Fate questo
in memoria di me
GIUSEPPE MATTANA
Copyright:
Diocesi di Nuoro
Piazza Santa Maria della Neve 1 - 08100 NUORO
È vietata qualsiasi forma di riproduzione
senza l’autorizzazione della proprietà
Finito di stampare febbraio 2010
per l’Editrice L’ORTOBENE - Nuoro
Presso Arti Grafiche Su Craminu
di Bacchitta A. & Mesina
08022 Dorgali - Via Trento 1
Tel. 0784 96409 - E.mail: [email protected]
In copertina: Ultima cena, LILIANA CANO
Chiesa parrocchiale - Oliena
PRESENTAZIONE
IL SACRAMENTO DELLA CARITÀ
«Fate questo in memoria di me!»
Verso il «Congresso Eucaristico Diocesano»
Mistero della fede! Nel pane e nel vino dell’Eucaristia gli
occhi della fede vedono Gesù presente e vivo nella sua
Chiesa. E i credenti esultano dicendo: «Annunziamo la tua
morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta!». Nella sincerità del cuore il cristiano
ringrazia il Signore, che ha offerto la sua vita per amore, e
va ad incontrare il Cristo risorto, come sua madre Maria
nell’incontro della Pasqua, nella speranza e nella «attesa
della sua venuta». Il Figlio di Dio viene nel cuore dell’uomo nel «Sacramento del pane» e tornerà un giorno per accogliere i suoi discepoli alla mensa della vita eterna. Questa
è la nostra fede! Questa è la fede della Chiesa! E noi ci
gloriamo di professarla!
Il mistero è mistero. Il mistero manifesta il dono di Cristo. Il mistero è il ringraziamento dell’uomo al Signore che
viene ad abitare nel mondo. La fede è vita. Il nostro
«amen» nell’accogliere il pane della vita è il segno che desideriamo accogliere Gesù nella casa del cuore, promettendo di vivere nel suo amore per farlo nascere nel cuore
dei fratelli. Noi sentiamo il Signore presente nella Chiesa,
nella famiglia e nella società, e riconosciamo il «Risorto»
che cammina accanto a noi, come nella sua Pasqua camFate questo in memoria di me
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minava con i discepoli di Emmaus. Ardeva il loro cuore nel
petto quando Gesù spiegava loro le Scritture e «lo riconobbero nello spezzare il pane». Avevano incontrato il Vivente. Avevano ritrovato la gioia.
La Chiesa di Nuoro è in cammino verso il suo nuovo
«Congresso Eucaristico Diocesano», che sarà celebrato nei
giorni 19-26 settembre di questo anno 2010. Sarà il coronamento del «Piano Pastorale Diocesano» che negli anni 20072010 ha guidato le comunità a riscoprire il senso teologico
della liturgia, la predilezione per i giovani e i bambini, la
missione educativa nella Famiglia-Chiesa- Scuola-Società. Il
presente anno ci vede impegnati in modo speciale nell’azione apostolica al servizio della «famiglia», la prima comunità che svela ai figli che «Dio è amore». E per questo nel
cammino verso il «Congresso Eucaristico Diocesano» la nostra preparazione avverrà attraverso la riflessione sul tema
«Eucaristia e Famiglia».
Sarà prezioso il presente «sussidio pastorale»:
«Fate questo in memoria di me»
È frutto della meditazione che Don Giuseppe Mattana ha
proposto nelle pagine del Settimanale «L’Ortobene» sul mistero dell’Eucaristia. È un libretto che desidera offrire orientamenti e suggerimenti al rinnovamento della celebrazione
liturgica e alla partecipazione dei fedeli alla liturgia eucaristica. È offerto alla Chiesa Diocesana, alle Comunità Parrocchiali, ai Gruppi Ecclesiali, alle Famiglie Religiose, ai genitori e ai figli nelle famiglie, alla nostra gioventù. E potrà
essere valorizzato fin dal prossimo tempo quaresimale,
quando in tutte le Parrocchie sarà proclamato:
Nella 1° Domenica di Quaresima
l’inizio del cammino di preparazione
al «Congresso Eucaristico»
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Fate questo in memoria di me
Le tappe principali della preparazione saranno:
* gli incontri dei presbiteri nell’Anno Sacerdotale
* gli incontri quaresimali dei giovani
* gli incontri e le celebrazioni nelle parrocchie e nelle foranie
* la giornata del «Giovedì Santo»: il «Crisma» e la «Cena
del Signore»
* la festa di Pasqua
* la solennità di Pentecoste
* la festa del «Corpo e del Sangue del Signore»
* le celebrazioni delle feste patronali e popolari con la
predicazione sul «mistero eucaristico».
Fate questo in memoria di me! Questa meditazione, guidata dai sacerdoti nelle parrocchie, nelle foranie, nei centri
di ascolto, valorizzerà il presente «sussidio pastorale» e
potrà essere arricchita dalla rilettura dei principali documenti del magistero pontificio ed episcopale. Ascolteremo la voce del Papa Benedetto XVI, che ha donato alla
Chiesa l’Esortazione Apostolica Postsinodale Sacramentum Caritatis sul «mistero dell’Eucaristia» il 22 febbraio
2007. Ricorderemo gli insegnamenti del primo «Congresso
Eucaristico Diocesano», guidato oltre trent’anni fa dal vescovo Mons. Giovanni Melis. E vivremo in sintonia con la
Chiesa Italiana, che nel mese di settembre del prossimo
anno 2011 celebrerà ad Ancona il «Congresso Eucaristico
Nazionale».
Accogliamo l’auspicio del Papa Benedetto XVI: «Per
intercessione della Beata Vergine Maria, lo Spirito Santo
rinnovi nella nostra vita lo stupore eucaristico per lo
Fate questo in memoria di me
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splendore e la bellezza che rifulgono nel rito liturgico,
segno efficace della stessa bellezza infinita del mistero
santo di Dio».
✠ PIETRO MELONI
VESCOVO DI NUORO
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Fate questo in memoria di me
INTRODUZIONE
Gli Orientamenti pastorali della Conferenza Episcopale
Italiana per il primo decennio del duemila: Comunicare il
Vangelo in un mondo che cambia, ribadiscono con particolare intensità il primato dell’Eucaristia nella comunità cristiana. «Ci sembra pertanto fondamentale ribadire che la comunità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore soltanto se custodirà la centralità della domenica, “giorno fatto
dal Signore” (Sal 118,24), “Pasqua settimanale”, con al centro la
celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la parrocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa fa
costante riferimento…
Se un anello fondamentale per la comunicazione del Vangelo è
la comunità fedele al “giorno del Signore”, la celebrazione eucaristica domenicale, al cui centro sta Cristo che è morto per tutti ed
è diventato il Signore di tutta l’umanità, dovrà essere condotta a
far crescere i fedeli, mediante l’ascolto della Parola e la comunione
al corpo di Cristo, così che possano poi uscire dalle mura della
chiesa con un animo apostolico, aperto alla condivisione e pronto
a rendere ragione della speranza che abita i credenti (cf. 1Pt
3,15). In tal modo la celebrazione eucaristica risulterà luogo veramente significativo dell’educazione missionaria della comunità
cristiana» (CVMC 47-48).
Il desiderio di contribuire a far sì che tutto questo possa
essere vissuto nelle nostre comunità, con la continua riscoperta dell’Eucaristia, Sacramento della carità, ha spinto
il nostro vescovo Mons. Pietro Meloni a voler celebrare, nel
mese di settembre, il Secondo Congresso Eucaristico Diocesano, vertice del lavoro e delle proposte pastorali di questi anni. I prossimi mesi, a iniziare dal periodo liturgico
della Quaresima, dovranno essere vissuti nell’impegno a
Fate questo in memoria di me
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voler riscoprire, in modo particolare, la celebrazione eucaristica. Per favorire, almeno in parte, questo cammino, ho
voluto raccogliere in questo sussidio vari interventi, quasi
tutti pubblicati sul Settimanale «L’Ortobene», sul significato
del riunirsi come Assemblea, sul valore e sul significato
dei vari spazi celebrativi e sulle varie parti della celebrazione eucaristica. In appendice ho voluto inserire alcune riflessioni sul rapporto tra Bibbia e Liturgia e alcune indicazioni circa la formazione dei lettori.
Con spirito di servizio e umiltà lo offro alla comunità
diocesana con l’auspicio che possa servire di stimolo per
una crescita e per una maggior comprensione della Santissima Eucaristia che «… è il dono che Gesù Cristo fa di se
stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo…
Per questo la Chiesa, che trova nell’Eucaristia il suo centro
vitale, si impegna costantemente ad annunciare a tutti, opportune importune (cfr 2 Tm 4,2), che Dio è amore. Proprio
perché Cristo si è fatto per noi cibo di Verità, la Chiesa si rivolge all’uomo, invitandolo ad accogliere liberamente il
dono di Dio» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis 1-2).
GIUSEPPE MATTANA
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Fate questo in memoria di me
RADUNARSI
IL LUOGO DELL’ASSEMBLEA
La parola CHIESA indica una comunità di persone radunate davanti a Dio. La Chiesa è l’assemblea che si riunisce ed
è questo riunirsi che dà il nome di chiesa anche all’edificio.
Le chiese sono costruite accanto alle nostre case, sono la meta del nostro quotidiano pellegrinaggio, sono il luogo dell’Eucaristia e dei Sacramenti, della preghiera personale e comunitaria, dell’incontro privilegiato con Dio. Entrando in
chiesa noi compiamo alcuni gesti semplici che devono però
diventare significativi. Quando varchiamo la porta di una
chiesa entriamo per ascoltare la Parola del Signore, per prendere posto in mezzo agli altri fratelli di fede, per stare davanti
a Dio: con amore, con gratitudine, con le prove e le sofferenze quotidiane, per invocare aiuto, conforto. Entrare in chiesa
significa consacrare al Signore un po’ del nostro tempo, lasciare un attimo la nostra casa per incontrarci con tante altre
persone: «Noi ti offriamo le cose che ci hai dato e tu in cambio ci offri te stesso». La Chiesa deve diventare, sia a livello di
edificio sia di realtà ecclesiale, la CASA accogliente per tutti.
L’acqua segno del Battesimo
Vicino all’ingresso c’è sempre la pila dell’acqua benedetta.
Il cristiano, entrando in Chiesa,
immerge la sua mano nell’acqua e si segna con il segno della croce. L’acqua è il
segno del Battesimo che tutti abbiamo ricevuto; l’essere stati immersi nell’acqua
significa essere stati immersi nella morte
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e risurrezione di Cristo. È Lui che ci lava e ci purifica dai
nostri peccati.(1)
Entrando in chiesa deve essere vivo il senso della purificazione, del pentimento e del perdono. È la condizione indispensabile per partecipare all’assemblea comune, per accostarsi alla mensa del Signore.
Il segno di croce richiama la passione, morte e risurrezione di Gesù, l’amore di Dio Padre, la comunione dello
Spirito Santo. «Quando fai il segno della croce fallo bene.
Non affrettato, rattrappito tale che nessuno capisce che cosa
debba significare. No, un vero segno di croce giusto, lento,
ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Una
realtà che abbraccia tutta la persona, tutto il corpo, tutta
l’anima, tutti i pensieri. È il segno della totalità ed è il segno
della salvezza. Sulla croce nostro Signore Gesù Cristo ha
salvato tutti gli uomini».(2)
Il silenzio
Altro segno importante, entrando in chiesa, è il silenzio. Il
silenzio di chi entra in chiesa non è segno di mutismo, di indifferenza, di isolamento, ma il segno di chi vuol pregare, di
chi è pieno di attesa e di desiderio di incontrare Dio e i fratelli.
Il silenzio è necessario per ritrovare se stessi, per poter
ascoltare Dio che ci parla, per essere attenti e rispettosi nei
confronti di coloro che si raccolgono in assemblea. Il silenzio
è occasione propizia per la contemplazione, per l’adorazione,
per la meditazione dopo la proclamazione della Parola e come segno di preghiera e di gratitudine dopo la comunione.
Il silenzio è anche segno di rispetto e di attenzione per
non disturbare con le chiacchiere e i commenti le celebrazioni liturgiche.
(1)
(2)
R. LAURITA, Parole, luoghi e gesti della fede, Paoline, Roma 1999.
A. KUHNE, Segni e simboli nel culto e nella vita, Paoline, Cinisello Balsamo 1988.
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«Con la parola e con il canto, il silenzio è un’altra delle
grandi dimensioni simboliche della liturgia. La stessa Parola, avvolta di silenzio, acquista in profondità e in efficacia… L’uomo ha bisogno di silenzio, per ascoltare quelle voci che solo nel silenzio possono risuonare».(3)
La genuflessione
Altro segno entrando in chiesa e passando davanti alla
custodia eucaristica, è la genuflessione: un segno di adorazione umile davanti a Dio, ma anche segno di penitenza e
di pentimento dei propri peccati. L’entrare in chiesa ci deve
portare a lasciare il nostro individualismo per sentirci famiglia di Dio, uniti ai fratelli e alle sorelle, aperti alle dimensioni della Chiesa e del mondo.
LE BUONE MANIERE
NELL’ASSEMBLEA LITURGICA
Mi permetto di proporre una piccola riflessione sulle
«buone maniere», o forse è meglio dire sul «buon gusto»
dei nostri comportamenti nell’assemblea liturgica.
Sono solo alcune piccole attenzioni e richiami per essere
attenti, rispettosi dell’ambiente, della presenza del Signore e
dei fratelli e sorelle. Queste riflessioni sono state pubblicate
nel n° 2/2002 di «La vita in Cristo e nella Chiesa».(4)
A cura del Consiglio dell’Associazione Professori e Cultori di liturgia, Celebrare
in Spirito e Verità, Edizioni Liturgiche, Roma 1992.
(4)
C. CRUCIANI, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 2/2002.
(3)
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Quando entro in chiesa, cerco di non far rumore con le
porte anche nel girare le maniglie e nel chiuderle.
Se la celebrazione è cominciata eviterò di percorrere tutta la chiesa, spostare sedie o andare davanti ad accendere candele… facendo rumore di monete.
Normalmente eviterò tacchi e scarpe rumorosi, sacchetti
di carta o plastica dal fruscio infinito ad ogni piccolo
spostamento.
Ricorderò che la chiesa non è il luogo per scambiarsi notizie soprattutto durante la preghiera o le celebrazioni
liturgiche, specialmente se sono un po’ sordo o lo è chi
mi sta vicino.
Eviterò di ripetere a voce alta le parole che spettano solo
al sacerdote e di pregare a voce alta così da costringere
gli altri alla mia preghiera e disturbare la loro.
Eviterò di voltare continuamente pagine in maniera rumorosa e fastidiosa, come pure colpi di tosse e soffiate di
naso sgradevoli magari mentre si deve ascoltare una parola importante che perciò viene perduta da tutti i presenti o nei momenti più solenni del rito. In tutto mi posso disciplinare, controllare, educare.
Quando si prega insieme eviterò di correre troppo o restare indietro, cercherò di ascoltare i vicini e di andare
con loro.
Curerò la pulizia del mio corpo e del mio vestito evitando di essere portatore di cattivi odori o di profumi
provocanti e fastidiosi.
Per la domenica mi vestirò bene, dignitosamente: acquistando un vestito per questo mi dirò: può andare bene
per lodare il Signore? Sarà gradito ai fratelli? I cristiani
sono belli, non provocanti per il lusso o per il cattivo
gusto, semplici, poveri ed eleganti.
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Fate questo in memoria di me
Una comunità bella, pulita dentro e fuori, ordinata ed
elegante rende buoni, è un canto per il Signore.
Noi speriamo che anche i sacerdoti che presiedono comunità così, siano altrettanto ordinati e puliti. Non si
tratta di ricercatezza e di fissazione, è semplice consapevolezza dell’azione umano-divina che stiamo compiendo.
Alla liturgia domenicale, cioè all’Eucaristia ma anche ad
altri sacramenti, si arriva puntuali, qualche minuto prima
che tutto cominci; non si esce prima che tutto sia finito.
Se in chiesa ci sono i bambini? Lasciamo che i bambini
siano bambini. Essi tuttavia vanno guidati, aiutati e poi
anche accolti con paziente amore. Con gli adulti siamo
invece esigenti perché possono e debbono comprendere
ed anche rispettarsi e aiutarsi.
Anche tutto ciò è «celebrare nella bellezza», anzi celebrare la Bellezza!
L’ASSEMBLEA SEGNO PASQUALE
Gli Atti degli Apostoli documentano in maniera precisa
il riunirsi della prima comunità cristiana il giorno dopo il
sabato, o il primo giorno della settimana, per celebrare la
Pasqua del Signore. «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). Questo testo di
Luca è una delle prime testimonianze sull’assemblea liturgica cristiana. Commentando questo testo la CostituFate questo in memoria di me
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zione conciliare Sacrosanctum Concilium dice che: «Da allora la Chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero pasquale: leggendo “in tutte le Scritture
ciò che lo riguardava” (Lc 24,27), celebrando l’Eucaristia,
nella quale “vengono resi presenti la vittoria e il trionfo
della sua morte” e rendendo grazie “a Dio per il suo dono
ineffabile” (2 Cor 9,15) nel Cristo Gesù, “a lode della sua
gloria” (Ef 1,12), per virtù dello Spirito Santo»(5) (SC 6). Per
questo la domenica, nella liturgia delle ore dell’Ufficio delle letture del tempo ordinario, si canta: «Splende nel giorno
ottavo l’era nuova del mondo, consacrata da Cristo, primizia dei
risorti». Il giorno del Risorto è, dunque, giorno di pace per
la rivelazione dell’infinita misericordia del Padre; di gioia
per l’apparizione della signoria e della regalità di Cristo; di
fuoco per la continua effusione dello Spirito Santo.
Il giorno del Risorto
Il giorno del Risorto è il giorno della Chiesa, giorno del
raduno dei credenti in Cristo. L’assemblea eucaristica domenicale, convocata dal Risorto è manifestazione della
Chiesa. Il Salmo 132,1 canta: «È bello che i fratelli stiano insieme». La bellezza sta nel riunirsi in assemblea nel giorno
della «santa convocazione», nel ritrovarsi dopo la dispersione settimanale, incontrare i fratelli nella fede, ascoltare la
Parola del Signore, celebrare i divini misteri, donarsi reciprocamente la pace e il perdono. La Didachè esorta: «Nel
giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie dopo
aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro. Ma tutti quelli che hanno qualche discordia con il loro compagno, non si uniscano a voi prima di essersi riconciliati, affinché il
(5)
CON. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosactum Concilium, n. 6.
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vostro sacrificio non sia profanato. Questo è infatti il sacrificio di
cui il Signore ha detto: In ogni luogo e in ogni tempo offritemi un
sacrificio puro, perché un re grande sono io – dice il Signore – e
mirabile è il mio nome fra le genti».(6) Chi, per superficialità o
negligenza e senza un grave motivo, non partecipa alla celebrazione eucaristica domenicale si priva della possibilità
di essere illuminato dalla luce del Risorto. L’assemblea, per
essere segno pasquale, deve saper esprimere il senso dell’accoglienza e della amabilità. Nessuno al suo interno si
deve sentire estraneo, tanto meno a disagio o emarginato.
Soprattutto chi esercita la presidenza deve creare le condizioni per una reale accoglienza e affabilità in modo che
venga messo in risalto il segno pasquale della gioia dello
stare insieme.
Assemblea accogliente
«L’assemblea dei cristiani non fa alcuna discriminazione
di razza, di classe sociale, di sesso, di livello culturale, di ricchezza o di povertà (cfr. Gal 3,27-28 e SC 32). Al contrario,
s’interessa in modo speciale di tutti coloro che cercano di riprendere un cammino nella comunione della Chiesa, di
tutti coloro che si trovano in difficoltà. In primo luogo i catecumeni (adulti, adolescenti, fanciulli) in cammino verso il
Battesimo, che fanno già parte dell’assemblea mediante l’ascolto della Parola e la preghiera, mediante certi riti loro
propri e l’amore fraterno della comunità. Così pure, quelli
che “ricominciano” a credere. In secondo luogo, tutti i “feriti della vita”, malati nell’anima o nel corpo, coloro che
devono lottare contro le potenze del male, coloro che sono
caduti e che devono essere riconciliati e guariti. L’assemblea
non è mai un pubblico anonimo: ognuno è unico agli occhi
(6)
DIDACHÉ, o Istruzioni degli Apostoli, in I Padri Apostolici, Città Nuova, Roma 1971.
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di Dio e come tale deve essere accolto. L’accoglienza e la testimonianza della gioia pasquale si esprime nell’attenzione
caritativa verso i fratelli. Il confronto con la Parola di Dio e il
rinvigorire la confessione della fede nella celebrazione eucaristica devono condurre a rinsaldare i vincoli della fraternità, a incrementare la dedizione al Vangelo e ai poveri.
Ciò implica il convergere naturale di tutti alla comune celebrazione parrocchiale. Le parrocchie dovranno poi curare la
proposta di momenti aggregativi, che diano concretezza
alla comunione, e rafforzare il collegamento tra celebrazione ed espressione della fede nella carità. Così, nella festa, la
parrocchia contribuisce a dar valore al “tempo libero”, aiutando a scoprirne il senso attraverso opere creative, spirituali, di comunione, di servizio».(7)
GLI SPAZI CELEBRATIVI
LA CENTRALITÀ DELL’ALTARE
La Nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana
sulla progettazione delle nuove Chiese, a proposito dell’altare dice: «L’altare è il punto centrale per tutti i fedeli, è il
polo della comunità che celebra. Non è un semplice arredo,
ma il segno permanente del Cristo sacerdote e vittima, è
mensa del sacrificio e del convito pasquale che il Padre imbandisce per i figli nella casa comune, sorgente e segno di
unità e carità.
(7)
CONFERENZA EPISCOPALE ITLALIANA, Il volto missionario delle parrocchie in un
mondo che cambia, n. 8, Nota pastorale, Roma 2004.
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Dovrà pertanto essere ben visibile e veramente degno; a
partire da esso e attorno ad esso dovranno essere pensati e
disposti i diversi spazi significativi.
Sia unico e collocato nell’area presbiteriale, rivolto al popolo e praticabile tutto all’intorno.
Si ricordi che, pur proporzionato all’area presbiteriale in
cui è situato, l’altare assicura la funzione di “focalità” dello spazio liturgico solo se è di dimensioni contenute. L’altezza del piano della mensa sia di circa 90 cm rispetto al
pavimento, per facilitare il compito dei ministri che vi devono svolgere i propri ruoli celebrativi. Sull’altare non si
devono collocare né statue né immagini di santi. Durante
la dedicazione si può riporre un cofano con reliquie autentiche di martiri o altri santi, non inserendole nella mensa, ma sotto di essa.
Secondo l’uso tradizionale e il simbolismo biblico, la
mensa dell’altare fisso sia preferibilmente di pietra naturale.
Fate questo in memoria di me
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L’altare sia unico e fisso
Tuttavia, per la mensa, come pure per gli stipiti e la base
che la sostiene, si possono usare anche altri materiali, a patto che siano convenienti per la qualità e la funzionalità all’uso liturgico» (cf. PNMR 263; Precisazioni CEI 14,17)(8). Anche il Rito della Dedicazione di un altare precisa che: «È bene che nelle nuove chiese venga eretto un solo altare; l’unico
altare, presso il quale si riunisce come un solo corpo l’assemblea dei fedeli, è segno dell’unico nostro Salvatore Gesù
Cristo e dell’unica Eucaristia della Chiesa». Come l’Eucaristia è centro di tutti i Sacramenti, così l’altare è centro e fondamento di tutti gli altri spazi liturgici. Si può dire che l’edificio-chiesa è costruito attorno all’altare come attorno all’altare si costruisce la Chiesa-popolo di Dio.(9) Intorno all’altare,
polo dello spazio sacro, si dispongono tutti gli elementi necessari per una celebrazione articolata e gerarchica del rito: la
sede per la presidenza, l’ambone per la proclamazione della
Parola, il luogo per i ministeri e per la schola, lo spazio per il
rito nuziale e altre celebrazioni, l’aula per l’assemblea. Verso
lo stesso altare, come a un centro ideale, convergono il fonte
battesimale, matrice e grembo della Chiesa, la sede propria
per la riconciliazione e la cappella della custodia eucaristica
per la quale è previsto un rito d’inaugurazione.
