ANNO II – N. 1 - GENNAIO-MARZO 2007 www.maropatiedintorni.it ANNO II – N. 1 – GENNAIO-MARZO 2007 SOMMARIO MAROPATI…edintorni PERIODICOD’INFORMAZIONEDELLA SEZIONENUOVOP.S.I. DIMAROPATI 1 IO ACCUSO! di Vincenzo Gallizzi 3 LE ARANCE DELLA SALUTE di Fiorenzo Silvestro 5 LE CHIESE DI TRITANTI ALLA FINE DEL ‘500 di Giovanni Quaranta 7 LA PAGINA DEGLI ACROSTICI di Domenico Cavallari 8 PER I DEMOLITI E GLI SGOMBRATI di Fiorenzo Silvestro 9 IL MARCHESATO di Giorgio Castella Direttoreeditoriale: Dott.VincenzoGallizzi Redazione: SezioneNuovoP.S.I. ViaPortici 89020Maropati(RC) 347Ͳ6475737 [email protected] Stampatoinproprio Incopertina: ViacrucisviventeaMaropati neglianni‘80 (fotodiGiovanniMobilia) Lacollaborazioneèliberaatutti edècompletamentegratuita. Manoscritti,fotografie,disegni anchesenonpubblicatinon vengonorestituiti. Ilavoripubblicatiriflettono ilpensierodeisingoliautori iqualineassumonola responsabilitàdifronte allalegge. 11 FRANCO SERGIO: IL PARTIGIANO ALIOSCIA di Giovanni Mobilia 13 ANTONIO PIROMALLI di Rocco Liberti 15 RICORDANDO ANTONIO PIROMALLI di Domenico Cavallari 16 “ZZIPÀNGULI A PROVA” di Domenico Scarfò 17 LA PRIMAVERA NELLA POESIA di Luigi Massara 19 RICCHEZZE ARTISTICHE DA SCOPRIRE AD ANOIA SUPERIORE di Marco Papasidero 21 LA QUESTIONE DELLO STEMMA COMUNALE DI MAROPATI di Giovanni Quaranta 25 MONTALE E LA BRETAGNA, UN NUOVO CAPITOLO di Vincenzo Pascale IL CONTRIBUTO DEL PALERMITANO AGOSTINO GALLO PER IL SERTO POETICO IN MEMORIA DI OTTAVIA FAZZARI VALENSISE di Giovanni Russo 27 SUPPLEMENTO FEDE E FOLKLORE NEI RITI DELLA SETTIMANA SANTA IN CALABRIA di Umberto Di Stilo MAROPATI … e dintorni IO ACCUSO! di Vincenzo Gallizzi S ono passati ormai quasi tre anni di questa strana, allegra e fallimentare amministrazione comunale e non si contano più i guasti che ha prodotto nel tessuto sociale di questo paese, che una volta era invidiato e stimato per tutte le grandi iniziative intraprese che avevano trasformato questa piccola cittadina in un punto di riferimento provinciale e regionale, sia per lo sviluppo culturale che politico e per le grandi infrastrutture realizzate. Due assessori stanchi dell’insufficienza di questa amministrazione si sono dimessi perché ogni iniziativa per far migliorare il paese veniva stroncata dal vicesindaco (sindaco come al solito consenziente e sottomesso). Maropati vive in una forma di apatia generale, di indifferenza mista a nervosismo e malumore perché sono molto evidenti i segnali di illegalità di questa giunta che si regge solo per il silenzio-assenso delle Istituzioni che avrebbero il diritto-dovere di sciogliere l’ amministrazione, evitando l’agonia e la paralisi che durano da molto tempo. Nessun altro paese della provincia di Reggio Calabria vive calpestando le leggi dello Stato come succede a Maropati con l’indifferenza della Prefettura e delle Istituzioni che portano a radicare nella cittadinanza la convinzione che si può vivere nell’illegalità senza che intervenga lo Stato per correggere e punire. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 Un mese fa abbiamo denunciato concorsi banditi per favorire amici, tanto che circolavano in maniera scandalosa i nomi dei vincitori. Anzi per un concorso è stato modificato il bando adeguandolo alla mancanza di titoli di uno dei possibili vincitori. Il 9 marzo 2007 la Giunta comunale dà incarico, con delibera, al vicesindaco di trovare, indicare e nominare un tecnico per redigere il progetto per la costruzione della sede della Fondazione Seminara (già finanziata dall’On.le Zavettieri tre anni fa) e di una sala di dibattito e rappresentazione delle opere dello Scrittore. Dopo pochi secondi, una seconda delibera di Giunta, sempre del 9 marzo 2007, approvava il progetto del consulente tecnico del vicesindaco (stipendiato dal Comune e probabilmente, forse, pagato pure per il progetto). Se questo è legale, allora ogni cittadino ha il diritto di violare la legge ed agire tutelando solo i propri interessi personali. Far credere che un progetto così complesso può essere redatto in pochi secondi e farlo approvare nella stessa seduta di giunta è si o no una illegalità? La risposta la vogliamo dal Prefetto, dalla Procura della Repubblica e da tutti gli uomini di buon senso. E poi ancora… 1 MAROPATI … e dintorni Nell’ultimo Consiglio comunale per l’approvazione del bilancio di previsione, il vicesindaco (sempre lui!!!) ha fatto approvare dai sette consiglieri di maggioranza (i sette dell’Ave Maria) un progetto preliminare (redatto dal solito compiacente amico?) per collegare viale Fortunato Seminara con via XXV Aprile per convogliare nel depuratore la rete fognaria e le acque reflue che vanno nel vallone Scicalà, quindi una strada fatta in galleria. Spesa prevista: almeno 30 milioni di euro (sessanta miliardi di lire)!!! I pochi cittadini presenti, che hanno capito che anche questa è una beffa, si sono messi a ridere per la buffonata. Chi potrebbe finanziare un’opera inutile che costa 60 miliardi? La strada che collega viale Fortunato Seminara con via XXV Aprile esiste, è comoda ed è a scorrimento veloce: il tragitto di quasi un chilometro si percorre in un minuto. Oltre il danno anche la beffa! Ormai si ride di Maropati perché si pensa che oltre ai sette consiglieri siano diventati imbecilli anche gli altri cittadini che permettono la sopravvivenza di questa Amministrazione che tanto danno sta facendo alla credibilità e alla dignità dei maropatesi. Un grido di allarme si leva ormai da tutti i cittadini che amano il loro paese. La Prefettura e il Ministero dell’Interno sono avvisati! All’orizzonte, se continua ad essere tollerato questo disprezzo della legge di questi amministratori che ormai rappresentano solo sé stessi, i cittadini pensano e vedono, come risposta, la creazione a Maropati di una seconda “Repubblica di Caulonia” per “cacciare i Farisei dal Tempio” e ripristinare la difesa delle Leggi. All’On.le Giacomo Mancini Carissimo Giacomo, la mia solidarietà, la mia stima è quella di tutti i veri socialisti, tutti intorno a Te per le grandi iniziative intraprese e per resistere alle minacce dei “soliti ignoti” e alle diffamazioni di certa sinistra frettolosamente proiettata ad ostacolare l’ascesa meritata del discendente di una grande famiglia socialista e a rinverdire la gloria dell’On.le Pietro Mancini e del grande On.le Giacomo Mancini, segretario nazionale del P.S.I. Con stima Vincenzo Gallizzi 2 Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni LE ARANCE DELLA SALUTE di Fiorenzo Silvestro N on so quanti, tra i cittadini di Maropati, si siano veramente resi conto del danno che è stato arrecato alla nostra comunità con l’incomprensibile ed assurda decisione di dire no alla costruzione della Pedemontana. Sessanta miliardi di vecchie lire. Era questo l’importo del finanziamento che l’Unione Europea, attraverso l’Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria, aveva stanziato per la costruzione del tratto di Pedemontana ricadente nel territorio del nostro comune. Queste sono – nel nostro caso erano – le cosiddette infrastrutture: opere strategiche e per questo indispensabili per tutte quelle comunità che vogliono avviare processi di sviluppo; è davvero triste dirlo, ma noi vi abbiamo rinunciato, con convinzione ed insistenza, perché abbiamo ritenuto più importante salvaguardare alcune piante di arancio. Ma al di là delle ragioni che sul momento sono state addotte per giustificare tale scelta, credo che alla stragrande maggioranza dei nostri concittadini e soprattutto alle giovani generazioni, dovrà essere dato conto dei come e dei perché i nostri “manager di primo pelo” hanno voluto privare Maropati di un’opera così importante. Degli amministratori normali, infatti, avrebbero superato qualsiasi ostacolo pur di ottenere finanziamenti da destinare al miglioramento della viabilità locale, i nostri, invece, hanno respinto con ostinazione tali contributi, reputandoli altamente dannosi per la locale economia oltre che per l’ambiente. Immaginate se gli amministratori del comune di Bagnara, al tempo della costruzione dell’autostrada SA-RC, si fossero opposti alla realizzazione del ponte, o se quelli di Mammola avessero impe- Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 dito la costruzione del tratto di superstrada che ricade nel loro territorio e che porta sul versante ionico: le stesse opere avrebbero perso di senso in quanto si sarebbero notevolmente attenuati i benefici che, al contrario, ne sono derivati dalla loro completa realizzazione. Così come le opere appena citate, il tratto della Pedemontana che avrebbe interessato il nostro comune costituiva uno stralcio di un’opera molto più grande ed importante che era stata pensata, nella sua interezza, proprio per creare quelle condizioni di crescita economica la cui mancanza ha da sempre penalizzato i centri dell’entroterra. Inoltre, bisognava guardare al futuro del nostro comune, ai suoi possibili sviluppi nel settore dei servizi, del commercio, del turismo rurale e persino della stessa agricoltura nonché agli interessi dei Maropatesi di domani, dei nostri figli che, probabilmente, 3 MAROPATI … e dintorni non immaginano il loro futuro in campagna a raccogliere arance. Infine, bisognava considerare che la maggior parte di quei sessanta miliardi sarebbero stati spesi nel nostro comune in mano d’opera, forniture di calcestruzzi e inerti, movimenti di terra, noleggi di mezzi da cantiere, trasporti, carburanti ecc. Diciamo pure che qualcuno, per un bel pò di tempo, avrebbe lavorato incrementando i propri redditi. Ma a tutto questo avete detto no. Avete detto si, invece, con delibera di Consiglio n. 04 del 23 gennaio 2006, all’acquisto di un autocarro con gru e di un bob-cat, indebitando senza alcuna necessità il comune attraverso la contrazione di un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti per un importo complessivo di 175.000,00 euro: scusate, ma per fare cosa, l’impresa di costruzioni? Non c’è niente, se non una errata valutazione dei bisogni e delle priorità della nostra comunità che giustifichi un tale assurdo investimento. La cosa ancora più triste è che con il