INDICE In ricordo di Falcone e Borsellino. Il giudice Marco Billi nella nostra scuola. p. 1 Rashid. La felicità è … p. 2 Shoah. Ciò che deve rimanere nel passato per non tornare nel presente. p. 4 Magico viaggio nei luoghi manzoniani. p. 6 Duecento anni ma non li dimostro. p. 8 Educazione alla legalità
In ricordo di G. Falcone e P. Borsellino
Il giudice Marco Billi nella nostra
Scuola
Il
rispetto delle leggi, l'importanza delle
regole, il ruolo fondamentale della giustizia, il
senso di cittadinanza e la conoscenza degli
articoli fondamentali della Costituzione
Italiana sono stati i temi principali affrontati
dal giudice Marco Billi, nel tradizionale
incontro di martedì 16 aprile con i ragazzi delle
terze. Insieme con il nostro preside e con il
giudice abbiamo parlato di mafia e del suo
ruolo negativo nella società. Il giudice ci ha
spiegato
di
non
considerarla
solo
un'organizzazione criminale diffusa in Italia e nel mondo, ma di vederla, anche come un modo di
concepire la vita, come un mezzo per soddisfare i propri desideri, andando contro l'interesse della
società e dello Stato. Attraverso la proiezione del video “Io ricordo” abbiamo commemorato le
vittime cadute per mano delle organizzazioni criminali, in particolar modo i due grandi magistrati
siciliani Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro “Cosa
Nostra”.
Tutte le tematiche affrontate hanno catturato l’attenzione dei presenti, personalmente ho avuto
modo di riflettere sul termine “legalità” e posso dire che ora riesco a capire e a comprenderne
pienamente il suo significato. Concordo totalmente con il magistrato quando afferma con forza che
"L'educazione alla legalità incomincia dalla difesa dei valori costituzionali e dalla lotta all’omertà".
Nikolas Oss Cech
Scuola Secondaria 3A
1 Battiti di cuore in Tanzania
RASHID
La felicità è ...
S
iamo in classe, con la professoressa abbiamo appena letto e commentato un brano sullo
sfruttamento minorile e sulla condizione dei bambini in Africa. Ad un tratto non sento più la
voce dell’insegnante, la mia attenzione è catturata dall’immagine che rappresentava un bambino
con solo dei pantaloncini ed una torcia sul capo. All’improvviso mi sono chiesta:” Quale sarà la sua
storia?” E così mi sono ritrovata a pensare, gli ho dato un nome ed ecco la sua storia, una come tante
che fanno riflettere, pensare e sperare in un mondo migliore.
“Sentivo che qualcosa quel giorno sarebbe andato male, ero attento a non cadere, a proseguire con cura
il mio lavoro e allo stesso tempo, ero attento anche per Furaha, per la sua vita. Faceva caldo, troppo
caldo, sentivo le vertigini in testa e il formicolio ai piedi, avevo un nodo alla gola per la troppa fame e
sete, tutto sporco e sudato ero, con solo un misero pantaloncino verde scuro addosso. Sentii un fruscio
dietro di me, un urlo lontano, il rumore di una crepa nel muro, e poi il niente, il vuoto.
