine e
martire, oggi ne utilizza uno del tutto diverso (vedi a
riguardo: GIOVANNI RUSSO, La Festa di Santa Marina e la “pittoresca-bizzarra” processione con la teoria dei santi a Polistena, Centro Studi Polistenesi,
Polistena 2003, p.9). Al comune di Terranova Sappo
Minulio, invece dell’antichissimo stemma raffigurante San Martino di Tours a cavallo nell’atto di tagliare il mantello e porgerlo al poverello nudo e seduto, è stato concesso con D.P.R. del 12 aprile 1984
uno stemma raffigurante un anonimo cavaliere cavalcante un cavallo morello nell’atto di trottare.
36 Parte superiore.
10
Note:
Viene qui riproposto, in massima parte, l’articolo
dello stesso autore Lo stemma comunale di Maropati
pubblicato in Calabria Sconosciuta Rivista trimestrale di cultura e turismo, anno XXIX, n.112 Ottobre-Dicembre 2006, pp. 65-66.
2 GIOVANNI BATTISTA PACICHELLI, Il Regno di Napoli in prospettiva, Stamperia Michele Luigi Mutio,
Napoli 1703.
3 GIOVANNI QUARANTA (a cura), Il Nuovo Stemma
del Comune di Anoia, Ed. Comune di Anoia, Arti Poligrafiche Varamo, Polistena 2005, pp. 12-13.
4 ARCHIVIO DI STATO DI REGGIO CALABRIA
(ASRC), Sezione Amministrativa, Demani Comunali,
Inv. 33/I, busta 71, fasc. 1. Riproduzione fotografica rilasciata il 13 novembre 1974.
5 ASRC, Raccolte e Miscellanee, in MINISTERO PER
I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, Archivio di Stato
di Reggio Calabria e Sezioni di Locri e Palmi, Betagamma editrice, Viterbo 2004, p. 27.
6 ARCHIVIO DI STATO DI CATANZARO (ASCZ), Intendenza-Leva, B.92 F.7.
7 ASCZ, Intendenza-Leva, B.497 F.5.
8 ASCZ, Intendenza-Leva, B.2 F.35.
9 ASCZ, Intendenza-Leva, B.327 F.6.
24
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
MONTALE E LA BRETAGNA
UN NUOVO CAPITOLO
di Vincenzo Pascale
C
hi ama le isole, il mare, chi ha amato
Ustica, perché vi ha soggiornato da
turista o da lavoratore, non può non ritornare sul maggiore poeta del Novecento
italiano, Eugenio Montale, che ha iniziato a descrivere il mare, le
scogliere rocciose, ciò che
il mare restituisce alla
terra, gli scarti, già nella
prima raccolta di liriche a
tema
prevalentemente
marino, Ossi di seppia.
Ma il mare ricompare
nell’ultimo Montale attraverso la scoperta della
Bretagna che gli ricorda il
paesaggio roccioso della
Liguria e della Grecia.
La
Bretagna appare
per la prima volta nella
produzione di Montale nel
1943. Quell’anno a Lugano, nel pieno del secondo
conflitto mondiale, esce
in edizione semiclandestina, in una collana curata dall’avvocato Pino Bernasconi, la plaquette Finisterre che contiene
versi scritti dal 1940 al 1942. Si tratta di
duecento esemplari, di cui cinquanta riservati al servizio stampa, che contengono poesie «non tutte di argomento apocalittico», come scrive lo stesso Montale a
Gianfranco Contini il 21 aprile del 1943
da Firenze. Il 1945, alla fine della guerra,
esce presso l’editore Barbèra di Firenze la
seconda edizione aumentata di Finisterre.
Infine, questa plaquette confluirà nella
raccolta La bufera e altro, edita dal veneziano Neri Pozza in 1000 copie nel 1956,
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
costituendone la I parte dal titolo Finisterre. È evidente che Montale alluda alla provincia più ad ovest e più selvaggia
della Bretagna, ad un paese reale che
termina con scogliere a strapiombo
sull’Atlantico, paesaggio
roccioso, ricco d’insidie
per i naviganti, costellato
di fari e balises, boe galleggianti, che segnalano
la presenza di scogli affioranti dall’ocea- no e pieno
di rade e baie, regione
che i soldati di Cesare nel
I sec. a.c. avevano conquistata, credendo che lì
finisse
l’oikouméne,
o
mondo conosciuto, da cui
il toponimo finis terrae.
