circolazione polizze false Incontri pericolosi IN CRESCITA IL NUMERO DEI VEICOLI CHE CIRCOLANO CON UNA COPERTURA ASSICURATIVA TAROCCATA. SECONDO LE STIME, SAREBBERO CIRCA UN MILIONE. LE COMPAGNIE? DECLINANO LA RESPONSABILITÀ. E, IN CASO DI INCIDENTE, NON PAGANO di Marina Fanara P er le Forze dell’ordine è diventata una vera e propria “polizzafobia” che sta contagiando a macchia d’olio tutta la penisola: alterare contrassegni, truccare moduli, inventarsi di sana pianta contratti di responsabilità civile con società assicurative mai viste. Sono sempre più numerose le astuzie escogitate per gabbare le compagnie di assicurazione e contrastare il caro polizze. Per gli agenti il fenomeno sta assumendo dimensioni preoccupanti. Oggi si contano svariate centinaia di 10 migliaia di casi, secondo stime della Polstrada. Le assicurazioni rappresentano una delle due facce del capitolo “falso documentale”, sul quale il ministero dell’Interno ha lanciato l’allarme (la prima riguarda le finte patenti). Un problema “trasversale”, dicono gli investigatori, che fino a qualche anno fa era appannaggio pressoché esclusivo della malavita organizzata che opera nel campo del riciclaggio delle auto rubate, o di furfanti di piccolo calibro che vivono di espedienti ai margini della società. Oggi il ricorso a documenti assicurativi fuorilegge è comune a ogni strato della popolazione: stranieri e ita- liani, professionisti, impiegati, operai, residenti in ogni parte d’Italia. È facile procurarsi un’assicurazione falsa: chi non vuole perdere tempo a camuffare una polizza con le proprie mani, può acquistarla sottobanco a prezzi stracciati. Dove? Perfino nei bar. La Polizia sostiene che, ormai, lo smercio clandestino di polizze taroccate avviene in tutte le piazze d’Italia. La casistica delle Forze dell’ordine è sconcertante. Solo al Nord e solo negli ultimi mesi sono stati registrati svariati episodi che hanno visto protagonisti cittadini italiani al di sopra di ogni sospetto. Hanno provocato un incidente e poi sono scappati perché avevano in tasca una polizza falsa. Raccontano alcuni ispettori di Polizia di un magazziniere di trent’anni, di un autista quarantenne impiegato in una ditta di trasporti, di un sottufficiale della Marina Militare alle soglie della pensione, di un libero professionista di mezza età. Insomma, persone qualunque. Che però, compiendo questi illeciti, hanno messo a rischio la sicurezza degli altri: chi bara con le assicurazioni è un irresponsabile che non rispetta le regole del Codice della strada. E, come al solito, a rimetterci sono i cittadini onesti. Vediamo perché. che le assicurazioni aumentino le tariffe per coprire i costi. Nel giro di dieci anni i risarcimenti erogati dal Fondo vittime della strada sono aumentati di sei volte: nel 1997 sono stati 1.848 gli indennizzi pagati dall’Istituto per sinistri causati da veicoli senza assicurazione, nel 2006 sono diventati 12.124. I sinistri pagati nell’ultimo decennio dal mercato Rca, invece, sono diminuiti: da 4.432.331 a 3.676.375. Si chiede Dalmazio Jozidzija, responsabile del servizio gestione fondi della Consap (la Concessionaria servizi assicurativi pubblici che gestisce il Fondo): «Se le svariate centinaia di migliaia di veicoli che, secondo la Polizia, circolano con una polizza fasulla provocassero un incidente, come faremmo a pagare tutti i danni?». Omissioni di soccorso Il Fondo vittime della strada risarcisce chi ha avuto un incidente con un veicolo non assicurato o con assicurazione falsa. Ma solo se il danno supera i 500 euro. Il danno e la beffa Chi incappa in un incidente con un’auto non regolarmente coperta (cosa che equivale alla guida senza assicurazione) non prende un soldo di indennizzo e, se non ci rimette la vita, deve anche pagarsi da solo i danni subiti, gravi o lievi che siano. In questi casi