L’altare segno di Cristo
«L’altare è pertanto in tutte le chiese, “il centro dell’azione di grazie, che si compie con l’Eucaristia”, a questo
centro sono in qualche modo ordinati tutti gli altri riti della
Chiesa».(10)
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese, n. 8,
Nota pastorale CEI, 18 febbraio 1993.
(9)
S. SIRBONI, Il linguaggio simbolico della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1999.
(10)
Rito della dedicazione di un altare, Premesse, n. 155, in Pontificale Romano,
ed. it. 1980.
(8)
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Fate questo in memoria di me
L’altare, pur richiamando il simbolismo di Cristo, pietra
angolare, deve esprimere soprattutto la mensa, come è richiamato dalla stessa preghiera di dedicazione: «Sia la mensa del convito festivo a cui accorrono lieti i commensali di Cristo e
sollevati dal peso degli affanni quotidiani attingano rinnovato vigore per il loro cammino». Per sottolineare questa dimensione
e questa centralità dell’altare, nella seconda edizione del
Messale Romano, vengono fatte alcune precisazioni; in particolare si dice: «Si faccia attenzione a non ridurre l’altare a
un supporto di oggetti che nulla hanno a che fare con la liturgia eucaristica. Anche i candelieri e i fiori siano sobri
per numero e dimensione; il microfono per la dimensione e
la collocazione non sia tanto ingombrante da sminuire il valore delle suppellettili sacre e dei segni liturgici».(11)
Le suppellettili dell’altare
A proposito di suppellettili dell’altare, il più antico ornamento è quello che, molto probabilmente, risale a Cristo
stesso e agli Apostoli, cioè la semplice usanza di stendere
un panno sulla mensa per il pasto. In periodi diversi, la tovaglia d’altare ha ricevuto grande attenzione ed è stata
abilmente decorata con pizzi e ricami. Quello che dovrebbe essere maggiormente posto in risalto è il fatto che la tovaglia deve essere «immacolata», ossia senza macchia! È
quello che viene osservato in Principi e norme per l’uso del
Messale Romano: «… anche l’altra suppellettile destinata direttamente all’uso liturgico, o in qualunque altro modo
ammessa nella chiesa, deve essere degna e rispondere al
fine a cui ogni cosa è destinata. Si curi in modo particolare
che anche nelle cose di minore importanza siano opportunamente rispettate le esigenze dell’arte, e che una no(11)
MESSALE ROMANO, Precisazioni CEI, n. 14.
Fate questo in memoria di me
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bile semplicità sia sempre congiunta con la debita pulizia»(12) (§§ 348-351).
Se «pulizia» è la parola chiave per gli arredi dell’altare,
ciò non significa che sul medesimo si debbano stendere fogli di plastica per proteggere la tovaglia. In chiesa non si dovrebbero usare espedienti da bar o trattorie, bensì creare
l’atmosfera della sala del convito. Terminata la celebrazione,
l’altare può essere coperto con un panno anti-polvere, oppure si può togliere la tovaglia stessa.
CENNI STORICI SULL’ALTARE
Durante i primi tre secoli di vita della Chiesa, l’Eucaristia
veniva celebrata su un semplice tavolo di legno. Esso non
occupava una posizione permanente nell’assemblea, ma
veniva debitamente collocato al suo posto naturale da un
diacono, che lo preparava per la celebrazione. Sebbene nessun altare di questo periodo sia giunto fino a noi, possiamo
ugualmente averne conoscenza dagli affreschi nelle catacombe: si trattava normalmente di un piano quadrato sorretto da quattro sostegni; negli affreschi compaiono tuttavia
anche mense rotonde o semicircolari, con tre supporti. Gli
autori cristiani di questo periodo non parlano della mensa
come «altare», dato che tale termine aveva riferimenti troppo stretti al paganesimo.
La pace di Costantino (313 d.C.) e la successiva cessazione delle ostilità nei confronti dei cristiani ebbero ripercussioni in ogni aspetto pratico della vita cristiana, ivi comprese l’arte e l’architettura. Si potrebbe dire che il passaggio
dall’uso di altari in legno a quelli in pietra simboleggiasse
(12)
ORDINAMENTO GENERALE DEL MESSALE ROMANO, nn. 348-351, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2004.
20
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una ritrovata stabilità della Chiesa. Nel 517 il Sinodo di
Epaone, in Borgogna, dichiarò che potevano essere consacrati solo altari di pietra.
Le tombe dei martiri
Le celebrazioni eucaristiche sulle tombe dei martiri, ammesso che vi siano state, erano eventi molto rari. Le catacombe non erano luoghi dove i cristiani perseguitati si
riunivano per la celebrazione dell’Eucaristia. In occasione
della celebrazione dell’Eucaristia nell’anniversario di un
martire si collocava presso la sua tomba un altare portatile.
Quando le reliquie dei martiri furono trasferite nelle basiliche romane, furono poste sotto l’altare, senza implicare con
ciò che l’altare fosse una tomba: al contrario, esso venne
sempre ritenuto completamente autonomo. Si dava accesso
alla tomba o da un livello inferiore, oppure per mezzo di
una piccola apertura, tipo una finestrella, praticata nell’altare, si poteva vedere o toccare l’urna o il cofanetto.
Ulteriori sviluppi nel culto dei santi e delle loro reliquie
ebbero serie ripercussioni sulla forma e sulla posizione dell’altare. Le sue dimensioni furono ampliate allo scopo di sostenere reliquiari sempre più elaborati che vi venivano posti
sopra. Gli altari furono situati di fronte alle tombe dei santi
o di fronte a sofisticate strutture che contenevano le reliquie.
Via via che aumentava l’acquisizione di reliquie, il bisogno
di conservarle degnamente indusse ad aumentare il numero degli altari nelle chiese. Questa moltiplicazione fu ulteriormente accresciuta dalla necessità di creare altari per la
celebrazione di «messe private».
Evoluzione dell’altare
Tutto questo ha implicato che il significato dell’altare
maggiore come unico altare della chiesa e suo punto focaFate questo in memoria di me
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le venisse così oscurato. L’importanza di un altare cominciò ad essere proporzionale al grado di santità o al prestigio del santo di cui conteneva le reliquie. Le progressive
elaborazioni dei secoli successivi, soprattutto il periodo
del barocco, esercitarono un ulteriore profondo influsso.
L’altare divenne la parte inferiore di una sovrastruttura
sempre più rialzata e le sue proporzioni furono determinate dall’artista il cui interesse principale era la simmetria e non la liturgia. In risposta polemica all’insegnamento di alcuni riformatori protestanti e sotto la spinta dell’opera di S. Carlo Borromeo, si cominciò a collocare il tabernacolo sopra l’altare maggiore. Si ebbe l’effetto di ristabilire il primato dell’altare maggiore, non tanto però nella
sua natura di altare, quanto piuttosto come punto centrale
della devozione eucaristica.(13)
La riforma del Vaticano II
È la situazione che è arrivata sino a noi e sulla quale è
intervenuta la riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Il
movimento liturgico provocò il desiderio di vedere l’altare ripristinato nella sua giusta collocazione come simbolo liturgico e come luogo o punto focale dell’incontro
sacramentale dei fedeli con il Padre, in Cristo, per la potenza dello Spirito Santo. Allo stesso tempo è stata messa
in evidenza la necessità di mantenere un equilibrio tra
l’altare visto sia come altare del sacrificio, che come mensa della cena del Signore. Non c’è contrapposizione tra
mensa ed altare; al contrario, i due concetti sono inseparabili. Abbiamo una mensa per la celebrazione dell’Eucaristia e, poiché l’Eucaristia è un sacrificio, la nostra mensa
è un altare.
(13)
C. JOHNSON-S. JOHNSON, Progetto liturgico, Edizioni Liturgiche, Roma 1992.
22
Fate questo in memoria di me
L’AMBONE
La Nota pastorale
della CEI sulla
progettazione delle nuove chiese,
così presenta l’ambone: «È il luogo
proprio della Parola di Dio. La sua
forma sia correlata all’altare, senza
tuttavia interferire
con la priorità di
esso; la sua ubicazione sia pensata
in prossimità all’assemblea (anche non all’interno del presbiterio,
come testimonia
la tradizione liturgica) e renda possibile la processione con l’Evangeliario e la proclamazione pasquale della Parola. Sia conveniente per dignità e funzionalità, disposto in modo tale che
i ministri che lo usano possano essere visti e ascoltati dall’assemblea.
Un leggio qualunque non basta: ciò che si richiede è una
nobile ed elevata tribuna possibilmente fissa, che costituisca
una presenza eloquente, capace di far riecheggiare la Parola anche quando non c’è nessuno che la sta proclamando.
Fate questo in memoria di me
23
Accanto all’ambone può essere collocato il grande candelabro per il cero pasquale».(14)
L’ambone è lo spazio della Parola ed è specifico del culto
cristiano. È uno spazio già presente nella tradizione ebraica.
Nella Bibbia rimane significativa la lettura e la spiegazione
della legge fatta da Esdra dopo il ritorno dall’esilio: «Esdra
lo scriba stava sopra una tribuna di legno che avevano costruito
per l’occasione… aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché
stava più in alto di tutto il popolo…» (Ne 8,4-5). La riforma liturgica ha riscoperto il valore dell’ambone, così come era
presente nelle antiche chiese, anche se oggi non sempre c’è
una sensibilità adeguata verso questo spazio celebrativo.
Relazione tra ambone e altare
Il termine «ambone» indica il «luogo elevato» (deriva
infatti dal verbo greco anabàinein che significa salire) da cui
si proclamano i testi biblici durante le liturgie. Nella celebrazione della Messa l’altare e l’ambone segnano – attraverso una duplice dimensione spaziale – i due poli celebrativi comunemente noti come liturgia della Parola e liturgia
eucaristica. La Costituzione conciliare sulla Divina Rivelazione afferma: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai,
soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla
mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo
ai fedeli»(15) (DV 21). È quindi chiara la relazione che intercorre tra ambone e altare. Questa connessione fra le «due
mense» dovrebbe condurre architetti e artisti a realizzare
dei progetti che evidenzino anche stilisticamente questo reciproco legame.
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese, n. 9,
Nota pastorale CEI, 18 febbraio 1993.
(15)
CON. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, n. 21.
(14)
24
Fate questo in memoria di me
Le indicazioni funzionali proposte da Principi e norme
per l’uso del Messale Romano sono sufficientemente chiare:
«Conviene che tale luogo generalmente sia un ambone
fisso e non un semplice leggio mobile. L’ambone, secondo
la struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo
tale che i ministri possano essere comodamente visti e
ascoltati dai fedeli»(16) (n. 309). Inoltre le Precisazioni CEI invitano a non utilizzare l’ambone come supporto per altri libri all’infuori dell’Evangeliario e del Lezionario.(17)
Ambone come spazio celebrativo
Pertanto, come nel caso dell’altare, l’ambone non va concepito come un arredo ma come una spazio architettonico
armonizzato con l’ambiente che lo accoglie e con le altre
strutture. L’ambone non ha bisogno di essere ricoperto da
drappi e altri ornamenti, e non può essere usato per appendere manifesti o altri sussidi e proclami vari. Può essere curata una sobria confezione floreale che lo metta in risalto, come pure una adeguata illuminazione che lo renda visibile all’assemblea e renda possibile una perfetta leggibilità dei testi
da parte dei lettori. In molte chiese sprovviste di ambone fisso si nota la presenza di due leggii: uno per la proclamazione della Parola, l’altro per reggere il messale presso la sede.
Può anche trovarsi un terzo leggio per la guida dell’assemblea. Ci si potrebbe chiedere: quale di queste strutture è la
sede della Parola di Dio? Spesso infatti sono leggii uguali. Se
una chiesa è sprovvista di un ambone fisso la sede della
proclamazione della Parola deve potersi distinguere dalle altre strutture che funzionalmente sono uguali (servono tutte
per sostenere dei libri) ma simbolicamente sono ben diverse.
ORDINAMENTO GENERALE DEL MESSALE ROMANO, n. 309, Libreria Editrice Vaticana,
Roma 2004.
(17)
MESSALE ROMANO, Precisazioni CEI, n. 16.
(16)
Fate questo in memoria di me
25
Finalità e uso dell’ambone
Circa l’utilizzo dell’ambone è bene ricordare che da esso
si proclamano esclusivamente le letture e il Salmo responsoriale. Con una «formula concessiva» Principi e norme
(n. 309) afferma: «ivi inoltre si può tenere l’omelia e la
preghiera dei fedeli». L’omelia è da tenersi preferibilmente
alla sede (Cfr. n. 97). Infine è espressamente affermato che
«non è conveniente che all’ambone salga il commentatore, il
cantore o l’animatore del coro». L’uso improprio dell’ambone comporta un impoverimento della portata simbolica
che esso deve trasmettere durante le celebrazioni. L’importanza dell’ambone è in qualche modo riassunta nella preghiera di benedizione riportata dal Benedizionale: «O Dio,
che chiami gli uomini dalle tenebre alla tua ammirabile luce, accogli il nostro inno di benedizione e di lode; tu non ci lasci mai
mancare il nutrimento dolce e forte della tua parola e convocandoci in quest’aula ecclesiale continui a ricordare le meraviglie da te
annunciate e compiute… Da questo ambone i tuoi messaggeri ci
indichino il sentiero della vita, perché camminando sulle orme di
Cristo possiamo giungere alla gloria eterna».(18)
LA SEDE DEL PRESIDENTE
«La sede esprime la distinzione del ministero di colui
che guida e presiede la celebrazione nella persona di Cristo,
capo e pastore della sua Chiesa. Per collocazione sia ben visibile a tutti, in modo da consentire la guida della pre(18)
Benedizionale, ed. it. 1992, n. 1264.
26
Fate questo in memoria di me
ghiera, il dialogo e l’animazione. Essa deve designare il
presidente non solo come capo, ma anche come parte integrante dell’assemblea: per questo dovrà essere in diretta
comunicazione con l’assemblea dei fedeli, pur restando abitualmente collocata in presbiterio.
Si ricordi però che non è la cattedra del vescovo, e che
comunque non è un trono. La sede è unica e può essere dotata di un apposito leggio a servizio di chi presiede.
Si preveda inoltre la disponibilità di altri posti destinati ai concelebranti, al diacono e agli altri ministri e ai ministranti».(19)
La cattedra del vescovo
La sede presidenziale del vescovo si chiama «cattedra» e
da essa prende nome la chiesa cattedrale, il luogo dove, appunto, si trova la sede della sua presidenza liturgica quando
la Chiesa particolare si raduna in assemblea per celebrare.
Fin dai primi secoli la sede dalla quale il vescovo presiedeva l’Eucaristia e sovente rivolgeva la sua parola al popolo
divenne oggetto di culto. È sintomatico che ancora oggi in S.
Pietro a Roma ci sia uno spazio particolare chiamato «l’Altare della Cattedra». È altrettanto significativo che esista anche
una festa liturgica della Cattedra di S. Pietro il 22 febbraio.
Ogni sede presidenziale di qualsiasi assemblea liturgica,
dove un presbitero presiede a nome del vescovo, assume significato e valore dall’importanza simbolica della cattedra
episcopale (cf SC 42). Purtroppo lungo tanti secoli questo
segno così importante ha perso il suo significato e la sua
forza espressiva, trasformandosi, nelle chiese cattedrali, in
trono con finalità, per lo più, di cerimoniale. Nelle altre
chiese scomparve quasi del tutto.
(19)
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese, n. 10,
Nota pastorale CEI, 18 febbraio 1993.
Fate questo in memoria di me
27
Ripristino della sede
Il ripristino della sede è opera della riforma del Concilio Vaticano II, una disposizione
di conseguenza recente e, forse anche per
questo, trova non poche difficoltà a essere
pienamente compresa
e apprezzata. Alcune
osservazioni di carattere storico-liturgiche
possono aiutare a comprendere meglio questo segno e questo spazio celebrativo.
«È significativo il fatto che la sede presidenziale scompare dalle nostre chiese contemporaneamente all’affievolirsi del ruolo dell’assemblea, cioè poco
dopo gli inizi del secondo millennio. La sede del presidente
inevitabilmente scompare da quando il prete non viene più
sentito come un ministro a servizio dell’assemblea, ma piuttosto come un ministro a servizio dell’altare, del rito considerato in se stesso. Solo nelle chiese cattedrali rimane la sede
presidenziale riservata al vescovo; ma, come si è accennato,
essa assume un altro significato in rapporto all’ossequio dovuto verso l’autorità del personaggio… Soprattutto nel XVI
secolo, secondo il gusto e la mentalità dell’epoca, la cattedra
del vescovo tende a somigliare sempre più a un autentico
trono reale sovrastato da un vistoso e prezioso baldacchino.
28
Fate questo in memoria di me
Viene così oscurata la vera identità della sede presidenziale che diventa per il vescovo un elemento onorifico
verso la sua autorità, considerata maggiormente nella sua
dimensione giuridica che non sacramentale. Un rischio
che Sant’Agostino, profeticamente, aveva già previsto
quando scriveva: “È giusto che durante l’assemblea liturgica coloro che ne sono preposti alla guida siedano più in
alto affinché attraverso il segno stesso della sede si distinguano dagli altri e si manifesti chiaramente il loro ruolo di
servizio e non certo perché dalla sede spadroneggino gonfiandosi di superbia”».(20)
La sede secondo la riforma del Vaticano II
La riforma del Vaticano II riporta alla luce l’importanza
della sede presidenziale a partire da quella del vescovo. La
sede sta ad evidenziare che la Chiesa riunita non è semplicemente una realtà umana, ma si trova in quel luogo in
quanto è Dio stesso che l’ha costituita e l’ha riunita per
mezzo di Cristo e dello Spirito Santo.
La sede del presidente, dunque, con l’ambone e l’altare, è
uno degli spazi celebrativi più importanti e richiama una
delle grandi presenze «reali» di Cristo nella liturgia.
L’importanza della sede è messa in evidenza nell’ordinazione episcopale dove è previsto il rito dell’insediamento.
Allo stesso modo, nel rito di ingresso di un parroco, che
rappresenta il vescovo nella comunità locale, al momento
delle consegne troviamo al primo posto la consegna della
sede presidenziale. Al termine del rito, il vescovo invita il
nuovo parroco alla sede presidenziale dicendo queste significative parole: «Il Signore ti conceda di presiedere e di servire
fedelmente, in comunione con il tuo vescovo, questa famiglia par(20)
SANT’AGOSTINO, Discorsi, 91,5.
Fate questo in memoria di me
29
rocchiale, annunciando la Parola di Dio, celebrando i santi misteri e testimoniando la carità di Cristo».(21)
La sede, come si può desumere, non è solo un luogo
per sedersi ma riveste un significato teologico molto più vasto e profondo.
LO SPAZIO BATTESIMALE
Il Benedizionale, nell’introduzione al Rito per la benedizione del battistero o di un nuovo fonte battesimale, fa presente che: «Tra le parti più importanti di una chiesa ha giustamente un posto di rilievo il battistero, il luogo cioè in cui è collocato il fonte battesimale. In quel luogo si celebra il Battesimo, primo
Sacramento della Nuova Alleanza, in forza del quale gli uomini che
aderendo nella fede a Cristo Signore e ricevendo lo Spirito di adozione a figli, vengono chiamati e sono veramente figli di Dio…».
(21)
Benedizionale, n. 1999, ed. it. 1992.
30
Fate questo in memoria di me
«Poiché il Battesimo è l’inizio di tutta la vita cristiana, tutte le
Chiese cattedrali e parrocchiali devono avere ognuna il proprio
battistero, il luogo cioè nel quale zampilla o viene conservata l’acqua del fonte battesimale…».(22) Per questo motivo la Nota pastorale della CEI sulla progettazione delle nuove chiese afferma che: «Nel progetto di una nuova chiesa parrocchiale è
indispensabile prevedere il luogo del Battesimo (battistero
distinto dall’aula o semplice fonte collegato con l’aula).
Spazio adatto e decoroso
Sia decoroso e significativo, riservato esclusivamente alla celebrazione del Sacramento, visibile all’assemblea, di
capienza adeguata. Il fonte sia predisposto in modo tale
che vi si possa svolgere, secondo le norme liturgiche, anche
la celebrazione del Battesimo per immersione… In ogni caso, non è possibile accettare l’identificazione dello spazio e
del fonte battesimale con l’area presbiterale o con parte di
essa, né con un sito riservato ai posti dei fedeli».(23) Anche il
battistero, come gli altri spazi celebrativi, ha una lunga storia che si radica nella Scrittura e nello sviluppo storico-teologico e artistico della comunità cristiana.
All’inizio, come documentano gli Atti degli Apostoli, ogni
luogo dove vi fosse dell’acqua era adatto al Battesimo. Nei
primi secoli tanti battesimi venivano celebrati sulle rive di un
fiume, di un lago o del mare. Con lo svilupparsi delle comunità cristiane e con la progressiva strutturazione del rito
sempre più ricco di azioni simboliche, insieme agli aspetti di
carattere pratico, la celebrazione del Sacramento fu trasferita
in un luogo riparato. Dopo la pace di Costantino il culto e le
celebrazioni dalle case private passarono a luoghi pubblici.
(22)
(23)
Benedizionale, nn. 832-833.
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese, n. 11,
Nota pastorale CEI, 18 febbraio 1993.
Fate questo in memoria di me
31
I primi battisteri
Anche per il Battesimo fu costruito un luogo appositamente vicino alla chiesa. Sono nati in questo modo i primi
battisteri che con l’andare del tempo assunsero una struttura fortemente simbolica. Il luogo del battistero consisteva
generalmente in una vasca dove il battezzando da una parte scendeva per venire immerso e dall’altra usciva per
esprimere meglio il passaggio a una situazione completamente nuova. All’uscita dalla vasca, il neo-battezzato veniva accolto dai «fratelli maggiori», rivestito della tunica bianca e riceveva dal vescovo la Confermazione. Infine tutti i
neo-battezzati entravano processionalmente in chiesa, accolti dalla comunità, per partecipare, per la prima volta,
all’Eucaristia.
Verso la fine del primo millennio, in una società completamente cristianizzata, il rito di infusione (versare l’acqua sul
capo, come generalmente si fa oggi) ha preso il sopravvento
sul rito di immersione. Di conseguenza si costruirono vasche
molto più piccole e in questo modo il fonte battesimale entra
a far parte dello spazio riservato ai fedeli. Una traccia superstite del suo ruolo di «porta» per entrare a far parte del
popolo di Dio, la sua collocazione presso l’ingresso della
chiesa, generalmente sulla sinistra. Il rinnovamento operato
dalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, nell’occuparsi dell’Iniziazione Cristiana, non poteva tralasciare lo
spazio riservato alla celebrazione del Battesimo. Viene evidenziato il carattere comunitario della fede e di conseguenza del Battesimo, per questo le norme prevedono uno spazio
battesimale che permetta una celebrazione comunitaria. «Il
fonte battesimale può essere collocato in una cappella, situata in
chiesa o fuori di essa, o anche in altra parte della chiesa, visibile ai
fedeli… in modo da consentire la partecipazione comunitaria».(24)
(24)
Rito del Battesimo dei bambini, Intr. Gen. 25.
32
Fate questo in memoria di me
Proprio per questo motivo si sta instaurando la prassi di
collocare il fonte battesimale in uno spazio ben distinto,
ma sempre sull’itinerario ideale che conduca verso l’altare,
affinché «risulti manifesto il nesso del Battesimo con la Parola di Dio e con l’Eucaristia che è il culmine dell’Iniziazione Cristiana».(25)
La presenza del cero pasquale accanto al fonte costituisce
un chiaro richiamo allo spazio e al mistero pasquale.
LA SEDE DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
In ogni chiesa è abbastanza normale oggi identificare lo
spazio del Sacramento della riconciliazione con quei particolari mobili che sono i confessionali. Ma esaminando la
storia del Sacramento della penitenza si scopre che non sempre è stato così, anzi questo particolare arredo è comparso
verso la fine del XVI secolo. Lo spazio e la sede specifica per
la celebrazione del Sacramento della penitenza sono legati
alla complessa storia e alle più svariate forme con cui si è
sviluppato e concretizzato questo Sacramento lungo i secoli.
Nei primi secoli il luogo della conversione e della penitenza si identifica con il luogo stesso del Battesimo essendo,
agli inizi dell’esperienza cristiana, l’unico momento per
esprimere la conversione a Dio e la remissione dei peccati.