Io sono Rashid, o almeno, questo è il nome con cui tutti mi chiamano, sono in Tanzania, non posso dirti
se è un bel posto o no, io conosco solo questo buco
sotterraneo. Non so da dove vengo o di chi sono figlio,
mi ricordo solo che un po’ di tempo fa, sono sceso da
un grande camion insieme ad altri bambini e un signore
con un bastone di legno in mano gridava a tutti di stare
in silenzio. Ci spinsero giù in una specie di tunnel con
dei tralicci di legno, ci lasciarono lì dentro per circa
quattro ore, senza cibo né acqua. Poi un uomo scese e
ci diede due ciotole di argilla con dentro un po' di riso e
dell'acqua. Non conoscevo nessuno, e tutt'ora non
conosco nessuno, non so se ho ancora i genitori, ormai
la mia casa è qui. Sempre se si può definire un tunnel
sotterraneo senza luce e pieno di orrori "una casa". Credo di avere tredici anni, forse anche quattordici,
non lo so con precisione. Sono il più alto tra tutti i miei "compagni", intendo tutti i bambini e i ragazzi
che lavorano con me nella cava. Non mi sono mai visto ad uno specchio, solo una volta mi sono
specchiato in un lago, tanto tempo fa, credo di avere i capelli scuri. Quella volta mi sono visto magro,
molto magro, più o meno come tutti, non ci danno molto cibo qui. Gli ultimi quattro anni della mia vita
li ho passati senza vedere la luce, senza una carezza, un regalo, una casa o una famiglia. Il mio padrone
si chiama Tariq, è un grande uomo sempre vestito con pantaloni neri ed una camicia bianca, non ha dei
pantaloncini verdi come i miei, non ha i capelli, non ha mai la voce cauta, urla sempre, a volte ci
picchia e ci lascia senza cibo per giorni interi. Credo che non abbia neanche un cuore. Però, in
compenso, ho un' amica qui, a volte lei mi dà un po’ del suo riso quando ho troppa fame, cerchiamo di
proteggerci a vicenda. Si chiama Furaha, il suo non è un soprannome come il mio, lei si chiama così sul
serio. Il suo nome significa "felicità" nel nostro dialetto; per noi la 'felicità' è quando qualcuno ti presta
le sue coperte se fa troppo freddo, o quando ti ricuciono i pantaloncini verde scuro, o quando ti fanno
mangiare dalla loro ciotola del riso che avanza. Lei è l'unica amica che ho, e fa tutte queste cose per
me. A volte giochiamo con Babi e Laila; al mattino, quando il padrone ancora non c'è, ci tiriamo un
sassolino e chi lo fa cadere perde e deve dare un po’ di riso a tutti. Nessuno sconta mai la sua
penitenza, perché rimanere senza riso è veramente molto triste, e noi non vogliamo far diventare triste
un amico…. Le mie giornate le trascorro così.
2 Oggi però è andato diversamente. Ci hanno fatto prendere diverse gallerie e si lavorava a gruppi di
quattro, Laila, Babi, Furaha ed io siamo capitati insieme, per fortuna. Ci hanno spinto con violenza su
una parete della galleria ed il padrone ha urlato qualcosa, che io non ho capito bene. Siamo così abituati
alle sue grida e alle percosse tanto da non sentirle più. C'era qualcosa di strano nell'aria, era molto più
umida del solido, le pareti ed il pavimento erano cosparse di crepe. Onestamente non ricordo di aver
guardato il soffitto. Il padrone ha sussurrato qualcosa all'orecchio della guardia e quando si è girato
verso di noi, i suoi occhi grigi erano lucidi, ho avuto la sensazione che stesse per piangere. Il suo
sguardo passava su ognuno di noi, inquieto. Non capivo il motivo, per me era un giorno come un altro.
Non so perché, ma gli ho sorriso, ho sorriso a quei due uomini che mi avevano sempre maltrattato e
picchiato, che mi avevano impedito di avere una vita normale, si crearono delle rughe sulla fronte di
entrambi e dopodiché ci urlarono "Andate avanti! Forza! Muovetevi! “. Trascorsero circa venti minuti
da quel momento, più andavamo avanti a scavare più il caldo aumentava. La mia gola si faceva più
secca del solito e la pancia si stringeva sempre di più. Ad un tratto sentii un grido, una voce straziante
che urlava, che avrei riconosciuto tra mille altre: era Babi. Mi voltai, ma niente, Laila e Babi erano
spariti. Poi una crepa, sul muro destro, pezzi di rocce che si staccavano dal soffitto e poi tutta la galleria
crollò. Caddi a terra, supino. Poi riaprii gli occhi e vidi il mio dorso nudo, pieno di sangue, con un palo
di legno che era crollato sopra di me. Vidi lei, Furaha, accasciata per terra accanto a me con le mani
coperte di sangue, la toccai, cercai di accarezzarle la guancia. Fu quella l'ultima immagine che vidi,
prima che il mio corpo rimanesse immobile e privo di vita insieme a quello di altri tre ragazzi.
La mia storia finisce così, a tredici anni, con dei pantaloncini verde scuro addosso e le mie mani che
tentano una carezza sul volto della 'mia felicità”.
