LA MUTILAZIONE GENITALE FEMMINILE:
UNA FERITA APERTA?
Sala Verdi 19 maggio 2000
Aldo Morrone
Aldo Morrone, specialista in Dermatologia e Venereologia, è responsabile del servizio di Medicina
Preventiva delle Migrazioni e Dermatologia Tropicale dell'Ospedale San Gallicano di Roma. Ha
prestato la sua opera in diversi paesi dell'Africa, in India e nell'Estremo Oriente. È professore a
contratto presso l'università LUMSA di Roma. Ha pubblicato: Salute e società multiculturale (Cortina,
Milano, 1995) e L’altra faccia di Gaia (Armando, Roma, 1999).
Credo che una delle ragioni per cui sono stato invitato qui questa sera risieda nel fatto che l'istituto
dove lavoro, il San Gallicano di Roma, ha un centro che si occupa delle complicazioni legate
all'infibulazione. Negli ultimi quindici anni, abbiamo visitato più di centocinquanta pazienti e abbiamo
approfondito la problematica delle mutilazioni genitali femminili, così chiamate dall'Organizzazione
Mondiale della Sanità per indicare una serie di pratiche di circoncisione, che vanno dall'infibulazione
all'escissione, e che riguardano, secondo una serie di studi epidemiologici, circa centotrenta milioni di
donne nel mondo.
Il termine "circoncisione" letteralmente significa "tagliare intorno" o anche "tagliar corto" ed è
generalmente riferito ai genitali umani. La circoncisione femminile comporta la rimozione di una parte
o degli interi genitali esterni. Si preferisce parlare di mutilazione genitale femminile perché, secondo la
definizione di Zwang, qualsiasi asportazione definitiva e irrimediabile di un organo sano costituisce
una mutilazione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha voluto dare una definizione precisa, che
suona così: per Mutilazioni Genitali Femminili s'intendono tutte le procedure che comportano la
rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili, o altri interventi dannosi sugli organi genitali
femminili, per ragioni culturali o per altre ragioni non terapeutiche.
Dal punto di vista storico, devo dire che la pratica della mutilazione genitale è molto antica. Non
esistono, infatti, spiegazioni precise circa la sua comparsa. Secondo alcuni, essa è nata in un
determinato paese e poi si è diffusa in altri; secondo altri, è nata contemporaneamente in molti paesi dei
nostro piccolo pianeta. Sulla base di dati documentari certi, da cui possiamo permetterci di fare rilievi
epidemiologici, è probabile che la circoncisione femminile sia presente, insieme a quella maschile, in
alcuni rilievi delle tombe egizie della VI dinastia (intorno al 2340 a.C.).
La più antica fonte conosciuta, che registra la pratica della circoncisione, è Erodoto, vissuto nel V
secolo a. C. Egli afferma che l'escissione era praticata dai Fenici, dagli Hittiti, dagli Etiopi e anche
dagli Egiziani. Anche Strabone, Aetius e Soramus sostengono che, a Roma e ad Atene, la pratica era
frequente ed aveva lo scopo di far diminuire il desiderio sessuale femminile. Inoltre, alcuni archeologi
asseriscono che le buone condizioni di conservazione delle mummie egiziane testimoniano l'usanza
della clitoridectomia, cioè dell'escissione della clitoride femminile. Tutto ciò è interessante perché in
paesi attualmente islamici, come la Repubblica Islamica dell'Iran, questa pratica è assolutamente
sconosciuta.
L'infibulazione è, infatti, legata a culture tribali precedenti l'islamizzazione dell'Africa e dei paesi arabi.
