Salome, magnifica Lolita e la danza dei vecchioni - LA... 1 von 1 versione accessibile HOME SERVIZI RICERCA http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/spettacol... METEO DOSSIER MULTIMEDIA RADIO LAVORO LEGALI 11:58 SPETTACOLI Cerca TUTTO AFFARI Giovedì 28/2/8 OPINIONI POLITICA ESTERI CRONACHE COSTUME ECONOMIA TECNOLOGIA CULTURA&SPETTACOLI SPORT ARTE BENESSERE CUCINA MODA MOTORI SCIENZA SCUOLA TEMPO LIBERO PERIODICI 28/2/2008 (7:59) - LIRICA TORINO ULTIMI ARTICOLI Salome, magnifica Lolita e la danza dei vecchioni SPETTACOLI MINISERIE SU RAIUNO L'ultima volta del Maresciallo Proietti CULTURA L'ebreo ingombrante SPETTACOLI LIRICA GIORGIO PESTELLI Salome, magnifica Lolita e la danza dei vecchioni La nota più forte di questa Salome torinese, sicuramente da non perdere, è forse CULTURA PATRIMONIO COMUNE l'interpretazione del soprano tedesco Nicola Cento film per fare gli italiani Beller Carbone: al suo esordio italiano nell'opera di Strauss si è presa dal pubblico del Regio un PUBBLICITA' uragano di applausi, rispondendo a ogni chiamata con serpentinate reverenze in perfetto stile liberty. Strauss, si sa, pensava alla sedicenne sottile e viperina di Wilde, ma la voleva con una voce da Isotta wagneriana: donde lo scoglio della "Salome" di Struss al Teatro Regio di Torino danza «dei sette veli», punto decisivo della vicenda, un tempo aggirato sostituendo pingui cantanti con la controfigura di una ballerina provvista di «physique du rôle». Invece la Beller Carbone fa tutto da sola e lo fa benissimo: voce espressiva, penetrante e all'occasione capricciosa col suo «air enfantin», e grande appello fisico in scena: giovane, bella, e danzatrice flessuosa e affascinante. Lo spettacolo era molto atteso, specie per la regìa in odore di scandalo dell'infaticabile Robert Carsen: con le scene di Radu Boruzescu l'azione si svolge nel sotterraneo di una banca, fra pareti di cassette di sicurezza, mentre ai piani superiori si aggirano fra tavoli da gioco tipi di ogni risma, simboli di una società agli ultimi giorni; a questa corruzione, oltre a Jochanaan, Carsen oppone anche una positività di Salome, la cui attrazione per l'irsuto profeta non è tanto perversione, quanto richiamo di un nuovo mondo che sta sorgendo e affascina la donna come l'ignoto. L'idea non è nuova, ma Carsen la spinge all'estremo con la sua scaltrezza teatrale, l'abilità a muovere i personaggi, l'efficacia delle luci di Manfred Voss e qualche felice trovata che coglie spunti ironici dello stesso Wilde quando rasenta la parodia della materia decadentista. Il suo dovere trasgressivo Carsen lo compie in particolari esteriori: SPAZIO DEL LETTORE BLOG! PUBBLICITA' tutti i blog CATTIVA MAESTRA Salome in tenuta da ginnastica e pedalini, in stile Lolita; lo striptease trasferito agli attempati frequentatori della banca-bisca, una sorta di pazzo capovolgimento della storia di Susanna e i vecchioni. Qualche volta il gusto del regista è inferiore alla sua abilità teatrale, come quando si vede giocare a palla UN LETTORE AL CINEMA con la testa mozzata (c'è già in Atta Troll di Heine, ma con altra leggerezza); ma l'unica cosa che è difficile passargli per buona è quella di far morire Erodiade al posto di Salome: in un'opera che rappresenta la corsa di una perversione al suo precipizio, se alla fine non si vede Salome schiacciata Presidenziali USA 2008 “No you can’t&rd... Straneuropa dagli scudi, dov'è il senso del tutto? Marco Zatterin Effetto Radiohead sul clima Alla guida della direzione musicale Gianandrea Noseda è molto bravo a non lasciarsi intimidire da tanta esuberanza visiva: la partitura di Strauss continua a essere il punto di riferimento di ogni suggestione, Diritto di cronaca Flavia Amabile Con i barboni in corsia con la solennità a largo giro melodico del profeta e la nevrotica irrequietudine del mondo attorno: così Noseda ha condotto l'orchestra del Regio a precisioni e