L’EMERGENTE SGOMITA
NUMERO 4 – ANNO 2
DEDICATA ALL’EMERGENTE D.O.C.
GIOVANI TALENTI:
SUSANNA PARIGI
Cantante esordiente
ESSERE CHARLES
BUKOWSKI
UN PIEDE AL LINGOTTO
PAY PER PUBLISH:
INTERVISTA
A GIULIO PERRONE
L’INTERVISTA:
GIULIO LEONI
Premio Tedeschi 2000
IL DANTE DEL DELITTO
www.emergentesgomita.com
ALL’INTERNO
LA SECONDA
PUNTATA
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
Un anno
di progressi con voi
L’Emergente sgomita torna protagonista sulla scena editoriale on line, do-
po una lunga pausa di silenzio che si giustifica con l’impegno sotterraneo e non solo, volto a consolidare i successi conseguiti in un anno
di lavoro dalla fondazione del magazine. Tra i più significativi, l’attenzione che abbiamo risvegliato negli esperti del settore; tra tutti, Marsilio Editori, la scrittrice pluripremiata Antonia Arslan e il professor
Turchetta, docente all’Università Stradale di Milano, nonché nota personalità nel mondo della critica letteraria. Ottimi anche i riscontri in
termini di diffusione e visibilità, visto che molti media (in cima alla lista Il Gazzettino, la rivista Inchiostro e Radio RAI 2) ci hanno ospitato
nei loro spazi dando modo al progetto di radicare ed evolversi; lo confermano i numeri: L’Emergente sgomita 3 ha fatto la sua comparsa nei
computer di oltre settemila persone, che l’hanno scaricato dai cinque
siti che, oltre al nostro, lo distribuiscono gratuitamente. Tra le importanti collaborazioni da segnalare, quella in via di perfezionamento con
Giulio Perrone, giovane e intraprendente titolare dell’omonima casa
editrice romana (presentata all’interno), che si concretizzerà con la realizzazione di un’antologia poetica cartacea – curata dal sottoscritto e da
Laura Onofri – prevista per i prossimi mesi, assieme a molte altre iniziative letterarie e culturali. Con grande soddisfazione vi informo inoltre che è confermata la presenza, nel nostro team redazionale (http://
www.emergentesgomita.com/redazione.htm), di Roberto Malini, artista poliedrico nonché amico e sostenitore che io e Laura abbiamo avuto l’onore d’incontrare alla 62° mostra internazionale del cinema di
Venezia. Un’occasione imperdibile, che ci ha permesso di presenziare
alla conferenza stampa di domenica 4 settembre 2005, tenutasi presso
la Villa degli Autori al Lido, dove Roberto ha presentato, insieme al regista Dario Picciau e all’entourage di artisti della 263 Films di Milano –
presente anche il produttore Andrea Jarach – il teaser trailer di Dear Anne. The gift of Hope (http://www.dearannemovie.com), il film d’animazione 3D su Anne Frank, in uscita in tutte la sale a Natale 2006, di cui
ha curato la spettacolare sceneggiatura. Questo evento, assieme alla
toccante rappresentazione teatrale Anne in the Sky, al teatro delle Fondamenta Nove di Venezia, curata da Roberto ed Edna Angelica Calò
Livine’, sarà il topic di uno speciale previsto per fine ottobre e distribuito in formato e-book da diversi portali on line. Così come accadrà per il
racconto vincitore del Premio L’Emergente 2005, che verrà pubblicato
prossimamente in formato PDF assieme a un’intervista all’autore. A
presto dunque, in attesa di succulente novità.
Matteo Pegoraro
Un piede al Lingotto
Andrea Galla è andato per noi al
Salone di Torino per documentarci
quanto la manifestazione risponda
alle esigenze del pubblico A pag. 13
1
SOMMARIO
1 Editoriale di Matteo Pegoraro
2 Il punto di vista di Laura Onofri
3 Alla riscoperta dei classici:
Essere Carles Bukowski
a cura di Giulio Serafino
7 Penombra a cura di Andrea Galla
9 Narrativa: “Il grande mecenate”
di Pasquale Giannino
10 Giudicate voi: Giulio Perrone
a cura di Matteo Pegoraro
15 Vintage, l’assaggio di Andrea Coco
16 Anne’s Door: lezione di pittura Yddish
a cura di Roberto Malini
17 Narrativa: Poesia creativa?
di Francesco Dell’Olio
20 La fantasia della scienza:
Comunicare è ridere
a cura di Andrea Coco
25 L’intervista: Giulio Leoni
Giallista, premio Tedeschi 2000
a cura di Andrea Galla
27 Prosit! di Maddalena Mongiò
28 Il calamaio in rete: Laura Cherri
a cura di Matteo Pegoraro
29 Insoliti eventi: II puntata
di Andrea Galla
34 Giovani talenti: Susanna Parigi
a cura di Alberto Barina
39 Slam Poetry a cura di Alberto Barina
41 Narrativa: In memoria del sindacalista
Dimitri di Lorenzo Mazzoni
44 Pellicole a cura di Maurizio Aschieri e
Fulvio Gatti
47 Recensioni a cura della Redazione
2
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
IL PUNTO DI VISTA
di LAURA
ONOFRI
Dell’occhio dell’aquila
Io criptica? Non me lo ero
mai detto nemmeno da sola. Al massimo m’incoronavo con un, che so, travolgente, viscerale, vorticante,
complessa! Tagliente, aspra
e perfino arguta sì, lo riconosco. Ma criptica m’intriga. Mi fa sentire un po’ come un codice antico, un
rotolo del Mar Morto.
Ma ancora non vedo difetti gravi. Sarebbe peggio se fossi smielata, accondiscendente e “sciuscià”.
Sono un’appassionata, umilissima lettrice di buoni
libri. Sono nata con le Fiabe dei Fratelli Grimm e
Andersen a fianco del letto e ho camminato sottobraccio a Màrquez, Yourcenar, Miller, Bellow, Bellonci, Borgès, Duras, Eco, Hesse, Bach, Yogananda,
Calasso, Rushdie, Michener, Singer, Schuré, Kundera, Steiner, Castaneda, Coelho, Uris, Camus,
Lawrence, Waltari, Amado, Woolf e tantissimi altri
che hanno nutrito l’amore per il pensiero universale.
Ho sviluppato sensibilità e un fiuto tale che potrei
sniffare un imbroglio letterario senza tema di smentita. Posso dire che in giro si spaccia alla grande, e
non solo eroina pura. Un sacco di crack. Per esempio, saltando di palo in frasca, quando vedo un quadro delle dimensioni 4x4 con su un punto o una rigolina sbilenca, esposto in una fondazione internazionale, dico ugualmente che è una gran presa per i
fondelli. Probabilmente è per questo che sembro infierire. Non è così. Di certo non digerisco le balle e
non le racconto.
Quando tasto una buona stoffa ne riconosco la preziosità e non lesino sugli apprezzamenti. Di me è
stato detto che metto i piedi nel piatto. E’ vero. Il
fatto è che quando scrivo entro nel cosiddetto flusso
di coscienza, laddove non esiste censura poiché il
contatto con una dimensione che non è più soltanto
mia, è totale. Non è questione di maturità anagrafica,
bensì di crescita interiore – si può essere grandi anche
al primo vagito, dipende dal numero di reincarnazioni
(ndr), e di vera umiltà, da non confondersi con l’ipocrisia.
Scrivo, lo faccio con passione e questa è la mia ricchezza. Non sono usa a misurarmi con gli altri, poiché
ciascuno plasma la creta che possiede.
Nelle recensioni, relative a libri e a film, esprimo il
punto di vista dell’occhio d’aquila. Se mi trovo davanti
al qualunquismo gli artigli del rapace si tendono per
ghermire, poiché lo reputo un virus infettante.
Qualcuno dice: “più semplice e diretta?”. La soddisfazione di arrivare in cima la si prova maggiormente
quando la parete con cui ci si è confrontati era aspra.
Se ponete una domanda potete fidarvi della mia risposta, che non sarà mai banale. Se è un parere che chiedete, siate saldi sulle vostre gambe: se mi capita di bastonare non è per ferire, bensì per rafforzare i muscoli
onde spingere a meglio procedere in un bosco di rovi.
In quanto a me, posso essere simpatica, venir recepita
come odiosa, ma cerco sempre di essere obiettiva.
Pensierino in chiusura: comunque sia, comunque vada,
se abbiamo un talento, questo non ci appartiene.
Esprimiamolo al meglio delle nostre possibilità. E sarà
già così una cosa preziosa.
PS: quando dico che la poesia è praticamente la cinderella della letteratura moderna non intendo che pochi
autori siano ispirati da tale forma espressiva. Il popolo
dei poetanti annovera un numero incalcolabile di
appassionati… scrittori, ma l’editoria sembra avara, in
questo settore, e c’è maggior tendenza a spingere gli
scritti di tiratura popolare. Chi produce vuole vendere.
Diciamolo pure, ha necessità di vendere.
SCRIVI A LAURA ONOFRI
[email protected]
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
3
ALLA RISCOPERTA
DEI CLASSICI
a cura
di GIULIO
SERAFINO
Essere Charles
Bukowski
Henry Charles Bukowski nasce ad Andernach, in tempo nei bar a ubriacarsi o a scommettere sui cavalGermania, il 16 Agosto 1920, da padre americano e
madre tedesca. Nel 1922, a causa della pessima situazione economica, la famiglia Bukowski si trasferisce in
America, a Los Angeles. Un padre violento, una madre
depressa e passiva contribuiscono a irradiare in Charles una mentalità ribelle e anticonformista che tuttavia
non sarà accompagnata da un carattere estroverso ma
da una pacata timidezza, nascosta con maestria dietro a
quel suo sguardo pazzo alla Mickey Rourke. Il carattere introverso è diretta conseguenza delle sue esperienze giovanili; da bambino crebbe isolato, iniziò a costruirsi un mondo eretto su idee e libri, e
abitato dalla sua fedele compagna, la
macchina da scrivere. Alla Junior High
School mette in mostra il suo talento letterario; nel frattempo è colpito da una
violenta forma di acne che lo rende irriconoscibile e lo terrà lontano dalle ragazze per qualche tempo. Il giovane Henry
si richiude in se stesso e diventa sempre
più insicuro, fino a quando scopre l’alcool insieme a una banda di teppistelli. Tutto questo
prima di abbandonare casa, a vent’anni.
È allora che, libero di affrontare il mondo, comincia il
periodo maledetto dello scrittore che inizia a battere a
macchina i primi scritti, continua a bere e scopre la
passione per le corse dei cavalli. Fa l’amore per la prima volta a ventitrè anni, con una donna che pesa più
di cento chili, e lo descrive in un romanzo; questo è il
periodo del Bukowski che è diventato leggenda, dello
scrittore che pratica alla perfezione l’arte dell’arrangiarsi. Il giovane Henry si sottopone ai più disparati lavori,
vivendo alla giornata; nonostante passi gran parte del
li, sopravvive fino al 1952, anno in cui, in seguito a
una relazione con una ragazza di nome Jane, decide
di trovarsi un posto fisso ed entra alle poste, al servizio delle quali rimarrà, anche se non continuativamente, per dodici anni. Dopo aver rischiato di morire
prematuramente, tronca il rapporto con Jane e inizia
a pubblicare sulla rivista Harlequin, la cui redattrice,
Barbara Frye, si dimostra entusiasta dello scrittore.
Henry la conosce e poco dopo i due si sposano, accasandosi in Texas. Nonostante il ricco patrimonio monetario dei genitori, Barbara vuole essere indipendente e costringe Henry a riprendere il lavoro;
nel 1958, pochi mesi dopo la scomparsa della madre di Buk, lo scrittore riprende infatti
l’impiego alle poste.
L’occupazione non gli va a genio e dedica
sempre più tempo alla scrittura, con risultati
sempre più visibili. Inizia a farsi un nome
nell’ambiente underground grazie alle sue poesie – raccolte sotto il titolo di Taccuino di un
vecchio porco – e durante uno dei suoi celebri
reading conosce Francis Smith, che gli darà una figlia.
La rinuncia al lavoro e la sua sregolatezza lo allontana
ben presto dalla figlia e dalla compagna che lo lasciano e si trasferiscono a Washington.
Nel 1969 Buk incontra John Martin, manager appassionato di letteratura con il quale firma il suo primo
contratto, e poco dopo pubblica i suoi primi due romanzi, Post Office e Factotum, che riscuotono grande
successo. Licenziatosi, nel 1976 conosce Linda Lee,
l’unica compagna capace di porre un freno alla vita
dissoluta che lo avrebbe portato all’autodistruzione.
Bukowski dà alle stampe una serie di romanzi tra cui
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Donne e Shakespeare non l’ha mai fatto e
lavora ai primi film sulla sua vita. Il
vecchio Henry cambia, abbandona il
suo precedente stile di vita e, sistematosi economicamente grazie alle vendite dei suoi romanzi (molto apprezzati
in Europa) e alla notorietà pubblica,
sposa Linda Lee nel 1985; trascorre
così gli ultimi anni in una villa a San
Pedro, California, ad aspettare con serenità, compiaciuto della sua esistenza,
la morte, alla quale tante volte era
sfuggito e che stavolta arriva per davvero, magari bussando alla sua porta,
per avvertirlo, e dargli il tempo di farsi
un’ultima bevuta.
Perché scrivere di Charles Bukowski?
Ciò che ha fatto pendere l’ago della bilancia a favore dello scrittore americano d’adozione, convincendomi a leggere le sue opere, è stata in primo luogo la sua vita, che conobbi prima della
sua arte. La vita stessa di Bukowski è
un opera d’arte, fuori da ogni canone o
modello; autodistruttivo e anticonformista, anche nella più banale delle sue
battute, in essa egli si dimostra coerente con se stesso. Tutto si può dire sulla
vita di quest’uomo, sui suoi vizzi, le
sue donne, il suo particolarissimo way
of life antisociale e antieconomico; eppure non si può disconoscere il fatto
che abbia avuto un’esistenza interessante. Essendo curioso per natura e affascinato da storie di uomini come
Buk più di ogni altra cosa, avrei scritto
di Charles Bukowski anche se fosse rimasto un vagabondo ubriacone, un
Chinaski qualsiasi insomma. Il fatto
poi che riuscisse ad abbinare la vita
maledetta, decadente, a uno stile di
scrittura del tutto unico mi ha definitivamente fatto appassionare alla sua
opera, portandomi alla scoperta di un
uomo che ha fatto della coerenza e
dell’onestà intellettuale la sua chimera
e che paradossalmente si è ritrovato a
incarnare, con l’avvento del successo,
il tanto vituperato (da lui stesso) mito
dell’American Dream. Su Bukowski si è
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
detto molto, forse troppo, sta di fatto che la sua originale carriera fu oggetto di aspre critiche da parte dell’ala intellettual-conservatrice. Innanzitutto consideriamo il problema
più dibattuto, quello dello stile. È
opinione diffusa che Bukowski non
sapeva scrivere, né in prosa né in
poesia. Certamente la sua scrittura si
discosta il più delle volte dalla perfezione grammaticale, da certi canoni
che si potrebbero definire riconosciuti, il che lo rese facile bersaglio
di gran parte della critica e nello
stesso tempo lo elevò a paladino di
una sorta di contro-scrittura. Le sue
giovani letture, da Hemingway a
Dostoevskij, fino ad arrivare a Miller, lo influenzarono profondamente
(anche se lui fu sempre restio nell’ammetterlo), aiutandolo a orientarsi verso uno stile poco ricamato, aggressivo, diretto e volgare. La sua
volontà principale era quella di apparire come un nuovo poeta maledetto, una sorta di precursore in anticipo sul tempo, un Baudelaire di
metà Novecento capace di portare
in letteratura una nuova gamma di
sensazioni ed emozioni che sono
uniche non per la loro universalità o
astrattezza ma perché riguardano lo
scrittore stesso. Voleva apparire un
artista puro, affascinato ma non
contaminato dalle opere di altri
grandi del suo tempo. Alla base di
questo tentativo c’è l’idea di una
nuova poetica, di una teoria letteraria che si richiama vagamente all’ir-
razionalismo di fine Ottocento e
all’anticonformismo delle avanguardie novecentesche, la quale
propone il rifiuto dell’idea stessa
di genere o modello letterario in
favore di una scrittura svincolata
dalle convenzioni e libera di poter essere applicata scatenando il
più alto grado di creatività possibile.
Il vagabondo con la machina da
scrivere Bukowski diventa il
creatore di un nuovo modo di
scrivere che ricorda stilisticamente anche, per certi aspetti,
l’automatismo Joyciano, specie
in poesia. La sua scrittura è irrazionale, vernacolare, ritmata, e
come tutti i ritmi e le melodie è
imprevedibile ma anche forte e
pungente, satirica e onesta, di
una sincerità critica che spaventa, e riflette la difficile infanzia
dello scrittore. Spogliando la
poesia dei suoi ricami, delle sue
sonorità elevate e enigmatiche,
dello stesso linguaggio poetico,
Bukowski comunica direttamente con il lettore, rendendolo partecipe di ciò che descrive, creando una forte tensione emotiva e
melodica; e non è un caso che
Buk scrivesse con un disco di
Brahms in sotto fondo, a illuminarlo. La scrittura pare riflettere
il suo stile di vita, diviso tra improbabili occupazioni e desideri
dell’uomo di strada, pieno di filosofia spicciola ma efficace.
Non ha fatto altro che raccontarci nelle sue opere la sua vita; è
rimasto sempre lo stesso, è Bukowski, l’ubriacone squattrinato,
scommettitore, il donnaiolo, il
genio autodistruttivo che ha saputo essere onesto, e l’onesta lo
ha ripagato. La sincerità gli ha
permesso in fin dei conti di parlare di se stesso e trasformare
così la sua vita in un’autentica
opera d’arte.
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
Bukowski è romantico ma mai sentimentale; è l’emblema del tramonto della vecchia scuola Beat, consapevole che
non si può fuggire dalla realtà: si limita
a osservarla e a descriverla cosi come
gli appare. L’emozione della terra promessa, sicuro rifugio dalla realtà sociale, è svanita: non c’è più spazio per la
languida visione, rimpiazzata da un
onesto giudizio sulla realtà; le lunghe
traversate da Detroit a San Francisco
alla ricerca di nuovi territori inesplorati, incontaminati, si trasformano in piccoli e rapidi spostamenti da un pub all’altro nella convinzione che il mondo
va in una direzione sbagliata ma precisa e che gran parte delle persone la segue senza domandarsi perché.
Bukowski fu comunque costretto a entrare nella tanto odiata società dal successo che alimentò il suo mito, avversato dagli intellettuali che gli rimproverano di non conoscere le basi di letteratura e storia dei generi, osannato da
tutti coloro che credono prima di tutto
a una scrittura dell’anima,
onesta e istintiva. Arrivò tardi al successo perché non lo
cercava, e nonostante la popolarità non cambiò il suo
atteggiamento; rimase sempre il vecchio ubriacone, un
po’ più attento ai soldi, adesso che ne aveva. Continuò a
pubblicare la storia della sua
vita in romanzi, e videro la
luce anche le prime raccolte
di poesie. La fama lo allontanò per sempre dai bassifondi, da cui traeva energia creativa, per portarlo in una villa
californiana alle porte di San Pedro a
godersi la sua pensione dorata. Se da
un lato l’arrivo del successo e l’incontro con Linda Lee contribuirono ad allungargli la vita, dall’altro sarebbe stato
fantastico osservare ancora il vecchio
Buk alle prese con le difficoltà di ogni
giorno, squattrinato e ubriaco fino ai
sessanta e ancora ispirato come quand’era giovane, pronto a raccontarci le
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sulla macchina da scrivere come
posseduto dalla musica che lo
circonda, quasi voglia sfogare
tutta la rabbia e le emozioni che
ha accumulato pensando al
mondo. Lontano anni luce dall’idea di poter far qualche soldo
con quella sua passione. Lontasue avventure da vecchio vagabon- no anni luce dai fan, dalle televido. Ci siamo dovuti accontentare di sioni, dalla notorietà.
un Bukowski che nonostante l’inserimento forzato nel mondo dello Dai due lavori che ho deciso di
spettacolo ha continuato a seguire recensire scorgiamo un aspetto
l’iter dello scrittore maledetto che si del carattere di Charles Bupresenta ubriaco ai reading, ingaggia kowski a cui ho già accennato,
duelli verbali e non solo con i pre- che merita di essere approfondisenti, insomma fa il Bukowski, fa to. Nonostante le apparenze,
ciò che la gente vuole. Eppure il Buk era un tipo timido, ma era
Buk che voglio ricordare è quello abilissimo a celare questa sua casconosciuto al mondo, giovane e in- ratteristica dietro a una bottiglia
cosciente a sufficienza per vivere al- di birra che gli stimola quel ghila giornata e adulto abbastanza per gno beffardo sulla faccia. Si caessere consapevole delle sue scelte. pisce da subito che per lui l’alIl Buk che voglio dimenticare è cool è, più che una via di fuga,
quello dell’ultima stagione, quello di un supporto alla sua condizione
Hollywood Holly- esistenziale. Bukowski non bevewood, romanzo- va per divertirsi o per dimenticadedica all’editore, re ma perché è sempre stato spacompiacente e ventato, terrorizzato e nello stesimpastato; è il Bu- so tempo affascinato dalla gente;
kowski attento ai non va alle corse di cavalli persoldi, a pagare le ché gli piacciono questi animali
tasse, a firmare ma semplicemente per osservare
contratti. Sarò an- la gente impegnata nella vita di
che spietato ma tutti i giorni. È come se lui vomi sono talmente lesse creare dei mondi artificiali,
avvicinato allo dei piccoli microcosmi (il pub,
scrittore giovane, l’ippodromo) nei quali è facile
talmente colto dal trovare un principio ordinatorio,
suo coraggioso nei quali si sente a casa. Il suo
stile, da non ri- tentativo fallì ed egli ne era ben
uscire a girare la medaglia per veder- conscio, era ben consapevole
ne il lato pulito e sobrio. Provo allo- che il mondo esterno, vero, fosra a immaginarmi Bukowski dentro se caotico e difficile da interprea un pub decadente alla periferia di tare, e fece la scelta più geniale,
Los Angeles, tranquillo come al suo se ne allontanò; divenne il protosolito, a sorseggiare una birra, sedu- tipo dell’essere antisociale, prese
to su uno sgabello, vestito da far ri- una macchina da scrivere, una
dere; lo seguo, e me lo immagino la birra e, sedendosi su un piedisera stessa, rinchiuso in una camera, stallo, riuscì finalmente a raccona sudare e a battere nervosamente tarci la vita, sua e della gente,
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
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con occhio critico e obiettivo che solo camente la raccolta ci fornisce impor- squattrinato si ritrova impiegato in
tanti spunti dal punto di vista delle in- un lavoro piatto alle dipendenze di
l’outsider può possedere.
Il dito tra le pagine
Quando eravamo
giovani
Raccolta di poesie pubblicata solo nel 1997
ma scritta a inizio carriera da Bukowski che,
prima di essere romanziere, fu poeta, il che
non sorprende. La poesia è il genere che più
gli assomiglia, permettendo alla sua scrittura, semplice e diretta, di assumere una
dimensione elevata, contemplativa. La sua
figura di poeta esibizionista, anticonformista e sporcaccione lo avvicinò parecchio
all’ambiente poetico Beat, anche se il suo
stile è diverso, più diretto, meno emozionale, più viscerale, collegato all’età della
giovinezza, ripercorsa in questa raccolta.
Come affermò lo stesso scrittore: “Sono
molto semplice, e quando scrivo tratto cose semplici”. Leggendo le sue poesie ci si rende presto conto di quanto siano familiari ai lettori i personaggi e i luoghi, gli stessi dei
suoi tanti romanzi. Siamo nell’America degli anni Quaranta, e Bukowski usa il linguaggio del popolo per rendere l’ambiente
che vuole descrivere. Non esistono artifizi
tecnici, giochi di rime, addirittura molte
poesie assomigliano a dei racconti brevi,
eppure ogni parola è la nota di una melodia che procede a ritmo sincopato, il ritmo
del jazz e della musica classica. Come la
musica, sono più da ascoltare che da leggere, sono poesie da reading. Lo stile di
Buk è semplice, a volte superficiale e impreciso ma nello stesso tempo drammaticamente onesto, ironico, sincero in maniera spietata, romantico mai all’eccesso.
Scrittore approssimativo, poco dotato tecnicamente, portavoce di quell’esistenzialismo spicciolo che è la voce del popolo;
intenso, capace di mostrare la realtà come
potrebbe apparire dietro una cinepresa e
nello stesso tempo presentarla agli occhi
del lettore caricata di un ardore giovanile,
diversa. Ancora una volta il giovane poeta
fa il Bukowski, come nella vita così nell’arte, con i suoi pregi e i suoi difetti. Temati-
fluenze letterarie: Dostoevskij, Hemingway, John Fante, Verlaine, maestri
più volte citati che lo convinsero a diventare uno scrittore. Le poesie aprono
diverse finestre sul mondo del Bukowski a cavallo fra adolescenza e maturità, un’età nella quale ci si interroga
insieme agli amici sul significato della
vita, un’esistenza immersa nel popolo
dei perdenti, tra una bevuta e l’altra, a
lanciare i primi sguardi incuriositi alla
scoperta delle donne e le prime occhiate critiche e beffarde al mondo.
Post Office
Bukowski trascorse dodici anni della
sua vita al servizio delle poste degli Stati
Uniti, a imbucare lettere da mattina a
sera, e decise di raccontarci la sua esperienza scrivendo un romanzo autobiografico, nello stile del diario. Pubblicato
nel 1970, Post Office è il primo romanzo
di Bukowski, scritto in venti giorni dalla
penna di uno scrittore ancora semisconosciuto. Racconta dell’impiego nelle poste di Henry
Chinaski, il famoso
alter-ego di Buk,
trasportando il lettore a contatto con
l’ambiente nel quale
il genio adulto e ribelle ha mosso i
suoi primi passi.
Tema fondamentale
è, neanche a dirlo,
la vita del protagonista: il suo rapporto problematico con
il lavoro da un lato (“Il lavoro ti ruba la
vita, non ti permette di fare le cose che vuoi”) e
quello in apparenza più sereno e liberatorio con l’altro sesso, l’incapacità di rinunciare all’alcool e l’insaziabile voglia
di sperperare gran parte dei soldi sudati
nelle scommesse. La vita di Chinaski
(Buk) è divisa fra semplici piaceri: le
donne (“Ogni tanto ho delle donne, ma non
dura. Le donne sono un lavoro a tempo pieno.
Bisogna scegliere”), le corse di cavalli (“Lo
scommettitore è un misto di estrema presunzione, pazzia e avidità”) e l’alcool (“Certifico
la mia esistenza in vita. Sono vivo e bevo birra”); vive una vita pazza, alla giornata,
capi prepotenti e senza scrupoli.
Sua unica consolazione sono le
donne. Prima fra tutte Betty, compagna di tante bevute; poi Joyce
(sarà un caso?), miliardaria; e infine
Fay, dalla quale avrà una figlia che
non potrà mai amare. La consolazione è solo apparente, lo dimostra
l’epilogo del romanzo che mostra
un Henry solo in casa, ubriaco, incapace di salire sul letto per dormire, quello stesso letto che la mattina
dopo troverà lì insieme a tutto il resto a ricordargli che la vita va vissuta, come sempre, giorno per giorno.
