Notiziario settimanale n. 473 del 14/03/2014
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Questa versione stampabile del notiziario settimanale contiene, in forma integrale, gli articoli più significativi pubblicati nella
versione on-line, che è consultabile sul sito dell'Accademia Apuana della Pace
21/03/2014: Giornata in ricordo delle vittime delle mafie.
22/03/2014: Giornata mondiale dell'acqua
Per molti, Mario Lodi è e resterà sempre Cipì. Per le tante bambine e
bambini, di ieri e di oggi, che sono cresciuti con le gesta del passerotto
curioso, protagonista del libro.
Per tutti, Mario Lodi era il Maestro all’altezza dei bambini. Il Maestro
che parte dai saperi e dalle curiosità dei propri scolari per dare
continuità alla conoscenza che ciascuno possiede come patrimonio
personale e che arricchisce la scuola, facendola divenire espressione di
chi la abita.
Mario Lodi era il Maestro capace di ergersi alla statura dei più piccoli,
affinché diventassero insieme una comunità di “cittadini responsabili”,
primi fautori e dimoranti della Costituzione. Un testo, quello della Carta,
che la scuola non doveva (deve) insegnare ma vivere, garantendo il diritto
alla parola e all’essere ascoltati, all’uguaglianza e scrivendo, con i
cittadini bambini, le regole per una convivenza democratica. Quella che
oggi tanto si acclama… la partecipazione dal basso.
Ed è stata proprio questa, la raccomandazione che, domenica scorsa, ha
lasciato alle sue figlie, e ai suoi collaboratori (tanti, più di quanti si possa
immaginare) della Casa delle arti e del Gioco. “Andate avanti”… Un
monito che racchiude un’eredità quanto mai necessaria da tramandare.
Redazione newsletter Combonifem (06/03/2014)
Indice generale
sfornato una marea di articoli per manifestare la loro solidarietà agli
omosessuali russi perseguitati. Il numero di questi articoli ha sfiorato il
ridicolo: in soli due giorni ho contato almeno dieci inviati di vari giornali
del mondo nello stesso bar gay di Soci, il Mayak. In un bar gay perfino un
solo giornalista deve fare un bello sforzo per non dare nell’occhio, perciò i
poveri russi che sono andati lì venerdì 7 e sabato 8 febbraio per bere un
bicchiere in pace e flirtare un po’ devono essersi sentiti come animali allo
zoo.
Ma anche se hanno condannato all’unanimità l’ omofobia di stato russa, i
giornalisti dei paesi occidentali si sono guardati bene dal raccontare quello
che succede più vicino a noi. L’Istituto canadese per la diversità e
l’inclusione ha postato su YouTube un breve video sfacciatamente erotico
che ha come protagonisti due uomini e si conclude con la frase “Le
Olimpiadi sono sempre state un po’ gay”. La polizia di frontiera canadese,
però, non si è dimostrata altrettanto tollerante. La settimana scorsa l’attrice
inglese transgender Avery Edison, che era andata a Toronto a trovare la
sua compagna, è stata fermata all’aeroporto perché aveva superato il
periodo di soggiorno previsto dal visto di studio che le era stato rilasciato
in precedenza. E dopo ore di domande ossessive è stata spedita in un
carcere maschile.
In un tweet spedito dall’aeroporto mentre stavano per portarla via, Edison
ha scritto di essere stata trattata in modo “deplorevole”. Viaggiare senza i
documenti in ordine non è un reato. E lei non aveva nessuna intenzione di
emigrare in Canada. Ma se l’avessero lasciata passare tranquillamente ci
sarebbe stato il rischio di vedere da qualche parte due lesbiche che si
baciavano.
L’omofobia non c’è solo in Russia (di Laurie Penny)................................ 1
Perché le banche non fanno il loro mestiere (di Thomas Fazi)...................2
Il traffico di esseri umani è una holding miliardaria (di Redazione Popoli Webmagazine internazionale dei gesuiti)................................................... 2
Lettera aperta alle ministre Pinotti e Mogherini (di Giorgio Beretta) .........3
La lotta nonviolenta: l’equivalente morale della guerra (di Giorgio
Barazza)..................................................................................................... 4
La parola partecipazione svuotata dalla politica (di Gino Buratti) ..............5
Spending review (di Maria G. Di Rienzo).................................................. 6
Corsi, concorsi e scatole rosa (di Maria G. Di Rienzo).............................. 6
8 marzo: le donne nella Resistenza (di Onorina Brambilla Pesce)............7
Siamo proprio sicure? (di Maria G. Di Rienzo).......................................... 7
Cosa succede in Venezuela (di Stefano Femminis).................................... 8
Rivolta in Ucraina, un gesuita racconta (di Popoli - Webmagazine
internazionale dei gesuiti).......................................................................... 9
Come sono usate le risorse nel progetto SPRAR Lunigiana (di ARCI
Massa Carrara)......................................................................................... 11
Non c’è assolutamente niente di male nel manifestare la propria solidarietà
alle transessuali e agli omosessuali russi, che sono discriminati in modo
grottesco. Ma gli altri paesi non meritano certo una medaglia per il
semplice fatto di essere meno omofobi dei russi.
Approfondimenti
Un portavoce del ministero ha dichiarato al nostro giornale: “Non
espelliamo nessuno che rischia di essere perseguitato per le sue
inclinazioni sessuali”.
Diritti
L’omofobia non c’è solo in Russia (di Laurie Penny)
Non c’è niente di male nel dare solidarietà agli omosessuali e ai
transessuali russi. Ma gli altri paesi non meritano una medaglia solo
perché sono meno omofobi dei russi
Prendersi gioco degli omofobi è diventato uno sport nazionale che posso
anche condividere. Da quando sono cominciate le Olimpiadi invernali
2014, a Soci in Russia, i mezzi d’informazione di tutti i paesi hanno
1
Per questo tipo di falsa simpatia per i gay, gli attivisti lgbt usano la parola
pinkwashing, costruita sul modello di greenwashing, l’ambientalismo di
facciata di stati e aziende che vogliono dare di sé un’immagine positiva.
Al Regno Unito piace pensare di essere un paese tollerante, ma la Uk
border agency, l’agenzia addetta al controllo delle frontiere, è stata
accusata dall’organizzazione per la difesa dei diritti degli omosessuali
Stonewall di “omofobia sistematica”. Da alcuni documenti del ministero
dell’interno emerge chiaramente che le persone bisessuali che presentano
domanda di asilo sono sottoposte per ore a interrogatori degradanti da
parte di funzionari che fanno domande del tipo: “Cosa ci trova di tanto
attraente nel sedere di un uomo?”.
Questa affermazione lascerebbe molto perplessa Jacqueline Nantumbwe,
una lesbica che ha fatto richiesta di asilo e che quello stesso ministero
vuole rimandare in Uganda, dove per il reato di omosessualità è previsto il
carcere a vita.
Ho parlato con la sua compagna, anche lei ugandese, secondo la quale se
tornassero in patria sarebbero “linciate dalla folla”. Il Regno Unito è
indubbiamente meno omofobo dell’Uganda, ma questo non significa che
può permettersi di trattare i richiedenti asilo omosessuali come criminali.
Personalmente, non ho niente contro i mezzi d’informazione, le aziende e
i singoli individui che prendono in giro gli omofobi o sventolano la
bandiera arcobaleno.
È una manifestazione di solidarietà divertente e non costa nulla. Ma il
problema è proprio che non costa nulla. Appena c’è qualcosa da pagare, si
tirano subito indietro. La bandiera arcobaleno dovrebbe essere un simbolo
di protezione. Se un locale la espone, vuol dire che è un rifugio sicuro. Per
i paesi occidentali è un’ipocrisia appropriarsene per poi umiliare e
arrestare gli omosessuali alle loro frontiere.
Mentre sventolano la simbolica bandiera arcobaleno in faccia ai russi,
quando le lesbiche, i gay, i bisessuali e le transessuali in carne e ossa
arrivano alle loro frontiere e chiedono di essere accolti e protetti, i paesi
occidentali li maltrattano e li insultano. Difendere i loro diritti in tutto il
mondo è encomiabile ma, se nasce da una convinzione profonda,
dovrebbe essere accompagnato da comportamenti coerenti anche in patria.
Mentre stava per essere portata in un carcere maschile dell’Ontario, dopo
l’umiliante interrogatorio all’aeroporto, Avery Edison ha scritto su Twitter:
“Questo rovinerà la mia immagine di ragazza allegra e spensierata”.
E i governi occidentali che alle loro frontiere continuano a trattare gli
omosessuali come se non fossero esseri umani potrebbero dire la stessa
cosa.
LAURIE PENNY è una giornalista britannica. È columnist del settimanale
New Statesmane collabora con il Guardian. In Italia ha pubblicato Meat
market. Carne femminile sul banco del capitalismo (Settenove 2013).
Fonte: Internazionale 1039 l 21 febbraio 2014
(fonte: Centro Studi Sereno Regis)
link:
http://serenoregis.org/2014/03/01/lomofobia-non-ce-solo-in-russia-lauriepenny/
Economia
Perché le banche non fanno il loro mestiere (di
Thomas Fazi)
Banche da legare/8 Perdite superiori a quelle dichiarate, nessuna riforma
strutturale del sistema e bilanci peggiorati dall'austerity.
La Bce riferisce che i prestiti alle imprese e alle famiglie nell'eurozona,
soprattutto nei paesi della periferia, continuano a crollare, registrando il
calo più drammatico da più di vent'anni a questa parte, alla faccia della
tanto sbandierata ripresa: -2.3% in media rispetto all'anno precedente.
Particolarmente critico il dato che si riferisce alle imprese: -3.9%.
I dati per l'Italia sono da bollettino di guerra: Bankitalia parla di un calo
dei prestiti alle imprese del 6% (il dato peggiore degli ultimi dieci anni),
mentre i mutui concessi alle famiglie hanno fatto registrare una flessione
dell'1.2% su base annua. Confindustria aggiunge che la caduta è stata
finora del 10.5% dal picco del settembre 2011, pari a 96 miliardi, e che per
il 2014 la contrazione sarà di altri otto miliardi. Come se non bastasse,
come ha denunciato recentemente la Cgia di Mestre, i pochi finanziamenti
erogati vengono concessi solo alle grandi imprese.
Molti si chiedono come sia possibile che nonostante la colossale somma di
denaro pubblico messa a disposizione dai governi europei per salvare le
banche in seguito alla crisi finanziaria – almeno 4.600 miliardi di euro tra
il 2008 e il 2010, secondo i dati della Commissione europea, a cui bisogna
sommare i mille miliardi di euro circa di prestiti a bassissimo tasso
d'interesse erogati dalla Bce – queste si ostinino a non prestare, o a farlo
solo a tassi da usura. Le ragioni sono molteplici. Sono tre le
considerazioni da fare. La prima è che la somma di denaro in questione,
per quanto enorme – a essa infatti si può ascrivere in buona parte
l'aumento del debito pubblico nei paesi della Ue nel triennio 2008-10 e
2
dunque anche la successiva crisi del debito sovrano, in un processo che
giustamente è stato definito da molti una «socializzazione del debito
privato delle banche», se non un vero e proprio «colpo di stato» rappresenta poco più di una goccia nell'oceano sommerso della finanza.
Considerando le dimensioni del settore bancario europeo (350% del Pil),
la sua propensione al gioco d'azzardo (per mezzo di derivati e quant'altro)
e la sua capacità di occultare i debiti trasferendoli nel cosiddetto «settore
bancario ombra», è naturale presupporre che le perdite sostenute dalle
banche in seguito alla crisi del 2008 siano ampiamente superiori a quelle
dichiarate, e che i trilioni di euro di aiuti statali abbiano rappresentato
poco più di una toppa. Secondo un recente studio, infatti, le banche
europee sarebbero ancora sottocapitalizzate di circa mille miliardi di euro.