In seguito lo spazio penitenziale è il luogo stesso dell’assemblea dove risuona, attraverso l’ascolto della Parola di
Dio, l’invito alla conversione e dove, di fronte all’altare,
i penitenti vengono accolti e perdonati dal vescovo. Fin dal
(25)
Benedizionale, n. 1166, ed. it. 1992.
Fate questo in memoria di me
33
secondo secolo, infatti, si struttura per alcuni peccati gravi
(omicidio, adulterio, furto, eresia e apostasia) un itinerario penitenziale con una penitenza pubblica e una solenne riconciliazione, al termine di questo cammino, nel contesto dell’assemblea liturgica. In seguito, con il diffondersi della confessione privata a qualsiasi sacerdote e in qualunque tempo, si
sentì l’esigenza di creare all’interno delle chiese uno spazio
particolare, arrivando così agli attuali confessionali.
La riforma liturgica
Con la riforma liturgica si sono volute dare delle normative anche per il luogo e la sede del Sacramento della penitenza. Fin dal 1967 il Direttorio liturgico-pastorale per l’uso
del Rituale, emanato dalla CEI, sottolinea che: «Il luogo proprio della penitenza sacramentale è la chiesa come ambiente in cui
si riunisce l’assemblea liturgica. In questo ambiente le sedi per la
confessione… debbono essere poste in modo da dare il senso di un
collegamento con l’assemblea e da apparire come sedi ove il ministro sacro “presiede alla distruzione dei peccati” (S. Gregorio Magno). Si provveda alla funzionalità e alla dignità di questi luoghi,
ove si effettua l’incontro del penitente con il ministro della Chiesa,
in modo da rendere possibile una celebrazione sacramentale che
comporta un dialogo e alcune azioni rituali».(26)
L’Ordo Paenitentiae del 1974, pur rispettando la tradizione del confessionale, dà mandato alle Conferenze Episcopali di studiare altri spazi: «Quanto al luogo per la celebrazione del Sacramento, nulla si muti per ora nella pratica tradizionale. Il nuovo Ordo non solo non abolisce il confessionale, ma rimette eventuali innovazioni in proposito alle decisioni della Conferenza Episcopale. Frattanto si raccomanda che i segni della celebrazione, dalla sede per le confessioni, predisposta nel luogo sacro,
(26)
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, Direttorio liturgico-pastorale per l’uso del
“Rituale dei Sacramenti e dei sacramentali”, 27 luglio 1967, n. 65.
34
Fate questo in memoria di me
alle vesti liturgiche, all’atteggiamento in genere, richiamino la
dignità dell’azione sacramentale»(27) (n. 9).
Il confessionale spazio da conservare
Così pure il Rito della penitenza del
1975: «Per decisione dell’XI assemblea generale della
CEI, sulla linea di quanto
già comunicato con notificazione della presidenza in
data 22 marzo 1974, deve
essere conservato nelle
chiese, negli oratori e nei
luoghi sacri il confessionale
di tipo tradizionale. Si dà
però mandato alle commissioni regionali o interregionali per la liturgia e l’arte
sacra di studiare, predisporre e presentare alle
Conferenze Episcopali regionali un adattamento del
confessionale al nuovo rito della
celebrazione della penitenza per facilitare il colloquio aperto tra sacerdote e penitente. L’approvazione dell’eventuale adattamento spetterà ai singoli ordinari».
Dopo il primo periodo della riforma liturgica, superate
certe incertezze e titubanze, il Benedizionale del 1984 afferma
senza esitazioni che: «La sede per la celebrazione del Sacramento della penitenza, se collocata nell’ambito del luogo sacro,
esprime con maggiore evidenza che la confessione e l’assoluzione
(27)
Rito della penitenza, Nota della presidenza CEI, n. 9
Fate questo in memoria di me
35
dei peccati è un’azione liturgica che appartiene al corpo stesso
della Chiesa ed è ordinata alla rinnovata partecipazione dei fratelli penitenti al sacrificio di Cristo e della Chiesa» (n. 930). Questo
significa che lo spazio della celebrazione del Sacramento
della penitenza non può essere ridotto a un mobile o a un
arredo, ma deve essere parte integrante della stessa struttura architettonica della chiesa. È quanto viene detto nella
Nota pastorale per la progettazione delle nuove chiese, dove si auspica che la sede per la celebrazione di questo Sacramento «sia progettata contestualmente a tutto l’edificio e si
realizzi scegliendo soluzioni dignitose, sobrie e accoglienti».(28)
LA CUSTODIA EUCARISTICA
Le norme del Messale Romano, anche a proposito della
custodia eucaristica, recepiscono le disposizioni del Vaticano II: «Tenuto conto della struttura di ciascuna chiesa e delle legittime consuetudini dei luoghi, il SS.mo Sacramento sia conservato nel tabernacolo collocato in una parte della chiesa assai dignitosa, insigne, ben visibile, ornata decorosamente e adatta alla
preghiera.
Il tabernacolo sia unico, inamovibile, solido e inviolabile, non
trasparente e chiuso in modo da evitare il più possibile il pericolo
di profanazione.
In ragione del segno, è più conveniente che il tabernacolo in cui
si conserva la SS.ma Eucaristia non sia collocato sull’altare su cui
si celebra la Messa.
Conviene quindi che il tabernacolo sia collocato, a giudizio del
Vescovo diocesano:
(28)
Ib n. 12
36
Fate questo in memoria di me
a) o in presbiterio, non però sull’altare della celebrazione, nella
forma e nel luogo più adatti, non escluso il vecchio altare che
non si usa più per la celebrazione (Cf. n. 303);
b) o anche in qualche cappella adatta all’adorazione e alla preghiera privata dei fedeli, che però sia unita strutturalmente con la
chiesa e ben visibile ai fedeli.
Secondo una consuetudine tramandata, presso il tabernacolo rimanga sempre accesa una lampada particolare, alimentata da olio
o cera, con cui si indichi e si onori la presenza di Cristo».(29)
Il tabernacolo non deve essere posto nella mensa
Il ritorno alla tradizione più antica, in termini molto chiari ed espliciti, lo si trova nella Nota pastorale della Commissione episcopale per la liturgia, sull’Adeguamento delle
chiese, dove viene detto che il tabernacolo «non deve mai essere posto sulla mensa di un altare, ma piuttosto collocato a
muro, su colonna o su mensola».(30) Una norma che mira a
evidenziare la vera finalità dell’altare, che è il centro della
celebrazione eucaristica e non un semplice supporto fosse
anche di un elemento così importante come la custodia eucaristica.
Ancora oggi ci sono delle polemiche circa la collocazione della custodia eucaristica nonostante le norme siano
abbastanza chiare in proposito. Qualche riflessione storica
può aiutare a capire la portata simbolica della custodia eucaristica. È importante ricordare che nei primi secoli l’Eucaristia la si conservava per essere portata agli assenti, soprattutto malati e persone in carcere a motivo della fede e
per il viatico.
ORDINAMENTO GENERALE DEL MESSALE ROMANO, nn. 314-316, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2004.
(30)
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, L’adeguamento delle chiese secondo la
riforma liturgica, n. 20, Nota pastorale CEI, 31 maggio 1996.
(29)
Fate questo in memoria di me
37
Evoluzione storica
La prima normativa ufficiale per la custodia della SS.ma
Eucaristia fu emanata dal IV Concilio Lateranense nel 1215,
il quale stabilì che il SS.mo Sacramento doveva essere tenuto sotto chiave.(31) Solo molto più avanti si diffonde il culto eucaristico fuori della Messa. Già nell’XI secolo, certamente sotto l’influsso delle tesi eretiche sull’Eucaristia da
parte di Berengario, molte disposizioni di vescovi locali
permettono di lasciare la pisside sull’altare, anziché portarla nel secretarium o sacristia, la quale proprio dalla custodia della sacre Specie prende nome.
Per ovvi motivi di sicurezza s’instaura la prassi di conservare l’Eucaristia, quasi più soltanto sotto le specie del pane, in un cofanetto, posto sovente sull’altare, chiamato propiziatorio, con felice riferimento a quell’arca dell’alleanza
che custodiva le tavole della legge nel tempio di Gerusalemme e il cui coperchio d’oro si chiamava appunto propiziatorio perché segno di una presenza divina favorevole e
confortante.
Significato del tabernacolo
«Il termine tabernaculum (tenda) si riferiva invece in un
primo tempo semplicemente al velo prezioso che di solito
ricopriva il cofanetto o la pisside a guisa di tenda. In seguito questo velo si trasformò in conopeo (termine greco che significa pure velo): una tendina del colore liturgico del tempo per ricoprire la porta del tabernacolo, ma oggi non più
obbligatoria.
Tuttavia nella maggior parte dei casi la custodia eucaristica, pur all’interno dell’aula per l’assemblea, fino al XVI secolo resta ben distinta dall’altare. Viene talora custodita in
(31)
C. JOHNSON-S. JOHNSON, Progetto liturgico, Edizioni Liturgiche, Roma 1992.
38
Fate questo in memoria di me
contenitori a forma di colomba appesi o sopra o accanto all’altare; oppure in tabernacoli a muro posti in genere sulla
parete del presbiterio… Soprattutto nell’Europa del Nord, fra
il XIV e il XVIII secolo, sorsero artistiche torri a fianco dell’altare per custodire il pane eucaristico, spesso in un conte-
Fate questo in memoria di me
39
nitore trasparente per consentire la visione dell’ostia secondo
una pratica devozionale sorta nel XIII secolo che è all’origine
dell’ostensione delle sacre Specie durante la Messa».
Trento e Vaticano II
L’unica istruzione emanata dal Concilio di Trento stabiliva che il SS.mo Sacramento fosse conservato a beneficio
dei malati e custodito in un luogo sacro.(32) Non fu quindi il
Concilio di Trento a cambiare la prassi della Chiesa ma lo
zelo dei suoi interpreti. In risposta alle polemiche e agli errori dei protestanti, il tabernacolo venne ad essere considerato parte integrante del disegno dell’altare fino ad avere un
ruolo che offuscava persino il segno dell’altare. La riforma
del Vaticano II, ridimensionate le polemiche, ha potuto riproporre la consuetudine delle origini e oggi noi siamo in
condizione di capire meglio le norme che riguardano la custodia eucaristica. La Nota pastorale sulla Progettazione delle nuove chiese è abbastanza chiara:
«Il Santissimo Sacramento venga custodito in un luogo
architettonico veramente importante, normalmente distinto dalla navata della chiesa, adatto all’adorazione e alla
preghiera soprattutto personale. Ciò è motivato dalla necessità di non proporre simultaneamente il segno della
presenza sacramentale e la celebrazione eucaristica. Il tabernacolo sia unico, inamovibile e solido, non trasparente e
inviolabile. Non si trascuri di collocarvi accanto il luogo
per la lampada dalla fiamma perenne, quale segno di onore reso al Signore».(33)
Come si può constatare, non si tratta di sminuire la custodia eucaristica, ma, al contrario, di evidenziarla resti(32)
(33)
CONCILIO DI TRENTO, Sessio XIII de S. Eucharistia c. 6 Dz 1645/879.
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese, n. 13,
Nota pastorale CEI, 18 febbraio 1993.
40
Fate questo in memoria di me
tuendo nello stesso tempo all’altare la sua originaria identità, quale mensa attorno alla quale si raduna la Chiesa per
celebrare la Pasqua.
ALTRI SPAZI
Per gli altri spazi si riporta quanto viene detto dalla Nota pastorale della Commissione Episcopale della liturgia,
della Conferenza Episcopale Italiana: «La progettazione di
nuove chiese».
I posti dei fedeli
La collocazione dei posti per i fedeli sia curata in modo
particolare mettendo a disposizione banchi e sedie perché
ciascuno possa partecipare con l’atteggiamento, con lo
sguardo, con l’ascolto e con lo spirito alle diverse parti della celebrazione.
Il posto del coro
e dell’organo
Il coro fa
parte dell’assemblea
e deve essere collocato
nell’aula dei
fedeli; deve comunque trovarsi in
posizione e con arredo tali
Fate questo in memoria di me
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da permettere ai suoi membri l’adempimento del compito
proprio, la partecipazione alle azioni liturgiche e la guida
del canto dell’assemblea.
Per ragioni foniche e funzionali, la collocazione dell’organo a canne sia studiata e progettata attentamente fin dall’inizio, tenendo conto del suo naturale collegamento con il
coro e con l’assemblea.
Il programma iconografico
Il programma iconografico, che a suo modo prolunga e
descrive il mistero celebrato in relazione alla storia della
salvezza e all’assemblea, deve essere adeguatamente previsto fin dall’inizio della progettazione. Va pertanto ideato
secondo le esigenze liturgiche e culturali locali, e in collaborazione organica con il progettista dell’opera, senza trascurare l’apporto dell’artista, dell’artigiano e dell’arredatore.
Anche la croce, l’immagine della Beata Vergine Maria,
del patrono e altre eventuali immagini (ad esempio, il percorso della Via Crucis normalmente situato in luogo distinto dall’aula), devono essere pensate fin dall’inizio nella loro
collocazione, favorendo sempre l’elevata qualità e dignità
artistica delle opere. Ciò contribuisce a promuovere l’ordinata devozione del popolo di Dio, a condizione di rispettare la priorità dei segni sacramentali.
È bene conservare l’antica consuetudine di collocare dodici o almeno quattro croci di pietra, di bronzo o di altra
materia adatta sulle pareti in corrispondenza con il luogo
delle unzioni di dedicazione.
La cappella feriale
Si preveda di norma una cappella distinta dalla navata
centrale e adeguatamente arredata per la celebrazione con
piccoli gruppi di fedeli. Essa può identificarsi con la cap42
Fate questo in memoria di me
pella per la custodia del Santissimo Sacramento, nella quale l’altare deve comunque essere distinto dal tabernacolo.
L’arredo
Circa l’arredo della chiesa, occorre ricordare innanzitutto che non si tratta di un generico abbellimento estrinseco né di oggetti di carattere puramente utilitaristico, ma
di suppellettili pienamente funzionali che vanno attentamente progettate perché siano armonicamente connesse
con l’insieme dell’edificio. Nella scelta degli elementi per
l’arredamento si abbia di mira una nobile semplicità piuttosto che il fasto, si curi la verità delle cose e si tenda all’educazione dei fedeli e alla dignità di tutto il luogo sacro
(cf. PNMR 279).
L’orientamento di base per la cura dell’arredo è dunque
quello dell’autenticità delle forme, dei materiali e della destinazione dei mobili e degli oggetti. Ciò vale in particolare
per la scelta e l’uso di elementi naturali come ad esempio i
fiori e le piante, la cera e il legno. Quanto all’arredo floreale,
può essere opportuno progettare una o più fioriere nell’area
presbiteriale, non solo per l’effetto di ordine, ma per l’uso liturgico nei tempi e nei modi consentiti.
Al primario criterio della verità, sia unito il criterio della
sobrietà, quello della coerenza estetica con l’insieme dell’edificio e il criterio della valorizzazione della creazione
artistica, ricordando che è pure consentito il ricorso a nuovi
materiali, oltre a quelli tradizionali.
Nell’utilizzo delle suppellettili antiche, che pure è largamente raccomandabile, si abbia cura di rispettarne rigorosamente l’identità culturale, storica e artistica, evitando arbitrarie e incongrue modifiche.(34)
(34)
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese,
nn. 14-18, Nota pastorale CEI, 18 febbraio 1993.
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43
LA CELEBRAZIONE DELL’EUCARISTIA
RITI DI INTRODUZIONE
I riti di introduzione, chiamati anche riti iniziali, comprendono quell’insieme di preghiere e di atti che dall’ingresso del sacerdote vanno fino alla proclamazione della
Parola. «… hanno il carattere di esordio, di introduzione e
di preparazione. Il loro scopo è quello di far sì che i fedeli,
riuniti insieme, costituiscano una comunità, e si dispongano
ad ascoltare con fede la Parola di Dio e celebrare degnamente l’Eucaristia» (PNMR 24).
Concretamente hanno la seguente articolazione:
1. Raduno dell’assemblea
2. Ingresso del sacerdote
3. Saluto
4. Atto penitenziale comunitario
5. Inno di lode
6. Orazione (Colletta).
Il raduno dell’assemblea
I fedeli che si costituiscono in assemblea esprimono e realizzano il mistero della Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo.
È la convocazione di «coloro che guardano con fede
a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di
pace» (LG 9).
L’assemblea liturgica, costituita da tutti i battezzati con
una ricchezza di diversi carismi, nel momento in cui celebra
i santi misteri mette in evidenza tutte le sue caratteristiche:
• l’unità, pur nella diversità di coloro che la compongono;
• la dimensione ministeriale dei fedeli che vi partecipano;
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Fate questo in memoria di me
• l’atteggiamento di apertura e di accoglienza verso tutti;
• la comunione e la concordia nella partecipazione.
Così la comunità che si raduna «per celebrare i santi misteri» rappresenta la Chiesa universale nel lodare Dio e nel
rendergli grazie per tutti i doni ricevuti.
L’ingresso del sacerdote
Con l’ingresso del sacerdote, l’assemblea radunata attorno all’altare acquista la sua vera fisionomia e si arricchisce «della viva presenza di Cristo». Per questo il solenne ingresso è accompagnato dal canto di entrata che ha lo scopo di «aprire la celebrazione, favorire l’unione dei fedeli
riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri» (PNMR 25). Se non si canta, è bene
che tutta l’assemblea o un lettore o il sacerdote stesso leggano l’antifona di ingresso.
Il saluto
Giunto all’altare, che venera con l’inchino, il bacio e, in
alcune circostanze solenni, con l’incensazione, il sacerdote
rivolge il proprio saluto al popolo riunito, dopo aver fatto il
segno di croce, aggiungendo, se lo ritiene opportuno, anche
una breve monizione di circostanza per esortare e guidare i
fedeli alla preghiera.
«Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità riunita
la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata» (PNMR 28).
Le rubriche precisano che si possono usare le formule di
esempio, sette a scelta, oppure trarre il saluto iniziale da altri testi della Scrittura. Le formule proposte, perciò, non sono obbligatorie e fisse, ma hanno la funzione di fare da
esempio.
Fate questo in memoria di me
45
La formula più comune è: Il Signore sia con voi, che il
sacerdote o il diacono usano per salutare i fedeli durante
gli atti liturgici. «Il Signore sia con voi» è il più bell’augurio
che si possa fare a un cristiano: Dio ponga in te la sua dimora, ti accompagni, ti animi! La formula ha un’origine
scritturistica: «Io sarò con te!», è l’assicurazione fondamentale che YHWH dà a Mosè nel momento in cui gli affida la missione di liberare il suo popolo dall’Egitto, è la
rassicurazione che ricevono tutti coloro che sono stati chiamati per una missione particolare, sino a Maria che l’angelo Gabriele saluta appunto con: «Il Signore è con te». In
questa luce si comprende tutta la densità di questo saluto.
La risposta dei fedeli non è meno suggestiva, perché è un
atto di fede nella capacità del ministro: la grazia della sua
ordinazione – il suo spirito – l’abilita a mettere gli altri in
comunicazione con DIO.
Questo semplice dialogo è rivelatore della natura della liturgia: Dio si dona attraverso la mediazione dei suoi ministri e a tale dono risponde la fede del popolo.
Le altre formule, molto belle e suggestive, sono prese
dalle lettere di Paolo e dalla prima lettera di Pietro.
ATTO PENITENZIALE E COLLETTA
L’atto penitenziale
Il rito penitenziale, posto all’inizio della Messa dopo il saluto del celebrante all’assemblea, è un appello alla misericordia di Dio da parte di tutti. Il peccato è sempre un rifiuto
di Dio, più o meno grave e più o meno diretto: in quanto tale, rende inadatti alla celebrazione liturgica dell’Alleanza.
L’atto penitenziale, ritualmente, può assumere tre modalità
diverse, descritte nel messale: la prima è il «Confesso» ri46
Fate questo in memoria di me
preso dalle antiche preghiere ai piedi dell’altare; la seconda
è costituita da due versetti salmodici (Sal 50,1; Sal 84,8); la
terza è una formula rivolta a Cristo e non al Padre e nasce
dalle formule medioevali del Kyrie con l’aggiunta di altre invocazioni. In certi casi la preparazione penitenziale si omette: quando, per esempio, si passa subito alla benedizione
dell’acqua e all’aspersione, oppure quando, subito dopo il
saluto iniziale, si inserisce un’Ora dell’Ufficio divino. Con
l’atto penitenziale si riconoscono i propri peccati e si esprime
tutta la solidarietà con i peccati dei nostri fratelli presenti e
assenti. Nel pronunciare insieme (sacerdote e fedeli) l’unico
atto di accusa e di pentimento, il legame con Dio e la comunità si fa più profondo. Bisogna osservare che l’assoluzione
pronunciata dopo una delle formule penitenziali, non è sacramentale, non opera, cioè, di per se stessa il perdono dei
peccati come il Sacramento della riconciliazione. Segue l’invocazione litanica del Signore, pietà, subito coronata dall’inno
di lode (Gloria) che è la manifestazione della gioia dell’assemblea per la salvezza ottenuta dalla redenzione.
La benedizione dell’acqua e l’aspersione
Nella Messa della domenica la preparazione penitenziale può essere sostituita dalla benedizione dell’acqua e
dall’aspersione. Si tratta di un rito ripreso dalla Veglia
pasquale e intende essere per tutti un «ricordo» del Battesimo. Il sacerdote, dopo aver salutato l’assemblea, invita a
pregare in silenzio per alcuni momenti, poi benedice l’acqua, recitando una delle formule presenti nel Messale; una
è specifica del Tempo pasquale.
L’inno di lode
L’inno di lode è la naturale esultanza e il ringraziamento
per il perdono ricevuto, ma anche il preannuncio della
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grande lode-Eucaristia che risuonerà al momento centrale
della Messa. Si recita o si canta solo nelle domeniche (eccetto in Avvento e in Quaresima), nelle solennità e nelle feste. Inizia con un versetto biblico (Lc 2,14) che è il cantomessaggio degli Angeli alla nascita di Gesù. Vengono poi
espressi sentimenti di lode, di adorazione e di gratitudine
alle Persone della SS. Trinità per la loro presenza e per la loro azione amorosa nella storia della salvezza.
La colletta
La colletta è la prima delle tre orazioni della Messa. Il nome le viene dal fatto che «raccoglie» e riunisce le diverse
domande dei fedeli in un’unica preghiera; spetta poi al sacerdote presentare a Dio, in nome della comunità riunita, il
condensato della preghiera di tutti.
Per sottolineare meglio la funzione della colletta, che
conclude i riti iniziali della Messa, viene raccomandato di
farla precedere, dopo l’invito «Preghiamo», da un breve silenzio, durante il quale ognuno possa formulare interiormente le proprie domande, che poi il celebrante raccoglierà
in un’unica supplica. Al termine della colletta, tutti ratificano con l’Amen le parole del sacerdote.
Può essere utile precisare che cos’è un’orazione: deriva
dal latino oratio (parola, discorso, preghiera), che viene da
«orare» (parlare, dire, implorare). Un’orazione è una parola
rivolta a Dio, una preghiera formulata alla sua presenza. Se
l’orazione è un dialogo interiore prolungato con Dio, una
preghiera intima, un’orazione liturgica è un’espressione
pubblica e comune dell’assemblea in preghiera; viene recitata da colui che presiede l’Assemblea e condensa nella formula predisposta le domande di tutti.
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Fate questo in memoria di me
LITURGIA DELLA PAROLA
La liturgia della Parola, per tanto tempo, è stata considerata un elemento secondario nell’economia del sacrificio
eucaristico. Nella mentalità di molta gente, forse per una
certa catechesi ricevuta, c’era l’idea che per assicurarsi la
«validità» della Messa festiva bastasse arrivare in chiesa
dopo l’omelia o prima dell’offertorio.
Con la riforma liturgica questa parte della celebrazione ha
ritrovato tutta la sua importanza. L’Introduzione al Messale
Romano la presenta nei seguenti termini: «Le letture scelte dalla Sacra Scrittura costituiscono, con i canti che le accompagnano,
la parte principale della liturgia della Parola; l’omelia, la professione di fede e la preghiera universale o preghiera dei fedeli la sviluppano e la concludono. In queste letture, spiegate dall’omelia, Dio
parla al suo popolo, gli rivela il mistero della redenzione e della salvezza e offre un alimento spirituale; il Cristo stesso, con la sua Parola, è presente in mezzo ai fedeli. Questa Parola di Dio, il popolo la
fa diventare sua per mezzo dei canti, e dona ad essa la sua adesione
con la professione di fede; nutrito da questa Parola, il popolo indirizza a Dio nella preghiera universale le sue richieste per i bisogni
della Chiesa e per la salvezza del mondo intero» (PNMR 33).