Ma questo paese reale
della Bretagna finisce per
assumere, nel titolo dato
alla plaquette del 1943,
un significato allegorico,
un significato escatologico, di fine del
mondo. In quel momento Finisterre è la
guerra come distruzione. Lo dichiara lo
stesso Montale nella video-intervista rilasciata nel 1971 ad un’emissione della
R.T.F.. Nella stessa intervista Montale,
rispondendo alle domande di Piero Sanavio e Domenique De Roux, afferma che
la dichiarazione di guerra da parte
dell’Italia contro la Francia, nel 1940, fu
da lui vissuta con una mostruosa vergogna. La Bretagna ricompare in un quadro
dipinto dallo stesso Montale con una tecnica impressionista. È una Bretagna
immaginaria con un paesaggio marino,
25
MAROPATI … e dintorni
delle pecore, dei cani, dei pescatori ed il
mare che s’è ritirato dopo un’alta marea.
Questo quadro, che si trovava a casa
sua nel 1971, si può vedere nello stesso
video in cui Montale dice di essere stato
un pittore dilettante e che in fondo alcune sue poesie sono pittura in versi, e di
aver amato l’impressionismo per la ricerca del dettaglio e della luce. Ancora la
Bretagna ritorna nella lirica «Verso Finistère», contenuta nella quarta parte, «Flashes» e dediche, della raccolta La bufera e
altro. Qui sono chiari i riferimenti alla costa d’Armor che Montale visiterà nel
1950, dopo aver assistito a Strasburgo ai
lavori del Consiglio d’Europa, soggiornando a Saint-Malo. La Bretagna ritorna
ancora in Fuori di casa, pp. (137-138)
dove in occasione di quel viaggio, il Montale «inviato speciale» del Corriere della
Sera, fuori dai confini italiani, mette in
dubbio la vitalità del movimento bretone.
Ci dice, inoltre, che tre, quattro dialetti
celtici sopravvivevano allora in BassaBretagna, nel dipartimento di Finistère
nel paese di Léon, in terrritorio di Vannes, nella regione di Goele e nell’interno
del Morbihan; ma ormai, secondo lui, era
impossibile trovare un paesano che non
parlasse anche il francese. Durante
l’ultima guerra i tedeschi tentarono di
candidare un discendente dei duchi di
Rohan al trono di Bretagna ma, giunto
sul luogo, questo non ricevette che fischi. Montale aveva la certezza che ormai
il sogno di una Bretagna etnicamente e
politicamente autonoma apparteneva alla
storia del folklore romantico e sentimentale. Anche la lingua bretone, secondo
Montale, non faceva che restringere il
proprio campo d’azione. Quello che restava, specie nella toponomastica, era
una preziosità, nient’altro1. Infine la Bretagna riappare nel 1956 nella prosa Farfalla di Dinard. Si concluderà leggendo
una lirica caratterizzata da due strofe,
contenuta nella Bufera e altro.
26
SU UNA LETTERA NON SCRITTA2
Per un formicolio d’albe, per pochi
fili su cui s’impigli
il fiocco della vita e s’incollani
in ore e in anni, oggi i delfini a coppie
capriolano coi figli? Oh ch’io non oda
nulla di te, ch’io fugga dal bagliore
dei tuoi cigli. Ben altro è sulla terra.
Sparir non so né riaffacciarmi; tarda
la fucina vermiglia
della notte, la sera si fa lunga,
la preghiera è supplizio e non ancora
tra le rocce che sorgono t’è giunta
la bottiglia dal mare. L’onda, vuota,
si rompe sulla punta a Finisterre.
1 E. Montale, Fuori di casa, Milano-Napoli, Ricciardi,
1969.