Ma si tratta sempre di stime.
Quello che serve (e che manca) è anzitutto trasparenza. Questo ci porta
alla seconda considerazione. Ossia che dal 2008 ad oggi non è stata
effettuata nessuna riforma strutturale del sistema per rimettere le banche al
servizio dell'economia reale. Infatti apprendiamo che le banche europee
hanno ripreso a scommettere sui mutui subprime americani, hanno
ricominciato a cartolarizzare i loro mutui a rischio, distribuendo così i
rischi nel sistema e continuano a giocare d'azzardo sul mercato dei derivati
(che infatti si stima essere cresciuto di valore dal 2007 ad oggi). La terza
considerazione è che la cura letale della repressione fiscale promossa dalla
troika Ue-Bce-Fmi sotto la pressione di Berlino non ha fatto che acuire la
recessione nei paesi della periferia, peggiorando i bilanci delle imprese
(che fanno sempre più fatica a ripagare i debiti contratti con le banche) e
di conseguenza i bilanci delle banche stesse, rendendole così ancora più
restie a prestare soldi (indifferentemente dalle flebo dei governi e della
Bce per tenerle in vita). Gli ultimi dati parlano di un aumento del 22.7%
dei crediti di difficile riscossione nel 2013, pari all'incirca a 150 miliardi di
euro
(Bankitalia
stima
che
possano
arrivare
presto
a
300).Complessivamente le sofferenze adesso corrispondono al 10.5% dei
prestiti bancari.
In conclusione, risulta evidente che siamo in presenza di un circolo
vizioso, e che affidarsi alle banche per uscire da un crisi provocata dalle
banche stesse (senza neanche cambiare le regole del sistema finanziario) è
un controsenso. In un momento in cui l'economia ha un disperato bisogno
di liquidità, è la politica che deve farsi carico di rimettere in circolazione il
denaro, per mezzo di politiche fiscali espansive. Ma questo è un altro
discorso.
La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata
la fonte: www.sbilanciamoci.info.
(fonte: Sbilanciamoci Info)
link: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Perche-le-banche-non-fanno-illoro-mestiere-22344
Immigrazione
Il traffico di esseri umani è una holding miliardaria
(di Redazione Popoli - Webmagazine internazionale
dei gesuiti)
Il traffico di essere umani è per la criminalità organizzata un lucroso
business che, per proventi, è secondo solo allo spaccio di droga.
Popoli.info ne ha parlato con Giampaolo Musumeci, autore, insieme al
criminologo Andrea Di Nicola, del libro Confessioni di un trafficante di
uomini, in uscita in questi giorni
Dopo la droga, si tratta del secondo business illegale mondiale, con
proventi che si aggirano fra 3 e 10 miliardi di dollari l’anno. È lo
smuggling, il traffico di esseri umani. Nel libro Confessioni di un
trafficante di uomini (Chiarelettere, 2014, pp. 208, euro 10,20), scritto dal
criminologo Andrea Di Nicola e dal giornalista Giampaolo Musumeci, per
la prima volta parlano i trafficanti di migranti, svelando i metodi, le rotte,
l’organizzazione. I due autori hanno coniugato, in un lavoro durato due
anni, l’approccio criminologico-analitico al lavoro on the road
percorrendo le rotte dell’immigrazione clandestina dell’Europa e del
Mediterraneo. Ne abbiamo parlato con Musumeci.
La cattura di uno scafista rappresenta solo la punta di un iceberg. Chi
c’è dietro questo traffico?
Ci sono gli smugglers, i trafficanti di esseri umani. Lo smuggling è un
business gigantesco e come tale va trattato. Il trafficante deve costruirsi
una rete di collaboratori, avere mezzi, computer, telefonini, camion,
barche, non è un mestiere che s’improvvisa, si può entrare per caso, ma
richiede straordinarie doti per affermarsi perché c’è concorrenza, un
tariffario, rischi da gestire. Se affonda un barcone di migranti, la
reputazione dello smuggler è toccata e rischia di non avere più migranti,
cioè lavoro. Il trafficante egiziano El Douly, quarantenne, emergente, che
metteva in contatto Egitto e Libia, mi spiegava che non è una
organizzazione verticistica, ma fluida, ci sono tanti nodi che compongono
una rete flessibile.
La rete di smuggling quale metodo utilizza per muovere denaro?
Utilizzano l’hawala, un metodo ingegnoso in cui movimentano denaro
senza farlo muovere fisicamente. Tutto si basa sulla fiducia, su una rete di
dealer (detti nodi), gli hawaladar, e su un codice scritto su un foglietto. Per
esempio: per trasferire soldi da Kabul a Roma, si va in un negozio di
Kabul, il cui gestore è un hawaladar. A lui si porta denaro contante e in
cambio si riceve un codice numerico che si comunica a un contatto a
Roma. Quest’ultimo si recherà da un hawaladar romano il quale, dietro
verifica del codice, consegna il denaro. Tra i due hawaladar ci sono crediti
e debiti che regoleranno tra loro.
La rotta verso Lampedusa è quella più conosciuta, ma non la più
utilizzata. Quali sono le altre tratte per arrivare in Europa?
Sicuramente Lampedusa è la più mediatizzata, ma la maggior parte dei
migranti passa da altre frontiere. Sta riaprendo in maniera silenziosa, ma
corposa, la frontiera con i Balcani, si passa a piedi nei boschi dalla
Slovenia oppure verso l’Austria. Nel 2012-2013 attraverso la frontiera
italo-slovena si stima che ci siano stati 35mila ingressi irregolari contro i
24mila via mare. Altro Paese che i migranti hanno preso ad attraversare è
la Bulgaria. Anche i nascondigli cambiano: non solo camion, camper,
macchine, ma anche, è l’ultima tendenza nel Mediterraneo, yacht di lusso
che, guidati da skipper ucraini o georgiani, trasportano i migranti al posto
di turisti facoltosi.
© FCSF – Popoli
(fonte: Popoli - Webmagazine internazionale dei gesuiti)
link:
http://www.popoli.info/EasyNe2/Primo_piano/Il_traffico_di_esseri_umani_e_una_
holding_miliardaria.aspx
Industria - commercio di armi, spese militari
Lettera aperta alle ministre Pinotti e Mogherini (di
Giorgio Beretta)
Gentili Ministre,
innanzitutto congratulazioni per la nomina al nuovo incarico. Ho pensato
di scrivervi questa lettera aperta per segnalarvi alcune istanze che
numerose associazioni impegnate per la pace, nel disarmo, nella
cooperazione e solidarietà internazionale vanno presentando agli ultimi
governi. Si tratta di proposte e iniziative che provengono da associazioni e
movimenti che ben conoscete sia per la vostra militanza giovanile sia per i
vostri impegni politici successivi. Un mondo quanto mai variegato e
multiforme, difficile da incasellare sotto un’unica etichetta. Proprio per
questo, questa lettera è solo mia e – seppur lunga – non può riassumere
tutte le proposte e soprattutto non intende farsi voce di alcuno, se non del
portale Unimondo che da 15 anni quotidianamente informa su questi temi.
Il vostro primo atto, significativo e doveroso, è stato telefonare ai due
fucilieri della Marina trattenuti in India, Salvatore Girone e Massimiliano
3
Latorre, e qualche giorno dopo incontrare le loro mogli alle quali avete
espresso “la determinazione di tutto il Governo a fare tutto il possibile per
riportare in Italia i due fucilieri”. Determinazione necessaria, ma che – per
essere credibile – non può prestarsi a fraintendimenti. Se infatti, come
hanno affermato i vostri predecessori, la questione investe “il
riconoscimento dei nostri diritti di Stato sovrano”, penso sia necessario
fugare atteggiamenti poco comprensibili se non ambigui: a cominciare
dagli interessi delle aziende militari italiane in India, e in particolare di
Finmeccanica. Lo dico perché – come sapete – il ministero della Difesa
indiano, dopo aver escluso Finmeccanica dal salone Defexpo, non ha fatto
mistero dell’indagine che riguarda AgustaWestland, azienda del gruppo
Finmeccanica, per il presunto caso di corruzione nella fornitura di 12
elicotteri Aw 101 VIP. Questa commessa è stata congelata ed è seguita
anche la sospensione dell’ordinativo di 98 siluri pesanti Black Shark
prodotti dalla WASS di Livorno del valore di 300 milioni i dollari. E ieri il
ministero della Difesa indiano ha chiesto alla francese Dassault di chiarire
se vi siano componenti di aziende del gruppo Finmeccanica nel caccia
Rafale che l’India intende acquisire dalla Francia in quanto la legge
indiana non permette di acquistare sistemi militari da ditte sotto inchiesta.
Non capisco perciò in base a quale “interesse nazionale” si possa
continuare a ritenere di fare affari militari con l’India come se fosse
“business as usual”. La determinazione per riportare a casa i due marò non
sarà senza costo. Sta anche a voi dimostrare se e quanto il nostro governo
è disposto a pagare anche in termini di rinuncia a commesse militari sulle
quali le autorità indiane non sembrano disposte a fare sconti sulla
reputazione internazionale del nostro paese.
Al ministro Pinotti
Lei, ministro Pinotti, in un’intervista a La Stampa subito dopo la sua
nomina, ha affermato di voler «costruire un libro bianco della Difesa che
parta dai rischi che il Paese si troverà ad affrontare nei prossimi anni, per
poi su queste basi costruire il nuovo modello di settore». E questo,
«calibrando così le reali necessità di Aeronautica e Marina, che sono
eccellenze dell'Italia. Senza pregiudizi ideologici. Significa supportare le
nostre aziende e creare un volano virtuoso per l'economia». Nella sua
agenda anche «la messa a reddito dei tanti immobili inutilizzati della
Difesa». Come sa, da tempo diverse associazioni pacifiste hanno
sottoposto all’attenzione del Parlamento proprio la necessità di ridefinire
con chiarezza il “modello di difesa” del nostro paese alla luce del dettato
costituzionale (Art. 11). Lo hanno chiesto anche in considerazione del
prospettato acquisto dei cacciabombardieri F-35 sui quali – come le è noto
– da anni le associazioni hanno promosso una campagna che chiede la
cancellazione del programma e, come primo e imprescindibile passo, la
sua sospensione per favorire appunto un’indagine approfondita sia sulle
effettive esigenze sia sui costi reali del programma. Nei mesi scorsi lei si
era resa disponibile ad un confronto con queste associazioni: sono certo
che non mancheranno di contattarla per presentare a lei e al governo le
loro proposte in materia di difesa e di spese militari.
Nell’attesa mi permetto una proposta. Come saprà ad agosto è previsto nei
pressi di Mosca un evento alquanto singolare: si tratta di una sorta di
olimpiadi dei carri armati, nota come “Tank Biathlon” alla quale sarebbero
stati invitati per la prima volta anche paesi della Nato quali Stati Uniti,
Germania e Italia. Non so quale sia stata la risposta all’invito da parte del
suo predecessore. Ma credo che non sia certo auspicabile in questo
momento indugiare in giochi tra carri armati. Quello che sta avvenendo in
Ucraina e i carri armati russi in Crimea non lasciano presagire niente di
buono. Un suo annuncio pubblico di rinuncia da parte dell’Italia a
partecipare ai “giochi senza frontiere” coi carri armati russi sarà
sicuramente apprezzato anche dai partner europei e dalle sue colleghe
ministre della difesa. E soprattutto da chi, come me, si attende un chiaro
segno di discontinuità dalle politiche di coloro che sostengono che “per
amare la pace bisogna armare la pace”.