La Chiesa è stata definita «una comunità in ascolto», infatti è il nuovo popolo che è chiamato ad ascoltare e ad accogliere Cristo che si rende presente con la Parola e con il
suo Corpo.
Cristo presente nella Parola
Di fronte alla urgente necessità di cambiare una certa
mentalità nei confronti della proclamazione liturgica della
Parola, la costituzione conciliare sulla liturgia si preoccupa di
affermare chiaramente che Cristo è realmente presente nella
sua Parola proclamata nell’assemblea liturgica: «È presente
Fate questo in memoria di me
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nella sua Parola, poiché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge
la Sacra Scrittura» (SC 7). Non solo, ma la costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione arriva a dire che «la Chiesa
ha sempre venerato le divine scritture come ha fatto per il
corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto
nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia
della Parola di Dio che del Corpo di Cristo» (DV 21).
I vari elementi che costituiscono la liturgia della Parola
esprimono, a loro volta, una struttura dialogica che riprende la struttura dell’Alleanza: Parola di Dio (letture bibliche
e loro attualizzazione nell’omelia) e risposta dell’assemblea
(Salmo responsoriale, canto al Vangelo, professione di fede,
preghiera dei fedeli).
Le monizioni
L’introduzione al Lezionario parla di eventuali commenti da premettere alla liturgia della Parola: «Nella liturgia della Parola si possono premettere alle letture, e
specialmente alla prima di esse, delle brevi e opportune
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Fate questo in memoria di me
monizioni. Si deve porre attenzione al genere letterario di
queste monizioni: devono essere semplici, fedeli al testo,
brevi, ben preparate e veramente intonate al testo a cui
devono servire come introduzione» (OLM 15). Se è un invito a entrare nel testo che sarà proclamato, non sarà un
riassunto ma dirà il concetto fondamentale per una buona
comprensione. Questo servizio non lo si può improvvisare:
«Vero ministero liturgico è anche quello esercitato dal commentatore: da un luogo adatto egli propone all’assemblea
dei fedeli opportune spiegazioni e monizioni, chiare, sobrie, preparate con cura, normalmente scritte e approvate
dal celebrante» (OLM 57).
LE LETTURE
Nelle Messe festive le letture sono tre (dall’Antico Testamento, dagli scritti apostolici, dal Vangelo); nei giorni
feriali soltanto due. Seguendo un ciclo triennale (anno A,
anno B, anno C), le letture permettono ai fedeli di ascoltare
tutte le pagine centrali della Sacra Scrittura in modo organico. La Costituzione conciliare sulla sacra liturgia ha dato a
suo tempo la seguente direttiva: «Affinché la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia in modo che, in un
determinato numero di anni, si leggano al popolo le parti più importanti della Sacra Scrittura» (SC 51).
• Le letture sono proclamate da un luogo (ambone) ben visibile, quale richiamo all’importanza e alla dignità della
Parola di Dio, ma anche per facilitare l’ascolto e l’attenzione dei fedeli.
• Nelle Messe solenni, l’evangeliario viene portato processionalmente e viene incensato.
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51
• La conclusione delle prime due letture viene annunciata
con l’espressione: «Parola di Dio» alla quale l’assemblea risponde: «Rendiamo grazie a Dio». Alla fine di ogni lettura è
raccomandato un momento di riflessione e di preghiera silenziosa per interiorizzare quanto è stato ascoltato e per
una risposta personale a ciò che Dio ha voluto comunicare.
Non basta dire che la proclamazione della Parola è reale
dialogo con Dio, bisogna che tale realtà sia ben significata
dalle modalità rituali. «Lo stesso modo con cui le letture vengono proclamate dai lettori – una proclamazione dignitosa, a voce
alta e chiara – favorisce una buona trasmissione della Parola di
Dio all’assemblea» (OLM 14).
I ministeri liturgici, compreso quello del lettore istituito o
di fatto, non costituiscono una promozione, ma sono un servizio. Perciò, insieme con le doti morali, è necessario avere
anche le capacità tecniche (cf. OLM 52). Solo nel caso in cui la
Parola di Dio venga proclamata con dignità si può giustamente criticare l’uso dei foglietti che non si limitano a riportare l’ordinario della Messa e i canti, ma riportano anche i testi scritturistici, riducendo così la proclamazione della Parola
a lettura individuale simultanea! Non è il caso di farne un
grosso problema, ma certamente dal punto di vista celebrativo l’ascolto comune favorisce di più la partecipazione che
non la semplice lettura. Del resto le norme del Messale Romano non prevedono la lettura da parte dell’assemblea, ma
una proclamazione che «tutti ascoltano seduti» (PNMR 89).
I CANTI FRA LE LETTURE
Il Salmo responsoriale
La prima vera risposta alla Parola di Dio avviene con il
Salmo responsoriale che ha la funzione di tradurre l’ascolto
52
Fate questo in memoria di me
in preghiera meditativa. «Il Salmo responsoriale, anticamente
chiamato anche graduale, perché cantato sui gradini dell’Ambone,
essendo parte integrante della liturgia della Parola, ha grande
importanza liturgica e pastorale. Si devono pertanto istruire con
cura i fedeli sul modo di accogliere la Parola che Dio rivolge loro
nei Salmi e di volgere i Salmi stessi in preghiera della Chiesa»
(OLM 19). Il compito non sembra essere molto facile se ancora oggi, dopo tanti anni dalla riforma liturgica, il Salmo
responsoriale appare a molti come una strana appendice
della lettura. È necessario precisare che «ogni testo salmodico
è direttamente connesso con la relativa lettura» (PNMR 36), tuttavia quasi ovunque non c’è stato uno sforzo adeguato per
far emergere questa connessione che è indispensabile per
una fruttuosa partecipazione attiva e consapevole. «Potranno recare un certo aiuto brevi munizioni che illustrino la scelta del
Salmo e del ritornello e la loro concordanza tematica con le letture» (OLM 19).
Fra i tanti possibili interventi creativi, previsti nel corso
dell’Eucaristia, non risulta che ci si sia particolarmente
preoccupati di questa monizione, che invece ha una grandissima importanza non solo per fare del Salmo una vera
e consapevole preghiera, ma anche per un buon ritmo
celebrativo di tutta la liturgia della Parola. Il Salmo essendo una preghiera non può essere una semplice lettura
per quanto accompagnata dalla ripetizione di una frase
invocativa.
Il Salmo, come ricorda il termine stesso (dal greco psallo
= io canto con la cetra), appartiene al genere musicale. Per
questo le norme recitano molto chiaramente: «Il Salmo responsoriale di norma si esegua in canto. Ci sono due modi di
cantare il Salmo dopo la prima lettura: il modo responsoriale e il
modo diretto. Il modo responsoriale che è quello, sempre che sia
possibile, da preferirsi, si ha allorché il salmista o il cantore del SalFate questo in memoria di me
53
mo ne pronunzia i versetti, e tutta l’assemblea partecipa con il ritornello. Il modo diretto, allorché solo salmista o il solo cantore
canta il Salmo e l’assemblea si limita ad ascoltare, senza intervenire col ritornello; o anche allorché il Salmo viene cantato da tutti quanti insieme» (OLM 20).
Il canto al Vangelo
Ha lo scopo di annunciare la lettura del Vangelo e svolge
una funzione diversa dal Salmo responsoriale. Mentre il
Salmo responsoriale si «volta indietro» verso la lettura proclamata, il canto al Vangelo guarda avanti verso il Vangelo
che sarà proclamato. A un ritornello fisso di lode e di gioia,
l’alleluja, che significa «Lode a Dio», segue un breve versetto
della Scrittura che commenta, introduce o avvia all’ascolto
del testo evangelico, vertice della liturgia della Parola. Va
cantato da tutti e non solo dal coro. I fedeli si mettono in
piedi in segno di rispetto e per esprimere che con Cristo risorto siamo delle persone salvate. Con questo canto l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per rivolgere ad essa la sua Parola e accompagna il libro dei Vangeli dall’altare all’ambone.
Il Vangelo
La sua proclamazione rappresenta il culmine della liturgia della Parola.
• Il sacerdote che deve proclamare il Vangelo si prepara
alla lettura con la preghiera: «Purifica il mio cuore e le mie
labbra, Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente il
tuo Vangelo».
• I fedeli che si preparano all’ascolto fanno tre segni di croce, sulla fronte, sulle labbra e sul petto, per indicare e implorare la disponibilità ad accogliere, proclamare e custodire la Parola che viene loro donata.
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Fate questo in memoria di me
All’annuncio del brano i fedeli rispondono: «Gloria a te, o
Signore», mentre alla fine, quando il celebrante dice: «Parola
del Signore», tutti rispondono: «Lode a te, o Cristo». Baciando
il libro, il celebrante aggiunge sottovoce: «La Parola del Vangelo cancelli i nostri peccati». Queste espressioni, se da una
parte rivelano con quale atteggiamento e dignità è necessario accostarsi alla Parola di Dio, dall’altra significano che il
suo ascolto rappresenta il rapporto più diretto e immediato
con Dio dopo l’Eucaristia, infatti sono entrambi nutrimento
dell’anima: come il cibo, anche la Parola accolta riesce a
trasformare la vita, orientandola gradualmente secondo le
categorie divine.
L’omelia
La parola «omelia» deriva dal greco «homiléin» che significa conversare familiarmente; indica il modo semplice e
dialogico di chi si rivolge in un momento conviviale a familiari e amici. Nell’Antico Testamento, Mosè, Giosuè, i
profeti, sacerdoti, scribi, capi e sapienti interpretano e attualizzano gli avvenimenti salvifici e le parole dell’Alleanza
per la nuova situazione del popolo, invitando a lodare Dio
e a restare fedeli all’Alleanza. Anche nella tradizione della
sinagoga l’omelia, oltre a costituire una spiegazione del testo sacro, veniva intesa come un «discorso di consolazione».
Nel Nuovo Testamento Luca descrive l’inizio della predicazione di Gesù nella sinagoga di Nazaret e, dopo la risurrezione, spiega ai discepoli di Emmaus il significato delle Scritture. La Lettera agli Ebrei, come la prima Lettera di Pietro,
possono essere considerate delle vere e proprie omelie.
Nella storia della Chiesa l’omelia è sempre presente e
ben documentata. I Padri della Chiesa sono un chiaro esempio dell’importanza che ha avuto l’omelia e di come hanno
letto e interpretato gli avvenimenti alla luce della Sacra
Fate questo in memoria di me
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Scrittura. Nei secoli successivi c’è stato un declino dell’omelia, con abusi e con contenuti che poco avevano a che fare con l’annuncio della Parola di Dio. La svolta si è avuta
con il Concilio Vaticano II. La Costituzione Sacrosactum
Concilium afferma che l’omelia è parte integrante della celebrazione: «Si raccomanda vivamente l’omelia, che è parte
dell’azione liturgica. In essa nel corso dell’anno liturgico
vengano presentati i misteri della fede e le norme della vita
cristiana, attingendoli dal testo sacro. Nelle Messe della
domenica e dei giorni festivi con partecipazione di popolo
non si ometta l’omelia se non per grave motivo» (SC 52).
L’omelia deve attingere il suo contenuto dalla Sacra Scrittura: «La predicazione poi attinga anzitutto alle fonti della
Sacra Scrittura e della liturgia, poiché essa è l’annunzio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza…» (SC
35). Caratteristica dell’omelia dovrebbe essere l’umiltà e la
fraternità, come si addice a chi annuncia la morte e la risurrezione di Cristo, in quanto tutti siamo chiamati a conversione e a essere coerenti con il Vangelo che viene annunciato.
SIMBOLO DI FEDE E PREGHIERA DEI FEDELI
La professione di fede
La liturgia della Parola accoglie da circa nove secoli un
testo dogmatico-giuridico: la professione di fede formulata
dai Concilii di Nicea e di Costantinopoli. In Italia, nelle domeniche di Quaresima e di Pasqua, può essere sostituito dal
simbolo apostolico.
«Il simbolo o professione di fede nella celebrazione della Messa
ha lo scopo di suscitare nell’assemblea una risposta di assenso dopo
l’ascolto della Parola di Dio nelle letture e nell’omelia, e di richiamare l’adesione alla regola della fede, prima di dare inizio alla cele56
Fate questo in memoria di me
brazione dell’Eucaristia» (PNMR 43). L’assenso alla Parola di
Dio è sempre un atteggiamento di preghiera. La recita della
professione di fede è prescritta nei giorni festivi. In genere
viene usata la formula del simbolo niceno-costantinopolitano, ma possono essere usate anche altre formule: quella del
simbolo apostolico, già ricordato, quella della rinnovazione
delle promesse battesimali, quella della Messa dei fanciulli.
Con la proclamazione della propria fede l’assemblea si
rivela come un’autentica comunità ecclesiale che rivive il
mistero di salvezza con la consapevolezza di essere salvata.
La preghiera dei fedeli
La preghiera dei fedeli, chiamata anche «preghiera universale», conclude la liturgia della Parola e introduce alla liturgia eucaristica. Con questa preghiera la Parola di Dio si
trasforma in orante dialogo con Dio. Questo è il chiaro progetto previsto dalle norme: «Nella preghiera universale l’assemblea dei fedeli, alla luce della Parola di Dio, alla quale in un
certo modo risponde, prega di norma per le necessità di tutta la
Chiesa e della comunità locale, per la salvezza di tutto il mondo,
per coloro che si trovano in difficoltà di vario genere e per determinati gruppi di persone» (OLM 30).
Ne consegue uno schema che non indulge a pietismi o
favoritismi: l’invito alla preghiera che il presidente fa all’assemblea; seguono quattro blocchi di preghiere: 1) per
la Chiesa, 2) per i governanti e per il mondo, 3) per una necessità particolare, 4) per l’assemblea riunita; chiude l’orazione del presidente che ha il semplice scopo di affidare al
Padre le intenzioni dell’assemblea (PNMR 45-47).
Anche questo momento della celebrazione eucaristica
rischia spesso di non raggiungere lo scopo a causa di una
cattiva realizzazione del programma rituale. L’orazionale allegato alla seconda edizione del Messale Romano, come
Fate questo in memoria di me
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pure i vari foglietti domenicali, offrono degli esempi; ma la
preghiera universale, per essere preghiera, non deve limitarsi alla lettura di intenzioni generali che vanno bene per
tutti e per nessuno.
La preghiera universale, come ricordano le norme, deve
far riferimento alla Parola di Dio, all’omelia che ne ha fatto
un commento attualizzato e localizzato, a quella particolare
comunità, al momento specifico che i membri di quella comunità stanno vivendo come cristiani e come cittadini di
questo mondo. Pertanto i formulari pre-confezionati vanno
se non altro integrati con intenzioni create dalla e per la
comunità locale, attraverso l’opera dei suoi responsabili e
operatori liturgici.
LA LITURGIA EUCARISTICA
La liturgia eucaristica, che ha inizio con la preparazione
dei doni, si chiama così non solo per il fatto che al centro di
essa si trova l’azione di grazie (in greco Eucaristia), ma anche per il fatto che essa nei suoi diversi momenti non fa
che sviluppare gli stessi gesti che Gesù fece in un unico rito
durante l’ultima cena: «prese il pane e il calice, rese grazie,
spezzò il pane e diede l’uno e l’altro ai suoi discepoli»
(PNMR 48). Così nella Messa il sacerdote che presiede prende il pane e il vino (preparazione dei doni), rende grazie (più
la preghiera eucaristica che prende l’avvio con il prefazio e
l’invito rivolto al popolo a rendere grazie), spezza il pane (la
frazione) e lo distribuisce ai discepoli (la comunione).
È per questo motivo che tutta la liturgia eucaristica deve
essere celebrata e vissuta come un unico grande momento,
senza indebite fratture o esagerate accentuazioni devozionali che verrebbero a frantumare la sua intima continuità.
58
Fate questo in memoria di me
La prima parte della liturgia eucaristica si articola in
questo modo:
• Preparazione dell’altare
• Processione con i doni
• Presentazione del pane e del vino
• Abluzione delle mani
• Invito alla preghiera
• Orazione sulla offerte.
Preparazione dell’altare
«All’inizio della liturgia eucaristica si portano all’altare i doni
che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo. Prima di tutto si
prepara l’altare o mensa del Signore, che è il centro di tutta la liturgia eucaristica, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il
calice e il messale» (PNMR 49). Questa preparazione viene
fatta dal celebrante, dal diacono o da uno dei ministri.
Processione dei doni
Preparato l’altare, si portano processionalmente i doni.
«È cosa lodevole che il pane e il vino siano presentati dai fedeli, e che dal sacerdote o dal diacono siano ricevuti in luogo opportuno e deposti sull’altare accompagnandoli con
le formule prescritte. Benché i fedeli ormai non portino più
come una volta, il proprio pane e il vino destinati alla liturgia, tuttavia il rito di portarli all’altare conserva ancora la
sua importanza e il suo significato spirituale» (PNMR 49).
Il nuovo ordinamento della Messa evita il termine «offertorio» e preferisce parlare di preparazione dei doni. Con
ciò vuole mettere in evidenza che la vera offerta, quella che
costituisce il vero culto a Dio, si attua al termine della preghiera eucaristica, quando l’assemblea è invitata a offrire se
stessa, la propria vita per Cristo, con Cristo e in Cristo.
È sintomatico che i riti di presentazione del pane e del vino durante la Messa sono nati in stretta connessione con
Fate questo in memoria di me
59
l’offerta dei doni per i poveri: «I ricchi che ne abbiano volontà
danno a proprio piacimento quello che vogliono; e quanto viene così raccolto si depone dinanzi a colui che presiede. Egli soccorre orfani, vedove, chi per malattia o altra causa è bisognoso, chi è in
prigione e gli ospiti che provengono da altri paesi; insomma prendiamo a cuore quanti si trovano in necessità» (S. Giustino,
I Apologia 67, circa 150 d.C.).
Significato dei doni
Questa antichissima testimonianza mette in evidenza la
radice e quindi il senso autentico di questi riti, che pertanto
non vanno enfatizzati per se stessi, ma in vista della carità
fraterna. Ecco allora che dal punto di vista celebrativo la
processione offertoriale trova pienezza di senso soltanto
quando in qualche modo è presente questa attenzione per i
poveri. Diversamente il rito rischia facilmente di cadere in
formalità cerimoniale, o in manifestazione folkloristica. Di
conseguenza è meglio non abusare di questa processione e
limitarsi a portare i doni essenziali per la celebrazione. Giovanni Paolo II, nella lettera Dominicae coenae del 1980, afferma al riguardo: «Tutti coloro che partecipano all’Eucaristia,
quantunque non compiano il sacrificio come lui (il celebrante), offrono con lui, in virtù del sacerdozio comune, i loro propri sacrifici spirituali, rappresentati dal pane e dal vino, sin dal momento
della loro presentazione all’altare. Questo atto liturgico… ha il suo
valore e il suo significato spirituale. Il pane e il vino diventano, in
un certo senso, simbolo di tutto ciò che l’assemblea eucaristica porta, da sé, in offerta a Dio, e offre in spirito» (n. 9).
La preghiera eucaristica
L’origine della preghiera eucaristica si trova nei gesti e
nelle parole del Signore nell’ultima Cena. Gesù istituisce
l’Eucaristia in un contesto conviviale, durante una cena
60
Fate questo in memoria di me
pasquale giudaica, ma ai gesti di quel rituale egli dà un
senso completamente nuovo. Anche gli elementi e la struttura della nostra preghiera eucaristica ricalcano quelli della
cena pasquale ebraica, la realtà però è del tutto diversa: i gesti degli ebrei erano compiuti e interpretati in una prospettiva di storia salvifica, con una forte tensione verso il futuro,
e la memoria diventava partecipazione e aspettativa messianica; quelli di Gesù annunciano la realizzazione e il compimento di una salvezza.
Sarebbe molto lungo soffermarsi sulle varie Preghiere
Eucaristiche, sulla loro origine e sul loro significato specifico, basti ricordare che nell’ultima edizione del Messale ce ne
sono dieci, senza contare le tre della Messa dei fanciulli.
La struttura della seconda parte della liturgia eucaristica
si presenta in questo modo:
• Ringraziamento (Prefazio)
• Acclamazione (Santo)
• Epiclesi (effusione dello Spirito)
• Racconto istitutivo (Consacrazione)
• Anamnesi (Mistero della fede)
• Offerta
• Preghiera di intercessione
• Dossologia finale.
Ringraziamento
Nel cuore dell’Eucaristia si entra quando, con il saluto «Il
Signore sia con voi», il celebrante inizia un solenne dialogo
con l’assemblea per invitarla a proclamare con riconoscenza
le lodi del Signore. Si tratta del prefazio (= dire prima o
dire avanti), la prima parte della preghiera eucaristica, con
la quale il sacerdote, a nome di tutta l’assemblea, degli angeli, dei santi e dell’universo intero, glorifica e ringrazia
Dio per l’opera della salvezza messa in atto per noi. Il nuoFate questo in memoria di me
61
vo Messale presenta complessivamente 108 prefazi di cui 72
hanno trovato posto nel rito della Messa perché richiesti
più facilmente dai vari formulari, gli altri invece sono immessi nei formulari delle rispettive celebrazioni.
Acclamazione (Santo)
Mentre il prefazio è cantato o proclamato dal solo celebrante, il Santo è acclamato da tutta l’assemblea e dal sacerdote. È infatti un grido di gioia e di riconoscenza di tutto
il popolo di Dio e fa da cerniera tra l’inno di ringraziamento di cui costituisce l’acclamazione conclusiva e il seguito
della preghiera eucaristica.
Epiclesi (invocazione): Effusione dello Spirito
È il terzo momento della preghiera eucaristica, quello
in cui i fedeli si inginocchiano e il sacerdote chiede a Dio di
santificare i doni con l’effusione del suo Spirito, trasformandoli nel Corpo e Sangue di Cristo. Il celebrante sa di essere non solo il rappresentante degli uomini, ma anche, in
forza della sua ordinazione, rappresentante di Cristo. Con
una particolare preghiera invoca l’azione di Dio perché
cambi i doni non solo nella loro finalità o nel loro significato, ma anche nella loro essenza. «La Chiesa implora con
speciali invocazioni la potenza divina, perché i doni offerti
dagli uomini vengano consacrati, cioè diventino il Corpo e
il Sangue di Cristo; e perché la vittima immacolata, che si riceve nella comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi
parteciperanno» (PNMR 55c).
Racconto dell’istituzione
Questo racconto forma una parte essenziale della preghiera eucaristica: narra i gesti compiuti e le parole dette da
Gesù durante la Cena, quando, istituendo il Sacramento
62
Fate questo in memoria di me
della sua Pasqua, ha ordinato ai suoi discepoli di perpetuarlo. «Mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’ultima Cena, quando offrì il suo
Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, lo diede a
mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero» (PNMR 55d).
Per mezzo delle parole della consacrazione che operano
la transustanziazione, Cristo viene reso presente nelle specie
eucaristiche. Il valore consacratorio tuttavia ce l’ha l’intera
preghiera eucaristica, non soltanto le parole dell’istituzione.
Il concetto di «racconto dell’istituzione» deve essere inteso
nel modo giusto: non si tratta infatti solo di una relazione
storica, ma di una preghiera vera e propria; del resto, Cristo
non ordinò di raccontare in sua memoria, ma di fare. Il fatto poi che Gesù offra ai discepoli in momenti diversi il pane
e il vino sta ad indicare a quale prezzo egli ci avrebbe redenti: la separazione del corpo dal sangue significa la morte. Sotto i segni e le specie del pane e del vino, Gesù intendeva lasciarci il memoriale della sua morte sacrificale. Perciò, sia l’azione del convito nel cenacolo, sia la celebrazione
eucaristica rappresentano la morte di Cristo.
Anamnesi
È chiaro che di fronte a un fatto così straordinario la ragione umana trovi notevoli difficoltà; per questo il celebrante, subito dopo le parole della consacrazione, dice: «Mistero della fede». Solo gli occhi della fede possono percepire il
grande mistero. L’anamnesi esprime l’intenzione di celebrare l’Eucaristia in memoria del Signore, della sua morte e
risurrezione, in attesa della sua venuta nella gloria. L’acclamazione dei fedeli, «Annunciamo la tua morte…» (il Messale riporta tre diverse acclamazioni) è rivolta a Cristo,
mentre gli altri testi della preghiera eucaristica sono rivolti
Fate questo in memoria di me
63
al Padre. La preghiera che subito dopo il sacerdote recita
con le mani alzate è detta anamnesi (= ricordo, commemorazione) perché ricorda la passione, la risurrezione e l’ascensione al cielo del Signore.