2 E. Montale, Tutte le poesie, cit., p.199.
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
IL CONTRIBUTO DEL PALERMITANO
AGOSTINO GALLO
PER IL SERTO POETICO IN MEMORIA DI
OTTAVIA FAZZARI VALENSISE
di Giovanni Russo
I
l 29 dicembre del 1861, a soli 32 anni,
moriva in Polistena, Ottavia Fazzari,
che era nata a San Giorgio il 10 dicembre
1829 da Giorgio e Francesca Saveria Oliva. Aveva sposato il 21
novembre del 1846, il
musicista e compositore polistenese Michele
Valensise (1822-1890),
di nobile stirpe e ricco
assai di virtù cittadine.
Le esequie, con la
partecipazione di una
numerosa e commossa
popolazione,
furono
fatte
nella
Chiesa
dell’Arciconfraternita
della SS. Trinità ove fu
sepolta ed ove, successivamente, venne collocata una lapide con
iscrizioni. Per quella
Chiesa, i Valensise,
come si sa, avevano
profuso molta economia a pro degli arredi,
suppellettili, ed arte,
non mancando di ricoprire, nell’Arciconfraternita, la carica di
Priori, di Padri Spirituali ecc.
A perpetuare la memoria della giovane,
amorosa sposa scomparsa, dall’aspetto
bellissimo, dall’ampia e serena fronte, dai
vivissimi occhi neri, dai modi gentili e
cortesi con tutti, si occupò il cognato, allora ancora giovane Sacerdote, Domenico
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
Valensise (1832-1916) che, già nei primissimi mesi della di lei dipartita, come
si costumava, da Napoli, ove stava conseguendo la laurea in Teologia, pregò
tantissimi amici, polistenesi e non, perché
inviassero un ricordo
poetico che fosse utile
anche a sollevare dallo
sconforto il giovane
fratello Michelino. A rispondere premurosamente, con scritti, versi poetici in sesta rima
ed in ottave, cantiche,
carmi, sonetti, elegie
ed epitaffi che furono
sottoposti al vaglio di
una rigorosa Commissione, furono i polistenesi: Cav. Angelo Rodinò di Miglioni; Sac.
Michele Tigani; Dr. Pasquale Pilogallo; Teologo M. Francesco Grio;
Sac. Francesco Demaria; Can. Teologo Domenico Mangiaruga ed
il Can. Teologo Domenico Lidonnici, nonché personalità di spicco della cultura
dell’epoca: l’abate Jacopo Bernardi da Pinerolo; l’abate Ottavio Ortona da Monteleone (attuale Vibo Valentia); Antonio
Scorsonelli, Nunzio Serra e Mariannina
Costa Caruso da Noto (Sicilia); Giuseppe
Taccone, marchese di Sitizzano; Antonio
27
MAROPATI … e dintorni
Martuscelli, Pietro Micheletti, Francesco
Prudenzano, Luigi Aponte, Tommaso
Semmola e Giovannina P. da Napoli; Giuseppe Polito; Vincenzo Gerace da Cittanova; Luigi Tosti e Carlo Maria De Vera
da Monte Cassino; l’abate Michele Bongini da Greve presso Firenze; il Cav. Antonio Giuffrè; il Teologo M. Bruno Ferraro; Matteo Camera da Amalfi; Fr. Hyac.
Greco dell’Ordine dei Predicatori; Raffaele
Francia dei Marchesi S. Caterina, Rocco
Maria Zagari e Domenico Giuffrè da Reggio; Vincenzo Augimeri e, dulcis in fundo:
lo storico, poeta, letterato ed antiquario
prof. Agostino Gallo (1790-1872)1 da Palermo, indicato al Valensise, probabilmente dal sopra indicato Rocco Maria
Zagari di Reggio.
Tutti i contributi, compreso una interessantissima “Cantica” scritta dallo
stesso Valensise, furono raccolti in un
“Serto di Fiori poetici alla tomba di Ottavia
Valensise nata Fazzari”2 con il ritratto
della stessa.
Nel mese di Gennaio del 1862, il poeta
siculo Agostino Gallo non mancò di inviare subito al sacerdote polistenese il seguente epitaffio:
Bella, tenera madre onesta e pia
Molto viver dovea : presto moria !