Camilla Sangiovanni
Scuola Secondaria 3A
3 Un orrore, un male inutile
Shoah
Ciò che deve rimanere nel passato per non ritornare nel presente
D
a qualche anno nel nostro paese si dedica il 27 gennaio alla Giornata della Memoria, al ricordo
di una tragedia che sembra tanto lontana, ma che in realtà risale solo a poco più di mezzo
secolo fa: la Shoah. Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche sfondarono i
cancelli di Auschwitz e liberarono i pochi prigionieri rimasti vivi. Per
questo è stata scelta proprio questa data per commemorare la giornata
della memoria. "Shoah" in ebraico significa "annientamento" e indica
perfettamente i crimini commessi contro una parte dell'umanità: la
Comunità Ebraica.
Sabato, 26 gennaio noi alunni delle classi terze dell’ I.C.
“G. Falcone” abbiamo commemorato tutti insieme questa
giornata, abbiamo voluto ricordare per non dimenticare. Noi
ragazzi dobbiamo rompere il silenzio dell’oblio per far sì che tutti
conoscano e che tutti riflettano, perché non possiamo rimanere
indifferenti a quanto è accaduto. L'indifferenza porta ignoranza e
l'ignoranza porta a questi grandi errori. Bisogna essere in grado di
ascoltare e capire per ricordarci sempre che siamo fortunati perché
viviamo in una società che ci permette di essere liberi, di pensare e di scegliere per la nostra vita.
Sabato mattina il Preside ha iniziato la commemorazione facendo leggere ad alcuni ragazzi dei brani di
testimonianza dei sopravvissuti dei Lager; successivamente ha spiegato, in modo molto approfondito, il
significato di questa giornata aiutandosi con delle foto che rappresentavano quanto è accaduto nei
campi di concentramento. Alcune foto raffiguravano gli Ebrei già uccisi e la gente cristiana che li
guardava, chiamata dai tedeschi, per far capire loro, quello che stava accadendo a pochi metri dalle loro
case. Foto che illustravano Ebrei ancora vivi, pronti per entrare in un forno ed essere cremati.
Cumuli di vestiti, scarpe ed occhiali, che testimoniavano quante persone erano state uccise. Bambini
che si arrendevano, con le mani alzate, per paura di essere uccisi.
Le immagini che più ci hanno colpito sono state
quelle degli Ebrei denutriti che sembravano degli
scheletri
viventi.
Le parole della poesia "La notte" di Elie Wiesel,
in cui l’autore scrive che non dimenticherà mai e
poi mai quelle notti al campo, il fumo, le fiamme
e il silenzio, neanche se fosse condannato a
vivere quanto Dio stesso, ci hanno toccato
profondamente. Abbiamo anche letto e
commentato dei brani di Primo Levi tratti da "Se
questo è un uomo" e da "i Sommersi e i Salvati",
in cui racconta e descrive il periodo della sua
vita trascorso nel campo, dalla deportazione al
viaggio, dalla vita nei Lager alle persone che si
sono, miracolosamente, salvate. Dopo il discorso del Preside, abbiamo visto un filmato che trattava del
processo al nazista Eichmann, il paramilitare e funzionario tedesco, considerato uno dei maggiori
4 responsabili operativi dello sterminio degli Ebrei. nella Germania nazista, che organizzava il traffico
ferroviario e che trasportava gli ebrei ai vari campi di concentramento, svoltosi a Gerusalemme nel ’61.
Nel corso del processo sono stati ascoltati 111 testimoni che hanno raccontato ognuno la propria storia
vissuta. Il processo fu molto importante perché molti Ebrei non avevano sentito parlare dei campi di
concentramento, i sopravvissuti non avevano ancora raccontato le loro storie perché il ricordo era
doloroso e molte volte non venivano creduti tanto quell’orrore sembrava inverosimile. Ci ha colpito
molto il fatto che Eichmann cercasse di giustificarsi dicendo che aveva solamente svolto gli ordini
quando era un ufficiale di alto grado, senza assumersi le responsabilità delle proprie azioni.