Offerta
Così la descrive l’Introduzione al Messale Romano: «Nel
corso di questa stessa memoria, la Chiesa, e in modo particolare
quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre
nello Spirito Santo la vittima senza macchia. La Chiesa desidera
che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma anche
imparino a offrire se stessi e così portino ogni giorno più a compimento, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e
con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti» (PNMR
55f). I fedeli, la Chiesa intera, sono chiamati ad offrire la
propria vita e a partecipare al sacrificio del Signore a gloria
del Padre e per la salvezza del mondo. Per ricevere il grande dono del Corpo di Cristo, è necessario che ogni cristiano
si faccia a sua volta dono. «… A noi che ci nutriamo del corpo
e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito…». È qui che il sacerdozio comune di ogni battezzato trova la sua massima
espressione.
Preghiera di intercessione
Le intercessioni sono innalzate dal celebrante per chiedere la salvezza di tutti i membri della Chiesa, vivi e defunti. Esprimono la comunione della Chiesa terrestre con
quella celeste. La comunità cristiana, «per il sacrificio di riconciliazione», chiede a questo punto «pace e salvezza al mondo intero», la fede e l’amore, l’unità dei cristiani dispersi, la
luce di Dio per i defunti, la misericordia per i presenti.
64
Fate questo in memoria di me
Dossologia finale
Conclude la preghiera eucaristica e consiste in una grandiosa glorificazione. Dossologia significa «rivolgere una grande lode a una persona per la quale si nutre un’alta stima». La
dossologia finale della preghiera eucaristica fa l’elogio della SS. Trinità secondo il classico schema di ogni autentica
preghiera cristiana: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo a Te, Dio
Padre Onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e
gloria per tutti i secoli dei secoli». A questo solenne elogio i cristiani rispondono Amen, pronunciandolo a voce alta o cantandolo. Esso esprime l’adesione di fede di tutti i fedeli,
consapevoli che solo per Cristo, con Cristo e in Cristo è
possibile un vero sacrificio e onorare degnamente Dio.
RITI DI COMUNIONE
Anche i riti di comunione, come la preparazione dei doni e la preghiera eucaristica, hanno il loro fondamento nell’azione di Cristo nell’ultima Cena. «Mediante la frazione di
un unico pane si manifesta l’unità dei fedeli, e per mezzo della comunione i fedeli si cibano del Corpo e del Sangue del Signore, allo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso» (PNMR 48).
«La comunione eucaristica ha un carattere tutt’altro che intimistico e sentimentale. Far comunione con il Signore crocifisso e
risorto significa donarsi con lui al Padre e ai fratelli» (CEI, CdA,
La verità vi farà liberi, p. 330). È chiaro allora che la comunione non è qualcosa di aggiunto al sacrificio, ma un’esigenza del medesimo. Nella catechesi si deve evitare l’errore
di presentarla come un fatto a sé. La Costituzione Sacrosactum Concilium ricorda: «Si raccomanda molto quella partecipazione più perfetta alla Messa, per la quale i fedeli, dopo la coFate questo in memoria di me
65
munione del sacerdote, ricevono il Corpo del Signore dal medesimo sacrificio» (SC 55).
I riti di comunione si compongono di quattro elementi:
1. Padre nostro
2. Rito della pace
3. Frazione del pane e immistione
4. Comunione del sacerdote e dei fedeli.
Il Padre nostro
La preghiera del Signore è introdotta da un invito che il
celebrante rivolge a tutta l’assemblea, perché non esiti a
chiamare Dio con il nome di Padre. Con essa si dà inizio al
banchetto sacrificale, allo stesso modo con cui i bravi cristiani innalzano la loro preghiera prima di mettersi a tavola.
Si recita la preghiera del Signore, aprendo i riti di comunione, poiché in essa la Chiesa chiede: «Dacci oggi il nostro
pane quotidiano». E aggiunge Tertulliano: «Intendiamolo in
senso spirituale, infatti è Cristo il nostro pane. Io sono, disse, il pane della vita» (De orat. 6,1). Riecheggiando i Padri
così si legge in PNMR: «Si implora la purificazione dei peccati, così che realmente i santi doni vengano dati ai santi»
(n. 56 a). Infine, si dice la preghiera del Signore perché,
chiedendo che venga il regno di Dio, si dà senso escatologico a tutta la celebrazione. A proposito di questo momento
rituale è forse utile fare alcune osservazioni.
Con indubbio zelo, ma talvolta poco informato e privo di
capacità critica, succede che si usa della creatività per mettere in atto soluzioni rituali certamente belle dal punto di vista emotivo, ma alquanto devianti nei confronti di una limpida e corretta percezione del mistero eucaristico. Ad esempio, specie nei gruppi giovanili, è invalso l’uso di recitare il
Padre nostro tenendosi per mano. Ai ragazzi piace molto
per ovvi motivi. Ma non è forse un gesto che anticipa e
66
Fate questo in memoria di me
oscura il ben più importante segno della pace? Non sarebbe
forse meglio recitare il Padre nostro assumendo, dove ciò
non rischia di apparire come teatralità, l’atteggiamento dell’orante, cioè a braccia allargate, come del resto è previsto
dal Messale Romano?
Sempre per uno zelo onesto, ma poco illuminato, succede anche che la preghiera del Signore venga sostituita da
parafrasi cantate, (per es. O Babbu Soveranu) per quanto
belle ed emotivamente coinvolgenti, e senza ombra di dubbio validissime per tante altre celebrazioni, non possono e
non devono sostituire le antiche, semplici e grandi parole
che il Signore ha voluto mettere sulle nostre labbra. Anzi
non dimentichiamo che il Padre nostro è la preghiera che
accomuna tutte le confessioni cristiane al di sopra di tutte le
divisioni. È bene, qualche volta, sottolineare questo aspetto.
SEGNO DELLA PACE E RITI FINALI
Rito della pace
Con il rito della pace «i fedeli implorano la pace e l’unità per
la Chiesa e per l’intera famiglia umana ed esprimono fra di loro
l’amore vicendevole, prima di partecipare all’unico pane»
(PNMR 56b). Il rito della pace viene considerato come una
logica attuazione dell’espressione «come noi li rimettiamo
ai nostri debitori», recitata nel Padre nostro, e come preparazione diretta alla comunione. Dopo l’augurio, il sacerdote può invitare, se lo ritiene opportuno, a compiere un gesto di pace che indichi realmente amore e riconciliazione.
Frazione del pane
È un gesto che risale a Cristo stesso: «La vigilia della sua
passione, cenando con i discepoli, prese del pane, lo benedisse, lo
spezzò, lo diede ai suoi discepoli», come viene ricordato nei racFate questo in memoria di me
67
conti dell’istituzione. L’espressione «spezzare
il pane» è così
passata a indicare tutta l’Eucaristia. L’introduzione al Messale Romano ribadisce: «Il gesto
della frazione del
pane, compiuto
da Cristo nell’ultima cena, sin dal
tempo apostolico
ha dato il nome a
tutta l’azione eucaristica. Questo
rito non ha soltanto una ragione
pratica, ma significa che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nella
comunione a un solo pane di vita che è Cristo» (PNMR 56c). All’uso di dividere l’ostia in tre parti, di cui la più piccola si lascia cadere nel calice (immistione), è stata data la spiegazione seguente: i tre pezzi rappresentano la Chiesa militante,
purgante e trionfante; con l’immistione si intende alludere
invece alla risurrezione di Cristo, dal momento che le specie
separate significano la sua morte.
Nell’Eucaristia si celebra tutto il mistero pasquale, quindi anche la risurrezione, ecco perché nel momento dell’immistione il sacerdote dice: «Il Corpo e il Sangue di Cristo,
uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna».
68
Fate questo in memoria di me
Comunione
Al momento della comunione si arriva attraverso l’armonioso insieme di tutti quei gesti, parole, azioni e atteggiamenti compiuti dal celebrante e dall’assemblea che
hanno il valore di una preparazione remota. La preparazione immediata, invece, il celebrante la fa con una preghiera silenziosa, al fine di ricevere con frutto il Corpo e il
Sangue di Cristo. Anche i fedeli si preparano pregando in
silenzio, o con preghiere personali o utilizzando le stesse
del sacerdote.
La Chiesa italiana, dal 3 dicembre 1989, ha dato la possibilità ai fedeli, rifacendosi all’uso antico durato fino al IX secolo, di ricevere la comunione nella mano. A prescindere
dai modi di ricevere la comunione, l’importante è che questo gesto sia sempre accompagnato da fede e rispetto, senza
cadere nella routine, ma come se ogni volta fosse la prima.
L’ultima riforma del Messale Romano, non ancora pubblicato, estende a tutte le celebrazioni la comunione anche
al calice.
Riti finali
Con l’Orazione dopo la comunione si conclude la liturgia eucaristica e vengono introdotti i riti finali. In forza
del Battesimo e della Confermazione, l’assemblea eucaristica partecipa alla missione salvifica della Chiesa, perciò,
ogni volta che è convocata intorno al banchetto eucaristico, riscopre la sua chiamata per una missione e vi aderisce
liberamente. Il senso profondo dei riti di conclusione è
proprio questo, anche se non è stato sufficientemente sottolineato dalle rubriche liturgiche. La Chiesa è fondamentalmente missionaria, aperta a una dimensione universale:
il congedo rituale della Messa, oltre che significare che la
celebrazione è finita, lo si può interpretare come un manFate questo in memoria di me
69
dato, cioè quello di portare la salvezza del Vangelo a tutti
gli uomini.
I riti finali comprendono:
1. parole conclusive ed eventuali comunicazioni
2. saluto ai fedeli
3. benedizione
4. congedo
5. bacio dell’altare, riverenza e uscita del sacerdote.
La Messa veramente partecipata deve portare a una rinnovata visione della vita e dei propri rapporti con Dio e con
i fratelli. Il rito allora non sarà un fatto isolato, ma un incontro talmente importante da irradiare tutte le manifestazioni della vita. Anzi, la vita stessa si trasformerà in una liturgia in quanto diventerà una lode e un perenne rendimento di grazie al Signore stesso della vita. Per un catechista deve essere prioritario l’impegno di far comprendere il
valore infinito della celebrazione eucaristica e guidare a viverla con la massima partecipazione.
Si suggerisce di preparare la Messa domenicale con la catechesi del sabato o con l’incontro catechistico o liturgico più
vicino alla domenica. Si può svolgere una riflessione sulle letture liturgiche, specialmente sul Vangelo, individuandone il
tema di fondo. A questo proposito, sarebbe bene procurare in
anticipo i foglietti delle domeniche o far usare il messalino.
I più piccoli possono essere invitati ad illustrare con disegni gli avvenimenti narrati nel Vangelo, a presentarne
una drammatizzazione dialogata o mimata, secondo i casi,
e a rispondere a dei questionari essenziali che li aiutino a
concentrare l’attenzione su alcuni aspetti più importanti.
Se l’animazione della Messa è affidata a un gruppo, è necessario preparare ogni minimo particolare per evitare l’improvvisazione spesso causa di tanti inconvenienti.
70
Fate questo in memoria di me
BIBBIA E LITURGIA
(I APPENDICE)
Nei documenti preparatori del Sinodo dei vescovi ci sono tanti passaggi che mettono in risalto il legame profondo
che c’è tra Parola di Dio e liturgia. Il rapporto vitale che esiste tra Bibbia e liturgia è stato messo in evidenza dal Vaticano II sia nella Costituzione che riguarda la riforma liturgica, la Sacrosanctum Concilium, sia in quella dedicata alla
Divina Rivelazione, la Dei Verbum. Il Concilio, come è stato
ribadito da più parti, ha messo fine a una sorta di esilio
della Parola in quanto ha recuperato una sostanziale presenza della Scrittura nell’azione liturgica. «Nella celebrazione
liturgica la Sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa
infatti si attingono le letture che vengono poi spiegate nell’omelia
e i Salmi che si cantano; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preghiere, le orazioni e gli inni liturgici; da essa infine
prendono significato le azioni e i simboli liturgici. Perciò, per promuovere la riforma, il progresso e l’adattamento della sacra liturgia, è necessario che venga favorita quella soave e viva conoscenza
della Sacra Scrittura, che è attestata dalla venerabile tradizione dei
riti sia orientali che occidentali» (SC 24).
Sacra Scrittura e liturgia
Più avanti la stessa Costituzione torna a parlare della
necessità della presenza della Sacra Scrittura nella liturgia:
«Affinché risulti evidente che nella liturgia rito e Parola sono intimamente connessi: 1) Nelle sacre celebrazioni si restaurerà una
lettura della Sacra Scrittura più abbondante, più varia e meglio
scelta. 2) … La predicazione poi attinga anzitutto alle fonti della
Fate questo in memoria di me
71
Sacra Scrittura e della liturgia, poiché essa è l’annunzio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza, ossia nel mistero di
Cristo, mistero che è in mezzo a noi sempre presente e operante,
soprattutto nelle celebrazioni liturgiche» (SC 35).
Queste indicazioni sono state recepite nella riforma delle
varie celebrazioni sacramentali dove la lettura della Sacra
Scrittura è sempre presente per indicare il fondamento e la
ragione del rito che si sta celebrando. È richiamata ancora
una maggior ricchezza biblica nella celebrazione della Messa: «Affinché la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli
con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori
della Bibbia in modo che, in un determinato numero di anni, si
legga al popolo la maggior parte della Sacra Scrittura» (SC 51). Il
motivo di tanta insistenza sta nel fatto che Cristo stesso è
«sempre presente e operante, soprattutto nelle celebrazioni liturgiche» (SC 35): «È presente nella sua Parola, giacché è Lui
che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura»
(SC 7). «Nella liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo e Cristo
annunzia ancora il suo Vangelo» (SC 33).
È evidente che per la stragrande maggioranza del popolo di Dio, la celebrazione liturgica è il luogo privilegiato, per
non dire l’unico, in cui si viene a contatto diretto con la Parola di Dio. «Dall’esperienza delle Chiese particolari emergono alcuni punti comuni: l’incontro con la Parola di Dio
avviene, per una forte maggioranza dei cristiani in tutte le
parti del mondo, soltanto nella celebrazione eucaristica domenicale; cresce la coscienza tra il popolo di Dio circa l’importanza della liturgia della Parola di Dio grazie anche al
rinnovamento dell’ordinamento di questa nel nuovo Lezionario»(35) (Instrumentum laboris, 33). Per questo motivo è
(35)
SINODO DEI VESCOVI, Instrumentum laboris per la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (5-26 ottobre 2008), 33, da il Regno documenti/11, Dehoniane, Bologna 2008.
72
Fate questo in memoria di me
necessario maturare una maggior comprensione della liturgia come luogo privilegiato della Parola di Dio che edifica la Chiesa.
Scrittura e liturgia insieme convergono nel portare il popolo di Dio al dialogo con il Signore. «Nella liturgia, e massimamente nell’assemblea eucaristica, avviene la proclamazione della Scrittura in Parola, caratterizzata da un dinamismo dialogico profondo. Fin dall’inizio, nella storia del popolo
di Dio, sia nel tempo biblico che in quello post-biblico, la
Bibbia è stato sempre il libro destinato a reggere la relazione
tra Dio e il suo popolo; è cioè il libro per il culto e la preghiera. Infatti, la liturgia della Parola «non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma di dialogo di Dio
con il suo popolo, nel quale sono proclamate le meraviglie
della salvezza e proposte sempre di nuovo le esigenze dell’alleanza»(36) (Instrumentum laboris, 34).
Nutrire la preghiera liturgica, come la preghiera personale e comunitaria, con la Parola di Dio, diventa un impegno essenziale e fondamentale per tutti i cristiani.
LA PRESENZA DI CRISTO NELLA PAROLA
La Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosactum Concilium, nel presentare la natura della liturgia e la sua importanza nella vita della Chiesa, dice che nella liturgia e in maniera particolare nella celebrazione dell’Eucaristia, «si attua l’opera della nostra redenzione» (SC 2). La realizzazione di
questa opera esige la presenza di Cristo perché è lui l’autoFate questo in memoria di me
73
re della nostra salvezza. Quello che Gesù Cristo ha compiuto «una volta per sempre» nella sua vita storica, ora lo
attua nella celebrazione dei divini misteri.
La presenza di Cristo nella liturgia è varia e molteplice.
Sempre la Sacrosactum Concilium ricorda che: «Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della Messa, sia nella persona
del ministro, essendo egli stesso che, “offertosi una volta sulla
croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti”, sia
soprattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua
virtù nei Sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo
stesso che battezza. È presente nella sua Parola, giacché è Lui che
parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È presente
infine quando la Chiesa prega e loda, Lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro” (Mt 18,20)» (SC 7).
Significato della presenza reale
Di solito, parlando di presenza reale, ci si sofferma soprattutto sull’Eucaristia, dove questa presenza è sostanziale e del tutto particolare, ma è opportuno riscoprirla anche
nella sua Parola. Fino al Concilio si era parlato di presenza
reale solo in riferimento all’Eucaristia in seguito alla polemica con i protestanti. È significativo al riguardo l’intervento di Paolo VI che nell’Enciclica Mysterium fidei (37) disse
che la presenza di Cristo nell’Eucaristia «si dice reale non
per esclusione, quasi che le altre non siano reali, ma per antonomasia perché (oltre che reale) è anche corporale e sostanziale, e in forza di essa Cristo, l’Uomo-Dio, tutto intero
si fa presente». Oltre al testo conciliare, la presenza reale di
Cristo nella Parola viene messa in evidenza nell’Istituzione
(37)
PAOLO VI LETT. ENC., Mysterium fidei, 3 settembre 1965, EV 2, 406-443.
74
Fate questo in memoria di me
generale del Messale Romano: «… nelle letture, che vengono poi
spiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua Parola, tra i fedeli» (IGMR 55).
Anche nelle premesse al Lezionario si dice che: «… per
poter celebrare con fervido impegno il memoriale del Signore, ricordino i fedeli che unica è la presenza di Cristo, sia nella Parola di
Dio, perché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra
Scrittura, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche» (OLM 46).
C’è da dire che il recupero del significato di questa presenza è recente ed è avvenuto in seguito al movimento biblico e liturgico recepito dal Concilio, anche se nella tradizione della Chiesa è stata sempre ritenuta come certa. Sono
significative al riguardo alcune testimonianze: «La bocca
di Cristo è l’Evangelo. Regna in cielo, ma non cessa di parlare sulla terra» (S. Agostino, Sermone 85,1). «Noi mangiamo
la carne di Cristo e beviamo il sangue di Cristo nell’Eucaristia, ma anche nelle letture delle Scritture»; «io ritengo l’Evangelo corpo di Cristo» (S. Girolamo). «Si legge l’Evangelo nel quale Cristo di sua bocca parla al popolo… per far risuonare l’Evangelo nella Chiesa, come se Cristo stesso parlasse al popolo» (Pontificale Romano Germanico).
Nella Dei Verbum viene detto che: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di
Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di
nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del
Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come
la regola suprema della propria fede…» (DV 21).
In forza di questa reale presenza di Cristo nella sua Parola, ogni celebrazione liturgica deve poggiare e trarre forza
in modo tutto particolare dalla Parola di Dio. In questo
Fate questo in memoria di me
75
modo la celebrazione liturgica diventa una continua, piena
ed efficace proclamazione e attuazione della Parola di Dio
per la potenza dello Spirito Santo. Di conseguenza la celebrazione della Messa, nella quale si ascolta la Parola e si offre e si riceve l’Eucaristia, costituisce un unico atto del culto
divino. La liturgia della Parola e la liturgia eucaristica sono
così strettamente congiunte tra di loro da formare un unico
atto di culto.
LE LETTURE BIBLICHE NELLA LITURGIA
La lettura e il commento della Scrittura all’interno del
culto cristiano deriva dalla tradizione sinagogale ebraica.
Presso gli ebrei c’erano due luoghi di culto: il tempio di
Gerusalemme e la sinagoga. Il tempio era unico per tutta la
nazione ed era il luogo dove si svolgevano i sacrifici; rappresentava il segno dell’unità nazionale, simbolo e garanzia
del monoteismo.
Nel tempio, eretto come segno della presenza di Dio in
mezzo al suo popolo, ben presto l’aspetto esteriore e formalistico prende il sopravvento sull’aspetto spirituale. I
profeti in varie circostanze hanno elevato la loro voce per
denunciare questa degenerazione del culto e per richiamare i fedeli a un culto spirituale. Al tempo di Gesù c’era quasi una «idolatria» del tempio, non considerato più come
un «segno», ma visto come un valore a sé stante. Gesù stesso sarà severissimo contro questa concezione e degenerazione del culto del tempio, arrivando a sentenziarne la fine,
come di fatto, storicamente è avvenuto.
76
Fate questo in memoria di me
La sinagoga o «luogo dell’assemblea» era il luogo dove
si radunavano le comunità ebraiche. Ogni paese aveva la
sua sinagoga. Nei giorni feriali veniva usata come scuola,
dove i bambini, avendo come testo la Bibbia, ricevevano l’istruzione elementare. Nei giorni festivi tutta la comunità si
radunava nella sinagoga per il culto che consisteva in una
lunga celebrazione della Parola con letture, commenti, spiegazioni, canti e preghiere.
I Vangeli e gli Atti degli Apostoli testimoniano che Gesù
e gli Apostoli erano zelanti frequentatori della sinagoga.
Gesù inaugura la sua missione leggendo e commentando
nella sinagoga di Nazaret un brano del profeta Isaia. La
predicazione apostolica ha avuto nella sinagoga il primo
punto di riferimento per annunciare l’evento della risurrezione e il mistero pasquale di Gesù Cristo.
Culto cristiano e sinagoga
Il culto cristiano per quanto riguarda la celebrazione della Parola si rifà alla tradizione sinagogale. Al centro di questo culto c’è la proclamazione della Parola di Dio. Per i cristiani al centro della celebrazione c’è l’annunzio di Cristo risorto, la Parola di Dio che si è fatta carne. Di conseguenza
nelle assemblee domenicali, all’originaria cena che precedeva la frazione del pane e che, con l’andare del tempo, era
un po’ degenerata, fu sostituita la mensa della Parola con la
lettura dell’Antico Testamento, delle Lettere degli Apostoli
e del Vangelo.
In questo modo la Bibbia fu il primo e fondamentale libro liturgico dei cristiani, da essa attinsero le letture e fu
fonte di ispirazione per la composizione di inni, di preghiere, e per lo sviluppo dei segni e dei simboli che lentamente contribuiranno a formare, dando forma e contenuto,
alla liturgia cristiana.
Fate questo in memoria di me
77
S. Giustino, descrivendo un’assemblea domenicale degli
inizi del secondo secolo, dice che nella celebrazione «si leggono le Memorie degli Apostoli e gli scritti dei profeti nella
misura in cui il tempo lo permette».(38) C’è da dire che molti libri sia dell’Antico che del Nuovo Testamento sono nati in un
contesto liturgico per essere usati in una celebrazione liturgica. «Sicché la Bibbia è la Parola diventata Scrittura. Quando si
celebra la liturgia, avviene un processo inverso: il testo viene
proclamato perché la Scrittura ridiventi Parola. Tra Bibbia e liturgia si attua uno scambio, un dare e un ricevere. La Parola,
infatti, dice cosa celebriamo, offre alla celebrazione il suo
contenuto, che è la storia della salvezza incentrata in Cristo,
che ne è la promessa, lo svolgimento e il compimento.
Senza questa narrazione, la liturgia mancherebbe del
suo fondamento cristologico (perché essa celebra il mistero
di Cristo) e rischierebbe l’astrattezza. Senza la Parola, la liturgia sarebbe vuota, senza ispirazione, senza soffio vitale.
A sua volta, la liturgia offre alla Scrittura la possibilità di recuperare il suo contesto primigenio e di ridiventare azione e
vita nuova».(39)
Per questo motivo in ogni celebrazione è prevista la proclamazione della Parola di Dio per mettere in evidenza che
Dio ha il primo posto ed è Lui che prende l’iniziativa in ordine alla salvezza. In secondo luogo è sempre questa Parola che spiega il significato di quello che si sta celebrando, ne
richiama l’origine, dando significato ai gesti e ai segni. «La
Parola biblica è commento garantito dei gesti liturgici; è
Parola illuminatrice di ciò che Dio ha fatto».(40) Per questo
motivo il Concilio ha auspicato che «Affinché la mensa della
SAN GIUSTINO, I Apologia, n. 67.
