Piante velenose: impariamo a conoscerle. Di Luca Bettosini Tutte le cose sono veleno e nulla è senza veleno; solo la dose ne determina la velenosità. Teofrast Bombast von Hohenheim detto Paracelso (1493-1541) Quale è stata la molla che mi ha spinto a realizzare questo articolo? A parte il fatto che amo le piante e i fiori e la mia professione comporta spesso il contatto con esse; il mio girovagare in tutto il Ticino mi ha permesso di farmi una certa idea su di loro e vi garantisco che c’è da preoccuparsi! Faccio un semplice esempio che può essere ampliato a tutto il resto del territorio cantonale. Nel mio semplice andirivieni da casa all’ufficio e per altri luoghi limitrofi ho scoperto che proprio sulla strada che porta alla mia redazione, passaggio anche per le persone e bambini, si trovano tre piante velenose e pericolose: Vincetoxicum hirundinaria (Vincetossico); Lonicera caprifolium (Caprifoglio comune) e Euonymus europaeus (Cappello di prete o Fusaggine), presentate in questo articolo. La Fusaggine l’ho trovata anche nei pressi del campo sportivo dove i bambini vanno a giocare. Nei pressi dell’asilo si trova un’imponente pianta chiamata Taxus baccata conosciuta anche come Albero della morte e già dal nome potete immaginare, visto il nome, gli effetti tossici di questa pianta! Nei pascoli accanto al bosco dove c’è una specie di percorso vita si trova in gran numero il Veratrum album (Veratro bianco), velenosissimo. Altre piante più o meno tossiche sono presenti un po’ ovunque. Queste semplice constatazione dimostra come sia molto facile, in tutto il Ticino, incontrare prima o poi una pianta velenosa che potrebbe causare dei problemi. Per non parlare poi delle piante velenose presenti nei nostri giardini, parchi e addirittura in casa propria. Le piante velenose che possono essere presenti nelle case saranno un argomento per un articolo futuro, intanto parliamo delle piante velenose presenti in natura e nei giardini. Ma è realmente un problema serio quello dell’intossicazione da parte di piante velenose? Il Corriere della sera di sabato 31 luglio 2010 intitolava così un articolo: “Piante velenose, boom di ricoveri”; Solo nell’ultimo anno il Centro Antiveleni Italiano ha ricevuto 800 richieste di consulenza per sospetta esposizione tossica a sostanze vegetali. Altre informazioni ci giungono dal Cnit: “Sono molte centinaia l’anno le intossicazioni da veleni presenti nelle piante solo in Italia, il dato proviene dal Centro nazionale di informazione tossicologica (Cnit) della Fondazione Maugeri di Pavia. Un paziente registrato dal Centro antiveleni di Pavia ha usato bulbi di Veratro al posto della Genziana per produrre una grappa casalinga rivelatasi tutt’altro che digestiva. Un amante delle verdure “fai-da-te” ha mangiato un aconito convinto di gustare un Asparago selvatico, ma l’epilogo è lo stesso: una corsa al Pronto soccorso e il Centro antiveleni che archivia l’episodio come intossicazione. Il 40% degli avvelenamenti registrati dal Centro nazionale di informazione tossicologica si concentra fra gli under 10, il 26% riguarda bimbi sotto l’anno. Il più delle volte la disavventura si conclude con il lieto fine. Le situazioni più gravi riguardano solitamente gli adulti, vittime nel 63% dei casi di imperdonabili scambi di vegetale”. (1) Non è facile definire il concetto sia di veleno che di pianta velenosa perché “lo stare male” genericamente a causa di certi principi attivi che le piante possiedono dipende da moltissimi fattori sia della pianta stessa che del soggetto che la ingerisce. In natura esistono piante molto velenose, mortali come l’Oleandro, l’Aconito, la Belladonna e altre pericolose come le digitali i sui estratti, in giuste dosi, vengono utilizzati in medicina. Ci sono poi altre piante che sono pericolose solo in soggetti allergici alle stesse. Ogni veleno presente in una pianta dipende poi da tanti altri fattori come il terreno, il clima, il periodo dell’anno in cui la si ingerisce. Ma non è finita qui, il problema è dato anche da tutte quelle variabili fisiche e fisiologiche personali delle potenziali vittime come l’età, lo stato di salute, la quantità di veleno ingerita eccetera. La miglior cura resta in ogni caso la prevenzione! Infatti la causa principale della maggior parte degli avvelenamenti è l’ignoranza. Nel senso che non si conoscono gli effetti tossici delle sostanze contenute in molte specie di vegetali. In questo articolo presentiamo diverse piante velenose che si possono trovare anche in Ticino, con alcune solamente coltivate nei giardini. L’importanza di conoscerle bene ci permette di evitare i rischi di avvelenamento soprattutto da parte dei bambini. Esistono ancora molte altre specie di piante considerate velenose in Ticino che possono nuocere, e vista l’importanza di avere una giusta conoscenza, di tanto in tanto, “Vivere la montagna” le presenterà in modo che possiate insegnare ai vostri figli, e anche a voi stessi, come evitarle. In questo articolo troverete anche una lista di altre piante pericolose che saranno poi, come detto, ripresentate in modo più ampio in futuro. L’importante è sapere che esistono e che sono pericolose, addirittura mortali e riconoscerle può fare la differenza tra la vita e la morte. “Nel mondo delle piante sono molte le bacche, le foglie e i fiori pericolosi se ingeriti o incautamente masticati. Il pericolo maggiore lo incontrano i bambini che, il piú delle volte, sono attirati dai colori vivaci delle bacche e dei fiori. Questa attrazione “fatale” li spinge poi a mettere in bocca qualcosa di molto velenoso con il rischio che il genitore non sappia poi quale sia la causa del suo malessere! Ma anche gli adulti corrono questo rischio, soprattutto i sedicenti esperti raccoglitori di erbe che, senza alcuna conoscenza, raccolgono erbe confondendole con altre simili che possono essere velenose. Quando pensiamo alle piante velenose il nostro pensiero va immediatamente a Socrate che nel 399 a.C. venne condannato a bere una mortale pozione di Cicuta, un potente veleno paralizzante estratto da un’ombrellifera (qui presentata). Come aveva affermato Paracelso 500 anni fa: in ogni cosa naturale c’è del veleno e spesso è la quantità che rende una cosa velenosa! Anche le patate, se mangiate con la buccia verde, possono essere tossiche. Lo stesso nome di “farmacia” deriva dal termine greco pharmakon che significa “veleno”! Nei secoli passati i veleni furono uno dei principali strumenti dei potenti nella lotta per il potere. Parecchi imperatori romani morirono avvelenati tra questi Vespasiano (9-79 d.C.), suo figlio Tito (38-81 d.C.) e il fratello di quest’ultimo, Domiziano (51-96 d.C.). Il XV e il XVI secolo in Europa sono stati veri paradisi per gli avvelenatori professionisti. Tre donne di quel periodo sono da considerarsi le principali avvelenatrici della storia: Lucrezia Borgia e i suoi veleni a base di Mandragora, Caterina de’ Medici che ha risolto numerosi problemi politici con veleno sciolto nelle bevande dei suoi avversari e la Marchesa di Montespan che durante il regno di Luigi XIV ha liberato numerosi nobili dalle loro scomode e opprimenti amanti. Tutto è veleno ma la maggior parte della gente ignora la pericolosità di molte piante. I casi di avvelenamenti per ignoranza, quindi per scarse conoscenze botaniche, sono frequenti e ogni anno mietono un certo numero di vittime. Alberi maestosi e appariscenti come il Tasso o il Maggiociondolo nascondono insidie pericolosissime, soprattutto per bambini e animali. La loro pericolosità non è altro che un meccanismo di difesa contro le aggressioni di insetti o animali, come lo sono anche le spine delle rose e i peli urticanti dell’ortica… Il grado di velenosità di una pianta varia da zona a zona. Anche tra le persone c’è chi con poco si avvelena e c’è anche chi sopporta facilmente una grande quantità di alcaloidi prima di subirne gli effetti. L’azione tossica è dettata da tantissimi fattori come il clima, l’umidità, il terreno, l’età, la stagione… In una zona molto umida, la tossicità di certe piante sarà molto bassa, mentre durante una stagione secca e senza piogge aumenterà di parecchio la concentrazione di veleni. Le sostanze tossiche contenute nelle piante, sono positive e curative se utilizzate correttamente”. (2) Cosa rende velenosa una pianta? Per pianta velenosa intendo quelle specie vegetali che in maniera più o meno grave, interferiscono in modo negativo con l’organismo vivente con cui vengono a contatto. Possono portare ad una semplice irritazione allergica come pure alla morte. In Ticino possiamo trovare una cinquantina circa di specie di piante considerate velenose per l’uomo e quindi il saperle riconoscere è rilevante! I principi velenosi presenti nelle piante tossiche sono costituiti principalmente da alcaloidi, glucosidi, resine, ossalati; essi possono accumularsi in tutta la pianta oppure solo in alcune sue parti, ad esempio nella linfa, nelle bacche oppure nel fogliame. La tossicità è variabile in base allo stadio di crescita della pianta, risultando generalmente più alta nella fase di maturità. Come detto ogni pianta contiene differenti principi attivi che hanno effetti molteplici e conoscerne alcuni è importante. Gli acidi organici come il malico, l’ossalico, il succinico eccetera hanno un effetto blandamente lassativo. Gli alcaloidi sono un gruppo di sostanze eterogene, formati da diverse composizioni chimiche e con diversi effetti fisiologici. Con il termine alcaloide si intende una sostanza organica azotata di origine vegetale e carattere basico, con proprietà medicamentose o tossiche in relazione al tipo e alla dose. La loro potenza arriva anche a una tossicità universale, e non c’è dubbio che qualsiasi alcaloide esercita un’azione stressante sul corpo. Uno dei punti più importanti è che gli alcaloidi non sono facilmente solubili in acqua ma lo sono in alcool. Dato che la maggior parte dei dati tradizionali sulle piante medicinali riguardano soluzioni acquose, è probabile che i dati su piante contenenti alcaloidi non riflettano la reale