finezze ragguardevoli, frutto evidente di un intenso lavoro di preparazione. Resta da dire che la forza unitaria dello spettacolo, accolto con applausi per tutti, e d'inconsueto calore, si regge ancora sulla scelta perfetta di tutti i personaggi, oltre quello della protagonista: la coppia regale, Peter Bronder e Dagmar Peckova, con lo straordinario realismo delle loro risse odiose, l'autorità di Mark S.Doss quale profeta Jochanaan e l'estatico Narraboth di Jörg Dürmüller; ma in quest'opera i personaggi sono una miriade, e tutti caratterizzati, per cui non possiamo che elogiarli tutti insieme: e qui bisogna ringraziare ancora il regista, che in questa azione di fusione-emulsione ha una delle sue facoltà maestre. «Salome», Torino, Teatro Regio *** Fai di LaStampa la tua homepage P.I.00486620016 Copyright 2008 Per la pubblicità Scrivi alla redazione Credits & partners Aiuto 28.02.2008 11:58 gdm - recensioni on line 1 von 2 http://www.giornaledellamusica.it/rol/scheda.php?id=2301 Sidebar_dx banner "Salome" al cabaret IL NUMERO IN EDICOLA Salome dramma musicale in un atto di Richard Strauss Libretto di dal dramma omonimo di Oscar Wilde tradotto da Hedwig Lachmann Prima rappresentazione: Dresda, Hofoper 9 dicembre 1905 Edizione Fürstner/Schott, Mainz RECENSIONI ON LINE ON LINE REVIEWS NEWS ANDAR PER SITI UN WEEK-END AL MESE Teatro Regio piazza Castello 215 Torino 0118815241 29 febbraio 2008 PREMIATI: LE INTERVISTE CONCORSI MP3 E DOWNLOADS ANNUNCI ECONOMICI LETTERE APERTE APPROFONDIMENTI TESI DI LAUREA DOCUMENTAZIONE DIREZIONE E REDAZIONE IL GDM IN EUROPA REGISTRAZIONE Nicola Beller Carbone è una Salome bella, sa recitare molto bene l'idea di lolita preparata per lei dal regista Robert Carsen, e quando deve danzare la danza terribile, il coreografo Philippe Giraudeau le fa fare poche falcate da vamp scatena feromoni, soprattutto le fa spalancare le gambe, e mostrare le belle cosce su tacchi alti di scarpissime dorate: questo climax di un regia ambientata dallo scenografo Radu Boruzescu nell'immenso ma claustrofobico smagliante caveau di un casinò (geniale che la cisterna del prestante Jochanaan di Mark Doss sia la super cassaforte!) inventa intorno al magistrale Erode di Peter Bronder (nanetto maniaco sessuale che riprende la danza clou con la videocamera che proietta sul video-wall dettagli sexy della sbavata figliastra) e alla pacchiana megera Erodiade di Dagmar Peckova un drappello di vecchiacci e osceni travestiti che trasforma il capolavoro fulminante di Richard Strauss in una fenomenale anticipazione dell'espressionismo cabarettistico di Kurt Weill o Alban Berg: è Gianandrea Noseda, molto brillante a guidare una molto buona Orchestra del Teatro Regio di Torino, ad aver scovato in partitura ogni corrispondenza con la visione intelligente di Carsen? Com'è e come non è, quando un capolavoro del repertorio te lo trovi scuoiato e palpitante come cosa contemporanea, si è di fronte a quanto di meglio si può chiedere al teatro d'opera oggi. Anche se il regista mette nudi alla danza sei laidi cortigiani, si permette infine di lasciare andar via in sottoveste nel deserto la impazzita Lolita sbaciucchiante il decapitato capo, fa ammazzare da Erode l'ex cognata madre della figliastra, pazienza, perché in fondo ci mette anche un po' di Pasolini e Eschilo. RICERCA ARTICOLI Daniele Martino SOMMARIO ARRETRATI ABBONAMENTI Commenti LISTINO PUBBLICITARIO Nessun commento. Inserisci un commento E-mail: Password: Commento: Inserisci il commento 03.03.2008 22:19 gdm - recensioni on line 2 von 2 http://www.giornaledellamusica.it/rol/scheda.php?id=2301 Per inserire un commento devi essere registrato. Clicca qui per effettuare la registrazione. 