Era rosa di amor sbucciata e pura :
Cosa bella mortal passa e non dura !
Qualche mese dopo, lo stesso spedì al
Valensise, il seguente componimento che,
parzialmente, venne pubblicato con il
titolo:
FRAMMENTO
D’ineffabile gioja inebriato
Ormai saresti, o mio diletto Ruffa,3
Che per etade e studii a me congiunto,
E per carica fosti, e più d’affetto,
Se ancor vivresti, dal nativo spirto
Di libertà rieccitato, e caldo
Del fuoco di Melpomene; ma giaci,
Ahimè ! nel gelo del sepolcro avvinto!
E me lasciasti a tenzonar coi nembi
28
Di turbinosi eventi ! Ed oh, qual odo,
Non lungi dalla tua culla onorata,
Di gemiti, singulti e di sospiri
Giunger fino a me roco boäto?
Ed inatteso invito, il caso orrendo
A deplorar di una gentil donzella,
Fior di bellezza, di onestà, di grazia,
Tenera madre, ed illibata sposa!
Tal la grida la fama : ognor severa,
E spesso ingiusta alle avvenenti donne!
Ma il Ciel per se creolla : e poiché vide
Che era inutile esempio alla ribalda
Età nei vizii immersa, dubbioso
Che non giovando altrui quel puro giglio,
Sedotta non macchiasse, a sé rapilla,
Onde accrescer lassù nuovo ornamento
E degli angeli il coro : e in ver qui in terra
Angiolo apparve a far beato il mondo,
Che cieco e stolto la virtù non cura!
Il Valensise, il sacerdote che, nel corso
degli anni, diventerà prima Vescovo di Nicastro e poi Arcivescovo Titolare di Ossirinco, in segno di cortesia, il 26 luglio del
1862, spedì all’indirizzo dell’illustre letterato palermitano, la seguente missiva4:
“Stimat. Signore
Giustamente V.S. potrà far le sue meraviglie nel veder che con tanto ritardo vengo a Lei onde rassegnarle le grazie le
debbo per i bei versi, ed il bellissimo Epitaffio favoritimi nella morte della virtuosissima Ottavia Fazzari; ma io non sapeva
farmele innanti senza prima profferirle il
libro, in cui quelli sono stampati.
Ora che ciò mi è dato, senza trattar
tempo in mezzo, vengo a Lei, e col libro le
rassegno un miglione di grazie, che Ella
cortesissimo, com’è, non lascierà di aggradirmi. In verità fu squisitissima la bontà sua nell’onorarmi di un tanto dono, e se
io debba vivere obbligato al Cariss.mo Zagari, me lo ha impetrato, obbligatissimo
dovrò vivere a Lei che cortese me lo ha
concesso.
E qui mi è uopo chiederle scusa, se della sua Cantica si è pubblicato un Frammento soltanto, perciocché eran tante e sì
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
MAROPATI … e dintorni
lunghe le note l’accompagnavano, che
questa Commissione stimò sconvevole
(Sic!) inserirle in una raccolta di pochi fogli. Si abbia intanto con le mie le lodi e le
congratulazioni di quanti lessero le sue
poesie, specialmente per quell’Epitaffio,
che, secondo io mi penso, è ammirabile
dai più schivi amatori del bello.
E qui pregandola di tenermi vivo nella
memoria, e di aggradire la povera offerta
della mia qualunque amicizia, rassegnandole la stima che merita, con ogni amorevole officio mi do l’onore segnarmi
Devotis. Amico Servitore
Domenico Valensise
P.S. Mi avvisi del ricapito del libro, che
le ho già inviato con l’istesso ordinario”.
Il 14 Agosto, puntualmente, partì il riscontro del prof. Gallo che noi, per ragioni di spazio omettiamo, proponendoci di
approfondire l’argomento, particolarmente con ulteriori documenti polistenesi, in
altra sede.