Rispetto alle poesie di Quando Eravamo Giovani, Post Office è meno
adrenalinico e impetuoso; il tono è
generalmente pacato, ma già carico
del carattere anarchico individualista e ribelle verso la società e il suo
stesso lavoro. Tuttavia, Post Office si
allontana dai successivi lavori dello
scrittore perché non ancora saturo
dell’odio e della negatività verso la
società; non c’è ancora spazio per
l’ironia fatalista e il sentimento disillusorio di completa impotenza e
contemplazione irridente verso il
mondo, che caratterizzerà in crescendo i lavori successivi. Al contrario, aleggia una velata speranza
verso la possibilità di riscatto del
genere umano, una speranza mai
portata all’eccesso, alla luce del sole, ma coperta sotto un velo di foschia che non permette di distinguerne la consistenza. Bukowski riproduce chiaramente, attraverso
dialoghi e monologhi particolarmente efficaci per la loro potenza,
l’ambiente di lavoro e dopolavoro
frequentato da Chinaski, rendendo
al meglio le impressioni e le situazioni che lo stesso Buk ha vissuto
in prima persona. Ancora una volta
il vecchio ubriacone ha colpito e lo
ha fatto restando semplicemente se
stesso.
I COLOSSI DA LEGGERE
DISCUSSIONI LETTERARIE
emergente.mastertopforum.com
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
7
PENOMBRA
a cura
di ANDREA
GALLA
Rispolverando
il GIALLO e NOIR
Stavo seguendo un uomo, per conto di una mo- Un’altra porta sul passato, che dagli inizi del Noglie ricca e gelosa. Un lavoretto facile, ma non
avevo fatto i conti con loro, i libri.
Questo signore di mezza età entra quasi per caso
in una libreria, forse cercando la sua amante, forse
alla ricerca di evasione. Io mi nascondo là, in quella zona della libreria dove la polvere si accumula,
dove la luce diventa fioca. Un luogo che ormai conoscete anche voi. Nella penombra, dove il fascino di belle gambe e il battito accelerato del cuore
si fondono e confondono. Dove ogni libro dalla
scura copertina ci chiama, avvertendoci: statevene
alla larga, se ci tenete alle coronarie.
Quando cerco l’uomo, è ormai già uscito, lontano.
Non importa, in fondo il mio orario di lavoro è finito.
Bene, se ci siete e avete spento le luci, iniziamo.
Non è facile districarsi tra i molti libri quasi monotematici che affollano i nostri amati scaffali. Veri e propri emuli di Dan Brown
stanno sfornando ogni genere di
testo che accenni o approfondisca il mistero di scienza, alchimia,
religione o quant’altro. Nascosto
tra questi volumi, mediocri e leggeri, possiamo però trovare I delitti della luce, di Giulio Leoni
(edizioni Mondadori). L’autore,
con sicurezza e bravura, disegna
una nuova indagine di Dante Alighieri, nelle vesti
poco consuete di detective, che tra delitti misteriosi e incredibili personaggi ci terrà compagnia per
alcune notti, senza lasciarci delusi.
vecento ci accompagna lungo tutto il secolo, ce la
regala Luca di Fulvio nel suo recente bel romanzo La scala di
Dioniso, edizioni Mondadori.
Uno stile particolare e una storia
ricca di richiami e simboli, insieme coinvolgente e paurosa, ci
narra le vicende dell’ispettore
Milton Germinal, tra indagini a
tinte fosche e richiami storici
mai noiosi. I diritti di questo libro affascinante sono stati acquistati dalla Colorado Film, che ne trarrà una pellicola diretta da
Gabriele Salvatores.
Ma lasciamo il passato per trovare una bella novità, presente già da qualche tempo in tutte le librerie: la nuova linea editoriale di Fanucci.
Di cosa parlo?
Dopo aver regalato ai lettori italiani molti capolavori fantasy e di fantascienza, l’editore romano
ha deciso di riempire le nostre nottate con i testi
dei più grandi maestri del noir, in edizioni curate
e preziose.
Dal grande Jim Thompson, con monumenti di
genere quali L’assassino che è in me, Colpo di spugna,
E’ buio dolcezza; a Ruth Rendell, con i suoi gialli
godibili e freschi, mai banali (La bottega dei delitti,
La morte in versi, Con la morte nel cuore).
Senza dimenticare Lansdale, Woolrich, e
Matheson, che con il loro libri completano un
nuovo panorama di ombre e chiaroscuri, che con
un pizzico di coraggio e molta lungimiranza l’editore ha deciso di offrirci.
8
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
Ma se lasciamo per un attimo i nostri amati scaffali
per spaziare tra gli altri volumi, ci si accorge che alcune opere sono sfuggite alla normale catalogazione, ed ecco allora comparire i
profondi romanzi di Massimo
Carlotto, edito dai tipi della e/o.
Piccoli libri tascabili che, da una
parte, ci narrano le avventure di
un anomalo e credibile investigatore nostrano, l’Alligatore, col
suo fido braccio armato Rossini,
che tra malavita e intrecci politici
e criminali del Nordest riescono
nel duplice compito di divertire e farci pensare alle
verità velate che ci circondano. E davvero non è
poco. Dall’altra, l’autore ci racconta storie nere a se
stanti, come L’oscura immensità della notte, o Arrivederci
amore, ciao, con assoluta padronanza della scrittura e
uno stile asciutto e scorrevole, senza fronzoli ma
diretto e vero. Un autore da scoprire assolutamente, capace come pochi di riscrivere la nostra realtà
rendendola più vera, e cruda, ai nostri occhi.
A settembre è uscito l’atteso nuovo romanzo, assolutamente da non perdere: Nordest, edizioni e/o.
E ora, avvicinandoci all’uscita, non possiamo non
notare le pile di volumi super economici della
Piemme, che ripubblica, a un prezzo davvero risibile, le avventure dei molti personaggi creati dalla
penna di Michael Connelly (La memoria del topo,
Debito di sangue, Ghiaccio nero e molti altri). Sono libri
non sempre all’altezza della bravura dello scrittore:
ne è un caso Il Poeta, romanzo mediocre che dopo
averci presi per mano per quasi cinquecento pagine ci
lascia con l’amaro in bocca; il tono dell’opera si fa scontato, la narrazione è pervasa da un senso di stagnazione
e i personaggi principali sono privi di originalità. Consigliato, insomma, solo a chi è alle prime armi con questo
genere dalle mille sfaccettature e colori. Tuttavia, una
collana nel complesso piacevole da leggere; presentata
poi a un prezzo così, è difficile resistere!
lo, ma di sicuro già domani
passerò ad acquistarlo.
Ormai delle edizioni Marsilio
Black mi fido come della mia
Beretta.
Esco dalla libreria e una fine
pioggia mi rinfresca il viso.
Domani dovrò ricominciare
a seguire quell’uomo, o forse
no. Il destino vuole che sia lì, fermo a sfogliare
un libro, come in attesa. Sono strani i fili che intessano le nostre vite, strani e grotteschi. Nonostante l’ora il mio lavoro continua, e almeno per
stanotte pensateci voi a quei vicoli tortuosi e misteriosi che sono le nostre letture preferite.
Perché anche sotto il sole più luminoso si creano ombre e penombre. Fortunatamente.
L’urlo
del destino
Un romanzo
di Matteo
Pegoraro
“Uno degli eventi editoriali più
intriganti dell’anno nel panorama
delle opere di autori veneti emergenti”
Il Gazzettino
In vendita solo su www.delosstore.it
SCRIVERE
Prima di rimanere chiuso in libreria, mi avvio all’ingresso e noto, disperso e pronto per essere inserito
negli scaffali, il nuovo romanzo edito da Marsilio
Black, Anche una sola lacrima, di Franco Limardi. Purtroppo non riesco a rubarne una copia al vo-
DISCUSSIONI LETTERARIE
Non lezioni, ma esercizi di scrittura on line
a cura di Andrea Galla
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L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
9
GIUDICATE VOI
Il grande mecenate
Un racconto
di PASQUALE
GIANNINO
Fuori piove. Sono già le dodici ma buon lavoro. A Milano, lasciando a Un giorno fu colpito da un’inser-
Luigi ha voglia di rimanere sotto le coperte. Ha trascorso la notte a rileggere
il suo manoscritto. È l’ennesima volta,
ma c’è ancora qualche frase da limare,
qualche aggettivo da sostituire. E poi il
ritmo… lui ama le frasi scorrevoli, il
suo libro dovrà farsi leggere tutto d’un
fiato! Sono trascorsi circa dieci anni da
quando iniziò a scrivere. Conserva ancora le prime bozze e quando le rilegge
prova quasi fastidio, non gli pare possibile che quella prosa incerta fosse la
sua. Era il frutto di una vicenda umana
intensa, una vita segnata dall’estraneità
e dal dolore. Aveva trovato nella scrittura il modo di esprimere ciò che un
mondo sempre più frenetico e distratto non gli lasciava dire. Era il periodo
degli studi universitari. Tra un esame e
l’altro, riusciva a ritagliarsi la sua libertà.
Nel corso degli anni imparò ad amare i
grandi autori della letteratura mondiale: lo affascinarono i libri di Hemingway, frammenti di una vita irripetibile, raccontati con semplicità e naturalezza; meditò a lungo sui temi esistenziali di Buzzati e su quelli sociali
di Silone; si inerpicò tra i virtuosismi
linguistici di Gadda e i sentieri lugubri
di Poe; fu ammaliato dalla prosa di Kipling e di Conrad. Frattanto la sua
scrittura diveniva più fluida, rappresentare su carta il suo mondo diventava una ragione di vita. Tutto ciò non lo
distolse dagli studi e laurearsi rimase il
suo scopo. Riuscì subito a trovare un
più di mille chilometri gli affetti, i ricordi, la sua gente. D’altra parte, un
impiego così non avrebbe certo potuto trovarlo nel profondo sud. Ma
era contento, entusiasta di raggiungere la metropoli, la speranza di incontrare un editore che lo avrebbe
capito e valorizzato.
Le passeggiate in centro diventarono
una consuetudine. Si soffermava dinanzi alle vetrine delle librerie, sognando di vedere presto il suo romanzo tra i best seller esposti. In
fondo era soddisfatto del proprio lavoro, di aver raggiunto un traguardo
che era costato fatica, rinunce, sacrifici da parte sua e degli umili genitori, orgogliosi di avere un figlio impiegato presso un’importante multinazionale. Nondimeno, il desiderio
di farsi pubblicare diveniva sempre
più forte. Inviò il manoscritto alle
case editrici più note, una delle quali
glielo restituì dopo qualche mese,
praticamente integro. Dalle altre
non ottenne risposta. Accantonato
così il sogno di vedere il proprio romanzo nelle vetrine delle librerie, si
orientò verso le piccole case editrici.
Ne aveva sentito parlare, sapeva della loro abitudine di chiedere un contributo agli autori – generalmente la
copertura totale delle spese – in
cambio di stampa, editing e, talvolta,
una distribuzione limitata a poche
librerie cittadine; nella maggior parte
dei casi, la semplice consegna all’autore delle copie stampate.
zione particolare: “Nuovi Scrittori
Edizioni – Dal 1979 pubblichiamo
opere di autori esordienti o non ancora
affermati.” Inviò il manoscritto.
Dopo una ventina di giorni trovò
nella cassetta delle lettere un voluminoso plico. Pensò inizialmente
a un altro rifiuto con la restituzione del testo. Era invece una proposta di pubblicazione: un parere
molto lusinghiero sul valore del
romanzo, seguito da un elenco interminabile di “padrini letterari”
illustri e di scrittori noti che avevano pubblicato con l’editore F.
A.; un elenco altrettanto cospicuo
di suoi autori che avevano partecipato a importanti trasmissioni
televisive; un plico di recensioni e
articoli che magnificavano l’opera
di F. A., “l’editore degli sconosciuti”. Luigi ne rimase particolarmente impressionato. Nello stesso tempo osservò che F. A., pur
dichiarandosi milanese – come si
evidenziava in gran parte della
pubblicità acclusa alla lettera – era
l’omonimo di un boss mafioso
sanguinario. In ogni caso decise di
chiedere un appuntamento.
Quando giunse presso la sede dell’editrice, faticò a individuare l’etichetta “Nuovi Scrittori” sul citofono di un anonimo palazzo nei
pressi dei Navigli. F. A. gli andò
incontro con un sorriso rassicurante. Alla soglia degli ottanta, voce suadente, la prima impressione
10
fu quella di un uomo che – dopo una
vita trascorsa nell’editoria – aveva effettivamente deciso di adoperarsi,
nella fase conclusiva dell’esistenza,
per lanciare quei talenti letterari che
sono ignorati dai grandi editori. Luigi
provò persino simpatia verso quel
vecchietto che avrebbe potuto godersi tranquillamente la pensione, anziché continuare a spendersi per aiutare
gli aspiranti scrittori. Così, quando F.
A. lo invitò a firmare il contratto,
pensò che i seimila Euro richiesti fossero una somma onesta. Per un’editrice, unica in Italia, che potesse offrire
tanto prestigio a degli sconosciuti.
Non firmò solo perché non aveva
con sé il denaro: fissò un altro appuntamento. Ritornando a casa, però, ripensava al nome dell’anziano editore,
uguale a quello del mafioso sanguinario… ripensava a quanto fosse modesta e anonima la sede. Qualche giorno
dopo lesse un articolo sconcertante:
“Milano: arrestato sedicente editore. Da oltre vent’anni prometteva notorietà e successo
agli aspiranti scrittori. Magnificando prestigio e collaborazioni illustri, estorceva loro
somme spropositate. Le copie realmente
stampate erano solo poche centinaia, anziché
le migliaia previste. I suoi ‘padrini letterari’
hanno dichiarato di non averlo mai conosciuto e di ignorare che usurpasse da così
tanto tempo il loro nome. In considerazione
dell’età avanzata, gli sono stati concessi gli
arresti domiciliari.”
Fuori piove. Luigi non ha voglia di alzarsi. Ha tra le mani il suo manoscritto. Lo accarezza. Ci sono ancora tante frasi da limare, tanti aggettivi da
sostituire…
L’ESPERIENZA
COL TUO EDITORE
Hai pubblicato un libro? Com’è stato
l’approccio con il tuo editore?
Raccontacelo on line su
emergente.mastertopforum.com
o scrivi una mail a:
[email protected]
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
E’ opportuno, a mio parere, rimarcare il messaggio di questo
racconto: l’esistenza di certi editori truffaldini che utilizzano
l’ignobile mezzo della
“pubblicità ingannevole” per illudere l’esordiente sulla possibilità di lanci strepitosi, riuscendo
così ad estorcergli diverse migliaia di Euro – in generale senza
garantire alcun controllo sulle
copie effettivamente stampate e
con vaghi impegni promozionali
e di distribuzione – in modo tale
da assicurarsi non solo la copertura delle spese, ma anche un
ampio margine di guadagno. –
m.p.
Pay per Publish: è
polemica con l’Emergente
a cura
di MATTEO
PEGORARO
Chi si aspettava che una testimonianza sull’editoria a pagamento
apparsa per caso sul numero tre
dell’e-zine risvegliasse così tanto
interesse? Di certo non io, abituato come sono, attraverso la mia
Guida Scrittori Emergenti in superEva, a imbattermi in autori
truffati o presi in giro da sedicenti
editori quasi ogni giorno. Di certo
non mi aspettavo di essere inondato letteralmente di testimonianze, e-mail tracotanti di giustificabile rancore nei confronti di finte
promesse. Molti editori che ho
avuto l’opportunità di conoscere,
o incontrare personalmente negli
ultimi tempi, mi chiedevano perché L’Emergente sgomita ce l’abbia
così tanto col mondo dell’editoria:
in fin dei conti fare l’editore non è
facile, servono investimenti, espe-
rienza e una buona dose d’intraprendenza mista a consapevolezza del rischio che non è poi così comune trovare. Ebbene, se L’Emergente sgomita
fungesse da crociata contro gli editori
non avrebbe certo lunga vita; se continuiamo a espandere questa realtà è
proprio per i rapporti di collaborazione e sinergia che abbiamo stabilito
con alcune frange più o meno note,
ma serie, dell’editoria nazionale.
L’Emergente sgomita non è paladino di
nessuno: è una comunità che ha deciso di mettersi al servizio prima di tutto degli amanti della letteratura, e
dunque dei lettori, e in secondo luogo
di supportare quegli aspiranti autori,
consapevoli dei loro limiti ma comunque validi, che vogliano piano
piano inserirsi nel panorama editoriale con una buona prova, che non tema il confronto con il pubblico. E’
un punto di riferimento solido non
per chi abbia la smania di farsi pubblicare convinto, a torto o a ragione,
di essere un nuovo Rimbaud, ma per
chi, avendo tra le mani un manoscritto, sia prima di tutto disposto a migliorarsi e, come affermava nel precedente numero Antonia Arslan, abbia
l’umiltà di farsi correggere. Il che significa talvolta riscrivere il proprio lavoro, accantonarlo per qualche tempo e riprenderlo in mano quando si è
acquisita maggiore maturità non solo
nel proprio stile di scrittura ma anche
nel percorso di letture formative che
s’intraprende. L’editoria che abbiamo
ironicamente chiamato pay per publish
rappresenta in tutto ciò uno scoglio
non indifferente: gli autori si vedono
il più delle volte adescati da fantomatici promotori dei loro scritti, che, anziché invitare l’autore a un esame approfondito del proprio elaborato volto all’apporto sostanziale di modifiche per la leggibilità e l’apprezzamento del testo, inviano pareri molto lusinghieri sul valore dell’opera, chiedendo però un contributo all’autore.
“In generale si tratta di case editrici
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
con pochi mezzi, adducendo la motivazione che altrimenti non potrebbero
sopravvivere” – ci ha detto Pasquale
Giannino, autore esordiente lui stesso
e nostro collaboratore – “Su questa
impostazione si può essere d’accordo
o meno. C’è chi sostiene che tali piccoli editori hanno in ogni caso il merito
di dare un minimo di visibilità (in generale verso amici e conoscenti, niente
di più) ad autori che non avrebbero alcuna chance di essere pubblicati dai
grandi. Io personalmente reputo che
un editore può ritenersi tale solo se è
disposto ad assumersi il rischio di impresa e a scommettere sugli autori,
puntando su un pubblico vero e non
già sugli autori stessi, che sono in genere gli unici acquirenti. Altrimenti, il
servizio offerto è quello che si otterrebbe da un qualsiasi tipografo per
molto meno”. E sta proprio qui la
questione: in Italia evidentemente non
è chiara la funzione che l’editore deve
rivestire; se fosse altrimenti, di certo le
mille e passa aziende, cooperative o associazioni che si definiscono “casa editrice” sarebbero molte di meno, e il
settore letterario non si troverebbe di
certo nella crisi che sta attraversando.
L’Emergente sgomita non è dunque una
spada atta a debellare chi pubblica autori affermati e rifiuta sconosciuti esordienti, e nemmeno chi, meglio che editore, si definisce stampatore, e non illude inutilmente il cliente; è più che altro uno strumento fruibile ai più che
rappresenti un’alternativa efficace alla
strada di un’effettiva autoproduzione
che rimanga isolata dall’iniziale confronto con un pubblico di veri lettori.
Qui non si tratta di insegnare, ma di
imparare; cooperare insieme in un terreno comunque non facile per essere
indirizzati a letture interessanti o indispensabili, per iniziare un primo raffronto tra autore e fruitore di un’opera
ed acquisire consapevolezza delle proprie capacità e mancanze.
spazio a un giovane “emergente” nel
campo editoriale italiano, Giulio
Perrone, in grado di darci le risposte che cerchiamo.
11
perché la si vuole rilanciare sul
mercato editoriale? E soprattutto come attirare i lettori senza rischiare di affossarsi come
editore?
La Giulio Perrone Editore nasce
da qualcuno che ha già una lun- Diciamo che è stata incentrata per
ga esperienza alle spalle, mi sba- i primi due/tre mesi di attività
glio?
perché da settembre sono partite
altre due collane di narrativa, oltre
In realtà no, nel senso che sono a quella già esistente (maDonna) e
ormai dieci anni che mi occupo di per la primavera del nuovo anno
letteratura (prima in radio, poi attra- ne prevediamo altre tre. Di conseverso riviste e infine con una casa guenza, come del resto tutti faneditrice), e quattro, appunto, di edino, ci muotoria. Anche se l’esperienza più imv e r e m o
portante resta quella conclusa mesi
sempre più
fa con le Edizioni Il Filo, che ho
verso la procontribuito a fondare e in cui ho laduzione in
vorato per quasi tre anni.
prosa. Questo,
però,
Una collana di classici curata da
non significa
Walter Mauro: idea indubbiache non cremente originale e curiosa ma…
diamo nella
Non si rischia di soffocare ultepoesia e non
riormente quei pochi esordienti Come campa un uomo senza continueresoldi, raccolta di racconti mo a farla,
meritevoli?
che ha inaugurato la col- un po’ per
lana Contemporanea
Direi di no, anzi la presenza di granpassione, un
di classici da una parte e, come ci po’ perché è un settore che conoauguriamo a breve, di autori già noti sciamo da anni e non ci piace
e importanti dall’altra non può che l’idea di abbandonarlo. Quanto a
arricchire il progetto e favorire an- un suo possibile rilancio sul merche l’emergere di chi è meno noto. cato editoriale, credo che sia neFermo restando che, come sostengo cessario rimanere realisti e capire
d a t e m p o , i l c o n c e t to d i che esistono dei limiti commer“emergente” va applicato solamente ciali e distributivi invalicabili.
da un punto di vista nominale a chi L’obiettivo è quello di premiare,
è meno esperto, perché meno cono- con poche pubblicazioni, solo gli
scitore di un mondo, non dal punto autori realmente validi e meritedi vista letterario, perché in quel voli, farli sostenere dalla critica e
campo esistono solo buoni e cattivi portarli pian piano al contatto con
scrittori. Il fatto che abbiano pubbli- il pubblico attraverso reading, letcato decine di libri o una sola pla- ture ed eventi che restano lo struquette non fa differenza. Anche per- mento migliore, se non unico, per
ché, come sapete bene, oggi pubbli- fare poesia e soprattutto venderla.
care a “certe condizioni” non è assolutamente un problema.
Pubblicate senza contributo, e
questo vi fa onore. Ma come riLa vostra linea editoriale è stata uscire a investire in un mondo
E ora, dopo questa premessa, lasciamo incentrata anche sulla poesia: così rischioso, specie in una si-
12
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
tuazione di crisi quale quella in cui materiali scadenti. Si può stampare
si trova l’industria editoriale del no- anche in digitale ma con veri professtro paese?
sionisti e salvaguardando la qualità
del prodotto). Tornando all’editing
La scelta del “con o senza contributo” non si può pensare che il libro scritè, a mio parere, una scelta di libertà to di getto da un autore possa essere
che permette all’editore di seguire sola- già perfetto. Le ripetizioni, le descrimente le proprie scelte, le proprie idee, zioni troppo ridondanti, il filo rosso
le proprie intuizioni. Non è più tollera- del racconto… sono tutte cose che
bile, infatti, la politica di certe case edi- vanno verificate a quattro mani con
trici che fanno scegliere persino la co- l’autore e rese perfette.
pertina all’autore con risultati vergognosi che inquinano il mercato di pro- Tra i dattiloscritti che ricevete
dotti scadenti e portano distributori e qual’è la percentuale media di
librai a diffidare dei piccoli editori. Qui materiale pubblicabile?
non si tratta più di un problema etico
perché in molti casi gli autori sono i Molto bassa direi. Ecco perché ci si
principali complici di questa particola- affida sempre più ad una
re realtà visto che arrivano a pubblica- “preselezione” e si dà spazio e priore anche sette, otto o venti libri a paga- rità soprattutto ai testi segnalati da
mento. Bisogna far sì che certi progetti persone di fiducia o addetti ai lavori.
“validi” non vengano confusi con il Non si tratta di nepotismo, ma di
sottobosco, quindi grande selezione e necessità operativa e di costi, perché
grande professionalità nel proporsi al- nonostante si tenda sempre più sui
l’esterno, sia verso il pubblico che ver- siti a specificare che devono essere
so gli addetti ai lavori. Quanto al pro- inviati solo testi in linea con le collablema degli investimenti, credo che ne e via dicendo… le persone non
nessuno nella vita sia costretto a fare sembrano accorgersene e mandano
l’editore, quindi chi inizia questa pro- di tutto. E la lettura “seria” di un lafessione deve sapere che i rischi esisto- voro costa molto tempo e impegno
no, che le battaglie vanno combattute soprattutto alla redazione di una pice che è necessario investire tempo e cola casa editrice. Proprio per quedenaro per vedere dei buoni risultati.
sto la nostra politica è di investire
molto su concorsi letterari che rapGiulio Perrone cosa pensa dell’edi- presentano un’occasione assolutating di un testo letterario? E’ un mente “democratica” di selezionare
fattore importante per una buona autori lasciando però il giudizio agli
resa finale del romanzo?
esperti che certifichino da subito la
qualità di un poeta o di un narratore.
Direi che l’editing è assolutamente In questo modo anche l’eventuale
fondamentale e la vera differenza tra “esordiente” avrà subito l’appoggio
un “libro vero” di una casa editrice im- dei critici e dei giornalisti che lo
portante, e per importante non inten- hanno scelto, permettendogli di indo per forza una major, ma una struttu- serirsi con più facilità nel mondo letra seria, e quello di una improvvisata lo terario che conta.
fanno proprio tre caratteristiche: il
contenuto (dove editing e correzione Un consiglio all’esordiente inebozze hanno un peso decisivo), la gra- sperto, che sa poco o nulla del
fica (che deve essere originale, impec- mondo editoriale.
cabile e definente il taglio della collana)
e la veste tipografica (bando quindi a La prima cosa che mi viene in men-
te è di spingerlo a non inviare a
una casa editrice la prima cosa
che ha scritto. Poi di rivedere con
grande attenzione il proprio lavoro prima di inviarlo in lettura e se
possibile di fargli dare un’occhiata
non agli amici, ma a qualche addetto ai lavori, non per forza un
critico di grido, va bene anche un
giovane ma che abbia una certa
dose di esperienza. Negli ultimi
anni per esempio non sono pochi
i siti Internet che fanno questo lavoro di consulenza con ottimi risultati. Scegliere inoltre con cura
la casa editrice cui inviare un lavoro, informandosi bene sulle sue
collane e perché no, leggendo
qualche libro, anche per rendersi
conto della qualità e della serietà
di un editore. I suoi libri sono sicuramente la cartina tornasole di
ogni sua iniziativa o progetto. Infine, anche se forse è la cosa più
importante, di leggere molto, anche i nuovi autori e di non aver
paura del confronto, perché soprattutto nei primi tempi, quelli
della formazione, è uno strumento fondamentale di crescita.
Per il futuro che cosa ci riserva
la Giulio Perrone Editore?
I nostri principali obiettivi per il
prossimo anno sono il completamento del catalogo con il lancio
delle nuove collane che abbiamo
in mente, compresa quella internazionale, e la creazione di una
rete distributiva capillare. Quest’ultima resta, infatti, la vera battaglia che ogni vero editore deve
combattere per riuscire a imporsi.
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
UN PIEDE
AL LINGOTTO
13
di ANDREA
GALLA
In Italia si legge poco. Poco più del eventi.
cinquanta per cento degli italiani legge solo un libro l’anno. Siamo il fanalino di coda dei lettori europei.