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EvolutionTravel.it/Lavorare_On_line Commenti - Annunci Google © 1985-2008 il giornale della musica - via Pianezza 17, Torino - Partita IVA 01574730014 03.03.2008 22:19 Salome, magnifica Lolita e la danza dei vecchioni GIORGIO PESTELLI La nota più forte di questa Salome torinese, sicuramente da non perdere, è forse l'interpretazione del soprano tedesco Nicola Beller Carbone: al suo esordio italiano nell'opera di Strauss si è presa dal pubblico del Regio un uragano di applausi, rispondendo a ogni chiamata con serpentinate reverenze in perfetto stile liberty. Strauss, si sa, pensava alla sedicenne sottile e viperina di Wilde, ma la "Salome" di Struss al Teatro Regio di Torino voleva con una voce da Isotta wagneriana: donde lo scoglio della danza «dei sette veli», punto decisivo della vicenda, un tempo aggirato sostituendo pingui cantanti con la controfigura di una ballerina provvista di «physique du rôle». Invece la Beller Carbone fa tutto da sola e lo fa benissimo: voce espressiva, penetrante e all'occasione capricciosa col suo «air enfantin», e grande appello fisico in scena: giovane, bella, e danzatrice flessuosa e affascinante. Lo spettacolo era molto atteso, specie per la regìa in odore di scandalo dell'infaticabile Robert Carsen: con le scene di Radu Boruzescu l'azione si svolge nel sotterraneo di una banca, fra pareti di cassette di sicurezza, mentre ai piani superiori si aggirano fra tavoli da gioco tipi di ogni risma, simboli di una società agli ultimi giorni; a questa corruzione, oltre a Jochanaan, Carsen oppone anche una positività di Salome, la cui attrazione per l'irsuto profeta non è tanto perversione, quanto richiamo di un nuovo mondo che sta sorgendo e affascina la donna come l'ignoto. L'idea non è nuova, ma Carsen la spinge all'estremo con la sua scaltrezza teatrale, l'abilità a muovere i personaggi, l'efficacia delle luci di Manfred Voss e qualche felice trovata che coglie spunti ironici dello stesso Wilde quando rasenta la parodia della materia decadentista. Il suo dovere trasgressivo Carsen lo compie in particolari esteriori: Salome in tenuta da ginnastica e pedalini, in stile Lolita; lo striptease trasferito agli attempati frequentatori della banca-bisca, una sorta di pazzo capovolgimento della storia di Susanna e i vecchioni. Qualche volta il gusto del regista è inferiore alla sua abilità teatrale, come quando si vede giocare a palla con la testa mozzata (c'è già in Atta Troll di Heine, ma con altra leggerezza); ma l'unica cosa che è difficile passargli per buona è quella di far morire Erodiade al posto di Salome: in un'opera che rappresenta la corsa di una perversione al suo precipizio, se alla fine non si vede Salome schiacciata dagli scudi, dov'è il senso del tutto? Alla guida della direzione musicale Gianandrea Noseda è molto bravo a non lasciarsi intimidire da tanta esuberanza visiva: la partitura di Strauss continua a essere il punto di riferimento di ogni suggestione, con la solennità a largo giro melodico del profeta e la nevrotica irrequietudine del mondo attorno: così Noseda ha condotto l'orchestra del Regio a precisioni e finezze ragguardevoli, frutto evidente di un intenso lavoro di preparazione. Resta da dire che la forza unitaria dello spettacolo, accolto con applausi per tutti, e d'inconsueto calore, si regge ancora sulla scelta perfetta di tutti i personaggi, oltre quello della protagonista: la coppia regale, Peter Bronder e Dagmar Peckova, con lo straordinario realismo delle loro risse odiose, l'autorità di Mark S.Doss quale profeta Jochanaan e l'estatico Narraboth di Jörg Dürmüller; ma in quest'opera i personaggi sono una miriade, e tutti caratterizzati, per cui non possiamo che elogiarli tutti insieme: e qui bisogna ringraziare ancora il regista, che in questa azione di fusione-emulsione ha una delle sue facoltà maestre. «Salome», Torino, Teatro Regio Richard Strauss Torino - Teatro Regio: Salome La recensione Nel dicembre 1906 Torino e Milano si contesero la première italiana della Salome: il 22 a dirigere i complessi del Regio c’era Richard Strauss in persona, ma