pericolosità dei moderni preparati alcolici. Si parla spesso di piante “amare” e si pensa erroneamente che tutto ciò che è amaro in natura faccia bene. Quando si parla di amari si intende un insieme di sostanze chimicamente tra loro molto diverse, che in comune hanno solo il gusto amaro che danno alle droghe in cui sono contenuti. La loro azione si svolge essenzialmente sull’apparato gastrico favorendo in generale l’aumento di appetito, migliorando la secrezione gastrica e quindi la digestione. Ci sono diversi tipi di droghe amare, tossiche e poco tossiche e dunque bisogna fare molta attenzione. I glicosidi sono ampiamente diffusi nel mondo vegetale, dove rappresentano fonti di immagazzinamento degli zuccheri. L’uomo si serve di tali composti utilizzandoli principalmente in campo farmacologico o come additivi alimentari. Alcuni glicosidi sono però tossici. Le saponine (o saponosidi) sono dei glicosidi terpenici di origine vegetale che prendono il nome dalla Saponaria officinalis, che veniva coltivata un tempo per il lavaggio della lana. Centinaia di piante contengono saponine, e quest’ultime possono essere così abbondanti da raggiungere anche il 30% del peso secco della pianta. In grandi dosi la saponina può provocare seri danni alla mucosa bronchiale e ai tubuli renali con deterioramenti a volte non facilmente curabili. Gli oli essenziali, molto conosciuti nelle erboristerie, sono miscugli di sostanze organiche molto diverse e si ottengono per distillazione in corrente di vapore o per estrazione con solventi volatili o per semplice pressione. In fitoterapia sono anche chiamati più comunemente “essenze”. Attenzione però, l’uso di queste “essenze” senza la supervisione di un medico può essere pericoloso. L’applicazione di oli essenziali puri sulla pelle può portare a infiammazioni e lesioni della cute e la loro ingestione (a seconda del tipo di olio e della quantità ingerita) è potenzialmente mortale! Bisogna, infatti, considerare che l’indice terapeutico degli oli essenziali, ovvero il rapporto tra la dose terapeutica e quella tossica, è molto basso e ciò significa che anche piccoli aumenti del dosaggio terapeutico possono produrre fenomeni tossici di varia gravità. Le resine sono miscele di acidi aromatici, oli essenziali, gomme, resinotannoli eccetera. Chimicamente sono prodotti derivanti dall’ossidazione degli oli essenziali, che nascono in particolari strutture vegetali. Nel nostro organismo svolgono azioni utili ad esempio: aperitive, digestive, balsamicche ed espettoranti ma sono anche molto pericolosi! I tannini sono prodotti vegetali che colorano di bruno-rossastro gli organi in cui sono contenuti. I tannini, somministrati sia per via topica che orale, hanno un effetto antibatterico e antifungino. Somministrati per via orale hanno un effetto antidiarroico. Somministrati per via topica hanno effetto vasocostrittore, sono usati nella rigenerazione dei tessuti affetti da piccole ferite e ustioni, ed infine sono usati nel trattamento della dermatite. Una loro altra importante caratteristica è quella di essere usati come antidoti negli avvelenamenti da alcaloidi e dei metalli pesanti. Ci sono molti altri principi attivi nelle piante ma in questo articolo è impossibile trattarli tutti, l’importante è sapere che ci sono ed agire di conseguenza cercando di conoscere meglio le piante di casa nostra. Alla fine il principio di Paracelso che dice: “Tutte le cose sono veleno e nulla è senza veleno; solo la dose ne determina la velenosità”, è pura verità. (3) I vari tipi di intossicazione da piante velenose Intossicazione per contatto “Piante che possono rivelarsi pericolose anche solo per contatto. Un’evenienza questa, possibile allo stesso modo, sia per il bambino che per l’adulto. Come vedremo più avanti, sono molte le piante che hanno parti tossiche, che se toccate, possono portare conseguenze anche piuttosto serie. L’intossicazione si presenta con irritazioni e bruciori oltre ad arrossamenti a livello locale. Niente di preoccupante, in questo caso. La situazione si può aggravare solo se le tossine vengono assorbite dall’intestino. In primo rimedio in ogni caso è quello di lavare la parte arrossata con acqua fresca e applicare una pomata antistaminica. Intossicazione per ingestione Sicuramente, è l’intossicazione più pericolosa e più seria. L’ingestione di foglie; di parti di piante, sicuramente è riconducibile ai bambini piccoli, che mettono tutto. I sintomi per intossicazione da ingestione possono essere diversi, solitamente si tratta di problemi gastrointestinali, e quindi nausea, vomito, diarrea e dolori addominali. Possono insorgere anche irritazioni come bruciore alla gola o arrossamento e rigonfiamento. Problemi più seri sono rappresentati dai disturbi a livello cardiaco come sbalzi di pressione o addirittura convulsioni. Alla comparsa di uno di questi sintomi, recarsi immediatamente al Centro Antiveleni o nel più vicino Pronto Soccorso. Il medico di turno vi dirà il da farsi. Nella maggior parte dei casi vi prescriverà la somministrazione di carbone attivo. Il carbone, in questa fase, frena l’assorbimento delle tossine. Se invece doveste percepire che la situazione è incontrollabile, chiamate immediatamente i soccorsi senza perdere tempo”. (4) Le erbe medicinali sono sempre sicure? Nel 1991 due escursionisti tedeschi scoprirono su un ghiacciaio delle Alpi altoatesine, un cadavere che si rivelò essere il famoso Uomo del Similaun (battezzato Ötzi). Ciò che ci interessa sapere è che quest’uomo aveva con sé una sacca contenente diverse cose tra cui dei grossi frammenti di un fungo chiamato Piptoporus betulinus; questo fungo si sviluppa in lamine sui tronchi degli alberi. La particolarità sta nel fatto che esso contiene l’acido agarico, un potente lassativo e una resina oleosa che risulta tossica per alcuni batteri e parassiti intestinali. La domanda è spontanea: a che cosa gli serviva portare con se questo fungo? Gli studiosi non sono riusciti a capirlo fino a quando, nel 1998, una piú approfondita autopsia dell’apparato digerente di Ötzi fece scoprire nel retto delle uova di un parassita intestinale chiamato Trichuris trichiura. La logica conclusione è che l’uomo di Ötzi era a conoscenza di essere affetto da questo parassita (il quale causa dolori addominali) e come cura sapeva di poter usare il fungo che aveva con sé; infatti le proprietà lassative e antiparassitarie gli donavano sicuramente un certo sollievo. Ebbene, questa scoperta recente costituisce uno dei piú antichi esempi documentati dell’utilizzo di qualcosa di vegetale a scopo medicinale! L’uomo di Ötzi, 3’300 anni prima di Cristo, sapeva della sua malattia e aveva trovato un adeguato e ragionevole rimedio erboristico come cura! (5) Questo ci insegna che i nostri antenati scoprirono le virtú di molte erbe curative soprattutto per via sperimentale, imparando a proprie spese, con l’esperienza diretta, che in natura esistono molte erbe che possono guarire e molte altre che sono invece velenose. Non sapremo mai però quante piante gli uomini del passato dovettero provare, cucinare, con l’esperienza diretta, causando sia guarigioni che morti dolorose, e infine scoprire gran parte delle erbe che oggi sono alla base della fitoterapia moderna. Basta ricordare la lunghissima tradizione erboristica cinese, indiana e greca. Fin qui tutto chiaro ma la domanda che potrebbe venire spontanea è questa: le erbe medicinali di oggi sono tutte sicure? Il fatto che in quasi tutto il mondo esistano dei preparati di origine naturale commercializzati liberamente (moltissimi dei quali senza bisogno di prescrizione medica) non significa che il loro utilizzo non possa provocare episodi di tossicità. La tossicità può essere causata dall’assunzione di dosi molto elevate di principi attivi, dallo stato di conservazione delle droghe e dal loro utilizzo e infine dall’uso di piante che sono state identificate in maniera errata. Bisogna ricordare che i dati tossicologici disponibili sulle piante medicinali sono ancora limitati, in contrasto esiste invece un alto numero di informazioni concernenti le erbe utilizzate in cosmetica e per uso culinario. Come diceva Paracelso, la differenza la fa la quantità di componenti della pianta che vengono utilizzati. Per fare un esempio, il comune Prezzemolo fa bene in piccole quantità, ma ingerendolo quotidianamente in una lunga dieta può diventare pericoloso a causa di un suo principio attivo chiamato apiolo! L’apiolo è velenoso per l’organismo. Assunto in basse quantità eccita le fibre uterine; in quantità elevate può causare aborti, paresi muscolari o ittero provocando in alcuni casi anche conseguenze ben piú gravi. Questo principio vale per tutte le erbe che sono usate come rimedi medicinali! Il consiglio che si può dare è che bisogna fare attenzione nel curarsi da soli con delle erbe che abbiamo solo sentito nominare o letto su qualche rivista, bisognerebbe sempre prima consultare il proprio medico in caso di cure che durano nel tempo, in modo da poter conoscere gli eventuali effetti collaterali di certi principi attivi che noi non conosciamo. Curarsi con le erbe è giusto, ma bisogna farlo con conoscenza e in perfetta sicurezza! Considerazioni Voglio fare una piccola considerazione per dare una linea da seguire a tutti. Sono ormai decenni che io leggo regolarmente tutto ciò che posso trovare su piante, fiori e natura in generale (in lingua italiana). La mia biblioteca dispone di centinaia di libri specializzati sulle piante e sui fiori oltre ad un’infinità di riviste. Non esce nulla sul mercato, in lingua italiana, che io non acquisto per informarmi, non sono un botanico ma un appassionato che si informa continuamente e che cerca di sapere il più possibile nel modo più corretto. La mia esperienza mi ha insegnato questo: il comune appassionato di erbe medicinali non deve mai commettere l’errore di acquistare il primo libro che trova su questo tema e fidarsi alla lettera dei suoi contenuti! In commercio esistono un’infinità di libri sui rimedi naturali, è la nuova moda curarsi