continuo ricorso all’indebitamento state irreversibilmente ed inutilmente ingessando il bilancio dell’ente, impegnando queste somme non per sostenere nuove 4 iniziative o per creare nuovi posti di lavoro (come avevate promesso in campagna elettorale), bensì per acquisire beni dai quali non solo non ricaveremo alcun beneficio, ma il loro utilizzo creerà condizioni di svantaggio ulteriore per le piccole imprese locali, che si vedranno costrette ad eliminare dal loro elenco-clienti anche l’amministrazione comunale. Ma tornando alla strada, ed in particolare alle diverse problematiche sorte nella fase preliminare e che tanto hanno acceso il dibattito politico maropatese, credo che sarebbe stato necessario proprio in quella fase ed al solo fine di non perdere il finanziamento, esprimere un parere favorevole e senza condizioni; tutti gli altri problemi (il tracciato, i piloni, la valle di Jola, il rilevato, lo sbancamento, la provincia, il comune, e non vorrei dimenticare le tanto amate arance) potevano essere risolti anche dopo avere appaltato i lavori, con una o più varianti da far approvare in corso d’opera. In ogni caso la strada andava realizzata. Quello che disorienta ed al contempo scoraggia i cittadini è che nessuno all’interno della maggioranza consigliare ha sostenuto un’altra tesi o ha ritenuto comunque di dissentire dalla linea tracciata dai maggiorenti: tutti d’accordo. Tutto questo ci riporta indietro nel tempo e precisamente al lontano 16 gennaio 1888 quando il Conte di Riva così descriveva l’attività del Consiglio comunale di Maropati: «Quel che il sindaco fa è ben fatto; e gli altri battono le mani ed applaudiscono a quell’uno, seguendolo “veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedentia finxit” direbbe Sallustio». È proprio questa vostra, come definirla… sudditanza psicologica…, che ha consentito a quell’uno di emergere, anche troppo, ed a tutti gli altri di precipitare nell’abisso dell’anonimato (Sindaco compreso). L’atteggiamento fin troppo remissivo di quest’ultimo poi, se da un lato potrebbe apparire come il prodotto di una scelta ponderata e consapevole, dall’altro ha finito inevitabilmente per frustrare il sostegno e le aspettative dei suoi personali elettori, i quali non potevano certo prevedere una così decisa quanto imbarazzante involuzione. Di tutto questo però, io personalmente, vi sono grato. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni LE CHIESE DI TRITANTI ALLA FINE DEL ’500 di Giovanni Quaranta A lla fine del ‘500, Tritanti costituiva il casale più piccolo della baronia di Anoia che era soggetta alla signoria feudale della famiglia Ruffo di Sinopoli mentre, dal punto di vista ecclesiastico, era assoggettata all’autorità del vescovo di Mileto. Il 4 novembre 1586, il piccolo borgo ricevette la visita del presule miletese Mons. Marco Antonio Del Tufo il quale, accompagnato dal protonotario Mons. Giovanni Comparino, si apprestò ad effettuare la S. Visita delle chiese del casale. Gli atti1 riportano che la prima chiesa ad essere visitata fu la parrocchiale sotto il titolo di Santo Filogeni la quale fu ritrovata essere stata consacrata e così anche l’altare maggiore come apparse per croci segni et sugelli. L’altare era adornato con tre tovaglie, due candelieri e avanti altare di tela morella2, al di sopra era sistemata una custodia di legno di fuori indorata dentro la quale si trovava un vaso di legno dove era conservato il SS. Sacramento. Al cospetto del vescovo si presentò don Vincenzo Condò il quale disse di essere cappellano dell’università, e di servire la detta parrocchiale perchè è povera e senza entrata alcuna e gli eletti e l’università hanno pensiero perchè non ha altro che la comunanza di dieci tumuli di grano germano e, inoltre, aggiunse che la stessa parrocchiale possedeva solo una casa terrana ed orticello dietro la detta chiesa e un piede di gelso. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 Non mancò di enumerare i suppellettili sacri che erano tutti conservati dal cappellano e consistevano in: una croce di legno dorata con la tovaglia, un calice con la coppa e la patena di argento, una pianeta di damasco paonazzo3, un’altra di tela bianca, due camici forniti di ogni cosa, un messale, un paio di ferri per fabbricare le ostie, un candeliere di ottone, quattro tovaglie ed una cassa. 5 MAROPATI … e dintorni Il vescovo ordinò a Felice Condina e Consalvo Seminara, eletti del casale, che nel termine di due mesi, si provvedesse a guarnire la custodia dalla parte di dentro di taffità carmosino e di fare un vaso di argento per il SS. Sacramento. Riscontrò che gli olii santi si conservavano dentro la custodia in vasi di stagno. Fu dato mandato al cappellano, sotto pena arbitraria, di conservare il vaso con gli olii santi nella sacrestia dentro un armadio a muro chiuso a chiave, che nella visita agli infermi gli stessi olii dovevano essere trasportati dentro una scatola di avorio (o di altro materiale consimile) coperta con un drappo di seta, e la bambace4 utilizzata per l’unzione degli infermi dopo essere stata riportata in chiesa doveva essere bruciata e le ceneri riposte nel sacrario. Visitò il fonte battesimale e ritrovò che l’acqua era conservata dentro un vaso di creta. Ordinò agli eletti presenti che entro il termine di sei mesi si facesse un fonte di marmo o di altra pietra dura che non fonda, e sopra una custodia di legname di sotto guarnito di piastra di rame stagnata e sopra una cupola seu truglia di tavole con le sue porte et chiavi et in quello debbia5 conservare l’acqua battesmale. 6 Sopra l’altare maggiore vi era un quadro fatto in tela con l’immagine della Madonna SS.ma, di San Rocco, San Sebastiano e San Pietro. La chiesa era a intera pianta piana, con sepolture, con due porte con serrature e chiavi, fonte di acqua benedetta, due campane sonanti ed un confessorio di legname. In seguito mons. Vescovo visitò l’altra chiesa sotto il titolo di San Nicola la quale non era stata consacrata e nemmeno l’altare. Quest’ultimo - sopra il quale c’era un grande crocefisso fatto in tavola - era adornato di tovaglie, due candelieri ed avanti altare di panno giallo. Asserirono non possedere cosa alcuna di entrata, perchè si serve con li vestimenti della parrocchiale, e che era l’università a farla servire di elemosine sostenendo il peso della celebrazione di una messa la settimana. Aveva una campana so- nante, era coperta a tetti ed aveva la porta con serratura e chiave. La successiva chiesa visitata fu quella di San Sebastiano, la quale fu ritrovata consacrata e così anche l’altare come apparve per segni croci et sugelli e Relazione. L’altare era adornato di tre tovaglie, due candelieri ed avanti altare di tela bianca e sopra vi era un quadro fatto in tavola con l’immagine della Madonna SS.ma, di San Nicola e San Sebastiano. Dissero non avere cosa alcuna di entrata e che si dice una messa la settimana e si serve con li vestimenti della parrocchiale. La chiesa era lastracata; aveva due sepolture, un crocefisso attaccato ad una trave, fonte d’acqua benedetta, porta con la serratura e due campane sonanti. Fu ordinato di fare una crocetta di legno sopra l’altare. A conclusione della visita, fu ordinato al cappellano della parrocchiale che debbia continuare la dottrina cristiana et esporre alcuna parola del santo evangelio secondo la sua capacità e debbia far guardare le feste. Note: 1ARCHIVIO STORICO DELLA DIOCESI DI MILETO, Sante Visite, vol. IV, pp. 799v-801v. 2 Di colore tendente al nero. 3 Di colore tendente al violaceo. 4 Bambagia, cotone in fiocchi. 5 Deve. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni LA PAGINA DEGLI ACROSTICI di Domenico Cavallari U n acrostico (dal greco tardo akróstichon, composto di ákros, «estremo» e stíchos, «verso») è un elaborato poetico in cui le lettere o le sillabe o le parole iniziali di ciascun verso formano un nome o una frase, a loro volta denominati acronimo. In origine l'acrostico aveva probabilmente una funzione magica. Si possiedono esempi di acrostici già in composizioni sacre babilonesi, per esempio quella che presentava così il nome del suo autore: «Saggil-kinam-ubbib, sacerdote degli incantesimi di Babilonia». Altri esempi di acrostici dell'antichità sono alcuni Salmi della Bibbia, i cosiddetti "Salmi alfabetici" in cui l'inizio di ogni verso presenta, nell'ordine, tutte le lettere dell'alfabeto (Salmi 25, 34, 119). I più antichi esempi di acrostici in greco risalgono ad Arato e a Nicandro; vi sono numerosi acrostici tra gli epigrammi dell'Antologia Palatina e nell'opera di Dionisio il Periegeta. Nella letteratura latina, Cicerone testimonia che Ennio fu autore di acrostici; più tardi gli argomenti in versi delle commedie di Plauto, presentano in acrostici il titolo delle commedie stesse. Fra i poeti cristiani, acrostici furono composti da Commodiano nelle sue Instructiones. La tradizione dell'acrostico continuò nel Medioevo e poi nella letteratura italiana: molto famoso è l'acrostico costituito dai capoversi delle terzine dell'Amorosa visione con cui il Boccaccio dedicò l'opera a Maria d'Aquino. Celebre è anche la scritta "Viva VERDI" che i patrioti italiani utilizzavano, durante il Risorgimento, per significare Vittorio Emanuele Re D' Italia. Maropatesi, della nostra bella terra innamorati, Amano ravvivare eventi e fatti dimenticati, Riescono con sacrificio di tempo e denaro, Ovviare, con fattività, ad ogni comportamento avaro. Professionisti con la giornata già impegnata, Agiscono con ammirevole volontà integrata. Tanti altri paesani, previsti, sono dei detrattori, Impegnati a criticare. Aridi nelle menti e nei cuori. È bene aiutare, invece, questi pochi volenterosi, Dando qualsiasi apporto, essere quindi operosi. In diecimila e più siamo i Maropatesi emigrati, Non dobbiamo ritenerci esclusi come dimenticati, Tutti dovremo concorrere all’iniziativa, affiatati. Operando in pieno, per non sentirci emarginati. Riuniamo le nostre forze miei cari paesani, Non restiamo inattivi: muoviamo menti e mani, Inviamo sostegni, per dare a Maropati, un migliore domani. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 7 MAROPATI … e dintorni CRONACHE DAL COMUNE PER I DEMOLITI E GLI SGOMBRATI di Fiorenzo Silvestro C on delibera n. 83 del 14/12/2004 la giunta comunale di Maropati ha provveduto a modificare il Regolamento sull’Ordinamento degli uffici e dei servizi al fine di poter attribuire ad uno o più componenti dell’organo esecutivo la responsabilità di uffici e servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica e gestionale: a seguito di tale modifica il Sindaco ha attribuito all’assessore Fiorello la responsabilità dei servizi tecnici e tecnico manutentivi. In merito a tale incarico intendo far rilevare (soprattutto a chi è direttamente interessato) che lo stesso è stato assunto in evidente contrasto con quanto disposto dagli artt. 61 e 62 dello Statuto comunale che, in merito, così dispongono: Art. 61 c. 1 “Il Comune disciplina con appositi atti la dotazione organica del personale e, in conformità alle norme del presente statuto, l’organizzazione degli uffici e dei servizi sulla base della distinzione tra funzione 8 politica e di controllo attribuita al consiglio comunale, al sindaco e alla giunta e funzione di gestione amministrativa attribuita al direttore generale e ai responsabili degli uffici e dei servizi”. Art. 62 c. 2 “I regolamenti si uniformano al principio secondo cui agli organi di governo è attribuita la funzione politica di indirizzo e di controllo…; al direttore e ai funzionari responsabili spetta, … la gestione amministrativa, tecnica e contabile secondo principi di professionalità e responsabilità”. Risulta evidente, pertanto, che le modifiche apportate al Regolamento sull’Ordinamento degli uffici e dei servizi con la delibera sopra citata sono nettamente difformi dai principi espressi dal nostro Statuto, ai quali, invece, il Regolamento dovrebbe uniformarsi per espressa previsione. Sulla base delle considerazioni esposte ed in conformità alle norme statutarie sopra richiamate che, lo ricordo a me stesso, sono sovraordinate a quelle regolamentari, permane l’impossibilità per il Consigliere Fiorello di ricoprire l’incarico di Responsabile dei servizi tecnici e tecnico manutentivi, almeno sino a quando il Consiglio non provvederà a modificare lo Statuto comunale. Non pochi dubbi sorgono, infine, anche in merito alla regolarità dei provvedimenti adottati dallo stesso in tale veste. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni IL MARCHESATO di Giorgio Castella l’inverno fu Quell’anno lungo; spesso nelle ore pomeridiane mi recavo presso la casa dei miei nonni materni a “Fantino”. Era costruita con mattoni di creta e pitturata bianca; all’esterno vi era una pianta di quercia con i rami molto estesi e un fusto secolare. La casetta aveva forma geometrica rettangolare, composta da tre stanze: la prima matrimoniale, arredata da un letto sul quale non riuscivo a salire, in quanto i materassi pieni di foglie di granturco erano molto alti, da un angoliera di castagno, un comò di noce e un baule che mio nonno aveva portato dall’America durante l’emigrazione. Nella seconda stanza, in un angolo della parete, vi era un letto e poi tante giare per conservare l’olio. La terza stanza era adibita a cucina. Oltre al forno per fare il pane, vi era un grande focolare circondato da panche di castagno dove prendevamo posto tutti i nipoti; spesso ci divertivamo con un soffietto fatto di canna a soffiare sul fuoco per vedere la fiamma più alta, ma spesso, prendendo troppo fiato, facevamo volare la cenere. Ricordo che avevo i capelli molto folti e mi grattavo la testa; mia nonna Concetta, vedendomi, prendeva un pettine che aveva i denti strettissimi e iniziava a spettinarmi poggiandomi la testa sopra un foglio di carta; nel pettinarmi cadevano tanti pidocchi che poi buttava insieme alla carta nel fuoco, lo scoppiettìo che provocavano mi dava la sensazione che fossero dei fuochi pirotecnici. Avere i pidocchi era un fatto normale che impegnava mamme e nonne a spidocchiare figli e nipoti. La mamma di un mio compagno dai capelli ricci, non potendo sottoporre il figlio al pettine stretto, era Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 costretta a prendere la pompa riempita di DDT per innaffiargli la testa. Giunta l’estate, mio padre mi conduceva da mastr’Angiolino, il barbiere che si trovava in Piazza Castello, che mi faceva un taglio cortissimo: finalmente, sentivo la testa che mi respirava e per la gioia infilavo il capo sotto il getto della fontana che si trovava al centro della piazza. Quanti ricordi! … le case, gli alberi, i tuguri, i vicoli, i viottoli… La strada più breve per raggiungere le campagne si trovava all’estremità del paese ed era conosciuta come “la Petraia”, in contrada Donna Cà. Nel periodo estivo, quando diventava buio, non vedendo giungere mio 9 MAROPATI … e dintorni padre dalla campagna mi preoccupavo e gli andavo incontro aspettandolo impaziente seduto su un sasso, proprio sulla “Petraia”, e gioendo appena lo intravedevo. La Petraia era una strada fatta di sassi, ripida e larga, che congiungeva il paese con il torrente Eja e con la Provinciale. Era continuamente percorsa da mulattieri e contadini che si recavano, in modo particolare, nelle terre del Marchese: campi fertili e pianeggianti che producevano agrumi, olio, frutta e vino. Il latifondo che si estendeva per decine di chilometri, veniva attraversato da una strada diritta e polverosa con ai bordi grossi pioppi. Mio padre aveva deciso di andare nel nostro piccolo vigneto a solfatare l’uva contro i parassiti. Era un lavoro che doveva svolgersi al mattino presto, altrimenti i raggi del sole facevano volare lo zolfo creando arrossamenti agli occhi. Quel giorno mi svegliai di buon mattino e andai con mio padre. A passo svelto ci avviammo verso il vigneto. Giunti nelle vicinanze, la strada che faceva da confine con le terre del Marchese era bloccata da uomini e donne che avevano in mano dei cartelli dove era scritto: «OGGI SCIOPERO GENERALE! BASTA CON I SALARI DA FAME! RI- 10 SPETTO DELL’ORARIO DI LAVORO!». Dopo una breve conversazione con gli scioperanti, ci fecero passare; mio padre promise che, finito di solfatare il vigneto, si ritornava indietro. Al nostro ritorno la strada era affollata di braccianti provenienti dai paesi limitrofi; si era formato un lungo corteo che si congiungeva con la strada provinciale. Alla testa del corteo vi erano le bandiere rosse delle Camere del Lavoro di Galatro, Feroleto, Anoia e Maropati e tanti cartelli. Ad un tratto si levò un canto delle donne che faceva eco in tutta la vallata; poi un coro di voci che urlava: «Basta con lo sfruttamento!». Il corteo accompagnato dallo sventolio delle bandiere rosse, si diresse verso la palazzina di campagna del Marchese; il suo accesso era impedito dai fattori e dalle Forze dell’Ordine. La strada era ormai strapiena di scioperanti che spingevano verso il cancello, reclamando con forza diritti dovuti. Dopo una lunga attesa, una delegazione delle Camere del Lavoro fu ricevuta dal delegato del Marchese e dagli agrari del territorio. Mentre le trattative erano in corso, uomini e donne cantavano i canti del movimento operaio e discutevano delle loro condizioni di vita. La delegazione ritornò dopo diverse ore. C’era grande attesa tra i lavoratori che, vedendoli arrivare, si accalcarono intorno desiderosi di sapere. Il Segretario della Camera del Lavoro salì su un sasso che si trovava ai bordi della strada prese dalle tasche della giacca nera di velluto un foglio di carta dove c’era sottoscritto l’accordo con i rappresentanti degli agrari. Nel silenzio assoluto e volti ansiosi e attenti, il Segretario della Camera del Lavoro con voce alta illustrava punto per punto l’accordo sottoscritto. Alla fine si levò un gran sussulto di gioia: «Abbiamo vinto, abbiamo vinto!» La vittoria dei braccianti preoccupò il Marchese e gli agrari che decisero di assumere dei guardiani con il compito di controllare quei lavoratori impegnati nelle lotte sindacali ed impedire nuovi scioperi. In tutti i paesi della Piana si parlò della manifestazione sindacale al marchesato e di come si era riusciti ad ottenere l’aumento salariale e il rispetto dell’orario di lavoro. Da quel risultato le Camere del Lavoro si apprestavano a nuove lotte sindacali, sfidando l’arroganza dei guardiani pagati per sottomettere la povera gente. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni FRANCO SERGIO: Il partigiano Alioscia di Giovanni Mobilia P ochi, a Maropati, conoscono la storia del partigiano Franco Sergio a cui il Comune ha dedicato, nel 1981, la Piazzetta un tempo intitolata a S. Lucia. Il motivo della scelta sta nel fatto che proprio lì, in una casetta oggi abbandonata, egli visse parte della sua vita. Oggi, ne ricordano le gesta le parole sintetiche ed espressive scritte su una lapide: IN QUESTA CASA VISSE FRANCO SERGIO, PARTIGIANO COMBATTENTE CADUTO SOTTO IL PIOMBO NAZI-FASCISTA IL 15/02/1945 A SERRAVALLE LANGHE (CN). FULGIDO ESEMPIO DI SCELTA POLITICA E DI SACRIFICIO DA ADDITARE ALLE GIOVANI GENERAZIONI. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 Francesco Michele Natalino Sergio, questo era il suo nome completo, nacque il 25 dicembre 1919 nella vicina Cinquefrondi. I genitori si trasferirono per lavoro ad Anoia, mentre lui rimase con la nonna a Cinquefrondi, dove imparò il mestiere di calzolaio che gli procurò da vivere. Più tardi, con la famiglia, venne ad abitare a Maropati, in Piazza S. Lucia, dove visse fino alla chiamata alle armi. Dal Foglio Matricolare e dagli studi di Nuccia Guerrisi si scopre che partecipò a diverse operazioni belliche e venne congedato il 1° maggio del ’39. Fece subito domanda per partire volontario e quasi sei mesi dopo, con il grado di sergente, venne mandato a Casale Monferrato e nel 1941 partì per Tripoli, in Libia. Non mancano da quel momento gli atti di coraggio ed eroismo nel contatto continuo con la morte. In uno di questi, nel tentativo di salvare un commilitone, che aveva preso fuoco per lo scoppio di un bidone di benzina, rischiò di morire per le ustioni riportate. Dopo due mesi di continui ricoveri in ospedali militari tornò a Maropati con una licenza di convalescenza di quattro mesi. Il 22 maggio del 1944 disertò dal Regio Esercito e si arruolò con i partigiani della “VI Divisione Garibaldi Langhe” al comando del tenente di cavalleria Giovanni Latilla detto Nanni, con il nome di battaglia “Alioscia”. Durante un rastrellamento venne però catturato e, trovato armato, condannato alla fucilazione. La pena poteva essere molto mitigata se avesse parlato, se aves- 11 MAROPATI … e dintorni se rivelato il luogo dove erano nascosti gli altri partigiani (circa 20). Ma Franco Sergio non parlò. Dopo uno spicciativo processo tenutosi in una stanza del Municipio di Serravalle Langhe (CN), il 14 febbraio del 1945, alle ore 15, venne portato davanti al muro del camposanto e fucilato. Oggi, il suo corpo riposa nel piccolo cimitero di Maropati in un piazzale che potrebbe chiamarsi “degli Eroi”, accanto al Recinto della Memoria, dove riposano altri uomini illustri di Maropati, a testimonianza che i grandi ideali di pace, libertà e giustizia nascono dalle menti, si propagano con le parole e si perpetuano con gli atti d’eroismo. L’URTIMU NGUSCIU CUNTRA LU PATRUNI Mentendu pedi ‘mbandu a nu senteri, Nu ciucci orbu e carricu, nciampau. Senza sapìri undi sbatti o speri, Sberzàu, s’arrumbulàu … si scafunàu! Ma sutt’a lu cafùni poi nchiumbàu A l’anch’allàriu sup’a nnu pileri, Cu la catreva rrutta, e… nguscijau… Povaru sbenturatu di sumeri! Lu patruni, sciancatu, mpasamau! E gridandu: isci ccà, lu rincurrìu E di la cuda, nterra, l’acchiappàu. Lu ciucciu, chi la vuci canuscìu, Sbuffàu natru ngusciùni… e s’astutàu! Lu ciucciàru… la cud’abbandunau! Cu sa? cu chiju ngùsciu chi scramàu Lu ciucciu, ntra la testa chi pensàu! (Pasquale Creazzo) 12 Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni ANTONIO PIROMALLI (Maropati 1920 - Polistena 2003)* di Rocco Liberti C ol prof. Piromalli, scrittore in particolare di letteratura calabrese e italiana, ispettore ministeriale, docente di filologìa e storia all’università di Cassino, ho avuto il primo incontro ad Oppido in casa di mons. Pignataro in sulla metà degli anni ’60, ma non so dirne la data esatta. Subito dopo gli avrò inviato il mio lavoro su Gioia Tauro, se con una cartolina senza data (non si rileva nemmeno dal timbro postale) teneva a ringraziarmi. Nel prosieguo mi è capitato di rivederlo a Palmi in occasione di un corso da lui tenuto al Comune ed in qualche convegno organizzato dalla Deputazione di Storia Patria a Reggio. Così ad un bel momento, vengo a leggere in un suo articolo apparso sul periodico “Gazzettino del Jonio” con titolo “Lettere vanitose” (16 marzo 1972) e appresso nell’omonimo volume1: Un ottimo opuscolo è Oppido e Tresilico nei registri parrocchiali di Rocco Liberti (estr. da Studi Meridionali 1971), puntuale, attento ai fatti generali e ai documenti, informato, equilibrato. Noi ci auguriamo che il Liberti allarghi le sue indagini agli altri paesi della Piana e pensi a un’opera complessiva. Successivamente, in data 10 aprile 1976 il prof. Piromalli, trovandosi ad attendere ad una monografia sul paese natale, mi richiedeva copia di miei lavori stimati utili alla sua opera e, cioè, “Gioia Tauro”, “Folklore di Calabria” e “Le terre e i paesi della Piana di Gioia Tauro nel periodo di transizione bizantino-normanno”. Cosa che feci, ma con susseguente lettera del 16 giugno 1977, replicando d’inviargli quanto a Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 mio parere gli sarebbe riuscito utile, teneva a dirmi che avevo ragione per Rocco De Zerbi, in quanto l’assistente gli aveva saltato il lavoro di schedatura. Non rammento in merito quale fosse stato il mio riscontro precedente. Probabilmente, aveva attinenza con quanto da lui non scritto sul noto uomo politico e scrittore nella “Storia della letteratura calabrese” appena edita in 2a edizione. Dopo alquanto tempo ho ricevuto una illustrata datata 6 gennaio 1982 da Roma, dove il professore risiedeva, con la quale, con calligrafia quasi impossibile a decifrarsi, mi faceva pervenire il suo grazie per una recensione ad un volumetto che riportava le composizioni del poeta polistenese Vincenzo Rovere, al quale aveva premesso una sua prefazione. Quindi, mi richiedeva ancora copia del mio lavoro “Folklore della Calabria”, di cui avrebbe trattato in un convegno che si sarebbe svolto in Romagna, ma il volume era andato presto esaurito. Sono trascorsi ancora un buon numero di anni, quando con altra cartolina del 18 gennaio 1986 è venuto a domandarmi notizie su Andrea Mazzitelli, noto patriota di Parghelia, avendo 13 MAROPATI … e dintorni letto una mia recensione ad un libro che ne trattava. Aveva scorto la nota in “Calabria Letteraria” frettolosamente in treno, dove l’aveva pur lasciata distrattamente. C’era in lui, comunque, l’intenzione di richiedere copia della pubblicazione. Parimenti voleva informazioni sulla circostanza che l’abate Jerocades fosse stato ad Oppido intorno al 1775, ma sicuramente, come poi gli ho comunicato, equivocava con Gregorio Aracri. L’1 giugno 1989 il prof. Piromalli, avendone avuto sentore, è venuto a chiedermi il lavoro dal titolo “Sanfedisti, giacobini e briganti nella Piana di Gioia” adducendo a motivo ch’egli stesso si stava occupando del medesimo argomento. Me ne ringraziava il 9 agosto e, segnalandomi qualche imprecisione, teneva a giudicare l’opera un ottimo contributo per le novità riguardanti la Piana. Domandava anche maggiori lumi su Francesco Antonio Grimaldi. Dopo tanto tempo mi ha ricontattato l’8 marzo del 1999, quindi dopo ben 10 anni, pregandomi di voler effettuare per lui col tempo una ricerca presso l’archivio di stato di Palmi al fine di conoscere se gli atti del notaio Pasquale Jaconis di Maròpati rivestissero un qualche valore storico. Gli sarebbe stata sufficiente anche la sola descrizione del contenuto. Inutile dire che mi son fatto un dovere di provvedere sollecitamente al desiderio dell’amico, ma la mia fatica si è resa purtroppo infruttuosa. Comunque, egli veniva come di consueto e cioè con la scarsamente leggibile cartolina a ringraziarmene. Questo il suo riscontro: sono tranquillo perché Lei della nostra Piana ha visto tutto. Contemporanea- 14 mente esprimeva gratitudine per due lavori che gli avevo inviato e mi avvisava dell’uscita di una rivista da lui diretta. Si trattava di “Letteratura & Società” avviata proprio nell’anno dall’editore Pellegrini, di cui mi invierà poi i primi due numeri. Ancora un periodo senza riscontri. Il 30 maggio 2002 si rifaceva vivo da Rimini informandomi che in un convegno ivi tenuto si è parlato molto della storia di Aiello e, chiedendomi di riferirgli qualcosa in merito. Reiterava il 2 agosto sempre da quella città e così si esprimeva in merito al mio volume sulla storia di quell’antico centro, di cui il Comune gli aveva inviato copia fotostatica: È un ottimo lavoro, rigoroso, completo, aperto ai collegamenti con la storia italiana. Ottima la trattazione della famiglia dei Cybo che mi interessa per taluni studi che conduco da tempo sulla cultura di Massa, Carrara e della Lunigiana. In particolare, teneva a domandarmi maggiori lumi su alcuni personaggi ed un parere in merito a qualche sua interpretazione. Ho visto per l’ultima volta il prof. Piromalli il 14 aprile 2003 a Taurianova, dove si era recato per la presentazione del volume che raccoglie le opere latine di Francesco Sofia Alessio ed è stato un incontro particolarmente caloroso, documentato da una fotografia scattata da un’amica, che, purtroppo, non sono riuscito mai ad avere. Ne ho approfittato per fargli dono di un paio di pubblicazioni di suo interesse. Veniva a ringraziarmene il susseguente 8 maggio e, dicendosi più di tutto contento dell’incontro fatto, mi avvisava che stava per andare in Romagna. Dopo appena un mese, il 7 giugno deceAnno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni deva inopinatamente a Polistena, mentre si recava all’ennesimo convegno culturale. Piromalli, che ha pubblicato importanti studi di letteratura italiana di carattere nazionale (parecchio considerata l’opera La cultura a Ferrara al tempo di L. Ariosto2, ha prodotto varie opere d’interesse calabrese, come Fortunato Seminara3, La letteratura calabrese, ch’ebbe tre edizioni4, Antologia della letteratura calabrese5. Nel 1978 dava alle stampe con Brenner in Cosenza una ben documentata monografia sul paese natale, appunto, Maropati con sottotitolo Storia di un feudo e di un’usurpazione. Note: Rubbettino, Soveria Mannelli 1985, p. 26. Firenze 1952. 3 Pellegrini, Cosenza 1966. 4 Ivi 1965; Guida, Napoli 1977 ed ancora Pellegrini in 2 tomi 1996. 5 Assieme a Carmine Chiodo, Pellegrini 2000. 1 2 Foto a pag. 13: L’autore (a sinistra) con il Prof. Antonio Piromalli (a destra). Foto a pag. 14: Il Prof. Antonio Piromalli, qualche minuto prima della conferenza tenuta nel Salone Municipale di Taurianova. Assieme a lui: Ciccio Modafferi, Giovanni Russo, Enzo Agostino e Rocco Liberti. (*) Pubblicato in «Storicittà», XIV (2005), n.136, pp. 58-59. Le foto sono tratte dal sito internet www.polistenaonline.it RICORDANDO ANTONIO PIROMALLI di Domenico Cavallari stato mio insegnante di materie letterarie. Lui, citando un libro di mio nonno (Giuseppe Cavallari)1 e riferendosi a Maropati, era solito dire: “Il più umile seno di mare, ha le sue tempeste come l’oceano”. Usava la penna come un cesello, sia nel recensire le opere di Seminara, che nella sua esaustiva monografia storica di Maropati. È Piromalli fu un esaustivo e un chiaro scrittore, In ogni sua opera ha, per Maropati, un cenno d’amore. Ricorda i fatti storici, con completa documentazione, Ora del proprio paese, ora dello Stato e della Regione. Maropati ha nel suo nome fatalità e sofferenza, Alle quali bisogna aggiungere, del popolo, la pazienza. La penna di Piromalli è sempre un cesello: L’ha usata, bene, nello scrivere la storia del paesello. In ogni suo scritto impegnò cuore e cervello. LEGGETE E MEDITATE… GLI SCANDALI DI MAROPATI denunziati dal Conte di Riva (Giulio Moro) da Lugano. Napoli, 10 gennaio 1889. 