Arturo Toscanini aprì al pubblico la prova generale del giorno prima alla Scala… e così l’arabesco liberty del clarinetto con il quale principia l’opera risuonò per la prima volta all’ombra della Madonnina. Altri tempi: un avvenimento musicale aveva grande risonanza “mediatica”! Oggi sappiamo invece come stanno, mestamente, andando le cose… La nuovissima Salome torinese rappresenta la punta di diamante della stagione del Teatro Regio: la presenza contemporanea del direttore musicale Gianandrea Noseda sul podio e di Robert Carsen in cabina di regia sembrerebbe sulla carta una garanzia. Torno quindi senza indugio a quelle otto biscrome che aprono il primo capolavoro operistico straussiano. “Wie schön ist die Prinzessin Salome heute nacht!” canta Narraboth, con la voce chiara e squillante di Jörg Dürmüller e il paggio di inconsueta presenza scenica e vocalmente sicuro di Manuela Custer risponde “Sieh die Mondscheibe, wie sie seltsam aussieht”. CHOC! Ci troviamo presumibilmente a Las Vegas, nel caveau di una casa da gioco. Narraboth, il capo delle guardie del corpo, sta esaminando il grande monitor sul quale vengono trasmesse le immagini delle telecamere a circuito chiuso connesse ai piani superiori dove tra tavoli verdi, mazzi di carte e roulettes gli invitati si dilettano nel gioco d’azzardo. Siamo nel Casinò gestito da Erode e consorte! Salome la vediamo inquadrata di tanto in tanto sullo schermo: pare svogliata, indifferente, avulsa dal clima festaiolo che accompagna la brigata dei debosciati, assorta. Quando scenderà nel caveau di lì a poco per cercare “aria più respirabile” (“Hier kann ich atmen”), in un ambiente non propriamente luminoso e “areato” ma anzi lucidamente metallico, opprimente, con le pareti completamente rivestite da cassette di sicurezza e sulla destra una grande cassaforte aperta piantonata dagli scagnozzi del patrigno (dinamiche e funzionali le scene di Radu Boruzescu), intenderemo che disagio e malessere sono intimi, interiori: ella non appartiene a “quel” mondo, un mondo corrotto, vacuo, un mondo che le ha anche sottratto il padre. Salome si presenta in maglietta nera, fuseaux neri a tre quarti e anfibi. Una ribelle di oggi! Possiamo così cogliere anche esteriormente il conflitto profondo che rode il suo animo. Nicola Beller Carbone inizia con dedizione una prestazione che non sarà mai al risparmio, e la notevole presenza scenica –la fragilità, l’ insicurezza di Salome ma anche la sua caparbietà, la cocciutaggine, i sentimenti di ritorsione e rivalsa vengono esaltati dalla sua performance- compensa ampiamente qualche lieve insicurezza nel registro più acuto. Il soprano tedesco, in questo che è il suo debutto italiano assoluto, si impone subito per intensità, incisività e temperamento. Davvero una lieta sorpresa! La voce di Jochanaan proviene dall’interno del grande oblò, dalle profondità inaccessibili del forziere, uno spazio misterioso, forse sconosciuto alla stessa Salome a giudicare dallo sguardo indagatore verso il monitor sul quale viene ingrandita l’immagine verdastra di un luogo impenetrabile e decisamente angosciante. “Jauchze nicht, du Land Palästina” minaccia il profeta con la voce stentorea e indubbiamente carismatica di Mark Doss. Salome ha un sussulto che sembra risvegliarla dalla persistente apatia. Finalmente qualcuno osa affermare cose nuove, cose che nessuno aveva mai osato affermare prima; finalmente Salome ha qualcosa di importante da ascoltare; finalmente qualcuno dice ciò che ella avrebbe da tempo voluto sentirsi dire. E Salome è talmente “presa” dalla voce di Jochanaan da mitizzarne, da aureolarne la sua apparizione. La cassaforte ora si apre completamente per permettere l’uscita del profeta. Le luci radenti magistralmente manovrate da Manfred Voss e la suspence creata senza effettismi o ridondanze da Gianandrea Noseda ci preparano al colpo di scena. La cassaforte si spalanca, ma Jochanaan