in modo naturale, persone che hanno poco a che fare con la vera conoscenza sulle erbe si improvvisano scrittori e sedicenti esperti del settore per un solo scopo: vendere e guadagnare. Credetemi, li sfoglio tutto i libri che escono sulle erbe medicinali e sui rimedi naturali, posso dire una buona parte di essi sono solo presentazioni “leggere” sulle piante con poche e scarne informazioni presentate in modo incompleto e alle volte pericolosamente. Ogni mese nel mio giro delle edicole trovo giornali e riviste di ogni genere che in allegato, come omaggio, offrono libretti su come curarsi con le erbe medicinali, li compero tutti e li leggo perché mi piace farlo ma anche perché in questo modo mi vengo a trovare nella condizione di sapere cosa succede in questo specifico campo nel settore dell’editoria commerciale. Fate attenzione a questi libretti omaggio come pure a certe riviste mensili sulle erbe, non fidatevi troppo, la mancanza di una certa conoscenza, indispensabile in questo campo, è molte volte palese e pericolosa. Per fare un esempio ho letto un breve articolo su una di queste riviste che presentava una delle piante più mortali del pianeta, l’Aconito napello, come una pianta medicinale di grande effetto, senza citare minimamente la sua mortale pericolosità! Chi ha letto quell’articolo poteva pensare di curarsi con l’Aconito con conseguenze disastrose! In fitoterapia viene utilizzata per le sue marcate proprietà antinevralgiche, sedative e analgesiche; ma ciò è di competenza esclusiva di medici esperti! A parer mio l’unica rivista, in lingua italiana, che tratta l’argomento delle erbe medicinali con professionalità e competenza è il mensile “Erboristeria domani” disponibile solo su abbonamento dall’Italia. Questa prestigiosa rivista, che esiste da decenni, è il massimo che si possa avere per una conoscenza corretta delle erbe medicinali anche se la maggior parte degli articoli sono spiegati in modo scientifico e un comune appassionato potrebbe faticare nel comprendere certe informazioni. Ma è una rivista, la sola a mio parere, che merita la sua fama. La potete vedere qui: www.erboristeriadomani.it. Se desiderate imparare come usare certe erbe medicinali dovete andare sul sicuro e non fidarvi del primo libro trovato; io ad esempio, per scrivere questo articolo e presentare le specie presenti, ho confrontato le informazioni con una ventina di libri specializzati tra i più autorevoli in mio possesso, non ho scritto informazioni prese da un libretto sulle erbe in omaggio a qualche rivista oppure dal primo sito web che ho trovato. Quando almeno diversi autori esperti (dottori, erboristi, specialisti eccetera) concordano nelle informazioni ecco che allora sono nella certezza di dare la l’indicazione corretta al comune appassionato di questo magico mondo delle erbe. Non fidatevi neppure del sedicente esperto che dice di conoscere tutto sulle erbe! Errore gravissimo! A questo proposito ho un esempio da farvi: mio padre, molto spesso, mi porta a casa un sacchetto di erbe medicinali raccolte e regalate da un suo amico. Un bel gesto da apprezzare certamente, ma quando osservo da vicino queste erbe e vedo come sono state raccolte, non a singole foglie o fiori, ma strappate a mazzi con il rischio di avere inserito anche altre specie non più identificabili il risultato è che tutte le volte le getto via (speriamo che mio padre non legga proprio questo articolo!). Con i funghi capita la stessa cosa, mi porta funghi che non conosco, malgrado la mia esperienza e anche questi finiscono per essere gettati. Ma perché li getto? Per il semplice fatto che se non conosco o non sono sicuro preferisco non rischiare; non fidarsi delle parole di un amico senza offendere, è una semplice questione di sicurezza! È inutile che vi citi gli innumerevoli casi di famiglie avvelenate nella piena fiducia di qualcuno che ha cucinato erbe o funghi per loro! Un altro luogo comune sono le esperienze dei nostri vecchi, i cosiddetti rimedi della nonna. Anche qui bisogna fare molta attenzione non perché i rimedi della nonna siano sbagliati, ma perché la persona che ve li racconta potrebbe avere confuso una certa erba, essersi dimenticata di fattori importanti e questo è un pericolo. Il rimedio della nonna di cui venite a conoscenza va sempre controllato su pubblicazioni specifiche ed autorevoli, sempre! Per ritornare all’esempio dell’amico di mio padre, il mazzetto regalo era il conosciuto Aglio orsino e ora qualcuno mi dirà: che problema avevo a riconoscerlo? Nessuno rispondo io, il fatto che la persona aveva strappato questa pianta medicinale a mazzi di 10-15 foglie in diversi giorni (rispettando la legge che dice che si può raccogliere solo un mazzo al giorno contenuto in una mano, anche questo è un aspetto legale da ricordare nella raccolta di erbe medicinali) purtroppo molte volte si corre il pericolo di raccogliere, assieme all’Aglio orsino, anche il Mughetto e il Colchico (soprattutto nei conosciuti boschi di Aglio orsino nel Mendrisiotto), che crescono nel medesimo suolo, le cui foglie sono simili e se non sono ancora in fiore, difficilmente un comune appassionato può distinguerle (come dimostrano le foto qui presenti del confronto). Strappando a mazzi l’Aglio orsino quando queste due piante pericolose non sono in fiore si rischia di includere alcune loro foglie! Ecco perché le ho gettate. Le foglie medicinali, di ogni pianta, vanno sempre raccolte singolarmente con molta attenzione, regola d’oro da tenere a mente! Ecco un altro semplice esempio capitato poche settimane fa a mio figlio (giugno 2010): svolgendo il lavoro di apprendista giardiniere un giorno é tornato a casa ricoperto da puntini pruriginosi su buona parte delle braccia, mani e gambe. Il dottore gli ha dato una pomata antiallergica e ora sta guarendo. Non era andato in una giungla ma solo a pulire un giardino dove é venuto a contatto con qualche pianta velenosa. Immagine ora cosa potrebbe capitare a un bambino che gioca in questo giardino! Lo stesso problema riguarda anche gli animali, soprattutto quelli domestici e dobbiamo stare attenti alle erbe o piante che gli diamo da mangiare. Un esempio viene da certe scimmie dell’Africa che si nutrono di foglie velenose, ma poi, per istinto, alcune mangiano l’argilla per eliminare le tossine assorbite da ciò che hanno mangiato; e dove non c’è l’argilla, catturano una specie di millepiedi che per difesa spruzza una sostanza che strofinata sul corpo della scimmia elimina le tossine. Di esempi come questo in natura ce ne sono un’infinità. Anche piante non propriamente velenose possono procurare guai: per esempio, le foglie della familiare Edera, se vengono ingerite in piccola quantità, hanno uno spiacevole effetto purgativo, mentre in grande quantità possono produrre un eccessivo stimolo e persino difficoltà di respirazione fino ad arrivare a provocare il coma nelle persone allergiche. Oppure di contrasto l’Oleandro (presente ovunque in Ticino) che è assolutamente mortale; ogni singolo pezzetto della pianta è velenoso ed anche un’unica foglia può risultare fatale se viene inghiottita. Attenzione a non usare certi rami o gambi di piante come spiedi per la griglia, potrebbero avvelenare la carne come appunto quelli dell’Oleandro che sono molto velenosi! Di altri esempi ne potrei fare un’infinità ma non in questo articolo, come già detto, comincio con il presentare queste specie di piante tra le più velenose. In seguito porterò di nuovo alla luce il problema delle piante velenose con altri articoli. La Mandragola (Mandragora autumnalis e officinarum) Mandragola è il nome comune di diverse piante del genere Mandragora appartenenti alla famiglia delle Solanaceae, una famiglia che comprende specie commestibili ed altre velenose. Molte specie di questa famiglia hanno infatti componenti alcaloidi psicoattivi. La Mandragola è senza alcun dubbio una delle piú antiche e potenti pianti medicinali mediterranee. Se ne parla da quasi tremila anni anche se dall’inizio del XIX secolo non ha avuto piú alcuna parte nella farmacopea. È solo verso la fine del XIX secolo che, grazie a ricerche cliniche, si scoprirono una serie di alcaloidi nella sua radice che la fecero riconsiderare anche se attualmente non viene sfruttata come pianta medicinale. Le foglie della Mandragola, ovali di colore verde scuro, che spuntano direttamente dalla radice principale, sono disposte a rosetta rasoterra. Al centro crescono gli steli dei fiori, ciascuno con un solo fiore bianco, celeste o lilla. Il frutto arancione, grosso come una prugna, matura in Palestina piú o meno all’epoca della mietitura del grano. Le sue radici sono narcotiche e velenose ed hanno un odore nauseabondo che provoca allucinazioni, nausea e vertigini. Fiorisce da marzo a maggio. Il nome di Mandragora sembra dovuto al fatto che essa si trova spesso in vicinanza dei luoghi di rifugio o di riposo del gregge. Altri (Bodeo Stapel) pensano che possa derivare dal germanico Man (uomo) e Tragen (portare) perché le grosse radici, spesso biforcate e accavallate, hanno una certa rassomiglianza con cosce umane o di uomini senza braccia. Delle cinque specie conosciute di Mandragora, quattro sono presenti nell’area mediterranea e una sull’Himalaya. Sandro Pignatti, nei suoi tre volumi sulla Flora d’Italia, presenta due sole specie di Mandragola presenti in Italia: Mandragora officinarum (sinonimo anche Mandragora vernalis, la Mandragora maschio degli antichi) e la Mandragora autumnalis (Mandragora femmina degli antichi). In Ticino, come in Svizzera, questa pianta non esiste allo stato spontaneo ma solo coltivata. È una delle piante velenose piú conosciute al mondo. Le radici della Mandragola sono caratterizzate da una peculiare biforcazione che ricorda la figura umana (maschile e femminile); insieme alle proprietà anestetiche della pianta, questo fatto ha probabilmente contribuito a far attribuire alla Mandragola poteri sovrannaturali in molte tradizioni popolari. La tradizione magica occidentale abbonda di citazioni sul potere e sull’uso della Mandragola; da