1 Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 15 MAROPATI … e dintorni Dal confinato Spetteguless riceviamo e pubblichiamo “ZZIPÀNGULI … A PROVA” di Domenico Scarfò I l Consiglio dei Ministri, ha approvato un Decreto, col quale si tutelano i diritti delle persone, anche dello stesso sesso, che vogliono vivere in Convivenza: questo nuovo istituto paragona le unioni al matrimonio (sia esso civile che religioso). Pur condividendo, l’estensione dei diritti alle persone che vogliono Convivere liberamente, ho delle perplessità su come si concretizzi l’unione di due persone. Il suddetto Decreto, permette che, l’Unione di due persone, possa avvenire anche attraverso una semplice lettera. Essendo un passionale, debbo sottolineare come la cosa mi sembra un po’ fredda, bisognava farla in modo serio. Per non parlare del nome che gli hanno dato, “Dico”. L’ex Presidente del Consiglio Andreotti, ebbe modo di dire una battuta: “ I Dico è meglio che li rimettono nel frigo, aspettando tempi migliori”. Credo che questa legge non passerà, perché specie nel Senato dove la maggioranza è risicata si ascoltano voci discordanti. Ma, dopo la crisi sulla politica estera, nei dodici punti, essenziali che permettono a Prodi di andare avanti, i Dico, sono stati messi da parte, forse avranno capito che, non era tempo dei “Zzipànguli a Prova”. Meno male che, nel passato pericolo, non esisteva la voce delle adozioni. Spiego subito il perché? Se due persone dello stesso sesso avessero l’opportunità di adottare un figlio, cosa succederebbe nell’equilibrio psicologico del bambino? Non oso nemmeno immaginare. Io sono un insegnante, vedo nelle scuole la differenza che c’è tra un bambino che è figlio di genitori divorziati e un altro che ha una famiglia solida alle spalle. Con questo non voglio mettere in discussione il diritto al divorzio, ma un bambino 16 che ha i genitori divorziati è sballottato da una parte all’altra, come se fosse un pacco postale. Il bambino, invece, che ha una famiglia solida è molto più sereno e vive la sua fanciullezza nella spensieratezza. Una cosa che fa riflettere, in questi giorni, è l’atteggiamento della Chiesa Cattolica: pare che voglia emanare un testo, con il quale viene spiegato ai cattolici come comportarsi in merito. Questo potrebbe fare pensare che solamente i fedelissimi della Chiesa abbiano il buon senso e le persone laiche, invece, siano intrise di cattive idee. Le maggioranze cambiano, ma è giusto che portino avanti il loro programma elettorale; i cittadini le hanno votate, sapendo a cosa andavano incontro e devono essere giudicate da loro, senza nessuna interferenza. Il concordato tra lo Stato Italiano e la Chiesa riprende il vecchio concetto dal quale si evince che i due soggetti sono “Autonomi” nelle loro decisioni, in piena libertà nel proprio ambito. Per quanto riguarda la libertà personale, una ricercatrice ha scoperto che, nel Quattrocento, a Genova si praticavano i Matrimoni tra persone dello stesso sesso. Due uomini, non legati da vincoli di parentela, si giuravano d’avanti al notaio della Curia, di vivere insieme, di assistersi reciprocamente in caso di malattia e ciascuno indicava l’altro come erede al momento della morte. Perché la Chiesa di allora – se la notizia fosse vera – non si ribellò? E la Chiesa di oggi, perché non intraprende quella pulizia, di cui parla il Papa, nei Seminari in modo che non ci troviamo tra dieci anni a riparlare dei DICO preti? Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni LA PRIMAVERA NELLA POESIA di Luigi Massara Sandro Botticelli, La Primavera, Galleria degli Uffizi, Firenze. poeti, vedendo il cielo farsi più Quanti azzurro e le gemme spuntare sugli al- Odi greggi belar, muggire armenti; gli altri augelli contenti, a gara insieme ... beri, hanno riconosciuto in questi segni l’arrivo della primavera! Alceo, uno dei più grandi poeti lirici greci, in un frammento in dialetto eolico, dice: Quasimodo manifesta nel modo che segue il suo stato d’animo di fronte alla visione della primavera: Io già sento primavera che s’avvicina coi suoi fiori: versatemi presto una tazza di vino dolcissimo. Leopardi nel “Passero solitario”, con questi versi sublimi, suscita nell’animo di chi legge un senso di viva partecipazione: ...Primavera d’intorno brilla nell’aria, e pe li campi esulta, si ch’a mirarla intenerisce il core. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 Ed ecco sul tronco si rompono le gemme: un verde più nuovo dell’erba che il cuore riposa: il tronco pareva già morto, piegato nel botro. E tutto mi sa di miracolo; e sono quell’acqua di nube che oggi rispecchia nei fossi più azzurro il suo pezzo di cielo, quel verde che spacca la scorza che pure stanotte non c’era. 17 MAROPATI … e dintorni Anch’io, tempo fa, ho scritto un sonetto dialettale dal titolo “Aria di Primavera”, in cui immagini liete si confondono con un senso di malinconia: Quandu lu fundu mbernu si ndi jia E l’aria ndi paria c’avia cangiatu, no’ nc’era sira chi nno nsi nescia pe’ ffora ‘ntra lu Corsu alluminatu. Giràvamu cu’ l’amici lu paisi, parlandu di palluni e ddi cotrari, e ccerti voti, tantu di l’arrisi, nd’avemu a ccorchi mmuru d’appojari. Ndi ndi jemu a la casa poi cuntenti Cu’ la promessa pemmu ndi vidimu La sira dopu e mmu ndi divertimu. Mo li cosi cangiaru ‘nteramenti: atri penseri ‘n testa ndi trasiru, tanti cumpagni nostri scumpariru. Ma quando la natura si risveglia e si mostra nella sua veste migliore, ci richiama irresistibilmente alla gioia. Per la poetessa indiana Naidu Sajini nella gioia si dimenticano le preoccupazioni e si attinge forza per meglio affrontare le difficoltà della vita: Dovremo oggi ricordare i dolori? Oggi che dolce c’invita La stagione benedetta dei fiori? Chiediamo a prestito il canto dagli uccelli e la danza dall’onda leggera. Verranno i giorni di tristezza e di pianto: Ma oggi, oggi è primavera. Godiamo, allora anche noi questa bella stagione con tutte le sue caratteristiche fatte di colori, di suoni e di odori, che si spiegano tra gli aranceti, tra gli oliveti, tra le vigne spoglie, prima che ceda il passo alla gran calura dell’estate! 18 SALVATORE PISANO, Eva sei tu, Ed. Maropati e Dintorni, Maropati 2006, pp. 30. La lettura delle liriche del Pisano, a volte fresche e bonarie, altre volte dense di velata malinconia, ma sempre sentenziose e sagge nella chiosa conclusiva, ci conferma che per scrivere e poetare non occorre essere grandi letterati, è indispensabile solo avere un animo semplice e gentile e scrivere e pensare con il linguaggio del cuore, comprensibile a tutti: grandi e piccoli, colti e illetterati. La poesia, pura espressione dell’animo, può essere comunicata anche in forme gioiose, libere da canoni e tabù. È una caratteristica del Pisano, quella di irrompere a volte con liriche in vernacolo parlato in cui prevale l’aspetto fonico più che quello sintatticolessicale. Al maestro Salvatore Pisano, Accademico dei Sartori, i complimenti della Redazione di Maropati e Dintorni con l’auspicio che possano veder la luce ulteriori lavori letterari. Ad maiora! Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni RICCHEZZE ARTISTICHE DA SCOPRIRE AD ANOIA SUPERIORE di Marco Papasidero A noia Superiore, piccolo centro della piana di Gioia Tauro, è un paese antico, molto antico, la cui fondazione risalirebbe persino all’epoca della Magna Grecia per opera di alcuni pastori nomadi che, inizialmente, stabilirono su queste colline i loro insediamenti. Cenni di quel periodo sono ormai perduti a causa dei violenti terremoti che si sono verificati, ma anche per la scarsa tutela del patrimonio artistico perpetrata in passato. L’evoluzione culturale e artistica del paese è ravvisabile nelle sue due chiese: S. Sebastiano martire, che sorge nel centro storico accanto ad antichi palazzi e scorci suggestivi, e Maria SS. Assunta, edificio moderno, sobrio ma al tempo stesso suggestivo. L’attuale chiesa di S. Sebastiano risale al 1831, data in cui venne ricostruita dopo il terribile terremoto del 1783 che fece 202 morti e radendo tutto al suolo. Fonti attendibili confermano l’esistenza del culto del Santo fin dal 1586. La chiesa presenta una sobria facciata con un portone ligneo e un’antica iscrizione. All’interno sono presenti numerose opere pittoriche alcune, in discreto stato di conservazione, altre bisognose di restauro. Un’unica navata conduce all’altare maggiore sopra il quale, in una teca lignea, è riposta la statua del Santo abbigliato con vesti militari e arricchita da tre piume del colore della bandiera italiana sull’elmo. Il soffitto è in legno e al centro è collocata una tela raffigurante il supplizio di S. Sebastiano che, sotto l’Imperatore Diocleziano, venne condannato a morte perché cristiaAnno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 no; legato ad un albero fu ricoperto di frecce ma si salvò miracolosamente. Solo in seguito trovò la morte sotto le legnate dei suoi persecutori. La pavimentazione è molto antica proprio come gli altari laterali e gli affreschi che si trovano sull’abside. Vicino all’altare maggiore ci sono anche due teche in legno contenenti le statue della vergine Addolorata e di S. Rocco. Il 20 gennaio vengono celebrati i festeggiamenti in onore del Santo con l’accensione di un grande falò votivo. I giorni precedenti le persone del paese portano fusti, ceppi e ramoscelli che verranno bruciati insieme alle grandi querce tagliate la mattina del 19 da una processione festosa guidata dal parroco. L’accensione, che viene preceduta dalla benedizione delle querce, vede accorrere molte persone curiose o semplicemente legate alle tradizioni del paese. In occasione della festa vengono aperte alcune cantine che offrono ai visitatori il vino 19 MAROPATI … e dintorni novello e una banda musicale allieta l’atmosfera con le sue melodie. Poco distante sorge la chiesa dell’Assunta. Costruita nel 1934, è un suggestivo edificio a croce greca sormontato da una possente cupola ricoperta da lamine di rame. Accanto l’agile campanile a cuspide che riporta a numeri romani la data della fondazione. Il portone di entrata è affiancato da due sottili colonne classiche e sormontato da un gruppo scultoreo raffigurante due angeli. La chiesa è costituita da una sola navata e presenta un