La giornata è stata molto impegnativa, ma carica di grandi significati, abbiamo compreso che la Shoah
punta il dito sulla mostruosità, sulle atrocità commesse, ma soprattutto giustificate in nome di quella
razza che doveva vincere su tutti, che doveva conquistare il mondo. Quel mondo silenzioso e
indifferente, impaurito e allo stesso tempo vigliacco, incapace di fare valere i propri diritti e quelli degli
uomini sterminati solo per la colpa di essere nati Ebrei. Non possiamo permettere che le generazioni
future vivano ancora una tragedia simile, ma dobbiamo tramandare per non cancellare e non rimanere
nell'apatia. Perché l'indifferenza è uno dei mali peggiori della nostra società. L'Europa di 60 anni fa ha
scelto il silenzio, noi invece dobbiamo parlare. Perché non possiamo negare il passato e pretendere di
costruire un futuro migliore, questa è anche la storia dell'Italia, che anche se orribile, atroce e piena di
male, non possiamo dimenticare. La Shoah è stata un orrore, “un male inutile” che deve rimanere nel
passato per non ritornare nel presente.
Camilla Sangiovanni
Giulia Nardoni
Elena Devoti
Scuola Secondaria 3A
5 Bisogno di tuffarsi nelle atmosfere
Magico viaggio nei
luoghi manzoniani
Voglia di riconoscere personaggi
Era una fredda giornata di marzo, ma frizzante di
entusiasmo, coccolata dalle prime voci mattutine e
travolta da un insolito vento di gioventù. Una tribù di più
di quaranta ragazzi, ancor prima che il gallo cantasse,
partiva alla volta di un viaggio che l’avrebbe, chissà,
affascinata o annoiata, incuriosita o spazientita,
comunque portata nella terra lombarda per una magica
esperienza. Magica, sì, perché tutti sapevamo che questo
viaggio ci avrebbe portato alla scoperta della vita e della
storia del Manzoni e, forse, di noi stessi.
Abbiamo, così, visitato la Certosa di Pavia, accarezzata e
resa ancora più fastosa dai raggi del sole del primo
pomeriggio. È stato, certamente, uno dei luoghi che ci è piaciuto di più per la sua bellezza ed
unicità, per la quiete che evocava lo stile di vita dei monaci.
Quiete che era ormai un lontano ricordo all’ora di cena quando, forse, per l’ingenuo entusiasmo di
dormire insieme e di dimostrare la nostra autonomia, tra uno squillo e l’altro delle chiamate dei
genitori, la serata è diventata piuttosto effervescente.
Ma già la mattina al risveglio, eravamo tutti pronti: ci aspettava Milano, ma anche una copiosa
pioggia che non sembrava intenzionata a cessare. Destreggiandoci con gli ombrelli, nonostante il
vento di tramontana e il tormento delle gocce, siamo arrivati di fronte al Duomo che ci si è
presentato in tutta la sua bellezza di guglie e pinnacoli.
Il Duomo si erge al centro della città, si protende verso l’alto quasi conquistando il cielo e
ipnotizzando i turisti i cui occhi si insinuano tra ogni suo elemento gotico che induce ad elevare
l’anima. La Madonnina domina Milano, cerchiamo di raggiungerla con un dito, ma ci accorgiamo
che sta a metri e metri sopra di noi. Ha un aspetto gentile e vigoroso come se volesse proteggere con
il suo sguardo orgoglioso la sua piccola, grande città.
Poi, passeggiando spensierati tra eleganti e brillanti vie, ecco la Galleria Vittorio Emanuele, il
monumento postunitario più importante della città che con la sua modernità, manifestata nelle
raffinate e appariscenti vetrine e caffè, concilia la tradizione e l’innovazione.
Tra passi lenti e veloci ci imbattiamo nella casa dove il Manzoni trascorse la sua giovinezza traendo
preziosi spunti di ispirazione per il suo romanzo, e anche se la pioggia la sbiadiva un po’, le nostre
menti invece rievocavano tutti i ricordi di quel periodo.
Vagare all’interno della famosa villa, visitare lo studio, la camera da letto e la sala da pranzo, ci ha
dato la possibilità di toccare, di vedere, di respirare il passato e di rivivere gli avvenimenti.