Al ministro Mogherini
Un invito anche a lei, ministro Mogherini. Tra le varie competenze del suo
ministero vi è quella assegnata all’UAMA (Unità per le Autorizzazioni di
Materiali di Armamento) che appunto riguarda le autorizzazioni alle
esportazioni di armi e sistemi militari. Un business in crescita negli ultimi
anni ma di cui non ce ne possiamo far vanto: come ho ripetutamente
documentato su questo sito sono state numerose e rilevanti le
autorizzazioni per esportazioni di armi rilasciate a governi di paesi
autoritari che spiccano per costanti violazioni dei diritti umani – a partire
dall’impiego della tortura e della pena di morte –, che si distinguono per le
forti limitazioni delle libertà democratiche, che investono ingenti somme
in armamento nonostante al loro interno persistano enormi sacche di
povertà e indigenza o che si trovano in zone di forte tensione se non di
guerra. E ciò nonostante la normativa italiana e comunitaria dovrebbero
“impedire l’esportazione di tecnologia e attrezzature militari che possano
essere utilizzate per la repressione interna o l’aggressione internazionale o
contribuire all’instabilità regionale”.
Tra i documenti che il suo ministero sta predisponendo in questi giorni vi
è la Relazione sulle esportazioni di sistemi militari: un documento
prezioso che dovrebbe riportare con chiarezza e completezza tutte le
autorizzazioni e le consegne di armamenti avvenute lo scorso anno. Un
documento che, però, nell’ultima legislatura (governi Berlusconi e Monti)
è stato pesantemente modificato tanto che oggi non permette di conoscere
con precisione ciò che tale relazione dovrebbe chiaramente documentare:
e cioè a quali paesi l’Italia vende quali e quante armi. Una materia, come
ben comprende, che riguarda direttamente la politica estera e di difesa del
nostro paese. E sulla quale non si può indulgere in compiacenze al settore
dell’industria militare: le ingenti esportazioni di sistemi militari italiani
alla Libia di Gheddafi (tra cui le armi per la Pubblica Sicurezza) e alla
Siria di Bashar al-Assad non sono certo servite né per la difesa e tanto
meno per la protezione di quelle popolazioni.
Rete italiana per il disarmo ha ripetutamente chiesto ai suoi predecessori
di riaprire il confronto su questi temi e, in particolare, sulla Relazione
sulle esportazioni di armi. Un confronto che – fino alla Relazione
predisposta dal governo Monti (e inviata alle Camere dal governo Letta) –
era tra l’altro ufficialmente previsto: la Relazione infatti invitava il
governo a “continuare il dialogo con i rappresentanti delle Organizzazioni
non governative interessate al controllo delle esportazioni e dei
trasferimenti dei materiali d’armamento con la finalità di favorire una più
puntuale e trasparente informazione nei temi d’interesse”. Anche su questo
punto credo che le associazioni della società civile non mancheranno di
invitarla ad un confronto di approfondimento. Che è quanto mai urgente
visti i tempi stretti: la Relazione, ai sensi di legge, dovrebbe essere inviata
alle Camere entro il 31 marzo.
Un’ultima considerazione. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha
ripetutamente affermato che questo “è un governo di legislatura”. E ha
concluso la sua replica alla Camera dei Deputati dicendo che “non ci sono
più alibi”. Un concetto che era già stato affermato dal Presidente della
Repubblica quando, affidando l'incarico a Renzi, ha detto: "confido che
veramente non si perda quest’occasione, perché non possiamo concederci
il lusso di perderla". (qui il testo in .pdf)
Credo sia così. E mi auguro che, per quanto di vostra competenza, le
istanze che ho presentato vengano considerate. Non ci sono più alibi. Per
nessuno.
Cordialmente,
Giorgio Beretta
[email protected]
(fonte: Unimondo newsletter - segnalato da: Gino Buratti)
link:
http://www.unimondo.org/Notizie/Lettera-aperta-alle-ministre-Pinotti-eMogherini-144968
Nonviolenza
La lotta nonviolenta: l’equivalente morale della
guerra (di Giorgio Barazza)
Una partnership tra diverse forme di arte: cinema, gioco, letteratura e
mostra. La difesa dei diritti umani e la lotta nonviolenta: come è possibile
trasformare le relazioni “oppresso-oppressore” con mezzi pacifici.
A Ciriè, in provincia di Torino, presso l’istituto comprensivo Fermi-Galilei
tutte le terze e le quarte (complessivamente circa 400 studenti) stanno
usufruendo delle pari opportunità1.
Di solito negli anni passati la parte armata della difesa, rappresentanti
delle Guardia di finanza, Carabinieri, Forze Armate venivano a presentare
il loro punto di vista e la bontà dei loro servizi verso il paese.
Quest’anno grazie all’iniziativa di Amnesty International della zona di
Ciriè (Gruppo Italia 124) anche i corpi civili di pace, le forze non armate
hanno avuto la possibilità di farsi conoscere.
Ogni anno Amnesty di Ciriè individua una tematica da approfondire e
chiede alle diverse organizzazioni presenti in zona per sviluppare
l’argomento di fornire dei servizi alle scuole del territorio, dalle scuole
dell’infanzia alle superiori.
Quest’anno il tema è stato “Cittadini del mondo – insieme contro la
guerra”.
Il terreno dell’Istituto comprensivo Fermi-Galileo è fertile, due
professoresse, Anna Tancredi e Valeria Vassia, hanno aderito all’iniziativa.
Il Centro Studi Sereno Regis, coinvolto dal Comitato pace di
Robassomero, aveva presentato un progetto dal titolo la difesa dei diritti
umani e la lotta nonviolenta: come è possibile trasformare le relazioni
“oppresso-oppressore” con mezzi pacifici e si è trovato così
nell’opportunità di fornire una prima idea di quelli che sono oggi chiamati
i corpi civili di pace.
La pari opportunità si è realizzata attraverso un incontro di 2 ore per tutti
gli studenti (8 incontri in tutto) e nella messa a disposizione di 34 roll-up
di una mostra sui 150 anni di resistenza alla guerra che saranno esposti un
mese circa (dal 17/2 al 21/3).
Le arti hanno contribuito a questa iniziativa attraverso
Il CINEMA. È stato proiettato il filmato2 “Nashville, we were warrior”
(Nashville: noi eravamo guerrieri) che affronta il problema della
segregazione razziale e racconta della preparazione e della lotta
nonviolenta, condotta dal coordinamento degli studenti nonviolenti in
Alabama (USA) nel 1960. Lotta che aveva come obiettivo l’accesso alla
caffetterie da parte della popolazione di origine africana;
I GIOCHI. Per agevolare la comprensione dei concetti che stanno alla
base di queste forma di lotta l’esercizio del proprio potere personale e
collettivo e per comprendere la dinamica della lotta nonviolenta (ju-jitsu
politico) attraverso l’uso del corpo sono stati fatti fare due esercizi. Il
primo “la piramide rovesciata” permette di comprendere il potere che
ognuno di noi possiede nel collaborare o non collaborare con le diverse
situazioni in cui vive. Il secondo “2 palme” permette di sperimentare
l’escalation della violenza fino alla sottomissione di una delle due parti,
ma anche di come togliendo la collaborazione si spiazza l’avversario, ci si
preoccupa che non si faccia male (si combatte il peccato non il peccatore)
anzi gli si offre la possibilità di partecipare a un altro gioco (progetto
costruttivo);
La MOSTRA3. I pannelli ripercorrono le diverse manifestazioni in cui
si è espressa la resistenza alla guerra negli ultimi 150 anni: la resistenza
alla circoscrizione obbligatoria, l’antimilitarismo, il pacifismo
4
democratico e l’antimilitarismo anarchico; l’insubordinazione,
l’autolesionismo, la diserzione, la nascita delle prime organizzazioni
internazionali contro la guerra; l’antifascismo, la resistenza civile, gli
obiettori di coscienza, le lotte civili che hanno portato all’abbattimento del
muro di Berlino; le alternative della nonviolenza;
La LETTERATURA. Sono state offerte per essere esplorate e discusse
13 pillole di nonviolenza applicata in contesti di forte dominazione a
partire dal contributo di alcuni autori: Nelson Mandela, Jacques Semelin,
Badshah Khan, Walter Winks, Johan Galtung, Desmund Tutu, Etienne De
La Boètie, Adrian Karatnycky e Peter Akerman.
NOTE
1 L’articolo 52 della costituzione recita che “la difesa della patria è sacro
dovere del cittadino”, compito che appartiene a tutti e non riguarda solo
chi è nelle forze armate. Purtroppo però le feste nazionali (es: 4 novembre,
festa della “vittoria” nel 1918) vedono solo la presenza di questa parte
della difesa. Nel 2008, ben 200 Generali delle Forze Armate sono stati
messi a disposizione delle scuole per illustrare il significato della giornata
di questa festa (o lutto?). La cultura profonda della difesa armata è riuscita
nella 16^ legislatura (10/3/2011) a presentare al Senato della Repubblica
un disegno di legge multipartisan (IDV, PD, PDL, Lega) “disposizioni per
la promozione e la diffusione della cultura della difesa attraverso la pace e
la solidarietà”. Nel frattempo il Ministero della difesa ha stipulato delle
collaborazioni con diversi ordini di scuola per presentare l’esperienza
formativa, professionale di servizio, nonché di difesa dei diritti umani
delle forze armate. Tutto ciò avviene mantenendo il completo silenzio
sulla DIRETTIVA del Ministero della Pubblica Istruzione, Dipartimento
per l’istruzione, Direzione generale per lo studente, Programma nazionale
“LA PACE SI FA A SCUOLA” (4 ottobre, giornata nazionale della pace a
scuola)
2 Questo filmato insieme ad altri cinque fa parte di un ciclo dal titolo “A
Force
More
Powerful”
(una
forza
più
potente)
http://www.aforcemorepowerful.org in cui sono presentate alcune delle
lotte nonviolente che hanno avuto successo nel ‘900. Il filmato è
accompagnato da un libretto che aiuta alla lettura dei conflitti con schede
dei film e altro materiale didattico
3 I roll-up esposti fanno parte della mostra “Italia-Euopa in 150 anni, pace
e nonviolenza” a cura di Renzo Dutto e del Centro Sereno Regis
(fonte: Centro Studi Sereno Regis)
link:
http://serenoregis.org/2014/02/21/la-lotta-nonviolenta-lequivalente-moraledella-guerra-giorgio-barazza/
Politica e democrazia
La parola partecipazione svuotata dalla politica (di
Gino Buratti)
Le vicende della politica italiana assumono spesso aspetti contraddittori,
talvolta ambigui, che, in qualche modo, certo non aiutano a superare quel
senso di disagio e rifiuto che avvolge il mondo dei politici.
Dinanzi alla crisi in cui versa il sistema dei partiti, un tema ricorrente,
quasi un “mantra”, è quello dell'insistere sulla “partecipazione”, come se
questa fosse il toccasana della crisi, facendo si che ciascuno si attribuisca
il patentino di migliore facilitatore della partecipazione, chi praticando le
consultazioni nella rete, chi proponendo il sistema delle primarie, chi
stampandosi in fronte il numero di consensi ottenuti, come lasciapassare
per ogni scelta.
Il proporre il tema della partecipazione, senza tuttavia specificarne
l'obiettivo e lo scopo, usando questo termine in maniera astratta, senza
inserirlo in una cornice, di fatto svuota questa parola di un preciso e
concreto significato e sterilizza uno strumento che potrebbe invece
rafforzare quel senso di comunità e di appartenenza che manca nella
nostra vita politica.
5
E' un male questo tipico di questa nostra politica, così avvezza a cercare le
scorciatoie facili, gli slogan immediati, sottraendosi, invece, a quella sfida
alta che la complessità e la drammaticità di questa crisi imporrebbero.