Essa si è conservata grazie alla capacità dell'islam di acculturarsi alle culture tribali. Per questo motivo,
nel 1926 ci furono episodi di ribellione da parte delle donne dei Corno d'Africa nei confronti dei
missionari cristiani che volevano estirpare questa pratica. È necessario sottolineare che l'infibulazione
viene condivisa da donne islamiche, cristiane e animiste, soprattutto nel Corno d'Africa ed in Africa
Centrale. Tutte le campagne realizzate per eradicare questa pratica sono votate al fallimento, se non
partono dal fatto che si tratta di una cultura atavica, antica, precedente la conquista dell'Africa da parte
dell'islam. Per esempio, in Australia, ossia agli antipodi della penisola arabica o dei Corno d'Africa, si
registrava un fenomeno dei genere senza che ci fosse alcuna contaminazione islamica. Addirittura,
nelle tribù aborigene si praticava l'introcisione, una pratica ancora più devastante dell'infibulazione e
dell’escissione.
oggi, secondo l'Onu e l'Organizzazione Mondiale della Sanità, esistono quattro forme principali di
mutilazione genitale femminile. Si parte da una forma estremamente semplice, la circoncisione
propriamente detta, che è un'escissione della circonferenza del prepuzio della clitoride, analoga alla
circoncisione maschile. Nei paesi musulmani questo tipo di circoncisione è detta sunna, che in arabo
significa "tradizione".
C'è poi un secondo tipo di mutilazione, l'escissione. Un terzo tipo, che è l'infibulazione vera e propria,
detta anche "circoncisione faraonica". il quarto tipo è l'introcisione, abbastanza rara e poco praticata.
Ora, la circoncisione vera o sunna è importante perché si dice sia basata su alcune parole di Maometto,
il quale prescriveva di non togliere nulla dal corpo della donna. È la meno traumatizzante, anche se
conserva un suo significato rituale. In pratica, si opera una piccola incisione sul prepuzio della clitoride
senza asportare nulla dei tessuto e ci si limita a far uscire alcune gocce di sangue che secondo la
tradizione devono essere sette. Questo tipo di circoncisione non è nocivo per la salute della donna e non
comporta conseguenze immediate o danni. C'è anche un secondo tipo di sunna, che consiste invece
nell'asportazione dei prepuzio, conservando integri la clitoride e le piccole labbra. Questa è la meno
radicale ed è molto praticata in Africa, Indonesia e Malesia. Alcune autorità mediche credono che la
finalità di questa operazione corrisponda alla circoncisione maschile del prepuzio del pene. In realtà,
sia lo spirito che i risultati sono diversi dalla circoncisione maschile, dato che, praticando questo tipo di
sunna, è molto difficile non danneggiare anche l'apparato genitale femminile.
Anche l'escissione o clitoridectomia, in arabo classico chiamata khefad, che significa "riduzione", o
tahara, cioè "purificazione" è molto popolare nei paesi islamici. La clitoridectomia è basata su
un'interpretazione, non corretta e mai suffragata, delle parole di Maometto, che avrebbe detto a OmAttiya, un'operatrice femminile di circoncisioni, "riduci ma non distruggere".
Non esiste alcuna prova che Maometto abbia fatto questa dichiarazione in merito alla circoncisione
femminile, che consiste nella rimozione parziale delle piccole labbra o della stessa clitoride.
Poi, c'è l'infibulazione vera e propria o "circoncisione faraonica", chiamata così in Sudan, mentre in
Egitto è detta "circoncisione sudanese". È una vecchia storia: ogni paese tende a dare la responsabilità
al paese vicino delle cause e della provenienza di qualche malattia o pratica negativa. L'infibulazione
"faraonica" è percepita a tal punto come destruente che nessun paese ne vuole la responsabilità.
Il termine "infibulazione" però richiama qualcosa che non ha nulla a che vedere né con l'Egitto né con
il Sudan: la fibula, una spilla che veniva usata dai Romani per evitare che le mogli avessero rapporti
sessuali con sconosciuti mentre erano in guerra. Ma soprattutto, i Romani infibulavano le schiave e gli
schiavi per evitare che potessero avere rapporti sessuali perché, com'è noto, la gravidanza è un
elemento che riduce l'attività lavorativa delle donne: meno le schiave erano gravide, più potevano
lavorare. Dunque, il termine "infibulazione" è un termine squisitamente latino ed europeo.