Plinio, che è il primo a trattare ufficialmente il suo carattere antropomorfo e a suddividerla in forma maschile e femminile, a Galeno e a Lucio Apuleio. Per tutto il periodo romano si trovano tracce dell’uso della pianta. Questa pianta costituí uno degli ingredienti principali per la maggior parte delle pozioni mitologiche e leggendarie. Nell’antichità il frutto della Mandragola era usato in medicina come narcotico e antispastico. “Ippocrate riporta che con piccole dosi di Mandragora si possono guarire angoscia e depressioni profonde. (…) Dosi ancora maggiori esplicano un’azione sedativa, poi sonnifera, che in passato si pretendeva raggiungere con il solo respirare l’odore dei frutti, della radice o dei loro estratti. Aumentando ancora la dose, si provoca anestesia. Gli unguenti esterni sono già analgesici, ma all’interno questo veleno porta all’insensibilità totale e ad un sonno simile alla morte: ciò permise agli antichi di praticare interventi chirurgici (vi si può vedere la somiglianza con l’odierna narcosi). Se la dose è troppo forte, l’avvelenamento è mortale”! (6) Inoltre era ritenuto un afrodisiaco, capace di accrescere la fecondità umana o favorire il concepimento. Nella Bibbia si legge che Rachele acconsentí a dare a sua sorella Lea l’opportunità di avere rapporti coniugali con Giacobbe in cambio di alcune mandragole (Ge 30:14, 15). Anche se la Bibbia non rivela perché lo fece, può darsi che Rachele pensasse che queste l’avrebbero aiutata a concepire, ponendo cosí fine alla vergogna della sua sterilità. Tuttavia rimase incinta solo alcuni anni dopo. Da questo episodio si può rivelare come già nell’antichità questa pianta fosse ritenuta altamente afrodisiaca, al punto da indurre Giacobbe a preferire la moglie all’amante. Non a caso gli Ebrei la chiamano Dudaim, da “Dum”, amore. La Belladonna (Atropa Bella-donna) Le Solanaceae, a cui appartiene anche l’Atropa bella-donna, sono una famiglia di piante che comprende molte specie commestibili ed altre velenose. In Ticino si trova in pochi luoghi del Sopraceneri e del Sottoceneri; io l’ho trovata e fotografata in un bosco vicino a Meride. La zona preferita da questa pianta è quella intermedia della semi penombra, dove si incontrano la luce del giorno e le tenebre umide: boschi freschi, scorci di radure, ovunque predomini l’ombra e il suolo con humus scuro. La primavera fa spuntare i germogli circondati da grandi foglie intere, ovali con l’apice acuminato. La crescita è veloce e vigorosa ma quando arriva a poco piú di un metro, si espande lateralmente, di solito con diversi altri rami. Nel momento in cui la pianta vuole aprirsi in tutta la sua forza fogliare, viene sopraffatta dal processo floreale. Per questo motivo i getti laterali sono un particolare miscuglio di processi fogliari e floreali interconnessi. Nell’aprirsi il fiore compie un energico movimento rotatorio, cercando l’ombra, girandosi verso un lato e poi verso il basso, “nascondendosi” sotto la grande foglia vicina. I fiori aperti sono penduli, con la forma di una laringe aperta ed un colore giallo chiaro, slavato, in connubio con un viola scuro. La bacca a maturità è di un colore nero, brillante e contiene numerosi semi. Fiorisce da giugno a settembre. Il nome scientifico, Atropa bella-donna, deriva dai suoi letali effetti e dall’impiego cosmetico: Atropa è il nome della Moira che nella mitologia greca taglia il filo della vita, ciò a ricordare che l’ingestione delle bacche di questa pianta causa la morte. Belladonna perché nel rinascimento le dame usavano questa pianta per dare colorito al viso e lucentezza agli occhi. La Belladonna è una delle “grandi” piante medicinali della farmacopea. In questa pianta, nel 1833, il chimico tedesco Friedrich Ferdinand Runge scoprí l’atropina e altre sostanze che agiscono sul sistema nervoso parasimpatico. L’atropina è disponibile in forma di farmaco ed è utilizzata per ristabilire o controllare la funzionalità cardiaca. In combinazione con altri medicinali è anche prescritta per la cura di numerosi disturbi di vario genere. Le gocce di atropina sono anche usate per dilatare la pupilla e consentire l’esame del fondo oculare. La Belladonna è però una pianta estremamente velenosa. Non deve mai essere raccolta e non va utilizzata se non sotto stretto controllo specialistico. Anche dosi minime possono causare la morte! “In caso di ingestione é necessario l'immediato ricovero ospedaliero; vi è la possibilità che le bacche possano essere scambiate per dei frutti commestibili (mirtilli) e, nel bambino, l'ingestione di una o due di queste provoca l'avvelenamento. Rossore al viso e al collo, bocca secca sono i segni caratteristici dell'intossicazione e successivamente si avrà midriasi areagente, agitazione psicomotoria e fenomeni di allucinazione. L'atropina, il principale alcaloide presente nella pianta, dà tutti i classici effetti degli anticolinergici con il blocco delle secrezioni salivari, lacrimali, sudoripare, nasale e bronchiale; si verificano anche midriasi e alterazioni del ritmo cardiaco (tachicardia)”. (7) Il Giusquiamo nero (Hyoscyamus niger) Il Giusquiamo nero è una pianta erbacea annuale anch’essa della famiglia delle Solanacee, come le altre due presentate prima. Anche se rara, questa pianta è presente allo stato spontaneo in Ticino. In Europa, questa specie risulta resistente ai climi freddi ma si trova anche nelle vicinanze del mare. Vive presso le abitazioni, sui ruderi e quasi sempre non in gran numero. Il genere Hyoscyamus comprende una dozzina di specie tra cui anche l’Hyoscyamus albus (Giusquiamo bianco) che è molto simile ma con fiori di colore piú pallido (non è presente in Ticino e Svizzera, ma lo si trova in Italia). Fiorisce da maggio ad agosto. Il termine Hyoscyamus deriva dal greco kyoskyamos, composto di kys (gen. kyos) che significa “maiale”, e kyamos che significa “fava”, perché i maiali possono mangiare questa pianta senza alcun danno. La pianta raggiunge il metro di altezza, è molto ramificata e possiede una grossa radice a fittone. Il fiore giallo, alcune volte reticolato, lo rende inconfondibile. Le foglie sono spesse e pelose. La pianta, nella sua bellezza, ha un aspetto minaccioso che evoca la stregoneria e anche il profano può comprendere la sua totale velenosità! Il suo fiore emette un odore penetrante così come l’intera pianta possiede un odore simile a quello emanato dal pelo bagnato di un cane. Insieme alla Mandragora e alla Belladonna questa pianta figura nel folklore e nella mitologia di tutti i popoli europei che la temevano per la sua velenosità. Nel tardo Medioevo venivano preparate pozioni tossiche che davano allucinazioni visive accompagnate alla sensazione di volare. Questo fatto ci può spiegare perché moltissime delle confessioni estorte con la tortura alle donne accusate di stregoneria (queste donne erano infatti convinte di avere volato su una scopa) fossero in realtà sotto l’effetto del Giusquiamo. I Celti la consideravano sacra al dio Belenus e infatti la chiamavano Beleonuntian. Si pensa che i druidi ne abbiano fatto uso nei loro riti divinatori, ma anche per altri scopi dato che la pianta è altamente velenosa. Si ritiene che queste persone avessero una conoscenza approfondita delle piante nocive, delle loro parti e delle preparazioni atte ad esaltarne selettivamente i principi tossici. Si sa che i guerrieri celtici intingevano spesso le armi nelle pozioni druidiche che concentravano le sostanze tossiche di varie piante. Nel IX secolo, insieme ad altre erbe, componeva la spongia somnifera che fu la prima forma di anestetico per interventi chirurgici, usata anche per calmare la sovreccitazione dei malati mentali. Il suo decotto, immesso nell’apertura delle carie, era anticamente usato per attenuare il dolore dei denti. La pianta (soprattutto nei semi) contiene principi attivi simili alla Belladonna, quali la scopolamina, l’atropina e l’hyscyamina. Composti che provocano delirio, dilatazione delle pupille, allucinazioni e stati alterati di coscienza. Nella medicina contemporanea si usano normalmente gli estratti del Giusquiamo per alleviare i sintomi di alcune malattie psichiche. Per la loro pericolosità le preparazioni per uso interno di questa pianta sono di esclusiva competenza del farmacista e vanno usate solamente sotto il diretto controllo del medico. Lo Stramonio (Datura stramonium) La pianta è originaria dell’America Tropicale, è stata introdotta in Europa dopo il 1500 come pianta ornamentale (per il bel fiore bianco) e medicinale. Appartiene anch’essa alla famiglia delle solanaceae. Le sue proprietà erano già conosciute dagli indigeni sia del Nuovo che del Vecchio Mondo. Cresce sporadica negli incolti, vicino ai ruderi e nei margini delle strade, su ogni tipo di terreno, dal piano sin oltre i 900 metri di altitudine: massimo 1’350 metri. In Ticino la si trova in diversi luoghi ma non cosí facilmente. Si tratta di una pianta erbacea a ciclo annuale, cespugliosa, che presenta una radice a fittone, fusiforme, e un fusto eretto, con biforcazioni ramose e altezza che può superare il metro. La fioritura avviene tra luglio ed ottobre; i fiori rimangono chiusi durante il giorno per poi aprirsi completamente la notte, emanando un intenso e penetrante odore che attira le farfalle notturne; l’impollinazione è infatti entomofila (tramite insetti pronubi). I fiori sono ermafroditi, lunghi fino a 10 cm e solitari, presenti nelle zone terminali e nelle ascelle dei vari rami. Il calice è di forma allungata e composto da 5 sepali a lobi saldati; da questa si sviluppa una corolla bianca, a volte con sfumature violacee, di forma tubulare, a 5 petali saldati, acuminati e pieghettati. Fiorisce da luglio ad ottobre. Il frutto è una capsula globosa, divisa in 4 logge, della grandezza di una noce ed irta di spine (da qui il nome di noce spinosa); al suo interno si trovano numerosi semi neri e reniformi. Come altre specie del genere Datura è una pianta altamente velenosa a causa dell’elevata concentrazione di potenti alcaloidi, presenti in tutti i distretti della pianta