I modelli partecipativi, sviluppati oltre quello previsto della scelta dei
propri rappresentanti alle elezioni, possono essere uno elemento di
amplificazione delle pratiche di democrazia e di rafforzamento di quella
cittadinanza attiva, che pur è prevista anche dalla Costituzione.
Scegliere l'orizzonte di ampliare la sfera della partecipazione, ben oltre il
semplice momento elettorale, non è una strada obbligata, è una scelta che
la politica assume, accettandone però tutte le sfide e i rischi che ciò
comporta.
Non è però, a mio modesto avviso, semplicemente uno strumento per
misurare e/o cercare consenso rispetto ad una propria posizione, è la
capacità, ancor prima culturale che metodologica, di assumere come
elemento centrale e vitale la propria “parzialità”, il proprio “limite”, sia
come soggetto organizzato che come singola persona, nella lettura del
sistema e nel cercarne soluzioni.
Da questa parzialità nasce il bisogno di avviare percorsi partecipativi,
nell'ottica di leggere le problematiche da diverse prospettive e, al tempo
stesso, cogliere elementi nella visione dell'altro, nella consapevolezza
della necessità di dover “ampliare” il punto di osservazione e di
individuare anche risorse ed energie che altrove si trovano, cogliendo il
valore aggiunto che esse rappresentano rispetto ad un processo di
trasformazione.
In tale ottica, l'orizzonte partecipativo è proprio all'antitesi di quella
arroganza culturale, che diventa spesso violenza (verbale), così frequente
nella nostra vita politica, che comporta la presunzione di essere gli unici
detentori di una verità e gli unici interpreti del cambiamento.
Ma l'orizzonte partecipativo è anche all'antitesi di quel “bisogno di leader
forte”, che ormai ha contagiato tutte le forze politiche.
Processo questo che ha avuto i suoi primi barlumi con il decisionismo di
Craxi, che poi è proseguito a destra con “il culto” di Berlusconi, ma che ha
contagiato centro-sinistra e sinistra nella ricerca di leader carismatici
(penso ad esempio all'esperienza della lista Ingroia), alla presentazione di
continue liste centrate sul nome, senza soffermarsi minimamente sui
programmi.
Non ultimo il delinearsi del M5S, nato per sperimentare pratiche nuove,
ma tutto centrato su la figura di due leader carismatici-gurù, e l'avvento di
Renzi, paladino delle primarie e della partecipazione, che di fatto però si
presenta con il tono arrogante di chi ha la verità in tasca.
Ma questa cultura “accentratrice” si è incarnata anche nei modelli di
governo dei territori, con la proposizione delle figure dei “governatori”
delle regioni e dai sindaci forti, consegnando ad una figura, e non ad un
progetto politico culturale, la rappresentatività della trasformazione e del
governo. Tutto ciò, se pur legittimamente, è una contraddizione stridente
con percorsi partecipativi reali, che non siano semplici processi di
consultazione e/o conferma del consenso.
Troppo spesso assistiamo a figure, siano essi leader di partito/movimento
o amministratori locali, che hanno costruito il proprio ruolo di novità
proprio partendo dall'esaltazione dei luoghi della partecipazione, per poi,
procedere invece a governare, amministrare, gestire un partito proprio
negando quegli stessi presupposti, o camuffandoli.
Accettare poi un orizzonte partecipativo, inoltre, significa assumere la
consapevolezza che i tempi della decisione non sono quelli delle
telematica, perché comporta capacità di ascolto, di confronto duro e
consapevolezza di arrivare ad una sintesi, nella quale non vi sono
semplicemente vinti e sconfitti, ma soggetti che hanno ottenuto qualcosa,
magari rinunciando ad altro.
Significa declinare l'esperienza partecipativa nell'analisi e nella
programmazione delle politiche di un territorio e di un paese, non
semplicemente come momento di verifica del proprio consenso.
Significa saper procedere su un terreno non facile, ricco di insidie,
sperimentando le poche certezze e i tanti dubbi, nella convinzione che solo
una pratica reale che veda i soggetti (singoli e organizzati) protagonisti di
un percorso può, non aumentare un consenso, ma costruire un processo
condiviso, arricchito da punti di vista plurali.
In tale ambito diventa estremamente ambigua la riproposizione degli
slogan sulla partecipazione proposti dai nostri leader: in nessuno c'è il
bisogno di confronto ed ascolto delle altrui prospettive, c'è semplicemente
il bisogno (con scelte ed espressioni lessicali) di affermare il proprio
pensiero distruggendo, di fatto, le diversità, negando, nelle pratiche,
l'assunzione della parzialità, del limite e del dubbio come compagni di
viaggio nella costruzione di un percorso politico di cambiamento, non
semplicemente amministrativo.
Lo stesso strumento delle primarie, per altro interessante per certi punti di
vista, non può essere pensato come l'unico modello partecipativo, è un
modello, che assume un senso se esso va ben oltre la semplice
individuazione di un leader e di una linea, una volta ogni tanto, diventa
strumento interessante se capace di essere declinato non come momento
occasionale, ma come pratica politica.
Se da un lato un problema forte è in “l'idea di democrazia” dentro ai
partiti/movimenti, quali contenuti e strumenti dargli per renderla reale,
dall'altro è evidente il rischio di chi, utilizza parole fondamentali quali la
partecipazione, semplicemente per ornare le proprie pratiche di gestione
del potere semplice ricerca di consenso e affermazione del proprio
pensiero.
Tutto legittimo nell'agorà della democrazia, ma quanto meno si eviti di
tingere certe pratiche politiche – ad esempio i guru sui blog, l'esaltazione
del modello delle primarie come unica pratica di democrazia, il proporsi
come leader salvifico e unico interprete del cambiamento e della novità,
l'atteggiamento populistico che inonda tutti i leader dei maggiori partiti
(M5S, PD e Forza Italia) - con il velo della partecipazione, perché non
solo facciamo danni politici irreparabili, ma diventiamo soggetti
mistificatori e corresponsabili dell'incoerenza e del discredito che la
politica ha assunto, con grave pericolo e danno per la democrazia, a causa
dell'affermarsi di movimenti e forze destabilizzanti.
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2025
Spending review (di Maria G. Di Rienzo)
In attesa delle “grandi riforme” mai meglio specificate ma che il paese
attende con ansia (o almeno così dicono politici e giornalisti), in attesa di
sapere se taglieranno “auto blu” o “auto grigie” (quelle delle Asl) e come
questo andrà davvero ad incidere sul debito, leggo che l’obiettivo della
revisione della spesa pubblica in Italia punta ad un risparmio di 32
miliardi in tre anni.
Potremmo raggranellare più della metà di detta cifra in un anno solo, con
un semplice accorgimento: smettere di essere violenti verso le donne.
La violenza di genere costa infatti al nostro paese 17 miliardi l’anno in
servizi sociali, ore di lavoro perse, medicalizzazioni, prevenzione,
eccetera. I quotidiani stranieri commentano l’andazzo con frasi di questo
tipo: “L’alto tasso di violenza contro le donne è da attribuirsi ad un
problema della cultura italiana, in cui le aggressioni alle donne sono
accettate come norma sociale.”
Non vi chiedo di essere buoni o buonisti, suvvia; non vi chiedo di provare
compassione per Lidia Nusdorfi, l’ultima ammazzata a coltellate in ordine
di tempo dal suo ex compagno – è una delle tante, lo aveva lasciato e lui
era “accecato dalla gelosia” e “preso dal raptus” al punto da organizzarle
un incontro fasullo, viaggiare tre ore e mezza in auto per raggiungerla,
coprirsi con un ombrello per cercare di sfuggire alle telecamere e
convincere due altre persone a mentire per coprirlo. Si capisce bene che
non era padrone di se stesso, vero?
Non vi chiedo neppure di trattare le donne nelle vostre vite come esseri
umani (di fronte ad una norma sociale ciò sarebbe probabilmente troppo
trasgressivo)… vi sto chiedendo di stringervi al vostro amato paese in
questo momento di difficoltà e di risparmiare: tenendo mani e coltelli e
pistole e bastoni e lacci in tasca. Provate.
Maria G. Di Rienzo
Fonte: LunaNuvola's Blog - il blog di Maria G. Di Rienzo
(fonte: LunaNuvola's Blog - il blog di Maria G. Di Rienzo)
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2023
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Questione di genere
Corsi, concorsi e scatole rosa (di Maria G. Di
Rienzo)
Se un alieno volesse conoscere in modo velocissimo lo status delle donne
in Italia – ad esempio, che gradi di partecipazione e rispetto godono nella
sfera pubblica, quanto le si ascolta, quanto il loro lavoro è valutato, quanto
si prendono sul serio le informazioni sull’allucinante tasso di violenza che
subiscono – gli basterebbe dare un’occhiata al paese l’8 marzo.
Gestori di negozi, misogini incalliti per i restanti 364 giorni dell’anno, ti
ficcano la mimosa nella borsa della spesa nel mentre si lamentano della
mancanza di una “festa dell’uomo” – e mettono a repentaglio duri anni di
training nonviolento, perché ti viene voglia di far loro la festa subito e in
modo definitivo.
Comuni finanziano corsi di burlesque-spogliarello perché ciò “fa bene
all’anima delle donne” e comunque i nudi “non sono integrali”: Assessora,
e mi scusi se le ricordo che è femmina – so che lei chiama se stessa
“Assessore” – il mio benessere spirituale non è competenza
dell’amministrazione comunale. Inoltre, se lo spogliarello fa bene
all’anima, perché non arrivare al “nudo integrale”? Si rischia per caso la
santità?
Fondazioni lanciano il concorso, rivolto alle prime cento titolari della data
polizza assicurativa che “clickeranno”, sta scritto così, sul loro sito web,
per l’ambita “scatola rosa” con cui “chiedere soccorso premendo un
apposito pulsante in auto”: ammettetelo, vi state chiedendo come siete
riuscite a vivere senza, sino ad ora.
E i giornali, al solito, delirano: si va dalle “suffragette” di Repubblica
(suffragiste, signori, suffragiste) alle simpatiche foto “Diamoci dei
consigli” del Corriere – dove il sublime è raggiunto dal cartello retto da
una signora imbronciata, in cui alla frase “Io sono una persona” è
accoppiato il disegnino di una donna con una bella X sopra. Ecco,
cancellarmi o cancellare le mie simili in occasione della Giornata
Internazionale della Donna è un consiglio che non intendo seguire, e che
con tale Giornata non ha proprio niente a che fare.
L’8 marzo dovrebbe servire a riflettere su a che punto siamo arrivate nella
nostra ricerca di giustizia ed eguaglianza.
L’8 marzo dovrebbe servire a gettare un po’ più di luce sulle realtà in cui
vivono le nostre sorelle ovunque, mentre lottano per veder riconosciuta la
loro dignità.
L’8 marzo dovrebbe servire a guardarci intorno e a sentirci grate per le
tutte le donne meravigliose che hanno fatto la differenza nella nostra vita e
nel mondo.
Anche se i media vi daranno questo, forse, nel 2050, non importa: potete
creare uno spazio in cui ciò accade ora nella vostra cerchia di amicizie,
nella vostra famiglia, e persino da sole nella vostra mente.
Il mio pensiero per voi amiche e lettrici, l’8 marzo, non è diverso da
quello che vi rivolgo tutti gli altri giorni: amo la vostra unicità, che vi
rende preziose, e la vostra somiglianza, che vi rende vicine a me. Vi
immagino cantare, ridere, ballare. Immagino di coccolarvi quando siete
giù di morale. Amo il fatto che voi siate qui, su questa Terra. E’ perché ci
siete che amo esserci anch’io.