interno sobrio ma molto interessante. Le pareti sono ricoperte di stelle dipinte mentre il tetto non è affrescato ma decorato solo da una piccola colomba bianca, simbolo di pace e di speranza. Nelle cappelle laterali sono collocate delle pregevoli opere scultoree come ad esempio un Crocefisso ligneo o una statua della Madonna, mentre sull’altare maggiore è posta l’effige della vergine Assunta, opera lignea attribuita all’artista serrese Vincenzo Scrivo. L’edificio è stato più volte rimaneggiato mantenendo totalmente intatto il suo aspetto originario. Nel giorno di Ferragosto si celebra una grande festa in onore della Madonna che attira centinaia di persone. Nei giorni prima della festa si svolge la tradizionale quindicina di preghiera e delle serate musicali. I festeggiamenti culminano nel 15 agosto 20 con la processione per le vie del paese, lo spettacolo musicale di un noto artista e i tradizionali fuochi d’artificio. Tra le poche bancarelle che allietano la serata si possono trovare i prodotti tipici calabresi come ad esempio i pomodori secchi o i “mostaccioli”. Ad Anoia Superiore è di particolare interesse artistico anche il borgo che sorge nella parte più alta del paese presso la chiesa di S. Sebastiano. Sulle vecchie strade si affacciano antichi palazzi o case contadine per lo più disabitate. Tra queste stradine si possono sentire i dolci profumi che richiamano la vita di una volta impressa indelebilmente sul volto delle persone anziane che ricordano la loro gioventù con nostalgia. Lo scorcio più suggestivo è quello della piazzetta intitolata al generale Pasquale dove si trova un’effigie del Santo protettore del paese e un tipico balconcino ad arco che collega le due case più antiche, per lo più adibite a cantine per il vino. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni LA QUESTIONE DELLO STEMMA COMUNALE DI MAROPATI di Giovanni Quaranta A lcuni anni fa, nel corso delle mie ricerche ebbi modo di imbattermi in alcuni documenti sui quali erano impressi gli stemmi utilizzati dai comuni di Anoia e Maropati nel corso dell’800. La cosa mi incuriosì particolarmente in quanto, a differenza del timbro utilizzato dal comune di Anoia che era già conosciuto come sigillo universitario, quello di Maropati rappresentava una vera novità. Iniziai a quel punto uno studio per cercare di ricostruire la storia di questi «emblemi comunali». Il Comune di Anoia, valutata la bontà della ricerca e delle argomentazioni prospettate decise di intraprendere l’iter che portò al cambio dello stemma. Per Maropati, nonostante la segnalazione fatte alle due ultime Amministrazioni, ancora oggi non si è intrapresa nessuna iniziativa per dotare il Comune di uno stemma «storicamente rilevante». Pensiamo possa interessare, a questo punto, pubblicare il nostro studio1 corredandolo di una proposta per un futuro stemma comunale. Gli stemmi comunali Lo stemma ed il gonfalone sono i segni distintivi dell’Ente comunale e ne rappresentano la Comunità. I Comuni, in qualità di "Enti Territoriali" possono fregiarsi dello stemma purché conforme alla regolamentazione prevista negli articoli da 54 a 128 del Regio Decreto 7 giugno 1943 n° 652; e possono avvalersi della specifica tutela da parte dello Stato dopo che l'Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha provveduto alla stesura dell'apposito decreto di concessione. Secondo quanto disposto dalla Legge, lo stemma deve possedere i “requisiti di storicità” per Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 ottenere la prescritta approvazione da parte dell’Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il conseguente decreto di concessione del Presidente della Repubblica controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Dopo oltre mezzo secolo dall’approvazione della Costituzione Repubblicana ed un secolo e mezzo dall’Unità d’Italia, ancora diversi Comuni utilizzano degli stemmi non ufficiali (e per ufficiale si intende regolarmente rilasciato dagli organi competenti) oppure degli stemmi regolarmente rilasciati ma che non hanno nessuna valenza storica e che fra l’altro presentano dei veri e propri errori dal punto di vista araldico. Lo stemma attuale Erano gli inizi degli anni ’70, quando diversi comuni della zona interna della Piana di Gioia Tauro si attivarono per dotarsi di uno stemma. Con D.P.R. del 10 luglio 1974 veniva concesso l’attuale stemma al comune di Melicucco, il quale benchè se ne conoscesse l’esatta raffigurazione perché riprodotto in un’incisione del 17032, non aveva ancora avuto la concessione da parte dello Stato italiano. Spostandoci di qualche chilometro, ritroviamo il comune di Anoia, al quale con D.P.R. del 27 luglio 1972, veniva rilasciato lo stemma che, privo di ogni fondamento storico, è stato utilizzato per oltre un trentennio e di recente sostituito3. Nello stesso periodo anche Maropati, alla stregua degli altri due comuni viciniori, si era attivata per il rilascio dello stemma dando incarico ad uno studio araldico perché ne individuasse le antiche insegne. La ricerca si fermò nel momento in cui fu individuato, presso 21 MAROPATI … e dintorni l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, un documento dell’anno 1810 recante un timbro raffigurante l’aquila coronata stringente tra gli artigli delle saette e la scritta «Comune di Maropati – 1808»4, senza indagare su quale legame potesse avere quello stemma con la storia di quel comune. Da allora si incominciò ad utilizzare quello stemma ed ancora oggi, a quanto ci risulta, viene utilizzato senza che sia stato rilasciato il prescritto decreto di concessione. In effetti quello stemma non era una prerogativa di quel comune, in quanto questo era il tipo di timbro utilizzato durante la dominazione francese del primo ottocento (1806-1815). Allora, in tutti i territori annessi all’impero napoleonico furono totalmente sostituiti gli stemmi storici con quelli imperiali raffiguranti appunto l’aquila coronata stringente tra gli artigli delle saette. La stesso identico disegno è stato riprodotto nella Guida dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria e riportato come “Particolare di pergamena, Napoli 1806”5. Inoltre, altri sigilli, pressoché identici, riferiti ad altri comuni riproducono fedelmente l’aquila imperiale francese e dimostrano come nel periodo quello era lo stemma standard utilizzato da tutti i comuni. Tra questi possiamo segnalare quelli dei comuni calabresi di ARENA6, DASÀ7 e TROPEA8 nell’attuale provincia di Vibo Valentia; della città di CATANZARO9; dei comuni di RIZICONI e DROSI10, e VILLA SAN GIOVANNI11 nella provincia di Reggio Calabria. Un altro timbro identico veniva utilizzato dal comune di PIENZA in provincia di Siena, e la particolarità di questo sigillo è quella di recare il nome del Municipio in lingua francese12. Un altro caso simile a quello dello stemma di Maropati, probabilmente, toccò al comune di Candidoni. Da un’analisi dello stemma in uso a quel comune, non si può fare a meno di notare che, sebbene disegnato con uno stile diverso, esso rappresenta inequivocabilmente il solito stemma imperiale francese. 22 Arena Catanzaro Dasà Riziconi e Drosi Tropea Villa S. Giovanni Lo stemma storico Storicamente Maropati è appartenuta al piccolo feudo di Anoia che fu prima baronia e poi, dal 1664, marchesato sotto il dominio della famiglia genovese dei Paravagna. Fu solo in seguito al riordino amministrativo disposto dai francesi nel 1811 che Maropati fu elevato a rango di comune autonomo (insieme alla frazione Tritanti)13. Prima dell’avvento dei francesi, Maropati aveva utilizzato l’antico sigillo universitario di Anoia raffigurante San Francesco di Paola tra due croci14. Questo è presente in un documento del 1788, col quale l’arciprete di Maropati Domenico Pino ed il sindaco Saverio Cotronei facevano istanza alla Regia Giunta di Corrispondenza per una nuova sepoltura nella Chiesa parrocchiale15. Un altro documento del 1791, riporta una supplica al Re da parte del sindaco Pietro Mindozzi per la riedificazione della chiesa del Rosario16. Cessato il periodo francese, molti comuni ripresero le antiche insegne oppure, nel caso di comuni di nuova costituzione, ne adottarono di nuove. Fu sicuramente questo il caso del comune di Maropati che, da ente di recente costituzione pensò di dotarsi di un “suo” stemma, adottando la Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni rappresentazione dell’immagine del Santo Patrono, e cioè: San Giorgio a cavallo nell’atto di uccidere il drago. Questo stemma è stato da noi riscontrato nel timbro impresso su due certificati catastali allegati ad altrettanti atti notarili stipulati dal notaio Pasquale Nicoletta da Anoia: il primo, che porta la data del 16 giugno 1816, si riferisce ad una casa d’abitazione intestata a Spanò Saverio di Maropati17; mentre il secondo, che porta la data del 10 luglio 1816, si riferisce a dei terreni intestati a Valensisi Domenico di Anoja18. Entrambi riportano le firme del sindaco di Maropati G. Belcaro e del cancelliere G. Iaconis, ed, appunto, il bollo comunale con l’immagine di San Giorgio. Non sappiamo per quanto tempo fu utilizzato questo stemma, ma sicuramente la scelta dell’immagine di San Giorgio non è stata casuale: con essa la popolazione di Maropati voleva esternare il suo attaccamento al culto del Santo Patrono. E sicuramente quella di identificare la comunità mediante la rappresentazione nel proprio stemma di immagini sacre non era rara e a parte quei paesi dove anche il nome era legato ad un Santo altri ancora avevano l’immagine del Santo Patrono. Rimanendo nella provincia di Reggio, molti sono i comuni che oggi hanno nel loro stemma un’effige sacra: Reggio di Calabria19, Agnana20, Anoia21, Canolo22, Casignana23, Delianuova24, Cosoleto25, Galatro26, Mammola27, Molochio28, San Giorgio Morgeto29, San Lorenzo30, Sant’Agata del Bianco31, Santa Cristina d’Aspromonte32, Sant’Eufemia d’Aspromonte33 e Taurianova34; altri, invece, nonostante vantassero stemmi di origine molto antica ne hanno utilizzati altri di più recente formazione35. È auspicabile, che questi comuni (come, anche, i tanti altri che ancora non hanno stemmi riconosciuti), procedano ad una revisione dei propri stemmi adottando, ove se ne riscontrasse la presenza, quelli più antichi e che comunque abbiano un nesso storico con la Comunità locale. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 Un nuovo stemma Alla luce di quanto fin qui esposto, è evidente come la comunità di Maropati abbia il diritto di riappropriarsi della propria storia anche attraverso il ripristino dell’antico stemma. La nuova rappresentazione grafica rispondente alle norme in materia di araldica pubblica, cercando di richiamare il più possibile l’antico sigillo del 1816, dovrebbe assolutamente riportare la figura del San Giorgio a cavallo nell’atto di uccidere il drago. Si ritiene comunque che, onde evitare generiche rappresentazioni che lo renderebbero difficilmente riconoscibile tra i tantissimi stemmi simili (riportanti l’immagine del Santo), lo stesso potrebbe essere integrato con la rappresentazione nel capo dello scudo36 (in campo oro) di un’aquila nera spiegata e linguata di rosso coronata del campo, richiamante un particolare dello stemma della famiglia Paravagna che nel 1727 ottenne dall’imperatore Carlo VI il titolo di «Principi di Maropati». 23 MAROPATI … e dintorni RAFFAELE ALFREDO CATANANTI, Il Corso Amministrativo del Comune di Rizziconi (RC) dal 1809 al 2003, Arti Grafiche Edizioni, Ardore Marina 2005, p. 22. 1 DOMENICO COPPOLA, Il patrimonio archeologicoartistico della provincia reggina nella documentazione archivistica : per una storia della sua tutela, De Franco Editore, Reggio Calabria 2003, immagine in copertina. 12 UMBERTO BINDI, Lo stemma araldico di Pienza, pp. 46-47, reperito sul sito internet ufficiale del Comune. 3 Decreto per la nuova circoscrizione delle quattordici provincie del regno di Napoli (n. 922 – Parigi, 4 maggio 1811), in GUSTAVO VALENTE, Le leggi francesi per la Calabria, Vincenzo Ursini Editore, Catanzaro 1983, p. 94. 4 Con D.P.R. del 5 febbraio 2005, è stato concesso al Comune di Anoia di cambiare il proprio stemma ripristinando quello antico con l’immagine di San Francesco di Paola. Si veda G. QUARANTA (a cura), Il Nuovo Stemma …, op. cit. 5 ASCZ, Giunta di Corrispondenza di Cassa Sacra, Costruzione della Chiesa Parrocchiale. L’istanza reca in calce l’autentica del notaio Pasquale Nicoletta da Anoia, il quale, a proposito dello stemma, attesta “… come mi è cognito il sigillo dell’Università medesima…”. 6 ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI (ASN), Giunta di Corrispondenza di Cassa Sacra, Fasc. 1479, f. 1r, 1/bis r, 2r-3r. 7 SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI PALMI (SASP), Protocollo del notaio Pasquale Nicoletta di Anoja, anno 1816, p. 55. 8 Ibidem, p. 61. 9 San Giorgio di Lydda martire. 20 San Basilio Magno. 2 San Francesco di Paola. 22 San Nicola di Bari. 23 San Rocco di Montpellier. 24 Sant’Elia profeta. 25 Madonna delle Grazie. 26 San Nicola di Bari. 27 San Nicodemo di Mammola. 28 Beata Vergine, tenente in braccio il Divino Infante, sinistrata da San Giovanni Battista fanciullo. 29 San Giorgio di Lydda martire. 30 San Lorenzo martire. 3 Sant’Agata martire. 32 Santa Cristina martire. 33 Sant’Eufemia di Calcedonia martire. 34 San Martino di Tours. 35 Polistena, che nel 1441 aveva per stemma comunale la raffigurazione di Santa Marina vergine e martire, oggi ne utilizza uno del tutto diverso (vedi a riguardo: GIOVANNI RUSSO, La Festa di Santa Marina e la “pittoresca-bizzarra” processione con la teoria dei santi a Polistena, Centro Studi Polistenesi, Polistena 2003, p.9). Al comune di Terranova Sappo Minulio, invece dell’antichissimo stemma raffigurante San Martino di Tours a cavallo nell’atto di tagliare il mantello e porgerlo al poverello nudo e seduto, è stato concesso con D.P.R. del 12 aprile 1984 uno stemma raffigurante un anonimo cavaliere cavalcante un cavallo morello nell’atto di trottare. 36 Parte superiore. 10 Note: Viene qui riproposto, in massima parte, l’articolo dello stesso autore Lo stemma comunale di Maropati pubblicato in Calabria Sconosciuta Rivista trimestrale di cultura e turismo, anno XXIX, n.112 Ottobre-Dicembre 2006, pp. 65-66. 2 GIOVANNI BATTISTA PACICHELLI, Il Regno di Napoli in prospettiva, Stamperia Michele Luigi Mutio, Napoli 1703. 3 GIOVANNI QUARANTA (a cura), Il Nuovo Stemma del Comune di Anoia, Ed. Comune di Anoia, Arti Poligrafiche Varamo, Polistena 2005, pp. 12-13. 4 ARCHIVIO DI STATO DI REGGIO CALABRIA (ASRC), Sezione Amministrativa, Demani Comunali, Inv. 33/I, busta 71, fasc. 1. Riproduzione fotografica rilasciata il 13 novembre 1974. 5 ASRC, Raccolte e Miscellanee, in MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI, Archivio di Stato di Reggio Calabria e Sezioni di Locri e Palmi, Betagamma editrice, Viterbo 2004, p. 27. 6 ARCHIVIO DI STATO DI CATANZARO (ASCZ), Intendenza-Leva, B.92 F.7. 7 ASCZ, Intendenza-Leva, B.497 F.5. 8 ASCZ, Intendenza-Leva, B.2 F.35. 9 ASCZ, Intendenza-Leva, B.327 F.6. 24 Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni MONTALE E LA BRETAGNA UN NUOVO CAPITOLO di Vincenzo Pascale C hi ama le isole, il mare, chi ha amato Ustica, perché vi ha soggiornato da turista o da lavoratore, non può non ritornare sul maggiore poeta del Novecento italiano, Eugenio Montale, che ha iniziato a descrivere il mare, le scogliere rocciose, ciò che il mare restituisce alla terra, gli scarti, già nella prima raccolta di liriche a tema prevalentemente marino, Ossi di seppia. Ma il mare ricompare nell’ultimo Montale attraverso la scoperta della Bretagna che gli ricorda il paesaggio roccioso della Liguria e della Grecia. La Bretagna appare per la prima volta nella produzione di Montale nel 1943. Quell’anno a Lugano, nel pieno del secondo conflitto mondiale, esce in edizione semiclandestina, in una collana curata dall’avvocato Pino Bernasconi, la plaquette Finisterre che contiene versi scritti dal 1940 al 1942. Si tratta di duecento esemplari, di cui cinquanta riservati al servizio stampa, che contengono poesie «non tutte di argomento apocalittico», come scrive lo stesso Montale a Gianfranco Contini il 21 aprile del 1943 da Firenze. Il 1945, alla fine della guerra, esce presso l’editore Barbèra di Firenze la seconda edizione aumentata di Finisterre. Infine, questa plaquette confluirà nella raccolta La bufera e altro, edita dal veneziano Neri Pozza in 1000 copie nel 1956, Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 costituendone la I parte dal titolo Finisterre. È evidente che Montale alluda alla provincia più ad ovest e più selvaggia della Bretagna, ad un paese reale che termina con scogliere a strapiombo sull’Atlantico, paesaggio roccioso, ricco d’insidie per i naviganti, costellato di fari e balises, boe galleggianti, che segnalano la presenza di scogli affioranti dall’ocea- no e pieno di rade e baie, regione che i soldati di Cesare nel I sec. a.c. avevano conquistata, credendo che lì finisse l’oikouméne, o mondo conosciuto, da cui il toponimo finis terrae. Ma questo paese reale della Bretagna finisce per assumere, nel titolo dato alla plaquette del 1943, un significato allegorico, un significato escatologico, di fine del mondo. In quel momento Finisterre è la guerra come distruzione. Lo dichiara lo stesso Montale nella video-intervista rilasciata nel 1971 ad un’emissione della R.T.F.. Nella stessa intervista Montale, rispondendo alle domande di Piero Sanavio e Domenique De Roux, afferma che la dichiarazione di guerra da parte dell’Italia contro la Francia, nel 1940, fu da lui vissuta con una mostruosa vergogna. La Bretagna ricompare in un quadro dipinto dallo stesso Montale con una tecnica impressionista. È una Bretagna immaginaria con un paesaggio marino, 25 MAROPATI … e dintorni delle pecore, dei cani, dei pescatori ed il mare che s’è ritirato dopo un’alta marea. Questo quadro, che si trovava a casa sua nel 1971, si può vedere nello stesso video in cui Montale dice di essere stato un pittore dilettante e che in fondo alcune sue poesie sono pittura in versi, e di aver amato l’impressionismo per la ricerca del dettaglio e della luce. Ancora la Bretagna ritorna nella lirica «Verso Finistère», contenuta nella quarta parte, «Flashes» e dediche, della raccolta La bufera e altro. Qui sono chiari i riferimenti alla costa d’Armor che Montale visiterà nel 1950, dopo aver assistito a Strasburgo ai lavori del Consiglio d’Europa, soggiornando a Saint-Malo. La Bretagna ritorna ancora in Fuori di casa, pp. (137-138) dove in occasione di quel viaggio, il Montale «inviato speciale» del Corriere della Sera, fuori dai confini italiani, mette in dubbio la vitalità del movimento bretone. Ci dice, inoltre, che tre, quattro dialetti celtici sopravvivevano allora in BassaBretagna, nel dipartimento di Finistère nel paese di Léon, in terrritorio di Vannes, nella regione di Goele e nell’interno del Morbihan; ma ormai, secondo lui, era impossibile trovare un paesano che non parlasse anche il francese. Durante l’ultima guerra i tedeschi tentarono di candidare un discendente dei duchi di Rohan al trono di Bretagna ma, giunto sul luogo, questo non ricevette che fischi. Montale aveva la certezza che ormai il sogno di una Bretagna etnicamente e politicamente autonoma apparteneva alla storia del folklore romantico e sentimentale. Anche la lingua bretone, secondo Montale, non faceva che restringere il proprio campo d’azione. Quello che restava, specie nella toponomastica, era una preziosità, nient’altro1. Infine la Bretagna riappare nel 1956 nella prosa Farfalla di Dinard. Si concluderà leggendo una lirica caratterizzata da due strofe, contenuta nella Bufera e altro. 26 SU UNA LETTERA NON SCRITTA2 Per un formicolio d’albe, per pochi fili su cui s’impigli il fiocco della vita e s’incollani in ore e in anni, oggi i delfini a coppie capriolano coi figli? Oh ch’io non oda nulla di te, ch’io fugga dal bagliore dei tuoi cigli. Ben altro è sulla terra. Sparir non so né riaffacciarmi; tarda la fucina vermiglia della notte, la sera si fa lunga, la preghiera è supplizio e non ancora tra le rocce che sorgono t’è giunta la bottiglia dal mare. L’onda, vuota, si rompe sulla punta a Finisterre. 