Calpestare il pavimento su cui camminò Manzoni, sfiorare il tavolo su cui compose le sue celebri
opere e accarezzare la carta sulla quale l’autore lasciò la sua firma è stata un’emozione inenarrabile.
Complice l’atmosfera che si respirava che ci ha portati a rivivere alcuni passi del suo romanzo, a
ripercorrere le vicissitudini di Renzo e Lucia, a ricordarne luoghi e fatti senza nessun sforzo di
immaginazione.
6 Oramai avevamo varcato come una magica porta e ci siamo
ritrovati in un angolo di Lecco nel vecchio convento di
Pescarenico dove dimorò il coraggioso e umile fra’ Cristoforo;
nel castello dell’Innominato che, arroccato su una rupe,
domina incontrastato lo splendido paesaggio.
E non poteva essere diversamente perché i paesaggi
manzoniani sono sempre accostati alla spiritualità dei
personaggi, sono per il Manzoni altri protagonisti del suo
romanzo, infatti ogni personaggio della sua storia rivolge
sempre i propri sentimenti alla natura che sembra gli risponda
o lo consigli, lo imbrogli o lo aiuti. Essa, infatti, ne “I
Promessi Sposi, si rivela un’intima compagna per Renzo,
Lucia la considera come una persona cara quando saluta i suoi
monti. E in mezzo alla natura scorre imperturbato il fiume
Adda da cui sembrava gorgogliassero le parole del Manzoni
quando la descrive come una vergine donna, pura, salubre e
fonte di saggezza. La poesia che l’Adda con le sue argentee
acque diffondeva, ci invitava a rivivere il romanzo e a provare
emozioni e sentimenti che solo quella terra di cui Renzo e
Lucia sono i simboli, possano dare.
Così, dopo quattro giorni trascorsi attraverso i luoghi manzoniani, ogni posto visitato ci salutava,
ma riportavamo a casa nel nostro bagaglio qualcosa di molto importante: esperienze ed emozioni.
Francesca Zanobbi
Scuola Secondaria 3D 7 DUECENTO ANNI … MA NON LI DIMOSTRO!
C iao a tutti, ragazzi … sono Giuseppe, Giuseppe Verdi e so che tutti voi, anche chi studia meno, mi conoscete, ma siete sicuri di conoscermi bene? Pensavate tutti che non ci fossi più e invece eccomi qua, a 200 anni appena compiuti, per spiegarvi meglio chi sono. Io so che, ad esempio, c’è qualcosa nella musica di questi tempi che non va … Mi pare si chiami Justin qualcos’altro e, sinceramente, trovo strano il fatto che lui sia molto più famoso di me quando componevo! Questo perché una volta la musica era intesa in modo diverso: In primis, ai miei tempi, la musica era buona!!!Oltre a ciò, quando io componevo, non ci si poteva neanche esprimere in modo libero … Come spero sappiate, in vista dell’esame di terza media, l’Italia ai miei tempi non esisteva ancora e dove vivevo io, a Milano, gli Austriaci 1813-2013
sopprimevano ogni tentato piano o moto di unificazione italiana. Così al Teatro alla Scala, dove io rappresentavo spessissimo i miei melodrammi più famosi, c’erano soldati austriaci che controllavano se nel libretto del melodramma fosse presente qualcosa che non andasse bene, oppure impedivano il “BIS” per evitare che si accendessero delle contestazioni. Ero molto impegnato anche in ambito politico ed ero davvero convinto che unificare l’Italia fosse compito di tutti anche di un musicista! Proprio per questo, attraverso delle metafore, nei miei libretti era presente spesso la voglia di libertà che ci animava tutti … Addirittura attraverso il mio nome si esprimeva la volontà di dare, in seguito, l’Italia in mano al re Vittorio Emanuele … proprio così! Il mio cognome venne, infatti, utilizzato come slogan per beffare la polizia austriaca La gente scriveva sui muri “Viva VERDI.” Che significava “Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia”. E’ stato bello presentarmi per quello che sono stato ai miei tempi ed ora vi devo salutare, ma tranquilli che tra altri cent’anni … Lorenzo Martini Scuola Secondaria 3G 8 
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In ricordo di Falcone e Borsellino. Il giudice Marco Bil