e principalmente nei semi. I nomi Erba del diavolo ed Erba delle streghe si riferiscono alle sue proprietà narcotiche, sedative ed allucinogene, utilizzate sia a scopo terapeutico sia nei rituali magico-spirituali. L’uso della Datura stramonium è estremamente pericoloso. In tempi remoti veniva spesso usata per il suicidio e l’omicidio. La preparazione, il consumo e l’uso della Datura differiscono da cultura a cultura: i semi della pianta, o la radice, vengono ridotti in poltiglia assieme a qualche bevanda e in seguito ingeriti. Dopo un periodo in cui l’individuo che ha assunto la droga e scosso da una sorta di attacco improvviso di forza e di energia, che spesso sfocia in aggressività, avviene la caduta in un sonno profondo durante il quale sussistono allucinazioni molto vivide, dando l’impressione di spiriti che stanno entrando in contatto con l’uomo. I peculiari effetti della Datura hanno dato origine ad una serie di rituali tutti diversi, ma collegati fra di loro proprio a causa della specificità di questo sonno profondo ed allucinatorio che segue l’ingestione. “In considerazione della sua grande adattabilità la Datura era conosciuta sia in Europa, che nelle Americhe dalle tribú indigene che fin dai tempi piú remoti, la utilizzavano nei riti iniziatici e in altri tipi di cerimonie religiose per indurre stati di euforia ed esaltazione. I suoi semi erano utilizzati dai maghi per le proprietà narcotiche, per le visioni fantastiche che provocavano e per il presunto potere afrodisiaco; maghe e profetesse usavano bruciare la pianta per poter inalare i vapori ottenendone un effetto narcotizzante. Thomas Jefferson (Presidente degli U.S.A.) fu testimone del fatto che all’epoca di Robespierre i francesi condannati alla ghigliottina, preparavano con lo Stramonio un veleno che causava una morte rapida, evitando cosí di finire sul patibolo”. (8) Oggi l’uso della Datura in medicina popolare è quasi sparito. La tintura, infatti, non figura piú nelle farmacopee e gli esperti nell’usarla si estinguono. Inoltre, la farmacologia moderna ci offre rimedi meno rischiosi ed alla portata di tutti. La Cicuta (Conium maculatum) La Cicuta è una pianta della famiglia delle Apiaceae (caratterizzata da una infiorescenza tipica chiamata ombrella). È una pianta erbacea perenne, trovabile fino a 1’800 metri di altitudine, comunemente nota come Cicuta o Cicuta maggiore, originaria dell’Europa, passata alla storia quale leggendaria bevanda che il filosofo Socrate fu condannato a bere per darsi la morte. Questa pianta si trova anche in Ticino, ma non cosí comunemente, ed è l’unica presente della specie Conium. Con il nome comune di Cicuta vengono però comunemente indicate anche altre due specie, ciascuna appartenenti a generi differenti: La Cicuta minore (Aethusa cynapium), comunissima in Ticino, annuale o bienne a seconda delle sottospecie, è detta anche Falso Prezzemolo. La sua somiglianza con questa pianta aromatica ha portato a fenomeni di avvelenamento per la confusione tra le due. La Cicuta acquatica (Cicuta virosa), è una pianta perenne, che cresce in prossimità di acquitrini. È la piú velenosa delle tre ma in Ticino non esiste, solo in alcuni cantoni svizzeri. La Cicuta maggiore forma una grande rosetta, fino a un metro di diametro, e in primavera emette un grosso fusto alto fino a 2 metri, molto ramificato, cilindrico, con striature poco marcate, verdeglauco con numerose macchioline rosse (da qui il nome maculatum); all’interno è vuoto. Le ombrelle sono molto numerose, da 8 a 20 raggi. I fiori bianchi, alla fioritura, emanano uno sgradevole odore che ricorda quello dell’urina di topo. Fiorisce da giugno ad ottobre. “Tutta la pianta è notevolmente velenosa e può portare alla morte. Ciò è dovuto alla presenza di almeno cinque diversi alcaloidi: la coniina, la conidrina, la pseudoconidrina, la metilconicina e la coniceina. La coniina - una neurotossina - è l’alcaloide piú attivo ed agisce a livello delle sinapsi neuromuscolari. Si ritiene che la dose mortale per un essere umano sia di qualche grammo di frutti verdi. Nell’uomo l’ingestione della Cicuta provoca problemi digestivi, cefalee ed in seguito parestesia, diminuzione della forza muscolare, e infine una paralisi ascendente. La pianta è tossica sia per il bestiame sia per l’uomo, e per questo motivo viene ignorata dagli erbivori. Il veleno agisce anche indirettamente, cioè può portare ad avvelenamento anche in seguito ad ingestione di un animale che se ne era cibato in precedenza”. (9) Come pianta velenosa e anche medicinale era conosciuta fin dalla piú remota antichità; la medicina medievale sapeva come utilizzarla. La maggioranza di queste conoscenze si sono però perse nel tempo, ma l’omeopatia l’ha comunque rivalutata. Dicevamo che la Cicuta è famosa per ciò che accadde a Socrate. “Dopo aver bevuto la Cicuta, Socrate cammina un po’ nella stanza, poi, quando le gambe si intorpidiscono, si sdraia aspettando serafico che un gelo di morte si impossessi dei suoi arti per risalire dolcemente fino a stroncare il cuore. La sua ultima raccomandazione, quando ormai Ade sta per ghermirlo, è di innalzare un ex voto ad Asclepio, dio della medicina, che con la cicuta lo guariva per sempre dal male di vivere. La Cicuta, infatti, ha tra i suoi principi attivi la coniina, un alcaloide che paralizza i centri nervosi e porta alla paralisi respiratoria; effetti collaterali sono una certa fissità di sguardo e un ridicolo singhiozzo che in nulla si addice alla fine gloriosa di un grandissimo filosofo quale senza dubbio Socrate fu”. (10) La Digitale (Digitalis purpurea) La Digitale appartiene alla famiglia delle Scrophulariaceae a cui appartengono specie erbacee perenni o annue, a distribuzione cosmopolita. Sono numerose le specie coltivate a fini ornamentali risultate da ibridazioni per ottenere colori diversi. In Ticino questa pianta non esiste allo stato spontaneo ma solo coltivata e la si vede in moltissimi giardini o prati da cui sono arrivati i semi per dispersione. Il genere della Digitalis comprende una ventina di specie di cui solo due sono presenti nella flora spontanea del Ticino: Digitalis lutea e Digitalis grandiflora, ambedue velenose come la purpurea. Il primo ad introdurre il nome del genere Digitalis fu il botanico e fisico germanico Leonhart Fuchs, nel 1550 circa; il termine significa “ditale, cappello per dita” e indubbiamente il fiore ricorda questo utile oggetto. Fu poi Linneo a completare questo genere con altre specie. È stato invece il botanico scozzese Philip a definirne il binomio scientifico nel 1768. Questa pianta erbacea biennale prospera su terreno fertile, umido e ben drenato, sia in pieno sole che in ombra. Può nascere da seme e si autosemina facilmente. La spiga fiorale può superare un metro di altezza. Nel primo anno di vita compaiono solo le foglie, di colore verde scuro; nel secondo anno, in estate, compare un lungo stelo che porta i fiori, penduli, a campana, simili a un ditale, di vari colori (bianco, rosa, giallo). Fiorisce da maggio a luglio. Il frutto è una capsula che giunta a maturità si apre liberando numerosi semi molto piccoli. Alcune delle Digitalis sono state coltivate come erbe medicinali sin dal 1000 d.C. Fuchs la prescriveva contro le malattie di petto: altri piú tardi la indicarono contro la scrofola. Nell’antichità era mischiata con vino o altro per avvelenare o uccidere; infatti solo 10 grammi delle sue foglie seccate sono sufficienti per uccidere una persona tra atroci sofferenze! L’intossicazione da digitale derivante da sovradosaggio può manifestarsi con una visione in itterico (giallo), comparsa di contorni confusi (aloni) e bradicardia; i sintomi comprendono inoltre nausea e vomito. La possibile insorgenza di blocco atrio-ventricolare può condurre ad arresto cardiaco e morte. La pianta fu introdotta nella London Pharmacopeia nel 1650 , ma non fu prima del tardo XVIII secolo che il suo valore per la cura dei sintomi della debolezza cardiaca venne alla luce. Grazie a questo fatto la pianta ha trovato molto in fretta una collocazione nella medicina convenzionale, come pure in quella erboristica. È stata abbondantemente prescritta dai medici per controllare l’edema associato all’insufficienza cardiaca congestizia, nonché per quella di altro genere e per l’irregolarità del battito. Nel 1785 William Wittehering, un medico inglese, fece molti esperimenti sull’uso interno della Digitalis e ne provò l’efficacia come cardiotonico e diuretico. Ma fu molto piú tardi, quando Lancelot scoprí il valore della digitalina, che ci si rese conto dell’importanza della Digitalis nelle affezioni del cuore. Nella celebre opera di Vincent van Gogh Ritratto del dottor Gachet il malinconico medico ha sul tavolo accanto a sé una pianta di Digitalis, all’epoca utilizzato come rimedio fitoterapico per la cura di diverse malattie. Si tratta però di una pianta velenosissima in tutte le sue parti (specialmente le foglie durante la fioritura) ed è quindi sconsigliato il suo utilizzo! L’Aconito napello (Aconitum napellus) L’Aconitum napello è una pianta della famiglia delle Ranunculaceae, con forti doti curative ma estremamente velenosa; infatti è una tra le piante piú tossiche della flora ticinese ed è pure molto comune trovarla nei pascoli e in montagna. Dal ristorante del Monte Generoso fino alla salita della vetta, meta frequentatissima, ad esempio si trovano centinaia di piante di Aconito ai lati del sentiero e dunque fate attenzione ai bambini! Per non parlare di molte capanne che hanno questa pianta proprio nei dintorni come la capanna del Tamaro e la Michela. È originaria delle zone montane dell’Europa ed è stata esportata in molti altri paesi del mondo. Cresce nei prati, pascoli, luoghi umidi, ai margini dei boschi di montagna con una decisa preferenza per i terreni che fiancheggiano le malghe, dai 600 sin oltre i 2’600 metri di altitudine. Predilige terreni argillosi e silicei. Alcuni autori suddividono la specie qui descritta in piú sottospecie differenti in base ai caratteri delle foglie e alla dimensione