Note:
Sulla figura e le opere del prof. Agostino Gallo,
consultare: I manoscritti di Agostino Gallo. A cura di
Carlo Pàstena. Palermo, 2000. 1. Notamento alfabetico di pittori, e mosaicisti siciliani, ed esteri che hanno lavorato pure per la Sicilia, ricavato in rari mss dal
Mongitore nella biblioteca del Senato in Palermo, con
aggiunte di Agostino Gallo (MS. XV.H.17). Trascrizione e note di Maria Maddalena Milazzo e Giuseppina
Sinagra. Presentazione di Marco Salerno. 2000. (Sicilia/Biblioteche, 48.1). 2. Notizie intorno agli architetti siciliani e agli esteri soggiornanti in Sicilia da'
tempi più antichi fino al corrente anno 1838. raccolte
diligentemente da Agostino Gallo palermitano per
farne parte della sua Storia delle belle arti in Sicilia
(MS. XV.H.14). Trascrizione e note di Angela Mazzè.
2000. (Sicilia/Biblioteche, 48.2). 3. Notizie intorno
agli incisori siciliani diligentemente raccolte da Agostino Gallo (MS. XV.H.16). Trascrizione e note di Angela Anselmo e Maria Carmela Zimmardi. 2000. (Sicilia/Biblioteche, 48.3). 4. Autobiografia (Ms. XV. H.
20.1.) Trascrizione, saggio introduttivo e note a cura
di Angela Mazzè. PA, 2002 (Sicilia/Biblioteche,
48.4). 5. Parte prima delle notizie di pittori e musaicisti siciliani ed esteri che operarono in Sicilia (Ms. XV.
H. 18.). Trascrizione e note di Maria Maddalena Milazzo e Giuseppina Sinagra. PA, 2003
(Sicilia/Biblioteche, 48.5). 6. Lavoro di Agostino Gallo
1
Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007
sopra l’arte dell’incisione delle monete in Sicilia
dall’epoca araba sino alla castigliana. - Notizie de’ figularj degli scultori e fonditori e cisellatori siciliani ed
esteri che son fioriti in Sicilia da più antichi tempi fino
al 1846 raccolte con diligenza da Agostino Gallo da
Palermo.(Ms.XV.H.16., cc. 1r - 25r; Ms. XV. H.15.; cc.
62 r - 884 r) Trascrizione e note di Angela Anselmo e
Maria Carmela Zimmardi. PA, 2004
(Sicilia/Biblioteche, 48.6). 7. I manoscritti di Agostino
Gallo - Agostino Gallo. Parte seconda delle notizie di
pittori e mosaicisti siciliani ed esteri che operano in
Sicilia. (Ms. XV. H. 19). Pa, 2005.
2 Nel front. del volume viene così indicato: Ultimi uffizii ad Ottavia Fazzari : Ricordo degli amici al marito
Michele Valensise. Napoli : Stabilimento Tipografico
dei classici italiani, 1862. Del volume, che si compone di pp. 101 + Indice degli Scrittori, abbiamo potuto recuperare una copia che abbiamo depositato
nella Biblioteca Comunale di Polistena.
3 Francesco Ruffa chiarissimo poeta calabrese [La
nota, nell’originale segnata con il numero 1, è del
Gallo].
4 BIBLIOTECA COMUNALE PALERMO,
5, 2 q., D.
72, n. 8: Valensise (Domenico), Lettera del 1862 indirizzata ad Agostino Gallo. Tale documento è stato da
noi consultato e trascritto diversi anni fa in quella
Biblioteca.
29
MAROPATI … e dintorni
La squadra di calcio dei FALCHI MAROPATI 2006/2007
promossa al campionato di Seconda Categoria
Con gioia partecipiamo
ai
nostri
gentili
lettori che il
Prof. Umberto
Di Stilo, nostro
valente collaboratore, è stato insignito del
Premio
Calabria per la sezione Saggistica per il volume “Il cinquecentesco trittico marmoreo della chiesa
parrocchiale di Galatro”.
Al Prof. Umberto Di Stilo giungano le
felicitazioni della redazione.
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La Redazione formula
a tutti i lettori
sinceri auguri di
Buona Pasqua
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