L’infibulazione viene spesso praticata in condizioni di scarsa igiene; avviene utilizzando strumenti
particolari quali stecche di legno, mentre per medicare le ferite vengono utilizzate misture di pasta
composta da zucchero e gomma; le gambe delle ragazze vengono chiuse dalle anche alle ginocchia,
fino ai piedi, per evitare che possano muoversi sulla ferita. Questa diviene maleodorante e su di essa
vengono poste erbe aromatiche o ceneri che non sempre sono perfettamente disinfettanti. Le
complicanze di quest'operazione sono di due tipi: complicanze immediate e tardive. Le prime
riguardano tutti i diversi tipi di circoncisione: la morte immediata per shock emorragico (perché spesso
viene tagliata l'arteria), l'emorragia profusa, la ritenzione di urina, le infezioni. Il nostro istituto
interviene soprattutto sulle complicazioni tardive: formazione di ascessi, cicatrici ipertrofiche, briglie
cicatriziali, mentre, fortunatamente, molto più rare sono le infezioni da HIV e da epatite virale.
Ovviamente, ci sono anche complicazioni di tipo psicologico: per esempio, abbiamo assistito, e ancora
assistiamo, due donne che continuano a non essere capaci di avere rapporti sessuali, nonostante siano
fisicamente a posto.
Un altro fattore importante è l'età della circoncisione: essa cambia in base alle aree geografiche e al
gruppo etnico d'appartenenza. Sebbene l'età vari da una settimana ai vent'anni, oggi si tende ad eseguire
la circoncisione nei primi anni di vita per minimizzare la resistenza al dolore e alle sofferenze.
Il paese in cui questa pratica è molto diffusa è l'Egitto, dove si registra un'incidenza intorno al 90%
della popolazione femminile. L’incidenza è molto alta anche in Eritrea ed Etiopia tra donne animiste e
cristiane, a dimostrazione dei fatto che il fattore religioso non conta. Un altro paese coinvolto in
maniera abbastanza complessa e interessante è Israele, dove l’ebraismo è religione di stato e dove,
ovviamente, la circoncisione maschile è ritenuta sacra e viene compiuta senza alcun problema. In
Israele, vive un gruppo di donne ebree di origine etiopica, arrivate in parte agli inizi dei secolo, in parte
15 anni fa. In questo gruppo si pratica ancora la mutilazione genitale femminile. Conosco una donna
che avrebbe desiderato essere qui stasera, ma non è potuta venire per motivi familiari. Questa donna fa
parte della comunità etiopica d'Israele, non è infibulata perché la madre non ha voluto. Ma la sua
adolescenza, trascorsa in mezzo alle altre ragazze della sua etnia, che invece sono state infibulate, è
stata drammatica. Per anni questa signora, che oggi sorride di questa sua storia, correva piangendo dalla
madre, pregandola di farla infibulare, perché era l'unica a non esserlo stata. Questo per spiegare come si
vive, in maniera persino disastrosa, la mancanza di una pratica all'interno di un gruppo in cui essa viene
considerata normale o addirittura essenziale per l'accesso alla comunità adulta.
In Europa, abbiamo iniziato a scorgere questo problema con l'arrivo degli immigrati. Nel nostro
continente, il rischio è decisamente minore perché le donne che vi arrivano appartengono, in genere,
allo strato sociale che ha già rifiutato questa pratica di sottomissione al maschio, di riduzione e perdita
di qualcosa che anche la donna africana comincia a sentire come importante. In Mali, in Ghana, in
Eritrea, in Etiopia, in Somalia, in Sudan associazioni formate da donne giuriste, insegnanti, ma anche
capo-villaggio e ostetriche, si battono contro quest'insieme di pratiche. Recentemente, nel Ghana
500 donne che praticavano la mutilazione genitale femminile nel corso di una manifestazione hanno
abbandonato i loro strumenti per dimostrare il rifiuto di questa pratica.