e forma dell’elmo, questo perché la specie è estremamente polimorfa con molti ibridi che hanno piccole differenze fra loro. Il numero delle specie di questo genere è abbastanza controverso. Varia grandemente da autore ad autore: da un minimo di 20 ad un massimo di 200 secondo i criteri di classificazione. Il nome del genere pare derivi dal greco akon (dardo o giavellotto), perché la pianta era usata dai barbari per avvelenare le frecce, o da akone (pezzo di pietra), perché la pianta vive in luoghi rocciosi, o ancora da konè (uccisione). Il nome specifico dal latino significa “rapa” a indicare la forma del rizoma. L’Aconitum napellus agg., secondo “Flora Helvetica”, ha 3 sottospecie in Svizzera: l’Aconitum neomontana, l’Aconitum bauhinii e l’Aconitum compactum. Si tratta di una pianta erbacea perenne che può raggiungere i 150 centimetri di altezza, con un rizoma che ogni anno emette radici e fusti avventizi. Il fusto è eretto, robusto, verde e normalmente indiviso. L’infiorescenza è terminale e raccolta in densi racemi semplici. Alla base però si presenta ramosa. I fiori ermafroditi sono di colore blu intenso - violaceo. Fiorisce da luglio a settembre. Il frutto ha 3 follicoli glabri e lunghi 2 cm.; contiene numerosi semi minuscoli e piatti dalla superficie rugosa e nera. La pericolosità della pianta era nota agli antichi; Plinio la cita come “arsenico vegetale”. Per secoli è stata usata dai cacciatori che hanno intinto le frecce in Aconitum prima di andare a caccia. Inoltre la pianta era usata per avvelenare topi, lupi e volpi, pratica che valse all’Aconitum napellus il nome di “strozzalupi”. Nel Medioevo l’Aconito venne chiamato con diversi nomi: Cappuccio di monaco, Elmo di Giove o Elmo blu, sempre in riferimento alla sommità del fiore. Nel ‘500 era conosciuta per le sue presunte capacità contro la puntura di scorpioni. In fitoterapia viene utilizzata per le sue marcate proprietà antinevralgiche, sedative e analgesiche; ma ciò è di competenza esclusiva di medici esperti! L’ingestione accidentale di Aconito provoca numerosi disturbi gravi, tra cui la morte per asfissia. Il solo contatto con la pelle può causare gravi problemi. La pianta, soprattutto nella radice, contiene un alcaloide tossico molto attivo chiamato acotinina che è mortale in dosi da 1 a 5 milligrammi e viene considerata, dopo la nepalina, uno dei veleni vegetali piú potenti che si conoscano al giorno d’oggi. Questo principio attivo estratto dalle radici veniva impiegato in India per l’esecuzione di pene capitali. Durante la seconda guerra mondiale ne erano in possesso le spie che dovevano suicidarsi in caso di cattura. Questa pianta è estremamente velenosa in forma selvatica ma usata in campo farmacologico, in dose minima, perde gran parte del suo potenziale velenoso. Evitate ogni contatto con questa pianta! Il Colchico d’autunno (Colchicum autumnalis) Il Colchico d’autunno, appartenente alla famiglia delle Liliaceae, è un fiore la cui bellezza purtroppo trae in inganno essendo uno dei fiori piú velenosi al mondo! Sebbene i fiori di queste piccole bulbose assomiglino molto ai crochi (genere crocus), la somiglianza è solo superficiale e i due generi appartengono a famiglie diverse. Il genere Colchicum è formato da circa 45 specie, originarie dell’Europa, del Nord Africa e dell’Asia Centrale e occidentale, con la maggiore concentrazione in Turchia e nei Balcani. Chiamata anche Freddolina o Zafferano bastardo è una pianta erbacea perenne, che preferisce i terreni umidi sia di pianura che di montagna. Il nome deriva da una regione russa chiamata allora Colchide (oggi Georgia). In questa regione si diceva vivesse la maga Medea, che lasciò cadere una goccia del suo infuso magico per terra, dando cosí origine al Colchico. Anche gli Etruschi conoscevano le virtú terapeutiche del colchico che veniva utilizzato contro i dolori reumatici. Nel V secolo d.C. anche gli erboristi bizantini scoprirono che la pianta poteva risultare efficace nel trattamento dei reumatismi; quasi contemporaneamente in Arabia cominciarono ad usarla come rimedio per la gotta. Oggi gli estratti vegetali sono ancora utilizzati per curare gli attacchi di gotta. Tutte le parti della pianta sono tossiche, per il contenuto in colchicina (un veleno micidiale ma che può essere curativa in piccole dosi) che ha un effetto violentemente purgativo. La colchicina è utilizzata anche per la ricerca sul cancro. Bisogna prestare attenzione al latte di pecore o capre che hanno brucato questa pianta; gli animali sono piuttosto resistenti all’azione della colchicina, mentre il loro latte può essere tossico per l’uomo. Cavalli e bovini invece, abitualmente evitano di brucare la pianta. Prima che pianta faccia fiorire il bellissimo fiore bisogna fare attenzione a non confondere le sue foglie con quelle dell’Allium ursinum (Aglio orsino). Infatti nel Mendrisiotto le due specie crescono molto spesso assieme e per il raccoglitore di erbe poco esperto, che invece di staccare le foglie dell’Aglio orsino, una ad una, come si dovrebbe, se le coglie a mazzi potrebbe includere anche quelle del Colchico! Lo stesso problema di confondere le foglie dell’Aglio orsino con un’altra specie velenosa capita con la Convallaria majalis (Mughetto), come potete vedere dalle foto. Il Mughetto (Convallaria majalis) Al genere Convallaria (della famiglia Liliaceae) appartiene un fiore che in Ticino cresce anche spontaneo: il Mughetto. Non tutti però sanno che il Mughetto è la Convallaria majalis. Il suo nome deriva probabilmente dal latino convallis (valle), ad indicare l’habitat piú frequente di queste piante; infatti, il Mughetto è abbastanza frequente nelle valli delle Alpi. Il secondo nome, majalis, significa letteralmente “di maggio”. È anche simbolo del primo maggio ed era noto come Giglio di maggio, Giglio della valle o Lacrime della Madonna, perché nato dalle lacrime versate dalla Vergine sotto la croce. Questo fiore veniva pure coltivato dai monaci per adornare l’altare ed era chiamato Scala per il Paradiso per le minuscole campanelle disposte come gradini lungo lo stelo. Il Mughetto è uno tra i primi fiori a spuntare (fiorisce da maggio a giugno) annunciando il sopraggiungere della primavera, ed è stato da alcuni considerato il simbolo dell’Avvento del Salvatore, nonché la sua Incarnazione, proprio grazie alla sua proprietà di nascere piú o meno nello stesso periodo in cui si riteneva che si fosse svolto l’episodio dell’Annunciazione a Maria Vergine della futura nascita di Cristo. Il fiore è stato associato anche all’immagine della Madonna per la sua purezza, il suo candore e la dolcezza del suo profumo. Simboleggia anche la felicità che ritorna, poiché è il fiore piú soave che si possa immaginare. Si dice che, con le sue delicate campanelle bianche e il suo inconfondibile e fresco profumo, richiami l’usignolo dal nido e lo guidi verso la sua compagna. Il Mughetto viene citato per la prima volta da Mattioli (1500-1577) che ne descrive alcuni utilizzi medicinali. Questa pianta è velenosa in tutte le sue parti escluso il rizoma, a causa del suo contenuto in glicosidi cardioattivi tra cui la convallatossina che possiede attività cardiocinetica 10 volte superiore a quella della digitossina: di conseguenza se ne sconsiglia l’uso! Sono le attraenti bacche rosse ad essere pericolose per i bambini visto che in moltissimi giardini è una pianta molto comune da trovare! Il Fior di stecco (Daphne mezereum) La Daphne mezereum è una specie di pianta della famiglia delle Thymelaeaceae. Il genere comprende una settantina di specie sparse un po’ in tutto il mondo. In Ticino sono presenti solo 5 specie diverse di Daphnee e la mezereum è la piú comune da incontrare in montagna. Incontrare i cespugli di questa Dafne nei boschi ancora fradici d’inverno o tra le chiazze di neve e frane ricche di humus è certamente una bella emozione. L’origine del nome risale ai greci che cosí chiamavano il Lauro grazie alla somiglianza delle sue foglie con quelle di questa Dafne, per il resto totalmente diversa, il nome è stato poi dato arbitrariamente a essa. Questa specie (compresi anche alcuni ibridi) è largamente usata nel giardinaggio rustico di tipo roccioso o alpino. Queste piante si moltiplicano facilmente dai semi, ma hanno una germinazione e vegetazione piuttosto lenta nel tempo. La Daphne mezereum è un arbusto deciduo, legnoso, alto fino a 120 centimetri, con i fusti eretti, molto flessibili e ramificati e con la corteccia grigiastro-rosastra. Le foglie sono alterne, sottili, allungatolanceolate, lunghe fino a 8 cm, di colore verde vivace, glabre e lucide nella pagina inferiore, spesso in ciuffi all’estremità dei rami. Esse si sviluppano dopo la fioritura. I fiori sono di colore rosso carminio pallido, sessili, generalmente in mazzetti di 3, lungo i rami sono molto profumati. Fiorisce da marzo a maggio. I frutti sono rotondi, ovoidali, di colore rosso brillante a maturità, velenosissimi. I frutti e la corteccia di tutte le specie di Daphnee sono velenosi: Linneo affermava che bastano 5 bacche per uccidere un lupo, ma come l’abbia appurato non lo dice. La corteccia della mezereum contiene un glucoside, la daphina, una resina, la mezereina, una sostanza colorante giallastra, sostanze tanniche e zuccheri. Un tempo veniva usata per fare cataplasmi o per ricavarne una polvere starnutatoria, le bacche inoltre servivano come emetico. Ci si è accorti piú tardi che i rimedi erano peggiori del male e si è rinunciato ad usarla. Gli animali in genere evitano questa pianta a causa del suo sapore amaro. L’uso farmacologico di questa pianta è assolutamente riservato ai medici! Altre piante pericolose Alcune di queste piante sono considerate medicinali per alcune loro proprietà terapeutiche, ma il loro utilizzo è destinato a soli esperti in quanto sono tutte piante considerate tossiche e velenose! Queste piante sono presentate brevemente, giusto per illustrare la loro pericolosità, ma verranno, in un secondo tempo, presentate più ampiamente come la Fusaggine che troverete nel numero di novembre 