Maria G. Di Rienzo
(fonte: LunaNuvola's Blog - il blog di Maria G. Di Rienzo)
link: http://lunanuvola.wordpress.com/2014/03/08/corsi-concorsi-e-scatole-rosa/
8 marzo: le donne nella Resistenza
Brambilla Pesce)
(di Onorina
La guerra di Liberazione ha visto una rivoluzione culturale di non poco
conto, quella della donna italiana, che usciva dall’arretratezza nella quale
il fascismo l’aveva tenuta.
Mussolini aveva predicato per vent’anni alle donne “la sottomissione e la
bellezza” – così diceva lui – di stare a casa a fare la calza. “La donna è la
regina del focolare”, diceva la propaganda fascista. Strana regina, di un
focolare nel quale, in molti, troppi casi, non si garantiva neppure il pane.
In realtà, si sanciva in ogni legge l’inferiorità della donna! Non ha diritto
al voto, sono escluse dall'insegnamento delle lettere e della filosofia, sono
escluse dai posti di responsabilità di dirigenza scolastica,
dall’amministrazione pubblica, dalla magistratura e, a parità di lavoro con
gli uomini, hanno salari molto inferiori. Nonostante ciò, durante il
ventennio, le donne hanno avuto momenti di ribellione e di lotta. Voglio
ricordare soprattutto le mondine dell’Emilia-Romagna e del Novarese che
rivendicavano le otto ore di lavoro (ricordiamo la famosa canzone “Se otto
ore vi sembran poche”, perché lavoravano anche 10/12 ore al giorno), e
alcuni scioperi delle operaie tessili e di altre categorie per migliori
condizioni di lavoro e di salario. Anche durante il fascismo quindi, pur
sotto un clima di paura, le donne non hanno sempre accettato supinamente
la loro condizione di “inferiorità”, poi la guerra, i lutti, il razionamento dei
generi alimentari, i bombardamenti che distruggono le case, le fabbriche.
La guerra cambia un po’ le cose: gli uomini servono per le guerre. Le
donne allora vengono impiegate in loro sostituzione in ogni campo: nelle
scuole, nelle fabbriche, nell’amministrazione pubblica, nei servizi civili.
Iniziamo così a vedere per le strade le postine, le tranviere, le ferroviere;
nelle campagne assumono la direzione delle aziende agricole. Arriva poi
l’8 settembre del ’43. L’esercito è abbandonato a se stesso, i soldati
scappano per sottrarsi al rastrellamento dei tedeschi che invadono le nostre
città, e sono le donne che, rischiando, li nutrono,li aiutano, li nascondono,
forniscono loro i vestiti affinché non si facciano individuare con la divisa
che ancora indossano. Io credo che siano state proprio le donne a iniziare
la Resistenza, col loro intervento di aiuto ai soldati, che rappresentò anche
una reazione naturale, nemmeno forse organizzata, ma che servì senza
dubbio a salvare migliaia di persone. Anche se purtroppo sappiamo che
altrettante migliaia furono arrestate e mandate ai lavori forzati in
Germania.
Seguì la Resistenza vera, la ribellione di massa delle donne, perché di
questo si tratta.
Inizia da quel momento il risveglio, la presa di coscienza di un gran
numero di donne di ogni strato sociale, di ogni idea politica e religiosa. E
alla Resistenza partecipano in tante, numerose, in decine di migliaia, e
svolgono tante mansioni.
Sono le cosiddette “staffette”, che contribuiscono in tanti modi.
Combattono in montagna e in città, assicurano i collegamenti, il
rifornimento di viveri, armi, medicinali, vestiario, la preparazione di
documenti falsi, la ricerca di alloggi necessari per chi deve nascondersi, la
diffusione della stampa clandestina. Ricordiamoci di un giornale che
venne fondato e diffuso allora dalle donne della Resistenza: “Noi Donne”
che esiste ancora oggi. Erano le donne che spesso dovevano scriverlo,
stamparlo e diffonderlo, ed ebbe una funzione importante di orientamento
e mobilitazione per tante altre donne. Le “staffette” si occupano, tra
l’altro, della cura dei partigiani feriti, poiché non sempre è possibile
ricoverarli in ospedale.
Si occupano dei contatti con le famiglie dei combattenti e dei carcerati. In
definitiva le “staffette” hanno svolto varie e molteplici mansioni, che
risultarono spesso decisive per la vita delle stesse brigate partigiane.
Mansioni in apparenza semplici, ma che in realtà richiedevano
intelligenza, prontezza e attenzione, si correva il rischio dell’arresto, delle
torture e della morte.
Alla fine della guerra, dai documenti del Ministero della Difesa, e vorrei
citarli perché forse sono poco conosciuti, si hanno queste cifre e questi
dati:
 2.500 cadute o fucilate;
 35.000 riconosciute partigiane combattenti;
 20.000 patriote;
7




512 commissarie di guerra;
2.750 deportate;
2.653 arrestate e torturate;
19 insignite di Medaglia d’Oro al valor militare; numerose di
Medaglia d’Argento;
 70.000 furono le donne che aderirono e lottarono nei gruppi di
Difesa della Donna
 un’organizzazione che riuscì a mobilitare migliaia di donne nella
Resistenza, per l’assistenza ai “Volontari della Libertà”.
 Questa organizzazione unitaria di massa diede un grande aiuto alle
brigate partigiane.
La prima conseguenza di questo grande e indispensabile contributo alla
liberazione dal nazifascismo fu la conquista al diritto di voto, deciso dal
governo del Comitato di Liberazione Nazionale, quando ancora la guerra
non era finita.
Un diritto che non rappresenta un regalo, ma il giusto riconoscimento
dell’insostituibile apporto fornito alla lotta di Liberazione. Abbiamo poi il
2 giugno ’46. Per la prima volta nella storia d’ltalia le donne votano, nel
referendum “repubblica o monarchia”, e vince la repubblica! Abbiamo
ragione di ritenere che siano state tante, soprattutto al nord le donne che
hanno scelto la repubblica. Sempre nel 1946 si apre la fase costituente,
l’assemblea di coloro che redigeranno la Carta costituzionale. In questa
assemblea vengono elette 21 donne. La presenza delle donne nella
Costituente, con alle spalle la partecipazione alla lotta di Liberazione e la
conoscenza diretta della condizione femminile, è stata senz’altro decisiva
nella formulazione degli articoli, nei quali vengono stabilite norme di
parità tra uomini e donne. Ne cito solo alcuni, ma sarebbero più numerosi:
l’articolo 3, che stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociali;
l’articolo 37, sulla parità di salario tra uomo e donna; l’articolo 41, per
l’accessibilità delle donne agli uffici pubblici e alle cariche elettive.
Ho citato solo questi tre articoli,ma nel complesso la Costituzione è la più
grande conquista democratica e di libertà che gli uomini e le donne che
hanno preso parte alla Resistenza hanno ottenuto per tutti gli italiani. E
decisiva è risultata la presenza delle donne.
Ricordiamo le conquiste più significative del dopoguerra, in conseguenza
della lotta della Resistenza, ottenute mediante lotte incessanti e con
manifestazioni popolari unitarie.
Noi riteniamo che tutte queste leggi siano state anche il risultato della lotta
nella Resistenza, perché già allora noi lottavamo per la libertà e la
democrazia del nostro Paese, ma rivendicavamo sin da allora, per le
donne, un avvenire diverso, una posizione uguale agli uomini, nella
famiglia, nella società e in tutte le leggi. Seguì poi l’approvazione di altre
leggi, che cito soltanto: sulle pari opportunità; le pensioni alle casalinghe;
il divorzio; la tutela della maternità; l’interruzione volontaria della
gravidanza, la legge 194 . Concludo il mio intervento dicendo che
sappiamo, che in questo momento, sono in atto tentativi revisionisti per
cancellare il passato, per rinnegare gli ideali della guerra di Liberazione e
della Costituzione, pietre miliari su cui invece si dovrebbe marciare
speditamente verso il futuro. Marzo 2008
Con questo intendiamo far capire che quanto abbiamo vissuto, sofferto,
conquistato, non vada perso, ma diventi patrimonio prezioso per le
generazioni future.
Onorina Brambilla Pesce, marzo 2008
Da Patria Indipendente n. 1/2010
(segnalato da: Barbara Mangiapane)
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2026
Siamo proprio sicure? (di Maria G. Di Rienzo)
L’aggeggio si chiama “Siamo sicure!” ed è un’applicazione per
smartphone, ma più ci penso meno io sono sicura che si tratti di una buona
idea. Non tanto per le possibilità di “lanciare un allarme sonoro, di
accendere una torcia, di chiamare il 112 o un altro numero di emergenza
che si è memorizzato, di inviare un sms (…) con la propria posizione” (La
Stampa, 25.1.2014), anche se alcune di queste funzioni non dovrebbero
aver bisogno di un’applicazione specifica e anche se sembrano indicazioni
più utili a un militare di stanza in Afghanistan che a una donna qualsiasi.
E’ proprio il decalogo dei “comportamenti ritenuti sicuri da adottare per
prevenire e contrastare situazioni di pericolo e potenziale violenza” che mi
lascia perplessa. L’articolo succitato dice che l’applicazione è gratuita,
sviluppata dalla società Kulta con il patrocinio del Comune di Firenze, e
che l’idea è di Telefono Rosa – un’associazione pioniera nel campo del
contrasto alla violenza di genere, per cui io nutro profondissima stima: e
questo è il motivo che mi rende ancora più perplessa. I consigli, infatti,
sono in gran parte irricevibili – di quanto sia irricevibile il loro sfondo dirò
poi – e mi stupisce che chi ha prodotto l’applicazione non l’abbia notato:
una esce di casa e deve…
1)
2)
3)
“stare attenta alle persone raggruppate senza un apparente
motivo”. Quindi per caso? E io come faccio a determinare se
hanno un motivo o no? Quanto sono sospetti un gruppo alla
fermata dell’autobus o un gruppo di amici/amiche che ne aspetta
un altro per strada? E mettiamo che io trovi sospetto un gruppo
di persone, ma che come prima il posto dove devo andare
comporti il passare accanto ad esse senza possibili alternative,
ripeto tutta la tiritera con il telefono “intelligente”?
“notare l’atteggiamento delle persone nei locali, cercare le
eventuali uscite, munirsi di oggetti di difesa come uno spray
urticante, una penna o un mazzo di chiavi” e “tenere la guardia
alta soprattutto nelle attività di routine durante le prime ore della
mattina o la sera tardi”. Guardate, se andare al bar o in una
discoteca o allo spettacolo e andare al lavoro o a fare la spesa o
a prendere il bambino a scuola, comporta una preparazione
all’assalto ed è l’equivalente dell’addentrarsi in zona di guerra,
forse c’è un problema a monte che non riguarda i nostri
comportamenti, ma quelli altrui.
4)
“verificare di non avere qualcuno alle spalle quando si avvicina
al portone di casa, non attardarsi ad entrare magari cercando
nella borsa le chiavi”. Questa è la migliore del mazzo (di
chiavi). Visto che non posso attardarmi a cercare le chiavi, se
nessuno è in casa per aprirmi il portone immagino che dovrò
rapidamente sfondarlo a calci o arrampicarmi veloce veloce su
per il muro sino alla mia veranda, che però non è aperta (ci
mancherebbe che mi rendessi responsabile di tanta leggerezza
dopo aver digerito i consigli per essere “sicura”) perciò sfonderò
in un lampo anche quella. Viva Wonder Woman!
5)
D’altronde è “importante fare sport per poter essere pronte alla
fuga in situazioni a rischio”, chi se ne frega se sei anziana, se sei
disabile, se dello sport non te ne può fregare di meno o se
vorresti farlo quando e come ti va, e non per prepararti al tentato
stupro.