Noi usiamo il termine tecnico "mutilazione genitale", ma in realtà è bene che sia chiaro nessuna madre
che sottopone la propria figlia a tale pratica pensa di andarla a mutilare. È invece convinta di portarla
ad un evento importante, fondamentale affinché questa bambina possa diventare donna e accedere alla
società adulta. Ormai, le donne di questi paesi hanno perfettamente capito che, all'interno dei mondo
culturale, cui appartengono, ci sono delle pratiche valide e altre non valide. Ed è su questo che stanno
lavorando. Ad esempio, una delle motivazioni per cui si ricorre a tali pratiche è che la bambina diventa
donna perdendo il piacere nell'atto sessuale, finalizzato alla procreazione. La donna deve solo
procreare, non deve provar piacere. Inoltre, in queste culture tribali viene considerata estremamente
importante la verginità prima del matrimonio e l'infibulazione è una forma aberrante di mantenimento
della verginità. Noi sorridiamo normalmente della verginità prima dei matrimonio, ma bisogna
considerare che, in Africa, ogni donna ha la possibilità di partorire 8-9 figli e qualunque mezzo teso a
ridurre la sua fertilità viene ritenuto ottimo. Noi abbiamo mille modi per non far nascere figli: la
pianificazione familiare, il preservativo, il diaframma, la pillola, mentre in questi paesi non esistono
alternative all'infibulazione o all'astinenza dai rapporti. Noi, per esempio, sorridiamo dell'allattamento
materno, elemento fondante per la salute dei bambino e della donna, ma esso serve a ridurre il numero
delle gravidanze.
Il problema principale, che fortunatamente le donne di questi paesi hanno capito ben prima di noi, è che
bisogna abbandonare queste pratiche senza per questo abbandonare la propria cultura d'origine. Alcune
donne, infatti, vengono a portare le loro bambine da noi per chiederci d'infibularle. Essendo noi esperti
di infibulazione, non hanno capito che noi non infibuliamo nessuno. Abbiamo aiutato queste donne,
grazie alle nostre mediatrici culturali, a capire che non c'è alcun bisogno di ricorrere a questa pratica in
Europa, perché le loro bambine riusciranno ad entrare nel mondo adulto, potranno avere un futuro,
sposarsi, avere figli, senza che l'aver mancato questa pratica determini un gap. La quasi totalità di
queste donne ha accettato di sostituire l'infibulazione con una festa in cui le bambine vengono ammesse
all'interno della comunità senza subire mutilazione alcuna.
Adesso, leggerò una poesia di una donna somala, che rivela come questo problema sia molto sentito
dalle donne africane. È una poesia di Dahabo Cilmi Muse. La traduzione è della collega Sara Zanghi:
È solo un dolore femminile
Maledetto da Dio il faraone
che non ascoltò la preghiera di Mosè
e fu abbandonato dalla buona parola della Torah.
Inferno fu la sua ricompensa!
Annegamento il suo destino!
Macello, lo stile della loro circoncisione
sangue, vene grondanti di sangue!
Taglio, cucitura e strazio della carne!
Questo ignobile atto mai citato dal Profeta
mai riconosciuto dalla Hadith!
Non esiste nella Hureera!
Nessun musulmano l'ha mai predicato!
Il Corano non l'ha mai prescritto
(la circoncisione faraonica).
E se posso parlare della mia notte di nozze
aspettavo carezze, dolci
baci, abbracci e amore.
No, mai!
Mi aspettava pena, dolore e tristezza.
Gemente nel mio letto nuziale mi contorcevo
come un animale ferito, in preda al dolore femminile.
All'alba ecco il ridicolo. Mia madre annuncia:
sì, è vergine.
Quando la paura mi attanaglia.
Quando la rabbia paralizza il mio corpo.
Quando l'odio diventa il mio compagno
ricevo consigli di donne, perché è solo il dolore di donne,
e il dolore non finisce, mi è stato detto,
finisce come tutte le cose femminili!
Continua il viaggio o continua la lotta,
come dicono gli storici moderni!
Così come si assesta il legame matrimoniale
mi arrendo e la tristezza si acquieta.
Il mio ventre diventa come un pallone
uno sprazzo di felicità mostra
una speranza, un nuovo bambino, una nuova vita!
Ah, la nuova vita mette in pericolo la mia vita,
La nascita di un bambino è morte e distruzione per me!
Si tratti di quelli che mia nonna chiamava i tre
dolori femminili se ben ricordo le parole di mia nonna
il giorno della circoncisione, la notte nuziale
e la nascita di un bambino sono i tre dolori femminili.
Come scoppia la nascita: e io piango e chiedo aiuto per la carne
battuta: non compatirti, mi dicono, spingi! È solo un dolore femminile!
Quando lo sposo decide di rompere il buon legame
Divorzia e mi abbandona
resto sola con le mie ferite.