2010. Taxus baccata (Albero della morte) Il Tasso è un albero sempreverde con una crescita molto lenta, per questo motivo in natura spesso si presenta sotto forma di piccolo albero o arbusto, tuttavia in condizioni ottimali può raggiungere i 15/20 metri di altezza; la chioma ha forma globosa irregolare, con rami molto bassi. Quelli che sembrano i frutti, di colore rosso, in realtà sono degli arilli, ovvero delle escrescenze carnose che ricoprono il seme. Inizialmente verdi, rossi a maturità, contengono un solo seme, duro e molto velenoso. La polpa invece è innocua e commestibile, viene mangiata dagli uccelli che ne favoriscono la diffusione. Gli animali mangiano i frutti, che non vengono macinati e digeriti perché mortali. Il principio attivo responsabile della tossicità di rami, foglie e semi, è un alcaloide, la tassina. Ha effetto narcotico e paralizzante sull'uomo e su molti animali domestici. Gli organi che ne contengono di più sono le foglie vecchie. Il nome comune deriva dal greco taxon che significa "freccia", e l'appellativo di Albero della morte nasce proprio dal suo impiego nella fabbricazione di dardi velenosi e dalla sua caratteristica tossicità, oltre al fatto che veniva utilizzato nelle alberature dei cimiteri e delle chiese ancora oggi presenti È una pianta che si trova ovunque in Ticino! Tamus communis (Tamaro) Il portamento della pianta e gli apparenti grappoli in cui si riuniscono le bacche ricordano la vite, mentre i giovani getti ricordano i turioni degli asparagi. Per questi motivi i vari nomi in vernacolo, in genere, fanno riferimento alla vite o all'asparago. Lo sviluppo della pianta può essere rilevante, raggiungendo in condizioni favorevoli anche i 4 metri di lunghezza. Il frutto è una bacca globosa di colore rosso brillante, contenente 6 piccoli semi. In piena fruttificazione le bacche si presentano numerose, riunite in apparenti grappoli. Il Tamaro è da considerarsi pianta velenosa per la presenza di alcuni principi attivi tossici, soprattutto nelle bacche e nella radice. Il Tamaro è una specie spontanea diffusa in tutta l'Europa, nel Nordafrica e nell'Asia occidentale; in Ticino è presente ovunque. Pianta tipica del sottobosco, vegeta dal mare alla regione montana, in genere in boschi densi e macchie fitte, ma può ritrovarsi anche nelle radure e nelle siepi. Lonicera caprifolium (Caprifoglio comune) Il Caprifoglio è un arbusto legnoso di medie dimensioni dai profumati fiori colorati di bianco e rosso. Il genere Lonicera comprende circa 200 specie provenienti dall'Asia, dall'America settentrionale e dall'Europa, di queste una decina si trovano, sia spontanee che coltivate, in Ticino. Il frutto di colore rosso-arancione è una bacca (velenosa!) carnosa (bacciforme e succosa) e ovale di colore rosso vivo ma a volte anche arancio (dipende dalle varietà) contenente alcuni semi discoidi. È nell'orticoltura ornamentale che si concentra il maggior interesse per queste piante. Esistono diverse varietà coltivate a questo scopo. Generalmente queste varietà sono a foglie persistenti e fiori a colori diversi e sono usate per rivestire muri o formare pergolati. Viscum album (Vischio) Il Viscum album, noto da noi semplicemente come Vischio è una pianta cespugliosa che appartiene alla famiglia delle Loranthaceae. Fa parte di una numerosissima famiglia botanica che comprende circa 1'400 specie, tutte parassite e cresce su un centinaio di specie di alberi. Si tratta di una pianta sempreverde epifita, parassita di numerosi alberi latifoglie come ad esempio pioppi, tigli, olmi, noce. Se ne può notare la sua presenza specialmente in inverno, quando i suoi cespugli piantati nei tronchi sono evidenziati dalla perdita delle foglie della pianta che li ospita. Le sue bacche, tossiche per l'uomo, trasportate e disperse dagli uccelli (che se ne cibano), si insediano nelle intercapedini di un ramo di una pianta ospite e iniziano a germogliare. Il Vischio ha fiori gialli e frutti dalle bacche sferiche bianche o giallastre translucide e con l'interno gelatinoso e colloso. Il Vischio contiene varie sostanze farmacologicamente attive, come alcaloidi, polisaccaridi, fenilpropani, lignani, lectine e "viscotossine". Gli alcaloidi isolati dal Vischio sono correlati a quelli riscontrati nelle piante-ospiti e dunque possono cambiare a seconda del che tipo di pianta su cui vive. Si sconsiglia di assumere Vischio autonomamente ma di rivolgersi sempre a personale specializzato (che abbia cognizioni di fitoterapia) in quanto la pianta è segnalata dai centri antiveleni. Tutte le parti del Vischio possono risultare tossiche; le bacche, soprattutto, sono pericolose! Vincetoxicum hirundinaria (Vincetossico) Le Asclepiadaceae sono della famiglia appartenente alla classe delle Gentianales; le sue piante sono per la maggior parte più o meno carnose. Fanno parte di questa famiglia alcune specie assai strane che a volte assumono forme mostruose e anomale con infiorescenze maleodoranti. La famiglia delle Asclepiadaceae costituisce un grande gruppo comprendente circa 1’700 specie di cui una sola specie in Svizzera. Il Vincetossico è una pianta bella a vedersi anche se con le sue foglie verde scuro si mimetizza molto bene nei luoghi in cui vive, ma i suoi fiorellini carnosi, bianchi, a forma di piccola stella si fanno notare subito. Dal latino vincere e toxicum, poiché la pianta, in passato, era usata, a torto, come antiveleno, mentre nella realtà essa è tossica in tutte le sue parti. In Ticino è una pianta molto comune che si trova ovunque. Ilex aquifolium (Agrifoglio) L’Agrifoglio, detto anche Aquifoglio, Alloro spinoso, Pungitopo maggiore, è una pianta appartenente alla famiglia delle Aquifoliaceae. Le Aquifoliaceae sono una piccola famiglia di piante che comprende da 400 a 600 specie ripartite in due generi che comprendono alberi e arbusti, per lo più sempreverdi, presenti nelle regioni temperate e tropicali. È considerata una pianta ornamentale per i giardini e i parchi, perché, oltre alla sue foglie dure e lucide, le bacche rosse (da non mangiare MAI!), che crescono all’ascella delle foglie, resistono durante tutto l’inverno; la pianta non teme il gelo e la neve. La corteccia contiene una sostanza colorante il cui principio è costituito dall’ilicianina che si presta alle tinture per lavori di ebanisteria; mentre le foglie contengono sostanze molto velenose per gli animali domestici. È una pianta che durante le feste natalizie si ha l’abitudine (PROIBITA) di raccogliere come adornamento. Essendo le bacche velenose bisogna dunque prestare attenzione a come si maneggiano! Veratrum album (Veratro bianco) Si tratta di una pianta velenosissima molto bella a vedersi quando è in piena fioritura. La si trova ovunque in Ticino sopra i 500 metri di altitudine. La sua altezza e i suoi infiniti fiorellini biancoverdastri regalano un grazioso spettacolo nei pascoli in cui cresce. Il Veratrum deve il suo nome alla radice latina verum poiché si riteneva che questa pianta producesse l’effetto di rendere chiara la mente e di acuire l’intelletto. Il succo del rizoma serviva per avvelenare le frecce ed il decotto come antiparassitario per distruggere mosche, topi, ecc. La pianta di Veratro è nota nel campo dell’erboristeria per possedere un’energica azione emeto-catartica, ipotensiva, analgesica, antifebbrile, sternutatoria, scialagoga, vescicatoria e ipnotica. La parte usata in medicina, il rizoma, è fortemente tossica ma, anche le parti aeree lo sono parimenti. La pianta contiene una serie di alcaloidi (proveratrina, germerina, jervina, ecc.) soprattutto nella radice. Assolutamente proibito l’utilizzo casalingo di questa pianta tossica che può portare alla morte! Hedera helix (Edera) La conosciuta Edera appartiene alla famiglia delle Araliaceae che comprende circa 600 specie di piante legnose, raramente erbacee, spesso rampicanti, originarie per lo più delle regioni tropicali. Il nome Hedera deriva dal latino haerere che significa “essere attaccato”; il termine helix deriva dal greco e significa “spirale, elica” in riferimento alla sua attitudine ad attorcigliarsi ad elica sui supporti (o ospiti) che trova e a cui si aggrappa. L’Edera è nota per essere una pianta particolarmente invadente; si abbarbica tenacemente a supporti, muri, alberi, rocce e quant’altro impossessandosene sino a raggiungere l’annullamento del supporto stesso. L’Edera possiede notevoli proprietà curative: le foglie sono ricche di flavonoidi come la quercetina, saponine aederina, zuccheri carotenoidi, acido caffeico, acido clorogenico, sali minerali e svariate altre sostanze che non vi sto ad elencare. Sfortunatamente le preparazioni di rimedi terapeutici risultavano, anche ora, estremamente pericolose e causa spesso di gravi avvelenamenti. Già Dioscoride sapeva della pericolosità della pianta e avvertiva che poteva procurare vomito e diarrea anticipando così le ricerche più moderne che hanno scoperto nella pianta sostanze tossiche presenti soprattutto nei frutti (bacche di colore nero) ma anche nelle foglie! È una pianta che si trova ovunque in Ticino. Euonymus europaeus (Cappello di prete o Fusaggine) Chissà quante volte avete avuto modo di osservare i frutti rossi dalla forma curiosa di questa pianta cosí comune da incontrare in Ticino. Si tratta dell’Euonymus europaeus, comunemente chiamata anche Berretto da prete, Cappello di prete, Fusaggine, Evonimo eccetera. La pianta è molto bella da vedere quando i frutti sono maturi, ma è pericolosa! Infatti tutte le sue parti sono tossiche! Persino la segatura provoca malesseri nei tornitori che ne lavorano il legno. Una eventuale ingestione di frutti comporta diarrea, vomito e, in dosi elevate, può portare in poche ore alla perdita di coscienza; anche le foglie, oltre ai frutti, sono tossiche per l'uomo ed anche per pecore, capre, equini ed erbivori in genere. Attualmente si conoscono diverse proprietà medicinali di questa pianta che si usa soltanto su prescrizione medica! Questa pianta sarà ampiamente presentata nel numero di novembre 2010. Paris quadrifolia (Uova di