6)
8
“stare attenta al livello di illuminazione delle strade, evitando le
vie deserte”: ma se per andare al lavoro, all’ospedale, a casa,
non ho altro percorso disponibile cosa faccio, volo? Ok, accendo
la torcia, l’allarme sonoro (per la delizia del vicinato) e mando
un sms preventivo a zia Ursula: “Attenzione, sono a 100 metri
da casa, il lampione (porca miseria) è ancora fuori uso, ma
quando l’ho segnalato al Comune invece di ripararlo mi hanno
regalato l’applicazione per lo smartphone!”
“in città guidare sempre con la sicura abbassata e sui treni o in
metro evitare gli scompartimenti vuoti. Buona regola è anche
non leggere, non ascoltare musica o distrarsi con il cellulare”.
Per non farla troppo lunga, tutti i consigli si potrebbero riunire
in un’unica raccomandazione, che fa parte dello sfondo di cui
parlavo prima: vivi ogni momento della tua vita in costante
allarme e tensione, perché la responsabilità di quel che ti
accadrà se non lo fai è tua.
In altre parole, lo stupratore o l’aggressore non ha niente a che fare con le
proprie azioni e scelte, sono le tue azioni e le tue scelte che devono essere
vigilate, ed è la tua libertà di movimento che deve essere ristretta. Per la
tua sicurezza, certo. Mi si dirà: “Ma delle donne sono assalite in vicoli bui,
durante la notte!” Sì, però questo non significa che ogni violenza sessuale
è accaduta in uno scenario simile, ad opera di uno sconosciuto: in effetti
questa è l’altra parte del fondale, quella che disegna la violenza come
perpetrata pressocchè esclusivamente da estranei, ma purtroppo la
maggior parte della violenza subita dalle donne proviene da persone che
esse conoscono. I due terzi, per essere più precisi. Sono due terzi composti
da parenti, amici, colleghi, partner o ex partner, che picchiano e violentano
in situazioni assai più comode e premeditate della strada buia o
dell’incontro occasionale in metropolitana, e a cui – per via dei legami che
con loro abbiamo o abbiamo avuto, o perché sono i padri dei nostri figli,
ecc. – a volte siamo leggermente riluttanti a infilare la penna biro
nell’occhio.
Inoltre, non ha per nulla un effetto rassicurante il sentirsi ripetere che ogni
angolo scuro nasconde il predatore pronto all’assalto e che è mio dovere
guardarmi di continuo alle spalle ed evitare chiunque incroci la mia strada.
Non mi sento meglio ad essere qualificata come bersaglio ambulante. Mi
sarei sentita meglio se il Comune di Firenze avesse individuato come
punto focale il consigliare qualcosa ai potenziali aggressori e non alle
potenziali vittime, ed investito nell’educazione al rispetto e al consenso,
anche con piattaforme informatiche e applicazioni per cellulari, se
preferisce: Hollaback, Harassmap, Everyday Sexism, Everyday Victims’
Blaming, Blank Noise, ecc. lo stanno già facendo in giro per il mondo.
Maria G. Di Rienzo
(fonte: LunaNuvola's Blog - il blog di Maria G. Di Rienzo)
link: http://lunanuvola.wordpress.com/2014/01/29/siamo-proprio-sicure/
Notizie dal mondo
America Latina
Cosa succede in Venezuela (di Stefano Femminis)
Da un mese si moltiplicano in Venezuela scontri di piazza che hanno
provocato almeno 15 morti, numerosi feriti e diversi danni materiali. Sullo
sfondo, una profonda crisi economica e sociale. Abbiamo chiesto a Jesús
María Aguirre, gesuita, direttore del Centro Gumilla, prestigioso istituto di
studio e azione sociale retto dai gesuiti, di spiegarci sia le cause immediate
sia quelle profonde di queste tensioni.
«Alla fine di gennaio - spiega Aguirre - sono iniziate alcune proteste
studentesche in università pubbliche e private - a eccezione di quelle
bolivariane, controllate direttamente dal governo - negli ospedali e in altri
spazi pubblici. Gli studenti protestavano contro il clima di crescente
insicurezza nel Paese. Il Venezuela ha uno dei più alti tassi di violenza in
America Latina. Secondo l'Osservatorio venezuelano sulla violenza, il
2013 si è chiuso con 24.763 morti violente. La dura repressione nella
Universidad de Los Andes, nello Stato di Táchira, con l'arresto di tre
studenti, è stata la scintilla che ha innescato proteste in altri centri
universitari del Paese, su nuovi temi: dalla mancanza di investimenti al
blackout informativo sulla protesta stessa imposto ai media dal governo».
Chi sono i principali responsabili delle violenze?
Come succede spesso in situazioni simili, manifestazioni inizialmente
pacifiche vengono poi infiltrate da attori politici interessati a manipolare e
polarizzare le proteste. Questa escalation di violenza va imputata alle
fazioni radicali di entrambi gli schieramenti. Da un lato, c'è chi non
riconosce l'attuale governo come legittimo, per varie ragioni (la presunta
nazionalità colombiana del presidente, brogli elettorali, deriva autoritaria,
ecc.), e arrivano a giustificare qualsiasi metodo di protesta, anche quelli
antidemocratici.
Dall'altro lato, si cerca di soffocare il movimento di ribellione utilizzando
le forze di sicurezza, infiltrando le manifestazioni o attaccando le stesse
con gruppi paramilitari chiamati "collettivi". Si sono registrate vittime da
entrambe le parti, ma va detto che la maggior parte sono state causate
dalla repressione del governo e dai "collettivi".
Quali sono le cause più profonde delle tensioni?
Le proteste studentesche hanno a che fare con il crescente malcontento e
la disperazione della classe media , ormai impoverita da un'inflazione
superiore al 50% - e dal fallimento di molte piccole e medie imprese
private. È difficile infatti sopravvivere a leggi sul lavoro soffocanti, senza
accesso alla valuta estera e non potendo di fatto importare nulla a causa
del controllo sul cambio imposto arbitrariamente dal governo.
A questi fattori si aggiunge la componente politica, poiché la maggioranza
dei venezuelani rifiuta il modello cubano e, nonostante la sconfitta della
modifica costituzionale proposta da Chavez nel 2007 di carattere
sostanzialmente comunista, il governo cerca di imporre tale modello
attraverso leggi delega che permettono al presidente di legiferare su quasi
qualsiasi argomento.
In tutto ciò quali sono le responsabilità del successore di Hugo Chávez, il
presidente Nicolás Maduro?
Tutti ammettono che Maduro non ha il carisma del defunto Chávez. È una
figura che si regge sull'investitura personale ricevuta dallo stesso Chávez
con il consenso dei fattori cubano-castristi inseriti nella macchina statale.
Nelle ultime elezioni c'è stato un esborso economico che ha contribuito a
svuotare le casse nazionali solo per far vincere Maduro e, nonostante la
vittoria sia stata risicata e molto contestata, a livello internazionale la sua
presidenza si è consolidata grazie alle partnership con alleanze regionali
come Alba, Mercosur e Unasur, e l'appoggio di Cina e Russia.
Tuttavia, l'eredità economica di Chávez non è sostenibile e l'aumento
esorbitante del debito, unito alla riduzione delle riserve valutarie
internazionali, non permette a Maduro di attenuare gli effetti negativi di
alcune nazionalizzazioni che hanno indebolito la produttività di industria e
agricoltura. Il «socialismo del XXI secolo», con le sue promesse di
indipendenza e sovranità alimentare, in un decennio ha fatto crescere le
importazioni alimentari dal 65% del fabbisogno a oltre l'80% e non riesce
a rifornire il mercato interno con i prodotti di base come farina, olio, carta
igienica.
Le carenze dovute al crollo della produzione toccano le tasche di tutti,
poveri e ricchi, anche se questi ultimi ovviamente ne risentono di meno.
Questo diffuso malcontento è in parte controbilanciato dalla crescita
esponenziale dei dipendenti pubblici, che hanno formato una massa
clientelare se non entusiasta, almeno favorevole al governo: se in
Colombia la pubblica amministrazione rappresenta il 3,9% degli occupati
e in Perù l'8,4 %, in Venezuela abbiamo raggiunto il 19,6%. Tuttavia
anche questa classe media o medio-bassa è colpita dall'inflazione.
Inoltre, la riduzione delle risorse per le cosiddette «Missioni sociali»
(Mercal para alimentos, Barrio Adentro para la salud - supportata dai
cubani -, Misión Vivienda, ecc.), che aiutavano in particolare baraccopoli
e settori popolari, ha indebolito l'influenza dello Stato. Tuttavia permane
l'idea di un regime che riconosce e difende gli interessi degli esclusi,
nonostante il suo carattere sempre più autoritario e militarista.
Intravede una possibile via di uscita condivisa e non violenta?
Purtroppo permane la polarizzazione politica con l'obiettivo di annientare
l'avversario e di ottenere l'egemonia. Nel suo linguaggio il presidente
Maduro, anche quando chiama al dialogo, continua a stigmatizzare
avversari come borghesi, nemici della patria e golpisti. A sua volta parte
dell'opposizione, in un anno non elettorale quale è il 2014, è tentata di
trovare scorciatoie per un cambio di governo, senza darsi il tempo per
consolidare le basi sociali per un progetto alternativo.
Si diffondono approcci costruttivi su problemi specifici come la sicurezza
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o la salute, ma questo avviene tra attori che non si identificano in nessuna
delle fazioni politiche in campo. Di fatto, la maggior parte della
popolazione chiederebbe un'intesa nazionale, ma non ci sono mediatori in
vista.
Non potrebbe essere la Chiesa cattolica venezuelana a svolgere questa
mediazione?
In primo luogo, occorre tenere presente che circa il 75% della popolazione
venezuelana è cattolica, almeno culturalmente, e che ci sono cristiani in
tutte le classi sociali e schieramenti politici. Sebbene il governo abbia
cercato di approfondire la divisione tra gerarchia anti-rivoluzionaria e
cattolicesimo popolare, la Chiesa mantiene un'elevata credibilità rispetto
ad altre istituzioni.
La posizione della gerarchia si è manifestata attraverso due dichiarazioni
ufficiali della Conferenza episcopale venezuelana che si riassumono nella
seguente proposta: «Chiediamo ai leader di tutti i partiti e gruppi, sociali e
politici, che incoraggino i loro simpatizzanti a contribuire con il loro
comportamento e le loro parole ad allentare le tensioni, a riconoscere gli
avversari e a cercare la riconciliazione. Sia forte il proposito di costruire la
pace e prevenire qualsiasi manifestazione violenta che possa rompere la
convivenza pacifica tra tutti i cittadini» (14 febbraio 2014).
Anche se alcuni leader, soprattutto di opposizione, propongono la
mediazione della Chiesa, difficilmente il governo le riconoscerà questo
ruolo, essendo stata negativamente segnata da uno sfortunato intervento
del cardinale Velasco nel tentato colpo di Stato dell'aprile 2002.
Ci sono poi singoli pastori che si sono pronunciati, come il vescovo di San
Cristóbal - luogo dei primi tumulti - e l'arcivescovo di Maracaibo, il primo
con un tono più conciliante e il secondo più critico. Ci sono state
numerose altre comunicazioni, provenienti da istituzioni cattoliche,
anzitutto dall'Università Cattolica Andrés Bello, e di altre organizzazioni
vicine alla Chiesa: in tutte c'è il riconoscimento della legittimità delle
proteste studentesche, la richiesta di tutelare i diritti umani e l'appello a un
dialogo nazionale.