E allora come spiegare le duecentoventicinquemila persone che prendono d’assalto il Lingotto per assistere
alla Fiera del Libro di Torino?
Forse è per la fiera in sé, con gli autori che camminano tra gli stand, gli
editori che accolgono e invitano, e
gli ospiti che spaziano dai personaggi
dello spettacolo ai politici; forse tutto questo attira le persone.
Oppure sono loro, i libri, che più di
ogni altro attraggono: ve ne sono di
tutti i tipi alla Fiera. Da quelli più famosi a quelli che di solito non si vedono sugli scaffali delle
librerie. Pile di scritti
che ci chiamano, ammiccano, irresistibili.
Come ogni anno la Fiera
del Libro di Torino si è
svolta a maggio, dal 5 al
9. Il tema conduttore
della manifestazione è stato il sogno,
e, partendo da questa base, la Fiera si
è snocciolata in svariati eventi e dibattiti, tracciando tra sogni e parole,
con molta professionalità e un certo
spensierato divertimento, la realtà e
il futuro della letteratura.
Già prendendo e sfogliando il programma della Fiera ci si accorge di
uno dei maggior pregi, ma anche forse dei difetti, di questa rassegna: gli
Ogni giorno, per tutta la permanenza del Salone, da mattina a sera i visitatori non sono mai lasciati soli al loro vagare: in tutti i padiglioni si susseguono eventi di
ogni genere. Ci sono presentazioni di libri, alcuni sconosciuti, altri
così famosi che per riuscire ad assistere all’incontro si deve arrivare tre ore prima; poi ci sono le discussioni, colte o ironiche, sull’editoria o sui temi più disparati,
con l’unico legame conduttore
che è il sogno; infine ci sono le
serate, con concerti e dibattiti,
sempre all’altezza.
Ogni evento, anche il più piccolo,
è stato curato in modo eccellente
dagli organizzatori, e
ha regalato a
chi ha assistito
momenti di rara
intensità e
interesse.
Tutto questo ha però un risvolto
negativo: un leggero disordine
creato nella mente del visitatore.
Personalmente mi sono avvicinato al programma (ben sessantaquattro pagine) cinque giorni prima dell’inizio della Fiera, e mi ci
sono volute molte ore per riuscire a trovare ciò che mi interessava davvero. L’avventore occasionale si troverà spaesato di fronte
alle troppe opportunità, e sarà
costretto a scegliere durante la
manifestazione se dedicare
qualche ora ad ascoltare la presentazione di un libro o altro,
col rischio di accorgersi di aver
perso un autore a lui caro, o
una discussione interessante.
Tutto ciò, ahimé, è inevitabile,
ma è comunque un peccato.
Un’altra piccola critica, che deriva dalle proporzioni grandiose dell’evento, è la distanza che
si crea tra autori e lettori. Nonostante le presentazioni dei libri, nonostante a volte si possa
incrociare qualche scrittore tra
gli stand, è difficile una fusione
o un confronto diretto. In altri
festival (quello di Mantova su
tutti), certamente più piccoli e
meno profondi, si riesce però a
creare con gli scrittori un vero
e proprio dialogo, che qui a
Tornio purtroppo manca.
Ma alla fine e’ un prezzo che si
paga volentieri una volta varcato il confine del Lingotto, ed
entrati nella Fiera del Libro: infatti, a parte i programmi e gli
incontri, a fare da padroni sono loro, i libri, mai così tanti e
mai così eterogenei.
La Fiera, non bisogna scordarlo, è soprattutto questo.
Gli stand a disposizione, che
esibiscono ogni possibile e immaginabile volume, sono quasi
mille, tra editori, associazioni e
14
piccoli negozi.
Poter respirare la cultura, sentire il
profumo della carta sfiorarci la pelle, è una sensazione che vale il prezzo del biglietto.
Si può trovare
ogni cosa, dal
libro antico e
raro al bestseller
appena pubblicato.
Inoltre
tutti quei libri
che negli scaffali delle librerie si confondono, perché poco noti o di editori appena nati, qui sono
ordinatamente disposti, in bella
mostra per essere apprezzati.
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
anche educativo del Salone di
Torino.
Quindi tutto oro quel che luccica? Quasi.
Oltre al fattore confusione, in
molti criticano il prezzo del biglietto (dai tre euro per i bambini
ai sette per gli adulti, cinque euro
per gli studenti), che non ti concede nemmeno un piccolo sconto sui libri acquistati. Questo fa sì
che alcuni, non trovando eventi
di loro gradimento, scelgano di
non partecipare, preferendo usare i soldi risparmiati per una spesa in libreria.
Inoltre, nei giorni di punta
(sabato e domenica), il caos generato dalla folla che si aggira nei
Per ogni amante delle parole scritte
la Fiera è come un eden. Basta avere tempo e molta curiosità, e per
qualche ora sembrerà di varcare la
barriera illusoria che ci separa dalle
parole e dalle vicende della carta
stampata.
Nelle nostre passeggiate, inoltre,
non è raro incontrare gli editori
(uno tra tutti Sergio Fanucci, sempre disponibile a uno scambio di
battute, a un consiglio o a un semplice sorriso), che supervisionano
ogni cosa, regalano qualche annuncio su uscite future o semplicemente ascoltano pazienti le proposte di
giovani autori in cerca di editore.
Per finire, un po’ separata dagli altri
stand, c’è la parte dedicata ai ragazzi delle scuole. La Fiera si trasforma
in laboratorio e gioco, per avvicinare i giovani studenti (anche giovanissimi) alla lettura; e tutto questo
non fa che aumentare lo spessore
padiglioni rende difficile assaporare per bene le molte sfumature
dalla Fiera.
Peccati veniali, insomma, di una
Fiera del Libro ogni anno più
completa e ben organizzata, che
riesce ad attirare anche chi di libri
ne legge pochi, per il semplice
fatto di esistere. E poi, per noi
che non ci muoviamo senza avere un libro nella borsa, è ossigeno
puro, al cento per cento, di quello
che quando l’hai respirato ti lascia un piacevole e vago mal di
testa.
L’OPINIONE
di Jacopo De Michelis
Come viene considerata e vissuta
questa manifestazione da un addetto ai
lavori? Lo abbiamo chiesto a Jacopo De Michelis,
curatore della collana
Black di Marsilio Editori.
“La Fiera di Torino è
sempre interessante perché se non altro dà modo
di esaminare in maniera
organica le proposte e i
cataloghi di medie e piccole case editrici che soffrono cronicamente di
scarsa visibilità, ma nella
sostanza finisce per non
essere molto più di una
enorme, e un po’ dispersiva, libreria, con decine e
decine di migliaia di libri
esposti. Per un addetto ai
lavori è molto più importante e stimolante un appuntamento come la
Buchmesse di Francoforte, dove ci si confronta
con editori e agenti letterari di tutto il mondo, e
forse, dal mio punto di vista, la Fiera torinese dovrebbe assomigliarle di
più.
”
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
15
VINTAGE
L’assaggio
Henry Glassie
Leggende
popolari irlandesi
Oscar Mondadori –
1999; p. 415
€ 8,26
“Il buon Patrizio di Macha si fermò dopo aver compiuto la propria missione. Aveva costruito settecento chiese e ordinato tremila
preti. Ora l’Irlanda era una terra cristiana, libera da idoli di
pietra, spettri e serpenti. Davanti a lui stava Oisin, l’ultimo dei
guerrieri Fenian, piegato, distrutto, vecchio. San Patrizio gli comandò di riferirgli gli antichi racconti, i racconti degli uomini e
delle donne d’Irlanda, delle sue montagne e dei suoi fiumi. Brogan, lo scriba di San Patrizio, ne trascrisse a migliaia. Poi Patrizio si ritrasse inorridito dinanzi al piacere che quelle cose pagane gli procuravano. Comunicò perciò la propria preoccupazione
ai suoi angeli custodi. Non temere, gli dissero loro, ascolta pure i
racconti, e registrali nelle esatte parole dei loro narratori, perchè
si riveleranno un grande piacere per la brava gente di questo
mondo fino alla fine dei tempi.”
Leggende popolari irlandesi di Henry Glassie inizia proprio
con questo aneddoto per spiegare non solo l’origine
delle leggende popolari, ma anche l’importante contributo che hanno dato i monaci di San Patrizio alla loro
conservazione nel corso dei secoli. Si tratta di un cospicuo patrimonio culturale, arricchitosi con il passare
del tempo di nuove storie cristiane, vichinghe, normanne e inglesi, custodito gelosamente dagli irlandesi,
che lo hanno difeso e tramandato come simbolo della
loro identità culturale e diversità rispetto agli invadenti
e bellicosi inglesi.
di ANDREA
COCO
no state ritrovate ai quattro angoli della terra, ma io le ho scelte per il contributo che danno alla definizione del profilo della
coscienza irlandese.”
Per realizzare quest’antologia, Glassie ha riunito racconti provenienti da quaranta opere diverse e da un
paio di “ottime riviste irlandesi”, con l’eccezione del libro Racconti folkloristici dell’Irlanda di Sean O’Sullivan,
lasciato volutamente intatto in modo che le due opere
possano essere lette assieme e una servire da appendice all’altra. Peraltro le due raccolte sono così diverse
fra loro da essere complementari: tutte le storie presenti nel libro di O’Sullivan furono registrate tra il
1930 e il 1948, mentre Henry Glassie ne raccoglie che
coprono l’intera storia della tradizione di reperti folkloristici orali dal 1825 ai giorni nostri.
Inoltre, per rendere più simili le leggende tramandate
in forma scritta a quelle udite di persona, lo scrittore
ha spezzato alcuni paragrafi in frasi più brevi, dando
maggiore regolarità alla punteggiatura. Nell’edizione
originale ha mantenuto le caratteristiche distintive del
dialetto irlandese nella sintassi e nelle opzioni lessicali. Ha inventato i titoli ai racconti che non ne avevano
uno e per ciascuna narrazione ha inserito alcune informazioni: prima il nome di un narratore e di un
paese, poi il nome di uno scrittore e una data.
Le storie sono state infine raggruppate in capitoli, che
non devono però essere ritenuti come muri invalicabili – alcuni racconti sono trasversali a essi – ma devono essere considerati nient’altro che suggerimenti
per aiutare il lettore a entrare nella cultura folk irlandese. Il percorso suggerito da Henry Glassie è il seguente: Vecchie storie, Fede, Vivacità di spirito, Mistero,
Henry Glassie, folklorista americano di origini irlande- Storia, Racconti del focolare.
si, collezionista di libri sull’Irlanda, è rimasto così affascinato da queste fiabe e leggende, che rivelano al let- “Un avvincente e completo repertorio che svaria dalle vecchie
tore arguzia e profonda umanità, da volerle riunire in storie di santi e sacerdoti, stolti e saggi, alle leggende di fantaun lavoro sistematico per farle conoscere e apprezzare smi, fate e tesori nascosti, alle narrazioni dei molteplici eventi
storici e politici che hanno segnato l’Irlanda” – si legge in
fuori dai confini dell’isola di smeraldo.
quarta di copertina. “Vivamente consigliato a chi ama l’Ir“Ho composto questo libro per condurre il lettore alla compren- landa e la letteratura popolare” – aggiungo io.
sione della cultura irlandese tradizionale. – spiega – Alcune
delle storie che vi figurano sono incredibilmente antiche, altre so-
16
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
ANNE’S DOOR
La cultura a difesa della vita
a cura
di ROBERTO
MALINI
Lezione di pittura Yddish
Una rubrica in collaborazione con il portale www.annesdoor.com
Negli shtetl , i villaggi ebraici dell’est europeo, si prega- necessità del suo essere unico e “diverso”. Di tutte
va, si suonava, si cantava e si dipingeva. La tragedia della vita quotidiana, delle persecuzioni, dei pogrom e dell’antisemitismo, che erano tristi realtà anche prima dell’avvento del nazionalsocialismo, non impediva agli
ebrei di gioire del dono della vita. Negli shtetl gli ebrei
scherzavano con la vita, con la morte e con Dio e loro –
Dio, la vita e la morte – scherzavano con i rabbini, i
violinisti sul tetto, i macellai
rituali e gli altri abitanti dello
shtetl. “La Kabbalah insegna
che la prima parola della Bibbia, Bereshith (In principio), si
può anagrammare in tahev
shir (voluttà di canto)” notò
lo scrittore yiddish premio
Nobel Isaak Bashevis Singer.
Ecco l’umorismo yiddish, la
spontaneità yiddish, la sapienza yiddish.
La pittura dei villaggi e delle comunità askenazite era
così: entusiastica e spontanea come una preghiera,
gioiosa come una danza o una canzone. Gli artisti e i
critici d’arte dell’Europa antisemita, che usavano il termine yiddish applicato all’arte come sinonimo di
‘imperfetto’, ‘degenerato’, ‘ridicolo’, inseguivano una
forma che racchiudesse la purezza della loro razza e della loro tradizione. Fu Adolf Hitler stesso, pittore di nessun genio, nel 1937 a definire l’avvento della
Volkskunst , l’arte del popolo tedesco.
le forme d’arte non conformi alle aspettative autocelebrative dei nazisti,
quella yiddish era la più
combattuta. Con l’etichetta di “dipinti alla
maniera yiddish” si bollavano le opere destinate
al rogo. In realtà la pittura yiddish, inascoltata e
incompresa, si rivolgeva all’anima dell’umanità: S’iz
an emese mayse, così diceva. “Questa è una storia vera”. Tutto vive, tutto esiste, tutto cresce. Ma tutto,
come se fosse lieve e alato, non permane. Se passa il
vento, niente è più sicuro di vivere, di esistere né di
crescere. Ecco perché il disegno, il colore, le pennellate dell’arte yiddish colgono la realtà nell’attimo in
cui essa si illumina di vita, ma non la definiscono,
perché la sua gioia è impermanente.
Danza la mano del pittore che
impugna il pennello; canta il
colore sulla carta, sulla tela;
niente si ferma, ogni creatura,
ogni cosa nascono e muoiono
con ali visibili o invisibili.
“Bisogna dipingere come se si
rivolgesse a Dio un ringraziamento” spiega il maestro all’allievo. “Non riflettere sul giorno, perché arriva la notte. Non
fermare il pensiero sulla natura, perché arriva la carovana degli uomini. Non dire ‘fiori’, perché sono
già frutti. Non dire ‘foglie’, perché è già autunno. E
soprattutto, non dire ‘domani’, perché è già ieri”.
Rappresentazione di famiglie ariane prospere e sorridenti, di una natura asservita all’uomo, di donne dagli
ampi bacini: pronte per arricchire la progenie tedesca.
Contemporaneamente, il capo dei nazisti definì Entartete
Kunst, arte degenerata, quella che esprimeva la sofferen- (Nelle foto: opere di Marc Chagall, Moshe Rosentalis, Issachar
za dell’essere umano, la profondità della sua anima, la Ber Ryback).
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
POESIA
CREATIVA?
17
Un racconto
di FRANCESCO
DELL’OLIO
“Allora, stasera ce ne andiamo al corso ché c’è divieto!” faccio io.
di poesia creativa della professoressa
Carlino. Mi raccomando. E’ un pozzo
di scienza. E’ una cosa con i controcoglioni, la professoressa Carlino. Mi raccomando, puntuale.”
“Cazzo, la professoressa Carlino” dice
Berto.
“Già, proprio lei. Un bel corso di poesia creativa. E’ ora che facciamo un
salto di qualità. Basta con quelle insulse poesie in cui non si capisce nulla.
Merda, le ho lette le tue ultime cose.
Ogni tre versi c’è la parola cazzo” faccio io.
“Be’ ma… Io scrivo così. Ho sempre
scritto così.”
“Ed è ora che cambi. E’ ora che scriviamo qualcosa che possa interessare
al grande pubblico. E’ ora di puntare
in alto” chiudo io.
Questo alle sette di sera.
Alle otto e venti siamo in macchina a
sfidare la nebbia.
“Al liceo classico. La professoressa
Carlino tiene il suo corso al liceo classico” dico.
“Ho portato questo bottiglione di vino” fa Berto “credo che dovremmo
presentarci con qualcosa. Non ci siamo neanche iscritti, al corso…”
“Uhm” farfuglio io “non credo che la
professoressa Carlino sia un’amante
dell’alcool…”
“Be’” fa Berto “in tal caso scoliamocelo noi.”
Questo alle otto e trenta minuti. Alle
otto e quarantacinque siamo davanti al
liceo classico. Mezzi sbronzi.
“Non c’è un posto libero a pagarlo
oro” dico. “Dove cazzo parcheggiamo?”
“Lì, lì è libero” biascica Berto.
“Ma è davanti all’entrata. E’ libero per-
Con una manovra alcolica sistemo la
Panda alla meno peggio davanti all’entrata.
Intanto Berto ha cominciato a scrivere su un foglietto. Me lo legge:
“Per il vigile, siamo al corso di poesia al liceo. Non ci sono altri posti
liberi. Siamo in ritardo. Poche palle.”
“Merda, tu ci vuoi far mettere dentro!” urlo.
“No, non capisci, bisogna mostrare
sicurezza, sennò è multa assicurata.”
“Hum” borbotto io “forse non hai
tutti i torti. Ma almeno mettici un
grazie.”
“Okay” accetta Berto. Scrive a chiusura: grazie di tutto. E infila il foglietto tra il vetro e il tergicristallo.
Varchiamo il portone del liceo classico ondeggiando.
“Forse abbiamo esagerato un po’,
col vino.”
“No, no” mi rassicura Berto.
“Vedrai, faremo un figurone. Ci
scambieranno per dei poeti maledetti.”
Alle nove entriamo nell’aula del corso, Berto davanti spavaldo, io a seguirlo.
“Buongiorno a tutti” biascica Berto.
Le quattro persone presenti, sedute
in ordine sparso fra i banchi, si voltano a guardarci.
Una quinta persona si alza, ci scruta
con sguardo sospettoso e dice: “I signori desiderano?”
“Siamo qua per il corso” comincia
Berto. “Siamo un po’ in ritardo, è
vero, e ce ne scusiamo.
Siamo dei suoi ammiratori, professoressa.” E’ un treno, fila via dritto
che è un piacere.
“Be’, ecco, io…” farfuglia la
professoressa Carlino.
“In effetti non ci siamo iscritti”
intervengo io. “Abbiamo saputo
del corso in ritardo.”
La professoressa Carlino mi
guarda. E’ una donnetta spigolosa con occhi da furetto dietro un
paio di occhiali pesanti ed enormi.
“Be’, non sarebbe la prassi…”
comincia la Carlino “Ma dal momento che siete qua… Prego,
scegliete un posto.” Lo dice con
un tono di voce poco convinto,
come sospinta in quella direzione da eventi imprevedibili.
Seguo Berto che si infiltra tra i
banchi e gli sussurro: “Che cazzo vai a dire buongiorno che sono le nove di sera!”
“Ah già” mormora lui “Poco
male, avranno capito di che pasta siamo fatti.”
“Sei sbronzo” gli sussurro di rimando.
Mi ritrovo seduto accanto all’unica ragazza presente. Una
bonazza in minigonna con maglietta striminzita e attillata. Una
di quelle con piercing al naso e capelli lisci lunghi fino alle tette.
“Allora” dice la professoressa
Carlino “riprendiamo da dove
eravamo rimasti: l’incipit poetico.”
La professoressa comincia a
sproloquiare e io mi deconcentro immediatamente, non seguo
nemmeno una frase, non raccolgo nemmeno un consiglio per
migliorare le mie merdone poesie. Mi perdo a osservare i presenti.
18
C’è un vecchietto bianco e avvizzito,
un ciccione che sbuffa a prendere appunti, un ragazzo slavato con barba incolta e lei. La mora alla mia destra.
Una cosa d’altri tempi. Due autostrade
al posto delle gambe, due tette dritte e
massicce, due biglie nere negli occhi.
“Interessante” le dico a bassa voce
strisciando i miei occhi sulle sue cosce.
La mora si volta dalla mia parte ma pare non capirmi.
“La lezione” faccio.
La mora sospira e alza le spalle.
“…ed è per questo” continua intanto
la Carlino “che ora chiedo a ognuno di
voi di alzarsi e dire a tutti gli altri che
cos’è, in definitiva, secondo il proprio
parere, la poesia.”
Tra i presenti scende il gelo.
“Ben detto” dice Berto stravaccato sulla sedia, accanto al barbuto; gli da una
pacca sulle spalle. Il barbuto si volta a
guardarlo ed emette una specie di singulto. “Tosta la tipa, eh?” gli dice Berto.
“Bene” fa la professoressa Carlino
“comincia pure tu”.
Si alza il ciccione ma non dice nulla.
Guarda in basso, non sa cosa dire.
“Che cos’è per te la poesia” lo spinge
la Carlino con un sorriso tirato.
Silenzio. Silenzio assoluto e fastidioso.
Berto comincia a sghignazzare. La Carlino si sta per spazientire. “Avanti” gli
dice con una tonalità di voce più alta,
trattenuta a stento. “Quello che ti viene in mente.”
Ma il ciccione se ne sta muto a guardare il pavimento. Praticamente è una
balena arenata sulla spiaggia.
La mora intanto si sposta verso di me
e mi dice all’orecchio: “Che domanda
del cazzo. La poesia è nulla. Tutto e il
contrario di tutto.”
“Già, è vero” asserisco io. Del suo discorso ho capito soltanto le ultime due
parole, di tutto, il resto non è stato altro
che il soffio della sua voce a stuzzicarmi l’orecchio e vampate del suo profumo a obnubilarmi la mente. Mi assale
il terrore di non riuscire a trattenermi e
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
di saltarle addosso. Mi immagino la
Carlino inorridita che chiama rinforzi o la Carlino sbiancata che cade
svenuta o Berto ubriaco che grida
rivoluzione.
Intanto il ciccione si è seduto e ora
c’è Berto in piedi: “La poesia è…”
comincia.
Poi si ferma per qualche secondo.
“La poesia è…” riprende. “No, non
posso. Non posso rispondere a una
tale domanda in questo momento.
Avrei bisogno di… Stimoli maggiori
alle spalle, avrei bisogno di un contesto diverso, non so se mi capisce,
professoressa. Mi spiace, non posso
proprio rispondere. Nulla di personale.” Dice così e si siede.
La Carlino ora è senza parole. Non
sa più che pesci pigliare.
“Comunque” sussurro intanto alla
mora “sei di qua? non ti ho mai vista
in giro.”
“Non ho nessun giro” risponde lapidaria.
Mi fa male guardarla, comincio a
pensare a come uscircene insieme da
quel covo di pazzi.
“Insomma” alza la voce la professoressa Carlino, ora pare sul punto di
esplodere “c’è qualcuno, qua dentro,
che mi sappia dire che cosa è la poesia?”
Nessuno si fa avanti per un tempo
indefinito. Poi si alza il vecchietto
canuto. Si schiarisce la voce e parte:
“Ecco, egregia signora, non per contestare la sua domanda, ma… L’unica risposta che mi sovviene è la seguente; le riporto una citazione datata XVIII secolo. Questo disse Jhonson, e cioè che è molto più facile dire che
cosa non è, la poesia. Noi tutti sappiamo
che cosa è la luce, ma non è facile dire che
cosa essa sia”.
La Carlino rimane allibita. “Be’,
ma… Questo… Che significa,
non…” comincia imbarazzata.
“Infatti” esclama allora il ciccione
“io questo volevo dire. Allora non
ho sbagliato!”
“E’ una domanda del cazzo, signora” interviene la mora. “La
poesia è tutto e il contrario di
tutto”.
“Già” faccio io dandole a priori
ragione.
L’unico a rimanere zitto è il barbuto.
La professoressa Carlino comincia ad annusare aria di ammutinamento e anarchia. Sa bene che
se non riprende in mano la situazione quell’aula potrebbe trasformarsi in una bomba a orologeria. “Okay” dice cercando di
nascondere la bile che le sta salendo. “Forse non siete ancora
pronti. E’stato un mio errore di
valutazione. Mea culpa.” Sorride
ma è tutta un nervo, è tesa come
una corda di violino. “Faremo
allora un esercizio. Vi farò toccare con mano la poesia, cercherò di farvi utilizzare…” continua
così per un po’ ma ancora una
volta non la ascolto, la mora mi
attira gli sguardi e i pensieri. Ora
accavalla le gambe, fa il gesto di
tirarsi giù al ginocchio la sua micro gonna. Penso: ma che cazzo
vuoi tirare giù, saranno al massimo cinque centimetri di stoffa.
Intanto la Carlino ha spento la
luce. E’ buio totale, non si vede
a un palmo.
“Che succede?” chiedo alla mora.
“L’esercizio” mi risponde
“Quale esercizio?”
“Quello che dobbiamo fare ora.
Non hai ascoltato?”
“No, effettivamente stasera ho
forti problemi di concentrazione.”
“Be’, in pratica ora la Carlino
passa e lascia sul banco di ognuno di noi un oggetto. Lo devi
toccare, tastare e annusare per
poi scrivere, sempre al buio,
quello che ti viene in mente.”
“Cazzo” dico io.
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
Intanto la Carlino è passata anche da
noi. Prendo in mano quello che al tatto
mi pare essere una puntatrice.
“Tu che cos’hai?” mi chiede la mora
spostandosi lievemente dalla mia parte
e sferzandomi le narici con una ventata
di profumo. Perdo il controllo.
“Ho voglia di te, ecco cosa ho” le sussurro accarezzandole una coscia.
La mora lascia fare, non mi dice nulla.
Imbaldanzito dal suo tacito consenso
vado avanti e supero l’orlo della gonna
e punto in alto.
“Ehi” dice lei stringendo le gambe
“non starai correndo un po’ troppo?”
“Sì, ma troppo poco per una come te”
sparo fuori.
Nel contempo ride e mi allontana la
mano.
“Andiamocene fuori” dico.
“Fuori?”
“Fuori, andiamo da qualche altra parte.
Andiamo da te.”
“E la Carlino?” dice lei.
“Fanculo la Carlino.”
In un attimo ci alziamo e sgattaioliamo
dall’aula, abbandonando alle nostre
spalle lo stupore della professoressa.
“Ho la macchina. Proprio davanti qua”
dico.
Ma ovviamente, una volta fuori dal
portone, della macchina nessuna traccia.
“Cazzo” dico. “Fottuto d’un vigile.”
“E’ rimozione forzata, qua” dice la
mora indicando la segnaletica.
“Pure il biglietto gli avevamo lasciato.
Bastardo.”
“Poco male” fa la mora. “Ho qua vicino lo scooter.”
La bonazza guida da spavento, pesta il
gas che è un piacere, tira dritto per le
curve e sorpassa a pelo le biciclette. Io
le sto aggrappato dietro e sbircio le sue
gambe.
In meno di dieci minuti siamo su da
lei. Mi porta diritto in camera. “Ecco
dove sto” mi dice.
Ora viene l’ostacolo maggiore: devo
trovare un appiglio per portarla sul letto senza che se ne accorga. Mi guardo
attorno. Scaffali pieni di libri. Qualche CD. Lo stereo. Sulla scrivania
un libro aperto. Leopardi.
“Pessimismo cosmico. Ci vai giù pesante.”
“Che?” sputa fuori la mora, non capisce.
“Leopardi” dico io afferrando il libro e muovendomi verso di lei con
noncuranza.
“Leopardi, uno dei miei preferiti”
butto là sfiorandole la spalla e dirigendomi al letto.