volpe) È una pianta che si trova ovunque in Ticino. Il fiore è unico su un peduncolo eretto inserito al centro del verticillo, fiorisce da giugno a luglio. Il frutto è una bacca nero-bluastra, sferica, con numerosi semi bruni, matura in agosto. Il nome deriva da quello di Paride perché la posizione della bacca, posta tra 4 foglie, ricorda il pomo della discordia: secondo la leggenda Eris, dea della discordia, lanciò una mela con la scritta "alla più bella" tra le dee Era, Athena e Aphrodite scatenando la loro rivalità; la contesa venne infine risolta da Paride in favore di Aphrodite, la quale gli aveva promesso l'amore della bella Elena. Tutta la pianta, contenente diversi glucosidi è fortemente velenosa. Particolarmente velenose sono le bacche, di colore nerastro, dalle quali vanno tenuti lontani soprattutto i bambini, che possono esserne attratti e confonderle con frutti di bosco eduli. Polygonatum multiflorum (Sigillo di Salomone) Nel mondo vegetale la riproduzione è in genere garantita dall’incontro di cellule femminili con cellule maschili. Ma questa strada del sesso alle volte è resa problematica da molti fattori imponderabili. Allora alcune piante si sono evolute per conto loro e hanno deciso che del sesso possono farne a meno. Una di queste è il Sigillo di Salomone (Polygonatum ssp), che possiede una gemma all’apice del rizoma che ogni anno dà origine ad una nuova pianta completa. Il nome scientifico deriva dal greco poly (molto) e gony (ginocchio o nodo) per i famosi nodi o ingrossamenti del rizoma. Ci sono diverse specie presenti in Ticino e tutte molto comuni da incontrare. Fino a non molto tempo fa il rizoma era consigliato e utilizzato, schiacciato sotto forma di compresse, per attenuare i dolori delle contusioni e anche dei reumatismi. La pianta era considerata medicinale fin dall’antichità. La medicina popolare contemporanea non utilizza più questa pianta. Possono rappresentare un pericolo le bacche velenose, color verde dapprima e poi nero a maturazione, che, con il loro aspetto invitante, potrebbero essere ingerite dai bambini! Chelidonium majus (Celidonia) Il Chelidonium majus dal portamento ramificato fiorisce a partire da aprile per tutta l’estate fino all’autunno. Non importa se l’estate è asciuttissima e le scarpate completamente secche; dalla pianta sgorgherà sempre una quantità del suo succo viscoso, giallo arancione medicamentoso. Ma anche in inverno, quando la neve copre tutto, si trova la Celidonia se ci si ricorda il posto esatto. I principi attivi di questa pianta sono per lo più alcaloidi isochinolinici, in particolare la copticina, ma anche berberina e sparteina. La pianta viene tradizionalmente utilizzata nella fitoterapia popolare per uso esterno. Contro le verruche, si applica il lattice fresco nella zona interessata, lasciando asciugare. Questo liquido caustico, nel passato, era erroneamente anche prescritto, con grande rischio per la vista, al fine di eliminare le irritazioni e l’annebbiamento degli occhi. La tossicità di alcuni principi contenuti ne sconsiglia l'utilizzo interno! È evitata dalle bestie da pascolo, per il sapore acre e disgustoso. Ruscus aculeatus (Pungitopo) Il Pungitopo è un cespuglio sempreverde che raggiunge un'altezza compresa tra i 30 e 100 centimetri. Le parti a forma di foglia, coriacee e fornite di una spina alla sommità, sono in realtà i rami e si chiamano cladodi, mentre le vere foglie sono le minuscole brattee che si trovano alla base dei cladodi. I fiori, piccoli e verdi, larghi 3 millimetri, sbocciano al centro dei cladodi, sulla parte superiore, dove si formano infine i frutti, tonde bacche rosse che maturano in inverno. Nel Medioevo il pungitopo veniva usato per scacciare i topi dalle cantine; da qui il nome. Un altro uso tradizionale consisteva nel legare a due corde dei grossi mazzi della pianta, e farli scorrere nella canna fumaria dei camini per toglierne la fuliggine. Il Pungitopo è probabilmente il più potente tonico venoso vegetale ed è per questo che viene spesso aggiunto alla composizione di molti farmaci antiemorroidali e antivaricosi. Le bacche di Pungitopo e quelle simili dell’Agrifoglio sono velenose e la loro ingestione può causare convulsioni! Helleborus niger (Rosa di Natale) Esiste un fiore che nel mese di dicembre comincia a fiorire e il colore bianco dei suoi petali è un vero inno di purezza della natura. Stiamo parlando dell’Elleboro (Helleborus niger) piú conosciuta come Rosa di Natale. Questo fiore invernale appartiene alla famiglia delle Ranuncolacee. La Rosa di Natale è un fiore spontaneo dei nostri boschi (Denti della Vecchia e Monte San Salvatore, San Giorgio e Generoso), che nei microclimi più favorevoli inizia a mostrare i primi fiori nel periodo natalizio. Il genere Helleborus comprende circa 30 specie. Gli Ellebori sono piante facilmente riconoscibili per le loro grandi foglie palmate, coriacee e di un bel verde intenso. Le specie presenti in Ticino sono: L’Helleborus niger, l’Helleborus viridis e l’Helleborus foetidus diffuso in luoghi sassosi e cespugliosi. Tutte le specie del genere Helleborus sono velenose. Contengono alcuni glicosidi, come l’elleborina, la cui azione può danneggiare e ferire gravemente il muscolo cardiaco. Durante il Medioevo l’estratto dei rizomi dell’Elleboro era utilizzato come veleno letale! Sono noti alcuni casi di bambini avvelenati mortalmente dai fiori e dai semi dell’Elleboro. Il sapore amaro e l’odore schifoso impediscono alle mucche di brucarlo. Conclusioni Per concludere voglio ripetere le sagge parole di Paracelso: “Tutte le cose sono veleno e nulla è senza veleno; solo la dose ne determina la velenosità”. Ogni pianta può diventare pericolosa se ne assumiamo dosi massicce e per un lungo periodo! Curarsi in modo naturale è giusto ma bisogna conoscere bene tutta la storia medicinale e terapeutica della pianta che vogliamo utilizzare come rimedio. Il nostro medico dovrebbe sempre essere informato. Per quanto riguarda le piante velenose, abbiamo presentato alcune tra le piú conosciute, ma ce ne sono molte altre che potrebbero somigliare a certe erbe medicinali e dunque la conoscenza non è mai abbastanza per eliminare il fattore rischio! Fate attenzione ai vostri bambini. Spiegate loro che in molti giardini (naturalmente anche in natura) esistono piante velenose che non bisogna assolutamente toccare. Informateli correttamente sulle bacche attraenti che potrebbero trovare e che non devono mettere in bocca senza prima avervi informato! Nel caso che ingeriate o tocchiate piante velenose e vi sentiate male, agite tempestivamente: recatevi subito dal medico. Nel caso di animali, chiamate il veterinario. L’importante è non somministrare mai dei farmaci o altre sostanze di vostra scelta senza prima avere consultato un medico! Altra cosa importante, soprattutto per i bambini, è sapere quale tipo di pianta ha causato l’avvelenamento per dare modo ai dottori di sapere con che cosa hanno a che fare e come agire! Citazioni: 1: Tratto da www.sdamy.com 2: Di Ely Riva 3: Informazioni prese da: “Piante selvatiche e velenose”, Paolo Luzzi, Edagricole e controllate con altre fonti autorevoli 4: Tratto da: www.guidaconsumatore.com 5: Informazione tratta da: “Le erbe curative”, di Michael Castleman, Edizioni Tecniche nuove, 2007 6: Tratto da “Le piante medicinali, Vol. 1”, di Wilhelm Pelikan, Natura E Cultura Editrice, 1998 7: Tratto da www.afisna.com, Accademia di Fitomedicina e Scienze Naturali 8: Tratto da www.funghiitaliani.it 9: http://it.wikipedia.org/wiki/Conium_maculatum 10: Tratto da http://guide.supereva.it Fonti: “Piante selvatiche e velenose”, Paolo Luzzi, Edagricole “Le erbe curative”, di Michael Castleman, Edizioni Tecniche nuove, 2007. “Conoscere le piante medicinali”, di E. Agradi, S. Regondi, G. Rotti, Edizione Medi Service. “Segreti e virtú delle piante medicinali”, Selezione dal Reader’s Digest, 1988. “Piante officinali italiane”, di Giuseppe Lodi, Edagricole. “Flora Helvetica”, Konrad Lauber e Gerhart Wagner, 3 édition 2007 :Haupt “Piante medicinali e velenose della flora italiana”, Edizioni artistiche Maestretti - Istituto Geografico De Agostini Novara “La vita segreta delle piante”, Peter Tompkins e Christopher Bird, Edizioni NET, 1973 “Il libro completo delle erbe”, De Agostini, di Deni Bown. “Compendio della Flora Officinale Italiana”, Paola Gastaldo, Piccin Editore “Flora d’Italia”, Sandro Pignatti, Edagricole, 2003, 3 Volumi “Flora alpina”, 2 volumi, David Aeschimann, Konrad lauber, Daniel Martin Moser, Jean-Paul Theurillat, Zanichelli editore “Il maxi libro delle erbe medicinali”, Franca Neri, DVE Italia S.P.A. – Milano, 1988 “Il potere delle piante medicinali”, Michael T. Murray, N.D., CEC Editore “Il Ticino e le erbe medicinali”, di Luca Bettosini, Associazione vivere la montagna. “Tutte le piante medicinali del dottor Peroni”, di Gabriele Peroni, Macchione Editore. “Dizionario di fitoterapia e piante medicinali”, di Enrica Campanini, Tecniche nuove. “Le piante medicinali, Vol. 1, 2 e 3”, di Wilhelm Pelikan, Natura E Cultura Editrice, 1998. “Il grande libro delle piante magiche”, di Laura Rangoni, Editore Xenia. “Medicina naturale, i segreti delle piante medicinali”, di S. Foster, R. L. Johnson, National Geographic. “La Salute dalla Farmacia del Signore”, di Maria Treben, Edizioni Ennsthaler, 1980 “Le piante medicinali”, Wilhelm Pelikan, Natura e Cultura Editrice, 3 Volumi “Erboristeria domani”, rivista di erberisteria Siti web consultati http://it.wikipedia.org/wiki/Alcaloidi http://it.wikipedia.org/wiki/Saponine http://it.wikipedia.org/wiki/Glicosidi http://it.wikipedia.org/wiki/Olio_essenziale http://it.wikipedia.org/wiki/Tannino http://it.wikipedia.org/wiki/Taxus_baccata http://it.wikipedia.org/wiki/Mandragora http://it.wikipedia.org/wiki/Conium_maculatum http://it.wikipedia.org/wiki/Tamus_communis http://it.wikipedia.org/wiki/Lonicera_caprifolium www.tabaccheria21.net http://blog.giallozafferano.it www.enjoyrolling.org www.assms.it www.funghiitaliani.it http://guide.supereva.it www.assms.it www.pollicegreen.com