1 E. Montale, Fuori di casa, Milano-Napoli, Ricciardi, 1969. 2 E. Montale, Tutte le poesie, cit., p.199. Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni IL CONTRIBUTO DEL PALERMITANO AGOSTINO GALLO PER IL SERTO POETICO IN MEMORIA DI OTTAVIA FAZZARI VALENSISE di Giovanni Russo I l 29 dicembre del 1861, a soli 32 anni, moriva in Polistena, Ottavia Fazzari, che era nata a San Giorgio il 10 dicembre 1829 da Giorgio e Francesca Saveria Oliva. Aveva sposato il 21 novembre del 1846, il musicista e compositore polistenese Michele Valensise (1822-1890), di nobile stirpe e ricco assai di virtù cittadine. Le esequie, con la partecipazione di una numerosa e commossa popolazione, furono fatte nella Chiesa dell’Arciconfraternita della SS. Trinità ove fu sepolta ed ove, successivamente, venne collocata una lapide con iscrizioni. Per quella Chiesa, i Valensise, come si sa, avevano profuso molta economia a pro degli arredi, suppellettili, ed arte, non mancando di ricoprire, nell’Arciconfraternita, la carica di Priori, di Padri Spirituali ecc. A perpetuare la memoria della giovane, amorosa sposa scomparsa, dall’aspetto bellissimo, dall’ampia e serena fronte, dai vivissimi occhi neri, dai modi gentili e cortesi con tutti, si occupò il cognato, allora ancora giovane Sacerdote, Domenico Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 Valensise (1832-1916) che, già nei primissimi mesi della di lei dipartita, come si costumava, da Napoli, ove stava conseguendo la laurea in Teologia, pregò tantissimi amici, polistenesi e non, perché inviassero un ricordo poetico che fosse utile anche a sollevare dallo sconforto il giovane fratello Michelino. A rispondere premurosamente, con scritti, versi poetici in sesta rima ed in ottave, cantiche, carmi, sonetti, elegie ed epitaffi che furono sottoposti al vaglio di una rigorosa Commissione, furono i polistenesi: Cav. Angelo Rodinò di Miglioni; Sac. Michele Tigani; Dr. Pasquale Pilogallo; Teologo M. Francesco Grio; Sac. Francesco Demaria; Can. Teologo Domenico Mangiaruga ed il Can. Teologo Domenico Lidonnici, nonché personalità di spicco della cultura dell’epoca: l’abate Jacopo Bernardi da Pinerolo; l’abate Ottavio Ortona da Monteleone (attuale Vibo Valentia); Antonio Scorsonelli, Nunzio Serra e Mariannina Costa Caruso da Noto (Sicilia); Giuseppe Taccone, marchese di Sitizzano; Antonio 27 MAROPATI … e dintorni Martuscelli, Pietro Micheletti, Francesco Prudenzano, Luigi Aponte, Tommaso Semmola e Giovannina P. da Napoli; Giuseppe Polito; Vincenzo Gerace da Cittanova; Luigi Tosti e Carlo Maria De Vera da Monte Cassino; l’abate Michele Bongini da Greve presso Firenze; il Cav. Antonio Giuffrè; il Teologo M. Bruno Ferraro; Matteo Camera da Amalfi; Fr. Hyac. Greco dell’Ordine dei Predicatori; Raffaele Francia dei Marchesi S. Caterina, Rocco Maria Zagari e Domenico Giuffrè da Reggio; Vincenzo Augimeri e, dulcis in fundo: lo storico, poeta, letterato ed antiquario prof. Agostino Gallo (1790-1872)1 da Palermo, indicato al Valensise, probabilmente dal sopra indicato Rocco Maria Zagari di Reggio. Tutti i contributi, compreso una interessantissima “Cantica” scritta dallo stesso Valensise, furono raccolti in un “Serto di Fiori poetici alla tomba di Ottavia Valensise nata Fazzari”2 con il ritratto della stessa. Nel mese di Gennaio del 1862, il poeta siculo Agostino Gallo non mancò di inviare subito al sacerdote polistenese il seguente epitaffio: Bella, tenera madre onesta e pia Molto viver dovea : presto moria ! Era rosa di amor sbucciata e pura : Cosa bella mortal passa e non dura ! Qualche mese dopo, lo stesso spedì al Valensise, il seguente componimento che, parzialmente, venne pubblicato con il titolo: FRAMMENTO D’ineffabile gioja inebriato Ormai saresti, o mio diletto Ruffa,3 Che per etade e studii a me congiunto, E per carica fosti, e più d’affetto, Se ancor vivresti, dal nativo spirto Di libertà rieccitato, e caldo Del fuoco di Melpomene; ma giaci, Ahimè ! nel gelo del sepolcro avvinto! E me lasciasti a tenzonar coi nembi 28 Di turbinosi eventi ! Ed oh, qual odo, Non lungi dalla tua culla onorata, Di gemiti, singulti e di sospiri Giunger fino a me roco boäto? Ed inatteso invito, il caso orrendo A deplorar di una gentil donzella, Fior di bellezza, di onestà, di grazia, Tenera madre, ed illibata sposa! Tal la grida la fama : ognor severa, E spesso ingiusta alle avvenenti donne! Ma il Ciel per se creolla : e poiché vide Che era inutile esempio alla ribalda Età nei vizii immersa, dubbioso Che non giovando altrui quel puro giglio, Sedotta non macchiasse, a sé rapilla, Onde accrescer lassù nuovo ornamento E degli angeli il coro : e in ver qui in terra Angiolo apparve a far beato il mondo, Che cieco e stolto la virtù non cura! Il Valensise, il sacerdote che, nel corso degli anni, diventerà prima Vescovo di Nicastro e poi Arcivescovo Titolare di Ossirinco, in segno di cortesia, il 26 luglio del 1862, spedì all’indirizzo dell’illustre letterato palermitano, la seguente missiva4: “Stimat. Signore Giustamente V.S. potrà far le sue meraviglie nel veder che con tanto ritardo vengo a Lei onde rassegnarle le grazie le debbo per i bei versi, ed il bellissimo Epitaffio favoritimi nella morte della virtuosissima Ottavia Fazzari; ma io non sapeva farmele innanti senza prima profferirle il libro, in cui quelli sono stampati. Ora che ciò mi è dato, senza trattar tempo in mezzo, vengo a Lei, e col libro le rassegno un miglione di grazie, che Ella cortesissimo, com’è, non lascierà di aggradirmi. In verità fu squisitissima la bontà sua nell’onorarmi di un tanto dono, e se io debba vivere obbligato al Cariss.mo Zagari, me lo ha impetrato, obbligatissimo dovrò vivere a Lei che cortese me lo ha concesso. E qui mi è uopo chiederle scusa, se della sua Cantica si è pubblicato un Frammento soltanto, perciocché eran tante e sì Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 MAROPATI … e dintorni lunghe le note l’accompagnavano, che questa Commissione stimò sconvevole (Sic!) inserirle in una raccolta di pochi fogli. Si abbia intanto con le mie le lodi e le congratulazioni di quanti lessero le sue poesie, specialmente per quell’Epitaffio, che, secondo io mi penso, è ammirabile dai più schivi amatori del bello. E qui pregandola di tenermi vivo nella memoria, e di aggradire la povera offerta della mia qualunque amicizia, rassegnandole la stima che merita, con ogni amorevole officio mi do l’onore segnarmi Devotis. Amico Servitore Domenico Valensise P.S. Mi avvisi del ricapito del libro, che le ho già inviato con l’istesso ordinario”. Il 14 Agosto, puntualmente, partì il riscontro del prof. Gallo che noi, per ragioni di spazio omettiamo, proponendoci di approfondire l’argomento, particolarmente con ulteriori documenti polistenesi, in altra sede. Note: Sulla figura e le opere del prof. Agostino Gallo, consultare: I manoscritti di Agostino Gallo. A cura di Carlo Pàstena. Palermo, 2000. 1. Notamento alfabetico di pittori, e mosaicisti siciliani, ed esteri che hanno lavorato pure per la Sicilia, ricavato in rari mss dal Mongitore nella biblioteca del Senato in Palermo, con aggiunte di Agostino Gallo (MS. XV.H.17). Trascrizione e note di Maria Maddalena Milazzo e Giuseppina Sinagra. Presentazione di Marco Salerno. 2000. (Sicilia/Biblioteche, 48.1). 2. Notizie intorno agli architetti siciliani e agli esteri soggiornanti in Sicilia da' tempi più antichi fino al corrente anno 1838. raccolte diligentemente da Agostino Gallo palermitano per farne parte della sua Storia delle belle arti in Sicilia (MS. XV.H.14). Trascrizione e note di Angela Mazzè. 2000. (Sicilia/Biblioteche, 48.2). 3. Notizie intorno agli incisori siciliani diligentemente raccolte da Agostino Gallo (MS. XV.H.16). Trascrizione e note di Angela Anselmo e Maria Carmela Zimmardi. 2000. (Sicilia/Biblioteche, 48.3). 4. Autobiografia (Ms. XV. H. 20.1.) Trascrizione, saggio introduttivo e note a cura di Angela Mazzè. PA, 2002 (Sicilia/Biblioteche, 48.4). 5. Parte prima delle notizie di pittori e musaicisti siciliani ed esteri che operarono in Sicilia (Ms. XV. H. 18.). Trascrizione e note di Maria Maddalena Milazzo e Giuseppina Sinagra. PA, 2003 (Sicilia/Biblioteche, 48.5). 6. Lavoro di Agostino Gallo 1 Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007 sopra l’arte dell’incisione delle monete in Sicilia dall’epoca araba sino alla castigliana. - Notizie de’ figularj degli scultori e fonditori e cisellatori siciliani ed esteri che son fioriti in Sicilia da più antichi tempi fino al 1846 raccolte con diligenza da Agostino Gallo da Palermo.(Ms.XV.H.16., cc. 1r - 25r; Ms. XV. H.15.; cc. 62 r - 884 r) Trascrizione e note di Angela Anselmo e Maria Carmela Zimmardi. PA, 2004 (Sicilia/Biblioteche, 48.6). 7. I manoscritti di Agostino Gallo - Agostino Gallo. Parte seconda delle notizie di pittori e mosaicisti siciliani ed esteri che operano in Sicilia. (Ms. XV. H. 19). Pa, 2005. 2 Nel front. del volume viene così indicato: Ultimi uffizii ad Ottavia Fazzari : Ricordo degli amici al marito Michele Valensise. Napoli : Stabilimento Tipografico dei classici italiani, 1862. Del volume, che si compone di pp. 101 + Indice degli Scrittori, abbiamo potuto recuperare una copia che abbiamo depositato nella Biblioteca Comunale di Polistena. 3 Francesco Ruffa chiarissimo poeta calabrese [La nota, nell’originale segnata con il numero 1, è del Gallo]. 4 BIBLIOTECA COMUNALE PALERMO, 5, 2 q., D. 72, n. 8: Valensise (Domenico), Lettera del 1862 indirizzata ad Agostino Gallo. Tale documento è stato da noi consultato e trascritto diversi anni fa in quella Biblioteca. 29 MAROPATI … e dintorni La squadra di calcio dei FALCHI MAROPATI 2006/2007 promossa al campionato di Seconda Categoria Con gioia partecipiamo ai nostri gentili lettori che il Prof. Umberto Di Stilo, nostro valente collaboratore, è stato insignito del Premio Calabria per la sezione Saggistica per il volume “Il cinquecentesco trittico marmoreo della chiesa parrocchiale di Galatro”. Al Prof. Umberto Di Stilo giungano le felicitazioni della redazione. 30 La Redazione formula a tutti i lettori sinceri auguri di Buona Pasqua Anno II – n. 1 – Gennaio-Marzo 2007