Ed ora un appello!
Un appello per l'amore perduto.
Un appello per i sogni infranti.
Un appello per il diritto di vivere insieme.
E tutti coloro che amano la pace, proteggano, sostengano,
diano una mano
alle bambine innocenti, che non fanno male,
obbedienti ai loro genitori, agli anziani
e che conoscono soltanto sorrisi.
Iniziatele al mondo dell'amore
non al mondo del dolore femminile.
Dobbiamo comprendere questo problema, drammatico, doloroso, all'interno della realtà di questi paesi
dove la donna conta meno di un animale: avere una buona mucca o una buona capra o un buon vitello è
molto più importante che avere una moglie e la nascita di una figlia è vissuta come una disgrazia. La
donna non conta assolutamente niente, se non per andare a prendere l'acqua o la legna. Ho seguito
alcune di queste donne per molte mattine, soprattutto in Etiopia e in Eritrea, andare alla più vicina fonte
di acqua potabile che si trova a sette-otto chilometri dal loro villaggio. Queste sono le condizioni in cui
vive la donna in quei paesi.
È importante ricordarlo altrimenti non si riesce a comprendere il fenomeno della mutilazione genitale
femminile. Dobbiamo intervenire per tener desta l'attenzione su questo problema, sapendo bene che la
mutilazione genitale è solo una delle tante sofferenze cui queste donne sono sottoposte, non perché
figlie di un dio minore o distratto, ma perché la spartizione delle risorse su questo pianeta è stata, e
continua ad essere, iniqua.
Certo, la violenza fisica ci fa insorgere perché va a mutilare la parte più intima della donna. Ma ci sono
altre violenze più sottili, dolorose e perduranti. Se vogliamo affrontare questo problema in maniera più
appropriata, non solo dobbiamo inorridire, ma dobbiamo intervenire in modo più ampio.
Vi cito, per concludere, un autore molto noto, Sigmund Freud, che, in Sessualítà e psicologia
dell'amore, a un certo punto scrive: “L’eliminazione della sessualità clitoridea è un requisito
indispensabile e necessario per lo sviluppo della femminilità”. Tra la fine del Settecento e l'inizio
dell'Ottocento, nel Regno Unito, si praticava la clitoridectomia alle bambine per evitare che si
masturbassero. Come vedete, la mutilazione genitale femminile non è del tutto estranea alla nostra
cultura. È importante denunciarne la pratica, ma senza ergersi a maestri, quando maestri non siamo.
Quali sono state le campagne dell'Organizzazione Mondiale della Sanità contro la pratica della
mutilazione genitale? Cosa sta facendo lo Stato italiano a questo riguardo?
L'Organizzazione Mondiale della Sanità, con cui collaboro, è un'associazione che lancia ottime
campagne, senza però finanziarle. L’Oms ha fatto un ottimo libretto, Female Genital Mutilation, in
cui, tuttavia, non parla delle campagne portate avanti dalle organizzazioni non governative di questi
paesi. Tra queste, l'organizzazione più importante è Maendeleo ya Wanawake del Kenya. In Uganda
esiste il programma Reproductive and Community Health teso a dimostrare che tali pratiche possono
essere cambiate senza compromettere i valori della comunità. Antropologi, assistenti sociali e medici
dovrebbero andare nei villaggi, nei distretti, per istruire i leader delle comunità e lavorare con loro. Ma
questo non lo fanno certo gli inviati dell'Oms, lo fanno le donne africane a proprie spese. Venendo
all'Italia, nel nostro paese non esiste un reato specifico per le mutilazioni genitali femminili, esiste il
reato contro l'integrità corporea. Ora, la Commissione Parlamentare, costituitasi per affrontare
l'argomento, si è posta il problema se lasciar praticare le mutilazioni genitali femminili negli ospedali,
ma su questo si è registrata la netta opposizione dei Comitato di Bioetica. Questi si è espresso anche
riguardo alla circoncisione maschile, distinguendo tra circoncisione terapeutica, che ovviamente è
consentita, e circoncisione profilattica o rituale, che sono più problematiche perché avvengono su di un
minore, che non può decidere consapevolmente. A questo riguardo, c'è un accordo tra lo Stato Italiano
e la Comunità Ebraica in cui lo Stato permette, in via dei tutto eccezionale, la circoncisione rituale
maschile, anche ad opera di personale non medico, purché il capo della comunità ebraica se ne assuma
la responsabilità, e senza che vada a carico dei Servizio Sanitario Nazionale. Questo per dire quanto
complesso è il tema.