A. SORRENTINO, Celebriamo con gioia, Dottrinari, Pellezzano 2004.
(40)
G. BARBAGLIO, Liturgia e Bibbia, in RL 5 (1963), p. 617.
(38)
(39)
78
Fate questo in memoria di me
Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza,
vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia in modo che, in
un determinato numero di anni, si legga al popolo la maggior parte della Sacra Scrittura» (SC 51).
ORIGINE E SIGNIFICATO DEL LEZIONARIO
Il Lezionario, come raccolta delle letture bibliche che
vengono proclamate nella celebrazione, ha una storia lunga
e complessa. Si sa che nelle sinagoghe c’era il rotolo della
legge dove erano trascritti i testi biblici.
A Gesù, nella sinagoga di Nazaret «Gli fu dato il rotolo del
profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del
Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio…
Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”» (Lc 4,14-18.20-21).
Questo episodio, con l’uso del «rotolo», può essere visto
come un prototipo del nostro Lezionario. Così pure la lettura continuata del libro della Legge fatta dal sacerdote
Esdra e riportata nel libro di Neemia, attesta che c’era un
uso liturgico del «rotolo». Come è stato già accennato nella
Chiesa delle origini e dei suoi primi tempi, è proseguita
l’influenza della sinagoga. Alla originaria lettura della Legge, si sono aggiunti i Libri dei profeti, le Lettere degli Apostoli, gli Atti e i Vangeli. Troviamo conferme di tutto questo
nelle opere di S. Giustino (150 d.C.), nella Tradizione ApostoFate questo in memoria di me
79
lica di Ippolito (217 d.C.) e anche nelle Costituzioni Apostoliche alla fine del IV secolo.
Da questi primi secoli prende inizio la storia del Lezionario che nel corso di oltre duemila anni è giunto fino a noi.
All’inizio il primo e unico Lezionario è stato il «libro» della
Bibbia. Nei primi secoli i brani da leggere venivano tratti direttamente dagli scritti biblici. Chi presiedeva la celebrazione indicava ai lettori i testi che dovevano essere proclamati. Di solito si seguiva il metodo della «lettura continua»
dei vari libri della Sacra Scrittura.
Con l’organizzarsi in maniera sempre più sistematica
dell’anno liturgico con le sue diverse ricorrenze, si cominciò
a scegliere dei brani biblici più direttamente rispondenti al
mistero che veniva celebrato. Questo modo di usare la Bibbia è attestato da S. Ambrogio a Milano, da S. Agostino
nell’Africa settentrionale e da S. Cesario di Arles in Gallia,
avendo essi lasciato omelie su brani biblici rispondenti a celebrazioni specifiche. Non essendovi ancora la divisione
della Bibbia in capitoli, cosa che avvenne nel 1214 a opera
di Stefano di Langton, Arcivescovo di Canterbury, e in versetti nel 1507 a opera del domenicano Sante Pagnini, a margine del testo venivano segnati l’inizio e la fine del brano
scelto per la celebrazione.(41)
I libri che contenevano gli indici dei testi biblici da proclamare nella liturgia, furono detti «capitolari». L’uso di riportare per esteso i testi biblici in appositi libri avviene nel
secolo VIII. Nascono così i Lezionari, chiamati Evangeliari
se contenevano solo i testi dei quattro Vangeli, Epistolari se
contenevano gli altri testi biblici. C’è da dire che fino alla riforma del Vaticano II, l’uso della Bibbia, nella liturgia, era
molto ridotto.
(41)
A. SORRENTINO, Celebriamo con gioia, Dottrinari, Pellezzano 2004.
80
Fate questo in memoria di me
La riforma del Vaticano II
La riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha operato
una scelta significativa circa la ristrutturazione del Lezionario e in generale dei libri liturgici. In primo luogo si è voluto distinguere il Messale con i testi delle varie preghiere, e
il Lezionario con le letture bibliche. «L’ordinamento delle
letture, così come si trova nel Lezionario del Messale Romano, è stato concepito e predisposto, nell’intenzione stessa del Concilio Vaticano II, a scopo soprattutto pastorale.
Per raggiungere questo scopo, sono stati ripetutamente vagliati e precisati non soltanto i principi sui quali il nuovo ordinamento si basa, ma anche gli elenchi dei testi più sotto
riportati con la collaborazione di un gran numero di esperti in esegesi, liturgia, catechetica e pastorale di ogni parte
del mondo. L’“Ordo lectionum Missae” è il frutto di questo
comune lavoro» (OLM 58).
«In questo lavoro di ristrutturazione si è ritenuto opportuno stendere e predisporre un unico “Ordo lectionum Missae” ampio e ben fornito, che pienamente in linea con le
disposizioni e gli orientamenti del Concilio Vaticano II, tenesse anche presenti, nella sua struttura, gli usi e le richieste
delle Chiese particolari e delle comunità celebranti. Con
questi criteri i responsabili del lavoro di ristrutturazione
hanno curato la salvaguardia della tradizione liturgica del
rito romano, e hanno tenuto in grande considerazione i criteri per tutte le forme di scelta, di distribuzione e di uso pratico delle letture bibliche nelle altre famiglie liturgiche e in
alcune Chiese particolari, adottando le forme già sperimentate e collaudate, ma cercando anche di evitare certi
difetti riscontrati nella forma adottata dalla tradizione precedente» (OLM 59).
Fate questo in memoria di me
81
ORDINAMENTO DELLE LETTURE
Le letture bibliche per la celebrazione dell’Eucaristia, domenicale e feriale, e per gli altri sacramenti sono contenute
nel Lezionario. L’Ordo lectionum Missae (L’Ordinamento delle letture della Messa) è uno strumento quanto mai utile per
capire i criteri e il significato della distribuzione delle varie
letture, nei vari tempi liturgici e nelle varie celebrazioni.
«Data la mole del Lezionario, necessariamente le edizioni consteranno di più volumi; non c’è prescrizione alcuna per la loro divisione. In tutti i volumi, però, si dovranno riportare i testi che
spiegano la struttura e la destinazione di quella determinata parte. Si raccomanda l’antica consuetudine di pubblicare in edizione
separata il volume per i Vangeli e quello per le altre letture dell’Antico e del Nuovo Testamento. È anche opportuna l’edizione separata del Lezionario domenicale – con l’opportuna aggiunta di
eventuali estratti dal Lezionario dei Santi – e di quello feriale. Il
Lezionario domenicale si potrà a sua volta distribuire in altrettante
parti che corrispondano al ciclo triennale e riportino per ogni anno le letture tutte di seguito» (OLM 113).
Con il Lezionario la comunità ecclesiale è messa in grado
di conoscere e di accogliere la Parola di Dio, attraverso un itinerario di fede che, percorrendo tutto l’anno liturgico, offre
l’opportunità di una catechesi puntuale e metodica. Questa attuale distribuzione della Sacra Scrittura nella liturgia rappresenta anche una forma di «catechesi narrativa» di grande valore ecclesiale. È stato l’auspicio del Concilio Vaticano II: «Affinché la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia
in modo che, in un determinato numero di anni, si legga al popolo la
maggior parte della Sacra Scrittura» (SC 51). Per realizzare questo le letture per le domeniche e le feste sono state distribuite
82
Fate questo in memoria di me
nell’arco di tre anni (anno A, anno B, e anno C) e quelle per i
giorni feriali in due anni (anno pari e anno dispari).
Scelta delle letture
Sulla scelta delle letture per la liturgia della Parola nelle
celebrazioni domenicali, le norme danno queste indicazioni:
«Le letture per le domeniche e feste sono state ordinate e
distribuite in base ai criteri seguenti:
1. Ogni Messa presenta tre letture: la prima tratta dall’Antico
Testamento; la seconda dall’Apostolo (cioè o dalle Lettere o dall’Apocalisse, secondo i diversi tempi dell’anno); la terza dal Vangelo. Con questa distribuzione si pone nel debito rilievo l’unità dei
due Testamenti e della storia della salvezza, incentrata in Cristo e
nel suo mistero pasquale.
2. Nelle domeniche e feste si ha una lettura della Sacra Scrittura più abbondante e anche più varia per il fatto che in questi
giorni viene proposto un ciclo triennale in modo che solo ogni tre
anni ritornano i medesimi testi.
3. Le letture delle domeniche e feste sono disposte in base a due
principi: la concordanza tematica e la lettura semicontinua. Nell’applicare questi due principi, si ricorre ora all’uno ora all’altro,
secondo i diversi tempi dell’anno e le caratteristiche particolari di
ogni tempo liturgico» (OLM 66).
La prima edizione del Lezionario risale al 1972 e conteneva
le letture per i tre cicli annuali: A, B, C. Normalmente si leggono i tre Vangeli sinottici: Matteo (anno A), Marco (anno B),
Luca (anno C). Il Vangelo di Giovanni si riserva soprattutto
per il tempo di Quaresima e di Pasqua. La seconda edizione
del Lezionario domenicale e festivo è del 1981 e ha diviso il
precedente volume unico in due tomi: il primo tomo (I/1)
comprende i tempi forti di Avvento, Natale, Quaresima e
Pasqua; il secondo tomo (I/2) racchiude le letture per il tempo ordinario. Con la nuova traduzione dei testi biblici conFate questo in memoria di me
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dotta dalla Conferenza Episcopale Italiana, anche il Lezionario liturgico è uscito in nuova edizione nel 2007: per ora si
presenta in tre libri e ciascuno serve rispettivamente per
l’anno A, per l’anno B, per l’anno C. Ogni volume annuale
raccoglie tutte le letture necessarie per la liturgia della Parola di Dio in ordine cronologico: si parte dalla prima domenica di Avvento e si sviluppa lungo tutto il corso dell’anno
liturgico fino a giungere all’ultima domenica dell’anno liturgico che celebra la festa di Gesù Cristo Re dell’universo.
LA FORMAZIONE DEI LETTORI
L’Ordinamento Generale del Messale Romano, al capitolo III, dove si parla di «Uffici e ministeri nella Messa», a
proposito dei compiti del popolo di Dio, presenta il ministero del lettore: «Il lettore è istituito per proclamare le letture
della Sacra Scrittura, eccetto il Vangelo; può anche proporre le intenzioni della preghiera universale e, in mancanza del salmista,
proclamare il salmo interlezionale. Nella celebrazione eucaristica il
lettore ha un suo ufficio proprio (cf. nn. 194-198), che egli stesso
deve esercitare».(42)
I compiti del lettore vengono specificati ai nn. 194-198
dello stesso Ordinamento ed è opportuno conoscerli per
capire il significato e l’importanza di questo servizio.
Riti iniziali
«194. Nella processione all’altare, in assenza del diacono, il lettore, indossata una veste approvata, può portare l’Evangeliario un
(42)
CEI, ORDINAMENTO GENERALE DEL MESSALE ROMANO, n. 99, terza edizione, Roma 2004.
84
Fate questo in memoria di me
po’ elevato; in tal caso procede davanti al sacerdote; altrimenti, incede con gli altri ministri.
195. Giunto all’altare, fa con gli altri un profondo inchino. Se
porta l’Evangeliario, accede all’altare e ve lo depone. Quindi va ad
occupare il suo posto in presbiterio con gli altri ministri.
Liturgia della Parola
196. Proclama dall’ambone le letture che precedono il Vangelo.
In mancanza del salmista, può anche proclamare il Salmo responsoriale dopo la prima lettura.
197. In assenza del diacono, dopo l’introduzione del sacerdote,
può proporre dall’ambone le intenzioni della preghiera universale.
198. Se all’ingresso o alla comunione non si fa un canto, e se
non vengono recitate dai fedeli le antifone indicate nel Messale, le
può dire il lettore al tempo dovuto (Cf. n. 48,87)».(43)
Attorno alla Parola di Dio vengono svolti molti ministeri.
Il più noto è quello affidato al lettore. Ma prestano servizio
alla Parola anche il salmista, colui che tiene l’omelia, il commentatore, coloro che in qualche modo hanno la funzione di
attestazione che è il ministero proprio di chi fa da testimone,
da garante, da padrino o madrina, di chi è genitore e ha responsabilità precise sul figlio ancora minore, o di chi è catechista, soprattutto nell’Iniziazione Cristiana degli adulti.
«Il lettore è di fondamentale importanza per il ruolo che
svolge e l’ufficio che esercita. Egli presta a Cristo la propria
voce, con la sua lettura e la sua intelligenza del testo, condiziona la stessa comprensione della Parola che proclama.
Momento essenziale della celebrazione, la Parola risuona
nell’assemblea con il timbro, la persuasione e la forza della
voce e della persona che la propone: una riconosciuta testi(43)
Ibidem, nn. 194-198.
Fate questo in memoria di me
85
monianza di vita vissuta la rafforza, la palese contraddizione di una condotta morale l’indebolisce; una proclamazione
attenta, chiara, puntuale, la esalta; una lettura sciatta, affrettata o puerile, la vanifica».(44)
Per questo motivo la Nota pastorale sul rinnovamento liturgico in Italia di oltre venti anni fa, auspicava e caldeggiava che le letture fossero proclamate «da fedeli adulti stabiliti nel Sacramento della Confermazione, adeguatamente preparati e consapevoli che il servizio liturgico è una testimonianza che va
continuata e conformata nella vita di ogni giorno».(45)
Un auspicio che in tanti casi è rimasto lettera morta e che
a distanza di anni è ancora attuale. Infatti la preparazione, la
consapevolezza, la competenza sono aspetti che non si improvvisano e non si acquisiscono in maniera automatica o
per «scienza infusa»; essi richiedono educazione all’ascolto e
familiarità con la parola proclamata. Per questo motivo «L’educazione all’ascolto della lettura biblica inizia già nei gruppi di catechismo, con fanciulli e ragazzi, e continua nell’età
giovanile e adulta, anche in luoghi e momenti extra liturgici.
L’uso della Bibbia in ogni circostanza deve comportare un
modo di leggerla, di creare un’atmosfera attenta e orante
fra gli uditori, di lasciare sempre uno spazio silenzioso di riflessione… in maniera da formare il convincimento che, per
i credenti, è un libro diverso e che lettura e ascolto avvengono nello Spirito ispirante sia gli autori storici sia gli uditori attuali. Soprattutto sarà il lettore a prestare la sua voce a queste
parole che, da scritte, vogliono risuonare attualmente come
segni sonori del dialogo che Dio inizia con il suo popolo».(46)
CONSIGLIO APL (a cura), Celebrare in Spirito e Verità. Sussidio teologico pastorale
per la formazione liturgica, Ed. Liturgiche, Roma 1992, n. 112.
(45)
CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, Nota pastorale: Il rinnovamento liturgico in Italia, 1983, n. 9.
(46)
L. DALLA TORRE, Liturgia della Parola, in Enciclopedia di Pastorale, vol. 3, Ed.
Piemme, Casale Monferrato 1988, p. 166.
(44)
86
Fate questo in memoria di me
La riforma liturgica ha attribuito al lettore una grande
importanza. Paolo VI, con il Motu proprio «Ministeria quaedam» del 1972, nel sopprimerlo come ordine minore, istituisce il lettorato in forma permanente e stabile.(47)
Il lettore, istituito o di fatto, è colui, come è già stato ricordato, che presta la sua voce a Cristo, comunica all’assemblea il messaggio di salvezza e questo implica che l’annuncio sia offerto in maniera da essere compreso. Non basta
saper leggere, ma leggere per gli altri, cioè proclamare, trasmettere, far intendere e capire. «Il lettore allora deve saper
attrarre l’attenzione dell’assemblea non per concentrarla su
di sé, ma sulla Parola, perché in quell’annuncio sacramentale, libero e convinto, avvenga il primo incontro attualizzante della Parola. Attraverso l’efficacia del segno (la proclamazione del lettore) si attua una duplice dinamica: l’assemblea è posta davanti “all’eterno presente di Dio che parla, e
in pari tempo Dio viene calato nel nostro oggi, ricevendone
un volto umano, il nostro volto. In tal modo tutto il peso teologico di quell’eterna Parola… viene relazionato a noi e ricade nell’oggi in cui essa effettivamente ci nutre”».(48)
Ministero del lettore
Al lettore viene chiesta una competenza biblica, simbolica, tecnica, oltre a quella carica interiore che è frutto dello
Spirito Santo. In questo contesto non è da trascurare la preparazione tecnica del lettore perché le letture non vanno
semplicemente lette, come è già stato detto e conviene ribadirlo, ma proclamate. «Proclamare, in senso letterale, è far
conoscere ad alta voce e solennemente… La proclamazione
della Parola non può essere lettura scialba, incerta, scorretPAOLO VI, Motu proprio Ministeria quaedam, in EV/4, Ed. Dehoniane, Bologna
1982, nn. 1749-1770.
(48)
A. MENEGHETTI, in RPL 185 (1994), 4.
(47)
Fate questo in memoria di me
87
ta, senza colore e priva di espressione. Deve essere una lettura non solo conforme alle regole della fonetica grammaticale, ma anche a quelle della fonetica sintattica e dell’interpretazione artistica».(49)
Come si può constatare l’ufficio e il ministero di lettore,
data la sua importanza, richiede una seria preparazione,
esige che si dedichi tempo ed energie. Si tratta di leggere in
pubblico, non un testo qualsiasi ma la Parola di Dio. È necessario ricordare che l’ostacolo maggiore che rende difficile la comprensione delle letture della Bibbia nelle celebrazioni è il modo affrettato e incerto di leggere i testi sacri. Da
qui la necessità che i lettori siano «veramente idonei e preparati con impegno» attraverso un cammino di «formazione biblica, liturgica e tecnica». «Lo scopo di tale formazione
non è certo quello di creare dei professionisti della lettura,
ma di far capire che l’azione liturgica del leggere la Parola
di Dio ha un’importanza fondamentale nell’economia della
celebrazione, poiché è soprattutto da come vengono lette le
letture che dipende se la Parola di Dio giunge al cuore dei
fedeli. È inutile aver ridato alla Parola di Dio un posto importante nella liturgia, se poi non ci impegniamo ad ottenere una buona lettura».(50)
«Il lettore, sentendo la responsabilità dell’ufficio ricevuto,
si adoperi in ogni modo e si valga dei mezzi opportuni per
acquistare ogni giorno più pienamente il soave e vivo amore e la conoscenza della sacra Scrittura, per divenire un più
perfetto discepolo del Signore».(51)
Necessità della formazione
Da tutto questo emerge la necessità e l’utilità di organizzare e di portare avanti corsi di formazione per lettori in
Ibidem Cf. anche G. ESPOSITO, L’arte del dire e del leggere nella liturgia della Parola. Vademecum per i ministri della Liturgia della Parola, Coletti, Roma 1992.
(50)
B. E L. BARBERIS, in RPL 164 (1991), 1.
(51)
Ministeria quaedam, 5.
(49)
88
Fate questo in memoria di me
modo da consentire al maggior numero di persone di prepararsi per svolgere un servizio e un ministero così importante. Sono rare le parrocchie dove non ci siano due o più
lettori. E allora è importante che ci sia un gruppo di lettori
sia per la ripartizione degli incarichi, sia per il coinvolgimento di più persone nei servizi richiesti dalle varie celebrazioni. In questo modo è più facile portare avanti gli incontri formativi, indispensabili per una crescita e una qualificazione personale, come pure per una rinnovata consapevolezza di un servizio ecclesiale.
Da un punto di vista pratico e organizzativo è quanto
mai opportuno che, oltre ovviamente al parroco e ai presbiteri, ci sia un responsabile del gruppo dei lettori. La formazione deve portare ad acquisire alcuni elementi qualificanti.
a) Prima di tutto bisogna ricordare che quello del lettore è
un ministero di fatto e, come tale deve essere vissuto.(52) L’impegno di leggere la Parola di Dio non deve esaurirsi in un
semplice atto da compiersi, ma deve diventare un vero e
proprio ministero che coinvolge l’intera vita di chi lo compie.
Il lettore è l’altoparlante di Dio, il suo inviato affinché la sua
Parola, diventata Scrittura, ridiventi Parola, oggi; è il servitore dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo che si manifesta nel
continuo dialogo testimoniato dalla Scrittura; è colui che fa sì
che Dio parli al suo popolo riunito per ascoltarlo. La presa di
coscienza di questa realtà comporta pertanto l’impegno a
vivere il ministero del lettore con un costante atteggiamento di
servizio nei confronti dell’assemblea: umiltà, disponibilità,
perseveranza, impegno costante, rappresentano le caratteristiche peculiari che ogni lettore dovrebbe possedere.
b) Non si può immaginare un lettore che non conosca la
Bibbia e che non sappia inquadrare e commentare il brano
(52)
Per questi aspetti cf. art. già citato in RPL 164 (1991), 1, pp. 49-52.
Fate questo in memoria di me
89
che ha appena letto. Una preparazione biblica è pertanto indispensabile anche se, ovviamente, deve essere programmata in tempi lunghi e deve comportare sia una lettura
personale, sia un approfondimento attraverso la partecipazione a corsi o gruppi biblici. Ciò che dovrebbe animare
ogni lettore è una vera e propria «fame» della Parola, un
grande amore per le Scritture che lo rendano un annunciatore della Parola in ogni momento della propria vita e
non solo durante il breve tempo dedicato ogni domenica all’esercizio del proprio ruolo.
c) Ma nemmeno si può immaginare un lettore incapace
di trasmettere all’assemblea il messaggio che è chiamato
ad annunciare a causa di una insufficiente conoscenza delle tecniche di lettura. I fedeli che intendono svolgere il ministero di lettore devono rendersi conto che impegnarsi a migliorare il modo di leggere, di usare la propria voce, di interpretare il testo non è un di più, una mania di perfezionismo, ma è indispensabile affinché il messaggio della Parola
giunga alle orecchie, alla mente e al cuore di ogni fedele.
d) Sempre a proposito della preparazione dei lettori è
importante tener presente che la comprensione del testo
da leggere e la sua corretta lettura sono due aspetti complementari che vanno in sintonia. Le due forme di preparazione sono entrambe indispensabili e strettamente connesse, in quanto è assolutamente impossibile leggere bene
un testo che non è stato capito e approfondito ed è del tutto
inutile capire a fondo un testo se poi non si è in grado di
trasmetterne efficacemente il contenuto. Le fasi di preparazione di una lettura che ogni lettore dovrebbe seguire ogni volta
che è chiamato a svolgere il suo ministero sono pertanto tre:
1. essere a conoscenza con congruo anticipo del brano che
dovrà leggere in modo da avere il tempo di prepararsi in
maniera adeguata;
90
Fate questo in memoria di me
2. leggere e studiare il testo per capirne il significato, aiutandosi, eventualmente, con i numerosi sussidi esistenti;
3. studiare il testo dal punto di vista tecnico e provare a
leggerlo alcune volte a voce alta, in modo da verificare il
risultato ottenuto.
Affinché ai lettori sia possibile seguire ogni volta queste
tre fasi di preparazione, è necessario fare di tutto per evitare di dover scegliere i lettori poco prima della celebrazione
(o addirittura a celebrazione già iniziata), il che comporta
necessariamente che, in qualche modo, vengano stabiliti
per ogni Messa dei turni di lettura, o a cadenza settimanale
oppure mensile.
e) Un lettore non può pensare di svolgere bene il suo compito disinteressandosi degli altri aspetti dell’animazione liturgica
della celebrazione eucaristica. Deve pertanto conoscere a fondo la struttura della celebrazione e in particolar modo la liturgia della Parola; deve conoscere la struttura e la caratteristiche dell’anno liturgico; deve saper usare i lezionari e le
ampie possibilità di scegliere letture appropriate, ecc. La preparazione liturgica diventa ancor più importante nel caso in
cui il lettore venga chiamato a svolgere anche incarichi di altro
genere, come il commentatore o il regista della celebrazione.
f) La partecipazione alle attività del gruppo liturgico parrocchiale deve essere un punto fermo del lettore che deve
vedere in esso uno strumento per crescere come animatore
liturgico e un modo per dare il suo apporto alla vita liturgica della parrocchia. Nel caso in cui manchi il gruppo liturgico, deve impegnarsi fattivamente a costituirlo, convinto della sua indispensabilità.(53)
g) Poiché il ministero del lettore non deve mai rischiare
di diventare un privilegio per pochi, il lettore deve impe(53)
Cf. Il rinnovamento liturgico in Italia, n. 9.