“Ah, il libro” fa la mora. “Deve
averlo lasciato qua mio padre. I miei
li vedi lassù.”
In uno scaffale sopra al letto campeggia una serie di libri di cucina.
“Ah… Ti interessa il mondo culinario” faccio cercando una nota di interesse.
“Sì” dice la bonazza stirandosi e
mettendo in mostra ancor più quelle
meraviglie che si ritrova sul davanti.
“In effetti mi ero iscritta al corso di
cucina creativa, ma per errore hanno
inserito il mio nominativo in quello
di poesia. Io non ho contestato, mica bisogna scherzarci, col destino.
Sarà stato il mio karma, mi sono
detta.”
“Già” dico. “Cucina creativa, eh?”
“Sì, quello della cucina è un mondo
astruso… E’ tutto e il contrario di
tutto.”
“Ma va?” dico. “E poi ho sempre
desiderato una ragazza cuoca.”
“Ora ce l’hai qua davanti a te.”
“Già… Ma sempre troppo distante”
sussurro e mi avvicino.
La mora socchiude gli occhi e io lo
prendo come un invito. In qualche
secondo le sono appiccicato contro
e vortico le mani su tutto quel ben
di Dio. Le sfilo la maglietta. Reggiseno nero di pizzo: come previsto.
L’aria si fa calda. Sfilo anche il reggiseno. Due tette dritte e grosse, previsto pure questo. Comincio a divertirmi sul serio. In quel mentre:
“Malika? Sei in camera?”
19
La mora si stacca fulmineamente
da me e si riveste in un sospiro.
“Sì, pa’, con un amico”.
Okay, non si combina più niente, questo è chiaro. Infatti: “Be’,
credo sia meglio che non ci vediamo più” mi dice.
“Uhm, io non sarei così frettoloso. Ti chiami Malika?”
“Malika. Con la elle. Comunque… No, è meglio di no. Si vede che non era destino. Mica
posso andare contro il destino,
io. Poi che succede al mio karma?”
Insomma, eccomi fuori nella
nebbia, e per di più a piedi. Telefono a Berto.
“Berto? Che fai?”
“Il corso è finito. Ci hanno inculato la macchina. Fottuto d’un
vigile.”
“Lo so” sospiro.
“Allora, la moraccia?”
“Niente da fare, dice che non
era destino.”
“Tutte uguali queste strafighe.”
“E la lezione?” chiedo.
“Niente. Quando siete usciti alla
Carlino le è preso un colpo. Non
è più riuscita a tenere banco.
L’abbiamo rovinata, cazzo.
Stroncata. Pareva sul punto di
piangere. Non ha carisma, quella
donna.”
Saluto Berto e me ne torno a casa a piedi. Che serata di merda.
In qualche modo devo esorcizzarla, però. Non mi rimane altro
che scriverci una poesia. O magari uno schifo di racconto.
L’AUTORE
Nasce, vive e scrive a Ravenna.
Al suo attivo vari concorsi vinti,
pubblicazioni su Scrittinediti, ProA
spektiva, Il CORRI
Foglio Clandestino.
Ha
COMMENTARLO
pubblicato
per i tipi di ProspettiNEL
va Editrice
la FORUM
raccolta di poesie
emergente.mastertopforum.com
L’ombra sul cuore.
20
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
La FANTASIA
della SCIENZA
a cura
di ANDREA
COCO
Comunicare è ridere
Ovvero come la fantascienza umoristica, ridendo e scherzando, riesca a dire la verità
Proseguendo il nostro viaggio all’interno della fanta- inatteso, poiché Adams tratta la fantascienza da un
scienza, una tappa obbligatoria è costituita proprio dal
surreale mondo della SF umoristica e demenziale, che
ha avuto (e ha tuttora) numerosi e celebri sostenitori.
L’umorismo, oltre a mettere di buonumore chi legge, ha
il pregio di far conoscere a un vasto pubblico di lettori
un genere letterario che diversamente troverebbe fatica
a farsi accettare. Inoltre, con il pretesto di una storiella
divertente, lo scrittore trova il modo di far passare concetti profondi e impegnati, che altrimenti verrebbero rifiutati perché considerati noiosi. Come direbbe il buon
Pulcinella, “ridendo e scherzando dico la verità”. Dopotutto se il primo assioma della comunicazione di Watzlawick sancisce che “E’ impossibile non comunicare”,
perché non utilizzare l’umorismo e la fantascienza umoristica come veicolo per lanciare dei messaggi? Al lettore
la volontà di recepirli o meno. E a questo punto vi invito ad allacciare le cinture di sicurezza perché inizia il
viaggio nella SF umoristica/demenziale e, come diceva
Douglas Adams nella Guida Galattica per Autostoppisti,
“don’t panic”.
punto di vista del tutto nuovo, demenziale. Prende
in giro i cliché della SF, mettendo
alla berlina alieni, turisti, viaggi più
veloci della luce, robot, imperi galattici. Dopo il primo romanzo
scrive altri quattro libri tutti legati
alle avventure di Arthur Dent e
Ford Prefect, i due surreali viaggiatori delle galassie: Il ristorante al termine dell’universo (1980), La vita,
l’universo e tutto quanto (1982), Addio,
e grazie per tutto il pesce (1985) e Fondamentalmente innocuo (1992). La fortunata serie parte da un’idea semplicemente folle: la Terra deve essere distrutta per
fare spazio a una superstrada iperspaziale. Arthur
Dent diventa così l’unico essere umano in vita dopo
la scomparsa del pianeta e affronta un tour galattico
con lo scrittore Ford Prefect, incontrando buffi alieni, folli pianeti e situazioni al limite del paradosso.
Il successo del libro è così grande da spingere
Adams a preparare una sceneggiatura cinematografiDouglas Adams:
ca, senza riuscire tuttavia a realizzarla… Ma – e qui
un genio del paradosso
sembra di essere all’interno di un suo beffardo racconto – nella primavera del 2005 il film viene distriDouglas Adams (1952-2001) inizia la
buito nelle sale cinematografiche degli Stati Uniti
sua attività di scrittore nel 1978 come
con un discreto successo di botteghino, ben quattro
sceneggiatore della serie TV Doctor
anni dopo la sua morte!
Who, andato in onda dal 1978 al 1980.
Nel medesimo anno presenta in radio,
la BBC, il suo sceneggiato radiofonico Fredric Brown: finale a
Apocalisse fantastica, una commedia spa- sorpresa e humor nero
ziale demenziale di grande successo
che lo spinge dapprima a realizzare Fredric Brown (1906-1972) è stato un fecondo rouna miniserie televisiva e poi l’opera Guida Galattica per manziere americano, famoso sia per i suoi sorprengli Autostoppisti, che vende oltre quindici milioni di copie denti romanzi a intreccio (gialli e di fantascienza) sia
in tutto il mondo. Il trionfo del primo libro è del tutto per i racconti brevi, il più celebre dei quali è Sentinella. Negli anni Trenta e Quaranta, Brown scrive so-
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
prattutto short stories, passando al romanzo nel dopoguerra con un memorabile noir, Il sangue nel vicolo, con
cui ha vinto il premio Edgar Allan Poe. Le sue storie sono caratterizzate da finali a sorpresa e
da una vena di umorismo nero. Per
esempio, nel racconto Sentinella il lettore capisce solo nell’ultima riga che il
personaggio principale dell’opera è…
Una creatura extraterreste disgustata
dai versi umani che emettono i nemici
mentre muoiono. Nel genere della
fantascienza Fredric Borwn scrive Assurdo universo, Marziani, andate a casa!, Il
vagabondo dello spazio, Progetto Giove e Gli stani suicidi di
Bartlesville, opere venate da un paradossale e provocatorio umorismo.
Robert Sheckley:
il maestro della satira
21
solo per la mansione di porta lettere, non aiuta il cercatore sperduto nel deserto, al quale consegna una
lettera d’auguri per il suo compleanno, e si rifiuta di
accettare la richiesta d’aiuto perché sprovvista di
francobollo. Insomma, ricorrendo a diverse forme
narrative, Sheckley riesce a scrivere storie pungenti e
fulminanti lontane dagli stereotipi della fantascienza
tradizionale.
Per chi volesse conoscere Robert Sheckley le opere
migliori sono l’antologia A.A.A. Asso, i romanzi
Scambio mentale e Il difficile ritorno del signor Carmody,
quest’ultimo considerato dalla critica una delle opere
più divertenti da lui realizzate.
Donato Altomare:
il Fredric Brown italiano
Donato Altomare è nato a Molfetta nel 1951, dove risiede tuttora, e
finora ha pubblicato circa duecento tra romanzi e racconti, vincendo nel 2000 il premio Urania con
l’opera Mater Maxima. E la padella
disse… è una raccolta di ventuno
racconti umoristici, scritti tra il
1982 e il 2004, che affrontano i temi classici della fantascienza, come l'invasione dei pianeti, l'esplorazione del sistema
solare e gli alieni nascosti tra di noi. Una raccolta di
vecchi cliché, che Altomare demolisce, riuscendo a
sorprendere e divertire il lettore con battute e trovate
fulminanti.
Robert Sheckley nasce a New York nel 1928 da genitori
russi e, dopo aver conseguito la laurea, si dedica alla letteratura fantascientifica. Il suo debutto avviene nel
1952 sulla rivista Imagination con il racconto Final Examination e poco più tardi diviene ospite fisso di Galaxy,
che in quegli anni ospita altri grandi scrittori come Alfred Bester (L’uomo disintegrato e Destinazione stelle) e Frederick Pohl (Gateway). Robert Sheckley mostra subito
una capacità creativa unica e una causticità senza uguali
che lo rendono molto apprezzato da Horace Gold, il direttore di Galaxy, il quale gli chiede continuamente delle
storie da pubblicare sul giornale. Nei suoi romanzi è
sottintesa una dura critica del costume americano e delle
tendenze razziste presenti nella società. La sua analisi
drammatica della realtà si unisce all’amore per gli altri
popoli e a uno humor spesso pungente che spinge alla
riflessione.
E adesso tocca a me!
A volte il suo umorismo può apparire
come l’argomento principale della storia, fermo restando che non viene mai
meno il valore della trama. E’ il caso di
Salvataggio pericoloso dove l’intelligenza
artificiale di una scialuppa, studiata per
le esigenze di una razza extraterreste
ormai estinta, espelle in mare due uomini, che si sono finti morti, dopo
aver letto loro il servizio funebre cosmico. Un sense of humor così sottile da
ispirare la storia del robot-postino che, programmato
Dopo tanti padri nobili, vorrei contribuire anche io
al filone della fantascienza umoristica/demenziale
con un paio di racconti incentrati su un personaggio
di mia invenzione: Nando Carsilian. Questi rappresenta il volto umano della scienza, quella felicemente
rappresentata dalla fantascienza degli anni Cinquanta. Ottimista e ben disposto verso il prossimo, Nando è all’eterna ricerca di invenzioni che possano aiutare l’Umanità, ma la sua voglia di riuscirci a tutti i
costi, unita a un candore che sfiora l’innocenza (o
l’inconscienza), lo portano a causare disastri, per fortuna senza conseguenze mortali per chi lo circonda.
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
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Immancabile la punizione, un contrappasso per i suoi
strafalcioni, che fornisce l’occasione per riflettere sulle
tematiche di pubblico interesse, domani come oggi.
A conclusione di questo mio intervento sulla fantascienza umoristica desidero spiegare l’insolita forma narrativa
adottata per questi miei due brevi componimenti: un
comunicato stampa seguito da un articolo di giornale.
Per il racconto d’esordio ho voluto porre in evidenza
una forma di comunicazione, quella d’impresa, ben conosciuta dai giornalisti e dagli addetti ai lavori, che si caratterizza per un’accurata e a volte ripetitiva descrizione
del prodotto, per i toni trionfalistici e volutamente enfatizzati. A seguire una relazione cronaca, che racconta
con un taglio mordace come è andata la presentazione
del rasoio multifunzionale TCO95… E mi auguro che,
ridendo e scherzando, questi due miei racconti riescano
a strapparvi almeno un sorriso.
Operazione
“Arca di Noè”
Un romanzo
di Andrea Coco
Una guerra non dichiarata tra
le due organizzazioni che nel futuro
avranno in mano il destino della razza
umana. E solo Aner Sims può decidere
come finirà lo scontro.
In vendita solo su www.delosstore.it
Buona lettura.
COMUNICATO STAMPA
Tecnodromo di Toriv
Reg Industries Inc.
Presentata dalla Reg Industries l’ultima mirabolante invenzione di Nando Carsilian:
il rasoio multifunzionale!
Al Planetario del Tecnodromo di Toriv, l’illustre scienziato ha spiegato al pubblico, giornalisti, studiosi e curiosi,
le magnifiche potenzialità della sua nuova invenzione. I presenti hanno molto apprezzato il modello, che verrà
commercializzato a breve con una campagna pubblicitaria ricca di sorprese.
Toriv, 11.25.4002 – L’ambiente era quello giusto, il suggestivo ed elegante Planetario parte integrante del
Tecnodromo, il pubblico ideale, numeroso e avido di conoscenza, e il Professor Nando Carsilian vulcanico e
smagliante come sempre, quando si tratta di presentare una delle sue “mirabolanti invenzioni”.
Alle 20.00 in punto è iniziata la conferenza stampa: le luci sono calate d’intensità fino a spegnersi del tutto e
la cupola del planetario si è aperta, consentendo ai presenti di ammirare il cielo stellato. All’improvviso un corpo
celeste si è mosso avvicinandosi al pubblico. Tra i presenti c’è stato un breve attimo di panico, prontamente fugato dall’intervento delle hostess e del personale della sicurezza.
Era Nando Carsilian che scendeva dal cielo, sostenuto da un seggiolino anti-gravità. Non appena ha toccato
il pavimento, due assistenti lo hanno aiutato a togliersi di dosso l’imbracatura del veicolo, mentre una hostess gli
ha portato un astuccio argentato. Con un gesto ha chiesto alla regia di togliere la musica di sottofondo e con un
altro ha invitato le persone ad avvicinarsi a lui.
“Gentili signore e signori – ha esordito Carsilian - vi ho invitato in questo luogo, consacrato alla ricerca
scientifica e alla sua applicazione pratica, la tecnica, per mostrarvi la mia ultima mirabolante invenzione: il rasoio
multifunzionale Tco95, un modello perfettamente in grado di svolgere diverse mansioni.”
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
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Lo scienziato ha aperto l’astuccio e, alzato il braccio in altro, ha mostrato ai presenti il rasoio. “La sua prima caratteristica - ha spiegato - è quella di funzionare a energia stellare. Insomma non ha bisogno di prese elettriche o
energetiche.” A dimostrazione di quanto sostenuto, ha chiesto alla regia di avvicinargli una fonte di energia luminosa fluttuante: un globo di luce tra i tanti che illuminavano il perimetro del planetario.
Con grande stupore dei presenti il rasoio si è acceso ed è rimasto fermo a mezz’aria in attesa di istruzioni. Carsilian ha aperto uno scomparto dell’apparecchio per mettere in mostra il display e i tasti funzionali. “Il rasoio, grazie alle sue batterie ricaricabili, dispone di un’autonomia pari a nove ore in stand-by e tre ore in attività – ha aggiunto – Inoltre può essere comandato a voce oppure, una volta stabilito un buon transfer mentale, le
medesime funzioni possono venire ordinate con la sola forza del pensiero.”
Davanti al pubblico la scienziato ha dato una rapida dimostrazione, rasando dapprima la sua barba e tagliando successivamente i capelli a un’hostess. “Come avete potute notare, Tco95 dispone di numerose opzioni – ha dichiarato Nando Carsilian – mediante le quali è possibile scegliere la forma della barba oppure il taglio
di capelli che più si adatta a noi. Grazie al programma “imagineface”, è possibile, infatti, vedere in anteprima sul
display del rasoio multifunzionale la propria testa, per verificare che il risultato finale sia quello confacente alla
propria persona”.
E se le acconciature dovessero passare di moda? Niente paura, ha spiegato lo scienziato. “Tramite uno
stick di memoria esterno è possibile aggiornare gli archivi di tutte le funzioni esistenti, davvero tante.” Tco95
dispone, infatti, di una radio incorporata e di un lettore in grado di eseguire qualsiasi genere di musica, nonché
una memoria dedicata dove caricare nuovi file, più di mille. Tanto per dare un esempio, Nando Carsilian ha invitato il pubblico a formulare delle domande e gli ha fatto ascoltare i brani richiesti.
Al momento è prevista la commercializzazione di due modelli: uno basico e l’altro avanzato, al costo rispettivamente di 882 e 1882 Rehian. “Ma non escludiamo in un prossimo futuro – ha spiegato il Direttore Commerciale della Reg Industries, Mark Lex - di realizzare una versione low cost e una deluxe con lo chassis in oro
tempestato di diamanti”.
Per quanto riguarda la campagna pubblicitaria, infine, Lex ha spiegato che “si baserà su una caccia al tesoro ambientata nel futuro, per l’esattezza nel 8004 d.C. Un ladro particolarmente abile e geniale, Malachy Malone,
compierà un furto su commissione, ordinato dal sanguigno Rudolf Rughan, sottraendo dal museo dell’arte tecnologica di Toriv un prezioso Tco95. Il compito di recuperare l’inestimabile oggetto verrà affidato a una investigatrice della Galactical Police, l’ingegnosa e seducente Ludovica Borea”.
La campagna pubblicitaria, del tutto simile a un action movie, si baserà su una serie di dieci episodi, il cui
esito finale dipenderà dalla volontà del pubblico, manifestata tramite un televoto interplanetario. Dopo le prime
cinque puntate, i telespettori saranno invitati a scegliere il luogo dove si svolgerà l’episodio successivo. Infine, in
occasione dell’ultima puntata, potranno decidere se l’investigatore riuscirà a recuperare il prezioso oggetto e se
tra i due personaggi sboccerà una storia d’amore.
La conferenza stampa di presentazione del nuovo rasoio multifunzionale Tco95 si è conclusa con la
proiezione di un trailer della campagna pubblicitaria dal nome “Geniale e seducente come un Tco95”.
Reg Industries Inc.
Press Office
Universal Phone: M32.TRV.1400.21.3900.2097
www.reg.com.toriv.m32
e-mail: [email protected]
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
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THE TIMES OF TORIV
Established since 2556 A.D.
Monday, 11.26.4002
O’ Riordan: basta con gli esperimenti sulle persone!
ARRESTATO CARSILIAN
Il celebre scienziato vittima dalla sua ultima mirabolante invenzione
Aveva promesso che la sua nuova invenzione avrebbe fatto prodigi e in un certo senso è stato di parola. Nando
Carsilian è famoso su Toriv per le sue invenzioni, a volte un po’ bislacche, ma senza dubbio utili e innocue... Almeno fino a oggi. L’ultima in ordine di tempo è un rasoio, Tco95, che funziona a energia stellare, in grado di tagliare i capelli e la barba in modo eccellente. Secondo il suo inventore, lo strumento multifunzionale, prodotto e
commercializzato dalla Reg Industries Inc. di Toriv, dovrebbe funzionare mediante comandi vocali o, addirittura, con la forza del pensiero. Tra le sue tante peculiarità, Tco 95 dispone di un programma, “imagineface”, con il
quale verificare in anteprima se il taglio suggerito dalla macchina sia quello adatto alla propria persona. Infine il
mirabile oggetto, tra un taglio e una rasatura, sarebbe in grado di allietare il cliente con news e brani musicali. Insomma una bella invenzione se avesse funzionato a dovere! Ieri Carsilian aveva invitato i maggiorenti della capitale, New Baile Átha Cliath, nella sala congressi della City Hall per assistere a una dimostrazione operativa. All’inizio Tco95 ha fatto il suo dovere, poi è successo qualcosa che lo ha mandato in tilt. Dopo un paio di violenti
scossoni, la macchina ha preso di mira le chiome delle persone più vicine e, ispirata dalla canzone, The fly of the
bumblebee, ha cominciato a tagliare a caso, compiendo una serie di touch and go sulle teste dei presenti. Così facendo, tra il fuggi fuggi generale, ha rapato a zero un paio di religiosi, sfumato, passando al volo, le tempie di qualche lord, ed è, infine, atterrata sulle lunghe chiome di una delle amazzoni del battaglione “Lara Croft”, che scortavano il sindaco della città, Ernest O’ Riordan. Allo sceriffo, che tentava di acciuffarlo, ha rasato i folti baffi e al
suo assistente, che è corso prontamente in aiuto, ha tracciato un lungo solco centrale tra i capelli a zazzera. All’improvviso, quando tutti i presenti erano rassegnati al peggio, Tco95 ha esaurito le sue batterie ed è stato prontamente catturato assieme all’inventore che stava tentando di filarsela all’inglese. Il commento del sindaco è stato
lapidario: “Basta con questi esperimenti sulla pelle delle persone! D’ora in poi, ogni nuovo prodotto, prima di
venire commercializzato dovrà essere testato a lungo in laboratorio.” Una decisione approvata da tutti i presenti
con una lunga standing ovation. Nando Carsilian è stato processato in direttissima e condannato a diciassette
mesi e ventitrè giorni di lavori socialmente utili, mentre la Reg Industries è stata obbligata a risarcire i danni morali e materiali nonché diffidata dall’introdurre in commercio una simile invenzione, almeno fino a quando non
sarà collaudata alla perfezione. Per la cronaca, la condanna dello scienziato consiste nel lavorare per quattro ore
al giorno come ragazzo di bottega alle dipendenze di un barbiere. Senza dubbio, una volta scontata la pena, Carsilian avrà le idee ben chiare sugli aspetti veramente importanti di un simile lavoro. – Eoin Cannon
News da FUTURE SHOCK – http://www.futureshock-online.info/index.html
Appello per l’istituzione di cattedre di fantascienza
Per poter educare i giovani all’uso corretto (umanistico) della scienza, la fantascienza ha bisogno di essere accolta nel
mondo accademico italiano. Si rende dunque indispensabile l’istituzione di cattedre universitarie, come normalmente
avviene nel mondo anglosassone. Ma è anche indispensabile l’appoggio di quanti credono nella bontà del nostro progetto, sia divulgando la nostra iniziativa, sia dando la propria adesione al seguente link: http://www.mooncity.it/
public/contatti.html. Il Comitato organizzatore, composto da Roberto Furlani (direttore della rivista fantascientifica on
line Continuum), Enrico Leonardi (docente di lettere, collaboratore di Cultura Cattolica e critico di fantascienza), Luciano
Nardelli (scrittore di fantascienza), Michele Nigro (redattore di Nugae e scrittore di fantascienza), Guido Pagliarino
(scrittore), Annarita Petrino (scrittrice di fantascienza) e Luigi Picchi (insegnante liceale di Materie Letterarie e critico
letterario), raccoglierà le adesioni pervenute e le presenterà, a corredo del piano di studio, agli organi competenti.
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Giulio Leoni
Il Dante
del delitto
Intervista
a cura
di ANDREA
GALLA
Vincitore Premio
Tedeschi 2000
Un incontro con il giallista Giulio Leoni. Nato a Roma, laureato in Lettere, si occupa di Poesia e
avanguardie, fondando e dirigendo negli anni
Ottanta la rivista Symbola, dedicata alla poesia
sperimentale. Appassionato di esoterismo, di
letteratura del Duecento e avanguardie del Novecento.
Nel 2000, con Dante Alighieri e i delitti
della medusa, vince il premio Tedeschi, e
inizia la sua avventura nel Giallo storico italiano.
Come nasce il Giulio Leoni
scrittore di gialli?
Amo moltissimo tutti gli scrittori
“inattuali”. I classici, naturalmente, e
Si è trattato di una sorta di evolu- poi i grandi dell’Otto-Novecento,
zione naturale della mia preceden- Nietzsche, Mann e Proust in testa. E
te attività di saggista. Anche nel poi tutti gli scrittori in qualche modo
trattare temi diversi, fossero cul- “labirintici”: Borges, Calvino, Severiturali o politici, mi è sempre pia- no (è un filosofo, ma dalla prosa affaciuto adottare uno stile narrativo, scinante…).
nell’idea che proprio il racconto
fosse alla fine il mezzo migliore L’editoria italiana, in questo moper analizzare la realtà. Negli anni mento, è trascinata dal fenomeno
questa inclinazione si è saldata Dan Brown, e gli scaffali delle licon la parallela passione per l’illu- brerie straripano di gialli zeppi di
sionismo e per l’insolito, e l’ap- esoterismo, religione e arte. Come
prodo al giallo è avvenuto quasi giudica, anche qualitativamente,
inavvertitamente.
questi testi e questa scelta editoQuali scrittori ama leggere, e riale, da scrittore e da appassionada quali prende ispirazione per to di esoterismo?
i suoi libri?
Con favore. Si tratta naturalmente
di opere di valore alterno, ma il
fatto che ci sia comunque un forte ritorno del racconto di avventura e di intrigo non può che farmi piacere. Io sono convinto del
forte valore etico del racconto
d’avventure, l’idea soggiacente
che in ogni modo l’ignoto debba
essere affrontato.
Ha iniziato la sua carriera di
scrittore di genere aggiudicandosi il prestigioso premio Tedeschi, vinto in precedenza dai
più grandi autori di gialli e noir
nostrani (da Macchiavelli a
Lucarelli). Quanta importanza
può avere la vittoria di un premio letterario prestigioso come
il Tedeschi per un emergente,
e perché, invece, si sostiene
che gli editori preferiscano
pubblicare autori che non abbiano vinto alcun premio?
Non saprei giudicare quanto la
vittoria di premi possa aiutare la
“carriera” di scrittore. Certo aiutano quelli, come il Tedeschi, il cui
premio è la pubblicazione dell’opera vincente. Per gli altri il discorso cambia da caso a caso. La
differenza la fanno le giurie: solo
se composte di tecnici della mate-
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ria, il responso può valere come indi- sposta è semplicissima: il poeta Molto, ma senza le ossessioni
cazione per gli editori.
aveva davvero tutte quelle doti dello storico. Il narratore deve
(esperienza del male, acume, intelli- soltanto evitare palesi inconI suoi roman- genza, cultura, abilità, ostinazione gruenze, e rispettare un quadro
zi hanno am- eccetera) che normalmente vengo- di generale plausibilità di ciò che
b i e n t a z i o n i no attribuite agli investigatori di racconta. Per il resto può perstoriche parti- fantasia. Non c’è stato bisogno di mettersi quasi tutto, perché il
colari: il Due- aggiungere nulla.
suo scopo non è quello di accercento di Dantare la verità. Il Medioevo di
te, la seconda Quanto c’è di vero nel suo Dan- Scott o la Roma antica di ShaGuerra Mon- te detective e quanto di inventa- kespeare sono errati sotto il prodiale e il nazi- to?
filo storico, ma solo un ingenuo
smo (Donna
leggerebbe Ivanhoe o assisterebsulla Luna), e E’ tutto vero e tutto inventato. Per be al Giulio Cesare per prepararl’epoca Fiu- descriverlo sono partito, più che si a un esame universitario.
mana
d i dalle tutto sommato scarse testiD ’ A n n u n z io monianze dei contemporanei, dalla Quali consigli darebbe a uno
(E trentuno con la morte). Come lettura delle sue opere. E ho cerca- scrittore esordiente, e in partimai queste scelte, e quali delle tre to di immaginare come potesse es- colare a uno scrittore di letsere un uomo capace di scrivere teratura gialla?
l’ha affascinata di più?
contemporaneamente il Fiore e il
Mi affascinano tutte le epoche di crisi Paradiso, la Vita nuova e le Rime pie- Scrivere molto, continuamente e
e di transizione. È vero che in un cer- trose, gli insulti a Forese Donati e il senza interruzione. Scrivere semto senso tutte le epoche sono crisi e canto di Francesca. Pronto a com- pre, non nei momenti liberi. E
transizione, ma nel Trecento e nel muoversi estasiato alla voce di Ca- tener conto che, specie agli inizi,
primo Novecento c’è qualcosa in più. sella, e a sfondare a colpi di lancia il rapporto tra scritto e pubblicato è di dieci a uno.