infatti l’assicurazione, dopo aver appurato che il premio non è stato pagato, non riconosce alcun risarcimento. L’unica via per lo sventurato che ha avuto la sfortuna di avere a che fare con uno di questi imbroglioni è ricorrere al Fondo vittime della strada, ma solo se il danno subito supera i 500 euro di franchigia (sotto questa cifra, infatti, il Fondo non risarcisce nulla) e se ha la pazienza di seguire una lunga sequela di procedure burocratiche. Il Fondo è un istituto voluto dallo Stato proprio per tutelare i malcapitati coinvolti in sinistri provocati da un veicolo non assicurato o coperto da una polizza truccata. E dove prende i quattrini il Fondo? Dalle polizze versate alle assicurazioni e, quindi, dalle tasche dei cittadini che pagano onestamente il premio. Se aumentano i casi di sinistri con Rca taroccata, è lecito supporre quindi Che le malefatte in questo campo si ritorcano sull’intera collettività è una preoccupazione condivisa dalle Forze dell’ordine. «Le conseguenze di questi illeciti», dice Vincenzo Di Gregorio, responsabile della Divisione terza della Polizia stradale che si occupa di indagini, «sono gravi e molteplici». Di Gregorio elenca solo alcuni fatti che non lasciano presagire nulla di buono: aumento delle tariffe assicurative, tempi di risarcimento più lunghi (anche per via di un notevole ricorso al contenzioso), rischio che il rapporto automobilista-impresa assicurativa venga compromesso (le assicurazioni non sono molto propense a stipulare polizze nelle zone dove le truffe sono più frequenti); aumento del numero di “pirati della strada”. «Abbiamo registrato una crescita significativa di omissioni di soccorso a seguito di incidente stradale, e possiamo ragionevolmente ipotizzare che ci sia un nesso fra questo fenomeno e la diffusione di assicurazioni fasulle», dichiara il direttore della Divisione terza. Confermano gli ispettori del World Vehicle Documents, l’associazione che si occupa di falso documentale e svolge formazione per gli agenti. Nel loro sito web si legge che numerose indagini avviate in seguito a denunce per omissione di soccorso sono arrivate a questa conclusio- ne: chi era scappato, lo aveva fatto perché non aveva la coscienza a posto con l’assicurazione. Nessuno sporge denuncia Cosa succede a chi viene pizzicato con una polizza contraffatta? La punizione per chi commette questo illecito (art. 193 del Codice della strada) è una sanzione amministrativa (multa da 742 a 2970 euro) e una accessoria (sequestro del veicolo ai fini della confisca). Bisogna pagare sei mesi di assicurazione, la multa e le spese di custodia per riportarsi a casa l’auto. In caso contrario si perde definitivamente il possesso della macchina. E poi? Si dovrebbe finire in tribunale, perché taroccare una polizza configura l’ipotesi di reato di falsità (art. 493-bis del Codice penale), ma questo succede solo con querela di parte: perché nel nostro ordinamento giuridico questa fattispecie di reato è in “scrittura privata”. In parole povere: se l’assicurazione interessata sporge regolare denuncia, si dà il via al processo. E questo non succede molto spesso. Tanto che lo scorso 3 luglio, dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza del ministero dell’Interno, è partita una lettera con destinazione Ania (l’Associazione delle compagnie) e Isvap (l’Istituto che vigila sulle stesse), affinché invitino le società assicuratrici a querelare regolarmente i falsi rilevati e segnalati dagli agenti, in modo da “rendere certa l’applicazione della sanzione penale ed effettiva la sua funzione di prevenzione generale”. Vincenzo Di Gregorio allarga le braccia: «Sono troppe le compagnie che non sporgono la denuncia». Morale della favola: «Chi trucca o manomette una polizza, nella maggior parte dei casi non sporca la fedina penale». Altro che “responsabilità