Fate questo in memoria di me
91
gnarsi affinché siano sempre più numerosi i cristiani adulti che sentono la chiamata a svolgere questo ministero, a
condizione però che siano «veramente idonei e preparati con
impegno».(54)
Ogni parrocchia dovrà trovare i modi più adatti per individuare nuovi potenziali lettori (dal contatto personale, all’invito fatto durante le celebrazioni, all’incontro nei vari
gruppi, ecc) cercando di interessare soprattutto i giovani,
che, a volte, sottovalutano il servizio del lettore.
h) Il lettore deve poi stare ben attento a evitare i rischi
della ripetitività del proprio servizio che, se non alimentato
e rinforzato periodicamente, può ridursi a una ripetizione
meccanica dell’azione del leggere. Per ridurre il rischio di
un tale appiattimento è opportuno organizzare ad ogni livello (soprattutto diocesano) incontri periodici allo scopo di
far sì che i lettori possano comunicarsi le loro esperienze ed
essere aiutati a superare problemi e difficoltà.
La formazione dei lettori può, ovviamente, assumere
modalità e caratteristiche diverse a seconda delle possibilità e delle opportunità delle diverse diocesi o parrocchie.
Tuttavia il punto irrinunciabile che deve stare alla base di
qualsiasi iniziativa formativa è il principio che nelle nostre
celebrazioni liturgiche la Parola di Dio non deve rischiare
di rimanere lettera morta, ma deve diventare Parola viva,
ascoltata e compresa da tutti. Ma affinché questo possa
realizzarsi, è necessario che il ministero del lettore acquisti,
anzi riacquisti, tutta la sua importanza. Questo comporta
che tutti coloro che vengono chiamati a questo servizio
vengano messi in grado di svolgerlo con la necessaria
competenza.
(54)
OGMR, n. 101.
92
Fate questo in memoria di me
IL MINISTERO LITURGICO DEL LETTORE
Preparare la lettura
Il Concilio Vaticano II ha formulato il desiderio che nelle
celebrazioni liturgiche venga preparata «la mensa della Parola di Dio» con maggiore abbondanza per dischiudere in
questo modo più profondamente la ricchezza della Scrittura.(55) «Infatti nelle letture… Dio parla al suo popolo… e offre un nutrimento spirituale».(56) I cristiani devono lasciarsi
formare «dalla Parola di Dio», così come «si nutrono alla
mensa del corpo del Signore».(57)
Preparazione spirituale
L’esercizio del ministero del lettore esige, prima di qualsiasi altra cosa, una preparazione spirituale. Quando ci si
prepara da soli alla liturgia della Parola bisogna disporre di
un tempo di calma e di riflessione. Con l’anticipo di alcuni
giorni rispetto alla data della celebrazione, è opportuna la
lettura e l’approfondimento dei testi: in questo modo la Parola potrà lasciare una traccia più significativa nell’animo di
chi si dispone ad accoglierla. La riflessione può cominciare
con la lettura del brano di base (Vangelo con versetto di acclamazione) e proseguire con la prima lettura, nei giorni festivi sempre in sintonia tematica col Vangelo, e il suo Salmo.
Si accosterà poi la seconda lettura. Con l’ausilio di strumenti esegetici e teologici, seguirà la riflessione che partendo dai testi giungerà sino alla loro attualizzazione, anche
in vista dell’omelia.(58)
Cf. SC, 51.
OGMR, n. 55.
(57)
Cf. SC, 48.
(58)
G. GENERO, Programmare e svolgere la liturgia della Parola, RPL (1983), 3.
(55)
(56)
Fate questo in memoria di me
93
Preparazione in gruppo
Un procedimento analogo può essere seguito per la preparazione a livello di gruppo. «È bene disporre di tempo e
luogo adeguati a un lavoro ordinato e tranquillo. Si può,
addirittura, vivere la preparazione alla liturgia della Parola
non come un incontro di carattere tecnico o scolastico, ma
come una vera e propria celebrazione, a sua volta segnata
dalla docilità allo Spirito e dall’apertura scambievole alla
voce di Dio. Dopo una introduzione chiarificatrice da parte
di colui che guida la riflessione, si procede all’esplorazione
dei testi. Quindi si apre un dialogo di confronto, di arricchimento e di risonanza di quanto i testi hanno suscitato
nell’animo dei singoli. In questa fase è importante ritornare
sovente ai testi, mantenendo anche una attenzione al dettato letterale che non deve essere mai trascurato.
Se occorre, uno dei presenti annota le conclusioni più
importanti che serviranno per l’omelia, per le intenzioni
della preghiera dei fedeli, per la scelta dei canti, per la individuazione di questo o quel segno caratterizzante, per il
taglio delle munizioni. Infine, si può procedere alla lettura a
voce alta, fatta insieme o singolarmente, e all’affidamento
dei compiti celebrativi per la proclamazione e il canto.
Quando la preparazione sia stata particolarmente efficace e quando si sia compresa la funzione fondamentale della Parola si potrà utilizzare anche la traduzione di essa in
immagini, in disposizione apposita dei luoghi o in cartelli
alle porte della chiesa che ne ricordino a lungo i punti più
significativi. In questa maniera è possibile, ad esempio,
mettere in luce icone, tele, vetrate, ornamenti, statue, simboli di una chiesa. Essi costituiranno gli elementi di una
catechesi biblica della Parola celebrata, molto più eloquenti
della sola proclamazione verbale».(59)
(59)
G. GENERO, op. cit. pp. 17-18
94
Fate questo in memoria di me
L’Introduzione al Lezionario, testo fondamentale da conoscere, afferma: «Perché la Parola di Dio operi davvero nei
cuori ciò che fa risuonare negli orecchi, si richiede l’azione
dello Spirito Santo; sotto la sua ispirazione e con il suo aiuto la Parola di Dio diventa fondamento dell’azione liturgica
e norma e sostegno di tutta la vita. L’azione dello stesso Spirito Santo non solo previene, accompagna e prosegue tutta
l’azione liturgica, ma a ciascuno suggerisce nel cuore tutto
ciò che nella proclamazione della Parola di Dio viene detto
per l’intera assemblea dei fedeli, e mentre rinsalda l’unità di
tutti, favorisce anche la diversità dei carismi e ne valorizza
la molteplice azione».(60)
Preparazione letteraria
Accanto alla preparazione spirituale è necessaria una
preparazione letteraria. Prima di leggere, in pubblico, un testo, bisogna conoscerlo. Se questo vale per qualsiasi intervento, a maggior ragione vale per la lettura e la proclamazione della Sacra Scrittura. Prima di tutto è necessario conoscere la composizione della Bibbia, i vari libri con i rispettivi autori.
Trovandosi davanti a un libro sia dell’Antico che del
Nuovo Testamento, il lettore dovrebbe, almeno approssimativamente, datare l’opera, collocarla nel suo contesto
storico e farsi un’idea sul suo autore. È vero che tutte le
letture sono prese dalla Bibbia, ma questo non vuol dire che
siano tutte dello stesso genere letterario.
La Bibbia, infatti, non è un libro come lo intendiamo noi
oggi, ma una raccolta di libri e ogni libro ha il suo stile, la
sua struttura, il suo genere letterario, qualche volta diversi
nello stesso libro. Come è possibile capire il testo e, soprattutto, come leggerlo se non si sa a che genere appartenga?
(60)
G. GENERO, op. cit. pp. 17-18.
Fate questo in memoria di me
95
Ciascuno di noi è capace di capire che non si può leggere
una poesia, o un brano letterario, un testo, giusto per fare un
esempio, di Dante o di qualsiasi altro autore, come si legge il
Codice della strada o un qualsiasi testo giuridico o tecnico.
Come esempio si possono prendere le Letture della prima Domenica di Avvento dell’anno A:
Prima lettura: (Is 2,1-5): «Ciò che Isaia, figlio di Amoz, vide…». È lirismo profetico.
Il Salmo 121: «Quale gioia quando mi dissero…». È una
poesia che normalmente va cantata.
Seconda lettura (Rom 13,11-14): «Fratelli, è ormai tempo…». È una lettura didattica e dogmatica.
Il Vangelo (Mt 24,37-44): «Gesù disse ai suoi discepoli…». È
l’esortazione di un maestro al piccolo gruppo dei suoi discepoli.
Come si può vedere, il lirico, il quotidiano, il meditativo,
il dottrinale si presentano così nel susseguirsi delle domeniche e anche dei giorni feriali. Ogni testo e ogni genere letterario esige un modo diverso di essere proclamato e al lettore viene richiesto di essere adeguato per questo tipo di lettura. Quello che il lettore proclama non viene da lui e allora
è necessario che scopra che cosa ha voluto dire l’autore e come ha voluto dirlo.
Preparazione tecnica
La preparazione letteraria è premessa indispensabile per
una adeguata preparazione tecnica. Al riguardo mi permetto di fare qualche cenno sulla dizione e sul «proclamare», leggere per gli altri, citando uno studio apparso sulla
Rivista di Pastorale Liturgica, anche se, al riguardo, qualche
passaggio l’ho già riservato.
«È importante una buona dizione? Se per dizione s’intende soprattutto una chiara articolazione delle parole, cre96
Fate questo in memoria di me
diamo proprio di sì. Se si pensa, invece, a certe raffinatezze
necessarie in altri contesti, in teatro, per esempio, non sempre. La Parola è destinata a tutti e può risuonare dignitosamente anche viziata da qualche cadenza che faccia subito
indovinare la provenienza regionale del lettore. Se poi chi
legge è anche in possesso di una chiara pronuncia della
lingua italiana, tanto di guadagnato, ma ciò che intanto ci
sembra irrinunciabile è la comprensibilità.
Il Cardinale Lercaro, di venerata memoria, al quale la
riforma liturgica deve quasi tutto, definiva la liturgia della
Parola, nei primi anni del rinnovamento preconciliare
“scuola dei discepoli di Gesù”. La particolare situazione
della proclamazione della Parola di Dio nella Messa o comunque nelle celebrazioni liturgiche è più vicina a quella di
una scuola, appunto, e quella del lettore a quella del maestro o di quell’allievo che il maestro sceglie affinché legga
per tutti. E la prima caratteristica di chi legge per gli altri è
di mettere gli altri in condizione di capire, ciò che più sopra
abbiamo definito comprensibilità.
Farsi capire
Ma per farsi capire occorre prima aver capito e per far
sentire occorre prima aver sentito. In ogni caso, quindi, anche per un dicitore provetto, laico o prete che sia, si impone
prima una accurata lettura silenziosa, per capire a fondo il
contenuto, per entrare in sintonia. E dopo, ma solo dopo,
subentrano alcuni aspetti tecnici, non trascurabili peraltro: il
volume e la tonalità della voce, l’uso del microfono, le sottolineature, le parole chiave, la punteggiatura vocale, il ritmo, le pause, la respirazione.
Leggere per gli altri significa anche farsi sentire. Chi è incaricato di proclamare la Parola deve essere convinto prima
di tutto di non leggere per sé, che quello non è il momento
Fate questo in memoria di me
97
della personale meditazione. Deve pertanto fisicamente, oltreché psicologicamente disporsi, in modo da sollecitare
l’attenzione dell’uditorio. È difficile dare indicazioni precise
sul volume, perché tutto è commisurato alla possibilità o
meno di servirsi del microfono, da usarsi, ovviamente, soltanto quando lo richiedono le dimensioni del luogo o la
distanza degli ascoltatori. Quando il lettore è preparato a
dovere, non fa alcuna fatica a staccare per qualche attimo lo
sguardo dalla pagina e a dirigerlo verso l’uditorio.
Ciò richiama inconsapevolmente, quasi magneticamente,
l’attenzione verso il lettore e, indirettamente, sui fatti o sulle parole che riferisce. Ma per non perdere il segno occorre
aver letto il brano in anticipo, almeno qualche volta.
Un cenno merita la tonalità. Sempre più spesso capita di
ascoltare brani letti con voce monocorde e cantilenante in
una sorta di triste annuncio di disgrazie. La Scrittura è Parola del Padre, il Vangelo, in particolare, è buona notizia.
Chi legge dovrebbe esserne consapevole e trasmettere questa consapevolezza e questa gioia a tutti i presenti».(61)
(1)
G. GENERO, op. cit. pp. 17-18.
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Fate questo in memoria di me
L’EBBREZZA DELL’EUCARISTIA
NELLA SPIRITUALITÀ
DEI PADRI DELLA CHIESA
di Mons. Pietro Meloni
(II APPENDICE)
Alle origini del cristianesimo l’annunzio della risurrezione
di Gesù suscitava nei credenti un ardente desiderio di essere
accolti nella comunità cristiana attraverso il «Battesimo» per
poter partecipare al banchetto dell’«Eucaristia». La sete di
unirsi a Cristo risorto fece scoprire la necessità di un cammino di preparazione alla «prima comunione» attraverso l’ascolto della «Parola»: poi nella notte di Pasqua gli «illuminati» erano immersi nel «Battesimo di Cristo» e volgevano lo
sguardo alla mensa dell’Eucaristia: «Tu cominciasti a vedere
ciò che prima non vedevi … i tuoi occhi si aprirono … cominciasti a vedere la luce dei sacramenti» (Ambrogio).
Sant’Ambrogio, rivolgendo queste parole ai fedeli della
sua comunità, mostra che nella Chiesa milanese del IV secolo, come nelle altre comunità cristiane, la «candida famiglia dei battezzati» accoglieva il «sacramento celeste» in
un’atmosfera di ringraziamento che nella gioia eucaristica
faceva pregustare «la gioia della risurrezione»: «noi mangiamo il corpo di Cristo per poter essere partecipi della vita
eterna» (Sacr. 3,2,15 e 5, 3, 14; Su Luca 10,49).
L’ebbrezza della gioia era il frutto del «desiderio» col
quale i credenti avevano atteso il convito dell’Eucaristia. Il
vescovo, che li aveva accolti nel Battesimo con l’esortazione
Fate questo in memoria di me
99
a «respirare il profumo della vita eterna» (Mist. 1,3), mostrava loro quel «pane» che «anche gli angeli desiderano vedere»: «Il profeta David vide questo dono nella prefigurazione e lo desiderò ardentemente» (Sacr. 4,2,5-6). Il battezzato è degno di accogliere il dono proprio perché lo ha desiderato: «Tu venivi ardente di desiderio poiché avevi visto
una grazia così grande, venivi ardente di desiderio all’altare per ricevere il sacramento» (4,2,7). «Quando tu lo domandi, il sacerdote ti dice: “Corpus Christi”, e tu dici
“Amen”, che significa: è vero!» (4,5,25).
L’EUCARISTIA «DONO NUZIALE» DI CRISTO
ALLA SUA SPOSA
I credenti vivevano il tempo della preparazione al Battesimo come cammino di scoperta dell’amore. Dio si era
manifestato in Cristo come sposo assetato di abbracciare
l’umanità sua sposa. Il Cantico dei cantici, l’inno dell’amore
sponsale che aveva nutrito negli Israeliti la spiritualità dell’alleanza, creava nei cristiani il senso di viva attesa della
«festa nuziale» della Pasqua. Nella «grande notte» lo sposo
appariva nella comunità per accogliere i fratelli al perdono
battesimale e per innestarli nella vita intima del suo «corpo» risuscitato. La Pasqua di risurrezione era la primavera
della comunità cristiana, così come per il popolo d’Israele
la primavera era stata la Pasqua dell’esodo. Il Cantico dei
cantici, per la sua risonanza nuziale e primaverile, fu adottato dai cristiani nella catechesi battesimale ed eucaristica
che conduceva i credenti a respirare il «profumo della risurrezione».
100
Fate questo in memoria di me
1. San Cirillo di Gerusalemme
Il grande catecheta Cirillo di
Gerusalemme, che ebbe la fortuna di tenere le sue catechesi
nella basilica della risurrezione
edificata a Gerusalemme vicino
al sepolcro di Cristo, voleva che
i battezzandi fossero accolti nella comunità con le parole del
Cantico: «Il profumo della beatitudine investe ormai voi, o illuminati! Già raccogliete i fiori spirituali per intrecciare le
celesti corone; già il profumo dello Spirito Santo alitò su di
voi; già vi trovate nei pressi del vestibolo della casa regale:
chissà che il Re vi introduca in essa! Sono apparsi i fiori
negli alberi: chissà che ne maturi anche il frutto … Si apra
per ciascuno di voi, uomo o donna, la porta del paradiso.
Possiate allora essere lavati dalle acque profumate e apportatrici di Cristo, ricevere il nome di Cristo e la capacità
di compiere azioni divine» (Protocat. 1,1-15).
La «celebrazione delle nozze» con Cristo avveniva nel
«Battesimo» come preludio alla «consumazione delle nozze» nell’«Eucaristia». Il battezzando bramava di entrare
nella stanza nuziale del «battistero» – la cui forma ottagonale rappresentava il cielo – per essere ammesso alla sala regale del «banchetto». La «veste candida» della purificazione
battesimale diveniva «abito nuziale» per la partecipazione
al convito eucaristico. Il «sigillo» era la «croce di Cristo»
segnata con l’olio della gioia sulla fronte per manifestare l’identità del nuovo «consacrato» (christianós).
L’anima diviene un paradiso e si sente degna di «cantare
l’inno nuziale» (Cat. 1,1). Lo sposo le comunica che ella
può ascendere all’altare dove è il pane di Cristo. Le mistiche
Fate questo in memoria di me
101
nozze possono essere consumate poiché il Verbo di Dio
«ha donato ai figli della stanza nuziale la gioia del suo corpo e del suo sangue» (22,2). Il vescovo incoraggia i battezzati a fidarsi di Cristo: «Gesù stesso si è manifestato dicendo
del pane: “Questo è il mio corpo”. Chi avrebbe ora il coraggio di dubitare? Egli stesso l’ha dichiarato dicendo:
“Questo è il mio sangue?”. Chi lo metterebbe in dubbio dicendo che non è il suo sangue?» (22,1).
Il pane e il vino sono frutto della terra. La celebrazione
eucaristica deve ricordarlo attraverso il ringraziamento elevato a Dio per i doni della creazione: «Ci ricordiamo del cielo, della terra, del mare, del sole e della luna, delle stelle, di
tutto il creato» (23,6). Il canto di grazie comincia a riconciliare il cuore degli uomini e li spinge a chiedere a Dio che
mandi il suo Santo Spirito per trasformare le offerte nel
corpo e sangue di Cristo: «Noi, santificati mediante gli inni
spirituali, invochiamo lo Spirito Santo sulle offerte perché
trasformi il pane in corpo di Cristo e il vino in sangue di
Cristo. Ciò che lo Spirito Santo tocca viene santificato e trasformato» (23,7).
Il dono, che è elargito dalla famiglia della Trinità, ha lo
scopo di fare del cristiano una cosa sola con Cristo: «Perché
tu divenga, partecipando al corpo e al sangue di Cristo, un
solo corpo e un solo sangue col Cristo. Sì, noi diventiamo
veramente portatori di Cristo poiché la sua carne e il suo
sangue si diffondono nelle nostre membra» (22,3).
La «mensa» annunziata dal salmo (22,5) è «la mensa mistica e spirituale che Dio ha preparato» (22,7). In essa «ciò
che ti sembra pane non è pane, anche se al gusto è tale, ma
corpo di Cristo, e il vino che sembra vino non è vino, anche
se il gusto l’avverte come tale, ma sangue di Cristo» (22,8).
L’invito alla gioia risuona con le parole del salmo 103,15:
«Fortifica il tuo cuore, prendendo il pane come spirituale, e
102
Fate questo in memoria di me
si rallegri il volto della tua anima» (22,9). Il clima di esultanza è scandito dal «canto» mentre i fedeli ricevono il Sacramento: «ascoltate un cantore che con la melodia divina
vi invita alla comunione dei santi misteri» (23,20).
2. Sant’Ambrogio di Milano
Il Cantico dei cantici nella
liturgia pasquale acquistava
tutto il suo significato sacramentale che svelava l’amore
umano come immagine dell’amore divino: i cristiani
seppero vederlo sia nella spiritualità sponsale dell’epitalamio, sia nelle singole immagini dell’amore. Ambrogio, facendo eco al messaggio della tradizione, dice che
il Cantico «rappresenta le
nozze di Cristo con la Chiesa, dello Spirito con l’umanità, dello Spirito con l’anima» (Sacr. 5,2,8). L’Eucaristia è il
«regalo nuziale» di Cristo alla sua sposa. La comunione è
il «bacio» dell’amore: «Il Signore Gesù … ti invita al convito celeste dicendo: “Mi baci con i baci della sua bocca”… e la tua anima, o l’umanità o la Chiesa … vede il mirabile Sacramento ed esclama: “Mi baci coi baci della sua
bocca!” cioè mi doni Cristo il suo bacio» (Sacr. 5,2,5-7).
L’Eucaristia è il «Sacramento» dell’amore di Dio. È il
corpo di Cristo sulle labbra del battezzato, il quale giunge
alla pienezza dell’amore: «Avviene come di quelli che si
baciano: non si accontentano di gustare la dolcezza delle
labbra, ma sembrano comunicarsi reciprocamente il loro
Fate questo in memoria di me
103
spirito» (ivi) L’anima viene allora inondata della gioia più
grande: «Avvolta dal soave profumo dei suoi unguenti, dice che la gioia della conoscenza divina è più inebriante della letizia di qualsiasi diletto corporeo» (3,9).
L’unione sacramentale si apre all’unione mistica. L’anima
di ogni persona, nella Chiesa, s’inebria del mistero celeste. La
presenza dello sposo che le ha spalancato la gioia della stanza nuziale conduce l’uomo a gustare i «profumi» e il «miele»
di Cristo: nel suo banchetto di delizie «vi sono buone bevande, soavi profumi, dolce miele, frutti scelti, vivande varie»
(Sacr. 5,2,11). L’anima sa che «chi accoglie il corpo di Cristo
non avrà fame in eterno» (5,2,12). Nella «stanza nuziale della
Chiesa», che «è il corpo di Cristo», attraverso il bacio lo sposo le svela il suo mistero: «il tempo della passione, la ferita
del costato, l’effusione del sangue, l’unguento della sepoltura, il mistero della risurrezione» (Sul Salmo 118,1,16).
Nella Veglia Pasquale la Chiesa è in festa perché vede dinanzi all’altare «la famiglia vestita di bianco»; la gioia più
grande è nel vedere che i nuovi battezzati si avvicinano al
convito dell’Eucaristia: «hanno accolto il Sacramento celeste» (Sacr. 5,3,14). Il vescovo unge ogni battezzato affinché
respiri «il profumo della risurrezione» e divenga «stirpe
eletta, sacerdotale, preziosa»: «Tutti infatti veniamo consacrati col dono dello Spirito per formare il regno di Dio e il
suo sacerdozio» (Mist. 6,29,30). Nell’Antico Testamento solo i sacerdoti potevano mangiare il «pane sacerdotale»; nel
Nuovo Testamento «tutti i figli della Chiesa sono sacerdoti»:
«Veniamo unti per un sacerdozio santo offrendo a Dio noi
stessi come vittime spirituali» (Su Luca 5,33).
La comunità è ammessa all’unione perenne con Cristo
sacerdote e in lui respira «la gioia della vita eterna» (Sul
Salmo 118,21,4). La «Chiesa gode per la redenzione dei molti» i quali partecipano alla «mensa» annunziata dal Cantico
104
Fate questo in memoria di me
(Sacr. 5,3,14). È Cristo che dice: «sono disceso nel mio giardino, ho vendemmiato la mirra coi miei unguenti, ho mangiato il mio pane col mio miele, ho bevuto il mio vino col
mio latte» (Ct 5,1) e aggiunge: «Mangiate, fratelli miei, e inebriatevi»: «Ogni volta che bevi, accogli il perdono dei peccati e ti senti inebriato nello spirito. Perciò l’Apostolo dice:
“Non inebriatevi di vino, ma riempitevi dello Spirito” (Ef
5,18). Chi si inebria del vino barcolla e vacilla: chi s’inebria
dello spirito resta stabile in Cristo. È bellissima l’ebbrezza
che costruisce la sobrietà del cuore» (Sacr. 5,3,17).