Forse il presagio dell’oscurità che sta per abIl narratore deve soltanto evitare palesi Un’ultima domanda: quali
battersi su di noi. Quanto
alle tre storie, a me piace incongruenze, e rispettare un quadro di sono i progetti per il futuro?
Ci dovremo aspettare una
giocare con personaggi
inquieti e inquietanti. In generale plausibilità di ciò che racconta. nuova indagine di Dante,
questo senso La Donna Per il resto può permettersi quasi tutto, oppure vedremo qualche
altro celebre personaggio
Sulla Luna, che si svolge
perché il suo scopo non è quello di
nelle vesti di detective?
negli anni della presa del
potere del Nazismo ma
accertare la verità.
Entro l’anno dovrebbero uscidurante le riprese di un
re due storie, in cui ricomparifilm (dunque il massimo
della tragicità in un contesto apparen- le linee aretine a Campaldino. Il ri- ranno i personaggi di E Trentuno
temente frivolo) riassume bene i temi sultato è il personaggio della trilo- con la morte e di La donna sulla luna. Sto poi lavorando a un’opera
gia.
della mia narrativa.
collettiva, coordinata da Cecilia
Il libro I delitti della luce, uscito Scrivere un romanzo con perso- Scerbanenco, di ambientazione
da poco nelle librerie per Monda- naggi e ambientazioni storiche rinascimentale, in cui comparirà
dori, rappresenta la terza indagine è comunque pericoloso: il ri- un nuovo personaggio famoso
del suo Dante Alighieri detective. schio di trovarsi addosso storici in veste di investigatore. Ma non
Cosa l’ha convinta e affascinata e critici pronti a notare ogni pic- voglio rovinare la sorpresa!
nel Sommo Poeta per trasformarlo cola incongruenza è alto. Quanto è importante nel suo lavoro la
in un investigatore?
ricerca e la documentazione?
Quanto a Dante investigatore, la ri-
“
”
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PROSIT!
Clara Nubile
Io ti attacco al
sangue
La grafica è accattivante, il titolo ti si attacca addosso; questo
ho pensato quando
l’ho avuto tra le mani. Questo romanzo di
Clara Nubile è come la tela di un ragno, pagine e pagine ben scritte a narrare la storia di Laura e Maja, alias
Cosimo da Porto Badisco, a narrare un viaggio in
un’India piovosa e lamentosa, a narrare le storie di un
gruppo di ragazzi e poi… D’un tratto, proprio come in
una tela di ragno ti ritrovi invischiato a palpitare insieme a Laura, a Ernestina la nonna, a Rosaluna la madre;
ti ritrovi avviluppato in questo incastro di vite disperate. C’è il Sud: il Sud della criminalità organizzata, del
mondo contadino, dell’immancabile taranta, un Sud
che si confronta con altre latitudini e longitudini: l’India, Giacarta, Bologna. Un Sud che di questo mondo
“ai margini”, di questo mondo “irregolare”, ne ha fatto
un mito. Un Sud che prima o poi noi sbranaparole di
periferia dovremo raccontare per quello che le pagine
della cultura cattedratica dimenticano: il Sud dei poeti,
dei letterati, della gente operosa, dei mecenati.
Nessun luogo è patria per Laura, protagonista di Io ti
attacco al sangue, in nessun luogo si sente a casa: Brindisi un posto da dimenticare, questo afferma categorica;
ma odia anche Bologna, l’India e ama-odia anche Maja, il suo fidanzato.
Il filo conduttore del romanzo è il mal di testa che l’accompagna come un vicino inopportuno; anche questo
gli si è attaccato addosso e non la lascia: un dolore che
a fare del facile psicologismo potremmo dire figlio del
conflitto. Tuttavia, in questa storia amara e tragica,
quel che vi è da sottolineare è la leggerezza della scrittura. Clara Nubile sfiora i personaggi e gli eventi, e lascia parlare chi di norma non ha voce, per liberarsi dalla trappola dell’intimismo. Così sono le ortiche o un
neonato o una audiocassetta a raccontare semplicemente e senza affanno i momenti più tormentati e tormentosi di questa storia. Allora sei tu, tu che sei lì incollata alle pagine a volerla aiutare, a chiudere per un
attimo gli occhi e il libro e sperare che lei, l’autrice, la
salvi, la soccorra, le dia una chance; una chance a que-
di MADDALENA
MONGIO’
sta giovane donna, una chance a Laura che ha giocato la vita nella partita sbagliata.
Un romanzo non è mai solo un plot, una storia; l’intreccio narrativo è solo il velo. Basta fermarsi un attimo, lasciare che il vento dei pensieri smuova la patina superficiale, e subito si delineano i segreti, i pensieri nascosti. Così, in questo vagare tra città e continenti, ripensi a questa nuova forma di emigrazione
che noi del Sud ben conosciamo: l’emigrazione dei
nipoti, delle valigie di cartone, l’emigrazione per studiare, conoscere; un’emigrazione fatta di tempi veloci ché basta un volo per andare dall’altra parte del
mondo. Un’emigrazione lontana anni luce da quelle
navi che partivano cariche di uomini e aglio e sudore e speranze e ricordi.
In questo vagare tra città e continenti ritrovi il filo
rosso dell’irrazionalità che agita uomini e donne e diviene rito, simbolo, simbolismo; una irrazionalità che
attiene tutta alla sfera della sessualità e dell’amore,
perché il romanzo è un concatenarsi di amori dannati, di amori rubati, di donne che subiscono e fanno
subire; che si concedono interamente a un uomo e si
negano totalmente a un altro.
Vi sono storie e tante e tante voci a raccontarle, perché è narrato tutto in prima persona con continui
cambi di prospettiva. Vi sono luoghi, tanti luoghi,
eppure sono appena accennati – Bologna fredda,
l’India piovosa e fangosa, Brindisi da dimenticare,
Parigi con le strade di cioccolato; pochi cenni per lasciare il primo piano a loro, solo a loro: a Don Pizzica, camorrista crudele ma palpitante per le sue donne; al padre debole, pavido ma con un guizzo finale
di tragico coraggio; a Ernestina la nonna, che incombe con il suo passato di travolgente femminilità; a
Rosaluna che voleva solo un uomo che le spezzasse
la schiena a furia d’amore; a Boris Vian, il pallido
francese che ama Laura ma non tanto da poter rinunciare a lei.
Nessuno è completamente buono o cattivo, credo lo
abbia affermato per primo Dostojeski. Così loro non
sono mai completamente buoni o cattivi; sono come
i corpi immersi in un liquido che ricevono una spinta
verso l’alto. Sono quelli che ti restituiscono fame
d’amore perché sono stati affamati, vendetta perché
sono stati saccheggiati.
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
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IL CALAMAIO
In rete
Laura Cherri: un nome che
spesso s’incontra nel web, specie in quei siti che distribuiscono gratuitamente e-book.
Ci puoi raccontare chi sei?
Sono una scrittrice che cerca di farsi strada, con le unghie e con i denti. Pubblicare e-book scaricabili gratuitamente è stato un primo passo, un modo per farsi conoscere. Così come pubblicare su varie riviste cartacee e in
vari siti internet. È una bella soddisfazione, anche se poi
ogni scrittore che si rispetti punta a fare della propria arte un lavoro vero e proprio con il quale campare. Così
la mossa successiva è stata quella di pubblicare un ebook (Riflessi Neri) con la casa editrice on line Arpanet.
E-book scaricabile a pagamento, stavolta, anche se a un
prezzo irrisorio. Infine, lo scorso anno, ho pubblicato il
mio primo libro di carta, un romanzo breve dal titolo Jeremy, con la Ferrara Edizioni, una giovane casa editrice
creata da persone che hanno creduto in me e nella mia
opera. Voglio sottolineare che non c’è stato alcun contributo economico da parte mia, quindi la soddisfazione
è stata totale.
Quali e-book hai pubblicato, e di cosa trattano le
tue storie?
Ho pubblicato un e-book dal titolo Riflessi Neri scaricabile al sito della Arpanet: http://www.arpabook.com/
scheda.asp?IDTitolo=198.
Inoltre, per chi volesse conoscermi meglio come artista,
esiste un e-book dal titolo Ombre che urlano scaricabile a
questo indirizzo: http://www.latelanera.com/ebook/
ebook03.htm.
Infine, sul mio sito personale http://utenti.lycos.it/
lauracherri/ ci sono ben nove racconti da leggere per
capire come e di cosa scrivo. Nelle mie storie la normalità si mescola con il mistero, l’horror, il thriller, il noir.
Non è facile etichettare con una sola definizione il genere letterario di cui mi occupo. Molti mi definiscono una
scrittrice horror. È un po’ riduttivo, ma almeno serve a
far capire che non sono una scrittrice di libri Harmony!
a cura
di MATTEO
PEGORARO
La mia e-mail appare ovunque ci sia una mia opera e
questo vuol dire che sono facilmente raggiungibile
da chiunque voglia dirmi cosa pensa dei miei scritti.
Sono sempre disponibile a ricevere le opinioni di chi
mi legge. Ogni tanto mi arrivano dei messaggi da
parte di lettori che vogliono farmi i complimenti.
Hai preferito il web come mezzo di diffusione
delle tue opere. Perché questa scelta, indubbiamente intelligente?
Come ho detto prima, il web è un inizio, un modo
molto efficace per cominciare a fare esperienze, per
confrontarsi con altri scrittori. Partecipare a concorsi, pubblicare e-book gratuiti, tutto serve a crescere
come artisti, a diventare più consapevoli del proprio
potenziale e del proprio talento. A quel punto sorge
l’esigenza di rivolgersi a degli editori per vedere se è
possibile diventare scrittori professionisti. È quello
che ho fatto io. Dopo tanti piccoli successi
(concorsi vinti, ripetuti commenti favorevoli da parte dei lettori) mi sentivo più sicura di me stessa e ho
spedito il mio materiale alle case editrici. Lo faccio
ancora, ben inteso. Sono appena agli inizi!
Secondo te l’e-book andrà a sostituire, con il
tempo, il libro stampato, o il fascino della carta
è tutt’altro che destinato a svanire?
Il fascino della carta non svanirà finché non ci sarà
un vero e proprio cambiamento di mentalità, ovvero
finché i palmari non diventeranno oggetti di uso
quotidiano, e per “quotidiano” intendo proprio indispensabili e utilizzati da chiunque. Ci vorrà un bel
po’ di tempo e forse allora, chissà, i libri diventeranno obsoleti. Nascerà una nuova categoria di persone, i nostalgici della cellulosa, così come oggi ci sono i nostalgici del vinile.
Che cosa ci riservi per il futuro, ancora opere on
line o qualche pubblicazione cartacea?
Un mio nuovo romanzo horror è partito in una busta verso un discreto numero di case editrici, assieme a un romanzo fantasy. Ora si tratta di attendere.
Ti è possibile venire a contatto con il pubblico, Se son rose...
confrontarti e ricevere commenti su ciò che di tuo
viene letto?
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
TRASPARENZE
Un racconto a puntate
di ANDREA
GALLA
*Continua dal numero 3 on line*
Salendo le scale verso l’ufficio di Rainelli, ricordai il mio primo giorno nei
laboratori Sullivan, quasi un mese prima. Ero agitato, ma sapevo che avrei
potuto far bene, e con la mia unica
cravatta mi sentivo sicuro e al posto
giusto.
Ora invece un tarlo stava banchettando con la
mia coscienza, rendendomi nervoso.
Bussai due volte alla porta ed entrai.
Il mio capo era occupato al telefono; a
un suo cenno mi sedetti, cercando di
rilassarmi: in fondo non avevo nulla di
cui esser preoccupato. In questi miei
primi giorni avevo lavorato davvero
bene, e Rainelli non poteva che essere
contento del mio operato.
Mise giù il telefono, alzò la testa verso
di me e il suo sguardo si addolcì un
poco.
Non c’era niente per cui essere preoccupato.
- Ciao Andrea, eccoti qua, finalmente.
Allora, dimmi, come ti trovi nella
mia fabbrichetta?
- Buongiorno, Dottore. La sua
“fabbrichetta”, come la chiama lei,
mi piace molto. Inoltre lavorare al
microscopio è sempre stata la mia
passione.
- Ne sono felice. Angelo Biglietti, il
capo reparto, mi dice che ti dai molto da fare. Sapevo che non mi avresti deluso.
Sorrisi compiaciuto, e la mia ansia
incominciò lentamente a sciogliersi.
“Dannato idiota che non sei altro,
tutto tranquillo. Ora sparerà la sua
solita barzelletta e mi parlerà di un
nuovo stupendo microscopio” pensai per un istante, illudendomi.
Invece niente battutaccia o microscopi, anzi.
- Ti devo parlare, Andrea.
- Mi dica.
- Tu sei nuovo in questo paese e
non sai come vanno certe cose. Qui,
oltre a lavorare bene, e tu lo stai facendo, ci si aspetta che i dipendenti
si comportino con decoro anche al
di fuori della fabbrica.
Si fermò un momento, il tempo di
pulire le lenti dei suoi occhiali.
29
- Non voglio giudicare la tua vita
privata, e poi sono stato giovane
anch’io, ma noi ci teniamo molto alla discrezione. Sai, questo è
un paese piccolo, molto diverso
dalla città da cui arrivi.
- Capisco - dissi sicuro, ma non
era vero.
- Volevo solo avvertirti di andarci piano con la gente del posto,
solo questo. Mi dispiacerebbe
perdere un così bravo biologo
per una sciocchezza.
- La ringrazio dell’interessamento, Dottore. Cercherò di seguire
i suoi consigli.
- Sono contento. Tra l’altro, - e
qui il suo tono tornò a essere
quello di sempre, gioviale e paterno - ho sentito in televisione
una barzelletta incredibile!
Ascoltai l’ultima battutaccia di
Pippo Franco sorridendo cordiale. Ci stringemmo la mano e
uscii tra gli auguri di buon lavoro. Tutto tornato alla normalità.
Ma cosa c’era davvero dietro a
quelle parole allusive? Forse aveva saputo del mio incontro con
Franca, la sera precedente, e voleva avvertirmi di lasciare in pace
i suoi compaesani. O forse mi
aveva gettato un avvertimento
casuale, per il futuro?
Di certo non ero preparato a
quelle parole, e rimasi quasi stordito.
Ma se volevo tenermi il lavoro,
che davvero mi piaceva molto,
avrei dovuto attenermi a quelle
regole. In fondo, di ragazze e di
divertimenti Torino era piena, e
cercarli in queste quattro case
chiamate “paese”, be’, era meglio lasciar perdere.
Forse il mio capo non aveva tutti i torti.
Senza pensare nemmeno un secondo all’assurdità dei miei pensieri tornai a lavorare, e non
staccai gli occhi dal mio amato
30
microscopio fino alle sei e mezza di sera.
Mi sentivo meglio, stanco e ripulito,
pronto per una serata condita da un
film e da una cena ben fatta.
Lasciai l’ufficio che il sole ancora illuminava le strade e il solito silenzio,
quando il mio telefonino iniziò a gridare la sua sinfonia.
Un “Numero sconosciuto” mi cercava,
lampeggiando. Ci pensai un attimo e
risposi, con quell’attesa leggera che ti
riserva una telefonata anonima.
- Pronto?
- Andrea? Sei tu, maledetto biologo solitario?
- Sandro, che bello sentirti!
- Posso stare solo un attimo perché sto
lavorando. Volevo avvertirti che domani o domenica verrò a trovarti.
- Davvero?
- E ho anche una sorpresa: ti abbiamo
comprato, usata a dir la verità, una
Playstation 2!
- Non ci credo.
- Fai come vuoi, io te la porto e poi
vedi se crederci o no!
- Non so cosa dire, grazie, ma…
- Allora stai zitto e preparami un bel
pranzo per quando arrivo, e se hai anche una bella ragazza da presentarmi,
tanto meglio.
- Si, come no.
- Ora scappo, ti chiamo quando arrivo
in paese, così mi dici dove abiti esattamente.
- Grazie, Sandro. Ti aspetto.
Attaccai che quasi tremavo dalla gioia.
Il mio più caro amico sarebbe venuto a
trovarmi, e per di più con una bellissima console che prometteva di riempire
le mie serate.
Salendo le scale ero persino pronto ad
affrontare la mia vicina di casa, ma
stranamente non c’era. Il pianerottolo
sembrava vuoto senza quella balena e
fui quasi tentato di suonarle il campanello, per vedere se si sentiva bene.
Ero davvero di ottimo umore!
Rinunciai con una scrollata di spalle e
raggiunsi il mio appartamento con il
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
sorriso tra le labbra.
Dopo una cena degna di questo nome, spostai i mobili del mio piccolo
salotto, in modo tale da poter accogliere comodamente la Play e i due
pad. Non avevo davvero niente di
meglio da fare, e oltretutto non riuscivo a stare fermo, preso com’ero
da un’eccitazione infantile.
Quando riuscii a calmarmi accesi il
televisore, lasciandomi ipnotizzare
da un programma di comici abbastanza stupido, e quando ormai ero
sulle soglie del sogno qualcuno bussò alla porta. Probabilmente era la
mia cara vicina.
Aprii, e davanti a me solo il piccolo
pianerottolo di piastrelle scure ad attendermi, e il suono di passi che
scendevano frettolosi le scale. Il cigolio urlato del portone d’ingresso e
di nuovo il silenzio della sera.
Uno scherzo. Uno stupido scherzo
di qualche bambino ancora incredibilmente sveglio.
Mi sbagliavo: posato sullo zerbino
c’era un piccolo biglietto. Poche parole in una grafia pulita e ricercata,
da maestro delle elementari.
“Ciao Andrea, oggi non ti ho visto e allora ti lascio questo biglietto. Ti aspetto domani alle dieci da me -Via Oleandri 13.
Ti fermi a pranzo, così ti presento a mio
padre. Vestiti bene. Ti penso sempre,
Franca.”
Rilessi quelle parole tre volte, senza
riuscire a crederci. “Ti presento a
mio padre?” Ma cosa si era messa in
testa quella là? C’eravamo scambiati
solo un bacio veloce, o meglio, lei
me l’aveva estorto in cambio di un
favore (ah, quella maledetta partita!).
Le parole del mio capo, Rainelli, mi
tornarono alla mente come i versi di
una profezia, e il lieve divertimento
che avevo provato leggendo quel biglietto scemò fino a trasformarsi in
una desolante constatazione, quella
di aver fatto davvero una cazzata, la
sera prima.
Decisi che darci un taglio netto
sarebbe stata l’idea migliore, così
da stroncare ogni possibile equivoco sul nascere. Strappai il biglietto promettendomi di fare un
salto da Franca, al bar, il mattino
seguente, chiarendo la questione.
Immaginavo la faccia di Sandro
appena gli avessi raccontato la
cosa. Si sarebbe pisciato sotto
dal ridere. E probabilmente era
quella la reazione migliore.
Ripresi a sorbirmi la tele pensando al week end che avrei passato
con il mio amico: ci saremmo divertiti, e la cosa mi avrebbe fatto
un gran bene.
I piccoli accadimenti degli ultimi
due giorni erano stati stranamente insoliti, quasi irreali, e mi avevano lasciato un po’ scosso. Ma
qualche partita a un bel videogioco avrebbero sistemato tutto.
Mi addormentai per quelle che
mi sembrarono poche ore, quando un bussare sommesso alla
porta mi svegliò.
Saltai giù dal letto, assonnato ma
allegro, pronto a prendere a male parole il mio amico per avermi
svegliato all’alba, ma quando
aprii la porta rimasi senza fiato.
Franca, sudata e affannata, immobile nel suo vestito migliore.
Si mordeva le unghie nervosa, gli
occhi lucidi a fissare il pavimento.
Io in boxer e maglietta, con le
palle di fuori e con la faccia da
ebete: una bella coppia, davvero.
Appena mi vide sembrò destarsi
e riprendersi leggermente.
- Andrea, cosa ci fai ancora a letto? Mio padre ti sta aspettando!
- Franca, ma che ore sono?
- Sono le dodici e quattro minuti, e tra mezz’ora dobbiamo essere a tavola, sbrigati.
La guardai e il suo turbamento
mi colpì. Era sconvolta, probabilmente era venuta di corsa da
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
casa sua per chiamarmi e farmi arrivare
in tempo per il pranzo. Mi dispiaceva,
soprattutto per quello sguardo misto di
paura e preghiera, ma la faccenda dai
toni così ufficiali mi metteva a disagio.
Inoltre avevo deciso di chiarire tutto,
prima che fosse troppo tardi.
Non mi sarei mosso da casa, non quella mattina.
Qui inizia a farsi tutto annebbiato; da
quel momento ogni ricordo, ogni immagine, è come un capillare che esplode nella mia mente. Dolore, e sangue
che riempie e confonde. Cosa mi hanno fatto, cosa sono diventato? E le
campane hanno ripreso il loro funereo
ululato.
Ma gli occhi di Franca, quel giorno,
racchiudevano ben altro che agitazione: erano un oceano di puro terrore.
Se non fossi andato con lei suo padre
l’avrebbe presa male, e lei ne avrebbe
subito le dure conseguenze.
- Non immagini di cosa è capace di fare quell’uomo, ti prego, sbrigati!
Tentennai, guardai il cellulare per vedere se Sandro si era fatto sentire, e infine decisi per il pranzo.
Fossi stato meno addormentato avrei
rifiutato. Ma in quel momento tutto
aveva i contorni di un sogno irreale e
grottesco. E poi, sarebbe stato solo un
pranzo, nulla più.
In strada ero ancora confuso, e i miei
vestiti stropicciati stonavano con la
perfezione di Franca. L’ansia che risaliva, un sibilo che diventa rantolo e ci
chiude lo stomaco, pesando come un
macigno, aveva a che fare con gli occhi
scuri della mia futura fidanzata.
Avevo visto gente terrorizzata, da piccole e grandi tragedie personali, ma
mai, ne sono certo, una paura così reale come in quelle due pupille.
Il padre ci stava aspettando, mi aveva
detto tra respiri affannati e preghiere a
mezzavoce, ed eravamo in ritardo, e
questo era inammissibile.
La mia famiglia, che ora riesco solo a
immaginare come contorno vago e
indistinto, non mi aveva mai imposto orari, e anche se facevo tardi
non avevo paura delle piccole tirate
d’orecchie di mia madre. Ma in questo paese le ore e gli anni scorrono
più lenti che nel resto del mondo, e
la puntualità è ancora un dogma
fondamentale, una base solida fatta
di rispetto e educazione. L’avrei imparato, e mai lezione sarebbe stata
così dolorosa.
La casa di Franca era a qualche decina di metri dal centro del paese, cohttp://nerotorino.splinder.com
Nero Torino
Colori di una città, la notte
Il blog di Andrea Galla
HAP COLLINS RACCONTA
Cronaca, giallo e noir,
recensioni, narrativa
me a dire la prima casa che incroci
se arrivavi dalla statale di Torino.
Due piani fatti di mattoni rossi chiari, scoloriti dal sole e dal tempo. Da
un balcone pendevano grembiuli
bianchi e grandi pezzi di biancheria;
un vento stanco li rendeva vivi, facendoli vibrare e litigare tra loro. Un
posto qualunque, in un piccolo paesino di provincia.
Solo una cosa a spezzare l’armonia
di quella casa. Una croce nera, appesa sopra la porta d’ingresso, ti attendeva come un monito duro e severo. Non c’era un Cristo appeso, solo
la croce nuda, di ferro e legno, nero
su nero.
- Tu aspetta fuori, che prima cerco
di calmare mio padre - sussurrò la
ragazza, ed entrò, lasciandomi solo.
Mi fermai sull’uscio, e cercai di sbirciare o ascoltare, ma la croce sopra
di me sembrava catturare ogni suono o colore, come un buco nero, tra
le campagne del cuneese.
31
Poi uno sbattere, pugno su legno, una voce roca, e il suono di
uno schiaffo.
Attesi, con l’istinto che vibrava:
“Che stai facendo? Cosa stai
aspettando? Vattene!” ma come
al solito non lo ascoltai.
Una donna sui quaranta comparve sulla soglia, e senza guardarmi
nemmeno mi diede il benvenuto, facendomi entrare. Un vestito a fiori l’avvolgeva, lasciando
solo le caviglie scoperte, e due
piccoli piedi che si muovevano
veloci e sicuri dentro scarpe
nuove e pulite.
L’odore era quello della casa dei
miei nonni.
Come le pareti tappezzate di
passato, con gloriose foto in
bianco e nero, pose casuali con
un ciclista famoso, ormai morto;
vecchi parenti e una bambina
pacioccosa, Franca, su un girello,
con l’aria stupita.
Poi arrivò la voce, profonda e
autoritaria. Solo al pensiero sento il ricordo di ogni sillaba viaggiare tra le pieghe del mio cervello, insinuandosi dure, senza
scampo.
Era seduto a capotavola, baffetti
pettinati, e tovagliolo sulla camicia. Quadri rossi e bianchi, con
una cravatta sporca di vino rosso
ben stretta sul collo.
Il padre di Franca.
- Eccoti qui, finalmente, in puntuale ritardo. Accomodati pure.
Cercai di salutare e sedermi, insieme, ma dalla bocca mi uscì un
grugnito che si confuse con il silenzio teso e lo strisciare della
sedia sul pavimento di linoleum.
Ci sedemmo e, come ad aspettare qualcosa, rimanemmo in silenzio, immobili.
Mi guardai intorno, e vedere
Franca lì, tremante, con una
guancia gonfia mi riempì di pena
e rabbia. Quell’uomo era un ba-
32
stardo della peggior specie, e con me
non l’avrebbe avuta vinta.
Ero determinato, ma a volte questo
non basta, semplicemente.
- Padre nostro, tu che hai aspettato la
mia sciagurata figlia e il suo fidanzato,
grazie della pazienza, e perdonali, se ci
riesci. Ti offro questo pranzo, accoglici
nella tua mensa. Amen.
Un coro di amen a concludere e ringraziare, tranne il mio. Io non credo in
Dio, o almeno così pensavo.
Franca mi lanciò un’occhiata disperata,
ma finsi di non vederla. Ma non potei
ignorare quegli occhi chiari, a capotavola, che mi perforavano, vibranti di
rabbia e disprezzo.
Fanculo, pensai, e iniziai a sgranocchiare un po’ di pane per muovere un
po’ le mani. Gli altri mi imitarono.
Mi credevo forte, superiore a quella
barbarie psicologica. Dovevo reagire,
spiegare che io, lì, non c’entravo niente. Non ero il fidanzato di nessuno,
tanto meno di Franca, ero solo un vago conoscente, nemmeno un amico.
Comunque, grazie per il buon pranzo
e arrivederci.
Ma il padre di Franca anticipò le mie
parole e prese a parlare. E la spirale
iniziò a lambirmi i piedi, prima lenta
poi sempre più forte, fino a sommergermi.