comparirà sullo sfondo della scena, nel frattempo dischiusasi, fra dune desertiche sotto un cielo terso. Stiamo vedendo con gli occhi di Salome! Una Salome sempre più affascinata, conquistata, sedotta. Lo desidera, lo brama, lo vuole, cerca di toccarlo, lei ragazzina viziata che ha sempre avuto tutto. Eppure questa volta deve fare i conti con un’entità superiore, una forza imperscrutabile che la attrae irresistibilmente. “Der in der Wüste und in den Häusern der Könige gekündet hat”: il motivo delle quarte discendenti in orchestra è un cumulo di tensione e Noseda è bravo a restituircelo affilato come una lama di coltello. Un terribile anatema, un’apocalisse si abbatte sull’uditorio. Saltiamo dalla sedia! Nicola Beller Carbone ha una voce timbricamente suadente, non voluminosissima - Noseda si è accollato il difficilissimo compito di alleggerire la possente e densissima trama sinfonica, mai peraltro rischiando di venir meno in quanto a tensione interna e chiarezza- e riesce sempre a trovare un accento appassionato, fraseggio interessante, e poi l’intonazione è perfetta (sentire, a metà circa della terza scena, l’invocazione “Jochanaan” cantata sul terribile intervallo di undicesima diminuita discendente); con il prosieguo della recita anche il registro acuto acquista sicurezza. Quando Jochanaan torna nella sua buia prigione - Doss è commosso e anche discretamente morbido in “Er ist in einem Nachem auf dem See von Galiläa” mentre descrive la predicazione del Figlio dell’Uomo in Galilea- Salome prima lo segue con lo sguardo stranito poi striscia come un rettile curioso ed impaurito fino al gradino che immette nella grande cassaforte. Momento di grande emozione e suggestione! Durante il secondo intermezzo orchestrale l’Orchestra del Teatro Regio (al gran completo con quasi cento elementi in buca) è guidata da Noseda con virtuosismo in un procedere dal ritmo incalzante, ma comunque sempre ben definito. L’idea che Robert Carsen persegue con lucidità e rigore maniacale, determinata da un’indagine psicologica finissima e capillare, non senza una certa dose di ironia (i mille particolari potranno essere apprezzati soltanto vedendo lo spettacolo dal vivo) è ormai chiara: Erode ed Erodiade sono due plutocrati, corrotti e viziosi, circondati da un codazzo di depravati che vivacchiano senza scopo se non quello di aumentare il capitale. L’entrata in scena di Erode e della sua disgustosa compagnia resta paradigmatica, tutti agghindati (efficaci e curatissimi i costumi di Miruna Boruzescu) con abiti dai colori sgargianti in abbinamenti improbabili lussuosamente argentato quello del Tetrarca, un istrionico e svettante Peter Bronder, viscido, ambiguo e pusillanime, dalla voce ferma e sonora, mentre la sua signora, una Dagmar Peckova con qualche disomogeneità timbrica ma comunque straordinariamente a suo agio nella parte, era in abito lungo dorato tutto lustrini e paillettespreceduti dalla servitù acconciata un po’ all’egiziana e un po’ in stile “antica Roma”, seni al vento e petti virili palestrati, servitù che in un battibaleno trasforma il vuoto e freddo caveau in un inquietante salone delle feste con sedie, poltrone, tavolini di gusto decisamente kitsch. Ma mai come in questo caso il kitsch è parso così appropriato! Salome accucciata sul bancone all’estrema sinistra del palcoscenico, testa bassa, un po’ imbronciata, assente, non vuole farsi coinvolgere da questo mondo di cartapesta. Lo rinnega. Toccante il momento in cui Salome in piedi e di spalle fissa la luna virtuale proiettata sullo schermo, quasi un soffio di natura, un anelito di libertà in quel mondo claustrofobico di morti viventi. E nella “Danza dei sette veli” vediamo come la sempre più strafottente e trasgressiva figlia di Erodiade, abbigliata provocatoriamente come l’odiata madre -stesso vestito e stessa parrucca- saprà tirare le fila di quella che diventerà a breve una vera e propria orgia