Per quanto riguarda il Centro Gumilla, con la nostra rivista Sic e
attraverso la Rete di azione sociale della Chiesa cerchiamo di contribuire
alla depolarizzazione politica, al dialogo per la ricerca del consenso e, in
ultima analisi, a creare un clima di riconciliazione. Crediamo che senza
trattative e senza accordi il Paese rischi di andare in rovina. E la
ricostruzione , soprattutto istituzionale, durerebbe parecchi anni, anche se
il petrolio mantenesse un buon prezzo... In un numero speciale di Sic, che
ha appena celebrato il suo 75° anniversario, proponiamo ulteriori vie di
uscita.
Stefano Femminis
(fonte: Popoli - Webmagazine internazionale dei gesuiti)
link:
http://www.popoli.info/EasyNe2/Primo_piano/Cosa_succede_in_Venezuela.aspx
Ucraina
Rivolta in Ucraina, un gesuita racconta (di Popoli Webmagazine internazionale dei gesuiti)
Il superiore dei gesuiti in Ucraina, David Nazar, riferisce delle ultime due
tragiche giornate di scontri a Kiev, in cui sono morte decine di persone, e
della situazione a Leopoli. Denuncia con forza le responsabilità
governative in questa escalation della violenza, mentre le Chiese,
compresi gli ortodossi legati a Mosca, sono vicine ai manifestanti.
I gesuiti a Kiev e a Leopoli stanno dando aiuto come possono. Nonostante
la violenza del 20 febbraio o, meglio, a causa di essa, il sostegno al
presidente Yanukovich si sta sgretolando. Non ha mai avuto un forte
appoggio, ma in base alla Costituzione e attraverso la corruzione ha un
potere enorme. Oggi, tuttavia, le cose stanno in modo del tutto diverso.
Iniziamo dal 19 febbraio.
Il ministro degli Interni, che controlla le varie forze di polizia, ha
dichiarato pubblicamente che non ci sarebbe stato un assalto al maidan e
nessuno Stato di emergenza, nonostante indiscrezioni contrarie che sono
trapelate. Mentre tutti i parlamentari erano riuniti, incredibilmente è
iniziato un attacco. Le forze speciali hanno circondato la piazza (maidan)
e chiuso tutti gli accessi da una decina di strade diverse, perché la gente
accorre quando si presenta una minaccia. L'amministratore della città, che
non è il sindaco ma è nominato direttamente dal presidente, ha deciso in
modo illegale di chiudere tutte le linee della metropolitana. La polizia
locale ha creato posti di blocco sulle principali strade che portano a Kiev,
perché la gente viene da tutto il Paese quando c’è una minaccia.
Tutti i treni provenienti dall’Ucraina occidentale, centrale e settentrionale
sono stati ritardati mentre la polizia perquisiva i passeggeri “per le bombe
nelle loro ceste di verdura”. Uno dei nostri giovani gesuiti era tra questi
viaggiatori. La situazione era assurda e i poliziotti ridevano imbarazzati,
ma aveva l’ordine di farlo. Gli abitanti di Kiev hanno sfondato la barriera
di polizia e in poco tempo si sono radunate circa 20mila persone nella
piazza. La polizia ha usato costantemente pistole elettriche, ordigni
assordanti, bombe molotov, cannoni ad acqua e fucili. La gente fa tre cose
ogni volta che questo accade: dà fuoco a pneumatici per creare fumo e
ridurre la visibilità, lancia ciottoli che stacca dalla strada e scaglia molotov
da una certa distanza. Le telecamere riprendono costantemente gli eventi e
non si è mai vista un'arma da fuoco nelle mani dei manifestanti,
nonostante le dichiarazioni del governo in senso contrario.
Quando la polizia ha sfondato alcune barricate, i manifestanti disarmati
sono fuggiti spostandosi verso il centro. Nella loro ritirata sono stati
colpiti e uccisi in strada. Il ministro dell’Interno ha dichiarato
solennemente che le forze speciali e la polizia non hanno armi da fuoco.
Le telecamere mostrano chiaramente che fanno più volte fuoco.
L'ospedale ha riferito che dei primi 25 morti, 19 erano stati uccisi da armi
da fuoco. Le uniche persone che sparavano erano le forze speciali. Le
telecamere hanno mostrato i bossoli, alcuni inesplosi. Poi il ministro ha
dichiarato che i manifestanti stavano sparando contro altri manifestanti per
gettare cattiva luce sul governo. Osservando le riprese e date le verifiche
compiute dai medici, oltre ad altre chiare prove, viene da pensare che il
governo dovrebbe confezionare menzogne più convincenti o fornire
un’altra scusa per l'utilizzo di munizioni reali.
Riferisco tutto questo, perché è così assurdo e spiega cosa sta accadendo. I
diplomatici lo vedono: camminano nella piazza, come tutti, ricevono le
notizie in Tv e su internet, come tutti; e poi, increduli, ascoltano ciò che
dice il governo.
La notte del grande attacco, il principale canale di notizie è stato oscurato
in tutto il Paese. Questa stazione mantiene telecamere in diretta dalla
piazza. Tutte le altre stazioni televisive erano in funzione. Questa stazione
Tv se lo aspettava e dopo un po’ di confusione ha trovato un modo
alternativo per trasmettere in diretta dalla piazza. Ci sono code di
automobili lunghe chilometri sulle autostrade che portano a Kiev bloccate
da mezzi pesanti. Il motivo ufficiale sarebbero alcuni ingorghi, secondo
quanto riferisce con un sorriso imbarazzato la polizia stradale, nessuno
riesce a nascondere le bugie. Il 20 febbraio il governo ha fatto sapere che i
binari ferroviari tra l'Ucraina occidentale e Kiev avevano bisogno di
riparazioni e i treni non potevano viaggiare. Il presidente ha adottato lo
Stato di emergenza senza dichiararlo formalmente.
Il giorno prima, 26 membri del suo stesso partito (Partito delle Regioni)
hanno noleggiato un aereo per Vienna. In questo modo non possono
approvare ulteriori idiozie da lui proposte. Un membro del partito ha detto
che ogni voto richiesto veniva pagato 10mila dollari.I principali oligarchi
che controllano circa il 30% del partito hanno preso pubblicamente
posizione contro di lui. Tuttavia, la Costituzione e il sistema di corruzione
assegnano al presidente tanto potere da rendere difficile un cambiamento
secondo le leggi.
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In linea di principio, tutti sanno queste cose e molto altro. Allora, che cosa
fare? Attendere una soluzione pacifica? Dopo le sparatorie di ieri, gli
attacchi e le menzogne pubbliche, quali opzioni esistono? Un altro
membro del partito ha dichiarato che ogni ordine proviene dal presidente.
Anche l’intelligentissimo ministro dell’Interno ha detto di non avere
ordinato alle forze speciali di attaccare. A tutti i livelli di governo ci sono
persone contrarie a ciò e lasciano trapelare informazioni: gli attacchi
imminenti, chi dà gli ordini, quali armi vengono usate, ecc. La nave del
presidente fa acqua da tutte le parti. La maggior parte dei manifestanti
vuole aspettare con pazienza e pacificamente, ma alcuni stanno perdendo
la pazienza e la fiducia nella prospettiva di un dialogo di fronte alle troppe
menzogne.
Quando si chiede perché il governo farebbe questo, bisogna circoscrivere
alla domanda al presidente e alla sua cerchia di 4-5 ministri che hanno
accumulato miliardi illegalmente. Possono immaginare solo di
imprigionare o uccidere l’opposizione. Qualsiasi compromesso che si
traduca in una riduzione del potere, per loro significherebbe perdere
ricchezza e finire in carcere. Non avendo fatto in precedenza una piccola
concessione, Yanukovich si è messo con le spalle al muro. È circolata una
voce che volesse lasciare l’incarico e il Paese. Quindi non si tratta del
governo nel suo insieme, che in sé non è un gruppo di alto profilo morale,
ma di pochi che detengono la ricchezza, della polizia e di delinquenti di
strada - e questo la dice lunga. I teppisti pagati hanno iniziato a vestirsi
con i colori dei manifestanti e vagare per la città di notte. Hanno dato
fuoco a una cinquantina di auto di manifestanti parcheggiate sotto casa. La
notte del 18 hanno ucciso un giornalista che dava informazioni che non
piacevano al governo. Ci sono testimoni e ciononostante il governo non
reagisce.
Anche i più impazienti o radicali tra i manifestanti hanno fatto alcune
cose. In primo luogo, e perlopiù pacificamente, hanno occupato edifici
della polizia e uffici amministrativi presidenziali in tutto il Paese. In alcuni
casi, hanno distrutto queste proprietà, ma solo queste. Si è trattato di atti di
sfida contro il presidente in persona. Ciò che è interessante è che altri
manifestanti cercano di impedire ulteriori danni. In diversi casi hanno
circondato gli edifici della polizia, chiedendo agli agenti di uscire e andare
a casa, cosa che la polizia ha fatto pacificamente senza incidenti. Diversi
responsabili regionali nominati dal presidente si sono dimessi subito dopo
l’escalation della violenza. Altri sono stati costretti a dimettersi dalla gente
del posto. A Leopoli, il sindaco ha chiesto ai manifestanti di organizzare
ronde notturne per impedire che si compissero atti sconsiderati. Uno dei
nostri gesuiti prende parte a queste ronde, che perlustrano i quartieri dove
ci potrebbero essere rischi per edifici come il Consolato russo, banche o
centri commerciali di proprietà di membri del partito del presidente. È
davvero impressionante vedere l’orgoglio civico e il senso di
responsabilità al posto della polizia: il Paese ha un anima e la gente la fa
propria.
Non sono mai stato in un Paese dove vi è una tale devozione per l’anima
della nazione. Forse perché qui è stata vissuta tanta sofferenza, è stato
versato sangue, c’è stata tanta repressione e la sofferenza di uno diventa di
tutti. È il motivo per cui la gente accorre nel maidan. Uno sta accanto
all’altro, rischiando la vita per l’Ucraina, la terra, l’unità nazionale, la
fratellanza, ecc. Nel maidan si ripetono preghiere e l'inno nazionale, capita
di ascoltarlo anche cento volte al giorno. I sacerdoti rimangono con la
gente in piazza. Eparchie e diocesi invitano a pregare ogni ora in tutto il
Paese. Sono stati proclamati giorni di digiuno e anche la Chiesa ortodossa
russa in Ucraina (sotto il Patriarcato di Mosca ) ha preso posizione contro
il governo. Questo è un fatto raro. Non ci sono sacerdoti con le truppe dal
momento che queste fanno la loro comparsa con autobus nei momenti
degli attacchi. I sacerdoti si sono avvicinati agli agenti quando erano
schierati e hanno pregato davanti a loro. Anche il papa ha espresso una
preghiera di sostegno al Paese e contro la violenza. La notizia è circolata
ovunque ed è stata più volte ripetuta in televisione.
La Chiesa offre una voce di equilibrio e moderazione, contro il male e per
una risoluzione pacifica attraverso il dialogo. Questo è ciò che vuole la
maggioranza, ma la tentazione è di perdere la pazienza. La voce della
Chiesa rimane forte. Le richieste del popolo non sono solo per un qualche
concetto ideologico di democrazia, ma esiste una corruzione endemica e
una manipolazione ai più alti livelli di governo che mantengono la gente
povera. Si nega la giustizia, si emettono condanne su basi discutibili e si
limita lo sviluppo economico. Nelle carceri ci sono 150mila persone, tre
volte più della media europea. 38mila sono in attesa di giudizio, alcuni da
dodici anni. Il 95 % di essi soffre di epatiti. Questo tipo di statistiche si
riscontra in diversi ambiti. Non esiste un piano, ideologia, visione di un
bene superiore o qualsiasi ideale che guidi il presidente e i suoi amici.