- Allora ragazzo, cosa ne dici di presentarti, finalmente?
- Mi chiamo Andrea, signore.
Masticò saliva e cibo e continuò il suo
interrogatorio.
- Franca mi ha detto che lavori da Rainelli. E cosa fai nella sua fabbrica,
l’operaio?
Il bastrardo sapeva benissimo che ero
un biologo, ma ci teneva a guardarmi
dall’alto in basso, a mettermi in ridicolo. Mi stavo incazzando, e la mia voce
uscì di un tono più alta.
- Lavoro come ricercatore.
- Già, ricercatore. E cosa ricerchi?sussurrò a mezza voce.
Non risposi e lasciai perdere. Che ne
poteva sapere un tipo così del mio la-
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
voro?
Finimmo il pranzo in silenzio, e i rumori di stoviglie si confondevano
con i battiti del cuore di Franca, che
non alzava lo sguardo dal piatto. La
madre, esile e tirata, non perdeva
l’occasione di muovere le mani nervosa, contro ogni mia parola o gesto.
Un clima ancora sopportabile, ma
solo per poco.
Poi anche il dolce finì, e tirai un sospiro di sollievo pensando che tra
qualche minuto avrei potuto ricominciare a respirare. Lì per me c’era
solo odio e diffidenza, mischiati a
qualche grammo di ossigeno di seconda mano.
L’orologio appeso al muro urlava
ogni secondo, calcando e stridendo
lentamente il tempo, dilatandolo a
dismisura. Era ancora l’una e dieci,
ma per me sarebbero potute essere
già la sei.
Feci per alzarmi ma ancora una volta quell’uomo mi anticipò.
Si alzò dal tavolo, dritto nel suo metro e sessantatrè, fatto di ossa, muscoli e tendini tirati allo spasimo, e
iniziò a camminarci intorno.
Portava dei mocassini neri, all’antica, da film anni Trenta, che risuonavano a ogni passo.
- E così, il mio futuro genero si presenta da me in ritardo e in disordine!
Le sue parole, per quanto assurde,
mi fecero bruciare di vergogna, inspiegabilmente. Ma non potevo fare
altro che chinare il capo e rimanere
in silenzio.
- Cosa dovrei pensare? Dimmi, che
idea dovrei farmi di te, biologo dei
miei stivali?
- Guardi, - riuscii infine a sussurrare - credo che ci sia una specie di
equivoco. Io suo figlia la conosco
appena e…
Mi bloccai, non potei farne a meno.
I suoi occhi erano diventati due lame nere, e la sua mano aveva afferrato un fine bastone da passeggio,
stringendolo con rabbia.
- Cercherò di far finta di non
avere sentito queste tue sciocche
parole. E tu, Franca, - e si girò
verso sua figlia, tremante e con
le lacrime agli occhi - che mi
porti a casa questo mezzo uomo,
che nemmeno ha la barba fatta?
Cosa devo fare con te?
Poi successe, all’improvviso.
Un attimo prima stava gesticolando contro sua figlia, sputando
saliva e bile, un attimo dopo il
bastone mi colpì al costato, come una sciabolata.
Dolore, nero.
Gridai e mi piegai cadendo dalla
sedia. La sorpresa aveva acuito
un dolore che adesso pulsava e
succhiava ogni mia energia.
Quasi non mi accorgevo dei miei
lamenti, che sembravano ululati,
e si spargevano per la casa.
- Alzati, mezz’uomo! Questo era
ciò che mi dovevi per il ritardo.
Alzati o sarò costretto ad aiutarti
con il bastone.
Aspettò che mi alzassi e riprendessi fiato, per darmi il tempo di
capire di avere almeno una costola rotta e che i prossimi respiri avrebbero portato poca aria e
tanto dolore, e mi colpì ancora,
alle mani.
Sentii l’indice andare in frantumi, un rumore raccapricciante,
da macellaio.
Lacrime di frustrazione e impotenza mi scesero mischiandosi
con fila di muco, e con le sue
parole marziali e tranquille.
- Questo è per la tua totale mancanza di rispetto verso mia figlia,
e verso sua madre e suo padre.
Che ti serva da lezione!
Mi alzai urlando contro quelle
parole, che sembravano uscite
da un passato anacronistico. Che
cazzo avevo mai fatto? E come
poteva colpirmi in quel modo?
Ma non mi lanciai contro quel-
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
l’uomo per dargli ciò che si meritava, il
nero dell’odio che provavo era annacquato dal giallo della paura. Lo fissai,
e cercai di scivolare fuori da quella casa, da quelle torture.
- Te ne stai andando senza salutare.
Maleducato.
Il bastone calò ancora, centrandomi la
coscia di striscio. E già un secondo
colpo vibrava nell’aria densa.
- Vaffanculo - urlai, e scappai correndo
verso l’uscita.
Finalmente in strada mi voltai, e il sorriso di quell’uomo brillava compiaciuto
sulla soglia, e sembrava dirmi:
“Tornerai, stanne certo.” Senza perdere tempo mi allontanai, passo dopo
passo.
Non mi ero accorto di quanto gravi
fossero le lesioni fino a quando notai
di non riuscire quasi a camminare, dal
dolore.
La mano si stava gonfiando, e il dito
indice era inerte e gobbo. Il costato
mordeva a ogni respiro con sibili e
rantoli che sembravano alimentati dall’eco di quella voce.
Dovevo andare in ospedale, ma non
ero in grado di guidare, e per ora volevo solo essere al sicuro, di nuovo, nella
mia stanza.
Avrei chiamato Sandro pregandolo di
venire al più presto. Con lui magari
avrei dato anche una lezione a quel
vecchio bastardo. Erano pensieri vigliacchi, lo sapevo, ma almeno mi allontanavano dal quel presente, troppo
angosciante e assurdo per non farmi
uscire di testa.
Ma ancora non era tutto.
Salendo a fatica le scale verso il mio
appartamento, ad attendermi c’era, riverso al suolo, il corpo della mia vicina.
Era distesa a terra e mi dava le spalle,
immobile senza nemmeno respirare, in
una posizione fetale grottesca.
Il suo viso era bagnato da saliva e vomito, e qualche traccia di sangue macchiava il pavimento e i suoi capelli
stopposi e viscidi.
33
Pensai fosse morta, ma quando fui a
CONCORSO
un palmo dalla sua bocca si mosse
“SI PARTE
all’improvviso, stringendo il mio
DALL’INCIPIT”
braccio in una morsa d’acciaio. Non
aprì gli occhi e disse solo “Portami
Costruisci un racconto di
dentro. Per piacere.”
lunghezza minima di 5000
L’idea di spostare quel corpo con la
mia mano rotta e le mie costole battute e una massima di 13500
spezzate era folle, ma nonostante
spazi compresi (incluso
fosse una stronza di dimensione epil'incipit, escluso il titolo),
che, non potevo lasciarla lì a respirapartendo dall’incipit fornito
re il suo vomito.
all’indirizzo web:
E poi nelle sue parole c’era stata una
traccia di umanità che sembrava negata a ogni abitante di questo fottuto www.emergentesgomita.com/
incipit.htm
paese.
Così iniziai: centimetro dopo centiInvialo, completo di dati
metro la spostai, tirando e spingenanagrafici, breve nota
do, fin dentro il suo appartamento,
buio e malsano; cercai una poltrona biografica e autorizzazione alla
abbastanza grande e la issai gridanpubblicazione a:
do, adagiandola mollemente.
[email protected]
Ci misi almeno un’ora, di cui ho solo un vago ricordo.
Il racconto giudicato migliore
Mi torna in mente il sudore che mi
dal comitato di lettura, il cui
sporcava la camicia, le fitte alla magiudizio
è insindacabile, sarà
no e le lacrime, e i suoi gorgoglii.
pubblicato in un numero de
Ma ciò che ricordo meglio sono le
L'Emergente sgomita, previo
parole di gratitudine, che mi accomavviso
all’autore vincitore.
pagnano ancora adesso, che sono
qui, inerte, seduto ad aspettare che
la giornata finisca.
Per qualsiasi informazione non
Parole sussurrate, strozzate in gola,
esitare a contattarci.
come un avvertimento.
- Vattene, giovane bastardo, vattene
finché sei in tempo. Qui c’è solo la
SILVIA ZANETTO
morte, per te. La vita è in un’altra
direzione.
Stremato e stordito me ne andai, e
raggiunsi la mia camera, finalmente.
Cercai di chiamare il mio amico, ma
una voce metallica mi ripeteva che il
telefono era spento o non raggiungibile. Mi accasciai sul letto con le lacrime agli occhi.
La storia
Erano solo le due e mezza di pomedi un’anima.
riggio, ma fuori la notte sembrava
Gesti e sguardi di una
già scesa a darmi il benvenuto.
malinconia contemporanea
L’Alpino
sulla riva
del mare
CONTINUA…
In vendita su www.ibs.it
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
34
Giovani talenti
Cantare è
scrivere
Intervista
a cura
di ALBERTO
BARINA
SUSANNA PARIGI – Cantante
“Cos’è più importante scrivere in una biografia?
Che ho lavorato con Cocciante e Baglioni o che mia madre era operaia a catena in un
sottosuolo di Firenze?
E’ più importante dire che ho un diploma in pianoforte al Cherubini o che mio padre
era camionista, pittore e onesto?
Che ho alle spalle due CD o che la musica mi assale e mi si attacca addosso?...”
Quattro chiacchiere con la cantautrice e musicista fiorentina
Susanna Parigi.
Anzitutto, prima ancora di
partire con la vera e propria
intervista, vorrei che tu ci
parlassi di questi concerti
che hai tenuto in giro per
l’Italia, per promuovere
(scusami se utilizzo questo
termine commerciale) il tuo
ultimo CD, uscito oramai un
anno fa, In differenze.
Ho avuto il privilegio di portare la mia musica nei più bei teatri d’Italia e la sorpresa è stata
grande. Grande e inaspettata,
perché senza i grossi mezzi di
comunicazione delle multinazionali mai ci saremmo aspettati questa affluenza di pubblico
e soprattutto un affetto che
commuove. Commuove e rafforza
la convinzione che ESISTE un
pubblico vivo, un pubblico che
cerca quello che vuole comprare e
non lo assorbe totalmente come
imposizione dai messaggi pubblicitari; un pubblico che desidererebbe qualcosa di diverso (nel cinema,
nella letteratura, nel teatro, nella
musica) ma non riesce a trovarlo.
Il grande problema della discografia non è la masterizzazione, è la
disaffezione del pubblico. Non si
dice mai per esempio che molti
anni fa non si poteva masterizzare
ma si facevano una marea di cassette dal vinile. Perché allora la
gente comprava comunque i dischi? Perché dopo che hanno assistito al mio concerto le persone
vanno a ricercare anche il mio
primo e secondo CD? Costruendo solo plastica, vendendo a prezzi altissimi CD dove al massimo c'è
una canzone decente e dove
persino il libretto è ridotto a
sette pagine, le case discografiche hanno allontanato le persone. Quello che non capisco è
quanto sia stata inettitudine o
quanto volontà di affossare un
veicolo di cultura quale è la
musica.
Come definiresti la tua musica? Uno sguardo dal basso
verso l’alto o dall’alto verso il
basso?
Qualche volta sento il mio corpo come tramite. Ogni volta
che salgo sul palco vorrei che
fosse non un corpo che si esibisce ma un veicolo per la musica. Allora accade qualcosa di
strano: sembra che arrivi qual-
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
cosa dall’alto, che si espanda verso
il basso per poi tornare ingigantito
verso l’alto. Non so cosa sia ma lo
percepisco così.
Riccardo Cocciante e Claudio
Baglioni, due personaggi della
musica italiana con i quali hai
lavorato, e che giustamente affiorano e fanno parte dei tuoi
tratti biografici; però ultimamente so che ami utilizzare un
altro tipo di biografia “più personale”, quella in cui ti definisci con… “Un’anima da operaia e la scrittura (dicono) da
intellettuale…”. Ti va di parlarcene?
sentivo. I pensieri del fiore… Forse hai letto La nausea di Sartre e
tutto questo masticare, masticare e toccare, toccare senza rispetto per i pensieri del fiore…
Anche se chissà quante volte
ti è stata fatta questa domanda, ti chiedo di spiegarci il significato del titolo del tuo ultimo album, In differenze.
Come ti dicevo prima, ci sono
momenti in cui sembra che ti arrivi qualcosa da qualcuno e questo titolo è venuto in uno di
quei momenti. Racchiudeva in
Non ne posso più! Ho distrutto la
vecchia biografia, l’ho pestata, l’ho
arrotolata e mangiata, fatta sparire
ovunque e puntualmente me la ritrovo tra i piedi. Non perchè me
ne vergogno ma perché vorrei essere apprezzata per quello che sono e non farmi strada sul nome di
altri.
Vorrei che tu ci parlassi de I
pensieri del fiore e Selina, due
canzoni del tuo primo album
che forse non tutti conoscono
ma che a mio avviso già denotano un certo spessore artistico
e un tono simile a quello che si
respira in In differenze, anche
se le due canzoni sopra citate
risalgono al 1995…
A Selina sono molto affezionata
perché mi ha permesso di essere
prodotta da Vince Tempera e
Massimo Luca. Non so perché ho
scritto dello strazio di una madre
che dà in adozione la figlia, però lo
35
avremmo alcun bisogno (e
oggi purtroppo anche perché
non si arriva alla fine del mese); lavorando, lavorando e
tornando in coda e facendo la
spesa e accompagnando i figli
a scuola e passando a trovare
la nonna e portando la macchina dal meccanico e facendo la fila alla posta e perdendo una mattinata in coda alla
cassa della Asl e stando un’ora
al telefono per prenotare
un’ecografia che ti danno fra
tre mesi, si arriva al divano, e
al divano e alla televisione ti ci
aggrappi come la zecca al cane. Beccato, non hai più
scampo! Sei preso! E’ molto
faticoso non essere indifferenti. Per poter attuare questo
esercizio bisogna avere anche
tempo a disposizione. Io ho
scelto: meno danaro, però più
tempo.
Per ciò che concerne il tuo
modo di scrivere, il tuo
modo di fare musica, si potrebbe parlare di una
“Scomposta in differenza” (ricollegandomi ai titoli
dei tuoi due ultimi lavori)?
sé tutto il mondo dell’album, e
questa spiacevole sensazione
che sento fortissima sulla mia
pelle di “indifferenza” intorno,
ovunque e per qualsiasi cosa. Questo è un periodo storico
molto pericoloso. Credo bisogni stare con gli occhi ben aperti. Le manovre di rincoglionimento sono pesanti e le persone
sono anestetizzate. Il gioco è
questo: si lavora, si lavora per
comprare cose di cui non
Sono scomposta in tutti i sensi. Mi sento frammentata in
porzioni di donne assolutamente diverse e non mi piace
stare “composta”. Amo chi ha
cercato nei secoli di vedere le
cose da un’angolazione inusuale e mi distrugge la ripetizione. C’è chi dice che la cultura annoia; a me annoia
l’ignoranza. Nella scrittura
cerco parole un po’ meno
36
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
abusate, un po’ meno date in pasto
al popolo della corrida. Nella musica
cerco di essere libera; ancora non ci
sono riuscita del tutto ma sono sulla
buona strada. Spero di non riuscirci
del tutto, perché questo, forse, vorrebbe dire smettere di cantare poiché
la totale libertà e sincerità spesso
fanno cenno al silenzio di avvicinarsi.
tra Peter Gabriel e DJ France- La sua coerenza lo porta a
sco?”
una sincerità disarmante e se
ti presenti con delle mascheIl brano La fatica e la pa- re te le disintegra in un sezienza è un brano dedicato a condo. Forse io ne ho di taluna persona a te molto cara: mente incorporate che non
tuo padre.
le ha viste… O forse ha fatto
Sempre in questo brano, finta di non vederle. La sua
parlando di chi non c’è più, filosofia aderisce alla terra e
dici: “La fine cambia verbi, come la poesia di Neruda la
prospettive, angolazioni.” In sento molto vicina alla gente
Entrando più dettagliatamente conseguenza a ciò, credi che che lavora.
nell’analisi delle canzoni di In dif- il tuo approccio alla musica
ferenze, nel brano Opera buffa dici: “Rido e mi pento di non aver
ucciso chi ha licenziato talento e
sorriso…” Vuoi dunque dirci chi
secondo te ha licenziato talento e
sorriso? Vuoi fare dei nomi?
Credo che chi ostacola un talento offende l’anima di Dio; qualsiasi talento in qualsiasi campo. Questo paese
è vecchio, prima almeno esistevano i
cervelli da esportare, oggi pare che la
richiesta di “menti” italiane sia molto
diminuita; un po’ perché dove si va
avanti per mafia e non per talento
viene a mancare la materia prima, un
po’ perché (e questo è ancora più
grave e ne ho il riscontro tutti i giorni), i ragazzi sono molto sensibili,
molto di più di quanto si possa pensare.
Se il messaggio che passa ogni giorno è che “tanto a esser bravi non si
va da nessuna parte”, loro pensano:
“Chi me lo fa fare di impegnarmi, di
sacrificarmi, di diventare eccezionale
in quello che faccio, tanto non conosco le persone giuste e, bene che vada, chi potrebbe apprezzarlo, dove
non si riconosce la differenza tra un
premio Nobel e una velina, o tra le
Memorie di Adriano e l'ultimo libro del
comico tormentone, o, ancora,
abbia subito dei cambiamenti in termini di
“prospettive e angolazioni”?
E, in particolar modo, In differenze può essere considerato il frutto bellissimo in
parte attribuibile a questo
doloroso distacco?
Nelle foto interne del booklet di In differenze che ti
ritraggono il tuo sguardo è
sempre rivolto altrove; non
guardi mai dritto verso
l’obiettivo di chi ti sta fotografando. E’ casuale o
voluto? Questo tuo
“guardare altrove” fa parte
Sì!
dei messaggi che vuoi
esprimere con In differenCome nasce la tua collabora- ze?
zione (anche per il testo di
False) e amicizia con Um- Non mi piace stare in posa.
berto Galimberti, uno dei fi- Il mio amico Max, che speslosofi italiani più apprezzati? so mi fotografa, sa che è un
macello e allora prima mi fa
Umberto, come molti grandi, degli scatti in posa, che punha un carattere molto difficile. tualmente buttiamo via per
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
tenere quelli che fa quando non
me ne accorgo, nelle pause, mentre cammino, mentre suono o
mentre mi arrampico per gioco
sul pianoforte e mi si rompe uno
stivale.
Donne d’amore, Tre passi indietro, Amada sono alcune tra
le tue canzoni in cui la protagonista è proprio la donna, di
cui spesso tu metti in luce le
incertezze, le debolezze; donne
che raccontano soprusi e umiliazioni spesso indotte da altri
o dalla società stessa in cui si
trovano a vivere. Ma io ti chiedo, più in generale, quanto e
perché è importante parlare
delle donne in una canzone?
A giudicare dal numero delle aspiranti veline direi parecchio. E’ triste che non ci si renda conto di
una verità elementare: che se giochi tutto sul tuo corpo crei immediatamente la tua sostituibilità.
Una stagione all’inferno, can-
zone portentosa che sicuramente emerge nel CD non solo
per la tua voce ma anche per la
“costruzione musicale” e l’arrangiamento: le ritmiche di
tamburi e il coro bizantino. Sono curioso di sapere come sei
riuscita a coinvolgere i Tamburi di San Marino e il coro bizantino; immagino anche l’affollamento di persone nello
studio durante la registrazione
del brano o mi sbaglio? Vuoi
parlarci anche del contenuto
del testo?
Tutta la canzone nasce da una domanda: “E se l'inferno fosse questo?”
E’ tale a volte il dolore in questa
nostra terra, che sembrerebbe
una punizione esserci. Per questo
disco ho scelto solo collaboratori
vicini di spirito; ho scelto accuratamente tutte le persone che ci
hanno lavorato. L’esempio del figlio calza molto. Non vorresti
che tuo figlio fosse avvicinato da
persone che non ti piacciono, e
così ogni nota del disco doveva
essere suonata in un certo modo;
sono stata attenta a ogni dettaglio
rifacendo il missaggio anche per
cinque volte, scegliendo degli
amici meravigliosi
per la grafica del libretto, dei musicisti dei quali conosco il totale
rispetto per la musica, un coro di
bambini di nazionalità diversa per
Cinì Cinì; le mie compagne di
viaggio Alice e Aurora Bisanti a
viola e violino, e un’orchestra
sinfonica dove il direttore si è
messo a piangere quando ha eseguito Le valigie che lasci.
A proposito de Le valigie che
lasci… Senti di aver di aver
perso, abbandonato delle valigie da qualche parte? Di avere
valigie che vorresti volentieri
smarrire, o di avere valigie che
si sono spezzate?
Ci sono valigie che si spezzano
perché rovinate dalle distanze,
dai lunghi percorsi, dalla fatica, di
queste narra la canzone. Nel mio
caso si sono rotte non per questo
motivo, ma semplicemente perché non erano buone. Erano difettose fin dall’inizio, di plastica, anche se me le hanno vendute
per pelle. Non le rimpiangi certo
quando le butti via.
37
Tu sei sicuramente una
persona che ama leggere
molto, dunque ti chiedo di
darmi il titolo di qualche
libro di cui consiglieresti a
tutti la lettura.
Uno l’ho citato prima: Memorie di Adriano di M.
Yourcenar, poi le poesie di
Gabriela Mistral e magari I
beati anni del castigo di Fleur
Jaeggy.
Nel brano Il doppio segreto dici “La storia è solo inganno”, e in Opera buffa
“Rido alla storia, rido alla
memoria…”; eppure nei
brani Più grandi di Dio e
anche in In differenze, come già avevo avuto modo
di dirti, sembrano affiorare, più o meno nitidamente, delle immagini e dei richiami ad alcuni momenti
storici precisi e terribili, e
nemmeno poi così lontani.
Mi riferisco al dramma
dell’olocausto, della deportazione… Vedi anche
l’effetto sonoro del treno,
della folla e della porta che
si chiude in In differenze.
Vorrei che tu ci spiegassi
come senti e vivi nei tuoi
pensieri la storia del passato e quella presente, e se
le mie sensazioni sono
fondate o meno.
Le tue sensazioni sono vere.
La storia che conosciamo è
solo
“narrazione”,
“inganno”, ed è a questa sto-
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
38
ria che rido, perché sento che la storia vera sfugge, perché può essere stata narrata da impostori; perché
l’intrigo spesso ha la meglio e… Cenerentola non sposò mai il Principe
Azzurro. Ho troppo rispetto per chi
è stato sgomitato in disparte e accolgo le parole di Bertolt Brecht:
La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente ugualmente.
Nome artista:
SUSANNA PARIGI
TITOLO ALBUM:
IN DIFFERENZE
Casa discografica:
Sette Ottavi/Delta dischi
Data di uscita: 6 febbraio 2004
La Bulgarian
Simphony
Orchestra,
un coro bizantino, un
carillon, la
voce di Flavio Oreglio,
musicisti di
fama internazionale come Tony Levin e Pat Methney sono solo alcuni
“sfiziosi elementi” che caratterizzano
questo terzo interessantissimo lavoro
discografico della cantautrice e musicista fiorentina Susanna Parigi.
Prima ancora di addentrarci nelle
musiche e nei contenuti dell’album,
appare giusto soffermarci sulla foto
di copertina del grande Sebastiao
Salgado, che ritrae una bambina brasiliana; foto, questa, che
ha ispirato il testo della canzone che da il titolo all’album: In
differenze.
Oltre alla straordinaria e particolare vocalità di Susanna, l’altro punto forte dell’album sta
nel contenuto dei testi, scritti
quasi tutti in collaborazione
con il cantautore siciliano Kaballà.
Attraverso i vari brani, Susanna
evidenzia il disagio, la miseria
del nostro vivere quotidiano, la
superficialità, dove apparenza,
potere e denaro hanno vinto
sulla morale comune e sui sentimenti. Susanna descrive il suo
disorientamento nel far parte
delle statiche, il suo sentirsi disadattata, “incasellata” dentro
un mondo-sistema che non
porta da nessuna parte, ma che
fa salpare la sua vita per…
“terribili naufragi”, dove spera
che “il mio stupore non possa
diventare mai certezza”, perché
“le certezze sono veleno”. E
con ironia dice: “Rido di questo
tempo insapore… Dell’orrore della
nuova economia” (Opera buffa);
“Cammino sospesa tra grafici e misure… E raddoppio nelle statistiche
la mia unità” (42,3%); oppure
ancora in False (scritta in collaborazione con il filosofo Umberto Galimberti), fanno la loro comparsa “Culose parodie di
bambole… Sulle prime pagine”, legate a quell’imperversare di nudo e malcostume televisivo che
ci viene svenduto senza oramai
alcun ritegno.
Ma c’è posto anche per una
dolce poesia erotica quasi in
chiave rap in Amore che m’invita.
Musicalmente il CD si muove in un bel connubio di ritmiche e atmosfere elettroniche, talvolta dal sapore etnico, partiture sinfoniche, partiture al pianoforte e atmosfere che ricordano gli chansonnier parigini (complice la
fisarmonica, secondo strumento suonato da Susanna
nell’album assieme al pianoforte). Tra gli altri brani meritano una segnalazione la
bellissima La fatica e la pazienza, dedicato al padre, Più
grandi di Dio, Una stagione all’inferno, per la serratissima
ritmica di tamburi, il poetico
recitativo di Le valigie che lasci
e la liberatoria e ariosa finale
Cinì, cinì. Il titolo dell’album,
come sottolinea la stessa Parigi, ha due significati: “Il primo è che stiamo diventando indifferenti a tutto e il secondo è che
non sappiamo neppure più cogliere
il valore delle differenze, che dovrebbero invece essere la nostra forza più viva perché contengono il
nuovo, la creatività, la sfida, l'invenzione”.
Di questi tempi così fragili
musicalmente parlando, questo è progetto discografico
oltreché culturale, lontano
dagli stereotipati meccanismi
del marketing, che pulsa di
vita, di cuore, di umiltà, di
sentimenti, di forza, e che
c r e d o n e m m e n o una
“recensione” come la mia
basti a svelare e a spiegare fino in fondo. C’è molto di
più! A voi scoprirlo. – a.b.
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
SLAM POETRY
39
a cura
di ALBERTO
BARINA
La voce
di Nunzio Festa
La poe- con il cuore di agnello).
sia
in
d i a l e tto
lucano
torna a
farsi apprezzare.
La voce
di Assunta Finiguerra, poetessa di
San Fele (PZ), che vive a Roma,
intonava in passato: “È sscesë a
lunë indë Sandë Félë / rë
cchianë nda rë vvijë forë i pannë / restënë a gguardà i cuorvë
ngiélë / ca strafochënë ciacëlijannë.” (È scesa la luna dentro
San Fele / i sassi nelle vie fuori
dai panni / restano a guardare i
corvi in cielo / che si alimentano ciarlando).
La nuova raccolta di versi pubblicata nelle preziose collane
della LietoColle esprime una
tensione poetica, condita da un
pizzico di sana irriverenza. Come si può ben godere da questi
versi “Aggia stà qua fine a fine
d’u munne / pe vvedé a reazione de Dije / quanne s’accorge
ca chhiù nun sò ije / ma ni
zémmere cu còre d’agnelle” (Starò qui fino alla fine del
mondo / per vedere la reazione
di Dio / quando s’accorge che
non sono più io / ma un capro
La lingua parlata e sentita dall’autrice sa di tinte forti e antiche; la nuova esperienza della poetessa lucana
arriva e si fa notare nuovamente.