civile”. Un milione senza copertura Per la Polizia, sono «svariate centinaia di migliaia». Raffaele Chianca, responsabile del World Vehicle Documents, sostiene in un articolo riportato sul sito dell’organizzazione che sono «almeno 800.000». Numeri certi, però, non 11 circolazione polizze false se ne conoscono. Le assicurazioni falsificate finiscono nel calderone del “falso documentale” senza distinzione tra patenti, carte di circolazione, documenti d’identità e, appunto, polizze. Per questo è impossibile alle Forze dell’ordine indicare un numero preciso. All’Isvap non viene monitorato questo fenomeno. Forse l’Ania ha le idee più chiare? No, non ha i numeri delle assicurazioni false, ma solo di quelle vere: che oggi ammontano a un totale di 45 milioni di unità. Allora facciamo un ragionamento. Se la copertura assicurativa di responsabilità civile è obbligatoria per legge, tutti i veicoli oggi in circolazione dovrebbero esserne in possesso. Ebbene, secondo il Pubblico registro automobilistico alla fine del 2006 (ultimi dati disponibili) il parco veicoli italiano contava 46.329.144 milioni di auto, autocarri, autobus, motocicli, motocarri e rimorchi. Da questi vanno tolti alcuni veicoli radiati e finiti all’estero, non ancora decurtati dal Pubblico registro, e i veicoli a motore che non hanno l’obbligo di contrarre l’assicurazione perché stanno fermi nei piazzali dei concessionari automobilistici o in cortili e garage di case private. Messi tutti insieme, confermano varie fonti, sono qualche migliaia. E allora: se le assicurazioni risultanti nei registri Ania sono in tutto 45 milioni, mancano all’appello almeno un milione di veicoli. Dove è finita la loro polizza? Un gioco da ragazzi Al ministero dell’Interno temono seriamente che il caro polizze e l’ampia possibilità di farla franca per chi falsifica le carte potrebbero spingere sempre più automobilisti a eliminare questa voce di spesa dal bilancio familiare. Aumentare i controlli? Certo, ma è difficile scovare l’imbroglio anche per le Forze dell’ordine. Secondo la Polstrada, poi, falsificare una polizza è facilissimo: perché la maggior parte dei documenti assicurativi utilizzati dalle compagnie non ha alcun elemento anticontraffazione. Anche quando ci sono, si tratta di elementi talmente elementari che riprodurli su una polizza finta è un gioco da bambi- 12 La maggior parte delle compagnie di assicurazione rinuncia a denunciare i falsari. ni. Perché le compagnie non usano un metodo più sicuro? Abbiamo raccolto la dichiarazione di un ispettore specializzato in falsi e sistemi antifalsicazione, che sotto garanzia di anonimato ha spiegato: «Riconosco la grande disponibilità dell’Ania, che ha messo a nostra disposizione la sua banca dati per il riscontro immediato, durante un controllo, della regolarità dei documenti assicurativi. Ma sulla lotta ai falsi l’interesse delle imprese è pari a zero. Eravamo disposti a regalare a tutte le compagnie un innovativo sistema per adottare, spendendo pochi spiccioli in più, nuovi documenti a prova di contraffazione. La risposta è stata: non ci interessa». Dal ministero dell’Interno, Di Gregorio è lapidario: «Le imprese assicurative non sembra stiano perseguendo una politica adeguata in tal senso, agevolando così la falsificazione dei loro documenti e rendendo inefficace il controllo delle forze di Polizia». La maggior parte delle compagnie rinuncia a ricorrere alle vie legali contro chi usa impropriamente il marchio (anche perché, in caso di incidente, non ci rimette un euro). E non sembra voler perdere tempo con le nuove tecnologie e acquistare moduli di contratto a prova di falsificatori. A parlare con estrema franchezza è Vittorio Verdone, direttore Auto, distribuzione e consumatori dell’Ania. «Un’assicurazione falsa, anche se la giurisprudenza la qualifica solo “falso in