LA GIOIA EUCARISTICA
COME «EBBREZZA DELLO SPIRITO»
L’«ebbrezza dello spirito» è la gioia dell’uomo immerso
nell’amore di Dio. L’esperienza dell’«estasi» era conosciuta
nell’antichità. Nel mondo greco in ogni tempio d’Apollo
vi erano sacerdoti e sacerdotesse posseduti dal dio, così come nelle boscaglie si radunavano uomini e donne invasati
da Dioniso. La frenesia dionisiaca fu frenata da Apollo, che
accolse Dioniso a Delfi e diede all’invasamento oracolare
una dignità civile. L’estasi denotò alle origini una condizione patologica d’incoscienza, quasi un «uscire fuori di
sé»; in seguito designò uno stato dell’anima che, separandosi dall’esperienza comune, s’immerge e si immedesima
nel mondo soprannaturale divino.
1. L’estasi della verità
Platone vide nell’estasi la gioia spirituale che scaturisce
dalla verità. La verità è donata a chi è «innamorato» fino a
Fate questo in memoria di me
105
sembrare fuori di sé: «i più grandi doni ci provengono proprio da quello stato di delirio donatoci per dono divino»
(Fedro 244 a). L’esaltazione che nasce dall’arte musicale e
poetica, «quando occupa un’anima tenera e pura, la sollecita e la rapisce nei canti in ogni forma di poesia e, celebrando le infinite opere del passato, educa quelli che verranno» (254 a).
Il poeta vola con le «ali dell’anima» e si sente chiamato a
trasportare gli uomini alle altezze della parola divina; ma
proprio «perché si volge al divino è accusato dalla gente di
essere fuori di sé» (249 d). Platone giunge a pensare che anche «gli uomini politici» sono ispirati dagli dei quando
«senza saperlo riescono con successo in molte e grandi cose
mediante l’azione e la parola» (Menone 99 c-d)
Filone d’Alessandria, valorizzando le fonti della poesia e
del pensiero classico per dar voce universale all’incanto suscitato in lui dalla Sacra Scrittura, definì l’estasi profetica
una «ebbrezza sobria e divina». La Parola di Dio è la dolce
melodia che il Signore fa risuonare nella voce dei profeti: «Il
profeta non pronuncia nessuna parola sua propria: tutto è
di altri poiché un altro parla … il profeta, anche quando
sembra parlare, in realtà è in stato di silenzio: un altro si serve dei suoi organi vocali, della bocca e della lingua, per rivelare ciò che vuole e, percuotendoli con arte invisibile e
melodiosa, li fa strumenti sonori, musicali, pieni d’armonia»
(L’erede delle cose divine 259-266).
È il pane della Parola di Dio che inebria l’anima dell’uomo, secondo la visione filoniana. La sete di verità insita in
ogni essere umano può essere saziata. Le Odi di Salomone
ravvivano questa certezza nell’ambiente gnostico: «Un’acqua parlante s’è avvicinata alle mie labbra dalla fonte del Signore, liberamente: io ho bevuto e sono rimasto inebriato
dall’acqua viva che non muore, sicché la mia ebbrezza non
106
Fate questo in memoria di me
divenne perdita della ragione: ho abbandonato la mia vanità e mi sono rivolto verso l’Altissimo, il mio Dio» (11,6-8).
2. L’estasi dell’Eucaristia
I cristiani, immergendosi nell’ascolto inebriante della Parola di Cristo, assaporano anche la nuova estasi spirituale
che nasce dal pane e dal vino dell’Eucaristia, memoriale
della cena del Signore. Clemente Alessandrino, pur evitando intenzionalmente di parlare dell’estasi, che aveva condotto a eccessive esaltazioni alcuni gruppi cristiani, coltiva
questa spiritualità nella luce dell’Eucaristia: «Il Signore ha
chiamato con vocabolo allegorico “calice” il compimento
della sua passione, dicendo che lui solo doveva berlo e
vuotarlo fino in fondo. Così per il Cristo il cibo era fare la
volontà del Padre, mentre per noi fanciulli lo stesso Cristo è
cibo, e noi beviamo il Verbo del cielo … Ancora il Verbo si è
dato il nome di “pane del cielo” … Qui dobbiamo spiegare
il senso mistico del pane; il Signore dice che è la sua carne e
certamente la sua carne risuscitata; come dalla decomposizione e dalla seminagione rinasce il frumento, così dopo la
prova del fuoco si ricostituisce la sua carne per la gioia della Chiesa» (Il Pedagogo I, 6,46,1-3).
3. La visione mistica di Origene
È soprattutto Origene che gode di sviluppare il tema dell’ebbrezza. Egli mostra che il vino della Parola e della vita di Dio genera
l’entusiasmo nel credente, spingendolo a vivere le virtù; ogni cristiano diviene così annunziatore
del dono divino che fonda la comunità. Cristo è «la vite vera» che
produce «il vino che rallegra il
Fate questo in memoria di me
107
cuore dell’uomo» (Gv 15,1 e Sal 103,15). Nel mondo, che è
triste perché non conosce Dio, Cristo annunzia la gioia della salvezza, che è comunione dell’uomo col Verbo di Dio:
«Se il cuore è la parte più alta dell’anima, e se ciò che arreca
allegrezza all’anima è il Verbo ottimo a bersi, quel Verbo che
ci strappa dalle cose umane ci riempie di divino entusiasmo
e di un’ebbrezza non irragionevole ma divina, quella che a
mio parere produsse Giuseppe nei suoi fratelli (Gn 43,34):
allora quella vite che produce “il vino che rallegra il cuore
dell’uomo” è a buon diritto la “vite vera”; ed è vera appunto perché i suoi grappoli contengono la verità e i suoi
tralci sono i discepoli, i quali, a imitazione di lei, producono
anch’essi a loro volta la verità» (Su Giovanni I,30,206).
Il vino della Parola diviene nell’Eucaristia il sangue di
Cristo, che unitamente al suo pane suscita la divina ebrietà:
«È difficile stabilire la differenza che passa tra “pane” e “vite”, dal momento che egli asserisce di essere non soltanto
“vite”, ma anche pane di vita (Gv 6,48). Orbene il pane nutre e di esso si dice che rinforza il cuore dell’uomo, mentre il
vino lo addolcisce, lo rallegra, lo rasserena» (ivi 207-208).
L’esultanza eucaristica non è fuga e neanche estasi vana, ma impegno a mettere in pratica «i precetti morali»
simbolizzati nel «pane di vita»; essi infatti «riempiono di
divino entusiasmo coloro che pongono la loro delizia nel
Signore, fino a desiderare non solamente di nutrirsi ma di
banchettare» (ivi 208). Il pane di Cristo è pane di vita eterna: «La manna infatti, sebbene data da Dio, era un pane
per proseguire il cammino, un pane distribuito a chi ha
ancora bisogno del pedagogo … invece il cibo nuovo tratto dal frumento della terra, mietuto sotto gli auspici e la
mediazione di Gesù nella terra santa, dove altri hanno faticato e i discepoli di lui mietono, era un pane più vivificante di quello, in quanto concesso a coloro che per la loro
108
Fate questo in memoria di me
perfezione sono in grado di ricevere l’eredità del Padre»
(VI, 24,236-237).
II vino della gioia, insieme al pane della vita, è il miracolo più grande operato da Gesù «perché l’elemento principale dei miracoli del Figlio di Dio è la gioia»: «Il Verbo
non manifesta tanto la sua bellezza nel curare i malati …
quanto piuttosto nel rallegrare con la bevanda sobria coloro
che sono sani e, quindi, sono in grado di dedicarsi alla letizia del banchetto» (X, 10, 66).
IL «CANTICO DEI CANTICI»
E LA GIOIA DELLA RISURREZIONE
Il Cantico dei cantici era annunzio di questo evento di
gioia. La sposa, «che ha già visto la stanza nuziale del Re,
desidera ora entrare al banchetto regale e godere del vino
che dà la gioia», esclama Origene interpretando eucaristicamente il Cantico. Agli amici dello sposo la Sapienza aveva
porto l’invito: «Venite, mangiate i miei pani e bevete il vino
che ho mescolato per voi» (Pro 9,5). Gesù fa sue quelle parole: «Questo è il vino vendemmiato dalla vite che dice:
“Io sono la vite vera”, e che il Padre, agricoltore celeste, ha
pigiato. Questo è il vino che produssero i tralci che rimasero in Gesù non solo in terra ma anche in cielo … Nessuno
infatti produce frutto di questo vino se non chi rimane nel
Verbo, nella sapienza, nella verità, nella giustizia, nella pace
e in tutte le virtù. Questo è il vino col quale si inebriano i
giusti e i santi, che lo considerano desiderabile … Il vino
che è prodotto dalla vera vite è sempre nuovo: sempre, infatti, grazie al progresso di coloro che imparano, si rinnova
Fate questo in memoria di me
109
la conoscenza della sapienza e della scienza divina. Perciò
Gesù diceva ai suoi discepoli: “Berrò questo vino nuovo
con voi nel regno del Padre mio” (Mt 26,29)» (Commento al
Cantico III, su Ct 2,4).
1. L’«estasi» in San Gregorio
di Nissa
Gregorio di Nissa sviluppa
più profondamente il tema
dell’«estasi», che è per lui
esperienza soprattutto liturgica. L’Eucaristia fa uscire l’uomo da se stesso per farlo entrare nel corpo di Cristo: il pane dei viaggiatori lo pone in
cammino verso la trascendenza nella quale trova la vera
umanità. Il credente è posseduto da Dio perché il suo spirito si unisce misteriosamente allo Spirito divino. La strada
dell’amore è uscire da se stessi per entrare nell’altro. È perdersi nell’altro per ritrovare la propria personalità. L’estasi è
permanente. Dio solo sazia la sete d’amore dell’uomo. Teologia e psicologia sono all’unisono: l’uomo uscendo da se
stesso s’immerge in Dio e rientrando in se stesso trova Dio
dentro di sé.
Il Verbo di Dio è lo sposo. La voce dello sposo proclama
la «primavera dell’anima», così come la comparsa dei «fiori», la voce della «tortora», i germogli della «vite», annunziano la primavera del cosmo (Ct 2,13)). Cristo «pianta in
noi ciò che è umano dopo aver sradicato ciò che è terrestre».
L’uomo appare come un «germoglio» che «annunzia la dolcezza futura dei frutti»: «La “vite fiorente”, il cui vino ralle110
Fate questo in memoria di me
gra il cuore dell’uomo, riempirà il calice della sapienza: ai
convitati proporrà che attingano liberamente al sublime
annunzio che conduce alla buona e sobria ebbrezza; quell’ebbrezza, dico, nella quale per gli uomini avviene l’estasi
che trasporta dalle realtà materiali a quelle divine. Ora fiorisce la vite e da essa promana un respiro olezzante, dolce e
soave, che si spande verso lo spirito circostante: tu ben conosci lo Spirito che produce questo profumo per i salvati»
(Omelie sul Cantico 5, su Ct 2,13).
Nel «giardino della Chiesa» i credenti sono come «alberi
animati» dai quali «s’effondono gli aromi» del Vangelo. La
sposa offre allo sposo un banchetto e lo sposo la invita al
suo banchetto: «Il giardino è una mensa … noi siamo gli alberi, noi offriamo a Dio il cibo che è la salvezza delle nostre
anime … il nostro frutto è la scelta libera … di offrire l’anima a Dio» (Omelie sul Cantico 10, su Ct 5,1).
Cristo discende nel giardino per offrire alla sposa, in
cambio dei suoi frutti, «pane misto al suo miele»; ancor
più del pane del deserto, in Cristo «ogni genere di nutrimento si trasforma nel sapore desiderato» (Sap 16,21). Anche il sacrificio è desiderabile come un «profumo di mirra».
Il pane di Cristo non è più mescolato alle erbe amare, cioè
alle opere compiute secondo la legge, ma acquista «la dolcezza del miele» e la «purezza del latte» se l’uomo vive liberamente la virtù. «È questo il pane che apparve ai discepoli dopo la risurrezione del Signore» (ivi).
Le parole del Cantico «Mangiate, amici miei, bevete e
inebriatevi!» (Ct 5,1) sono le parole di Gesù nell’istituzione
della cena, che ogni giorno, come il primo giorno, manda in
estasi i commensali: «Ogni ebbrezza fa sì che la mente, vinta dal vino, esca fuori di sé … questo avviene anche per
mezzo di quel cibo e di quella bevanda divina, e sempre avviene per mezzo del cibo e della bevanda in una trasforFate questo in memoria di me
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mazione e un’estasi che conduce dalle cose cattive alle cose
migliori … Se dunque dal vino, che il Signore offre ai suoi
commensali, nasce una siffatta ebrietà, per la quale avviene
per l’anima l’estasi verso le cose più divine, giustamente comanda a coloro che sono divenuti vicini attraverso le virtù,
non a coloro che sono lontani: “Mangiate, amici miei, bevete e inebriatevi!”. Chi infatti mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna» (ivi).
L’ebbrezza dello Spirito Santo è donata da Cristo alla
Chiesa per dare a ogni uomo la forza di «cambiare vita» e
di godere nel mondo finito un bagliore dell’eternità: «Di
tutti questi doni egli fornisce la Chiesa … egli offre una
mensa mistica … la mensa dello Spirito. Inoltre con l’olio
dello Spirito unge il capo e aggiungendo il vino che rallegra
il cuore infonde nello Spirito una giusta allegria trasportando la mente dalle cose sfuggevoli e caduche della terra a
quelle eterne. Chi è preso da siffatta ebbrezza cambia la vita breve con l’eternità e abita per lungo tempo nella casa del
Signore» (Sull’Ascensione).
2. La spiritualità eucaristica di Sant’Ambrogio
Ambrogio è l’erede entusiasta di questa inebriante spiritualità eucaristica. Egli comunica sapientemente la teologia e cura con passione la liturgia, facendo sentire nella
notte pasquale la voce dello sposo fino a far trasalire la
sposa e suscitare in lei la sete di ascoltarlo, vederlo, abbracciarlo. L’anima si sente interpellata dall’amore e decide di rinunciare al mondo per unirsi totalmente al Cristo risorto: «Il giorno della risurrezione è giunto, gli eletti vengono battezzati, vengono all’altare, ricevono il Sacramento, gli assetati bevono a piene vene; giustamente
cantano tutti coloro che sono ristorati dal cibo spirituale e
dalla spirituale bevanda: “dinanzi a me hai preparato
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Fate questo in memoria di me
una mensa, e il tuo calice inebriante quanto è prezioso!”»
(Elia 10,34).
Il vescovo dipinge la processione dei battezzati bianco
vestiti dal battistero all’altare, mentre cantano – col salmo «Il
Signore è il mio pastore» – la gioia della «mensa» e del «calice». Essi gustano la soavità del Signore ed esprimono col
canto l’ebbrezza spirituale dell’Eucaristia, che «riempie lo
spirito di calore e di energia facendo sparire ogni infermità»
(Noè 29,111): «È l’ebbrezza della grazia non dell’ubriachezza.
Essa genera la gioia, non il disorientamento … Che c’è di
più nobile di Cristo, il quale nel banchetto della Chiesa è colui che offre e insieme viene offerto! Avvicinati a questo convito ed entra in intimità con Dio» (Caino e Abele 1,5,10).
La gioia è il segno della nuova vita. Il Sacramento del
nuovo patto «infonde la gioia» e «dona la vita eterna», allontanando il timore antico; questa certezza fa nascere un
invito implorante: «Bevi il Cristo, che è la vite; bevi il Cristo,
che è la roccia la quale fece sprizzare l’acqua; bevi il Cristo,
che è la fonte della vita; bevi il Cristo, che è il fiume il cui
impeto rallegra la città di Dio; bevi il Cristo, che è la pace;
bevi il Cristo, per bere il suo sangue che ti ha redento; bevi
il Cristo per bere le sue parole» (Sul Salmo 1,33).
Gesù ha bevuto il calice della sofferenza, ma ha lasciato all’uomo la libertà di scegliere fra il «calice della morte» e il «calice della vita», fra il bene e il male; morendo, egli ha annientato la morte per essere «calice di vita»: il suo «profumo»
si effonde su tutti gli uomini che accolgono la salvezza: «Cristo col suo sangue ha annientato il calice della morte e ha servito il nuovo calice» affinché noi possiamo dire: «accoglierò il
calice della salvezza» (Sal 115,13) (Sul Salmo 37,17).
L’uomo è chiamato a partecipare alla Pasqua di Cristo
«attraverso le fatiche, le sofferenze, le afflizioni», poiché per
mezzo di esse «si giunge al premio celeste» (Sul Salmo
Fate questo in memoria di me
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118,10,30). Il cammino verso il Battesimo e l’Eucaristia lo
sradica dalla terra per trapiantarlo in cielo, attraverso una
inebriante esperienza dell’infinito: «Vieni al cibo di Cristo,
all’alimento del corpo del Signore, al festino sacramentale, a
quel calice al quale si inebria l’affetto dei fedeli al fine di rivestire la gioia che nasce dal perdono dei peccati e di deporre le preoccupazioni di questo mondo, la paura della
morte e le angosce. Grazie a questa ebbrezza il corpo non
vacilla ma risorge, l’animo non resta confuso ma diviene sacro» (Sul Salmo 118,15,28).
Tutta l’umanità è chiamata alla mensa: «Questo calice
inebriò le genti facendo loro dimenticare il proprio dolore e
l’errore antico. Buona è dunque l’ebbrezza spirituale, che
non fa vacillare il corpo ma sa sollevare i passi del cuore.
Buona è l’ebbrezza del calice di salvezza, che allontana la
tristezza della coscienza colpevole e infonde la gioia della
vita eterna» (ivi 21,4).
Al banchetto nuziale dell’Eucaristia bisogna entrare con
la «veste nuziale», che è soprattutto «la fede e l’amore»
(Su Luca 7,204). «L’unico Cristo è infatti per noi speranza,
fede, amore: speranza nella risurrezione, fede nel Battesimo, amore nel Sacramento» (Le vergini 3,22). Lo sposalizio
è fondato sull’amore, come ha dimostrato Gesù nella sua
vita donando alla sposa il «regalo nuziale» dell’«amore»
(Isacco 3,8).
La Pasqua si rinnova nella comunità attraverso l’accoglienza alla mensa eucaristica dei nuovi battezzati, che si
uniscono a tutti i fedeli per continuare nel «Sacramento celeste» il cammino verso la perfezione dell’amore. L’Eucaristia, Parola che diviene vita, inebria i credenti e li trasporta
dalla tristezza alla gioia: l’esplosione dell’esultanza cristiana
supera ogni gioia passeggera o apparente del mondo e appare inesprimibile. Si rinnova il miracolo della Pentecoste,
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Fate questo in memoria di me
allor quando lo Spirito Santo fece conoscere ai discepoli il
soave sapore della «Parola» e del «pane» di Cristo: mentre
essi comunicavano alla gente l’esperienza inebriante della
piccola comunità, il loro atteggiamento estatico suscitò quello stupore che Pietro dovette diradare dicendo: «Questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate!» (At 2,15).
Le comunità cristiane vivono la stessa esperienza. Il cammino dell’amore, iniziato con l’abbraccio del Battesimo nel
giardino delle nozze, è orientato alla perfezione dell’amore
nell’Eucaristia vissuta nella vita. La sete di verità e di giustizia è saziata dalla «Parola» che diviene «pane e bevanda»
per trasformare il cuore dell’uomo. La Parola fa capire il pane e il pane realizza la parola nell’unione con Cristo, il quale guida l’uomo a costruire la giustizia sulla terra per inaugurare la vita eterna. Colui che riceve il Sacramento diviene
«partecipe della sua divinità» (Sacr. 6,1,4). La Chiesa, generando Cristo nei cuori umani, è sposa che diviene madre:
«Sposata a lui, ripiena del seme del Verbo e dello Spirito di
Dio la Chiesa, ha generato il corpo di Cristo, il popolo cristiano» (Su Luca 3,38).
L’Exultet pasquale si dilata nella storia. Uniti nella stessa famiglia i cristiani cantano al sorgere dell’aurora: laeti bibamus sobriam ebrietatem Spiritus. Nell’Eucaristia ogni credente pregusta la risurrezione: «Tu senti che ogni volta
che si offre il sacrificio, si celebra la morte del Signore, la
risurrezione del Signore, l’ascensione del Signore, il perdono dei peccati … Cristo ogni giorno risorge per te!»
(Sacr. 5,4,25-26).
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INDICE
Presentazione
pag.
3
Introduzione
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RADUNARSI
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IL LUOGO DELL’ASSEMBLEA
L’acqua segno del Battesimo
Il silenzio
La genuflessione
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LE BUONE MANIERE NELL’ASSEMBLEA LITURGICA
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L’ASSEMBLEA, SEGNO PASQUALE
Il giorno del Risorto
Assemblea accogliente
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GLI SPAZI CELEBRATIVI
LA CENTRALITÀ DELL’ALTARE
L’altare sia unico e fisso
L’altare segno di Cristo
Le suppellettili dell’altare
CENNI STORICI SULL’ALTARE
Le tombe dei martiri
Evoluzione dell’altare
La riforma del Vaticano II
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L’AMBONE
Relazione tra ambone e altare
Ambone come spazio celebrativo
Finalità e uso dell’ambone
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LA SEDE DEL PRESIDENTE
La cattedra del vescovo
Ripristino della sede
La sede secondo la riforma del Vaticano II
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LO SPAZIO BATTESIMALE
Spazio adatto e decoroso
I primi battisteri
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LA SEDE DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
La riforma liturgica
Il confessionale spazio da conservare
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LA CUSTODIA EUCARISTICA
Il tabernacolo non deve essere posto nella mensa
Evoluzione storica
Significato del tabernacolo
Trento e Vaticano II
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ALTRI SPAZI
I posti dei fedeli
Il posto del coro e dell’organo
Il programma iconografico
La cappella feriale
L’arredo
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41
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LA CELEBRAZIONE DELL’EUCARISTIA
RITI DI INTRODUZIONE
Il raduno dell’Assemblea
L’ingresso del sacerdote
Il saluto
ATTO PENITENZIALE E COLLETTA
L’atto penitenziale
La benedizione dell’acqua e l’aspersione
L’inno di lode
La colletta
LITURGIA DELLA PAROLA
Cristo presente nella Parola
Le monizioni
LE LETTURE
I CANTI FRA LE LETTURE
Il Salmo responsoriale
Il canto al Vangelo
Il Vangelo
L’omelia
SIMBOLO DI FEDE E PREGHIERA DEI FEDELI
La professione di fede
La preghiera dei fedeli
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LA LITURGIA EUCARISTICA
Preparazione dell’altare
Processione dei doni
Significato dei doni
La preghiera eucaristica
Ringraziamento
Acclamazione
Epiclesi
Racconto dell’istituzione
Anamnesi
Offerta
Preghiera di intercessione
Dossologia finale
RITI DI COMUNIONE
Il Padre nostro
SEGNO DELLA PACE E RITI FINALI
Rito della pace
Frazione del pane
Comunione
Riti finali
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67
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69
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”
71
LA PRESENZA DI CRISTO NELLA PAROLA
Significato della presenza reale
”
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LE LETTURE BIBLICHE NELLA LITURGIA
Culto cristiano e sinagoga
”
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ORIGINE E SIGNIFICATO DEL LEZIONARIO
La riforma del Vaticano II
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ORDINAMENTO DELLE LETTURE
Scelta delle letture
”
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83
LA FORMAZIONE DEI LETTORI
Riti iniziali
Liturgia della Parola
”
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”
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84
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BIBBIA E LITURGIA
(I APPENDICE)
Sacra Scrittura e liturgia
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Ministero del lettore
Necessità della formazione
pag.
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88
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93
93
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96
”
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1. San Cirillo di Gerusalemme
2. Sant’Ambrogio di Milano
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”
”
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LA GIOIA EUCARISTICA
COME «EBBREZZA DELLO SPIRITO»
1. L’estasi della verità
2. L’estasi dell’Eucaristia
3. La visione mistica di Origene
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105
105
107
107
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”
”
109
110
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IL MINISTERO LITURGICO DEL LETTORE
Preparare la lettura
Preparazione spirituale
Preparazione in gruppo
Preparazione letteraria
Preparazione tecnica
L’EBBREZA DELL’EUCARISTIA
NELLA SPIRITUALITÀ DEI PADRI DELLA CHIESA
(II APPENDICE)
L’EUCARISTIA «DONO NUZIALE» DI CRISTO
ALLA SUA SPOSA
IL «CANTITO DEI CANTICI»
E LA GIOIA DELLA RISURREZIONE
1. L’«estasi» in San Gregorio di Nissa
2. La spiritualità eucaristica di Sant’Ambrogio
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