Oltre alle raccolte Se avrò il coraggio
del sole (Basiliskos, 1995), in lingua
però in quell’occasione, Puozzë Arrabbià (La Valliva, 1999), Rësciddë
(Zone editrice, 2001), in dialetto
sanfelese, l’autrice ha ottenuto diversi riconoscimenti letterari fra i
quali il premio “Giuseppe Jovine” e
il “Premio Pascoli 2004”. Suoi testi
sono apparsi su importanti riviste
come: Poesia, Lo Specchio e Pagine.
Inoltre, è stata ospite del Dialect
Poetry of Northern and Central
Italy (a cura di L. Bonaffini e A.
Serrao, Legas, New York, 2003 ). È
stata recensita su Il sole 24 ore, Nuova
Antologia, La Vallisa, Nuova Tribuna
Letteraria, Incroci, Il Segnalë, Capoverso
eccetera. È presente pure nell’antologia Nuovi Poeti Italiani, curata da
Franco Loi. Suoi scritti sono stati
tradotti in polacco.
Per Assunta Finiguerra la poesia è
un tunnel di luce, un campo di grano verde nel deserto, o una tovaglia
di bisso lino sui tulipani delle stelle.
Ma la definizione più particolare è
contenuta nella frase “risata argentina
di bimbi alle falde dell’ignoto”. Poi,
sempre la poetessa Finiguerra appella la poesia con un nome non
proprio originale, ma che rivela la
sua concezione della passione
letteraria: “La considero la preghiera dell’anima – scrive – estrema
dichiarazione di vita alle porte della
morte, conforto al mio cuore in guerra per non avergli saputo dare il
mondo”. Indubbiamente, in queste parole c’è qualcosa di infinitamente grande; e lo chiariscono benissimo le ultimissime
parole della testimonianza.
Probabilmente si tratta di un
vizio di tante poetesse e di tanti
poeti quel desiderio di esprimere, in molte occasioni, un concetto che sia il “più possibile”
universale. La poesia nasce dal
fermento della terra, che è elemento naturale fondamentale,
quindi la loro voglia potrebbe
essere addirittura condivisibile.
Alle lettrici e ai lettori il piacere
e l’avventura di leggere o non
leggere. Ma sempre incantandosi.
POETANDO IN FORUM
emergente.mastertoforum.com
E’ la sezione del forum in cui
ogni autore iscritto può inserire i
propri elaborati, senza limite di
spazio, e ricevere per ognuno i
commenti dei lettori e dei
frequentatori.
Tutte le informazioni on line.
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L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
A(i)utocoscienza
Senza titolo
di Lorenzo Zanierato
di Fabiano Campo
Prima
di morire
adagerei
l'ultima
fobia
su lenzuola
consumate
dal nostro
implacabile
distacco.
Ogni
frazione
pungente
del mio orgoglio
ammutolirebbe
la tua immobile
inibizione,
fingendomi
lacrima
del mio
ultimo
sbadiglio.
L’aria della sera
mi attente: i suoi profumi, i suoi colori
un paesaggio unico,
ma dove saranno le nostre speranze?
Estraneo
fingo ore d’appartenenza
frustando la mia schiena
con gesti infanticidi e risvegli corrotti
Terrorista
setaccio il confine,
idolatrando immagini di crateri
che ne devono ancora infettare lo spazio.
di Emmenunz
“Ottima la breve disposizione grafica dei versi,
in un avvicendarsi e compenetrarsi di forza e
fragilità poetica dalle vaghe suggestioni filosofiche.” – a.b.
Scende dolcemente il sole
dopo le lunghe fatiche del giorno
in una sera stanca e rilassata
senza pensieri, senza un futuro
solo il presente. Ora…
Dove troviamo le nostre speranze?
Ora si levano le stelle
e poi la luna, dei bambini chiedono di
lei
piccoli pargoli puri
forse loro saranno la nostra speranza.
“Testo prettamente poetico dall’andamento descrittivo, dai toni malinconici e dall’ambientazione crepuscolare che sembra
coincidere perfettamente con lo stato
d’animo dell’autore. Possiamo intendere le
speranze come le probabili poesie che si
fondono e nascono dalla candida luce di
una luna… Bambina.” – a.b.
Futuro anteriore
di Nunzio Festa
Lacrime al sole riapparso
di Giorgia Salvatelli
Fosti genio custodito
fra le Mie labbra
che mai urtavano
dolci
le Tue labbra
Io ridicola
ti riconobbi tardi
io ridicola
capii tardi
che sei un’onda
senza oceano
e mi sento
lasciata alle Tue onde
nel Mio oceano.
La lampada accanto alla casa
scucita nel bosco
il rospo che si spacca
le corde vocali
sono entrambi animali
in via di estinzione
e una sensazione di vuoto
stordisce le fughe
rughe
che tocco sul volto
pensando a domani
tra qualche anno forse
se i piani della vita
(della morte pure)
non saranno altri
magari più chiari
“L’iniziale metafora pulsante appare quasi un fotogramma che piano si allarga e ci fa intuire la sequenza di un amore finito o non corrisposto. In
poche parole l’autrice riesce ad essere poeticamente molto efficace.” – a.b.
“Immagini dal fascino inconsueto accompagnano dall’inizio alla fine il testo, descrittivo
e a tratti fotografico, in un’interessante commistione di giochi di parole (fughe-rughe), di
passato e di presente, di vita e di morte.”
– a.b.
Carico l’arma
Slegherò
l’uomo più crudo, il cenno più secco
per salvare il bambino,
il mio solo autentico lampo.
“Linguaggio vigoroso, attuale, quotidiano. E
immagini forti, spietatamente poetiche, nelle
quali non è difficile individuare tracce di deflagranti cronache odierne. ” – a.b.
PER INVIARE
UNA TUA POESIA
[email protected]
Ogni elaborato deve avere
lunghezza inferiore ai 30 versi ed
essere incollato sul corpo della
mail e non in allegato, completo
di breve nota biografica e
autorizzazione alla pubblicazione.
ROBERTO ESTAVIO
I tasti
estremi
di un
pianoforte
Brevi racconti,
come dice Francesco Gazzè, “dal
respiro largo”, nei quali l’occhio
curioso dell’autore osserva una varia
umanità. Deliri o personaggi che
vivono e si agitano in una città
falsamente normale.
On line su www.clubghost.it
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
IN MEMORIA
DEL SINDACALISTA
DIMITRI
Guarda, va passando la processione,
si trascina come un cobra per terra,
e le persone che vanno passando
Credono alle cose del cielo.
Procissao (Gilberto Gil)
Dimitri entrò in casa. Si levò le scarpe.
Si stiracchiò. Andò a farsi un tè al gelsomino. Mise sul piatto un disco di
Toquino e iniziò a danzare per la stanza. Era il primo giorno di pensione e
lo voleva festeggiare così: un po’ Lord
e un po’ Saudade.
Guardò fuori dalla finestra e vide, seduti sui gradini della casa di fronte, due
persone. Un uomo immerso dentro a
un logoro cappotto grigio e una donna
avvolta in uno scialle colorato. Li salutò con la mano, loro non reagirono.
Non ci fece caso, l’indifferenza era
l’ultima moda in città. Si riempì una seconda tazza di tè e riprese a danzare.
Adesso ne aveva di tempo per dimenarsi. Ne aveva quanto voleva di tempo. Avrebbe potuto prendersi un biglietto di sola andata per Rio de Janeiro e iscriversi a un corso di samba. Piroettò verso il frigorifero, poi verso il
tavolo e infine incespicò e sbatté contro il vetro della finestra chiusa. Dopo
aver imprecato si accorse che i due tizi
seduti di fronte alla sua abitazione erano ancora lì, immobili, le facce spente,
i muscoli rigidi. L’uomo assomigliava
vagamente a Tolstoj, la barba lunga, il
corpo possente; la donna non assomigliava a nessuno, i lineamenti del volto
venivano cancellati da quello scialle
colorato, talmente acceso da sembrare
il quadro di un bambino in acido. Provò a salutarli ancora con la mano ma
loro non risposero. Rassegnato, spense
41
Un racconto
di LORENZO
MAZZONI
la luce, andò a farsi i gargarismi sul
lavandino e si tuffò a letto.
Alle tre del mattino si svegliò per
andare in bagno. Diede un occhiata
fuori: illuminati da un lampione un
po’ retrò i due erano ancora seduti.
Iniziavano a irritarlo. L’uomo assomigliava davvero a Tolstoj e Dimitri
odiava Tolstoj perché lo trovava
lungo ed estenuante. Meglio tornare
a dormire e concentrasi sulle pecorelle bianche. Domani uno sguardo
agli annunci sul giornale per iscriversi, finalmente, a un corso di balli latino-americani, in attesa di una sempre più probabile partenza per il
Brasile dei fondoschiena danzanti e
dei pappagalli verdi.
Si svegliò verso le sette, ormai assuefatto ai ritmi che il lavoro gli aveva imposto per quasi quarant’anni.
Un tè al ginepro, un disco di Airto
Moreira e un saluto al mattino ancora tiepido. I due erano ancora lì, vestiti nello stesso modo, messi nello
stesso modo. Forse erano dei manichini?
Bussarono alla porta. Aprì. Era la signora Ivana, la sclerotica del piano
di sopra.
- Li ha visti quei due? - chiese la signora Ivana sporgendo in fuori la
dentiera.
- Sì.
- Devono essere dei drogati…
- Credo siano troppo vecchi per essere dei drogati.
- E Burroughs dove lo mette?
Era colta la signora Ivana.
- In ogni caso se non sono drogati
sono sicuramente comunisti.
- Lei dice?
- Solo i rossi si vestono in quel
modo.
Dimitri si guardò i vestiti. No,
era troppo sobrio per apparire
un comunista agli occhi della signora Ivana.
- Dice? - chiese, un po’ a disagio.
- Sono l’avanguardia di un qualcosa di marcio che sta arrivando
fino a qui… Da lontano… Molto lontano.
La signora Ivana fece il saluto
romano e poi scese le scale.
Dimitri guardò fuori dalla finestra. I due non sembravano né
comunisti, né drogati… Il loro
nichilismo appariva estraneo a
ogni classificazione.
Suonarono di nuovo al campanello. La signora Ivana, il signor
Willer con consorte e Suor
Sabrina, la religiosa dell’ultimo
piano, guardarono con facce serie Dimitri.
- Ci siamo consultati, lei deve
andare a parlare con quei due disse il signor Willer.
- Io?
- Sì, lei è il più giovane, in caso
quei due reagiscano avrà abbastanza forza per fermarne almeno uno - disse la signora Ivana.
- Prenda questo - disse il signor
Willer allungandogli un pugno di
ferro.
- Magari sono mansueti - ribatté
Dimitri a disagio.
- Allora non ha capito? Quelli
sono sovversivi… I sovversivi
non sono mai mansueti. Dietro
l’apparenza si nasconde l’odio
verso noi brava gente - lo ammonì immediatamente la signora
Ivana.
42
- Forse sono arabi! - disse inorridita la
suora facendosi il segno della croce.
Gli altri si inginocchiarono a pregare.
Dimitri li guardò sconcertato.
- Okay… Ci vado - disse, sospirando.
Scese le scale, attraversò la strada e si
avvicinò ai due. Puzzavano come una
fogna africana a cielo aperto. Erano
pallidi e nodosi. Potevano avere un età
indefinibile che andava dagli ottanta ai
centotrenta anni. Tolstoj sulla mano
aveva tatuata un’ancora, la donna portava orecchini argentati a forma di
mezza luna.
- Buongiorno, serve aiuto? - chiese Dimitri.
Non risposero.
- Io e l’altra gente del vicinato ci chiedevamo se avevate bisogno di qualcosa. Sono due giorni che ve ne state
qui…
I due non risposero. Osservavano il
vuoto alle spalle di Dimitri.
- E’ per la casa, vero? - chiese lui, indicando l’abitazione. - Anche voi senza
una casa… Se volete io posso aiutarvi,
lavoravo nel sindacato.
I due non risposero.
Dimitri sospirò e tornò in casa.
- Non mi hanno detto nulla… Forse
non parlano la nostra lingua.
- Lo avevo detto, sono terroristi - disse
il signor Willer.
- Dobbiamo chiamare la polizia! squittì la sua rinsecchita consorte.
- Ma no, non è il caso - disse Dimitri.
Il vetusto club dei condomini ebbe un
collettivo sussulto di sorpresa: il signor
Dimitri collaborava coi sovversivi?
Qualcuno si inchinò a pregare per la
sua anima, qualcun altro se ne andò disgustato.
Gli sbirri arrivarono dopo mezz’ora.
Parlottarono coi due, poi li trascinarono sulla volante.
- Abbiamo fatto la nostra parte per debellare il terrorismo; avevano senz’altro dell’esplosivo sotto quei vestiti laceri - disse il signor Willer con soddisfazione mentre se ne stava con gli altri sul marciapiede ad assistere all’arre-
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
sto.
- Magari erano solo dei barboni disse amaramente Dimitri.
- E i barboni non sono forse potenziali terroristi? - chiese la signora
Ivana.
Se ne andarono tutti. Scese il tramonto. Dimitri tornò in casa, si fece
un tè all’ortica verde e pensò che era
arrivato il momento di lasciare quel
quartiere di reazionari fanatici, aveva
la possibilità di andarsene a Rio e vivere come un nababbo, non avrebbe
più aspettato… Far arrestare così
dei poveracci. Guardò fuori e, incredibilmente, i due sconosciuti erano
davanti alla casa, al freddo. Non erano stati trattenuti dalla polizia. Dimitri, in quel momento, si dimenticò
di Copacabana, di culetti sodi e roteanti, di balli sfrenati e di noci di
cocco. Non aveva nessun diritto di
andarsela a spassare mentre ancora
le gente moriva al freddo, senza un
posto dove andare. Si mise il cappotto e tornò dai due.
- Vi aiuterò io a trovare casa - disse
con decisione. - Ho lavorato nel sindacato tutta la vita e so come si mettono in piedi le battaglie.
I due non lo guardarono nemmeno.
Dimitri interpretò la cosa come una
disperazione lancinante che non
permetteva nemmeno di annuire a
quei due poveri cristi.
- Governo ladro! - imprecò Dimitri
tornandosene in casa per progettare
la lotta.
Organizzò le cose per bene. Un presidio settimanale, con due, tre compagni del sindacato, davanti ai due
sconosciuti. Una manifestazione il
primo sabato di ogni mese con i soliti due, tre compagni del sindacato.
Il signore e la signora X vogliono una casa
era il nome della campagna pubblicitaria messa in piedi da Dimitri.
La gente della strada aveva iniziato a
ipotizzare che fossero davvero una
coppia di mansueti senzatetto. Le
persone iniziarono a lasciare, davan-
ti ai gradini, piatti di pasta, bottiglie di latte, frutta. Oltre ai signori X si creò un’immensa colonia felina. Il signor Willer si
convertì all’islam e, in un delirio
allucinante di credi, miti, usanze,
portava ai due, tutti i giorni, petali di rosa e incenso. Buddha è
grande! - diceva, per confermare
la sua confusione mistica. La sua
rinsecchita consorte preparava
lasagne e spezzatino e, prima di
cenare, ne portava ai signori X
abbondanti porzioni; non si dimenticava mai di baciargli i piedi
prima di tornarsene in casa. La
signora Ivana non aveva smesso
di fare il saluto romano ma lo indirizzava ai due, erano diventati
la sua icona. Suor Sabrina si limitava a pregare in ginocchio. I signori X non la guardavano nemmeno quando la religiosa sussurrava “benedici queste povere
anime”.
Passarono parecchi anni. Dimitri
per stare in piedi aveva ormai bisogno del suo bastone da passeggio, gli amici del sindacato riposavano in pace, i signori X
erano ancora al loro posto.
Dimitri, una mattina, guardò
fuori, i due erano là, invecchiati
certo, ma in splendida forma. La
signora Ivana gli aveva appena
portato dei biscotti e il signor
Willer stava accendendo l’incenso. Dimitri sorrise. Stava per
mettere su un disco di Gilberto
Gil quando cadde fulminato dalla vecchiaia. Poche ore dopo, il
comune fece sapere, attraverso
due sbirri, che quella cosa, adesso che il mattatore era morto
stecchito, doveva finire. Quei
due dovevano andarsene, quel
santuario all’aria aperta doveva
essere smantellato e i gatti dell’oasi felina annegati nel fiume o
dati come cavie alla Facoltà di
Medicina.
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
Gli abitanti ascoltarono indifferenti.
Poi presero la bara di Dimitri e la trasportarono in giro per il quartiere fino
a che al tramonto non concessero di
seppellirlo nel cimitero comunale. Il
quartiere ormai era ingestibile, un delirio di mistici e gatti. Fu un furbo assessore che propose di dare la casa ai due,
nessuno avrebbe più potuto fare nulla,
fine delle mistiche esaltazioni estatiche,
dei miagolii, della puzza di latte rancido e di cibo andato a male. L’assessore, accompagnato dai due soliti sbirri,
si presentò una mattina di sole davanti
ai signori X.
- Questa casa è vostra - disse, mentre
un gatto gli pisciava sui pantaloni.
I signori X si alzarono.
- Ma perché proprio questa? - chiese
l’assessore incuriosito.
I signori X all’unisono allargarono le
braccia e poi indicarono il cielo, dimora di qualche sconosciuta divinità.
Quando gli abitanti del quartiere si accorsero che i due avevano preso possesso della casa, caddero nello sconforto più nero. In un delirio collettivo intitolarono la casa Tempio Popolare Dimitri, accesero incenso e zampironi, cosparsero di latte le pareti interne, depositarono i signori X al centro di una
grande stanza con i muri aggrediti dalla
muffa, dalle ragnatele, dalla polvere
grigia.
Era giunta voce che in città altri senzatetto si erano messi davanti alle case. Il
club dei coinquilini si mise in marcia e
si unì all’esercito di cittadini in cerca
dei propri santuari. Gente normale deponeva davanti a coppie di sconosciuti
rose, incensi, giocattoli, mutandine. Si
creò una completa esaltazione mistica.
Il folle carnevale degli invasati durò
nove giorni e otto notti. Si concluse
davanti alla tomba di Dimitri. Migliaia
di persone deposero fiori. Un’orchestrina di profughi cileni intonò un requiem disperato.
Intanto, in città, sui gradini delle case,
non c’era più nessuno.
Dietro al vetro di una finestra, nasco-
sto dalla penombra, un uomo che
assomigliava vagamente a Tolstoj
osservava la strada deserta. Lontano,
verso il cimitero, provenivano canzoni e pianti. Invocavano Dimitri, il
ballerino di samba, stroncato inesorabilmente a metà dell’opera.
L’AUTORE
43
COME INVIARCI UN
RACCONTO
Manda un elaborato
di massimo 5 cartelle
(30 righe per 60 battute),
completo di dati anagrafici,
breve nota biografica e
autorizzazione alla
pubblicazione a:
[email protected]
Nato a Ferrara il 20/12/1974, si è
laureato in DAMS Cinema. Attualmente laureando in Storia ContemIl comitato di lettura, il cui
poranea, lavora come maschera in
giudizio è insindacabile,
un cinema. Ha vissuto a Londra, Padeciderà sull’inserimento o
rigi, Hurghada; ha viaggiato in Vietmeno dello stesso in uno
nam, Laos, Nord Africa, Kurdistan.
dei numeri della rivista, e ti
Ha pubblicato il racconto La nonna
informerà
solo se il tuo racconto
cocalera dei desperados nell’antologia
sarà stato accettato.
Natale che palle (Leconte Editore, 2004);
ha vinto il concorso Nuova Poesia ItaIl tema di ogni racconto
liana edizione 1998 indetto dal quotidiano La Repubblica e dall’editore
al momento è libero, ma non
LIE di Ragusa con il libro in versi
si escludono cambiamenti
Lo scarafaggio sul comodino blu. Sono
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uscite recensioni di suoi racconti su
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Storie, Enzimi, Il vascello di carta; ha tenervi aggiornati tramite il noscritto tre romanzi attualmente inestro Forum all’indirizzo web:
diti. Collabora al sito Viaggiatori-on- emergente.mastertopforum.com
line per cui ha scritto il reportage
Quang Ngai corredato dalle fotograPer qualsiasi informazione
fie di Tommy Graziani. Ha pubblinon esitare a contattarci.
cato l’e book Il sole sorge sul Vietnam
insieme a Tommy Graziani per la
La Redazione
Kult Virtual Press (il libro è stato recensito su La Repubblica da FranceGIULIO MARCHETTI
sca Mazzucato) e il racconto Eskimo
Blu Day in Spazio Autori, il contenitore virtuale di Stampa Alternativa. E’
in via di pubblicazione l’e-book Le
bestie presso Edizioni La Tela Nera e
WoL Editore. Attualmente vive a
Ferrara insieme alla sua musa e alla
Una favola
sua collezione completa dei testi di
filosofica.
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L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
44
PELLICOLE
Io non ho paura
Può essere una favola.
Nera però.
Ci sono i bambini e ci sono gli orchi e c’è un
qualcuno da salvare, ma non è una principessa; è
un bambino, biondo e del Nord. E comunque,
chi cerca di salvarlo non è un principe, ma un altro bambino, scuro, del Sud. Per un grande ciò
che salta all’occhio sono le tante differenze: il colore dei capelli, della carnagione, degli occhi, la
parlata, il ceto sociale… Ma ciò che notano i
bambini è diverso da quello che colpisce i grandi.
Loro hanno tutti e due dieci anni e perciò tutti e
due fanno la quinta, sono uguali, come dice, sorridendo, il biondo, quello dentro al buco, quello da
salvare dagli orchi.
“Siamo uguali” come dice, sorridendo, il moro, il figlio
degli orchi.
Questa brevissima
scena mi ha commosso e mi è rimasta dentro più di
tante altre e, al di là di tutte le considerazioni su
ciò che intendeva dire il regista, so solo che mi ha
commosso e che è una scena perfetta, è così come “cosmicamente” il Dio del cinema aveva stabilito che dovesse essere fatta.
Il film inizia con una scena che è la stessa del bel
romanzo di Niccolò Ammaniti, la lunga corsa nei
campi di grano dorato. Altra scena perfetta girata
con la steadycam che sfiora le spighe di quel mare
biondo di grano con i bambini che si aprono una
strada correndo e lasciando scie nella distesa gial-
di MAURIZIO
ASCHIERI
la.
La musica di questo momento è potentissima,
coinvolgente e ossessionante di violini.
Tutto è guardato e registrato dal punto di vista
dei bambini, quindi anche le telecamere sono tenute a un’altezza
da “occhi di bambino”.
Qualcuno dei critici scrisse che
questo esaltare
tutti quei lucenti
campi di grano
era un ingentilire e appiattire la storia.
Io non sono d’accordo. Il fatto di rappresentare
tutta questa bellezza esteriore dei luoghi in cui si
svolge l’azione non fa che sottolineare l’orrore
intrinseco della storia.
Inoltre, i genitori dei bambini del piccolo paese
in cui il bambino viene tenuto prigioniero sono
essi stessi un Inganno. Mentre sono a casa, insieme ai loro figli, non sono altro che amorevoli
genitori, con le normali preoccupazioni dei
grandi per i propri bambini; poi, però, si scopre
che sono anche gli stessi schifosi individui che
fanno da carcerieri al bambino nel buco. Di
nuovo un confronto stridente.
Io non ho paura parla dell’infanzia violata, dei difficili rapporti familiari, di lealtà e tradimento,
della cupidigia che non si ferma di fronte a
niente e nessuno.
Gabriele Salvatores ha firmato un bel film riuscendo anche a non stravolgere quanto si legge
nel bel romanzo di Ammaniti (che è anche co-
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
grafia a Italo Petriccion;
nastro d’argento 2003 per miglior
attore non protagonista Diego
Abatantuono;
David di Donatello 2004 per la
miglior fotografia a Italo Petriccione.
Fra le altre cose che colpiscono,
sceneggiatore e forse ciò ha aiuta- una è molto sottile ma persistento).
te: vi è un’atmosfera, uno “spirito
del luogo” che sono tipici di un
Gli interpreti sono tutti bravi e co- certo Stephen King; e questo, se
me si suol dire “tengono botta”. mai ve ne fosse bisogno, è un alPrimo fra tutti Giuseppe Cristiano tro pregio innegabile.
nella parte di Michele Amitrano, il
figlio degli orchi, colui che cerca di La storia si svolge nel 1978 e il
salvare il suo “uguale”, bravissimo film ricrea minuziosamente tutti i
nel rendere la parte con una intensi- più minimi particolari che rendatà e una naturalezza che non ci si no l’ambiente anni Settanta, dalla
potevano aspettare da un esordien- Fiat 127 alle canzoni di Mina e
te.
Ivan Graziani, dagli abiti indossaMa anche tutti gli altri sono merite- ti dai personaggi alle immagini di
voli: Mattia Di Pierro, che interpre- repertorio dei telegiornali.
ta Filippo, il ragazzino rapito con
perfetta e indifesa angelicità; Dino Di solito il cinema non racconta i
Abbrescia che interpreta il papà di bambini, ma li usa solo per far riMichele Amitrano, con i suoi slanci dere o piangere.
di ruvido buon padre verso il figlio Ma non è questo il caso; questo è
e la figlia e la sua seconda persona- un film “sui bambini”.
lità di carceriere/carnefice dolente e
impotente; Aitana Sanchez-Gijon, Di solito un regista, quando adatla mamma di Michele dalla bellezza ta un romanzo per lo schermo,
dolente e tormentata e comunque rischia di tradirlo troppo, snatucomplice del marito; Diego Abatan- randolo, oppure troppo poco, lituono che fa il capo banda scalcina- mitandosi a un piatto riassuntino
to di una banda di rapitori scalcinati descrittivo.
e disperati, ma che comunque è ca- Salvatores in Io non ho paura riesce
rogna che più carogna non si può.
nel difficile miracolo di equilibrio
che tutti i registi cercano, traduce
Questo film ha vinto, per quello in immagini il bel romanzo di
che può valere, anche dei premi, Ammaniti senza tradirlo e lo fa
parecchi e prestigiosi, tra cui:
diventare puro cinema.
nastro d’argento 2003 per la regia a
Gabriele Salvatores;
nastro d’argento 2003 per la foto-
45
OLTRE
L’animazione
di FULVIO
GATTI
Con Madagascar in sala, continua
inarrestabile la produzione di
lungometraggi in animazione
3D, ormai sinonimo di divertimento al di là dell’età anagrafica
e successo assicurato sul versante economico. I film animati,
con l’affermazione del megacolosso Disney, erano andati via
via ritirandosi in una nicchia destinata ai soli bambini. Poi, il
boom dei film 3D, nato con Toy
Story dalla Pixar, ha scardinato
tutte le barriere precedenti.