scrittura privata”, per noi è sostanzialmente una truffa, ma non ai nostri danni. In questo caso le compagnie non riconoscono risarcimenti. Ma la frode rimane sia ai danni dell’intera collettività – in quanto gli eventuali sinistri causati dai non assicurati sono a carico del Fondo di garanzia delle vittime della strada –, sia ai danni dello Stato per l’evasione fiscale rispetto al premio non corrisposto». E allora perché la maggior parte delle compagnie rinuncia a presentare una denuncia? «In effetti in alcuni casi ci risulta che le querele non siano state presentate. Le compagnie sono imprese e in quanto tali, considerato che non subiscono danni per un eventuale sinistro causato dal falsario, possono non essere sempre motivate a querelarlo: le spese di giudizio difficilmente sarebbero recuperabili e finirebbero per gravare sulla mutualità». «Non siamo l’Fbi» E l’Ania resta a guardare? «Recentemente abbiamo sensibilizzato i nostri associati a perseguire, per senso civico, questi reati in tutti i casi in cui la polizia giudiziaria fornisca gli elementi per poter sporgere querela. Però…». Però? «Parliamoci chiaro: in un Paese dove la macchina giudiziaria si muove a passo di lumaca, dove reati ben più gravi alla fine vanno in prescrizione e dove sussiste una spiccata e incomprensibile propensione agli indulti e ai condoni in genere, figuriamoci quanta efficacia può avere una denuncia per un tagliando truccato». Certo, queste parole potrebbero far pensare che l’associazione se ne lava le mani. Ma Verdone smentisce. «È esattamente il contrario. Anche in questo campo quello che conta è la prevenzione. È la strada che abbiamo intrapreso. Da anni è a disposizione di tutte le Forze del- l’ordine il nostro cervellone informatico, che abbiamo ulteriormente sviluppato per gestire l’indennizzo diretto ed è aggiornato costantemente: se gli agenti di polizia hanno un sospetto, possono collegarsi al nostro centro e fare tutti i controlli incrociati che vogliono. La certezza di non potere farla franca è ben più efficace della minaccia di sanzione per i falsari. Se a ciò si aggiungesse la perseguibilità d’ufficio del reato, visto il danno procurato all’intera collettività, il cerchio si chiuderebbe». Questo cervellone, oltrettutto, «potrebbe servire anche ad incrociare le polizze attive con il circolante che risulta al Pra e alla Motorizzazione. Ma non siamo l’Fbi. Anzi, succede anche a noi di essere ingannati quando si presenta un cliente con una carta d’identità falsa e un libretto di circolazione alterato, dove c’è scritto che risiede ad Aosta e invece magari abita a Roma, tutto per pagare un premio più basso. Bisognerebbe che al più presto il governo provvedesse a varare una norma ad hoc per dare alla Motorizzazione la facoltà di controllare, incrociando i dati del circolante con quelli del nostro cervellone». L’adozione dei moduli anticontraffazione, invece, sarebbe affare dell’Ania. Ma perché le compagnie sono restie ad usarli? «Molte adottano già codici a barre a lettura ottica, ma per i controlli occorre essere dotati di apposite “penne” di lettura. Abbiamo molte idee in proposito, come quella di dotare i tagliandi di un microchip o di altri sistemi anti-contraffazione. Da imprenditori, prima di chiedere alle imprese investimenti, dobbiamo però verificare attentamente costi e benefici. Da questo punto di vista la tecnologia informatica potrebbe rendere obsoleto addirittura il contrassegno materiale esposto sui veicoli, se ci fosse la possibilità di effettuare controlli on-line da parte di tutte le Forze dell’ordine. D’altro canto il contrassegno esposto sui veicoli aiuta i danneggiati a individuare immediatamente l’impresa tenuta al risarcimento. Occorrerà dunque coniugare le opportunità offerte dalla tecnologia con le esigenze di certezza per i cittadini». Pubblicità