Nella Città di Dio, sant’Agostino parla di singoli credenti che fanno la
differenza attraverso il comportamento personale. In Ucraina, questo
sforzo è collettivo: il sistema deve migliorare per tutti o per nessuno. E
ancora una volta, la battaglia è contro una forma di male: furto,
ingiustizia, falsità, omicidio, ecc. Agostino dice che il male non può essere
razionalmente compreso, come in questo caso. Non c'è una spiegazione
per certe azioni e per la mancanza di azioni corrette, da parte del
presidente, se non la paura.
Il 19 febbraio è stato il giorno più tragico di tutti questi tre mesi. Almeno
26 sono state le vittime, di cui 19 uccise dalle forze speciali. Il presidente,
citando solo per la seconda volta da novembre la perdita di vite umane, ha
proclamato un giorno di lutto ufficiale, che ha coinciso con l’arrivo di tre
ministri degli Esteri europei. La giornata prometteva di essere più calma,
ma al mattino le truppe hanno attaccato il maidan. Cecchini erano
appostati sui tetti e sparavano liberamente tra la folla. Sembra che ci siano
stata subito un’altra ventina di morti uccisi e altri dieci nel corso della
giornata. Una telecamera mostra i cecchini mentre sparano. I medici
hanno verificato che i colpi hanno raggiunto testa, torace e cuore: azioni
da professionisti. Come si spiega che un tale ordine sia stato dato in un
giorno di lutto nazionale, mentre arrivavano alti rappresentanti stranieri? È
irrazionale.
Un altro elemento che non è stato ancora provato, ma la cui evidenza
prende sempre più corpo, è che i cecchini e le forze speciali vengano dalla
Russia. Un certo numero di persone che sono state rapite e picchiate
affermano che veniva parlato loro in russo con l’accento della Russia e
mai in ucraino. Questo ha un senso: gli ucraini detestano farsi del male,
anche su ordine del governo. Durante la Rivoluzione arancione del 2004,
in cui Yanukovich fu sconfitto, la polizia, le forze di sicurezza e l’esercito
rifiutarono pubblicamente di combattere contro il gente. Dichiararono che
erano dalla parte del popolo e non del governo. Yanukovich non perdonò
mai la Rivoluzione arancione e, quando nel 2010 è diventato presidente, le
sue guardie del corpo personali sono arrivate dalla Russia, causando
notevole scandalo. Ancora una volta, ha paura e non si fida dei suoi. È del
tutto credibile, perciò, che l'unico modo in cui potrebbe ottenere che le
truppe sparino sul “proprio popolo” è di portare forze speciali russe.
Diverse divisioni delle forze speciali ucraine si sono rifiutate di lasciare le
loro guarnigioni regionali per venire a Kiev e combattere. Circa un
centinaio di militari il 20 febbraio si sono recati nel maidan disarmati,
dicendo di stare con la gente e di non voler ricevere ordini dal presidente.
La presenza russa non deve essere intesa come una diretta interferenza
della Russia, ma come una decisione di Yanukovich di fare affidamento
sulle truppe di cui si può fidare e che può pagare generosamente. Tuttavia
getterà una macchia pesante sulla Russia quando la verità verrà a galla.
Ora è importante pregare e digiunare. Sacerdoti guidano regolarmente la
preghiera nel maidan. Penso che ora, con tante defezioni nel partito del
presidente, ci sarà una svolta. La Francia ne ha chiesto le dimissioni e
credo che se l'Unione europea e gli Stati Uniti insisteranno con le
sanzioni, questo avverrà.
(fonte: Popoli - Webmagazine internazionale dei gesuiti)
link:
http://www.popoli.info/EasyNe2/Primo_piano/Rivolta_in_Ucraina_un_gesuita_racc
onta.aspx
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Associazioni
Documenti
Come sono usate le risorse nel progetto SPRAR
Lunigiana (di ARCI Massa Carrara)
L’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea nel quale la materia dell’asilo
non è disciplinata in maniera organica. Questo ha comportato difficoltà in
questi anni non solo per i richiedenti asilo e rifugiati, ma anche per gli
stessi operatori chiamati ad applicare una normativa lacunosa e talvolta
contraddittoria, di fronte a situazioni come quelle dell'Emergenza Nord
Africa.
Come ARCI continuiamo a chiedere una legge organica in materia di
asilo, da inserire nel contesto più ampio della normativa sugli stranieri, e
continuiamo a ricordare gli obblighi internazionali assunti dall’Italia in
base alla Convenzione di Ginevra e alla Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Da questo punto di vista la creazione della rete Sistema Protezione
Richiedenti Asilo Rifugiati (SPRAR) e la sua crescita nel tempo - pur non
costituendo in assenza di un intervento legislativo organico la risoluzione
del problema - è per noi un fatto positivo di gestione di questa tematica,
anche a fronte di alternative sicuramente peggiori, quali una più lunga
permanenza nei Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA).
Le risorse investite nei progetti di accoglienza locale del sistema SPRAR,
ci tolgono, infatti dalla situazione di emergenza e di spreco di denaro oltre che spesso di mancata tutela dei diritti - che si verifica in situazioni
come quelle del CARA di Mineo (Catania) dove a fronte di 2000 posti
disponibili, sono quasi 4.000 gli “ospiti” tra donne, uomini e bambini, in
un campo circondato da filo spinato e presidiato da forze dell'ordine ed
esercito. Una situazione in cui, tra l'altro, il rapporto con le associazioni, a
differenza che nello SPRAR, è inesistente.
I profughi ed i richiedenti asilo, purtroppo, continueranno ad esserci fino a
quando ci saranno situazioni di guerra, di violazione dei diritti e di
squilibrio nello sviluppo tra Nord e Sud del mondo. Anzi cresceranno.
Come ARCI crediamo che sia doveroso che il nostro paese abbia un
adeguato sistema di accoglienza e ad esso dedichi risorse economiche e
competenze.
Altrettanto doveroso riteniamo in una fase di grande sofferenza sociale,
che qualcuno cerca di utilizzare per rompere quella solidarietà che
andrebbe invece rafforzata, garantire la massima trasparenza sull'utilizzo
delle risorse destinate al progetto SPRAR. Tanto più vista la natura
pubblica delle risorse impiegate.
Vogliamo iniziare dal funzionamento dell’amministrazione dei fondi, tema
che, in questo momento di grave crisi economica e difficoltà delle
famiglie e di molti cittadini, riteniamo particolarmente sensibile.
Il Ministero stanzia 35 euro al giorno per ogni assistito dal programma
(Fondo per le politiche ed i servizi dell’asilo) per un totale, qui in
Lunigiana, di 558mila e 906 euro per tre anni.
Il finanziamento può essere usato solo per le voci di spesa indicate come
ammissibili dal Ministero: le spese in questione sono quelle relative ai
servizi, alla gestione e al buon funzionamento del progetto.
Ad esempio:per l’ accoglienza materiale ci sono le spese relative alle
abitazioni (affitti, cauzioni, bollette, spese di allestimento degli
appartamenti, spese di manutenzione e risistemazione periodica degli
alloggi -che devono essere monitorati costantemente ed avere sempre un
buon livello di decoro, gestione e vivibilità-,); spese relative al vitto e
relative alla persona (effetti personali, scarpe, indumenti etc nota: per le
spese relative alla persona dal Servizio Centrale è ammesso in percentuale
l’uso di indumenti usati, le cui raccolte vanno quantificate e dichiarate. E'
un modo per raggiungere la quota di cofinanziamento che viene imposta
dal Ministero come obbligatoria per la presentazione del progetto.
Considerata l’alternanza degli ospiti e i cambi di stagione buona parte
degli indumenti/scarpe dovrà essere comunque acquistata. Lo stesso vale
per le spese di allestimento degli appartamenti: è ammesso l’uso di mobili
usati – se in buono stato e se garantiscono un allestimento decoroso degli
alloggi); spese per i trasporti ordinarie (ogni ospite deve avere garantita la
possibilità di muoversi agevolmente sul territorio per cui si dovranno
fornire abbonamenti di autobus e treno per gli spostamenti utili, insieme si
forniranno mezzi che possano usare per piccoli spostamenti in autonomia,
es biciclette) e spostamenti relativi all’iter giudiziario (viaggi alla
Questura di Massa, alla Prefettura di Massa; alla Commissione territoriale
di Torino, colloqui con i legali a Firenze); spese mediche non ordinarie
(non è raro che alcuni ospiti necessitino di visite specialistiche e di un
piano terapeutico non coperto dal SSN); corsi di lingua italiana (oltre
all’inserimento nei corsi sul territorio verranno attivati corsi interni con
insegnanti qualificati che li seguiranno proponendo un progetto di
apprendimento personalizzato relativo ai diversi livelli e necessità); costi
relativi al personale (operatori, mediatori culturali, insegnanti, operatori
legali, personale amministrativo) che è tenuto a garantire il buon
funzionamento del progetto e un supporto a 360 gradi degli ospiti; Pocket
Money (per le piccole spese personali ad ogni ospite vengono erogati 2,30
euro al giorno); spese per i documenti: sia per permessi temporanei che
definitivi: marche da bollo, fototessere, versamenti; carta di viaggo; spese
per l’uscita dal progetto: contributi per l’affitto ed interventi per agevolare,
nel primo periodo, la sistemazione alloggiativa autonoma.
Gli ospiti, come già specificato, non saranno fissi per i tre anni, ma, se
l’iter va a buon fine e c’è una risposta positiva, si avvicenderanno anche
ogni sei mesi, per cui alcune delle spese sopra citate vanno moltiplicate.
In ogni caso per avere un quadro di quello che dovrebbe essere il percorso
di accoglienza e il lavoro che si richiede agli operatori è forse utile e
consigliata una veloce consultazione del Manuale Operativo
perl’attivazione e la gestione di servizi di accoglienza e integrazione
perrichiedenti e titolari di protezione internazionale (scaricabile
agevolmente su internet)
Riguardo ai passaggi con cui viene regolamentata la gestione del
finanziamento possono riassumersi così: ARCI Regione Toscana
raccoglierà le fatture di spesa dagli operatori che gestiscono le case nei
nostri comuni, le invierà mensilmente in rendicontazione alla SdS
Lunigiana, SdS Lunigiana a sua volta le trasmetterà al Servizio Centrale
del Ministero che, una volta verificata l'ammissibilità delle spese
presentate, erogherà il corrispondente finanziamento alla Società della
Salute che a sua volta lo girerà ad ARCI Toscana in qualità di riaccredito
per le spese sostenute.
E’ possibile che i riaccrediti (che dovrebbero avere cadenza mensile) non
rispettino i tempi stabiliti, nell'eventualità ARCI Toscana, anche tramite un
fido con Banca Etica, potrà fare fronte alle spese giornaliere e correnti dei
centri.
Ovviamente nel contributo è calcolato l’interesse passivo che ARCI deve
riconoscere a Banca Etica.
E’ un po’ complicato, ma verificabile.
Una nota a parte: come possiamo vedere gran parte de finanziamento che
arriva dal Ministero e che viene utilizzato per questo importante, civile e
solidale progetto, resta sul territorio della Lunigiana e in particolare nei
comuni dove sono accolti i richiedenti asilo (cercheremo ad esempio di
appoggiarci, per le spese alimentari e non, sui market e negozi locali).
Molti soci dei circoli ARCI e delle associazioni che hanno dato la loro
adesione al progetto svolgeranno attività di volontariato per sostenere il
progetto, farlo crescere e farlo conoscere ai cittadini permettendo loro di
partecipare a una importante e civile esperienza.
Questo lo abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo a maggior ragione
oggi che abbiamo nei nostri comuni una concreta esperienza di
accoglienza, solidarietà e di incontro interculturale.
(documento a cura di ARCI Massa Carrara)
link:
http://sprarlunigiana.blogspot.it/2014/02/come-sono-usate-le-risorse-nelprogetto.html
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