del voyeurismo più dissoluto. Erode infatti si eccita non tanto perché sta assistendo ad un “normale” spettacolo di strip-tease, ma la sua esaltazione sessuale si accende quando inizierà a riprendere con la videocamera ciò che si sta svolgendo sotto ai suoi occhi e cioè Salome che gioca duro provocando sette vecchi depravati (che alla fine rimarranno “loro” completamente nudi). A suggellare il tutto ecco, sull’accordo di la minore che chiude la Danza, il dissacrante bacio stampato dalla figlia sulle labbra della madre, un’Erodiade sempre più sbalordita e disorientata! Da vedere! Davvero geniale la coreografia curata da Philippe Giraudeau! Noseda ci mette del suo per rendere credibile la narrazione nel nuovo contesto drammatico, sottolineando alcuni passaggi e stringendo in altri -come ad esempio l’inizio della Danza eseguito quasi meccanicamente, quasi fosse musica da film muto, a commento dell’esilarante scena in cui gli ospiti cercano sgomitando di prendere i posti migliori per assistere allo spettacolo hard. E il voyeurismo continuerà - siamo o non siamo nella società dominata dal Grande Fratello? anche nel momento della decapitazione del Battista con il gruppo degli invitati al completo che si trasferirà con un che di automatico, come fosse la cosa più normale di questo mondo, nella zona più segreta del caveau oltrepassando l’oblò della cassaforte, dopo aver sfondato il cordone di sicurezza delle guardie. E proprio perché tutto si deve “vedere” altrimenti non esiste, non è reale, Carsen non rinuncia a mostrarci la testa mozzata di Jochanaan. La tiene una donna, simbolo atavico del peccato, rappresentante in questo caso del gruppo degli ospiti che ormai sembrano essersi compattati in un corpo unico, una specie di mostro strisciante, feroce e brutale, e la esibisce crudamente ad una sempre più smarrita Salome. Robert Carsen parteggia per la giovane, infantile e incolpevole. Sì, Salome NON COLPEVOLE! La sua folle richiesta pare situarsi a metà strada tra la sfida generazionale (ma non dimentichiamo che Erode ed Erodiade si sono anche macchiati del ferale delitto per sbarazzarsi di suo padre) ed un innocente gioco puerile. Non c’è traccia di perversione alcuna. E quando la giovane si troverà la testa del Profeta fra le mani si accorgerà troppo tardi, come succede spesso ai bimbi, che il giocattolo si è irrimediabilmente rotto! Il lungo monologo finale di Salome è un banco di prova irto di difficoltà per la protagonista. Nicola Beller Carbone termina in crescendo la sua ottima prestazione. La voce, penetrante, corre con naturalezza, pare ben appoggiata ed è omogenea nei complicati passaggi di registro che costellano questa pagina: si va nel giro di poco dal Si b sopra il rigo al Sol b sotto. Dopo il fatidico bacio Salome esce di scena con la testa di Jochanaan sollevata sulla propria, esce sullo sfondo che si apre lentamente per accoglierla fra le dune sabbiose e il cielo terso del suo subconscio, in una sorta di assoluzione-redenzione finale. Una catarsi! E quando Erode urla il suo ultimo “Man töte dieses Weib!” gli astanti, dopo un attimo di smarrimento, si dirigono minacciosi su una esterrefatta Erodiade, vera anima nera della vicenda. Parti di fianco eccellenti con una menzione particolare per il primo Nazzareno commosso e molto musicale di Roberto Abbondanza e il primo soldato di bella presenza timbrica di Vladimir Baykov. Questa Salome è destinata a lasciare il segno, ma proprio per questo anche a dividere. Complimenti dunque ad un teatro “italiano” che ha avuto il coraggio di credere in un’operazione che certamente qui da noi trova ancora il pubblico un po’ impreparato. Peraltro qui al Teatro Regio di Torino si è trattato di un trionfo! Un’ultima riflessione: questa è la prima volta che Carsen monta un suo nuovo allestimento in Italia e Robert Carsen è unanimemente considerato dalla critica mondiale un “numero uno”… Massimo Viazzo