Sono un medico, ma più che di pratica medica, il ricorso alla mutilazione genitale mi pare avere a
che fare con la barbarie. Cosa si sta facendo per far capire alle popolazioni di quei paesi che di
barbarie, e non di cultura, si tratta?
In realtà, poche persone in Italia conoscono il problema delle mutilazioni genitali femminili. Di solito
erano gli antropologi ad occuparsene, i medici hanno iniziato ad interessarsi al problema nel tentativo
di medicalizzare la società. Conosco ginecologhe che hanno studiato per una vita senza mai trovare sui
testi italiani una sola riga riguardante le mutilazioni genitali.
Il punto di vista antropologico è interessante perché, anni fa, nel nostro paese, esplose il dibattito
intorno al delitto d'onore. A Torino, negli anni Sessanta arrivavano i meridionali che normalmente la
sera uscivano e incontravano per strada le donne torinesi. I meridionali, secondo la stampa dell'epoca,
"davano fastidio" alle donne torinesi. Il problema fu abbastanza complesso: il meridionale, che a
mezzanotte vedeva una donna uscire per strada, non poteva non pensare che quella fosse disponibile,
perché era abituato al fatto che, nel suo mondo culturale, le donne non uscivano di casa dopo le sei del
pomeriggio. Allora, antropologi e studiosi si chiesero se fosse necessario rispettare la cultura del
meridionale o garantire il rispetto della donna e la sua sicurezza. All'epoca, costituiva un grosso
problema condannare chi commetteva un delitto d'onore, perché, secondo alcuni, si trattava di un
problema culturale per cui, chi non lo commetteva, veniva espulso dalla propria comunità, mentre per
altri, a prescindere dalle motivazioni, il delitto d'onore doveva essere punito in quanto tale. Per questo
motivo, il delitto d'onore non venne riconosciuto per molto tempo come reato. Dopo quarant'anni si
ripete lo stesso fenomeno, anche se sono cambiati gli attori.
Per quanto riguarda le campagne in atto, si fa molto, ma il vero problema è mutare una condizione
culturale. Più lentamente avviene il mutamento, più esso risulterà radicale ed incisivo. Tanto per fare
un esempio, oggi se i genitori decidono di non far fare la prima comunione al proprio bambino, questi
non vive una forma d'isolamento come trent'anni fa, quando tutti i bambini facevano la prima
comunione. Oggi, a scuola, ci sono bambini musulmani, ebrei o d'altre religioni, per cui il numero di
bambini che non accettano il rituale della prima comunione è maggiore di venti, trent'anni fa. E il
bambino è meno isolato. Lo stesso lento mutamento deve avvenire nei paesi che praticano le
mutilazioni genitali. Non a caso, nei villaggi, la prima cosa che le donne fanno è aprire una scuola per
educare i bambini e le bambine ad una cultura del corpo che non richieda alcuna menomazione per
diventare adulti.
È vero che in Italia le comunità musulmane si offrono di portare avanti queste pratiche?
In Italia, vi sono stati casi d'infibulazione clandestina. Abbiamo scoperto qualche medico che l'ha fatta
per alcune famiglie isolate - si sarà trattato di cinque, sei casi - e abbiamo attaccato violentemente
queste persone. Dopo aver bloccato i due o tre medici che la praticavano, oggi a noi non risultano altri
casi del genere. Inoltre, adesso i bambini immigrati possono nascere in ospedale, mentre fino al decreto
Dini del 1995 le donne irregolari dovevano partorire al Pronto Soccorso, anziché in Ostetricia. Oggi, la
legge consente anche a queste donne di avere fin dal momento del parto un'assistenza pediatrica,
neonatologica ed ostetrica, che consente di eliminare radicalmente ogni occasione d'effettuare
clandestinamente l'infibulazione.
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LA MUTILAZIONE GENITALE FEMMINILE UNA FERITA