Complice l’attuale ristagno del
cinema a stelle e strisce, è naturale che il filone sia andato via
via affollandosi, ma le difficoltà
tecniche nella realizzazione fanno sì che siano solo due giganti a
sfidarsi, con un piccolo outsider
che non ha però saputo ripetere
il brillante exploit. Mi riferisco
rispettivamente alla già citata
Pixar, alla concorrente
Dreamworks, e a Chris Wedge,
suo quel piccolo gioiello naif di
L'era glaciale. Ma qual è il segreto
di questi film 3D? Essenzialmente quello di aver occupato
un settore, quello del cinema di
genere, meglio ancora se blockbuster, le cui attuali pellicole hanno
perso diverso prestigio nei confronti del pubblico, affogate tra
effetti speciali, riciclo di idee e
smania di piacere (sintomatico è
che la Dreamworks sia quasi in
fallimento per il flop di The
Island, aggrappandosi agli introiti
di Madagascar). Capostipite dei
46
blockbuster moderni è il primo Guerre
Stellari, che seppe miscelare con ammirevole abilità azione, spettacolarità e
cura dei personaggi, ricombinati a partire da stereotipi (gli archetipi) antichi
come il tempo. Questo tipo di pellicole
fa uso abbondante di apparenti luoghi
comuni: c’è sempre un eroe giovane,
un maestro, un avversario, delle prove
da superare affinché l’eroe acquisti la
piena maturità. La difficoltà nell’applicare questi elementi sta nell’allontanarli
il più possibile dalla forma più semplice: non c’è niente di più insopportabile, in un film, di un personaggio stereotipato, di cui sappiamo già il destino alla prima apparizione. I personaggi
umani, e gli umani disegnati di casa
Disney, hanno un difetto, ogni volta
che si usa un archetipo: richiedono una
vasta caratterizzazione, al di là degli
elementi di archetipici. Naturale, non
appena a un eroe diamo il volto di
Mark Hamill, Will Smith o Tom Cruise, il suo personaggio diviene persona,
e deve essere credibile in quanto tale.
Ma se il nostro eroe è una formica, un
orco verde,
un pesce
pagliaccio?
Non abbiamo bisogno di una
profonda
caratterizzazione per
gli animali,
per quanto
antropomorfi siano; addirittura accettiamo stereotipi (lo stupido, il
cattivo, l’ingenuo) che se applicati a
persone rifiuteremmo. Proprio da qui
nasce il punto forte dei lungometraggi
3D: personaggi animati divengono
protagonisti di avventure in senso classico (quasi sempre viaggi di ricerca), da
cinema blockbuster, e ogni piccolo dettaglio di caratterizzazione è un plusvalore eccellente, che attribuisce spessore e
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
vitalità all’intera pellicola. Pensiamo
a Shrek, l’orco verde protagonista
del film omonimo e del suo sequel,
che nel suo essere un personaggio
burbero e
asociale ribalta gli stereotipi
ormai troppo melensi
di
c as a
Disney, affermando
nel contempo un importante
messaggio
sulla tolleranza. Ma il singolo eroe in
un viaggio di maturazione non è più
sufficiente a sostenere un lungometraggio, a meno di un’attenzione
millimetrica ai dettagli: la Pixar ci è
riuscita con A bug's life e In cerca di
Nemo, ma in tempi recentissimi il
gruppo guidato da Chris Wedge ha
fallito, proponendo quell’accozzaglia
di banalità che è Robots, a oggi il peggior film 3D in assoluto. La ricerca
già in partenza di nuove strade ha
fatto attingere a quello che in gergo
si chiama “buddy-buddy movie”,
film con protagonisti due uomini e
incentrato sull’amicizia tra i due,
ognuno a suo modo eroe del proprio viaggio. Non suona strano ritrovare coppie di personaggi quasi
sovrapponibili come Shrek e Ciuchino, il mammuth e il bradipo di L'era
glaciale, i due mostri, l’uno grosso e
silenzioso, l’altro piccolo e ciarliero,
di Monster&Co. Anche qui si cerca di
sfondare il sistema duplice già nella
sua genesi (vedi la tigre dai denti a
sciabola nel film di Wedge, terzo
protagonista e cattivo in redenzione), ma le analogie forti non possono essere ignorate. I lungometraggi
animati basano la propria varietà
nell’inserire una struttura analoga in
un differente universo narrativo: siamo partiti dai giocattoli di Toy Story,
per passare al mondo degli insetti, dei pesci, dei mostri sotto il
letto, delle fiabe. Ma nulla è infinito, e i film più recenti, ritrovando l’affollamento (Shark Tale
della Dreamworks ritorna sul
fondo del mare dove la Pixar
aveva già ambientato Nemo) cercano nuove vie. Delle ultime
quattro produzio
ni precedenti a Madagascar, abbiamo già visto come le meno
riuscite siano quelle che non
sanno rinnovarsi con abbastanza
forza: il pessimo Shrek 2, che pur
essendo buono su molti fronti,
soffre della carenza cronica di
idee. Più interessanti sono invece le ultime uscite dei due colossi rivali, The Incredibles per la
Pixar, Shark Tale per la
Dreamworks. Il primo rischia
con personaggi umani, per quanto straordinari, e la caratterizzazione psicologica; avvicinandosi
così tanto alle persone, rischia di
non avere più nulla di
“incredibile”. Il secondo gioca
invece una carta del tutto inedita
nell’animazione, introducendo il
divismo vero e proprio: se prima
il nome celebre era solo nella
voce dei personaggi, ora i pesci
protagonisti si conformano ai
volti famosi che prestano loro la
voce, da Will Smith ad Angelina
Jolie. Inedito anche è il genere,
che da avventura di viaggio diviene una commedia sociale sullo scontro tra due gruppi umani,
gli squali-prepotenti e i pescioppressi. Viene da chiedersi con
curiosità quali saranno i prossimi
passi avanti, e se davvero i lungometraggi 3D sapranno ancora
superare se stessi. Oppure se resteranno ancorati alla medesima
struttura, sterili ripetizioni dello
stesso film come i sequel a cui
ormai siamo tanto abituati.
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
47
RECENSIONI
Cose preziose
di Stephen King
Sperling Paperback
Romanzo – 1991
768 pagine
€ 10,50
Hai scaricato il terzo numero de L’emergente sgomita e
ti ha folgorato la recensione di On Writing. Sei subito
andato a comprarlo, o magari te lo sei fatto prestare,
a ogni modo… L’hai divorato. Non riuscivi a smettere e quando hai superato la parola fine ti sei reso conto di voler leggere qualcos’altro di Stephen King.
Sei corso in libreria, o in biblioteca, e lì qualcuno ti ha
indicato lo scaffale dedicato al Re del brivido. L’hai
raggiunto con il fiato corto e il cuore in gola, ma poi
cosa è successo? Ti sei lasciato sopraffare dall’enorme
quantità di libri che ti si è parata di fronte, e quella
sorta di folle desiderio che ti aveva portato fin li è
scemato.
Da dove comincio?
E se inizio dal libro sbagliato e rovino tutto?
Come faccio a scegliere?
Sono tutte domande lecite da porsi. Non ti preoccupare.
Potresti procedere in ordine cronologico e partire,
quindi, da Carrie, ma poi saresti così tenace da arrivare fino ai grandi capolavori?
Oppure potresti chiudere gli occhi e lasciare ogni responsabilità al caso, ma ti potrebbe capitare il volume
due di qualche saga. Il rischio sarebbe notevole.
L’indecisione ti ha assillato e alla fine sei giunto a una
delle conclusioni più logiche:
Aspetto… ché magari sul prossimo numero de
“L’emergente sgomita” troverò qualche consiglio utile.
Ed ecco che viene esaudito il tuo desiderio. Cose preziose è il libro che eri obbligato a scegliere. Avresti dovuto prenderlo dallo scaffale e stringerlo al petto come Gollum con il suo “tesssoro”.
Perché? Continua a leggere e lo saprai.
a cura
della REDAZIONE
“Sei già stato qui.”
Una sorta di narratore-cicerone ti accoglie non
appena incominci la lettura, dandoti il benvenuto
nella cittadina di Castel Rock, stato del Maine.
“Sì che ci sei già stato. Sicuro. Io non dimentico mai una
faccia.
Vieni, vieni, qua la mano! Ti dirò, guarda, ti ho riconosciuto da come camminavi prima ancora di vederti in faccia. Non avresti potuto scegliere un giorno migliore per tornare a Castel Rock. Non è un bijou? […] Adesso è ottobre, e alla Rocca ce lo teniamo buono, l’ottobre, che resti
pure quanto vuole.”
Ma per quale motivo se lì?
Perché “in provincia, l’apertura di un negozio nuovo fa
notizia”, soprattutto se il proprietario ha scelto un
nome singolare come Cose preziose.
E’ la vigilia dell’inaugurazione, nessuno conosce
il nuovo venuto, né tanto meno la merce che ben
presto si appresterà a vendere, ma tutti sono incuriositi dall’aura di mistero che circonda le vetrine offuscate e l’elegante tenda verde che sovrasta
l’ingresso di quella che una volta era la Western
Maine, agenzia immobiliare e assicurativa.
Ora immagina che il forestiero in questione, tipo
strano e viscido con mani gelide e sguardo seducente, sia il più abile venditore a memoria d’uomo, e che, nel suo negozio, possieda “quell’unica
cosa al mondo, quell’unica cosa inutile e senza valore, che
diventa immensamente preziosa solo per il desiderio incontenibile che hai di possederla”.
Quale immenso potere avrebbe sulla gente?
E se poi fosse disposto a vendere gli oggetti tanto
agognati a cifre irrisorie in cambio di piccoli
scherzi innocui da fare a persone sconosciute?
Chi potrebbe rifiutare?
Attraverso oltre settecento pagine Stephen King
è riuscito a creare una storia perfetta, dove le vite
dei cittadini di Castel Rock s’intrecciano in una
trama imbastita in modo accurato e mai noioso.
Non si parla di vampiri, licantropi o non morti. Il
male che si diffonderà tra le strade della Rocca
avrà i connotati dell’invidia e della cupidigia, e il
misterioso commerciante (spacciatore?) quelli
dell’abile stratega (burattinaio?).
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
48
Se non avete dimestichezza con lo stile dell’autore
americano, imparerete a distinguere i tratti caratteristici del suo modo di scrivere, diretto e privo di fronzoli, e magari sarete anche nauseati dalla nitidezza che
dona alle sue amate scene cruente.
“Dovette tirare con entrambe le mani e quando finalmente riuscì a disincagliare la lama dall’osso, dallo
squarcio insanguinato che aveva nel vestito traboccò
un gomitolo di viscidi intestini che le rimase appeso
davanti alla pancia come un sacchetto luccicante”
Tuttavia non commettete l’errore di considerarlo solo
uno scribacchino trash. In più di un’intervista lui si
descrive come un abile narratore di storie, ma la sua
vera arte è quella di descrivere la realtà senza filtro alcuno. Durante la lettura state inoltre attenti al modo
in cui usa il “e quella fu l’ultima volta che lo vide”, una trovata letteraria che è divenuta uno dei suoi marchi di
fabbrica.
In conclusione, il maestro incontrastato dell’horror
ha creato un romanzo avvincente e, attraverso la sua
consueta maestria di narratore, gli ha infuso un ritmo
incalzante, a tratti ipnotico, che t’incatena sull’ottovolante del brivido costringendoti a raggiungere la fine
della giostra.
Probabilmente uno dei migliori libri di King, da leggere nonostante il rischio di notti insonni. –
Filippo Skindrak
Latte di serpe
di Laura Onofri
I Delfini – Delos Books
Romanzo – 2004
129 pagine – € 10,99
In vendita solo su
www.delosstore.it
Negli ultimi tre giorni ho mangiato solo cipolla! Scusami se mi
sono permesso di scrivere questa cosa. Ma è andata davvero
così. Ti abbraccio: è un racconto-romanzo-storia bellissima!
Sì, cipolla! Mi riferisco all’impressione che ha suscitato in me la lettura di Latte di serpe di Laura Onofri.
Una lettura iniziata quasi per caso e che da principio
mi ha fatto pensare di essere alla presenza di un romanzo “pulizia-di -camino” (come si definiscono in
psicoterapia i racconti dei propri vissuti più reconditi,
fatti con solo intento di sfogarsi e basta). Invece, la
trama in un primo tempo lineare, pur se a tinte
fosche e crude, dopo un po’ mi ha “preso” a tal
punto che non ho potuto fare a meno di non andare avanti a tappe forzate. Sì, proprio come
quando mangio cipolla! Mi lascio prendere dal
gusto forte e deciso, a volte fastidioso, ma non
posso fare a meno di finirla tutta. Peggio per chi
accetta di baciarmi dopo! E io ho dovuto, come
per la cipolla, finire questo romanzo tutto e subito, preso dal sapore del sesso, dallo scoprirsi attraverso di esso e dal vedere la vita attraverso la
sua lente, senza bugie e ipocrisie. Ma si badi bene, non è un romanzo “sessuale”. E’ un romanzo che si può leggere a livelli estremamente differenti e per contenuto e per profondità. E’ un
andare dentro e scavare e scoprire i moti dell’anima, guardandoli con una tale chiarezza che
rasenta la crudeltà. Non è un romanzo per tutti!
E’ un romanzo per coraggiosi, com’è coraggiosa
chi lo ha scritto. Sì, perché Latte di serpe è anche
un viaggio, un viaggio per strade impervie e pericolose, che si snoda e si sviluppa in strati concentrici. Come, appunto, dicevo prima: una cipolla i cui strati sono via via più interni, e quindi
sempre meno condivisibili e visibili agli altri; ma
più si va giù nel contenuto e più si muovonosmuovono corde personalissime, segrete e dotate
di odori via via sempre più pungenti. Per tre
giorni mi sono nutrito solo di questa “cipolla”.
Per tre giorni non sono riuscito a pensare ad altro. Fino a che ho creduto di avere assaggiato
tutti i pezzi del puzzle che compone questo quadro apparentemente semplice, ma in realtà tanto
complesso da fare sospettare una struttura nascosta dotata di coordinate precisissime. Ci ho
pensato, quasi ininterrottamente per tre giorni,
non riuscendo a occuparmi di altro. Laura Onofri, mi devi tre giorni di lavoro. Ma io molto,
molto di più. L’ho detto già, dovevo finirlo, non
riuscivo a pensare ad altro, dovevo correre a leggerlo. Poche volte mi succede questo (sai, le cose
della vita assorbono sempre!). Col tuo Latte di
Serpe è accaduto, è stata quasi un’ossessione. Mi
ha cambiato in qualche cosa, non so precisamente in cosa, ma mi ha cambiato. Mi hai fatto un
bel regalo. – Bruno Pica
I VOSTRI EDITI
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L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
La biblioteca dell’alchimista
di Jon Fasmab
Rizzoli Editore
Romanzo – 2005
448 pagine – € 18,00
In tutte le librerie, o nei reparti dedicati dei grandi
supermercati, potete trovare una sezione per le
“novità”. Spesso è solo una catasta di libri che sono
stati pubblicati negli ultimi sette od otto mesi e,
quindi, per un lettore accanito, tutt’altro che ultime
uscite; tuttavia qualche volta contengono effettivamente dei libri freschi di stampa.
Ora, immaginate di entrare nella vostra libreria preferita. Visto che ormai non siamo più nel periodo
caldo dell’anno, probabilmente sarete accolti dal fresco. Confortante, vero?
Se vi concentrate potreste addirittura sentire l’odore
della carta che aleggia per il negozio. Sia che seguiate
i cartelli, sia che conosciate il percorso a memoria,
presto v’imbattete nella famigerata classifica settimanale delle vendite.
Se osservate con attenzione, tra i libri di Dan Brown
e quelli dei comici di Zelig, troverete La biblioteca dell’Alchimista di Jon Fasman. Non conoscete né il libro
né l’autore e non avete voglia di spendere diciotto
euro per un libro che “forse” vi piacerà. Per quella
cifra volete essere certi della vostra soddisfazione
futura, ma in questo modo come fa un autore emergente a finire sugli scaffali di casa vostra?
“Cara H,
pensavo che ormai fossi morta. Di sicuro non mi sarei mai
aspettato di ricevere ancora tue notizie. E forse non le ho ricevute: la calligrafia sembra familiare, ma la contraffazione figura probabilmente tra i crimini meno gravi dei tuoi nuovi
amici. Ti concederò tuttavia il beneficio del dubbio. Un’ipotesi
infondata mi pare il modo migliore per renderti omaggio.
Allego quanto mi hai chiesto: <<Un resoconto esauriente e
obbiettivo dei giorni passati insieme>>.”
Quello che scrive questa lettera è Paul Tomm, cronista alle prime armi del Carrier, piccolo giornale di
Lincoln, stato del Connecticut. La quantità di domande che questo breve prologo suscita nel lettore è
uguale, in numero, a quelle presenti sul taccuino del
giovane giornalista dopo essersi imbattuto nella
49
morte del suo concittadino Jaan Puhapaev, professore ordinario di storia baltica al vicino Wickenden College. Un uomo d’età indefinibile, riservato, paranoico e completamente solo. Non si
conosce nulla del suo passato e troppo poco dei
suoi ultimi giorni di vita.
E cosa c’entra tutto questo con la storia di quindici misteriosi oggetti d’antichità, collegati in
qualche maniera alla leggendaria scienza alchimistica?
In un’alternanza regolare tra passato e presente,
Jon Fasman racconta con abilità, ma soprattutto
con astuzia, una vicenda lineare rendendola incerta e avvincente.
L’uso della prima persona per lo svolgersi del resoconto risulta brillante e scorrevole. Il protagonista è verosimile e, soprattutto, comune. L’immedesimazione del lettore è immediata.
Le parti riguardanti i misteriosi oggetti sono
scritte in maniera diversa (alcuni sotto forma di
lettera, altri in terza persona), ma attraverso l’introduzione di note sempre presenti come “luogo
di provenienza”, “data di fabbricazione” o
“costruttore” sembrano appunti presi da un ricercatore entusiasta, coinvolgenti al punto di
creare l’illusione della partecipazione a uno studio appassionante.
Grazie a quest’insolita tecnica narrativa, Jon Fasman nasconde la storia in una spessa coltre di
nebbia, in cui il lettore perde immediatamente
l’orientamento. Immerso nel mistero non potrà
fare a meno di procedere nella lettura, riuscendo,
proprio nell’ultima pagina, a distinguere quei
particolari che lacereranno il velo enigmatico
con cui l’autore ha reso unico questo romanzo.
In un campo coltivato con semi tratti da una sola
pianta, La biblioteca dell’alchimista è un germoglio sfuggito al controllo del contadino, un
esempio d’originalità che ogni lettore dovrebbe
apprezzare. – Filippo Skindrak
Barbara
Giambartolomei
La casa
dell’ospite
In vendita su
www.ibs.it
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
50
Tua, con tutto il corpo
AA. VV.
a cura di Francesca Mazzuccato
Lietocolle Edizioni – Storie
Antologia di racconti – 2005
112 pagine – € 13,00
Undici giovani scrittrici per undici racconti che
mozzano il fiato. Ogni prova letteraria presenta un
imprevisto che sconvolge la lettrice o il lettore. Una
invenzione creativa che gela il sangue. Elisabetta
Pendola, Eliselle, Tiziana Cerquetti, Angela Buccella, Alina Rizzi, Manila Benedetto, Monica Maggi,
Laura Guglielmi, Daniela Gambino, Rosanna Figna
e Deborah Rim Moiso hanno un talento che nella
maggior parte dei casi sconvolge. La curatrice della
pubblicazione, poi, l’attentissima Francesca Mazzuccato, ha il potere di presentare le opere e le autrici in
maniera raffinata. Concentrando la sua introduzione
sull’idea che ha fatto nascere il volume e le caratteristiche migliori delle scrittrici ospitate all’interno.
L’antologia dei testi fa parte della collezione eros di
LietoColle ed è contenuta nella collana Il Delta di
Venere.
Al centro di tutti i racconti brevi vi è la donna; e le
scrittrici sono in grado di parlare del loro genere
senza produrre noia o aggrapparsi ai luoghi comuni.
Così, semplicemente, nascono le narrazioni di autrici che incantano. Fra i racconti spiccano quelli di
Daniela Gambino, Monica Maggi, Manila Benedetto, Angela Buccella. Molte delle abili voci provengono dal mondo del giornalismo e hanno a che fare,
chi in un modo e chi in un altro, con il mondo di
Internet. E la prosa non nasconde queste peculiarità.
La Mazzuccato parte da Gina Pane e Margherite
Duras per chiare qual’è la visione dell’erotismo sulla
quale si poggia il libro; poi continua più esplicita.:
“Immagini corpi. Corpi accompagnati ad altri, avvinghiati
ad altri. Corpi feticcio, corpi in piano sequenza. Il senso dell’arte e della scrittura erotica si definisce a partire dal corpo.
Il corpo è l’inquadratura su cui puntare diverse diottrie.” Infine specifica: “Il libro nasce con il preciso desiderio dell’editore di dare spazio a un erotismo che rappresenti il contemporaneo e i lati oscuri del cuore, come diceva Anais Nin,
nella maniera più raffinata e precisa. Nasce dalla volontà di
trovare un modo sinfonico per raccontare come è facile sguscia-
re fuori da questa vita che viviamo e diventare sabbia calda che scivola fra le mani.”
Sin dai primi sorsi che si possono far cadere dolcemente in gola, l’opera offre grandi dosi di sensualità. Già dalle righe di Francesca Mazzuccato
è difficile distogliere l’attenzione.
Molti si potranno ritrovane negli spazi modellati
e vissuti dalle scrittrici. Forse non c’è bisogno,
per forza, di essere donna per ricevere i doni di
questo omaggio letterario; i signori maschietti
dovrebbero provare a leggere Reginald guarda le
stelle della Gambino o Incorretto della Pendola, per
capire meglio come le donne percepiscono loro
stesse e, ancora meglio, come percepiscono gli
uomini. In copertina campeggia un quadro di
Modigliani estremamente eloquente. Che dice,
anch’esso, dell’opera antologica. – Nunzio Festa
Cobain.
Più pesante del cielo
di Charles R. Cross
Arcana Libri
391 pagine – € 18,00
L’8 aprile 1994 una tragica notizia sconvolse il
mondo della musica e dello spettacolo. Kurt Cobain, leader dei Nirvana, si era tolto la vita sparandosi alla testa con un fucile Remington. L’annuncio rimbalzò da un notiziario all’altro provocando un’eco disperata che aleggiò per giorni su
tutto il Pianeta. Radio e televisioni trasmisero
“non stop” interviste, apparizioni pubbliche e
canzoni. Tutti vennero a conoscenza del triste
evento.
Quando la tempesta mediatica si placò, la storia
divenne mito e il suo viso un simbolo per magliette, poster e quaderni. I media e gli oscuri signori del merchandising si gettarono sulla carcassa ancora calda come avvoltoi famelici.
Ascoltare i Nirvana divenne di moda.
“Fare l’alternativo” era la maniera omologata per
diventare popolare pur distinguendosi dalle persone “commerciali”. Adolescenti ancora senza
un pelo in faccia iniziarono ad adorare Kurt Cobain con la stessa intensità con cui i loro genitori
lo odiarono per il cattivo esempio che aveva dato.
L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
Poi il periodo del “grunge” finì, la moda cambiò direzione e gli unici che continuarono ad ascoltare i suoi
CD furono quelli che, ancora oggi, hanno bisogno
di sentire la sua musica per purificarsi le orecchie dai
rumorosi tormentoni da classifica.
Sono passati undici anni da quella dolorosa vicenda,
ma quanti conoscono la vera storia del carismatico
frontman dei Nirvana? Chi può affermare di conoscere la sua vita depurata dai fronzoli romanzati che,
molto spesso, lui stesso aveva contribuito a divulgare?
Scrivendo Cobain. Più pesante del cielo, Charles R.
Cross, giornalista nonché scrittore, si è assunto il
compito di colmare questa lacuna, narrando la normalità costretta e sofferta che ha caratterizzato la
breve vita del cantante.
“La prima volta che ha visto il cielo è stato esattamente sei
ore è cinquantasette minuti dopo che un’intera generazione si
è innamorata di lui.”
Era la notte del 12 gennaio 1992. I Nirvana si erano
esibiti per la prima volta al Saturday Night Live. Il
loro secondo album, Nevermind, stava scalando le
classifiche e Smells Like Teen Spirit era il pezzo più
ascoltato del 1991. Quella sera tutto era andato per
il meglio, ma all’alba la sua compagna, Courtney Love, lo trovò riverso sul pavimento in overdose da
eroina.
“Nel giro di una sola giornata Kurt era nato per il pubblico,
era morto nell’intimità delle sue tenebre ed era risorto grazie
all’amore (Love).”
Dopo questo breve prologo inizia la narrazione cronologica a partire dal 12 febbraio 1967, giorno in cui
il cantante vide la luce nell’ospedale di Aberdeen,
stato di Washington. Attraversando l’infanzia e la
difficile adolescenza, assistiamo all’incontro con il
bassista Krist Novoselic e al loro primo concerto
nel marzo del 1987 in una casa privata a Raymond,
piccolo paese a mezz’ora dalla città natia. Quella fu
un’esibizione tutt’altro che memorabile, ma “gli aveva
offerto un piccolo assaggio di una cosa che bramava più di
qualsiasi altra: il narcotico dell’attenzione”; e soprattutto
fu l’inizio della parabola ascendete dei Nirvana in
cui dovettero lottare contro pregiudizi etici, in quanto il punk, “nonostante fosse etichettato come musica liberatoria, aveva stilemi e usanze sociali, spesso più rigidi delle
convenzioni contro cui in teoria si ribellava”, e i continui
problemi di alcool e droga di Cobain stesso.
Grazie a interviste e racconti inediti di situazioni avvenute lontano dallo sguardo delle telecamere, Cross
ci racconta dell’incredibile e inaspettato successo
che li fece osannare dal pubblico, ma che deteriorò i
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rapporti tra i membri della band, tanto che Novoselic afferma: “Non eravamo più la stessa vecchia
band. Kurt si richiuse in se stesso. C’erano tante implicazioni personali. Era tutto più complicato. Era più di
quello che avevamo chiesto.”
Come è consueto ogni salita è seguita da una discesa e questa storia non fa eccezione.
Mantenendosi distaccato, grazie a una solida e
asettica impalcatura di oggettività, Cross trascina
il lettore nel baratro che accolse Cobain, un abisso profondo, scavato da problemi di tossicodipendenza e depressione, nonché da incomprensioni e aspri litigi.
Con descrizioni reali e, per questo, cruente, che
sconvolgono e stordiscono, si giunge all’ultimo
tragico giorno, nella serra della sua casa di Seattle, dove la fatale pallottola uscì dal Remington
M-11 calibro 20 per finire la sua corsa nella testa
del cantante.
Cobain. Più pesante del cielo è una biografia accurata
che straccia l’icona patinata del mito per mostrare l’uomo nella sua imperfetta realtà. Charles R.
Cross non da giudizi, né cerca spiegazioni. Espone semplicemente i fatti così come è riuscito a ricostruire in quattro anni di interviste e ricerche.
Questo libro deve essere letto da quelli che amano i Nirvana, per ridare dimensione umana al loro mito; da coloro che li censurano sotto ogni
aspetto, per comprendere le mille facce di una
verità; e, soprattutto, da coloro che non hanno
mai sentito parlare di Kurt Cobain, per conoscere la tragica storia di un uomo che in soli ventisette anni di vita ha cambiato per sempre il panorama musicale, diventando immortale. –
Filippo Skindrak
Il portone
sulla piazza
Un romanzo
di Maddalena
Mongiò
In vendita su www.ibs.it
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L’EMERGENTE SGOMITA NUMERO QUATTRO – ANNO 2
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Pasquale Giannino, Bruno Pica
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